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BOLLETTINO TRIMESTRALE DI CULTURA VEGETARIANA. A NNO 3, N UMERO 3. L UGLIO 2005. Se ami la vita e la rispetti, se vuoi che qualcosa cambi in meglio, comincia da te stesso: prendi l’impegno di non nutrirti di violenza: diventa VEGETARIANO e ti accorgerai che è l’inizio di un cammino giusto e utile per la tua salute e quella del Pianeta. La nostra associazione ti può aiutare in questa tua scelta. http://www.vegetariani-roma.it [email protected]

0507 - N8 Mondo Vegetariano - Luglio 2005

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BOLLETTINO TRIMESTRALE DI CULTURA VEGETARIANA. http://www.vegetariani-roma.it [email protected] Se ami la vita e la rispetti, se vuoi che qualcosa cambi in meglio, comincia da te stesso: prendi l’impegno di non nutrirti di violenza: diventa VEGETARIANO e ti accorgerai che è l’inizio di un cammino giusto e utile per la tua salute e quella del Pianeta. La nostra associazione ti può aiutare in questa tua scelta.

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BOLLETTINO TRIMESTRALE DI CULTURA VEGETARIANA.

ANNO 3, NUMERO 3. LUGLIO 2005. Se ami la vita e la rispetti, se vuoi che qualcosa cambi in meglio, comincia da te stesso: prendi l’impegno di non nutrirti di violenza: diventa VEGETARIANO e ti accorgerai che è l’inizio di un cammino giusto e utile per la tua salute e quella del Pianeta. La nostra associazione ti può aiutare in questa tua scelta. http://www.vegetariani-roma.it [email protected]

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Mondo Vegetariano. Pagina 2. Luglio 2005.

C H I S I A M O . L’Associazione Vegetariana Animalista “Armando D’Elia”, già Gruppo Vegetariano “Armando D’Elia”, nasce nell’anno 2002 co-me Movimento Indipendente di ispirazione o-listica. Il nostro interesse nasce dal ripudio di ogni espressione violenta nei confronti del-l’uomo, degli animali e della natura, dall’amo-re verso la Vita e dalla consapevolezza che so-lo da un corretto modo di vivere e di alimen-tarsi (secondo le leggi naturali conformi alle nostre esigenze fisiologiche di esseri fruttaria-ni) è possibile conservare la salute del corpo, l’equilibrio mentale, i valori morali e spirituali. Infatti la pratica del vegetarismo favorisce lo sviluppo di una coscienza umana piú giusta e sensibile, una mentalità di pace e di disponibi-lità verso il prossimo, il superamento dello sfruttamento degli animali e delle risorse natu-rali, e l’eliminazione della fame nel mondo.

C O L L A B O R A Z I O N E . La collaborazione a Mondo Vegetariano è gratuita. Le opinioni degli articolisti possono non coincidere perfettamente con la filosofia che anima l'Associazione. Ogni articolista resta, pertanto, responsabile delle sue affermazioni. Coloro che intendono collaborare con il Bollet-tino possono inviare i loro articoli per posta or-dinaria a Franco Libero Manco, in Via Cesena 14, 00182 Roma, oppure per posta elettronica a: [email protected]. Quanto ricevuto non verrà restituito e la Redazione si riserva di ridurre, in caso di uti-lizzo, la sua lunghezza. Per ricevere il bollettino occorre iscriver-si all’Associazione per un anno. Socio sosteni-

tore: 60 Euro; socio ordinario: 30 Euro; stu-denti, pensionati, disoccupati e minori: 20 Eu-ro. Sede: Via Cesena 14, 00182 Roma, tel. 06 7 022 863. E-mail: [email protected]. Conto corrente postale: 58 343 153 intestato ad Associazione Vegetariana Anima-lista, Via Cesena 14, 00182 Roma.

A R G O M E N T I E L O R O P A G I N E . Alimentazione e devastazione. 2. Da maggiore povertà verso minore miseria? 8. Spiritualità e religioni. 13. L’angolo della poesia. 15. Ricette di cucina vegetariana. 16. Indirizzi di nostri amici. 16. In questa ottava edizione di questo bol-lettino trimestrale riportiamo per intero le pa-role che abbiamo avuto la fortuna di sentirci ri-volgere da due splendide signore. Parole che sarebbe delittuoso non voler ascoltare almeno una volta. Si accolga dunque con interesse la lun-ghezza dei due testi risultanti.

A L I M E N T A Z I O N E E D E V A S T A Z I O N E .

L A « H A M B U R G E R C O N N E C T I O N »

E L A D E F O R E S T A Z I O N E . Paola Segurini.

(Dal nostro convegno in Campidoglio del Dodici Aprile scorso). Io affronterò questo argomento da un

punto di vista un po’ diverso, piú localizza-to alla situazione amazzonica. In principal modo il mio intervento sarà su uno studio, che è apparso l’anno scorso in varî giornali, che attribuiva alla «hamburger connection», cioè alla catena di allevatori e produttori di carne, la deforestazione amazzonica. Il che non è una novità. Però è uscito l’anno scor-

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Mondo Vegetariano. Pagina 3. Luglio 2005. so, e quindi quello è stato il momento in cui l’opinione pubblica mondiale ha potuto ve-dere di che cosa si trattava. Lo spunto per questo studio mi è stato dato dall’incontro con una persona. Io sono una vegetariana, e come tutti i vegetariani ho letto e leggo sempre notizie inerenti agli allevatori, agli allevamenti, agli animali ma-cellati e cosí via, ma non avevo mai cono-sciuto un allevatore. Mi è capitato, per mo-tivi diversi dal vegetarismo, di conoscere u-na persona brasiliana, era un alto dirigente della “Telecom” in Brasile, che, parlando del piú e del meno, mi ha detto: «Io investo i miei soldi, e ho investito i miei soldi, in un allevamento nel Mato Grosso. E mi rende benissimo: è proprio un investimento idea-le». Io sono rimasta… e poi gli ho fatto al-cune domande, perché non avevo mai cono-sciuto né un allevatore, né un deforestatore, in persona. Ho fatto alcune domande e lui mi ha spiegato appunto che aveva mille capi nel Sud del Mato Grosso (lui viveva nel Sud del Brasile e il Mato Grosso è nel Nord), qualche mandriano, qualche custode, e via: questo era tutto. E quando gli ho chiesto co-me gestiva il pascolo, come si gestivano questi animali, mi ha detto: dunque, il pa-scolo è lí, nell’appezzamento di terreno. Nel momento in cui abbiamo finito il pascolo (cioè quando il terreno diventa sterile per il pascolo), tagliamo un po’ di alberi, vendia-mo il legname, e lí mettiamo il terreno a pa-scolo, per cui non c’è nessun problema. Per cui lui mi ha proprio colpito, e mi ha colpito principalmente anche perché ho notato in lui la leggerezza di una persona che non a-veva assolutamente idea, non dico di una coscienza animalista, ma neanche della co-scienza ecologica. Per lui era normale: era l’investimento consigliabile in quel momen-to in Brasile. E il cognato aveva duemila ca-pi, e il cugino ne aveva… ma erano perso-ne, un ingegnere questo: quindi persone al di fuori da ogni sospetto. E questo mi ha ap-punto incuriosito. Non ho detto niente, mi sono detta: mah, vediamo un po’ come fun-ziona questa storia, con che leggerezza le persone investono i loro soldi, anche, cosí

nell’allevamento. Allora: ogni anno, all’annuncio dei da-ti sulla deforestazione amazzonica, ci sono tanti articoli di giornali, tanti temi, diciamo anche… tante cose, insomma. Però, prima di capire appunto di che cosa si parla, biso-gna capire qual è l’Amazzonia che intendia-mo. In questo caso io intendo l’Amazzonia Brasiliana. Cioè l’immenso manto forestale di cinque milioni di chilometri quadrati, che abbraccia la piú vasta porzione di biodiver-sità della Terra. L’Amazzonia Brasiliana comprende il settanta per cento della foresta amazzonica, in un insieme di nove stati, non li so nominare ma sono nove, che compon-gono quella che si chiama l’Amazonia Le-gal. Quindi ora io parlerò sempre di questa porzione della foresta amazzonica: la por-zione brasiliana, che è la piú grande e che si chiama proprio Amazonia Legal.

Fin dal tempo dei conquistadores spa-gnoli l’Amazzonia è stata concepita come una fonte inesauribile di risorse e di ric-chezze, ed era quasi logico utilizzarle. Infat-ti anche nell’ultimo anno sono spariti circa ventiquattromila chilometri quadrati di giungla: questi sono i dati tra il Duemila-quattro e il Duemilacinque. Per un’area pari a una Sardegna, quindi, per capire un po’. Si tratta, analizzando i dati, del secondo da-to piú elevato in assoluto. E comunque nel-l’ordine di grandezza, da quando si è co-minciato a monitorare la deforestazione, perché anche gli strumenti ora sono piú spe- cifici, è il secondo dato in assoluto negli ul-timi praticamente vent’anni. In dieci anni la

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Mondo Vegetariano. Pagina 4. Luglio 2005. regione ha visto svanire un’area vasta quan-to due volte il Portogallo. Quindi si tratta di una situazione, non sto io a dirlo, lo sanno tutti e lo abbiamo ridetto, molto preoccu-pante dal punto di vista ambientale. Quali sono quindi le ragioni che indu-cono la gente, le persone a deforestare? So-no moltissime, non ultimo il commercio del legname, eccetera eccetera. Però in questo ambito noi parliamo appunto della «ham-burger connection». Lo studio di cui parla-vo, e che si intitola appunto “La «hambur-ger connection» alimenta la distruzione del-l’Amazzonia”, è stato divulgato lo scorso anno dal centro internazionale per la ricerca forestale inglese, Center for international forestry research, che noi chiameremo d’ora in poi “Cifor”, ed indica negli allevamenti di bovini uno dei principali fattori responsa-bili della perdita di zone della foresta amaz-zonica. Questo termine «hamburger connec-tion» era stato coniato agli inizî degli Anni Ottanta da un noto ambientalista, Norman Mayer, che l’aveva coniato in riferimento però alle foreste del Centro America; in quel periodo il Brasile non era… non faceva testo, diciamo, in questo campo. E comun-que l’aveva coniato appunto perché pensava che la «hamburger connection» fosse una delle forze motrici della deforestazione nel Centro America. Il “Cifor” è in Indonesia; è una entità diciamo che studia le foreste a livello mon-diale, però ha una sua stazione di raccolta di dati a Belém, una città situata sull’estuario del Rio Delle Amazzoni. Dopo cinque anni di studî e di raccolte di dati il “Cifor” ha ap-punto pubblicato questo studio in cui si dice che il massiccio aumento della popolazione bovina è legato assolutamente alla sparizio-ne a ritmo sempre piú accelerato della fore-sta amazzonica brasiliana. Lo studio è stato recepito in maniera piuttosto clamorosa, tanto da, dopo un articolo apparso sul-l’”Economist” verso Maggio, costringere l’”Economist” stesso a moderare un po’ i toni, perché il governo brasiliano, nella fi-gura del ministro dell’agricoltura, si era preoccupato di un possibile boicottaggio a livello mondiale della carne brasiliana e a-

mazzonica. Quindi un pochino è venuto in-somma a galla questo problema. Allora: quali sono le ragioni indivi-duate dal “Cifor” per l’aumento della popo-lazione bovina in Amazzonia? Perché uno come quell’ingegnere che ho incontrato io investe in Amazzonia e nell’allevamento? Investe perché i bovini rendono molto bene. Cioè il guadagno rispetto alla spesa è molto alto. Perché il prezzo della terra amazzonica è basso, perché le occupazioni illegali di terreni sono difficili da regolamentare, quindi qualcuna, diciamo, riesce, e non ri-sulta impossibile superare le norme che im-pediscono di deforestare piú del venti per cento del terreno. Quindi insomma con un po’ di scaltrezza è possibile, non tutto è le-gale, eccetera. Le crescite di bovini quali sono? Ve-diamo. In Amazzonia, nell’entità ammini-strativa dell’Amazonia Legal la crescita ve-de un passaggio dai ventisei milioni di ani-mali nel 1990 ai cinquantasette milioni del 2002, quindi si è praticamente raddoppiato. Dove sono gli animali a pascolare in questo momento? Molti sono nel Mato Grosso, che è quella zona a Sud dell’Amazzonia, come quelli appunto del dirigente che ho cono-sciuto io, e in altri stati che si chiamano Pa-rá e Rondonia, proprio dove le fotografie satellitari indicano la sparizione di foresta. Quindi sono proprio lí. L’aumento segnala-to dai numeri è vertiginoso: nel Mato Gros-so per esempio gli animali registrano una quantità pari a una volta e mezzo quella di dodici anni prima, e in Rondonia, un altro di questi stati, sono sestuplicati: questo in dodici anni. E dove va questa carne brasilia-na? Innanzi tutto va all’esportazione. Si sti-ma che oggi il Brasile sia il primo esporta-tore mondiale di carne bovina, con un fattu-rato triplicato dal 1995. I numeri ci dicono che si va verso un milione e quattrocento-mila tonnellate di carne bovina esportate o-gni anno da parte del Brasile negli ultimi anni. Perché c’è questo «boom» della carne bovina brasiliana: come mai? Lo studio del “Cifor” illustra che questo successo è da at-tribuire a: la paura della sindrome mortale

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Mondo Vegetariano. Pagina 5. Luglio 2005. ed atroce della mucca pazza, che in Brasile non c’è stata; la svalutazione della moneta locale; la sempre minore incidenza dell’afta epizootica, che in Brasile sta continuando a diminuire, e, ultimo, il timore della sindro-me mortale della polmonite atipica, che ha riportato l’anno scorso le persone al consu-mo della carne rossa, ma non europea, a di-scapito del pollame. Chi è che mangia invece la carne bovi-na in Brasile? In Brasile c’è, come ha citato anche un’altra persona prima, il fenomeno dei nuovi consumatori. Ora detta cosí è un po’… cruda, ma è cosí: l’incremento si è vi-sto anche localmente, perché c’è una parte della società che giunge a una ricchezza tale da permettersi di affrontare un po’ anche la spesa consumistica, non piú limitandosi alla spesa per la sola sopravvivenza. È una par-te, però è una parte che va aumentando. Allora: il “Cifor” si è concentrato sui pascoli, però non è solo questo il problema per la deforestazione amazzonica. Infatti se-condo me è anche…. [Una certa particolare produzione vegetale.] Va considerata la carne non come car-ne in sè, ma come prodotto finito. Cioè: che cos’è che contribuisce all’esportazione della carne? L’animale e il nutrimento dell’ani-male. Non importa se è quello l’animale, o è l’animale della stalla in provincia di Mode-na: comunque la carne è quella. Quindi: c’è un nuovo «boom», registrato ultimamente nell’Amazzonia, ed è nel Sud del Mato Grosso, nella savana, ed è l’«oro verde». Si chiama proprio cosí: «ouro verde». La soia. Stando agli ultimi rapporti finanziarî la soia è ormai il vero e proprio oro verde delle Amazzoni. Ed è destinato in gran parte al nutrimento degli animali da carne degli altri continenti. La coltura della soia sta a-vanzando dalle zone di savana del Centro Sud del Mato Grosso, dove si era attestata negli Anni Ottanta, verso una serie di terri-torî amazzonici. Quindi va verso la foresta, verso l’interno della foresta anche lei. E in-fatti i sojeros, o songeros in portoghese, so-no arrivati, sono approdati ultimamente, e questa è stata una notizia ripresa dai mezzi di informazione e anche dalle associazioni

ambientaliste, sono approdati sul grande fiume, il Rio Delle Amazzoni, fino a Santa-rem, che è una cittadina che si trova a metà del Rio Delle Amazzoni e circa 1250 Km a Sud di Manaus, che è la capitale dell’Amaz-zonia e come sappiamo è ben nel centro del-la foresta. Perché c’è questo «boom» della coltu-ra della soia? Viene attinta dall’enorme svi-luppo del suo mercato mondiale, quindi il mercato che come abbiamo visto per la maggior parte è destinato al nutrimento di animali da carne e da latte, per i prezzi ec-cellenti, per gli investimenti di significativi investitori stranieri e locali (quindi non so-lamente da fuori ma anche dall’interno), e la preesistenza di alcuni grandi produttori lo-cali. Roberto Smeraldi è direttore degli A-mici della Terra Amazonia Brasileira. È un fiorentino che si è trasferito in Brasile ed è un profondo conoscitore delle problemati-che amazzoniche. Ci spiega un pochino, in un suo saggio, come funziona la storia della terra e della soia in Brasile. Cioè voglio ar-rivare ai padroni di questa soia: ai prodotto-ri di questa soia. Smeraldi spiega che, dopo la riforma agraria in atto dal 1995 in Brasile e finora realizzata per il 72 % in Amazzo-nia, circa cinquantamila famiglie l’anno hanno avuto appezzamenti di terreno che vanno dai quaranta ai centoventi ettari per famiglia. Al momento della distribuzione delle terre, spiega Smeraldi, si è data maggiore importanza alla giustizia della distribuzione stessa e non alla capacità di questi contadini di coltivare questi terreni. Quindi questi contadini si sono trovati con queste terre e non avevano però la strumentazione adatta a coltivarle e ad avere delle rese, quindi que-sti coloni non hanno avuto altra possibilità che eliminare gli alberi. Quindi altra de-forestazione per vendere il legname a basso costo. Difatti dal 1998 il governo federale del Brasile ha legalizzato automaticamente la deforestazione massima di tre ettari per ogni colono. Però l’ha legalizzata in un cer-to senso, e, appunto, non avendo la stru- mentazione, né i fondi, né crediti necessarî

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Mondo Vegetariano. Pagina 6. Luglio 2005. per investimento nella meccanizzazione per la coltivazione di questi terreni, a un certo punto i coloni non sanno piú che cosa fare. Ed è questo che i grandi proprietarî e produttori attendono. Attendono che i colo-ni abbiano completato l’opera di deforesta-zione e poi offrono di acquistare terreni per ricomporre proprietà piú grandi, al fine di realizzare colture della soia. E poi dicono: non siamo noi a deforestare: sono i piccoli agricoltori. Ai quali non resta altro che mi-grare in altre zone e chiedere un altro terre-no, a nome del figlio, del cugino, del fratel-lo, e rifare la stessa storia. Quindi anche qui altri pezzettini di terra. È interessante sapere questo: il Mato Grosso è un grande stato; il governatore del Mato Grosso si chiama Blairo Maggi ed è considerato il re della soia. È il governatore ed il re della soia. Lui è il piú grande pro-prietario privato mondiale di terreni a pro-duzione di soia. Quindi potete immaginare com’è la situazione. Nel 2004 il suo gruppo ha fatturato seicento milioni di dollari e prodotto due milioni di tonnellate di soia. La maggior parte della quale destinata sem-pre agli animali dei nostri continenti. [Scusi, un dato importante: riescono a fare quattro raccolti all’anno.] Sí, con la monocultura; sí: una cosa mostruosa. Infat-ti, ironie che fanno, qui ho una vignetta che non potete vedere, sono del tipo: è la soia a governare, non è il governo, qui. Però non è quella soia che evoca ecosostenibilità, l’es-sere vegetariani e il sollievo dalla fame. No, no, è proprio la monocoltura della soia. Quella proprio che dobbiamo temere, quella di cui parlava anche Marinella: non la soia biologica ad uso umano. [Forse transgenica.] Forse transigeni-ca? È stata bloccata ma adesso la soia tran-sgenica sta, diciamo, un pochino entrando, no? in Brasile. Prima era bloccata. E un al-tro punto importante rispetto al fatto che quest’uomo è governatore del Mato Grosso è un fatto che per lui è fondamentale: la creazione di infrastrutture per il trasporto, che forniscono ulteriori aperture nella fore-sta amazzonica. E infatti ha realizzato una rete di terminal fluviali per il transito e il

carico delle imbarcazioni, che da sole porta-no l’equivalente di mille camion di soia. Quindi ci sono queste barche fluviali che portano quanto mille camion di soia ciascu-na. Poi ha aperto la creazione dell’autostra-da Dr 173, un’autostrada che arriverà prati-camente anche al porto di Santarem. Questo porto nel Mato Grosso è proprio il punto di smistamento della soia. L’asfaltatura di questa autostrada è parte di un accordo pub-blico - privato fra il governo brasiliano, Maggi e i giganti dell’«agribusiness»: Ar-gill, Banger e ADM; sempre i soliti: cioè non c’è la Monsanto, forse là, ma ci sono questi. Questo per darvi un’idea delle varie cause della deforestazione, tutte secondo me, legate comunque alla carne. Vi ricordo che la produzione della soia brasiliana è passata dai venti milioni di tonnellate nel 1990 ai sessanta milioni nel 2003, quindi è triplicata in dodici anni. L’ambientalista o-landese Ian Martendroot in uno studio effet-tuato per il WWF nel 2003 sostiene (al con-trario del Cifor, che tende a dare il primato agli allevamenti), sostiene che la soia è il maggiore responsabile della deforestazione, perché è diretto, in quanto rovina i nuovi terreni della savana ridotti a campi di soia, e indiretto perché gli allevatori, venduti e af-fittati i terreni ai coltivatori di soia, vanno ad aprire altri terreni e deforestano. Quindi questa è la situazione. Vi ricordo che la soia nel mondo oggi viene destinata «ad alimen-tazione umana indiretta», cioè animale, io la chiamo cosí, per il settantacinque per cento. Quindi quando parliamo di soia dobbiamo fare attenzione al contrasto fra il legume simpatico ai vegetariani e la sua destinazio-ne al produrre carne. In Brasile l’aria che tira è un po’ pe-sante. Non è facile regolamentare queste co-se. Questi fatti. Infatti ultimamente ci sono stati i due assassinî della suora, non so se a-vete saputo di una suora che si chiama Suor Doroty Saen, e di un sindacalista, che cerca-vano di difendere, diciamo di difendersi, da questi grandi proprietarî terrieri. Ecco, l’e-sempio che faccio è questo: queste persone cercavano di difendere i diritti dei piccoli a-

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Mondo Vegetariano. Pagina 7. Luglio 2005. gricoltori nei confronti delle multinazionali e dei grandi proprietarî terrieri, e il clima è tale che vengono minacciati e qualcuno vie-ne anche ucciso. Il governo brasiliano si trova nella situazione di dover tamponare e-cologicamente e dover garantire lo sviluppo sociale a venti milioni di abitanti. E quindi è in una situazione molto critica. Il presi-dente Lula è una persona apparentemente di buone intenzioni, ma è difficilissimo. Ci sono delle iniziative che dal punto di vista ambientalista sono positive, ultima-mente. È partito un nuovo sistema di allerta satellitare, per la deforestazione. C’è un’a-rea protetta, decretata a Febbraio, di 83.200 Kmq, che è la piú grande del mondo. A det-ta di Greenpeace è la piú grande misura pre-sa dal governo per l’Amazzonia Brasiliana nella sua storia. Quindi se lo dice Green-peace ci si può credere. E poi altre aree molto grandi. Questa è la parte, diciamo, tecnica; poi c’è la parte morale, con la quale vorrei concludere. A prescindere dalle azioni loca-li che stanno effettuando i governi, noi, noi in quanto noi, che possiamo fare per limita-re questi danni ecologici? Dobbiamo tener presente che gli stili di vita nelle nazioni al Sud del mondo stanno cambiando. Non per tutti ma per alcuni. Parlo dei nuovi consu-matori, un attimo. Chi sono questi nuovi consumatori? In meno di due decenni la mappa dell’affluenza, quindi della ricchez-za, si è allargata a latitudini e longitudini i-nattese, seguendo un sistema a macchia di leopardo, e lo stile di vita del mondo indu-strializzato ha attecchito lí dove si è creata nuova ricchezza, e con esso è esplosa, ac-canto alle costanti della povertà e della sot-toalimentazione, la ricerca di consumi sem-pre maggiori e imitativi, come dicevamo, del mondo ricco. Vi risparmio un po’ di dati che avevo preparato e vi dico solamente che entro il 2020 ci sarà un aumento dell’85 % nella domanda per l’allevamento e un au-mento del 92 % della domanda di carne. Quale futuro per questi nuovi consu-matori? Che possiamo fare noi? Loro arri-vano, cosí, a consumare; noi? L’unica spe-ranza che abbiamo, queste non sono parole

mie ma sono parole di Norman Mayers, che ha scritto l’anno scorso in questo libro che si intitola “I nuovi consumatori”, secondo Mayers la speranza che abbiamo è che que-ste economie emergenti sappiano valutare e programmare modelli di crescita economica profondamente diversi da quelli occidentali. Quindi questa è la speranza. E noi dobbia-mo cercare di far qualcosa, no? Allora: loro vanno verso uno stile di vita di modello occidentale. E noi, siamo noi che dobbiamo cambiare il nostro stile di vita, e dobbiamo modificare lo stile di vita che io chiamo, piú che tradizionale, conven-zionale. Che poi è lo stile di vita occiden-tale. Infatti una delle principali alternative al saccheggio della biodiversità è… resta comunque la diminuzione del consumo di carne nei paesi occidentali. Ma sta a noi, proprio a noi, quelli che sono qui e anche quelli che sono fuori, sensibilizzare sul fatto che la dieta a base di carne produce costi che vanno ben oltre ciò che si paga al risto-rante o al macellaio. E di questo abbiamo parlato oggi tutti. Ma noi lo sappiamo, e quindi noi siamo responsabilizzati in questo momento, noi per primi, da questa cono-scenza, in quanto siamo noi che abbiamo la possibilità di sensibilizzare le nuove gene-razioni e le generazioni future sull’opportu-nità che per primi hanno loro di scegliere se salvare o non salvare il pianeta. Le vecchie generazioni non lo sapevano. E salvare o non salvare il pianeta partendo proprio dalle scelte effettuate a tavola. La scelta a tavola è una scelta: non è nient’altro che una scel-ta. Concludo che, questa è una cosa per-sonale, io non ho usato in questa relazione la parola vegetarismo, né la parola «vegani-smo», nonostante l’auditorio sia di questo genere, perché credo nella diffusione della cultura della consapevolezza delle conse-guenze dei nostri atti. Cultura della consa-pevolezza delle conseguenze dei proprî atti. E nella diffusione, a varî livelli, in varî mo-di, ognuno dove vuole, di informazioni che inducano il sempre minore consumo di car-ne. Senza racchiuderlo in nomi o in etichet- te di comportamento. Io, dicevo anche pri-

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Mondo Vegetariano. Pagina 8. Luglio 2005. ma a Marinella, ho un po’ cambiato il mio atteggiamento. Io sono «vegan», ma ho smesso di dirlo: non è la prima cosa che di-co, agisco in un certo modo, non dico nien-te, io agisco, io informo, però non voglio…

non mi piace sentir dire che bisogna diven-tare vegetariani. Perché non c’è solo quello. Molto piú urgentemente di quello bisogna diminuire l’alimentazione carnea.

D A M A G G I O R E P O V E R T À V E R S O M I N O R E M I S E R I A ?

E S P E R I E N Z E D I V I A G G I .

Susanna Bernoldi. (Dal nostro convegno in Campidoglio del Dodici Aprile scorso). Rispondendo intanto a un signore in-tervenuto adesso, ha ragione: la colpa non è certo di chi organizza la diffusione delle no-tizie che conosciamo noi, ma è proprio dei mezzi di informazione e della politica eco-nomica, che impediscono che le notizie e-scano. E un modo modesto per dare infor-mazione è almeno quello che ci diceva que-sta mattina Franco Libero Manco: «Io ho messo qualche scritta nell’automobile, io viaggio perennemente con dei comunicati, io lancio dei messaggi. Umanitarî o anima-listi o ambientalisti, a seconda degli eventi che succedono.» E anche questo è un modo per comunicare. Occorre che noi facciamo molta attenzione, ecco: dobbiamo essere ve-ramente con le antenne per cogliere i mes-saggi. Perché i messaggi, anche se un po’ soffocati, ci arrivano. Ora ne abbiamo senti-te di tutti i colori, soprattutto di tutte le mi-sure, ecco, e io penso che quello che abbia-mo capito tutti l’avevamo già nel cuore se siamo venuti qui; comunque, come diceva Paola, dobbiamo diminuire drasticamente il consumo della carne. Per la sopravvivenza del pianeta, ma anche per recuperare, vera-mente, la dignità, il rispetto per i nostri ami-ci animali. Ora io son certa di una cosa: che se noi lavoreremo, se agiremo solidariamen-te per una di queste tre cose, siamo talmente assolutamente indissolubilmente legati, uo-mo, animale, ambiente, che agendo per una di esse proteggeremo anche tutte le altre forme di vita. Io ho pensato, a questo punto, a questa ora, invece che fornirvi altri dati, di portarvi

delle piccole semplicissime testimonianze. Proprio grazie al fatto che da quindici anni io sono responsabile… agisco nell’ambito come volontaria animalista, e nell’ambito u-manitario, sono volontaria responsabile per una ONG che opera nel Sud del mondo, quindi che sia Africa, Asia o Sud America, e proprio questo mi ha fatto capire come as-solutamente non possiamo spezzare un anel-lo della catena, perché se no tutti gli altri a-nelli cadranno in frantumi. Ecco, allora io, cosí: vi racconto dei piccoli casi. Io, qual-che volta nella savana, qualche volta in qualche megalopoli soprattutto dell’India o africana, mi sono proprio un po’ incontrata con quello che è il cammino verso la deva-stazione, e l’ho vista con gli occhî, l’ho sen-tita col naso, l’ho sentita con le orecchie. Però io ho avuto anche la gioia di trovarmi di fronte alla forza, alla fierezza, all’energia del popolo del Sud del mondo. Di questo popolo al quale, stiamo dicendo, viene di-strutto l’ambiente; che viene impoverito: non è povero in tanti casi ma è impoverito. Perché c’è proprio una politica, una politica che tende a imporre loro questa immagine di un sistema economico del Nord che è il migliore, che è l’unico in assoluto e che de-ve essere seguito. E questo non è vero. Per-ché il Sud è ricco di storia, di cultura, di tra-dizioni, di conoscenze incredibili. Solo un contadino dell’Etiopia sa esattamente in quella terra secca e arida che cosa può cre-scere e quale animale può brucare senza ro-vinare l’ambiente. Ora io a questo punto prima che me lo dimentico voglio che… perché ripensavo a questa mattina: uno dei relatori parlava dei consumatori. Ecco, e anche prima mi sem-bra lo dicesse la Paola. Ecco, penso sempre alla frase di Padre Zanottelli, no? quando dice: «noi consumatori siamo quei miliardi

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Mondo Vegetariano. Pagina 9. Luglio 2005. di granellini che reggono quella statua im-ponente e terrificante del sistema economi-co della multinazionale». Vogliono sem-brarci incredibilmente forti e potenti e vo-gliono farci sentire piccoli e impotenti. Non è vero: noi siamo quei granellini. Allora se questi miliardi di granellini, che da soli so-no niente, se ne vanno e abbandonano la statua, la statua crollerà. Quindi dobbiamo avere molta fiducia in noi stessi. Io prima vi ho citato la parola tradi-zione, no? parlando di popoli e del Sud. Ec-co, una tradizione che incontro da molti an-ni, io son molti anni che vado… nelle mie ferie faccio quello che mi piace, cioè vado a far servizio. E in India ho incontrato il con-testo della mucca sacra. Questa tradizione grande e millenaria. La mucca sacra, ebbe-ne: adesso viene calpestata, viene allontana-ta, viene ferita. Per le multinazionali della carne la mucca sacra è semplicemente una barriera commerciale da eliminare. E sicu-ramente, se qualcuno tra voi è stato, anche in vacanza, in India non si dimenticherà an-che….

Benissimo, e allora ci scambieremo le emozioni. Non solo nei villaggi, perché lí è normale, ma ricordiamoci di Bombay, o Delhi, o Calcutta. Quando in quel traffico caotico che è fatto di un rumore assordante di clacson, perché io son convinta che in In-dia la patente la danno a chi riesce a tenere piú a lungo schiacciato il clacson, dove c’è un inquinamento per cui a Calcutta alle Quattro del pomeriggio il cielo è nero dallo smog, e una marea di rifiuti, incontriamo queste mucche, questi buoi…. Avete pre-

sente il bue Nandi? È quello che era caval-cato dal Dio Shiva, era quello che rappre-sentava l’energia e la fertilità, e una volta domato questo bue era il simbolo, è il sim-bolo dell’ordine cosmico. il Dio Nandi fa da spartitraffico in mezzo a un caos incredibi-le. E di che cosa si nutre? Le vacche che vengono poi macellate rivelano all’interno dei loro stomaci: pezzi di ferro, pezzi di ve-tro, lamette da barba, scarpe, una quantità incredibile di sacchetti di plastica. E poi tut-to il resto. Per me era costante quotidiana vederle mangiare in questi mucchî di im-mondizia. Ora in questa, ecco, proprio la Vandana Shiva vedeva in questa mucca scartata, ferita, perché poi vengono anche investite…. Dodici anni fà io, non so, in In-dia vedevo che poteva esserci una coda in-terminabile di veicoli che seguivano tran-quilli le mucche. Le cose cambiano. Per cui voi vedete ogni tanto delle bestie schiaccia-te, ferite, morenti sul ciglio della strada. Pensate che è considerato adesso talmente un problema, quindi qualcosa in negativo… si calcola che a Nuova Delhi vi siano piú di quarantamila vacche, sole, no? che vaga-bondano, per cui hanno costituito dodici u-nità speciali che ogni giorno girano per la città e quando le individuano cercano di cat-turarle, le caricano sui camion e, insomma, addio! Qualcuna riesce a scappare, ma in-somma nella maggior parte vengono prese. Ora, quindi vedete: tutto ciò che è ric-chezza viene considerato un problema. E ri-cordiamo che in India la mucca non è solo carne; assolutamente. La vacca è la migliore alleata dell’uomo. Se voi passate in treno, per me è una visione; non son mai riuscita a fotografarla perché non sono una brava fo-tografa e ho macchinette da poco, ma quan-do si vede in quel campo verdissimo l’uomo che tira l’aratro, l’uomo che tiene l’aratro trainato dalla vacca, l’uomo e il bufalo, per-ché ci sono anche i buoi, bufali eccetera a seconda della regione, che lavorano la terra: certo che dà l’idea della fatica, ma dà l’idea di una pace, di un’armonia che nelle città chiaramente non si trova. La mucca vuol di-re energia, non solo per arare i campi, ma vuol dire fertilizzante naturale, quello che ci

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Mondo Vegetariano. Pagina 10. Luglio 2005. scordiamo ormai, vuol dire energia perché il suo sterco… vi ricordate le formelle? Io il primo anno dicevo: ma cosa sono? Fanno le formelle di sterco, le mettono ad asciugare lungo i muri, attaccate agli alberi, addirittu-ra alla ringhiera che fa da spartitraffico, ap-poggiate alla ringhiera di ferro che divide le due corsie. Perché fare il fuoco non è cosí semplice, no? Occorre del carbone, occorre del legname, occorrono soldi; chi ha una mucca ha il combustibile a posto. Quindi è una risorsa incredibile la mucca, è veramen-te un’alleata. E le multinazionali stanno fa-cendo una campagna incredibile. Cosí come io rispetto a dodici anni fà vedo un cambia-mento, quest’invasione del jeans, quest’in-vasione dell’american style, quando la don-na indiana è stupenda nel suo sari e nel suo panjami che sono comodissimi, mille volte piú comodi di… infatti i volontarî che arri-vano a Calcutta, noi, che cosa facciamo? Ci compriamo un panjami. E stiamo col panja-mi; non certo con i jeans. Quindi questa invasione di questa cul-tura, questo cercare di convincere gli india-ni che mangiare carne è moderno, vuol dire essere veramente alla moda, essere ricchi, essere proprio quelli giusti, ecco: è vera-mente un qualcosa contro il quale noi dob-biamo cercare di combattere; ma mi vien la febbre a pensare che in India sono un mi-liardo e passa di persone. Se cominciano a convertirsi veramente sarà un guaio terribi-le. Ora: non solo, ma le multinazionali ame-ricane, soprattutto americane, non solo ma soprattutto, stanno cercando di convincere il popolo indiano che il cibo preconfezionato è di alta qualità. Cibo confezionato che vuol dire? Conservanti, coloranti, una marea di plastica nell’ambiente, perché in India non c’è ancora una cultura diciamo di educazio-ne all’ambiente, del tipo «dov’è il cestino?» Si mangia e si butta. Però, brevissimo inci-so, chi ha viaggiato sa che una volta il «ciai» che ti offrono per strada, sui treni ec-cetera era servito nelle coppettine di terra-cotta. E terracotta: ci bevi, la butti, è terra; si scioglie con l’acqua. Il bicchierino di pla-stica no. E adesso sta succedendo… imma-ninate un’attimo quintali di questa plastica

che poi le povere mucche si mangiano, tra l’altro. Mentre ora stanno denigrando il cibo fresco indiano, che è il massimo della vita, perché non ha impatto ambientale, perché di solito è integrale, quindi ha alti valori nutri-tivi: viene presentato come «a bassa tecno-logia», cioè disprezzato. Ed è un po’ come quando i medici in camice bianco pagati dalla Nestlè convincono, convincevano so-prattutto le mamme analfabete di Karachi e dell’India e di qualunque parte del mondo, che il latte artificiale era piú ricco di quello materno. Insomma, signori, capite, viene la tendenza a credere a chi è bello, vestito be-ne e ricco, ecco. Quindi: c’è questa tendenza. Quindi questa lotta per la carne è veramente forte. Gli indiani stanno aumentando il consumo di carne. Ecco una cosa che ho constatato di persona: tutte le mattine alle cinque e mez-zo, cinque e quaranta lascio l’alberghetto per andare alla casa madre delle missionarie della carità, e attraverso uno «slum»: un chilometro circa. Alla mattina a quell’ora, cinque e quaranta, ci siamo i volontarî, gli uomini, i giovani che si lavano per strada a-gli idranti, molto vigorosamente, e poi ve-devo sempre delle mucche, cinque o sei mucche, un capretto, una pecora, con una corda molto corta legata a un battente, a un uscio chiuso. Io li vedevo. Tornavo alle di-ciannove, dopo le diciannove, e quelle muc-che non c’erano piú. Era in pieno la vita, no? perché allora erano in giro tutti i bam-bini, donne, tutto il mercato proprio nel pie-no della sua attività, e tutte le macellerie a-perte. Voi sapete che le macellerie son dei banchetti con la carne esposta e con tutte le parti, anche quelle che noi non vediamo nel-le nostre macellerie; là anche il piú povero magari si prende i pezzi meno pregiati. Ora, il primo anno lí eran dodici anni fà, mi ci son fermata sette volte, e ogni volta io vedo piú banchetti. Quindi ecco il discorso, no? dei consumatori: anche nello «slum», ci vi-vono quelli un po’ meno abbienti, no? ecco, un aumento, perché la carne viene presenta-ta come una meta da raggiungere. Chiudo un attimo la parentesi della carne, ma, sempre negli alimentari, mi rial-

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Mondo Vegetariano. Pagina 11. Luglio 2005. laccio a quello che diceva la Dottoressa Correggio sui gamberetti. Dagli indiani, da-gli abitanti del Bangla Desh, su altre coste di altri continenti venivano allevati i gam-beretti, ma in modo tradizionale. Perché l’allevamento dei gamberetti ha bisogno di tutto un retroterra, di zone attorno in modo tale che non si deturpi, che l’acqua salata non entri all’interno e non salinizzi anche le acque retrostanti portando la morte alla fau-na e alla flora. Visto che giapponesi, ameri-cani ed europei, soprattutto i francesi, sono divoratori di gamberetti, lí sono arrivati a li-velli industriali. Come diceva la Correggio, hanno distrutto quelle foreste di mangrovia utilissime per fermare, cosí, la natura quan-do si arrabbia. Non solo il discorso del fer-mare gli tsunami, ma proprio hanno distrut-to l’economia: questa povera gente non può piú pescare; intanto allora l’attività è stata tolta, e vengono distrutte tutte le altre forme di vita con le quali loro interagiscono. Ora: sto correndo abbastanza? Sono u-na che faccio mezza maratona, ma sono a-bituata… allora: vorrei tornare un attimo in India. Un attimo a una coltivazione che non è per alimentazione ma si collega sempre a importazione di cultura e poi si collega a un altro paese. A Varangali, in India, conosco i fatti perché ci abbiamo sostenuto come Pro-getto Lebbra un progetto di sviluppo, ebbe-ne: c’era una zona felice, una zona prospera dove si coltivavano tutti i prodotti per la sussistenza. Arriva la Monsanto, e che cosa fa? Riesce a imporre… prima si parlava di oro verde, invece in questo caso hanno im-posto l’oro bianco. Cioè il cotone. Promet-tendo profitti alla grande, promettendo po-chissimi, perché sono OGM, pochissimi pe-sticidi…. Bene, il risultato: i raccolti doppî, tripli promessi non sono mai arrivati; in compenso dall’Ottantasei al Novantasei il consumo di pesticidi è aumentato del due-mila per cento. Duemila per cento. Distru-zione del terreno, distruzione delle econo-mie locali, centinaia di suicidî tra piccoli proprietarî eccetera…. Voi sapete che un nome grande, una grande donna dell’India, Vandana Shiva, sta conducendo grandi lotte muovendo le donne. Perché dopo tanti anni

da che vado nel Sud del mondo ho proprio constatato di persona che, proprio nei paesi dove meno la donna è considerata, quando una donna riesce ad emergere è una potenza inarrestabile. Ecco: Vandana Shiva sta con-ducendo questa battaglia, cosí come sta conducendo la battaglia, anche lí in maggior parte donne, contro la Coca Cola, che sta derubando tutta l’acqua in India, e via. Ora io vi ho voluto parlare del cotone perché c’è un’altra coltivazione. Allaccia-moci le cinture e facciamo un volo in Afri-ca. Etiopia, 1984. Vi ricordate che vi fu una grande siccità, che portò una grande care-stia? Però in quell’anno l’Etiopia fu costret-ta ad esportare le tonnellate di semi di coto-ne destinati agli allevamenti intensivi da carne e da pelliccia per la Grande Italia. L’Etiopia ha un terreno fragile dove si col-tiverebbe bene il sorgo e altri cereali che in-somma richiedono poca acqua, e via dicen-do. Invece niente: queste imposizioni delle monocolture, queste imposizioni di quello che serve al Nord; poi quello che succede non ha importanza. Ecco: questo è veramen-te amorale; oltre che un’economia… si dice, no? che l’allevamento per la carne è una fabbrica di proteine alla rovescia, ma è pro-prio amorale. Ora da qui io vorrei portarvi un attimo dove eravamo prima con Paola, in Amazzo-nia. Io fui per circa due mesi vicino a Ma-naus, a venticinque chilometri, dove soste-niamo un Progetto Lebbra. E quindi, condi-videndo la quotidianità con la gente del po-sto, parlando con Padre Clemella, che ha dato trent’anni della sua vita, quindici con gli indios e poi con questi malati di lebbra, è saltato fuori un fatto. Raccapricciante a mio avviso. Che tanti anni fà c’era la mo-da… siccome questi testardi indios non vo-levano lasciare la foresta, la foresta doveva essere distrutta perché dovevano avanzare i pascoli, ma questi birboni non volevano la-sciare la foresta nella quale da generazioni vivevano in perfetta armonia, allora delle a-genzie turistiche a Manaus organizzavano nei week end delle cacce all’uomo. Quindi si organizzavano queste cacce e la gente praticamente andava ed era autorizzata ad

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Mondo Vegetariano. Pagina 12. Luglio 2005. uccidere gli indios che vivevano con le loro famiglie nei loro villaggi. Si venne a sapere e vi fu uno scandalo internazionale. Il meto-do è cambiato. Si è passati a una forte, forte azione di convinzione per convincere queste povere creature ad abbandonare la foresta. Lo sappiamo tutti, finiscono ai margini del-le favelas, non so se avete messo mai piede in una favela, è da pelle d’oca, ecco, e vivo- no ai margini di esse vittime dell’alcol, del-la prostituzione; sono creature naturali che possono vivere veramente solo con la natu-ra, e che sanno vivere come nessuno di noi saprebbe, tra l’altro. Hanno una cultura che nessuna laurea potrebbe certificare, ma ce l’hanno. Cambiamo un’altra volta nazione. Due estati fà ero in Perú. Prima di iniziare il ser-vizio ci ho fatto una vacanza, perché il Perú è bellissimo. Da Lima a Paracas. Paracas è un’oasi naturale marina protetta, che è fan-tastica. Bene, procedendo nel pullmann a un certo punto c’era la strada interna, la costa e poi il mare. A un certo punto sulla destra che cosa vedo? Delle, gabbie, gabbie e poi gabbie, ma per tanto tempo, cioè pensate, io ero in pullmann e il pullmann va veloce. E, sí, ho pensato a degli animali, ma non riu-scivo a indovinare, e poi mi sono ricordata: erano identiche a quelle che avevo visto nei filmati degli allevamenti da pelliccia. Però in Perú non ci sono questi allevamenti. Ho chiesto, ed erano allevamenti intensivi di polli. Ma proprio lo stesso sistema: quindi c’era il grigliato, aperto perché gli escre-menti cadano sul terreno, quindi condizioni di vita aberranti. In Perú il «caldo de galli-na» è un piatto tipico. «Caldo» significa brodo. Il brodo di gallina è proprio un piatto tipico, e il pollo costa poco in una nazione dove governi pessimi hanno creato una po-vertà incredibile, e i peruviani che vengon da noi non vengono perché non hanno altro da fare: vengono perché la povertà è gran-dissima. Allora qui ci sono questi alleva-menti intensivi, con rispetto per l’animale: zero. In quei giorni ho letto un articolo, non l’ho tenuto perché mai piú avrei pensato di venirne a parlare, proprio in quei giorni, era il Luglio del 2003, Paul Mac Cartney inizia-

va in Perú la sua tournée sudamericana. Probabilmente per la sua sensibilità aveva voluto viaggiare, visitare, e aveva constata-to, non so in quale luogo, le condizioni pes-sime degli allevamenti intensivi. E sul gior-nale era proprio riportato come avesse fatto una petizione, personale e pubblica però an-che, ai proprietarî di questa grande impresa di allevamento e anche al governo, perché migliorassero le condizioni di vita di questi animali. Ecco, allora io sto pensando, io che a-gisco in una ONG che non solo vuole curare la lebbra ma vuole lottare contro le cause, no? che generano la lebbra: quindi cerchia-mo di creare sviluppo. Il Perú è povero e cerca di svilupparsi a scapito di altre creatu-re. Io ricordo, credo quattro anni fà, Conve-gno Nazionale di Mani Tese, la conoscete? Una bellissima altra ONG che lavora per lo sviluppo. Io ricordo che, dopo aver presen-tato tutti i dati catastrofici del Sud, a un cer-to punto si va nel positivo e, che cosa si può fare? E un giovane africano, non ricordo il paese, aveva presentato diverse iniziative di sviluppo. Una di queste era un grande alle-vamento intensivo di polli. Io se rinasco non so che cosa spero di nascere, perché non c’è animale che non venga calpestato. E io ricordo che la cosa era veramente presen-tata… cioè tutti dicevano: aah…. Io, piú in-vecchio e meno riesco a star zitta, ho fatto, vergognandomi molto, perché non so se a-vete presente il convegno di Mani Tese: c’è una sala enorme, e io ho alzato la manina e ho chiesto la parola. E ho cercato di espri-mere il mio parere: di dire che è giusto l’au-tosviluppo, perché l’autosviluppo ti affran-ca, ti libera dal dovere ricevere aiuti dal Nord del mondo, questo senz’altro. Ma un aiuto che basa la propria nascita e crescita sullo schiacciare, sulla sofferenza di altre creature, con risultati ecologici, ambientali e poi umani che conosciamo, è sbagliato. Io l’ho detta. Non so; credo che abbiano pen-sato che fossi un po’ strana, ecco, non dico altro. Perché chiaramente lí si parlava del-l’uomo e dell’uomo… ecco: questa disgiun-zione tra uomo e animale, ecco. E questo lo dico proprio perché noi… io sono in una

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Mondo Vegetariano. Pagina 13. Luglio 2005. ONG che opera per l’uomo, ma cerchiamo veramente di porre tantissima attenzione al-l’ambiente. È finito il tempo? Allora se ho finito sal-to quanto altro cosí e vi saluto con… rivedevo, riascoltavo il video di Manita Gandhi, un’eco-logista indiana che è stata ministro dell’am-biente. Allora, Manita dice che lei paragona la natura non tanto alla Dea Durga, che ha i seni grandi, che è una che perdona, che accoglie, che perdona sempre tutto, ma paragona la na-tura alla Dea Kali, che è magra, che è affama-ta, è vendicativa, e vendica la morte, l’uccisio-ne di ogni sua creatura… ecco: lo fa per ogni

sua creatura. Allora dico, ecco, cerchiamo di trasmettere a tutto l’esterno questo messaggio: agiamo prima che la Dea Kali si vendichi, per-ché avrà una reazione veramente violenta. Sono un po’ stravolta dopo aver ascolta-to tutto quello che si è detto in questa giornata, però mi è piaciuto tantissimo: devo dire che questo è stato proprio un bellissimo evento. Però facciamolo uscire. Per esempio continuia-mo a insistere contro i muri di gomma che mai tollererebbero l’iniziativa di portarlo nelle scuole, perché dobbiamo avvicinare chi invece ci evita.

S P I R I T U A L I T À E R E L I G I O N I .

D O V E S O N O L E

P E R G A M E N E D E L M A R M O R T O ? Franco Libero Manco.

Alcune testimonianze lasciano supporre che in passato i testi biblici siano stati in parte alterati, specialmente a causa delle traduzioni amanuensi. La Bibbia è stata infatti tradotta seimila volte dal latino e cinquemila volte dal greco, ed è facile supporre che molte interpre-tazioni siano state soggettive, per ignoranza, o magari nell’intento di rendere più fluido il concetto, oppure per adattarlo alla volontà del governatore di turno. Il primo a parlare di alterazione dei Testi Sacri è Geremia (8, 8), che parla di falsifica-zioni delle scritture ad opera degli scribi. Ma la prima vera manomissione sembra sia avve-nuta nel tempo di Costantino, quando fu nomi-nata una commissione di correttori ecclesiasti-ci e politici che, con la pretesa dell’ortodossia, manomisero le scritture nell’intento di renderle accettabili a Costantino, affinché facesse del cristianesimo la religione di stato. Successivamente San Girolamo, su ordi-ne del pontefice Damaso, revisionò i Vangeli e la traduzione in latino detta Vulgata. San Giro-lamo infatti afferma che l’autorizzazione a mangiare la carne è stato inserita dalla chiesa in un periodo di basso profilo spirituale, ma che in principio non fu così. Più tardi Gregorio Settimo, per mezzo di una nutrita schiera di correttori, ritoccò molti scritti originali. E infi-

ne Sisto Quinto, attenendosi al testo di Lavo-nio e con l’aiuto di Bellarmino, intervenne sul-la versione latina della Vulgata scritta da San Girolamo nel Quarto Secolo perché in quel pe-riodo si erano diffuse versioni lacunose e quando incontrava punti oscuri aggiungeva o levava parti del discorso nell’intento di render-lo più chiaro. Quindi è lecito supporre che parte del pensiero di Gesù, e in particolare ciò che ri-guarda l’alimentazione carnea, sia stato altera-to. Si ritiene infatti che ben diciannove volte il termine «cibo» sia stato sostituito con il termi-ne «carne». L’ipotesi della manomissione dei Testi Sacri trova conferma nei rotoli di pergamena ritrovati nel 1947 a Qumran, una località nei pressi del Mar Morto dove visse la comunità degli Esseni. Ottocento rotoli e quindicimila frammenti, scritti in aramaico originale e risa-lenti all’inizio dell’era cristiana, che conferme-rebbero tale tesi. Il valore di queste pergamene consiste nella probabilità che si tratti di mano-scritti autentici, inalterati, che risalgono al tempo di Gesù, mentre i più antichi manoscritti originali del Vangelo risalgono al Quarto Se-colo e sono solo copie da copie. Anche se alcuni storici non considerano autentici questi documenti, molti altri invece ritengono che a tali testi si sarebbero ispirati i quattro Vangeli Canonici. Il Reverendo Gi-deon Jasper Richard Ousley ha redatto la tra-duzione di quelle che dovrebbero essere le

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Mondo Vegetariano. Pagina 14. Luglio 2005. spiegazioni dei vangeli originali, conservati dalla comunità essena in un monastero buddi-sta tibetano dove erano stati nascosti da alcuni membri dalla comunità per evitare che fossero contraffatti. Nel libro del Reverendo Ousely, intitola-to “The Gospel Of The Holy Twelve”, si legge che prima della nascita di Gesù l’Angelo disse a Maria: «Tu non mangerai carne né berrai be-vande forti, perché il bambino sarà consacrato a Dio dal ventre di sua madre e non dovrà as-sumere né carne né bevande forti». Il testo continua spiegando che la comunità in cui vi-vevano Giuseppe e Maria non uccideva l’a-gnello per celebrare la Pasqua. In questi testi Gesù chiede il rispetto per tutte le creature: «Siate rispettosi, siate gentili, siate compassio-nevoli, siate buoni, non solo verso i vostri si-mili ma verso tutte le creature poste sotto la vostra tutela; perché voi siete per loro come déi a cui guardano per le loro necessità». Gesù continua spiegando di essere venuto per far cessare i sacrifici cruenti: «Sono venuto a por-re fine ai sacrifici e ai banchetti di sangue, e se non smetterete di offrire e mangiare carne e sangue l’ira di Dio non si allontanerà da voi, proprio come accadde ai vostri padri nel de-serto, che desiderarono la carne e ne mangia-rono a sazietà e si riempirono di marciume e furono consumati dalla peste». Del miracolo dei pani e dei pesci non si ha traccia in questi antichi manoscritti; si parla invece del miracolo di pane, frutta e una broc-ca d’acqua. «E loro mangiarono, bevvero e fu-rono sazî. E si meravigliarono perché ognuno aveva avuto più che in abbondanza ed erano più di quattromila». Poi Gesù condanna dura-mente coloro che cacciano o maltrattano gli a-nimali: «Il debole non è stato dato all’uomo per fargli da cibo o da divertimento.… Male-detto colui che con astuzia ferisce e distrugge le creature di Dio! Sí: maledetti i cacciatori perché saranno cacciati e per mano di uomini indegni riceveranno la stessa misericordia che hanno mostrato alle loro prede innocenti, la stessa». E ancora Gesù rimprovera anche i pe-scatori, nonostante fossero tra i suoi maggiori seguaci: «Osservate i pesci dell’acqua… forse che i pesci vengono a voi a chiedere la terra a-sciutta e i suoi cibi? No; allo stesso modo non

è in accordo alla Legge che voi andiate in ma-re a chiedere cose che non vi appartengono». A parte le Pergamene del Mar Morto, molti altri testi e scritti dell’antica Chiesa af-fermano che i Dodici Apostoli e i primi cristia-ni erano vegetariani, si astenevano dal mangia-re carne; che ufficialmente il consumo di carne non fu permesso fino al Quarto Secolo, cioè fi-no a quando l’imperatore Costantino non deci-se che tutti dovevano adottare la sua visione del cristianesimo. Tra i personaggi più influenti che si a-stennero e raccomandavano di astenersi dal consumare carne: i Padri della Chiesa d’Orien-te (San Basilio Magno, San Gregorio di Na-zianzo, San Giovanni Crisostomo, Sant’Atana-sio), e d’Occidente (San Girolamo, Sant’Am-brogio, Sant’Agostino, San Gregorio Magno). Lo stesso San Pietro nel “Clementine Humilis” afferma: «Mangiare carne è innaturale quanto la pagana adorazione dei demoni». San Gio-vanni Crisostomo, uno dei più importanti e-sponenti letterati del primo cristianesimo, scri-ve: «Noi capi cristiani pratichiamo l’astinenza dalla carne di animali per sottomettere il cor-po… mangiare carne è innaturale e impuro». Clemente d’Alessandria, uno dei primi accade-mici della Chiesa: «È molto meglio essere fe-lici che rendere il nostro corpo simile a tombe di animali». San Girolamo dice perentoriamente: «Dopo che Cristo è venuto non è più consenti-to mangiare carne. Il permesso dato a Noè di mangiare carne è un’interpolazione dei Testi sacri aggiunta tardivamente dalla Chiesa in un periodo di basso profilo spirituale. Se gli ani-mali servono per la mensa dell’uomo, non solo le lepri ed i fagiani dovrebbero imbandire le tavole, ma anche i vermi, le cimici e le serpi. Meta del cammino spirituale dell’uomo è il ri-torno allo stadio originale prima del peccato; per questo è necessario escludere dalla propria dieta la carne, che inchioda l’anima al corpo materiale». E ancora troviamo Sant’Ambrogio che afferma: «La carne fa cadere anche le a-quile che volano». Tra i primi cronisti cristiani troviamo Tertulliano, il quale afferma che durante i pri-mi secoli i cristiani primitivi non toccarono mai carne: «Non è permesso a noi cristiani as-

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Mondo Vegetariano. Pagina 15. Luglio 2005. saggiare pietanze nelle quali potrebbe essere stato mescolato il sangue di un animale». Eu-sebio di Cesarea diceva che tutti gli apostoli di Cristo si astenevano dalla carne. Musonio Ru-fo sentenziava: «L’esalazione della carne ot-tunde la psiche». San Clemente Romano dice che San Pietro si nutriva di pane, olive ed erbe. Nilo asceta scriveva: «L’alimentazione carnea caratterizza l’uomo decaduto, allontanatosi dall’originale condizione paradisiaca. Il rifiuto di questo cibo non può che contribuire a recu-perare lo stato perduto». Porfirio affermava: «Gesù ci ha portato il cibo divino; il cibo carneo è nutrimento dei demonî. Una dieta priva di carne acquieta il logismos e libera da tutti i mali fisici». San Clemente Alessandrino: «La carne ottenebra l’anima. Dobbiamo cibarci come Adamo pri-ma della caduta, non come Noè dopo il pecca-to. I nostri corpi sono simili a tombe di animali uccisi». Diceva pure che Matteo si nutriva di semi, frutta ed erbaggi. Eusebio di Cesarea di-ceva che tutti gli apostoli di Cristo si astene-vano dalla carne. La possibilità che tali affermazioni siano veritiere e che siano state in seguito ignorate dalla Chiesa cattolica è avvalorata dal fatto che

molte sette spirituali, anche di derivazione e-braica, al tempo di Gesù praticavano l’astinen-za dalla carne, come i Nazorei, i Terapeuti, gli Ebioniti, gli Gnostici, gli Esseni. Degli Esseni e dei Terapeuti Filone il filosofo diceva che la loro mensa era priva di cibi contenenti sangue. Al di là poi di tutto questo ci sono l’inconfuta-bile testimonianza di moltissimi, se non tutti, gli ordini monastici, i cui fondatori sancirono come regola l’obbligo dell’astinenza dalla car-ne, ed una lunga lista di santi vegetariani com-pilata da San Basilio di Poiana. Perché tali importanti personaggi avreb-bero aderito a, sostenuto e raccomandato un ta-le impegnativo comportamento? Potrebbe una regola così fondamentale essere stata adottata dai più influenti personaggi del primo cristia-nesimo se non fosse stata raccomandata diret-tamente anche dal Cristo? Il fatto poi che dalle Pergamene del Mar Morto e dai Vangeli apo-crifi emerge una figura di Gesù più giusta e misericordiosa di quella dei Vangeli canonici, perché chiede amore e rispetto anche per gli a-nimali, non dovrebbe indurci a credere all’au-tenticità di questo suo atteggiamento, dal mo-mento che è l’amore il fulcro del suo pensiero?

L ’ A N G O L O D E L L A P O E S I A .

A L G I O R N O .

Franco Libero Manco.

Oh sacro giorno, a te mi abbandono

cercando l’abbraccio totale del tuo vivificante splendore.

Accoglimi nell’azzurro sorriso delle acque,

nella trasparente carezza del vento. Donami la luce che la notte non disperde,

il calore che l’inverno non attenua, la gioia che il tempo non possa cancellare,

la fede che lo spazio non possa contenere.

Donami il sogno vero della vita e la speranza illimitata nel domani,

la capacità di essere soltanto un uomo che vive per amare tutto ciò che vive.

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Mondo Vegetariano. Pagina 16. Luglio 2005.

R I C E T T E D I C U C I N A V E G E T A R I A N A .

LA CAPONATA. (Da “Il vegan in cucina”, di Stefano Momentè).

(La tendenza piú perfezionista dei vege-tariani è a mangiare il cibo direttamente invece di cucinarlo. Dunque la cucina vegetariana è u-na specie di «terra di nessuno». Intanto la ca-ponata è da tempo immemorabile un’apprezza-tissima preparazione senza altri ingredienti che vegetali. Dunque non si può pretendere che es-sa sia proprio uno strumento per aumentare la salute, ma non si può negare che il suo sapore è seducente).

Ingredienti. Quattro melanzane. Due cuori di sedano. Quattro cipolle. Quattro pomodori maturi. 100 gr di olive snocciolate. 50 gr di pinoli. 50 gr di capperi. Un cucchiaio di zucchero. Mezzo bicchiere di succo di limone. 100 ml di olio di oliva. Sale. Mondare tutte le verdure e tagliare me-lanzane, pomodori e sedano a dadi. Tagliare, quindi, le cipolle a rondelle. Scaldare un po’ di olio, far soffriggere le cipolle finché prenderanno un bel colore dora-to, aggiungere i pomodori, i capperi lavati, il sedano, i pinoli e le olive. Rosolare bene il tutto e, appena i pomo-dori saranno cotti, togliere il tegame dal fuoco. Friggere le melanzane in un po’ d’olio e, quando avranno preso colore, aggiungerle ai pomodori. Versare il succo di limone e lo zucchero. Mescolare e continuare la cottura a fuo-co basso per qualche minuto. Servire fredda.

I N D I R I Z Z I D I N O S T R I A M I C I .

Bibliothé. Cucina ayurvedica vegetaria-na. Via Celsa 5, 00186 (Piazza Venezia, Largo Argentina). 06 6 781 427. Jaya Sai Ma. Cucina vegetariana e musica etnica. Via Angelo Bargoni 10, 00153 (Viale Trastevere, Via Ippolito Nievo). 06 5 812 840. L’Insalatiera. Taverna vegetariana. Via

Trionfale 92, 00195 (Piazzale Clodio, Piazzale degli Eroi). 06 39 742 975. Arancia Blu. Cucina vegetariana ed enoteca. Via dei Latini 55, 00185 (inizio Via Tiburtina). 06 4 454 105. Il Salice. Prodotti biologici. Via Reggio Emilia 61 a, 00198 (Inizio Via Nomentana). 06 85 305 174.

Tutti i numeri precedenti di questo bollet-tino sono leggibili e scaricabili nel nostro «sito Internet» www.vegetariani-roma.it. A richiesta possiamo fornirne copie su carta, per consegna a mano da concordare pre-ventivamente, in uno qualsiasi dei nostri incon-

tri, al prezzo simbolico di due Euro ciascuna. Q U E L L I C H E S I T R O V A N O P I Ú A -V A N T I V E R S O L E S O L U Z I O N I D I T U T -T I I P R O B L E M I S O N O I V E G E T A R I A N I .