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16.4 Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Roma – Aut. GIPA/C/RM/26/2013 del 28/06/2013 – ISSN 2385-0736 | Un fascicolo 25 euro Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria | Vol. 16 | n. 4 | ottobre–dicembre 2015 Il valore della prevenzione / Timing chirurgico nell’ambulatorio del pediatra di famiglia / Sport e rachide in adolescenza / Pubertà precoce periferica da cisti ovarica secernente / La rinite allergica nel bambino / Epoca di introduzione del glutine nella dieta, geni HLA, allattamento materno e rischio di malattia celiaca

16 - SIPcon iperreattività bronchiale (asma), poliposi nasale o precedenti episodi di angioedema (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.8 ). Emorragia gastrointestinale, ulcerazione

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Rivista ufficiale di Formazione continuadella Società Italiana di Pediatria | Vol. 16 | n. 4 | ottobre–dicembre 2015

Il valore della prevenzione / Timing chirurgico nell’ambulatorio

del pediatra di famiglia / Sport e rachide in adolescenza /

Pubertà precoce periferica da cisti ovarica secernente / La rinite

allergica nel bambino / Epoca di introduzione del glutine nella dieta,

geni HLA, allattamento materno e rischio di malattia celiaca

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ADV CHIESI

1. A D Hay et al. Paracetamol plus ibuprofen for the treatment of fever in children (PITCH): randomised controlled trial. British Medical Journal 2008; 337-a1302.

2. D Kanabar. A pratical approach to the treatment of low-risk childhood fever. Drugs in R&D 2014; 14: 45-55.

3. E Autret-Leca et al. Ibuprofen versus paracetamol in pediatric fever: objective and subjective findings from a randomized, blinded study. Current medical research and opinions 2007; 23(9): 2205-2211.

INDICAZIONI TERAPEUTICHETrattamento sintomatico della febbre e del dolore lieve o moderato.

POSOLOGIANei bambini di età compresa tra 3 e 6 mesi limitare la somministrazione a quelli di peso superiore ai 5,6 kg.

Classe dispensazione: C SOP

Azione antipiretica rapida e prolungata(1)

Efficace sulla sintomatologia che accompagna il quadro febbrile(2)

Elevato grado di soddisfazione dei familiari(3)

Sospensione orale 100 mg/5 ml ibuprofene

senza zucchero

gusto FRAGOLA

gusto ARANCIA

con comoda siringa dosatrice

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RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO

1-DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zuccheroFLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero

2-COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni ml di sospensione orale contiene:Principio attivo: ibuprofene 20 mg.Eccipienti: sciroppo di maltitolo 753,30 mgPer l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.

3-FORMA FARMACEUTICA Sospensione orale.

4-INFORMAZIONI CLINICHE4.1-Indicazioni terapeutiche Trattamento sintomatico della febbre e del dolore lieve o moderato.

4.2-Posologia e modo di somministrazione La dose giornaliera è strutturata in base al peso ed all’età del paziente.Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della dose minima efficace per la durata di trattamento più breve possibile necessaria per controllare i sintomi (vede-re paragrafo 4.4).Nei bambini di età compresa tra 3 e 6 mesi limitare la somministrazione a quelli di peso superiore ai 5,6 kg.La somministrazione orale a lattanti e bambini di età compresa fra 3 mesi e 12 anni do-vrebbe avvenire mediante siringa dosatrice fornita con il prodotto.La scala graduata presente sul corpo della siringa riporta in evidenza le tacche per i diversi dosaggi; in particolare la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50 mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml corrispondente a 100 mg di ibuprofene. La dose giornaliera di 20-30 mg/kg di peso corporeo, suddivisa 3 volte al giorno ad inter-valli di 6-8 ore, può essere somministrata sulla base dello schema che segue.

Nel caso di febbre post-vaccinazione riferirsi al dosaggio sopra indicato, somministrando una dose singola seguita, se necessario, da un’altra dose dopo 6 ore. Non somministrare più di due dosi nelle 24 ore. Consultare il medico se la febbre non diminuisce.Il prodotto è inteso per trattamenti di breve durata.Nel caso l’uso del medicinale sia necessario per più di 3 giorni nei lattanti e bambini di età superiore ai 6 mesi e negli adolescenti, o nel caso di peggioramento della sintomatologia deve essere consultato il medico.Nei lattanti di età compresa tra 3 e 5 mesi deve essere consultato il medico qualora i sintomi persistano per un periodo superiore alle 24 ore o nel caso di peggioramento della sintomatologia.

Istruzioni per l’utilizzo della siringa dosatrice:1 – Svitare il tappo spingendolo verso il basso e girandolo verso sinistra.2 – Introdurre a fondo la punta della siringa nel foro del sottotappo.3 – Agitare bene.4 – Capovolgere il flacone, quindi, tenendo saldamente la siringa, tirare delicatamente lo stantuffo verso il basso facendo defluire la sospensione nella siringa fino alla tacca corrispondente alla dose desiderata.5 – Rimettere il flacone in posizione verticale e rimuovere la siringa ruotandola delicata-mente.6 – Introdurre la punta della siringa nella bocca del bambino, ed esercitare una lieve pres-

sione sullo stantuffo per far defluire la sospensione.Dopo l’uso avvitare il tappo per chiudere il flacone e lavare la siringa con acqua calda. Lasciarla asciugare, tenendola fuori dalla portata e dalla vista dei bambini.

4.3-Controindicazioni • Ipersensibilità all’ibuprofene o ad uno qualsiasi degli eccipienti. • Bambini di età inferiore a 3 mesi o di peso inferiore a 5,6 kg. • Ipersensibilità all’acido acetilsalicilico o ad altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS), in particolare quando l’ipersensibilità è associata a poliposi nasale e asma. • Ulcera peptica attiva. • Grave insufficienza renale o epatica. • Severa insufficienza cardiaca. • Storia di emorragia gastrointestinale o perforazione relativa a precedenti trattamenti at-tivi o storia di emorragia/ulcera peptica ricorrente (due o più episodi distinti di dimostrata ulcerazione o sanguinamento). • Uso concomitante di FANS, compresi gli inibitori specifici della COX-2. • Gravidanza e allattamento (vedere paragrafo 4.6).

4.4-Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Dopo tre giorni di trattamento senza risultati apprezzabili consultare il medico.Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve durata possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere i paragrafi sottostanti sui rischi gastrointestinali e cardiovascolari).L’uso di FLUIBRON FEBBRE E DOLORE deve essere evitato in concomitanza di FANS, inclusi gli inibitori selettivi della COX-2.Gli analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei possono causare reazioni di ipersensibilità, potenzialmente gravi (reazioni anafilattoidi), anche in soggetti non prece-dentemente esposti a questo tipo di farmaci. Il rischio di reazioni di ipersensibilità dopo assunzione di ibuprofene è maggiore nei soggetti che abbiano presentato tali reazioni dopo l’uso di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei e nei soggetti con iperreattività bronchiale (asma), poliposi nasale o precedenti episodi di angioedema (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.8 ).Emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione: durante il trattamento con tutti i FANS, in qualsiasi momento, con o senza sintomi di preavviso o precedente storia di gravi eventi gastrointestinali, sono state riportate emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione, che possono essere fatali.Anziani: i pazienti anziani hanno un aumento della frequenza di reazioni avverse ai FANS, specialmente emorragie e perforazioni gastrointestinali, che possono essere fatali (vedere paragrafo 4.2).Negli anziani e in pazienti con storia di ulcera, soprattutto se complicata da emorragia o perforazione (vedere paragrafo 4.3), il rischio di emorragia gastrointestinale, ulcerazione o perforazione è più alto con dosi aumentate di FANS. Questi pazienti devono iniziare il trattamento con la più bassa dose disponibile.L’uso concomitante di agenti protettori (es. misoprostolo o inibitori di pompa protonica) deve essere considerato per questi pazienti ed anche per pazienti che assumono basse dosi di aspirina o altri farmaci che possono aumentare il rischio di eventi gastrointestinali (vedere paragrafo 4.5).Pazienti con storia di tossicità gastrointestinale, in particolare anziani, devono riferire qualsiasi sintomo gastrointestinale inusuale (soprattutto emorragia gastrointestinale) in particolare nelle fasi iniziali del trattamento.Cautela deve essere prestata ai pazienti che assumono farmaci concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di ulcerazione o sanguinamento, come corticosteroidi orali, anticoagulanti come warfarin, inibitori selettivi del reuptake della serotonina o agenti antiaggreganti come l’aspirina (vedere paragrafo 4.5).Quando si verifica emorragia o ulcerazione gastrointestinale in pazienti che assumono FLUIBRON FEBBRE E DOLORE, il trattamento deve essere sospeso.I FANS devono essere somministrati con cautela ai pazienti con una storia di malattia gastrointestinale (colite ulcerosa, morbo di Crohn) poiché tali condizioni possono essere esacerbate (vedere paragrafo 4.8).Gravi reazioni cutanee alcune delle quali fatali, includenti dermatite esfoliativa, sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi tossica epidermica, sono state riportate molto raramente in associazione con l’uso dei FANS (vedi paragrafo 4.8). Nelle prime fasi della terapia i pazienti sembrano essere a più alto rischio: l’insorgenza della reazione si verifica nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento. FLUIBRON FEBBRE E DOLO-RE deve essere interrotto alla prima comparsa di rash cutaneo, lesioni della mucosa o qualsiasi altro segno di ipersensibilità.Cautela è richiesta prima di iniziare il trattamento nei pazienti con anamnesi positiva per ipertensione e/o insufficienza cardiaca poiché in associazione al trattamento con i FANS sono stati riscontrati ritenzione di liquidi, ipertensione ed edema.Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad

PESO ETÀDOSE

SINGOLA IN ML

N° MASSIMO DI SOMMINISTRAZONI/

GIORNO

5,6 -7 Kg7 -10 Kg10 - 15 Kg15 - 20 Kg20 - 28 Kg28 - 43 Kg

3 - 6 mesi6 - 12 mesi1 - 3 anni4 - 6 anni7 - 9 anni10 - 12 anni

2,5 ml2,5 ml5 ml

7,5 ml (5 ml + 2,5 ml)

10 ml15 ml

3 nelle 24 ore

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un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus). In generale, gli studi epidemiologici non suggeriscono che basse dosi di ibuprofene (es. ≤ 1200 mg/die) siano associati ad un aumento del rischio di infarto del miocardio.I pazienti con ipertensione non controllata, insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere trattati con ibuprofene soltanto dopo attenta considerazione. Analoghe considera-zioni devono essere effettuate prima di iniziare un trattamento di lunga durata in pazienti con fattori di rischio per eventi cardiovascolari (es. ipertensione, iperlipidemia, diabete mellito, fumo).L’uso di ibuprofene, di acido acetilsalicilico o di altri analgesici, antipiretici, antinfiammato-ri non steroidei, richiede particolare cautela:• in caso di asma: possibile broncocostrizione; • in presenza di difetti della coagulazione: riduzione della coagulabilità; • in presenza di malattie renali, cardiache o di ipertensione: possibile riduzione critica del-la funzione renale (specialmente nei soggetti con funzione renale o epatica compromessa, insufficienza cardiaca o in trattamento con diuretici), nefrotossicità o ritenzione di fluidi; • in presenza di malattie epatiche: possibile epatotossicità; • reidratare il soggetto prima dell’inizio e nel corso del trattamento in caso di disidratazio-ne (ad esempio per febbre, vomito o diarrea); Nei bambini e negli adolescenti disidratati esiste il rischio di alterazione della funzionalità renale.

Le seguenti precauzioni assumono rilevanza nel corso di trattamenti prolungati:• sorvegliare i segni o sintomi di ulcerazioni o sanguinamenti gastrointestinali; • sorvegliare i segni o sintomi di epatotossicità; • sorvegliare i segni o sintomi di nefrotossicità; • se insorgono disturbi visivi (vista offuscata o ridotta, scotomi, alterazione della percezio-ne dei colori): interrompere il trattamento e consultare l’oculista; • se insorgono segni o sintomi di meningite: valutare la rara possibilità che essa sia dovuta all’uso di ibuprofene (meningite asettica; più frequente nei soggetti affetti da lupus eritematoso sistemico o altre collagenopatie). Poiché FLUIBRON FEBBRE E DOLORE contiene maltitolo, i pazienti affetti da rari proble-mi ereditari di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale.FLUIBRON FEBBRE E DOLORE non contiene zucchero ed è pertanto indicato per quei pazienti che devono controllare l’apporto di zuccheri e calorie.Ogni dose da 2,5 ml di sospensione contiene 4,51 mg (0,20 mmol) di sodio; ciò deve essere tenuto in considerazione nei casi sia raccomandata una dieta povera di sodio.

4.5-Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione Le seguenti interazioni sono comuni all’ibuprofene, all’acido acetilsalicilico e agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS):• evitare l’uso contemporaneo di due o più analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei: aumento del rischio di effetti indesiderati • corticosteroidi: aumento del rischio di ulcerazione o emorragia gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4) • antibatterici: possibile aumento del rischio di convulsioni indotte da chinolonici • anticoagulanti: i FANS possono aumentare gli effetti degli anticoagulanti, come il warfa-rin (vedere paragrafo 4.4) • agenti antiaggreganti e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs): aumento del rischio di emorragie gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4) • antidiabetici: possibile aumento dell’effetto delle sulfaniluree • antivirali: ritonavir, possibile aumento della concentrazione dei FANS • ciclosporina: aumentato rischio di nefrotossicità • citotossici: metotressato, riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • litio: riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • tacrolimus: aumentato rischio di nefrotossicità • uricosurici: probenecid, rallenta l’escrezione dei FANS (aumento delle concentrazioni plasmatiche) • metotrexato: potenziale aumento della concentrazione plasmatica di metotrexato. • Zidovudina: rischio aumentato di emartrosi ed ematomi in emofilici HIV (+) se trattati contemporaneamente con zidovudina e ibuprofene. • diuretici, ACE inibitori e Antagonisti dell’angiotensina II: i FANS possono ridurre l’effetto dei diuretici e di altri farmaci antiipertensivi. In alcuni pazienti con funzione renale compro-messa (per esempio pazienti disidratati o pazienti anziani con funzione renale compro-messa) la co-somministrazione di un ACE inibitore o di un antagonista dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono il sistema della ciclo-ossigenasi può portare a un ulteriore deterioramento della funzione renale, che comprende una possibile insufficienza renale acuta, generalmente reversibile. Queste interazioni devono essere considerate in pazienti che assumono FLUIBRON FEBBRE E DOLORE in concomitanza con ACE inibitori o antagonisti dell’angiotensina II. Quindi, la combinazione deve essere somministrata con cautela, specialmente nei pazienti anziani.

I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere preso in considerazione il monitoraggio della funzione renale dopo l’inizio della terapia concomitante.Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalici-lico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuati-vo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasiona-le dell’ibuprofene (vedere paragrafo 5.1).

4.6- Fertilità, gravidanza e allattamento È improbabile che soggetti di età inferiore a 12 anni vadano incontro a gravidanza, o allattino al seno. Peraltro, in tali circostanze bisogna tenere presente le seguenti conside-razioni.L’inibizione della sintesi di prostaglandine può interessare negativamente la gravidanza e/o lo sviluppo embrio/fetale.Risultati di studi epidemiologici suggeriscono un aumentato rischio di aborto e di mal-formazione cardiaca e di gastroschisi dopo l’uso di un inibitore della sintesi di prosta-glandine nelle prime fasi della gravidanza. Il rischio assoluto di malformazioni cardiache aumentava da meno dell’1% fino a circa l’1,5%. È stato ritenuto che il rischio aumenta con la dose e la durata della terapia.Negli animali, la somministrazione di inibitori della sintesi di prostaglandine ha mostrato di provocare un aumento della perdita di pre e post-impianto e di mortalità embrione-fetale.Inoltre, un aumento di incidenza di varie malformazioni, inclusa quella cardiovascolare, è stato riportato in animali a cui erano stati somministrati inibitori di sintesi delle prostaglan-dine durante il periodo organogenetico.Durante il terzo trimestre di gravidanza, tutti gli inibitori della sintesi delle prostaglandine possono esporreil feto a:• tossicità cardiopolmonare (con chiusura prematura del dotto arterioso e ipertensione polmonare); • disfunzione renale che può progredire a insufficienza renale con oligo-idroamnios; la madre e il neonato, alla fine della gravidanza, a: • possibile prolungamento del tempo di sanguinamento, un effetto antiaggregante che può occorrere anche a dosi molto basse; • inibizione delle contrazioni uterine risultanti in ritardo o prolungamento del travaglio.

4.7-Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non pertinente, considerata l’età del paziente.

4.8-Effetti indesiderati Gli effetti indesiderati osservati con ibuprofene sono comuni agli altri analgesici, antipireti-ci, antinfiammatori non steroidei.Reazioni di ipersensibilitàRaramente: reazioni anafilattoidi (orticaria con o senza angioedema), dispnea (da ostruzio-ne laringea o da broncospasmo), shock, sindrome caratterizzata da dolore addominale, febbre, brividi, nausea e vomito; broncospasmo (vedere paragrafi 4.3 e 4.4).Patologie gastrointestinaliGli eventi avversi più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale. Possono verificarsi ulcere peptiche, perforazione o emorragia gastrointestinale, a volte fatale, in particolare negli anziani (vedere paragrafo 4.4).Dopo somministrazione di FLUIBRON FEBBRE E DOLORE sono stati riportati: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, costipazione, dispepsia, dolore addominale, melena, emate-mesi, stomatiti ulcerative, esacerbazione di colite e morbo di Crohn (vedere paragrafo 4.4). Meno frequentemente sono state osservate gastriti.Dolore epigastrico, pirosi gastrica. I disturbi gastrici possono essere ridotti assumendo il farmaco a stomaco pieno.Raramente: epatite, ittero, alterazione dei test della funzione epatica, pancreatite, duode-nite, esofagite, sindrome epatorenale, necrosi epatica, insufficienza epatica.Patologie del sistema nervoso e degli organi di sensoVertigine, cefalea, irritabilità, tinnito.Raramente: depressione, insonnia, difficoltà di concentrazione, labilità emotiva, sonnolen-za, meningite asettica, convulsioni, disturbi uditivi e visivi.Patologie respiratorie, toraciche e mediastinicheRaramente: broncospasmo, dispnea, apnea.Patologie della cute e del tessuto sottocutaneoReazioni bollose includenti sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi tossica epidermica (molto raramente).Eruzioni cutanee (anche di tipo maculopapulare), prurito.Raramente: eruzioni vescicolo-bollose, orticaria, eritema multiforme, alopecia, dermatite esfoliativa, dermatite da fotosensibilità.Patologie del sistema emolinfopoieticoMolto raramente: neutropenia, agranulocitosi, anemia aplastica, anemia emolitica (possi-

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bile test di Coombs positivo), piastrinopenia (con o senza porpora), eosinofilia, riduzione di emoglobina ed ematocrito, pancitopenia.Disturbi del metabolismo e della nutrizioneRiduzione dell’appetito.Patologie cardiache e vascolariEdema, ipertensione e insufficienza cardiaca sono stati riportati in associazione al tratta-mento con FANS.Ritenzione di fluidi (generalmente risponde prontamente all’interruzione del trattamento).Molto raramente: accidenti cerebrovascolari, ipotensione, insufficienza cardiaca congesti-zia in soggetti con funzione cardiaca compromessa, palpitazioni.Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus) (vedere paragrafo 4.4).Patologie renali ed urinarieMolto raramente: insufficienza renale acuta nei soggetti con preesistente significativa compromissione della funzione renale, necrosi papillare, necrosi tubulare, glomerulonefri-te, alterazione dei test della funzione renale, poliuria, cistite, ematuria.Disturbi del sistema immunitarioIn pazienti con malattie auto-immuni preesistenti (ad esempio: lupus eritematoso sistemico, malattie del sistema connettivo) sono stati segnalati casi singoli di sintomi di meningite asettica come tensione nucale, cefalea, nausea, vomito, febbre, disorientamen-to (vedere paragrafo 4.4).VariRaramente: secchezza degli occhi e della bocca, ulcere gengivali, rinite.

“Segnalazione delle reazioni avverse sospette.” La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo l’autorizzazione del medicinale è importante, in quanto permette un monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione all’indirizzo “www.agenziafarmaco.gov.it/it/responsabili”.

4.9-Sovradosaggio I sintomi di sovradosaggio si possono manifestare in bambini che abbiano assunto più di 400 mg/kg. L’emivita del farmaco in caso di sovradosaggio è 1.5-3 ore.

SintomiLa maggior parte dei pazienti che ingeriscono accidentalmente quantitativi clinicamente rilevanti di FANS sviluppano al più nausea, vomito, dolore epigastrico o raramente diarrea. Sono possibili anche tinnito, cefalea e sanguinamento gastrointestinale. In caso di inge-stioni di quantitativi più importanti, si osserva tossicità del sistema nervoso centrale che si manifesta con sonnolenza, occasionalmente eccitazione e disorientamento o coma, con-vulsioni. Nei casi più seri si può verificare acidosi metabolica, prolungamento del tempo di protrombina (INR). Si possono manifestare anche insufficienza renale e danni epatici. Nei soggetti asmatici si può verificare un’esacerbazione dei sintomi della malattia.

TrattamentoNon esiste alcun antidoto dell’ibuprofene. Il trattamento è sintomatico e consiste negli idonei interventi di supporto. Mantenimento della pervietà delle vie aeree e monitoraggio di funzione cardiaca e segni vitali. Particolare attenzione è dovuta al controllo della pres-sione arteriosa, dell’equilibrio acido-base e di eventuali sanguinamenti gastrointestinali.In caso di sovradosaggio acuto lo svuotamento gastrico (vomito o lavanda gastrica) è tanto più efficace quanto più precocemente è attuato; può inoltre essere utile la sommini-strazione di alcali e l’induzione della diuresi; l’ingestione di carbone attivo può contribuire a ridurre l’assorbimento del farmaco.

5-PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE5.1-Proprietà farmacodinamicheCategoria farmacoterapeutica: farmaci antinfiammatori/antireumatici non steroidei, deriva-ti dell’acido propionico. Codice ATC: M01AE01Ibuprofene è un analgesico-antiinfiammatorio di sintesi, dotato di spiccata attività anti-piretica. Chimicamente è il capostipite dei derivati fenil-propionici. L’attività analgesica è di tipo non narcotico. Ibuprofene è un potente inibitore della sintesi prostaglandinica ed esercita la sua attività inibendone la sintesi perifericamente.Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalici-lico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. In uno studio, dopo la somministrazione di una singola dose di 400 mg di ibuprofene, assunto entro 8 ore prima o dopo 30 minuti dalla somministrazione di acido acetilsalicilico (81 mg), si è verificata una diminuzione dell’effetto dell’acido acetilsalicilico sulla formazione di trombossano e sull’aggregazione piastrinica. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi

siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene.5.2-Proprietà farmacocinetiche Ibuprofene è ben assorbito dopo somministrazione orale ed è distribuito in tutto l’organi-smo rapidamente. Se assunto a stomaco vuoto, i livelli serici massimi sono raggiunti dopo circa 45 minuti. Quando assunto in concomitanza a cibo, i livelli massimi nel sangue si raggiungono tra un’ora e mezzo e 3 ore. L’ibuprofene si lega in larga misura alle proteine plasmatiche, si distribuisce a livello tissutale e nel liquido sinoviale. L’emivita plasmatica della molecola è di circa due ore. L’ibuprofene è metabolizzato nel fegato in due metabo-liti inattivi e questi, unitamente all’ibuprofene immodificato, vengono escreti dal rene sia come tali che coniugati. L’eliminazione dal rene è rapida e completa. L’ibuprofene viene escreto nel latte in concentrazioni molto basse.

5.3-Dati preclinici di sicurezza Non vi sono ulteriori informazioni su dati preclinici oltre a quelle già riportate in altre parti di questo Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (vedere paragrafo 4.6).

6-INFORMAZIONI FARMACEUTICHE6.1-Elenco degli eccipienti FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero Acido citrico monoidrato, sodio citrato, acesulfame di potassio, gomma xantana, sodio benzoato, aroma fragola, sciroppo di maltitolo, glicerina, acqua depurataFLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zuccheroAcido citrico monoidrato, sodio citrato, acesulfame di potassio, gomma xantana, sodio benzoato, aroma arancia, sciroppo di maltitolo, glicerina, acqua depurata

6.2-Incompatibilità Non pertinente.

6.3-Periodo di validità FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero 36 mesiPeriodo di validità dopo la prima apertura: 6 mesi.FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero 36 mesiPeriodo di validità dopo la prima apertura: 6 mesi.

6.4-Precauzioni particolari per la conservazione Nessuna particolare.

6.5-Natura e contenuto del contenitore FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zuccheroFlacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino.Siringa dosatrice con corpo e stantuffo in polietilene.FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino.Siringa dosatrice con corpo e stantuffo in polietilene.

6.6-Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione Nessuna istruzione particolare.

7-TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Titolare A.I.C.: Chiesi Farmaceutici S.p.A. – Via Palermo, 26/A – 43122 Parma (PR)

8-NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero - flacone da 150 ml con siringa dosatrice: AIC n. 043188010FLUIBRON FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero - flacone da 150 ml con siringa dosatrice: AIC n. 043188022

9-DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Prima Autorizzazione: 26/08/2014

10-DATA DI REVISIONE DEL TESTO Maggio 2015

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Direttore Scientifico

Luciana IndinnimeoProfessore Aggregato di PediatriaDipartimento di Pediatria e NPIUniversità di Roma “Sapienza”e-mail: [email protected]

Comitato Editoriale

Sandra BrusaMaria Elisabetta Di CosimoDante FerraraPietro FerraraLuciana IndinnimeoRocco RussoAnnamaria StaianoPier Angelo TovoRenato VitielloUfficio Editoriale

David FratiIl Pensiero Scientifico Editore via S. Giovanni Valdarno, 8 - 00138 Romae-mail: [email protected]

Direttore Responsabile

Luca De FioreISSN 2385-0736

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 311

del 5 maggio 2000

Progetto grafico e impaginazione

Chiara Caproni immagini&immagine - RomaStampa

Arti Grafiche Trisvia delle Case Rosse, 23 - 00131 RomaFinito di stampare nel mese di dicembre 2015

Società Italiana di Pediatria

via Libero Temolo, 4 - 20126 Milanotel. 02.45498282, fax 06.45498199cell. 340.4244544e-mail: [email protected]

Presidente

Giovanni CorselloVice Presidenti

Luigi GrecoAlberto VillaniTesoriere

Rino AgostinianiConsiglieri

Fabio CardinaleAntonio CorreraLiviana Da DaltDomenico MinasiAndrea PessionConsiglieri junior

Massimo BarbagalloElvira VerduciDelegato Sezioni Regionali SIP

Giuseppe MasnataDelegato Consulta Nazionale

Luigi MemoDelegato Conferenza Gruppi di Studio

Rosalia Maria Da Riol

Rivista ufficiale di Formazione continuadella Società Italiana di Pediatria

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Rivista ufficiale di Formazione continua

della Società Italiana di Pediatria

Vol. 16 | n. 4 | ottobre–dicembre 2015

[ EditorialE ]

Il valore della prevenzioneLuciana Indinnimeo

Le malattie del bambino ma anche quelle dell ’adulto possono essere prevenute efficacemente se si inizia fin da neonati e lattanti > 153

[ tutto su ] Timing chirurgico nell’ambulatorio del pediatra di famigliaMarcello Cimador, Marco Pensabene

Parallelamente al “cosa” ed al “come”, riveste grande importanza il “quando” operare > 154

[ tutto su ]

Sport e rachide in adolescenzaFabio Zaina, Sabrina Donzelli, Monia Lusini,

Salvatore Minnella, Stefano Negrini

Lo sport a giuste dosi aiuta a crescere sani, ma considerarlo una terapia è un errore, così come è sbagliato vietare alcuni sport rispetto ad altri, definendoli pericolosi > 161

[ Caso CliniCo ]

Pubertà precoce periferica da cisti ovarica secernenteSilvia L. C. Meroni, Elena Peroni,

Paolo Del Barba, Gianni Russo,

Giovanna Weber

La storia di V.S. ha richiesto la collaborazione di più specialisti, tra cui il pediatra di famiglia, l ’endocrinologo pediatra, il ginecologo, il radiologo e, da ultimo, il chirurgo pediatra > 170

[ EvidEnzE ]

La rinite allergica nel bambinoAmelia Licari, Gian Luigi Marseglia

Se non diagnosticata e/o non adeguatamente trattata, la rinite allergica può incidere negativamente sulle performance scolastiche ed in generale sulla qualità della vita dei bambini > 175

[ l’angolo dEllE soCiEtà affiliatE ]

Società Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica (SIGENP) ‒ Epoca di introduzione del glutine nella dieta, geni HLA, allattamento materno e rischio di malattia celiacaElena Lionetti, Renata Auricchio,

Carlo Catassi

Non è stato osservato alcun effetto protettivo dell ’allattamento al seno per lo sviluppo della malattia celiaca > 182

[ Quiz ]

Test di autovalutazione > 187

In copertina“Young Mother Sewing”

Mary Cassatt, 1900, Olio su telaCollezione privata H.O.

Havemeyer, Mesnil-Théribus.

All’interno (pag. 154) ‘Pinguino’,

Bernardo, 6 anni, pennarelli su carta, 21x30 cm;

(pag. 161) ‘Scarabocchi (con omino)’ (part.), Pietro, 3 anni,

pennarelli su carta, 30x28 cm;(pag. 170) ‘Stagioni’,

Sara, 10 anni, pennarelli su carta, 28x21 cm

Mary Cassatt, nata nel 1844 in una famiglia ricca e colta della Pennsylvania, viaggiò e visse per molti anni in Europa, dove divenne allieva tra gli altri di Jean-Léon Gérôme, Thomas Couture ed Edgar Degas. La sua decisione di dedicarsi alla pittura fu sempre osteggiata dal padre, che per “rappresaglia” provvedeva esclusivamente al suo mantenimento, senza finanziare la sua arte. La popolarità arriva per la Cassatt alla fine dell’800 grazie ai ritratti di madri e bambini o bambini da soli, che diventano per lei nel primo decennio del ‘900 una vera e propria “specializzazione”. Nel 1911 si ammala di diabete, reumatismi, nevralgia e cataratta e dopo il 1914 è costretta a smettere di dipingere perché è diventata quasi cieca. Ha comunque la forza di abbracciare la causa del voto alle donne e, nel 1915, presenta 18 opere ad un’esposizione organizzata per supportare il movimento. Muore il 14 giugno 1926 a Château de Beaufresne, vicino Parigi.

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di Luciana [email protected]

P er prevenire le malattie del bambino/a è importante iniziare fin dalla gravidanza

‒ e spesso anche prima del concepi-mento ‒ a impostare un corretto stile di vita materno in grado di garantire il benessere psicofisico della futura mamma e del nuovo arrivato/a. An-che le malattie dell’adulto possono essere prevenute efficacemente se si inizia fin da neonati e lattanti.

Attualmente la tendenza della ri-cerca medica è ancora troppo spesso rivolta alla cura delle malattie invece che alla loro prevenzione. Eppure e-siste una fondamentale differenza tra cura e prevenzione: curare significa dover risolvere una malattia che già è in atto, mentre prevenire significa creare condizioni tali da impedire la comparsa della malattia. Anche gli approcci sono assai diversi: per cura-re una malattia occorre studiarla in profondità per conoscere i suoi mec-canismi di azione e quindi intervenire con sostanze specifiche come i farma-ci, creando il minor numero possibile di effetti collaterali nocivi.

Prevenire implica invece una vi-sione con una prospettiva più a lungo termine e ad ampio raggio, che pren-da in considerazione lo stile di vita e il rapporto dell’individuo con l’am-biente in cui vive, la sua capacità di modificare il proprio comportamento individuale e collettivo. La salute fisica e psichica di ciascun individuo non dipende assolutamente da un desti-no bizzarro, ma soprattutto dai nostri comportamenti e stili di vita: nei bam-bini che acquisiscono autonomia solo progressivamente negli anni successivi alla nascita, anche dai comportamenti di coloro che si occupano di loro. In generale anche per il bambino, come per l’adulto, i fondamentali fattori di prevenzione sono rappresentati da a-limentazione, attività fisica, igiene del sonno, screening e visite di controllo regolari.

Questi principi ispiratori hanno motivato un Tavolo ministeriale di lavoro, tuttora in corso, composto da membri della SIP e del Ministero del-la Salute, dedicato alla redazione di linee di indirizzo sulla nutrizione del

bambino da 0 a 36 settimane, periodo fondamentale per la corretta imposta-zione di una buona salute. Gli aspetti principali di queste raccomandazioni includono la gravidanza, in quanto la futura mamma deve essere consape-vole di ciò che si sta verificando nel proprio organismo, ma soprattutto perché è necessario che sappia che il bimbo che cresce nel suo grembo vive attraverso di lei le sue stesse emozioni, respira la sua stessa aria, si alimenta dello stesso cibo e assorbe lo stesso tipo di farmaci e tutte le altre sostan-ze da lei assunte. Non possono essere trascurati il valore del latte materno e dell’alimentazione esclusiva al seno, almeno per i primi sei mesi di vita, il timing corretto del divezzamento, che dovrebbe avvenire con consapevolez-za e attenzione, per fornire l’apporto adeguato di calorie, grassi e proteine, utilizzando alimenti sicuri. Siamo in attesa della conclusione di questa pre-gevole iniziativa .

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Il valore della prevenzione

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Introduzione

I l corretto inquadramento delle patologie chirurgiche in età pediatrica oggi non può limitarsi alla mera diagnosi ed alla terapia (chirurgica o meno)

che ne consegue. Il bambino infatti, in quanto organismo in accrescimento, è sottoposto ad innumerevoli mutamen-ti fisiopatologici che modificano tanto la storia naturale delle patologie quanto la risposta clinica del paziente all’ eventuale terapia. È per questo motivo quindi che, paralle-lamente al “cosa” ed al “come”, riveste grande importanza il “quando” operare. Potremmo dunque dire che un corretto approccio clinico alle patologie chirurgiche dell’infanzia e dell’adolescenza si fonda su tre pilastri: una corretta ipotesi diagnostica (cosa operare); un’adeguata competenza tecnica (come operare); un corretto timing della terapia chirurgica (quando operare). Verranno di seguito affrontate alcune tra le più frequenti patologie di interesse chirurgico che il pediatra potrà incontrare, e vedremo come, per ognuna di queste, il timing chirurgico sia di estrema importanza. In taluni casi una correzione precoce non è infatti giustifica-ta, incrementando i rischi chirurgici senza ottenere alcun beneficio clinico; in talaltri casi, invece, un atteggiamento attendista può risultare addirittura dannoso per il paziente, con danni potenzialmente irreversibili.

Le patologie

L’ernia inguinale, la cisti del funicolo e l’idro- cele sono tra le problematiche chirurgiche di più co-

mune riscontro in età pediatrica. Generalmente esse ven-gono considerate come differenti aspetti della medesima entità nosologica: una ritardata/incompleta obliterazione del dotto peritoneo-vaginale. Il dotto peritoneo-vaginale (DPV) è un’estroflessione del peritoneo parietale che con-

[ tutto su ]

Timing chirurgico nell’ambulatorio del pediatra di famiglia Parallelamente al “cosa” ed al “come”, riveste grande importanza il “quando” operare.

Marcello Cimador1, Marco Pensabene2

1 Professore Associato di Chirurgia Pediatrica, Direttore della Scuola di Specializzazione in Pediatria, Responsabile della UOS di Urologia Pediatrica – AOUP, Università di Palermo2 Assistente in formazione, Scuola di Specializzazione in Chirurgia Pediatrica – Università di Palermo

sente, nel maschio, la migrazione dei testicoli all’interno della borsa scrotale, e che di norma si oblitera alla nascita. Questo processo avviene parallelamente alla completa mi-grazione dei testicoli nello scroto, ed infatti, non a caso il criptorchidismo è spesso associato alla patologia del DPV. È stato dimostrato che sino al 40-50% dei neonati presenta un DPV pervio alla nascita, ma che, nel 95% dei casi, questo tende ad obliterarsi spontaneamente entro i 18-24 mesi di vita. La presenza isolata del DPV pervio nel neonato o nel lattante, quindi, non costituisce di per sé una patologia, a meno che questo non consenta sin da subito l’erniazione di un viscere addominale o il passaggio consistente di liquido peritoneale nella sacca vaginale. La persistenza oltre i 18-24 mesi, però, è da considerarsi patologica.

Ernia inguinale

L’ernia inguinale si presenta come una massa di dimensioni variabili, di consistenza teso-elastica in

sede inguinale; in assenza di intasamento o strozzamento, non è dolente né dolorabile. L’incidenza è variabile: dall’1 al 5% della popolazione pediatrica, con un rapporto ma-

schi/femmine di 8-9/1. L’incidenza aumenta significativamente al 30% in neonati pretermine o con patologie associate. L’ernia inguinale, di norma, non tende alla guarigione spontanea. La porta erniaria tende, col tempo ad ampliarsi, e l’ernia a complicarsi, incarcerandosi (perdita della riduci-bilità) e/o strozzandosi (comparsa di fenomeni ischemico-necrotici nell’erniato). In questi casi può istau-rarsi un’occlusione intestinale, o una A

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torsione/ischemia/necrosi testicolare da compressione del funicolo spermatico; tali complicanze sono maggior-mente frequenti entro i sei mesi di vita, fatto, questo, che complica ulteriormente il quadro clinico. Nei casi di incarceramento/strozzamento si impone il trattamento in urgenza, con immediato trasferimento in ambiente ospe-daliero. L’intervento chirurgico va, pertanto, indicato già alla diagnosi, e, seppure in elezione, va eseguito in tempi rapidi; ciò specialmente nel caso di ernie voluminose, o nel caso di neonati/lattanti.

Idrocele e cisti del funicolo

D iverso è invece l’approccio all’idrocele ed alla cisti del funicolo. Come abbiamo già accennato,

nella maggioranza dei casi il DPV pervio alla nascita, si oblitera spontaneamente nel corso dei primi mesi di vita. L’idrocele può anche presentarsi come idrocele comuni-cante quando il liquido peritoneale defluisce liberamente in entrambi i sensi lungo il dotto stesso, e si accumula in sede peri-testicolare, specialmente dopo un prolungato periodo di stazione eretta, o durante la febbre. Tipicamen-te, in questi pazienti, l’idrocele si osserva di dimensioni aumentate a seguito della posizione ortostatica la sera, mentre si presenta di dimensioni ridotte al mattino dopo un prolungato clinostatismo.

La cisti del funicolo invece, è una raccolta di liquido peritoneale “incarcerata” nel contesto del funicolo sper-matico, risultando infatti, il DPV obliterato a monte (ver-sante peritoneale) e a valle (versante vaginale) della cisti. Entrambe le entità nosologiche vanno semplicemente osservate sino ad i 2 anni di età; superata questa età, un DPV rimasto pervio, verosimilmente lo resterà, e pertanto l’intervento chirurgico va indicato ed eseguito in elezio-ne. Nelle femmine, il DPV prende il nome di dotto di Nuck.Questo àncora l’utero alle grandi labbra e, dopo il settimo mese di vita intrauterina si oblitera, dando luogo al legamento rotondo dell’utero. La persistenza del dotto di Nuck pervio, seppur meno frequente, analogamente a quanto accade nel maschio, determina la formazione di

un’ernia inguinale indiretta congenita. Non di rado, all’in-terno del sacco erniario è possibile ritrovare l’ovaio stesso o una porzione della tuba. A causa del rilevante rischio di incarceramento/strozzamento con conseguente necrosi dell’ovaio o della tuba, l’intervento è indicato in elezione nel più breve lasso di tempo possibile. Frequentemente, le femmine presentano un ernia inguinale bilaterale, e tendono a sviluppare un’ernia metàcrona più frequente-mente rispetto ad i maschi.

Ritenzione testicolare

La migrazione dei testicoli dal polo inferiore del rene, dove si formano, sino allo scroto, è sostenuta

da fenomeni di tipo meccanico (28-30 W) ed ormonale (30-40 W). Tale processo è poi guidato del gubernacu-lum testis, un legamento che àncora il polo inferiore del testicolo alla sacca scrotale e che, di fatto, lo “indirizza” nella sua discesa sino alla sua sede definitiva, nella sacca scrotale. Come già accennato, di norma la discesa dei testicoli nella borsa scrotale si conclude alla nascita. In alcuni casi però questo processo può richiedere più tempo e concludersi entro il primo anno. Se l’incidenza di riten-zione testicolare risulta essere del 3% in neonati a termine e del 33% nei nati pretermine, infatti, questa percentuale si riduce drasticamente all’1% al primo anno di vita. È per questa ragione che l’intervento di orchidopessi per testicoli ritenuti va indicato non prima del 6° mese di vita del bambino; questo limite temporale, di norma, si sposta più in avanti di circa sei mesi nel caso di piccoli pazienti pre-termine, in cui il processo maturativo, globalmente, risulta più lento. Pertanto, superati i 12-18 mesi, i testicoli che non risiedono stabilmente nella borsa scrotale o che non vi permangono se trazionati, vanno sottoposti ad orchidopessi, normalmente eseguita tra i 18 ed i 24 mesi di vita. Tale limite temporale si riduce in presenza di un’ernia consensuale che va trattata precocemente come già detto. Un discorso a parte meritano i testicoli cosiddetti “mobili o retrattili”. In questi pazienti è possibile trazionare i te-sticoli nella borsa scrotale, ma vi permangono sino a che A

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Un corretto approccio si fonda su tre pilastri: una corretta ipotesi diagnostica, un’adeguata competenza tecnica, un corretto timing della terapia chirurgica.

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il riflesso cremasterico, particolarmente vigoroso in questi pazienti, non ne determina la risalita nel canale inguinale. Questi pazienti vanno sottoposti ad orchidopessi solo se compaiono segni di sofferenza testicolare (testicolo ipotrofico, episodi di subtorsione). In assenza di tutto ciò, un atteggiamento conservativo è il più indicato: alla pubertà, gli ormoni androgeni indurranno l’irrigidimento e la fibrosi del muscolo cremastere e del gubernaculum testis, con la seguente perdita/rallentamento del riflesso cremasterico. I testicoli prima “mobili” si stabiliranno de-finitivamente nello scroto. Esistono comunque testicoli retrattili, identificati come “gliding testis”, in cui persite un DPV pervio entro il quale il testicolo si sposta libe-ramente dall’inguine allo scroto e viceversa. In tali casi solo l’orchidopessi con sezione del DPV può assicurare lo stazionamento del testicolo nell’emiscroto corrispondente. La diagnosi è solo post-operatoria e l’intervento è indica-to quando la mobilità è accentuata ed il testicolo si ritrova nella tasca inguinale anche in assenza dell’evocazione del riflesso cremasterico. L’epoca dell’indicazione chirurgica persiste non prima dei 24 mesi.

Ectopia testicolare

L’ectopia testicolare rientra nella diagnosi differenziale del testicolo ritenuto. Questa si realizza

quando il gubernaculum testis non si inserisce sul fondo dello scroto, ma in sede anomala. L’ectopia più frequente è quella soprafasciale, seguita dalla femorale, dalla pubica ed infine dalla controlaterale. Il testicolo, maldirezionato dal gubernaculum, non guadagnerà mai lo scroto, espo-nendosi ad un aumentato rischio di torsione e/o traumi. L’intervento chirurgico è necessario e risolutivo e viene programmato anch’esso tra i 18 e i 24 mesi.

Ernia ombelicale

L’ernia ombelicale ha un’incidenza estrema- mente variabile in relazione al sesso, alla razza ed

alla nazionalità. Nel pretermine e nel neonato sindromico l’incidenza può raggiungere il 60%. L’anello ombelica-le è attraversato da diverse strutture che compongono il cordone ombelicale: i vasi ombelicali, il dotto onfalo-me-senterico, l’uraco. Subito dopo la nascita queste strutture, ormai superflue, tendono ad involversi, causando la “caduta” del cordone, solitamente entro i primi 7-10 giorni di vita. Parallelamente, l’anello ombelicale tende a chiudersi in

maniera centripeta. Ciò avviene grazie alla confluenza delle pareti addominali sulla linea alba ed alla retrazione eserci-tata dalle fibre elastiche contenute nelle ormai obliterate arterie ombelicali. L’ernia ombelicale si realizza quando questo processo è insufficiente o inadeguato. Clinicamente si osserva una tumefazione di dimensioni variabili, proprio in corrispondenza dell’ombelico. La protrusione dell’ernia è frequente con il pianto e la defecazione. L’ernia si riduce agevolmente, ed il rischio di complicanze è estremamente basso. Con la crescita, le pareti addominali tendono a com-pletare la confluenza sulla linea alba, ed il quadro clinico, di solito, rientra già nel corso del primo anno di vita.

Un’ernia ombelicale che persiste oltre il secondo anno di vita è però candidata alla correzione chirurgica, specie nelle femmine. Una condotta prudente è particolarmente rivolta ai maschi, la cui parete addominale difficilmente sarà sottoposta ad importanti sollecitazioni durante l’età adulta. Nelle femmine, invece, un atteggiamento più in-terventista è giustificato dall’eventuale futura gravidanza: un difetto ombelicale persistente, seppur subclinico, po-trebbe dar luogo durante la gravidanza ad un’ernia, che complicandosi, esporrebbe madre e feto ad inutili rischi.

Fimosi e sinechie

La fimosi e le aderenze (sinechie) balano-pre- puziali sono evenienze comuni, che spesso ingenerano

apprensione e confusione nei genitori. La presenza delle sinechie balano-prepuziali è fisiologica nel neonato, ed è il risultato di un’incompleta maturazione della mucosa glan-dulare; inoltre, le sinechie nel neonato rendono inaccessi-bile il solco balano-penieno alle urine, evitando che queste possano ristagnarvi ed offrire un pabulum per i batteri, ed impedendo, quindi, l’istaurarsi di una balanite. In presenza di un meato uretrale “libero”, le sinechie balano-prepuziali non vanno trattate. Queste verranno ad elidersi in maniera naturale e progressiva con le prime erezioni spontanee. La fimosi si instaura quando è impossibile far scorrere il prepuzio sul glande sino a scoprire il solco balano-penieno. La fimosi acquisita (cicatriziale o fimosi vera) è rara al di sotto dei 5 anni di vita, ed è dovuta alla presenza di un anello prepuziale ristretto e fibrotico, dovuto agli esiti cicatriziali di balano-postiti subcliniche o non trattate adeguatamente. L’intervento chirurgico di circoncisione o plastica del pre-puzio è necessario, e va indicato alla diagnosi. Il “prepuzio a proboscide” entra in diagnosi differenziale con fimosi e sinechie. Si tratta di una particolare variante anatomica del prepuzio del neonato, che essendo in effetti più lungo A

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del normale, si oppone al normale scorrimento sul glande, pur in assenza di anelli cicatriziali. Il prepuzio a probo-scide va dilatato, onde evitare che un eventuale ristagno urinario esponga il paziente alle balano-postiti. Questa operazione può essere effettuata già nel lattante, di norma in ambulatorio ed in anestesia locale; questa procedura deve essere effettuata in maniera estremamente delicata, evitando di creare lesioni iatrogene del prepuzio che, seppur di modesta entità, potrebbero evolvere in esiti cicatriziali, determinando una fimosi vera iatrogena.

Ipospadia

L’ ipospadia è una malformazione dell’uretra maschile in cui il meato uretrale sbocca in sede ec-

topica ventralmente lungo la linea mediana, in un punto qualunque compreso tra il perineo ed il solco balano-prepuziale. Tanto più è distale il meato ectopico tanto meno grave, ovviamente, è il difetto, e tanto meno com-plessa sarà la correzione chirurgica. Sempre si associa ad essa il prepuzio a “grembiule”, aperto ventralmente. L’incidenza annua è di 1/125 nati vivi e continua ad in-crementarsi del 2% all’anno. L’ipospadia è dunque, un problema emergente e complesso. Può, infatti, essere isolata e sporadica o inquadrarsi nel contesto di quadri sindromici e malformativi complessi: dall’insensibilità parziale agli androgeni, alle malformazioni anorettali, dall’ambiguità genitale alla sindrome di Currarino. Non è infrequente l’associazione con altre malformazioni a carico dell’apparato genitale maschile (pene curvo, pene rotato, criptorchidismo). La diagnosi è ispettiva, for-mulata alla nascita, e nei casi più gravi, possibile già in epoca prenatale. La correzione chirurgica è quasi sempre necessaria e talvolta può richiedere il ricorso a più tempi chirurgici. Vale la pena ricordare che anche per le forme meno gravi di ipospadia è estremamente variabile (5-15%) l’associazione con altre condizioni/patologie malformati-ve a carico dell’apparato urinario, dal doppio distretto re-nale al reflusso vescico-ureterale. Una valutazione attenta è, pertanto, consigliabile, prima di sottoporre il paziente

all’uretroplastica. Ciò è assolutamente necessario nei casi complessi, ad esempio nei pazienti con genitali ambigui. In questi pazienti lo studio genetico preoperatorio riveste non solo un importante ruolo diagnostico, ma è spesso dirimente nella definitiva attribuzione del sesso genetico, specie nei casi in cui si profila la possibilità della fem-minilizzazione e castrazione di pazienti geneticamente maschi. L’epoca in cui sottoporre il paziente ad uretro-plastica è, per quanto sin qui detto, influenzata da diversi fattori. Ottenuto un corretto inquadramento diagnosti-co, l’uretroplastica può essere confezionata a partire dai 6-8 mesi di vita, purché le strutture anatomiche (piatto uretrale, pene, glande e prepuzio) siano adeguatamente sviluppate; nella maggioranza dei casi l’uretroplastica per ipospadia può essere confezionata tra i 12 e i 18 mesi di vita. Superato questo limite temporale, è preferibile in ogni caso che la correzione sia effettuata prima del “toilet training”, o comunque entro i 4 anni di vita del paziente. Ciò perché, superata questa fascia di età, si accresce la consapevolezza del paziente e con essa il carico emotivo su una porzione anatomica “intima”; inoltre è necessario il ricorso, seppur limitato nel tempo, nuovamente al pan-nolino ed alle successive calibrazioni uretrali, manovra questa di per sé semplice ma invasiva e mal tollerata dai pazienti. Tutto ciò rende il postoperatorio più difficile e stressante per pazienti più grandi e consapevoli e per i genitori stessi, con il rischio di inficiare e complicare un risultato chirurgico di per sé adeguato.

Varicocele

Il varicocele è la prima tra le cause evitabili di infertilità di coppia. A ridosso della pubertà la sua inci-

denza si incrementa sino a raggiungere i valori tipici dell’età adulta, compresi tra il 15 ed il 20%. Esso è definito come un reflusso ematico patologico sia per flusso che per durata, che i realizza lungo i vasi spermatici e/o deferenziali (va-ricocele di I, II o III tipo); nella gran parte dei casi insorge a sinistra. Tale reflusso ematico, se inveterato nel tempo, compromette il trofismo e la funzione germinale della A

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A ridosso della pubertà l ’incidenza di varicocelesi incrementa sino a raggiungere i valori tipici dell ’età adulta, compresi tra il 15 ed il 20%.

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gonade; la funzione ormonale sembra invece conservata. La diagnosi è sia clinica che strumentale, poiché la sola presenza delle ectasie vascolari, clinicamente dimostrabili, non è sempre associata al reflusso venoso; questo è, invece, quantificabile obiettivamente con l’eco color-Doppler. Il varicocele non tende alla risoluzione spontanea e la neces-saria terapia chirurgica, che consiste nella legatura dei vasi ectasici, ha lo scopo di salvaguardare la funzione germinale della gonade e consentirne uno sviluppo normale. L’in-tervento, pertanto, va eseguito in elezione alla diagnosi; il discrimine principale è il grado di varicocele e la presenza di ipotrofia testicolare associata, e non l’età di insorgenza. Distinguiamo tre gradi di varicocele, a seconda dell’entità del reflusso. L’indicazione chirurgica si pone per tutti i varicoceli di III grado, senza distinzioni di età, specie in presenza di ipotrofia del testicolo. Nel caso di varicoceli di II grado l’indicazione all’intervento normalmente non sussiste a meno che non si riscontri un’ipotrofia testico-lare omolaterale, o che il paziente accusi un importante discomfort testicolare. Il varicocele di I grado non si tratta mai, ma va monitorato a cadenza semestrale/annuale.

Come abbiamo visto, nel paziente pediatrico lo sper-mioistogramma, che nell’adulto riveste una centrale im-portanza, non rientra negli esami di routine per lo studio della funzione testicolare; non esistono infatti parametri standardizzati per l’età pediatrica/adolescenziale.

Reflusso vescico-ureterale

Il reflusso vescico-ureterale (RVU) è presente nell’1% dei nuovi nati. Si realizza quando la giun-

zione uretero-vescicale non assicura la continenza delle urine, che quindi risalgono la via escretrice sino alla pel-vi renale; modi, tempi e quantità cambiano in base alla gravità del reflusso. Distinguiamo, classicamente, 5 gradi di RVU. Può presentarsi isolato, in associazione, oppure secondario ad altre malformazioni dell’apparato urinario. Nel primo e nel secondo caso, la causa è da identificarsi in un’immaturità della giunzione uretero-vescicale, che tende a completare il proprio processo maturativo du-rante il primo anno di vita; nel terzo, invece, il RVU è un

CASO CLINICO UOS Urologia Pediatrica, Dipartimento Materno Infantile, Università degli Studi di Palermo

d.N.M. / Femmina / 19mesiinfezioni urinarie ricorrenti / inappetenza / episodi febbrili frequenti

ecografia renale: Rene sn – DL 65mm / Rene dx – DL 63mm

trattamento conservativo: Profilassi antibiotica / Monitoraggio delle urine / Follow-up ecografico

Follow-up 6 mesi: Ottima compliance familiare / Esame delle urine negativo (eseguito ogni settimana) / Aspetto ecografico renale inalterato al controllo mensile

Piano terapeutico: Osservazione e profilassi fino al toilettraining minzionale / Eventuale trattamento endoscopico con ac.ialuronico/destranomeri

trattamento: Iniezione endoscopica di ac.ialuronico/destranomeri eseguita dopo il toilet training / CUM di controllo: assenza di reflussi

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Cistouretrografia minzionalealla prima osservazione:

RVU di II grado dx

RVU di III grado sn

Cistouretrografia minzionale di controllo a 6 mesi dalla prima osservazioneRVU di III grado dx

RVU di II grado sn

Scintigrafiastatica dMSa

Rene sn43,59%

Rene dx 56,41%

tutto su Timing chirurgico nell’ambulatorio del pediatra di famiglia

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epifenomeno di un’altra condizione, che va identificata e laddove possibile superata. Il RVU si può sospettare già in epoca pre-natale, con il riscontro ecografico di “dila-tazione renale”. In epoca post-natale, invece, il sospetto deve sorgere per tutti quei neonati con IVU ricorrenti, in associazione ad uno scarso accrescimento/inappetenza o con febbre frequente, non riconducibile a problematiche respiratorie o gastrointestinali.

Se il sospetto è clinico/laboratoristico, la diagnosi di certezza è strumentale. Il gold standard diagnostico è infatti la cistouretrografia minzionale, ma anche la cistosonografia (ecografia con mezzo di contrasto) ha dato buoni risultati di accuratezza diagnostica negli ultimi anni, paragonabili a quelli ottenuti con la radiologia.

Raggiunta la diagnosi di certezza, tutti i pazienti con RVU vanno posti sotto profilassi antibiotica continuativa (1/2 della dose standard); ciò ha lo scopo di prevenire un possibile danno renale secondario alle pielonefriti, che rap-

presentano un rischio concreto, specialmente nei pazienti con reflussi di alto grado. La gestione di questi pazienti dipende dal tipo e dal grado di reflusso. I pazienti con re-flusso primitivo dovranno proseguire l’antibioticoprofilassi sino ai 12 mesi, quindi dovranno ripetere una cistosono-grafia per una nuova valutazione del reflusso; questo potrà essere guarito spontaneamente per maturazione della giun-zione UV, migliorato (downgrading), o rimasto invariato. I reflussi di basso grado (I-II) solitamente non vengono trattati: non comportano un importante ristagno urinario, il rischio di IVU è basso e, qualora insorgano, è preferibile il trattamento antibiotico volta per volta. È indicato, però, il monitoraggio urinario, ossia l’esecuzione di esami delle urine a cadenza regolare ed anche in assenza di sintomi. I reflussi di grado moderato/alto (III-IV) vanno sempre trattati. L’approccio di scelta è quello endoscopico mini-in-vasivo. Consiste nell’iniettare del materiale biocompatibile in prossimità della giunzione UV, tanto da modificarne la struttura, promuovendone la continenza. È una procedura ripetibile, che viene effettuata in cistoscopia, con disagi minimi per il paziente ed in day-hospital. I risultati sono buoni, con guarigione nel 70-80% dei casi dopo un singolo trattamento. In linea di massima, il trattamento chirurgico endoscopico viene indicato in presenza di 2 infezioni delle vie urinarie malgrado la profilassi antibiotica. I reflussi di V grado vanno sempre trattati chirurgicamente dopo il primo anno di vita, mediante chirurgia tradizionale (“open”). L’in-tervento è risolutivo nel 98% dei casi e consiste nel ricreare ex novo la giunzione UV. I pazienti con reflusso secondario vanno preventivamente inquadrati. Riconosciuta la causa sottostante occorre correggerla e rivalutare il reflusso in seguito. Laddove non sia una causa correggibile (es: ve-scica neurogena) il RVU va considerato e trattato come un reflusso primitivo. Spesso è necessario il ricorso alla chirurgia tradizionale “open”. Per questi pazienti, tuttavia, è preferibile un approccio individuale ed una valutazione caso per caso consente di adattare al singolo paziente il miglior trattamento possibile .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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Se il sospetto è clinico/laboratoristico, la diagnosi di certezza è strumentale. Il gold standard diagnostico è la cistouretrografia minzionale.

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Lo sport: croce e delizia di bambini e adolescenti

I ragazzi hanno un grande bisogno di movi- mento. Lo si può notare comunemente nelle scuole, con bambini che spesso faticano a rimane seduti per

lunghe ore come richiesto dal nostro sistema educativo. In tale contesto, la pratica di una disciplina sportiva è senz’altro di grande aiuto. Lo sport infatti, se praticato in un ambiente sano e sotto guida esperta permette di migliorare le capacità di socializzazione, collaborazio-ne, attenzione, tramite un vero e proprio percorso edu-cativo oltre ai benefici puramente fisici come stimolare ed allenare la coordinazione, rinforzare la muscolatura

e mantenerla elastica. Talvolta però le aspettative circa i benefici dello sport vanno anche oltre, ed esso viene interpretato come una vera e propria terapia, al punto di

essere raccomandato al posto della fisioterapia in caso di particolari pa-tologie dell’apparato locomotore. In questo modo l’attività fisica perde la sua tipica connotazione ludica per trasformarsi in qualcosa di terapeu-tico, ma divertente, in perfetta sin-tonia con il detto: uniamo l’utile al dilettevole! Ma è vero che lo sport può essere terapeutico?

[ tutto su ]

Sport e rachide in adolescenza Un buon allenamento permette di compensare al meglio gli squilibri fisiologici generati dalla pubertà. Ma è vero che lo sport può essere terapeutico?

Fabio Zaina1

Sabrina Donzelli1

Monia Lusini1

Salvatore Minnella1

Stefano Negrini2,3

1 ISICO – Istituto Scientifico Italiano Colonna vertebrale, Milano2 Fondazione Don Gnocchi – Brescia3 Università degli Studi di Brescia A

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Soprattutto durante il rapido accrescimento tipico del-la spinta puberale, l’apparato locomotore e in particolare il rachide sono sottoposti a stress tali da poter facilitare la patologia in soggetti predisposti. La pubertà è il periodo in cui il corpo cambia in maniera rapida: le ossa crescono molto velocemente, mettendo a dura prova l’elasticità muscolare. La muscolatura, infatti arriva al momento di massima crescita solo in prossimità della chiusura delle cartilagini di accrescimento; pertanto in questa fase di crescita i muscoli si trovano svantaggiati. Gli arti inferiori crescono in maniera alternata generando talvolta degli sbilanciamenti che mimano le asimmetrie tipiche della scoliosi. Tutti questi rapidi cambiamenti corporei metto-no a dura prova le capacità neuromotorie dei ragazzi in crescita, spesso i muscoli sono troppo corti e talvolta i dolori di crescita si fanno sentire in maniera più insistente. Possiamo affermare con ragionevole cer-tezza che un buon allenamento permette di compensare al meglio gli squilibri fisiologi-ci generati dalla crescita tumultuosa tipica della pubertà. Ma qual è lo sport ideale per i nostri figli? E lo sport può anche essere dannoso? Per rispondere a queste domande, dobbiamo distinguere tra condizioni normali e la patologia.

Le deformità vertebrali

Sotto la definizione di deformità del rachide, si annoverano tutti i difetti di accrescimento delle

vertebre, che tipicamente si verificano nel periodo della spinta puberale. In particolare parliamo di scoliosi, oste-ocondrosi vertebrale (Morbo di Scheuermann) e spon-dilolisi e spondilolistesi.

La scoliosi La scoliosi è una deformità tridimensionale del rachide e del tronco; questo comporta la presenza di una o più curve sul piano frontale, una riduzione delle fisiologiche curve del piano sagittale (cifosi e lordosi), e la rotazio-ne dei corpi vertebrali, generando talvolta importanti inestetismi del tronco. Colpisce il 2-3% della popola-zione con un rapporto maschi-femmine 3:7. Dobbiamo differenziale la scoliosi “strutturale” da quella “funzio-nale”, quest’ultima conosciuta soprattutto come “atteg-giamento scoliotico”, causata da difetto nel sistema di

controllo posturale, riducibile al variare della posizione, senza deformità ossea che invece caratterizza la scoliosi “strutturale”. Mentre l’atteggiamento scoliotico è estre-mamente frequente, la scoliosi vera è relativamente rara, soprattutto se si considerano le scoliosi importanti, che hanno una prevalenza dello 0,5‰. Questi numeri spie-gano gli errori che vengono talvolta commessi nell’inqua-

dramento della scoliosi: i pochi casi veri si annidano in mezzo ai moltissimi casi falsi, portando spesso a sottovalutare una pato-logia subdola e pericolosa. L’eziologia della scoliosi è sconosciuta. L’80% delle scoliosi è infatti definito idiopatico, è legato a una predisposizione genetica e caratterizzato da familiarità; il restante 20% è definito secondario (deformità congenite, patologie neuromuscolari, patologie neurologiche, collagenopatie, sindromi e così via). Anche se non ne conosciamo la causa, conoscia-mo molto bene le leggi meccaniche che ne governano la progressiva evoluzione, che è più rapida e a volte drammatica nei periodi di marcata crescita, durante i quali

l’entità della deformità peggiora e si struttura. I periodi di crescita in cui la velocità di accrescimento del tronco è maggiore e la scoliosi più aggressiva sono dunque quelli tra i 6 e 24 mesi; durante la “proceritas prima”, attorno ai 6 anni di vita, e durante lo “spurt puberale”, che ha inizio più frequentemente attorno agli 11-12 anni per le femmi-ne e 13-14 per i maschi. Questo potenziale evolutivo viene meno nel momento in cui il paziente raggiunge la matu-razione scheletrica, ovvero la chiusura delle cartilagini di accrescimento. La comparsa dei segni puberali è il segno dell’entrata nel periodo più rischioso per l’evoluzione in tempi rapidi della scoliosi. La comparsa del menarca nelle ragazze invece è solo un indice di maturazione gonadica non sempre correlato alla maturazione ossea. Clinicamente nel paziente affetto da scoliosi si evidenzia-no asimmetrie estetiche del tronco come la differenza dei triangoli della taglia, sporgenze costali, dei contorni delle scapole e delle spalle. La presenza del gibbo, mediante valutazione con test di Adams (in flessione anteriore del tronco nella Figura 1), immodificabile nelle posizione in ortostasi e da seduto deve far sospettare la presenza della deformità. Il gibbo corrisponde alla rotazione dei corpi vertebrali e di conseguenza della gabbia toracica e ci permette di distinguere la scoliosi dall’atteggiamento scoliotico. Un gibbo di 5° Bunnell può già corrispondere ad una scoliosi di media entità di 20° Cobb, uno di 7°

Figura 1. Misurazione del gibbo mediante scoliometro di Bunnell. Il paziente si flette in avanti con le gambe estese, rilassando le braccia le spalle e il capo.

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a una scoliosi oltre i 25°. Sul piano sagittale possiamo vedere una riduzione delle curve fisiologiche mediante misurazione delle distanze con filo a piombo. Il sospetto clinico di scoliosi viene posto in caso di rilevazione del gibbo e deve essere confermato mediante esame radio-grafico (proiezione frontale e laterale in ortostatismo del rachide in toto) e misurazione dell’entità di curva me-diante gradi Cobb: si parla di scoliosi con curve superiori ai 10°Cobb. L’obiettivo terapeutico è quello di bloccare la storia naturale della scoliosi che prevede un peggiora-mento progressivo fino a fine crescita, in modo da avere un tronco equilibrato, esteticamente non compromesso e una colonna funzionale in età adulta. Questi obiettivi si ottengono se a fine crescita ossea la scoliosi non eccede i 30°, anche se può essere considerato accettabile una curva al di sotto dei 50° e con un buon equilibrio sagittale del tronco. Questo perché, contrariamente a quanto si pen-sava fino ad alcuni anni fa, in età adulta la scoliosi sotto i 30° è generalmente stabile, mentre peggiora quasi sempre quando supera i 50°, con rischi variabili e progressivi nella zona grigia tra queste due soglie. Il trattamento conser-vativo basato su esercizi specifici nei casi lievi, corsetto ortopedico ed esercizi nei casi più importanti è in grado

di bloccare e addirittura i migliorare l’entità della curva, riducendo nettamente il rischio di intervento chirurgico anche nelle scoliosi già gravi. L’evoluzione della scoliosi in adolescenza può infatti essere così drammatica che si evita un intervento chirurgico ogni 3 pazienti trattati con corsetto. Per questo è estremamente importate fare una diagnosi precoce, mediante screening, ed intervenire in base all’entità della curva.

Per monitorare l’evoluzione della scoliosi, della terapia e la maturazione ossea è indispensabile la valutazione clinica specialistica ogni 3-6 mesi e la radiografia in media ogni 12 mesi, con eccezioni in caso di inizio di trattamento ortesico, che richiede anche una radiografia in corsetto e una senza dopo i primi mesi di trattamento. Ad oggi la tecnologia ci munisce di strumentazione a basso dosaggio radioattivo come la EOS che sottopone al 10% delle ra-diazioni necessarie con le comuni apparecchiature digitali moderne. Questa ultime, in ogni caso, impiegano una quantità di radiazioni equivalente a quella che si assorbe durante un viaggio aereo intercontinentale. Quindi il ri-schio radiogeno è oggi modesto, niente a che vedere con le vecchie apparecchiature con le quali si erano registrati aumenti importanti nella genesi di neoplasie iatrogene

CASO CLINICO 1

alice ha 11 anni, ha avuto il menarca 6 mesi fa e da circa 4 mesi si lamenta di un do-lore lombare. Questo dolore si presenta spesso alla fine della giornata, soprattutto quando sta molto in piedi o cammina molto. È localizzato alla regione lombare destra e si irradia verso il fianco destro. Se si siede o meglio ancora si distende il dolore passa gradualmente. Non ha mai assunto farmaci perché il riposo è suf-ficiente a farlo passare. In famiglia nessuno ha patologie della colonna, nemmeno tra i parenti più lontani come i cugini. Alice non fa sport, ha la passione per la musica e passa molte ore a studiare pianoforte. A causa del persistere della sintomatologia, Alice giunge prima all’at-tenzione del pediatra, che osserva una lieve asimmetria del fianco, e durante la flessione anteriore del tronco nota una salienza dorsale destra ed una lombare sinistra. Alice pertanto viene inviata allo specialista per un ulteriore

approfondimento. Alla visita si osservano una spalla destra più alta della sinistra, la scapola destra appare più sporgente della sinistra, si associa inoltre una asimmetria dei triangoli della taglia e un dorso piatto. Alla flessione anteriore, lo specialista misura un gibbo di 5° e 8 millimetri a livello dorsale destro ed un gibbo di 8° e 10 millimetri a livello lombare sinistro. La colonna è mobile, e non dolente. Non si apprezzano retrazioni muscolari né segni neu-rologici di alcun genere. La forza muscolare è un po’ scarsa. I segni puberali sono positivi e di recente insorgenza. Alla luce dei segni di scoliosi emersi, lo specialista prescrive una ra-diografia del rachide in toto sotto carico nelle due proiezioni anteroposteriore e laterolatera-le. La radiografia mostrava una curva lombare sinistra di circa 25° e una curva dorsale destra di 20°, Risser 0. Nella proiezione laterale, viene confermato il dorso piatto.

diagnosi: Scoliosi idiopatica adolescen-ziale. Non è necessario approfondire con altri esami diagnostici, in quanto l’esame neurologi-co ha escluso problemi tipo ernie e altri disturbi da indagare con ulteriori esami e il dolore non è irradiato. La scoliosi in adolescenza non è mai dolorosa. Il dolore in questo caso dipende dallo stile di vita troppo sedentario e dalle postura seduta tenuta tanto a lungo. I FANS in questi casi danno un modesto beneficio, e la ragazza migliora anche senza la loro assunzione. Il ripo-so a letto rallenta la guarigione della lombalgia e deve essere limitato.

Prescrizione: Corsetto rigido associato ad esercizi specifici oppure corsetto elastico. Si tratta di una scoliosi di media entità con ri-schio evolutivo, con necessità di intervenire in tempi rapidi con un ortesi, da associare ad esercizi specifici. Gli esercizi da soli in questo caso non forniscono sufficienti garanzie di stabilizzazione della curva.

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Per monitorare l ’evoluzione della scoliosi è indispensabile la valutazione clinica specialistica ogni 3-6 mesi e la radiografia in media ogni 12 mesi.

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in particolare a carico della mammella in pazienti che avevano avuto diagnosi di scoliosi tra il 1912 e il 1965.

Le altre deformità vertebraliL’osteocondrosi giovanile, o morbo di Scheuermann, è la prima causa di mal di schiena nella tarda adolescenza; va sempre sospettato in caso di dolore persistente inter-scapolare (più frequente) o al passaggio dorsolombare, più raramente a livello lombare (dove invece la causa più frequente è la spondilolisi/spondilolistesi). Provoca un marcato incurvamento del dorso ed è associato alla cuneizzazione sul piano sagittale di alcune vertebre; tale deformità può colpire le vertebre del tratto dorsale, ma anche quelle del tratto lombare, determinando una iperci-fosi dorsale, una cifosi dorsolombare (cifosi giunzionale) o più raramente una cifosi lombare. Quando la deformità è particolarmente marcata il paziente giunge all’attenzione dello specialista non soltanto per l’evidente incurvamento del dorso, ma nella metà dei casi anche per la sintomato-logia algica lamentata. Colpisce prevalentemente i ma-schi, e si manifesta generalmente nella tarda adolescenza. Come per la scoliosi, il trattamento conservativo si basa su esercizi e corsetti, e può garantire risultati eccellenti.

La spondilolisi è una lesione da mancata fusione dell’ar-co posteriore della vertebra o da frattura da stress. La causa è ignota; si localizza a livello delle ultime vertebre lombari e può portare ad un graduale scivolamento anteriore del corpo vertebrale (anterolistesi). Tale lesione riconosce cause congenite, malformative o post traumatiche e il dolore è spesso il primo segno clinico di spondilolisi e spondilo-listesi, soprattutto quando sopraggiungono acutamente.

Sport e deformità vertebrali: terapia o fattore di rischio?

La tradizione ha attribuito ai vari sport valenze diverse che vanno dal potenziale terapeutico al

fattore di rischio per i pazienti affetti da deformità vertebrali, in larga parte sulla base delle ipotesi patogenetiche e solo eccezionalmente sulla base di studi scientifici. Gli sport a-simmetrici sono tradizionalmente considerati ad alto rischio per la progressione delle deformità vertebrali. Alcuni esperti suppongono infatti che la ripartizione asimmetrica dei ca-richi dia luogo a una progressiva alterazione dell’accresci-mento vertebrale, favorendo la comparsa e l’evoluzione della scoliosi. Il tennis è sicuramente il più diffuso tra gli sport asimmetrici, ma sebbene fino ad oggi sconsigliato, i pochi recenti dati che abbiamo a disposizione non giustificano

affatto l’atteggiamento negativo nei suoi confronti, perché chi lo pratica ha una prevalenza di deformità vertebrali si-mile a quella della popolazione generale. Negli anni il nuoto ha avuto un ruolo da protagonista tra gli sport “terapeutici” per la colonna vertebrale, perché è uno sport considerato completo, ossia che allena tutto il corpo, è in scarico e fa bene all’apparato cardiorespiratorio. In realtà, oggi questo mito è stato sfatato: gli adolescenti che praticano nuoto agonistico sono più frequentemente positivi al test di Adam, con gibbi superiori ai 7° Bunnell (quindi con indicazione all’approfondimento radiografico) rispetto ai coetanei presi da una normale popolazione scolastica. Anche dal punto di vista posturale, il nuoto non aiuta: i nuotatori sono maggior-mente affetti da ipercifosi rispetto alla popolazione generale. Questo può dipendere dal fatto che l’attività in scarico non aiuta a rinforzare i muscoli antigravitari e i giovani atleti spesso tendono a “collassare” posturalmente. Due miti sono quindi crollati: quello del tennis come attività pericolosa per la colonna e quella del nuoto come terapia della scoliosi e delle deformità vertebrali.

In tutti gli sport che richiedono alta precisione nel gesto atletico sono necessarie numerose ore di allenamento anche a livelli medio bassi. È il caso della danza, nella ginnastica ritmica, artistica o acrobatica, pattinaggio artistico, nelle quali le sessioni di allenamento saranno molto impegnative. In quest’ottica lo sport inizia ad assumere una connota-zione negativa. Allenamenti frequenti, esercizi di carico e ad alto impatto, possono effettivamente mettere sotto stress il fisico dei giovani atleti e favorire lo sviluppo di deformità vertebrali o più in generale di problematiche a carico dell’apparato locomotore. In alcuni casi il dolore alla schiena è il primo campanello d’allarme che permet-te di mettere in evidenza il problema, e l’età dei giovani atleti sembra essere un fattore predisponente rispetto al rischio di trauma da sport. Ipermobilità e iperlassità so-no notoriamente fattori favorenti la scoliosi, ecco perché la letteratura ha analizzato i ballerini professionisti e le ginnaste agoniste ‒ in particolare le atlete della ginnastica ritmica ‒ identificando un più alto rischio di scoliosi. Le ginnaste della ritmica presentano una prevalenza di scoliosi 10 volte più alta che nella popolazione generale; i fattori di rischio coinvolti sono la lassità legamentosa generalizzata, il ritardo nella maturazione ossea e i carichi asimmetrici a livello delle vertebre. Si tratta tuttavia di atlete di alto livello, che in media si allenavano per 30 ore settimanali, arrivando anche a 40. Per quanto riguarda la danza, oltre a studi condotti su ballerine professioniste adulte, è apparso recentemente un piccolo studio su una popolazione ado-lescente, la cui attendibilità è fortemente limitata da bias A

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nella selezione delle partecipanti. L’applicazione di questi dati alle popolazioni di adolescenti affetti da scoliosi deve essere fatta con estrema cautela, per le numerose differenze che possono entrare in gioco. Demonizzare questi sport vietandoli ai ragazzi non è corretto, ma tenere nella giusta considerazione i fattori di rischio connessi con alcune di-scipline sportive e la scoliosi è fondamentale nel guidare le scelte terapeutiche. Estensioni estreme del rachide ri-petute e movimenti di flesso-estensione ad alto impatto, tipici della ginnastica artistica e ritmica, sembrano esporre i giovani ginnasti ad un rischio più elevato di spondilolisi e spondilolistesi, con una prevalenza dimostrata in alcuni studi del 50%. Ma anche qui i risultati sono contrastanti e uno studio del 2010 ha riscontrato tra i ginnasti la stessa prevalenza di spondilolistesi della popolazione generale, ovvero 6,5%. Anche altre attività sportive caratterizzate da salti frequenti espongono a questo rischio, soprattut-to nei soggetti predisposti, ma tra le ginnaste il disturbo sembra essere più frequente o sicuramente più indagato a livello scientifico. Gli sport ad alto carico, che prevedono il sollevamento di pesi importanti, potrebbero esporre i giovani atleti al rischio di osteocondrosi vertebrale. Questa ipotesi si basa sull’evidenza di alterazioni dell’accrescimen-

to frequenti tra i ginnasti agonisti. Alcuni autori hanno ipotizzato che alcuni sport possano rallentare la crescita ossea, tale ipotesi era generata dalla bassa statura tipica dei ginnasti. Un rallentamento della crescita ossea e un ritar-do nella maturazione sessuale, potrebbero avere un ruolo tra i fattori favorenti le deformità vertebrali, alcuni autori ipotizzano un ruolo dello sport agonistico nel generare questo ritardo nell’accrescimento, ma la lettura su questo argomento presenta dati contrastanti. Un ultimo aspetto riguarda la pratica sportiva nei ragazzi che sono in terapia con il corsetto. Non ci sono particolari limitazioni da questo punto di vista, e che generalmente i ragazzi continuano la pratica dello sport anche dopo l’inizio del trattamento. A parte gli sport di contatto e il nuoto, la maggior parte delle attività sportive può essere praticata anche indossando il corsetto, e questo aspetto è particolarmente utile. Dal punto di vista psicologico, capire che anche con il corsetto ci si può muovere senza problemi è un grande sollievo e migliora l’adesione al trattamento. Dal punto di vista fisico, invece, il movimento aumenta l’efficacia e la forza delle spinte applicate al tronco dal corsetto.

CASO CLINICO 2

Giulia ha 14 anni, da quando ne aveva 7 fa nuoto e da circa 4 anni è entrata nella squadra agonistica della sua società sportiva. Si allena 2 ore al giorno 5 giorni alla settima-na, ed è una promessa del nuoto italiano. Ha stabilito il record della sua categoria per i 100 metri a farfalla, ma alle gare fa un po’ tutti gli stili. Spesso nei fine settimana è im-pegnata nelle gare. Oltre all’allenamento in acqua, da alcuni mesi, ha iniziato anche la preparazione atletica in palestra, due volte a settimana per 1 ora. Giulia è alta 1,62 e pesa 42 kg, non ha ancora avuto il menarca. Da un paio di mesi lamenta dolore lombare, in particolare post allenamento. Il dolore è lombare mediano, non si irradia al fianco né al gluteo. Il dolore si presenta a fine allena-mento e generalmente regredisce spontane-amente con il riposo notturno. Alcuni giorni fa però, il dolore si è presentato in maniera

più insistente. In occasione della gita scola-stica, Giulia aveva camminato ed era stata in piedi per molte ore. L’esperienza della gita scolastica era stata rovinata dalla persistenza di questo fastidioso dolore: allarmata Giulia insieme alla famiglia si rivolge al pediatra. Alla visita il medico non rileva segni di scoliosi, solo una lieve asimmetria dei triangoli della taglia e invia allo specialista, il quale, dopo attentata anamnesi sul dolore, procede alla visita. All’osservazione nota lieve asimmetria della scapola destra e lieve asimmetria del fianco sinistro. Test di Adams negativo. Il ra-chide è mobile, non dolente alla mobilizzazio-ne in tutti i piani di movimento, gli estensori del tronco sono lievemente ipostenici. Segni neurologici negativi. I segni puberali sono ormai evidenti, nonostante la mancanza del menarca. Considerata però la persistenza del dolore e l’impatto dello stesso sulla quotidia-

nità della ragazza, lo specialista prescrive una radiografia del rachide in toto sotto carico nelle due proiezioni. La radiografia mostra una curva dorsolombare destra, di circa 9° Cobb, Risser 0.

diagnosi: Lombalgia subacuta. Il dolore in questo caso dipende dai carichi sportivi esagerati considerata la giovanissima età os-sea della paziente. Clinica e radiografia non supportano diagnosi di scoliosi.

Prescrizione: Esercizi mirati per migliorare il sostegno della colonna e risolvere il dolo-re. Inoltre è opportuno indagare sul tipo di esercizi che vengono svolti in palestra per la preparazione atletica e ridurre un po’ i carichi. Se in un paio di mesi il dolore non dovesse migliorare in maniera significativa sarebbe opportuno rivalutare clinicamente il quadro ed eventualmente fare una risonanza magnetica.

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Demonizzare non è corretto, ma tenere nella giusta considerazione i fattori di rischio connessi con alcune discipline sportive e la scoliosi è fondamentale.

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La lombalgia degli adolescenti

F ino a qualche decennio fa si pensava che la lombalgia fosse appannaggio dell’età adulta e che

i dolori al rachide in età evolutiva fossero segno di una importante patologia di natura organica, infettiva, infiam-matoria o neoplastica. Dagli inizi degli anni ’90 in poi una serie di studi ha rivoluzionato le precedenti credenze epidemiologiche, dimostrando come in realtà tale sin-tomo in età evolutiva sia molto più frequente di quanto tradizionalmente ritenuto. La prevalenza di un singolo episodio acuto di lombalgia in età evolutiva oscilla tra il 4,7 ed il 74,4%. L’incidenza invece sarebbe compresa tra l’11,8 ed il 33%. Tale variabilità dipende in parte dal “de-cadimento della memoria”, che porta i ragazzi (ma anche gli adulti) progressivamente a dimenticare la collocazione temporale dell’episodio; inoltre, questionari con domande aperte o a scelta multipla, interviste, visite mediche. Ci sono poi dei fattori culturali che possono generare ulte-riori differenze tra i vari Paesi del mondo. Bisognerebbe addirittura separare l’età infantile (fino ai 10 anni) dalla prima adolescenza (10-14 anni) e dalla tarda adolescenza (14-19 anni) nell’impostazione degli studi, perché mentre nel primo periodo lo sviluppo sarebbe simile tra maschi e femmine, dai 10 anni in poi vi è evidenza del fatto che la lombalgia insorgerebbe in modo lievemente più precoce e sarebbe più comune nelle femmine, di pari passo pro-babilmente con lo sviluppo puberale. Infine la prevalenza della lombalgia aumenta nella tarda adolescenza e la sua presenza, in questa fascia di età, risulta significativamente associata con la lombalgia durante l’età adulta. Un ultimo interessante dato epidemiologico da tenere in conside-razione, è quello per cui quasi la totalità degli studi che hanno analizzato questo aspetto hanno effettuato cam-pionamenti all’interno della popolazione scolastica, men-tre poco o nulla è noto dei soggetti in età evolutiva, che per svariati motivi socio-culturali non rientrano in questa categoria. In adolescenza la lombalgia si associa ad alcune patologie, in particolare del morbo di Scheuermann (più frequente a livello dorsale) ma soprattutto spondilolisi e spondilolistesi. Ma l’elemento più importante è rappre-sentato dall’attività fisica, che presenta una correlazione a U con la patologia: livelli troppo alti o troppo bassi

di attività fisica sono frequentemente causa di disturbi, mentre un moderata e regolare attività fisica svolge un ruolo protettivo. La scarsa attività fisica nei soggetti in età evolutiva, rappresenta quindi un problema. Nel mondo occidentale infatti, solo il 34% circa dei ragazzi tra i 4 ed i 12 anni rispetterebbe le linee guida internazionali, che prevedono un minimo di 60 minuti di attività fisica giornaliera, di moderata intensità, durante la settimana. Nel rapporto tra sport agonistico e lombalgia sembrano entrare in gioco diversi fattori, quali ad esempio il tipo di sport, il livello di competitività, l’intensità dell’allena-mento fisico e i traumi vertebrali acuti. Alcune discipline sono state tradizionalmente associate alla lombalgia, tra questi la pallavolo, il tennis, il body building, la ginnasti-ca aerobica ed il ciclismo, mentre altre sono state finora considerate protettive: una su tutte, il nuoto. Il nuoto è un’attività frequentemente consigliata dagli specialisti in caso di lombalgia: generalmente è ben tollerato an-che nelle fasi di dolore grazie al sostegno passivo dato dall’acqua, e questo è uno degli elementi che lo ha fatto considerare persino terapeutico. Il discorso però è ben diverso se pensiamo alla sua pratica agonistica durante l’adolescenza. Recenti studi hanno infatti trovato una maggiore prevalenza di lombalgici tra chi praticava il nuoto a livello agonistico in questa fase dello sviluppo. Il rapporto tra il nuoto e la lombalgia è chiaramente di-pendente dalla frequenza settimanale con il quale viene praticato. Se da un lato il nuoto praticato intensamente (10-15 ore a settimana) è associato a lombalgia, una pratica ricreativa limitata a un paio d’ore settimanali ha mostrato un effetto protettivo. La causa dei dolori può essere ricer-cata nei sovraccarichi dovuti all’eccessiva mole di lavoro e allo stress fisico che ne consegue. Un’altra ipotesi invece si basa sul fatto che gli sport caratterizzati da un’eccessiva azione mobilizzante sulla colonna (tra questi includiamo anche la ginnastica ritmica, ad esempio), in soggetti in spinta puberale e dunque con una maggiore predispo-sizione alla lassità dei tessuti molli, potrebbero portare ad una ipotetica “instabilità funzionale”, che si manife-sterebbe con episodi di algia, in chi pratica tali sport a livello agonistico. Sport come la pallavolo, il body buil-ding e la ginnastica aerobica sono ritenuti in letteratura A

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Fino a qualche decennio fa si pensava che la lombalgia fosse appannaggio dell ’eta adulta.

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responsabili di una maggiore incidenza di lombalgia e ciò potrebbe essere dovuto alla specificità del gesto atletico di tali attività sportive, caratterizzate da movimenti ripetuti (ad esempio il jogging e lo stepping), che sottopongono i dischi intervertebrali a considerevoli pressioni, che li esporrebbero più facilmente al danno, con conseguente insorgenza di mal di schiena. Le eccessive pressioni, a cui il disco è sottoposto, potrebbero essere incrementate dal sovrappeso o dalla presenza di alterazioni strutturali o di scarso tono-trofismo muscolare, che numerosi adolescenti manifestano nel momento in cui cominciano a praticare questi sport. Un discorso a parte poi meritano alcune specialità sportive come la ginnastica ritmica e la ginna-stica artistica: sono infatti particolarmente mobilizzanti e sottopongono la colonna vertebrale ad un ripetitivo sovraccarico in iperestensione; stressando in questo modo continuamente la componente posteriore della colonna e predisponendo all’insorgenza di eventi traumatici, quali la spondilolisi. Il danno anatomico quindi si manifesta con relativa frequenza, e si associa ai sovraccarichi funzionali nel causare lombalgia e può spiegare l’elevata prevalenza di lombalgia in questo gruppo di sportivi. In parallelo ai rischi legati all’eccessiva pratica di un singolo sport, è interessante sottolineare che i ragazzi, che praticano differenti sport durante la settimana, sembrano essere meno soggetti all’insorgenza di algie vertebrali rispetto ai coetanei atleti, che praticano una singola disciplina a livello agonistico. Questo effetto dipende probabilmente dalla differente sollecitazione fisica che caratterizza ogni singola disciplina: variare spesso la modalità e il tipo di allenamento protegge maggiormente le strutture che vi-ceversa sarebbero eccessivamente sollecitate e andrebbero incontro a sovraccarichi e precoce degenerazione.

Conclusioni

I risultati contrastanti sul rapporto tra le pa- tologie della colonna e la scoliosi portano a con-

cludere che soggetti predisposti a sviluppare deformità vertebrale, possano essere a maggiore rischio di patologie se praticano sport a rischio, ma anche che alcuni sport potrebbero predisporre maggiormente allo sviluppo di tali problematiche. Lo sport a giuste dosi aiuta a cre-scere sani, ma considerarlo una terapia è un errore, così come è sbagliato vietare alcuni sport rispetto ad altri, definendoli pericolosi. L’ideale è intervenire con terapie specifiche e di efficacia dimostrata in maniera tempestiva ma solo in caso di patologia, motivare i ragazzi a curarsi, cercando di adeguare l’attività sportiva alla terapia con l’obiettivo di risolvere il problema e garantire al paziente di poter continuare a coltivare la propria passione. In questo ambito la collaborazione con l’allenatore diventa fondamentale. Lo sport è raccomandato per i benefici generali che può garantire ai ragazzi, sia da un punto di vista fisico che psicologico e relazionale. Da questo punto di vista lo sport migliore è senza dubbio quello preferito da ciascuno, perché solo la passione può garan-tire una pratica costante, partecipe e positiva. I vecchi miti del nuoto come panacea per le patologie della co-lonna e del tennis e degli altri sport asimmetrici come elementi favorenti la deformità sono stati sfatati, e le raccomandazioni a tale riguardo devono essere aggior-nate in base all’attuale evidenza scientifica .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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al palivizumab associata alle sostituzioni amminoacidiche N262D,K272E/Q o S275F/L con una conseguente frequenza di resistenzaassociata a mutazione del 6,3%. L’analisi dei dati clinici non ha evi-denziato un'associazione tra le modifiche della sequenza del sitoantigenico A e la gravità della malattia VRS nei bambini che ricevonol’immunoprofilassi con palivizumab e sviluppano la malattia VRS deltratto respiratorio inferiore. L’analisi di 254 isolati clinici VRS rac-colti da soggetti naïve all’immunoprofilassi ha riscontrato una resi-stenza al palivizumab associata a 2 sostituzioni (1 con N262D e 1con S275F), con una conseguente frequenza di resistenza asso-ciata a mutazione dello 0,79%. Immunogenicità Anticorpi anti-pa-livizumab sono stati riscontrati approssimativamente nell’1% deipazienti nello studio IMpact-RSV durante la prima fase della terapia.E’ stato un fenomeno transitorio di basso titolo, risolto nonostantel’uso continuato (prima e seconda stagione), e non è stato eviden-ziato su 55 dei 56 neonati durante la seconda stagione (inclusi 2 contitolazione durante la prima stagione). L’immunogenicità non è stataindagata nello studio sulla malattia cardiaca congenita. Anticorpiverso il palivizumab sono stati valutati in quattro ulteriori studi in4337 pazienti (bambini nati a 35 settimane di gestazione o meno e6 mesi di età o meno, o 24 mesi di età o meno con displasia bron-copolmonare, o con significativa malattia cardiaca congenita emo-dinamicamente significativa quando venivano inclusi in questi studi)e sono stati osservati in 0% - 1,5% di pazienti a differenti intervallidegli studi. Non è stata osservata nessuna associazione tra la pre-senza di anticorpi ed eventi avversi. Pertanto, le risposte immunita-rie all’anticorpo anti-farmaco (anti-drug antibody, ADA) sembranoessere non clinicamente rilevanti. Studi clinici con palivizumabliofilizzato In uno studio clinico controllato con placebo nella profi-lassi del VRS (studio IMpact-RSV) effettuata su 1502 bambini adalto rischio (1002 SYNAGIS; 500 placebo), 5 dosi mensili di 15mg/kg hanno ridotto l’incidenza dell’ospedalizzazione legata al VRSdel 55% (p=<0,001). La percentuale di ospedalizzazione dovuta avirus respiratorio sinciziale nel gruppo placebo è stata del 10,6%. Suquesta base, la riduzione del rischio assoluto è pari al 5,8% che si-gnifica che il numero di pazienti da trattare necessario per preve-nire una ospedalizzazione è 17. La gravità della infezione da VRS inbambini ospedalizzati, nonostante la profilassi con palivizumab, nonha ridotto percentualmente nè i giorni di degenza in terapia inten-siva nè i giorni di respirazione meccanica assistita. Un totale di 222bambini sono stati arruolati in due studi separati per esaminare lasicurezza del palivizumab quando somministrato per la secondastagione VRS. Centotre (103) bambini hanno ricevuto mensilmenteiniezioni di palivizumab per la prima volta, e 119 bambini hanno ri-cevuto palivizumab per due stagioni consecutive. Non è stata os-servata differenza tra i gruppi per quanto riguarda l’immunogenicitàin entrambi gli studi. Comunque, siccome l’efficacia del palivizu-mab quando somministrato a pazienti come secondo ciclo di trat-tamento durante l’insorgenza della stagione VRS non è stataformalmente investigata in uno studio condotto con questo obiettivo,è sconosciuta la rilevanza di questi dati in termini di efficacia. In unostudio clinico prospettico in aperto disegnato per la valutazione dellafarmacocinetica, della sicurezza e dell’immunogenicità dopo lasomministrazione di 7 dosi di palivizumab nell’arco di una singolastagione VRS, dati di farmacocinetica hanno indicato che adeguatilivelli medi di palivizumab erano stati raggiunti in tutti i 18 bambinireclutati. Livelli anticorpali bassi e transitori di anticorpi anti-palivi-zumab sono stati osservati in un bambino dopo la seconda dose dipalivizumab e tali anticorpi si sono ridotti ad un livello non misura-bile alla quinta e settima dose. In uno studio controllato con placebosu 1287 pazienti di età ≤24 mesi con malattia cardiaca congenitaemodinamicamente significativa (639 SYNAGIS; 648 placebo) 5 dosimensili di 15 mg/kg di SYNAGIS hanno ridotto l’incidenza di ospe-dalizzazione da VRS del 45% (p = 0,003) (studio sulla malattia car-diaca congenita). I gruppi erano equamente bilanciati tra pazienticianotici e non cianotici. La percentuale di ospedalizzazione da VRSè stata del 9,7% nel gruppo placebo e del 5,3% nel gruppo SYNA-GIS. Il secondo obiettivo dello studio sull’efficacia su 100 bambini hamostrato significative riduzioni nel gruppo SYNAGIS rispetto a quelloplacebo sul totale dei giorni di ospedalizzazione per VRS (riduzionedel 56%, p = 0,003) e sul totale dei giorni di VRS con l’aggiunta diun supplemento di ossigeno (riduzione del 73%, p=0,014). Uno stu-dio osservazionale retrospettivo è stato condotto in bambini con di-sturbi cardiaci congeniti emodinamicamente significativi (HSCHD)per confrontare il verificarsi di gravi eventi avversi primari (infe-zione, aritmia e morte) tra coloro che hanno ricevuto la profilassicon SYNAGIS (1009) e coloro che non l’hanno ricevuta (1009) com-binati per età, tipo di lesione cardiaca e precedente chirurgia cor-rettiva. L’incidenza di aritmia e di morte è stata simile sia neibambini che hanno ricevuto la profilassi sia nei bambini che nonl’hanno ricevuta. L’incidenza di infezione è stata inferiore nei bam-bini che hanno ricevuto la profilassi rispetto a quelli che nonl’hanno ricevuta. I risultati dello studio indicano che il rischio digrave infezione, grave aritmia o morte nei bambini con disturbi car-diaci congeniti emodinamicamente significativi associati alla pro-filassi con SYNAGIS non è aumentato rispetto ai bambini che nonhanno ricevuto la profilassi. Studi usando palivizumab liquidoSono stati condotti due studi clinici per confrontare direttamente laformulazione liquida e quella liofilizzata di palivizumab. Nel primostudio, tutti i 153 neonati prematuri hanno ricevuto entrambe leformulazioni in sequenze diverse. Nel secondo studio, 211 e 202neonati prematuri o bambini con una malattia polmonare cronicahanno ricevuto rispettivamente palivizumab liquido e liofilizzato. Indue studi supplementari, palivizumab liquido è stato utilizzato comecontrollo attivo (3918 soggetti pediatrici) per valutare un anticorpomonoclonale in fase di sperimentazione per la profilassi della ma-lattia da VRS grave nei neonati prematuri o in bambini con malattiapolmonare cronica o con una malattia cardiaca emodinamicamentesignificativa (vedere di seguito per ulteriori dettagli su questi duestudi). Il tasso globale e lo schema degli eventi avversi, l’analisi dellasospensione del trattamento a causa degli eventi avversi, e il nu-mero di decessi riportati in questi studi clinici sono stati coerenti conquelli osservati durante i programmi di sviluppo clinico per la for-mulazione liofilizzata. Nessun decesso è stato considerato corre-lato al palivizumab e non sono stati identificati nuovi eventi avversiin questi studi. Neonati pretermine e bambini con Malattia Polmo-nare Cronica di Prematurità (BPD): in questo studio, condotto in347 centri nel Nord America, Unione Europea e altri 10 paesi, hannostudiato i pazienti con un’età pari o inferiore a 24 mesi con BPD epazienti con nascita prematura (inferiore o uguale a 35 settimanedi gestazione), che avevano un’età pari o inferiore a 6 mesi all'ini-zio dello studio. I pazienti con malattia cardiaca congenita emodi-namicamente significativa sono stati esclusi da questo studio esono stati studiati in uno studio separato. In questo studio, i pa-zienti sono stati randomizzati per ricevere 5 iniezioni mensili di 15

mg/kg di palivizumab liquido (N = 3306), utilizzato come controlloattivo di un anticorpo monoclonale in fase di sperimentazione (N =3329). La sicurezza e l’efficacia sono state monitorate in questisoggetti per 150 giorni. Il novantotto per cento di tutti i pazienti chehanno ricevuto palivizumab hanno completato lo studio e il 97% haricevuto tutte e cinque le iniezioni. L'endpoint primario era l'inci-denza di ospedalizzazione da VRS. Ricoveri per VRS si sono verifi-cati in 62 dei 3306 (1,9%) pazienti nel gruppo palivizumab. Il tassodi ospedalizzazione VRS osservato nei pazienti arruolati con unadiagnosi di BPD era 28 su 723 (3,9%) e nei pazienti arruolati conuna diagnosi di prematurità senza BPD era 34 su 2583 (1,3%).Studio 2 CHD: questo studio, condotto in 162 centri in Nord Ame-rica, Unione Europea e altri 4 paesi, per oltre due stagioni di VRS,ha studiato i pazienti con un’età pari o inferiore a 24 mesi con CHDemodinamicamente significativa. In questo studio, i pazienti sonostati randomizzati a ricevere 5 iniezioni mensili di 15 mg/kg di pa-livizumab liquido (N = 612), utilizzato come controllo attivo di unanticorpo monoclonale in fase di sperimentazione (N = 624). I sog-getti sono stati stratificati in base alla lesione cardiaca (cianotico vsaltro) e la sicurezza e l’efficacia sono state monitorate per 150giorni. Il novantasette per cento di tutti i pazienti che hanno rice-vuto palivizumab hanno completato lo studio e il 95% ha ricevutotutte e cinque le iniezioni. L'endpoint primario era una sintesi deglieventi avversi ed eventi avversi gravi, e l'endpoint secondario eral'incidenza di ospedalizzazione da VRS. L'incidenza di ospedaliz-zazione da VRS era di 16 su 612 (2,6%) nel gruppo palivizumab.5.2. Proprietà farmacocinetiche Formulazione liofilizzata dipalivizumab In studi su volontari adulti, il palivizumab ha mostratoun profilo farmacocinetico simile ad un anticorpo umano IgG1 inrelazione al volume di distribuzione (in media 57 ml/kg) e all’emi-vita (in media 18 giorni). In studi di profilassi su popolazioni pedia-triche di prematuri con displasia broncopolmonare, l’emivita mediadi palivizumab è stata di 20 giorni e dosi mensili intramuscolari di15 mg/kg hanno raggiunto concentrazioni sieriche medie di prin-cipio attivo al giorno 30 di circa 40 µg/ml dopo la prima iniezione,circa 60 µg/ml dopo la seconda iniezione, circa 70 µg/ml dopo laterza e la quarta iniezione. In uno studio sulla malattia cardiacacongenita dosi mensili per via intramuscolare di 15 mg/kg hannoraggiunto mediamente in 30 giorni il valore minimo di concentra-zioni sieriche di principio attivo che è approssimativamente di 55µg/ml dopo la prima iniezione e approssimativamente di 90 µg/mldopo la quarta iniezione. Nello studio sulla malattia cardiaca con-genita, dei circa 139 bambini che hanno ricevuto palivizumab, inquelli che avevano subito by-pass cardiopolmonare e per i qualierano disponibili campioni accoppiati di siero, la concentrazionesierica media di palivizumab è stata approssimativamente di 100µg/ml prima del by-pass cardiaco e diminuita ad approssimativa-mente 40 µg/ml dopo il by-pass. Formulazione liquida di palivi-zumab La farmacocinetica e la sicurezza della formulazione liquidadi palivizumab e della formulazione liofilizzata, dopo una sommi-nistrazione per via intramuscolare di 15 mg/kg, sono stati con-frontati in uno studio cross-over di 153 bambini di età inferiore ouguale a 6 mesi con una storia di prematurità (inferiore o pari a 35settimane di età gestazionale). I risultati di questo studio indicanoche le concentrazioni sieriche di palivizumab erano simili tra la for-mulazione liquida e la formulazione liofilizzata dimostrando la bioe-quivalenza tra la formulazione liquida e la formulazione liofilizzata.5.3 Dati preclinici di sicurezza In studi tossicologici monodosecondotti su scimmie (dose massima 30 mg/kg), conigli (dose mas-sima 50 mg/kg) e ratti (dose massima 840 mg/kg), non sono statirilevati dati significativi. Studi eseguiti su roditori non hanno dimo-strato un incremento della riproduzione di VRS, o patologie indotteda VRS o la generazione di virus mutanti in presenza di palivizumabnelle condizioni sperimentali adottate.6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE6.1 Elenco degli eccipienti Istidina, Glicina, Acqua per prepara-zioni iniettabili. 6.2 Incompatibilità Questo medicinale non deveessere miscelato con altri medicinali. 6.3 Periodo di validità 3anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conser-vare in frigorifero (2°C - 8°C). Non congelare. Conservare il fla-concino nella confezione esterna per proteggerlo dalla luce. 6.5Natura e contenuto del contenitore Flaconcini monouso: capa-cità di 3 ml, trasparente, flaconcino di vetro di tipo I incolore con untappo di clorobutile e sigillo flip-off contenente 0,5 ml o 1 ml di so-luzione iniettabile. Confezione da 1 pezzo. 6.6 Precauzioni parti-colari per lo smaltimento e la manipolazione Non miscelare laformulazione liquida di palivizumab con quella liofilizzata. Non di-luire il prodotto. Non agitare il flaconcino. Sia il flaconcino da 0,5 mlche da 1 ml contengono una quota in più che permette il prelievodi 50 mg o di 100 mg, rispettivamente. Per la somministrazione, ri-muovere l’aletta di alluminio dal cappuccio del flaconcino e pulireil tappo con etanolo al 70% o equivalente. Inserire l'ago nel fla-concino e prelevare dalla siringa il volume appropriato di soluzione.La soluzione iniettabile di palivizumab non contiene conservanti, èmonouso e deve essere somministrata immediatamente dopo averprelevato la dose nella siringa. Il medicinale non utilizzato e i rifiutiderivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformitàalla normativa locale vigente.7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIOAbbVie Ltd, Maidenhead, SL6 4XE, Regno Unito8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIOEU/1/99/117/003, EU/1/99/117/004AIC n. 034529038/E, AIC n. 034529040/E9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 13 Agosto 1999Data del rinnovo più recente: 13 Agosto 200910. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 04/2015 Confezione 100 mg/ml - soluzione iniettabile - flaconcino 0,5ml Prezzo ex factory (IVA inclusa): €544,86; Prezzo al pubblico(IVA inclusa): €899,24;Confezione 100 mg/ml - soluzione iniettabile - flaconcino 1,0ml Prezzo ex factory (IVA inclusa): €904,82; Prezzo al pubblico(IVA inclusa): €1493,33;Sconto obbligatorio alle strutture pubbliche sul prezzo Ex Factorycome da condizioni negoziali. Classe di Rimborsabilità: A-PT/PHT.Regime di fornitura: RRL (centri ospedalieri o di specialisti- pe-diatra, neonatologo, cardiologo, pneumologo, infettivologo, car-diochirurgo, allergologo).Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponi-bili sul sito web dell’Agenzia europea dei medicinali:http://www.ema.europa.eu

1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALESYNAGIS 100 mg/ml soluzione iniettabile.2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA1 ml di SYNAGIS contiene 100 mg di palivizumab*. Ciascun flacon-cino da 0,5 ml contiene 50 mg di palivizumab. Ciascun flaconcinoda 1 ml contiene 100 mg di palivizumab. *Palivizumab è un anti-corpo monoclonale umanizzato ricombinante prodotto da tecnolo-gia DNA nelle cellule ospiti del mieloma del topo. Per l’elencocompleto degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.3. FORMA FARMACEUTICASoluzione iniettabile. La soluzione è limpida o leggermente opale-scente.4. INFORMAZIONI CLINICHE4.1 Indicazioni terapeutiche SYNAGIS è indicato nella prevenzionedi gravi affezioni del tratto respiratorio inferiore, che richiedonoospedalizzazione, provocate dal virus respiratorio sinciziale (VRS) inbambini ad alto rischio di malattia VRS: • Bambini nati con età ge-stazionale uguale o inferiore alle 35 settimane e con un’età infe-riore ai 6 mesi all’esordio dell’epidemia stagionale da VRS. •Bambini di età inferiore ai 2 anni che sono stati trattati per displa-sia broncopolmonare negli ultimi 6 mesi. • Bambini di età inferioreai 2 anni con malattia cardiaca congenita emodinamicamente si-gnificativa. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Posolo-gia La dose raccomandata di Palivizumab è 15 mg per chilo di pesocorporeo, da somministrare una volta al mese durante i periodi incui si prevede il rischio di VRS nella comunità. Il volume (espressoin ml) di // Palivizumab // deve essere somministrato una volta almese ad intervalli = [peso del paziente in kg] moltiplicato per 0,15.Quando possibile, la prima dose deve essere somministrata primadell’inizio della stagione critica. Dosi successive devono essere som-ministrate una volta al mese durante il periodo di rischio. Non è statastabilita l’efficacia di palivizumab a dosi diverse da 15 mg per kg, oa dosaggi differenti da una volta al mese durante la stagione delVRS. La maggior parte delle esperienze, inclusi importanti studi cli-nici di fase III, con palivizumab sono state acquisite con 5 iniezionidurante una stagione (vedere paragrafo 5.1). Dati, seppure limitati,sono disponibili su più di 5 dosi (vedere paragrafi 4.8 e 5.1), pertantonon è stato stabilito il beneficio in termini di protezione al di sopradelle 5 dosi. Per ridurre il rischio di ripetuti ricoveri ospedalieri, neibambini che assumono palivizumab che sono stati ricoverati perVRS, si raccomanda di continuare la somministrazione di dosi men-sili di palivizumab per la durata della stagione del VRS. Per i bam-bini sottoposti a by-pass cardiaco, si raccomanda di somministrareuna iniezione di 15 mg/kg di peso corporeo di palivizumab non ap-pena si sia stabilizzato dopo l’intervento per assicuare adeguati li-velli sierici di palivizumab. Dosi successive devono riprenderemensilmente durante la restante stagione VRS per i bambini checontinuano ad esser ad alto rischio di infezione VRS (vedere para-grafo 5.2). Modo di somministrazione Palivizumab viene sommi-nistrato per via intramuscolare, preferibilmente nella parteanterolaterale della coscia. Il muscolo del gluteo non deve essereusato spesso come sito di iniezione poiché si rischia di danneggiareil nervo sciatico. L’iniezione dev’essere eseguita attraverso la tec-nica asettica standard. Le quantità di medicinale superiori ad 1 mldevono essere somministrate in dosi separate. SYNAGIS soluzioneiniettabile è una formulazione pronta per l'uso. Per le istruzioni suparticolari esigenze di trattamento, vedere paragrafo 6.6. 4.3 Con-troindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasidegli eccipienti elencati al paragrafo 6.1, o verso altri anticorpi mo-noclonali umanizzati. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’im-piego Sono state riportate reazioni allergiche inclusi casi molto raridi anafilassi e shock anafilattico in seguito a somministrazione di pa-livizumab. In alcuni casi, sono stati riportati decessi (vedere para-grafo 4.8). Devono essere disponibili prodotti medicinali per iltrattamento di gravi reazioni di ipersensibilità, inclusa l’anafilassi elo shock anafilattico, da usarsi immediatamente dopo la sommini-strazione di palivizumab. L’uso del palivizumab può essere riman-dato in presenza di infezioni gravi o moderate o in presenza diaffezioni febbrili, a meno che il medico non giudichi il ritardo nellasomministrazione del palivizumab come un ulteriore fattore di ri-schio. Una sindrome febbrile moderata, come per esempio infe-zione lieve del tratto respiratorio superiore, non comportasolitamente il rinvio della somministrazione del palivizumab. Palivi-zumab deve essere somministrato con cautela in pazienti con trom-bocitopenia o altri problemi di coagulazione. L’efficacia delpalivizumab quando somministrato a pazienti come secondo ciclodi trattamento nel corso di una nuova stagione epidemica VRS nonè stata formalmente valutata in uno studio con questo obiettivo. Ilpossibile rischio di insorgenza di infezione VRS nella seconda sta-gione epidemica nella quale i pazienti sono stati trattati con palivi-zumab non è stato definitivamente escluso con studi atti a valutarequesto particolare aspetto. 4.5 Interazioni con altri medicinali edaltre forme d’interazione Non sono stati condotti studi specifici diinterazione con altri medicinali. Negli studi clinici di fase III sull’in-cidenza di VRS nella popolazione pediatrica nata prematura e condisplasia broncopolmonare, i pazienti che ricevevano placebo e ipazienti che ricevevano palivizumab ai quali erano anche stati som-ministrati vaccini di routine per l’infanzia, vaccino dell’influenza,broncodilatatori o corticosteroidi, hanno presentato una distribu-zione simile e non sono stati osservati aumenti delle reazioni av-verse tra i pazienti trattati con questi farmaci. Poiché l’anticorpomonoclonale è specifico per il virus respiratorio sinciziale, il palivi-zumab non dovrebbe interferire con la risposta immunitaria ai vac-cini. Palivizumab può interferire con test diagnostici per il VRS abase immunitaria, come con alcuni test basati sull’individuazionedell’antigene. Inoltre, il palivizumab inibisce la replicazione del virusin coltura cellulare e, pertanto, può anche interferire con i test dicoltura virale. Palivizumab non interferisce con i test basati sullareazione della catena della polimerasi a trascrittasi inversa. L’inter-ferenza sui test potrebbe portare a risultati dei test diagnostici alVRS falsi-negativi. Pertanto, i risultati dei test diagnostici, quandoottenuti, devono essere utilizzati in congiunzione con i risultati cli-nici per guidare le decisioni mediche. 4.6 Fertilità, gravidanza e al-lattamento Non pertinente. SYNAGIS non è indicato per l’uso negliadulti. Non sono disponibili dati sull’uso in fertilità, gravidanza e du-rante l’allattamento. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicolie sull’uso di macchinari Non pertinente. 4.8 Effetti indesideratiSommario del profilo di sicurezza Le reazioni avverse più graviche si verificano con palivizumab sono l’anafilassi e altre reazioniacute di ipersensibilità. Le reazioni avverse più comuni che si veri-ficano con palivizumab sono febbre, eruzione cutanea e reazioni alsito di iniezione. Tabella delle reazioni avverse Le reazioni av-verse sia cliniche che di laboratorio, verificatisi in studi condotti supazienti pediatrici prematuri e con displasia broncopolmonare edin pazienti con malattia cardiaca pediatrica congenita, sono elencate

secondo la classificazione per sistemi e organi e per frequenza(molto comune ≥1/10; comune ≥1/100 a<1/10; non comune≥1/1000, <1/100; raro ≥ 1/10000 a <1/1000). Le reazioni avverseidentificate tramite sorveglianza post-marketing sono segnalate vo-lontariamente da una popolazione di dimensione incerta; non sem-pre è possibile stimare in modo attendibile la loro frequenza ostabilire una relazione causale con l'esposizione al palivizumab. Lafrequenza di queste reazioni avverse (RA), come riportato nella ta-bella sottostante è stata stimata utilizzando i dati di sicurezza deidue studi clinici di registrazione. L'incidenza di queste reazioni inquesti studi non hanno mostrato alcuna differenza tra i gruppi pa-livizumab e placebo e le reazioni non erano correlate al farmaco.Segnalazioni degli effetti indesiderati negli studi clinici* epost-marketing in pazienti pediatriciMedDRA Classificazione Frequenza RAper sistemi e organiPatologie del sistema Non comune Trombocitopenia#

emolinfaticoDisturbi del sistema Non nota Anafilassi, shockanafilattico immunitario (in alcuni casi,

sono stati riportati decessi.)#

Patologie del sistema Non comune Convulsioni#nervosoPatologie respiratorie, Comune Apnea#

toraciche e mediastinichePatologie della cute e del Molto comune Eruzione cutaneatessuto sottocutaneo

Non comune Orticaria#

Patologie sistemiche e Molto comune Febbrecondizioni relative alla sededi somministrazione Comune Reazione al sito

di iniezione

*Per la descrizione completa dello studio, vedere il Paragrafo 5.1Studi clinici #RA identificate dalla sorveglianza post-marketingDescrizione delle reazioni avverse selezionate Esperienza post-marketing. Sono state valutate reazioni avverse spontanee gravipost-marketing riportate durante il trattamento con palivizumab trail 1998 ed il 2002 che hanno coperto quattro stagioni epidemicheVRS. E’ stato ricevuto un totale di 1291 segnalazioni gravi in cui ilpalivizumab era stato somministrato come indicato e la durata dellaterapia era nell’arco di una stagione. La comparsa di reazioni av-verse è avvenuta dopo la sesta dose o oltre, in solo 22 di questesegnalazioni (15 dopo la sesta dose, 6 dopo la settima ed 1 dopol’ottava dose). Queste reazioni avverse hanno caratteristiche similia quelli dopo le iniziali 5 dosi. Il programma di trattamento con pa-livizumab e le reazioni avverse sono state monitorate in un gruppodi circa 20000 bambini seguiti attraverso un programma di ade-sione dei pazienti al trattamento, tra il 1998 ed il 2000. Di questogruppo, 1250 bambini arruolati hanno avuto 6 iniezioni, 183 nehanno avute 7 e 27 ne hanno avute 8 o 9. Reazioni avverse osser-vate in pazienti dopo la sesta dose o oltre hanno presentato carat-teristiche e frequenza simili a quelle dopo le iniziali 5 dosi. In unostudio osservazionale post-marketing basato su database è statoosservato un piccolo incremento della frequenza di asma tra i pa-zienti pretermine trattati con palivizumab; tuttavia, la relazione cau-sale è incerta. Segnalazione di sospette reazioni avverse Lasegnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopol’autorizzazione del medicinale è importante in quanto permette unmonitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio del medici-nale. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi rea-zione avversa sospetta tramite l’Agenzia Italiana del Farmaco, sitoweb: http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/responsabili. 4.9 Sovra-dosaggio In studi clinici, tre bambini sono stati sottoposti a dosi su-periori a 15 mg/kg. Queste dosi sono state di 20,25 mg/kg, 21,1mg/kg e 22,27 mg/kg. Non sono state evidenziate conseguenze cli-niche in questi soggetti. Dall’esperienza post-marketing, sono statiriportati sovradosaggi con dosi fino a 85 mg/kg e in alcuni casi, lereazioni avverse riportate non erano differenti da quelle osservatecon la dose di 15 mg/kg (vedere paragrafo 4.8). In caso di sovra-dosaggio, si raccomanda di monitorare il paziente per eventualisegni o sintomi di reazioni o effetti avversi e di istituire immediata-mente un appropriato trattamento sintomatico.5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica:immunoglobuline siero immune, Immunoglobuline specifiche; co-dice ATC J06BB16. Il palivizumab è un anticorpo monoclonale IgG1K

umanizzato diretto contro un epitopo nel sito antigenico A della pro-teina di fusione del virus respiratorio sinciziale (VRS). Questo anti-corpo monoclonale umanizzato ha una sequenza anticorpale dinatura umana (95%) e murina (5%). Ha una potente attività neu-tralizzante e inibitoria dei meccanismi di fusione nei confronti delVRS sia nei ceppi del sottotipo A che in quelli del sottotipo B. Nei rattidel cotone, concentrazioni sieriche di palivizumab approssimativa-mente di 30 µg/ml hanno dimostrato di produrre una riduzione dellareplicazione del VRS del 99% a livello polmonare. Studi in vitrodell’attività antivirale L'attività antivirale di palivizumab è stata va-lutata in un test di microneutralizzazione in cui concentrazioni cre-scenti di anticorpo sono state incubate con VRS prima dell'aggiuntadelle cellule epiteliali umane HEp-2. Dopo un periodo di incubazionedi 4-5 giorni, l'antigene VRS è stato misurato in un saggio immu-noenzimatico (ELISA). Il titolo di neutralizzazione (50% concentra-zione efficace [EC50]) è espresso come la concentrazione anticorpalein grado di ridurre il rilevamento dell'antigene VRS del 50% rispettoalle cellule infettate con il virus non trattate. Palivizumab mostra va-lori medi di EC50 pari a 0,65 µg/ml (media [deviazione standard] =0,75 [0,53] µg/ml, n = 69, intervallo 0,07-2,89 µg/ml) e di 0,28µg/ml (media [deviazione standard] = 0,35 [0,23] µg/ml, n = 35,intervallo 0,03-0,88 µg/ml), rispettivamente nei VRS A e VRS B iso-lati clinici. La maggior parte degli isolati clinici VRS testati (n = 96)sono stati prelevati da soggetti negli Stati Uniti. Resistenza Palivi-zumab si lega ad una regione altamente conservata nel dominioextracellulare della proteina F matura del VRS, indicato come sitoantigenico II o sito antigenico A, che comprende gli amminoacidi262-275. Un'analisi genotipica condotta su 126 isolati clinici da 123bambini che hanno fallito l'immunoprofilassi, tutti i mutanti VRS chemostravano resistenza al palivizumab (n = 8) hanno evidenziatomodifiche di aminoacidi in questa regione della proteina F. Non èstata mostrata nessuna variazione nella sequenza polimorfica o nonpolimorfica al di fuori del sito antigenico A della proteina F del VRSche renda VRS resistente alla neutralizzazione da palivizumab. Inquesti 8 isolati clinici VRS è stata identificata almeno una resistenza

Riassunto delle caratteristiche di prodotto Synagis 100 mg/ml soluzione iniettabile

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REPORt CLINICOV.S., nata a termine da taglio cesareo dopo gravidanza normodecorsa (non se-gnalate anomalie ecografiche pre-natali). Secondogenita di genitori sani, non con-sanguinei. Familiarità negativa per endo-crinopatie. Giunge alla nostra osservazione all’età di nove mesi per perdite ematiche vaginali della durata di sei giorni associate a evidenti segni di sviluppo puberale: telarca teso di 2x1,5 cm bilateralmente, areola pig-mentata e genitali esterni femminili estro-

genizzati con turgore delle piccole labbra e del clitoride. Restante obiettività negativa, in particolare non masse addominali pal-pabili, non peluria pubica né ascellare, non chiazze caffè-latte. Parametri auxologici al 50-90° percentile per età (peso 9660 gr, lunghezza 72 cm, CC 44,5 cm). Ad inqua-dramento diagnostico, la bambina effettua test da stimolo con GnRH con riscontro di valori di gonadotropine soppressi e di valori di estradiolo marcatamente elevati per età. L’ecografia addome rileva la presenza a li-

vello dell’ovaio sinistro di formazione cistica di 65x38x54 mm (pari a 71 mL), a margini netti e a contenuto liquido limpido e mostra un utero di dimensioni ingrandite per età (56x20x19 mm) e con rima endometriale ispessita. I marker tumorali risultano ne-gativi. Gli accertamenti effettuati (Tabella 1) orientano, quindi, verso la diagnosi di pubertà precoce periferica da cisti ovarica secernente. In considerazione della sto-ria naturale delle cisti ovariche secernenti (tendenza alla risoluzione spontanea), delle

Silvia L. C. MeroniElena Peroni

Paolo Del BarbaGianni Russo

Giovanna WeberUO Pediatria –

IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano

[ Caso CliniCo ]

Pubertà precoce periferica da cisti ovarica secernente Le cisti ovariche secernenti in età pre-pubere sono rare,ma rappresentano la principale causa di PPP.

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caratteristiche ecografiche morfo-strutturali della cisti, della negatività dei marker tumo-rali e dell’età della piccola paziente si opta per un atteggiamento conservativo e per uno stretto monitoraggio clinico, ormonale e strumentale. Inoltre, date le notevoli di-mensioni della cisti, con conseguente possi-bile rischio di complicanze (torsione ovarica, rottura, emorragia intra-cistica e compres-sione degli organi circostanti), i genitori vengono istruiti in merito alla necessità di condurre la bambina in pronto soccorso in caso di pianto inconsolabile non altrimenti giustificato o in caso di progressione dei segni clinici di sviluppo puberale. Dopo un’iniziale graduale risoluzione del quadro (regressione dei segni di sviluppo puberale, riduzione fino alla normalizzazione dei valori di estradiolo, riduzione dimensionale della formazione cistica e dell’utero), a distanza di due mesi V.S. si presenta nuovamente alla nostra attenzione per ricomparsa di per-dite ematiche vaginali associate a pianto inconsolabile. L’ecografia pelvica esclude un quadro di addome acuto, ma mostra un nuovo incremento dimensionale della nota formazione cistica (72x64x40 mm, pari a 90 mL, Figura 1), che presenta margini netti, contenuto liquido limpido finemente corpuscolato in sede declive e contenente un’ulteriore formazione cistica figlia di 26 mm. Previa esecuzione di RMN addominale (Figura 2), la bambina viene sottoposta a cistectomia laparoscopica (escissione della cisti con preservazione dell’adiacente tessu-to ovarico sano). L’esame istologico confer-ma la diagnosi di cisti follicolare semplice. Al successivo follow-up (di circa 24 mesi) si assiste a regressione completa dei segni clinici di sviluppo puberale e a normalizza-zione dei valori ormonali e delle dimensioni uterine per età.

Tabella 1. Parametri di laboratorio di V.S.

Esame di laboratorio Valore di V.S. Valori di riferimento

GnRH Test LH (mU/mL) FSH (mU/mL)

0,2 …0,3 …0,2 <0,3 …1 …1,3

Pre-pubere: basale < 0,1-0,2; picco <5

Estradiolo (pg/ml) 517… 354 <25

Prolattina (ng/ml) 21,5… 20,6 2,8-29,2

TSH (uU/mL) 2,38 0,25-5

fT4 (ng/dl) 1,37 0,7-1,7

β-HCG (U/L) 1,5 <5

AFP (ng/ml) 18,6… 16,1… 14 <10 (20)

CA 125 (Ul/mL) 1,37 <37

CEA (ng/ml) 1,2 <7

GICA/CA 19.9 (Ul/mL) <1 <37

Inibina B <7 >5

LDH (U/L 277 180-360

Introduzione

S i definisce pubertà precoce (PP) la comparsa di caratteri ses- suali secondari a un’età inferiore a due deviazioni standard rispetto alla media, cioè nelle femmine prima degli 8 anni.

La pubertà precoce può essere classificata in (Tabella 2):

· pubertà precoce centrale (PPC) o gonadotropino-dipendente o vera;

· pubertà precoce periferica (PPP) o gonadotropino-indipendente o pseudopubertà precoce;

· anticipi puberali isolati (telarca, pubarca e menarca precoci isolati).Nel sospetto di PP gli accertamenti elencati in Tabella 3 permettono di

confermare la diagnosi e definirne l’eziologia. In particolare, il test da stimolo con GnRH rappresenta il gold standard per la diagnosi: la risposta delle go-nadotropine allo stimolo permette, infatti, di differenziare tra forma centrale e periferica (risposta incrementata nella prima, risposta soppressa nella seconda). La PPP è causata da un’eccessiva secrezione di ormoni sessuali prodotti dalle gonadi, dai surreni o di origine esogena (endocrine disruptors) in assenza di attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. Le cisti ovariche secernenti in età pre-pubere sono rare, ma rappresentano la principale causa di PPP. L’e-pisodio può essere unico o può ricorrere ad intervalli di tempo imprevedibili.

Figura 2. Aspetto RMN della voluminosa cisti ovarica sinistra

Figura 1. Aspetto ecografico della cisti ovarica sinistra (contenente al suo interno una cisti figlia)

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Tabella 2. Classificazione della pubertà precoce nelle femmine

Pubertà precoce centrale

Idiopatica

Lesioni del SNC• Amartoma ipotalamico• Tumori cerebrali• Malformazioni congenite (cisti aracnoidea, idrocefalo,

difetti del tubo neurale)• Altre anomalie del SNC (neurofibromatosi, sclerosi tuberosa)• Infezioni • Traumi cranici• Irradiazione SNC

Esposizione cronica a steroidi endogeni (iperplasia surrenalica congenita o cisti ovariche ricorrenti)

Pubertà precoce periferica

Lesioni gonadiche Tumori ovarici Cisti follicolari ovariche secernenti estrogeni (isolate o sindrome McCune Albright)

Patologie surrenalicheTumori surrenaliciIperplasia surrenalica congenita

Ipotiroidismo primitivo (sindrome di Van Wyk-Grumbach)

Sostanze esogene ormono-simili (endocrine disrupters)

Neoplasie gonadotropino- secernenti (LH, FSH, β-HCG)

Ruolo dell’ecografia nella patologia ovarica

L’ecografia pelvica rientra negli esami di pri- mo livello per la diagnosi della PP e della patologia

ovarica. Tuttavia, soprattutto nel primo anno di vita, non sempre è semplice stabilire se una lesione addominale sia effettivamente di pertinenza ovarica. Una lesione addo-minale può essere definita come “cisti ovarica” se rispetta i seguenti criteri: (1) individuo di sesso femminile, (2) massa ben circoscritta, a lato della linea mediana, (3) normale anatomia del tratto intestinale e (4) normale anatomia del tratto urinario. Lo studio ecografico permette di definire le caratteristiche morfo-strutturali delle cisti (dimensioni, contenuto, spessore e regolarità delle pareti, presenza di vegetazioni, papille e/o setti, presenza di coaguli e/o calci-ficazioni) e la vascolarizzazione, distinguendo tra cisti sem-plice (lesione ben delimitata, a contenuto anecogeno con eventuali cisti figlie) e cisti complessa (lesione a contenuto misto, liquido e solido, con ecostruttura iper-ipo-anecogena

e con coaguli e/o calcificazioni, setti e/o vegetazioni). Si segnala che il riscontro ecografico di piccole cisti ovariche uniloculari di diametro inferiore a 1 cm è privo di signi-ficato clinico nelle bambine pre-puberi e pertanto non richiede ulteriori valutazioni. Le cisti ovariche associate a PPP presentano generalmente dimensioni maggiori a 2 cm. L’ecografia orienta circa la natura della lesione: in caso di cisti semplici uniloculari il rischio di malignità è minimo; in caso di masse ovariche solide il rischio di malignità è elevato. È stato introdotto un sistema di punteggio per predire il rischio di malignità della lesione ovarica, definito Ueland index. Tale index assegna un punteggio compreso tra 0 e 5 al volume e alla struttura morfologica della lesione (Figura 3). Uno score <5 è indicativo di lesione benigna, mentre uno score ≥7 è indicativo di lesione maligna.

Marker tumorali

I marcatori tumorali rappresentano uno stru- mento diagnostico utile per differenziare le diverse le-

sioni ovariche e per guidare l’approccio diagnostico-tera-peutico. Nell’ambito delle lesioni neoplastiche dell’ovaio, ciascun istotipo è correlato a differenti marcatori tumorali: i tumori a cellule germinali possono presentare elevati valori sierici di β-hCG, AFP, CA125, CA19.9, CEA e LDH; i tumori epiteliali possono essere caratterizzati da elevazione di β-hCG, AFP, CA125, CA19.9 e CEA; i tumori dello stroma e dei cordoni sessuali possono essere associati a elevati livelli di AFP, CA 125, LDH, CEA e inibina B. È importante sottolineare che in letteratura è descritto un incremento dei marcatori tumorali non solo nelle lesioni ovariche maligne, ma anche nel 20% circa delle lesioni benigne. Da segnalare, inoltre, che il rialzo dei marker tumorali, in particolare del CA125, può associarsi anche a patologie non neoplastiche (torsione ovarica, patologia infiammatoria pelvica, endometriosi, A

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Caso clinico Pubertà precoce periferica da cisti ovarica secernente

Volume tumore Struttura tumore Caratteristiche

0 <10 cm3 Pareti sottili, contenuto anecogeno

1 10–50 cm3 Pareti sottili, ecogenicità diffusa

2 >50–100 cm3 Pareti spesse, setti fini (<3 mm)

3 >100–200 cm3 Protusioni papillari ≥3 mm

4 >200–500 cm3 Complessa, prevalentemente solida

5 >500 cm3Complessa, aree solide e cistiche, liquido extra-lesionale

Figura 3. Ueland index

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malattia di Crohn, mestruazioni), riducendone, quindi, la specificità. Pertanto il ruolo dei marcatori tumorali nella patologia ovarica in età pediatrica rimane controverso. Certamente tale dato deve essere integrato con il quadro clinico e le caratteristiche della lesione all’imaging.

Diagnosi differenziale

In diagnosi differenziale è importante consi- derare le lesioni tumorali. Tumori maligni a cellule ger-

minali possono associarsi a PP come risultato della produ-zione di β-hCG ed estrogeni. Tumori maligni dello stroma e dei cordoni sessuali possono associarsi a PP come risul-tato della produzione di estrogeni (neoplasie a cellule della granulosa giovanile, carcinoma embrionale, poliembrioma) oppure di androgeni con conseguenti segni di virilizzazione (tumori di Sertoli–Leydig). Le neoplasie ovariche hanno un’incidenza che aumenta in modo direttamente propor-zionale all’età. Il tumore a cellule della granulosa giovanile si manifesta nella grande maggioranza dei casi (80-90%) con un quadro di PPP isosessuale (descritti casi sporadi-ci di PPP eterosessuale, espressione di un’esaltata attività androgenica da parte del tumore). L’inibina B, prodotta dalle cellule della granulosa, rappresenta un ottimo marker di tale neoplasia, sia nella diagnosi sia nel follow-up per determinare precocemente la recidiva. L’aspetto ecografi-co è estremamente variabile: può presentarsi come mas-sa solida o mista o come lesione cistica multiloculare. La prognosi è eccellente, essendo il tumore confinato all’ovaio in circa il 90% dei casi. Inoltre, le cisti ovariche secernen-ti possono essere una manifestazione isolata o associarsi con l’ipotiroidismo primitivo severo o con la sindrome di McCune-Albright (MAS). Quest’ultima è caratterizzata dalla tipica triade: displasia fibrosa poliostotica, chiazze caffè-latte con il caratteristico aspetto a “coast of Maine” (presenti già alla nascita o a comparsa nei primi mesi di vita) e iperfunzione endocrina autonoma, di cui l’iperfun-zione gonadica è quella più frequente. La MAS è causata da una mutazione missenso nel codone 201 dell’esone 8 del gene GNAS (situato sul cromosoma 20), codificante per la subunità – della proteina G stimolatoria (Gsα), implicata

nel pathway di trasduzione del segnale delle tropine ipofi-sarie. Tale mutazione determina l’attivazione costituzionale, indipendente dal ligando, del sistema Gs-adenilato ciclasi-cAMP e l’incremento della concentrazione intra-cellulare di cAMP con conseguenti proliferazione e arresto della differenziazione degli osteoblasti e aumentata attività degli osteoclasti, incremento della melanogenesi e autonoma iperfunzione delle ghiandole endocrine. La mutazione è somatica e post-zigotica, per cui ciascun individuo è un mosaico. Il fenotipo e l’estensione della patologia sono ete-rogenei poiché dipendono dall’epoca di sviluppo in cui av-viene la mutazione. Il numero di cellule mutate in un dato tessuto è molto variabile e può essere anche estremamente basso. Per tale motivo, l’analisi genetica su sangue e/o cute risulta positiva solo nel 20-25% dei pazienti, nonostante l’utilizzo di un metodo di rilevazione altamente sensibile.

Follow-up e terapia

Le cisti ovariche secernenti tendono alla re- gressione spontanea, con conseguente risoluzione dei

segni puberali e normalizzazione dei livelli ormonali. Occor-re pertanto prediligere un atteggiamento conservatore con stretto monitoraggio clinico, ormonale e strumentale. Nei casi dubbi (ma con marker negativi), l’attesa di 2-3 mesi ha il vantaggio di risparmiare una chirurgia inutile, senza aumen-

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Caso clinico Pubertà precoce periferica da cisti ovarica secernente

Le cisti ovariche secernenti tendono alla regressione spontanea, con conseguente risoluzione dei segni puberali e normalizzazione dei livelli ormonali.

Tabella 3. Esami per la diagnosi e la definizione eziologica della pubertà precoce

Accurata anamnesi familiare e personale

Esame obiettivo con parametri auxologici e definizione degli stadi di Tanner

Dosaggi ormonali basali (TSH, LH, FSH, 17β-estradiolo) e GnRH test

17-OH-progesterone, DHEAS, Δ4-androstenedione, testosterone (se manifestazioni androgeniche)

Se valori patologici di steroidi surrenalici: ACTH test ed ecografia surrenalica

Markers tumorali (β-HCG, AFP, CA125, CA19.9, CEA, inibina, LDH) se cisti/masse ovariche

Radiografia di mano e polso sinistro per studio età ossea (> 2 anni)

Ecografia pelvica con studio morfometrico di utero e ovaie

RM encefalo con studio della regione ipotalamo-ipofisaria (se PPC)

RM pelvi (se lesioni ovariche meritevoli di approfondimento)

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tare significativamente il rischio oncologico. La chirurgia è sicuramente indicata nei rari casi di complicanza acuta (torsione ovarica, rottura, emorragia intra-cistica e compres-sione degli organi circostanti), indipendentemente dalle ca-ratteristiche ecografiche della cisti, o in caso di persistenza o ulteriore incremento dimensionale della cisti dopo un tempo ragionevole di osservazione, di solito definito come 3-6 mesi. Non esiste un cut-off dimensionale che renda mandatorio l’intervento, poiché è stato dimostrato che anche cisti volu-minose possono andare incontro a risoluzione spontanea; il cut-off di 5 cm, proposto da alcuni autori, rimane pertanto ancora controverso. Il rischio di complicanze, in particolare di torsione ovarica, non è correlato unicamente al volume della cisti, ma anche ad altri fattori, quali la lunghezza del peduncolo della cisti, la lassità dei legamenti di supporto dell’ovaio, la lunghezza della tuba e dei vasi del mesosalpinge e le improvvise variazioni pressorie addominali.

L’obiettivo principale del trattamento chirurgico delle lesioni ovariche in età pediatrica è quello di preservare quanto più possibile la funzione della gonade e, quindi, la futura fertilità. Per questa ragione, nella letteratura scien-tifica la tendenza è verso una chirurgia più conservativa mediante un approccio laparoscopico. In caso di cisti ri-correnti è possibile intraprendere una terapia medica. La decisione deve considerare diversi fattori, quali la frequenza degli episodi di sanguinamento vaginale e l’eventuale avan-zamento della maturazione ossea. Gli inibitori dell’aroma-tasi si sono dimostrati efficaci nel rallentare l’avanzamento

dell’età ossea e nella riduzione/risoluzione degli episodi di sanguinamento vaginale, nonostante il loro utilizzo in tale situazione sia off-label. Infine, cisti ovariche ricorrenti con conseguente esposizione prolungata o ripetuta agli estro-geni possono determinare la precoce maturazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi con progressione da PPP a PPC (denominata PP combinata), potenzialmente meritevole di terapia con GnRH-analogo.

Discussione del caso

Il caso clinico ci è sembrato interessante in primo luogo per la giovane età della paziente; infatti,

la PPP da cisti ovarica secernente è rara in età pediatrica, ancor più nel primo anno di vita. La precocità del quadro ci ha fatto riflettere sulla possibilità di una MAS, pur in assenza delle caratteristiche chiazze caffè-latte. Solo un attento follow-up della paziente permetterà di escludere o confermare la diagnosi, in base alla ricorrenza degli epi-sodi e all’eventuale comparsa di ulteriori segni e/o sintomi associati alla sindrome. Attualmente, a distanza di 24 mesi dalla prima valutazione, la bambina gode di buona salute e non ha più presentato segni di sviluppo puberale.

La storia di V.S. ha richiesto la collaborazione di più specialisti, tra cui il pediatra di famiglia, l’endocrinologo pediatra, il ginecologo, il radiologo e, da ultimo, il chi-rurgo pediatra, sottolineando la complessità di gestione e la necessità di un percorso diagnostico-terapeutico in-dividualizzato.

Take-home message

Le cisti ovariche secernenti si caratteriz- zano per la loro tendenza alla risoluzione spontanea

nella grande maggioranza dei casi, per cui generalmente è consigliato solo uno stretto follow-up clinico, ormonale e strumentale. È necessario ricorrere alla chirurgia in rari casi selezionati (come nel caso di V.S.) e comunque sola-mente dopo un ragionevole periodo di osservazione. In caso di regressione spontanea del quadro è consigliabile proseguire un monitoraggio clinico, in considerazione del rischio di ricorrenza delle cisti e, in caso di esposizione prolungata o ripetuta agli estrogeni, del rischio di pos-sibile evoluzione in PPC, quest’ultima potenzialmente meritevole di terapia con GnRH-analogo .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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L a rinite allergica è una patologia della mucosa na-sale causata da un processo

infiammatorio che consegue ad una reazione immuno-mediata di tipo IgE verso un particolare allergene nei confronti del quale il soggetto è sensibilizzato. La rinite allergica è caratterizzata da uno o più dei seguenti sintomi: rinorrea acquosa, starnutazioni, prurito e ostruzione nasale, reversibili spontaneamen-te o dopo terapia; in alcuni casi è presente un consensuale interessa-mento della mucosa oculare che si manifesta con lacrimazione, prurito ed iperemia congiuntivale, configu-rando il quadro della rinocongiun-tivite allergica. La rinite allergica è una patologia frequente anche in età pediatrica. Secondo diversi studi epidemiologici si calcola che colpisca oltre il 10% dei bambini nei primi 14 anni di età e fino al 20-30% degli adolescenti e dei giovani adulti. Le riniti causate da pollini tendono a manifestarsi dopo i 10 anni di vita, mentre i sintomi della rinite da allergeni perenni (come gli acari della polvere e i derivati animali) compaiono precocemente in età prescolare.1

[ EvidEnzE ]

La rinite allergica nel bambino

Se non diagnosticata e/o non adeguatamente trattata,la rinite allergica può incidere negativamente sulle performance scolastiche ed in generale sulla qualità della vita dei bambini

Amelia LicariGian Luigi Marseglia

Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche,

Diagnostiche e PediatricheUniversità degli Studi di Pavia –

Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo

lieVe• sonno conservato• nessuna limitazione nelle attività

quotidiane• normale attività lavorativa o

scolastica• non sintomi fastidiosi

iNterMitteNte< 4 giorni/settimana o < 4 settimane consecutive

Moderata-GraVe• alterazioni del sonno• limitazioni delle attività quotidiane• limitazioni del rendimento

scolastico o lavorativo• sintomi gravi

PerSiSteNte> 4 giorni/settimana e > 4 settimane consecutive

Figura 1. Classificazione della rinite allergica (modificato da [2]).

Clinica e classificazione

Secondo le linee guida ARIA la rinite viene attual-

mente classificata, sulla base della durata della sintomatologia clini-ca, in una forma intermittente e una forma persistente, a loro volta distinguibili per gravità della sin-tomatologia in lievi, moderate e gravi a seconda della presenza di ripercussioni della sintomatologia oculorinitica sull’attività scolasti-ca, lavorativa e ludica del soggetto (Figura 1).2 Tuttavia tale classifica-zione presenta alcune limitazioni, tra cui la mancanza di un approccio terapeutico basato sul controllo della patologia, analogamente

a quello dell’asma, e l’impossibilità di stratificare tutti i pazienti sulla base del fenotipo clinico.

Lo spettro delle manifestazioni cliniche riconducibili alla presen-za di rinite allergica è piuttosto ampio (Tabella 1) e può variare in base all’età. Il quadro della rinite intermittente da allergeni stagio-nali si caratterizza principalmente per la comparsa di prurito nasale, starnutazioni rinorrea acquosa e, nel caso di interessamento oculare, prurito ed iperemia congiuntivale, lacrimazione, senso di corpo estra-

neo nell’occhio, fotofobia ed edema palpebrale. Il prurito coinvolge spesso anche il palato molle per

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il trasporto degli allergeni verso il faringe da parte del sistema muco-ciliare, così come i condotti uditivi esterni per comune innervazione da parte del nervo glosso-faringeo. La rinite allergica persistente da allerge-ni perenni ha invece nell’ostruzione nasale il sintomo prevalente e sono molto meno espressi i sintomi irrita-tivi, congiuntivali o extranasali. Oltre al senso di naso chiuso, all’ostruzione nasale infiammatoria sono ricondu-cibili un ampio e variegato spettro di manifestazioni cliniche. Non è infrequente infatti che il bambino possa lamentare faringodinia per la scarsa umidificazione delle mucose in conseguenza della respirazione o-rale obbligata, tosse irritativa da scolo retronasale di muco, cefalea in con-seguenza dell’edema infiammatorio della mucosa del naso e dei seni para-nasali, ipoacusia da disfunzione tuba-rica, nausea e riduzione dell’appetito a seguito della continua deglutizione di secreti naso-faringei e riduzione del senso del gusto e dell’olfatto. Al-la difficoltà di respirazione nasale da ostruzione infiammatoria è inoltre imputabile un’ampia coorte di sin-tomi, spesso non sufficientemente valorizzati, come frequenti risvegli notturni, facile affaticabilità, difetti di linguaggio (rinolalia), irritabilità, difficoltà di concentrazione, tutte manifestazioni che, nel loro insieme, possono ripercuotersi negativamente sulle capacità di apprendimento del

bambino.3 A tale proposito esistono studi che hanno dimostrato come i bambini con rinite allergica non cor-rettamente curata possono presen-tare una non trascurabile difficoltà di concentrazione, condizione che può riflettersi sul rendimento sco-lastico. È inoltre comune ritrovare nei bambini con rinite un certo sen-so di svogliatezza e di depressione del tono dell’umore, che facilmente si ripercuotono anche sulle attività ricreative. Da ultimo non va poi sot-tovalutata la possibilità di un certo disagio relazionale, soprattutto in ambito scolastico, legato al continuo strofinamento e soffiamento del naso, alla tendenza a fare “smorfie” faccia-li per alleviare il fastidio al naso, ai rumori di “grattamento” della gola nel tentativo di rimuovere le secre-zioni che si accumulano nel naso e nel retrofaringe. Oltre l’età scolare, non bisogna dimenticare la possi-bile presenza di manifestazioni ati-piche dovute a sovrapposizione con un quadro di tipo infettivo, che può

coinvolgere anche il distretto rinosi-nusale; inoltre, la rinite allergica da pollini può essere associata al quadro di sindrome orale-allergica, legata al-la cross-reattività tra pollini e deter-minati alimenti.

Se non diagnosticata e/o non a-deguatamente trattata, la rinite aller-gica può non solo incidere negativa-mente sulle performance scolastiche ed in generale sulla qualità della vita dei bambini e, di riflesso, dei loro genitori, ma anche avere importanti ripercussioni di carattere socioeco-nomico in termini di spese mediche, assenze scolastiche e giorni di lavoro persi dai genitori. Inoltre il mancato intervento terapeutico può compor-tare l’aumentato rischio di compli-canze a medio e lungo termine a ca-rico dell’occhio, dei seni paranasali, dell’orecchio medio e del massiccio facciale con possibili dismorfismi, nonché l’inevitabile coinvolgimen-to delle strutture anatomiche delle basse vie aeree. La rinite allergica si presenta, dunque, come una patolo-gia complessa e spesso sottostimata.

Diagnosi

tra gli esami di laboratorio e strumentali i test cutanei (skin

prick test) devono essere considerati indagini diagnostiche di primo livel-lo per la facile applicabilità, sensibi-lità e specificità, immediatezza del risultato e costo economico conte-nuto. Nell’età prescolare gli allergeni fondamentali da testare sono essen-zialmente due: gli acari e l’epitelio di gatto (o di cane a seconda dell’e-sposizione prevalente). Nel bambino più grande assumono una rilevanza clinica crescente i pollini delle gra-minacee, della parietaria, degli alberi del gruppo nocciolo/betulla e fras-sino/olivo e le muffe, in particolare

Tabella 1. Manifestazioni cliniche della rinite allergica in età pediatrica

Segni e sintomi “classici” Presentazioni atipiche

Rinorrea – secrezioni, sniffingPrurito – prurito nasale, saluto allergicoOstruzione – respirazione orale, russamento, apnee

notturne, occhiaieCongiuntivite – prurito ed iperemia congiuntivale,

lacrimazione

Disfunzione tubarica – otalgia ai cambi pressori, ipoacusia, otite media cronica con effusione

TosseAsma poco controllatoDisturbi del sonno – stanchezza, ridotta

performance scolastica, irritabilitàInfezioni respiratorie frequenti e prolungateRinosinusite – scolo catarrale, cefalea, dolore

facciale, alitosi, tosse, iposmiaSindrome orale-allergica

• • •La rinite allergica si presenta come una patologia complessa e spesso sottostimatache può essere quindi non diagnosticata e/o non adeguatamente trattata.A

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l’alternaria. Altri eventuali allergeni (artemisia, cipresso, epiteli vari, altre muffe, ecc.) devono essere conside-rati soltanto in rapporto a specifiche condizioni cliniche e ambientali. Va ricordato che se la positività dei test cutanei concorda con l’anamnesi e il quadro clinico la diagnostica aller-gologica si può considerare virtual-mente terminata. La ricerca delle IgE specifiche su siero potrà essere indicata in casi particolari di discor-danza tra anamnesi e test cutanei, nei bambini con dermatite atopica estesa o marcato dermografismo o anco-ra in quelli che stanno assumendo farmaci (antistaminici) che, modifi-cando la reazione cutanea all’estratto allergenico, inficiano l’attendibilità dell’esame. Nel pannello delle in-dagini strumentali andrà sempre prevista l’esecuzione di un esame spirometrico (esame che richiede la collaborazione del bambino e quin-di di solito eseguibile a partire dai 5-6 anni di età) al fine di escludere un possibile coinvolgimento infiam-matorio anche a carico delle basse vie aeree. La citologia nasale è una metodica di grande utilità in ambito clinico e diagnostico per una precisa definizione delle rinopatie allergiche

e non allergiche. Essa consiste nella valutazione dei quadri cellulari otte-nuti mediante scraping della mucosa nasale e successiva colorazione dei vetrini. Indagini di più stretta com-petenza otorinolaringoiatrica sono l’endoscopia nasale, la valutazione della funzione olfattiva, la rinoma-nometria, e l’esame audiometrico e impedenziometrico. La diagnosi dif-ferenziale della rinite allergica in età pediatrica è ampia rispetto rispetto a quella dell’adulto e va considerata in relazione alla presentazione clinica (Tabella 2) e all’età del paziente.

Prevenzione e terapia1. Prevenzione ambientale. Evitare,

per quanto possibile, l’esposizione allergenica costituisce ovviamente il cardine della terapia non solo della rinite, ma di ogni patologia allergica. Le strategie di preven-zione ambientale variano secondo l’allergene responsabile della sin-tomatologia.

2. Igiene nasale. Alcuni semplici accorgimenti, come mantenere una corretta pulizia delle cavità nasali, sono di grande utilità per alleviare i sintomi del bambino con rinite. Prima di tutto è ne-cessario illustrare in modo chiaro la tecnica corretta per soffiare il naso. Non nei primi anni di vita, quando il bambino non è in grado di soffiare il naso, ma anche nel paziente più grande vanno sem-pre consigliati frequenti e abbon-danti lavaggi nasali con soluzione salina per facilitare la rimozione di eventuali allergeni, sostanze irritanti e soprattutto del muco prodotto in eccesso.

3. Farmaci. Le linee guide europee per la terapia della rinite allergi-ca in pediatria raccomandano un approccio terapeutico a gradini, variabile in base alla severità dei sintomi. I farmaci cardine per la terapia della rinite allergica nel bambino sono gli antistaminici e i corticosteroidi topici nasali (Fi-gura 2).2,3,4 Gli antistaminici, definiti come

agonisti inversi del recettore dell’i-stamina H1, agiscono determinando la down-regolazione dell’infiamma-zione allergica, che può avvenire sia in modo diretto (attraverso il blocco dei recettori H1 sulle terminazioni nervose e sui piccoli vasi) che in mo-do indiretto e più complesso (attra-verso il blocco della trasduzione del segnale intracellulare che fa a capo

Tabella 2. Diagnosi differenziale della rinite allergica

Atresia o stenosi delle coane: ostruzione senza altre caratteristiche di rinite allergica

Immunodeficienza: scolo muco-purulento persistente

Encefalocele: “polipo” nasale unilaterale

Ipertrofia adenoidea: respirazione orale, secrezioni nasali muco-purulente, russamento senza altre caratteristiche di rinite allergica

Corpo estraneo: secrezioni nasali unilaterali muco-purulente, cattivo odore

Rinosinusite: secrezioni nasali muco-purulente, cefalea, dolore facciale, iposmia, alitosi, tosse

Fibrosi cistica: polipi nasali bilaterali, iposmia, sintomi polmonari, sintomi riferibili a malassorbimento, ritardo di crescita

Discinesia ciliare primaria: scolo muco-purulento persistente anche nell’intervallo da infezioni delle alte vie aeree, stasi di muco bilaterale e secrezioni a livello del pavimento nasale, sintomi presenti dalla nascita

Perdita di liquor cefalo-rachidiano: rinorrea sierosa persistente con anamnesi positiva per trauma

Coagulopatia: epistassi ricorrente con minimi traumi

Deviazione del setto nasale: ostruzione in assenza di altre caratteristiche di rinite allergica

• • •Nel pannello delle indagini strumentali andrà sempre prevista l’esecuzione di un esame spirometrico al fine di escludere un possibile coinvolgimento infiammatorio anche a carico delle basse vie aeree.

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al fattore nucleare NF-kB, riducendo la trascrizione dei geni coinvolti nella presentazione dell’anti-gene e nell’espressione di citochine pro-infiammatorie, di molecole di adesione e fattori chemotattici). Gli antistaminici anti-H1 vengono clas-sificati funzionalmente in 2 gruppi, le molecole di prima e seconda genera-zione (Tabella 3).

L’uso dei farmaci antistaminici anti-H1 di prima generazione nel trattamento della rinite allergica è notevolmente limitato da alcune ca-ratteristiche farmacologiche di queste molecole. Gli antistaminici anti-H1 di prima generazione sono, infatti, in

grado di attraversare la barriera emato-encefalica e di causare effetto seda-tivo, riducendo quindi

lo stato di vigilanza e di attenzio-ne. Essi sono inoltre scarsamente selettivi per il recettore e sono in grado di legarsi anche ad altri re-cettori non istaminici come quelli serotoninergici, colinergici e alfa-adrenergici, associando pertanto agli effetti mediati di recettori H1 e cioè la sedazione, anche quelli mediati da questi recettori (sec-chezza delle fauci, nausea, vomito, diarrea, stipsi, anoressia, pollachiu-ria, disuria, ritenzione urinaria, sti-molazione dell’appetito). Tali effetti

sono diversi a seconda del composto utilizzato, pur con ampie variazioni legate a differenze di sensibilità in-dividuale. Gli antistaminici anti-H1 di prima generazione possono essere somministrati per via sistemica e per via orale.5 Per le molecole di seconda generazione sono disponibili diver-se formulazioni di antistaminici per uso topico sistemico (gocce, sciroppo, compresse) e per uso topico nasale o oculare. Tali molecole, data la loro bassa lipofilia sono quasi completa-mente sprovviste, alle ordinarie dosi d’impiego, della capacità di attra-versare la barriera emato-encefalica (Figura 3). Ciò comporta minimi o assenti effetti sedativi, antiserotoni-nergici e anticolinergici (caratteristici invece delle molecole di prima ge-nerazione) a vantaggio della tollera-bilità e della compliance. Inoltre, il legame dei nuovi antistaminici con il recettore H1 è più stabile e persistente per cui le somministrazioni possono essere maggiormente dilazionate nel tempo e per alcune molecole è pos-sibile ricorrere alla mono-sommini-strazione giornaliera. Alla capacità di antagonizzare i recettori H1 alcuni farmaci di ultima generazione sono in grado di associare la capacità di e-sercitare un’azione antinfiammatoria allergica che schematicamente passa attraverso: 1. inibizione della produzione di ci-

tochine proinfiammatorie (ad es.

Tabella 3. Antistaminici anti-H1

Antistaminici di prima generazione Antistaminici di seconda generazione

1. Alchilamine: Bromferinamina, Clorfeniramina, Dexclorfeniramina, Dimetindene, Feniramina, Tripolidina

2. Etanolamine: Carbinoxamina, Clemastina, Defenidramina, Doxilamina

3. Etilendiamine: Tonzilamina, Tripelenamina4. Fenotiazine: Dimetotiazina, Isotependile,

Mequetazina, Prometazina5. Piperazine: Idrossizina, Cinnarizina6. Piperidine: Azatadina, Ciproeptadina

Sistemici: Cetirizina, Loratadina, Ebastina, Chetotifene, Oxatomide, Acrivastina, Desloratadina, Fexofenadina, Levocetirizina, Rupatadina Astemizolo, Terfenadina, Mizolastina,

Topici: Azelastina, Levocabastina

• Attraversano la barriera emato-encefalica (alta lipofilia, basso peso molecolare)

• Potenzialieffetticollaterali(sedazione,iperattività, insonnia, convulsioni)

• Assenzadistudicliniciinetàpediatrica• Frequentisegnalazionidieffettitossici• Doseletaleaccertata

• Nonattraversano(oinminimaparte)labarrieraemato-encefalica (bassa lipofilia, alto peso molecolare)

• Scarsieffetticollaterali(sedazione,astenia)• Presenzadistudicliniciinetàpediatrica• Assenzadisegnalazionedieffettitossici• Sovradosaggiononletale

• • •Gli antistaminici, definiti come agonisti inversi del recettore dell’istamina H1, agiscono determinando la down-regolazione dell’infiammazioneallergica.

3Aggiungereantistaminico

± antiLKTallo steroide nasale

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Figura 2. Approccio terapeutico alla rinite allergica in pediatria (modificato da [3]).

* Gli antistaminici orali sono meglio tollerati, quelli nasali hanno un’azione più rapida. ** Riconsiderare la diagnosi se la rinite non è controllata. Se età < 2 anni e non c’è risposta agli antistaminici riconsiderare la diagnosi prima di aumentare la terapia. In caso di scarso controllo, considerare un breve ciclo di decongestionanti o di prednisolone per via orale a basse dosi.

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8Evidenze Lariniteallergicanelbambino

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IL-4 e IL-13, chemochine) e del rilascio oltre che di istamina an-che di altri mediatori preformati o neoformati da parte di mastociti e basofili;

2) riduzione del reclutamento di eosinofili nella fase di croniciz-zazione del processo flogistico allergico;

3) riduzione dell’aumentata espres-sione dei recettori di membrana a livello delle cellule epiteliali nasali e dell’endotelio vasale, in parti-colare la molecola di adesione leucocitaria ICAM-1.4

Il loro impiego nei soggetti affetti da rinite allergica è particolarmen-te efficace nel controllare i sintomi “irritativi”, mediati principalmente dall’azione dell’istamina e cioè il prurito, la lacrimazione e la rinor-rea; minore risulta essere il beneficio sulla congestione nasale e, quindi, sui sintomi di marcato tipo ostruttivo, appannaggio, invece, del trattamen-to con corticosteroidi topici. Nella rinite da allergeni stagionali, il trat-tamento con antistaminici va iniziato prima dell’avvento degli allergeni per consentire al farmaco di “saturare” i recettori H1 prima della massiva libe-razione di istamina da parte dei ma-stociti; tale trattamento va poi pro-tratto per l’intera durata della polli-nazione in modo da tenere “occupati” i recettori. Nelle forme da allergeni

perenni il trattamento antistaminico va invece modulato sulla base della sintomatologia clinica e ha il du-plice scopo di controllare la flogosi persistente della mucosa riducendo l’infiltrato infiammatorio mucosale e, contemporaneamente, l’espres-sione delle molecole di adesione.3 I corticosteroidi nasali costituiscono i farmaci di scelta nel trattamento del-la rinite allergica riducendone sen-sibilmente tutti i sintomi e in modo specifico l’ostruzione, con un’efficacia meglio documentata rispetto agli an-tistaminici e agli farmaci utilizzabili. Il meccanismo d’azione degli steroidi prevede, attraverso l’interazione con specifici recettori, due tipi di effetti:

· l’effetto genomico, mediato dal recettore intracellulare, si rea-lizza nell’arco di ore e/o giorni e consiste nell’attivazione o la repressione a livello del nuclea-re di multipli geni coinvolti nel processo infiammatorio;

· l’effetto non genomico, innescato dal legame con recettori presenti sulla membrana cellulare o a lo-calizzazione citoplasmatica, è me-diato da un’attivazione rapida di secondi messaggeri intracellulari

ed è responsabile di vasocostrizio-ne a livello della mucosa nasale; a tale effetto è riconducibile anche la rapidità di azione di tali farma-ci, evidenziabile in circa 6-7 ore dalla loro somministrazione.Gli steroidi esplicano la loro a-

zione antinfiammatoria sulla mucosa nasale con diversi meccanismi:

· limitando l’uptake e la processa-zione dell’antigene da parte delle cellule di Langerhans;

· riducendo il numero delle cellule di Langerhans;

· riducendo il numero e la sopravvi-venza degli eosinofili nella lamina propria;

· limitando l’afflusso dei basofili e dei mastociti nella mucosa nasale e limitando il numero dei linfociti T nell’epitelio;

· riducendo l’espressione dell’mR-NA per IL-4, limitando lo switch delle plasmacellule e la conse-guente sintesi di IgE, ma anche per IL-3, IL-4, IL-5 e IL-13;

· limitando il rilascio di mediato-ri, sia preformati che generati ex novo;

· inibendo l’incremento stagionale delle IgE specifiche.6

• • •I corticosteroidi nasali costituiscono i farmaci di scelta nel trattamento della rinite allergica riducendone sensibilmente tutti i sintomi e in modo specifico l’ostruzione.

Figura 3. Effetto degli antistaminici anti-H1 di prima e seconda generazione sulle capacità di apprendimento (modificato da [5]).

0

5

10

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25

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Nessun

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Bambini con rinite allergicaBambini sani

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La terapia locale permette la somministrazione del far-maco direttamente nell’or-gano bersaglio minimiz-zando gli effetti collaterali sistemici. È stata inoltre dimostrata un’azione anche sui sintomi oculari, con un meccanismo che prevede il trasporto del farmaco attraverso il sistema lin-fatico del canale nasolacrimale.

I corticosteroidi di nuo-va generazione sono dotati di maggior liposolubilità rispetto alle molecole pre-

esistenti, caratteristica che permette un aumentato e più rapido assorbimento a livello della mucosa nasa-

le, maggiore permanenza nel tessuto assorbente, maggiore capacità di rag-giungere il recettore citosolico per gli steroidi, minor biodisponibilità, ossia meno farmaco circolante e meno ef-fetti collaterali sistemici (Figura 4).7

La terapia topica può causare epistassi, secchez-za della mucosa e tendenza alla formazione di croste:

si tratta comunque di effetti colla-terali transitori; tali effetti risultano trascurabili con l’impiego di pre-parati di più recente introduzione. Il rischio di perforazione è remoto ed è dovuto, generalmente, ad uno scorretto utilizzo del dispositivo. In-fatti, l’errata direzione del dispositivo spray verso il setto è stata correlata a tale evenienza nella maggior par-te dei casi.7 Per quanto riguarda gli effetti sistemici è stata intensamente studiata l’eventualità che gli steroidi nasali, qualora somministrati a lungo termine, potessero influenzare la cre-scita agendo sull’asse ipotalamo-ipo-fisario con la quota ingerita, assorbita e pertanto circolante. Tale eventualità è stata in gran parte ridimensionata da studi clinici condotti con alcune molecole (e.g. mometasone furoato), che ne hanno dimostrato, ai dosaggi raccomandati, una buona tollerabilità a lungo termine anche in età pedia-trica (Figura 5).8,9 I corticosteroidi nasali non sono farmaci da utilizzare al bisogno, ma è consigliabile mo-dularne l’uso sulla base delle mani-festazioni cliniche. L’uso ciclico dei corticosteroidi nasali, ad esempio, oltre ad avere un’efficacia persistente, ha ripercussioni pratiche di grande interesse soprattutto in età pediatrica perché limita ulteriormente eventua-li effetti collaterali da assorbimento sistemico.8

Per quanto riguarda gli altri far-maci previsti dalle linee guida non ci sono evidenze di superiore efficacia rispetto agli steroidi nasali. I decon-gestionanti nasali sono controindi-cati e non possono essere utilizzati nei bambini al di sotto dei 12 anni d’età pertanto non rientrano tra i farmaci di corrente impiego nella rinite allergica in età pediatrica.3 Gli antileucotrienici hanno mostrato ri-sultati incoraggianti come terapia di associazione con antistaminici e/o

Figura 4. Biodisponibilità sistemica degli steroidi nasali (modificato da [3]).

Figura 5. Steroidi nasali: effetto sulla velocità di crescita vs placebo (modificato da [8]).

0

10

20

30

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Mometaso

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furoato

Flutic

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01 2 3 4 5 6 7

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Mometasone furoato 100 μg QDPlacebo

p<.05 vs placebo

8 9 10 11 12

1

2

3

4

5

6

7

8

*

**

Nota: 98 pazienti pediatrici (età 3-9 anni); Tasso di crescita di 0,018 cm/die per i due gruppi.Are

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steroidi topici per il trattamento del-la rinite allergica, in particolare nelle forme con asma concomitante. I leu-cotrieni vengono sintetizzati a parti-re dall’acido arachidonico attraverso l’azione dell’enzima 5-lipossigenasi. In particolare i cisteinil-leucotrieni si legano ad uno specifico recetto-re e causano a livello della mucosa nasale (e bronchiale) aumento della permeabilità vascolare, edema, con-gestione vascolare, aumento della produzione di muco e chemiotassi degli eosinofili; in particolare, il sin-tomo maggiormente influenzato dai leucotrieni (soprattutto i cisteinil-leucotrieni C4 e D4) è rappresenta-to dall’ostruzione nasale: entrambi aumentano le resistenze nasali con intensità e durata superiori rispetto all’istamina e il loro effetto sarebbe secondario soprattutto alla conge-stione vascolare.3 Infine, l’immu-noterapia specifica (ITS) costitui-sce l’unica forma di terapia causale della rino-congiuntivite allergica, in quanto permette di modificare la storia naturale della rinite allergica e di ottenerne la remissione per lun-go tempo. Essa infatti è in grado di agire nei confronti dei meccanismi immunopatologici di base delle re-azioni allergiche; in particolare, essa è in grado di incrementare l’attività e la proliferazione delle cellule T regolatorie (Treg), identificate come le cellule che regolano i processi im-munologici che inducono la tolle-

ranza agli allergeni.10 Storicamente l’ITS nasceva come un presidio da somministrare per via iniettiva sot-tocutanea (SCIT). Tale via di som-ministrazione era tuttavia gravata da frequenti reazioni locali e da più rare, ma possibili, reazioni sistemiche. La formulazione sublinguale (SLIT) ha successivamente guadagnato ampie prove di efficacia e ha dimostrato un profilo di sicurezza superiore al-la SCIT; tali caratteristiche, insieme alla possibilità di somministrazione al di fuori dell’ambiente protetto e senza supervisione medica, ne hanno ampliato enormemente l’uso nella pratica clinica. Attualmente la SLIT è la via di somministrazione di scelta in Europa, anche per l’età pediatri-ca.3 Le revisioni sistematiche della letteratura e le metanalisi hanno evidenziato che l’ITS riduce la sin-tomatologia nasale ed oculare e l’u-so della farmacoterapia. Essa inoltre migliora la qualità della vita nei pa-zienti trattati e previene la comparsa di nuove sensibilizzazioni. L’efficacia clinica dell’ITS, solitamente, persi-ste almeno 4-5 anni dopo la sospen-sione.10 Il trattamento con l’ITS va considerato nei casi in cui la diagnosi eziologica sia ben documentata da esami di laboratorio che ne sotten-dano la patogenesi IgE-mediata ed è attualmente indicato per la rinite allergica moderata-grave, partico-larmente per quelle forme che non rispondono in maniera adeguata alla farmacoterapia.3 .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

Bibliografia1. Björkstén B, Clayton T, Ellwood P, Stewart A, Strachan D and the ISAAC Phase Three Study Group. Worldwide time trends for symtoms of rhinitis and conjunctivitis: Phase III of the International Study of Asthma and Allergies in Childhood. Pediatr Allergy Immunol 2008;19:110-124.2. Brozek JL, Bousquet J, Baena-Cagnani CE, Bonini S, Canonica GW, Casale TB et al. Allergic Rhinitis and its Impact on Asthma (ARIA) guidelines: 2010 revision. J Allergy Clin Immunol 2010;126:466-476.3. Roberts G, Xatzipsalti M, Borrego LM, Custovic A, Halken S, Hellings PW et al. Paediatric rhinitis: position paper of the European Academy of Allergy and Clinical Immunology. Allergy 2013;68:1102–1116.4. Licari A, Ciprandi G, Marseglia A et al. Current recommendations and emerging options for the treatment of allergic rhinitis. Expert Rev Clin Immunol 2014;10:1337-47.5. Church MK, Maurer M, Simons FE, et al. Risk of first-generation H(1)-antihistamines: a GA(2)LEN position paper. Allergy 2010;65(4):459-66.6. Rhen T, Cidlowski JA. Antiinflammatory action of glucocorticoids--new mechanisms for old drugs. N Engl J Med 2005;353(16):1711-23.7. Szefler SJ. Pharmacokinetics of intranasal corticosteroids. J Allergy Clin Immunol 2001;108(1 Suppl):S26-31.8. Allen DB. Systemic effects of intranasal steroids: an endocrinologist’s perspective. J Allergy Clin Immunol 2000;106(4 Suppl):S179-90.9. Schenkel EJ, Skoner DP, Bronsky EA et al. Absence of growth retardation in children with perennial allergic rhinitis after one year of treatment with mometasone furoate aqueous nasal spray. Pediatrics 2000;105(2):E22.10. Ciprandi G, Marseglia GL, Castagnoli R et al. From IgE to clinical trials of allergic rhinitis. Exp Rev Clin Immunol 2015;11(12):1321-33.

• • •Attualmente la SLIt è la via di somministrazione di scelta in Europa, anche per l’età pediatrica.Il trattamento con ItS va considerato nei casi in cui la diagnosi eziologica sia ben documentata.

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[ le SoCietÀ SCieNtiFiCHe ]

Epoca di introduzione del glutine nella dieta, geni HLA, allattamento materno e rischio di malattia celiacaNon è stato osservato alcun effetto protettivo dell’allattamento al seno per lo sviluppo della malattia celiaca

Introduzione

L a malattia celiaca è una patologia sistemica immuno-mediata causata dall’ingestione di cereali contenenti glutine (grano, segale, orzo)

in soggetti geneticamente predisposti. Si tratta di una delle malattie croniche più comuni in tutto il mondo, che colpisce circa l’1% della popolazione in Europa e in Nord-America.1 Come molte le malattie autoim-muni riconosce un’eziopatogenesi multifattoriale, risul-tato dell’interazione tra fattori genetici predisponenti e fattori ambientali scatenanti. Il ruolo della compo-nente genetica è dimostrato dalla ricorrenza familiare della malattia, che ha una prevalenza tra i parenti di primo grado di circa 10-15 volte superiore rispetto al-la popolazione generale, e dall’elevata concordanza di malattia nei gemelli monozigoti (pari circa all’80%). I determinanti genetici che conferiscono la suscettibilità alla malattia non sono ancora del tutto noti. L’unico fattore genetico ad oggi sicuramente coinvolto nell’eziopatogenesi della malattia celiaca è rappresentato dal locus dell’antige-ne leucocitario umano (HLA). Infatti, è stata dimostrata un’associazione significativa tra la malattia celiaca e i geni del sistema maggiore di istocompatibilità di classe II HLA DQ2 e DQ8. La capacità di questi alleli nel conferire suscettibilità alla malattia celiaca risiede nella loro peculiare capacità di legare aminoacidi carichi negativamente come quelli presenti nei peptidi gliadinici del glutine in seguito a deamidazione da parte della transglutaminasi tissutale. Il complesso HLA-antigene deter-

mina l’attivazione dei linfociti T, i cui prodotti di secre-zione svolgono un ruolo chiave nel determinismo delle lesioni mucosali.1 L’aplotipo HLA-DQ2 (DQA1*0501-DQB1*0201) si esprime nella maggior parte dei pazienti celiaci (90%), l’HLA DQ8 (DQA1*0301-DQB1*0302) è espresso nel 5%, mentre un altro 5% dei pazienti e-sprime solo uno dei due alleli del DQ2 (DQB1*0201). Tuttavia, sebbene questi aplotipi rappresentino una con-dizione necessaria, non sono sufficienti per lo sviluppo della malattia. Infatti, il 39% della popolazione generale presenta i geni DQ2 e/o DQ8, ma solo il 3% (1%) svilup-pa la malattia celiaca. Inoltre, i gemelli monozigoti han-no una concordanza dell’80% e quelli dizigoti del 10%, pur presentando HLA identici. Altri geni sono pertanto coinvolti, conferendo alla celiachia le caratteristiche di una malattia poligenica.1 Il glutine è il fattore ambienta-le necessario per scatenare la malattia, ma probabilmente

altri fattori ambientali intervengono in una complessa interazione tra fattori genetici e ambientali che regola l’equilibrio tra tolleranza e risposta immunitaria al glutine e della quale sappiamo ancora poco. È stato ipotizzato che tra i fattori ambientali, le infezioni intestinali, la quantità e la qualità del glutine ingerito, la composizione del microbiota intestinale e le modalità di alimentazione del lattante siano possibili fattori coinvolti nel passaggio dalla tolleranza alla risposta immunitaria abnorme contro il glutine. Il ruolo dell’alimentazione della prima infanzia, dell’allattamento mater-no, dell’epoca di introduzione del glutine nella dieta del lattante e della quantità di glutine

Elena Lionetti1 Renata Auricchio2 Carlo Catassi3,4

1 Dipartimento di Pediatria – Università di Catania2 Dipartimento di Medicina traslazionale – Sezione di Pediatria, Università di Napoli Federico II3 Dipartimento di Pediatria – Università Politecnica delle Marche, Ancona4 The Division of Pediatric Gastroenterology and Nutrition and Center for Celiac Research – MassGeneral Hospital for Children, Boston

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Figura 1. Disegno dello studio CELIPREV.

Neonati a rischio familiare

di celiachia(dal 2006–2008

Malattia celiaca conclamata: sierologia positica* e Classificazione di Marsh 2 o 3 Malattia celiaca potenziale: sierologia positica* e Classificazione di Marsh 0 o 1

Gruppo A(glutine a 6 mesi)

* Sierologia positiva per celiachia:a. Anti-transglutaminasi IgA (TGA > 20 U.I. e anti-endomisio positivib. Anti-gliadina (AGA) IgG in bambini con deficit di IgAc. AGA IgA e IgG in bambini < 2 anni

Gruppo B(glutine a 12 mesi)

15 mesi 24 mesi 3, 5, 8 e 10 anni

HLA DQ/DQIgA, AGA IgA e TGA2§

AGA IgA e TGA2§ TGA2§

Biopsia duodenale

§ AGA IgG in caso di deficit di IgA

In caso di sierologia positiva*

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l’angolo delle società scientifiche Epoca di introduzione del glutine nella dieta, geni HLA, allattamento materno e rischio di malattia celiaca

ingerito sullo sviluppo della malattia celiaca, è stato a lungo un importante argomento di dibattito tra clinici e ricercatori, con notevole interesse negli ultimi anni di tutta la comunità scientifica.

Epoca di introduzione del glutine e rischio di malattia celiaca

L’ introduzione del glutine a 6 mesi di età è una pratica molto antica e nonostante sia una regola

profondamente radicata in molti paesi sviluppati, il mo-mento ottimale di introduzione del glutine nella dieta del bambino non era mai stato rigorosamente testato. Nella pratica clinica, alcuni studiosi ritenevano che l’introdu-zione del glutine nella dieta dei bambini che hanno un rischio familiare di malattia dovesse essere ritardata per consentire la maturazione della barriera intestinale e la risposta immunitaria. Tuttavia, le indagini conseguenti ad una vera e propria “epidemia” di celiachia precoce che si verificò in Svezia durante gli anni ’80–’90 indicavano che l’introduzione di una piccola quantità di glutine durante l’allattamento materno tra i 4 e i 6 mesi di età riduceva il rischio di malattia; questi dati fornirono le basi della cosiddetta ipotesi della “finestra di tolleranza”, secondo cui vi sarebbe una finestra di tempo, tra i 4 ed i 7 mesi di vita, durante la quale l’introduzione del glutine potrebbe facilitare l’induzione di tolleranza (ref ). Il concetto della “finestra di tolleranza” al glutine ha in seguito guadagnato popolarità con le dichiarazioni di alcuni ricercatori statu-nitensi che nel 2005 riportavano che i bambini a rischio genetico per il diabete di tipo 1 esposti al glutine tra 4 e 6

mesi di età avevano un rischio ridotto di malattia celiaca rispetto a quelli esposti al glutine prima di 4 e dopo 7 mesi di età; è importante notare che il numero di pazienti che in questo studio aveva effettuato la biopsia intestinale per la conferma della diagnosi di celiachia era molto esiguo. In seguito, uno studio tedesco aveva dimostrato che i bambini con un rischio familiare di diabete di tipo 1 la cui prima esposizione alimentare al glutine si era verificata dopo l’età di 6 mesi non avevano un aumento del rischio di autoimmunità celiaca. Nel 2013 un’indagine epidemio-logica norvegese effettuata su un’ampia popolazione (324 casi con celiachia e una coorte di 81,843 controlli sani), contestava tutte le precedenti osservazioni; in particolare, i risultati dello studio norvegese dimostravano che: a) l’introduzione di glutine durante l’allattamento non era protettivo; b) solo l’introduzione del glutine posticipata (> 6 mesi), ma non anticipata (<4 mesi) era associata ad un aumentato rischio di malattia celiaca. Il principale limite dello studio norvegese era quello di aver incluso nell’analisi solo i bambini con diagnosi clinica di malattia celiaca; pertanto, qualsiasi risultato non si poteva applicare necessariamente alla popolazione complessiva celiaca (che è almeno 3 volte più grande). Un altro problema di questo e dei precedenti studi caso-controllo era la mancanza di un braccio di intervento.2

Il dibattito sull’epoca di introduzione del glutine nella dieta del lattante è stato definitivamente chiarito da due recenti trial i cui risultati sono stati pubblicati nel numero di ottobre 2014 di “New England Journal of Medicine”.3,4 CELIPREV è un trial randomizzato, multicentrico di intervento nutrizionale condotto in Italia su una grande coorte di famiglie a rischio gene-

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Figura 2. Curva di sopravvivenza che mostra la percentuale di bambini con diagnosi di malattia celiaca nel gruppo A (glutine a 6 mesi) e nel gruppo B (glutine a 12 mesi) dello studio CELIPREV.

Figura 3. Disegno dello studio PREVENT-CD.

Perc

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Mesi8 10

0.2

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Gruppo A

Hazard ratio a 5 anni, 0.9; P=0.78

Gruppo B

Arruolamentofamiglie con almeno un celiaco

NascitaTipizzazione HLA su cordone

NegativiHLA DQ2/DQ8

NegativiHLA DQ2/DQ8 Controllo clinicoNegativiHLA DQ2/DQ8

PositivitàHLA DQ2/DQ8

PositivitàHLA DQ2/DQ8

•Allattamento al seno•Interventotra4°–6°mese

(100mg gliadina/die)•Gradualeintroduzione

del glutine dal 6° mese•Controlliclinicie

sierologici ogni 3–6 mesi (AGAA-TGA)

BiopsiaPositivitàHLA DQ2/DQ8

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4l’angolo delle società scientifiche Epoca di introduzione del glutine nella dieta, geni HLA, allattamento materno e rischio di malattia celiaca

tico di malattia celiaca i cui neonati sono stati studiati prospetticamente dalla nascita per 10 anni.3 I neonati che avevano un rischio familiare di malattia celiaca (cioè i neonati che avevano almeno un parente di pri-mo grado con malattia celiaca) sono stati reclutati in 20 centri in Italia tra il 2003 e il 2008 grazie al supporto dell’Associazio-ne Italiana Celiachia. I bambini sono stati assegnati in maniera casuale a uno dei due gruppi: quelli nel gruppo A sono stati assegnati all’introduzione di alimenti con-tenenti glutine (pasta, semola, biscotti, etc.) a 6 mesi di età, e quelli del gruppo B alla introduzione di alimenti contenenti glutine a 12 mesi di età. L’obiettivo principale era quello di paragonare la prevalenza di malattia celiaca in base all’epoca di introduzione del glutine (6 verso 12 mesi). La figura 1 mostra il disegno dello studio. A 10 anni di età, tra i bambini con rischio familiare di malat-

tia celiaca, la prevalenza di malattia celiaca era 13,2% (93 su 707 neonati

inclusi nello studio); tra i bambini con genotipo HLA predisponente, la prevalenza di celiachia era 16,8% (93 su 553 neonati con HLA DQ2 e/o DQ8). La figura 2 mostra il risultato principale dello studio, ovvero la percentuale di bambini che hanno sviluppato la malattia celiaca in base al gruppo di studio. A 2 anni di età, la percentuale di bambini con malattia celiaca era signi-ficativamente più alta nel gruppo A rispetto al gruppo B (12% verso 5%, P= 0,01). Tuttavia, questa differenza si risolveva a 5 anni e non è stata osservata a 8 o 10 anni di età (hazard ratio a 10 anni: 0,9; 95% CI: 0,6-1,4; P= 0,79). L’età media alla diagnosi di malattia celiaca è stata di 26 mesi nel gruppo A e 34 mesi nel gruppo B (P= 0.01). Nei bambini con HLA ad alto rischio (caratterizzato da due copie dell’allele HLA-DQ2), la prevalenza di celiachia era maggiore nel gruppo A rispetto al gruppo B a tutte le età, ma la differenza non era significativa (P= 0,51), probabilmente per le dimensioni ridotte del campione di bambini con questo genotipo. Durante il follow-up, le complicanze correlate alla malattia celiaca (cioè, malattie autoimmuni della tiroide, diabete di tipo 1 o entrambi) non si sono sviluppate in nessun bambino dei due gruppi.

Pertanto, lo studio CELIPREV ha dimostrato che rinviare l’introduzione del glutine a 12 mesi di età non ha alcun effetto sul rischio di sviluppo della malattia celiaca nel lungo termine: non riduce né aumenta il rischio di malattia. Tuttavia, posticipare l’introduzione del glutine

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Figura 4. Curva di sopravvivenza che mostra la percentuale di bambini con diagnosi di malattia celiaca nel gruppo glutine (100 mg di gliadina al giorno tra il 4° e il 6° mese) e nel gruppo placebo (glutine a 6 mesi) dello studio PREVENT-CD.

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l’angolo delle società scientifiche Epoca di introduzione del glutine nella dieta, geni HLA, allattamento materno e rischio di malattia celiaca

ha avuto due conseguenze potenzialmente positive: in primo luogo, quella di ritardare lo sviluppo della malat-tia celiaca, il che potrebbe ridurre l’effetto negativo della malattia su organi vulnerabili come il cervello; in secondo luogo, quella di ridurre la prevalenza, seppur non signifi-cativamente, di celiachia a qualsiasi età nei bambini che hanno un genotipo HLA ad alto rischio. L’ipotesi della “finestra di tolleranza” non ha trovato supporto, in quanto non è stata osservata alcuna differenza nel rischio di ce-liachia tra i bambini che hanno introdotto il glutine a 6 mesi (durante la “finestra” aperta) e coloro che lo hanno introdotto a 12 mesi (quando la finestra è stata chiusa).

Questi risultati sono stati confermati anche dal trial PREVENT-CD, uno studio multicentrico di intervento nutrizionale randomizzato in doppio cieco condotto in Europa sempre su neonati a rischio familiare di malattia celiaca;4 l’obiettivo finale del trial era di indurre la tolle-ranza verso il glutine introducendo microdosi di glutine (100 mg) nella dieta dei bambini tra i 4 ed i 6 mesi di vita. La figura 3 mostra il disegno dello studio. I risultati dello studio tuttavia non hanno confermato tale ipotesi, come si può notare dalla curva di incidenza della malattia simile tra i due gruppi (figura 4). Pertanto, le recenti evi-denze scientifiche non supportano le attuali linee-guida della Società Europea di Gastroenterologia, Epatologia

Non è stata osservata alcuna differenza nel rischio di celiachiatra i bambini che hanno introdotto il glutine a 6 mesi (durante la “finestra” aperta) e coloro che lo hanno introdotto a 12 mesi (quando la finestra è stata chiusa).

e Nutrizione Pediatrica (ESPGHAN) sulle tappe del-lo svezzamento,5 che raccomandano l’introduzione del glutine tra 4 e 7 mesi di età al fine di ridurre il rischio di malattia celiaca e si rende necessaria una revisione delle attuali raccomandazioni con una nuova posizione della Società su questo importante argomento.

Allattamento e rischio di malattia celiaca

Un ruolo protettivo dell’allattamento al seno nei confronti della malattia celiaca è stato a

lungo sostenuto, perlopiù sulla base di alcuni studi retro-spettivi, di una review sistematica della letteratura e una meta-analisi che ne sintetizzarono i risultati.6 L’indagine epidemiologica norvegese aveva invece dimostrato che l’allattamento materno non esercitava alcuna protezione verso lo sviluppo della malattia celiaca; infatti, la durata media dell’allattamento al seno era addirittura più lunga nei bambini con malattia celiaca (10,4 mesi) rispetto ai controlli (9,9 mesi) e il rischio di malattia era significati-vamente più elevato nei bambini allattati al seno per più di 12 mesi.3 Gli studi CELIPREV e PREVENT-CD hanno portato un chiarimento anche su questo importante a-spetto della nutrizione infantile. Nella coorte di neonati a

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469Gluen groupNo. of Events/No. at Risk

A All Children

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6l’angolo delle società scientifiche Epoca di introduzione del glutine nella dieta, geni HLA, allattamento materno e rischio di malattia celiaca

rischio familiare di malattia celiaca seguiti nello studio CELIPREV non è stato osservato alcun effetto pro-tettivo dell’allattamento al seno per lo sviluppo della malattia celiaca: la durata media dell’allattamento al seno era molto simile per i bambini tra i quali la ma-lattia celiaca si era sviluppata e per quelli in cui non si era sviluppata (5,6 e 5,8 mesi, rispettivamente). Non è stato osservato neanche un effetto protettivo dell’in-troduzione del glutine durante l’allattamento mater-no.3 Agli stessi risultati sono arrivati i ricercatori dello studio PREVENT-CD.4 Pertanto, anche se ci sono molte buone ragioni per raccomandare il prolungato allattamento al seno dei neonati, indipendentemente dal fatto che abbiano un rischio genetico per lo svi-luppo della malattia celiaca, gli studi prospettici non hanno osservato un effetto protettivo nei confronti della malattia celiaca.

HLA e rischio di malattia celiaca

L’unico fattore che è stato ad oggi significa- tivamente associato in entrambi gli studi con lo

sviluppo di malattia celiaca è l’HLA. Infatti, nello stu-dio CELIPREV è stata effettuata un’analisi statistica tramite induzione di alberi decisionali per verificare tra tutte le variabili a disposizione (genotipo HLA,

mese di introduzione del glutine, sesso, parente affetto da malattia celiaca, durata dell’allattamento al seno, infezioni intestinali) quale fosse associata ad un rischio significativamente più alto di malattia celiaca. Il più alto rischio di malattia è stato osservato nei bambini con genotipo HLA cosiddetto ad alto rischio, carat-terizzato da due copie dell’allele HLA-DQ2. Le altre variabili studiate non hanno mostrato alcun effetto significativo sul rischio di malattia.3 Anche lo studio PREVENT-CD ha confermato che la condizione di omozigosi per l’aplotipo DQ dell’HLA conferisce un rischio significativamente maggiore di sviluppare la malattia. Pertanto, come riportato nell’editoriale pubblicato sul “New England Journal of Medicine” sull’argomento, “siamo ancora in cerca del/dei fattori ambientali che possono condizionare lo sviluppo della malattia” e “i due trial - CELIPREV e PREVENT-CD - sono ad oggi un punto di partenza più che un punto di arrivo della ricerca in questo campo”.7 Sono necessari ulteriori studi per stabilire se altri fattori am-bientali, come ad esempio la composizione del micro-biota intestinale, il profilo metabolico, il programma di vaccinazione e l’uso di antibiotici, possano influenzare l’equilibrio tra risposta e tolleranza immunitaria .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

Siamo ancora in cerca del/dei fattori ambientali che possono condizionare lo sviluppo della malattia.

Bibliografia1. Fasano A, Catassi C. Celiac disease. N Engl J Med 2012;367:2419-26.2. Szajewska H, Chmielewska A, Piescik- Lech M et al. Systematic review: early infant feeding and the prevention of coeliac disease. Aliment Pharmacol Ther 2012;36:607-18.3. Lionetti E, Castellaneta S, Francavilla R et al. Introduction of gluten, HLA status, and the risk of celiac disease in children. N Engl J Med 2014;371:1295-303.4. Vriezinga SL, Auricchio R, Bravi E et al. Randomized feeding intervention

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d. i fattori coinvolti sono molteplici, una attenta raccolta anamnestica delle caratteristiche del dolore, e delle situazioni in cui si genera più facilmente così come un’attenta indagine relativa allo sport praticato dai pazienti è il punto di partenza fondamentale per il corretto inquadramento di questo genere di disturbi.

5. Si deve sospettare la scoliosi e fare una radiografia se:a. si riscontra un’asimmetria

dei triangoli della taglia;b. si trova un gibbo di 5° o più

durante il test di Adams; C. si riscontrano le scapole “alate”;d. il soggetto lamenta dolori

alla colonna.

6. Quali delle seguenti caratteristiche farmacologiche differenzia gli antistaminici di ii generazione da quelli di i generazione?a. maggiore selettività per il recettore,

bassa lipofilia, azione antinfiammatoria;

b. minore selettività per il recettore, bassa lipofilia, basso peso molecolare;

C. minore selettività per il recettore, alta lipofilia, azione antinfiammatoria

d. maggiore selettività per recettore, alta lipofilia, alto peso molecolare.

7. Qual è il farmaco di scelta per il trattamento della rinite allergica moderata-grave?a. antistaminico di I generazione

per via sistemica;b. antistaminico di I generazione

per via orale;C. antistaminico di II generazione

per via orale;d. steroide topico nasale.

8. Quando è indicata la chirurgia nel trattamento delle cisti ovariche secernenti?a. solo nei casi di complicanza acuta:

torsione ovarica, rottura, emorragia intra-cistica e compressione degli organi circostanti;

b. sempre;C. se le dimensioni della cisti

superano i 5 cm;d. mai, vanno incontro

ad una remissione spontanea.

9. Qual è il momento ottimale per introdurre il glutine nella dieta di un lattante a rischio familiare di malattia celiaca (almeno un parente di primo grado con malattia celiaca)?a. durante l’allattamento;b. tra i 4 ed i 6 mesi di vita

somministrando microdosi di glutine (100 mg) nella dieta dei bambini;

C. a 12 mesi di vita;d. non è presente alcuna differenza

nel rischio di celiachia tra i bambini che introducono il glutine a 6 mesi e coloro che lo introducono a 12 mesi.

10. l’allattamento al seno ha un ruolo protettivo per lo sviluppo della malattia celiaca?a. sì, sempre;b. non è dimostrato un ruolo

protettivo;C. sì, solo se prolungato fino a 6 mesi;d. sì, solo nei soggetti con almeno

un parente di primo grado con malattia celiaca.

[Quiz]

Test di autovalutazione

Le risposte esatte saranno pubblicate

sul prossimo numero della rivista.

1. la correzione chirurgica del criptorchidismo è indicata a quale età?a. 6-12 mesi;b. 12-18 mesi;C. 18-24 mesi;d. dopo i 3 anni.

2. Nel reflusso vescico-ureterale di grado elevato una delle seguenti condizioni di norma non è corretta:a. va sempre trattato;b. eventuale ricorso alla chirurgia

a cielo aperto;C. trattamento prima dell’anno

di vita;d. trattamento oltre il primo anno

di vita.

3. l’ernia inguinale nella femmina:a. non va trattata;b. va tenuta in osservazione

per almeno 6 mesi;C. deve essere operata in ogni caso

dopo l’anno di età;d. deve essere operata nel più breve

tempo possibile.

4. in caso di rachialgie degli adolescenti… a. tutti gli sport in carico hanno

un ruolo nel determinare il dolore, mentre quelli in scarico sono protettivi;

b. l’attività fisica moderata non è utile nella prevenzione dei dolori degli adolescenti;

C. le deformità della colonna vertebrale devono essere il primo ed unico sospetto clinico in caso di dolore in un paziente in crescita;

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8Quiz Test di autovalutazione

1. in età pediatrica i farmaci più spesso responsabile di reazioni av-verse sono: antibiotici beta-latta-mici.Risposta corretta: BI beta-lattamici sono la classe di antibio-tici più spesso responsabile di reazioni avverse in età pediatrica, seguiti dagli antinfiammatori non steroidei e dagli antibiotici non-beta-lattamici.

2. Quale patologia presenta un rischio aumentato di reazioni al-lergiche agli antibiotici? Fibrosi cisticaRisposta corretta: BNel 30% dei pazienti con fibrosi cistica sono state descritte reazioni allergiche agli antibiotici. Piperacillina, ceftazidime e ticarcillina sono i farmaci più spesso coinvolti, con una probabilità di rischio superiore se somministrati per via paren-terale rispetto alla via di somministrazio-ne orale. Le ripetute esposizioni agli an-tibiotici e l’iperresponsività del sistema immunitario sono considerati i due fat-tori di rischio maggiormente responsabi-li dell’alta prevalenza di reazioni allergi-che in pazienti con questa malattia.

3. in che percentuale i pediatri seguono le linee guida internazio-nali nella gestione del reflusso Gastro-esofageo (rGe): < 2%Risposta corretta: AUna survey effettuata nel 2012 sull’ap-proccio da parte dei pediatri europei ai bambini con RGE ha mostrato che solo l’1.8% dei pediatri coinvolti gestiva i bambini nel rispetto delle linee guida internazionali. La percentuale di pediatri che prescrivevano impropriamente gli I-nibitori di Pompa Protonica nella loro pratica clinica era >60% in tutti i Paesi coinvolti nello studio .

4. Nei lattanti, i fattori determi-nanti i sintomi da reflusso gastro-esofageo post-prandiale sono tut-ti eCCetto: l’aumentata acidità gastricaRisposta corretta: CNei lattanti il fattore determinante i sin-tomi da reflusso è il volume piuttosto che l’acidità. Nel primo anno di vita, infatti, i bambini ingeriscono un volume enorme di nutrienti in un breve periodo di tempo, la distensione gastrica, indotta dall’ipe-ralimentazione e dall’involontaria inge-stione di aria, è associata ad un aumento dei rilasciamenti transitori dello sfintere esofageo inferiore, che è considerato uno dei principali meccanismi che contribui-scono al reflusso gastroesofageo post-prandiale.

5. in che percentuale le faringo-tonsilliti nei bambini >5 anni sono causate dallo streptococco – emo-litico di gruppo a: 30%-40%Risposta corretta: CLa faringotonsillite acuta è causata nella maggior parte dei casi da virus (rinovirus, coronavirus, adenovirus, virus dell’in-fluenza, virus parainfluenzae, coxsakie-virus, herpes virus). Circa il 37% delle faringotonsilliti nei bambini >5 anni è causata dallo streptococco emolitico di gruppo A.

6. l’ottimizzazione della tecnica di inalazione con pMdi + distanzia-tore nei pazienti collaboranti pre-vede: inspirazione lenta e profon-da, seguita da una pausa respira-toria di almeno 10 secondiRisposta corretta: ANei pazienti collaboranti, una inspirazio-ne profonda seguita da una pausa respi-ratoria di almeno 10 secondi rappresenta la tecnica raccomandata. Studi clinici hanno dimostrato che questa tecnica ot-tiene una maggiore deposizione di far-maco a livello polmonare rispetto alle altre tecniche.

7. Se il breath test per la ricerca dell’H.P. risulta positivo bisogna: eseguire prima eGdSRisposta corretta: BPrima di sottoporre un bambino, anche se sintomatico, alla terapia specifica per l’H.P. va valutata mediante EGDS l’infe-zione in corso da parte dell’Helicobacter e lo stato della mucosa gastrica.

8. Per valutare l’avvenuta eradi-cazione dell’HP è necessario: ese-guire l’Urea breath testRisposta corretta: CLa ripetizione dell’EGDS va riservata solo a casi particolari, inutile la ricerca degli anticorpi anti-H.P. che possono persistere per molto tempo anche dopo l’avvenuta eradicazione, dirimente invece in Breath test o la ricerca dell’antigene fecale.

9. le cure palliative pediatriche (CPP) iniziano: alla diagnosi di in-guaribilitàRisposta corretta: BLe CPP devono iniziare alla diagnosi di inguaribilità e non di terminalità perché in questo modo l’equipe si può affianca-re fin da subito al bambino, alla famiglia e allo specialista che ha posto la diagno-si, attivando tutti i possibili componenti della rete (PLS, territorio, ambiti sociali, scuola, associazioni di volontariato), ga-rantendo il più possibile la domiciliarità, condividendo fin da subito il difficile percorso che, nei tempi estremamente variabili, porterà alla terminalità.

10. i bambini eleggibili alle CPP sono: bambini affetti da malattie croniche inguaribili con bisogni complessiRisposta corretta: CI bambini eleggibili alle cure palliative sono solo per il 25% affetti da patologia oncologica, a differenza dell’adulto in cui i pazienti oncologici rappresentano il 90-95%. Il 75% dei bambini è affetto da una miscellanea di patologie, a volte estre-mamente rare. Tali patologie sono sì cro-niche ma con bisogni complessi ai quali per dare una risposta adeguata deve essere attaccata un assistenza di rete, multispecialistica e multidisciplinare, co-ordinata dall’equipe di CPP.

Le risposte del numeroprecedente

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1. Prenner BM et Al J Allergy Clin Immunol 2010; 125: 1247 – 1253 e 5

2. Meltzer EO Formulation considerations of intranasal corticosteroids for the treatment of allergic rhinits. Ann Allergy Asthma Immunol 2007 Jan; 98(1): 12- 21.26(6):606-612.

3. RCP

www.msd-italia.it | www.msdsalute.it RESP-1149270-0001-NAS-J-10/2016 Depositato all’ AIFA il 24/04/2015

Controllo dei sintomi nasali e oculari1

Angolo di erogazione idoneo2

Convenienza delle 140 dosi3

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1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE: NASONEX 50 microgrammi/erogazione spray nasale, sospensione. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA: Mometasonefuroato (come monoidrato) 50 microgrammi/erogazione. Questo prodotto medicinale contiene 0,2 mg di benzalconio cloruro per grammo. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA: Spray nasale, sospensione. Sospensione di colore bianco - bianco sporco opaco. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni terapeutiche: NASONEXspray nasale è indicato nel trattamento dei sintomi della rinite allergica stagionale o perenne negli adulti e nei bambini dai 12 anni di età. NASONEX spray nasale è indicato anche nel trattamentodei sintomi della rinite allergica stagionale o perenne nei bambini di età compresa tra 6 e 11 anni. In pazienti con anamnesi positiva per sintomi di rinite allergica stagionale di entità damoderata a grave, il trattamento profilattico con NASONEX spray nasale può essere iniziato fino a quattro settimane prima dell’inizio previsto della stagione dei pollini. NASONEX spray nasaleè indicato per il trattamento dei polipi nasali in pazienti adulti a partire dai 18 anni di età. 4.2 Posologia e modo di somministrazione: Dopo un iniziale caricamento della pompa diNASONEX spray nasale (azionare 10 volte, finché non si osserva un getto uniforme), ogni erogazione libera circa 100 mg di sospensione contenente mometasone furoato monoidrato equivalentea 50 microgrammi di mometasone furoato. Se la pompa spray non viene utilizzata per 14 o più giorni, deve essere nuovamente caricata con 2 spruzzi finché non si osserva un getto uniformeprima dell’uso successivo. Rinite allergica stagionale o perenne: Adulti (compresi i pazienti geriatrici) e bambini dai 12 anni di età: la dose solitamente raccomandata è di due erogazioni(50 microgrammi/erogazione) in ogni narice una volta al giorno (dose totale 200 microgrammi). Una volta che i sintomi siano controllati, la riduzione della dose ad una erogazione in ogninarice (dose totale 100 microgrammi) può essere efficace per il mantenimento. Se i sintomi sono controllati in modo inadeguato, la dose può essere incrementata fino ad una dose massimagiornaliera di quattro erogazioni per ogni narice una volta al giorno (dose totale 400 microgrammi). Si raccomanda la riduzione della dose una volta ottenuto il controllo dei sintomi. Bambinidi età compresa tra i 6 e gli 11 anni: la dose solitamente raccomandata è di una erogazione (50 microgrammi/erogazione) in ogni narice una volta al giorno (dose totale 100 microgrammi).NASONEX spray nasale in alcuni pazienti con rinite allergica stagionale ha dimostrato l’insorgenza di attività clinicamente significativa entro 12 ore dalla prima dose; tuttavia, un completobeneficio legato al trattamento può non essere raggiunto nelle prime 48 ore. Pertanto il paziente deve continuare l’uso regolare per ottenere un completo beneficio terapeutico. Poliposinasale: Il dosaggio iniziale comunemente raccomandato per la poliposi è di due erogazioni (50 microgrammi/erogazione) in ciascuna narice una volta al giorno (per una dose totale di 200 mi-crogrammi). Se dopo 5 o 6 settimane i sintomi non sono sotto adeguato controllo, il dosaggio può essere aumentato fino ad una dose giornaliera di due erogazioni in ciascuna narice due volteal giorno (per una dose totale di 400 microgrammi). Il dosaggio deve essere ridotto alla dose minima alla quale si mantiene un controllo efficace dei sintomi. Si devono prendere in considerazioneterapie alternative se non si verifica un miglioramento dei sintomi dopo 5 o 6 settimane di trattamento due volte al giorno. Gli studi di efficacia e sicurezza di NASONEX spray nasale neltrattamento della poliposi nasale sono durati quattro mesi. Prima di somministrare la prima dose, agitare bene il contenitore ed azionare la pompa 10 volte (finchè non si ottiene uno spruzzouniforme). Se il vaporizzatore non si usa per 14 o più giorni, caricare la pompa con 2 spruzzi finchè non si osserva un getto uniforme. Agitare bene il contenitore prima di ogni uso. Il flaconedeve essere gettato dopo aver effettuato il numero di erogazioni indicate in etichetta o entro 2 mesi dopo il primo utilizzo. 4.3 Controindicazioni: Ipersensibilità al principio attivo o ad unoqualsiasi degli eccipienti di NASONEX spray nasale. NASONEX spray nasale non deve essere utilizzato nel caso di infezioni localizzate non trattate che coinvolgono la mucosa nasale. A causa del-l’effetto inibitore esercitato dai corticosteroidi sulla cicatrizzazione delle ferite, i pazienti recentemente sottoposti ad un intervento di chirurgia nasale o che abbiano subito un trauma non devonoutilizzare un corticosteroide nasale fino a che non sia avvenuta la cicatrizzazione. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego: NASONEX spray nasale deve essere utilizzato concautela, o addirittura non usato, nei pazienti con infezioni tubercolari attive o quiescenti del tratto respiratorio o nel caso di infezioni non trattate fungine, batteriche, sistemiche virali o nel casodi herpes simplex oculare. Dopo 12 mesi di trattamento con NASONEX spray nasale non c’è evidenza di atrofia della mucosa nasale; inoltre il mometasone furoato tende a ripristinare il normalefenotipo istologico della mucosa nasale. Come per ogni trattamento a lungo termine, i pazienti che usano NASONEX spray nasale per diversi mesi o più devono essere esaminati periodicamenteper verificare possibili modifiche della mucosa nasale. Se si sviluppa un’infezione fungina localizzata nel naso o nella faringe, può essere richiesta la sospensione della terapia con NASONEXspray nasale o un trattamento appropriato. La persistenza di un’irritazione nasofaringea può essere un’indicazione alla sospensione di NASONEX spray nasale. Sebbene NASONEX controlli isintomi nasali nella maggior parte dei pazienti, l’uso concomitante di un’appropriata terapia supplementare può alleviare anche altri sintomi, in particolare quelli a livello oculare. Non c’èevidenza di soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) in seguito a trattamento prolungato con NASONEX spray nasale. Tuttavia, richiedono particolare attenzione quei pazienti chepassano dalla somministrazione a lungo termine di corticosteroidi sistemicamente attivi a NASONEX spray nasale. La sospensione dei corticosteroidi sistemici in questi pazienti può determinareun’insufficienza delle ghiandole surrenaliche per alcuni mesi, fino al recupero della funzionalità dell’asse HPA. Se questi pazienti mostrano segni e sintomi di insufficienza surrenalica, la som-ministrazione di corticosteroidi sistemici deve riprendere e devono essere istituite altre terapie e appropriate misure. Durante il passaggio da corticosteroidi sistemici a NASONEX spray nasale,in alcuni pazienti possono verificarsi sintomi da sospensione di corticosteroidi sistemicamente attivi (es. inizialmente dolore articolare e/o muscolare, stanchezza e depressione) malgrado la re-missione dai sintomi nasali, e questi pazienti andranno incoraggiati a continuare la terapia con NASONEX spray nasale. Tale passaggio può anche portare alla luce condizioni allergiche pre-esistenti, quali congiuntivite allergica ed eczema, precedentemente soppresse dalla terapia corticosteroidea sistemica. La sicurezza ed efficacia di NASONEX non sono state studiate per iltrattamento di polipi unilaterali, polipi associati alla fibrosi cistica o polipi che ostruiscono completamente le cavità nasali. I polipi unilaterali che appaiono inusuali o irregolari, specialmente seulcerativi o sanguinanti, devono essere valutati più approfonditamente. I pazienti trattati con corticosteroidi che sono potenzialmente immunosoppressi devono essere avvertiti del rischioderivante dalla esposizione a certe infezioni (es. varicella, morbillo) e dell’importanza di ricorrere al medico se si verifica tale esposizione. In seguito all’uso di corticosteroidi per via intranasali,molto raramente sono stati riscontrati casi di perforazione del setto nasale o incremento della pressione intraoculare. La sicurezza ed efficacia di NASONEX spray nasale per il trattamento dellapoliposi nasale non sono state studiate nei bambini e negli adolescenti di età inferiore a 18 anni. Si possono presentare effetti sistemici con i corticosteroidi inalatori, in particolare quandoprescritti ad alte dosi per periodi prolungati. Tali effetti si verificano con meno probabilità rispetto al trattamento con corticosteroidi orali e possono variare nei singoli pazienti e tra differentipreparazioni di corticosteroidi. I possibili effetti sistemici possono includere la sindrome di Cushing, aspetto cushingoide, soppressione surrenalica, ritardo della crescita in bambini e adolescenti,cataratta, glaucoma e, più raramente una serie di effetti psicologici o comportamentali che includono iperattività psicomotoria, disturbi del sonno, ansia, depressione o aggressività (particolarmentenei bambini). Si raccomanda di controllare regolarmente l’altezza dei bambini in trattamento prolungato con corticosteroidi nasali. Se la crescita fosse rallentata, la terapia deve essere rivistaallo scopo di ridurre, se possibile, la dose del corticosteroide nasale alla minima che consenta un efficace controllo dei sintomi. Inoltre, si deve consigliare il paziente di rivolgersi ad un pediatra.Il trattamento con dosaggi superiori a quelli raccomandati può determinare una soppressione clinicamente significativa a livello del surrene. Se c’è evidenza che debbano essere usati dosaggisuperiori a quelli raccomandati, deve essere presa in considerazione una copertura supplementare con corticosteroidi per via sistemica durante i periodi di stress o in caso di intervento chirurgicodi elezione. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione: (Per l’uso con corticosteroidi sistemici, vedere il paragrafo 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego).E’ stato condotto uno studio clinico di interazione con loratadina. Non sono state osservate interazioni. 4.6 Gravidanza ed allattamento: Non sono disponibili studi adeguati o ben controllatiin donne in gravidanza. Come per le altre preparazioni nasali contenenti corticosteroidi, NASONEX spray nasale non deve essere utilizzato durante la gravidanza o l’allattamento, a meno cheil potenziale beneficio per la madre giustifichi ogni potenziale rischio per la madre, il feto o il neonato. Bambini nati da madri trattate con corticosteroidi durante la gravidanza devono essereosservati attentamente per eventuale ipoadrenalismo. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari: Non noti. 4.8 Effetti indesiderati: Gli eventi avversicorrelati al trattamento riportati negli studi clinici per la rinite allergica condotti in pazienti adulti e adolescenti sono di seguito elencati (Tabella 1).

Tabella 1: Rinite allergica-Effetti indesiderati correlati al trattamento per Nasonex spray nasalemolto comune (≥ 1/10); comune (≥ 1/100, < 1/10); non comune (≥ 1/1˙000, < 1/100);

raro (≥ 1/10˙000, < 1/1˙000); molto raro (< 1/10˙000) Patologie respiratorie, toraciche e mediastinicheComune: Epistassi, faringite, bruciore nasale, irritazione nasale, ulcerazione nasale Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazioneComune: Cefalea

RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO

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