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Adelano di Zeri, 5 gennaio 2016
Carissimi amici,
“Il Signore vi dia pace!”.
Come di consueto, recupero il tempo per scrivervi
nelle prime ore del mattino, immerso nel silenzio,
prima dell’inizio del lavoro.
Scendendo in città il più delle volte rimango
impressionato dalla mancanza di silenzio, dai tanti,
troppi rumori che invadono il quotidiano e qui mi
sento un privilegiato, a sostare silenziosamente sul
ciglio della notte ad aspettare che nasca il nuovo giorno. Sì, considero queste prime ore del mattino un
“privilegio”, uno spazio riservato, un tempo da custodire e difendere. È il tempo di un silenzio vigile, di un
ascolto sobrio, attento, il tempo di riflessioni e pensieri più lucidi. In questi mesi salvaguardare questo tempo
non è stato facile, ma mi ha aiutato a far fronte alle tante fatiche del lavoro, del cantiere, del vissuto tra mille
disagi.
Tutti sappiamo cosa vuol dire letteralmente la parola silenzio. È l’assenza di ogni forma di rumore, di suono
o di voce. Ma forse il vero silenzio è più di questa semplice definizione. Il silenzio, non è assenza di
comunicazione, di linguaggio. È ascolto, disponibilità, è rispetto. Il silenzio è espressione di sentimenti
profondi, di emozioni, di stati d’animo. Recentemente mi hanno scritto questa frase, di cui non conosco
l’autore: «Il silenzio è la forma più alta della parola; comprenderlo è la forma più alta dell’essere umano».
Ma il silenzio può fare paura. Ritrovarsi immersi nel silenzio, abbandonarsi al silenzio, può turbare, mettere
a disagio. Una mattina, al risveglio, ho chiesto ad un ospite dell’eremo se avesse riposato bene lungo la
notte. La sua risposta fu: “Non ho dormito quasi nulla: qui c’è troppo silenzio!”.
Hans Arp, poeta francese, diceva con rammarico: «Presto il silenzio diventerà una leggenda. L’uomo ha
voltato le spalle al silenzio. Giorno dopo giorno inventa nuove macchine e marchingegni che accrescono il
rumore e distraggono l’umanità dall’essenza della Vita, dalla contemplazione e dalla meditazione». Il silenzio,
non è scontato: è una scelta da operare nella nostra vita per ri-umanizzare spazi e tempi del nostro
quotidiano, trascendendo dal frastuono che il mondo produce attorno a noi e dentro di noi, dalla confusione
che disperde. Riconoscere il valore del silenzio e concedergli spazio, significa recuperare un contatto
profondo con il mondo, con ciò che ci circonda, con la storia, con gli altri e soprattutto con noi stessi.
A questo riguardo, vorrei condividere con voi una riflessione sul silenzio di Antonella Lucato, specialista in
psicologia della comunicazione, dal titolo “Il valore del silenzio”.
Il silenzio è la lingua comune ed eterna dell’universo è la più adatta a comunicare i
sentimenti più profondi. Posso affermare che l’incontro con il silenzio mi ha cambiato la
vita e trasformato profondamente il mio modo di comunicare. È nel silenzio che ho
imparato ad ascoltare, a comprendere, a leggere oltre le parole. Dopo gli anni della
comunicazione verbale e quelli della comunicazione non- verbale, oggi di silenzio ne ho
bisogno, è mio compagno, è il piacere di stare con me stessa, il luogo dove il mio spirito
trova ristoro, dove recupero le energie e mi ritempro, è un amico fidato al quale faccio ricorso ogni volta che
una svolta, una scelta, una prova o una nuova sfida attraversano la mia vita sicura che nel raccoglimento e nel
silenzio troverò le risposte, la giusta via, l’armonia, le parole per comunicare ciò che sento e penso. Il silenzio è
diventato uno strumento fondamentale anche nel mio lavoro. Sto scrivendo in compagnia del silenzio. Nei
miei corsi ho visto tante persone trasformarsi, dopo l’esperienza del silenzio hanno cambiato la loro
comunicazione, il modo di esprimersi, di relazionarsi e persino di muoversi e hanno trovato, anche grazie al
silenzio, maggior benessere.
La nostra è la società del rumore, abbiamo poche possibilità di stare in silenzio, di ascoltare noi stessi, la
nostra voce interiore. Lo stress, il bombardamento di informazioni, la confusione, l’eccesso di comunicazione
con l’esterno, non abbiamo l’abitudine al silenzio, come se il rumore rappresentasse la vita e il silenzio la morte
allora il silenzio può far paura.
Come possiamo ascoltare la voce interiore? Come conoscerci, incontrarci, comunicare con noi stessi e con gli
altri? La pratica quotidiana della meditazione, che è ascolto profondo senza preconcetti, senza interpretazioni,
senza reazioni... liberi da condizionamenti, pregiudizi, luoghi comuni, frasi fatte, paure, semplicemente
osservando e ascoltando, è uno dei modi per entrare dentro noi stessi, nel nostro centro, di entrare in contatto
con la nostra essenza. Aiuta a scoprire chi siamo. Quando c’è osservazione e ascolto c’è anche consapevolezza e
solo quando c’è consapevolezza siamo attenti. Attenti a ciò che accade dentro di noi, pronti a entrare in
contatto con quella conoscenza interiore che magari si oppone al sapere apparente. Ciò che ci rende felici
proviene dal nostro interno. Per sperimentare la vera felicità dobbiamo concentrare la nostra consapevolezza al
nostro interno nel silenzio. Il paradosso è che invece abbiamo imparato a cercare le risposte all’esterno, non
siamo stati educati al silenzio.
Molti credono che comunicare sia parlare bene ma comunicare è essenzialmente saper ascoltare, è l’ascolto
che permette di costruire relazioni di qualità. Senza il silenzio non può esserci vera comunicazione. Il silenzio è
sempre presente ... anche tra le parole.
Le parole sono una maschera dice Hesse perché raramente esprimono il loro vero significato ma tendono a
velarlo. Talvolta si parla per abitudine, per sfuggire la solitudine più che per piacere o perché si ha qualcosa di
significativo da dire. Si chiacchera per evitare il senso di vuoto o perché falsamente convinti che più si parla
meglio è, ma parlare molto non facilita ne migliora le relazioni e non significa comunicare. Si crede che il
grande comunicatore non si trovi mai in imbarazzo o “senza parole” cercando di evitare i silenzi, di riempire
ogni pausa con un diluvio di parole, celando ciò che davvero ci sarebbe da dire.
Contattare il silenzio, raggiungere la quiete, la calma, significa avvicinarsi alla propria essenza profonda e vera:
è là che nasce la nostra capacità di comunicare con noi stessi e con il mondo. È nel silenzio che possiamo
riconoscerci, ritrovarci, sentirci “a casa”.
Il silenzio è ascolto, è la condizione per ogni tipo di comunicazione. La disponibilità all’ascolto degli altri
nasce proprio dalla capacità di ascoltare se stessi, i propri bisogni e ci dà l’opportunità di crescere. Saper
ascoltare significa comprendere le esigenze di chi ci sta di fronte, rispettando i sentimenti e le opinioni altrui e
considerando la realtà individuale di ciascuno. Quando non ascolto ma fingo soltanto, preparandomi in realtà a
ciò che dirò quando l’altro avrà smesso di parlare la comunicazione è virtuosismo verbale reciproco. Impariamo
ad ascoltare cercando punti di silenzio nelle parole dell’altro perché solo quando la mente è in silenzio
possiamo recepire senza distorsione ciò che ci viene detto.
Alleniamoci a rispondere solo dopo aver ricreato in noi il silenzio, in modo che le parole che usciranno dalla
nostra bocca non siano dette tanto per dire ma autentiche, vibranti, in sintonia con la realtà del momento che
stiamo vivendo, così diamo qualità alla nostra comunicazione. Possiamo imparare ad usare il silenzio come
strumento di ben-essere. Tuffarsi nel silenzio significa imparare a rilassarsi verbalmente, nel silenzio ci
carichiamo di nuova vitalità, ringiovaniamo e la nostra comunicazione con noi, il silenzio ci porta direttamente
e immediatamente in comunione con la vita così com’è. È solo nell’assenza di tensione, nella quiete vigile e
attenta che comunicare è un movimento semplice come il respiro che si articola in una fase di espansione, la
parola, e in una di assorbimento, l’ascolto. Nell’essenzialità la comunicazione ritrova la propria magia ed
esprime il nostro Essere e la parola, senza sforzo, viene fuori con le giuste pause, la giusta intonazione, come il
fiore della consapevolezza.
Avete letto bene: sono di nuovo in cantiere o, come
mi ha detto don Marco, usando parole del profeta
Isaia, il «restauratore di brecce e rovine» è
nuovamente all’opera. Portato a termine il lavoro della
cappella, si apre un altro fronte,
molto più impegnativo. Si passa dalla casa di Dio alla
casa degli uomini.
Dopo l’alluvione e il terremoto del gennaio 2011,
la casa e la chiesa, necessitavano di interventi
strutturali urgenti, lavori importanti richiesti dal
Genio Civile per la messa in sicurezza dei fabbricati e
poter così continuare l’ospitalità presso l’eremo.
Dopo i sopralluoghi dei tecnici del
Genio, si è aperta così una lunga fase progettuale per fare rivelazioni
più precise e stimare i danni reali, decidere gli interventi necessari e
quelli prioritari, buttar giù i diversi computi e richiedere i preventivi
necessari con le richieste e le necessarie autorizzazioni dei diversi
Enti chiamati in causa. Ai primi di ottobre si è iniziato il lavoro, non
senza qualche preoccupazione e perplessità su tanti fronti:
economico principalmente, ma anche tecnico, perché, quando si
mette mano su strutture come queste, le incognite e le
problematiche che insorgono sono tante e non prevedibili e
preventivabili. Non ultimo: iniziare i lavori con la stagione autunnale
alle porte! Dover scoprire parte
del tetto della chiesa, ancora in
tegole di coccio e in pietra, dover lavorare all’esterno in condizioni
non favorevoli, poteva essere un grande rischio. Le alternative erano
poche. In molti mi hanno sconsigliato di aprire il cantiere con la
brutta stagione così vicina, dicendomi che iniziare i lavori in autunno
era un azzardo che avrei pagato, ma l’alternativa era rimandare tutto
in primavera, avendo il cantiere aperto nel periodo estivo, quando
all’eremo c’è più passaggio di ospiti e pellegrini, nell’uno e nell’altro
caso non potendo
garantire in nessun
modo l’accoglienza.
Così ho deciso: in
settembre avrei sgomberato la casa e i lavori sarebbero
iniziati i primi di ottobre.
La stagione, pur generando preoccupazione a livello
climatico, è stata più che benevola rispetto agli anni scorsi,
nelle temperature e soprattutto nelle precipitazioni,
occasionali fino a non molti giorni fa. Questo ci ha dato la
possibilità di lavorare sia all’interno che all’esterno,
scoprendo il tetto della chiesa e finendone la copertura in
tempi accettabili, posizionando catene e chiavi sia nella
chiesa che nella casa. Queste serviranno ad aumentare la
sicurezza di tenuta strutturale dei fabbricati durante gli
eventi sismici ed impedire il collasso dei muri perimetrali
in pietra e calce.
Come potete capire, il lavoro è tanto. L’intervento di
consolidamento ha richiesto lo sgombero completo del
piano terra della casa e della chiesa, tirar su tutti i
pavimenti e liberare parte delle volte a crociera per poter fare le perforazioni necessarie al
posizionamento di ogni catena all’interno, con le chiavi
all’esterno, mettere le reti elettrosaldate, gettare le nuove
solette e rifare gli intonaci dove necessario.
In tutto questo vivo da “baraccato”, tra la sacrestia e il
salone attiguo la chiesa grande, dove mi sono sistemato,
come si suol dire, alla bella e meglio, ma con un
inevitabile, grande disagio. Non è facile vivere così, ma
stringo i denti, pensando che non solo la vita all’eremo,
ma l’accoglienza e
l’ospitalità di pellegrini
e visitatori, potranno avere miglioramenti evidenti.
Oltre questo si è aperto un ulteriore fronte: la strada. Come diversi
di voi ricorderanno, la strada che, dalla frazione di Calzavitello,
scende per proseguire verso l’eremo e la frazione di Casa Bornia,
ormai risultava quasi impraticabile. L’alluvione, le piogge importanti
di questi ultimi anni, ma soprattutto le infiltrazioni di acqua sorgiva
avevano generato cedimenti del
terreno sottostante il manto
stradale, tanto da renderlo, per
alcuni mezzi, impraticabile.
Quattro anni fa, con l’impegno e il
lavoro volontario della gente di Adelano, avevamo cercato di fermare
il progressivo dissesto della strada che scende alla chiesa, ma
l’inarrestabile abbassamento del terreno ha richiesto l’intervento del
Comune di Zeri. Con l’apertura del cantiere alla fine di novembre
sono così raggiungibile solo a piedi!
In tanti mi stanno aiutando in questo periodo, sostenendomi in
diversa maniera. Alcune persone si sono fatte carico di una parte dei
lavori che non sarebbero potuti essere realizzati se non con l’aiuto
della Provvidenza. Così è stato per i ponteggi, l’adeguamento del sistema di riscaldamento, il reperire
materiali o fondi, o venendo ad aiutarmi anche solo per qualche ora.
Sono contento di sentire che in tanti crediamo in questo progetto, che molti pensino che questo luogo
possa continuare ad essere una casa capace di accogliere, ospitale per chiunque la visiti. Il Signore
continua a benedire con la sua Presenza ogni sforzo e questa si manifesta anche nel volto di quei fratelli
che mi sono vicini, cosicché, il sopportare la fatica, il lavoro, le preoccupazioni, è meno pesante.
Diversi di voi mi hanno chiesto come è possibile aiutarmi nel sostenere i costi dei lavori tramite
un’offerta. È possibile farlo attraverso un versamento, specificando la causale “per lavori di
ristrutturazione Eremo S.M.Maddalena” sulla carta RiCarige attivata per i pagamenti dei
lavori, intestata a VENTURI GIAN PAOLO, IBAN IT04 S061 7501 4000 0000 6833 970.
Ringrazio tutti coloro che hanno già voluto essermi vicino in diversa maniera, chi ha insistito perché
scrivessi tutto questo per poterlo divulgare tra familiari, amici e conoscenti.
Spero, carissimi, di potervi presto riaccogliere tutti qui, magari in primavera, nel periodo pasquale,
quando il cantiere sarà ormai chiuso. Come sempre vi chiedo di far girare questo foglio di comunicazioni
attraverso il “passa-mail” a tutti coloro a cui pensate possa far piacere ricevere notizie dell’eremo. Oggi
è il 5 gennaio, la vigilia dell’Epifania del Signore. Lui, che si è rivelato al mondo come misericordia, vi
mostri il suo volto e vi dia pace! Buon anno! Vi abbraccio tutti.
fr. Cristiano +
dal cuore di Dio …
… al cuore dell’uomo
«Nella “pienezza del tempo” (Gal 4, 4), quando tutto era
disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo
Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo
definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr. Gv 14,
9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con
tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio.
Abbiamo sempre bisogno di contemplare
il mistero della misericordia.
È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della
nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero
della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il
quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge
fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando
guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che
unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il
limite del nostro peccato.
Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo
sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre ...
… Dal cuore della Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre senza
sosta il grande fiume della misericordia. Questa fonte non potrà mai esaurirsi, per quanti siano
quelli che vi si accostano. Ogni volta che ognuno ne avrà bisogno, potrà accedere ad essa, perché
la misericordia di Dio è senza fine. Tanto è imperscrutabile la profondità del mistero che
racchiude, tanto è inesauribile la ricchezza che da essa proviene.
In questo Anno Giubilare la Chiesa si faccia eco della Parola di Dio che risuona forte e
convincente come una parola e un gesto di perdono, di sostegno, di aiuto, di amore. Non si
stanchi mai di offrire misericordia e sia sempre paziente nel confortare e perdonare. La Chiesa si
faccia voce di ogni uomo e ogni donna e ripeta con fiducia e senza sosta: “Ricordati, Signore,
della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre” (Sal 25, 6)».
PAPA FRANCESCO, Misericordiae Vultus, 11 aprile 2015