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1 L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 44341 utenti - Zurigo, 2 luglio 2015 Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni IPSE DIXIT Con l’autorevole Mogherini - «Titolari con l’autorevole Mogherini della politica estera europea, assenti, senza protestare, dai tavoli negoziali decisivi, siamo stati costretti a rimpiangere che, al suo posto non ci sia un D’Alema, un Enrico Letta preventivamente esclusi da Renzi, sembra di capire, per eccesso di competenza e difetto di servilismo.» - Claudio Martelli EDITORIALE Greco-tedesco Un piccolo contributo alla mediazione culturale di Andrea Ermano Al terzo Atto della "tragedia romantica" La Pulzella d'Orleans di Friedrich Schiller c'è questo verso enigmatico: «Con la stupidità combattono gli dei stessi indarno.» («Mit der Dummheit kämpfen Götter selbst vergebens.») Giovanna d'Arco in un'incisione di Georg Goldberg (ca. 1859)

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La Newsletter settimanale del 2 luglio 2015

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano

> > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < <

e-Settimanale - inviato oggi a 44341 utenti - Zurigo, 2 luglio 2015

Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni

IPSE DIXIT

Con l’autorevole Mogherini - «Titolari con l’autorevole Mogherini

della politica estera europea, assenti, senza protestare, dai tavoli

negoziali decisivi, siamo stati costretti a rimpiangere che, al suo posto

non ci sia un D’Alema, un Enrico Letta preventivamente esclusi da

Renzi, sembra di capire, per eccesso di competenza e difetto di

servilismo.» - Claudio Martelli

EDITORIALE

Greco-tedesco

Un piccolo contributo alla mediazione culturale

di Andrea Ermano

Al terzo Atto della "tragedia romantica" La Pulzella d'Orleans di

Friedrich Schiller c'è questo verso enigmatico: «Con la stupidità

combattono gli dei stessi indarno.» («Mit der Dummheit kämpfen

Götter selbst vergebens.»)

Giovanna d'Arco in un'incisione

di Georg Goldberg (ca. 1859)

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Qui è un generale invasore che parla, nel momento della sconfitta da

lui incredibilmente subita per mano di Giovanna D'Arco, una bella

ragazza che rovescia i pronostici e getta lo stratega nella più nera

disperazione.

«Già fuggono i nostri da tutte le parti. Irresistibile incalza la

Pulzella», riferiscono i messaggeri della disfatta. Al che il capo

militare sconfitto reagisce pronunciando queste amare parole:

Con la stupidità combattono gli dei stessi indarno.

Ah, Ragione sublime, figlia lucente

del re degli dei, fondatrice saggia

dell'edificio cosmico, capitana di stelle.

Chi se' mai tu, se legata per sua coda

al furioso destriero della pazzia,

clami impotente e vedi con quell'ebbro

te stessa precipitata dentro a un abisso!

Maledetto chi sua vita a ciò ch'è grande

e degno volge e avvedutissimi disegni

con saggezza forgia! Mentr'è al re de' buffoni

che appartiene il mondo… (III, 6)

In questo magistrale monologo d'orgoglio marzial ferito Schiller ha

implementato, dicevamo, un enigma:

Con la stupidità combattono gli dei stessi indarno.

Il generale sconfitto Talbot in una

incisione di Veit Froer (ca. 1859)

Dov'è l'enigma? La formula appare talmente poco enigmatica da essere

divenuta ormai proverbiale, in tedesco e non solo in tedesco, come si

può facilmente constatare, consultando il Wiktionary (vai alla voce). E

però qui il proverbio introduce una piccola, ma decisiva modifica

rispetto alla formulazione schilleriana originaria:

Contro la stupidità combattono gli dei stessi indarno.

Nel proverbio ora c'è scritto "contro" ("gegen") e non più "con" ("mit")

come nel verso schilleriano. In effetti "con" aveva un senso ambiguo, e

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allora qualcuno ha pensato bene di migliorare Schiller, piallando via

ogni doppio senso. Così, in questa forma disambiguata il proverbio ha

iniziato una carriera di successo che lo ha portato a diffondersi ben

oltre i confini della lingua tedesca.

In italiano, per dire, molti ricordano ancora la storica trilogia La

prevalenza del cretino di Fruttero & Lucentini («Per lui, il cretino è

sempre "un altro"»), ma questa poggiava sull'opinione diffusissima nel

nostro beneamato Belpaese secondo cui: «Contro la stupidità ogni

battaglia è persa!».

Ma il concetto è internazionalmente diffuso, a tal punto che Isaac

Asimov vi ha tratto il titolo di uno dei suoi romanzi di fantascienza

(Neanche gli dei, del 1972), nel quale ci s'interroga, capitolo per

capitolo, se: «Contro la stupidità... Neanche gli Dei... Possono nulla? ».

E già nel 1919 il grande Keynes nel suo saggio su Le conseguenze

economiche della pace – che egli compone in dissenso dall'eccesso

punitivo riservato alla Germania dagli Alleati alla Conferenza di

Versailles dopo la Prima Guerra mondiale – parafrasa così: «Contro la

stupidità anche gli dei sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore. Ma

dovrebbe scendere Lui di Persona, non mandare il Figlio…».

Sarkozy con la cancelliera Merkel

a Deauville, 18 ottobre 2010

La stupidità è una forza invincibile? Certo, per tornare a Schiller,

questa opinione corrisponde alla nera amarezza del generale invasore,

dal quale eravamo partiti. Costui in qualche modo "deve" reputare che

– sconfitto lui – la divina Ragione stessa sia precipitata nell'abisso e il

mondo intero si riduca a un'unica sovrana buffonata.

Tutto chiaro?

Non proprio.

Anzi, per dirla con Bartali: «L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare!»

La falsa chiarezza di questo proverbio, ormai diffuso come una

malattia contagiosa nelle lingue e nei dialetti di molte grandi nazioni

europee, non spiega in alcun modo in che cosa consistesse l'enigma

originario schilleriano.

Perché – se Schiller affermava essere inutile combattere "con la

stupidità" – l'espressione "combattere con" tanto in tedesco quanto in

italiano e in altre lingue moderne di grandi nazioni europee conserva

due significati differenti e opposti, potendo voler dire sia "combattere

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contro qualcuno come avversario", sia "combattere insieme a qualcuno

come alleato".

Nel greco classico, però, non funziona così. Ed è solo cercando di

ripensare le parole di Schiller in greco classico che comprendiamo il

senso profondo dell’enigma.

Nel greco classico, la lingua di uno dei popoli più intelligenti della

storia umana, "combattere con qualcuno" (μάχομαι σύν τινι oppure

μετά τινος) non significa mai "combattere contro qualcuno come

avversario".

Nel greco classico "combattere con qualcuno" significa sempre

"combattere insieme a qualcuno come alleato".

E dunque, per concludere, possiamo arguire che – mentre tra noi

abitanti delle grandi nazioni europee la stupidità proverbialmente

trionfa – nel greco classico ogni battaglia verrà, prima o poi, perduta…

se la combatterai insieme alla stupidità come alleata.

Friedrich Schiller in divisa da medico del reggimento,

olio su tela di Philipp Friedrich von Hetsch (1781/1782)

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LETTERA da Milano

Schizofrenia?

Perché il PSE continua a finanziare il sito Social Europe (vai al

sito) consentendo la pubblicazione di articoli in cui si spiega che la

politica della Trojka nei confronti della Grecia è sbagliata? Che l'errore

è stato fatto da due francesi nel 2010 Strauss Kahn al IFM e Trichet

alla BCE, il primo per diventare Presidente dei Francesi e il secondo

per salvare le banche francesi (e tedesche) troppo esposte verso la

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Grecia? Ma il PSF e la SPD che ci stanno a fare?

Con un'espressione tedesca Social Europe sono i calzini rossi in

scarpe nere. Sarà capace la socialdemocrazia a ritrovare il senso della

sua missione che è anche quello della sua esistenza?

Forse se avesse cominciato con eleggere alla Presidenza Enrique

Baronb Crespo sarebbe stato un segno di voler cambiare, invece di

confermare il bulgaro Stanishev.

Strano destino della socialdemocrazia europea: essere nelle mani di

ex comunisti diventati liberisti senza fare almeno una pausa socialista

democratica!

Ora è sempre più chiaro perché il PSE abbia aderito al PD, più che il

PD al PSE.

Conservate questa raccolta di scritti di Social Europe che la

mailinglist del Rosselli ha con merito diffuso. Quando si discuterà di

occasioni perdute sapremo di cosa e di chi parlare.

Felice C. Besostri, Milano

To recent Articles in Social Europe

Jürgen Habermas - Why Angela Merkel Is Wrong On Greece

SPIGOLATURE

Euro-Dracma: derby

su terreno scivoloso

di Renzo Balmelli

RUSPE. Sostiene Frau Merkel che se fallisce l'euro fallisce anche

l'Europa. E' probabile. Resta però da capire di che cosa parliamo, se

dell'Europa degli affari o quella della solidarietà. Ovvero due concetti

antitetici. Qualcuno ha paragonato il difficoltoso salvataggio della

Grecia a un derby che si disputa sul terreno scivoloso del referendum

tra la moneta unica e la dracma. Una sorta di resa dei conti tra il rigore

monetario per cui i debiti si pagano e le bizzarre improvvisazioni del

governo ellenico. In prospettiva però la vera sfida è ben un'altra, è

quella cruciale dal cui esito dipendono la stabilità e gli equilibri

dell'unione sempre più stretta fra i popoli sognata dai padri fondatori.

In quest'ottica non è pensabile la sciagurata ipotesi della Grecia, culla

della democrazia, alla deriva nello scenario instabile del Mediterraneo

ed esiliata ai margini della storia. No, Atene e l'UE, che ci ha

preservato da guai maggiori, non meritano di crollare sotto le ruspe

salviniane e il ghigno beffardo degli euroscettici. Sarebbe come se

Platone finisse in serie B.

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ORRORE. Dire , dopo i tragici episodi di Sousse e Lione, che ci

troviamo nell'anticamera della terza guerra mondiale, è forse

prematuro. Per quanto incuta paura e dia l'impressione di essere

inafferrabile, sul piano militare il terrorismo jihadista non può vincere

la sua battaglia con le armi di cui dispone. Nella sua reale dimensione è

ancora un fenomeno locale, fratricida e scomposto. Qualsiasi esercito

serio può sconfiggere l'Isis senza soverchie difficoltà. Ma la soluzione

non è stanarlo con la forza. Serve all'opposto una reazione lucida,

considerando che il Califfato è un'inquietante, sfuggente creatura

proteiforme che si avvale di imponenti e subdoli strumenti mediatici

per mobilitare le sue truppe. Certo, indignarsi per l'orrore delle teste

mozzate è giusto, ma non basta. Se davvero fosse una guerra, è con

l'energia e la vitalità delle idee che va combattuta da ogni lato, tuttavia

con maggiore tenacia di quanto fatto fino adesso.

PRECARIETÀ. Fin dalle sue origini, il Banco dei pegni, che un

tempo si chiamava Monte di Pietà, è sempre stato un crocevia di

esistenze e destini segnati dalla precarietà. Letteratura e cinematografia

vi hanno attinto a piene mani per illustrare la difficoltà della

condizione umana. "L'uomo del banco dei pegni", di Sidney Lumet, è

stato il primo film che ha affrontato il tema dell'olocausto come

memoria lacerante, occupandosi più dei sopravvissuti che delle vittime.

Ora è in libreria "Una giornata al banco dei pegni", ed. Einaudi, di

Elena Loewenthal, un dolente affresco che attraverso le dure prove

della quotidianità descrive lo stato d'animo di chi ha "visto, sentito,

sofferto, sperato lungo il percorso di piccoli addii e grandi pezzetti di

vita". Nel mezzo della crisi non è fuori luogo immaginare che il libro

abbia inequivocabili risvolti di attualità.

ALI. A parte gli uccelli e gli aerei, il verbo volare non si addice

propriamente all'essere umano quale funzione autonoma. Ci sono,

questo si, i voli pindarici , quelli della fantasia e con sempre maggior

intensità lo sfarfallio dei sondaggi che a seconda dei casi si

trasformano in un incredibile campionario di iperboliche velleità. Sui

giornali di famiglia Berlusconi mette le ali nelle preferenze, ma lo

spostamento è di pochi decimali, quanto basta per un passettino, ma

non per alzarsi da terra nemmeno di un centimetro e allontanare

l'ombra delle "olgettine". Già Pirandello, senza scomodare

Shakespeare, aveva messo a fuoco la dicotomia del " troppo rumore

per nulla", tra ciò che è e ciò si vorrebbe essere nella ricerca di

affermazioni che il più delle volte sono chimere elettorali. Volare

sempre più su è eccitante, ma solo se è Modugno a farci sognare.

BASTA. Rieccoci all'ennesima fanfaluca dei diari di Mussolini di cui

non si sentiva la mancanza e nemmeno la necessità. Come se non

fossero già circolate infinite variazioni sul tema, rivelatesi dopo

approfonditi esami dei falsi clamorosi, da sotto la polvere dei tempo

salta fuori un nuovo documento inedito sorretto da presunte perizie che

ne comproverebbero l'autenticità. La qualcosa appare quanto mai

discutibile trattandosi non dell'originale, bensì di una copia del diario

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che risalirebbe al 1942 e nel quale il Duce appare sempre più

insofferente nei confronti dei tedeschi. Magari ci avesse pensato prima.

Forse non ci sono intenti speculativi, ma è curiosa l'insistenza di

presentare sotto un'altra luce colui che Fini definì "il più grande statista

del secolo" e che i nostalgici si ostinano a considerare tale. Perciò basta

con le speculazioni editoriali che non possono cambiare ne riscrivere il

passato.

FELICITÀ. Questa i ricercatori delle università del Texas e dello

Iowa non ce la dovevano fare. Negare l'autenticità e la spontaneità del

bacio più celebre della storia contemporanea in una Times Square

festante per la fine della guerra, è un duro colpo all'immaginario

collettivo di intere generazioni. E' come se venissero a dire che il

capolavoro di Hayez sullo stesso tema è una crosta senza valore. Ma

quando mai. A 70 anni da quell'evento nella famosa piazza di New

York ciò che veramente conta è la forza dell'abbraccio tra l'infermiera

e il marinaio, non la loro identità. Centrale in quanto espressione di

pura felicità è il significato intrinseco di quell'icona tramandata ai

posteri per illustrare la fine di un incubo. E che tale deve restare quale

monito contro tutte le guerre di ieri e di oggi. Con tutto il rispetto per

gli studiosi, si potrebbe dire, parafrasando Pascal, che il cuore conosce

ragioni che la ragione della scienza non conosce.

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

Grecia, ecco cosa si può fare

Le autorità europee dovrebbero accettare la realtà e valutare il debito

ellenico nei propri bilanci al valore effettivo stimato dal mercato, cioè

il 50%, “abbonando” al Governo Tsipras la differenza.

di Marcello Minenna Docente di Finanza matematica all’Università Bocconi (Milano)

Soltanto dieci mesi fa, i media declamavano l’uscita della Grecia della

crisi, grazie ai primi dati di Pil positivi (+ 0,6%, un po’ come l’Italia...)

dopo una recessione durata 7 anni. In un report, la Commissione

europea rivendicava gran parte dei meriti, evidenziando il successo

finale delle politiche di austerity e del programma di riforme

strutturali, su cui si riconosceva la Grecia avesse fatto significativi

passi in avanti.

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Il 30 giugno 2015 la Grecia ha dichiarato sostanzialmente default sul

debito nei confronti del Fondo monetario internazionale ed è fuori dai

programmi di aiuto dell’Unione europea, mentre il fallimento della

trattativa con l’Eurogruppo e l’escalation delle tensioni finanziarie sui

mercati internazionali per via dell’imminente “Greferendum” stanno

gettando di nuovo un’ombra sulla tenuta dell’Unione monetaria.

Come si è potuto passare da un estremo all’altro con così tanta

rapidità, nonostante il quadro macroeconomico europeo sia migliorato

e sia stato avviato anche il Quantitative Easing della Bce di Mario

Draghi? Sebbene si possa tacciare il nuovo governo greco guidato da

Alexis Tsipras di scarsa diplomazia o addirittura di avventatezza,

bisogna riconoscergli il merito di avere smascherato l’elefante

nell’armadio: l’enorme e insostenibile debito pubblico della Grecia.

Al di là delle riforme strutturali e dell’aggiustamento dei conti, la

cura della Troika fatta di prestiti a lungo termine e austerity, ha fallito

nel porre sotto controllo il fardello principale che affligge l’economia

greca e che continuerà a impedirne una reale ripresa anche in futuro. Il

rapporto debito-Pil del paese ellenico, da un non lungimirante valore

del 140% nel 2010, anno del primo salvataggio, è passato a oltre il

180% nel 2015, nonostante nel 2012 sia stata portata a termine

(principalmente a spese delle banche e dei fondi pensione greci) anche

una sostanziosa riduzione del debito di oltre 100 miliardi di euro.

Un elemento-chiave è che dei 312 miliardi attuali del debito greco,

oramai quasi il 70% è stato acquistato dalle istituzioni europee (il

Fondo Salva-Stati Efsf, la Bce) e dai governi; pertanto, qualunque

riduzione del valore del debito che lo riporti a livelli più sostenibili –

cioè ripagabili dal contribuente greco – dovrà essere coperta a livello

europeo. Ecco perché la Merkel e l’Eurogruppo fanno orecchie da

mercante su questo tema: i costi politici di una reale risoluzione della

crisi greca rischiano di essere elevati, soprattutto per i partiti che hanno

fatto della difesa esclusiva degli interessi nazionali un passpartout per

raggiungere posizioni di governo.

Eppure i costi finanziari di una ristrutturazione del debito greco non

sarebbero così tremendi: il sistema di garanzie dei governi europei che

protegge i 140 miliardi di euro del debito in mano al Fondo Salva-Stati

consentirebbe l’emissione e il rimborso di obbligazioni del Fondo Efsf

in maniera regolare, anche se la Grecia non fosse in grado di onorare il

debito. Peraltro, già adesso, Atene non dovrebbe né rimborsare, né

pagare gli interessi al Fondo Salva-Stati prima del 2022. E non solo. I

35 miliardi di titoli greci nel bilancio della Bce, che non fruttano

interessi, non provocherebbero necessariamente delle perdite

finanziarie per i governi dell’Eurozona.

Rimarrebbero gli 80 miliardi prestati direttamente dai governi (10

dall’Italia) alla Grecia, che potrebbero essere agevolmente gestiti,

consentendo per esempio al Fondo Efsf di rilevarli in toto, insieme ai

20 miliardi di euro che il governo di Tsipras deve ancora al Fondo

monetario internazionale. Una completa “europeizzazione” del debito

greco dunque, che consentirebbe di guadagnare tempo e di predisporre

un’adeguata soluzione di ristrutturazione, senza effetti negativi

immediati per nessuna delle parti in causa.

Quanto vale realmente il debito greco nelle mani dell’Europa? La

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risposta sta sul mercato: sebbene i titoli in circolazione siano oramai

limitati, il mercato sta esprimendo una valutazione chiara attraverso lo

spread: chi compra e vende per professione attività finanziarie ritiene

che il debito greco abbia il 90% di probabilità di non essere ripagato

interamente; il valore dei titoli greci risulta di conseguenza dimezzato

rispetto a quello nominale.

Le autorità europee dovrebbero dunque accettare la realtà e valutare

il debito nei propri bilanci al valore effettivo stimato dal mercato, cioè

il 50% circa, “abbonando” al governo greco la differenza. Questo

consentirebbe immediatamente di riportare il rapporto debito-Pil sotto

controllo, abbattendolo dal 180% attuale fino a “valori tedeschi”,

intorno al 75%. Una moratoria che “pre-consolidi” il debito all’interno

del Fondo Salva-Stati è apparsa anche nelle pieghe della proposta in

extremis di Tsipras all’Eurogruppo, che avrebbe potuto evitare il

referendum. È stato un peccato che la Germania, con il supporto del

governo italiano, abbia affossato una proposta che avrebbe potuto

essere una base utile per un accordo definitivo, come lo stesso

Hollande si era augurato. Anche se, a onor del vero, la Germania

avrebbe potuto bloccare da sola la proposta, avendo la quota di

maggioranza relativa nel Fondo Salva-Stati.

Ora in realtà si va a grandi passi verso il referendum, il cui esito è

assolutamente incerto, così come lo sono le conseguenze. Una vittoria

del sì significherebbe la sicura fine politica del governo Tsipras,

sostituito da un governo tecnico che accetterebbe il bail-out della

Troika a condizioni molto peggiori di quelle che erano state offerte a

febbraio e in condizioni economiche di assoluta emergenza; in un

contesto di recessione e deflazionistico infatti la nuova cura Troika,

che tanto assomiglia alla vecchia, non funzionerà, e accelererà gli

eventi verso un nuovo focolaio di crisi incentrato sulla ristrutturazione

del debito che ora si cerca di ignorare.

Se vincerà il no, sicuramente si potrebbe rischiare la deriva finale

che porterebbe la Grecia all’istituzione di una moneta parallela;

auspicabilmente però questa pronuncia democratica del popolo greco

potrebbe essere un momento di riaggregazione dei paesi dell’Eurozona

intorno a una soluzione possibile di ristrutturazione del debito

concordata, che possa salvaguardare i creditori quanto possibile e

reintegrare l’economia del paese ellenico all’interno dell’Eurozona

verso un percorso di crescita comune.

Un obiettivo perfettamente raggiungibile per il popolo greco, ma

finora negato da assurde e inefficaci politiche di austerity. E chissà,

magari risolvendo la crisi della Grecia, anche i mercati finanziari

inizieranno a credere nuovamente nell’Eurozona e quindi a

scommetterci; il che equivale a dire a operare per far convergere le

curve dei tassi d’interesse degli Stati membri e quindi per ridurre lo

spread, che come sappiamo è la grande anomalia della nostra area

valutaria e la base dell’inesorabile disgregazione a cui da anni stiamo

assistendo.

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Economia

In gioco il futuro dell’Europa, non solo della Grecia

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

La vicenda greca svela la vera natura dell’Europa. Sono ore cruciali,

quindi, non solo per il futuro della Grecia ma anche dell’Unione

europea. Purtroppo gli organi di informazione riportano il “ping pong”

tra Bruxelles e Atene in un modo tanto astratto e banale da confondere.

Si afferma soltanto che la Troika, e anche Berlino, non possono

accettare le proposte del governo di Tsipras. Si ha la sensazione che

spesso non le si conosce nemmeno! Invece sarebbe doveroso partire da

esse per qualsiasi valutazione.

Il piano elaborato dal governo ellenico è chiaro e sintetico,

contenuto in un documento di 10 pagine. Per il popolo greco sarebbe

un boccone amaro, non una piacevole passeggiata. Si prevede

l’aumento delle entrate fiscali dell’1,51 del Pil già nel 2015 e del

2,87% nel 2016. Si va oltre la stessa richiesta della Troika. L’Iva,

inoltre, verrebbe alzata al 23%, mantenendola al 13% soltanto per i

beni di primissima necessità e al 6% per i farmaci e i libri.

La prevista riforma delle pensioni è molto simile a quella italiana ed

è “calibrata” sulla media europea. La spesa pensionistica verrebbe

ridotta nel 2016 per un importo pari all’1,05% del Pil e dell’1,1%

l’anno successivo.

Certo il sistema pensionistico greco è andato in tilt negli ultimi anni

a causa dell’aumento del prepensionamento consentito a seguito della

crisi e della disoccupazione galoppante. La riforma proposta dovrebbe

portare l’età pensionabile a 67 anni, come nel resto dell’Europa.

Non vorremmo che la volontà di Atene di mantenere una certa tutela

per le “famiglie più vulnerabili” e l’intento di voler “garantire un

reddito minimo non basato su tagli di beni e servizi reali che sono già

sotto la media europea” abbia irritato qualche partecipante ai summit

europei. Dovrebbe però essere chiaro a tutti che, se a un malato grave

si toglie l’ossigeno, si ottiene soltanto un cadavere.

Il governo ellenico annuncia anche l’aumento del contributo di

solidarietà e quello, dal 26 al 29%, delle tasse sui guadagni delle

imprese. Inoltre per i profitti oltre il mezzo milione di euro si prevede,

soltanto per il 2015, un tassa extra del 12%. Vi è anche l’impegno nella

lotta all’evasione e nel perseguire i capitali portati illegalmente

all’estero.

Si può affermare che trattasi di un piano realistico tanto che vi

sarebbe anche un certo riguardo per le banche elleniche che

rimarrebbero private. Anche quelle partecipate dal governo

arriverebbero alla completa privatizzazione, con l’impegno di “non

intraprendere alcuna azione che metta in discussione la loro

solvibilità”. Indirettamente si tratta di una concessione non di poco

conto alle altre banche europee, a cominciare da quelle tedesche, che in

passato hanno fatto il bello e cattivo tempo nel sistema bancario greco.

Certo a fronte dei citati impegni concreti, realmente attuabili, vi è

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stata anche la richiesta di utilizzare i 35 miliardi di euro che

spetterebbero alla Grecia nel periodo 2014-2020. Tali fondi europei,

unitamente a quelli del programma “Investment Plan for Europe”,

dovrebbero servire a finanziare importanti progetti pubblici e privati. Il

diniego di Bruxelles sarebbe dovuto al fatto che i 38 miliardi di euro

messi a disposizione nel sessennio 2007-2013 non hanno prodotto

risultati positivi. Ciò è vero ma non è imputabile soltanto alla Grecia.

Responsabile è la politica di austerità generalizzata imposta dalla

stessa burocrazia europea. Si ricordi che il debito pubblico greco, che

oggi è pari al 177% del Pil, era del 107% nel 2007.

Se le proposte del governo greco sono credibili non si comprende

l’ostilità di Bruxelles e della Troika.

Secondo noi vi sono tre possibili chiavi di lettura. Si pensa che

programma di Tsipras non sia veritiero, quasi una sorta di truffa. Così

si inficia il principio di fiducia e di reciprocità su cui si basa l’Unione

europea. Un domani si potrebbe non credere agli impegni di qualsiasi

altro governo, anche di quello tedesco.

Sorge il dubbio, senza essere complottisti, che qualcuno

irresponsabilmente stia “facendo un test” sulla dissoluzione

dell’Unione europea. Un esperimento che potrebbe sfuggire di mano a

chi comunque pensa di controllare e gestire la crisi.

Tra gli altri impegni assunti dal governo ellenico vi sarebbero anche

la trasformazione del Pireo in un grande hub ed il suo collegamento

ferroviario con i vari corridoi di trasporto e di sviluppo in costruzione

sul continente eurasiatico. Noi riteniamo che, se si considera che da

tempo vi è un forte interesse cinese e russo nei settori succitati, non sia

l’economia, i conti in ordine, ne l’austerità, ma sia la geopolitica la

vera causa della chiusura e delle decisioni di Bruxelles e della Troika.

Ci sembra che si sta giocando con il fuoco in una fabbrica di

fiammiferi.

Da Avanti! online www.avantionline.it/

E ora l’Asse…

Qualcuno ricorda un’iniziativa incisiva del nostro Governo, proclami

e tweet a parte? Le stupefacenti ragioni della nostra assenza in

politica estera, a cominciare dal passato “Semestre europeo” a guida

(?) italiana.

di Carlo Correr

Pensavamo, e non da soli, che la ragione della mancanza di iniziativa

in politica estera dell’Italia dipendesse soprattutto dalla personalità

degli esponenti politici incaricati ai diversi livelli di occuparsene: da

Paolo Gentiloni, a Federica Mogherini, passando per Matteo Renzi.

Sui temi cruciali per il futuro dell’Italia, e dell’Europa,

immigrazione, crisi ucraina e crisi greca, il Governo in un anno e

mezzo di vita non ha lasciato praticamente traccia dietro di sé.

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I vertici che si sono svolti negli ultimi mesi, hanno visto sempre in

prima fila, la coppia Hollande – Merkel, e poi Merkel da sola. E questo

nonostante il fatto che si discutesse di problemi di rilevanza strategica

per il nostro Paese e per il Continente. Non serve neppure ricordare

quale importanza abbia per noi avviare a soluzione il fenomeno

dell’immigrazione clandestina, oppure quello delle sanzioni alla Russia

di Putin o ancora gli effetti di una possibile (probabile?) grexit

sull’economia italiana.

Qualcuno ricorda un’iniziativa incisiva del nostro Governo,

proclami e tweet a parte?

Zero. Zero carbonella.

Ma la cosa stupefacente è scoprire oggi le ragioni di una tale

‘assenza’, o meglio di una fantasmatica presenza (a cominciare dal

passato Semestre europeo a guida italiana). Per questo ci viene in

soccorso l’addetta dell’ufficio stampa ufficioso di Palazzo Chigi che fa

uscire le sue veline sul principale quotidiano nazionale del Paese.

Ebbene oggi – in concomitanza con la presenza del nostro Presidente

del Consiglio all’università Humboldt a Berlino – ci ha spiegato che

Renzi ha deciso scientemente di aspirare a essere la ‘spalla’ di Angela

Merkel per scavalcare, a destra, l’altro temibile concorrente, il francese

François Hollande. Sì, insomma, che a partire dalla questione greca ha

scelto di ricalcare fedelmente, e presumiamo ossequiosamente, le

posizioni del Governo tedesco per non arrivare dopo François.

Beh, questo è già qualcosa. Temevamo che la nostra poco patriottica

inazione, fosse il frutto di pura incapacità, tanto che diversi, Claudio

Martelli ad esempio, rimpiangono personalità come Massimo D’Alema

o Enrico Letta. E invece no.

Qui siamo di fronte a una scelta strategica! Dalle parti di Palazzo

Chigi si è preso atto che l’Europa è a guida tedesca (eppure Angela

Merkel non l’hanno eletta gli europei, ma solo i tedeschi …) e quindi,

ci dicono, tanto vale stare subito col vincitore anziché arrivare tardi in

suo soccorso (come avrebbe detto quel gran genio di Ennio Flaiano).

La Germania sembra sulla strada della ripetizione di un errore

tragico. Ignora il monito di Helmuth Kohl (un gigante rispetto ad

Angela Merkel) che era meglio avere una Germania europeizzata

piuttosto che un’Europa germanizzata.

E l’Italia?

Con il Bel Paese siamo – come si intuisce da quanto trascrive la

collega sulla colonne del giornalone – alla riscoperta dell’‘Asse’ con

quasi 80 anni di ritardo. E considerando come andò a finire allora

(stessa leggerezza nell’analisi e stessa mancanza di solidi presupposti),

suggeriamo al nostro Presidente del Consiglio che forse sarebbe il caso

di rifletterci meglio prima di imboccare questa strada. O no?

Vai al sito dell’avantionline

Da l’Unità di nuovo in edicola e in rete

http://www.unita.tv/

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Atene, il Pd, la sinistra.

Intervista con Gianni Cuperlo - Mario Lavia intervista Gianni

Cuperlo. Dagli ultimi sviluppi della crisi greca ai problemi del Pd e

alla difficile ricerca di un’unità interna.

Vai al sito dell’Unità

FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/

Due paradigmi in lotta

L’idea che mi sono fatto della questione greca è che il braccio di

ferro infinito fra il governo e la Troika non sia tanto per una

questione di soldi, quanto di potere.

di Riccardo Campa

La situazione, più o meno, è la seguente. La Grecia ha un debito di

330.000.000.000 di euro, non ha un soldo in cassa, e non beneficia

nemmeno del Quantitative easing. Ne è stata esclusa, anche se è il

paese che ne avrebbe maggiormente bisogno, essendo in deflazione

acuta. Il rapporto debito/PIL è aumentato negli ultimi cinque anni fino

a raggiungere il 180%, a causa – su questo ci sono pochi dubbi – delle

politiche di austerità. Per restituire una minima parte del debito, la

Grecia dovrebbe ora cavare altro sangue ai cittadini, applicando il

taglio delle pensioni, il licenziamento in massa dei lavoratori pubblici e

l’aumento delle tasse sulle strutture alberghiere. Con la certezza di

accelerare la spirale recessiva, facendo calare ancora il PIL e

affossando l’ultima risorsa economica: il turismo. Sennonché i greci

hanno eletto Alexis Tsipras proprio perché non vogliono morire di

fame, magari per restituire solo l’1% del debito. Perché di questo si

tratta. Non di tutto il debito, che non sarà mai ripagato. Così come non

sarà mai possibile estinguere quello italiano. Ci sono in scadenza rate

per 27 miliardi di euro. La Grecia chiede una ristrutturazione del

debito, oppure un prestito di altrettanti miliardi, con un tasso

d’interesse non usuraio, intorno all’1,5%, con scadenza a 30 anni.

Altrimenti l’operazione non ha senso. Ovviamente i creditori si

irrigidiscono. Dal loro punto di vista hanno perfettamente ragione,

perché significa fare un pessimo affare. Così come hanno le loro buone

ragioni i greci, quando dicono che non si tratta solo di affari, ma di vite

umane e di sovranità. Si scontrano dunque due paradigmi: quello del

primato dell’economia e quello del primato della politica.

La tensione tra le due concezioni del potere non nasce oggi, ma

proprio ora i nodi vengono al pettine. La visione neoliberista del

mondo ha preteso e pretende che gli Stati-nazione funzionino

esattamente come aziende. Non possono battere moneta, devono

finanziarsi sui mercati secondari, devono rinunciare alla sovranità sulle

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materie più disparate, devono aprire i confini alla circolazione di merci

e lavoratori. Tuttavia, il mondo finanziario sembra non voler accettare

anche l’ipotesi che gli Stati-nazione possano fallire e non onorare i

debiti, come qualsiasi azienda del resto. Insomma, devono essere

mucche da latte, magari magre e rinsecchite, ma immortali.

Perché l’eventualità del default fa letteralmente imbufalire i

creditori? In fondo, in passato, hanno perso miliardi investendo in

aziende con bilanci vicini a quelli di un piccolo Stato, come Enron o

Lehman Brothers. La differenza è che le aziende e i loro C.E.O. sono

in linea di principio perseguibili e punibili. I bancarottieri, se non sono

abbastanza immanicati da farsi salvare con gli aiuti di Stato, finiscono

in galera e si può attingere a quello che resta del loro patrimonio. Però,

mica si può mettere in carcere un governo e l’intero popolo che lo ha

eletto, né sequestrargli i beni. Chi manderà la polizia giudiziaria ad

arrestare l’esercito greco, magari spalleggiato da quello russo?

E allora? E, allora, l’unica speranza che restava ai creditori era

quella di distruggere definitivamente “la politica”. Ossia demolire la

reputazione dei rappresentanti del popolo, dei tribuni della plebe –

mostrando che i politici, se non sono corrotti, sono incoerenti –

affinché non si ripeta più in futuro una situazione come quella attuale.

Che situazione? La situazione di una classe politica che viene eletta,

gode della fiducia degli elettori, fa esattamente quello che gli elettori

gli hanno chiesto di fare (anche se magari è una fesseria), e se questo

non è possibile chiede ai cittadini di esprimersi direttamente con un

referendum. Ovvero, l’assoluta normalità della vita democratica. E,

invece, per la grande finanza e i suoi mandarini di Bruxelles il

referendum greco è “un golpe”. Insomma, capovolgono anche il senso

delle parole. Ma non è una novità. Per avere soltanto pronunciato la

parola “referendum”, il socialista Papandreu si è dovuto dimettere. E il

suo partito è scomparso dalla scena.

Quello che si sta profilando non è uno scenario roseo per la Grecia.

Ma è anche lo scenario peggiore per la BCE, il FMI e la Commissione

europea. Se fossero riusciti a umiliare Tsipras – ovvero a raggiungere

quello che, a mio modesto avviso, era il loro obiettivo reale e realistico

– alla prossima tornata elettorale Syriza si sarebbe liquefatta come si è

liquefatto il PASOK, la gente si sarebbe persuasa che votare è inutile e

avrebbe disertato le urne, e il problema dell’allocazione del potere

sarebbe stato risolto: sarebbe rimasto saldamente in mano alle elite

finanziarie, per i decenni a venire, magari attraverso altre cessioni di

sovranità.

La Troika, però, non ha messo in conto che questo è lo stesso

scenario al quale punta Alba Dorata. Lo hanno detto a chiare lettere:

«Syriza vince le elezioni, viene messa con le spalle al muro dalla

finanza globale, applica le misure lacrime e sangue, e poi arriviamo

noi». E se l’ultimo baluardo della politica rimane il nazismo, forse non

ci resta che fare il tifo per Tsipras.

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori

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(ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

LETTERA da Torino

Ora che la parola Socialismo

non è più considerata un insulto…

Queste due ultime tornate elettorali, le regionali prima e i ballottaggi nei comuni poi,

hanno segnato probabilmente la fine della cosiddetta seconda Repubblica, tutti i

partiti che hanno rappresentato quel coacervo privo di valori e di ideali, qual è stato il

mondo politico nel ventennio passato, stanno esaurendo la loro funzione di armi di

distrazione di massa.

Quelle confederazioni di interessi particolari, distratti dalla loro funzione primaria,

il Potere fine a se stesso, non hanno saputo interpretare quanto si stava muovendo

nella società italiana, sempre più divisa, frammentata ed impaurita, ed hanno lasciato

campo libero a nuove forme di aggregazione politica che ormai dei vecchi partiti

hanno molto poco.

In particolare fa specie l’arretramento progressivo del PD, che Renzi ha tentato di

trasformare in qualcosa di “nuovo” (il Partito della Nazione), ma che è stato

penalizzato da una scelta, la rottamazione, che ha “pensionato” il vecchio ceto

politico ex PCI, il quale, in qualche modo, garantiva la prosecuzione sotto altro nome

di quelle pratiche consociative che assicuravano benefici per il proprio braccio

economico (la Lega Coop) ed al PD un radicamento ancora robusto nei territori.

Il fallimento dell’immagine del Partito delle “mani pulite”, dopo i casi di Sesto S.

Giovanni, Venezia, Roma ecc. ha provveduto a dare un ulteriore scossone, non è

casuale se i voti del PD ai ballottaggi, dopo la seconda ondata di arresti a Roma, sono

calati non solo in termini percentuali ma anche in termini assoluti.

Dopo i ballottaggi di domenica scorsa nulla è più uguale a prima, e nessuno,

neppure i leaders locali possono sentirsi al sicuro, si sta verificando una lenta ma

costante scissione dell’elettorato dal PD.

Il lento arretramento del PD verso quote pre-Renziane ed il probabile tentativo di

Renzi di dare un’accelerata al progetto del PdN, aprirà inevitabilmente la questione

di una sinistra che è passata, per parafrasare Calvino, da barone rampante a visconte

dimezzato per giungere infine ad essere cavaliere inesistente.

L’ipotesi vendoliana di un comunismo-libertario è rimasta attaccata al destino del

suo leader, la sinistra PD sconta i limiti di un ceto politico che si è formato alla

scuola delle Frattocchie ma che ormai ha esaurito la sua “spinta propulsiva” ed ha

anche subito una profonda “mutazione genetica”. Del PSI si sono ormai perse le

tracce, sopravvivono e lottano come dei giapponesi dei bravi militanti, ma ormai un

simbolo che fu nobile è stato ridotto, da un gruppo dirigente inadeguato, ad un

marchio commerciale senza più alcuna autonomia.

L’azione politica di Renzi ha generato una domanda di rinnovamento a cui non ha

saputo dare risposte, sta ballonzolando tra dirigismo centralistico e liberalismo à la

carte, senza mai saper scegliere e soprattutto senza mai spiegare esplicitamente gli

obiettivi di fondo che governavano i suoi atti, ed in politica la mancanza di chiarezza

non è mai utile, per un cittadino normale è preferibile un demagogo, qual i sono

Grillo e Salvini, ad un democratico confusionario.

Questo suo modo di agire ha però profondamente scompaginato il mondo politico,

è vero che non è (ancora) riuscito a stabilizzare il suo Partito della Nazione, ma ha

saputo, sia pure per motivi diversi, mettere in crisi una nomenclatura che si replicava

uguale a se stessa da un ventennio. Il Renzismo ha ucciso il padre ma non ha saputo

costruire una nuova idea di Partito in grado di sostituire il vecchio catto-comunismo,

sia per mancanza di Valori condivisi che per incapacità a dirigere il Partito stesso. La

sua fretta di andare ad occupare “la stanza dei bottoni” a Palazzo Chigi gli ha

impedito da un lato di consolidare il neo Partito Renziano e di converso ha scoperto

che non sempre (come già vide Nenni) i bottoni sono funzionanti.

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Esiste in Italia uno spazio politico in cui posizionare un movimento politico

socialista? Ma soprattutto esiste un interesse da parte dei cittadini verso un

movimento alternativo all’individualismo che è stato la base del liberismo?

Lo spazio agibile per noi socialisti esiste, la scomparsa di tutte le formazioni

politiche che in questi anni si sono qualificate come “sinistra” apre un territorio

ampio in cui un movimento socialista può dislocarsi, dobbiamo però avere la

consapevolezza che l’ipotesi di rifondare il Partito Socialista Italiano non ha più

prospettive. La subalternità del PSI al PD lo ha progressivamente oscurato e oggi gli

consente al massimo di fare qualche azione locale utilizzando le scadenze elettorali.

Un Partito che vive di momenti casuali, legati alla presenza di qualche leader e che

agisce a macchia di leopardo non ha futuro, non sarà mai in grado di creare una

massa politica in grado di riportare in auge un’ideale.

Questi ultimi due anni hanno però intaccato in profondità anche l’azione di tutti

quei piccoli movimenti di area socialista che dal 2008 in poi si erano venuti a creare.

Da tempo ormai la loro azione si limita a pochi momenti identitari, che non

producono più azione politica. Si sta assistendo di converso a tentativi, privi però di

prospettive, di costruzione di un blocco unitario di opposizione all’interno del PSI,

sono azioni che magari creano una illusione momentanea destinata però a non avere

futuro.

La minoranza in un Partito che non c’è è una minoranza impotente.

Anche in questo ambito si assiste all’esaurimento della “spinta propulsiva” che

venne da due considerazioni: la necessità di salvaguardare il meglio della cultura e

della storia socialista in Italia e l’incapacità del PSI di fare da casa per tutti coloro che

si definivano socialisti.

La prima azione ha avuto uno sviluppo importante, oggi dirsi socialisti non è più

considerato un insulto, e, fortunatamente, da un po’ di tempo questa azione viene

svolta con maggiore impegno dalle Fondazioni di area (la Nenni in particolare).

Oggi però non è più sufficiente dare ospitalità a coloro che furono socialisti, la

domanda che emerge in modo ancora confuso è di una sinistra che sappia recuperare

i valori migliori del socialismo democratico e riformatore. Se si vuole rilanciare

l’Idea Socialista occorre orientare le antenne verso coloro che del socialismo ne

hanno sentito parlare male o proprio non sanno cos’è.

Esiste una domanda inevasa di valori e principii che hanno informato il socialismo

nel secolo scorso e che, da altre parti e sotto altre forme stanno riemergendo, sono

domande di eguaglianza, solidarietà e libertà che sono sempre state proprie del

mondo socialista.

Perché queste domande non trovano risposte? Perché manca un Partito?

No non perché manca un Partito ma perché non c’è un Progetto politico nazionale

(e sovranazionale) che si ponga l’obiettivo di riportare l’agenda della discussione

politica dal politicismo (cosa fanno Renzi e Berlusconi, ma cosa pensa Grillo e

Salvini quale felpa si mette?) verso i problemi reali che quotidianamente la gente

normale si trova di fronte ogni giorno.

Mentre l’economia produttiva (it’s the economy stupid) dopo anni di “crisi”,

utilizzata per “salvare l’economia finanziaria (come ben dice il Papa), sta imponendo

un nuovo modo di guardare la realtà, la Politica partitica è ancora tutta dentro un

gioco delle parti che ormai non interessa più nessuno.

Il segnale preciso di questa dissonanza tra decisori e popolo sono i voti delle

ultime settimane.

Il centrosinistra sta rifiutandosi di guardare in faccia la realtà, si attarda a discutere

sulla forma del partito migliore, il Partito delle città, quello della Nazione oppure

quello della “famiglia”, e, come sempre, nel momento in cui occorre analizzare con

freddezza i motivi del distacco tra cittadini ed istituzioni ci si perde a discutere di

stupidaggini.

Abbiamo di fronte a noi un paio d’anni per coagulare un movimento vero che vada

oltra le tristezze delle quote di Partito di cui si è detentori, che sia in grado di

ridefinire cosa significhi essere socialisti oggi.

Un primo passo è stato fatto.

La crisi odierna dei Partiti nasce da una vittoria che ha Besostri tra i suoi fautori, il

porcellum è morto ed anche l’italikum non se la passa troppo bene, ma deve essere il

primo passo di una lunga marcia per riportare il socialismo italiano a rivedere la luce.

Sempre Avanti! Care compagne e cari compagni

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Dario Allamano, Torino

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.