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1 L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 44398 utenti – Zurigo, 3 dicembre 2015 Per disdire / unsubscribe / e-mail a > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a > ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a > ADL Edizioni IPSE DIXIT Quanto più estesa - «Che cos'è la guerra? Un omicidio collettivo, di gruppo, una forma di brigantaggio tanto più infame quanto più estesa.». – Erasmo da Rotterdam Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà. EDITORIALE Ci mancava di Andrea Ermano “Proprio nel Montenegro e proprio adesso…”, commenta sconsolato il giornalista freelance Keno Verseck sul sito dello Spiegel, sottolineando il carattere “simbolico” di questo “invito” che la Nato pronuncia nei riguardi del Montenegro. Il ministro degli Esteri montenegrino Luksic e il segretario generale della Nato Stoltenberg

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La Newsletter settimanale del 3 dicembre 2015

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 44398 utenti – Zurigo, 3 dicembre 2015 Per disdire / unsubscribe / e-mail a > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a > ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a > ADL Edizioni IPSE DIXIT Quanto più estesa - «Che cos'è la guerra? Un omicidio collettivo, di gruppo, una forma di brigantaggio tanto più infame quanto più estesa.». – Erasmo da Rotterdam Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà. EDITORIALE Ci mancava di Andrea Ermano “Proprio nel Montenegro e proprio adesso…”, commenta sconsolato il giornalista freelance Keno Verseck sul sito dello Spiegel, sottolineando il carattere “simbolico” di questo “invito” che la Nato pronuncia nei riguardi del Montenegro.

Il ministro degli Esteri montenegrino Luksic e il segretario generale della Nato Stoltenberg

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L’invito occidentale s’intende volto a integrare la piccola repubblica balcanica nell’Alleanza Atlantica, e ciò prescindendo molto da ogni considerazione circa lo stato di diritto e i diritti umani nel paese “invitato”. Secondo Versek e molti altri osservatori di cose internazionali si tratta di una gratuita provocazione antirussa. I rapporti con Mosca non si sono ancora ripresi da analoghe manovre in Ucraina, manovre di “espansione” che qualche anno fa "in nome della libertà e della democrazia" hanno portato la guerra civile in quelle lande, apparentemente lontane, ma in realtà piuttosto vicine. Non dimentichiamo che in Ucraina “qualcuno” ha brutalmente ammazzato a colpi di mortaio il freelance russo Andrej Mironov insieme a un fotogiornalista italiano, Andy Rocchelli, rei entrambi di avere documentato le reali condizioni di vita della gente comune dentro a un conflitto. Nulla, dopo un anno e mezzo, ma proprio nulla è stato intrapreso a Kiev "in nome della libertà e della democrazia" per chiarire la meccanica di quelle due morti, avvenute in località Sloviansk il 24 maggio 2014. Perché non si fa chiarezza? Eppure, se davvero è uno stato di diritto quello in lotta contro l’autocrazia moscovita a salvaguardia degli ideali dell’Occidente, allora la Repubblica d’Ucraina avrebbe il dovere di dire con chiarezza all'opinione pubblica internazionale perché Rocchelli e Mironov sono morti.

Andrej Mironov e Andy Rocchelli Si è trattato di "fuoco amico", di un tragico incidente di guerra? O i due reporter sono stati scientemente assassinati in una sorta di "avvertimento trasversale" al mondo dell’informazione? Fatto sta che da lì in poi tutti ritengono altamente sconsigliabile andare da quelle parti a ficcanasare sulle grandi gesta compiute dai nostri in nome della libertà. Ma torniamo al Montenegro. Difficile pensare che la Nato si attenda un appoggio militare da una nazione che ha 600 mila abitanti in tutto e un esercito di 2100 soldati. Dunque, l’idea sarà quella di trasformare questa mini-repubblica in una testa di ponte anti-russa. E infatti da Mosca il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha fatto sapere, a stretto giro di posta, che “il governo russo analizzerà la situazione prima di reagire”. Nessuno dubita che il Montenegro possa fungere da eccellente base di lancio per missili più o meno strategici, ma questo piccolo paese balcanico è anche in possesso dei requisiti di uno Stato di diritto necessari a entrare a fare parte della NATO?

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La domanda ci appare non illegittima, dato che i rapporti con la Federazione Russa sono quel che sono, soprattutto dopo l’abbattimento turco del cacciabombardiere russo sul confine siriano, e cioè pericolosamente vicini al contatto diretto. E dunque Versek ha ragione nel domandarsi perché proprio ora e proprio in Montenegro si tenta un nuovo atto di espansione. Nenad Koprivica, presidente della NGO montenegrina Centro per la Democrazia e i Diritti umani, reputa che l’offerta Nato sia in realtà motivata dal braccio di ferro in corso con Russia per l’influenza sul paese, e dunque discenda da mire geopolitiche. Di certo il Montenegro non soddisfa i criteri di legalità e legittimità democratica “più di quanto ciò non accadesse per l’Albania o la Croazia nel 2009”. Insomma, care quattro lettrici e cari quattro lettori, passo dopo passo, un gesto simbolico dopo l'altro, ci troviamo tutti informalmente coinvolti in un mega-caos bellico globale che cresce a rate locali, esautorando di fatto i nostri parlamenti, sempre più taciturni, in nome della libertà e della democrazia. L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana Da l’Unità online http://www.unita.tv/ Uccisi i due killer di San Bernardino Lanciavano bombe dal suv Sono 14 i morti in seguito alla strage in un centro disabili durante la festa di Natale. Non è esclusa la pista del terrorismo. Non viene esclusa la pista del terrorismo nell’attacco compiuto ieri in un centro per disabili di San Bernardino in California nel quale hanno perso la vita 14 persone, mentre altre 17 sono rimaste ferite. I due presunti killer, uccisi dalla polizia dopo un breve inseguimento, sono un uomo e una donna: Syed Farook, 28enne nato negli Stati Uniti, lavorava come specialista ambientale nel settore della sanità, e Tashfeen Malik, 27 anni. Erano sposati da due anni e avevano una bambina di sei mesi che avevano lasciato ieri mattina alla nonna. Farook “pare fosse alla festa che era in corso al centro, ma si era allontanato prima della fine, probabilmente dopo un litigio” ha riferito il capo della polizia di San Bernardino, Jarrod Burguan. Presso la struttura per disabili è stato rinvenuto un ordigno esplosivo, mentre entrambi i sospetti uccisi avevano fucili e pistole. “Pesantemente armati”, hanno aperto il fuoco in una sala del centro mentre era in corso la festa di Natale, sparando per 30 secondi, fermandosi per ricaricare e colpendo ancora. Poi la fuga a bordo di un

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suv nero mentre sul posto interveniva la polizia locale e le squadre di artificieri che hanno fatto brillare un pacco sospetto nell’edificio e hanno poi trovato altro esplosivo nell’edificio. Il cognato di Farook, Farhan Khan, è intervenuto durante la conferenza stampa per esprimere il proprio choc per la strage commessa dal ragazzo. Esprimendo la propria vicinanza alle famiglie delle vittime, Farhan Khan ha detto: “Non ho idea del perché lo avrebbe fatto, del perché avrebbe fatto una cosa del genere. Sono io stesso sotto choc, sono una persona normale”. Arriva la condanna anche da parte della comunità islamica. Il Council on American Islamic Relations ha condannato la strage, giudicandola un “attacco orribile e disgustoso”. Il direttore Hussam Ayloush ha sottolineato come la “comunità musulmana sia al fianco degli americani nel ripudiare qualsiasi ideologia contorta che pretende di giustificare questi atti di violenza”. Ayloush ha espresso quindi vicinanza “alle famiglie di tutti coloro che sono rimasti uccisi o feriti”. Gli agenti hanno ricevuto una segnalazione che li ha portati a un indirizzo nella cittadina di Redlands, nella contea di San Bernardino, dove il suv è stato avvistato. E’ iniziato un inseguimento le cui immagini sono state trasmesse in diretta tv e uno scontro a fuoco tra la polizia e gli assassini che si sono sbarazzati di diversi tubi esplosivi lanciandoli dal finestrino. L’auto dei killer è stata crivellata di colpi mentre gli agenti accerchiavano la zona. I due killer, che avevano una tenuta da combattimento ed erano armati di due fucili e due pistole, sono morti mentre una terza persona sospetta è stata fermata anche se la polizia non è convinta che sia coinvolta nella sparatoria. Non è ancora chiaro se sia coinvolta o meno nella sparatoria. “E’ stata vista fuggire dal luogo della sparatoria e la stiamo interrogando”, ha detto il capo della Polizia di San Bernardino, Jarrod Burguan. Nello scontro a fuoco è rimasto ferito anche un poliziotto, ma le sue condizioni non sono gravi. Uno dei killer, secondo i media americani che citano fonti della polizia, si chiama Sayeed Farook, cittadino americano, dipendente della contea presso l’ispettorato della Sanità, mentre la donna non è stata identificata. Nella sparatoria sarebbe coinvolto il fratello di Farook, ma al momento non si hanno altre informazioni. L’Fbi ha compiuto un blitz in un’abitazione di Redlands che sarebbe appartenuta ai killer, ma anche in questo caso non sono stati rivelati ulteriori dettagli. La polizia federale non esclude nessuna pista, neanche quella del terrorismo. “Esiste la possibilità” che si tratta di terrorismo”, ha detto l’Fbi che coordina le indagini. E’ la peggiore sparatoria di massa avvenuta negli Usa dopo l’attacco alla scuola elementare di Newtown, nel Connecticut, dove tre anni morirono 26 tra bambini e adulti. Lo stesso presidente Usa, Barack Obama, appreso le prime informazioni sulla sparatoria e’ tornato a parlare della violenza causata dalle armi invocando “misure bipartisan” per garantire la sicurezza dei cittadini americani. Vai al sito dell’Unità

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Lettera da Washington http://www.oscarb1.blogspot.in/ Dacci anche oggi il nostro massacro quotidiano di Oscar Bartoli, Washington DC Un altro massacro. Secondo le ultime notizie sono 14 i morti ammazzati e 17 i feriti nella sparatoria operata da tre musulmani-americani (una donna tra loro) in un centro per disabili di San Bernardino in California nel quale si celebrava una festa natalizia. Ma quel che sorprende in questa nazione ubriaca di 'political correct' e' la reazione di larghe porzioni dell'opinione pubblica alle ultime affermazioni del presidente Obama che ha insistito sul tragico ripetersi in America di queste uccisioni di massa. Il Washington Post per esempio, in un lungo articolo accusa Obama di essere un doppio Pinocchio, cioè un mentitore, in quanto anche in altri paesi del pianeta si verificano episodi di uccisioni di molte persone e non e' giusto definire gli Stati Uniti come il luogo nel quale queste manifestazioni di ordinaria follia sono le piu' frequenti. Al punto che, sostiene la giornalista Michelle Ye Hee Lee, i 67 morti della strage di un folle di estrema destra in Finlandia dovrebbero far pensare che in America con la stessa percentuale di vittime i morti dovrebbero essere almeno 5000 all'anno, mentre sono "solo" qualche centinaio. Anche questa apertura del Daily News e' stata giudicata oltraggiosa dagli ambienti conservatori americani. Resta il fatto che durante il fine settimana del Black Friday dedicato alla paranoia dello shopping a prezzi scontati le pistole vendute sono state oltre 200mila che vanno ad aggiungersi agli oltre 300 di armi comprese quelle pesanti da guerra. SPIGOLATURE Il giorno prima di domani Davvero, non possiamo lasciare alle prossime generazioni un ambiente irrimediabilmente devastato dal collasso climatico... di Renzo Balmelli SFIDA. In una Parigi ancora traumatizzata dalla ferocia jihadista , due temi caldi, clima e terrorismo, temi in apparenza distanti, ma in realtà strettamente correlati, si incrociano sotto il segno dell'emergenza per configurarsi come una unica sfida epocale con cui confrontarsi nell'immediato futuro. L'esito della partita più difficile per le sorti della umanità dipende da come la società delle nazioni, spesso condizionata

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da interessi di parte , riuscirà a varare una strategia unitaria per frenare il surriscaldamento e l'inquinamento della Terra che sia decisamente migliore e più efficace di quella messa a punto per fermare i terroristi. In caso contrario il vertice del COP21 non avrebbe alcun senso se dovesse limitarsi agli impegni di facciata o si accontentasse di soluzioni al ribasso. Si finirebbe col lasciare alle prossime generazioni un ambiente irrimediabilmente devastato dal collasso climatico sullo sfondo di uno scenario apocalittico peggiore di qualsiasi fantascientifico day after. SOS. Forse il tempo non è ancora scaduto per la Terra. Ma attorno a noi si compiono ogni giorno tanti e tali attentati alla natura da non più consentire calcoli e tergiversazioni. Mentre l'elenco dei decessi rispetto alle normali aspettative di vita registrati a causa dell'inquinamento continua ad allungarsi, sul Brasile si è abbattuto il peggiore disastro ambientale della storia del Paese con conseguenze spaventose. Da due dighe lasciate in pessimo stato dall'incuria dell'uomo è fuoriuscita una fiumana inarrestabile di sostanze nocive che ha contaminato terreni, fiumi , e l' Oceano atlantico che ora si è tinto di rosso. Potrebbe volerci un secolo per ritornare a una situazione di normalità. Al summit parigino arriva quindi più forte che mai l'SOS del pianeta in sofferenza che ora attende l'arrivo di bravi primari al suo capezzale capaci di " disinquinare" l'aria ammorbata dai veleni che tolgono il respiro e oscurano il cielo. SQUILIBRI. Se Bangui dopo il viaggio del Papa è diventata la capitale spirituale del mondo, ora è tempo di guardare avanti e di farne anche la capitale della rinascita materiale nei Paesi più martoriati dell'Africa. Col suo viaggio il Vicario di Roma ha inteso lanciare un appello affinché milioni di derelitti, dimenticati da tutti, non siano più costretti a vegetare nel cono d'ombra del benessere. Ma per disegnare un domani degno di essere vissuto in questa parte del mondo ci vorrebbe un miracolo, materia piuttosto rara di questi tempi . I numeri non dicono tutto, ma possono dire molto e se si mette a confronto il Pil pro capite della Repubblica centrafricana di 541 dollari annui con i 600 miliardi di euro posseduti da 300 Paperon de Paperoni nella sola Svizzera, si intuisce quanto enorme sia la voragine di ingiustizie che separa l'universo dorato dei ricchi da quello dei poveri. Eppure basterebbe una modesta frazione di quella montagna di soldi per alleviare l'esistenza di tante popolazioni, se solo esistessero regole etiche tese a mitigare gli intollerabili squilibri nella distribuzione delle ricchezze. COPPIA. Come se non avesse già abbastanza guai, un altra calamità sta per abbattersi sulla Francia dove l'estrema destra ritoccata, ma non mondata dai suoi peccati originali, si prepara a festeggiare il trionfo annunciato al primo turno delle elezioni regionali di domenica prossima. Sotto la guida di zia Marine e della nipote Marion Le Pen, la nuova coppia al femminile più gettonata dai sondaggi, il Front National sta vivendo l'ennesimo momento di grazia seguendo una tendenza già in atto da mesi e che il 13 novembre ha solo amplificato.

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Se la vittoria venisse confermata al secondo turno, più difficile in virtù del gioco delle alleanze, all'ombra della torre Eiffel potrebbe aprirsi una periodo di forti turbolenze politiche. I francesi si troverebbero a dover convivere con un partito sempre più a destra e con un presidente e un governo di sinistra, però più fragili, sebbene Hollande, grazie alla forza d'animo dimostrata durante gli attentati, abbia riguadagnato molte simpatie perdute. Solo l'incognita rappresentata dal previsto altissimo tasso di astensione potrebbe in qualche modo ridisegnare i pronostici, ma non al punto da rallentare l'avanzata delle tendenze populiste e xenofobe che fanno paura all'Europa. LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Riformare il capitalismo? Ruolo strategico dello Stato Nell’avvicendarsi di tutti i grandi cicli tecnologici e nella spinta verso le innovazioni fondamentali l’intervento dello Stato è decisivo, non solo “facilitatore”, ma creatore diretto, motore e traino dello sviluppo. – Pubblichiamo qui un estratto dall’Introduzione di Laura Pennacchi al volume Riforma del capitalismo e democrazia economica. Per un nuovo modello di sviluppo (a cura di Laura Pennacchi e Riccardo Sanna), Ediesse 2015. Il volume – redatto con il coordinamento della “Area Politiche di sviluppo” della Cgil – è stato presentato in Cgil il 2 dicembre. di Laura Pennacchi Abbiamo vitale bisogno non solo di uno Stato, ma di uno Stato strategico il quale, oltre che indirettamente – mediante incentivi, disincentivi e regolazione –, interviene direttamente, cioè guidando e indirizzando intenzionalmente ed esplicitamente con strumenti appositi. Qui c’è una rottura da operare non soltanto con l’antistatism del neoliberismo, ma anche con la più o meno larvata diffidenza verso l’intervento pubblico – motivata con il rischio di «cattura» da parte di interessi politici e partitici e con le inefficienti degenerazioni burocratiche e clientelari che ne possono derivare – coltivata pure tra varie forze di centrosinistra, incapaci di ragionare e di parlare in termini di «teoria» dello Stato e delle istituzioni pubbliche. Del resto, tale stato delle cose – in cui registriamo una singolare coincidenza tra impostazioni liberali tradizionaliste e impostazioni di sinistra meccanicistiche – ha origini remote, se si pensa alla polemica che Polanyi condusse con il pensiero marxista ortodosso che vedeva nello Stato il «comitato esecutivo della borghesia», mentre egli coglieva la consustanzialità di economia capitalistica e Stato, interprete degli interessi generali della società, e denunziava la finzione ipostatizzante l’autosufficienza del mercato alla base dell’economia neoclassica.

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Nell’avvicendarsi di tutti i grandi cicli tecnologici e nella spinta verso le innovazioni fondamentali l’intervento dello Stato si è rivelato e si rivela decisivo, non solo «facilitatore» e alimentatore di condizioni permissive, ma creatore diretto, motore e traino dello sviluppo. Come sottolinea Mariana Mazzucato (Lo Stato innovatore. Sfatare il mito del pubblico contro il privato, Laterza, Roma-Bari 2014), lo Stato ha giocato un ruolo chiave nell’evoluzione del settore informatico, di Internet, dell’industria farmaceutica e biotech, delle nanotecnologie e delle emergenti tecnologie verdi. Proprio l’estensione del cambiamento tecnologico (Antonelli, Technological Congruence and Productivity Growth, in M. Andersson, B. Johansson, C. Karlsson, H. Lööf (eds.), Innovation and Growth – From R&D Strategies of Innovating Firms to Economy-wide Technological Change, Oxford University Press, Oxford, 2012) e l’emergenza di nuovi settori mostrano che lo Stato non interviene solo per contrastare le market failures o per farsi carico della generazione di esternalità, ma rispondendo a motivazioni e obiettivi strategici. Infatti, l’operatore pubblico è l’unico in grado di porsi la domanda: «che tipo di economia vogliamo?». A partire dal porsi tale domanda lo Stato è in grado di catalizzare una miriade di attività e di mobilitare più settori congiuntamente generando il «coinvestimento» necessario, per esempio per andare sulla Luna (per cui fu necessario interrelare le attività di più di 14 diversi settori). L’emergenza di simili complessi di attività si deve a un intervento pubblico che non si limita a neutralizzare le market failures, ma che inventa, idea, crea lungo tutta la catena dell’innovazione. Secondo la visione standard le imperfezioni, e relative esternalità, del mercato possono insorgere per varie ragioni, come l’indisponibilità delle imprese private a investire in «beni pubblici» – quali la ricerca di base, dai rendimenti inappropriabili e dai benefici accessibili a tutti –, la riluttanza delle aziende private a includere nei prezzi dei loro prodotti il costo dell’inquinamento il che dà luogo a esternalità negative, il profilo di rischio troppo elevato di determinati investimenti. Se ne deduce che lo Stato dovrebbe fare cose importanti ma limitate, come finanziare la ricerca di base, imporre tasse contro l’inquinamento, sostenere gli investimenti infrastrutturali. Collegate a questa teoria sono le tesi che il ruolo dello Stato dovrebbe essere prevalentemente di fornire «spinte gentili» (nudges) (Sunstein, Thaler, Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità, Feltrinelli, Milano 2009) o di regolare cercando le regole più semplici possibili, assumendo che semplice sia equivalente a duttile, intelligente, libero, efficace, creativo. Ma uno dei difetti maggiori di tali teorie – che hanno tuttavia loro campi di validità – è che da una parte immaginano interventi pubblici «circoscritti» e «occasionali» (come circoscritti e occasionali sono i fallimenti del mercato) mentre essi nella realtà sono «pervasivi» e «strutturali», dall’altra parte ignorano un elemento fondamentale della storia delle innovazioni: in molti casi decisivi il governo non ha soltanto dato «spintarelle» o fornito «regolazione», ha funzionato come «motore primo» delle innovazioni più radicali e rivoluzionarie. «In questi casi lo Stato non si è limitato a correggere i mercati ma si è

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impegnato per crearli» (Mazzucato, 2013, p. 98). Ovviamente sostenere tutto ciò non significa non vedere i limiti e le carenze dello Stato, quanto le pubbliche amministrazioni siano oggi spesso burocratizzate, inefficienti, dequalificate. Al contrario, significa prendere incisivamente atto di tale situazione per tentare di rovesciarla. Innanzitutto occorre denunziare il depotenziamento e il depauperamento dello Stato indotti dalle lunghe pratiche neoliberiste... >>> Continua la lettura sul sito Da Avanti! online www.avantionline.it/ La frenata Gli ultimi dati economici italiani non sono per nulla buoni. È vero, resta un segno più nell’andamento dell’economia, sia pur con una revisione al ribasso. La previsione era dello 0,9 e il presidente del Consiglio aveva arrotondato all’1, ma adesso siamo scesi allo 0,8, la metà dello sviluppo dei paesi dell’Unione, che è pari all’1,6. Nell’eurozona ci sono poi paesi che volano. La Gran Bretagna raggiunge un più 2,5 e la stessa Germania, che si pensava avesse frenato la sua crescita, è stimata all’1,7, mentre la Francia, ancora in preda al dopo 13 novembre, è all’1,2. di Mauro Del Bue Secondo i dati Istat l’occupazione italiana, dopo il 13 novembre, ha avuto un leggerissimo decremento, meno 0,2, mentre l’aumento della occupazione stabile, ottenuto grazie agli sgravi fiscali e al Jobs act, si deve agli over 50, saliti dal gennaio 2013 di circa 900mila unità, dovuti in gran parte all’aumento dell’età pensionabile, mentre gli occupati under 50 sono diminuiti di quasi 800mila. È evidente che gli sgravi fiscali, piuttosto consistenti e pari a circa 15 miliardi e l’abolizione dell’articolo 18 hanno contribuito a stabilizzare l’occupazione e a diminuire quella precaria, ma un vero aumento dell’occupazione avviene solo attraverso un forte incremento della domanda. Per adesso siamo lontani da un obiettivo accettabile. Alesina e Giavazzi, nel loro solito fondo sul Corriere, paragonano gli sforzi fatti dai governi britannici in materia di diminuzione della spesa pubblica a quelli intrapresi in Italia. E qui il paragone diventa amaro per noi. La nostra spending review è purtroppo sotto i nostri occhi, con quattro commissari ritirati o dimessi (Enrico Bondi, Pietro Giarda, Carlo Cottarelli e Roberto Perotti) e con tagli rivisti e poi decimati. Il progetto Osborne, cancelliere dello Scacchiere, che si estende fino al 2020, punta a diminuire ancora (di ben nove punti) la spesa pubblica (dal 45 al 36 per cento), ma aumentando, oltre all’occupazione, anche le pensioni e la spesa sanitaria. Si possono obiettare molte cose sulle scelte del governo conservatore britannico (ad esempio che non si pensi all’incremento degli investimenti sulla scuola, come aveva fatto

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il governo laburista di Blair), ma il risultato si comincia a vedere. Renzi assuma l’atteggiamento di chi sta affrontando una sfida difficile. Sia sul piano internazionale sia sul versante economico l’Italia sta attraversando un momento assai complicato. L’insoddisfazione è assai facile si riversi sull’orientamento elettorale e lo verificheremo alle consultazionicomunali di Primavera. Renzi guidi coi toni adeguati un paese in una fase di crisi e di guerra. I suoi oppositori sappiano, però, che in questa fase l’unico comportamento accettabile è quello di chi sa assumersi la responsabilità di non giocare al “tanto peggio tanto meglio”, con la stessa logica che tutti i partiti politici dimostrarono a fronte della crisi e del terrorismo degli anni settanta, quello spirito di unità nazionale che ci consentì di battere terrorismo e inflazione e di riprendere la crescita. Vai al sito dell’avantionline Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ Se otto ore vi sembran poche A margine di un’estemporanea battuta del ministro del Lavoro Poletti sull’individuazione di nuovi parametri, diversi dall’orario di lavoro, per remunerare i lavoratori di Maurizio Ballistreri Ha ragione Michele Tiraboschi quando dice che “avremo una vera rivoluzione copernicana (anche) delle regole del lavoro solo quando riscriveremo la nozione di impresa: vale per orario di lavoro, vale per alternanza e apprendistato, vale per produttività del lavoro e partecipazione dei lavoratori, vale per tutto”. Rispetto a questa necessaria prospettiva di ridefinizione sistemica dei rapporti tra impresa e lavoro, appare sin troppo estemporanea la battuta del ministro del Lavoro Poletti sull’individuazione di nuovi parametri, diversi dall’orario di lavoro, per remunerare i lavoratori. Il tema è da tempo oggetto di dibattito tra gli studiosi, e non si può affrontare con affermazioni da talk-show (come del resto quella sui laureati!), slegate dallo scenario socio-economico e da riflessioni finalizzate a trovare soluzioni condivise. Non vi è dubbio che la retribuzione legata all’orario di lavoro era connessa ad un sistema produttivo, quello taylorista-fordista, ormai abbondantemente superato dai processi di innovazione tecnologica hig-tech: ma è pensabile che la soluzione possa essere un ritorno al passato? Infatti dietro la proposta dell’ex presidente (di antica militanza comunista) di uno dei colossi del business italiano, la Lega delle Cooperative, si nasconde la riproposizione di un vecchio e obsoleto istituto retributivo: il cottimo, strumento di sfruttamento dei

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lavoratori finalizzato ad ottenere alti livelli di produttività e salari collegati, senza alcuna valorizzazione delle professionalità, né della sicurezza sul lavoro, accoppiato alla cancellazione del contratto collettivo nazionale (sostituito da minimi salariali bassi definiti annualmente per legge), e contratti aziendali espressivi di poteri regolamentari unilaterali dei datori di lavoro per stabilire i ritmi produttivi con sindacati deboli e subalterni. Insomma, al di là delle rivendicazioni di modernità espresse dal governo Renzi, una regressione all’Ottocento: a quella visione lavoristica in cui “il lavoratore deduce nel contratto il proprio corpo”, il contratto di lavoro come contratto di compravendita delle energie di cui il lavoratore è proprietario, tipica riconduzione nello schema civilistico del lavoro subordinato e dell’economia liberista. Ma nel Novecento si sono affermati i diritti del lavoro come diritti sociali. “Il lavoro non è una merce”, è il motto scritto nel il Trattato di Versailles nel 1919 e profferito dall’economista irlandese John Kells Ingram durante il congresso delle Trade Unions inglesi del 1880, che condensa le trasformazioni sociali e culturali che stanno alla base del diritto del lavoro nel nostro tempo: e cioè che il lavoro non può essere considerato un’entità indipendente dalla persona del lavoratore, e che deve fondarsi anche su un fondamento etico e non può essere perciò regolato solo dal mercato. La conseguenza è che il salario del lavoratore non può essere determinato esclusivamente dal suo valore di scambio, perché deve garantirgli il mantenimento in condizioni di salute e sicurezza fisica e mentale, secondo una concezione non mercantile più volte ribadita in tempi recenti nel nostro paese dal sociologo del lavoro Luciano Gallino, recentemente scomparso. Considerato che si parla di modernità, non è il vecchio cottimo che deve essere riesumato, ma le idee più avanzate in tema di partecipazione dei lavoratori nelle aziende. Già sul finire degli anni ’80 del Novecento il premio Nobel per l’Economia James Meade propose di definire un sistema retributivo che nelle imprese legasse l’andamento aziendale, i salari e il potere di intervento dei lavoratori nelle scelte strategiche. Se si vuole collegare effettivamente la prestazione alla competitività delle aziende senza ripescare anacronistici istituti di sfruttamento, è alla partecipazione che bisogna guardare. Si pensi all’Europa, in cui l’Italia è uno dei pochi paesi che non ha norme su questa tematica: a parte la Germania (con una ormai antica legislazione sulla cogestione) e gli Stati scandinavi, di recente (nel 2013), con la legge sulla “securizzazione dell’impiego”, anche la Francia ha rafforzato le regole sui diritti di informazione e consultazione di lavoratori e sindacati nell’imprese. Insomma, serve davvero una rivoluzione copernicana per il lavoro in Italia. L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

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(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ L’odio, letame delle guerre di Edoardo Crisafulli Rischiamo di scivolare giù per la china: fanno di tutto affinché li odiamo con la stessa perversa intensità con cui loro odiano noi. Per fortuna non ci sono avvisaglie di pogrom antislamici. Ma episodi di intolleranza, quelli sì che accadono. E da cosa nascono, se non dall’odio o dal disprezzo verso un gruppo di nostri simili, umani come noi, ma denigrati perché colpevolmente diversi? Il bidello che in una scuola riminese avrebbe aggredito una bambina musulmana — per un garantista il condizionale è d’obbligo – urlandole “tornatevene a casa”, è una faccenda odiosa, che dovrebbe azionare un campanello d’allarme. Non mi risulta che le bambine tedesche, figlie dei turisti che calavano a frotte sulla Riviera romagnola negli anni Sessanta, venissero insultate o guardate in cagnesco sulle nostre spiagge. Eppure appena un quindicennio prima milioni di soldati tedeschi avevano seminato morte e distruzione in tutta Europa. La seconda guerra mondiale, scatenata scientemente da Hitler e dai suoi numerosi scherani (il partito nazista contava milioni di iscritti), ha causato cinquanta milioni di morti, di cui una decina gassati o fatti morire di stenti nei campi di sterminio. Hitler, tra l’altro, era cattolico e ci sarebbe molto da dire sulle radici religiose dell’antisemitismo nazista, che sfocerà nella soluzione finale (per secoli, nella cristianità europea idealizzata dagli intellettuali teo-con, antigiudaismo teologico e persecuzioni antiebraiche sono andati a braccetto) – ma andrei fuori tema. Fatto sta che nessuno ha mai chiesto seriamente di scacciare i tedeschi dall’Europa nel dopoguerra. Li abbiamo denazificati e ce li siamo tenuti. Decisione saggia oltreché giusta: la Germania è oggi uno dei pilastri più solidi dell’UE. Tornando all’odio e al disprezzo: sul web dilaga il culto postumo di Oriana Fallaci, Cassandra inascoltata, povera vittima della sinistra radical-chic e salottiera. Dopo le stragi io non ho cambiato idea: ero contro ogni fanatismo e intolleranza prima, e lo sono ancora; ero a favore di un multiculturalismo urbanizzato prima, e lo sono ancora. Ho sempre trovato insopportabile la demonizzazione della Fallaci, che, bisogna ammetterlo, proviene da una storia di sinistra: da ragazza fu partigiana nelle formazioni di Giustizia e Libertà, e la sua cultura politica è una sorta di anarchismo illuministico (il che dimostra che l’intolleranza non è appannaggio della destra e dei fanatici religiosi: ce n’è anche in certe pieghe nascoste della cultura laica). Non mi è mai andato a genio neppure il modo furbesco con cui la destra più retriva,

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quella guerrafondaia, l’ha arruolata per fomentare le sue campagne d’odio antislamiche. Sono d’accordo con Galli Della Loggia su un punto: è moralmente degna “una collera della giustizia”. Questo genere di rabbia è liberatrice ed energetica: ci stimola a reagire all’ingiustizia. Ma, prosegue Della Loggia, di fronte a certi crimini contro l’umanità, anche l’odio è plausibile, quasi d’obbligo. “Non era forse giusto odiare i Kapò dei campi di sterminio, i carnefici di Nanchino o gli organizzatori della carestia artificiale in Ucraina?” (“Gli europei smarriti di fronte alla violenza”, Corriere della Sera, 23/11/2015). Certo, questa è una reazione umanissima. Avremmo tutto il diritto di odiare anche i terroristi che uccidono innocenti. Attenzione, però: l’odio, che ci viene più spontaneo dell’amore, è un sentimento ribelle e prepotente. E’ impossibile addomesticarlo. L’odio reclama vendetta, non giustizia. L’odio è cieco: colpisce a casaccio, senza guardare in faccia a nessuno. Proprio gli scritti della Fallaci esemplificano bene come l’odio, una volta evocato, sia impossibile da circoscrivere. “Ho e devo avere il diritto di odiare chi voglio”. Lei però non odiava solo i Bin Laden e i kamikaze, cosa umanamente comprensibile. No, lei odiava anche i Noam Chomsky, i Michael Moore, personaggi della sinistra radicale apostrofati come “collaborazionisti”, “traditori”, “complici” dei terroristi. Questo è lo stesso linguaggio e lo stesso immaginario fideistico dei giacobini e degli estremisti — laici o religiosi non importa… >>> Continua la lettura sul sito Riceviamo e volentieri segnaliamo MILANO RINASCE Nell’ambito della collaborazione tra la Fondazione Aldo Aniasi e la Fondazione La Triennale di Milano si apre presso la Triennale di Milano in Viale Alemagna 6 venerdì 4 dicembre alle ore 18.00 la mostra MILANO RINASCE Dalla ricostruzione alla grande Milano che resterà aperta sino al 13 dicembre. Cogliamo l’occasione per preannunciare – con preghiera di registrarlo in agenda - che mercoledì 9 dicembre alle ore 17.30 sempre presso la Triennale di Milano si terrà una tavola rotonda sui temi della mostra a cui interverranno Autorità e personalità della politica e della cultura milanese.

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Fondazione Aldo Aniasi [email protected]

Da CRITICA LIBERALE riceviamo e volentieri pubblichiamo Quanto vale la giustizia Vaticana? Sul processo ai giornalisti Fittipaldi e Nuzzi. di Francesca Palazzi Arduini In questi giorni chiunque legga sui media la notizia della decisione del Promotore di Giustizia Vaticano di incriminare i due giornalisti italiani, noterà la scarsa attenzione alle regole definite dai Patti Lateranensi (1929) circa i rapporti tra Italia e Vaticano per il perseguimento dei reati. Pare quasi di vedere il Fittipaldi e il Nuzzi già ai ceppi nelle segrete Vaticane, ogni tanto visitati dalla mano benevole di Francesco (ormai l’appellativo ‘Papa’ è in disuso per motivi di immagine) fornita di pane e acqua, e l’espressione stralunata dei due segnala già l’esposizione al giudizio “divino”. Se infatti per il Vaticano è importante perseguire i due giornalisti in quanto ritenuti responsabili di “fuga di notizie” e sospettati di collaborazione coi trafugatori di documenti privati…ciò è anche legittimo per il suo Codice, che all’ art.116 punisce chi divulga documenti “riservati” (non è ben specificato in che modo questi documenti debbano essere definiti tali) non è certo così per il nostro Codice, che semmai persegue chi divulga notizie coperte dal segreto di indagine, che viene usato per coprire solo precisa documentazione (art.329 c.p.p). E’ inoltre noto anche ai non addetti ai lavori che il Codice italiano, attraverso le leggi penali sulla stampa, persegue semmai e solamente la ricettazione di materiale privato che un giornalista possa attuare, punibile solo però se tale giornalista era a conoscenza del furto del materiale. Per sottolineare quindi la pochezza del gesto del Vaticano, impegnato a perseguire Fittipaldi e Nuzzi forse più per spaventare futuri emuli che altro, è interessante notare come questa severità e fretta nel perseguire i danni collaterali piuttosto che l’evidente malaffare protagonista (come il dito che indica la luna…), occorre rammentare l’applicabilità dell’articolo 22 dei Patti, che specifica con chiarezza non solo che: “A richiesta della Santa Sede e per delegazione che potrà essere data dalla medesima o nei singoli casi o in modo permanente, l’Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano, salvo quando l’autore del delitto si sia rifugiato nel territorio italiano, nel qual caso si procederà senz’altro

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contro di lui a norma delle leggi italiane“… e le leggi vaticane non sono proprio tutte valide in Italia, per fortuna… Ma specifica anche che “La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone, che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano, imputate di atti, commessi nel territorio italiano, che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati. Analogamente si provvederà per le persone imputate di delitti, che si fossero rifugiate negli immobili dichiarati immuni …, a meno che i preposti ai detti immobili preferiscano invitare gli agenti italiani ad entrarvi per arrestarle.” Ricordiamo quindi, per chi se ne fosse dimenticato (e la stampa italiana di recente sembra avere poca memoria) che nel 1987 il cardinale Paul Marcinkus sfuggì all’arresto nonostante il mandato di cattura grazie al suo passaporto vaticano, e così sfuggirono all’arresto i due contabili (Luigi Mennini e Pellegrino De Strobel), incriminati di bancarotta fraudolenta per il crack dell’Ambrosiano, rifugiatisi in Vaticano e da lì usciti solo quando la nostra Corte di Cassazione rifiutò il giudizio di inammissibilità costituzionale dell’art.11 dei Patti Lateranensi presentato dai giudici del Tribunale di Milano. Tali Patti, in gran parte confermati anche dal nuovo Concordato (1984), conferiscono ai rappresentanti vaticani (leggi: il clero ma anche i funzionari, vedi art.10) ovvero a tutti coloro che, cita la sentenza della Corte, sono fuori dal Vaticano agendo” in qualità di organi o di rappresentanti di un -ente centrale- della Chiesa cattolica”, la protezione con l’ immunità penale. Certo, difficile trattare con uno Stato che si permetteva e può permettersi, anche con l’aiuto di alcuni giudici e tanta stampa, di considerare “peccato” alcune azioni e “grave reato” altre, uno Stato che beneficia di ampia immunità per la maggior parte dei suoi cittadini . Per i privilegiati tutto si chiude, anche con il papato di Bergoglio, con la contrizione e la punizione comminata in segreto, e forse scontata con obbedienza, in ossequio al “sigillum confessionis”. Questa riflessione va fatta in un momento focale, la partenza del nuovo Giubileo, così importante per la Chiesa e soprattutto, come accennava Marcinkus, per la sua economia. Vai al sito di rimarchevole “il meta-blog di provincia…” Vai al sito di Critica liberale Da vivalascuola riceviamo e volentieri pubblichiamo Affinché vi conosceste a vicenda di Giorgio Morale vivalascuola questa settimana è dedicata ai fatti di Parigi: https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2015/11/23/vivalascuola-204/

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E’ sentire comune, dopo gli attentati di Parigi, che anche in momenti come questi la scuola è chiamata non solo a educare ma innanzitutto a stare vicina a bambini e ragazzi. E’ bene parlare a scuola di questi fatti, dunque, senza imposizione ma aprendo uno spazio di riflessione affinché nelle aule possano liberamente emergere paure e domande. Con la consapevolezza che l’educazione richiede tempi lunghi e non si esaurisce in un minuto di silenzio. vivalascuola non interviene con analisi che competono ad altri ma propone alcuni spunti didattici: “cosa serve ai bambini” di Claudia Fanti, esempi di lavoro a scuola di Giuseppe Caliceti e Eraldo Affinati, e alcuni sermoni pronunciati nelle moschee italiane venerdì 19 novembre, come strumenti che pensiamo possano aiutare docenti e studenti a superare ignoranza e pregiudizi, quelli che generano violenza e matta bestialitate. RACCONTARE LA SIGNORINA VOLENTIERI Il racconto al centro della scena Venerdì 11 Dicembre 2015 alle ore 18 in Via Laghetto n. 2 a Milano (a fianco dell’Università Statale – MM 1 – MM 3) “CHIAMAMILANO” è lieto di invitare la S.V. ad un incontro pubblico sul libro di racconti di Angelo GACCIONE, “LA SIGNORINA VOLENTIERI” Norma, Beba, Cornelia, Morgana, Greta, Sandra, Rebecca, Liliana, Lavinia, Siria, e poi Manuela, Gaia, Pat, Lucilla, Carlotta, Sveva… Dalla penna del più versatile scrittore italiano di racconti, una galleria di ritratti esemplari di donne, meravigliosamente ironici, parodistici, appassionati, teneri, commoventi, resi da una scrittura contratta, apparentemente leggera, ma di straordinaria pulizia stilistica e formale. Storie di oggi, storie di tic, di manie, di passioni, di sentimenti, di rapporti a volte complessi, storie che attraversano le mode e il costume, storie disegnati sullo sfondo di una storia più grande, e che ci appartengono. Assieme all’autore interverranno: Mauro GERMANI, Alessandra PAGANARDI, Filippo RAVIZZA Al violino: Raffaele Nobili

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Coordinamento: Dario Francesco Pericolosi Ufficio Stampa: Max Luciani tel. 347-8450819 Ingresso libero

Il narratore e drammaturgo Angelo Gaccione in questa foto con il filosofo Fulvio Papi Riceviamo e volentieri pubblichiamo Aderite al Movimento per il Risorgimento Socialista L’Assemblea del Movimento Risorgimento Socialista del 28 Novembre a Roma all’Auditorium di via Rieti muove i primi passi di un lungo cammino per riportare in Italia e in Europa la politica di Alternativa all’ultraliberismo finanziario per riportare al centro il Lavoro, come valore, e contro le diseguaglianze della Società del XXI Secolo. Nel nostro Paese l’involuzione democratica, a cui si sta assistendo in un clima di quasi totale impotenta, ha molte cause e modalità, ma è indubbio che la crisi della rappresentanza politica del mondo del lavoro, frantumato a diversi livelli, ne sia una delle radici. di Gaetano Colantuono Si verifica un duplice fenomeno combinato: il profondo slittamento semantico del termine “riforme” dagli anni Settanta ad oggi e la progressiva cancellazione delle riforme popolari ottenute durante il ciclo di lotte fra gli anni Sessanta e Settanta. L’approdo di questa tendenza è ora rappresentata dalla profonda revisione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza e dall’attesa espunzione di ogni forza politica di sinistra dai luoghi decisionali (regioni e nuovo Senato, Camera) in virtù della nuova legge elettorale, l’Italikum, e delle altre leggi elettorali regionali. Un ciclo sembra chiudersi, travolgendo idealità, tradizioni, esperienze. Si scorgono appena i vincitori di questa fase. In questo quadro desolante si colloca anche l’assenza di un partito con una piattaforma socialista. Se si può discutere l’origine della “mutazione antropologica” della cultura politica socialista in Italia, resta incontrovertibile il dato che nessuna delle forze che si autodefiniscono socialiste si pongono in contestazione della cultura

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politiche dominante – il neoliberismo nelle sue varie forme – ma si pongono tutte all’interno di un perimetro di spartizione di briciole di potere. Lo stesso PSE, divenuto Partito dei Socialisti e Democratici europei, nella sua cogestione a Strasburgo come a Bruxelles con i popolari, in realtà conservatori e liberisti, non contribuisce alla ripresa di un’azione riformista in senso socialista, ossia (nell’accezione codificata in Italia in particolare da Riccardo Lombardi) mediante trasformazioni nella struttura socio-economica a vantaggio dei lavoratori. La parola stessa “riforma” sembra ormai inutilizzabile a causa di un profondo slittamento semantico. Occorre pertanto ricostruire un movimento socialista di sinistra, contrassegnato in ogni suo aspetto da alcune caratteristiche permanenti. ANTILIBERISTA, in quanto pienamente contrario alle politiche liberiste, affinché, insieme ai movimenti di alternativa e di opposizione, le contesti nelle piazze, nei tanti spazi sociali, nei luoghi di cultura e nelle sedi rappresentative, elaborando e coltivando proposte politiche alternative. RADICALE nei suoi obiettivi, perché va alla radice delle questioni, rifiutando le opposte tendenze disgregatici della forze organizzate di sinistra, l’estremismo e il moderatismo, così come rifiuta la scollatura fra apparati e base sociale. Facciamo propri tre NO fondamentali: AL RAZZISMO, ALLE GUERRE E AL MILITARISMO, AL NEOLIBERISMO. DAL BASSO, in quanto è consapevole delle macerie e delle miserie della sinistra italiana che, anche non metaforicamente, segnano il paesaggio politico e culturale italiano e di cui tanto il precedente quanto l’attuale gruppo dirigente del PD (con i loro partitini-satelliti) portano le principali responsabilità. Da tale consapevolezza deriva la necessità di imparare dagli errori del passato, compreso quello più recente: il rifiuto del potere fine a sé stesso, del politicismo e del governismo con l’alibi dell’assunzione di responsabilità. Ne discende un più ampio coinvolgimento dei soggetti impegnati nei territori con una gestione realmente democratica e trasparente ad ogni livello. Comuni punti di riferimento, nei differenti percorsi, sono: il richiamo al patrimonio ideale della sinistra socialista italiana, pur nella consapevolezza della sua pluralità, dei suoi limiti e della sua relazione dialettica con altre culture politiche (quella comunista, cristiana, liberale di sinistra, infine quella dei movimenti e dell’ecologismo); l’esigenza non più rinviabile di un confronto con il cospicuo patrimonio delle attuali culture e pratiche antiliberiste, espresse prevalentemente dal movimento dei social forum, capaci di rivitalizzare non pochi aspetti della tradizione socialista europea anteriore agli anni Ottanta e di porre questioni centrali dell’agenda politica nazionale e internazionale (nuovo modello di sviluppo, sottrazione dei beni comuni dal mercato, lotta alle disuguaglianze). Per fare tutto questo riteniamo di impegnarci nel MOVIMENTO PER IL RISORGIMENTO SOCIALISTA. Ci rivolgiamo a quanti e quante hanno già maturato una forte identità socialista, correttamente intesa, non come alibi per isolarsi ma come punto di partenza per una

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collaborazione con altre soggettività per obiettivi comuni. Ci rivolgiamo a quanti e quante svolgono un prezioso lavoro sociale nei territori, nell’impegno nei sindacati e movimenti, nelle rinnovate forme di mutualismo e nel volontariato. Ci rivolgiamo al mondo della cultura, affinché contribuisca a promuovere una più feconda riflessione non ideologica o dogmatica né priva di un solido metodo (ossia di un’ideologia in accezione propositiva), ricercando in un rinnovato marxismo metodologico e libertario una delle proprie fonti di ispirazione. A tutti e tutte chiediamo di aderire al MOVIMENTO PER IL RISORGIMENTO SOCIALISTA, di collaborare a radicarlo nei territori e nei luoghi del lavoro e delle altre forme di produzione sociale, di contribuire alla creazione di un autonomo Istituto socialista di cultura quale strumento di memoria storica e di elaborazione politica. Affidiamo questo appello coscienti che le tradizioni socialiste non possano tramontare in Italia, mentre altrove in Europa e nel mondo esse rinnovano le lotte e le conquiste e mentre nel nostro paese il tasso di disuguaglianza e le crisi prodotte dall’attuale modello di sviluppo capitalistico assumono livelli insostenibili. http://www.risorgimentosocialista.it/ LETTERA

Il partigiano Rino Un film-documentario intitolato «Rino - La mia ascia di guerra» (coprodotto da Lab 80 film, Metavisioni e Rossofuoco) presentato alla 33esima edizione del Torino Film Festival. Un paio d'anni fa il regista Andrea Zambelli e la produttrice del film sul partigiano Rino vennero a Ginevra per girare e ottennero il sostegno dell'Anpi. Ebbene, i sogni con determinazione si avverano e Andrea non solo ha finito il film, ma questo è stato anche selezionato per il Film Festival di Torino! Siamo molto, molto fieri ed emozionati... aspettando di poter vedere il film! Vi rinvio al link con articolo dell’Eco di Bergamo: Anna Biondi, Anpi Ginevra

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Pubblichiamo di seguito il progetto del film presentato a suo tempo a Ginevra. Rino Bonalumi, classe 1922, vive con la moglie Lina e la badante rumena a Valbrembo, in provincia di Bergamo. Andrea, il regista, lo conosce da quando era bambino, le famiglie abitavano l’una sopra l’altra. Rino e Lina non hanno figli, da subito si affezionano ad Andrea e a suo fratello, diventando una sorta di nonni acquisiti. Quando Andrea è adolescente, Rino resta un punto di riferimento fortissimo, soprattutto rispetto alle scelte politiche. Da un po’ di tempo, Rino non ricorda più niente. Andrea ha decine di cassette, nei formati più disparati, in cui Rino racconta la propria storia. E, di conseguenza, quella di Andrea, e di molti altri. E’ la storia di chi sceglie di non adeguarsi all’ordine imposto, di ribellarsi, di essere sempre partigiano. La Storia di Rino Dopo l'8 settembre '43, quando l'esercito italiano si sbanda, Rino e decine di commilitoni vengono abbandonati dai loro comandanti e rientrano a casa per conto proprio. Rino decide che è il momento di passare all'azione, con un gruppo di amici costituisce una piccola brigata e decidono di assaltare la caserma di Ponte San Pietro per recuperare armi e denaro per finanziare la lotta partigiana. Il gruppo di Rino è formato da giovani entusiasti, che scelgono istintivamente l'antifascismo. Sono in sette, senza armi e senza alcuna preparazione politica. Assaltano la caserma in bicicletta, immobilizzano i soldati e portano via trenta fucili e la cassaforte. Il successo di questa azione li spinge a reclutare altri amici e a formare una brigata. Sono un gruppo autonomo, guardano con sospetto alle formazioni cattoliche che li incoraggiano ad entrare nel loro movimento. Vogliono libertà d'azione, non accettano finanziamenti da nessuno. Rino sfugge in maniera rocambolesca ad una perquisizione della milizia fascista e rimane latitante con una ventina di uomini. Fino al 25 aprile vivono alla macchia, alternando azioni ben riuscite ad ingenuità dovute all'assenza di preparazione politica e militare. Il 25 aprile la brigata è a Bergamo per partecipare alla Liberazione. Subito dopo decidono di regolare dei conti lasciati in sospeso: organizzano numerose requisizioni ai fascisti locali e non ne vogliono sapere di consegnare le armi. Rino e quattro uomini del suo gruppo vengono arrestati e scontano 18 mesi di carcere. Quando viene rilasciato emigra in Svizzera per lavorare. E' il 25 Aprile 1954 quando Rino arriva nel Canton Vaud, inizialmente a Saint- Prex e poi a Yverdon dove lavorerà per anni nella fabbrica “Paillard”. Lì parteciperà alle Colonie Libere, forme di associazionismo degli italiani che vivono in Svizzera basate sull'antifascimo e continua a svolgere attività politica. In questa fase della vita sviluppa la sua passione per i cavalli. Li addestra, li filma. In fabbrica conosce Lina, una mondina emiliana. Si innamorano e si sposano. Insieme organizzano dei corsi di francese per i migranti italiani, attraverso cui diffondono la stampa comunista. Quindi, nel 1963 vengono arrestati ed espulsi dalla Svizzera. Nel 1980 la coppia va a vivere a Valbrembo, ed è qui che le storie si incrociano: Andrea ha 5 anni. Il film è narrato in prima persona, dal regista stesso. LETTERA Chi non vale un fico?! La provocazione di Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali(?): “Ragazzi, il 110 a 28 anni non vale un fico” Probabilmente la maggior parte dei cittadini e cittadine italiani/e non sa ricordare un nome, tra i tanti presidenti che hanno retto la storia più che centenaria della Lega nazionale cooperative e mutue. Eppure tra

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essi ci sono stati personaggi di altissimo livello, dal partigiano “titino” Valdo Magnani al presidente dell’Alleanza Internazionale delle Cooperative Ivano Barberini. Il nome del penultimo invece, purtroppo, imparano a conoscerlo anche i più distratti. Con grande imbarazzo di chi si sente rinfacciare ad ogni piè sospinto di stare nella stessa organizzazione di quello che è l’attuale Ministro del (non) lavoro. Maurizio Crozza ne fustiga l’agreste sempliciottismo, ma – come in altri casi tra le imitazioni del noto comico genovese – l’originale batte di gran lunga ogni caricatura. Paragonato ad un illustre esempio * , il semplicismo delle analisi dell’attuale ministro del lavoro è disarmante. In un paese deindustrializzato, privo ormai di grande imprese nazionali, in recessione da quasi un decennio, con indici di bilancio che sono superati in pejus (tra i paesi dell’Unione Europea) solo dalla Grecia, per Poletti il problema è che i giovani si laureerebbero tardi, perché perseguono l’obiettivo edonistico del massimo dei voti! Invece, se si laureassero prima, il lavoro lo troverebbero certamente: grazie ad una sfrenata fantasia lisergica, che non riusciamo a riconoscere nell’ex comunista imolese assurto alla corte renziana grazie al pacchetto conferito di voti emiliano-romagnoli. Gianni Rodari l’avrebbe messo in una favola del “Libro degli errori”, ipotizzando che Poletti fosse lui, con le sue dichiarazione paradossali, la possibile radice della crisi italiana. Vorrei che Poletti lo sapesse: io, funzionario pro tempore in distacco sindacale presso la Lega delle Cooperative, mi sono laureato non a 21, ma a ben 47 anni. E pure con la lode e la proposta di pubblicazione, terminata con tre ponderosi volumi. Perché così tardi? Ho fatto molti mestieri, e poi sono andato a lavorare come magazziniere in una cooperativa sociale di inserimento lavorativo. Che una laurea mi servisse per lavorare, già all’epoca era un’utopia regressiva. E mi considero pure fortunato: ci sono miei coetanei che fanno ancora i precari nella scuola. In ogni caso, da mio nonno meccanico ho imparato che le cose fatte bene richiedono il loro tempo. E dal nonno muratore ho ereditato l’imprinting genetico che è meglio star zitti, se prima non si è meditato a lungo. Gian Luigi Bettoli, Pordenone L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in

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emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.