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AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI REGGIO CALABRIA

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AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI REGGIO CALABRIA

 

 

PIANO FAUNISTICO-VENATORIO PROVINCIALE 2009-2013

Reggio Calabria

Luglio 2009

3 Provincia di Reggio Calabria – Settore Agricoltura, Caccia e Pesca

Piano Faunistico-Venatorio Provinciale 2009-2013  

 

Gruppo di lavoro   

 

Università Mediterranea di Reggio Calabria, Facoltà di Agraria: 

Giovanni Gulisano: coordinamento generale (Dip. STAFA) 

Giovanni Spampinato: coordinamento tecnico‐scientifico, flora, vegetazione, habitat, pianificazione faunistico‐venatoria (Dip. STAFA) 

Roberto Saija: disposizioni generali (Dip. STAFA) 

Giuseppe Bombino: caratterizzazione territoriale, clima (Dip. STAFA) 

Angelo Scuderi: avifauna, aree protette, pianificazione faunistico‐venatoria (Dip. GESAF) 

Luca Racinaro: Mammalofauna, pianificazione faunistico‐venatoria (Dip. STAFA) 

Francesco Scarfò: chirotteri (Dip. GESAF) 

Orlando Campolo e Giuseppe Algeri: cartografia, pianificazione faunistico‐venatoria (Dip. GESAF) 

 

 

Provincia di Reggio Calabria: 

Maria Teresa Scolaro: Dirigente settore attività produttive, caccia e pesca  

Pietro Foti: Dirigente Ufficio del Piano  

Carmelo Stelitano: Settore attività produttive, caccia e pesca: allegati normativi, miglioramenti ambientali, danni fauna selvatica, identificazione aree appostamenti fissi, Ambiti Territoriali di Caccia, istituti faunistici, considerazioni sulle strategie gestionali previste dal precedente Piano Faunistico, assetto sociale 

Domenico Giordano: Vigilanza Venatoria  

Giovanni Sammarco: Ufficio del Piano di coordinamento provinciale, Supporto cartografico 

Francesco Forestieri: Dati Ambientali‐ C.R.A.S. 

Giuseppe Postorino : Settore Ambiente – VAS 

 

 

Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte 

Antonio Siclari 

4 Provincia di Reggio Calabria – Settore Agricoltura, Caccia e Pesca

Piano Faunistico-Venatorio Provinciale 2009-2013  

 

 

 

 

SOMMARIO1. DISPOSIZIONI GENERALI....................................................................................................................................... 5 

2. QUADRO CONOSCITIVO ....................................................................................................................................... 9 

3. PIANIFICAZIONE FAUNISTICO‐VENATORIA ........................................................................................................ 131 

Allegati normativi ................................................................................................................................................ 217 

Allegati cartografici.............................................................................................................................................. 227

 

 

 

 

 

 

PREMESSA L’ambiente forestale, il patrimonio faunistico e le caratteristiche agro-silvo-forestali sono il più grande patrimonio che questa Provincia può esprimere. La sua salvaguardia deve costituire un imperativo categorico che non solo le Istituzioni, ma ciascuno di noi deve porsi.

Rientra in questo imperativo l’esigenza di regolamentazione e tutela dell’habitat che favorisce la riproduzione delle specie ed il mantenimento delle condizioni che a loro volta ne consentiranno la loro sopravvivenza per il tempo a venire.

La Regione Calabria, nell’osservanza delle direttive Comunitarie in materia di tutela dell’ambiente e della fauna selvatica, costantemente modificate ed integrate nel tempo, ha emanato la Legge Regionale n° 9/96, con la quale detta direttive specifiche e strumenti tecnici in materia di pianificazione faunistico-venatoria.

Spetta alle province adattare le direttive alle caratteristiche ed alle necessità che il territorio richiede, attraverso lo strumento di programmazione istituzionale che dovrà governarne la gestione.

Fra gli strumenti tecnici di base il Piano Faunistico-Venatorio rappresenta uno strumento di programmazione settoriale, programmatico, e come tale deve raccordarsi con gli strumenti provinciali in atto, in particolare ove questi interessino tematiche che influiscano sulla gestione faunistica o che da questa possano essere influenzati.

Per questo motivo, il Piano Faunistico-Venatorio della Provincia di Reggio Calabria annualità 2009-2013 è frutto, da una parte, dell’elevato contributo scientifico offerto dalla facoltà di Agraria, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroforestali e Ambientali -S.T.A.F.A-, dall’altra del contributo tecnico di diversi settori dell’Ente che a vario titolo detengono competenze su attività inerenti l’ambiente, l’urbanistica, la vigilanza e i controlli, e, naturalmente, della professionalità rappresentata dal Settore Attività Produttive, Caccia e Pesca a mezzo di un proprio funzionario esperto in materia. Notevoli contributi sono stati profusi anche dall’Ente Parco d’Aspromonte, e dalle associazioni venatorie.

La crescente pressione antropica e le inevitabili modifiche endogene sull’habitat fanno sì che il piano debba avere una durata limitata, e per questo il Piano Faunistico venatorio è frutto di una elaborazione di tutti gli elementi utili ad oggi conosciuti per una razionale pianificazione delle attività in essere, ma il vero “successo” del piano dipenderà soprattutto dal monitoraggio degli interventi programmati, che la Provincia intende attuare nel corso del quinquennio per garantire alle previsioni odierne un risultato durevole.

 

 

Questo studio, che rappresenta solo una sintesi degli sforzi compiuti negli ultimi sei mesi al quale numerosi funzionari ed esperti si sono dedicati, rappresenta così uno strumento di programmazione per la tutela e l’implementazione della fauna, supportato da una maggiore conoscenza scientifica del patrimonio faunistico- venatorio, che costituisce la vera ed autentica ricchezza di questo squarcio d’Italia profuso nel Mediterraneo, incrocio naturale di rotte di specie migratorie ed arrivo di razze autoctone, da preservare, custodire, e rispettare.

Il Dirigente del Settore Attività Produttive, Caccia e Pesca

Dott.ssa Maria Teresa Scolaro

 

 

1. DISPOSIZIONI GENERALI

1.1. Quadro normativo di riferimento 

1.1.1. Introduzione 

La materia relativa alle attività faunistico-venatorie è regolata, a livello nazionale, dalla nota legge 11 febbraio 1992, n. 157, contenente “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e successive modifiche e integrazioni. Si tratta di una legge-quadro che recepisce alcune importanti direttive comunitarie, e precisamente la dir. 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, nonché la dir. 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici. Non va trascurato, inoltre che la legge citata costituisce attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812, e della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503.

La legge quadro del 1992, come risulta dall’art. 1, comma 3, ha affidato alle Regioni a Statuto ordinario (come la Calabria), il compito di emanare norme relative alla gestione e tutela di tutte le specie della fauna selvatica.

Scopo principale della legge 157/1992 - che abroga espressamente la normativa precedente (legge 27 dicembre 1977, n. 968) garantendo una maggior tutela della conservazione della fauna selvatica rispetto alla protezione degli interessi venatori - è quello di contemperare tre diversi interessi e precisamente la tutela e la conservazione della fauna selvatica, la protezione degli interessi legati all’attività venatoria, nonché la difesa degli interessi legati alla produzione agricola.

Quadro normativo di riferimento

a) Fonti internazionali: • Convenzione di Parigi (18 ottobre 1950) per la conservazione degli uccelli;

• Convenzione di Ramsar (2 febbraio 1971) sulle zone umide di importanza internazionale;

• Convenzione di Bonn (23 giugno 1979) sulla conservazione e gestione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica;

• Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell’Africa-Eurasia (African-Eurasian Waterbird Agreement - AEWA), a cui l'Italia ha aderito con legge n. 66 del 6.2.06, stipulato nell'ambito della Convenzione di Bonn (comporta la necessità per gli Stati firmatari di attuare una serie di azioni per la tutela degli uccelli acquatici migratori, ivi comprese alcune misure volte a garantire la sostenibilità del prelievo venatorio. In particolare, viene richiesto l’utilizzo di cartucce atossiche, la raccolta di informazioni sui carnieri effettuati ed il controllo del bracconaggio;

• Convenzione di Berna (19 settembre 1979) sulla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale;

• Convenzione di Rio de Janeiro ( 5 giugno 1992) sulla biodiversità;

• Convenzione di Washington CITES 3 marzo 1973 “Regolamentazione commercio specie minacciate di estinzione”.

b) Fonti comunitarie: • Direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici;

• Direttiva 2006/105/CE del 20 novembre 2006, che adegua le direttive 73/239/CEE, 74/557/CEE e 2002/83/CE in materia di ambiente, a motivo dell'adesione della Bulgaria e della Romania;

• Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche;

 

 

• Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente;

d) Fonti nazionali: c/a) Leggi ed atti equiparati:

• Legge 6 dicembre 1991, n.394 “Legge quadro sulle aree protette”, testo coordinato, aggiornato al D.L. n. 262/2006 (GU n. 292 del 13-12-1991, S.O.);

• Legge 11 febbraio 1992, n. 157 e s.m.i. “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”;

• Legge regionale 17 maggio 1996, n. 9 “Norme per la tutela e la gestione della fauna selvatica e l'organizzazione del territorio ai fini della disciplina programmata dell'esercizio venatorio” (BURC n. 52 del 22 maggio 1996);

• Legge regionale 14 luglio 2003, n. 10 “Norme in materia di aree protette” (BURC n. 13 del 16 luglio 2003 S.S. n. 2 del 19 luglio 2003);

• Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 "Norme in materia ambientale" (G.U. n. 88 del 14 aprile 2006 – Supp. O. n. 96 e s.m.i. (“testo unico sull’ambiente”);

• Decreto Legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 "Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 29 gennaio 2008 - Suppl. Ordinario n. 24;

c/b) Fonti regolamentari:

• D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 “Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”;

• DPR 120/2003 del 12 Marzo 2003 “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche' della flora e della fauna selvatiche”;

• D.M. 3 aprile 2000 “Elenco delle zone di protezione speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE e dei siti di importanza comunitaria proposti ai sensi della direttiva 92/43/CEE (2) (3)” (G.U. 29 agosto 2000);

• D.M. 3 settembre 2002 “Linee guida per la gestione dei Siti Rete Natura 2000”;

• Decreto 25 marzo 2005 “Annullamento della deliberazione 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette; gestione e misure di conservazione delle Zone di protezione speciale (ZPS) e delle Zone speciali di conservazione (ZSC)” (GU n. 155 del 6-7-2005);

• D.M. 25 marzo 2005 “Elenco dei proposti siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea, ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE” (G.U. n. 157 del 8 luglio 2005);

• D.M. 5 luglio 2007 “Elenco delle Zone di Protezione Speciale, classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE”;

• D.M. 17 ottobre 2007 “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione e a Zone di Protezione Speciale”.

• D.M. 22 gennaio 2009 “Modifica del decreto 17 ottobre 2007, concernente i criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS)” (GU n. 33 del 10-2-2009).

c/c) Fonti regolamentari regionali:

• Documento di Indirizzo e Coordinamento della Pianificazione Faunistico-Venatoria Provinciale 2009-2013 della Regione Calabria – Dip. 6 Agricoltura, Foreste, Forestazione, Caccia e Pesca – Gennaio 2009;

• DGR 2005/607 “Revisione del sistema regionale delle ZPS” (BURC n. 4 del 1 agosto 2005);

 

 

• DGR 2005/1554 “Guida alla redazione dei Piani di gestione dei Siti Natura 2000” (BURC n. 5 del 16 marzo 2005, S.S. n. 11;

• Regolamento Regionale n. 3 del 04/08/2008, pubblicato sul BUR Calabria n. 16 del 16 agosto 2008, Parti I e II;

Altri documenti ufficiali di riferimento • Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici – Febbraio 2008 – Commissione Europea;

• Key concepts of article 7(4) of Directive 79/409/EEC on Period of Reproduction and prenuptial Migration of huntable bird Species in the EU “ della Commissione Europea 2001 ( documento ORNIS )

http://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/wildbirds/hunting/docs/reprod_intro.pdf 

http://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/wildbirds/hunting/

• Guida all´interpretazione dell´articolo 6 della direttiva «Habitat» 92/43/CEE, Commissione europea, 2000;

Altri documenti ufficiali di riferimento

- Strumenti (approvati) di pianificazione e programmazione a livello regionale e provinciale (analisi di coerenza), laddove questi ultimi interessino, direttamente o indirettamente, in relazione agli obiettivi fissati, tematiche inerenti la gestione faunistica o che da questa possano essere influenzati.

- Documenti Tecnici dell'INFS (Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, oggi ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Tra questi in primo luogo il “Documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunistico-venatoria” (di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157, art. 10, comma 11) – Documenti Tecnici, INFS, 1994. Vanno, inoltre, considerati alcuni documenti della collana "Quaderni di Conservazione della Natura" (INFS, MATTM), tra i quali:

- N. 2 - Mammiferi e uccelli esotici in Italia: analisi del fenomeno, impatto sulla biodiversità e linee guida gestionali;

- N. 3 - Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette;

- N. 5 - Linee guida per il controllo della Nutria (Myocastor coypus);

- N. 6 - Piano d'azione nazionale per il Gabbiano corso (Larus audouinii);

- N. 7 - Piano d'azione nazionale per il Chiurlottello (Numenius tenuirostris);

- N. 8 - Piano d'azione nazionale per il Pollo sultano (Porphyrio porphyrio);

- N. 9 - Piano d'azione nazionale per la Lepre italica (Lepus corsicanus);

- N. 13 - Piano d'azione nazionale per la conservazione del Lupo (Canis lupus);

- N. 14 - Mammiferi d'Italia;

- N. 16 - Uccelli d'Italia;

- N. 18 - Atti del Convegno - La conoscenza botanica e zoologica in Italia: dagli inventari al monitoraggio;

- N. 19 - Linee guida per il monitoraggio dei Chirotteri: indicazioni metodologiche per lo studio e la conservazione dei pipistrelli in Italia;

- N. 21 - Uccelli d'Italia (Falconiformes, Galliformes);

- N. 22 - Uccelli d'Italia (Gaviiformes, Podicipediformes, Procellariiformes, Pelecaniformes, Ciconiiformes, Phoenicopteriformes, Anseriformes);

 

 

- N. 23 - Piano d’azione nazionale per l’Anatra marmorizzata (Marmaronetta angustirostris);

- N. 24 - Piano d’azione nazionale per il Lanario (Falco biarmicus feldeggii);

- N. 25 - Piano d’azione nazionale per la Moretta tabaccata (Aythya nyroca);

- N. 26 - Piano d’azione nazionale per il Falco della Regina (Falco eleonorae);

- N. 27 - Linee guida per l'immissione di specie faunistiche;

- N. 28 - Linee guida per la conservazione dei Chirotteri nelle costruzioni antropiche e la risoluzione degli aspetti conflittuali connessi.

- Documenti redatti a livello internazionale, tra i quali:

- IUCN, 2008. 2008 IUCN Red List of Threatened Species. www.iucnredlist.org ;

- IUCN, 2001. IUCN Red List Categories and Criteria: Version 3.1. IUCN Species Survival Commission. IUCN, Gland, Switzerland and Cambridge, UK. ii + 30 pp;

- Lovari, S., J. Herrero, J. Conroy, T. Maran, G. Giannatos, M. Stübbe, S. Aulagnier, T. Jdeidi, M. Masseti, I. Nader, K. de Smet, & F. Cuzin, 2008. Capreolus capreolus. In: IUCN 2008. 2008 IUCN Red List of Threatened Species. www.iucnredlist.org ;

- Angelici F. M., E. Randi, F. Riga & V. Trocchi, 2008. Lepus corsicanus. In: IUCN 2008. 2008 IUCN Red List of Threatened Species. www.iucnredlist.org ;

- Lutz M. & F. P. Jensen, 2005 – European Union management plan for Woodcock Scolopax rusticola. 2006 – 2009. Draft://www.woodcockireland.com/mngt_plan.doc ;

- Robinson J. A. & B. Hughes (a cura di) 2006. International single species action plan for the conservation of the Ferruginous Duck Aythya nyroca. CMS Technical Series No.12 & AEWA Technical Series No.7. Bonn, Germany.

- Green A., 1996. International action plan for the Marbled Teal (Marmaronetta angustirostris). In: Heredia B., Rose L. & Painter M. (a cura di) Globally threatened birds in Europe. Action Plans. Council of Europe Publishing, Strasbourg: 99-117;

- Gretton A., 1996. International action plan for the Slender-billed Curlew (Numenius tenuirostris). In: Heredia B., Rose L. & Painter M. (a cura di) Globally threatened birds in Europe. Action Plans. Council of Europe Publishing, Strasbourg: 271-288.

1.1.2. Strumenti di tutela della fauna selvatica. 

Per realizzare le finalità della legge, essa si preoccupa di prevedere una serie di strumenti tra cui fondamentale è la cosiddetta pianificazione faunistico-venatoria, cui la legge sottopone tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale. La disciplina di questo strumento è contenuta nell’art. 10, ove si dice che il territorio di ogni regione è ripartito in tre tipologie di aree e precisamente:

a) Zone destinate a protezione: dal 20 al 30 % del territorio agro-silvo-pastorale di ogni Regione è destinato alla protezione della fauna selvatica (ad eccezione delle aree ricadenti nelle Alpi regolate in maniera autonoma). Il territorio di protezione comprende le cd. oasi di protezione destinate al rifugio, riproduzione e sosta della fauna selvatica, le cd. zone di ripopolamento e cattura destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l’immissione nel territorio in tempi e condizioni utili all’ambientazione fino alla ricostituzione e stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio, ed infine i centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale per la ricostituzione e l’incremento delle popolazioni autoctone (specie stanziali).

b) Zone destinate a gestione privatistica: il territorio agro-silvo-pastorale regionale può essere destinato (fino al 15%):

- ad aziende faunistico-venatorie, in cui la caccia viene consentita nelle giornate previste dal calendario venatorio secondo i piani di assestamento e abbattimento e in cui non è consentito immettere o liberare fauna selvatica dopo il 31 di agosto;

 

 

- aziende agri-turistico venatorie, nelle quali il prelievo venatorio è consentito esclusivamente su fauna selvatica di allevamento;

- centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, in cui è vietato l’esercizio dell’attività venatoria (è consentito il prelievo solo per ragioni di carattere tecnico-grestionale degli animali allevati - appartenenti a specie cacciabili - da parte del titolare dell’impresa agricola, dipendenti della stessa e persona specificamente indicate;

- zone per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani, anche su fauna selvatica naturale o con l'abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili.

c) Zone destinate alla gestione programmata della caccia: sulla parte restante del territorio agro-silvo-pastorale le Regioni promuovono forme di gestione programmata della caccia (ATC e/o CA, in “zona Alpi”) osservando sempre le finalità sopra specificate e meglio indicate nell’art. 1 della legge n. 157/1992.

1.1.3. Procedura di pianificazione faunistico­venatoria. 

1.1.3.1. Il ruolo della Provincia. 

L’Amministrazione provinciale ha il compito di predisporre, per la pianificazione generale del territorio agro-silvo-pastorale, il piano faunistico venatorio. Esso va articolato per comprensori omogenei. Esso deve contenere la ripartizione del territorio in zone a vocazione diversa e precisamente: oasi di protezione, zone di ripopolamento e cattura, centri pubblici di riproduzione, centri privati di riproduzione, zone e periodi per l’addestramento, allenamento e gare di cani, zone destinate agli appostamenti fissi.

Il piano deve prevedere i criteri per il risarcimento del danno a favore di proprietari ed affittuari singoli o associati di fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole ed alle opere approntate sui fondi vincolati, nonché i criteri per corrispondere gli incentivi a favore dei proprietari o affittuari (singoli o associati) di fondi rustici che si impegnino alla tutela e risparmio di habitat naturali ed all’incremento della fauna selvatica.

Tutte le zone individuate dal piano devono essere indicate, a sensi del comma 9° dell’art. 10 della legge n. 157/92, da tabelle perimetrali, esenti da tasse, secondo le disposizioni impartite dalle regioni, apposte a cura dell'ente, associazione o privato che sia preposto o incaricato della gestione della singola zona. La delibera che determina il perimetro delle zone da vincolare va notificata ai proprietari e affittuari dei fondi rustici e pubblicata mediante affissione all’Albo Pretorio dei Comuni interessati. Ove nei 60 giorni successivi alla pubblicazione sia presentata opposizione motivata da parte dei proprietari o conduttori di fondi che rappresentino almeno il 40% della superficie complessiva che si intende vincolare, la zona non può essere istituita.

Ai sensi dell’art. 15, comma 3, 4, 5 e 6 della legge 157/92, la caccia è vietata nei fondi rustici per i quali il proprietario o conduttore abbia ricevuto l’accoglimento di un’apposita domanda tesa a sottrarre il territorio in questione alla gestione faunistico-venatoria.

1.1.3.2. Il ruolo della Regione. 

Nella pianificazione faunistico-venatoria la Regione interviene in tre modi diversi, a sensi dell’art. 10, comma 10, della legge n. 157/1992, ovvero:

a) tramite il coordinamento dei piani provinciali di cui al comma 7 dello stesso art. 10, secondo criteri dei quali l’Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce l’omogeneità e la congruenza, a norma dell’art. 11 della legge medesima;

b) tramite l’esercizio dei poteri sostitutivi ove le Province non adempiano ai loro obblighi inerenti la pianificazione;

c) con la redazione del cd. piano faunistico Regionale di cui all’art. 10, comma 12, nonché di cui all’art. 14 della citata legge quadro n. 157/1992. Tale piano determina i criteri per

 

 

l’individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.

In via eccezionale e ove ricorrano specifiche necessità ambientali, le Regioni possono disporre la costituzione coattiva di oasi di protezione e di zone di ripopolamento e cattura, e l’attuazione di piani di miglioramento ambientale di cui al comma 7° dell’art. 10, legge n. 157/1992.

In particolare, la Regione Calabria è intervenuta con la Legge Regionale 17 maggio 1996, n. 9, contenente “Norme per la gestione e tutela della fauna selvatica e l’organizzazione del territorio ai fini della disciplina programmata dell’esercizio venatorio” (Legge Regionale n. 9/1996, come modificata dall’art. 47. comma 5 L.R. 14 luglio 2003, n. 10). In quest’ambito, di particolare interesse è l’art. 5 che prevede che Il territorio agro-silvo-pastorale regionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive delle loro popolazioni e, per le altre specie, al conseguimento delle densità ottimali ed alla loro conservazione, mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio. La Giunta regionale attua la pianificazione di cui al comma 1 mediante il coordinamento dei piani faunistici-venatori provinciali sulla base di criteri di cui l'I.N.F.S. garantisce l'omogeneità e congruenza. Attraverso il citato Documento d’indirizzo e coordinamento della pianificazione faunistico-venatoria provinciale 2009-2013, la Regione ha disposto di:

a) destinare almeno il 24% del territorio agro-silvo-pastorale a zone di protezione della fauna selvatica di cui all'art. 10, commi 3 e 4 della L. 157/92. Ciascuna Provincia deve destinare alle zone di protezione di cui all’art. 10, commi 3 e 4 della Legge 157/92 una quota di Superficie agro-silvo-pastorale provinciale ricompresa tra il 20% e il 30%, indicando nel 24% l’obiettivo minimo tendenziale del periodo di validità del Piano faunistico-venatorio. La quota massima di Superficie agro-silvo-pastorale a divieto di caccia (30%) non potrà comunque essere superata computando in essa tutte le aree ove sia comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni; b) destinare una quota massima del 15 per cento del territorio agro-silvo-pastorale provinciale ad ambiti privati di gestione faunistico venatoria, ivi compresi i centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato naturale, le zone di addestramento e allenamento dei cani e per le zone per gare cinofile; c) promuovere sul rimanente territorio agro-silvo-pastorale forme di gestione programmata della caccia (ATC); d) determinare criteri per la individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie, di aziende agro-turistico venatorie e di centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato naturale. Il piano faunistico-venatorio regionale è predisposto dalla Giunta regionale mediante il coordinamento dei piani faunistici-venatori provinciali. Il piano faunistico-venatorio regionale è approvato dal Consiglio regionale su proposta della Giunta regionale, sentita la Consulta Faunistica Venatoria Regionale. Il piano faunistico-venatorio regionale ha durata quinquennale e può essere aggiornato anche prima della scadenza su richiesta di una o più province se le situazioni ambientali e faunistiche sulla base delle quali è stato elaborato subiscano sensibili variazioni.

1.2. Indicazioni per la predisposizione dello studio d’incidenza  

La citata legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, integrata dalla legge 3 ottobre 2002, n. 221, è attuativa, come anticipato, dell’art. 9 della direttiva 79/409/CEE, del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale L 103 del 25.4.1979, pagg. 1–18. La direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle CE L 206 del 22.7.1992, pagg. 7–50 è stata recepita in Italia con il DPR n. 357/1997.

Le citate direttive partono dalle seguenti considerazioni di fondo:

a) la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualità dell'ambiente, compresa la conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche, costituiscono un obiettivo essenziale di interesse generale perseguito dalla Comunità conformemente all'articolo 174 (ex art. 130 R) del Trattato;

b) Scopo principale della direttiva n. 92/43/CEE è, com’è noto, quello di promuovere il mantenimento della biodiversità, tenendo conto al tempo stesso delle esigenze economiche,

 

 

sociali, culturali e regionali. In questo modo il legislatore comunitario contribuisce all'obiettivo generale di uno sviluppo durevole. Il mantenimento di detta biodiversità può in taluni casi richiedere il mantenimento e la promozione di attività umane;

c) Nel territorio europeo degli Stati membri, gli habitat naturali non cessano di degradarsi e che un numero crescente di specie selvatiche è gravemente minacciato; gli habitat e le specie minacciati fanno parte del patrimonio naturale della Comunità e i pericoli che essi corrono sono generalmente di natura transfrontaliera, per cui è necessario adottare misure a livello comunitario per la loro conservazione;

d) Tenuto conto delle minacce che incombono su taluni tipi di habitat naturali e su talune specie, è necessario definirli come prioritari per favorire la rapida attuazione di misure volte a garantirne la conservazione;

e) Per assicurare il ripristino o il mantenimento degli habitat naturali e delle specie di interesse comunitario in uno Stato di conservazione soddisfacente, occorre designare zone speciali di conservazione per realizzare una rete ecologica europea coerente secondo uno scadenzario definito;

f) Tutte le zone designate, comprese quelle già classificate o che saranno classificate come zone di protezione speciale ai sensi della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, dovranno integrarsi nella rete ecologica europea coerente;

g) In ciascuna zona designata, occorre attuare le misure necessarie in relazione agli obiettivi di conservazione previsti;

h) I siti che possono essere designati come zone speciali di conservazione vengono proposti dagli Stati membri; che si deve tuttavia prevedere una procedura che consenta, in casi eccezionali, la designazione di un sito non proposto da uno Stato membro che la Comunità consideri essenziale per il mantenimento di un tipo di habitat naturale prioritario o per la sopravvivenza di una specie prioritaria;

i) Qualsiasi piano o programma che possa avere incidenze significative sugli obiettivi di conservazione di un sito già designato o che sarà designato deve formare oggetto di una valutazione appropriata;

j) L'adozione di misure intese a favorire la conservazione di habitat naturali prioritari e specie prioritarie di interesse comunitario è responsabilità comune di tutti gli Stati membri; tali misure possono tuttavia costituire un onere finanziario eccessivo per taluni Stati membri poiché, da un lato, tali habitat e specie non sono distribuiti uniformemente nella Comunità e dall'altro, nel caso specifico della conservazione della natura, il principio "chi inquina paga" è di applicazione limitata;

k) In questo caso eccezionale dovrebbe essere previsto un contributo mediante cofinanziamento comunitario entro i limiti delle risorse disponibili in base alle decisioni della Comunità;

l) Occorre incoraggiare, nelle politiche di riassetto del territorio e di sviluppo, la gestione degli elementi del paesaggio aventi un'importanza fondamentale per la flora e la fauna selvatiche;

m) Occorre garantire la realizzazione di un sistema di verifica dello stato di conservazione degli habitat naturali e delle specie di cui alla presente direttiva;

n) E’ necessario istituire, a complemento della direttiva 79/409/CEE un sistema generale di protezione di talune specie di fauna e di flora; si devono prevedere misure di gestione per talune specie, qualora il loro stato di conservazione lo giustifichi, compreso il divieto di taluni modi di cattura o di uccisione, pur prevedendo la possibilità di deroghe, subordinate a talune condizioni;

o) Per garantire il controllo dell'attuazione della direttiva, la Commissione europea periodicamente prepara una relazione di sintesi, basata, tra l'altro, sulle informazioni trasmesse dagli Stati membri in merito all'attuazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva;

 

 

p) Il miglioramento delle conoscenze scientifiche e tecniche è indispensabile per attuare la direttiva e che occorre di conseguenza incoraggiare la ricerca e i lavori scientifici necessari a tal fine;

q) Occorre prevedere misure complementari per regolamentare la reintroduzione di talune specie di fauna e di flora indigene, nonché l'eventuale introduzione di specie non indigene;

r) L'istruzione e l'informazione generale relative agli obiettivi della presente direttiva sono indispensabili per garantirne l'efficace attuazione.

Tutto ciò considerato, il legislatore comunitario ha fornito, nella citata direttiva 92/43/CEE, la definizione di “Zona speciale di conservazione” (ZPS), ovvero un sito di importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato. Tali ZPS svolgono un ruolo determinante nella conservazione delle specie di avifauna migratoria. Onde rendere accettabile il disturbo causato dall’attività venatoria sulle specie citate, vengono adottate misure precauzionali per evitare impatti eccessivamente devastanti, soprattutto nei periodi di migrazione prenuziale, evitando il più possibile che vi siano abbattimenti accidentali o sottrazione di zone di alimentazione e rifugio, specie nei periodi climaticamente più disagiati.

1.3. Indicazioni sulla Valutazione Ambientale Strategica (VAS) 

Come è noto, i Piani faunistico-venatori provinciali devono essere assoggettati alla VAS. La strategia dell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile, adottata dal Consiglio europeo di Göteborg nel 2001, ha messo in evidenza, quale elemento politico fondamentale, il fatto che tutte le politiche debbano ruotare attorno al concetto di sviluppo sostenibile. La strategia sottolineava inoltre che, per una valutazione sistematica delle proposte, era necessario disporre di migliori informazioni. La direttiva sulla VAS (Direttiva 2001/42/CE) rappresenta uno strumento importante per fornire informazioni di questo genere, che consentano di integrare più efficacemente le considerazioni ambientali nelle proposte settoriali man mano che queste vengono presentate e trovare, dunque, soluzioni più sostenibili.

Prima dell’introduzione della direttiva 2001/42/CE, i progetti di rilevante entità che potevano avere un impatto sull’ambiente dovevano essere sottoposti a valutazione nell’ambito della direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

Tale valutazione avveniva, tuttavia, in una fase in cui le possibilità di apportare cambiamenti sensibili erano spesso limitate: le decisioni riguardo all’ubicazione del progetto o alla scelte di alternative potevano, infatti, già essere state prese nell’ambito di piani riguardanti un intero settore o un’area geografica.

La direttiva 2001/42/CE sulla VAS colma questa lacuna e stabilisce che vengano valutati gli effetti ambientali di un ampio ventaglio di piani e programmi, in modo che se ne tenga conto durante l’effettiva elaborazione dei piani, e che questi vengano adottati a tempo debito. Inoltre, il pubblico deve essere consultato sui progetti e sulla valutazione ambientale e occorre tener conto delle opinioni che esprime. Come indicato nel titolo della direttiva, l’obiettivo del legislatore europeo è quello di “garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e di contribuire all’integrazione delle considerazioni ambientali nei piani e programmi sia all’atto della loro elaborazione sia all’atto della successiva adozione” (art. 1). La direttiva definisce la “Valutazione ambientale” come un processo sistematico inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte – politiche, piani o iniziative nell’ambito di programmi – ai fini di garantire che tali conseguenze siano incluse a tutti gli effetti e affrontate in modo adeguato fin dalle prime fasi del processo decisionale e poste sullo stesso piano delle considerazioni di ordine economico e sociale. In quest’ottica la VAS è da intendersi come uno strumento di supporto per le decisioni e tutto il processo di valutazione è centrato attorno alla possibilità di migliorare la qualità della decisione. Proprio per queste ragioni va inserita nei punti strategici del processo decisionale, fermo restando la sua natura di processo valutativo. Viene applicata a tutti i piani e programmi elaborati per i settori: agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, della gestione dei rifiuti e delle

 

 

acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, dei trasporti, ai piani e programmi elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE applicati su piccole aree o per le loro modifiche. Sono esclusi dall’applicazione di questa direttiva piani e programmi destinati a scopi di difesa nazionale e protezione civile e piani e programmi finanziari e di bilancio. La VAS riguarda i processi di formazione dei piani più che i piani in senso stretto. Si tratta quindi di uno strumento di aiuto alla decisione (DSS - Decision Support System), più che un processo decisionale in se stesso. Per definire in termini concreti la VAS occorre porre attenzione sull’aggettivo “strategico”, che la differenzia in modo sostanziale dalla VIA. Si prenda un esempio concreto: una necessità del territorio di collegamento trasporti. - La VIA si pone il problema di verificare e mitigare gli impatti ambientali rispetto ad una decisione già assunta, ad esempio di una strada che collega un punto A ad un punto B. La VAS interviene a monte, giudicando come quel collegamento possa essere “strategicamente” risolto: strada, autostrada, ferrovia, ferrovia veloce, collegamento aereo. La VAS, quindi, non è solo elemento valutativo ma “permea” il piano e ne diventa elemento costruttivo, gestionale e di monitoraggio. È importante sottolineare che i processi decisionali politici sono fluidi e continui: quindi la VAS deve intervenire al momento giusto del processo decisionale. Occorre quindi certamente approfondire gli aspetti tecnico-scientifici, ma senza perdere il momento giusto e rendendola inutile anche se rigorosa, ricordando che la VAS è uno strumento e non il fine ultimo. Sempre più, negli ultimi tempi, l’attenzione si è spostata quindi dalla metodologia all’efficacia. Come sottolinea la direttiva, la prima fase della valutazione ambientale non può prescindere dall’individuare gli interlocutori sociali (stakeholders) per poi pianificare e gestire meglio la loro partecipazione alla discussione. Prima di “entrare nel vivo” della valutazione è altresì necessario analizzare il processo decisionale tramite il diagramma della decisione. In questa fase trova spazio una rassegna esaustiva delle varie fasi del processo, degli attori coinvolti e del loro titolo, per meglio individuare dove e come intervenire con le considerazioni relative alla sostenibilità. In altre parole in questa fase si descrive l’intero processo decisionale, si identificano i momenti decisionali (decision windows) e si identificano dove devono essere prese decisioni critiche con implicazioni ambientali. Successivamente si stila il rapporto ambientale, nel quale si individuano, si descrivono e si valutano gli effetti significativi che potrebbero realizzarsi con l’attuazione di un determinato piano o programma e contenente le seguenti informazioni: illustrazione dei contenuti, degli obiettivi principali e del rapporto con altri piani o programmi; stato attuale dell’ambiente e sua evoluzione senza il piano; caratteristiche ambientali dell’area interessata; problemi ambientali esistenti; obiettivi di protezione ambientale; possibili effetti significativi sull’ambiente (biodiversità, fattori climatici, salute umana, popolazione, flora e fauna, suolo, acqua, aria, beni materiali, patrimonio culturale, patrimonio architettonico, patrimonio archeologico, paesaggio); misure per impedire, mitigare o ridurre gli effetti negativi; sintesi dei motivi di scelta delle alternative; descrizione delle misure previste per il monitoraggio. Si costruisce così un rapporto sintetico sulle criticità dell’area o settore con dati, grafici e brevi commenti attraverso il quale il decisore dovrebbe identificare immediatamente i punti forti e deboli di un’area o settore. La successiva fase ha l’obiettivo di costruire l’albero obiettivi, azioni e indicatori per lo sviluppo sostenibile. Per quel che riguarda gli obiettivi generali di sostenibilità le organizzazioni internazionali fanno riferimento a quattro - cinque obiettivi, per orientare con maggiore precisione le scelte. Si tratta di analizzare tali obiettivi generali per evidenziare come le azioni del piano o programma permettono di raggiungerli. Per quanto riguarda gli obiettivi specifici di piano, sono proprio questi che permettono il raccordo tra azioni di piano e obiettivi generali e rivestono un ruolo centrale nella VAS. A questo punto la direttiva con l’obiettivo di concludere il processo di valutazione ambientale, per poi poter impostare correttamente il monitoraggio, descrive il rapporto ambientale che alla luce di tutte le fasi precedenti si deve andare a stilare. Il rapporto ambientale è la parte centrale della valutazione sull’ambiente richiesta dalla direttiva, che influenzerà la versione definitiva del piano o programma. Il rapporto ambientale costituisce un importante strumento per l’integrazione delle considerazioni di carattere ambientale nell’elaborazione e nell’adozione di piani e programmi in quanto garantisce che gli effetti significativi sull’ambiente vengano individuati, descritti, valutati e presi in considerazione nel corso di tale processo. La preparazione del rapporto ambientale e l’integrazione delle considerazioni ambientali nella preparazione dei piani e dei programmi costituisce un processo iterativo che deve contribuire al raggiungimento di soluzioni più sostenibili nell’iter decisionale. L’ultima fase della valutazione, presa in esame dalla direttiva, riguarda il monitoraggio e il controllo degli indicatori.

 

 

“Gli Stati membri controllano gli effetti ambientali significativi dell'attuazione dei piani e dei programmi al fine, tra l'altro, di individuare tempestivamente gli effetti negativi imprevisti e essere in grado di adottare le misure correttive che ritengono opportune.” Il rapporto ambientale deve includere una descrizione delle misure previste per il monitoraggio. Il ruolo del monitoraggio è quello di poter correggere le azioni qualora non venissero raggiunti gli obiettivi; attraverso una relazione di monitoraggio si deve riportare l’analisi del grado di raggiungimento degli obiettivi, l’analisi delle risposte, l’analisi degli indicatori, l’esame degli scostamenti, l’esame del feedback, l’analisi della rete di monitoraggio, l’azioni di miglioramento.

 

 

Bibliografia al Cap.1 Brambilla P.,  In materia di  caccia.  Il  calcolo del  territorio agro‐silvo‐pastorale da vincolare a protezione della fauna selvatica e l'addestramento dei cani: profili di illegittimità dei piani faunistico-venatori, in Rivista giuridica dell'ambiente, 2001 fasc. 2, pp. 286 – 299.

Cacciari A., In materia di prelievo venatorio in deroga al regime di protezione previsto dalla normativa comunitaria, (Nota a TAR LO - Milano sez. IV 27 dicembre 2006, n. 3052), in Il Foro amministrativo T.A.R., 2006, fasc. 12 pag. 3772 – 3773;

D’Alessandro G., Caccia. Fauna selvatica e prelievo venatorio. Norme regionali protettive. (Nota a ord. C. Cost. 15 marzo 2002, n. 55), in Giur. Cost., 2002, fasc. 2, pag. 645;

Di Dio F., Modifiche alla legge 157/1992, tra protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio: critiche e prospettive, in Dir. giur. agr. amb., 2004, fasc. 3 pag. 147 – 154;

Ferrucci N., La tutela della fauna selvatica ed il prelievo venatorio, in ID., Lezioni di diritto forestale e ambientale, Pisa, 2006, pp. 201 ss.;

Ferrucci N., Evoluzione del diritto forestale e del suo insegnamento, in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell'ambiente, 2008 fasc. 10, pp. 603 ss.;

Greca C., Deroga al prelievo venatorio da parte delle regioni alla legge n. 157/1992: illegittimità costituzionale, (Nota a Cons. Stato sez. VI 2 febbraio 2001, n. 430) in Dir. giur. agr. amb., 2003, fasc. 4 pag. 247 - 249

Lucifero N., Le deleghe al prelievo venatorio ai sensi dell'art. 9 della direttiva 79/409/cee ed il riparto di competenze tra stato e regioni in materia di caccia (Nota a C. Cost. 28 aprile 2004, n. 129), in Dir. giur. agr. amb., 2006, fasc. 4 pag. 227 - 230

Lucifero N., La disciplina giuridica della tutela della fauna selvatica e del prelievo venatorio. Profili civilistici e pubblicistici, in Giur. it., 2006, fasc. 7 pag. 1557 – 1563;

Maffiolletti R., La disciplina legislativa del prelievo venatorio dopo la riforma dell'art. 117 della Costituzione, in Dir. giur. agr. amb., 2002, fasc. 5 pag. 293 - 298

Marchese S., Esercizio venatorio e ambiti territoriali. Sull'applicazione dei principi costituzionali delle grandi riforme economico-sociali e della riserva di legge statale in materia penale nella disciplina dell'attività venatoria: la vicenda della Regione Sicilia, in Rivista giuridica dell'ambiente, 2000 fasc. 5, pp. 724 ss.

 

 

 

2. QUADRO CONOSCITIVO

2.1.Assetto territoriale 

2.1.1.Caratterizzazione territoriale La provincia di Reggio Calabria ha una estensione territoriale di 3.183,19 km2. In relazione al complesso assetto orografico che caratterizza l’ambito di propria competenza (vedi paragrafo successivo) gran parte del territorio provinciale interessa aree montane (1.275,57 km2) e collinari (1.685,64 km2), con percentuali che corrispondono rispettivamente a circa il 40% e il 53% della superficie totale; solo una esigua parte è rappresentata da terreni di pianura (221,99 km2 pari a circa il 7% della superficie provinciale (Fig. 1 e 2). Lo sviluppo costiero è di circa 210 km.

Nell’ambito amministrativo del territorio della provincia di Reggio Calabria, che costituisce il 21,1% del territorio regionale, vive il 28% della popolazione calabrese.

Amministrativamente la provincia di Reggio Calabria è divisa in 97 Comuni, di cui 35 ubicati in montagna (36,08% per circa 128.000 ettari), 54 in collina (55,67% per circa 170.000 ettari complessivi) e 8 in pianura (8,25%, per circa 22.000 ettari); (Tab. 1 e Fig. 3).

Secondo i dati elaborati dall’ISTAT nell’anno 2008, la popolazione residente è costituita da 567.374 unità, pari ad una densità di 178 abitanti/ km2.

Nel decennio 1991-2001, il 10,8% dei comuni della provincia hanno subito un decremento demografico che oscilla tra il 10% ed il 5%.

40

53

7

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

(%)

Montagna Collina Pianura 

Fig. 1 – Distribuzione percentuale della superficie della provincia di Reggio Calabria per zona altimetrica 

 

 

Tab. 1 – Suddivisione dei comuni della provincia di Reggio Calabria per zona altimetrica (Fonte ISTAT, 2008) 

Zona altimetrica1

Comune Montagna Africo, Agnana Calabra, Antonimina, Bagaladi, Canolo, Cardeto, Careri, Ciminà, Cinquefrondi, Cittanova, Cosoleto, Delianuova, Galatro, Gerace, Giffone, Grotteria, Mammola, Maropati, Martone, Molochio, Oppido Mamertina, Platì, Polistena, Roccaforte del Greco, Roghudi, Samo, San Giovanni di Gerace, San Luca, San Pietro di Caridà, Santa Cristina d’Aspromonte, Santa Eufemia d’Aspromonte, Santo Stefano in Aspromonte, Scido, Sinopoli, Varapodio

Collina Anoia, Ardore, Bagnara Calabra, Benestare, Bianco, Bivongi, Bova, Bova Marina, Bovalino, Brancaleone, Bruzzano Zeffirio, Calanna, Camini, Campo Calabro, Casignana, Caulonia, Condofuri, Ferruzzano, Fiumara, Gioiosa Ionica, Laganadi, Laureana di Borrello, Locri, Marina di Gioiosa Ionica, Melicucco, Melito Porto Salvo, Monasterace, Montebello Ionico, Motta San Giovanni, Palizzi, Palmi, Pazzano, Placanica, Portigliola, Reggio Calabria, Riace, Roccella Ionica, Rosarno, San Giorgio Morgeto, San Lorenzo, San Procopio, San Roberto, Sant’Agata del Bianco, Sant’ Alessio in Aspromonte, Sant’Ilario dello Ionio, Scilla, Seminara, Serrata, Siderno, Staiti, Stignano, Stilo, Villa San Giovanni

Pianura Candidoni, Feroleto della Chiesa, Gioia Tauro, Melicuccà, Rizziconi, San Ferdinando, Taurianova, Terranova Sappo Minulio

                                                            

1

� Definita secondo le indicazioni fornite dal 5˚ Censimento Generale dell’Agricoltura del 2001. Montagna: territorio caratterizzato dalla presenza di notevoli masse rilevate aventi altitudini, di norma, non inferiori a 700 metri. Le aree intercluse fra le masse rilevate, costituite da valli, altopiani ed analoghe configurazioni del suolo, sono comprese nella zona di montagna. Collina: territorio caratterizzato dalla presenza di diffuse masse rilevate aventi altitudini, di regola, inferiori a 700 metri. Eventuali aree di limitata estensione aventi differenti caratteristiche,intercluse, sono comprese nella zona di collina. Pianura: territorio pianeggiante e basso caratterizzato dall’assenza di masse rilevate. Sono incluse in questa zona altimetrica, sia le propaggini di territorio che nei punti più discosti dal mare si elevino ad altitudine, di regola, non superiore a 300 metri, purché presentino, nell’insieme e senza soluzioni di continuità, inclinazione trascurabile rispetto al corpo della zona di pianura, sia eventuali rilievi montagnosi o collinari interclusi nella superficie pianeggiante di estensione trascurabile.  

 

 

 

35

54

8

0

10

20

30

40

50

60

Montagna Collina Pianura

 

Fig. 2 – Distribuzione dei comuni della provincia di Reggio Calabria per zona  altimetrica. 

 

 

2.1.1.1. Geomorfologia Se si opera una ricostruzione della storia tettonica recente della provincia di Reggio Calabria (Bousquet et al., 1979; Lanzafame e Tortorici, 1979) si evidenzia come negli ultimi 800 mila anni l’entità dei sollevamenti è stata pari a circa un migliaio di metri, segno di uno stadio ancora giovanile dell’evoluzione orogenetica che, come è noto, coinvolge l’intera penisola calabrese. Il meccanismo di sollevamento tettonico (tutt’ora in atto) ha comportato l’affioramento di diverse successioni stratigrafiche (l’età dei terreni in esse compresi va dal Paleozoico al Quaternario) con associazioni di unità litologiche dotate di grado di plasticità estremamente variabile, generalmente poco resistenti alle azioni meccaniche, che determinano una notevole complessità dell’evoluzione geomorfologica2 (Ogniben, 1969; 1973).

La tettonica quaternaria, dall’inizio (probabilmente) del Pleistocene medio, ha sollevato questo tratto di crosta che, durante il sollevamento, si è spezzato in più blocchi, l’ultimo dei quali ad emergere è stato quello dell’attuale Piana di Gioia Tauro, nel Pleistocene Superiore. Di questa superficie è meglio conservato il tratto che sovrasta il versante tirrenico, dove assume la conformazione di un’ampia gradinata sia per l’effetto del terrazzamento marino, sia per le dislocazioni dovute a faglie ancora attive.

La morfologia dell’area è, quindi, strettamente dipendente dalla tettonica e i segmenti della catena montuosa che ne costituiscono l’ossatura sono delimitati da importanti faglie di carattere regionale; la catena montuosa è a sua volta attraversati da importanti strutture tettoniche che dislocano i terreni più antichi generando un substrato geologicamente molto complesso nonché la ripetizione di sequenze che danno origine a particolari e numerose forme del rilievo.

L’attività tettonica e la litologia presenti nella provincia di Reggio Calabria, quest’ultima caratterizzata da graniti, gneiss, micascisti e filladi intensamente fratturati e profondamente alterati, determinano quindi la presenza di masse disomogenee a consistenza quasi sabbiosa, facilmente erodibili e molto franose (Cortese, 1983, Melidoro, 1966).

                                                            

2

  �   Il  territorio provinciale, da un punto di vista geomorfologico, può essere suddivisa  in 2 unità:  il complesso 

delle Serre e dell’Aspromonte (che costituiscono le ultime propaggini dell’Appennino calabrese) e le pianure costiere. Nella parte a Nord  della  provincia  si  ha  il  gruppo  delle  Serre  e,  all’estremo  Sud,  quello  dell’Aspromonte;  entrambe  sono  formati  da  rocce cristalline  e  presentano  quote  dei  rilievi  massimi  al  di  spora  dei  1900  m  s.l.m.  (Ogniben  e  Vezzani,  1976).  La  caratteristica morfologica più evidente di tali rilievi montuosi è rappresentata da una combinazione di forme arrotondate ed abbastanza livellate nelle aree sommitali, accompagnate da fianchi generalmente ripidi e relativamente scoscesi. 

 

 

 

Il carattere geomorfologico dominante della provincia di Reggio Calabria è la struttura ad altopiani, denominati “terrazzi”, dislocati a quote diverse (tra 600 e 1400 m s.l.m. nelle Serre e da 1200-1300 fino a 250 m in Aspromonte)3.

I rilievi montuosi degradano generalmente con quote elevate fino in prossimità del mare, a volte in assenza di pianure (specialmente lungo la costa tirrenica). Le pianure costiere risultano quindi poco estese (circa il 7 % della superficie provinciale) e si sviluppano in corrispondenza della parte terminale dei principali corsi d’acqua; degne di nota sono le pianure costiere di Rosarno e di Gioia Tauro.

Le «tormentate» vicende naturali appena descritte, responsabili dell’assetto strutturale del territorio provinciale, “spiegano”, coerentemente con ciò che caratterizza l’intero assetto regionale, l’accentuata “montagnosità” della provincia di Reggio Calabria, evidenziata dalla sua altitudine media (superiore a 500 m) e, come già visto, dalla distribuzione percentuale delle aree per zona altimetrica. La “Piana” di Gioia Tauro costituisce, per estensione (circa 515 km2) ed importanza, la prima superficie di pianura costiera; sicuramente di minor rilevanza, seppur sempre di notevole evidenza rispetto all’ossatura provinciale, è la Piana di Locri (circa 110 km2).

La ridotta estensione delle aree pianeggianti e la conformazione geografica del territorio ricadente nell’ambito provinciale reggino, lungo e stretto (Fig. 1), occupato da rilievi che degradano quasi ovunque al mare, ha impedito la formazione di sistemi fluviali evoluti.4. I numerosissimi corsi d’acqua che costituiscono la maggior parte della idrografica provinciale (Fig. 4) sono, quindi, per lo più torrenti.

                                                            

3

  �   Secondo le più recenti teorie tali terrazzi sono stati creati da dislocazioni tettoniche, sistemi di faglia a gradinata, spianamenti continentali e abrasioni marine. 

 

4

  �   L’unico vero fiume è  il Mesima che è  il maggior tributario del Tirreno e sfocia tra  i  territori  di  Gioia  Tauro  e  Rosarno;  degno  di  nota,  anche  se  impropriamente  definito “fiume” è il Petrace, che sfocia sempre nel versante tirrenico dopo aver attraversato la Piana di Gioia Tauro, formatasi dai suoi stessi depositi alluvionali.. 

 

 

 

Mare Tirreno 

 

Mare Ionio 

 

Fig. 3 – Reticolo idrografico della provincia di Reggio Calabria 

 

 

Essi hanno un breve corso (qualche decina di km) e un bacino imbrifero relativamente poco esteso (nella gran parte dei casi inferiore a 100 km2); la loro pendenza, elevatissima nei tratti montani (Fig. 5 e Tab. 2), si riduce bruscamente a breve distanza dal mare dove, soprattutto nel versante ionico, assumono la forma di fiumare5, con letti ampi e divaganti (Foto 1 a e b), spesso occupati da ingenti masse detritiche che provengono dall’intensa attività di disfacimento operata dalle piogge e dai deflussi nella parte montana dei bacini.

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

1000

1100

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1300

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140 150 160 170A (km2)

H (m

s.l.m

.l

 

Fig. 4  – Tipica curva ipsografica di una fiumara della provincia di Reggio Calabria 

Singolare è la connessione tra il dissesto idrogeologico e il regime idraulico delle fiumare: all’interno dei bacini idrografici infatti l’interazione tra geo-morfologia (pendenze elevate e terreni facilmente erodibili) e clima (precipitazioni che possono

                                                            

5

  �   Il termine, esclusivo dell’area dello Stretto, è stato generalmente associato ad una voce gergale e spiegato 

con  la  corruzione del  latino  “flumen”; probabilmente  la  locuzione  “fiumara” deriva dall’antico termine greco  “ξυμάρος”  (Xumàros), a  sua volta originato dalla  fusione delle parole  “ξήρος” (“xéros”  =  “asciutto”)  e  “χειμάρροος”  (cheimàrrhoos,  originato  da  “cheimà”  =  “inverno”  + l’accrescitivo  “rhòos”  =  “corrente  veloce”)  (Bombino  et  al.,  2008).  Di  un  certo  interesse linguistico,  a  supporto  di  quanto  detto,  appaiono  i  due  termini  dialettali  “ghimmari”  (nella provincia di Reggio Calabria) e “ghiummari” (nella provincia di Catanzaro). 

 

 

 

raggiungere valori giornalieri ed orari raramente riscontrabili in altre aree di Italia)6 da luogo a intensi processi di ruscellamento, erosione dei versanti e trasporto solido nonché ad un regime di deflusso spiccatamente torrentizio che può presentare, in occasione di eventi di pioggia particolarmente intensi, una portata liquida (anche di 100 volte superiore a quella media annuale) capace di trasportare ingenti volumi di materiale solido verso valle7.

Pertanto la provincia di Reggio Calabria, come del resto l’intero territorio regionale, è una delle aree italiane che registra il più alto numero di dissesti; le cause del disequilibrio territoriale della regione sono legate sia a fattori naturali (tettonici, geomorfologici e climatici)8, che ne hanno determinato l’attuale assetto strutturale, sia a fattori                                                             

6

  �   La  provincia  deve  il  suo  primato  di  area  tra  le  più  piovose  dell’Italia meridionale a particolari fenomenologie responsabili del regime delle precipitazioni che su di essa si abbattono: la sua ubicazione tra due mari soggetti ad influenze meteorologiche diverse e  l’altitudine  dei  rilievi.  Inoltre  l’interazione  tra  i  sistemi montuosi  (le  Serre  e  l’Aspromonte costituiscono  una  barriera  fisica  che,  a  poca  distanza  dal mare,  si  erge  fino  a  1500 m)  e  le perturbazioni  provenienti  da  Sud‐Est  danno  luogo,  specialmente  nel  versante  ionico  della regione (più  in particolare  in quello meridionale) a veri e propri cicloni tropicali con piogge di elevatissima  intensità  (anche  superiore a 100 mm  in un’ora e oltre 500 mm  in un giorno).  I valori medi delle precipitazioni  registrati  al  variare dell’altitudine  sono  sempre più  elevati di quelli italiani. La piovosità media annua è di 1176 mm (la media italiana è di 970). I rilievi della Catena Costiera, delle Serre e dell’Aspromonte presentano i valori massimi (> 2000 mm l’anno, con  accentuate  differenze  nella  distribuzione  temporale).La  quasi  totalità  delle  alluvioni calabresi verificatesi tra il 1921 e il 1970 ha interessato il versante jonico meridionale (Caloiero e Mercuri, 1980). 

 

7

  �   Tale fenomeno ha determinato il caratteristico paesaggio costiero del litorale ionico, dove 33 grandi fiumare, dai letti bianchi, larghi e ciottolosi hanno contribuito a formare ampie spiagge che si sviluppano per diverse decine di chilometri.  

 

8

�   Come  sì  è  già  detto,  la  tettonica  ancora  attiva,  le  caratteristiche  delle  unità litologiche  affioranti  e  il  regime  idro‐pluviometrico  sono,  infatti,  i  fattori  sui  cui  si  è sovrapposta,  con  fasi  alterne  di  conflitto  o  di  adattamento,  la  storia  plurisecolare  delle popolazioni che hanno abitato questa parte di territorio. 

 

 

 

antropici responsabili, in molti casi, dell’accelerazione dei processi di degradazione del suolo.

La combinazione di tali fattori nell’ambito del territorio in esame rappresenta, in questo quadro, una dei principali fenomeni responsabili della modellazione del caratteristico paesaggio provinciale reggino.

Tab. 2 – Caratteristiche morfometriche dei principali corsi d’acqua della provincia di Reggio Calabria 

Corso d’acqua Area (km2) Pendenza media (%) Quota media (m)

LOCRIDE

Fiumara Allaro 130 31,30 731,98

Fiumara Amusa 39 37,03 458,47

Fiumara Assi 66 34,17 675,76

Fiumara Barruca 22 27,82 230,99

Fiumara Bonamico 136 43,53 757,52

Fiumara Careri 92 28,12 388,77

Fiumara di Bruzzano 52 31,17 349,15

Fiumara di Palizzi 36 45,94 558,42

Fiumara di Spartivento 16 38,65 332,45

Fiumara di Spropoli 11 37,33 355,74

Fiumara Gerace 38 31,51 361,52

Fiumara La Verde 116 38,70 733,40

Fiumara Novito 55 30,53 441,93

Fiumara Portigliola 35 33,86 400,26

Fiumara Precarito 55 31,91 540,55

Fiumara Romanò 22 31,84 307,93

Fiumara Stilaro 95 33,17 585,48

Fiumarella di Guardavalle 28 24,72 330,25

Fiumarella Sena 11 25,62 171,86

Fiume Torbido 160 35 582,28

                                                                                                                                                                              

 

 

 

Torrente Altalia 8 30,22 236,93

Torrente Burrao 7 11,96 84,56

Torrente Caldara 4 27,98 189,21

Torrente Canalello 5 18,56 115,94

Torrente Carcane 1 29,29 130,35

Torrente Condoianni 66 30,32 337,54

Torrente Lordo 13 20,92 196,25

Torrente Lucifero 2 7,51 54,08

Torrente Pintammati 14 21,64 214,59

Torrente Riace 7 71,30 120,09

Torrente S. Antonio 10 18,60 128,55

Torrente Salice 2 10,82 63,83

Torrente Schiavo 3 21,19 134,57

Torrente Seronello 0,2 29,54 56,72

Torrente Simmero 4 35,04 224,26

Torrente Vena 5 15,67 96,26

AREA DELLO STRETTO

Fiumara Amendolea 150 42,20 848,05

Fiumara Calopinace 53 33,13 791,51

Fiumara D’Armo 15 37,27 378,81

Fiumara dell’Annunziata 22 35,33 647,73

Fiumara di Annà 9 28,07 223,04

Fiumara di Catona 68 33,60 647,06

Fiumara di Favazzina 20 32,90 876,79

Fiumara di Gallico 59 39,02 716,84

Fiumara di Macellari 8 28,83 380,53

Fiumara di Melito 80 36,74 673,19

Fiumara Sant’Agata 52 37,38 854,48

Fiumara di S. Elia 28 35,56 520,51

Fiumara S. Giovanni 5 27,51 385,43

Fiumara di S. Trada 5 46,26 379,31

Fiumara di S. Vincenzo 8 34,66 431,53

 

 

Fiumara Molaro I 7 33,77 276,68

Fiumara Molaro II 7 31,97 388,07

Fiumara Monteneo 4 21,65 246,84

Fiumara S. Pasquale 25 39,40 434,71

Fiumara Sfalassà 24 27,10 786,17

Fiumara Valanidi 29 33,34 657,19

Fiumarella di Lume 8 30,98 680,04

Torrente Acqua della Signora 0,5 56.67 297,45

Torrente Acrifa 17 24,72 278,66

Torrente Arangea 4 19,45 133,77

Torrente Battià 3 24,92 144,85

Torrente Bolano 0,4 10,32 46,24

Torrente Campanella 1 13,47 134,83

Torrente Campoli 1 22,96 180,25

Torrente Dalalà 0,6 20,20 79,43

Torrente Falca 2 25,79 129,93

Torrente Ferrina 1 25,21 194,31

Torrente Fiumetorbido 7 42,26 373,64

Torrente Gaziano 2 30,68 392,19

Torrente Mancusi 6 26,98 666,65

Torrente Oliveto 13 25,74 537,17

Torrente Ozzena 1 18,75 123,87

Torrente Piria 0,6 29,96 226,80

Torrente Praia Longa 1 42,15 418,06

Torrente Rustico 0,3 54,97 240,09

Torrente S. Filippo Neri 1 10,83 53,24

Torrente S. Gregorio 0,8 57,17 256,42

Torrente Saetta 1 28,57 109,77

Torrente Scaccioti 7 38,46 342,57

Torrente Sideroni 10 30,79 255,73

Torrente Solaro 2 10,48 115,53

Torrente Turdari 1 26,23 100,48

 

 

Torrente Vallelunga 1 8,66 76,98

Torrente Vena 7 31,87 290,50

Torrente Villa S. Giovanni 1 11,82 103,98

Torrente Zagarella 0,6 29,47 155,07

PIANA DI GIOIA TAURO

Fiumara Budello 84 4,95 166,43

Fiume Mesima 815 20,87 397,99

Fiumara Petrace 422 24,48 540,71

2.1.1.2. Clima Il clima della provincia di Reggio Calabria è piuttosto eterogeneo in relazione alla vastità del territorio, alla notevole escursione altitudinale dei rilievi (dalla costa a oltre 1900 m s.l.m.), alla diversa esposizione dei versanti nonché alla sua ubicazione tra due mari soggetti ad influenze meteorologiche diverse.

Secondo la classificazione generale, il territorio provinciale rientra in un tipologia climatica prettamente mediterranea con alternanza di stagioni piovose (autunno-inverno) e asciutte (primavera-estate). Il versante ionico della provincia, risulta mediamente meno piovoso rispetto a quello tirrenico ed è caratterizzato da un regime pluviometrico di tipo impulsivo, dove a lunghi periodi siccitosi possono seguire brevi ma intense piogge. Le precipitazioni medie annue evidenziano valori di circa 1000 mm sulla costa tirrenica e di circa 500-600 mm su quella ionica; nelle aree in quota, come ad esempio in alcune zone dell’acrocoro Aspromontano (Gambarie, Polsi, ecc.) le precipitazione superano abbondantemente i 1500 mm e possono raggiungere anche i 2000 mm (Fig. 6). La differenze climatiche tra i due versanti della provincia sono da attribuirsi a particolari fenomenologie meteorologiche (perturbazioni nord-africane e atlantiche) che sono condizionate anche dall’influenza dei due mari. Da una parte (versante ionico) vi è l’interazione tra i principali sistemi orografici (il massiccio aspromontano in particolare) e le masse d’aria umida provenienti da SE: la direzione dei sistemi orografici che costituiscono la dorsale congiungente l’Aspromonte e le Serre costituisce, infatti, una barriera rispetto alle perturbazioni atmosferiche per lo più provenienti dall’Africa concorrendo ad aumentare la probabilità di rovesci con carattere temporalesco. Dall’altra (versante tirrenico) le precipitazioni provenienti generalmente da NW contribuiscono a delineare un carattere climatico più umido, con un numero di giorni piovosi durante l’anno quasi doppio rispetto a quello che si registra nel versante ionico, ma con una intensità delle precipitazioni raramente a carattere alluvionale. In ragione del diverso regime delle precipitazioni la Calabria è stata suddivisa in sottozone pluviometriche omogenee; la provincia di Reggio Calabria, in particolare è identificata dalle zottozone I3 (medio-basso Ionio), T3 (ampia fascia del versante tirrenico) e T4 (comprendente l’area dello Stretto (Fig. 7).

L’andamento del valore medio (Xt) dell’altezza di pioggia massima annuale (mm), di durata t = 3 ore (tempo indicativo del tempo di corrivazione di molti corsi d’acqua della

 

 

provincia), espresso in funzione dell’altitudine con la seguente legge9 (Versace et al., 1989)

Xt = at(ch + d - log � - log a) / log 24

mostra (Fig. 8) come per il versante ionico si registrino valori nettamente superiori del contributo massimo annuale di pioggia in un tempo pari a 3 ore, indice di una gravosità della pioggia legata al singolo evento più che alla precipitazione totale annua10.

Da un punto di vista termometrico (Fig. 9) la provincia reggina presenta notevoli escursioni tra le temperature medie del mese più caldo (generalmente agosto con 24-25°C che nella costa ionica raggiunge i 28°C) e quelle del mese più freddo (generalmente gennaio, con 8°C). A parità di quota le differenze tra i due versanti possono essere anche di 3-5 °C.

Per una più dettagliata analisi climatica della provincia di Reggio Calabria si è fatto riferimento (previa verifica dei dati disponibili) alle principali località del territorio oggetto di studio, tenendo conto della necessità di ben rappresentare la complessa e variegata realtà territoriale che caratterizza l’intero distretto. La rete di stazioni termometriche risulta, infatti, poco estesa, pertanto, per l’elaborazione delle analisi climatiche è stato necessario integrare i dati disponibili con stime della temperatura basate sul metodo della correlazione statistica (Ciancio, 1971).

La rete di stazioni pluviometriche è, al contrario, più estesa e le stazioni risultano ben distribuite su tutto il territorio indagato. Per le stazioni per cui si disponeva dei dati termometrici e pluviometrici (almeno un trentennio), sono stati elaborati i climogrammi

                                                            

9

  �   In  cui: � = 0.875, h  (m.s.m.) = quota  sul  livello del mare.  I parametri a,  c, d assumono valori diversi per le due sottozone considerate e cioè 39.58, 0.00043 e 1.953 per la sottozona  ionica; 26.61, 0.00022 e 1.769 per quella  tirrenica. Quanto  sopra è ulteriormente documentato  dall’analisi  delle  piene  verificatesi  in  Calabria  (Caloiero & Mercuri,  1980)  dalla quale  si  evince  che  nel  periodo  dal  1921  al  1980  numerose  alluvioni  hanno  interessato  il versante ionico della Calabria in occasione di eventi di precipitazione con intensità fino a 637.8 mm in 24 ore e 1496 mm in 3 giorni. 

 

10

  �   Ciò è ulteriormente documentato dall’analisi delle piene verificatesi in Calabria (Caloiero & Mercuri, 1980) dalla quale  si evince che nel periodo dal 1921 al 1980 numerose alluvioni  hanno  interessato  il  versante  ionico  della  Calabria  (nonostante,  come  detto,  risulti mediamente meno  piovoso  di  quello  tirrenico)  in  occasione  di  eventi  di  precipitazione  con intensità fino a 637.8 mm in 24 ore e 1496 mm in 3 giorni. 

 

 

 

(Fig. 10) secondo il modello di Walter & Lieth (1960), che consentono di mettere in luce importanti caratteristiche del clima.

Il regime pluviometrico evidenziato dai climogrammi consente di ascrivere il clima di tutte le località esaminate al tipo mediterraneo, nell’ambito del quale sono tuttavia riscontrabili significative differenze tra le stazioni costiere e quelle interne. Dall’analisi dei climogrammi (Fig. 10) si rileva, come atteso, l’alternanza di un periodo temperato-umido (caratterizzato da un surplus idrico) e di un periodo caldo-arido (in cui si evidenzia un deficit idrico).Il periodo di aridità, identificato con quella porzione del grafico (Fig. 10) in cui la linea rossa (temperatura) si trova al di sopra della linea blu (precipitazioni), è risultato variabile tra 2,5 (stazioni in quota, ad esempio Oppido Mamertina e Santa Cristina d’Aspromonte) e 4 mesi (stazioni costiere, ad esempio Gioia Tauro) per il versante tirrenico; per il versante ionico il periodo siccitoso è risultato variabile tra 2 (ad esempio stazione montana di Croceferrata) e 5 mesi (stazioni costiere di Siderno e Melito Porto Salvo); per l’area dello Stretto il periodo siccitoso è risultato invece variabile tra 3 (Gambarie) e 5 mesi (Reggio Calabria).

 

 

LEGENDA< 500 mm

500 - 1.000

1.000 - 1.500

1.500 - 2.000

> 2.000

ISOIETE ANNUE

0 50

Km

Bacini Idrografici

1

23

4

5

8

910

6

7a

7b

7c7d

7e

7f

7g

7h

7i

10 11

12

13

16

17

18

192223

24

25

28

2 9

30 31

38

39

34

35

36

37

14

15

20

21

26

27

32

33

40

43

4445

46

51525354 41

4 2

4950

4 748

5556

605 9

61

64

67

6566

6 8

69

585 7

6 2

63

70

71

72

73

74

75

1 C a nn a - A rm i2 R e nd it i - F iu ma ra C a st e llo 3 F e rro - S tr af ac e4 Ave na - S ar ac e no5 S a ta na s so - C alda ne l lo6 R a ga ne l lo7 a C os c il e 7 b E s ar o7 c Fo ll one7 d B a s so - C ra t i7 e C oc c hia ro - C om pa gn an o 7 f B us en to7 g A l to - C ra t i7 h 7 i

Are nte - Ja ve sM uc one

S . M au ro - M al fra nc a to8 9 C origl ia ne to10 C ino - C ol ogn at i11 C o se ri e 12 T riont o13 F ium a rel l a - Ars o14 N icà15 S . Ve ner e - L ipu da16 N e to17 P ont i c el l i - Pa s so Vec c hio18 E s ar o di C rotone19 Vorga 20 D ra gone - P uz z afi e ro21 T a cina22 C roc ch io - Sc i l otra c o23 U ri a24 S im eri - F e ga to25 A ll i - C a s ta c i26 F ium a rel l a27 C ora ce28 A le s si - Gr iz z o29 S ove ra to30 A nc ina l e31 A la c o32 S a lu bro - M one ta33 A ssi34 S t il a ro35 P re c ar it i36 A ll a ro37 A mu sa 38 T orbido di G io ios a39 L ord o - P ort ig liol a 40 C ondoia nni41 C are ri

42 B uo na mi c o43 L a Ve rde 44 B ru zz a no - Side roni45 Am e ndol e a46 M el i t o47 S . E li a - M ol a ro48 L a z za ro - Tra pe z ii49 Va la nidi50 S . A ga ta51 C a lopina c e52 Ann unz ia t a53 G al l i c o54 C a tona55 S . Tra da - S fa l as sà56 P et ra c e57 M es im a58 B ri t t o - Iopp olo59 C a l l ia - T ra c e60 P ota m e - Ar in o61 M urnia - S. A nna62 An gitol a63 T uri na64 L a m ato65 B a gni - C an ta ga l li 66 F al e rna - S pi li nga 67 S av uto68 C a toc a st ro - T orbi do69 To rb ido - S . L ac ido - C a po d i Fium e70 L a va nda ia - De uda 71 S . Tom m a so - Fium a ra - B a gni d i Gu ar d ia72 C or vin o - S . Pi e tro73 Abb ate m a rc o - Va cc ut a74 L a o75 F ium ic e l lo - C a na l Gr an de

Delim it azi one Bacini

 

Fig. 5 – Distribuzione della precipitazione media annua sessantennale (1921 ‐ 80) in Calabria (da Caloiero & Mercuri, 1980; ridisegnata) 

 

 

 

 

 

LEGENDA

I 1 (Alto Ionio)

C 1 (Basso Crati)

T 1 (Pollino)

I 2 (Marchesato)

T 2 (Sila Grande - Sottozona Tirrenica)

SOTTOZONE PLUVIOMETRICHE E BACINI IDROGRAFICI

0 50

Km

I 3 (Medio e Basso Ionio)

I 4 (Aspromonte Meridionale)

C 2 (Sila Grande)

C 3 (Sila Greca)

C 4 (Sila Piccola - Sotto zona Centrale)

T 3 (Alto e Medio Tirreno)

T 4 (Stretto)

C 5 (Serre Orientali)

Sot tozone Pluviometriche

Bacini Idrografici

1

23

4

5

8

910

6

7a

7 b

7c

7 d

7 e

7f

7g

7 h

7i

10 11

1 2

13

16

1 7

18

192223

24

25

28

29

30 31

3 8

39

34

35

36

37

14

15

2 0

21

26

27

3 2

33

40

43

444 5

4 6

51525354 4 1

4 2

4950

4 74 8

5556

6059

61

6 4

6 7

6566

68

69

585 7

6 2

63

70

7 1

7 2

7 3

74

75

1 Canna - Armi2 Renditi - Fiumara Castello 3 Ferro - Straface4 Avena - Saraceno5 Satanasso - Caldanello6 Raganello7 a Coscile 7 b Esaro7 c Follone7 d Basso - Crati7 e Cocchiaro - Compagnano 7 f Busento7 g Alto - Crati7 h 7 i

Arente - JavesMucone

S. Mauro - Malfrancato8 9 Corigli aneto10 Cino - Colognati11 Coserie 12 Trionto13 Fiumarella - Arso14 Nicà15 S. Venere - Lipuda16 Neto17 Ponticelli - Passo Vecchio18 Esaro di Crotone19 Vorga 20 Dragone - Puzzafiero21 Tacina22 Crocchio - Scilotraco23 Uria24 Simeri - Fegato25 Alli - Castaci26 Fiumarella27 Corace28 Alessi - Grizzo29 Soverato30 Ancinale31 Alaco32 Salubro - Moneta33 Assi34 Stilaro35 Precari ti36 Allaro37 Amusa 38 Torbido di Gioiosa39 Lordo - Portigliola 40 Condoianni41 Careri

42 Buonamico43 La Verde 44 Bruzzano - Sideroni45 Amendolea46 Melito47 S. Elia - Molaro48 Lazzaro - Trapezii49 Valanidi50 S. Agata51 Calopinace52 Annunziat a53 Gallico54 Catona55 S. Trada - Sfalassà56 Petrace57 Mesima58 Britt o - Ioppolo59 Callia - Trace60 Potame - Arino61 Murnia - S. Anna62 Angitola63 Turina64 Lamato65 Bagni - Cantagalli 66 Falerna - Spilinga 67 Savuto68 Catocastro - Torbido69 Torbido - S. Lacido - Capo di Fiume70 Lavandaia - Deuda 71 S. Tommaso - Fiumara - Bagni di Guardia72 Corvino - S. Pietro73 Abbatemarco - Vaccuta74 Lao75 Fiumicello - Canal Grande

Delimitazione Bacini

 

Fig. 6 – Sottozone pluviometriche della Calabria (da Versace et al.,1987; ridisegnata) 

 

 

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

110

100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200

h (m.s.m.)

Xt (mm)

I 3

T 3

 

Fig. 7  – Confronto tra i valori medi (Xt) dei massimi annuali delle altezze di pioggia di durata t = 3 ore per le sottozone del versante Ionico (I 3) e Tirrenico (T 3) ricadenti nella provincia di Reggio Calabria 

 

 

 

LEGENDA< 10° C

10 - 12

12 - 14

14 - 16

> 16

ISOTERME ANNUE

0 50

Km

Bacini Idrografici

1

23

4

5

8

910

6

7 a

7 b

7c7 d

7e

7 f

7g

7 h

7i

10 11

12

13

16

1718

192223

24

25

28

2 9

30 31

3 8

3 9

3 4

3 5

36

37

14

15

20

21

26

27

3 2

33

4 0

43

4445

4 6

515 25354 4 1

4 2

4950

4748

5556

6059

61

64

6 7

6566

6 8

69

5 85 7

62

6 3

70

71

72

73

7 4

75

1 Canna - Armi2 Renditi - Fiumara Castello 3 Ferro - Straface4 Avena - Saraceno5 Satanasso - Caldanello6 Raganello7 a Coscile 7 b Esaro7 c Follone7 d Basso - Crati7 e Cocchiaro - Compagnano 7 f Busento7 g Alto - Crati7 h 7 i

Arente - JavesMucone

S. Mauro - Malfrancato8 9 Coriglianeto10 Cino - Colognati11 Coserie 12 Trionto13 Fiumarella - Arso14 Nicà15 S. Venere - Lipuda16 Neto17 Ponticelli - Passo Vecchio18 Esaro di Crotone19 Vorga 20 Dragone - Puzzafiero21 Tacina22 Crocchio - Scilotraco23 Uria24 Simeri - Fegato25 Alli - Castaci26 Fiumarella27 Corace28 Alessi - Grizzo29 Soverato30 Ancinale31 Alaco32 Salubro - Moneta33 Assi34 Stilaro35 Precariti36 Allaro37 Amusa 38 Torbido di Gioiosa39 Lordo - Portigliola 40 Condoianni41 Careri

42 Buonamico43 La Verde 44 Bruzzano - Sideroni45 Amendolea46 Melito47 S. Elia - Molaro48 Lazzaro - Trapezii49 Valanidi50 S. Agata51 Calopinace52 Annunziata53 Gallico54 Catona55 S. Trada - Sfalassà56 Petrace57 Mesima58 Britto - Ioppolo59 Callia - Trace60 Potame - Arino61 Murnia - S. Anna62 Angitola63 Turina64 Lamato65 Bagni - Cantagalli 66 Falerna - Spilinga 67 Savuto68 Catocastro - Torbido69 Torbido - S. Lacido - Capo di Fiume70 Lavandaia - Deuda 71 S. Tommaso - Fiumara - Bagni di Guardia72 Corvino - S. Pietro73 Abbatemarco - Vaccuta74 Lao75 Fiumicello - Canal Grande

Delimitazione Bacini

Fig. 8 – Distribuzione della temperatura media annua sessantennale (1921‐1980) in Calabria  (da Caloiero & Mercuri, 1980; ridisegnata) 

 

 

 

 

 

VERSANTE TIRRENICO

Stazione di Gioia Tauro (20 m s.l.m.)

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

80,0

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

-10

10

30

50

70

90

110

130

150

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

Stazione di Rizziconi (82 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

-10

10

30

50

70

90

110

130

150

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

 

Stazione di Polistena (239 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

-10

10

30

50

70

90

110

130

150

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

Stazione di Oppido Mamertina (342 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

-10

10

30

50

70

90

110

130

150

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

 

Stazione di Cittanova (407 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

-10

10

30

50

70

90

110

130

150

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

Stazione di Santa Cristina d'Aspromonte (510 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

-10

10

30

50

70

90

110

130

150

Prec

ipita

zion

i (m

m)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

 

 

VERSANTE IONICO

Stazione di Siderno (7 m s.l.m.)

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

80,0

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

-10

10

30

50

70

90

110

130

150

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

Stazione di Capospartivento (48 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

0

20

40

60

80

100

120

140

Prec

ipita

zion

i (m

m)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

 

Stazione di Ardore (250 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

Stazione di Mammola (250 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

0

50

100

150

200

250

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

 

Stazione di Caulonia (275 m s.l.m.)

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

80,0

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

-10

10

30

50

70

90

110

130

150

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

Stazione di Croceferrata (970 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

0

50

100

150

200

250

Pre

cipi

tazi

oni (

mm

)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

 

 

AREA DELLO STRETTO

Stazione di Reggio Calabria (7 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

0

20

40

60

80

100

120

140

Prec

ipita

zion

i (m

m)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

Stazione di Gambarie (300 m s.l.m.)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

mesi

Tem

pera

ture

(°C

)

0

50

100

150

200

250

300

350

Prec

ipita

zion

i (m

m)

Temperature (°C)

Precipitazioni (mm)

 

Fig. 9 – Diagrammi ombro‐termici relativi alle principali località ricadenti all’interno del territorio della provincia di Reggio Calabria. 

 

 

Bibliografia ai Cap.2.1.1.1 e 2.1.1.2 Bombino G., Gurnell A.M., Tamburino V., Zema D.A., Zimbone S.M., 2008 – Una metodologia per la valutazione degli effetti delle briglie sulla vegetazione ripale: risultati di applicazioni a quattro fiumare calabresi. Rivista L’Acqua, n. 4,. 

Bousquet J.C., Carveni P., Lanzafame G., Peilip H., Tortorici L., 1979 – La distension sur le bord orientale du detroit del Messina : analogies entre les resultats micro‐microtectonique et le mècanisme a foyer du seisme 1908. Bull. Soc. Geol. Fr. 

Caloiero D., Mercuri T., 1980 – Le alluvioni in Calabria dal 1921 al 1970. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per la Protezione Idrogeologica, Cosenza. 

Ciancio O., 1971 – Sul clima e sulla distribuzione altimetrica della vegetazione forestale in Calabria. Annali dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura, Arezzo, II: 321‐370. 

De Nava G., 1894 –  Sui torrenti della Prima Calabria Ulteriore, fra la Punta di Calamizzi ed il Capo Vaticano. 

Grazi F., 1976 – Opere idrauliche e idraulico‐forestali. In “Carta della Montagna”, Vol. II, Cap. III, Monografie regionali, 18 – Calabria. Ministero dell’Agricoltura e Foreste, Direzione Generale per l’Economia Montana e per le Foreste. Geotecneco, Pesaro. 

Lanzafame G., Tortorici L. 1979 – La tettonica recente della Valle del Fiume Crati (Calabria). Geogr. Fis. Dinam. Quaternaria. 

Malvezzi G., Zanotti‐Bianco U., 2002 –L’Aspromonte Occidentale. Nuove edizioni Barbaro, Reggio Calabria, ristampa. 

Ogniben L.,1969 – Schema introduttivo alla geologia del confine calabro‐lucano. Mem. Soc. Geol. It., 8 (4). 

Ogniben L.,1973 – Schema geologico della Calabria in base ai dati odierni. Geol. Romana, 12. 

Ogniben L., Vezzani L.,1976 – Geologia e dissesti. In “Carta della Montagna”, Vol. II, Cap. II, Monografie regionali, 18 – Calabria. Ministero dell’Agricoltura e Foreste, Direzione Generale per l’Economia Montana e per le Foreste. Geotecneco, Pesaro. 

Pedroli B., Geert B., Van Looy K., Van Rooij S., 2002 –  Settings target in strategies for river restoration, Landscape Ecology, 17. 

Taruffi D., De nobili L., Lori C., 1908 – La questione agraria e l’emigrazione in Calabria, Firenze. 

Viparelli M. e Maione U. 1959 – Sulla sistemazione delle aste terminali di alcuni torrenti calabri. VI Convegno di idraulica e costruzioni idrauliche. Padova 25‐27 Maggio. 

Versace P., Ferrari E., Gabriele S., Rossi F., 1989 – Valutazione delle piene in Calabria. C.N.R. – I.R.P.I. Geodata Dicembre. 

Viparelli M., 1972 – La sistemazione delle aste terminali delle fiumare calabre, Napoli, Istituto di Idraulica e Costruzioni Idrauliche.

 

 

2.1.1.3. Flora La flora di un territorio è costituita dall’insieme delle specie vegetali che vi vivono. Le specie vegetali stanno alla base del flusso di energia e del ciclo della materia che interessa ogni ecosistema. Le piante costituiscono quindi l’elemento portante per la vita degli altri organismi viventi e per l’equilibrio dell’ecosistema. La conoscenza del patrimonio floristico di un territorio rappresenta uno strumento di base per la conservazione e gestione sostenibile delle risorse naturali. La flora di un territorio è il risultato di un lungo processo di evoluzione, migrazione, estinzione di taxa ed è strettamente legata al territorio in cui si rinviene, costituendone uno dei connotati salienti. In questa analisi sarà presa in considerazione la flora vascolare che fa parte delle divisioni delle Pteridofite, Gimnosperme e Angiosperme.

La flora della Provincia di Reggio ha un livello di conoscenza media ma non completa in quanto manca per questo territorio una specifica opera di analisi, ne d’altra parte esiste una flora regionale dalla quale estrapolare i dati. Si è quindi fatto riferimento ad una serie di autori che si sono occupati della flora di questo territorio. In particolare tra i floristi che hanno studiato la flora reggina, soprattutto tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo secolo, sono da citare Porta (1879), Macchiati (1884), Pasquale (1897, 1904, 1905, 1906, 1907, 1908), Zodda (1899), Nicotra (1910), che hanno pubblicato florule riguardanti piccole aree. Nell’ultimo decennio sono state condotte una serie di ricerche, tuttora in corso, che hanno consentito di apportare un sostanziale contributo alle conoscenze floristiche e tassonomiche di quest’area. Nel corso di queste ricerche sono stati studiate alcune specie e gruppi critici presenti in questo territorio appartenenti ai generi Salix, Allium, Crepis, Adenocarpus, Alchemilla, Epipactis, Limonium, Silene, Armeria, Centaurea, Limodorum, ecc., sono stati descritti nuovi taxa e fatte nuove segnalazioni ( Brullo Scelsi & Spampinato 1996, 1997, 2001; Scelsi & Spampinato 1997, 1994, Spampinato 2002)

Consistenza del patrimonio floristico della Provincia di Reggio Calabria 

Sebbene non si disponga di un inventario completo della flora vascolare presente sul territorio provinciale dai dati bibliografici a disposizione essa può essere stimata in circa 1900 taxa (specie e sottospecie).

Percentualmente i vari gruppi di piante vascolari sono così rappresentati:

Tab. 3 – Consistenza della flora vascolare della provincia di Reggio Calabria 

Pteridofite 2,5 % Gimnosperme 0,5 % Angiosperme dicotiledoni 76 % Angiosperme monocotiledoni 21 %

Per tutta la regione Calabria sono invece stimate circa 2629 taxa (Conti et al 2005), mentre per la flora italiana è costituita da 7634 taxa. Da queste considerazioni si evince che la Provincia di Reggio Calabria possiede una notevole ricchezza floristica soprattutto se la si rapporta alla superficie provinciale.

L’elevata ricchezza floristica della provincia di Reggio Calabria, a cui corrisponde anche una elevata biodiversità, è da collegare alle caratteristiche geomorfologiche del territorio e alla sua posizione geografica al centro del Mediterraneo ma in connessione tramite la catena appenninica con la regione europea. Sotto il profilo climatico coesistono nell’ambito della provincia due zone bioclimatiche ben distinte: la zona mediterranea estesa da livello del mare fino a circa 1000 m e quella temperata da circa 1000 m in su. Ciascuna di queste zone ospita una peculiare flora. La presenza inoltre di una notevole varietà di substrati geo-pedologici, di una complessa morfologia e di notevoli differenze climatiche tra i versanti tirrenici e ionici contribuiscono a creare habitat differenziati nei quali si localizzano specifiche flore, contribuendo ad aumentare la biodiversità del territorio. Nel complesso considerando la superficie provinciale (3.183 Kmq) l’indice di diversità tassonomica è di è di 596 taxa per 1000 Kmq.

 

 

Specie di particolare interesse Ciascuna specie ha proprie caratteristiche ecologiche e si distribuisce in modo disomogeneo, prediligendo determinati habitat. Alcune specie hanno un’ampia distribuzione altre hanno una distribuzione più limitata. Tra le specie che compongono la flora di un territorio alcune assumono particolare interesse geobotanico, le endemiche (specie esclusive di un’area ristretta), quelle al limite del loro areale e quelle rare.

Specie endemiche La flora della Provincia di Reggio Calabria è abbastanza ricca di taxa endemici, si contano infatti circa 100 tra specie e sottospecie endemiche che rappresentano quasi il 5 % della flora provinciale. Questo dato colloca la provincia di Reggio Calabria tra i territori italiani più ricchi di specie endemiche, caratteristica già messa in evidenza da Pignatti (1984)

Qui di seguito sono riportati i taxa endemici della flora reggina distinti per livello di endemismo:

• Endemiche della Provincia (esclusive della provincia di Reggio Calabria, soprattutto dell’Aspromonte): Anthemis pulvinata, Allium pentadactyli, Armeria aspromontana, Agrostis canina ssp. aspromontana, Alchemilla austroitalica, Centaurea jonica, Centaurea pentadactyli, Centaurea poltiana, Crepis aspromontana, Dianthus brutius, Dianthus vulturius ssp. aspromontanus, Epipactis aspromontana, Genista brutia, Hieracium aspromontanum, Jasione spaerocephala, Limodorum brulloi, Limonium brutium, Ranunculus aspromontanus, Salix ionica, Salix oropotamica, Salvia ceratophylloides, Sedum annuum ssp. gussonei, Silene calabra.

• Endemiche calabresi (presenti anche nel resto della regione): Abies alba ssp. apennina, Anthemis calabrica, Helianthemum rupinculum, Hypericum calabricum, Euphorbia corallioides, Hypericum calabricum, Limonium calabrum, Lereschia thomasii, Picris scaberrima, Salix brutia, Soldanella calabrella.

• Endemiche siculo-calabre (endemiche in comune con la Sicilia): Acinos granatensis ssp. aetnensis, Adenostyles macrocephala, Barbarea sicula, Carlina nebrodensis, Cirsium vallis-demoni, Euphorbia ceratocarpa, Euphorbia corallioides, Heracleum pyrenaicum subsp. cordatum, Lathyrus odoratus, Micromeria consentina, Pinus nigra ssp. calabrica, Plantago humilis, Poligala presili, Quercus petraea ssp. austrotyrrhenica, Scilla sicula, Senecio gibbosus.

• Endemiche Italia meridionale Acer neapolitanum, Alnus cordata, Bromus caprinus, Campanula fragilis.

• Endemiche Italia meridionale e Sicilia Ajuga tenorii, Alnus cordata, Anthemis sphacelata, Antirrhinum siculum, Arabis rosea, Arisarum proboscideum, Aristolochia clusii, Artemisia variabilis, Bellevalia dubia, Bellis margaritaefolia, Bunium petraeum, Brassica rupestris, Dianthus gasparrinii, Dianthus longicaulis, Dianthus rupicola, Erucastrum virgatum, Hyoseris taurina, Helleborus bocconei ssp. intermedius, Micromeria fruticulosa, Stipa austroitalica, Thalictrum calabricum, Tolpis grandiflora, Viola messanensis.

• Endemiche Italiane Arisarum proboscideum, Cerastium tomentosum, Chaerophyllum calabricum, Crocus longiflorus, Digitalis micrantha, Epipactis meridionalis, Galium aetnicum, Linaria purpurea, Phleum ambiguum, Pulmonaria apenninica, Scorzonera columnae, Teucrium siculum.

Specie al limite di areale In considerazione della posizione geografica della provincia di Reggio Calabria, posta all’estremità della Penisola Italiana, numerose specie vegetali si trovano in questo territorio al limite del loro areale.

• Specie a distribuzione europea. Diverse specie con areale che gravita sull’Europa sono distribuite lungo l’Appennino, arrivano fino all’Aspromonte e sono poi assenti in Sicilia.

 

 

Tra queste specie, che si localizzano tipicamente nella fascia montana, sono da ricordare: Narcissus poeticus, Solidago virgaurea Stellaria nemorum, Carpinus betulus. Alcune di queste specie tendono a segregare nella Calabria meridionale delle particolari popolazioni, spesso distinte anche a livello morfologico e attribuite a subspecie endemiche. E’ il caso ad esempio dell’abete bianco (Abies alba) che si rinviene con una particolare subspecie indicata come ssp. apennina, tipica delle montagne calabresi (Brullo, Scelsi & Spampinato 2001).

• Specie est mediterranee. Tra le specie provenienti dal Mediterraneo orientale che hanno qui il limite del loro arale sono da ricordare Ptilostemom gnaphaloides, Bupleurum gracile Quercus frainetto, Fritillaria messanensis.

• Specie ovest mediterranee. Tra queste specie sono da ricordare Lavandula multifida, Tuberaria lignosa, Wahlenbergia nutabunda.

• Specie sud mediterranee. Un particolare gruppo di specie al limite del loro areale sono le specie degli ambienti aridi del mediterraneo meridionale che si localizzano nella stretta fascia costiera ionica dell’Aspromonte e che sono assenti nel resto della Penisola Italiana (Scelsi & Spampinato 1992). Tra queste sono da ricordare Fagonia cretica, Aizoon hispanicum Aristida coerulescens, ecc.

Specie rare Alcune specie si rinvengono con una bassa frequenza su superfici di limitata estensione, talora per la pressione antropica che ne ha ridotto l’habitat originario ma anche per motivi naturali. La rarità può essere infatti legata alle caratteristiche ecologiche della specie che esige habitat scarsamente rappresentati nel territorio, ma può essere rara anche per difficoltà proprie della specie a competere con le altre piante che vivono nello stesso ambiente. Anche le specie al limite del loro areale possono essere rare. Per le difficoltà che hanno ad affermarsi nel territorio le specie rare rientrano spesso tra quelle a rischio di estinzione, che verranno esaminate più avanti.

Tra le specie molto rare che non sono specificatamente minacciate sono da ricordare: Lunaria annua, Aconitum lamarckii, Ammi crinitum, Cotoneaster integerrimus, Dracunculus vulgaris, Mespilus germanica, Quercus cerris, Cheilanthes maderensis, Heliotropium supinum, Ranunculus fontanus, Polygala apiculata, Dryopteris pallida, Myriophyllum spicatum, Trifolium hirtum, Valantia hispida, Limonium virgatum, Carduus cephalanthus, Salvia triloba, Poa alpina, Dryopteris affinis. Queste specie, sebbene non siano attualmente minacciate, necessitano della massima attenzione in quanto impatti sulle loro ridotte popolazioni potrebbero determinare la loro inclusione tra quelle a rischio.

Flora a rischio di estinzione L’ I.U.C.N. (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) ha formalizzato in base a criteri oggettivi le categorie che definiscono lo stato di conservazione delle specie viventi (Rizzotto, 1995). In Italia sono state svolte indagini per la valutazione dello stato di conservazione della flora, che hanno prodotto elenchi di specie a rischio di estinzione, si tratta in particolare della “Lista rossa della flora d’Italia” (Conti, Manzi & Pedrotti 1992) e delle “Liste rosse regionali della flora d’Italia” (Conti, Manzi & Pedrotti 1997).

Le attuali conoscenze sulla flora della provincia hanno permesso di definirne lo stato di conservazione della flora vascolare. A tal fine si è fatto ricorso alle liste rosse nazionali e regionali su citate, oltre che a dati inediti raccolti personalmente. In una successiva fase sarebbe opportuno avviare una specifica azione di monitoraggio così da controllare la dinamica delle popolazioni in relazioni agli impatti che subiscono (numero di individui, natalità, mortalità, livello di pressione antropica, impatti diffusi, impatti puntiformi, ecc.).

In totale sono state censite 95 specie a rischio di estinzione così distribuite nelle classi di rischio previste dall’ I.U.C.N.:

• gravemente minacciate 7,

• minacciate 8,

 

 

• vulnerabili 32,

• a minor rischio 48

Nel totale di 95 specie a rischio non sono comprese le specie rare sulle quali non si disponevano dati sufficienti per stimarne lo stato di conservazione. In relazione al gruppo tassonomico di appartenenza le specie a rischio sono così distribuite: 7 Pteridofite, 3 Gimnosperme, 59 Angiosperme dicotiledoni e 25 Angiosperme monocotiledoni. Le famiglie con più taxa a rischio sono le Orchidaceae (11 taxa) e le Asteraceae o Compositae (10 taxa).

Rispetto al totale della flora provinciale, che è stimato intorno alle 2000 taxa, le specie minacciate ne rappresentano circa il 5 %. Per l‘intera Regione Calabria sono state censite 216 specie a rischio, poco meno della metà si trovano quindi in territorio reggino. Per la flora italiana sono state censite 450 specie a rischio che rappresentano l’8,2 % della Flora Italiana.

Nell’elenco che segue sono riportate le specie a rischio della flora provinciale suddivise per categoria di rischio.

Analizzando la distribuzione delle specie a rischio in relazione all’habitat (Fig. 10) si evince che gli ambienti dove si concentrano le specie a rischio sono i pascoli aridi, seguiti da boschi, rupi, ruscelli montani, spiagge e ambienti umidi. Le specie dei pascoli aridi si localizzano soprattutto nella fascia costiera del versante ionico, che ormai da diversi decenni è sottoposta ad una pressante trasformazione conseguente alla urbanizzazione e alla infrastrutturazione per trasferimento dai centri dell’interno sulla costa. Le specie dei boschi sono minacciate soprattutto dal ridursi costante delle superfici boscate in conseguenza soprattutto degli incendi. Le specie dei ruscelli montani sebbene potenzialmente protette dal Parco Nazionale dell’Aspromonte sono minacciate dalle captazioni d’acqua e dalle sistemazioni idrauliche. Le specie delle rupi sono quelle meno direttamente minacciate per la specificità dell’habitat. Infine le specie degli ambienti umidi e delle coste sabbiose, sebbene siano in genere specie ad ampia distribuzione sono minacciata dalla scomparsa del loro habitat in conseguenza delle trasformazioni ambientali.

 

 

Fig.  10  –  Distribuzione  delle  specie  vascolari  a  rischio  della  Provincia  di  Reggio  Calabria  in  relazione all'habitat 

Elenco della flora vascolare a rischio della provincia di Reggio Calabria

Specie a gravemente minacciate di estinzione (CR) : Aristida coerulescens Desf., Lavandula multifida L., Limonium brutium Brullo, Osmunda regalis L., Pteris vittata L., Salvia ceratophylloides Ardoino, Veronica scutellata L.

0 5 10 15 20 25 30

Ambienti palustri

Boschi

Boschi ripali

Cespuglieti

Cespuglieti pulvinati

Gariga e macchia

Pareti stillicidiose

Pascoli aridi

Pascoli umidi

Rupi

Ruscelli montani

Scogliere marine

Spiagge

Ambienti

Numero di specie

EstinteGravemente minacciateMinacciateVulnerabiliA minor rischio

 

 

Specie minacciate di estinzione (E): Aizoon hispanicum L., Calystegia soldanella (L.) R.Br., Fagonia cretica L., Helianthemum rupinculum Huter, P. & R., Juniperus turbinata Guss., Paeonia mascula (L.) Miller ssp. russoi (Biv.) Cullen & Heywood, Pteris cretica L., Woodwardia radicans (L.) Sm.

Specie vulnerabili (V): Aceras anthropophorum (L.) R. Br., Alchemilla austroitalica Brullo, Scelsi & Spampinato, Allium pentadactyli Brullo, Pavone & Spampinato, Anthemis chia L., Barlia robertiana (Loisel.) Greuter, Bellevalia dubia (Guss.) Kunth ssp. dubia, Brassica incana Ten., Carex stellulata Good., Corrigiola litoralis L., Digitalis purpurea L., Epipogium aphyllum (Schmidt) Swartz, Fritillaria messanensis Rafin., Hieracium aspromontanum Brullo, Scelsi & Spampinato, Hyoseris taurina (Pamp.) Martinoli, Jasione spaerocephala Brullo, Marcenò & Pavone, Limodorum brulloi Bartolo & Pulvirenti, Limonium calabrum Brullo, Lomelosia cretica (L.) Greuter & Burdet, Minuartia condensata (C. Presl) Hand.-Mazz., Pancratium maritimum L., Potamogeton polygonifolius Porret, Ptilostemon gnaphaloides (Cyr.) Sojak, Ranunculus aspromontanus Huter, Porta & Rigo, Ranunculus fontanus Presl, Rhynchocorys elephas (L.) Griseb., Salsola oppositifolia Desf., Sedum annuum L. ssp. gussonei Brullo & Spampinato, Soldanella calabrella Kress, Stipa austroitalica Martinovsky ssp. austroitalica, Taxus baccata L., Tilia platyphyllos Scop. ssp. pseudorubra Schneider, Wahlenbergia nutabunda (Guss.) DC.

Specie a minor rischio di estinzione (LR): Adenostyles macrocephala Huter, P. & R., Agrostis canina L. ssp. aspromontana Brullo, Scelsi & Spampinato, Ajuga tenorii Presl, Anthemis pulvinata Brullo, Scelsi & Spampinato, Arisarum proboscideum (L.) Savi, Asplenium scolopendrium L., Asplenium septentrionale (L.) Hoffm., Blechnum spicant (L.) Roth, Brassica rupestris Rafin, Bupleurum gracile D'Urv., Carpinus betulus, Centaurea jonica Brullo, Centaurea pentadactyli Brullo, Scelsi & Spampinato, Chaerophyllum calabricum Guss., Chrysosplenium dubium Gay, Colchicum bivonae Guss., Crepis aspromontana Brullo, Scelsi & Spampinato, Crocus longiflorus Rafin., Dianthus rupicola Biv., Dianthus vulturius Guss. & Ten. ssp. aspromontanus Brullo, Scelsi & Spampinato, Ephedra distachya L., Epipactis aspromontana Bartolo, Pulvirenti & Robatsch, Epipactis meridionalis Baumann H. & Lorenz, Epipactis microphylla (Ehrh.) Swartz, Erucastrum virgatum (Presl) Presl, Euphorbia corallioides L., Euphorbia paralias L., Genista brutia Brullo, Scelsi & Spampinato, Genista tinctoria L. ssp. ovata (W. & K.) Arcang., Lathraea clandestina L., Lereschia thomasii (Ten.) Boiss., Limodorum abortivum (L.) Swartz, Matthiola incana (L.) R.Br. ssp. rupestris, Ophrys apifera Hudson, Ophrys bertoloni Moretti, Ophrys sphecodes Miller ssp. atrata, Picris scaberrima Guss., Plantago amplexicaulis Cav., Pulmonaria apenninica Cristofolini & Puppi, Quercus petraea (Mattuschka) Liebl. ssp. austrotyrrhenica Brullo, Guarino & Siracusa, Salix oropotamica Brullo, Scelsi & Spampinato, Senecio gibbosus (Guss.) DC., Silene calabra Brullo, Scelsi & Spampinato, Spiranthes spiralis (L.) Koch, Sternbergia lutea (L.) Ker-Gawl., Tuberaria lignosa (Sweet) Samp., Viola parvula Tineo

Specie contenute in particolari elenchi

Specie degli allegati alla direttiva CEE 92/43

Nell’allegato II alla direttiva CEE 92/43 sono riportate solo tre specie tra quelle presenti nella flora della provincia di Reggio Calabria: si tratta di Dianthus rupicola, Stipa austroitalica e Woodwardia radicans (vedi schede relative nel data base).

Nell’ambito del progetto BioItaly i territori della provincia di Reggio Calabria dove si rinvengono le popolazioni di queste tre specie sono stati censiti come siti SIC (Siti di Importanza Comunitaria). In particolare:

 

 

• Dianthus rupicola (Status IUCN: a minor rischio) localizza la maggior parte delle sue popolazioni all’interno del sito SIC “Costa Viola e M. San Elia”, mentre altre popolazioni meno consistenti si localizzano nei siti “Vallata del Novito” e “Vallato dello Stilaro”.

• Stipa austroitalica (Status IUCN: Vulnerabile) è presente con una sola popolazione localizzata nel sito SIC di “Capo dell’Armi”

• Woodwardia radicans (Status IUCN: Minacciata) è localizzata in alcuni siti SIC del versante tirrenico (Torrente San Giuseppe, Torrente Portello, Vallone Fusolano, Fosso Cavaliere, Torrente Barvi presso la Cascata Mundu, Ponte Scrisà presso Scido) e in due soltanto del versante ionico delle Serre (Vallata dello Stilaro) e dell’Aspromonte orientale (Gole Fiumara La verde).

Specie degli allegati CITES

La convenzione internazionale sul commercio sulle specie di flora e fauna minacciate di estinzione (CITES) detta anche convenzione di Washington è stata fatta propria dalla CEE con il regolamento 338/97. Il Corpo forestale con un suo specifico ufficio è preposto al controllo del regolamento CITES. Negli elenchi allegati a tale regolamento sono riportate le specie di cui è vietato il commercio, per quanto riguarda la flora la normativa si applica solo alle specie selvatiche, non a quelle coltivate. In tali elenchi sonno presenti i le seguenti gruppi di specie della flora reggina: specie dei generi Cyclamen, Galanthus e Stenbergia, specie della famiglia delle Orchideaceae.

• Cyclamen. Questo genere (Ciclamino) è presente nel territorio reggino con due specie C. repandum e C. hederifolium, entrambe sono abbastanza diffuse e vivono nei querceti della fascia mediterranea. Attualmente i ciclamini non corrono rischio di estinzione anche perché è poco diffusa nel territorio reggino la raccolta in natura dei bulbi.

• Galanthus. Questo genere (Bucaneve) è presente con due specie G. nivalis e G. reginae-olgae, sono entrambe piuttosto rare ma considerato l’ambiente in cui vivono, in genere faggete, non corrono attualmente seri rischi di estinzione e non sono stati inseriti tra le specie a rischi di estinzione.

• Stenbergia. Questo genere è presente con una sola specie S. lutea (Zafferanastro giallo), che in considerazione del disturbo antropico che interessa le sue popolazioni è stata inserita tra le specie a basso rischio di estinzione.

• Orchideaceae. Questa famiglia conta 36 specie nella provincia di Reggio di queste 12 sono riportate nel repertorio della flora a rischio.

Elenco delle specie della Famiglia delle Orchidaceae presenti nella flora reggina

Aceras anthropophorum (L.) R. Br., Anacamptis pyramidalis (L.) L.C. Rich., Barlia robertiana (Loisel.) Greuter, Cephalanthera rubra (L.) L.C. Rich., Dactylorhiza saccifera Brongn., Dactylorhiza sambucina (L.) Baumann & Kunkele, Epipactis aspromontana Bartolo Pulvirenti & Robatsch , Epipactis helleborine (L.) Crantz, Epipactis meridionalis Baumann H. & Lorenz, Epipactis microphylla (Ehrh.) Swartz, Epipactis muelleri Godfery, Epipogium aphyllum (Schmidt) Swartz, Limodorum abortivum (L.) Swartz, Limodorum brulloi Bartolo & Pulvirenti, Neotinea intacta (Link) Rchb. F., Neottia nidus-avis (L.) L.C. Rich., Ophrys apifera Hudson, Ophrys bertoloni Moretti,

 

 

Ophrys exaltata Ten., Ophrys fusca Link ssp. iricolor (Desf.) O.Schwarz, Ophrys holoserica (N.L. Burn.) W. Greuter, Ophrys lutea Cav., Ophrys sphecodes Miller, Ophrys sphecodes Miller ssp. atrata, Orchis coriophora L. ssp. fragrans (Pollini) Sudre, Orchis italica Poiret, Orchis mascula (L.) L., Orchis morio L., Orchis papilionacea L. ssp. grandiflora (Boiss.) Nelson, Orchis provincialis Balb., Orchis tridentata Scop., Serapias lingua L., Serapias parviflora Parl., Serapias vomeracea (Burm.) Briq., Spiranthes spiralis (L.) Koch,

2.1.1.4. Vegetazione Il concetto di vegetazione, sebbene possa sembrare piuttosto intuitivo, necessita di alcune definizioni. Per vegetazione viene comunemente intesa la copertura vegetale di un determinato territorio; più in generale la vegetazione è stata definita come il manto verde che ricopre in nostro pianeta. La vegetazione di un territorio non va confusa con la sua flora. Si tratta di due concetti ben distinti; infatti, come accennato in precedenza, per flora s'intende l’insieme delle piante che vivono in un determinato territorio. Ad esempio la flora della Calabria è rappresentata dall'insieme delle specie vegetali che vivono nella regione. La vegetazione, invece, rappresentando la copertura vegetale di un determinato territorio, è costituita dall'insieme delle fitocenosi (comunità vegetali) che vi si osservano. Ad esempio un bosco, un cespuglieto e un pascolo sono altrettante fitocenosi che contribuiscono a caratterizzare la vegetazione di una determinata area.

Dal un punto di vista ecosistemico la vegetazione, e le fitocenosi che la costituiscono, rappresentano i produttori primari dell'ecosistema, in grado di effettuare, mediante la fotosintesi, l'organicazione della materia e la trasformazione del flusso di energia luminosa proveniente dal sole in energia chimica che viene resa disponibile per i successivi livelli trofici dell'ecosistema. In particolare la materia organica sintetizzata dai vegetali è utilizzata dai consumatori primari, innescando così il ciclo della materia e il flusso di energia che consentono il funzionamento dell'ecosistema. Le fitocenosi assieme alle comunità animali (zoocenosi) ed ai microrganismi presenti nel suolo costituiscono le biocenosi, che rappresentano la componente biotica dell'ecosistema. Le biocenosi, interagendo con l'insieme dei componenti abiotici, che nel loro insieme definiscono il biotopo (roccia madre, suolo, fattori climatici, ecc.), danno origine alle biogeocenosi. Queste sono le unità fondamentali della biosfera del nostro pianeta, vale a dire la parte della terra che è interessata dagli esseri viventi.

Per l’analisi della vegetazione si fa riferimento alla metodologia fitosociologica, quella più diffusa in Europa e in altre parti del mondo per quanto riguarda studi sulla vegetazione (Braun-Blanquet 1964). La metodologia fitosociologica individua nella copertura vegetale delle unità discrete dette "associazioni vegetali" o semplicemente fitocenosi, che si differenziano da un lato per la composizione floristica e dall’altro per i peculiari caratteri ecologici.

2.1.1.4.1. Stato delle conoscenze sulla vegetazione La vegetazione della Provincia di Reggio Calabria è stato in passato oggetto di indagini fitosociologiche da parte di diversi autori che ne hanno evidenziato il notevole interesse naturalistico e paesaggistico. Si tratta in genere di studi nei quali sono esaminati ristretti settori del territorio o singoli tipi vegetazionali. I principali contributi riguardano alcune formazioni boschive, quali faggete (Gentile, 1969a), leccete (Gentile, 1969b), querceti caducifogli (Scelsi & Spampinato 1996, Brullo et al. 1999) e ripisilve (Brullo & Spampinato, 1997), come pure praterie steppiche a Lygeum spartum (Gentile & Di Benedetto, 1961; Brullo et al., 1990) e a Hyparrhenia hirta (Brullo et al., 1997), formazioni casmofile (Brullo & Marcenò, 1979), garighe (Brullo et al., 1987), cespuglieti orofili (Gentile, 1979), vegetazione glareicola (Brullo et al., 1999), formazioni aeroaline delle rupi costiere (Bartolo et al., 1992; Brullo 1992). Altri studi, riguardanti diversi tipi di vegetazione sono stati effettuati da Schneider & Sutter (1982) e da Signorello (1985), limitatamente al settore montano, mentre una cartografia del settore Aspromontano del Parco della Calabria è stata realizzata da Pedrotti et al. (1990).

Uno studio complessivo sulla vegetazione dell’Aspromonte è stato realizzato da Brullo, Scelsi & Spampinato (2001), mentre più di recente Spampinato et al. (2008) hanno pubblicato la Carta della

 

 

biodiversità vegetale del Parco nazionale dell’Aspromonte. Qui di seguito viene presentato un quadro complessivo delle conoscenze articolando l’analisi della vegetazione per fasce bioclimatiche definite secondo il modello di Rivas Martinez (1981, 1997).

 

Fig. 11  –  Fasce bioclimatiche  e  vegetazione potenziale. A, Myrto‐Pistacietum  lentisci; B, Oleo‐Quercetum virgilianae ; C, Erico‐Quercetum virgilianae; D, Teucrio siculi‐Quercetum ilicis; E, Quercetum frainetto‐ilicis; F, Erico‐Quercetum  congestae;  G,  Cytiso‐Quercetum  frainetto;  H,  Anemono  apenninae‐Fagetum;  I,  Galio hirsuti‐Fagetum; L, Asyneumo trichocalycinae‐Fagetum. (da Brullo, Scelsi & Spampinato 2001, modificato) 

La vegetazione è strettamente correlata con il bioclima del territorio. Qui di seguito sono esaminate le fasce bioclimatiche presenti nel territorio reggino, in accordo alla classificazione di Rivas Martinez (1997), e sono messe in relazione con le principali tipologie di vegetazione.

Fascia supratemperata Il clima di tipo temperato è caratterizzato da una ridottissima o assente aridità estiva. Esso è ben rappresentato nel continente europeo e si estende ai territori mediterranei limitatamente alle zone montuose. Nel territorio reggino è presente con la fascia supratemperata, articolata in inferiore e superiore, e si estende a tutta l'area montana al di sopra dei 1000-1100 m. La fascia supratemperata è dominata dai boschi dei Fagetalia sylvaticae. Si tratta essenzialmente di faggete, governate in genere a fustaia e diffuse su vaste superfici. Le faggete presenti in Aspromonte possono essere ascritte a tre distinte associazioni. Un primo tipo è rappresentato dall’Anemono apenninae-Fagetum (= Aquifolio-Fagetum), faggeta macroterma legata ad un clima con marcati caratteri di oceanicità presente soprattutto sul versante tirrenico settentrionale del massiccio aspromontano, sul dossone della Melia e sulle Serre, ed è caratterizzata dalla abbondanza nel sottobosco di agrifoglio (Ilex aquifolium). Una seconda tipologia è quella del Galio hirsuti-Fagetum, faggeta macroterma legata ad un clima con attenuati caratteri di oceanicità presente sul versante meridionale e occidentale del massiccio aspromontano, in cui è assente o sporadico l’agrifoglio (Ilex aquifolium), mentre è ben rappresentato il caglio peloso (Galium rotundifolium ssp. hirsutum). Questa seconda tipologia si sviluppa da 1000-1000 m fino a 1400-1500 m circa. Un ultima tipologia di faggeta è quella del Campanulo trichocalicinae-Fagetum, faggeta microterma distribuita dai 1500-1600 m di quota fino a quasi 2000 m in corrispondenza di Montalto, dove il faggio, trovandosi al suo limite altitudinale, assume un portamento arbustivo. Nei vari tipi di faggete Fagus sylvatica tende a costituire dei popolamenti puri, spesso però, soprattutto sul versante ionico, si associa con l'abete bianco nella sua varietà meridionale (Abies alba var. apennina), che ha in genere un ruolo subordinato. In ciascuna delle tre associazioni di faggeta la presenza di abete

 

 

bianco appenninico permette di differenziare altrettante subassociazioni. Solo in limitate aree del versante ionico, intorno ai 1600 m su suoli rocciosi poco evoluti, di stazioni cacuminali ben ventilate, l’abete bianco diventa dominante e da luogo a delle formazioni più o meno pure in genere più o meno diradate, si tratta delle abetine con ipopitide (Monotropa hypopitys) Monotropo-Abietetum apenninae e di quelle con ginepro emisferico (Juniperus hemisphaerica), del Junipero-Abietetum apenninae, localizzate sulle creste ventose.

Sui versanti settentrionali di un certo interesse è la presenza di Taxus baccata, che in corrispondenza delle valli interessate da un regime di nebbie per buona parte dell'anno costituisce dei boschi a carattere relitto riferibili all'Ilici-Taxetum baccatae.

Nel massiccio aspromontano, in conseguenza del fatto che le vette non superano i 2000 m di altitudine, viene a mancare una tipica fascia con vegetazione arbustiva localizzata sopra la vegetazione forestale; solo su piccole aree cacuminali, particolarmente esposte o su alcuni costoni scoscesi e ventilati, la faggeta non riesce ad insediarsi e viene sostituita da aspetti di vegetazione a camefite pulvinate e bassi arbusti dei Cerastio-Carlinetea nebrodensis. In queste formazioni si localizzano numerose specie molto rare, spesso endemiche, tra cui sono da ricordare Plantago humilis, Juniperus hemisphaerica, Anthemis montana ssp. calabrica, Armeria aspromontana, Potentilla calabra, Acinos granatensis ssp. aetnensis, Silene sicula, Carlina nebrodensis, ecc.

Sul versante ionico sotto i 1400 m le faggete vengono sostituite, limitatamente alle superfici più acclivi e soleggiate, con suoli poco evoluti, dalle pinete dell’Hypochoerido-Pinetum calabricae, fisionomicamente dominate dall’endemica siculo-calabra, Pinus nigra ssp. calabrica (= P. laricio). Frammista al faggio si trova talora la rovere meridionale (Quercus petraea ssp. austrotyrrhenica), la quale a causa di tagli e incendi si rinviene attualmente in individui isolati, molto vetusti, o più raramente in piccoli nuclei.

Nei torrenti della fascia montana si rinvengono dei boschi igrofili caratterizzati dall'endemica Salix oropotamica e riferibili al Geranio versicoloris-Salicetum oropotamicae.

Le faggete sono spesso attraversate da piccoli corsi d'acqua permanenti alimentati da sorgenti, dove si localizzano aspetti di vegetazione igrofila erbacea interessati da una ricca flora molto specializzata e caratterizzata dalle endemiche Lereschia thomasii, Epipactis aspromontana, Adenostiles macrocephala, Chaerophyllum calabricum, Alchemilla austroitalica e Soldanella calabrella. In particolare, nei ruscelli ombreggiati con acqua correnti si rinviene il Chrysosplenio-Lereschietum thomasii, mentre nei tratti più rialzati ed esterni all'alveo è frequente il Petasito-Chaerophylletum calabrici, che nei tratti più soleggiati viene sostituito dal Rynchocorido-Alchemilletum austroitalicae. Sulle pareti stillicidiose prospicienti questi piccoli corsi d'acqua si rinviene invece l'Adenostylo-Soldanelletum calabrellae.

Nel vasto altopiano posto intorno ai 1000 m le faggete sono state eliminate per far posto alle colture di cerali e patate, o a rimboschimenti di pino calabro (= pino laricio s.l.), o ontano napoletano(Alnus cordata). L’abbandono delle colture determina l'arrivo della ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), che forma fitti cespuglieti riferibili al Polygalo-Cytisetum scoparii, che nelle zone più depresse e umide vengono sostituiti dal Genisto brutiae-Cytisetum scoparii, associazione caratterizzata dalla presenza di Genista brutia specie endemica affine a G. anglica dell’Europa atlantica.

Fascia supramediterranea Questa fascia è ben rappresentata soprattutto sul versante ionico, dove si sviluppa tra 1100-1200 e 900-1000 m. Essa è caratterizzata da un clima di tipo supramediterraneo ed è potenzialmente interessata da querceti caducifogli. In particolare si localizzano qui i boschi a Quercus frainetto appartenenti al Cytiso-Quercetum frainetto, o quelli di quercia congesta (Quercus congesta) localizzati nei tratti meno acclivi, su suoli profondi e riferibili all’Erico arboree-Quercetum congestae. Frequentemente i querceti caducifogli sono sostituiti da castagneti, formazione colturale molto diffusa nel territorio. Nei valloni più ombreggiati e freschi sono invece presenti i boschi misti di acero napoletano (Acer neapolitanum), carpino nero (Ostrya carpinifolia) e leccio (Quercus ilex) del Festuco-Aceretum neapolitani.

 

 

Fascia mesomediterranea Questa fascia si localizza tra 400-600 e 800-1000 m, in genere sotto gli altopiani posti intorno a 1000 m. In particolare, sul versante tirrenico, dove sono presenti ripidi pendii, si localizzano le leccete del Teucrio siculi-Quercetum ilicis, formazione che, grazie alla notevole oceanicità del clima, prendono contatto diretto con le faggete della fascia supratemperata. Più raramente, nelle stazioni con suoli sabbiosi acidi, si insediano le sugherete dell'Helleboro-Quercetum suberis. Sul fondo di alcuni valloni del versante tirrenico, in prossimità di cascate e percolamenti di acqua, si localizzano alcune stazioni della felce bulbifera (Woodwardia radicans), specie relitta di una flora tropicale presente in Italia durante il Terziario che caratterizza la particolare vegetazione idrofila del Conocephalo-Woodwardietum radicantis. Recentemente due stazioni di questa rara specie sono state ritrovate anche sul versante ionico. Qui la vegetazione forestale è caratterizzata dai i boschi misti di leccio e farnetto (Quercus frainetto) del Quercetum frainetto-ilicis, mentre hanno un ruolo meno importante le leccete pure del .Teucrio siculi-Quercetum ilicis.

I corsi d’acqua, nei tratti più incassati, sono fiancheggiati dalle ripisilve a ontano nero (Alnus glutinosa). In particolare nelle valli a forra, su alluvioni limoso-sabbiose, si rinviene il bosco di ontano nero con felce setifera (Polystico-Alnetum glutinosae), mentre nelle valli strette, su alluvioni ghiaioso-ciottolose, si localizza il bosco misto di ontano nero e ontano napoletano (Alnus cordata) dell'Alnetum glutinoso-cordato. La dove invece il corso d’acqua si apre le ontanete lasciano il posto ai saliceti a salice bianco (Salix alba) e salice calabrese (Salix brutia) del Salicetum albo-brutiae.

Nelle stazioni collinari del versante tirrenico le leccete, normalmente governate a ceduo, sono rappresentate dall'Erico-Quercetum ilicis, lecceta termofila ricca in lentisco ed erica arborea. Queste leccete, che giungono fino in prossimità del mare, vengono sostituite in seguito a processi di degradazione, da una fitta macchia riferibile all' Erico arboreae-Myrtetum communis e da praterie steppiche a tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus).

Fascia termomediterranea Questa fascia è ben rappresentata soprattutto sul versante ionico dell'Aspromonte dove la vegetazione si presenta spesso degradata; si rinvengono comunque querceti termofili caducifogli a quercia castagnara (Quercus virgiliana) e olivastro dell’Oleo-Quercetum virgilianae, che nei versanti più freschi e ombreggiati sono sostituiti dalle leccete con erica dell'Erico-Quercetum ilicis. La degradazione di questi boschi, in seguito al pascolo e agli incendi, favorisce l'insediamento di macchia dell'Oleo-Ceratonion e, più frequentemente, dei cisteti del Cisto eriocephali-Phlomidetum fruticosae. Nelle zone più acclivi si insedia la macchia a euforbia (Euphorbia arborea) e olivastro (Olea europaea ssp. sylvestris) (Oleo-Euphorbietum dendroidis). L’incendio reiterato determina la sostituzione delle formazioni legnose con quelle erbacee. La fascia termomediterranea attualmente è infatti in gran parte occupata da praterie steppiche dei Lygeo-Stipetea caratterizzate da varie graminacee cespitose quali il barboncino mediterraneo (Hyparrhenia hirta), il tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus) e lo sparto (Lygeum spartum).

Le rupi del versante ionico meridionale sono costituite per lo più da conglomerati, calcareniti o scisti; sulle rupi si insedia una peculiare vegetazione casmofila, ricca in specie endemiche molto specializzate come Silene calabra, Helianthemum rupinculum e Allium pentadactyli, Centaurea pentadactyli e Crepis aspromontana. La vegetazione delle rupi è riferibile al Centaureion pentadactylis, alleanza distribuita in tutto il versante ionico dell’Aspromonte. Le rupi del versante tirrenico della Costa Viola e quelle del versante orientale delle Serre ospitano invece un diverso contingente di specie casmofile come Dianthus rupicola, Erucastrum virgatum, Brassica incana, Brassica rupestris, Ptilostemon gnaphaloides, ecc. La vegetazione di queste rupi viene riferita all’alleanza Dianthion rupicole e in particolare all’associazione Erucastretum virgatae.

Un ambiente particolare del versante ionico sono le “fiumare”, corsi d’acqua con regime torrentizio caratterizzati da ampi greti ciottolosi, in genere più o meno completamente asciutti in estate. La presenza di questo particolare ambiente è da collegare al particolare regime delle precipitazioni, concentrate in pochi eventi temporaleschi e alla natura dei substrati geologici, rappresentati in

 

 

genere da metamorfiti particolarmente alterati e friabili, facilmente erodibili per le elevate pendenze e per le azioni di disboscamento. I vistosi fenomeni di erosione da parte delle acque meteoriche determinano un notevole trasporto dei materiali solidi che sono depositati nel tratto terminale del corso d’acqua via via che l’energia della corrente diminuisce, venendosi così a formare quelle enormi distese di ghiaia che caratterizzano le fiumare. La vegetazione ripale delle fiumare è costituita da boscaglie dei Nerio-Tamaricetea, con oleandro (Nerium oleander), tamerici (Tamarix africana, T. gallica) e agnocasto (Vitex agnus-castus), mentre nei terrazzamenti si insedia una vegetazione pioniera di tipo glareicola e perpetuino italiano, rappresentata dall'Artemisio-Helichrysetum italici.

Vegetazione dei litorali La costa del versante ionico è per lo più bassa, di tipo sabbioso-ghiaioso, interrotta da una serie di promontori quali quelli di C. dell’Armi, Capo Spartivento e Capo Bruzzano. Essa si presenta per lunghi tratti degradata da urbanizzazioni e infrastrutture. Lo spianamento delle dune per far posto a strade, ferrovie, urbanizzazioni e coltivi, ha determinato una profonda alterazione dell’ambiente costiero. E’ così scomparsa gran parte dell'originaria vegetazione psammofila, e attualmente restano solo limitati tratti del litorale dove è possibile osservare la vegetazione delle spiagge. Tipicamente questa vegetazione si organizza in fasce parallele alla linea di costa, infatti il fattore ecologico che più di altri influenza la vegetazione è il mare con i venti carichi di aerosol marino che soffiano verso l’interno. Tipicamente al di là della linea della battigia priva di vegetazione per il continuo movimento delle moto ondoso si insedia la vegetazione annuale, alofila e nitrofila a salsola erba-cali (Salsolo-Cakiletum maritimae) che si localizza soprattutto in corrispondenza di materiale spiaggiato durante le mareggiaste invernali. Segue più internamente la vegetazione a gramigna delle spiagge (Cypero mucronati-Agropyretum farcti), legata alle dune embrionali che grazie alla presenza delle specie che compongono questo tipo di vegetazione cominciano ad innalzarsi. La sabbia trasportata dal vento si deposita infatti attorno alle piante che per evitare di essere sotterrate si innalzano continuamente e con i loro apparati radicali stabilizzano la duna. Sulle dune ormai formate, localizzate più internamente si insedia la vegetazione psammofila a sparto pungente (Medicagini-Ammophiletum arundinaceae). Nel retroduna, su suoli sabbiosi dove ormai è iniziato il processo pedogenetico si localizza la rara vegetazione psammofila a efedra distica (Helichryso italici-Ephedretum distachyae) caratterizzata da piccole camefite a struttura pulvinata.

Sulle coste rocciose, che sono ben rappresentate lungo il versante tirrenico, si insedia la tipica vegetazione aeroalina a finocchio di mare (Crithmun maritimum) del Crithmo-Limonion, rappresentata dal Limonietum calabri e dal Limonietum brutii.

2.1.1.4.2. Vegetazione potenziale La vegetazione presente su una certa superficie non è statica nel tempo ma, soprattutto in assenza di disturbo antropico, tende ad evolversi verso forme strutturalmente via via più complesse. Il culmine di questo processo dinamico di evoluzione è rappresentato dalla vegetazione climatofila o semplicemente climax. La tipologia di vegetazione climax è legata essenzialmente a fattori ecologici di tipo climatico (temperatura, precipitazioni, umidità, insolazione ecc.). Il raggiungimento del climax avviene attraverso una serie di fitocenosi intermedie (stadi) che sono tra di loro dinamicamente collegate in una scala temporale. In ciascuna serie dinamica la fitocenosi meno evoluta prepara le condizioni ecologiche, soprattutto di tipo edafico, perché possa insediarsi lo stadio successivo. Ad ogni vegetazione climatofila corrisponde quindi una serie dinamica e nel territorio, a seconda del livello di impatto antropico, è possibile osservare la vegetazione climax con gli stadi collegati o solo questi se il livello di pressione antropica è stato tale da determinare la perdita delle fitocenosi climax. Dallo studio fitosociologico della vegetazione è possibile ricostruire le varie tappe che portano alla vegetazione climatofila. Nei nostri territori il climax è normalmente rappresentato da una vegetazione di tipo forestale, qui le interrelazioni ecologiche tra le specie componenti raggiungono il massimo grado di complessità, e ciò conferisce

 

 

stabilità al sistema. Il climax non è però statico nel tempo, ma subisce delle fluttuazioni intorno a uno stadio medio.

La vegetazione climax assume un notevole significato applicativo, in quanto permette di pianificare gli interventi di restauro ambientale e di riforestazione tenendo conto delle potenzialità della vegetazione. Si evitano così errori quali l'impianto di specie non idonee, che comportano dei danni sia dal punto di vista ambientale che economico. Basti pensare agli impianti di conifere attaccate dalla processionaria o a quelli di specie esotiche affini a quelle autoctone che creano non pochi problemi di inquinamento genetico delle popolazioni locali. Tenendo conto delle potenzialità della vegetazione è invece possibile riportare naturalità all'interno di un'area attualmente degradata, consentendo il riformarsi di una vegetazione stabile, in equilibrio con l’ambiente ed in grado di auto mantenersi nel tempo. Il ripristino della vegetazione naturale permetterà inoltre di limitare gli interventi di gestione e manutenzione.

Serie di Vegetazione Il territorio della provincia reggina si presenta piuttosto complesso e diversificato sotto il profilo vegetazionale. Ciò è da collegare in una serie di fattori ecologici che condizionano la vegetazione, quali l'altitudine, l'eterogeneità geopedologica dei substrati, le caratteristiche topografiche (esposizione, inclinazione), il clima. Tutti questi fattori nel loro insieme determinano una notevole varietà di ambienti, che potenzialmente sono caratterizzati da specifiche tipologie di vegetazione climax. Come accennato in precedenza l’impatto antropico sulla vegetazione determina un mosaico di fitocenosi (boschi degradati, cespuglieti, pascoli, zone a vegetazione discontinua, ecc.) che risultano collegate tra di loro da una dinamica temporale e tendono a evolversi verso determinate formazioni climax. Si parla di rapporti seriali tra fitocenosi che appartengono alla stessa serie dinamica o sigmetum. Le serie dinamiche sono in primo luogo correlate alla natura dei substrati ed alle caratteristiche bioclimatiche del territorio. All’interno della serie dinamica è possibile individuare una fitocenosi climax con i relativi stadi di degradazione o di ricostituzione. Normalmente le formazioni climax sono rappresentate da cenosi forestali, o talora dalla macchia. A causa della modesta elevazione del massiccio non è presente, invece, una zona asilvatica interessata da formazioni climatofile di tipo oromediterraneo. Si riscontrano, comunque, numerosi esempi di cenosi arbustive pulvinate di tipo primario, ma esse assumono sempre un ruolo pedoclimacico, in corrispondenza soprattutto di stazioni cacuminali o prettamente rupestri. Questi aspetti durevoli extrazonali, legati ad habitat peculiari, sono tuttavia limitati a superfici di modesta estensione e, inoltre, non si può escludere del tutto un loro potenziale dinamismo verso forme di vegetazione più mature.

Qui di seguito sono descritte le serie di vegetazione climatofila presenti nel territorio della provincia di Reggio Calabria. Per ciascuna di queste serie è inoltre possibile indicare una o più serie di tipo edafico, che si localizzano in particolari contesti dove, specifici condizionamenti del substrato, impediscono il raggiungimento dello stadio climax. In generale all’interno di un territorio potenzialmente interessato da una determinata serie dinamica è possibile individuare serie edafofile di tipo xerofilo, legate a particolari condizioni ambientali che impediscono l’evoluzione dei suoli come ad esempio l’acclività e serie edafofile igrofile, legate a suoli idromorfi caratterizzati da ristagno di acqua.

Serie della quercia castagnara e dell’olivastro (Oleo-Querceto virgilianae sigmetum)

Questa serie è presente in modo marginale nel territorio del Parco, si localizza nella fascia collinare del versante ionico meridionale e occidentale. L’associazione climatofila è costituita dal bosco di quercia castagnara con olivastro (Oleo-Quercetum virgilianae). Fanno parte della serie le seguenti fitocenosi: garighe a cisti (Cisto-Ericion), praterie steppiche a tagliamani (Avenulo-Ampelodesmion), praticelli effimeri (Tuberarion guttatae). All’interno di questa serie si rinvengono la edafoserie xerofila dell’euforbia arborea e dell’olivastro (Oleo-Euphorbieto dendroidis sigmetum) e quelle igrofile del salice bianco e del salice calabrese (Saliceto albo-brutiae sigmetum) e

 

 

dell’oleandro (Spartio-Nerieto oleandri sigmetum). La serie è localizzata su calcari, arenarie, argille e più raramente su metamorfiti in ambiti a bioclima termomediterraneo subumido.

Serie della quercia castagnara e dell’erica (Erico-Querceto virgilianae sigmetum)

Questa serie è ben rappresentata nella fascia collinare e submontana dei versanti meridionali e nord-orientali del Parco. L’associazione climatofila è rappresentata dal bosco di quercia castagnara con erica (Erico-Quercetum virgilianae). Fanno parte della serie la macchia a calicotome e erica arborea (Calicotomo infestae-Ericetum arboreae), le garighe a cisto rosso e salvione (Cisto eriocephali-Phlomidetum fruticosae), i cespuglieti a ginestra odorosa (Spartium junceum), le praterie steppiche a tagliamani (Avenulo-Ampelodesmion mauritanici), i pascoli aridi subnitrofili (Echio-Galactition), ed i pratelli annuali effimeri (Tuberarion guttatae). Le edafoserie associate sono: serie dell’euforbia e dell’olivastro (Oleo-Euphorbieto dendroidis sigmetum), serie della sughera (Helleboro-Querceto suberis sigmetum), serie dell’ontano nero e dell’ontano napoletano (Alneto glutinoso-cordatae sigmetum), serie del salice bianco e del salice calabrese (Saliceto albo-brutiae sigmetum), serie dell’oleandro (Spartio-Nerieto oleandri sigmetum). L’Erico-Querceto virgilianae sigmetum si rinviene su substrati cristallini quali filladi, scisti, gneiss, graniti, conglomerati, su suoli bruni acidi (Tipic xerumbrepts) in ambiti a bioclima mesomediterraneo subumido.

Serie del farnetto e del leccio (Querceto frainetto-ilicis sigmetum)

L’associazione climax è rappresentata dal bosco misto di leccio e farnetto (Quercetum frainetto-ilicis). Compongono la serie le seguenti fitocenosi: macchia a sparzio spinoso e erica arborea (Calicotomo infestae-Ericetum arboreae), gariga a cisto di Montellier (Cisto-Ericion) e sparzio villoso, pratelli annuali effimeri (Tuberarion guttatae).

La serie è localizzata nella fascia collinare e submontana dell’Aspromonte orientale (da 200-300 m fino a 800 m), con bioclima meso-supramediterraneo umido su scisti, gneiss e graniti che originano suoli bruni acidi (Tipic xerumbrepts).

Serie del leccio (Teucrio siculi-Querceto ilicis sigmetum)

L’associazione climatofila è rappresentata dal bosco di leccio con camedrio siciliano (Teucrio siculi-Quercetum ilicis). Fanno parte della serie: cespuglieti a citiso villoso e ginestra dei carbonai (Cytiseto villoso-scoparii calicotometosum infestae), cespuglieti a ginestra viscosa calabrese (Centaureo-Adenocarpetum brutii), pratelli annuali effimeri (Tuberarion guttatae). All’interno di questa serie si rinvengono le edafoserie della sughera (Helleboro-Querceto suberis sigmetum), dell’ontano nero e dell’ontano napoletano (Alneto glutinoso-cordatae sigmetum), dell’ontano nero e della felce setifera (Polysticho-Alneto glutinosae sigmetum), e dell’acero napoletano e del carpino nero (Festuco exaltatae-Acereto neapolitani sigmetum).

La serie è localizzata nella fascia collinare superiore e submontana soprattutto sui versanti settentrionali e occidentali (da 500-600 m a 900-1100 m) con bioclima meso o supramediterraneo umido su vari substrati (filladi, scisti, gneiss, graniti, conglomerati) e su suoli a pH acido di tipo Ranchers (Typic Haplumbrepts), ben drenati e ricchi in scheletro grossolano, talora poco evoluti (protorankers).

 

 

Serie della quercia congesta (Erico arboreae-Querceto congestae sigmetum)

L’associazione climatofila è rappresentata dal bosco a quercia congesta ed erica arborea (Erico arboreae-Quercetum congestae); fanno parte della serie i cespuglieti dei Cytisetea striato-scoparii, in particolare il Cytisetum villoso-scoparii, e i pascoli mesofili dei Molinio-Arrhenatheretea. Le edafoserie correlate sono quella xerofila del pino calabrese (Hypochoerido-Pineto calabricae sigmetum), quella igrofila dell’ontano nero e della felce setifera (Polysticho-Alneto glutinosae sigmetum). Questa serie si localizza sui versanti poco acclivi o pianeggianti della fascia submontana e montana inferiore di tutto il massiccio da 800 a 1200 m, ed è meglio rappresentata sui versanti settentrionali e occidentali dove si localizza in ambienti con bioclima supramediterraneo umido o iperumido su suoli bruni acidi profondi e ben evoluti.

Serie del farnetto (Cytiso-Querceto frainetto sigmetum)

L’associazione climax è rappresentata dai boschi di farnetto con citiso trifloro (Cytiso-Quercetum frainetto). Fitocenosi componenti la serie sono i cespuglieti a citiso trifloro e ginestra dei carbonai (Cytisetum villoso-scoparii), i pascoli mesofili (Molinio-Arrhenateretea) e le garighe a Calicotome infesta e cisti (Cisto-Ericion).

Si localizza nella fascia submontana e montana da 700 a 1200 m dei versanti ionici orientali poco o mediamente acclivi nella fascia bioclimatica supramediterraneo umida o iperumida su suoli bruni acidi profondi e ben evoluti.

Serie del faggio con caglio peloso (Galio hirsuti-Fageto sigmetum)

Questa serie è molto diffusa nella fascia montana inferiore soprattutto sui versanti occidentali, meridionali da 1000-1200 m a 1400-1500. L’associazione climatofila è costituita dalla faggeta con caglio peloso (Galio hirsuti-Fagetum). Fanno parte della serie i cespuglieti a ginestra dei carbonai (Polygalo-Cytisetum scoparii), quelli a ginestra ghiandolosa calabrese (Centaureo-Adenocarpetum brutii), la vegetazione a felce aquilina e i pascoli mesofili (Molinio-Arrhenatheretea) del Barbareo-Bellidetum aspromontanae. Le edafoserie collegate sono rappresentate da quella del pino calabrese (Hypochoerido-Pineto calabricae sigmetum), quella della rovere meridionale (Aristolochio luteae-Querceto austroitalicae sigmetum) e quella dell’ontano nero (Euphorbio-Alneto glutinosae sigmetum). La serie si localizza in ambienti con bioclima supratemperato inferiore (submediterraneo) ad ombroclima umido o iperumido su gneiss e scisti che originano suoli bruni acidi in genere piuttosto profondi (Haplic phaeozen).

Serie del faggio con agrifoglio (Anemono apenninae-Fageto sigmetum)

L’associazione climatofila è rappresentata dalla faggeta ad agrifoglio (Anemono apenninae-Fagetum). Le fitocenosi che compongono la serie sono: cespuglieti a ginestra dei carbonai (Polygalo-Cytisetum scoparii), vegetazione a felce aquilina (Pteridium aquilinum), pascoli mesofili (Barbareo-Bellidetum aspromontanae); pascoli camefitici a piantaggine nana (Armerio aspromontanae-Plantaginetum humilis). A questa serie sono collegate le edafoserie dell’ontano nero e dell’euforbia (Euphorbio-Alneto glutinosae sigmetum), quelli di tasso dell’Ilici-Taxetum baccatae localizzati nei valloni esposti verso il tirreno, e quella dell’ontano napoletano con asperula (Asperulo-Alneto cordatae sigmetum) localizzata sui versati caratterizzati dall’affioramento della falda freatica o da una sua notevole superficialità. La serie è presente sul versante settentrionale da 800-900 m a 1300-1400 m e lungo il Dossone della Milia, in ambiti a bioclima supratemperato

 

 

inferiore (submediterraneo) umido o iperumido con marcati caratteri di oceanicità. Si insedia su scisti, gneiss e graniti che originano suoli bruni acidi profondi (Haplic phaeozen).

Serie del faggio con campanula a calice peloso (Asyneumo trichocalycinae-Fageto sigmetum)

Questa serie occupa tutta la fascia montana superiore dell’Aspromonte sopra i 1400-1500 m fino alle zone sommitali di Montalto (1956 m) che è caratterizzata da un bioclima supratemperato superiore iperumido. L’associazione climax è rappresentata dalla faggeta con campanula a calice peloso (Asyneumo trichocalycinae-Fagetum). Fanno parte della serie i pascoli camefitici pulvinati (Armerion aspromontanae), rappresentati nelle zone sommitali dai pascoli camefitici a piantaggine nana (Armerio aspromontanae-Plantaginetum humilis); mentre sui versanti erosi con affioramenti rocciosi sin rinvengono i pascoli camefitici a cinquefoglie calabrese (Armerio-Potentilletum calabricae). Fanno inoltre parte della serie i pratelli terofitici dello Sclerantho-Myosotidion incrassatae e la vegetazione dei detriti del Senecioni calabrici-Cardaminetum glaucae. All’interno di questa serie si rinvengono le edafoserie xerofile dell’abete appenninico con monotropa (Monotropo-Abieteto apenninae sigmetum) e dell’abete appenninico con ginepro emisferico (Junipero hemisphaericae-Abieteto apenninae sigmetum).

Serie della sughera (Helleboro-Querceto suberis sigmetum)

Normalmente questa edafoserie si insedia su substrati di natura granitica profondamente alterati particolarmente acidi. L’associazione finale della serie è rappresentata dal bosco di sughera con elleboro (Helleboro-Quercetum suberis); si localizza nella fascia mesomediterranea subumida o umida. Fanno parte della serie la macchia a erica e corbezzolo (Erico-Arbutetum), le praterie steppiche ad Ampelodesmos mauritanicus del Seselio-Ampelodesmetum mauritanici e i pratelli effimeri del Tuberarion guttatae. Si rinviene sul versante tirrenico (soprattutto fuori dal perimetro del Parco) presso M. Scrisi-Matiniti, Laureana di Borrello e San Grigio Morgeto, ma anche su quello ionico presso Gerace.

Serie del pino calabrese (Hypochoerido-Pineto calabricae sigmetum)

È stato possibile cartografare questa edafoserie in quanto occupa vaste superfici nella fascia montana ionica del massiccio aspromontano tra 1000 e 1500 m in conseguenza della particolare geomorfologia caratterizzata da superfici molto acclivi con esposizioni prevalente meridionali. Il substrato geologico, costituito da micascisti, paragneiss e gneiss granitoidi, è in genere affiorante e i suoli sono poco evoluti, spesso mancanti degli orizzonti superficiali. La edafoserie del pino calabro è in genere collegata a quella del Galio hirsuti-Fageto sigmetum, che però nella area cartografata è nel complesso poco rappresentato per le peculiari condizioni edafiche. Associazione edafoclimatofila della serie è la pineta a Pino calabro (Hypochoerido-Pinetum calabricae); fanno parte di questa edafoserie gli arbusteti del Cytisetum villoso-scoparii e i pascoli camefitici dell'Armerion aspromontanae quali in particolare l'Armerio aspromontanae-Dianthetum brutiae nelle zone a forte erosione e il Phleo ambigui-Brometum caprini sui pendi meno erosi.

 

 

2.1.1.5. Habitat 

Habitat di interesse comunitario della Direttiva CEE 92/43 prioritari La direttiva CEE 92/43, recepita in Italia dal D.P.R. n. 357 del 8.9.1997, definisce come habitat di interesse comunitario quelli contenuti nell’allegato A della stessa direttiva, tra questi alcuni sono considerati prioritari. Si tratta di ambienti molto peculiari, di notevole importanza per la conservazione della biodiversità nella CEE. In particolare all’art. 2 del su citato D.P.R. definisce gli habitat prioritari come ”i tipi di habitat naturali che rischiano di scomparire, per la cui conservazione l’Unione europea ha una responsabilità particolare a causa dell’importanza della loro area di distribuzione naturale e che sono evidenziati nell’allegato A al presente regolamento con un asterisco”. Nella designazione dei S.I.C. (Siti di Importanza Comunitaria) per la realizzazione della Rete ecologica europea “Natura 2000” i criteri utilizzati erano quelli che contenessero habitat prioritari o specie prioritarie

Qui di seguito sono riportati gli habitat prioritari contenuti nell’allegato A alla direttiva CEE 99/43 presenti nella Provincia di Reggio Calabria. Per ciascuno viene data una breve descrizione, ne viene illustrata l’importanza nella strategia di conservazione della biodiversità. Viene inoltre esaminata la distribuzione, la corrispondenza con le fitocenosi presenti nel territorio descritte in allegato 2, i siti SIC, ed eventuali altri siti, dove è presente l’habitat.

1120* Praterie di Posidonie (Posidonion oceanicae)

Descrizione

Praterie marine a Posidonia oceanica della fascia infralitorale del Mediterraneo localizzate su fondali sabbiosi, a profondità variabile da qualche dozzina di metri a 20-30 m. Possono sopportare variazioni di temperature e del moto ondoso ma richiedono salinità costante tra il 36 e il 39‰.

Importanza

Le praterie marine a Posidonia sono delle cenosi climax ad elevata biodiversità, importanti nursery per pesci. Assumono anche un notevole interesse commerciale per la pesca e contribuiscono in modo determinante nella la salvaguardia dall'erosione costiera. Questo habitat subisce l’impatto degli ancoraggi e del eccessivo deposito conseguente a materiali di risulta provenienti da opere di reggimentazione fluviale e da discariche di inerti sulle spiagge.

Distribuzione nel territorio

Fondali sabbiosi di tutta la provincia

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

• IT9350172 - Fondali da Punta Pezzo a Capo dell'Armi

• IT9350173 - Fondali di Scilla

1150* Lagune costiere Descrizione

Distese di acque salate costiere con salinità e altezza dell’acqua variabili, separate dalla mare da un cordone di sabbia o ghiaia, più raramente da un cordone roccioso.

Importanza

Le lagune costituiscono degli habitats straordinari nei quali si sviluppano forme di vita animale e vegetale molto peculiari. Essi rappresentano un luogo di sosta per l’avifauna migratrice che utilizza le linee di costa come direttrice delle rotte di migrazione. Gli ambienti lagunari costieri sono stati profondamente modificati in tutto il bacino del mediterraneo in conseguenza del processo di urbanizzazione delle coste. La loro salvaguardia è quindi prioritaria nella politica di conservazione delle coste e dei loro ambienti.

 

 

Distribuzione nel territorio

L’unica località dove si rinviene questo habitat è la laguna costiera di Saline Ioniche

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

La notevole variazione della salinità e del livello dell’acqua non consentono il formarsi di fitocenosi stabili nella laguna di Saline ioniche attorno alla stessa è presente la vegetazione alofila perenne palustre a salicornia fruticosa che viene periodicamente inondata

SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

• IT9350143 - Saline Joniche

1510* Steppe salate mediterranee Descrizione

Associazioni ricche in piante perenni (Limonium sp. pl., Lygeum spartum) tipiche delle depressioni costiere del Mediterraneo, caratterizzate da elevata salinità su suoli, temporaneamente invasi ma non inondati dall’acqua salata e sottoposti ad una notevole aridità estiva che comporta la formazione di affioramenti di sale.

Importanza

Le steppe salate mediterranee ospitano specie della flora e della fauna molto peculiari e contribuiscono al mantenimento di elevati valori di biodiversità. Questo habitat si sviluppa in ambienti costieri pianeggianti che per la loro ubicazione sono stati da tempo bonificati e utilizzati per opere di urbanizzazione e nella realizzazione di infrastrutture.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

• Vegetazione alofila perenne palustre a Salicornia fruticosa

Distribuzione nel territorio

L’unica località dove si rinviene questo habitat è la laguna costiera di Saline Ioniche

SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

• IT9350143 - Saline Ioniche

3170* Stagni temporanei mediterranei Descrizione

Piccole depressioni umide periodicamente soggette nel corso dell’anno a temporanee sommersioni da parte di acque meteoriche che non superano alcuni centimetri. Sono interessati da una vegetazione effimera a dominanza di nanoterofite, piccole geofite ed emicriptofite.

Importanza

Gli stagni temporanei mediterranei ospitano una flora costituita da piccole igrofite effimere rare o poco comuni esclusive di questi ambienti. Si tratta di ambienti molto fragili che sono facilmente impattati da azioni quali le trasformazioni agricole del territorio.

Distribuzione nel territorio

Depressioni umide degli altopiani (Pini d’Aspromonte, Piani di Reggio) depressioni ai margini dei corsi d’acqua soprattutto nei tratti terminali in prossimità delle foci.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

Rientrano in questo habitat le fitocenosi igrofile effimere degli stagni temporanei della classe Isoëto-Nanojuncetea Br.-Bl. & R. Tx. ex Westhoff et al. 1946

 

 

• Vegetazione igrofila effimera a lisca setacea e centocchio dei ruscelli (Isolepido-Stellarietum alsines W. Koch ex Libbert 1932)

• Vegetazione igrofila effimera a zigolo dicotomo (Cypero-Fimbristylidetum bisumbellatae Slavnic 1951)

• Vegetazione igrofila effimera a zigolo nero e spergularia comune (Cypero fusci-Spergularietum rubrae Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

• Vegetazione igrofila effimera a erba di S. Barbara bratteata e corrigiola litorale (Barbareo-Corrigioletum litoralis Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

• IT9350150 - Contrada Gornelle

• IT9350151 - Pantano Flumentari

• IT9350146 - Fiumara Bonamico

Altri siti dove si rinviene l’habitat

• Fiumara Amendolea

• Contrada Piscopio

• Ferruzzano

6220* Pseudosteppe di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea Definizione

Formazioni erbacee a dominanza di specie annuali (terofite) della fascia termo e meso mediterranea tipiche di suoli oligotrofici sia calcarei che silicei. Questo habitat si trova spesso all’interno di formazioni erbacee perenni quali le praterie steppiche a sparto (Lygeum spartum), tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus) e barboncino (Hyparrhenia hirta).

Distribuzione nel territorio

Questo è l’habitat prioritario meglio rappresentato nel territorio della provincia di Reggio Calabria, è presente soprattutto sul versante ionico nella fascia costiera in quella collinare, mentre diventa più sporadico in quella submontana.

Importanza

Questo habitat contribuisce in modo determinante al mantenimento degli elevati valori di biodiversità che si registrano nella provincia reggina. In essi si rinviene un ricco corteggio di piante annuali (terofite) e di bulbose (geofite), tra le quali bisogna annoverare diverse specie di orchidee spontanee.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

In questo habitat rientrano numerose fitocenosi a dominanza di specie annuali che possono essere complessivamente riunite in due classi di vegetazione:

• Vegetazione annuale termo-xerofila basifila (Thero-Brachypodietea Br.-Bl. 1947)

• Vegetazione annuale termo-xerofila acidofila (Tuberarietea guttatae (Br.-Bl.) Rivas Goday & Rivas Martinez 1963)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

 

 

• IT9350144 - Calanchi di Palizzi Marina

• IT9350131 - Pentadattilo

• IT9350132 - Fiumara di Melito

• IT9350135 - Vallata del Novito e Monte Mutolo

• IT9350136 - Vallata dello Stilaro

• IT9350138 - Calanchi di Maro Simone

• IT9350139 - Collina di Pentimele

• IT9350140 - Capo dell'Armi

• IT9350141 - Capo S. Giovanni

• IT9350142 - Capo Spartivento

• IT9350145 - Fiumara Amendolea (incluso Roghudi, Chorio e Roccaforte del Greco)

• IT9350146 - Fiumara Bonamico

• IT9350147 - Fiumara Laverde

• IT9350148 - Fiumara di Palizzi

• IT9350149 - Sant'Andrea

• IT9350163 - Pietra Cappa-Pietra Lunga-Pietra Castello

• IT9350174 - Monte Tre Pizzi

• IT9350176 - Monte Campanaro

• IT9350177 - Monte Scrisi

• IT9350178 - Serro d'Ustra e Fiumara Butrano

• IT9350179 - Alica

• IT9350181 - Monte Embrisi e Monte Torrione

• IT9350182 - Fiumara Careri

Altri siti dove si rinviene l’habitat

• Spropoli

• Contrada Scilindermeno (Bova)

• Fiumara di Condofuri

7110* Torbiere alte attive Descrizione

Ambienti umidi con acque acide e oligotrofiche caratterizzati da una vegetazione igrofila a sfagni e muschi che grazie al clima particolarmente umido formano una massa di sostanza organica detta torba sulla quale si insediano piante vascolari. La torbiera si dice attiva se il processo di formazione della torba è ancora in atto.

Distribuzione nel territorio

 

 

Questo habitat ha una distribuzione puntiforme e si rinviene sull’altopiano del Dossone della Melia che collega l’Aspromonte propriamente detto con le Serre. In particolare è presente al Piano Gulata presso Canolo Nuovo e presso il Vallone Cerasella.

Importanza

Le torbiere sono ambienti unici che ospitano una diversità di forme di vita sia animale che vegetale strettamente legata a questo ambiente. Parecchie delle specie che vi si rinvengono sono considerate a rischio di estinzione per la ridotta estensione di questo ambiente e la costante pressione antropica cui è sottoposto che ne sta determinando una sempre più accentuata riduzione. Tra le specie a rischi presenti in questo habitat sono da ricordare Veronica scutellata, Potamogetom polygonifolius, Carex stellulata e Ranunculus fontanus.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

• Vegetazione delle torbiere a sfagno inondato e carice stellata (Sphagno inundati-Caricetum stellulatae Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

• Vegetazione rivulare delle torbiere a brasca poligonifolia e ranuncolo fontinale (Ranunculo fontani-Potametum polygonifolii Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

• Vegetazione fontinale a carice ascellare e osmunda regale (Carici remotae-Osmundetum regalis Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

• IT9350134 - Canolo Nuovo, Zomaro, Zillastro

• IT9350156 - Vallone Cerasella

7220* Sorgenti pietrificanti con formazione di travertino (Cratoneurion) Descrizione

Habitat a distribuzione puntiforme o lineare caratterizzato dalla presenza del muschio Cratoneuron commutatum, in grado di far depositare i sali di calcio dando origine a rocce di origine biogena.

Distribuzione nel territorio

Questo habitat si localizza in genere in valli profonde su superfici molto acclivi in corrispondenza dell’affioramento della falda in prossimità di corsi d’acqua. E’ meglio rappresentato nella fascia collinare e submontana del versante tirrenico, ma si rinviene anche su quello ionico.

Importanza

In questi ambienti sullo strato muscinale di Cratoneuron commutatum si insediano in genere varie pteridofite comuni come il capel venere (Adianthus capillus veneris) ma altre rare come la felce bulbifera (Woodwardia radicans) e la pteride a foglie lunghe (Pteris vittata)

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

• Vegetazione rupicola igrofila a capelvenere (Eucladio-Adiantetum Br.-Bl. ex Horvatic 1934)

• Vegetazione rupicola igrofila a cratoneuro e capelvenere (Adianto-Cratoneuretum commutati Privitera & Lo Giudice 1986)

• Vegetazione rupicola igrofila a pteride a foglie lunghe (Adianto-Pteridetum vittatae Brullo, Lo Giudice & Privitera 1989)

• Vegetazione rupicola igrofila a trachelio azzurro (Trachelio-Adiantetum O. Bolòs 1957)

• Vegetazione fontinale basifila a cratoneuro (Cratoneuretum commutati Aichinger 1933)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

 

 

• IT9350148 - Fiumara di Palazzi

• IT9350162 - Torrente S. Giuseppe

• IT9350165 -Torrente Portello

• IT9350166 - Vallone Fusolano (Cinquefrondi)

• IT9350167 - Vallone Moio

• IT9350168 - Fosso Cavaliere(Cittanova)

• IT9350169 - C/da Fossia (Maropati)

• IT9350164 - Torrente Vasì

Altri siti dove si rinviene l’habitat

• Vallone Trunca (Valanidi)

• Montebello

9180* Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion Descrizione

Boschi misti di latifoglie mesofile decidue localizzati in forre e valli profonde caratterizzati da Acer pseudoplatanus, Fraxinus excelsior, Tilia cordata, Ulmus glabra, Corylus avellana. Nel territorio questi boschi si arrochiscono di Acer neapolitanum e Ostrya carpinifolia. Sono localizzati su substrati sia calcarei che silicei in corrispondenza di macereti, depositi colluviali grossolani ai piedi di versanti.

Distribuzione nel territorio

Questo habitat è presente in alcuni valloni del versante tirrenico particolarmente umidi e freschi situati nella fascia collinare e submontana tra 400 e 1000 m di quota

Importanza

In questo habitat si localizzano alcune “latifoglie nobili” come specie del genere Acer, Tilia e Ulmus di notevole interesse oltre che naturalistico anche tecnologico e forestale. I Boschi di forra contribuiscono in modo determinante nel controllo della stabilità dei versanti e nel mantenimento di condizioni microclimatiche stabilmente umide e ombrose che consentono la sopravvivenza di altre fitocenosi di particolare pregio naturalistico come la vegetazione a Woodwardia radicans.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

• Bosco misto di nocciolo e acero napoletano (Corylo-Aceretum neapolitani Brullo, Scelsi & Spampinato)

• Bosco di acero napoletano con festuca maggiore (Festuco exaltatae-Aceretum neapolitani Mazzoleni & Ricciardi 1995)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat:

• IT9350162 -Torrente S. Giuseppe

• IT9350165 -Torrente Portello

• IT9350166 - Vallone Fusolano (Cinquefrondi)

• IT9350167 - Vallone Moio

• IT9350168 - Fosso Cavaliere(Cittanova)

 

 

• IT9350137 - Prateria (Galatro, San Pietro di Caridà)

• IT9350156 - Vallone Cerasella

• IT9350164 - Torrente Vasì

Altri siti dove si rinviene l’habitat

• T. Barvi

• Contrada Zivernà (Oppido M.)

91E0* Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Salicion albae)

Descrizione

Foreste ripali su suoli alluvionali della fascia montana e submontana caratterizzate dalla dominanza di ontano nero (Alnus glutinosa) al quale si associano altri alberi igrofili come Fraxinus excelsior, Fraxinus angustifolia e Salix alba.

Distribuzione nel territorio

Questo habitat si localizza lungo i corsi d’acqua perenni della fascia montana e submontana.

Importanza

Le ontanete ripali costituiscono un habitat che offre rifugio a diverse specie igrofile tra cui in particolare alcune rare felci come Osmunda regalis, Woodwardia radicans, Dryoptersis affinis e Asplenium scolopendrium.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

• Boschi ripali ad ontano nero e napoletano (Alnetum glutinoso-cordatae Brullo & Spampinato 1997)

• Boschi ripali di ontano nero e salice tirrenico (Alno-Salicetum tyrrhenicae Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

• Alneto a felce setifera (Polysticho-Alnetum glutinosae Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

• Alneto con euforbia corallina (Euphorbio corallioides-Alnetum glutinosae Brullo & Furnari in Barbagallo et al. 1982 )

• Ripisilva a Salice dell'Aspromonte (Geranio versicoloris-Salicetum oropotamicae Brullo & Spampinato 1997)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat:

• IT9350137 - Prateria (Galatro, San Pietro di Caridà)

• IT9350146 - Fiumara Bonamico

• IT9350154 - Torrente Menta

• IT9350157 - Torrente Ferraina

• IT9350161 - Torrente Lago

• IT9350164 - Torrente Vasì

• IT9350165 -Torrente Portello

• IT9350167 - Vallone Moio

• IT9350159 - Bosco di Rudina

Altri siti dove si rinviene l’habitat

 

 

• Fiumara Annunziata

• Contrada Vizzanola

• Torrente Pietragrande

• Ponte Scrisà presso Scido

• Torrente Rondone

9210* Faggete degli Appennini con Taxus e Ilex Descrizione

Faggete termofile dell’Appennino con presenza di tasso e agrifoglio

Distribuzione nel territorio

L’habitat 9210 è nel complesso ben rappresentato in tutta la fascia montana del versante tirrenico dell’Aspromonte, sul dossone della Melia e sulle Serre.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

• Faggeta macroterma oceanica ad agrifoglio ed anemone appenninica (Anemono apenninae-Fagetum (Gentile 1969) Brullo 1984 em. Ubaldi et al 1990)

• Faggete con tasso e agrifoglio (Ilici-Taxetum baccatae Brullo, Minissale & Spampinato 1996)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat:

• IT9350121 - Bosco di Stilo-Bosco Archiforo

• IT9350133 - Monte Basilicò - Torrente Listì

• IT9350134 - Canolo Nuovo, Zomaro, Zillastro

• IT9350137 - Prateria (Galatro, San Pietro di Caridà)

• IT9350150 - Contrada Gornelle

• IT9350156 - Vallone Cerasella

• IT9350166 - Vallone Fusolano (Cinquefrondi)

• IT9350175 - Piano Abbruschiato

Altri siti dove si rinviene l’habitat

• Torrente Barvi

• M. Misafumera

• Contrada Cerovala (Piminoro)

9220* Faggete degli Appennini con Abies alba e faggeti con Abies nebrodensis Definizione

Boschi misti di faggio ad abete bianco con dominanza dell'una o dell'altra specie che interessano l'Appennino centrale e meridionale; e aspetti di vegetazione forestale ad Abies nebrodensis presenti in Sicilia sulle Madonie.

Distribuzione nel territorio

L’habitat 9220 è abbastanza diffuso in tutta la fascia montana sopra i 1000-1200 m e corrisponde ai boschi misti di faggio e abete bianco appenninico

 

 

Importanza

Questo habitat assume particolare importanza nella conservazione della particolare biodiversità rappresentata delle popolazioni meridionali di abete bianco che nelle loro caratteristiche ecologiche e morfologiche differiscono da quella tipica e sono state riferite ad una particolare sottospecie (Abies alba ssp. appenninica) (Brullo, Scelsi & Spampinato 2001). Questo particolare taxa si trova anche nell’habitat 9510 che però è estremamente localizzato nel territorio.

Fitocenosi che rientrano in questo Habitat

• Faggeta macroterma oceanica ad agrifoglio ed anemone mista ad abete bianco

• Faggeta macroterma suboceanica a caglio peloso mista ad abete bianco

• Faggeta microterma campanula mista ad abete bianco

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

• IT9350133 - Monte Basilicò - Torrente Listì

• IT9350152 - Piani di Zervò

• IT9350153 - Monte Fistocchio e Monte Scorda

• IT9350154 - Torrente Menta

• IT9350155 - Montalto

• IT9350156 - Vallone Cerasella

• IT9350157 - Torrente Ferraina

• IT9350175 - Piano Abbruschiato

• IT9350180 - Contrada Scala

Altri siti dove si rinviene l’habitat

• Piano Patrona

• M. Cannavi

• Puntone dell’Albara

• Contrada Maiddi

• Contrada Nardello

9510* Abetine sud appenniniche di Abies alba Definizione

Boschi relitti a dominanza di abete bianco dell’Appennino Meridionale, localizzati all’interno della fascia delle faggete.

Distribuzione nel territorio

Aree cacuminali e dossi erosi della fascia montana superiore dell’Aspromonte tra 1500 e 1900 m

Importanza

Le abetine sono formazioni relittuali la cui origine può essere fatta risalire al terziario quando sulle montagne mediterranee era ben sviluppata una fascia di vegetazione a conifere. L’arrivo del faggio nel quaternario, in seguito ad una modificazione del clima verso una maggiore oceanicità, ha determinato l’accantonamento di queste peculiari formazioni forestali in poche aree di limitata estensione.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

• Bosco ad abete appenninico e ginepro emisferico (Junipero hemisphaericae-Abietetum apenninae Brullo Scelsi & Spampinato 2001)

 

 

• Abetine con ipopitide (Monotropo-Abietetum apenninae Brullo Scelsi & Spampinato 2001)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

• IT9350154 - Torrente Menta

• IT9350155 - Montalto

Altri siti dove si rinviene l’habitat

• Serro Luncari

• Serro Sgarrone

9530* Pinete (sub-)mediterranee di pini neri endemici

Descrizione

Foreste mediterraneo-montane caratterizzate dalla dominanza di specie endemiche del ciclo di Pinus nigra. In Calabria si rinviene Pinus nigra ssp. calabrica (= Pinus laricio var. calabrica) endemica dei rilievi silicei dell’Appennino Calabrese e dell’Etna.

Distribuzione nel territorio

L’habitat 9530 è diffuso in sul versante ionico della fascia montana dell’Aspromonte tra 1200 e 1500 m di quota

Importanza

Questo habitat esplica una notevole importanza nella conservazione del particola patrimonio genetico del pino calabro. Esso svolge un’azione insostituibile e preziosa nel consolidamento dei versanti fortemente acclivi ed erosi e nell’avvio di processi pedogenetici che portano all’affermarsi dei boschi di latifoglie.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

Pineta a Pino calabro (Hypochoerido-Pinetum calabricae Bonin ex Brullo, Scelsi & Spampinato 2001)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat:

• IT9350134 - Canolo Nuovo, Zomaro, Zillastro

• IT9350154 - Torrente Menta

• IT9350157 - Torrente Ferraina

• IT9350178 - Serro d'Ustra e Fiumara Butramo

• IT9350180 - Contrada Scala

Altri siti dove si rinviene l’habitat

• Maesano

• Casello Cano

• Contrada Casalino

9560* Foreste endemiche di Juniperus spp. Descrizione

Boschi o macchia alta a dominanza di ginepri dei territori mediterranei, ai quali si associano diverse altre specie sempreverdi della macchia mediterranea.

Distribuzione nel territorio

 

 

Questo habitat in passato era diffuso nella fascia collinare del versante meridionale dell’Aspromonte su substrati marnosi o argillosi. La forte manomissione di questo territorio e la scarsa resilienza di questo habitat (capacità di ricostituirsi dopo un impatto che lo danneggia) ne hanno determinato la quasi totale scomparsa così che attualmente si trova accantonato presso M. Pappagallo tra Condofuri Marina e Bova Marina

Importanza

Le foreste di ginepri sono degli ambienti tipici dell’area mediterranea che si localizzano su substrati difficili per la vita vegetale. La lenta crescita dei ginepri rende questi habitat particolarmente fragili e suscettibili di scomparsa.

Fitocenosi che rientrano in questo habitat

• Bosco a ginepro fenicio e olivastro (Oleo-Juniperetum turbinatae Arrigoni, Bruno, De Marco & Veri 1989)

Siti SIC della Provincia dove si rinviene l’habitat

• IT9350145 - Fiumara Amendolea (incluso Roghudi, Chorio e Roccaforte del Greco)

 

 

Bibliografia ai Cap 2.1.1.3, 2.1.1.4 e 2.1.1.5 Biondi E., Ballelli S., Allegrezza M., Taffetani F., Francalancia C., 1996 – La vegetazione delle "fiumare" del versante ionico lucano calabro. Fitosociologia, 27: 51‐66. 

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2.1.2. Aree protette istituite ai sensi della legge n. 394/91 

2.1.2.1. Parco Nazionale dell’Aspromonte Parte descrittiva

Il Parco Nazionale dell’Aspromonte ha intrapreso un ambizioso progetto per la reintroduzione del capriolo estinto dal territorio provinciale dai primi anni del secolo scorso. Il progetto, articolato in tre fasi (Studio di fattibilità, fase progettuale e fase esecutiva), ha evidenziato le condizioni di fattibilità attraverso uno specifico studio di fattibilità che ha coinvolto a pieno titolo anche il mondo venatorio con un contributo in termini di volontariato senza precedenti per il contesto Calabrese. Attualmente sono già state effettuate diverse sessioni di rilascio con caprioli provenienti dalla Provincia di Grosseto e Siena, appartenenti alla sottospecie italica, nel periodo compreso tra novembre 2008 e febbraio 2010. Il monitoraggio attraverso tecniche radio-telemetriche all’avanguardia (GPS-GSM) di un campione rappresentativo degli animali rilasciati, ha permesso da un lato di evidenziare un buon successo dell’operazione, e dall’altro lo spostamento di alcuni individui anche nelle porzioni di territorio immediatamente adiacenti l’area protetta e di competenza dell’ATC RC1. Questo fenomeno era d’altronde atteso in quanto gli animali selvatici non riconoscono i confini amministrativi definiti dall’uomo, ma tendono ad occupare lo spazio a loro disposizione in funzione delle disponibilità ambientali (nel senso pià ampio del termine), oltre che dall’andamento stagionale. L’orografia del territorio aspro montano infatti determina una forte stagionalità nelle porzioni poste a quote pià elevate, che hanno come conseguenza migrazioni stagionali degli animali in senso altitudinale. Il progetto prevede ancora una annualità di rilasci con il fine di costituire una popolazione minima stabile e in grado di auto sostenersi nel tempo.

In tale ottica è evidente che la popolazione di capriolo neo insediata, andrà a costituire nel tempo un capitale faunistico di elevato interesse naturalistico, non solo per l’area protetta, ma anche per le porzioni esterne ad essa. E opportuno ricordare che tale progetto rientra tra quelli ritenuti prioritari da “Piano d’Azione Nazionale per la conservazione del capriolo italico (Capreolus capreolus italicus) redatto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in collaborazione con l’ISPRA.

Parte propositiva

Per quanto concerne il capriolo, non cacciabile in Calabria, non è previsto nessun intervento particolare se non la massima tutela della specie. Gli ATC dovranno impegnarsi a raccogliere, attraverso i propri cacciatori, il maggior numero di informazioni riguardo la presenza della specie al di fuori del territorio del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Nell’ambito temporale di validità del PFV, gli ATC, in accordo con l’Amministrazione Provinciale e di concerto con il PN dell’Aspromonte, possono avviare progetti analoghi a quello già in corso di attuazione per il consolidamento della specie anche sul territorio di propria competenza; resta inteso che in nessun caso potranno essere effettuati rilasci di animali senza un accurato studio di fattibilità (cfr Piano d’Azione Nazionale) e con l’utilizzo di animali non certificati per quanto riguarda l’origine (individui appartenenti alla sottospecie italica certificati attraverso analisi genetiche effettuate presso l’ISPRA).

Denominazione: Parco Nazionale dell’Aspromonte

Istituzione: 28-agosto-1989

Provvedimento istitutivo: L. 305, 28.08.89 - D.P.R. 14.01.1994

Superficie (ha): 76.053

Province: Reggio Calabria

Comuni: Africo, Antonimia, Bagaladi, Bova, Bruzzano Zeffirio, Canolo, Cardato, Careri, Ciminà, Cinquefrondi, Cittanova, Condofuri, Cosoleto, Delianuova, Gerace, Mammola, Molochio, Oppido Mamertina, Palazzi, Platì, Reggio Calabria, Roccaforte del Greco, Roghudi, S. Eufemia, S. Agata,

 

 

S. Cristina, Samo, San Giorgio Morgeto, San Lorenzo, San Luca, San Roberto, Santo Stefano in Aspromonte, Scido, Scilla, Sinopoli, Staiti, Varapodio.

Territorio

L’Aspromonte costituisce l’ultimo tratto delle “Alpi Calabresi”, termine con il quale in geologia viene indicato il complesso montuoso formato dalla Sila, dalle Serre e dall’Aspromonte, per evidenziare il fatto che queste montagne, formate da rocce cristalline hanno un’origine ed una geologia diverse dall’Appennino vero e proprio, che è di origine sedimentaria a predominanza calcarea e termina a sud con il Pollino e l’Orsomarso.

Esso si presenta come un’enorme piramide di roccia che, abbracciata da due mari - Jonio e Tirreno - s’inerpica fino ai 1955 m di Montalto, la sua cima più alta: un perfetto belvedere naturale da cui si può ammirare in tutta la sua bellezza lo Stretto di Messina.

Nella sua parte più alta il massiccio si presenta come un complesso di altipiani, mentre i pendii scendono verso il mare talora con giganteschi terrazzi - detti piani o campi - talaltra con strette e suggestive vallate, animate da torrenti dal corso impetuoso che, durante il tragitto, raccolgono l’acqua di affascinanti cascate (Forgiarelle, Maesano).

I torrenti dell’Aspromonte, le “fiumare”, si presentano con ampi letti di detriti, secchi per quasi tutto l’anno, ma che con le piogge invernali vengono inondati improvvisamente dall’acqua. Lungo il corso di una di queste, la fiumara Bonamico, una gigantesca frana ha dato origine al lago Costantino, unico lago di sbarramento italiano ad avere una origine recentissima: 31 dicembre 1972.

Tipica dell’Aspromonte è la presenza delle “pietre”, grandi conglomerati rocciosi modellati dal vento e l’acqua hanno dato forme particolari che hanno fatto meritare loro nomi particolari: la Pietra di Febo, la Pietra Castello, le Rocche di San Pietro, le Rocce degli Smalidetti, la Pietra Cappa, la Pietra Lunga, la Pietra Castello, la Rocca del Drago.

Limitate aree del massiccio aspromontano sono di natura calcarea come il tetti torio introno a Gerace e Canolo qui l’ erosione ha determinato la formazione delle peculiari guglie rocciore dette Dolomiti di Canolo.

Flora e Vegetazione

Il clima estremamente articolato del massiccio d’Aspromonte consente la presenza di una ricca e varia vegetazione.

Il clima di tipo temperato (fascia supratemperata, articolata in inferiore e superiore) si estende a tutta l’area montana al di sopra dei 1000-1100 m. La fascia supratemperata è dominata dai boschi di faggio, in limitate aree dei versanti settentrionali interessate da un regime di nebbie per buona parte dell’anno la faggeta si arricchisce della presenza del tasso (Taxus baccata). L’abete bianco diffuso all’interno della faggeta, solo in aree limitate da luogo a delle formazioni più o meno pure.

Sul versante ionico sotto i 1400 m le faggete vengono sostituite, limitatamente alle superfici più acclivi e soleggiate, con suoli poco evoluti, dalle pinete di pino laricio.

Frammista al faggio si trova talora la rovere meridionale (Quercus petraea ssp. austrotyrrhenica), la quale a causa di tagli e incendi si rinviene attualmente in individui isolati, molto vetusti, o più raramente in piccoli nuclei.

La Fascia supramediterranea è ben rappresentata soprattutto sul versante ionico, dove si sviluppa tra 1100-1200 e 900-1000 m. Essa è caratterizzata da un clima di tipo supramediterraneo ed è potenzialmente interessata da querceti caducifogli.

I boschi di farnetto (Quercus frainetto) si localizzano sui versanti orientali del massiccio aspromontano, i boschi di quercia congesta (Quercus congesta) sono localizzati nei tratti meno acclivi dei versanti meridionali, occidentali e settentrionali, su suoli profondi e ben umificati.

 

 

Nei valloni più ombreggiati e freschi sono presenti i boschi misti di acero napoletano (Acer neapolitanum), carpino nero (Ostrya carpinifolia) e leccio (Quercus ilex).

La Fascia mesomediterranea si localizza tra 400-600 e 800-1000 m, in genere sotto gli altopiani posti intorno a 1000 m.

Dopo le faggete le leccete sono la formazione forestale più diffusa, normalmente sono governate a ceduo e spesso appaiono degradate dall’incendio, dal pascolo e da errate utilizzazioni.

Sul versante ionico orientale la vegetazione forestale è caratterizzata dai i boschi misti di leccio e farnetto (Quercus frainetto). I boschi di sughera (Quercus suber) si rinvengono su limitate aree caratterizzate da suoli sabbiosi acidi.

Il taglio e l’incendio delle formazioni forestali ne determina la sostituzione con aspetti di macchia a erica (Ericion arboreae). La tipologia di macchia più diffusa è quella a erica (Erica arborea) e sparto spinoso (Calicotome infesta).

La fascia termomediterranea è ben rappresentata soprattutto sul versante ionico dell’Aspromonte dove la vegetazione si presenta spesso degradata dall’azione antropica.

I querceti termofili caducifogli a quercia castagnara (Quercus virgiliana) appaiono spesso molto degradati; essi si localizzano in aree dove più pressante l’azione antropica di utilizzazione del suolo a fini agricoli o pastorali.

Fauna

La ricchezza faunistica del Parco è stimabile come pari al 15% circa di quella dell’Italia compresa negli attuali confini politici. Si può calcolare che i Vertebrati presenti nel territorio ammontino a circa 140 specie, più o meno così ripartite: Pesci d’acqua dolce: 6; Anfibi 10; Rettili 14; Uccelli 70; Mammiferi, ivi inclusi i Pipistrelli, circa 40 specie.

Tra i Mammiferi sono da segnalare la Volpe (Vulpes vulpes), il Tasso (Meles meles), la Martora (Martes martes), la Faina (Martes foina), la Puzzola (Mustela putorius), la Donnola (Mustela nivalis), il Gatto selvatico (Felis silvestris), il Cinghiale (Sus scrofa), la Lepre appenninica (Lepus corsicanus), il Driomio (Dryomys nitedula aspromontis) e il Lupo (Canis lupus).

Tra gli uccelli vanno segnalati:

L’Aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus), l’Aquila reale (Aquila chrysaetos), il Falco pellegrino (Falco peregrinus), il Falco lanario (Falco biarmicus), il Gufo reale (Bubo bubo).

Le specie di Rettili finora segnalate come presenti nel parco sono 14 (1 tartaruga; 7 sauri; 6 serpenti):

Testuggine comune (Testudo hermanni), Geco comune (Tarentola mauretanica), Geco verrucoso (Hemidactylus turcicus), Lucertola campestre (Podarcis sicula), Lucertola muraiola (Podarcis muralis), Ramarro occidentale (Lacerta bilineata), Luscengola (Chalcides chalcides), Orbettino (Anguis fragilis), Biacco (Hierophis viridiflavus), Biscia dal collare (Natrix natrix), Saettone occhirossi (Elaphe lineata), Cervone (Elaphe quatuorlineata), Colubro liscio (Coronella austriaca), Vipera comune (Vipera aspis).

Nel Parco Nazionale sono state segnalate 10 specie di Anfibi: 7 anuri e 3 urodeli:

Anuri; Rospo comune (Bufo bufo), Rospo smeraldino (Bufo viridis), Rana verde minore (Rana esculenta), Rana agile (Rana dalmatica), Rana appenninica (Rana italica), Raganella italiana (Hyla intermedia), Ululone appenninico (Bombina pachypus).

Urodeli; Salamandra pezzata (Salamandra salamandra), Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), Tritone italiano (Triturus italicus).

Tra le specie ittiche si riscontrano la trota fario (Salmo trutta trutta), la trota macrostigma (Salmo trutta macrostigma) e la trota Iridea (Salmo gairdneri) introdotta dal Nord America.

 

 

2.1.2.2. Parco Naturale delle Serre Denominazione: Parco Naturale Regionale delle Serre

Provvedimento istitutivo: DPGR n. 16 - 10/02/2004

Superficie (ha): 17.687

Province: Catanzaro, Reggio Calabria, Vibo Valentia

Comuni: Acquaro, Arena, Badolato, Bivongi, Brognaturo, Cardinale, Davoli, Fabrizia, Gerocarne, Guardavalle, Maierato, Mongiana, Monterosso Calabro, Nardodipace, Pizzo, Pizzoni, Polia, Santa Caterina dello Ionio, Satriano, San Sostene, Serra San Bruno, Simbario, Sorianello, Spadola, Stilo.

Territorio

Le Serre costituiscono un gruppo montuoso piuttosto complesso di elevata valenza paesaggistico - naturale, che si salda a Sud con il massiccio montuoso dell’Aspromonte.

Si tratta sul piano geomorfologico di due lunghe e opposte catene montuose (Monte Covello, Cucco e Monte Pecoraro) che corrono quasi parallele lungo la catena degli Appennini. I massicci montuosi risultano divisi in parte dalle alti valli dei bacini dell’Ancinale, le ampie conche e dello Stilato (sul cui limite sorge la località Ferdinandea, famosa riserva di caccia Re Borbonici, attorno alla quale si estende il bosco di Stilo, nonché le imponenti cascate del Marmarico, che con un dislivello di 90 m, si tuffano nello Stilaro). Ma cascate altrettanto belle, anche se di dimensioni inferiori, adornano gli altri corsi d’acqua delle Serre, dando vita ad architetture naturali di incredibile suggestione; su tutte, la cascata di Pietra Cupa sulla fiumara Assi agro di Guardavalle, che con un rapidissimo scivolo di oltre 15 m percorre una liscia parete di roccia sormontata di alberi giganteschi e contorti fino a raggiungere un largo laghetto contornato di cespugli e arbusti.

Non lontano dall’Ancinale scorre il fiume Alaca, il cui corso trae origine dalla citata conca della Lacina e si snoda con un lungo percorso sul fondo di una stretta valle selvosa racchiudendo anch’esso mirabili architetture di rocce e di acque.

A Sud tra la F.ra Precariti, che dà vita ad un breve ma spettacolarissimo canyon, e la F.ra Amuse scorre l’altro importante corso d’acqua delle Sere, la F.ra Allaro, ma è la F.ra Assi, posta quasi al centro del versante ionico delle Serre, che racchiude ed esalta quasi sublimandoli, i caratteri dei bassi e medicarsi delle fiumare.

La natura geologica delle Serre è essenzialmente cristallina con presenza diffusissima di graniti, porfidi, serpentini, dioriti quarzifere ecc., ben evidenti dai culmini più elevati fin nei tratti finali dei corsi d’acqua. Peculiarità geologiche delle Serre sono anche i calanchi che soprattutto a Nord e ad Est incidono i versanti delle fasce sub-montane.

Flora e vegetazione

Le specie vegetali predominanti sono: Castagno (Castanea sativa), governato ad alto fusto nelle zone migliori ed a ceduo nelle altre, Pino laricio (Pinus nigra ssp. calabrica), Ontano nero (Alnus glutinosa), Ontano napoletano (Alnus cordata) in fustaie spontanee che ricoprono tutte le parti vallive, le zone più fresche e gli alvei fluviali, Faggio (Fagus sylvatica) a Abete bianco (Abies alba) presente a gruppi e a boschi puri e misti più o meno estesi nelle zone più alte e fredde, Leccio (Quercus ilex), Pioppo bianco (Populus alba), Pioppo tremulo (Populus tremula).

La vegetazione arbustiva è ricca delle più tipiche essenze della macchia mediterranea: Ginestra, Erica, Corbezzolo, Mirto, Fillirea, Cisto, Lentisco, Agrifoglio, ecc.

Fauna

 

 

Le specie più rappresentative della fauna delle Serre sono: il cinghiale, tra gli ungulati, volpe, tasso, gatto selvatico, donnola e faina, tra i piccoli carnivori. Và inoltre segnalata, tra i mammiferi, la presenza della lepre appenninica, recentemente innalzata al rango di specie.

Ricca l’avifauna, che annovera tra gli altri l’astore, lo sparviere, il gufo reale, il falco pellegrino, il corvo imperiale, tutte le specie di paridi presenti in Calabria, l’upupa, il picchio verde, il picchio rosso maggiore, e anche il raro picchio nero tra i picidi, il tordo bottaccio, qui segnalato anche in periodo di nidificazione, la beccaccia tra i migratori svernanti.

Le specie ittiche più comuni sono rappresentate dall’anguilla, dalla carpa e dalla trota fario.

2.1.3. Siti Rete Natura 2000 Nella provincia di Reggio Calabria sono presenti 2 ZPS (Zone di protezione Speciale) e 54 SIC (Siti di Importanza Comunitaria), designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE e della direttiva 92/43/CEE, idonee, per estensione e/o localizzazione geografica, alla conservazione delle specie di cui all’allegato I della stessa direttiva.

2.1.3.1 Siti di Importanza Comunitaria/Zone Speciali di Conservazione Tab. 4 – Siti di Importanza Comunitaria in provincia di Reggio Calabria e relativa superficie 

COD. SITO DENOMINAZIONE SITO AREA (ha)

IT9350121 Bosco di Stilo-Bosco Archiforo 4704,00

IT9350131 Pentidattilo 84,00

IT9350132 Fiumara di Melito 193,00

IT9350133 Monte Basilicò-Torrente Listi 326,00

IT9350134 Canolo Nuovo, Zomaro, Zillastro 483,00

IT9350135 Vallata del Novito e Monte Mutolo 485,00

IT9350136 Vallata dello Stilaro 648,00

IT9350137 Prateria 625,00

IT9350138 Calanchi di Maro Simone 60,00

IT9350139 Collina di Pentimele 111,00

IT9350140 Capo dell’Armi 67,00

IT9350141 Capo S. Giovanni 11,00

IT9350142 Capo Spartivento 41,00

IT9350143 Saline Joniche 38,00

IT9350144 Calanchi di Palizzi Marina 157,00

IT9350145 Fiumara Amendolea (Roghudi, Chorio e Rota Greco) 780,00

IT9350146 Fiumara Buonamico 1119,00

IT9350147 Fiumara Laverde 535,00

IT9350148 Fiumara di Palizzi 85,00

IT9350149 Sant’Andrea 28,00

IT9350150 Contrada Gornelle 83,00

IT9350151 Pantano Flumentari 58,00

 

 

IT9350152 Piani di Zervò 167,00

IT9350153 Monte Fistocchio e Monte Scorda 454,00

IT9350154 Torrente Menta 516,00

IT9350155 Montalto 312,00

IT9350156 Vallone Cerasella 256,00

IT9350157 Torrente Ferraina 438,00

IT9350158 Costa Viola e Monte S. Elia 474,00

IT9350159 Bosco di Rudina 177,00

IT9350160 Spiaggia di Brancaleone 111,00

IT9350161 Torrente Lago 163,00

IT9350162 Torrente S. Giuseppe 23,00

IT9350163 Pietra Cappa-Pietra Lunga-Pietra Castello 625,00

IT9350164 Torrente Vasi 232,00

IT9350165 Torrente Portello 25,00

IT9350166 Vallone Fusolano (Cinquefrondi) 23,00

IT9350167 Valle Moio (Delianova) 40,00

IT9350168 Fosso Cavaliere (Cittanova) 20,00

IT9350169 C/da Fossia (Maropati) 14,00

IT9350170 Scala-Lemmeni 53,00

IT9350171 Spiaggia di Pilati 6,10

IT9350172 Fondali da Punta Pezzo a Capo dell’Armi 1789,00

IT9350173 Fondali di Scilla 32,00

IT9350174 Monte Tre Pizzi 175,00

IT9350175 Piano Abbruschiato 246,00

IT9350176 Monte Campanaro 241,00

IT9350177 Monte Scrisi 296,00

IT9350178 Serro d’Ustra e Fiumara Butrano 2046,00

IT9350179 Alica 247,00

IT9350180 Contrada Scala 740,00

IT9350181 Monte Embrisi e Monte Torrione 394,00

IT9350182 Fiumara Careri 317,00

IT9350183 Spiaggia di Catona 23,00

Le 54 aree SIC che ricadono nel territorio della provincia rientrano in 12 delle venticinque tipologie proposte dal Ministero dell’Ambiente.

Di seguito, per ogni tipologia, vengono riportati gli ambienti caratterizzanti, riferimento per la gestione degli stessi, e le specie vegetali ed animali più importanti.

In particolare:

 

 

a) Siti a dominanza di Faggete con Abies, Taxus e Ilex IT9350121 - Bosco di Stilo-Bosco Archiforo

IT9350133 - Monte Basilicò - Torrente Listi

IT9350152 - Piani di Zervò

IT9350153 - Monte Fistocchio e Monte Scorda

IT9350154 - Torrente Menta

IT9350155 - Montalto

IT9350156 - Vallone Cerasella

IT9350157 - Torrente Ferraina

IT9350175 - Piano Abbruschiato

IT9350180 - Contrada Scala

Gli habitat determinanti la tipologia sono le *Faggete degli Appennini di Taxus e Ilex (9210), le *Faggete degli Appennini di Abies alba e A. nebrodensis (9220); i *Popolamenti dell’Appennino meridionale di Abies alba (9510).

Questo gruppo di siti forestali è caratterizzato da un insieme di habitat affini, nei quali la presenza di specie che possono essere interpretate come relitti terziari è piuttosto frequente (Taxus baccata, Ilex aquifolium, Daphne laureola). Per affinità ecologica e di distribuzione, sono comprese in questo gruppo anche le faggete con Abies alba e le abetine appenniniche. Si tratta di formazioni in cui la fisionomia, in genere, è determinata dal faggio o dall’abete.

Tra le specie caratterizzanti le faggete con tasso e/o agrifoglio, possono essere citate: Acer obtusatum, Adenostyles orientalis, Allium pendulinum, Anemone apennina, Aremonia agrimonoides, Asperula taurina, Cardamine chelidonia, Cardamine graeca, Daphne laureola, Doronicum orientale, Geranium versicolor, Lathyrus venetus, Lilium croceum, Potentilla micrantha, Ranunculus brutius e Viola alba subsp. dehnhardtii.

Sono presenti, inoltre, un folto gruppo di specie endemiche e specie comunque interessanti in chiave fitogeografica: Adenostyles australis, Alnus cordata, Arisarum proboscideum, Geranium versicolor e Luzula sieberi subsp. sicula.

La conservazione degli habitat presenti nei siti di questo gruppo è legata alle caratteristiche oceaniche del clima che, quando non sono evidenziabili a livello regionale, possono essere compensate da precipitazioni occulte o da suoli profondi, con buona capacità di ritenzione idrica.

L’interesse che esprimono questi siti è fortemente legato alla presenza delle specie sempreverdi, Abies, Taxus e Ilex. Lo stato di salute, la diffusione e il grado di copertura delle popolazioni, unitamente alla facilità e abbondanza della rinnovazione e alla presenza di varie classi di età, costituiscono il principale indicatore di qualità dei siti.

La presenza di comunità ornitiche tipicamente forestali-appenniniche, con particolare riferimento alle specie sub endemiche di picidi, indica una buona qualità complessiva, insieme alla presenza di grandi e medi carnivori, che sono legati alla presenza di ambienti forestali ben conservati (lupo, martora, gatto selvatico).

Le principali minacce per gli habitat d’interesse prioritario sono rappresentate da fenomeni di erosione del suolo, idrica incanalata e di massa (frane) e, più in generale, da fenomeni di degradazione del suolo per compattazione del terreno nelle aree umide (torbiere) dovuti a calpestio, ridotta estensione di buona parte di queste fitocenosi, confinate a popolamenti relitti, a causa della gestione attuata nel passato, raccolta incontrollata di specie d’interesse comunitario (Ilex aquifolium) e di funghi, con conseguenti possibili danni per l’insediamento e l’affermazione della rinnovazione delle specie forestali.

Le specie prioritarie presenti sono il lupo (Canis lupus) e il ferro di cavallo minore (Rhinolophus hipposideros minimus), entrambi mammiferi elencati nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE; la

 

 

salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata) e l’ululone italiano (Bombina pachypus) anfibi elencati nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE; l’Eriogaster catax invertebrato elencato nell’Allegato II Direttiva 92/43/EEC; il picchio nero (Dryocopus martius), la balia dal collare (Ficedula albicollis), uccelli migratori abituali non elencati dell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE; il regolo (Regulus regulus), il lucherino (Carduelis spinus), il crociere (Loxia curvirostra), uccelli migratori abituali non elencati nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE; la Buxbaumia viridis. pianta riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/EEC.

Altre specie importanti di flora e fauna presenti sono: l’abete (Abies alba.), l’acero napoletano (Acer neapolitanum), apollo (Parnassius apollo), la camomilla montana (Anthemis montana), la campanula delle faggete (Campanula trichocalycina), la carlina dei Nebrodi (Carlina nebrodensis), la digitale (Digitalis purpurea), il driomio (Dryomys nitedula), l’epipogio (Epipogium aphyllum), l’erniaria glabra (Herniaria glabra), il ginepro (Juniperus hemisphaerica), la ginestra d’Inghilterra (Genista anglica), la lereschia (Lereschia thomasii), Limodorum brulloi, la martora (Martes martes), l’osmunda regale (Osmunda regalis), la piantaggine (Plantago humilis), il pino laricio (Pinus laricio), la rana appenninica (Rana italica), la rana dalmatina (Rana dalmatina), la salamandra pezzata (Salamandra salamandra), la Soldanella calabrella, lo Sphagnum auriculatum, il tasso (Taxus baccata), il topo quercino (Eliomys quercinus), la viola dell’Etna (Viola aethnensis), la vipera (Vipera aspis).

b) Siti a dominanza di Faggete e boschi misti mesofili. IT9350162 - Torrente S. Giuseppe

IT9350166 - Vallone Fusolano (Cinquefrondi)

IT9350167 - Valle Moio (Delianova)

IT9350168 - Fosso Cavaliere (Cittanova)

Tra gli habitat determinati la tipologia quello rilevato è *Foreste dei versanti e valloni del Tilio-Acerion (9180).

Il gruppo include siti caratterizzati prevalentemente da faggete con affinità ecologiche e floristiche centro-europee, indicativamente riferibili al Fagion, e da boschi misti, di forra, con specie dei generi Tilia e Acer (*9180). Nei siti del gruppo, sono in particolare questi ultimi a interrompere la monotonia del paesaggio delle faggete e a innalzare la qualità ambientale complessiva. Sono boschi diffusi prevalentemente su substrati calcarei, più raramente silicei, in corrispondenza di depositi grossolani, situati al piede dei versanti o all’interno di valloni. Tra le specie più rappresentative, si possono citare Acer pseudoplatanus, A. platanoides, Asperula taurina, Fraxinus excelsior, Lunaria rediviva, Tilia cordata, T. plathyphyllos e Ulmus glabra.

Si tratta di siti caratterizzati prevalentemente da cenosi forestali il cui interesse è legato principalmente all’eterogeneità degli habitat in cui si ritrovano. E, poiché sono contraddistinti da una elevata ricchezza di specie, soprattutto della fauna del suolo, uno degli indicatori principali per la valutazione della loro qualità è rappresentato dalla verifica della loro presenza. Presenza di stenoendemiti, di elementi fitofagi specializzati (esclusivi), legati alle specie vegetali presenti quali la Rosalia alpina.

Inoltre, considerata la grande varietà delle cenosi forestali, un indicatore faunistico è dato dalla ricchezza delle zoocenosi, con particolare riferimento alle specie forestali di uccelli quali i picidi. Analoga valutazione può essere fatta per i mammiferi carnivori.

Possibili minacce per la conservazione di questi habitat sono costituite da fenomeni localizzati di erosione idrica del suolo (incanalata e di massa, come le frane), di degradazione del suolo per compattazione in aree umide (torbiere) dovuti a calpestio, di riduzione della biodiversità a seguito di eccessive ripuliture del sottobosco, del taglio indiscriminato delle piante stramature, deperienti o secche in piedi, ecc..

Specie prioritaria presente in questi siti è la felce bulbifera (Woodwardia radicans), riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/EEC. Altre specie importanti sono: l’acero opalo (Acer opulifolium CHAIX = A. opalus MILL.), la felce pelosa (Dryopteris affinis), il nocciolo (Corylus avellana L.), l’olmo montano (Ulmus glabra), il tiglio selvatico (Tilia cordata MILL.).

 

 

c) Siti a dominanza di Castagneti. IT9350169 - C/da Fossia (Maropati)

IT9350170 - Scala-Lemmeni

Habitat determinanti la tipologia è il Castagneto (9260)

Gruppo di siti caratterizzato principalmente dalla presenza di formazioni forestali a dominanza di Castanea sativa. Il castagno è specie che in Italia è stata favorita dall’uomo, sia per il legname che per il frutto, e che trova condizioni vegetative ottimali su suoli silicei collinari e montani, in aree potenzialmente idonee ad ospitare querceti caducifogli o boschi misti con latifoglie mesofile.

d) Siti a dominanza di Querceti mediterranei IT9350137 - Prateria

IT9350159 - Bosco di Rudina

IT9350163 - Pietra Cappa-Pietra Lunga-Pietra Castello

IT9350165 - Torrente Portello

IT9350176 - Monte Campanaro

IT9350177 - Monte Scrisi

IT9350178 - Serro d’Ustra e Fiumara Butrano

IT9350179 - Alica

Gli habitat determinanti la tipologia, presenti nei SIC considerati, sono: i querceti di Quercus suber (9330); quelli di Quercus ilex (9340).

Questa tipologia è caratterizzata da due tipi di boschi, riferibili a stadi vegetazionali, dinamicamente collegati. Nella maggior parte dei casi, si tratta di foreste a dominanza di leccio (Quercus ilex), riferibili all’ordine Quercetalia ilicis, ma anche di boschi a prevalenza di sughera (Quercus suber) e di formazioni aperte, assimilabili alla dehesa e al montado della penisola iberica (habitat 6310). Oltre alle formazioni forestali sono compresi anche i prati terofitici e la macchia mediterranea.

Quali indicatori di buono stato di conservazione si possono indicare: la capacità di rinnovamento della componente arborea (data dalla copertura delle plantule > 1% in un popolamento elementare); la ricchezza di classi diametriche (valutabili come classi di età) delle specie del genere Quercus (devono essere presenti almeno 2 classi di diametri, oltre alle plantule, ciascuna con copertura superiore al 10%); la vetustà degli elementi arborei, che abbiano almeno il 10% di copertura (valutabile empiricamente dal diametro del tronco a circa 130 cm dal suolo, che deve essere > 40 cm); il grado di copertura dello strato arboreo (che deve essere > 70%).

Un buon stato di conservazione può essere indicato anche dalla presenza di comunità animali legate ad ambienti più secchi e forestali, in particolare dai rettili.

Il quadro può essere completato dalla presenza di alcuni coleotteri, tipicamente legati a essenze quercine, come Lucanus cervus e Cerambyx cerdo.

Le possibili minacce sono rappresentate da episodi di erosione localizzata del suolo (idrica incanalata); da fenomeni di degradazione dovuti a compattazione e a calpestio (prati terofitici); da incendi non controllati; dal pascolo eccessivo e non regolamentato; dall’estensione piuttosto limitata delle fitocenosi.

Specie prioritarie sono la felce bulbifera (Woodwardia radicans) specie riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/EEC. Altre specie vegetali e animali importanti sono la felce pelosa (Dryopteris affinis); il nocciolo (Corylus avellana), l’ontano napoletano (Alnus cordata DESF).

e) Siti a dominanza di Macchia mediterranea IT9350141 - Capo S. Giovanni

IT9350158 - Costa Viola e Monte Sant’Elia

 

 

L’habitat determinante la tipologia è il cespuglieto termomediterraneo predesertico (5330).

Questi siti, particolarmente ricchi di habitat diversi che, però, mantengono una loro omogeneità, sono caratterizzati da aspetti vegetazionali che rappresentano stadi dinamicamente collegati, principalmente, da macchia mediterranea, ma anche da praterie terofitiche (*6220) e da querceti mediterranei (9340).

La vegetazione di macchia è riferibile all’ordine Pistacio-Rhamnetalia alaterni, ma sono frequenti anche querceti mediterranei riferibili al Quercetalia ilicis e pratelli terofitici del Thero-Brachypodietea.

L’approccio fitosociologico e sinfitosociologico nell’analisi di queste tipologie è particolarmente utile perché consente di comprendere appieno il significato di “omogenea etereogeneità” presente. Infatti si nota una buona diversificazione degli habitat, ma questi, nel loro insieme, mostrano un raccordo funzionale che deve essere analizzato a scala di tessera (serie di vegetazione) e di paesaggio (geosigmeto).

Per quanto riguarda la presenza di insetti, le specie fitofaghe caratterizzanti sono, fra i lepidotteri, Choraxes jasius e Gonepterix cleopatra; fra gli uccelli si possono riscontrare comunità strutturate che comprendono, oltre ai passeriformi tipici della macchia, anche coraciformi, columbidi e picidi. Fra i mammiferi l’elemento caratterizzante è l’istrice, mentre nelle regioni centro-meridionali si possono trovare in questo ambiente residue popolazioni di caprioli autoctoni.

Minacce principali sono la frammentazione degli habitat, gli incendi ripetuti che si propagano con grande facilità, il pascolo non regolamentato, la progressiva desertificazione dei suoli conseguente a fenomeni di erosione, l’aerosol marino inquinato, l’ingressione in falda di acque marine e variazioni d’uso del suolo, con prevalenza di attività turistico-ricreative.

Specie prioritarie sono: l’eremita odoroso (Osmoderma eremita), un invertebrato riportato nell’Allegato II Direttiva 92/43/EEC; la magnanina (Sylvia undata), un uccello migratore abituale non citato nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE; il garofano rupicolo (Dianthus rupicola), specie indicata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/EEC.

Altre specie importanti della flora e della fauna sono: il fiordaliso cicalino (Centaurea deusta), l’erucastro (Erucastrum virgatum), il limonio bruzio (Limonium brutium), il limonio della Calabria (Limonium calabrum) e il Senecio gibbosus.

f) Siti a dominanza di Vegetazione arborea igrofila IT9350161 - Torrente Lago

IT9350164 - Torrente Vasi

Gli habitat presenti determinanti la tipologia sono: *Foreste alluvionali residue di Alnion glutinoso-incanae (91E0); Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba (92A0); Foreste riparie galleria termomediterranee (Nerio-Tamaricetea) (92D0).

I siti di questa tipologia sono caratterizzati principalmente dalla presenza di fitocenosi ripali arboree, dominate da specie dei generi Salix e Populus e da altre fitocenosi forestali planiziali, comunque igrofile. Tra gli habitat che compaiono in questo gruppo di siti vanno ricordati anche i laghi (3150) e altri corpi idrici con acqua corrente (3260, 3270).

Nelle fitocenosi ripali sono indicatori di un cattivo stato di conservazione l’elevata copertura percentuale di specie nitrofile (ad esempio, Urtica dioica), indicatrici di elevata presenza di sostanze chimiche, provenienti presumibilmente dalle attività colturali nei terrazzi fluviali soprastanti, e la presenza di specie esotiche sia vegetali che animali.

Altri indicatori utilizzabili sono il grado di strutturazione presente nelle comunità e la loro estensione.

 

 

Per gli Invertebrati, sono indicatori di buona qualità ambientale la presenza di estese comunità, comprendenti varie famiglie di Coleoptera (quali Carabidae, Bembidiini, Cicindelidae, segnatamente Cicindela majalis, e Staphylindae) e di altri taxa, comprendenti Araneidi ed Eterotteri.

Un indicatore di cattivo stato di conservazione è la mancanza degli elementi seriali e catenali tipici di questi contesti. Il contatto diretto ed esclusivo tra bosco ripario e acqua corrente, nella maggior parte dei casi, è legato a fenomeni d’inquinamento dovuti alle pratiche colturali che si svolgono in aree agricole limitrofe.

Un indice di buono stato di conservazione e di buon funzionamento ecosistemico nel sito è fornito dalla presenza di comunità ornitiche con un’elevata diversità specifica, associata a una marcata diversità della componente ittica e/o erpetologica.

Le specie prioritarie sono: la Cordulegaster trinacriae, un invertebrato riportato nell’Allegato II Direttiva 92/43/EEC. Altre specie importanti della flora e fauna sono: l’acero napoletano (Acer neapolitanum), l’ontano napoletano (Alnus cordata), il tiglio nostrano (Tilia platyphyllos).

g) Siti a dominanza di Praterie terofitiche IT9350138 - Calanchi di Maro Simone;

IT9350139 - Collina di Pentimele;

IT9350140 - Capo dell’Armi;

IT9350142 - Capo Spartivento;

IT9350144 - Calanchi di Palizzi Marina;

IT9350149 - Sant’Andrea;

IT9350181 - Monte Embrisi e Monte Torrione.

Habitat determinanti la tipologia: *Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea (6220).

I siti di questa tipologia sono dominati da vegetazione erbacea annuale e sono caratterizzati da aspetti vegetazionali che rappresentano diversi stadi dinamici, essendo presenti, oltre alle praterie con terofite (*6220), la macchia mediterranea (5330) e i querceti mediterranei (6310, 9340). Tra le graminacee più frequenti si trovano Brachypodium ramosum, Brachypodium dystachium, Stipa sp. pl. e Vulpia sp. pl.; sono frequenti anche le leguminose (Scorpiurus muricatus, Coronilla scorpioides, Trifolium campestre, Medicago sp.pl.) e altre specie, come Reichardia picroides, Hypochoeris achyrophorus, Linum strictum, ecc.

In questi siti, che sono legati alla presenza di affioramenti rocciosi, in prevalenza carbonatici, distribuiti prevalentemente lungo le coste ma anche all’interno, si trova una vegetazione mediterranea erbacea terofitica, riferibile alla Thero-Brachypodietea ma anche alla Lygeo-Stipetea e alla Tuberarietea guttatae; spesso tali fitocenosi si presentano in contatto con ampelodesmeti e con cenosi camefitiche riferibili ai Cisto-Micromerietea.

I siti del gruppo sono interessati da clima tipicamente mediterraneo. La vegetazione è frequentemente interessata da episodi di disturbo, soprattutto costituiti da incendi.

h) Siti a dominanza di Coste basse IT9350143 - Saline Joniche

Habitat determinanti la tipologia sono: *Lagune costiere (1150); Vegetazione pioniera a Salicornia e altre specie annuali delle zone fangose e sabbiose (1310).

Il sito di questa tipologia sono molto ben caratterizzati e omogenei per la presenza di habitat. A livello di geosigmeto, anche gli habitat meno frequenti sono fortemente correlati agli altri, si tratta infatti di tipologie di vegetazione e ambienti tipici delle coste basse (1210, 2110, 1320, *2250, 6420, 2120, 1140). Le lagune presentano comunità a dominanza di alghe o piante sommerse, dei generi Chara, Zostera, Ruppia, Cymodocea e Potamogeton, riferibili alle classi Charetea,

 

 

Zosteretea, Ruppietea e Potametea, che costituiscono habitat ricchissimi per varietà di comunità animali e vegetali. Si ricorda che, in questo contesto, per “laguna” s’intende “una distesa d’acqua salata costiera poco profonda, di salinità e di volume d’acqua variabile, separata dal mare da un cordone di sabbia e ghiaia o, più raramente, da una barriera rocciosa”.

Le formazioni a dominanza di alofite presenti nei siti, sono classificabili Sarcocornetea e Pegano-Salsoletea, se caratterizzate dalla presenza di specie dei generi Artrocnemum e Salicornia, e riferibili alle steppe salate mediterranee, se caratterizzate dalla presenza di specie del genere Limonium e Lygeum (Crithmo-Limonietea, Thero-Salicornietea, Spartinetea maritimae).

Gli equilibri ecologici di questi ambienti sono particolarmente delicati e permettono la sopravvivenza degli habitat dei pascoli inondati mediterranei, che sono comunità a dominanza di giunchi (Juncus maritimus), spesso in contatto con le steppe salate.

I fattori ecologici che caratterizzano maggiormente i siti di questo gruppo sono un clima mediterraneo, suoli prevalentemente sabbiosi, un’elevata salinità e, per le lagune, le variazioni del livello delle acque.

La particolarità dei siti di questo gruppo è legata principalmente alla presenza di lagune costiere e alle formazioni vegetali che generalmente si trovano a contatto con esse. I parametri chimico-fisici delle acque dei siti (in particolare, la salinità) dovrebbero avere un’evoluzione stagionale, con caratteristiche più dulcicole nei mesi di massima piovosità e con caratteristiche alofile nelle stagioni secche. La mancanza di una tale ciclicità è indice di ingressione marina, le cui conseguenze sono una semplificazione delle comunità e la loro trasformazione verso caratteri marini, più banali.

Indice di un buono stato di conservazione è la presenza di elementi contigui catenali, che siano dinamicamente collegati al gradiente ripario (presenza di microgeosigmeti caratterizzati dalla presenza di specie natanti, radicate ed elofitiche), e la presenza di elementi importanti dell’avifauna con caratteristiche stenoecie e stenotope. In genere le comunità ornitiche presentano elevato grado di complessità strutturale sia in periodo di nidificazione che di svernamento, la formazione nel primo periodo di colonie da parte di Laridi, Sternidi e Limicoli in diretta dipendenza di parametri di estenzione dei siti oltre che di qualità ambientale.

In presenza di estesi fragmiteti al bordo dulcicolo dei siti, indici di qualità sono senz’altro rappresentati dalla nidificazione di tarabuso (Botaurus stellaris), tarabusino (Ixobrychus minutus) e falco di palude (Cyrcus aeruginosus) e più localmente di pollo sultano (Porphyrio porphyrio).

Un aumento del fenicottero Phoenicopterus ruber che non sia esclusivamente legato a fluttuazioni distributive della specie, può invece rappresentare un chiaro sintomo di deterioramento ecologico con aumento della salinità oltre le normali fluttuazioni stagionali tipiche di ambienti dinamici ed imprevedibili.

i) Siti a dominanza di Dune consolidate IT9350160 - Spiaggia di Brancaleone

IT9350171 - Spiaggia di Pilati

Habitat importanti per la tipologia riscontrati nei siti: Dune mobili del cordone litorale con presenza di Ammophila arenaria (dune bianche) (2120); Dune mobili embrionali (2110).

I siti di questa tipologia presentano prevalentemente habitat che, spesso, sono contigui e presentano tutta l’articolazione degli habitat delle coste sabbiose e delle dune litoranee, con la loro caratteristica vegetazione psammofila, che vanno dalle dune embrionali, alle dune bianche (dune mobili e semifisse), alle dune grigie (dune fisse), fino alle depressioni interdunali e alla vegetazione con chiaro carattere secondario, come i pratelli riferibili ai Malcomietalia e/o ai Brachypodietalia.

l) Siti a dominanza di Praterie di posidonia IT9350172 - Fondali da Punta Pezzo a Capo dell’Armi

IT9350173 - Fondali di Scilla

Habitat determinanti la tipologia: *Praterie di posidonie (Posidonion oceanicae) (1120).

 

 

L’habitat è rappresentato dalle praterie di posidonia (Posidonion oceanicae), cui si associano spesso anche alghe rosse e alghe brune. Si tratta di biocenosi bentoniche marine che, in genere, s’insediano su sabbie grossolane; esse tollerano variazioni anche ampie di temperatura, irradiazione e idrodinamismo, ma sono sensibili alla diminuzione della salinità (che generalmente è compresa tra il 36 e il 46 per mille) e alla variazione del regime sedimentario. L’habitat principale si colloca nel piano infralitorale della zonazione del sistema fitale del Mediterraneo.

I siti di questa tipologia sono caratterizzati dall’habitat sommerso (in questo caso praterie di Posidonia) e da altri habitat, tipici della costa, presenti in maniera molto più sporadica, come le dune mobili (2120), i pascoli inondati mediterranei (1410), le steppe salate mediterranee (*1510), le dune costiere con Juniperus spp. (*2250), la vegetazione annua delle linee di deposito marine (1210) e lagune costiere (*1150). Queste cenosi offrono riparo e sostentamento a numerose specie animali, prevalentemente idroidi, briozoi, policheti, molluschi, anfipodi, isopodi, decapodi, echinodermi e anche pesci.

Indicatori di buona conservazione dei siti sono la ricchezza di specie animali e vegetali, continuità della copertura, buona situazione strutturale del geosigmeto terrestre di contatto.

Possibili minacce sono rappresentate da: fenomeni localizzati di disturbo del fondo innescati dalla posa di ancore che creano buche e aggravati dalla deriva dei natanti ormeggiati che provoca l’aratura del fondo; inquinamento del mare; azioni di disturbo quali la pesca a strascico; alterazione strutturale del complesso sistema di habitat presenti nel tratto di spiaggia mobile e consolidato e, non ultimo per importanza, anche l’eccesso di frequentazione per balneazione.

m) Siti a dominanza di Ambienti rupestri IT9350131 - Pentidattilo

IT9350135 - Vallata del Novito e Monte Mutolo

Habitat determinanti la tipologia: Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica (8210); Pareti rocciose silicee con vegetazione casmofitica (8220).

I siti di questa tipologia hanno una distribuzione geografica molto eterogenea e sono caratterizzati dalla presenza di biocenosi specializzate, legate alla litologia e alla geomorfologia peculiari.

La vegetazione casmofitica, che più tipicamente colonizza, con copertura molto ridotta, gli ambienti rupestri, è inquadrata prevalentemente nelle classi Sedo-Scleranthetea e Asplenietea trichomanis. Il gruppo di siti è caratterizzato da habitat molto diversificati, in accordo con l’eterogeneità del paesaggio che è tipica nei territori montani ricchi di ambienti rupestri.

La morfologia dominante in questi siti implica una generalizzata presenza di suoli sottili, poco evoluti o presenti solo in tasche.

n) Siti eterogenei IT9350132 - Fiumara di Melito

IT9350134 - Canolo Nuovo, Zomaro, Zillastro

IT9350136 - Vallata dello Stilaro

IT9350145 - Fiumara Amendolea (Roghudi, Chorio e Rota Greco)

IT9350146 - Fiumara Buonamico

IT9350147 - Fiumara Laverde

IT9350148 - Fiumara di Palizzi

IT9350150 - Contrada Gornelle

IT9350151 - Pantano Flumentari

 

 

IT9350174 - Monte Tre Pizzi

IT9350182 - Fiumara Careri

IT9350183 - Spiaggia di Catona

Si tratta di Siti eterogenei, spesso molto differenti, per i quali, a causa dell’elevata variabilità e dell’alto numero di siti compresi, non è possibile individuare habitat che li caratterizzino. La grande variabilità di habitat condiziona anche il patrimonio faunistico dei siti.

Nello specifico tutti i siti di questa categoria sono accomunati da ambienti umidi che sono sito di riproduzione di anfibi.

2.1.4. Zone di Protezione Speciale 

IT9310069 - Parco Nazionale della Calabria;

IT9350300 - Costa Viola.

Le aree sono state designate ZPS per il rilevante valore faunistico. La prima comprende la parte centrale del massiccio dell’Aspromonte e coincide con L’IBA 151 Aspromonte.

La seconda è costituita da un tratto di mare, da una zona costiera e da aree collinari nell’interno comprese tra lo stretto di Messina e l’Aspromonte. Lungo la costa la ZPS si estende da Marina di Palmi a Zagarella. Poi il confine segue l’autostrada A3, fino al cavalcavia sulla fiumara di Catona. E’ inclusa la fascia di mare dello Stretto di Messina da Capo Barbi a Villa S. Giovanni, coincide con l’IBA 150 Costa Viola. Questa ZPS è una delle zone europee più importanti per la migrazione primaverile dei falconiformi. Queste zone, sono caratterizzate da: rupi costiere, che formano alte falesie, ricche di specie rupicole, siti montani con morfologie pianeggianti che contengono formazioni di ambienti umidi effimeri, valloni incassati e umidi e siti marini all’imbocco dello Stretto di Messina.

Oltre alle specie migratrici le aree sono importanti anche per la nidificazione di specie prioritarie.

 

 

2.1.5. Istituti faunistici istituiti ai sensi della legge  n. 157/92: distribuzione, caratteristiche e problematiche  

Per ogni Istituto faunistico della cui gestione è competente la Provincia deve essere fornita la localizzazione, una descrizione relativa alle caratteristiche ambientali e faunistiche, al tipo di gestione, all'andamento dei principali parametri gestionali nel corso del quinquennio pregresso e alle problematiche eventualmente rilevate.

2.1.5.1. Centri pubblici e privati di produzione di selvaggina allo stato naturale. Parte descrittiva 

Ad oggi non sono mai stati istituiti Centri pubblici e privati di produzione di selvaggina allo stato naturale (CPPS) sul territorio provinciale.

Dalle indicazioni che verranno dal PFVR, potrà emergere la disponibilità di parti del territorio per la realizzazione di tali Centri . Il ritardo con cui la L.N. 157/92 è stata recepita in Calabria, come in altre parti d’Italia, ha determinato un ritardo anche nello sfruttamento di tutte le possibilità che la legge prevede, ed a questo si aggiungono le modalità tradizioni con cui viene esercitata la caccia nel territorio della Provincia di Reggio Calabria. Tale lacuna fa perdere molte opportunità che si possono tradurre sicuramente in un miglioramento degli ambienti (le AFV hanno l’obbligo di reinvestire i proventi della caccia in miglioramenti ambientali), oltre che del miglioramento qualitativo e quantitativo della fauna stanziale sul territorio. l’istituzione di centri pubblici e privati di per la produzione di selvaggine costituiscono infatti una valida alternativa all’acquisto di selvaggina da aree lontane (e spesso dall’estero), con indubbi vantaggi sia dal punto di vista economico che sanitario.

Mancano completamente anche le altre tipologie di istituto quali le Zone di Ripopolamento e Cattura, le Oasi di Protezione, le Zone Addestramento Cani e i Fondi chiusi. Tali istituti non devono essere visti come ulteriori limitazioni all’attività venatoria (la presenza di un grande Parco Nazionale sottrae già una porzione importante di territorio all’attività venatoria), ma come una opportunità per la qualificazione del territorio e della fauna presente. E indubbio che nel medio-lungo periodo tutti gli Istituti Faunistici, anche se con modalità diverse, aumentano le opportunità di fruizione di selvaggina di migliore qualità rispetto allo stato attuale. Si pensi banalmente alle zone di ripopolamento e cattura, che se gestite in modo oculato possono contribuire in modo molto efficace sia in modo diretto che indiretto all’aumento dei contingenti di fauna stanziale sul territorio. Pensando ad esempio alla lepre, si puà prevedere che le zone di ripopolamento e cattura possono fornire animali nati e cresciuti in natura (con un grado di sopravvivenza sicuramente superiore a queIIi nati e svezzati in cattività), senza considerare I’effetto indiretto determinato daII’irradiamento sui territori circostanti degIi animaIi quando vengono raggiunte densità eIevate.

Per quanto riguarda Ie zone di addestramento cani, Ia Ioro istituzione fornirebbe ai cacciatori I’opportunità di addestrare i cani in un contesto di IegaIità con due effetti diretti:

• migIioramento quaIitativo deI grado di addestramento degIi ausiIiari;

• riduzione deI disturbo dato daII’addestramento effettuato in modo abusivo su tutto iI territorio

Parte propositiva

NeII’ambito temporaIe di vaIidità deI PFV ProvinciaIe, dovranno essere avviati studi ambientaIi voIti ad individuare Ie zone pià idonee per I’istituzione di Istituti Faunistici come da L.N. 157/92 e s.m.i..

La priorità di istituzione dovrà essere rivoIta ai centri pubbIici e privati per Ia produzione di seIvaggina aIIo stato naturaIe e aIIe ZAC (Zone Addestramento Cani). L’istituzione di Oasi di Protezione dovrà essere vaIutata attentamente per queIIe situazioni dove già sussistono aItri vincoIi per Ia presenza di ambienti e specie faunistiche di particoIare pregio naturaIistico.

 

 

Per tutte Ie tipoIogie di istituto, ma in particoIare per queIIe di natura pià gestionaIe, dovrà essere vaIutata Ia Ioro distribuzione daI punto di vista territoriaIe in modo da garantire Ia massima fruizione possibiIe da parte di tutta I’utenza venatoria. L’obbiettivo a medio-Iungo termine è queIIo di ridurre aI minimo I’acquisto di Iepri daII’estero e di avviare un progetto di aIIevamento IocaIe che puà divenire anche fonte di reddito aIternativo per Ie aziende agricoIe IocaIi che abbiano i requisiti necessari.

2.1.5.2. Aziende Faunistico–Venatorie e Aziende Agri­Turistico­Venatorie. Parte propositiva

Non essendo presenti allo stato attuale, e in mancanza di nuove domande di istituzione, si ritiene che possa essere eventualmente riservata a tale tipologia di istituto una superficie non superiore al 2% per soddisfare eventuali nuove richieste.

2.1.6. Miglioramenti ambientali realizzati Con il termine Miglioramenti Ambientali a fini faunistici si intende definire quelle misure che hanno lo scopo di incrementare o ripristinare condizioni dell’habitat favorevoli alla fauna (risorse alimentari, zone di rifugio e siti di riproduzione) e di ridurre o eliminare gli impatti più significativi causati dalle attività antropiche presenti sul territorio.

Dal punto di vista tecnico, la realizzazione di questi interventi si differenzia a seconda:

• dell’area geografica, della fascia altimetrica, del tipo di habitat e del tipo di vegetazione potenziale e reale;

• delle specie della fauna selvatica che si intende tutelare o favorire.

Gli interventi più significativi proposti dall’A.T.C. per le caratteristiche del territorio della provincia di Reggio Calabria, per le specie di fauna selvatica presente durante il periodo migratorio e per le specie di fauna selvatica stanziale di particolare interesse per gli l’A.T.C. sono quelli a seguito indicati:

• Messa a coltura, mantenimento e/o ripristino di elementi fissi del paesaggio di valore ambientale e faunistico, come ad esempio: siepi, arbusti, alberi, frangivento, boschetti, vecchie sistemazioni agricole, i laghetti, ecc.. ;

• Semina di “colture a perdere” e/o rinuncia alla raccolta di certe coltivazioni su appezzamenti di piccola estensione;

• Posticipazione, per quanto possibile, dell’aratura o dell’interramento delle stoppie e controllo della pratica della loro bruciatura.

Nella tebella che segue sono indicati in dettaglio i singoli interventi effettuati nell’ambito dei due ATC della provincia.

 

 

Tab. 5 – Miglioramenti ambientali realizzati  anno 2006‐2007 

Comuni A.T.C. RC1  Anno   Tipo di intervento  HA  Liquidati€. Bova Marina    2006  Semina a miscuglio (Avena‐Grano‐Sulla )  12  9.000,00 

Bova Marina   2006 Semina a miscuglio (Orzo‐Avena‐Sulla e erba medica) 

2  1.500,00 

Bova Marina   2006 Semina a miscuglio ( Orzo‐Avena‐Sulla e erba medica) 

1    750,00 

Galatro  2006 Creazione ripristino Laghetto prati umidi ”Beccacinaie” 

1    1.500,00 

Galatro  2006  Semina a miscuglio ( Mais‐Sorgo‐Girasole)  6  4.500,00 Galatro  2006  Semina a miscuglio ( Frumento e Trifoglio)  1    750,00 San Pietro di Caridà  2006  Semina (Grano e Avena)  9  6.750,00 Maropati  2006  Semina a miscuglio (Avena‐ Favino e Veccia)  1    750,00 Laureana di Borrello‐ Serrata                             

2006‐2007‐ 

Semina ( Mais e girasole)  6  7.000,00 

Laureana di Borrello  2006  Semina (Lupino e Granturco)  1    750,00 Laureana di Borrello  2006  Semina (Lupino e Mais)  1    750,00 Condofuri  2006  Semina(Orzo‐Avena e Erba Medica in Bulatura)  1    750,00 Condofuri  2006  Semina(Orzo‐Avena e Erba Medica in Bulatura)  2  1.500,00 Cardeto  2006  Semina a miscuglio ( Avena sativa )  1    750,00 

Cardeto  2006 Semina a miscuglio ( Festuca arundinacea e Trifoglio ) 

1    750,00 

Cardeto  2006 Semina a miscuglio ( Festuca arundinacea e Trifoglio ) 

1    750,00 

Cardeto  2006 Semina a miscuglio ( Festuca arundinacea e Trifoglio ) 

1    750,00 

Bova Marina  2007  Semina a perdere Avena‐ Grano‐ Sulla  11,50  8.625,00 Montebello Jonico  2006  Semina a miscuglio ( Favino e Avena)  1     750,00 

TOTALE ATC RC1  69.50 

Comuni A.T.C. RC 2  Anno   Tipo di intervento  HA  Liquidati€. Stilo  2007  Semina a miscuglio ( Favino – Avena e Foraggi)  1    750,00 

TOTALE ATC RC2  1 

  HA 

 

 

TOTALE ATC Provincia di Reggio Calabria  70,50 

Complessivamente gli interventi di miglioramente ambietale finanziati dai Comitati di Gestione A.T.C. , sono riportati nella tabella successiva.

Tab. 6 – Numero di miglioramenti ambientali complessivi realizzati anno 2006-07

A.T.C. N. INTERVENTI

A.T.C. R.C 1 – 2006 -2007 19

A.T.C. R.C 2- 2007 1

TOTALE 20

2.1.6.1Il miglioramento ambientale a fini faunistici.  La strategia atta a favorire l'incremento della piccola selvaggina, tramite investimenti nel miglioramento ambientale a fini faunistici, ha guidato in questi anni sia l'azione della Provincia, sia quella degli A.T.C. Il Piano si prefigge l'obiettivo di compiere un salto di qualità, passando da interventi limitati, ad una vera e propria strategia capace di interessare tutto il territorio agricolo. L’accesso ai contributi per gli interventi di ripristino e miglioramento ambientale con finalità faunistiche, proposto , dagli A.T.C. era rivolto agli imprenditori agricoli come primo passo di fondamentale importanza per compiere è ripristinare condizioni ambientali idonee alla sosta, al sostentamento ed alla riproduzione delle specie animali, in particolare quelle oggetto di intervento, in generale tutte quelle presenti in forma stabile o temporanea sul territorio, In tale ottica si è puntato ad individuare siti idonei al recupero e al miglioramento ambientale attraverso il coinvolgimento degli agricoltori in particolare quelli che operano nel settore agro-silvo-pastorale in alcuni comprensori della provincia di Reggio CalabriaAl fine di poter utilizzare nel modo più razionale possibile le necessariamente limitate risorse destinate a miglioramenti ambientale a fini faunistici, occorreva individuare alcuni obiettivi specifici, da cui far discendere le strategie e le priorità di intervento; Nelle aree coltivate, (non considerando gli aspetti legati al prelievo, la predazione ecc…) uno degli elementi che maggiormente ostacolano la presenza di popolazioni stabili di selvatici di interesse venatorio, particolarmente lepre, fagiano e starna, è dato dalla semplificazione colturale, che non consente che le stesse vedano soddisfatte sul territorio le proprie esigenze di alimento, ricovero e siti sicuri per la nidificazione. Occorre quindi In ottica dei risultati poco esaustivi ottenuti,anche per le poche risorse economiche determinate in passato, concentrare le risorse disponibili sulla incentivazione di quelle pratiche che paiono garantire le

 

 

migliori possibilità di successo, andando a contrastare le modificazioni imposte al territorio dalle tecniche colturali attuali. Evidentemente, proprio a partire dalle aree temporaneamente dismesse dalla coltura, si possono impostare i programmi di miglioramento ambientale. In questa ottica l’ Amministrazione Provinciale ha determinato un impegno economico di €. 210.000,00 per finanziare i progetti ritenuti validi di Miglioramenti ambientali a fini faunistici che verranno proposti e sottoposti all’attenzione di codesto Ente per l’anno 2010 da parte dei due Ambiti Territoriali di Caccia del territorio reggino in ottemperanza ai dettami legislativi.

 

 

2.1.7. Centri di recupero per la Fauna Selvatica autorizzati 

2.1.7.1. Premessa I Centri per il Recupero della Fauna Selvatica (C.R.A.S.) sono iniziati a sorgere in Italia negli anni ’70 quando, sulla spinta della diffusione di una cultura più attenta alle tematiche ambientali, si è sentita l’esigenza di creare delle strutture in grado di accogliere animali selvatici in difficoltà che fino ad allora erano affidati a coloro che sembravano i referenti più titolati: veterinari, guardie forestali, guardie venatorie e ad associazioni ambientaliste, nel tentativo di curarli e reintrodurli in natura.

I centri per il recupero della fauna selvatica vengono individuati per la prima volta nell’articolato normativo della legge quadro in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, Legge dell’11 febbraio 1992, n. 157, nella quale viene affidato alle singole Regioni il compito di stabilire una normativa più precisa al riguardo. La legge Quadro recepita da tutte le Regioni italiane tra le quali la Calabria che nella Legge Regionale n. 9 del 17 maggio 1996 prevede la possibilità di stipulare direttamente, o attraverso le Province “apposite convenzioni con centri idonei alle cure e al recupero della fauna selvatica, operanti sul territorio regionale”.

In Calabria sono presenti ad oggi due centri per il recupero della fauna selvatica (C.R.A.S.) il primo si trova presso la sede del Comitato Italiano per la Protezione dei Rapaci (C.I.P.R.) con sede in Rende (CS), dove fino al 2006 la Polizia Provinciale di Reggio Calabria ha inviato gli esemplari di fauna in difficoltà. Il secondo C.R.A.S. è quello di Catanzaro situato all’interno del “Parco della Biodiversità Mediterranea” dove dal 2007 vengono inviati gli esemplari di fauna in difficoltà giunti presso il Corpo di Polizia Provinciale di Reggio Calabria.

Nella provincia di Reggio Calabria attualmente è in fase di ultimazione il CRAS. Nel punto 3.4.3. viene esposta la fase relativa al completamento di tale centro.

2.1.7.2. Fauna selvatica soccorsa nel quinquennio 2004/2008 L’area dello stretto, posizionata al centro del Mediterraneo è il principale crocevia delle migrazioni pre e post nuziali di numerose specie di uccelli, che per varie cause, cattive condizioni atmosferiche, stanchezza, attività di bracconaggio, avvelenamenti, incidenti stradali necessitano spesso di essere soccorse per le cure del caso e la reintroduzione in natura nel più breve tempo possibile.

Nell’attività di recupero della fauna in difficoltà l’impegno da parte dell’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, Ente preposto alla tutela della fauna selvatica così come previsto dalla Normativa Nazionale (Legge 157/1992), negli ultimi 5 anni non ha avuto pause ed ha prodotto degli ottimi risultati.

Tab. 7 – Specie della fauna selvatica recuperate sul territorio provinciale negli anni 2005‐08 

ATTIVITA' DI RECUPERO FAUNA SELVATICA

Specie Nome scientifico 2004 2005 2006 2007 2008 Totali 2005/ 2008

Airone bianco Egretta alba 1 1 2 Airone cenerino Ardea cinerea 2 1 4 3 10 Allocco Strix aluco 2 2 1 5 4 14 Aquila minore Hieraaetus pennatus 1 1 Astore Accipiter gentilis 1 1

 

 

Avocetta Recurvirostra avosetta 1 1 Balestruccio Delichon urbica 2 2 Barbagianni Tyto alba 1 2 2 6 1 12 Beccaccia Scolopax rusticola 1 1 Camaleonte Chamaeleo chamaeleon 1 1 Cardellino Cardueli carduelis 17 17 2 36 Cigno reale Cygnus olor 1 1 Civetta Athene noctua 3 5 8 Colombo Columba livia 4 1 2 7 Coturnice Alectoris graeca 1 1 Fagiano Phasianus Colchicus 1 1 Falco di palude Circus aeroginosus 2 1 2 1 6 Falco lodolaio Falco subbuteo 1 1 2 Falco pecchiaiolo Pernis apivorus 2 2 1 5 Falco pellegrino Falco peregrinus 1 1 1 3 Falco pescatore Pandion haliaetus 1 1 2 Fenicottero Phoenicopterus ruber 2 2 Fringuello Fringuello coelebs 1 1 Gabbiano comune Larus ridibundus 5 1 2 3 5 16 Gabbiano reale Larus cachinnans 1 3 1 2 5 12 Gheppio Falco tinnunculus 4 2 12 5 23 Gru Grus grus 1 1 2 Gruccione Mepops apiaster 1 1 Gufo comune Asio otus 4 1 4 1 10 Gufo di palude Asio flammeus 1 1 2 Gufo reale Bubo bubo 1 1 Iguana Iguana iguana 1 1 Martin pescatore Alcedo attis 1 1 Nibbio bruno Milvus migrans 1 1 2 Picchio verde Picus viridis 1 1 Poiana Buteo Buteo 26 5 15 41 34 121 Rondone Apus apus 2 2 Salamandra Salamandra salamandra 1 1 Storno Sturnus vulgaris 1 1 Sula dai piedi azzurri Sula nebouxii 1 1

Svasso minore Podicepes nigricollis 1 1 Tarabusino Ixobrychus minutus 1 1 1 3 6 Tarabuso Botaurus stellaris 1 1 Tortora dal collare Streptopelia decaocto 1 1 2 Upupa Upupa epops 1 1 2 Verzellino Serinus serinus 4 4 8 Volpe Vulpes vulpes 1 1 2 Rapace n.i. 2 2 Totali 65 19 53 120 85 342

 

 

Gli esemplari di fauna selvatica recuperati ed inviati al C.R.A.S. dal 2004 al 2008 sono stati rinvenuti nel territorio dei Comuni della Provincia di Reggio Calabria riportati nella tabella che segue.

Tab 8 – Fauna selvatica recuperata per comune neglia anni 2004‐2008 

Comune 2004 2005 2006 2007 2008 Totali Africo 1 1 2 Ardore 2 2 4 Bagaladi 2 2 Bagnara C. 2 5 2 9 Bova M. 2 1 1 1 3 8 Bovalino 1 2 3 Brancaleone 2 1 3 Campo C. 2 1 3 2 8 Caulonia 1 1 Cinquefrondi 2 2 4 Cittanova 4 9 6 19 Condofuri 1 1 2 1 5 Delianuova 2 1 3 Ferruzzano 1 1 Galatro 2 1 3 Gioia Tauro 2 2 2 6 12 Laureana di B. 1 1 2 Locri 1 1 1 2 1 6 Marina di Gioiosa J. 2 2 Melicucco 1 1 Melito P.S. 1 1 3 5 Molochio 1 2 3 Montebello J. 1 1 2 4 Motta S. G. 3 1 4 Oppido M. 1 1 2 Palizzi 1 1 2 Palmi 6 2 10 10 28 Polistena 1 1 2 1 6 11 Reggio Calabria 11 2 11 25 21 70 Rizziconi 1 1 2 1 5 Roccaforte d. G. 1 1 2 Roccella J. 1 2 3 Rosarno 1 4 2 7 S. Eufemia A. 1 2 3 S. Ferdinando 1 2 3 S. Giorgio M. 1 1 S. Ilario d. J. 1 1 S. Lorenzo 2 2 S. Luca 1 1 2 S. Roberto 1 1 2 S. Stefano A. 1 1 2 Scilla 1 1 1 3 Seminara 1 2 3 Serrata 1 1 Siderno 2 2 Taurianova 1 1 4 1 7 Villa S. Giovanni 4 1 2 2 1 10

 

 

2.1.7.3. Fauna selvatica reintrodotta  nel quinquennio 2004/2008 La reintroduzione in natura degli esemplari di fauna selvatica pervenuti presso questo Corpo di Polizia è stata effettuata quando gli esemplari sono stati giudicati in ottime condizioni di salute.

Così, come previsto dall’art. 28 c. 3 della L. 157/1992, nel caso di sequestro di fauna viva, gli Agenti accertatori hanno provveduto a liberarla in località adatta, mentre per quanto riguarda la fauna in cattive condizioni di salute che non è risultata liberabile, la reintroduzione in natura è avvenuta successivamente alla riabilitazione e cura degli esemplari da parte del C.R.A.S. a cui è stata consegnata, senza che siano giunte a questo Ente notizie o statistiche in merito.

Per quanto riguarda, invece, la fauna recuperata non reintroducibile in natura a causa delle ferite riportate i C.R.A.S. provvedono ad accudirla in apposite voliere o recinti idonei allo scopo.

Di seguito vengono riportati i dati relativi alle reintroduzioni in natura effettuata dagli Agenti di questo Corpo nel periodo compreso fra gli anni 2004/2008.

Tab. 9 – Specie della fauna selvatica reintrodotte negli anni 2005‐2008 

Specie Nome scientifico 2004 2005 2006 2007 2008 Totali 2005/08

Balestruccio Delichon urbica 1 1 Barbagianni Tyto alba 0 Beccaccia Scolopax rusticola 1 1 Cardellino Cardueli carduelis 2 2 Civetta Athene noctua 1 1 Fringuello Fringuello coelebs 1 1 Gabbiano reale Larus cachinnans 1 1 Poiana Buteo Buteo 2 1 3 Tarabusino Ixobrychus minutus 1 1 2 Totali 0 0 0 4 8 12

2.1.7.4. Fauna selvatica deceduta nel quinquennio 2004/2008 Sono inoltre avvenuti alcuni decessi di fauna selvatica durante le operazioni di trasferimento presso il C.R.A.S a causa delle pessime condizioni di salute dovute alle gravissime ferite riportate dagli esemplari o alla forte debilitazione, dei decessi invece avvenuti presso i Centri di Recupero non sono giunte notizie.

Nella seguente tabella vengono riportati i dati relativi ai decessi avvenuti nel quinquennio 2004/2008 presso la sede di questo Corpo o durante le operazioni di trasferimento ai C.R.A.S.

 

 

Tab. 10 – Decessi della fauna selvatica recuperata dall’amministrazione provinciale nel periodo 2005‐08 

Specie Nome scientifico 2004 2005 2006 2007 2008 Totali 2005/08

Airone cenerino Ardea cinerea 1 1 2 Allocco Strix aluco 1 1 Balestruccio Delichon urbica 1 1 Barbagianni Tyto alba 1 1 Civetta Athene noctua 1 1 Gabbiano comune Larus ridibundus 1 1 Gabbiano reale Larus cachinnans 1 1 2 Gheppio Falco tinnunculus 1 1 Gufo di palude Asio flammeus 1 1 Martin pescatore Alcedo attis 1 1 Poiana Buteo Buteo 1 2 7 10 Sula dai piedi azzurri Sula nebouxii 1 1 Tarabusino Ixobrychus minutus 1 1 Totali 4 1 1 3 15 24

2.1.8. Allevamenti autorizzati suddivisi per tipologia e indicazione delle specie in indirizzo produttivo con relativi quantitativi. 

Allo stato attuale non esiste in provincia di Reggio Calabria alcun allevamento , ne alcun centro privato di produzione di fauna selvatica allo stato naturaleNota a scopo di ripopolamento, mentre ne esistono di due tipi,

1. uno quello relativo alla detenzione e l’allevamento amatoriale di uccelli cosiddetti “da affezione”, Il loro ambiente di vita domestico è naturalmente la gabbia, a scopo amatoriale e ornamentale di specie appartenenti alla fauna ornitica selvatica non oggetto di caccia, disposti dalla Legge Nazionale 157/92 - Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, Legge Regionale 9/96 (calabria) - Norme per la tutela e la gestione della fauna selvatica e l'organizzazione del territorio ai fini della disciplina programmata dell'esercizio venatorio, e Regolamanto Regionale - Regolamento per la detenzione di specie ornitica in Calabria. Mod.DGR. n°627 del 28 sett.2007 ed in particolare gli articoli: ( Art. 11 Ambito di applicazione ), ( Art. 12 Documentazione ), (Art. 13 Procedure e adempimenti ), (Art. 14 Specie ammesse : . E`consentita la detenzione di un massimo di ottanta esemplari per allevatore delle seguenti specie detenibili: Cardellino (Carduelis Carduelis), Ciuffolotto (Pymila pyrmila), Fanello (Acanti cannabina),Fringuello (Fringilla coelebs), Lucherino (Carduelis spinus), Organetto (Carduelis flammea), Ortolano (Emberiza hortulana), Peppola (Fringilla montifringilla), Verdone (Carduelis cloris), Verzellino (Serinus serinus), Zigolo Giallo (Emberiza citrinella), Zigolo Nero (Emberiza cirlus), Zigolo Minore(Emberiza pupilla), Zigolo Muciatto (Emberiza cia), (Art. 15 Obblighi), (Art. 16 Partecipazione a mostre e manifestazioni) e ( Art. 17 Categorie escluse dalla normativa );

2. un altro per la detenzione e allevamento di richiami vivi , utilizzabili per l’esercizio dell’attività venatoria ai sensi delle Legge n° 157 del 11.02.1992 art. 5 e della Legge Regionale 9/96 art. 3 comma 6;

 

 

Tab. 11 ‐ Autorizzazioni Rilasciate per l’allevamento a scopo amatoriale e ornamentale; 

N°AUT. Località dell’Allevamento Specie Allevate e numero capi Totale

1. MOTTA SAN GIOVANNI 4- Carduelis Carduelis 4

2. REGGIO CALABRIA

2-Carduelis Carduelis, 2-Acanti cannabina, 2-Carduelis spinus e 2 Carduelis cloris 8

3. REGGIO CALABRIA 4-Carduelis Carduelis 4

4. REGGIO CALABRIA 2-Carduelis Carduelis e 2 Carduelis cloris 4

5. REGGIO CALABRIA 4-Carduelis Carduelis 4

6. REGGIO CALABRIA 5-Carduelis Carduelis 5

7. REGGIO CALABRIA 4-Carduelis Carduelis e 2-Carduelis cloris 6

8. MOTTA SAN GIOVANNI 4-Carduelis Carduelis 4

9. REGGIO CALABRIA

8-Carduelis Carduelis, 2-Carduelis spinus e 4-Carduelis cloris 14

10. PALMI 12-Carduelis Carduelis, 4-Carduelis spinus e 4-Carduelis cloris 20

11. PALMI 4-Carduelis Carduelis, 4-Carduelis spinus e 4-Carduelis cloris 12

12. REGGIO CALABRIA

8-Carduelis Carduelis, 6-Carduelis spinus e 4-Carduelis cloris 18

13. REGGIO CALABRIA

4-Carduelis Carduelis, 4-Acanti cannabina, 4-Carduelis spinus e 4-Carduelis cloris 16

14. REGGIO CALABRIA

4-Carduelis Carduelis, 4-Acanti cannabina, 4-Carduelis spinus e 4-Carduelis cloris 16

15. REGGIO CALABRIA

14-Cerduelis flammea, 4-Carduelis spinus e 4-Carduelis cloris 22

16. REGGIO CALABRIA 4-Carduelis Carduelis e 2-Carduelis cloris 6

17. REGGIO CALABRIA

2-Carduelis Carduelis, 2-Cardueliscloris, 2-Carduelis spinus e 2 Serinus serinus 8

18. VILLA SAN GIOVANNI 13-Carduelis Carduelis 13

19. REGGIO CALABRIA

5-Carduelis Carduelis, 5-Cardueliscloris, 2-Carduelis spinus, 5- Serinus serinus, 3-Fringilla coelebs, 2- Emberiza cirlus e 1- Emberiza hortulana

23

20. REGGIO CALABRIA 33-Carduelis Carduelis 33

21. REGGIO CALABRIA 5-Carduelis Carduelis 10

22. REGGIO CALABRIA

5-Carduelis Carduelis, 5-Cardueliscloris, 2-Carduelis spinus, 5- Serinus serinus 17

23. REGGIO CALABRIA

1- Carduelis flammea, 5-Carduelis Carduelis e 1- Serinus serinus 7

24. REGGIO CALABRIA

4-Carduelis Carduelis, 4-Carduelis spinus, 4- Fringilla coelebs e 4- Serinus serinus 16

25. REGGIO CALABRIA

12-Carduelis Carduelis, 5-Carduelis spinus, 5- Serinus serinus, 8-Cardueliscloris, 7- Fringilla coelebs e 4- Acanti 41

 

 

cannabina

26. REGGIO CALABRIA

5-Carduelis Carduelis, 1- Fringilla coelebs, 10- Serinus serinus e 5- Carduelis cloris 21

27. MELITO PORTO SALVO

2- Carduelis cloris, 2- Serinus serinus, 2- Carduelis spinus, 2- Fringilla montifringilla, 3- Carduelis flammea, 2- Fringilla coelebs, 2-(Pymila pyrmila e 2-Carduelis Carduelis

17

28. MOTTA SAN GIOVANNI

19-Carduelis Carduelis, 8- Serinus serinus e 1- Carduelis cloris 28

29. REGGIO CALABRIA 8-Carduelis Carduelis 8

30. REGGIO CALABRIA 10- Carduelis Carduelis 10

31. REGGIO CALABRIA

19- Carduelis Carduelis, 21- Carduelis Carduelis e 7- Serinus serinus 47

32. REGGIO CALABRIA 4-Carduelis Carduelis 4

33. MELITO PORTO SALVO 11- Carduelis Carduelis 11

34. REGGIO CALABRIA 5-- Carduelis Carduelis, 2- Fringilla coelebs 7

35. SIDERNO MARINA 6-Carduelis Carduelis, 4- Acanti cannabina, 4- Carduelis cloris e 4- Serinus serinus 18

36. REGGIO CALABRIA 2- Carduelis Carduelis 2

37. REGGIO CALABRIA

2- Carduelis Carduelis, 2- Serinus serinus, e 4- Carduelis cloris 10

38. CONDOFURI 21- Carduelis Carduelis 21

Totale Soggetti 539

Come si evince dalla tabella i 38 allevamenti, alla detenzione a scopo amatoriale e ornamentale autorizzati dal Servizio Caccia dell’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, sicuramente non corrispondono alle effettive detenzioni e allevamenti da parte di cittadini, che sicuramente non hanno mai fatto richiesta di autorizzazione, alla detenzione, delle specie previste dalle normative vigenti in materia;

Ad ogni buon modo L’ornicoltura è una branca minore dell’ornitologia. L’ornitologia com’è noto si occupa dello studio degli uccelli, l’ornicoltura invece affronta tecniche e metodiche di riproduzione ed allevamento delle specie ornitiche in cattività. Ambedue le discipline sono tuttavia interdipendenti, poiché senza una conoscenza approfondita della biologia di una specie animale non è possibile pianificarne la sua riproduzione in ambienti artificiali.

L’ornitologia ha attualmente dignità di scienza ufficiale e si insegna nelle Università - nell’ambito dei corsi di zoologia ed etologia - l’ornicoltura, viceversa, come zoocoltura minore, resta tuttora quasi integralmente confinata in un “limbo” di spontaneismo amatoriale, e l’allevamento degli uccelli è praticato da appassionati ornicoltori che sperimentano totalmente in proprio le tecniche più efficaci per la migliore conduzione degli aviari, senza poter contare - se non in via del tutto sporadica e straordinaria - sul contributo operativo di istituzioni scientifiche e di ricerca. Eppure, l’ornicoltura e gli ornicoltori hanno spesso incrociato la strada della conservazione di specie minacciate di estinzione. Allorché è stato necessario riprodurre in cattività uccelli che in Natura versavano in stato di grave rarefazione numerica, l’ornicoltura è andata in soccorso di ornitologi e naturalisti, fornendo il proprio bagaglio di nozioni, fatto soprattutto d’esperienza di campo, per la migliore moltiplicazione delle specie di volatili gravemente rarefatte negli areali d’origine, che

 

 

potrebbero avere anche finalità ultima di realizzare mirate reintroduzioni, negli ecosistemi originali, di soggetti allevati in cattività.

La riproduzione in ambienti artificiali è infatti suscettibile di successi ben più cospicui che in Natura. In cattività non vi sono predatori. L’alimentazione è scientificamente studiata sotto l’aspetto quantitativo e degli apporti nutritivi e viene direttamente fornita ai volatili dall’uomo come viene riportata nella seguente tabella:

Tab.  12  –  Aspetti  quantitativi  e  apporti  nutritivi  dell’alimentazione  per  l’avifauna  detenuta  a  scopo ornamentale e/o amatoriale 

nutrienti  >>>  arginina lisina 

metionina 

triptofano 

colina 

proteine 

grassi 

canapa  100 gr.  5,0  9,0  11,0  10,0  4,0  20,0  35,0 

cartamo  100 gr  10,0  3,5  2,8  1,5  4,0  18,0  20,0 frumento  100 gr  7,7  6,2  5,8  12,3  4,0  13,0  3,0 girasole sbucciato  100 gr  12,8  8,0  15,0  13,0  18,0  15,0  35,0 lino  100 gr  9,0  3,7  3,8  1,7  14,5  21,7  30,0 niger  100 gr  8,0  3,6  4,0  1,3  4,0  20,0  33,0 ortica semi  100 gr  7,0  10,0  12,0  12,0  5,0  18,0  10,0 perilla bianca  100 gr  5,0  8,0  9,0  10,0  7,0  23,0  30,0 scagliola  100 gr  5,0  2,0  3,7  2,0  5,0  14,0  4,0 sesamo  100 gr  11,8  2,4  4,8  1,3  4,0  18,0  25,0 

lattuga bianca  100 gr  7,0  7,1  4,0  3,0  11,0  28,0  35,0 

Tab. 13 ‐ Pastoncino generalmente  usato 

nutrienti  >>> arginina 

lisina metionina 

triptofano 

colina 

proteine 

grassi 

pane grattato  250  23  18  17  35  12  33  6 4 albume uovo  120  7  8  5  2  5  16  1 4 tuorlo uovo  120  10  6  3  2  11  16  36 latte cagliato  1 lt.  6  13  12  13  4  33  10 lievito in polvere  20  2  3  2  2  10  10  1 Polivitaminico   20  ‐  ‐  ‐  ‐  ‐  ‐  ‐ totale pastoncino  600  48  48  39  54  42  108  54 %  %  8,0  8,0  6,5  9,0  7,0  18,0  9,0 

 

 

Tab. 14 ‐ Misto semi durante le cove (in altri periodi al posto della canapa usare il girasole nero micro) 

nutrienti  >>>  arginina lisina 

metionina 

triptofano 

colina 

proteine 

grassi 

scagliola  200  10  4  7  4  10  28  8 

perilla bianca  200  10  16  18  20  14  46  60 lattuga bianca  200  14  14  8  6  22  56  70 sesamo  100  12  2  5  1  4  18  25 cicoria  100  5  5  6  4  7  8  5 canapuccia  100  5  9  11  10  4  20  35 cardo  50  2  2  3  2  10  8  5 lino  50  4  2  2  1  7  11  15 totale  1000  62  54  60  48  58  195  223 %  %  6,2  5,4  6,0  4,8  5,8  19,5  22,3 

Tab. 15 ‐ Conclusione 

FABBISOGNI    mg.  mg.  mg.  mg.  mg.  mg.  mg. 

nutrienti più importanti 

in  arginina lisina 

metionina 

triptofano 

colina 

Proteine 

grassi 

per i pulcini  %  5  5  3  2  7  18  5 per deposizione  %  8  7  5  3  10  20  8 apporto con pastoncino 

%  8,0  8,0  6,5  9,0  7,0  18,0  9,0 

apporto con semi  %  6,2  5,4  6,0  4,8  5,8  19,5  22,3 

L'apporto di nutrienti con il pastoncino è di valore biologico molto più alto di quello dei semi. E'determinante per la deposizione, inoltre stimola una rapida crescita dei piccoli. Indispensabile è l'integrazione vitaminica (vit. A, D3,E,B1,B2,B6,B12, PP,H, K3, ecc...) .In un contesto di allevamento artificiale, è curata la profilassi contro le ornitopatologie più diffuse ed eventualmente la loro terapia. Ciò riduce sensibilmente le perdite di riproduttori e relativa prole, particolarmente gravi quando la specie riprodotta sia a rischio di estinzione.

L’altro tipo di allevamento e di detenzione, presente nel nostro territorio e quello e relativo ai richiami vivi, consentiti per l’attività venatoria, da poter utilizzare sia da appostamento fisso che da appostamento temporaneo come previsto dalla Legge 157/92 e dalla Legge Regionale 9/96 art. 11 comma 7 e comma 8, e sono consentite come richiami vivi le seguenti specie: Allodola, Cesena, Tordo bottaccio, Tordo sassello, Pavoncella e Colombaccio.

 

 

Tab.16 ‐ Autorizzazione  rilasciate detenzione e allevamento dei richiami Vivi 

N°AUT. Località dell’Allevamento Specie Allevate e numero capi Totale

1 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 4

2 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 2

3 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 2

4 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 4

5 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 8

6 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 1

7 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 5

8 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 4

9 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 4

10 MELITO PORTO SALVO

2- Merlo (Turdus merula L.), 4- Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 6

11 REGGIO CALABRIA Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 2

12 PALMI Tordo Bottaccio ( Turdus philomelos ) 2

Totale Soggetti 44

Dalla tabella sopra esposta sono state rilasciate n° 12 Autorizzazioni alla detenzione ed allevamento di richiami vivi consentiti per l’esercizio dell’attività venatoria, sono quasi tutti concentrati in Reggio Calabria città, e dal numero di soggetti detenuti non sono da considerarsi veri e propri allevamenti, ma detenuti per esercitare l’attività venatoria da appostamento temporaneo, in quanto in provincia esiste un solo appostamento fisso autorizzato.

Batteria di richiami mantenimento e cura

Su questo argomento,esistono innumerevoli testi che sicuramente trattano l’oggetto meglio del sottoscritto, alcuni risalgono addirittura alla fine del 1600,non esistono “novità” sull’argomento tutto è stato detto e scritto innumerevoli volte,oltretutto per dovere di sintesi mi limiterò a trattare i richiami consentiti ai nostri giorni.

Negli ultimi anni la caccia come tutti ben sapete ha subito modifiche legislative fondamentali, Il cacciatore ha dovuto trasformarsi in ornitologo,ha dovuto imparare ad allevare e far riprodurre i suoi richiami in cattivita’ per ovviare alla carenza di uccelli di cattura da integrare nella propria “batteria”, ha attrezzato stanze,voliere per l’accoppiamento e la successiva crescita dei nidiacei etc.etc., alcuni anzi tanti hanno smesso non per il venir meno della passione, ma per l’effettiva impossibilita’ tecnica a continuarla ,non tutti hanno a disposizione diversi metri quadrati per l’allevamento,non tutti possono permettersi di seguire l’imbeccata dei piccoli ogni 5/7 minuti per venti giorni,non tutti possono vivere da febbraio a luglio piu’tempo tra le voliere che le mura di casa etc.etc. una buona batteria per la caccia ai turdidi dovrebbe essere composta almeno da: 6/8 bottacci cantori ed altrettanti presicci, 4/6 sasselli cantori ed altrettanti presicci, 2/4 merli cantori e due presicci, 5/6 cesene , per la caccia alle allodole si consiglia invece una ventina di soggetti cantori da integrare annualmente con una decina di soggetti giovani.

 

 

Le gabbie devono essere acquistate in base a tre considerazioni:

- Le dimensioni regolari di legge,

- la salute del volatile e

- la facilita’ di trasporto.

La legge ha stabilito per i turdidi (e per lo storno) dimensioni di gabbie uguali,unica accortezza è acquistarne con la parte superiore coperta da un telo per tordi e merli e per quei soggetti piu’ restii ad abituarsi alla presenza dell’uomo che agitandosi,sbattono ripetutamente il capo contro la parte superiore della gabbia, mentre per le cesene è piu’ opportuno utilizzare gabbie con la parte superiore scoperta. il piano inferiore deve essere costruito con fili di metallo zincato per evitare che gli escrementi e l’acqua li facciano marcire o provochino danni a livello igienico, è sempre conveniente acquistare gabbie del medesimo tipo in modo da avere ognuna lo stesso ingombro facilitandone il trasporto sia a piedi che in auto,operazione questa al quale nessun capannista puo’ sottrarsi. Qualora si abbia necessità di sovrapporre una fila di gabbie ad un’altra, frapporre tra le parti un telo impermeabile il posatoio, di plastica deve essere collocato verticalmente vicino agli abbeveratoi in modo da poter essere facilmente asportato e pulito con cadenza regolare, risulta essere pero’ d’impiccio alle allodole che non lo utilizzano affatto per posarvisi, preferendo sempre rimanere al suolo.

La mangiatoia deve essere sfilabile da lato, in modo da poterla facilmente ripulire e dotata di alcune stecche trasversali che impediscano all’animale di sciupare il cibo.

Gli abbeveratoi devono essere posti alle estremità sinistra e destra di ogni gabbia ma non sugli angoli in modo da non favorire negli stessi il deposito di feci o sporco in genere.

I richiami hanno TUTTO L’ANNO necessita’ della massima attenzione e cura, per prima cosa pulizia, gli escrementi vanno rimossi giornalmente dal fondo delle gabbie e le stesse devono essere ricoverate in luoghi che permettano di poterle disporre leggermente rialzate in modo da far depositare le feci su di un asse,o su un giornale senza che le stesse siano a contatto con il volatile ed in modo da poter essere facilmente pulite, l’acqua degli abbeveratoi deve essere sempre limpida e sostituita giornalmente,ricordando che l’acqua è il primo trasmettitore di malattie , i turdidi soprattutto che si cibano di miscele apposite hanno spesso la necessita’ di bagnarsi il becco e cosi’ facendo depositano residui di cibo negli abbeveratoi,compromettendo l’igiene del contenuto, per non parlare di quei soggetti che all’interno della gabbia assumono posizioni di riposo tali da portarli a defecare negli abbeveratoi medesimi, risciacquarli quindi abbondantemente sino a che il loro contenuto non sia limpidissimo .

Il cibo nella mangiatoia deve essere sostituito settimanalmente,soprattutto quello a base di semi germinati o di miscele entrambe sensibili all’umidita’ e facili all’alterazione, disporre quindi all’interno la quantita’ necessaria al soggetto senza esagerare per ragioni di comodo, si rischia di compromettere a volte definitivamente la salute.

La dieta deve essere bilanciata, per permettere di essere in perfetta forma e quindi di rendere come dovuto,gli animali in liberta’ si cibano di numerose sostanze che forniscono all’ organismo le giuste calorie, in cattivita i soggetti devono disporre di tutti quegli elementi che permettano loro di rimanere in forma, considerando che mentre in natura i volatili compiono continui spostamenti, smaltendo le scorie di cibo e consumando un enorme quantita’ di calorie, in gabbia i medesimi compiono movimenti molto ridotti, ecco la necessita’ di nutrirli con alimenti bilanciati,senza eccedere con grassi, proteine che poi generano ai soggetti chiari e logici disturbi.

Oggi in commercio esistono numerosi mangimi specifici ed è opportuno rifornirsi di questi prodotti per alimentarli , trovata una buona miscela di base, tra l’altro le miscele in commercio sono prodotte in modo ottimale e non esiste motivo per cambiarle.

Gli uccelli come tutti gli animali sono istintivi, per cui se sono alimentati bene e curati, nei periodi giusti non possono esimersi dal fare quello che la natura gli impone: cantare.

 

 

2.2. Assetto faunistico 

2.2.1. Situazione generale: peculiarità e problematiche Uno strumento di pianificazione che si prefigge l’obiettivo di gestire il territorio e sfruttare le sue risorse naturali non può prescindere dalla conoscenza dell’entità delle risorse stesse.

L’approvazione deIIa L.N. 157/92 cambia compIetamente iI punto di vista deIIa gestione deIIa fauna e deI territorio rispetto aI passato. Prima deI 1992 infatti Ie precedenti normative suIIa caccia definivano in modo pià o meno accurato Ie modaIità con Ie quaIi si poteva fruire deI patrimonio faunistico, ma pià sempIicemente erano “Ieggi suIIa caccia”. La L.N. 157/92 introduce invece un concetto compIetamente diverso che è queIIo deIIa “conservazione” di tutta Ia fauna attraverso anche Ia tuteIa deI territorio. II nome stesso deIIa Iegge espIicita questo concetto: “Norme per Ia protezione deIIa fauna seIvatica omeoterma e per iI preIievo venatorio”, dove iI preIievo venatorio vien posto in secondo ordine rispetto aI regime di protezione. Di fatto questo approccio è anche Ia diretta conseguenza deIIa trasformazione avvenuta neI 1977 deIIa fauna seIvatica da res nuIIius (cioè di nessuno in particoIare ma di coIoro che Ia preIevano in modo IegaIe) a res communitatis e quindi di tutti i cittadini indistintamente. La fauna seIvatica assume quindi un vaIore anche per i cittadini che ne vogIiono godere in modo indiretto.

II primo articoIo deIIa Iegge, in forma moIto sintetica, riassume quindi aIcuni principi:

• Ia fauna seIvatica è patrimonio indisponibiIe deIIo Stato;

• Ia caccia è consentita purché non contrasti con Ie esigenze di conservazione e non arrechi danno effettivo aIIe produzioni agricoIe.

In termini moIto sintetici viene stabiIito iI principio che iI preIievo deIIa fauna seIvatica (caccia, cattura di animaIi a scopo scientifico e controIIo) avviene in regime di deroga rispetto ad un principio generaIe di protezione.

Affinché l’attività venatoria sia sostenibile (necessità che deriva dalla legge quadro nazionale (art. 1, comma 1) ed anche dall’applicazione delle direttive e convenzioni internazionali e va implementata concretamente nel PFV per coerenza con i principi della VAS) deve essere gestita in modo tale che il prelievo risulti compatibile con la conservazione della fauna oggetto del prelievo stesso. Ciò significa che il quantitativo di capi abbattuti nel corso di ogni stagione venatoria deve risultare inferiore a quello che in gergo tecnico viene chiamato l’incremento utile annuo della popolazione, dato dalla differenza tra il numero di individui nati nell’anno e quello dei soggetti deceduti. Se la somma della mortalità naturale più il numero di individui prelevati supera la natalità, inevitabilmente il numero d’individui che riesce a riprodursi diviene ogni anno più esiguo finché, se il prelievo continua con la stessa intensità, si giunge all’estinzione della popolazione.

Per la determinazione dei prelievi è necessario quindi che si verifichino le seguenti condizioni:

1. definizione degli obiettivi di densità o consistenza pre-riporduttivi;

2. conoscenza della densità o consistenza pre-riproduttiva della popolazione sottoposta a prelievo;

3. stima del successo riproduttivo;

4. stima della densità o cosistenza post-riproduttiva;

5. stima della mortalità “invernale”;

6. entità dei prelievi delle annate precedenti;

7. regolamentazione del prelievo in funzione della consistenza delle popolazioni.

Mentre per le specie stanziali la prassi delineata per la determinazione dei prelievi risulta tecnicamente possibile, nel caso delle specie ornitiche migratrici o non è ancora possibile o lo è entro certi limiti solo per determinati gruppi o specie (es. uccelli acquatici). Tuttavia, sulla base delle conoscenze a livello locale e generale in merito allo stato di conservazione e sui fattori di minaccia, è comunque possibile attuare una pianificazione del prelievo, che preveda limiti

 

 

prudenziali di carniere su base individuale e stagionale, nonché un adeguato sistema di monitoraggio faunistico e venatorio. Ciò è particolarmente importante in un’area come quella della provincia di Reggio Calabria, particolarmente rilevante dal punto di vista faunistico. La sua posizione geografica la rende, infatti, un passaggio obbligato per la quasi totalità delle specie migratrici presenti sul territorio nazionale, ed un’importante area di svernamento, Inoltre, rappresenta l’estrema propaggine meridionale dell’areale di distribuzione di molte specie di mammiferi ed uccelli stanziali.

Il territorio provinciale è interessato da continui ed imponenti flussi di specie migratrici, qui passa la più importante rotta di migrazione italiana e la terza del Paleartico Occidentale, infatti tutte le specie di uccelli che attraversano il Mediterraneo centrale utilizzano quest’area per ridurre il tratto di mare aperto da sorvolare per raggiungere il territorio siciliano e quindi l’Africa.

Annualmente, durante la migrazione pre-nuziale, nell’area dello Stretto di Messina transitano imponenti contingenti di migratori. Ad esempio vengono censiti mediamente 27000 rapaci e cicogne (dato medio relativo alle osservazioni del periodo 1996-2008, GIORDANO et al, dati WWF inediti), per l’area si stima un transito di oltre 40-45000 individui della stessa specie (CORSO, 2005). I conteggi massimi giornalieri danno valori di diverse migliaia di individui (9343 falchi pecchiaioli il 5-5-2000, ZALLE & BILDSTEIN, 2000; CORSO, 2001; GIORDANO, dati WWF inediti) e, includendo anche i passeriformi, si superano le decine di migliaia. Il passaggio dei rapaci e delle cicogne durante la migrazione post-nuziale risulta più diluito nel tempo e nello spazio, infatti il fronte utilizzato e notevolmente più ampio ed il passaggio è apprezzabile da metà-fine luglio a inizio-metà novembre, con picchi nell’ultima decade di agosto e tra la seconda e la terza di settembre.

Lo Stretto di Messina è uno dei 106 siti (bottle neck) nel mondo nei quali vengono regolarmente censiti più di 10000 rapaci, dei siti italiani è sicuramente il più importante, a livello europeo solo nello stretto di Gibilterra (>100.000 rapaci) ed a Eliat in Israele (>1.000.000) si registrano numeri più alti.

 

Fig. 12 – Principali rotte di migrazione europee 

Molte specie di mammiferi trovano qui un limite fisico alla loro diffusione verso sud: lo Scoiattolo meridionale (Sciurus vulgaris meridionalis), il Lupo (Canis lupus), il Tasso (Meles meles), la Faina (Martes foina), il Capriolo italico (Capreolus capreolus italicus), non presenti o estinte in Sicilia; la Lepre italica (Lepus corsicanus) è presente con un aplotipo differente rispetto a quello identificato in Sicilia.

Per l’analisi della situazione faunistica della provincia di Reggio Calabria si è fatto riferimento, non essendo disponibili dati aggiornati, alle informazioni desunte dalla bibliografia presente. Il lavoro più ampio e completo (avifauna) è quello del Lucifero che risale al 1901, l’aggiornamento è stato

 

 

fatto con i risultati di censimenti e studi effettuati a livello nazionale o europeo da varie organizzazioni, che seppur difficilmente utilizzabili per una pianificazione di livello locale, ci consentono di ricavare dei dati di presenza e trend demografici e delle stime di popolazione sufficientemente attendibili.

L’analisi della situazione provinciale si basa quindi sulla raccolta dei dati presenti in bibliografia integrati con osservazioni personali degli autori e dati inediti forniti da diversi osservatori: i dati sui rapaci migratori sono il risultato dei censimenti effettuati da varie associazioni (LIPU, WWF, MAN, ecc.) su entrambe i versanti dello stretto di Messina; per altri gruppi di specie si è fatto riferimento alle banche dati del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare o alle osservazioni raccolte personalmente dagli autori.

L’elaborazione dei dati ha consentito di stilare le liste degli uccelli e dei mammiferi presenti sul territorio provinciale. Per l’avifauna accanto ad ogni specie, laddove disponibile, è riportato lo status.

 

 

2.2.2. Quadro conoscitivo delle specie presenti in ambito provinciale 

2.2.2.1. Avifauna Le conoscenze relative a questa classe sono riunite nella Check-list degli uccelli della Calabria aggiornata a gennaio 1993, di Scebba et al. (1992-93), da questo lavoro sono state estrapolate le informazioni relative alla provincia di Reggio Calabria. Lo status delle specie presenti sul territorio provinciale, non essendo oggetto dell’incarico la realizzazione di rilievi di campagna, è stato aggiornato al 2008 con singole osservazioni dell’autore (A. Scuderi), riferite a singole specie e non raccolte in maniera sistematica, e con i dati presenti in bibliografia. Il quadro conoscitivo prodotto necessita, quindi, di un approfondimento risultando incompleto, in particolare per alcune specie, o basato su informazioni datate che non consentono serie azioni di pianificazione.

Per l’ordine sistematico e la nomenclatura ci si è attenuti alla Check-list degli uccelli italiani (Brichetti & Massa, 1984).

Le specie di cui si ha notizia sono 301 (20 ordini e 62 famiglie). Ad oggi 116 specie sono nidificanti (B), di cui 102 regolari, 4 irregolari (B irr), per 10 specie la nidificazione è da accertare (B?). Le specie svernanti (W) sono 72, di cui 57 regolari e 15 irregolari (W irr), 209 sono migratrici (M), di queste 20 in maniera irregolare (W irr). Le specie di comparsa accidentale (A) sono 46, per 14 di queste non ci sono nuovi dati successivi al 1950 (accidentali storici (A)). Dal 1993 ad oggi sono state segnalate 4 nuove specie (Aquila delle steppe, Falco dell’Amur, Tortora delle palme e Culbianco isabellino).

Per molte specie le informazioni si riferiscono a porzioni limitate del territorio provinciale o a singole osservazioni, per una migliore definizione dello status è necessario avviare una campagna di indagine specifica.

Nella Check-list (Tab. 11) sono presenti, per confronto, anche le informazioni relative allo status riportate dal Lucifero (1901).

Nella tabella 12 è indicato lo status legale delle 301 specie presenti. 98 specie risultano inserite nell’allegato I della direttiva “Uccelli” (dir. 79/409/CEE), 200 specie risultano inserite nell’allegato 2 della convenzione di Berna (1979), 150 specie risultano inserite nell’appendice 2 della convenzione di Bonn (1979).

Secondo la lista rossa degli uccelli italiani (Calvario E. 1999) 6 specie risultano inserite nella categoria “Ex” - estinte come nidificanti sul territorio nazionale, 15 specie sono inserite nella categoria “CR” - in pericolo in modo critico, 26 specie sono inserite nella categoria “EN” - in pericolo, 26 specie sono inserite nella categoria di minaccia “VU” sono quindi specie vulnerabili, 32 specie sono a più basso rischio di minaccia, categoria “LR”. Per 22 specie, nidificanti irregolari o con la prima nidificazione dopo il 1988, lo status non è stato valutato “NE”, 4 specie appartenenti a sottospecie o popolazioni isolate rimangono a status indeterminato “DD”.

 

 

Tab. 17 – Check‐list delle specie di uccelli della Provincia di Reggio Calabria 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

1 Strolaga minore Gavia stellata (A-1) (RC 1887) A Gaviiformes Gaviidae

2 Strolaga mezzana Gavia arctica (A-1) (RC 1891) A

3 Tuffetto Tachybaptus ruficollis M reg, W, B, S par S 3

4 Svasso maggiore Podiceps cristatus M reg, W irr Vi 2

5 Svasso collorosso Podiceps grisegena (A-2) (RC 1897, 1898) A Podicipediformes Podicipedidae

6 Svasso piccolo Podiceps nigricollis M reg, W irr A

7 Berta maggiore Calonectris diomedea M reg Ve 1 Procellariformes Procellariidae

8 Berta minore Puffinus puffinus M reg Ve 4

Hydrobatidae 9 Uccello delle tempeste Hydrobates pelagicus M irr Ve 2

Sulidae 10

Sula Morus bassanus M reg, W A

11

Cormorano Phalacrocorax carbo M reg, W Vi 2

12

Marangone dal ciuffo Phalacrocorax aristotelis A (s.d.) A Phalacroracidae

13

Marangone minore Phalacrocorax pygmeus A (s.d.) A

Pelecaniformes

Pelecanidae 14

Pellicano Pelecanus onocrotalus A (RC 1997) A

15

Tarabuso Botaurus stellaris M reg Me 2

16

Tarabusino Ixobrychus minutus M reg Me 4

17

Nitticora Nycticorax nycticorax M reg Me 4

18

Sgarza ciuffetto Ardeola ralloides M reg Me 4

19

Airone schistaceo Egretta gularis A-1 (RC 1975)

20

Garzetta Egretta garzetta M reg Me 2

Ciconiiformes Ardeidae

21

Airone bianco maggiore Ardea alba M reg A

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

22

Airone cenerino Ardea cinerea M reg, W irr Me 3

23

Airone rosso Ardea purpurea M reg Me 4

24

Cicogna nera Ciconia nigra M reg Me 1

Ciconidae 25

Cicogna bianca Ciconia ciconia M reg Me 1

Threskiornithidae 26

Mignattaio Plegadis falcinellus M reg Me 1

Ciconiiformes Threskiornithidae 27

Spatola Platalea leucorodia M reg A

Phoenicopteriformes Phoenicopteridae 28

Fenicottero Phoenicopterus ruber M irr A(s)

29

Cigno reale Cygnus olor A (s.d.) A(s)

30

Cigno selvatico Cygnus cygnus A (s.d.) A(s)

31

Oca granaiola Anser fabalis A (s.d.)

32

Oca lombardella Anser albifrons A (s.d.)

33

Oca selvatica Anser anser M irr

34

Volpoca Tadorna tadorna M reg, W irr A(s)

35

Fischione Anas penelope M reg, W Ms 1

36

Canapiglia Anas strepera M reg, W Ms 2

37

Alzavola Anas crecca M reg, W Ms 2

38

Germano reale Anas platyrhynchos M reg, W Ms 4

Anseriformes Anatidae

39

Codone Anas acuta M reg, W A(s)

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

40

Marzaiola Anas querquedula M reg Me 2

41

Mestolone Anas clypeata M reg, W Ms 2

42

Fistione turco Netta rufina A (s.d.)

43

Moriglione Aythya ferina M reg, W

44

Moretta tabaccata Aythya nyroca M reg Ms 3

45

Moretta Aythya fuligula M reg Ms 3

46

Moretta grigia Aythya marila (A-1) (RC 1897)

47

Orco marino Melanitta fusca (A-2) (RC 1879 e 1897) A(s)

48

Quattrocchi Bucephala clangula A (s.d.)

49

Smergo minore Mergus serrator M reg Ms 1

50

Falco pecchiaiolo Pernis apivorus M reg, B irr M reg

51

Nibbio bruno Milvus migrans M reg Me 1

52

Nibbio reale Milvus milvus M reg S, B Accipitriformes Accipitridae

53

Aquila di mare Haliaeetus albicilla A-3 (RC 1973, 1974 e 1975)

54

Gipeto Gypaetus barbatus (A-1) (RC 1872) A

55

Capovaccaio Neophron percnopterus M reg Me 3

56

Grifone Gyps fulvus A (RC 2003-8) A

57

Avvoltoio monaco Aegypius monachus A-3 (RC ante 1857, 1910 e 1975)

A

Accipitriformes Accipitridae

5 Biancone Circaetus gallicus M reg M reg, B

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 8

59

Falco di palude Circus aeruginosus M reg S N 3

60

Albanella reale Circus cyaneus M reg Me 1

61

Albanella pallida Circus macrourus M reg Me 1

62

Albanella minore Circus pygargus M reg Me 4

63

Astore Accipiter gentilis S, B M

64

Sparviere Accipiter nisus S, B, M reg, W M

65

Sparviere levantino Accipiter brevipes (A-1) (RC 1893) A

66

Poiana Buteo buteo S, B, M reg, W S N 3

67

Poiana codabianca Buteo rufinus A (s.d.) A

68

Aquila anatraia minore Aquila pomarina A-3 (RC 1986, 1987, 2006)

69

Aquila anatraia maggiore Aquila clanga A-1 (RC 1986)

70

Aquila delle steppe Aquila nipalensis A-1 (RC 2005)

71

Aquila imperiale Aquila celiaca A-1 (RC 1986)

72

Aquila reale Aquila chrysaetos S, B, M irr S n 1

73

Aquila minore Hieraaetus pennatus M reg

74

Aquila del Bonelli Hieraaetus fasciatus M irr, B?, S A

Pandionidae 75

Falco pescatore Pandion haliaetus M reg Me 2

Falconiformes Falconidae 76

Grillaio Falco naumanni M reg Me 3

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

77

Gheppio Falco tinnunculus M reg, S parz, B, W parz S N 4

78

Falco cuculo Falco vespertinus M reg Me 3

79

Falco dell'Amur Falco amurensis A-1 (RC 1995)

80

Smeriglio Falco columbarius M irr M 2

81

Lodolaio Falco subbuteo M reg Me 2

82

Falco della regina Falco eleonorae M reg, E irr A

83

Lanario Falco biarmicus S, B S N 1

84

Sacro Falco cherrug A-4 (RC 1892, 1898, 1899, 1987)

Me 1

Falconiformes Falconidae

85

Pellegrino Falco peregrinus S, B, M reg Me 2

86

Coturnice Alectoris graeca S, B S N 3

87

Starna Perdix perdix S, B ripopolata estinta XIX

88

Quaglia Coturnix coturnix M reg, B, W reg Me N 4 Galliformes Phasanidae

89

Fagiano comune Phasianus colchicus S, B ripopolato estinto XVI

90

Porciglione Rallus aquaticus M reg, W irr S 2

91

Voltolino Porzana porzana M reg

92

Schiribilla Porzana parva M reg S 1

93

Schiribilla grigiata Porzana pusilla M irr S 1

94

Re di quaglie Crex crex M reg Me 2

Gruiformes Rallidae

9 Gallinella d'acqua Gallinula chloropus M reg, W, S, B S 4

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 5

96

Folaga Fulica atra M reg, W, S parz, B S 3

Gruidae 97

Gru Grus grus M reg Me 3

Otitidae 98

Gallina prataiola Tetrax tetrax A (s.d.) A

Haematopodidae 99

Beccaccia di mare Haematopus ostralegus M reg Me 1

100

Cavaliere d'Italia Himantopus himantopus M reg, B irr Me 2

Recurvirostridae 101

Avocetta Recurvirostra avosetta M reg A

Burhinidae 102

Occhione Burhinus oedicnemus M reg S N 3

103

Corrione biondo Cursorius cursor (A-1) (RC 1898)

Glareolidae 104

Pernice di mare Glareola pratincola M reg Me 2

105

Corriere piccolo Charadrius dubius M reg, B

106

Corriere grosso Charadrius hiaticula M reg Me 2

Charadriformes

Charadridae

107

Fratino Charadrius alexandrinus M reg, B S N 3

108

Piviere tortolino Charadrius morinellus M reg Ms 2 Charadriformes Charadridae

109

Piviere orientale Pluvialis dominica (A-1) (RC 1897) A

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

110

Piviere dorato Pluvialis apricaria M reg Ms 4

111

Pivieressa Pluvialis squatarola M reg Ms 1

112

Pavoncella Vanellus vanellus M reg, W irr Ms 3

113

Piovanello maggiore Calidris canutus M reg M 2

114

Piovanello tridattilo Calidris alba M reg Ms 2

115

Gambecchio Calidris minuta M reg Ms 4

116

Gambecchio nano Calidris temminckii M reg Ms 1

117

Piovanello Calidris ferruginea M reg

118

Piovanello pancianera Calidris alpina M reg, W irr

119

Gambecchio frullino Limicola falcinellus M irr M 1

120

Combattente Philomachus pugnax M reg Ms 3

121

Frullino Lymnocryptes minimus M reg, W Ms 3

122

Beccaccino Gallinago gallinago M reg, W Ms 4

Scolapacidae

1 Croccolone Gallinago media M reg Ms 2

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 23

124

Beccaccia Scolopax rusticola M reg, W Ms 3

125

Pittima reale Limosa limosa M reg

126

Pittima minore Limosa lapponica M reg

127

Chiurlo piccolo Numenius phaeopus M reg Ms 2

128

Chiurlottello Numenius tenuirostris A (s.d.) Ms 1

129

Chiurlo maggiore Numenius arquata M reg

130

Totano moro Tringa erythropus M reg

131

Pettegola Tringa totanus M reg Ms 2

132

Albastrello Tringa stagnatilis M reg

133

Pantana Tringa nebularia M reg

134

Piro piro culbianco Tringa ochropus M reg, W irr M 1

135

Piro piro boschereccio Tringa glareola M reg M 1 Charadriformes Scolapacidae

136

Piro piro piccolo Actitis hypoleucos M reg, B?, W irr S n 3

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

137

Voltapietre Arenaria interpres M reg M 1

Stercoraridae 138

Labbo Stercorarius parasiticus A-2 (RC 1903, 2005) A

139

Gabbiano corallino Larus melanocephalus M reg, W Ms 4

140

Gabbianello Larus minutus M reg, W Ms 3

141

Gabbiano comune Larus ridibundus M reg, W Ms n 4

142

Gabbiano roseo Larus genei M reg, W A

143

Gabbiano corso Larus audouinii (A-1) (RC 1903) A

144

Gavina Larus canus W irr, M irr

145

Zafferano Larus fuscus M reg, W A

146

Gabbiano reale Larus cachinnans M reg, W, E S n 4

Laridae

147

Gabbiano tridattilo Rissa tridactyla M irr, W irr

148

Sterna zampenere Gelochelidon nilotica M reg

149

Sterna maggiore Sterna caspia M reg

Sternidae

1 Beccapesci Sterna sandvicensis M reg, W Ms n 4

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 50

151

Sterna comune Sterna hirundo M reg

152

Fraticello Sterna albifrons M reg

153

Mignattino piombato Chlidonias hybridus M reg

154

Mignattino Chlidonias niger M reg Me 4

155

Mignattino alibianche Chlidonias leucopterus M reg Me 2

156

Gazza marina Alca torda A (s.d.) Ms 4

Alcidae 157

Pulcinella di mare Fratercula arctica A (s.d.) A

158

Piccione selvatico Columba livia S, B S N 2

159

Colombella Columba oenas M reg, W, B? Ms 3

160

Colombaccio Columba palumbus M reg, W, S parz, B S N 3 Columbiformes Columbidae

161

Tortora dal collare Streptopelia decaocto S, B

162

Tortora Streptopelia turtur M reg, B S N 4

Columbiformes Columbidae 16

Tortora delle palme Streptopelia senegalensis A-1 (RC 2001)

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 3

164

Cuculo dal ciuffo Clamator glandarius A (s.d.)

Cuculiformes Cuculidae 165

Cuculo Cuculus canorus M reg, B Me N 4

Tytonidae 166

Barbagianni Tyto alba S, B, M reg S N 3

167

Assiolo Otus scops M reg, B Me N 3

168

Gufo reale Bubo bubo S, B S N 2

169

Civetta Athene noctua S, B S N 4

170

Allocco Strix aluco S, B S n 1

171

Gufo comune Asio otus M irr S 1

Strigiformes

Strigidae

172

Gufo di palude Asio flammeus M reg Me 3

Caprimulgiformes Caprimulgidae 173

Succiacapre Caprimulgus europaeus M reg, B Me N 4

174

Rondone Apus apus M reg, B Me N 4

175

Rondone pallido Apus pallidus M reg, B Apodiformes Apodidae

176

Rondone maggiore Apus melba M reg, B Me N 3

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

Alcedidae 177

Martin pescatore Alcedo atthis M reg, B? S, N, III

Meropidae 178

Gruccione Merops apiaster M reg, B Me, n, III

Coraciidae 179

Ghiandaia marina Coracias garrulus M reg Me, N, IV Coraciformes

Upupidae 180

Upupa Upupa epops M reg, B Me, N, IV

181

Torcicollo Jynx torquilla M reg, W, S parz, B Me, N, IV

182

Picchio verde Picus viridis S, B S, N, II

183

Picchio nero Dryocopus martius S, B S, I

184

Picchio rosso maggiore Picoides major S, B S, N, III

185

Picchio rosso mezzano Picoides medius s.d.

Piciformes Picidae

186

Picchio rosso minore Picoides minor S, B

187

Calandra Melanocorypha calandra M reg S N 3

Passeriformes Alaudidae 188

Calandrella Calandrella brachydactyla M reg, B Me n 3

189

Cappellaccia Galerida cristata S, B S N 4 Passeriformes Alaudidae

1 Tottavilla Lullula arborea M reg, W, S parz, B S N 3

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 90

191

Allodola Alauda arvensis M reg, W, S parz, B S N 4

192

Allodola golagialla Eremophila alpestris (A-1) (RC 1898 o 1899) A

193

Topino Riparia riparia M reg Me 4

194

Rondine montana Ptyonoprogne rupestris M reg, B? Me N 4

195

Rondine Hirundo rustica M reg, B Me N 4

196

Rondine rossiccia Hirundo daurica M reg, B irr A

Hirundinidae

197

Balestruccio Delichon urbica M reg, B Me(inv.) N 4

198

Calandro Anthus campestris M reg, B Ms 4

199

Prispolone Anthus trivialis M reg, B? Me 4

200

Pispola Anthus pratensis M reg, W Ms 4

201

Pispola golarossa Anthus cervinus M irr M 1

202

Spioncello Anthus spinoletta M reg, W ?

Motacillidae

203

Cutrettola Motacilla flava M reg, B irr S 3

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

204

Ballerina gialla Motacilla cinerea S parz, B Ms n 4

205

Ballerina bianca Motacilla alba S parz, B, M reg, W S N 4

Bombycillidae 206

Beccofrusone Bombycilla garrulus A-1 (RC 1970)

Cinclidae 207

Merlo acquaiolo Cinclus cinclus S, B S N 3

Troglodytidae 208

Scricciolo Troglodytes troglodytes S, B S N 2

209

Passera scopaiola Prunella modularis M reg, W Ms 2

Prunellidae 210

Sordone Prunella collaris M irr

211

Pettirosso Erithacus rubecula M reg, W, S parz, B S N 4

212

Usignolo Luscinia megarhynchos M reg, B Me N 4

213

Calliope Luscinia calliope (A-1) (RC 1906) A

214

Pettazzurro Luscinia svecica M reg, W irr

Turdidae

215

Codirosso spazzacamino Phoenicurus ochruros M reg, W, S parz, B Ms 2

216

Codirosso Phoenicurus phoenicurus M reg, B Me N 2 Passeriformes Turdidae

2 Codirosso algerino Phoenicurus moussieri A-2 (RC 1906, 2004) A

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 17

218

Stiaccino Saxicola rubetra M reg, B? M 3

219

Saltimpalo Saxicola torquata S parz, B, M reg, W S n 4

220

Culbianco isabellino Oenanthe isabellina A-1 (RC 2004)

221

Culbianco Oenanthe oenanthe M reg, B Me N 4

222

Monachella Oenanthe hispanica M reg, B Me N 2

223

Codirossone Monticola saxatilis M reg, B Me n 2

224

Passero solitario Monticola solitarius M reg, S, B S N 3

225

Merlo dal collare Turdus torquatus M reg, W irr

226

Merlo Turdus merula M reg, W, S, B S N 4

227

Cesena Turdus pilaris M reg, W

228

Tordo bottaccio Turdus philomelos M reg, W, B? Ms 4

229

Tordo sassello Turdus iliacus M reg, W parz

230

Tordela Turdus viscivorus S, B, M reg, W S N 3

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

231

Usignolo di fiume Cettia cetti S, B

232

Beccamoschino Cisticola juncidis S parz, B S N 3

233

Salciaiola Locustella luscinoides M irr

234

Forapaglie castagnolo Acrocephalus melanopogon M reg

235

Forapaglie Acrocephalus schoenobaenus M reg

236

Cannaiola verdognola Acrocephalus palustris M irr

237

Cannaiola Acrocephalus scirpaceus M reg, B M 2

238

Cannareccione Acrocephalus arundinaceus M reg M 3

239

Canapino maggiore Hippolais icterina M reg ?

240

Canapino Hippolais poliglotta M reg M 2

241

Magnanina sarda Sylvia sarda M irr? ?

Sylviidae

242

Magnanina Sylvia undata S, B, W

243

Sterpazzola di Sardegna Sylvia conspicillata M reg, B Passeriformes Sylviidae

2 Sterpazzolina Sylvia cantillans M reg, B

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 44

245

Occhiocotto Sylvia melanocephala S, B S N 2

246

Bigia grossa Sylvia hortensis M reg

247

Bigiarella Sylvia curruca M irr A

248

Sterpazzola Sylvia communis M reg, B M 2

249

Beccafico Sylvia borin M reg M 4

250

Capinera Sylvia atricapilla S, B, M reg, W S N 4

251

Luí bianco Phylloscopus bonelli M reg

252

Luí verde Phylloscopus sibilatrix M reg M 3

253

Luí piccolo Phylloscopus collybita M reg, W, S parz, B S N 4

254

Luí grosso Phylloscopus trochilus M reg

255

Regolo Regulus regulus S parz, B Ms 1

256

Fiorrancino Regulus ignicapillus S parz, B Ms 1

Muscicapidae 257

Pigliamosche Muscicapa striata M reg, B Me 3

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900

258

Pigliamosche pettirosso Ficedula parva (A-1) (RC 1890) A

259

Balia dal collare Ficedula albicollis M reg, B Me 2

260

Balia nera Ficedula hypoleuca M reg Me 2

Aegithalidae 261

Codibugnolo italiano Aegithalos caudatus S, B

262

Cincia bigia Parus palustris S, B

263

Cincia mora Parus ater S, B

264

Cinciarella Parus caeruleus S, B Ms 1 Paridae

265

Cinciallegra Parus major S, B S N 3

Sittidae 266

Picchio muratore Sitta europaea S, B S 2

267

Rampichino alpestre Certhia familiaris S, B

Certhiidae 268

Rampichino Certhia brachydactyla S, B S 3

Remizidae 269

Pendolino Remiz pendulinus S, B?

Oriolidae 270

Rigogolo Oriolus oriolus M reg, B? Me n 4 Passeriformes

Laniidae 2 Averla piccola Lanius collurio M reg, B A

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 71

272

Averla cenerina Lanius minor M irr Me 4

273

Averla maggiore Lanius excubitur A-1 (RC 1975)

274

Averla capirossa Lanius senator M reg, B Me N 4

275

Ghiandaia Garrulus glandarius S, B S N 3

276

Gazza Pica pica S, B S N 3

277

Taccola Corvus monedula S, B S 1

278

Corvo Corvus frugilegus A Ms 4

279

Cornacchia Corvus corone S, B S N 2

Corvidae

280

Corvo imperiale Corvus corax S, B S N 4

Sturnidae 281

Storno Sturnus vulgaris M reg, W, B, S? Ms 4

282

Passera d'Italia Passer italiae S, B S N 4

Passera sarda Passer hispaniolensis S N 2

283

Passera mattugia Passer montanus S , B Passeridae

2 Passera lagia Petronia petronia S, B, M reg, W Ms 3

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 84

285

Fringuello Fringilla coelebs M reg, W, S parz, B S N 4

286

Peppola Fringilla montifringilla M irr, W irr Ms 1

287

Verzellino Serinus serinus S parz, B, M reg, W S N 4

288

Verdone Carduelis chloris S parz, B, M reg, W S N 4

289

Cardellino Carduelis carduelis S parz, B, M reg, W S N 4

290

Lucarino Carduelis spinus M reg, W, S, B M 1

291

Fanello Carduelis cannabina S parz, B, M reg, W S N 4

292

Crociere Loxia curvirostra S, B M(irr.) 4

Fringillidae

293

Frosone Coccothraustes coccothraustes W irr, M reg Ms 2

294

Zigolo giallo Emberiza citrinella s.d.

Emberizidae 295

Zigolo nero Emberiza cirlus M reg, W, S parz, B Ms N 3

296

Zigolo muciatto Emberiza cia S parz, B Ms 3 Passeriformes Emberizidae

29

Ortolano Emberiza hortulana s.d.

 

 

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico Provincia di RC (2008) Primi del '900 7

298

Ortolano grigio Emberiza caesia (A-1) (RC 1910) A

299

Migliarino di palude Emberiza schoeniclus M reg, W A

300

Zigolo capinero Emberiza melanocephala s.d. A

301

Strillozzo Miliaria calandra M reg, W, S parz, B S 3

 

 

Tab. 18  – Status legale della specie dell’avifauna della provincia. 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

1 Strolaga minore Gavia stellata * * Gaviiformes Gaviidae

2 Strolaga mezzana Gavia arctica * * *

3 Tuffetto Tachybaptus ruficollis *

4 Svasso maggiore Podiceps cristatus

5 Svasso collorosso Podiceps grisegena * * Podicipedifor

mes Podicipedida

e

6 Svasso piccolo Podiceps nigricollis * NE

7 Berta maggiore Calonectris diomedea * * VU 2 Procellariidae 8 Berta minore Puffinus puffinus * VU 4 Procellarifor

mes Hydrobatidae 9 Uccello delle tempeste Hydrobates pelagicus * * VU 2

Sulidae 10 Sula Morus bassanus

11 Cormorano Phalacrocorax carbo EN

12 Marangone dal ciuffo Phalacrocorax aristotelis * * LR Phalacroracidae

13 Marangone minore Phalacrocorax pygmeus * * * NE

Pelecaniformes

Pelecanidae 14 Pellicano comune Pelecanus onocrotalus * * *

Ciconiiformes Ardeidae 15 Tarabuso Botaurus stellaris * * * EN 3

16 Tarabusino Ixobrychus minutus * * * LR Ciconiiformes

Ardeidae

17 Nitticora Nycticorax nycticorax * *

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

18 Sgarza ciuffetto Ardeola ralloides * * VU 3

19 Airone schistaceo Egretta gularis

20 Garzetta Egretta garzetta * *

21 Airone bianco maggiore Egretta alba * * * NE

22 Airone cenerino Ardea cinerea LR

23 Airone rosso Ardea purpurea * * LR

24 Cicogna nera Ciconia nigra * * * NE Ciconidae

25 Cicogna bianca Ciconia ciconia * * * LR

26 Mignattaio Plegadis falcinellus * * * CR 3 Threskiornithidae 27 Spatola Platalea leucorodia * * * NE

Phoenicopteriformes

Phoenicopteridae

28 Fenicottero Phoenicopterus ruber * * * NE

29 Cigno reale Cygnus olor *

30 Cigno selvatico Cygnus cygnus * * *

31 Oca granaiola Anser fabalis * Anseriformes Anatidae

32 Oca lombardella Anser albifrons *

33 Oca selvatica Anser anser *

34 Volpoca Tadorna tadorna * * EN

Anseriformes Anatidae

35 Fischione Anas penelope * NE

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

36 Canapiglia Anas strepera * CR 3

37 Alzavola Anas crecca * EN

38 Germano reale Anas platyrhynchos *

39 Codone Anas acuta * NE

40 Marzaiola Anas querquedula * VU 3

41 Mestolone Anas clypeata * EN

42 Fistione turco Netta rufina * EN 3

43 Moriglione Aythya ferina * VU 4

44 Moretta tabaccata Aythya nyroca * * CR 1

45 Moretta Aythya fuligula * CR

46 Moretta grigia Aythya marila *

47 Orco marino Melanitta fusca *

48 Quattrocchi Bucephala clangula *

49 Smergo minore Mergus serrator *

50 Falco pecchiaiolo Pernis apivorus * * * VU 4

51 Nibbio bruno Milvus migrans * * * VU 3

52 Nibbio reale Milvus milvus * * * EN 4

53 Aquila di mare Haliaeetus albicilla * * * Ex 3

Accipitriformes

Accipitridae

54 Gipeto Gypaetus barbatus * * * Ex 3

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

55 Capovaccaio Neophron percnopterus * * * CR 3

56 Grifone Gyps fulvus * * * EN 3

57 Avvoltoio monaco Aegypius monachus * * * Ex 3

58 Biancone Circaetus gallicus * * * EN 3

59 Falco di palude Circus aeruginosus * * * EN

60 Albanella reale Circus cyaneus * * * Ex 3

61 Albanella pallida Circus macrourus * * *

62 Albanella minore Circus pygargus * * * VU 4

63 Astore Accipiter gentilis * * VU

64 Sparviere Accipiter nisus * *

65 Sparviere levantino Accipiter brevipes * * *

66 Poiana Buteo buteo * *

67 Poiana codabianca Buteo rufinus * * *

68 Aquila anatraia minore Aquila pomarina * * *

69 Aquila anatraia maggiore Aquila clanga * * *

70 Aquila delle steppe Aquila nipalensis * *

71 Aquila imperiale Aquila celiaca * * *

72 Aquila reale Aquila chrysaetos * * * VU 3

Accipitriformes

Accipitridae

73 Aquila minore Hieraaetus pennatus * * *

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

74 Aquila del Bonelli Hieraaetus fasciatus * * * CR 3

Pandionidae 75 Falco pescatore Pandion haliaetus * * * Ex 3

76 Grillaio Falco naumanni * * * LR

77 Gheppio Falco tinnunculus * *

78 Falco cuculo Falco vespertinus * * NE

79 Falco dell'Amur Falco amurensis * *

80 Smeriglio Falco columbarius * * *

81 Lodolaio Falco subbuteo * * VU

82 Falco della regina Falco eleonorae * * * VU 2

Falconiformes Falconidae

83 Lanario Falco biarmicus * * * EN 3

84 Sacro Falco cherrug * * Falconiformes Falconidae

85 Pellegrino Falco peregrinus * * * VU 3

86 Coturnice Alectoris graeca * VU 2

87 Starna Perdix perdix LR

88 Quaglia Coturnix coturnix * LR Galliformes Phasanidae

89 Fagiano Pasias colchicus

90 Porciglione Rallus aquaticus LR Gruiformes Rallidae

91 Voltolino Porzana porzana * * * EN 4

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

92 Schiribilla Porzana parva * * * CR 4

93 Schiribilla grigiata Porzana pusilla * * NE

94 Re di quaglie Crex crex * * * EN 1

95 Gallinella d'acqua Gallinula chloropus

96 Folaga Fulica atra *

Gruidae 97 Gru Grus grus * * * Ex 3

Otitidae 98 Gallina prataiola Tetrax tetrax * * EN 2

Charadriformes

Haematopodidae

99 Beccaccia di mare Haematopus ostralegus EN

100 Cavaliere d'Italia Himantopus himantopus * * LR Recurvirostridae 101 Avocetta Recurvirostra avosetta * * LR

Burhinidae 102 Occhione Burhinus oedicnemus * * * EN 3

103 Corrione biondo Cursorius cursor * * Glareolidae

104 Pernice di mare Glareola pratincola * * * EN 3

105 Corriere piccolo Charadrius dubius * * LR

106 Corriere grosso Charadrius hiaticula * * NE

107 Fratino Charadrius alexandrinus * * LR

108 Piviere tortolino Charadrius morinellus * * * CR

Charadriformes

Charadridae

109 Piviere orientale Pluvialis dominica *

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

110 Piviere dorato Pluvialis apricaria * *

111 Pivieressa Pluvialis squatarola *

112 Pavoncella Vanellus vanellus *

113 Piovanello maggiore Calidris canutus *

114 Piovanello tridattilo Calidris alba * *

115 Gambecchio Calidris minuta * * Scolapacidae

116 Gambecchio nano Calidris temminckii * *

117 Piovanello Calidris ferruginea * *

118 Piovanello pancianera Calidris alpina * *

119 Gambecchio frullino Limicola falcinellus * *

120 Combattente Philomachus pugnax * *

121 Frullino Lymnocryptes minimus *

122 Beccaccino Gallinago gallinago * NE

123 Croccolone Gallinago media * * *

124 Beccaccia Scolopax rusticola * EN 3

125 Pittima reale Limosa limosa * CR 2

126 Pittima minore Limosa lapponica * *

Charadriformes

Scolapacidae

127 Chiurlo piccolo Numenius phaeopus *

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

128 Chiurlottello Numenius tenuirostris * * *

129 Chiurlo maggiore Numenius arquata * NE

130 Totano moro Tringa erythropus *

131 Pettegola Tringa totanus * EN 2

132 Albastrello Tringa stagnatilis * *

133 Pantana Tringa nebularia *

134 Piro piro culbianco Tringa ochropus * *

135 Piro piro boschereccio Tringa glareola * * *

136 Piro piro piccolo Actitis hypoleucos * * VU Scolapacidae

137 Voltapietre Arenaria interpres * *

Stercoraridae 138 Labbo Stercorarius parasiticus

139 Gabbiano corallino Larus melanocephalus * * * VU 4

140 Gabbianello Larus minutus *

141 Gabbiano comune Larus ridibundus VU

142 Gabbiano roseo Larus genei * * * EN

143 Gabbiano corso Larus audouinii * * * EN 1

144 Gavina Larus canus

Charadriformes

Laridae

145 Zafferano Larus fuscus

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

146 Gabbiano reale Larus cachinnans

147 Gabbiano tridattilo Rissa tridactyla

148 Sterna zampenere Gelochelidon nilotica * * * EN 3

149 Sterna maggiore Sterna caspia * * * NE Sternidae

150 Beccapesci Sterna sandvicensis * * * VU 2

Charadriformes

Sternidae 151 Sterna comune Sterna hirundo * * * LR

152 Fraticello Sterna albifrons * * * VU 3

153 Mignattino piombato Chlidonias hybridus * * EN 3

154 Mignattino Chlidonias niger * * * CR 3

155 Mignattino alibianche Chlidonias leucopterus * * CR

Alcidae 156 Gazza marina Alca torda

157 Pulcinella di mare Fratercula arctica

Columbiformes

Columbidae 158 Piccione selvatico Columba livia VU

159 Colombella Columba oenas CR 4

160 Colombaccio Columba palumbus

161 Tortora dal collare Streptopelia decaocto

162 Tortora selvatica Streptopelia turtur *

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

163 Tortora delle palme Streptopelia senegalensis

Cuculiformes Cuculidae 164 Cuculo dal ciuffo Clamator glandarius * CR

165 Cuculo Cuculus canorus

Strigiformes Tytonidae 166 Barbagianni Tyto alba LR

167 Assiolo Otus scops LR

168 Gufo reale Bubo bubo * VU 3

169 Civetta Athene noctua

170 Allocco Strix aluco

171 Gufo comune Asio otus LR

Strigiformes Strigidae

172 Gufo di palude Asio flammeus * NE

Caprimulgiformes

Caprimulgidae

173 Succiacapre Caprimulgus europaeus * * LR

174 Rondone Apus apus

175 Rondone pallido Apus pallidus * LR Apodiformes Apodidae

176 Rondone maggiore Apus melba * LR

Alcedidae 177 Martin pescatore Alcedo atthis * * LR

Meropidae 178 Gruccione Merops apiaster * *

Coraciidae 179 Ghiandaia marina Coracias garrulus * * * EN 2 Coraciformes

Upupidae 180 Upupa Upupa epops *

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

181 Torcicollo Jynx torquilla * Piciformes Picidae

182 Picchio verde Picus viridis * LR

183 Picchio nero Dryocopus martius * * DD

184 Picchio rosso maggiore Picoides major *

185 Picchio rosso mezzano Picoides medius * * Piciformes Picidae

186 Picchio rosso minore Picoides minor * LR

187 Calandra Melanocorypha calandra * * LR

188 Calandrella Calandrella brachydactyla * *

189 Cappellaccia Galerida cristata DD

190 Tottavilla Lullula arborea *

191 Allodola Alauda arvensis

Alaudidae

192 Allodola golagialla Eremophila alpestris *

193 Topino Riparia riparia *

194 Rondine montana Ptyonoprogne rupestris *

195 Rondine Hirundo rustica *

196 Rondine rossiccia Hirundo daurica * CR

Hirundinidae

197 Balestruccio Delichon urbica *

Passeriformes

Passeriforme 198 Calandro Anthus campestris * *

 

 

AVIFAUNA PROVINCIA REGGIO CALABRIA

Ordine Famiglia Specie: nome comune e nome scientifico

Dir 79/409/CEE

All. 1

Conv. di Berna, All 2

Conv. di Bonn app. 2

Lista rossa

SPEC

s 199 Prispolone Anthus trivialis *

200 Pispola Anthus pratensis * NE

201 Pispola golarossa Anthus cervinus *

202 Spioncello Anthus spinoletta *

203 Cutrettola Motacilla flava *

204 Ballerina gialla Motacilla cinerea *

Passeriformes

205 Ballerina bianca Motacilla alba *

Bombycillidae

206 Beccofrusone Bombycilla garrulus *

Cinclidae 207 Merlo acquaiolo Cinclus cinclus * VU

Troglodytidae

208 Scricciolo Troglodytes troglodytes *

209 Passera scopaiola Prunella modularis * Prunellidae

210 Sordone Prunella collaris *

211 Pettirosso Erithacus rubecula *

212 Usignolo Luscinia megarhynchos *

213 Calliope Luscinia calliope

214 Pettazzurro Luscinia svecica * * NE

Passeriformes

Turdidae

215 Codirosso spazzacamino Phoenicurus ochruros *

 

 

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Lista rossa

SPEC

216 Codirosso Phoenicurus phoenicurus *

217 Codirosso algerino Phoenicurus moussieri

218 Stiaccino Saxicola rubetra *

219 Saltimpalo Saxicola torquata *

220 Culbianco isabellino Oenanthe isabellina *

221 Culbianco Oenanthe oenanthe *

222 Monachella Oenanthe hispanica * VU 2

223 Codirossone Monticola saxatilis * LR

224 Passero solitario Monticola solitarius *

225 Merlo dal collare Turdus torquatus *

226 Merlo Turdus merula

227 Cesena Turdus pilaris

228 Tordo bottaccio Turdus philomelos

229 Tordo sassello Turdus iliacus NE

Turdidae

230 Tordela Turdus viscivorus

231 Usignolo di fiume Cettia cetti * *

Passeriformes

Sylviidae 232 Beccamoschino Cisticola juncidis

Passeriforme Sylviidae 233 Salciaiola Locustella luscinoides * *

 

 

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SPEC

234 Forapaglie castagnolo Acrocephalus melanopogon * * * VU

235 Forapaglie Acrocephalus schoenobaenus * * CR 4

236 Cannaiola verdognola Acrocephalus palustris * *

237 Cannaiola Acrocephalus scirpaceus * *

238 Cannareccione Acrocephalus arundinaceus * *

239 Canapino maggiore Hippolais icterina * * NE

240 Canapino Hippolais poliglotta * *

241 Magnanina sarda Sylvia sarda * * * LR

242 Magnanina Sylvia undata * * *

243 Sterpazzola di Sardegna Sylvia conspicillata * *

244 Sterpazzolina Sylvia cantillans * *

245 Occhiocotto Sylvia melanocephala * *

246 Bigia grossa Sylvia hortensis * * EN 3

247 Bigiarella Sylvia curruca * *

248 Sterpazzola Sylvia communis * *

s

249 Beccafico Sylvia borin * *

250 Capinera Sylvia atricapilla * *

251 Luí bianco Phylloscopus bonelli * *

Passeriformes

Sylviidae

252 Luí verde Phylloscopus sibilatrix * *

 

 

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SPEC

253 Luí piccolo Phylloscopus collybita * *

254 Luí grosso Phylloscopus trochilus * * NE

255 Regolo Regulus regulus *

256 Fiorrancino Regulus ignicapillus *

257 Pigliamosche Muscicapa striata * *

258 Pigliamosche pettirosso Ficedula parva * * *

259 Balia dal collare Ficedula albicollis * * * LR Muscicapida

e

260 Balia nera Ficedula hypoleuca * *

Aegithalidae 261 Codibugnolo italiano Aegithalos caudatus *

262 Cincia bigia Parus palustris *

263 Cincia mora Parus ater *

264 Cinciarella Parus caeruleus * Paridae

265 Cinciallegra Parus major *

Sittidae 266 Picchio muratore Sitta europaea *

267 Rampichino alpestre Certhia familiaris * DD Certhiidae

268 Rampichino Certhia brachydactyla *

Remizidae 269 Pendolino Remiz pendulinus

Passeriformes

Oriolidae 270 Rigogolo Oriolus oriolus

 

 

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SPEC

271 Averla piccola Lanius collurio * *

272 Averla cenerina Lanius minor * * EN 2

273 Averla maggiore Lanius excubitur * NE Laniidae

274 Averla capirossa Lanius senator * LR

275 Ghiandaia Garrulus glandarius

276 Gazza Pica pica

277 Taccola Corvus monedula

278 Corvo Corvus frugilegus

279 Cornacchia Corvus corone

Corvidae

280 Corvo imperiale Corvus corax LR

Sturnidae 281 Storno Sturnus vulgaris

Passeridae 282 Passera d'Italia Passer italiae

Passera sarda Passer hispaniolensis

283 Passera mattugia Passer montanus Passeridae

284 Passera lagia Petronia petronia

285 Fringuello Fringilla coelebs

286 Peppola Fringilla montifringilla NE

Passeriformes

Fringillidae

287 Verzellino Serinus serinus

 

 

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Lista rossa

SPEC

288 Verdone Carduelis chloris *

289 Cardellino Carduelis carduelis *

290 Lucarino Carduelis spinus * VU 4

291 Fanello Carduelis cannabina

292 Crociere Loxia curvirostra DD

293 Frosone Coccothraustes coccothraustes * LR

294 Zigolo giallo Emberiza citrinella *

295 Zigolo nero Emberiza cirlus *

296 Zigolo muciatto Emberiza cia *

297 Ortolano Emberiza hortulana * LR

Emberizidae

298 Ortolano grigio Emberiza caesia * *

299 Migliarino di palude Emberiza schoeniclus *

300 Zigolo capinero Emberiza melanocephala * LR Passeriformes Emberizidae

301 Strillozzo Miliaria calandra

 

 

2.2.2.1.1. Specie dell’allegato I della direttiva 79/409/CEE Gaviidae

Le specie di questa famiglia delle quali si ha notizia sono la Strolaga minore (Gavia stellata) e la Strolaga mezzana (Gavia arctica) entrambe sono accidentali con una singola segnalazione storica. Il territorio provinciale si trova oltre il limite meridionale dell’area di svernamento regolare di entrambe le specie, gli erratismi invernali sono legati a condizioni climatiche eccezionali.

Procellariidae

L’area dello Stretto è un importante sito di passaggio per la Berta maggiore (Calonectris diomedea diomedea). Si osserva tra metà-fine febbraio e inizio-metà novembre, con picco durante i movimenti pre-riproduttivi a fine marzo - metà aprile e picco post-riproduttivo a fine settembre – metà ottobre. Il sito è inoltre regolarmente utilizzato, molto probabilmente dalla popolazione delle isole Eolie, per raggiungere le aree di alimentazione sul mar Ionio. Si osservano due flussi giornalieri di attraversamento, mattino (Ovest-Est) e pomeriggio (Est-Ovest) con un numero di individui estremamente variabile, da alcune decine a diverse centinaia.

Hydrobatidae

Uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus) storicamente veniva osservato regolarmente in gran numero (con centinaia di individui) sullo Stretto di Messina (Martorelli, 1906). In tempi recenti le osservazioni risultano scarse e riferite a singoli individui.

Phalacroracidae

Marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis) specie di comparsa accidentale, non si hanno dati successivi al 1993 per l’area della provincia. Sembra che da metà anni 90 piccoli nuclei abbiano iniziato a fare la loro comparsa in periodo invernale – inizio primavera sulle Eolie (Lo Cascio & Navarra, 2003).

Marangone minore (Phalacrocorax pygmeus) specie di comparsa accidentale, non si hanno dati successivi al 1993.

Pelecanidae

Pellicano (Pelecanus onocrotalus) accidentale, una segnalazione recente (1997) di 3 individui giovani nel tratto di mare antistante Scilla (RC).

Ardeidae

Tarabuso (Botaurus stellaris stellaris), Tarabusino (Ixobrychus minutus minutus), Nitticora (Nycticorax nycticorax nycticorax), Sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides), Garzetta (Egretta garzetta garzetta), Airone bianco maggiore (Egretta alba alba), Airone rosso (Ardea purpurea purpurea). Tutte le specie, sopra elencate, appartenenti alla famiglia degli ardeidi, vengono regolarmente osservate sul territorio provinciale in movimento migratorio, sia pre-nuziale che post-riproduttivo. I periodi di movimento vanno da metà-fine febbraio a metà-fine maggio con picco in aprile per la migrazione pre-nuziale, da fine agosto a fine novembre, con picco a inizio-metà settembre, per la migrazione post-riproduttiva. Importante area di sosta è il pantano di Saline Joniche dove si concentrano decine di individui, in particolare garzetta, nitticora e airone cenerino.

Ciconidae

Cicogna nera (Ciconia nigra), migratore regolare, vengono osservati mediamente una cinquantina di individui l’anno, singolarmente o in piccoli gruppi, sia in primavera che in autunno. Più frequente

 

 

durante la migrazione pre-nuziale con conteggi record sullo stretto di Messina di 139 individui nella primavera del 1999.

Cicogna bianca (Ciconia ciconia ciconia) migratore regolare, più frequente durante la migrazione pre-nuziale, negli ultimi anni singoli individui vengono osservati in sosta (Saline Joniche) anche per diversi giorni. La specie nidifica ormai regolarmente sul territorio regionale.

Threskiornithidae

Mignattaio (Plegadis falcinellus falcinellus) migratore regolare nell’area dello stretto, raro nel resto del territorio provinciale. Movimenti pre-rirproduttivi tra metà marzo e metà maggio, più raro durante la migrazione post-riproduttiva.

Spatola (Platalea leucorodia leucorodia) migratore regolare, più abbondante in primavera. Gruppi di qualche decina nell’area dello stretto.

Phoenicopteridae

Fenicottero (Phoenicopterus roseus) migratore irregolare, le osservazioni sono divenute più frequenti negli ultimi anni, singoli indiviui o gruppi di pochi individui in sosta nel pantano di Saline Joniche.

Anatidae

Cigno selvatico (Cygnus cygnus) accidentale, sono note sette segnalazioni per l’intero territorio regionale, le segnalazioni avvengono durante gli inverni particolarmente freddi.

Moretta tabaccata (Aythya nyroca) migratore regolare con stormi di qualche decina di individui nell’area dello stretto, più frequente in primavera. La maggior parte degli individui osservati si sposta verso nord risalendo la costa ionica della Calabria. Il numero di individui osservati in sosta è sempre molto limitato, aree importanti per la specie sono il pantano di saline Joniche e il Lago Lordo (Siderno, RC) dove la specie ha nidificato (Camelliti G., 2002).

Accipitridae

Tra i rapaci che attraversano lo stretto di Messina, e quindi la provincia di Reggio Calabria, il Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) è la specie più abbondante. Questo sito è il principale sia per tutta l’Italia che per il Mediterraneo centrale. I movimenti pre-riproduttivi si registrano a partire da metà-fine marzo, con picco tra fine aprile e la seconda decade di maggio, singoli individui si osservano fino a fine giugno. Nell’area transitano regolarmente oltre 20000 individui, sono noti conteggi record giornalieri di oltre 9000 individui e massimi annui di 33500 individui. La riproduzione è stata accertata in diversi anni e la presenza in periodo riproduttivo di individui adulti è regolare negli ultimi anni (Malara G. com. pers.). I movimenti post-riproduttivi hanno inizio dalla seconda decade di agosto e si protaggono fino a fine ottobre, il picco si registra tra fine agosto e la prima decade di settembre, per gli adulti, e tra la seconda e la terza decade di settembre, per i giovani. Per la nidificazione la specie è legata ad ambienti forestali, principalmente faggete e pinete di pino laricio, si nutre principalmente di imenotteri e sembra preferire le fustaie adulte e ben strutturate. Il massiccio dell’Aspromonte e l’area delle Serre sono le più importanti per la specie in ambito provinciale.

Nibbio bruno (Milvus migrans migrans), migratore regolare con diverse centinaia di individui, più frequente durante la migrazione post-nuziale. E’ uno dei rapaci più precoci, si osserva già a fine febbraio e passa fino a metà giugno, in migrazione post-riproduttiva individui già dal 10 agosto con picco a fine agosto prima decade di settembre.

Nibbio reale (Milvus milvus milvus) migratore regolare con un numero limitato di individui, soggetti giovani o in dispersione. La specie risulta estinta come nidificante nel territorio provinciale, dove il

 

 

Lucifero la riportava tra i nidificanti. Attualmente nidifica con un numero ridotto di coppie nel Marchesato crotonese e nel parco del Pollino.

Aquila di mare (Haliaeetus albicilla) accidentale, sono note tre segnalazioni per la provincia.

Gipeto (Gypaetus barbatus) accidentale storico una sola segnalazione per la provincia.

Capovaccaio (Neophron percnopterus percnopterus), migratore regolare osservato con pochi individui, più abbondante durante la migrazione post-riproduttiva (15 ind. nel 2006).

Grifone (Gyps fulvus) specie accidentale fino ai primi anni del 2000, a seguito dei progetti di reintroduzione della specie in Sicilia e sull’appennino meridionale vengono regolarmente osservati degli individui in attraversamento dello Stretto, fino a 8 individui nel 2008.

Avvoltoio monaco (Aegypius monachus) accidentale singole segnalazioni dovute molto probabilmente ad individui in erratismo delle popolazioni spagnole o di individui provenienti dalla Francia e facenti parte degli stock usati nei progetti di reintroduzione. La segnalazione del 1975 in Calabria è una delle ultime per il territorio nazionale.

Biancone (Circaetus gallicus) migratore regolare segnalato con numero ridotto di individui durante la migrazione pre-nuziale probabilmente individui svernanti in Sicilia, più frequente durante la migrazione post-nuziale (15 ind. nel 2006).

Falco di palude (Circus aeruginosus aeruginosus), dopo il pecchiaiolo è la specie più abbondante ad attraversare lo stretto. Annualmente vengono censiti oltre 2000 individui, movimenti pre-riproduttivi tra fine febbraio e inizio-metà giugno, con due picchi: fine marzo (ad., principalmente ♂♂) e fine aprile (imm.). I conteggi durante il periodo post-riproduttivo danno numeri elevati (2800 ind. nel 2006), ma l’attitudine della specie a migrare su un fronte molto ampio fa presupporre il passaggio di contingenti superiori. La specie veniva data come nidificante comune fino ai primi anni del ventesimo secolo, la scomparsa delle zone umide è sicuramente stato il fattore determinante per l’estinzione, come nidificante, di questa specie dal territorio provinciale.

Albanella reale (Circus cyaneus cyaneus), migratore regolare con qualche decina di individui, probabilmente individui svernanti in Sicilia.

Albanella pallida (Circus macrourus), migratore regolare, più comune durante la migrazione pre-nuziale. Movimenti pre-riproduttivi da metà-marzo a metà-fine maggio, rara durante la migrazione post-nuziale. L’area dello stretto di Messina è la più importante in Europa per il transito della specie.

Albanella minore (Circus pygargus) migratore regolare, più comune durante la migrazione pre-nuziale. Movimenti pre-riproduttivi da fine-febbraio a fine giugno, con picco tra metà-fine aprile, meno comune durante la migrazione post-nuziale che va dalla seconda decade di agosto alla seconda di ottobre. L’area dello stretto di Messina è una delle più importanti rotte di migrazione del Paleartico occidentale per la specie.

Sparviere levantino (Accipiter brevipes) accidentale storico una sola segnalazione per il territorio provinciale.

Poiana codabianca (Buteo rufinus) la specie è regolarmente censita sul versante siciliano dello Stretto, le scarse segnalazioni sul versante calabrese sono da attribuire a insufficiente indagine.

Aquila anatraia minore (Aquila pomarina) è osservata irregolarmente sul versante siciliano dello Stretto con pochi individui che si dirigono verso il continente, sul versante calabrese sono note diverse segnalazioni anche durante la migrazione post-riproduttiva. Durante il campo per lo studio della migrazione dei rapaci dell’autunno 2006 sono stati censiti cinque individui.

Aquila anatraia maggiore (Aquila clanga) accidentale storico una sola segnalazione nota per la specie. Viene segnalata irregolarmente in primavera sul versante siciliano dello Stretto con pochi individui che si dirigono verso il continente, sverna in Sicilia con 1-2 individui regolarmente negli ultimi anni.

Aquila imperiale (Aquila heliaca) accidentale storico una sola segnalazione nota per la specie.

 

 

Aquila reale (Aquila chrysaetos) nidificante, presente con 1, forse 2 coppie. L’osservazione di individui in attraversamento dello stretto di Messina è riferita a soggetti immaturi in erratismo o spostamenti locali con andata e ritorno, da e oer la Sicilia, anche nella stessa giornata.

Aquila minore (Hieraaetus pennatus) migratore regolare con mediamente 20 individui (max 59 individui nel 2006).

Aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus), si tratta della specie di rapace a più elevato rischio di estinzione del territorio nazionale. La popolazione italiana è stimata in 10-13 coppie, la presenza, come nidificante di una coppia in provincia di Reggio Calabria è da accertare, le ultime notizie certe risalgono al 1999.

Pandionidae

Falco pescatore (Pandion haliaetus haliaetus) migratore regolare con una media di 17 individui censiti nel periodo primaverile.

Falconidae

Grillaio (Falco naumanni) migratore regolare con decine di individui (min.18, max 159). Durante la migrazione post-riproduttiva non è raro osservare assembramenti di qualche decina di individui che cacciano insetti sulle aree aperte prospicienti lo Stretto. Gli assembramenti più grossi (50 – 60 ind.) si osservano in coincidenza di condizioni climatiche sfavorevoli all’attraversamento del mare aperto.

Smeriglio (Falco columbarius) migratore scarso o irregolare segnalati irregolarmente pochi individui (1-2).

Falco della regina (Falco eleonorae) migratore regolare , si osserva a partire da maggio con picco nella seconda decade, qualche individuo può essere osservato durante il periodo estivo sul versante tirrenico, ne è stata sospettata la nidificazione.

Lanario (Falco biarmicus) viene osservato regolarmente sullo Stretto con 1-2 individui, giovani o subadulti, la presenza della specie come nidificante è da accertare.

Pellegrino (Falco peregrinus brookei) nidificante regolare con diverse coppie sul territorio provinciale. Le sottospecie peregrinus e calidus sono migratori regolari nell’area dello Stretto.

Phasanidae

Coturnice (Alectoris graeca saxatilis), sedentaria e nidificante scarsa e molto localizzata, in sensibile decremento. Le popolazioni principali sono concentrate entro i confini del parco nazionale d’Aspromonte. L’immissione di soggetti geneticamente non controllati, e l’immissione illegittima della Coturnice orientale o Ciukar (Alectoris chukar) costituisce un notevole fattore di rischio per queste popolazioni relitte. Altro fattore determinante alla base delle estinzioni locali è stata la frammentazione dell’areale e l’isolamento delle popolazioni, problematica che ancora minaccia le popolazioni residue. In tale situazione la caccia, anche di frodo, rappresenta una grave minaccia. Compie erratismi in senso verticale nel periodo autunno-invernale, la cui portata, su Alpi e Appennini, non supera normalmente le centinaia di metri, massimo 3-5 km.

Starna (Pedix perdix italica), la sottospecie tradizionalmente descritta per l’Italia (ancorché di validità discussa) è elencatata nella Direttiva “Uccelli” nell’Allegato I, oltre che nel II/1 e nel III/1. La specie è anche inserita nell’Allegato III della Convenzione di Berna. Lo status a livello europeo è vulnerabile, SPEC 3, criteri: A2b* (*specie vulnerabile, caratterizzata da una riduzione della consistenza della popolazione europea superiore al 30% nei precedenti 10 anni; riduzione che potrebbe non essere reversibile o le cui cause potrebbero non esserlo o non essere comprese o rimosse); essa è considerata vulnerabile anche dalla IUCN Red List. Va notato che in Calabria la forma originale sarebbe estinta già nel XIX Secolo (Lucifero, 1901). La specie è stata comunque

 

 

oggetto di immissioni effettuate con una certa regolarità per fini venatori. Ad oggi non si hanno dati sull’eventuale riproduzione dei soggetti rilasciati.

Rallidae

Voltolino (Porzana porzana), Schiribilla (Porzana parva), Schiribilla grigiata (Porzana pusilla), Re di quaglie (Crex crex). Tutte le specie appartenenti alla famiglia dei rallidi sono elusive e difficili da osservare, migratrici scarse e localizzate sul territorio provinciale, più frequenti durante la migrazione pre-nuziale. Delle quattro specie qui descritte il Re di quaglie ha mostrato una forte contrazione, non più segnalato come svernante negli ultimi anni le segnalazioni sono divenute rara ed irregolari.

Gruidae

Gru (Grus grus grus) migratore regolare, il transito autunnale è più evidente. Conteggi record di 1500 individui il 15-03-1997 (Corso A., 2005). La specie migra in gruppi da qualche decina a oltre cento individui, spesso gli spostamenti avvengo di notte per cui risulta difficile stimarne il numero.

Otitidae

Gallina prataiola (Tetrax tetrax) accidentale storico sette segnalazioni note per la regione.

Recurvirostridae

Cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus himantopus) migratore regolare. Movimenti pre-riproduttivi da inizio-metà marzo a fine maggio – metà giugno, post-riproduttivi tra inizio luglio e fine ottobre. Nidificante irregolare nell’area umide di Saline Joniche, il successo riproduttivo è legato all’andamento dei livelli idrici, registrati insuccessi della riproduzione dovuti a disturbo antropico ed all’ingresso di cani randagi.

Avocetta (Recurvirostra avosetta) migratore regolare, la si osserva con numero ridotto di individui (1-5), soprattutto durante la migrazione post-riproduttiva. Il sito più importante per la specie è il pantano di Saline Joniche.

Burhinidae

Occhione (Burhinus oedicnemus oedicnemus) migratore regolare, osservato con singoli individui o gruppi di 2-4, raro sullo stretto di Messina. Movimenti tra metà marzo e metà-fine maggio e settembre e metà novembre. Più comune in migrazione post-riproduttiva.

Glareolidae

Corrione biondo (Cursorius cursor) accidentale storico una sola segnalazione nota per la specie.

Pernice di mare (Glareola pratincola pratincola) migratore regolare raro, passa da aprile a maggio.

Charadridae

Piviere tortolino (Charadrius morinellus) migratore regolare scarso, un tempo più frequente oggi segnalato con singoli individui. E’ una specie molto fedele ai siti di sosta migratoria e molto confidente.

 

 

Piviere dorato (Pluvialis apricaria) migratore regolare, movimenti pre-riproduttivi tra metà febbraio e metà aprile, osservati sullo stretto di Messina fino a 100 indd. nei giorni di picco, in migrazione post-riproduttiva da fine settembre (individui precoci) ai primi di dicembre.

Scolapacidae

Combattente (Philomachus pugnax) migratore regolare, movimenti post-riproduttivi molto precoci, fine giugno-inizio novembre (max settembre-ottobre) e, in migrazione pre-riproduttiva da febbraio a maggio (max marzo-aprile). Netta separazione dei sessi, arrivo precoce dei maschi adulti, seguiti dalle femmine e poi dai soggetti immaturi. Il Combattente è inserito nella Direttiva “Uccelli”, Allegati I, II/2, nella Convenzione di Berna, Allegato III e nella Convenzione di Bonn, Allegato II. Lo stato di conservazione a livello europeo è sfavorevole (in declino, criteri: declino moderato e recente) SPEC 2. I dati dei censimenti effettuati sia in Italia, sia in altri Paesi europei e africani hanno evidenziato una notevole contrazione della popolazione paleartica. Tale situazione suggerisce di prevedere non solo interventi di tutela ambientale (come previsto dalla Direttiva n. 409/79/CEE), ma anche un maggiore livello di protezione per questa specie, peraltro già adottato nelle ZPS della Rete Natura 2000 in virtù del DM 17 Ottobre 2007, n. 184 e s.m.i..

Croccolone (Gallinago media) migratore regolare con pochi individui, raro negli ultimi anni, le abitudini della specie e la somiglianza a Gallinago gallinago rendono difficile stabilire con certezza il suo reale status. La specie era regolare con decine di individui negli ultimi 10-15 anni ha fatto registrar ovunque una sensibile diminuzione.

Pittima minore (Limosa lapponica lapponica) migratore regolare più facile da osservare in migrazione post-riproduttiva, sogetti giovani. Movimenti tra agosto-metà novembre e marzo-inizio giugno.

Chiurlottello (Numenius tenuirostris). Si tratta di una delle specie a più elevato rischio a livello globale, la consistenza della popolazione è stimata in meno di 100 individui. Le segnalazioni in Puglia e Sicilia lasciano ipotizzare una rotta di migrazione che dai Balcani attraversa l’Italia meridionale per raggiungere i quartieri di svernamento africani. Per l’area dello stretto si conoscono solo segnalazioni storiche.

Piro piro boschereccio (Tringa glareola) migratore regolare comune. Si osserva precocemente in migrazione post-riproduttiva, da metà giugno fino ad ottobre, e durante la migrazione pre-riproduttiva da metà marzo a fine maggio primi di giugno. Osservato, nel mese di maggio, in ambienti inusuali quali prati aciutti a ridosso delle dune sullo stretto di Messina.

Laridae

Gabbiano corallino (Larus melanocephalus) migratore regolare comune, sverna con numeri ridotti di individui soprattutto sulla costa ionica della provincia. Movimenti pre-riproduttivi da fine – febbraio a metà aprile, post-riproduttivi da fine luglio a fine novembre – primi di dicembre. In attraversamento dello stretto si osservano, nei giorni di picco, centinaia di individui con record di oltre 1000 individui.

Gabbiano roseo (Larus genei) migratore regolare più abbondante durante la migrazione post-riproduttiva (metà luglio – metà ottobre). Sullo stretto si osserva con singoli individui o piccoli gruppi. Osservato regolarmente, durante le soste migratorie, al pantano di Saline Joniche con massimi di qualche decina di individui in gruppi misti con L. melanocephalus e L. ridibundus.

Gabbiano corso (Larus audouinii) accidentale storico una sola segnalazione nota per la specie. L’assenza di ulteriori segnalazioni è molto probabilmente dovuta ad insufficienti indagini. In Puglia si stima che nidifichi il 5% della popolazione italiana di questa specie e in Sicilia orientale viene regolarmente osservata. E’ opportuno approfondire le conoscenze sullo status di questa specie nella provincia.

Sternidae

 

 

Sterna zampenere (Gelochelidon nilotica nilotica), Sterna maggiore (Sterna caspia), Beccapesci (Sterna sandvicensis), Sterna comune (Sterna hirundo), Fraticello (Sterna albifrons), Mignattino piombato (Chlidonias hybridus hybridus), Mignattino (Chlidonias niger niger). Le specie della famiglia degli sternidi sopra riportate sono tutte migratrici da poco comuni a rare (sterna comune), il beccapesci appare in maniera regolare e viene osservato regolarmente anche in inverno lungo tutta la costa ionica della provincia.

Strigidae

Gufo reale (Bubo bubo) sedentaria e nidificante, sull’Appenino è localizzata con nuclei di poche coppie. L’Aspromonte rappresenta l’estrema propaggine meridionale dell’areale di diffusione della specie per il territorio nazionale, infatti risulta estinta come nidificante dalla Sicilia dal 1935 (Orlando, 1957). Non ci sono stima sulla consistenza della popolazione calabrese.

Gufo di palude (Asio flammeus) migratore regolare, recentemente è segnalato raramente. Più frequente durante la migrazione post-nuziale tra fine settembre e ottobre.

Caprimulgidae

Succiacapre (Caprimulgus europaeus meridionalis) migratore e nidificante regolare. Osservato sia in primavera che in autunno con decine di individui nei giorni di picco, osservazioni di diversi individui per km di strada percorsa sul versante meridionale dell’Aspromonte in migrazione post-riproduttiva. La specie è presente anche come nidificante, più abbondante sul versante ionico della provincia per maggiore disponibilità di habitat.

Alcedidae

Martin pescatore (Alcedo atthis) svernante, localmente sedentaria e migratrice comune. Alla fine del periodo riproduttivo, i primi ad intraprendere i movimenti dispersivi sono i giovani che lasciano il territorio parentale già pochi giorni dopo aver raggiunto l’indipendenza. L’apice della dispersione si ha alla fine dell’estate quando si osservano intensi movimenti che interessano le zone umide interne e soprattutto le zone costiere. La migrazione primaverile comincia già da febbraio e prosegue sino a marzo quando vengono progressivamente rioccupati i territori di nidificazione. La nidificazione in provincia è da accertare, lo svernamento avviene lungo tutte le coste.

Coraciidae

Ghiandaia marina (Coracias garrulus) migratrice regolare. Tutta la popolazione migra e sverna nell’Africa tropicale, soprattutto nelle regioni orientali del continente. La migrazione primaverile inizia già nel mese di marzo, raggiunge il picco in aprile e si conclude entro il mese di maggio, mentre la migrazione autunnale si compie tra metà agosto e ottobre.

Picidae

Picchio nero (Dryocopus martius martius) nidificante stanziale, l’Aspromonte rappresenta il limite meridionale alla diffusione di questa specie, estinta in Sicilia. E’ localizzato in alcune aree dove sono presenti formazioni forestali mature senza soluzioni di continuità e di sufficiente estensione.

Picchio rosso mezzano (Picoides medius) la presenza della specie è stata sospettata, l’habitat di preferenza della specie è presente ed abbastanza diffuso ma attualmente non si hanno notizie attendibili.

Alaudidae

 

 

Calandra (Melanocorypha calandra) migratore regolare scarso, in diminuzione negli ultimi anni. Segnalato con un numero ridotto di individui.

Calandrella (Calandrella brachydactyla) migratore regolare e nidificante localizzato, negli ultimi anni la specie ha fatto registrare una diminuzione in tutto il suo areale.

Tottavilla (Lullula arborea) è nidificante abbastanza diffusa ma mai con numeri elevati. Viene osservata sullo stretto con numero di individui sempre contenuto (1-5 ind.) soprattutto in migrazione post-riproduttiva.

Motacillidae

Calandro (Anthus campestris) nidificante localizzato, migratore regolare comune. Più facile da osservare durante la migrazione primaverile lungo la costa ionica, dai primi di aprile a metà maggio, numeri limitati durante la migrazione post-riproduttiva.

Turdidae

Pettazzurro (Luscinia svecica) migratore regolare con pochi individui osservati nelle aree adatte (Pantano di Saline joniche).

Sylviidae

Forapaglie castagnolo (Acrocephalus melanopogon) migratore regolare con pochi individui osservati nelle aree adatte (Pantano di Saline joniche) e altre piccole aree umide costiere.

Magnanina sarda (Sylvia sarda) segnalata nella ZPS Costa Viola, non si hanno dati recenti sulla presenza della specie e sulla consistenza numerica

Magnanina (Sylvia undata) anche per questa specie, la cui presenza è certa, non si hanno dati in merito alla consistenza della popolazione ed alla sua distribuzione.

Muscicapidae

Pigliamosche pettirosso (Ficedula parva) accidentale storico una sola segnalazione nota per la specie.

Balia dal collare (Ficedula albicollis) migratore regolare poco comune, passa tra fine marzo e metà maggio, raro durante il passaggio post-riproduttivo. L’Aspromonte rappresenta l’estrema propaggine meridionale dell’areale di nidificazione di questa specie, legata ad ambienti forestali maturi con soprassuolo di elevata statura.

Laniidae

Averla piccola (Lanius collurio) nidificante regolare, migratore scarso. Localizzato nella fascia montana della provincia al di sopra degli 800-1000 metri in ambienti aperti contigui ai principali sistemi forestali.

Averla cenerina (Lanius minor) migratore molto scarso o irregolare, la nidificazione non è stata mai provata in ambito provinciale.

Emberizidae

 

 

Ortolano (Emberiza hortulana) la mancanza di segnalazioni e i dati recenti evidenziano come la specie, allo stato attuale, debba considerarsi migratore irregolare.

Ortolano grigio (Emberiza caesia), accidentale storico una sola segnalazione nota per la specie.

2.2.2.1.2. Acquatici Nella categoria degli acquatici vengono inseriti, oltre agli Anseriformi, anche tutti i Ciconiformi, Gruiformi e i Caradriformi per l’affinità di gestione e per i comuni problemi di conservazione.

Gli acquatici sono, tra gli uccelli, il gruppo che ha maggiormente risentito delle trasformazioni ambientali, riduzione delle zone umide e modifica di quelle rimaste. Quindi, anche se solo in linea teorica, la totale sospensione dei prelievi dovuti all’attività venatoria non potrebbe riportare la consistenza delle popolazioni ai valori che si registravano prima dell’epoca delle grandi bonifiche. Nei limiti dell’estenzione territoriale questo vale anche per il territorio in studio. La conservazione di questa risorsa deve quindi passare da una oculata gestione dei prelievi, dalla gestione degli ambienti favorevoli e, soprattutto, dalla ricostituzione delle zone umide.

La definizione di zone umide attualmente accettata a livello internazionale è la seguente: “le zone umide sono aree palustri, acquitrinose o torbose o comunque specchi d’acqua, naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua ferma o corrente, dolce o salmastra o salata, compresi i tratti di mare la cui profondità non ecceda i sei metri con la bassa marea”.

Tali aree rivestono una grande importanza sotto il profilo idrogeologico, economico e sociale, naturalistico e paesaggistico.

La provincia di Reggio Calabria ha perso la quasi totalità delle zone umide costiere, mentre all’interno rimangono porzioni molto limitate di territorio (torbiere, stagni temporanei e permanenti). Come prima azione è necessario avviare il censimento dettagliato di tutte le aree umide e dei siti di possibile ricostituzione delle stesse.

Il contributo che il territorio provinciale può dare alla gestione di questo gruppo di uccelli è importante, infatti pur non essendo interessato da un elevato numero di specie nidificanti, sia per la mancanza di habitat che per la posizione geografica, esso gioca un ruolo fondamentale per il transito migratorio. La gestione delle aree umide residue ed una eventuale, nonché auspicabile, ricostituzione è un fattore primario per favorire la sosta e lo svernamento degli acquatici.

Si tratteranno brevemente le specie di acquatici inserite in calendario venatorio nella stagione venatoria 2008/2009: Fischione, Canapiglia, Alzavola, Germano reale, Codone, Marzaiola, Mestolone, Moriglione, Moretta, Porciglione, Gallinella d’acqua, Folaga, Pavoncella, Combattente, Frullino, Beccaccino, Beccaccia.

Specie Fischione

In Italia è svernante e nidificante irregolare, la popolazione svernante in Europa è stabile ed il suo stato di conservazione è ritenuto sicuro (secure). Nel territorio provinciale viene segnalata regolarmente, nel periodo invernale, anche in zone umide di modesta estensione.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: non valutata, nidificante occasionale.

Canapiglia

Svernante e nidificante in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in forte decremento, lo status di conservazione è in diminuzione (depleted). Nel territorio provinciale le segnalazioni sono regolari ma riferite ad un numero di soggetti limitato. In attesa di una migliore definizione dello status della specie e, in considerazione della rarità delle segnalazioni, si consiglia di ridurre il numero dei capi abbattibili per giornata, nonché il limite annuo.

 

 

Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: in pericolo in modo critico.

Alzavola

Svernante e nidificante regolare in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in leggera diminuzione ed il suo stato di conservazione è sicuro (secure). Nel territorio provinciale viene segnalata regolarmente, nel periodo invernale, anche in zone umide di modesta estensione o lungo i corsi d’acqua principali.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: in pericolo.

Germano reale

Svernante e nidificante regolare in territorio nazionale, è l’anatra più comunemente osservata. La popolazione svernante in Europa è in leggera diminuzione ed il suo stato di conservazione è ritenuto sicuro (secure). Nel territorio provinciale viene segnalata regolarmente, nel periodo invernale, in tutte le zone umide o lungo i corsi d’acqua principali.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II.

Codone

Svernante e nidificante irregolare in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in declino, lo status di conservazione è in declino (declining). Nel territorio provinciale le segnalazioni sono regolari ma riferite ad un numero di soggetti limitato.

In attesa di una migliore definizione dello status della specie e, in considerazione della rarità delle segnalazioni, si consiglia di ridurre il numero dei capi abbattibili per giornata, nonché il limite annuo.

Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1, All III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: non valutata.

Marzaiola

Nidificante regolare e svernate irregolare in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è stimata in 390000-590000 coppie, non è possibile stabilire con precisione il trend che, in base alle informazioni presenti, sembra essere in leggera diminuzione. Il suo stato di conservazione è valutato in declino (declining). Nel territorio provinciale viene segnalata regolarmente durante i movimenti migratori, più frequentemente in migrazione pre-nuziale, i siti di osservazione sono principalmente, o quasi esclusivamente, le coste con l’area dello stretto che è il sito principale di passaggio.

In attesa di una migliore definizione dello status della specie e, in considerazione della rarità delle segnalazioni, si consiglia di ridurre il numero dei capi abbattibili per giornata, nonché il limite annuo.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: in pericolo.

Mestolone

Svernante e nidificante localizzata in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in moderato declino, lo status di conservazione è in declino (declining). Nel territorio provinciale le segnalazioni sono regolari ma riferite ad un numero di soggetti limitato, si osserva dai siti costieri ed alle foci dei principali corsi d’acqua.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: in pericolo.

Moriglione

Svernante comune e nidificante in territorio nazionale, la popolazione svernante in Europa è in moderato declino, lo status di conservazione è in declino (declining). Nel territorio provinciale le segnalazioni sono regolari, si osserva dai siti costieri più frequentemente durante la migrazione post-riproduttiva o durante le soste migratorie.

 

 

Categoria di tutela: SPEC 4; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: vulnerabile.

Moretta

In Italia è svernante e nidificante di recente immigrazione, la popolazione svernante in Europa è moderato declino e ed il suo stato di conservazione è in declino (declining). Nel territorio provinciale viene segnalata raramente.

La Moretta dovrebbe essere esclusa dall’elenco delle specie cacciabili per l’elevata probabilità di confusione con la Moretta tabaccata (Aythya niroca), specie particolarmente protetta che in ambito provinciale viene segnalata negli stessi siti della moretta. Inoltre le segnalazioni di moretta sono estremamente limitate e non si conosce lo status della specie a livello provinciale.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III; Bonn All. II. Lista rossa: non valutata, nidificante occasionale.

Porciglione

Sedentaria e nidificante in quasi tutte le regioni con 3000-6000 coppie stimate a livello nazionale, localizzata in Calabria. Popolazione europea in leggero declino, il suo stato di conservazione è sicuro (secure). Censito regolarmente in quasi tutte le zone umide per la facilità di individuazione dovuta alle frequenti emissioni sonore.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/2; Berna All. III. II. Lista rossa: a più basso rischio.

Gallinella d’acqua

Sedentaria e nidificante comune in tutte le regioni. Localizzata nella porzione meridionale della Calabria per la rarità delle aree adatte alla nidificazione. Il trend delle popolazioni europee ed italiane è stabile, il suo stato di conservazione è sicuro (secure). In provincia di Reggio Calabria è nidificante anche in aree umide di modesta estensione dove è presente sufficiente vegetazione ripariale.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/2; Berna All. III.

Folaga

Sedentaria e nidificante presente in tutte le regioni. Localizzata nelle regioni meridionali. Il trend delle popolazioni europee è in moderato declino, il suo stato di conservazione è sicuro (secure). In provincia di Reggio Calabria è nidificante regolare solo nel pantano di Saline Joniche, nella stessa area, durante la migrazione post-riproduttiva, si registrano concentrazioni di diverse centinaia di individui.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II.

Pavoncella

Svernante comune e nidificante nelle regioni del nord. La popolazione nidificante europea, nell’ultimo decennio, ha fatto registrare una importante diminuzione con valori superiori, in alcuni casi al 30%. La popolazione svernante sembra stabile o in leggero aumento ma il suo stato di conservazione è vulnerabile (vulnerable). In provincia di Reggio Calabria è migratore regolare con piccoli gruppi di individui svernanti.

Categoria di tutela: Dir. Uccelli CEE All II/2; Berna All. III, Bonn All II.

Combattente

Migratore regolare, estivante e svernante regolare con 100-200 individui in varie regioni. La popolazione europea nidificante e svernante è in declino, pertanto il suo stato di conservazione è ritenuto in declino (declining). Sul territorio provinciale è segnalato solo durante i movimenti migratori.

Considerata la rarità di segnalazioni, in attesa di una migliore definizione dello status della specie e, in considerazione del declino delle popolazioni europee, si consiglia di escludere la specie dal calendario venatorio.

 

 

Categoria di tutela: SPEC 4; Dir. Uccelli CEE All I, II/2; Berna All. III, Bonn All II.

Frullino

Migratore regolare e svernante soprattutto nel centro nord Italia e in Sardegna. La popolazione europea nidificante è in moderato declino, non si conosce il trend della porzione svernante. Il suo stato di conservazione è ritenuto in declino (declining). Sul territorio provinciale viene regolarmente segnalato con numero limitato di individui.

Considerata la rarità di segnalazioni, in attesa di una migliore definizione dello status della specie e, in considerazione del declino delle popolazioni europee, si consiglia di escludere la specie dal calendario venatorio.

Categoria di tutela: SPEC 3W; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II.

Beccaccino

Limicolo di medie dimensioni dal becco lungo con piumaggio criptico, con parti superiori bruno-nerastre con striature crema. Il capo è striato, il petto è chiazzato mentre l’addome è bianco. Volo veloce, tipicamente a zig-zag. Il peso varia tra 85 e 130 gr.

Specie migratrice e gregaria, frequenta le zone umide con aree adatte alla ricerca del cibo (lombrichi, larve di insetti, molluschi). Nidifica al suolo tra la vegetazione palustre e depone mediamente 4 uova una sola volta all’anno. Il beccaccino è attivo soprattutto nelle ore crepuscolari

quando effettua anche grossi spostamenti alla ricerca di cibo. La popolazione europea è in declino

sulla maggior parte dell’areale. Il suo stato di conservazione è ritenuto in declino (declining). Sul territorio provinciale viene regolarmente segnalato in tutte le zone umide, lungo i corsi d’acqua e nei prati umidi anche a quote superiori ai 1000 metri.

Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II. Lista rossa non valutata, nidificante irregolare.

Croccolone

Migratore regolare da scarso a raro, più comune in migrazione pre-riproduttiva. La popolazione europea è in moderato declino, >10%, lo stato di conservazione è valutato in declino (declining). Nella provincia le segnalazioni sono rare e limitate a pochi siti.

Categoria di tutela: SPEC 3; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II. Lista rossa non valutata, nidificante irregolare.

Beccaccia

Limicolo di medie dimensioni con becco lungo e zampe relativamente corte. La colorazione del piumaggio è fortemente criptica con la parte superiore che varia dal rossiccio al marrone con screziature nero e crema. La fronte è chiara e la nuca presenta barrature trasversali scure. In volo si riconosce per il lungo becco rivolto verso il basso e le ali appuntite. Il peso varia tra 250 e 400 gr.

Specie migratrice. E’ l’unico dei limicoli europei ad essere strettamente legato ai boschi per la riproduzione, di preferenza misti a prevalenza di caducifoglie con sottobosco misto ma privo di erbe troppo alte. In Italia la maggior parte delle nidificazioni avviene in zone montuose o collinari delle regioni del nord. Gli accoppiamenti iniziano già a marzo, sono deposte generalmente 4 uova in una depressione del suolo, covate per 20-22 giorni. I pulcini possono nutrirsi da soli 3-4 giorni dopo la schiusa.

Negli ultimi decenni si è potuto osservare una tendenza al decremento dei carnieri di beccacce. La tendenza alla diminuzione delle popolazioni svernanti nell’area del Mediterraneo è stata confermata anche da ricercatori specializzati nel settore (Fadat, 1997) attraverso lo studio dell’indice cinegetico di abbondanza (ICA), un indice che rende paragonabili tra loro le diverse

 

 

annate venatorie considerando oltre che i capi abbattuti anche le uscite effettuate e il grado di specializzazione del cacciatore.

Le motivazioni di tale decremento possono essere ricercate sia nel prelievo incontrollato che si svolge all’estero, sia nell’abbandono di tradizionali attività umane che favorivano lo svernamento della beccaccia. Migliorare le capacità ricettive per le beccacce di un bosco deve essere uno degli obiettivi gestionali da perseguire.

Alle nostre latitudini gli interventi di gestione della specie possono essere volti solamente a favorirne lo svernamento e la sosta durante la migrazione. La specie durante lo svernamento frequenta due habitat molto diversi: di giorno sosta e si rifugia nel bosco; di notte frequenta le aree aperte alla ricerca delle sue prede preferite, i lombrichi. Gli interventi volti a migliorare l’idoneità per la beccaccia dovranno dunque essere relativi a due obiettivi prioritari: migliorare le capacità ricettive del bosco e dall’altra aumentare le capacità trofiche delle aree aperte.

Nel territorio provinciale la beccaccia è presente soprattutto durante i periodi migratori, dai primi di settembre, singoli individui, a metà dicembre, durante la migrazione pre-riproduttiva, molto precoce, da fine gennaio a fine marzo e raramente aprile. L’habitat ideale è rappresentato da boschi misti con ricco sottobosco, si rinviene anche su siti costieri a macchia mediterranea. Specie molto fedele ai siti di svernamento.

Considerata la precarietà dello stato di conservazione a livello europeo e la vulnerabilità della specie nella seconda metà dell’inverno, nonché la fedeltà ai siti di svernamento si consiglia, come misura di gestione della specie, l’anticipo della chiusura al 31 dicembre e la riduzione a 2, mantenendo l’attuale tetto annuo, del numero dei capi abbattibili giornalmente.

Categoria di tutela: SPEC 3W; Dir. Uccelli CEE All II/1, III/2; Berna All. III, Bonn All II. Lista rossa: in pericolo.

 

 

2.2.2.1.3. Rapaci La provincia di Reggio Calabria è l’area più importante per questo gruppo di specie, sia a livello nazionale che per il Mediterraneo centrale. Censimenti regolari danno un valore medio di 27828 rapaci censiti negli ultimi 12 anni. Le specie censite sono 37, ovvero la quasi totalità delle specie di rapaci del paleartico occidentale.

Tab. 19 – Specie di rapaci osservate nel periodo 1996‐2008. (Da Giordano A. et. al. modificato) 

Nome volgare Nome scientifico Somma Media 1 Pecchiaiolo Pernis apivorus 293851 22604 2 Nibbio bianco Elaneus caeruleus 1 3 Nibbio reale Milvus milvus 38 3 4 Nibbio bruno Milvus migrans 8517 655 5 Grifone Gyps fulvus 22 4 6 Monaco Aegypius monachus 2 7 Capovaccaio Neophron percnopterus 67 6 8 Biancone Circaetus gallicus 38 3 9 Falco pescatore Pandion heliaetus 190 17 10 Falco di palude Circus aeruginosus 26859 2066 11 Albanella reale Circus cyaneus 366 28 12 Albanella minore Circus pygargus 4453 343 13 Albanella pallida Circus macrourus 842 65 14 Astore Accipiter gentilis 7 15 Sparviere Accipiter nisus 177 14 16 Sparviere levantino Accipiter brevipes 1 17 Poiana Buteo buteo buteo 953 73 18 Poiana delle steppe Buteo b. vulpinus 275 25 19 Poiana codabianca Buteo rufinus 100 9 20 Aquila anatraia maggiore Aquila clanga 2 21 Aquila anatraia minore Aquila pomarina 16 2 22 Aquila reale Aquila chrysaetos 28 4 23 Aquila imperiale Aquila heliaca 1 24 Aquila delle steppe Aquila nipalensis 1 25 Aquila minore Hieraaetus pennatus 244 20 26 Aquila del Bonelli Hieraaetus fasciatus 7 27 Gheppio Falco tinnunculus 6387 491 28 Grillaio Falco naumanni 776 60 29 Falco cuculo Falco vespertinus 6093 469 30 Falco dell'Amur Falco amurensis 3 31 Smeriglio Falco columbarius aesalon 21 3 32 Lodolaio Falco subbuteo 1806 139 33 Falco della regina Falco eleonorae 276 25 34 Pellegrino Falco peregrinus 170 15 35 Pellegrino artico Falco peregrinus calidus 62 6 36 Lanario Falco biarmicus feldeggi 9 37 Sacro Falco cherrug cherrug 13 1 Accipitridae non id. 4298 Falconidae non id. 1927 Cicogna bianca Ciconia ciconia 2069 159 Cicogna nera Ciconia nigra 759 58 Ciconia sp. 32 Totale 361759 27828

 

 

Il transito principale è quello pre-nuziale, al quale si riferiscono i dati di seguito riportati, in migrazione post-nuziale le osservazioni non sono state effettuate con continuità e i dati si riferiscono solo a pochi anni. I conteggi danno valori inferiori sia perché le osservazioni abbracciano periodi di tempo più limitati, sia perché la migrazione post-nuziale avviene su un fronte ampio e quindi più difficile da gestire.

Le osservazioni mettono in evidenza uno spostamento delle linee di transito più a sud rispetto a quanto registrato in primavera, i rapaci osservati tendono a percorrere il versante meridionale dell’Aspromonte prima di attraversare il tratto di mare che separa la Calabria dalla Sicilia. Importante risulta l’area del castagneto “Pitea” nel comune di Motta San Giovanni, dove è frequente, nelle ore pomeridiane, la concentrazione di rapaci (nibbio bruno, falco di palude, grillaio etc.) che non attraversano lo stretto in attesa delle prime luci dell’alba del giorno successivo. In quest’area sono stati censiti dormitori di diverse decine di individui.

2.2.2.1.4. Fasianidi Il gruppo in esame interessa le seguenti specie:

Coturnice (Alectoris graeca)

Starna (Perdix perdix)

Quaglia (Coturnix coturnix)

Fagiano (Phasianus colchicus)

Si tratta del gruppo di specie maggiormente condizionato dalla pressione venatoria e dai ripopolamenti. Una gestione di tipo “consumistico” ha fatto perdere di vista la gestione delle popolazioni selvatiche di queste specie, ripopolamenti, scarse azioni di miglioramento ambientale e bracconaggio hanno determinato la riduzione delle densità ed estinzioni locali.

In alcuni casi le ibridazioni con soggetti d’allevamento ed il rilascio di individui affetti da patologia hanno dato un contributo importante alla scomparsa delle popolazioni selvatiche da diverse aree.

Coturnice (Alectoris graeca orlandoi)

Sistematica, distribuzione e status

In Europa si distinguono sette specie appartenenti al genere Alectoris, sul territorio italiano sono presenti: coturnice Alectoris graeca; coturnice orientale o ciukar Alectoris chukar; pernice sarda Alectoris barbara; pernice rossa Alectoris rufa.

La sottospecie nominale Alectoris graeca graeca è esclusiva dei Balcani mentre in Italia sono presenti tre sottospecie, distinguibili per colorazioni e dimensioni.

- Alectoris graeca saxatilis, presente sulle Alpi;

- Alectoris graeca orlandoi, presente sugli Appennini (ssp. da confermare);

- Alectoris graeca whitakeri presente in Sicilia.

Diverse per colorazione e dimensioni, le tre sottospecie occupano zone tra loro isolate, ad eccezione di una limitata area di contatto, tra Alectoris graeca graeca e Alectoris graeca saxatilis, all’estremo delle Alpi orientali.

Presente e nidificante nelle Alpi e nell’Appennino, in passato la coturnice aveva una distribuzione più ampia con delle densità superiori rispetto al presente (Spanò et al., 1985; Oriolo e Bocca, 1992; Brichetti & Massa, 1998).

Nell’Appennino, nel corso degli scorsi decenni la diffusione e la presenza della coturnice si è rarefatta, divenendo discontinua e piuttosto localizzata, con nuclei ridotti e spesso tra loro disgiunti,

 

 

come risulta da diverse informazioni e indagini relative alla Calabria (Siragusa e Carelli, 1979), al pre-Appennino laziale (Bologna et al., 1983: Monti Lucretili; Angelici e Luiselli, 2001: Monti Prenestini), all’Appennino laziale e abruzzese (Petretti F., 1985), alla catena appenninica (Spanò et al., 1985), all’intero Lazio (Petretti F., 1995), al Parco Nazionale d’Abruzzo (Petretti F., 1999), al Parco Nazionale del Cilento (De Filippo et al., 1999) ed al Parco Nazionale dei Monti Sibillini (Renzini et al., 2001).

Anche se la Coturnice è una specie sedentaria, compie erratismi verticali per superare i rigori invernali, soprattutto nelle Alpi, Appennini e in alcuni casi in Sicilia, molto variabili in funzione del microclima, del tipo di copertura, delle condizioni meteorologiche (innevamento), dell’orografia, ecc. La portata di questi spostamenti è molto variabile ma comunque sempre contenuta tra qualche centinaio di metri e i 3-5 km.

In Italia questa specie è sedentaria e nidificante sulle Alpi, sul Carso Triestino, sull’Appennino centro-meridionale, fino all’Aspromonte ed in Sicilia con la ssp. whitakeri.

La coturnice ha uno stato di conservazione sfavorevole (criteri: declino moderato ma continuo) in Europa, minacciata soprattutto dalla distruzione degli habitat e dalla caccia (Tucker e Heath, 1994), inclusa nell’Allegato I e II/1 della Direttiva Uccelli 79/409/CEE, nell’allegato III della Convenzione di Berna e nella categoria SPEC 2 di BirdLife International (Tucker e Heath, 1994); è considerata vulnerabile anche in Italia (Petretti, 1998; Calvario et al., 1999). In provincia di Reggio Calabria è presente con popolazioni relitte.

Non esistono dati omogenei suIIa presenza e consistenza deIIa specie suI territorio provinciaIe; I’unico Iavoro recente disponibiIe è queIIo effettuato su commissione deII’ATC RC1 aI dott. Lucchesi deIIa Società QuadrifogIio neI 2005 e neI 2006 (Lucchesi, 2005, 2006). L’indagine, a cui si rimanda per approfondimenti, ha previsto una serie di percorsi finaIizzati aIIa raccoIta di segni di presenza deIIa specie (canto in particoIare) distribuiti neIIe diverse porzioni di territorio in funzione dei gradi di vocazionaIità definiti daIIa Carta deIIe Vocazioni Faunistiche (Panzera et aI., 2004); I’indagine si è concentrata neIIe aree con iI maggior grado di vocazionaIità potenziaIe

L’indagine deI 2005 ha permesso di riIevare Ia presenza certa deIIa specie, attraverso iI canto, in una soItanto deIIe Unità di Campionamento indagate (1 km di Iato), definita a “buona vocazionaIità” daIIa carta deIIe VocazionaIità Faunistiche. L’UC che ha dato iI risuItato positivo è posta a cavaIIo deI Monte CaIIea (986 m s.l.m.) che è caratterizzato daIIa presenza di profonde valli che fanno da margine ad altrettanti altipiani in parte coltivati, in parte rimboschiti a pino d’Aleppo (Pinus halepensis); presenta una tormentata morfologia con ripidi versanti e pendii pietrosi, sede, nel versante a Sud – Sud Est, di una stentata vegetazione erbacea, spesso caratteristica di substrati ammoniacali per la presenza di mandrie di bestiame brado (Chenopodium bonus – henricus, Linum strictum, Ferula communis, ecc.). Il versante opposto, Nord – Nord Ovest, è caratterizzato invece da tipiche cespugliate mediterranee, con lentisco (Pistacia lentiscus), fillirea (Phillirea latifolia), mirto (Mirtus communis), esemplari prostrati di leccio (Quercus ilex) ed alcuni pini domestici (Pinus pinea) di impianto artificiale; la copertura garantita dalla cespugliata fa sì che si creino condizioni di umidità, ed umicità, del terreno tali da garantire la sopravvivenza a specie di Pteridofite.

Le indagini del 2006 hanno permesso di rilevare la presenza della specie, attraverso un segno di presenza e di un avvistamento diretto, in altre due UC entrambe nella zona più meridionale della Provincia nel Comune di Bova. Anche dalle successive indagine il quadro della presenza della specie evidenzia uno status molto desolante per la specie che, anche nelle aree ritenute a maggior vocazionalità, risulta presente in meno dello 0,5% delle UC indagate.

In conclusione si può sostenere che, nonostante lo sforzo profuso, non sia possibile fornire carte della distribuzione della specie per l’intera provincia, e che le osservazioni certe sulla specie sono totalmente accidentali e legate a particolari condizioni ambientali favorevoli alla specie.

Per contro, se da un lato è stata rilevata la presenza di condizioni ambientali favorevoli alla specie, contestualmente è stata rilevata la presenza diffusa di specie quali i corvidi e la volpe che possono costituire un concreto fattore di minaccia rispetto allo status attuale della specie.

Morfologia e biometria

 

 

Negli adulti, anche in funzione delle aree geografiche, le porzioni superiori del corpo presentano colorazioni variabili. Nelle popolazioni appenniniche la tonalità è grigio neutro più o meno chiaro, mentre è bruno olivastro in quelle siciliane; il dorso, decisamente più scuro del groppone, tende al vinato. Una marcata differenza si riscontra anche nella pigmentazione delle copritrici superiori della coda e nelle timoniere che, nei popolamenti appenninici sono uniformi mentre in quelli siciliani sono percepibili vistose striature. In taluni casi le scapolari presentano tinta uniforme mentre in altri i margini sono di color castano dalle tonalità variabili mentre la zona centrale è grigio-azzurro. Sul mento ed alla base della mandibola sono presenti tre piccole macchie nerastre. Le auricolari, che generalmente si confondono con la colorazione nera del collare, sono in parte nere ed in parte brune. La colorazione della gola, piuttosto sfumata, varia dal grigio al grigio-brunastro.

Molto visibile è il collare nero, dai disegni molto variabili, che, partendo dalla fronte e dalle redini circonda la gola ed è decisamente meno visibile sopra gli occhi. Il collare è rastremato al centro nelle popolazioni appenniniche, in quelle siciliane tende ad essere più stretto in tutte le sue porzioni, più allungato e, nella zona centrale, spesso è maculato. Il collare, partendo dalla fronte ed estendendosi nelle aree sopra e post oculari, è contornato da un alone chiaro. I fianchi sono ricoperti da penne che possono presentare una banda nera prossimale molto ridotta, gli apici, di color castano, mostrano due strie nere più o meno parallele che ne comprendono una terza più larga di color crema con la base grigio-azzurra.

La colorazione dell’area addominale, più o meno intensa, è cannella mentre il petto è grigio-azzurro. Le rachidi delle remiganti primarie sono brune con vistose sfumature, tranne quelle esterne che, invece, sono uniformi. Una stria subapicale ocra pallido sul vessillo esterno è presente sulle rimanenti. Le timoniere assumono una colorazione rosso–castano, con sfumature e variazioni cromatiche sia in senso prossimo-distale che periferico-centrale. Mentre le zampe ed i piedi sono rosso-brunastri dai toni più o meno intensi, il becco ed il circolo perioftalmico sono di un vistoso color rosso corallo mentre l’iride è bruno-rossastra. Molto contenuto è il dimorfismo sessuale che si limita al fatto che il maschio adulto ha dimensioni di poco superiori alla femmina e possiede un corto ma visibile sperone sul tarso. La lunghezza totale del corpo varia da 32 a 35 cm, l’apertura alare da 46 a 53 cm, la lunghezza del becco da 13 a 16 mm, il peso da 450 a 900 g. (Brichetti et al., 1992).

Le parti superiori dei giovani sono caratterizzate da una tonalità piuttosto chiara di bruno-oliva con la presenza, in ogni penna, di una caratteristica macchia fulvo chiara in posizione distale. Le porzioni laterali del corpo sono ricoperte da penne ornamentali, in zona apicale di colore fulvo piuttosto chiaro, da due sottili bande brune con andamento trasversale. Sono, invece, irregolarmente macchiate e barrate di fulvo chiaro le remiganti secondarie, quelle terziarie e le timoniere che, centralmente, mostrano una pigmentazione bruno-oliva piuttosto opaca. Le remiganti primarie hanno vessilli esterni bruni maculati e irregolarmente striati di fulvo chiaro; quelle esterne, seppur differenziate per la loro sagoma più appuntita, hanno un colorito simile a quello degli adulti. La colorazione delle timoniere esterne è cannella rossiccio, con margine fulvo chiaro e maculature brune. Il colore del becco tende decisamente al nero.

La colorazione del piumino dei pulli varia in dipendenza della posizione geografica. Il popolamento siciliano è caratterizzato da un colore di fondo, sia delle parti superiori che di tutte le parti inferiori, che tende al bianco avorio. Le regioni dorsali sono caratterizzate da chiazze e strie bruno-nocciola picchiettate di scuro con andamento longitudinale che risaltano sul colore di fondo. Nuca e vertice hanno un colore sfumato tendente al fulvo-cannella chiaro. Le popolazioni alpine, invece, sulle regioni dorsali, sulla parte poste- riore del collo, sul vertice e sulle auricolari, hanno un piumino bruno-grigio chiaro con bande longitudinali di colore bruno-nocciola scuro e nerastro. Il becco ed i piedi hanno color carne con sfumature rossastre (Brichetti et al., 2004).

Habitat

Su alpi e appennini la Coturnice frequenta i rilievi rocciosi, con preferenza per quelli aridi e scoscesi, predilige, in inverno, quelli esposti a Sud, per il più rapido scioglimento della neve che le consente di alimentarsi. Preferisce, inoltre, sostare in vicinanza di coltivi terrazzati e costruzioni rurali per la maggior disponibilità di cibo.

 

 

Le strutture vegetali preferite sono le praterie xeriche con cotico erboso piuttosto basso ed interrotto da affioramenti rocciosi, pietre e arbusti contorti e nani, non disdegnando, comunque, arboreti radi, margini dei boschi, castagneti da frutto con alberi spaziati, purché prossimi a conformazioni rocciose; le formazioni forestali dense vengono raramente per nascondersi dai predatori.

Necessita di disponibilità idrica vicino ai luoghi di pastura, utilizza anche raccolte d’acqua artificiali, sull’Etna sfrutta quelle presenti nel sottosuolo lavico (grotte di scorrimento) che raggiunge attraverso stretti anfratti, utilizzati, tra l’altro, in caso di pericolo per la rimessa.

La fascia altimetrica popolata è molto ampia. Si va dai 450 ai 2500 m sulle Alpi, a 1600 - 2300 m sugli Appennini, con minimi anche a 400 m (Reggio Calabria), fino ad arrivare da poche decine di metri sul livello del mare a 2000 m in Sicilia.

Riproduzione

Il periodo riproduttivo varia in funzione dell’altitudine; la deposizione si svolge da aprile a giugno. Il nido è collocato sul terreno al riparo di un ciuffo di vegetazione, un piccolo arbusto o sotto una roccia sporgente. La femmina scava una cavità profonda 7-8 cm e larga 15-19 cm, che riveste di penne e vegetazione. Depone da 8 a 14 uova, di forma ovale, lisce e lucide, con tinta di fondo tra giallo crema e fulvo chiaro macchiettate di bruno-rossiccio, la dimensione media è di 41.6 x 30.9 mm. La deposizione avviene ad intervalli di 24-36 ore.

L’incubazione, curata dalla sola femmina, dura 24-26 giorni con un tasso di schiusa, in media, del 64%; il maschio si occupa della cova se viene deposta una seconda covata consecutiva. Nel caso di fallimento della prima covata, per disturbo o predazione, ne viene deposta un’altra. Pulli precoci e nidifughi, assistiti dalla sola femmina o da entrambi i genitori, autosufficienti nella scelta e nell’assunzione di cibo; nascono ricoperti da piumino, le remiganti si sviluppano dopo la prima settimana e consentono i primi voli, a 3-4 settimane sono in grado di volare.

Specie generalmente monogama. Durante la riproduzione vive in coppie, manifestando un comportamento estremamente territoriale, si riunisce in gruppi nel resto dell’anno. Le covate dell’anno tendono a rimanere unite in brigata per tutto l’inverno.

Comportamento

La Coturnice è una specie gregaria che tende a formare brigate composte anche da 35 - 40 individui, che, dalla fine della stagione riproduttiva e, si riuniscono per svernare, per poi scomporsi, a seconda dell’andamento stagionale, da febbraio ad aprile.

Passa la notte in roost sul terreno, in luoghi preferibilmente riparati dai rigori del clima e dalle precipitazioni (in inverno), sotto rocce sporgenti, muretti a secco, costruzioni rurali abbandonate, anfratti naturali, facilmente riconoscibili per il grande volume di escrementi accumulati.

Quando viene scoperta si appiattisce sulle rocce cercando di mimetizzarsi, corre celermente sul terreno o, solo se si sente minacciata da vicino, si alza in volo (la frullata è generalmente molto scomposta e fragorosa, a rapide battute d’ala alterna lunghe planate), precipitandosi in gole o crepacci nel tentativo di sfuggire ai predatori (rapaci o cacciatori).

Alimentazione

Si ciba essenzialmente di foglie, germogli, semi, frutti, invertebrati (Insetti e Molluschi), con forti variazioni stagionali.

Dinamica di popolazione

In quasi tutto l’areale di distribuzione questa specie ha subito, negli ultimi decenni (post 1950), una contrazione piuttosto regolare. Nelle Alpi si è avuta una involuzione che è partita dalle Alpi orientali ed ha raggiunto progressivamente negli anni le Alpi Marittime, arrivando ad una popolazione del 10-15% di quella originaria.

Negli Appennini i fatti non cambiano e nel 1985 era stimata una popolazione di 40.000-130.000 capi su 570.000 ettari, distribuiti molto irregolarmente. In Sicilia, dove nel 1800 era

 

 

abbondantissima sui monti e nelle pianure, si è avuto un drastico calo del 24,2%, con una quota molto importante negli ultimi anni.

La stima della popolazione alpina è di 6.000-9.000 coppie, quella appenninica è probabilmente compresa fra 5.000 e 10.000 coppie, quella siciliana è fra le 100 e le 1.000 coppie.

Oltre alla scomparsa da alcune parti dell’areale, c’è da segnalare una diminuzione consistente della popolazione che si riflette non solo nella diminuzione dei valori di densità della popolazione riproduttiva ma anche nella diminuzione della dimensione media delle brigate (gruppi post-riproduttivi).

Proposte

Per quanto riguarda la coturnice, dovranno essere pianificati monitoraggi standardizzati su vasta scala mediante le tecniche pià efficaci per la specie. Eventuali lanci di esemplari potranno avvenire solo nelle aree a maggiore vocazionalità così come definite dalla Carta delle Vocazioni Faunistiche. Gli eventuali lanci dovranno essere accompagnati da specifici progetti di monitoraggio finalizzati alla valutazione dell’efficacia degli interventi.

Starna (Perdix perdix)

Sistematica, distribuzione e status

Specie politipica a distribuzione euroasiatica; 8 sottospecie, di cui italica Harter, 1917, propria dell’Italia, viene generalmente inclusa nella sottospecie nominale. E’ sedentaria e nidificante sull’Appennino settentrionale, più scarsa o localizzata sulle Alpi e sull’Appennino centrale. I nuclei del centro sud sono originati da introduzione di soggetti per fini venatori, tali nuclei non sono stabili. P. p. italica è considerata estinta ed è stata progressivamente sostituita da sottospecie alloctone introdotte ai fini di ripopolamento venatorio. In provincia di Reggio Calabria la specie è presente solo in conseguenza delle attività di ripopolamento venatorio.

Morfologia

Galliforme di dimensioni medio-piccole, con corpo compatto, capo tondeggiante e relativamente piccolo, coda e collo corti, ali piuttosto larghe. Timida e fortemente gregaria, si muove facilmente sul terreno, ma di fronte al pericolo tende più ad immobilizzarsi che a correre via come le Alectoris.

La starna ha una livrea castano scura con guance, sottogola e timoniere rossicce e petto grigio-azzurro sul quale è evidente, soprattutto nei maschi, un ferro di cavallo marrone scuro. Il dimorfismo sessuale è praticamente inesistente. Il peso può variare tra 350 e 450 gr.

Habitat

La vocazionalità del territorio per questa specie è, più che per le altre, frutto delle complesse interazioni tra diversi fattori abiotici e biotici (Serrani et al., 2005), comprendendo i sistemi agricoli, forestali, ecc. Dal punto di vista ecologico, la starna predilige gli ambienti aperti e coltivati, anche intensamente. La superficie coltivata (preferibilmente a cereali invernali) è molto importante, e dovrebbe occupare più del 40% del totale; il restante territorio può esser occupato da formazioni forestali di ridotta estensione (circa 5-10%) e da zone incolte. Particolare importanza, per il rifugio e nidificazione, viene rivestita da margini erbosi estesi o cespugliati. Le aree migliori sono comunque quelle costitute da un mosaico di campi eterogenei di piccola e media estensione, separati da strisce di vegetazione naturale (Byrkan et al.,1988; Meriggi et al., 1998; Potts, 1980; Potts, 1986).

Le starne, nella scelta dell’habitat sono fortemente condizionate dalla stagionalità del clima e, soprattutto, dalle rotazioni agrarie come le raccolte, le arature dei terreni e gli sfalci. Per tale motivo si distinguono due periodi stagionali di habitat per la starna:

a) periodo estivo (agosto - 15 ottobre);

 

 

b) periodo invernale (16 ottobre – 31 marzo).

Il periodo estivo corrisponde ad una fase favorevole per la specie in quanto l’ambiente agrario è ricco di coperture vegetali e vario qualitativamente. Non vi sono grossi turbamenti del panorama agrario ad esclusione della raccolta del mais nella seconda metà di settembre ed un paio di sfalci all’erba medica. Temperature e piogge non sono problematiche alla specie.

Viceversa, il periodo invernale è assai più critico per il fasianide in quanto vengono ultimate le raccolte rimaste (soia e barbabietola) e rimangono a disposizione della specie solo colture di cereali autunno-vernini (frumento) e gli eventuali miglioramenti ambientali. Modeste sono pertanto le possibilità di copertura sia nei confronti dei predatori sia per i rigori del clima invernale (Bottazzo et al., 2003).

Comportamento

La starna è una specie gregaria che vive in gruppo quasi tutto l’anno. Nella stagione invernale forma brigate derivanti dall’aggregazione di più nidiate. Alla fine di febbraio le brigate si sciolgono e cominciano a formarsi le coppie. In questo periodo i maschi sono molto aggressivi e spesso combattono tra di loro; intensa è l’attività di canto. E’ una specie monogama altamente territoriale. Le femmine depongono 12-18 uova di colore bruno-oliva, che covano per 23-26 giorni, occasionalmente il maschio può sostituirla. Le nascite avvengono tra maggio ed agosto.

Proposte

Come è stato messo in evidenza, in provincia di Reggio Calabria risultano assenti popolazioni naturali e autosufficienti, di conseguenza l’unica via percorribile per un recupero almeno parziale della specie è stata quella di un programma di reintroduzione, affiancato da interventi di miglioramento ambientale e dal divieto di prelievo venatorio già attuato dalla Regione Calabria.

In generale, la valutazione della fattibilità di un piano di recupero di una specie come la Starna prevede alcuni punti fondamentali:

1) valutazione della possibilità di reperimento degli esemplari adatti allo scopo.

2) scelta della o delle aree in cui dovrà avvenire il rilascio e valutazione della potenzialità ambientale.

3) scelta della metodologia di rilascio.

Da quanto detto finora appare evidente come la reintroduzione di una specie, dai primi passi fino alla costituzione di una popolazione sufficientemente stabile e numerosa, sia un'impresa lunga e complessa che richiede impegno e collaborazione da parte di molte persone, oltre a un discreto investimento economico. E' ovvio quindi che il patrimonio di selvatici reintrodotti debba essere gestito nel migliore dei modi per impedirne il depauperamento o addirittura la scomparsa. In particolare si deve assolutamente evitare di mettere in atto il prelievo senza prima avere raggiunto una buona conoscenza dei principali parametri (densità, produttività, dinamica, ecc.) che caratterizzano la popolazione e avere in tal modo giudicato che essa è in grado di sopportare il prelievo senza alcun rischio.

Nel caso della Starna bisogna mettere in evidenza che il fattore limitante di gran lunga più importante è la mortalità dei pulcini, a sua volta collegata all’impoverimento dell’entomofauna negli agro-ecosistemi. Limitare o eliminare il diserbo sulle superfici risulta improponibile per il costo in termini di mancato raccolto, tuttavia esperienze condotte in Gran Bretagna dimostrano che l’eliminazione del diserbo limitatamente alla fascia perimetrale degli appezzamenti, per una larghezza di 6 m, produce un significativo aumento della sopravvivenza dei pulcini, comportando una perdita limitata del raccolto (cfr. Potts, 1986). La disponibilità di siti di nidificazione può essere migliorata salvaguardando o incrementando le siepi, i filari, le banchine erbose, le zone incolte, le macchie, ecc., vale a dire tutte le tipologie che aumentano la diversità ambientale e che offrono un microambiente ottimale per la nidificazione. In questo modo si riduce la percentuale di coppie che sceglie il proprio sito di nidificazione all'interno degli appezzamenti coltivati, ad esempio foraggere a sfalcio precoce, dove spesso vengono registrate gravi perdite dovute ai lavori agricoli. La

 

 

predazione sui nidi e sulle femmine in cova è uno dei fattori di mortalità in grado di influenzare la densità media delle popolazioni di Starna. Solo alcune specie di predatori opportunisti hanno tuttavia una qualche rilevanza in questo senso, segnatamente Il cinghiale, volpe e alcuni Corvidi (in particolare la cornacchia grigia e la gazza), mentre le altre specie di predatori non rivestono alcun ruolo significativo (Potts, 1986). L’ipotesi di un controllo di queste specie opportuniste, ampiamente diffuse e normalmente abbondanti, non dovrebbe essere osteggiata da un punto di vista conservazionistico. Almeno per quanto riguarda la provincia reggina l’aspetto rilevante risiede invece nella possibilità di attuare, con metodi realisticamente applicabili, tale controllo su vaste aree e per lunghi periodi di tempo. Il controllo efficace di queste specie richiede infatti un assiduo e capillare lavoro sul territorio che può essere realizzato solo avendo a disposizione personale esperto in numero sufficiente e ingenti risorse economiche, condizione che nella nostra Provincia si rende difficilmente realizzabile. I piani di controllo più o meno estemporanei e privi di coordinamento che si tenta di attuare localmente appaiono quindi del tutto inadatti a fronteggiare il problema. Ne si può dimenticare che in un contesto come quello reggino e regionale, in cui la gestione faunistico-venatoria soffre di problemi cronici di assai maggiore peso, l’aspetto del controllo dei predatori opportunisti non dovrebbe situarsi in testa all’ordine delle priorità. Esistono peraltro condizioni, generalmente di durata limitata, ad esempio durante le prime fasi di un programma di reintroduzione, in cui operazioni di controllo di alcune specie di opportunisti, condotte con appropriate metodologie e su aree di limitata estensione, possono avere effetti positivi, in particolare accelerando sensibilmente la costituzione di una popolazione più consistente per poter arrivare ad autosufficienza. Non va dimenticato inoltre che è possibile ottenere il controllo indiretto di varie specie di predatori attraverso l’eliminazione delle discariche a cielo aperto, la cui presenza pone peraltro anche seri problemi di tipo igienico, sanitario e paesaggistico. La buona riuscita del piano di gestione dipende pertanto dalla possibilità di realizzare i seguenti punti fondamentali:

1. Mantenimento del divieto di caccia alla Starna, fino a quando le condizioni della popolazione non verranno giudicate compatibili con un prelievo programmato.

2. Esecuzione regolare e più volte all'anno di censimenti su tutta l'area di studio.

3. Prelievo basato su piani di abbattimento annualmente predisposti in funzione della situazione indicata dai censimenti.

Il fatto che le azioni citate siano giudicate indispensabili non significa ovviamente che altri punti del programma (ad es. i miglioramenti ambientali e opportune azioni di controllo di alcune specie potenzialmente predatrici) non rivestano grande importanza. Si vuole semplicemente sottolineare che, è importante mantenere il divieto di caccia alla Starna, altrimenti ogni altro tipo di intervento gestionale è destinato a fallire.

Quaglia (Coturnix coturnix)

Descrizione

Tra i galliformi è l’unico migratore. Di piccole dimensioni con colorazione tipica degli uccelli

terragnoli di ambiente steppico, ovvero di colore castano-giallo con striature di differenti tonalità su

gran parte del corpo. La femmina ha gola bianca e petto tendente al giallo, il maschio gola bruno-nerastra con bordatura chiara. Raggiunge la lunghezza di 20 cm e il peso di 140 grammi. Il peso è generalmente maggiore nelle femmine.

Biologia e riproduzione

Nidifica in maggio-giugno (il picco delle cove si verifica tra il 15 giugno ed il 15 luglio) e depone 10-12 uova che schiudono dopo 17-20 giorni. Il nido è rappresentato da una concavità nel suolo in

 

 

praterie o campi di grano. I pulcini sono nidifughi (si allontanano dal nido) e sono in grado di volare a 12-15 giorni.

L’alimentazione è composta da semi di graminacee, frumento e segale.

Distribuzione ed habitat

Frequenta ambienti aperti con praterie, arbusti e stoppie prevalentemente in zone di pianura e collinari, ma si può trovare anche nelle praterie alpine fino a 2000-2200 metri di altezza. In provincia di Reggio Calabria raggiunge buone densità nell’area dei piani d’Aspromonte.

Fagiano (Phasianus colchicus)

Descrizione

Galliforme di dimensioni medio – grandi, tra i 53 e gli 89 cm, peso tra i 1000 ed i 1600 grammi. Caratterizzato da una lunga coda appuntita. Presenta una scarsa attitudine al volo preferendo muoversi a terra, ed uno spiccato dimorfismo sessuale. La femmina è più piccola e ha una colorazione marrone chiara, il maschio è molto appariscente con colorazioni che variano dal bianco al verde al blu metallico e particolare sviluppo degli ornamenti sessuali.

La sua presenza su tutto il territorio nazionale è conseguenza delle introduzioni in diverse epoche, alcune piccole popolazioni sono in grado di sostenersi senza l’aiuto dei ripopolamenti.

Biologia e riproduzione

Il fagiano è una specie poligama: i maschi sono territoriali ed ognuno può accoppiarsi con più femmine; le uova sono deposte in aprile e covate dalla femmina per 23-28 giorni. I pulcini sono precoci e nidifughi, possono allontanarsi dal nido e alimentarsi da soli poche ore dopo la schiusa.

Habitat

Preferisce le zone pianeggianti e collinari, sia su territori destinati a monocoltura sia in zone con notevole frazionamento. L’habitat ideale è rappresentato da ambiente di bassa collina coltivato a cereali con poche macchie boschive.

2.2.2.1.5. Columbiformi

Colombaccio (Columba palumbus)

Descrizione

Presente in Italia con la sottospecie nominale, che è anche la più diffusa in Europa. Il colombaccio è lungo dai 40 ai 42 cm e sensibilmente più grande del piccione, tra i columbiformi è quello che ha maggiori dimensioni. La sua apertura alare va dai 75 agli 80 cm e può pesare dai 460 ai 570 grammi. Sessi simili: la testa e la schiena sono bluastri, la coda e la punta delle ali scure. Il petto è di un colore rosa-grigio un po’ più chiaro. Una caratteristica tipica sono le macchie bianche ai lati del collo, che non formano un anello, nei giovani si manifestano alla prima muta intorno ai quattro mesi di età. Il collo ha riflessi metallici verdastri. Durante il volo, sulla parte superiore delle ali, sono molto evidenti delle fasce trasversali bianche che sono il principale segno di riconoscimento dalle specie simili.

Biologia e riproduzione

Le popolazioni più settentrionali sono migratrici, quelle dell’Europa centrale e, soprattutto, dell’Europa meridionale sono stanziali. Il nido, molto disordinato e di piccole dimensioni se paragonato alla mole dell’animale, viene costruito sugli alberi, la femmina depone due uova a covata per 2 volte l’anno. La cova dura in media 16 giorni e i piccoli sono nutriti per circa un mese.

Distribuzione ed habitat

 

 

E’ diffuso in tutto il territorio nazionale con esclusione di alcune aree delle regioni meridionali. Specie forestale predilige i boschi di conifere, dove si riproduce, alternati a coltivi, soprattutto cereali e leguminose. Le ghiande rappresentano un alimento molto apprezzato, infatti durante l’autunno si sposta nelle formazioni dominate da querce. La modalità di diffusione a macchia di leopardo della popolazione nidificante, suggerisce una stretta relazione con la qualità dei boschi e l’estensione delle monocolture (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998), per cui la corretta gestione selvicolturale volta a favorire la produzione di ghianda e di edera (estensione delle tagliate, rispetto del turno, ecc.) legata alla diffusione sui terreni agricoli di pratiche meno intensive con un corretta gestione delle rotazioni favoriscono senza dubbio questa specie.

Nella nostra Provincia, non c’è una vera attività di monitoraggio sulla specie, ma da avvistamenti e informazioni a livello locale caratterizzate da un grado di qualità molto variabile e abbattimenti si può dedurre che esistono popolazioni nidificanti sufficientemente abbondanti, Dovrebbero essere infine promosse attività di monitoraggio delle popolazioni nidificanti, migratrici e svernanti, secondo protocolli standardizzati, e dovrebbe essere adeguatamente sviluppata la raccolta e l’analisi delle informazioni precise sui capi abbattuti.

Tortora (Streptopelia turtur)

Descrizione

Specie paleartico-etiopica. In Italia è presente la sottospecie nominale diffusa in un vasto areale che dalle Isole Canarie attraverso l’Europa, l’Asia Minore ed il Caspio, si estende fino alla Siberia occidentale, a Sud delle steppe alberate del Kazakhstan.

Di dimensioni intermedie, il suo peso può variare tra 125 e 180 gr. Il piumaggio è vario: il capo è grigio, le parti inferiori tendono al rosa fulvo, il dorso è rossiccio marrone, la coda è scura con marcate punte bianche, il ventre è chiaro e contrasta con il resto del corpo. Caratteristiche le due macchie a strie bianche e nere ai lati del collo.

Biologia e riproduzione

Specie nidificante estiva e migratrice regolare. È l’unico Colombide migratore transahariano strettamente granivoro durante tutto l’anno. Adulti e giovani dell’anno lasciano assieme le aree di nidificazione da agosto a settembre con una coda fino all’ottobre. Il passaggio è su fronte largo e tale stile viene mantenuto anche nell’attraversamento del Sahara. Il movimento migratorio primaverile è concentrato in aprile-maggio, quando arrivano anche gli individui che nidificheranno in Italia.

Habitat

Quello riproduttivo è rappresentato da agrosistemi strutturalmente complessi con siepi, alberature, boschi; ben nota è la preferenza per aree calde, soleggiate con possibilità di abbeverata. Le aree preferite sono quelle collinari a vocazione cerealicola con ampie fasce di vegetazione naturale. La presenza di coltivazioni di girasole ha un notevole effetto positivo sulla densità delle popolazioni.

Conservazione e Gestione

La specie ha uno status di conservazione sfavorevole in Europa (SPEC 3: in declino). Le cause del declino generale delle sue popolazioni sono tuttavia da ricercare in fattori plurimi che coinvolgono la distruzione di habitat favorevoli alla nidificazione, l’uso di erbicidi, la pressione venatoria elevatissima, nonché i cambiamenti climatici delle aree di svernamento africane.

A livello locale la creazione ed il mantenimento di siepi, filari alberati abbinati alla creazione di fasce di colture a perdere con girasole, grano tenero ed altre graminacee ai margini delle aree coltivate aumentano la possibilità di fruizione dell’ambiente per la vicinanza delle risorse trofiche e dei luoghi di sosta notturna e diurna.

In Provincia non sono disponibili dati dei carnieri realizzati nel complesso del territorio cacciabile, ma solo informazioni a livello locale caratterizzate da un grado di qualità molto variabile che indicano una buona presenza della specie. I metodi di stima delle popolazioni sono ben conosciuti e standardizzabili; essi tuttavia non vengono generalmente applicati, se non in maniera puntiforme

 

 

e sporadica. Dovrebbero essere infine promosse attività di monitoraggio delle popolazioni nidificanti, migratrici e svernanti, secondo protocolli standardizzati, e dovrebbe essere adeguatamente sviluppata la raccolta e l’analisi delle informazioni sui capi abbattuti.

2.2.2.1.6. Passeriformi

Relativamente all’approccio ambientale, gli interventi a favore dell’avifauna migratoria devono essere orientati al ripristino ed al mantenimento degli habitat più idonei alla riproduzione, alla migrazione ed allo svernamento (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998); da questo punto di vista le pratiche di miglioramento ambientale utilizzate per favorire la fauna stanziale conducono, nella maggior parte dei casi, anche ad un apprezzabile miglioramento della recettività dei territori per i migratori.

È da sottolineare che il problema più rilevante nella gestione dei migratori è il mancato coordinamento e complementarietà dei sistemi di gestione in tutte le aree in cui è distribuita spazialmente e temporalmente una certa specie.

Prendendo in considerazione le specie migratrici più importanti ai fini venatori è possibile elencare una serie di interventi specifici specifici:

Allodola (Alauda arvensis)

E’ presente in Italia sia come nidificante che come migratore ed ha come habitat preferenziale le aree rurali di pianura e di bassa collina coltivate e le praterie naturali (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998). A partire dal mese di settembre ai nidificanti, il cui numero in ambito provinciale è molto limitato, si sovrappongono gli individui in migrazione.

Negli ultimi decenni la consistenza delle popolazioni europee è in diminuzione ed attualmente il trend continua ad essere negativo.

La conduzione agronomica dei terreni ha quindi un forte impatto sulla qualità dell’habitat; le misure volte alla riduzione dell’intensificazione, sia in termini di stretta successione delle colture che dell’impiego di prodotti fitosanitari che abbattono le popolazioni di Insetti, hanno senz’altro il pregio di migliorare la qualità dell’habitat.

In ambito provinciale la gestione dei residui colturali sulle aree cerealicole e delle praterie naturali può favorire lo svernamento della specie che viene segnalata con numeri consistenti. La nostra Provincia viene raggiunta regolarmente da popolazioni migratrici e svernanti provenienti da altri Paesi europei. Lo svernamento è più consistente e regolare in aree pianeggianti. Mancano stime numeriche dei contingenti in transito. L’ assenza di programmi di monitoraggio non consentano di definire le popolazioni oggetto di prelievo e di valutarne lo stato e la dinamica.

Tordo bottaccio (Turdus philomelos)

Le parti superiori del corpo sono di colorazione uniforme marrone-oliva, l’addome è bianco con macchie di forma oblunga, appuntite di colore bruno, le ascelle, osservabili durante il volo sono giallo-arancio. Il peso può variare tra 70 e 90 gr, è il più piccolo dei tordi osservabili sul nostro territorio.

E’ una specie migratrice parziale. L’areale di nidificazione è in Europa centro-settentrionale mentre d’inverno migra nei paesi mediterranei. La distribuzione come nidificante, sul territorio nazionale, copre tutto l’arco alpino e la dorsale appenninica. Le nostre popolazioni sono in gran parte residenti e durante la cattiva stagione compiono erratismi verso i fondovalle e le pianure. L’alimentazione è costituita in gran parte da bacche, frutti e molluschi gasteropodi. Nidifica tra i rami degli alberi, dove depone 3-5 uova.

Presente da metà settembre a metà-fine marzo. L’habitat più favorevole è rappresentato da boschi misti intervallati da cespugli e uliveti con tratti di macchia mediterranea.

 

 

Come misura di gestione si può proporre l’incentivazione dell’impianto ed il mantenimento di siepi con essenze arbustive che forniscono frutti appetiti (biancospino, prugnolo) insieme a piante arboree (sulle quali, ad esempio, si può arrampicare l’edera i cui frutti risultano molto appetiti), nonché il recupero ed il mantenimento di vigneti ed oliveti abbandonati. Data l’alimentazione basata anche sulla componente animale, risulta essenziale la riduzione degli input chimici dannosi per gli insetti e per gli invertebrati in genere.

Nella nostra Provincia è dalla fine di settembre che i contingenti di migratori iniziano a ra giungere il nostro territorio e l’intensità dei movimenti diviene elevata in ottobre, con un picco di segnalazioni raggiunto nella terza decade del mese. Si osservano frequenze ancora molto elevate fino alla prima decade di novembre, per tornare a crescere dalla terza decade di dicembre e quindi in gennaio, di pari passo con l’inizio dei movimenti di ritorno attraverso il nostro Paese. Il Tordo bottaccio è di gran lunga la specie maggiormente cacciata sul nostro territorio in termini di numero di capi abbattuti. Benché i dati acquisiti siano parziali, perché non in tutti gli ambiti di caccia vengono raccolti e analizzati i dati dei tesserini venatori, dai dati su informazioni a livello locale risulta un prelievo non eccessivo rispetto ai carnieri degli anni 90/2000. Le modalità con cui la caccia ai tordi viene praticata rende relativamente elevato il rischio di abbattimenti involontari di specie protette. Nel caso del Tordo bottaccio la specie protetta che può essere più facilmente abbattuta per errore è la Tordela Turdus viscivorus. Per garantire la compatibilità del prelievo inoltre dovrebbero essere promosse attività di monitoraggio delle popolazioni nidificanti, migratrici e svernanti e dovrebbe essere adeguatamente sviluppata la raccolta e l’analisi delle informazioni sui capi abbattuti.

Tordo sassello (Turdus iliacus)

La specie frequenta boschi di latifoglie e conifere, campagne alberate, margini dei boschi e arbusteti, nutrendosi essenzialmente di frutta, bacche e semi (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998). Le siepi hanno un ruolo fondamentale nella produzione di risorse trofiche (il vischio disponibile sulle vecchie piante) e quindi risulta importante il loro impianto e/o mantenimento. Anche per il sassello è auspicabile la riduzione degli input chimici nell’attività agricola.

La specie è meno abbondante sul nostro territorio e con una consistenza numerica molto più variabile da un anno all’altro. (In Provincia per quanto riguarda i contigenti migratori e svernanti, la situazione e simile a quella del Tordo bottaccio (Turdus philomelos).

Cesena (Turdus pilaris)

Specie tipicamente nomade ed invasiva, in inverno può improvvisamente comparire (invasioni) in gran numero laddove siano disponibili adeguate risorse trofiche, sostando fino all’esaurimento delle stesse. Frequenta, prevalentemente, boschi aperti delle zone interne, in genere a dominanza di Roverella , con presenza di Biancospino, Agrifoglio e Tasso. Si nutre di Invertrebrati, frutti e semi, per cui valgono essenzialmente le indicazioni fornite per gli altri turdidi. Il nostro territorio provinciale viene raggiunto da popolazioni migratrici e svernanti provenienti da altri Paesi europei e dall’Asia centro-occidentale. Mancano stime numeriche dei contingenti in transito e in svernamento per le difficoltà oggettive di rilevamento dei piccoli passeriformi migratori su ampia scala geografica. Tali contingenti sono estremamente variabili di anno in anno in relazione a fluttuazioni demografiche delle popolazioni di origine e agli andamenti climatici che influenzano gli spostamenti migratori della specie. I dati di carniere ottenuti da informazioni locali indicano come la Cesena sia una tra le specie maggiormente cacciate in nella nel nostro territorio in termini di numero di capi abbattuti. Benché i dati acquisiti siano parziali perché non vengono raccolti e analizzati i dati dei tesserini venatori. Per garantire la compatibilità del prelievo inoltre dovrebbero essere promosse attività di monitoraggio delle popolazioni nidificanti, migratrici e svernanti e dovrebbe essere adeguatamente sviluppata la raccolta e l’analisi delle informazioni sui capi abbattuti.

Merlo (Turdus merula)

 

 

Questa specie risulta essere sia nidificante sia migratrice in Italia. La distribuzione sul territorio provinciale è continua, non è presente su piccole aree del versante ionico. Nidifica in ambienti con buona copertura boschiva ed arbustiva (boschi, zone cespugliate, parchi urbani, giardini) e possiede un habitat non riproduttivo eccezionalmente variabile, includendo boschi densi, diverse tipologie di coltivi, lande, zone umide, parchi urbani e giardini (Cramp, 1988; Clement & Hathway, 2000). L’alimentazione è basata soprattutto sulla componente animale (Cramp, 1988; Sorace, 1992; Fontaneto et al.,1999; Clement & Hathway, 2000) ma in autunno integra con prodotti di origine vegetale, semi, bacche e frutta. Date le sue caratteristiche ecologiche, i miglioramenti più opportuni consistono nella creazione e mantenimento di siepi adatte alla nidificazione ed all’alimentazione, strutturate nello stesso modo e con le stesse essenze descritte per il tordo bottaccio. In provincia la popolazione nidificante complessiva da avvistamenti risulta numerosa , coppie, con tendenza alla stabilità o all’incremento locale. Il nostro territorio viene raggiunta regolarmente da popolazioni migratrici e svernanti provenienti da altri Paesi europei. Mancano stime numeriche dei contingenti in transito e in svernamento per le difficoltà oggettive di rilevamento. Le prime segnalazioni di merli si hanno alla fine di agosto, ma è da ottobre che si riscontra un deciso i cremento, che raggiunge poi il massimo annuale nella terza decade del mese Successivamente, la frequenza si mantiene elevata durante le prime due decadi di novembre, per poi diminuire fino a quella centrale di dicembre. Con l’ultima decade dell’anno si torna a registrare un incremento da gennaio. Per garantire la compatibilità del prelievo inoltre dovrebbero essere promosse attività di monitoraggio delle popolazioni nidificanti, migratrici e svernanti e dovrebbe essere adeguatamente sviluppata la raccolta e l’analisi delle informazioni sui capi abbattuti.

 

 

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http://www.parks.it/parco.alpi.apuane/Egui.html 

www.lipu.it 

www.migrazione.it 

 

 

 

2.2.2.2. Mammalofauna La mammolofanuna della provincia di Reggio Calabria è piuttosto ricca di specie. Nella Tab. 14 è riportata una check-list delle specie di mammiferi presenti nel territorio provinciale evidenziando il loro eventuale inserimento nell’allegato II alla Direttiva CEE 92/43.

Tra le specie estinte e sicuramente presenti fino al 1950 nella provincia di Reggio Calabria, va annoverata la Lontra (Lutra lutra), Mustelide che può raggiungere i 120 cm di lunghezza, e che per vivere ha bisogno di acque pulite e non frequentate dall'uomo, con rive coperte da ampi tratti di boschi ripali.

Tab. 20 – Check‐list delle specie di mammiferi della Provincia di Reggio Calabria 

MAMMIFERI

Dir. CEE 92/43/ All. 2

INSETTIVORI Erinaceidi 1 Riccio europeo (Erinaceus europaeus, Linnaeus, 1758) Soricidi 2 Toporagno nano (Sorex minutus, Linnaeus, 1766) 3 Toporagno comune (Sorex araneus, Linnaeus, 1758) 4 Toporagno italico od appenninico (Sorex samniticus, Altobello, 1926) 5 Toporagno acquatico di Miller (Neomys anomalus, Cabrera, 1907) 6 Mustiolo (Suncus etruscus, Savi, 1822) 7 Crocidura a ventre bianco (Crocidura leucodon, Hermann, 1780)

8 Crocidura minore o Crocidura odorosa (Crocidura suaveolens, Pallas, 1811)

Talpidi 9 Talpa romana (Talpa romana, Thomas, 1902) CHIROTTERI Rinofolidi 10 Rinolofo eurìale (Rhinolophus euryale, Blasius, 1853) *

11 Rinolofo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum, Schreber, 1774) * 12 Rinolofo minore (Rhinolophus hipposideros, Bechstein, 1800) *

13 Rinolofo di méhely (Rhinolophus mehelyi, Matschie, 1901) *

Vespertilionidi 14 Barbastello comune (Barbastella barbastellus, Schreber, 1774) *

 

 

15 Seròtino comune (Eptesicus serotinus, Schreber, 1774)

16 Pipistrello di Savi (Hypsugo savii, Bonaparte, 1837)

17 Vespertilio di bechstein (Myotis bechsteinii, Kuhl, 1817) *

18 Vespertilio di Blyth (Myotis blythii, Tomes, 1857) *

19 Vespertilio di Capaccini (Myotis capaccinii, Bonaparte, 1837) *

20 Vespertilio di Daubenton (Myotis daubentonii, Kuhl, 1817)

21 Vespertilio smarginato (Myotis emarginatus, E. Geoffroy, 1806) *

22 Vespertilio maggiore, (Myotis myotis, Borkhausen, 1797) *

23 Vespertilio mustacchino (Myotis mystacinus, Kuhl, 1817)

24 Vespertilio di Natterer (Myotis nattereri, Kuhl, 1817)

25 Nottola gigante (Nyctalus lasiopterus, Schreber, 1780)

26 Nottola comune (Nyctalus noctula, Schreber, 1774)

27 Pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii, Kuhl, 1817)

28 Pipistrello di Nathusius (Pipistrellus nathusii, Keyserling et Blasius, 1839)

29 Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus, Schreber, 1774)

30 Orecchione meridionale o grigio (Plecotus austriacus, Fischer, 1829)

Miniopteridi 31 Miniottero di Schreiber (Miniopterus schreibersii, Kuhl, 1817) *

Molossidi 32 Molosso di cestoni (Tadarida kenioti, Rafinesque, 1814)

MAMMIFERI

Dir. CEE 92/43/ All. 2

 

 

LAGOMORFI Leporidi 33 Lepre comune o europea (Lepus europaeus, Pallas, 1778)

34 Lepre italica (Lepus corsicanus, De Winton, 1898)

RODITORI Sciuridi 35 Scoiattolo comune (Sciurus vulgaris, Linnaeus, 1758)

Gliridi 36 Quercino (Eliomys quercinus, Linnaeus, 1766)

37 Driomio (Dryomys nitedula, Pallas, 1779)

38 Ghiro (Glis glis, Linnaeus, 1766)

39 Moscardino (Muscardinus avellanarius, Linnaeus, 1758)

Muridi 40 Arvicola rossastra o dei boschi (Clethrionomys glareolus, Schreber, 1780)

41 Arvicola terrestre (Arvicola terrestris, Linnaeus, 1758)

42 Arvicola di savi (Microtus savii, de Sélys-Longchamps, 1838)

43 Topo selvatico a collo giallo (Apodemus flavicollis, Melchior, 1834)

44 Topo selvatico (Apodemus sylvaticus, Linnaeus, 1758)

45 Topo domestico (Mus domesticus, Schwarz et Schwarz, 1943)

46 Ratto nero o dei tetti (Rattus rattus, Linnaeus, 1758)

47 Ratto delle chiaviche (Rattus norvegicus, Berkenhout, 1769)

Istricidi 48 Istrice (Hystrix cristata, Linnaeus, 1758)

CARNIVORI Canidi 49 Lupo (Canis lupus, Linnaeus, 1758) *

50 Volpe (Vulpes vulpes, Linnaeus, 1758)

Mustelidi 51 Tasso (Meles meles, Linnaeus, 1758)

52 Donnola (Mustela nivalis, Linnaeus, 1766)

53 Puzzola (Mustela putorius, Linnaeus, 1758)

54 Lontra (Lutra lutra, Linnaeus, 1758) *

55 Faina (Martes foina, Erxleben, 1777)

56 Martora (Martes martes, Linnaeus, 1758)

Felidi 5 Gatto selvatico (Felis silvestris, Schreber, 1777)

 

 

7 ARTIODATTILI Suidi 58 Cinghiale (Sus scrofa scrofa, Linnaeus, 1758)

Cervidi 59 Daino (Dama dama, Linnaeus, 1758)

60 Capriolo (Capreolus capreolus italicus, Linnaeus, 1758)

Nella Check-list delle specie di mammiferi della Provincia di Reggio Calabria vengono citati come presenti sia il cervo (Cervus elaphus) che il daino (Dama dama), ma in realtà la loro presenza sul territorio non puà essere confermata. Per quanto riguarda il cervo, la specie di ungulato pià grossa presente in Italia, risulta presente solo all’interno di due strutture didattiche all’interno del Parco Nazionale dell’Aspromonte, e risulta invece totalmente assente sul territorio libero. Il daino è presente all’interno di una struttura pubblica in Comune di Bova ma i pochi esemplari fuoriusciti dal recinto gravitano comunque nei pressi di esso e dipendono dal foraggiamento artificiale per l’alimentazione; non viene segnalata la presenza in nessuna porzione del territorio libero.

Per quanto riguarda il capriolo, la sua presenza sul territorio di competenza dell’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, è limitata alla presenza occasionale e stagionale di alcuni individui appartenenti ai nuclei di capriolo italico rilasciati all’interno del Parco Nazionale dell’Aspromonte (42 individui a febbraio 2010).

Di seguito sono analizzate in dettaglio le principali specie di mammiferi, esaminando in particolare quelle sottoposte all’esercizio venatorio.

2.2.2.2.1. Lepre europea Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Lagomorfi

Famiglia: Leporini

Sottofamiglia: Leporini

Genere: Lepus

Specie: Lepus europaeus Pallas1778

La lepre europea è una specie che, fino al termine della prima guerra mondiale, era presente sia nel Nord della nostra penisola sia nel Centro. Fin dai primi decenni del secolo scorso –per scopi venatori – vennero introdotte in tutta la penisola molte migliaia di esemplari all’anno di lepre europea, di origine Est-europea e Sudamericana; col consolidarsi di tale abitudine, la specie finì col diffondersi in tutto il Meridione fatta eccezione per la Sicilia.

Per lungo tempo si era ritenuto che questa “introduzione” potesse aver generato inevitabili incroci con la forma autoctona di lepre, in quanto considerata una sottospecie della lepre europea (Lepus europaeus corsicanus). Tuttavia, dopo il 1996 studi di tipo morfologico e genetico hanno permesso di accertare che ciò non è affatto avvenuto e che la forma autoctona di Lepus, la lepre italica, è una specie ben distinta rispetto alla lepre europea, filogeneticamente molto distante e che non s’incrocia con essa.

 

 

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•<= 1959 (n. 52) > 1959 (n. 87)

 

Fig.13 ‐ Distribuzione della Lepre europea: ricostruzione in base ai reperti museali (.) raccolti prima e dopo il 1959. La linea verde rappresenta il limite meridionale della distribuzione (dati ISPRA). 

Morfologia

La lepre europea possiede un mantello piuttosto variabile che, nel corso dell’anno, passa dal grigio rossiccio al fulvo, conservando sempre il bianco sul ventre. Il peso della specie europea oscilla tra i 3 e 5kg.

Habitat ed alimentazione

La lepre europea è una specie erbivora. Il suo habitat originario è rappresentato dalla steppa e dalle praterie delle zone temperate (a clima continentale), mentre in Italia si è perfettamente adattata agli agro-ecosistemi, principalmente nelle regioni settentrionali e centrali (areale naturale della specie). Nelle regioni meridionali le densità sono sempre basse a testimonianza della scarsa adattabilità di questa lepre ai climi di tipo mediterraneo. Ad esempio, formidabili tentativi di introduzione della lepre europea sono stati effettuati in Sicilia, con l’impiego di almeno 10.000 esemplari nell'arco di un ventennio (Lo Valvo et al., 1997), ebbene (fortunatamente) essi sono falliti ed oggi nell’Isola non v’è alcuna popolazione di lepre europea. L'accertamento della presenza sul monte Pollino di esemplari con aplotipi (mtDNA) analoghi a quelli accertati anche nel Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, nonché nell'alto Appennino reggiano, ma più antichi rispetto a quelli accertati nel resto della Penisola e nei Paesi tradizionalmente esportatori di lepri da ripopolamento, lascia comunque ipotizzare che la Lepre europea potesse occupare anche aree più meridionali, rispetto a quelle accertate, lungo la catena appenninica. In generale la lepre europea è comunque una specie meglio adattabile rispetto alla lepre italica, che mostra di essere più legata agli habitat naturali (pascoli collinari e montani, radure ai limiti dei boschi di latifoglie ed ancora macchia mediterranea), pur frequentando eventualmente anche prati, colture cerealicole e frutteti.

Riproduzione

L’inizio della stagione riproduttiva è da mettere in relazione con l’aumento delle ore di luce, indicativamente in corrispondenza del solstizio d’inverno (23 dicembre): maschio e femmina entrano in calore. Le nascite si collocano tra la fine di gennaio e la metà di ottobre e si contano in media 4 parti in un anno. Ogni femmina può partorire in media 10 leprotti all’anno, con cucciolate più numerose in primavera. Al contrario dei piccoli di coniglio, i giovani leprotti appena nati sono coperti da una folta pelliccia e presentano gli occhi già aperti; lo svezzamento avviene entro il primo mese di vita anche a causa della scarsa socialità che caratterizza la specie.

Dinamica di popolazione

 

 

Le popolazioni di lepre sono caratterizzate da forti fluttuazioni spazio-temporali in quanto la loro dinamica si basa su un elevato tasso di rinnovamento. Le densità possono variare da meno di 1 esemplare a oltre 250 esemplari / 100 ettari, con forti fluttuazioni da un anno all'altro. In Italia differenze marcate di densità si registrano tra le regioni centro-settentrionali, quelle centrali e quelle meridionali, potendosi constatare come la densità e la consistenza delle popolazioni di lepre si riduca da Nord verso Sud, anche all'interno delle aree protette. Non vi sono dati per la Calabria, benché la presenza della specie sia stata più volte accertata anche all’interno di aree protette (es. PN dell’Aspromonte e Parco Regionale delle Serre Calabresi – dati ISPRA).

 

 

2.2.2.2.2. Lepre italica Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Lagomorfi

Famiglia: Leporini

Sottofamiglia: Leporini

Genere: Lepus

Specie: Lepus corsicanus De Winton,1898

Come già detto a proposito della lepre europea, la validità tassonomica della lepre italica come buona specie è stata confermata con più studi a partire dal 1996, studi che fin dagli inizi hanno riguardato proprio esemplari della Calabria (Mongiana - VV). Attualmente però il suo status è seriamente compromesso a causa delle trasformazioni dell’habitat, dell’attività venatoria e, come se ciò non bastasse, anche a causa dell’immissione sul territorio di migliaia di capi di lepri europee, con possibili fenomeni di competizione e diffusione di patologie comuni (ad es. l’E.B.H.S.). La conseguenza di tutto ciò è che la lepre italica è presente solo in alcune “isole” residuali, anche se manca, purtroppo, ancora una precisa conoscenza della distribuzione e della consistenza degli effettivi. Ricerche realizzate direttamente dall’ex INFS circa 10 anni or sono, hanno consentito di identificare la specie anche all’esterno del Parco Nazionale dell’Aspromonte (Bianco), in un’area dove erano stati realizzati ripopolamenti consistenti con la lepre europea. Va ricordato che la lepre italica, a differenza della lepre europea, è una specie protetta, ma la difficoltà di riconoscimento da parte dei cacciatori determina abbattimenti illegali, che minacciano la sopravvivenza della specie all’esterno delle aree protette. Per il recupero della specie il Ministero dell’Ambiente, del Territorio e del Mare ha predisposto un Piano d’azione (Trocchi e Riga, 2001).

Fig. 14 – Distribuzione della lepre italica secondo dati ISPRA (segnalazioni accertate nel corso degli ultimi 15 anni). 

Nel complesso, la Lepre italica è classificata come specie “minacciata”, nella categoria “Vulnerabile”, sia a livello europeo IUCN Red List (Europa), 2007 (Appendice 1), sia a livello globale, IUCN Red List, 2008 (criteri 2001).

Morfologia

La lepre italica è simile nell'aspetto generale alla lepre europea, ma ha forme relativamente più slanciate. La lunghezza della testa e del corpo, della coda, del piede posteriore e, soprattutto, le orecchie sono proporzionalmente più lunghe, mentre il peso medio degli adulti è di circa 800 gr. inferiore. Questi caratteri probabilmente costituiscono un adattamento della lepre italica al clima caldo degli ambienti mediterranei, a differenza della lepre europea, che è meglio adattata agli ambienti con clima continentale. Tab. 21 ‐ Caratteristiche salienti della colorazione del mantello nella lepre italica e nella lepre europea. 

Lepre italica Lepre europea

Colorazione della coscia e del groppone bruno-ocra-rossiccia

Colorazione della coscia e del groppone bruno-grigiastra

Colorazione grigia della porzione basale del pelo centrodorsale (tra le scapole) negli adulti

Colorazione biancastra della porzione basale del pelo centrodorsale (tra le scapole) negli adulti

Colorazione grigio-nerastra della nuca e della parte dorsale del collo

Colorazione bruno-rossiccia della nuca e della parte dorsale del collo (ad eccezione dei giovani)

 

 

Separazione netta tra la colorazione bianca del ventre e la colorazione dei fianchi

Presenza di una fascia di transizione sfumata tra la colorazione bianca del ventre e la colorazione dei fianchi

 

Fig.  15  ‐  Esemplari  adulti  di  lepre  europea  (sinistra)  e  di  lepre  italica  (destra)  a  confronto  (si  noti  in particolare la colorazione del fianco). 

Lepre europea  Lepre italica  Lepre europea   Lepre italica Fig. 16 ‐ Colorazione della nuca e della coscia a confronto nella Lepre europea e nella Lepre italica. 

Habitat ed alimentazione

La distribuzione ecologica della lepre italica conferma l’adattamento prevalente della specie agli ambienti a clima mediterraneo, benché essa sia presente dal livello del mare fino a 2.000 m s.l.m. in Appennino e a 2.400 m s.l.m. sull’Etna. Gli ambienti preferiti sono quelli rappresentati da un’alternanza di radure, anche coltivate, ambienti cespugliati e boschi di latifoglie; inoltre, può occupare aree di macchia mediterranea con densa copertura vegetazionale, compresi gli ambienti dunali.

Lo studio sul comportamento alimentare della lepre italica è stato effettuato per ora solo sull’Etna, ne risulta una dieta molto diversificata, con una netta preferenza nei confronti delle Graminacee, così come osservato in altri Lagomorfi, sia in estate che in inverno, mentre il consumo di tali piante in primavera addirittura si accresce, nonostante la maggiore disponibilità di alimenti alternativi. La specie dimostra, inoltre, capacità di adattamento alimentare rispetto a condizioni climatiche estreme (forte aridità nel periodo estivo e innevamento consistente nel periodo invernale).

Riproduzione

 

 

Le conoscenze sulla biologia riproduttiva di questa specie sono scarse, comunque è stata accertata la possibilità di riproduzione in tutti i mesi dell’anno, con una concentrazione dei parti in primavera. A differenza della lepre europea, manca di una diapausa riproduttiva stagionale (analogamente a quanto verificato nella lepre sarda). La dimensione massima delle figliate osservate su femmine gravide è risultata di 4 feti, con una media di 1,6 per parto ed una media di circa 3 parti all’anno.

Dinamica di popolazione

Ancora poche indagini sono state compiute per valutare la densità della specie sul territorio. I primi risultati di studi in corso, realizzati con la tecnica dello spot light census, interessano quasi 1.000 km di percorsi campione nell’Italia centro-meridionale (Calabria compresa) ed in Sicilia (dati ISPRA).

Tab.  22  –    Indice  di  densità  (n./km2  ±  D.S.)  delle  lepri  in  aree  protette  e  di  caccia  dell'Italia  centrale  e meridionale e in Sicilia. 

Aree protette Territori di caccia

Penisola (Lepus sp.) 11,44 ± 32,77 0,53 ± 1,28

Sicilia lepre italica 10,44 ± 11,98 2,09 ± 0,33

La tabella evidenzia come in Sicilia e nella Penisola vi siano analoghe densità delle lepri sul territorio, tuttavia, nella seconda area il dato si riferisce alla presenza cumulativa della lepre europea e della lepre italica. Tale condizione potrebbe riflettere un’interferenza sfavorevole della specie introdotta rispetto a quella autoctona, così come una sostanziale vicarianza tra esse. Rimarchevole è la differenza di densità tra le aree protette e quelle ove è ammesso l'esercizio venatorio. La tendenza complessiva della popolazione peninsulare è di decremento. In Sicilia la condizione della specie può ritenersi relativamente soddisfacente, per tale ragione nell’Isola, dopo 5 anni di sospensione della caccia, la specie è stata di nuovo reinserita tra le specie caccioabili.

 

 

2.2.2.2.3. Scoiattolo comune Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Roditori

Famiglia: Sciuridi

Sottofamiglia: Sciurini

Genere: Sciurus

Specie: Sciurus vulgaris L.

Sottospecie italiane:

• Sciurus vulgaris fuscoater Altum, 1876

• Sciurus vulgaris italicus Bonaparte, 1838

• Sciurus vulgaris meridionalis Lucifero,1907

Per lo scoiattolo comune sono state descritte una quarantina di sottospecie di dubbia validità. La specie mostra un’ampia variabilità nel colore del mantello ed è possibile rinvenire individui di colore rossiccio più o meno intenso, altri marrone sino a forme melaniche. Reperti fossili attribuibili a Sciurus vulgaris in Europa, e quindi molto pro-babilmente anche in Italia, risalgono al Pleistocene medio - superiore.

Occupa quasi tutte le aree boscate dell’Europa e dell’Asia settentrionale sino a raggiungere la Kamciatka, la Corea e l’isola di Hokkaido (Giappone).In Italia è presente in tutta la penisola, mentre è assente nelle isole.

Morfologia

Non c'è dimorfismo sessuale tra maschio e femmina. Il peso va da 250 a 340 g. La colorazione del mantello è molto variabile e va dal marrone rossiccio al marrone scuro; queste diverse tonalità sembrano essere determinate da vari fattori legati al clima, alla copertura vegetale, all'alimentazione oltre che da fattori di tipo genetico. La parte inferiore del corpo è sempre bianca. Le zampe posteriori, più lunghe di quelle anteriori permettono all'animale di muoversi con molta agilità sul terreno mentre le forti unghie e i cuscinetti plantari gli consentono di arrampicarsi con sorprendente abilità sugli alberi.

Habitat

Vive soprattutto in boschi di conifere e più di rado in quelli di caducifogle. Frequenta anche parchi urbani e giardini.

Riproduzione

Le femmine devono raggiungere una massa corporea minima per essere feconde e quelle più pesanti danno mediamente alla luce più piccoli. Se il cibo è scarso la riproduzione viene ritardata. Le femmine diventano sessualmente mature al secondo anno. Durante l’accoppiamento i maschi individuano le femmine in calore dall'odore che queste emettono. Anche se non c'è un corteggiamento vero e proprio, il maschio insegue la femmina anche per un'ora prima di riuscire ad accoppiarsi. Solitamente più maschi inseguono una sola femmina, finché il maschio dominante, in genere il più grosso, riesce a conquistarla. Maschi e femmine si accoppiano più volte e con diversi partner. L’accoppiamento solitamente si verifica in due periodi: in febbraio-marzo ed in estate tra giugno e luglio. La femmina può avere fino a 2 gravidanze l'anno. Ciascuna figliata è composta da tre o quattro piccoli di solito, occasionalmente possono essere partoriti anche sei piccoli. La gestazione dura 38-39 giorni. I piccoli nascono ciechi e sorsi, il loro corpo si ricopre di peli al 21° giorno di vita e acquisiscono la vista dopo tre o quattro settimane. Il giovane scoiattolo può mangiare cibi solidi una quarantina di giorni dopo la nascita; a questo punto può lasciare il nido per procurarsi il cibo da solo, anche se la madre continuerà ad allattarlo fino allo svezzamento completo, intorno alle venti settimane.

Alimentazione

 

 

Lo scoiattolo si nutre sul terreno o sui rami, mangiando pinoli, faggiole, ghiande, funghi, germogli, frutti e cortecce, manipolando il cibo con le zampe anteriori.

Dinamica di popolazione

Pur non essendo disponibili dati sulle entità numeriche delle popolazioni, la specie sembra essere comune nelle Alpi e nell’Appennino, mentre è in regressione o assente in molti settori planiziali. Le popolazioni di questa specie vanno incontro a drastiche riduzioni (sino all’estinzione) nelle aree in cui è stato introdotto lo Scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis), a causa di una diretta competizione. La frammentazione delle aree boschive rappresenta un altro fattore di impoverimento numerico ed abbassamento di variabilità genetica per le popolazioni di questa specie, andate incontro a drastiche riduzioni a causa del bracconaggio legato a riprovevoli tradizioni culinarie proprie della nostra regione.

2.2.2.2.4. Driomio Sistematica, distribuzione e status

Superordine: Gliri

Ordine: Roditori

Famiglia: Gliridi

Sottofamiglia: Leitini

Genere: Dryomys

Specie: Dryomys nitedula Pallas

Sottospecie italiane:

• Dryomys nitedula intermedius - Nehring, 1902 (Alpi orientali)

• Dryomys nitedula aspromontis - von Lehmann, 1964 (Basilicata e Calabria)

In Italia il driomio presenta una distribuzione alquanto peculiare, con due popolazioni distinte e apparentemente separate. La specie è inserita dall’IUCN Red List, nella categoria di minaccia NT-Near Threatened (quasi a rischio).

Il driomio intermedio (Dryomys nitedula intermedius) è presente nel Nord-est Italia, più precisamente dal Friuli all’Alto Adige. Assente da tutte le altre regioni dell’Italia settentrionale. Non è mai localmente abbondante, anche se questa impressione può derivare dal comportamento schivo di questo roditore.

Il driomio meridionale (Dryomys nitedula aspromontis), è una razza ben isolata dalle altre popolazioni continentali. Infatti è stato segnalato solo in alcune stazioni della Calabria e sul Pollino, anche in territorio lucano. Ciononostante non sembra molto diverso geneticamente dai driomii alpini e potrebbe essere presente anche in altre aree appenniniche, sebbene non sia mai stato segnalato sinora, né trovato nelle borre dei rapaci. É indubbiamente molto raro e sarebbe opportuna una indagine conoscitiva di tipo faunistico lungo l’Appennino per definirne con precisione l’areale. Vive preferenzialmente nelle faggete montane.

Morfologia

Il colore dorsale del corpo del driomio è bruno-grigiastro, talvolta tendente al fulvo. La colorazione della testa risulta più chiara, mentre le porzioni ventrali del corpo, dei piedi e della coda sono color bianco sporco. La coda è grigiastra e ben sviluppata. Sulla faccia presenta due strisce nere a formare una duplice mascherina che si estende dalle vibrisse alle orecchie, includente gli occhi. La lunghezza del corpo oscilla tra gli 80 e i 130 mm. Ha abitudini crepuscolari e notturne e vive prevalentemente in boschi di latifoglie sin oltre i 1.500 m s.l.m. È quasi del tutto vegetariano, ma talvolta può nutrirsi di insetti e altri invertebrati.

Riproduzione

 

 

Nelle zone più fredde il driomio ha una cucciolata all’anno, di solito a giugno, di 3-5 cuccioli, in quelle più calde si hanno 2-3 cucciolate di 1-4 cuccioli. Gli accoppiamenti vanno da marzo a dicembre.

Conservazione del driomio

Una strategia conservazionistica a livello globale che potrebbe essere intrapresa dovrebbe innanzitutto prevedere una inchiesta di base sulla reale distribuzione delle diverse popolazioni in Italia. Il risultato di scarsa differenza genetica tra la popolazione alpina e sud-appenninica suggerisce che i due demi non siano separati geograficamente da troppo tempo. Quindi non è da escludere, come già detto, una sua presenza in altre regioni appenniniche.

Andrebbe poi analizzata la variabilità morfometrica delle due popolazioni, dato che potrebbe confortare o meno il risultato genetico. Successivamente, qualora siano confermati gli areali noti a tutt’oggi, le norme protettive che già esistono sulla specie andrebbero ampliate con un maggiore rispetto delle aree boscate dove la specie è presente. Per ora le popolazioni conosciute, sia alpine che appenniniche, dovrebbero teoricamente dormire sonni tranquilli, in quanto incluse in vari Parchi Nazionali e/o Regionali che, oltre a proteggerle specificatamente con più accuratezza, ne salvaguardano l’habitat preferenziale.

Questi due piccoli roditori, rappresentano un argomento di particolare interesse, in funzione di ulteriori studi ed approfondimenti da sviluppare su:

• bioindicatori di inquinanti ambientali;

• grado di antropizzazione territoriale;

• valutazione dell’incidenza del bracconaggio.

2.2.2.2.5. Istrice

Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Roditori

Sottordine: Istricomorfi

Famiglia: Istricidi

Genere: Hystrix

Specie Hystrix cristata L.

L'istrice è diffuso nell'Africa settentrionale e anche nell'Italia centrale e meridionale, dove venne probabilmente introdotto in epoca romana. In particolar modo lo troviamo nella Maremma toscana, nell'Agro romano, in Campania, nelle Puglie, in Calabria, anche per l’area dell’Aspromonte e zone limitrofe (Angelici e Amori, 1999) e in Sicilia.

Morfologia

L'istrice crestata è un roditore di mole cospicua (il più grosso in Europa) caratterizzato dall'avere il corpo e la coda ricoperti da aculei rigidi, erettili e di lunghezza variabile nonché da robuste setole flessibili. Quest'ultime sono particolarmente lunghe sul capo e sulle spalle tanto da formare delle vere e proprie creste (da qui l’attributo specifico); inoltre portano all'estremità della coda un ciuffo di brevi aculei, attaccati alla pelle a mezzo di uno stelo sottile.

Habitat

È un animale molto schivo che ama i luoghi solitari boscosi e cespugliosi, dove a zone collinari si alternano campi coltivati, dense macchie e profonde forre. Come rifugio questi animali preferiscono occupare, ove possibile, qualche cavità naturale del terreno, delle rocce o tane abbandonate da altri mammiferi, soprattutto di oritteropo. Se queste non sono disponibili, si scavano tane proprie quasi sempre nel folto di un bosco e con più di un accesso, di norma, ben celato ove la

 

 

vegetazione è più intricata. Se non disturbati, gli istrici occupano la tana anche per lunghi periodi e spesso, in corrispondenza degli accessi alla tana, si osservano dei cumuli di terra di scavo, aculei e avanzi di cibo. Di frequente, tra questi avanzi, si trovano ossa e corna di mammiferi rosicchiati: questa è una loro necessità, in quanto essendo roditori devono usurare i propri denti incisivi su un substrato duro.

Comportamento

Per natura tranquillo, quando si sente minacciato drizza la criniera e gli aculei del dorso, facendo vibrare il sonaglio caudale: in questa fase, a volte, alcuni aculei si possono staccare, alimentando la credenza popolare che gli istrici sparino gli aculei contro il nemico. Se questo ancora non si spaventa, l'istrice volge le terga e rincula verso di lui procurandogli serie ferite, dovute alla pericolosa capacità penetrativa dei suoi aculei, che possono raggiungere anche i dieci centimetri di profondità.

Gli istrici sono animali notturni e di norma escono quando è buio; per questo hanno un udito e un olfatto molto sviluppati e una pessima vista. Di notte appunto, iniziano a vagare in cerca di cibo, spesso sbuffando ed emettendo brontolii senza un motivo apparente. L'andatura è plantigrada e può variare dal passo normale, al trotto e al galoppo, a seconda dello stato d'animo. Nei loro spostamenti in un territorio che conoscono bene, seguono sempre gli stessi generi lungo i quali, in punti ben precisi, si possono osservare i loro escrementi. Si conosce assai poco del comportamento sociale di questi animali, ma tendono a vivere in gruppi poco numerosi: a volte sette od otto esemplari adulti possono anche occupare la stessa tana.

Alimentazione

Gli istrici si cibano di radici di vario tipo, di cortecce e di frutti caduti al suolo. In alcune zone dell'Italia centrale si possono osservare di frequente i danni che l'istrice procura nei campi di granturco quando, in tarda estate, le cariossidi sono ancora dolci e lattiginose. Nelle stesse zone, l'istrice fa gravi danni quando entra in un vigneto ove l'uva è matura. Questo animale ne è ghiottissimo e il suo modo tipico di farne scorpacciate, consiste nel prendere a piena bocca i grappoli più bassi e risucchiarne gli acini senza staccare il graspo dalla pianta.

Riproduzione

Nelle fasi di corteggiamento prenuziale il maschio e la femmina si leccano reciprocamente, a lungo e in tutte le parti del corpo, stando stretti l'uno all'altro e facendo fremere e risuonare la coda. La femmina dichiara la propria disponibilità all'accoppiamento ribaltando e battendo la coda sul dorso in un atteggiamento inequivocabile. L'accoppiamento è breve e non supera i cinque o sei secondi. La gestazione si aggira sui due mesi e si possono avere anche due parti all'anno.

I giovani vengono alla luce ben sviluppati e con gli occhi aperti, nel profondo della tana su di una semplice lettiera di erbe e di foglie; al momento della nascita presentano aculei morbidi e flessibili, che si induriscono rapidamente fino a raggiungere la consistenza definitiva in una decina di giorni. Sono molto precoci, e già una settimana dopo la nascita fanno le prime uscite dalla tana insieme alla madre. Entrambi i genitori prestano le massime cure alla prole, restando per molto tempo in loro compagnia difendendoli con veemenza da eventuali attacchi e leccandoli affettuosamente.

2.2.2.2.6. Cinghiale Sistematica, distribuzione e status

Ordine Artiodattili

Sottordine Suiformi

Famiglia Suidi

Genere Sus

Specie Sus scrofa Linneo

Sottospecie presenti in Italia:

 

 

• Sus scrofa scrofa

• Sus scrofa majori

• Sus scrofa meridionalis

Il cinghiale (Sus scrofa) è distribuito su un vastissimo areale in tutto l’emisfero settentrionale ed ha dato origine a un gran numero di sottospecie. L’origine delle popolazioni di cinghiale in Italia, come pure la sistematica delle due sottospecie ritenute ancora presenti, non sono ancora completamente chiare. La forma autoctona delle regioni settentrionali italiane scomparve prima che potesse essere caratterizzata dal punto di vista sistematico, mentre carenti risultano le informazioni disponibili sull'origine di Sus scrofa meridionalis e Sus scrofa majori, formalmente presenti rispettivamente in Sardegna e Maremma. Recenti studi genetici e di morfometria hanno evidenziato la sostanziale similitudine tra la popolazione maremmana e le altre presenti nella restante parte della penisola (Sus scrofa scrofa). La sottospecie presente in Sardegna sembra invece differenziarsi, morfologicamente e geneticamente, facendo ipotizzare una sua origine da suini domestici anticamente inselvatichiti. Un ulteriore elemento di complessità nella definizione dell’origine della specie in Italia è fornito dalle massicce introduzioni di cinghiali operate in diverse regioni dagli inizi degli anni ’50, dapprima utilizzando esemplari catturati all'estero e, successivamente, animali prodotti in allevamenti. Ciò ha creato problemi di incrocio tra sottospecie differenti e di ibridazione con le forme domestiche, che hanno determinato la scomparsa dalla quasi totalità del territorio della forma autoctona peninsulare. Attualmente il cinghiale è quasi uniformemente distribuito della Valle D’Aosta alla Calabria sia perche l’uomo ha gradualmente abbandonato campagne e montagne (lasciando quindi molti territori liberi della presenza antropica), sia a causa delle continue ed indiscriminate immissioni della specie a scopo venatorio in tutto il territorio nazionale. Nella provincia di Reggio Calabria, forse dopo la lepre europea, il cinghiale rappresenta la specie di maggiore interesse venatorio, soprattutto nelle aree boscate interne, marginali al Parco nazionale dell’Aspromonte, che il Suide sembra tendere ad utilizzare come rifugio, in quanto area protetta. La sua presenza costiera si limita ai nuclei presenti sulla Costa Viola tra Scilla e Palmi, dove però hanno recato danni a colture di pregio come i vigneti prospicienti Bagnara Calabra. Questo risulta essere il principale problema emergete rispetto alle strategie prossimo-future di gestione della specie.

Habitat e alimentazione

Per una specie dalla alta valenza ecologica come il cinghiale, oltremodo adattabile alle più disparate situazioni ambientali, è difficile individuare un solo ambiente chiave che comunque si può sintetizzare con la definizione di “aree forestali collinari - montane di caducifogle fruttifere”. Necessarie sono pure le radure, i prati e la ricchezza d’acqua per i frequenti bagni di fango.

Vista la sua plasticità, il cinghiale occupa ogni ambiente disponibile, agevolato in questo da una dieta onnivora, con prevalenza delle componenti vegetali (ghiande, castagne, radici, tuberi,bulbi, foglie e vegetali semi-legnosi). Si rende di regola responsabile di danni consistenti alle coltivazioni, in particolare ai seminativi, alle foraggere, ai pascoli, ai vigneti, ai castagneti, ecc.

Riproduzione

Le popolazioni di cinghiale sono caratterizzate da un punto di vista dell’organizzazione sociale da una gregari età alla quali si sottraggono solo i maschi di più di 3 anni che, per la maggiore parte del loro tempo, vivono solitari. Oltre questi, si possono osservare 3 tipologie di branco: gruppi femminili con poche femmine anziane e prole numerosa e alcuni giovani verri; branchi di femmine con prole accompagnate da giovani maschi; piccoli gruppi di giovani maschi isolati o di giovane femmine senza prole.

Il periodo riproduttivo è molto variabile, in funzione del clima e dell’abbondanza alimentare. Nelle annate particolarmente favorevoli, si possono registrare 2 stagioni riproduttive durando la gravidanza da 110 a 140 giorni.

Dinamica di popolazione

In ogni situazione ben strutturata, ogni gruppo ha come guida una femmina d’esperienza ed è in grado di sfruttare pienamente le risorse del territorio. Al contrario, una popolazione destrutturata è

 

 

un gruppo nel quale molti cinghiali non maturi (socialmente) accedano alla riproduzione. La dinamica delle popolazioni in provincia di Reggio Calabria è, peraltro, influenzata dalle attività di ripopolamento realizzate fino ad anni recenti. Per tale ragione la specie viene gestita quasi fosse una “risorsa illimitata” da sfruttare per i soli scopi venatori. Viceversa, la dinamica delle popolazioni di cinghiale dovrà essere assoggettata ad un’attenta pianificazione, soprattutto al fine di controllarne l’impatto sull’economia rurale.

2.2.2.2.7. Capriolo Sistematica, distribuzione e status

Ordine Artiodattili

Sottordine Ruminanti

Famiglia Cervidi

Sottofamiglia Capreolini

Genere Capreolus

Specie Capreolus capreolus Linneo

Sottospecie presenti in Italia:

• Capreolus capreolus capreolus

• Capreolus capreolus italicus

Le popolazioni italiane di capriolo sono il frutto di una sinergia di processi che, a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, hanno generato l’incremento delle popolazioni e l’ampliamento dell’areale occupato. La ricolonizzazione spontanea da nuclei residui della penisola unitamente a fenomeni di immigrazione naturale dall’Europa centrale hanno contribuito fortemente alla diffusione della specie sull’arco alpino e nell’Appennino centro-settentrionale. Inoltre, in quasi tutta la penisola, a partire dagli anni ‘60 e fino ad oggi, la specie è stata oggetto di numerose reintroduzioni che hanno inizialmente utilizzato capi provenienti dai paesi d’oltralpe, e più recentemente soggetti provenienti da province italiane in cui la specie è caratterizzata da buone densità. I caprioli presenti sull’arco alpino e sull’Appennino settentrionale possono dunque essere attribuiti alla forma nominale Capreouls capreouls capreouls. I piccoli nuclei presenti nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano (Lazio), nella Foresta Umbra (Gargano, Puglia), nei Monti dell’Orsomarso (Cosenza) ed in alcune aree della Toscana sud-occidentale rappresentano le uniche popolazioni relitte del Capriolo un tempo presente nell’Italia centro-meridionale, riconducibile alla sottospecie Capreouls capreouls italicus. Il capriolo italico si identifica come un pool genico differenziato, caratterizzato da un proprio set di aplotipi mitocondriali (Randi et al., 2004; Lorenzini e Lovari, 2006) e da varianti alleliche ai loci nucleari uniche (Lorenzini e Lovari, 2006).

Secondo Randi et al. (2004) questo endemismo genetico si sarebbe evoluto all’interno della linea genetica diffusa in tutto il continente europeo. Le condizioni di isolamento geografico, verificatesi probabilmente già alla fine del Pleistocene, hanno reso il capriolo italico una entità distinta, perfettamente riconoscibile a livello genetico, anche in un contesto di grande variabilità come quello del capriolo europeo. I dati sul sequenziamento di una parte del DNA mitocondriale, e in particolare quelli relativi al DNA nucleare, dimostrano che le popolazioni del Gargano, di Castelporziano e dell’Orsomarso presentano un livello di variabilità genetica nettamente inferiore rispetto ad altre popolazioni di capriolo italiane, sia quelle italiche dell’Italia centrale sia quelle europee delle Alpi (Lorenzini et al., 2002; Randi et al., 2004). Differenze genetiche, rilevate principalmente a livello nucleare, sono state osservate anche tra le popolazioni di capriolo italico, in particolare tra quelle del Gargano e dell’Orsomarso.Si ricorda che il capriolo europeo è stato introdotto artificialmente nel massiccio silano e oggi rappresenta una minaccia per la sopravvivenza (in condizioni di purezza) della sottospecie autoctona nell’Orsomarso, oltre che per la reintroduzione di quest’ultima nella regione. A tale proposito si segnala che, preceduto da un apposito studio di fattibilità, recentemente è iniziato un progetto di reintroduzione del capriolo

 

 

italico nel Parco Nazionale dell’Aspromonte, con il rilascio di individui catturati in provincia di Siena e Grosseto. Dal punto di vista biologico sembra esistano i presupposti per l’insediamento vitale di una popolazione di caprioli in grado di autosostenersi nel tempo anche in altre aree del territorio provinciale, ma è necessaria un’attenta verifica del persistere o meno delle principali cause che hanno portato alla scomparsa della specie durante il secolo scorso.La specie, come gli altri Cervidi, è inserita nell’Allegato III della Convenzione di Berna.

Morfologia

Il capriolo è il più piccolo cervide della fauna europea, caratterizzato da forme slanciate, spalle strette ed il treno posteriore pià alto di quello anteriore (presenta cioè la groppa pià alta del garrese). Questa particolare conformazione risulta tipica dei “saltatori” e permette all’animale di muoversi agevolmente nella macchia e nel sottobosco, anche in virtà delle ridotte e meno ramificate appendici frontali rispetto ad altri cervidi. Gli arti, estremamente lunghi e sottili, soprattutto quelli posteriori, sono ben adatti a compiere salti di notevole ampiezza. La testa è piccola, il profilo appare di forma nettamente triangolare (nel maschio pià che nella femmina), terminante anteriormente in un muso minuto, stretto e nudo. Occhi ed orecchie sono grandi, queste ultime raggiungono una lunghezza pari ai 2/3 della testa. La coda, la cui funzione di organo di comunicazione visiva perde di significato in ambienti a vegetazione folta, risulta atrofizzata ed invisibile. In acqua è un discreto nuotatore.

Riferendosi alle dimensioni ed allo sviluppo corporeo, il capriolo è un animale caratterizzato da scarso dimorfismo sessuale: tranne che per la presenza del palco nei maschi e della falsa coda nelle femmine (ciuffo di peli di colore crema che le ricopre l’organo genitale nel manto invernale), le differenze che si possono riscontrate tra i due sessi sono minime.

Questo cervide pesa alla nascita da 0.9 a 1.8 kg circa; lo sviluppo ponderale è molto rapido nei primi mesi di vita, con incrementi mensili che possono arrivare a 4 kg (60% del peso definitivo a circa 6 mesi di vita). Il peso massimo viene raggiunto tra i 24 e i 36 mesi di vita ed è fortemente condizionato da fattori individuali (origini genetiche, condizioni e peso della madre), sociali (densità di popolazione) ed ambientali (clima e disponibilità trofica) (Nicoloso S., Orlandi L., 2000).

Di norma le femmine presentano dimensioni di poco inferiori rispetto a quelle dei maschi, generalmente un maschio adulto, sano e ben sviluppato, dovrebbe avere un peso compreso tra i 23 e i 32 kg, mentre quello delle femmine, di poco inferiore, dovrebbe essere compreso tra i 18 e i 30 kg.

Nel corso dell’anno il peso subisce variazioni stagionali legate all’offerta alimentare (lo scarso nutrimento dei mesi invernali incide negativamente sul peso di tutti gli individui) e ai cicli ormonali degli animali (durante il periodo degli amori, i maschi vanno incontro ad una sensibile riduzione del peso corporeo, arrivando a perdere anche di 1.5-1.8 kg) (Orlandi L., Nicoloso S., 2004).

La lunghezza del corpo (dal naso al coccige) è generalmente compresa tra i 108 e i 127 cm per i maschi e 107-126 cm per le femmine. L’altezza al garrese è in media pari a 66-81 cm nel maschio, 66-83 nelle femmine mentre la lunghezza dell’arto posteriore è generalmente compresa tra i 35-40 cm nel sesso maschile e i 35-38 nel sesso femminile. Tutti i dati riportati sono visualizzabili nella tabella seguente.

Tab. 23 ‐  dati morfologici di base relativi al capriolo.

Maschi

Femmine

Lunghezza totale (cm)

108-127

107-126

Altezza al garrese (cm)

66-81

66-83

Peso corporeo (kg)

23-32

18-30

 

 

Arto posteriore (cm)

35-40

35-38

Il mantello degli adulti va annualmente incontro a due mute, una primaverile ed una autunnale, che consentono all’animale di far fronte alle varie esigenze climatiche. I peli che ricoprono l’animale d’estate (peli di giarra) sono infatti pià sottili e corti dei peli invernali (peli di giarra + peli di borra) che hanno il compito di mantenere costante la temperatura corporea.

La muta primaverile avviene tra aprile e giugno ed è molto appariscente a causa dell’abbondante presenza del sottopelo, con peli che vengono persi a ciuffi. La muta autunnale è invece concentrata ad ottobre-novembre ed è molto meno evidente in quanto i peli crescono e si inspessiscono gradualmente.

La muta è determinata da diversi fattori, il principale è il fotoperiodo (numero di ore di luce giornaliere); seguono le condizioni di salute dell’animale, la temperatura dell’aria, lo stato di gravidanza e l’età (i primi a mutare sono i giovani, seguiti dai subadulti, dagli adulti ed infine dagli anziani) (Varuzza P.,2005).

Per quanto riguarda la colorazione, il mantello dei piccoli si presenta di colore bruno scuro, pomellato di bianco lungo la schiena e i fianchi. Nell’arco di circa due mesi, tali macchie tendono a scomparire progressivamente lasciando spazio, a fine estate, al mantello estivo rossiccio che molto precocemente (metà-fine settembre) si tramuta in un mantello invernale analogo a quello degli adulti (Ladini F., 1989).

NegIi aduIti invece, iI manteIIo estivo si presenta rosso-brunastro, con Io specchio anaIe poco evidente, di coIore crema e con iI contorno non deIimitato nettamente, iI manteIIo invernaIe assume invece una coIorazione grigio bruna ed è caratterizzato da due macchie goIari bianche (non sempre presenti) ed uno specchio anaIe anch’esso bianco ben definito, che consente iI riconoscimento tra i sessi (neIIa femmina è faciImente individuabiIe Ia “faIsa coda” che neI maschio è invece compIetamente assente).

Come tutti i cervidi, iI caprioIo è dotato di due appendici frontaIi costituite da tessuto osseo vero e proprio inserite su deIIe strutture, anch’esse ossee, denominate “steIi” e presenti, neIIe specie itaIiane, soIo suIIa fronte dei maschi (NicoIoso S., OrIandi L., 2000).

II trofeo, detto anche paIco, è costituito prevaIentemente da carbonato di caIcio ed è una struttura temporanea caratterizzata da una nascita, una permanenza suIIe ossa frontaIi ed una caduta (deposizione deI paIco).

Appena i paIchi sono stati deposti, Ia superficie di distacco cicatrizza ed inizia subito iI processo di formazione deI nuovo trofeo. Durante Ia crescita, i paIchi sono rivestiti da cute ricoperta di peIi, riccamente vascoIarizzata e innervata detta “veIIuto”, che Ii protegge e Ii nutre e viene poi eIiminata una voIta terminato Io sviIuppo deI trofeo.

NeIIa fascia cIimatica temperata iI cicIo deI paIco è sostanziaImente sincronizzato daI fotoperiodo che, insieme aIIa temperatura, infIuenza iI cicIo ormonaIe. In particoIar modo sono coinvoIti due ormoni antagonisti: Ia somatotropina o GH (growth hormone, ormone deIIa crescita, Ia cui concentrazione è massima in primavera), ed iI testosterone (ormone steroide deI gruppo androgeno, responsabiIe deII’ossificazione deI paIco e presente soprattutto in estate). La deposizione si ha daIIa fine di ottobre a tutto novembre (nei soggetti di prima testa puà essere ritardata fino a dicembre); Ia puIitura deI trofeo avviene in marzo-apriIe, dopo un periodo di formazione durato circa tre mesi (OrIandi L., NicoIoso S., 2004).

II trofeo di un caprioIo aduIto è formato da due aste dette “stanghe”, di norma simmetriche, Iunghe 20-25 cm e dotate normaImente di tre “punte” (caprioIo “paIcuto”), denominate rispettivamente “ocuIare” (punta anteriore), “vertice” (I’apice deIIa stanga stessa) e “stocco” ( punta posteriore). La parte centraIe deIIe stanghe presenta deIIe piccoIe escrescenze a forma di goccia dette “perIe” ed è attraversata da diverse scanaIature dette invece “soIchi”. Le stanghe aIIa base, a diretto contatto con Ia peIIe che ricopre Ia scatoIa cranica, presentano un

 

 

ingrossamento particoIarmente frastagIiato detto “rosa” (Mustoni et aI., 2002). II peso deI trofeo si aggira attorno ai 200-250 grammi. Nei maschi di un anno, iI paIco è invece generaImente costituito da due sempIici stanghe non ramificate (caprioIo “puntuto”) o dotate soIamente di due punte (caprioIo “forcuto”). II massimo sviIuppo deI trofeo avviene intorno ai 5-6 anni mentre dopo i 7-8 esso inizia a regredire progressivamente.

Tra gIi organi di senso, I’oIfatto e I’udito sono moIto sviIuppati, mentre Ia vista è iI pià carente (anche se gIi occhi, pur non distinguendo i coIori, sono in grado di percepire ogni minimo movimento in un campo visivo moIto ampio grazie aIIa Ioro posizione IateraIe) .

La comunicazione oIfattiva tra gIi individui sfrutta Ia produzione di particoIari sostanze odorose, dette “feromoni”, prodotte da ghiandoIe coIIocate in varie parti deI corpo ed aventi iI ruoIo di fornire agIi aItri individui importanti informazioni suIIa presenza, suI rango sociaIe, suI sesso e suIIo stato emozionaIe (NicoIoso S., OrIandi L., 2000). AIcune di esse sono prerogativa maschiIe, aItre sono presenti in entrambi i sessi.

Tipiche deI maschio sono Ie ghiandoIe facciaIi che in primavera-estate secernono una sostanza sebacea odorosa con Ia quaIe I’animaIe, strofinando iI capo contro Ia vegetazione, marca iI suo territorio e comunica iI suo stato sociaIe.

AItre ghiandoIe presenti soIo neI sesso maschiIe sono queIIe presenti neI veIIuto e queIIe prepuziaIi, queste uItime particoIarmente attive durante iI periodo degIi amori (Ladini F., 1989). Comuni ad entrambi i sessi sono invece Ie ghiandoIe metatarsaIi, coIIocate neIIa faccia IateraIe degIi arti posteriori e interdigitaIi. Entrambe sono attive tutto I’anno e hanno un ruoIo importante neIIa distinzione tra animaIi maturi e immaturi e neI riconoscimento tra individui (Mustoni et aI., 2002). Anche I’udito gioca un ruoIo fondamentaIe neIIa vita deI caprioIo: i padigIioni auricoIari moIto grandi (raggiungono i 2/3 deIIa Iunghezza deIIa testa) e forniti di notevoIe mobiIità permettono infatti aII’animaIe di distinguere un rumore inusuaIe dai normaIi rumori e suoni deI bosco.

Habitat

Tipico animale di boscaglia, ha il corpo breve, più alto sulla groppa, corna piccole e qualità comportamentali caratteristiche, come la tendenza ad isolarsi. Il suo optimum ecologico è da individuarsi nei territori di pianura, collina e media montagna purché siano scarsamente elevati. Comunque la specie si adatta alle più disparate situazioni ambientali, delle foreste di conifere alla macchia mediterranea nella quale può manifestare tutta la sua abilità nel celarsi nel folto del bosco, ricorrendo alla velocità nello scatto sulle brevi distanze, si dimostra invece poco resistente sulle grandi distanze.

Dinamica di popolazione

Fino alla prima metà del XVIII secolo, la specie era numericamente rappresentata nell’intera parte continentale dell’Italia, oltre che in Sicilia. Nei decenni successivi, col crescere della popolazione umana, una sempre maggior parte del territorio venne destinata all’attività agro-silvo-pastorale e conseguentemente sottratta all’areale della specie, rallentando così l’accrescimento della popolazione, anche a causa dell’attività venatoria quasi persecutoria a cui il capriolo è stato oggetto. Tale fenomeno estremamente negativo, raggiunse il suo culmine nell’immediato dopoguerra. Dalla fine degli anni ‘60, si è potuta verificare un’inversione di tendenza grazie alla quale la specie ha riconquistato pian piano una cospicua parte del proprio areale storico, fatta eccezione per i sub-areali dell’Italia Centro-meridionale dove il capriolo si è riappropriato solo di una misera parte del suo antico territorio.

Per tutto quanto sopra esposto, è chiaro che il capriolo mostra uno stato di conservazione abbastanza soddisfacente nella parte centro-settentrionale dell’Italia, mentre nel meridione il suo stato di conservazione appare pericolosamente precario.

2.2.2.2.8. Daino Sistematica, distribuzione e status

 

 

Ordine Artiodattili

Famiglia Cervidi

Genere Dama

Specie Dama dama L.

Sull'areale originario del daino esistono tesi molto controverse, ma tutte concordano nel definirlo indigeno della regione mediterranea. Molti zoologi indicano la sua presenza in Italia come frutto di introduzioni operate in epoca classica. C’è da dire però che in molti giacimenti fossiliferi a mammalofauna il daino è presente sia con forme arcaiche (Dama clactoniana), sia con il daino attuale (Dama dama). In alcuni giacimenti (Roma, Vitinia) la presenza del daino fossile è abbondantissima. Fu introdotto sicuramente dall’uomo in gran parte d’Europa dalla Scandinavia meridionale alla Gran Bretagna, dalla penisola Iberica ai Balcani, così come pure nel nord Italia ai fini venatori e per la sua bellezza che lo rende un vero ornamento di parchi e giardini (famose le “Valli dei daini” presenti in molte ville rinascimentali). ). In Calabria ( è stato immesso un certo numero di capi all’inizio degli anni 2000), i si segnalarono tre piccoli nuclei originati da fughe da recinti nei Parchi della Sila e del Pollino e nell’area al confine tra le province di Reggio Calabria, Vibo e Cosenza, ma negli ultimi quattro anni in Provincia di Reggio Calabria, non si anno notizie di avvistamenti.

Morfologia

Corpo robusto ed allungato, arti lunghi e relativamente robusti, coda evidente. Mantello di colore bruno-rossiccio in estate con macchie bianche sui fianchi e sul dorso, con testa più scura. Il posteriore è caratterizzato dal cosiddetto specchio anale, molto evidente osservando gli animali in fuga, composto dalla coda e dalla zona perianale vera e propria, bianchi, orlati e con parte centrale neri. In inverno le macchie sul mantello spariscono e il colore diventa più scuro. Poiché il daino è stato utilizzato nei secoli come animale ornamentale, esistono delle varietà di colore nero, e di tutte le sfumature del marrone e del grigio. Questi animali dal colore variabile si trovano soprattutto in condizioni di semicattività, mentre in natura sono rari. I soli maschi oltre i due anni di età possiedono palchi di corna caduche caratterizzate dall’essere composte da due cime, inferiore e mediana, con la punta tipicamente appiattita (pala); il daino perde le corna in aprile-maggio e le riforma completamente entro agosto.

Habitat

E' una specie molto adattabile, ma il suo habitat preferenziale è sicuramente il bosco rado di latifoglie situato in pianura o bassa collina, intervallati da radure e pascoli. Tuttavia si adatta facilmente a tutte le zone boschive, anche di montagna, purché non oggetto di forte innevamento.

Riproduzione

Animale molto sociale, il daino vive in grossi branchi, unisessuale durante l’anno, misti durante il periodo degli amori che coincidono in genere con l’autunno. Il daino non forma i cosiddetti harem, tipici di altre specie di cervidi. La gestazione dura circa otto mesi e partorisce di solito un piccolo, raramente due. Attivo soprattutto di giorno, nelle zone antropizzate diventa notturno.

Alimentazione

Ungulato tipico della macchia mediterranea, da un punto di vista alimentare, il daino dimostra grande plasticità comportandosi sia da pascolatore che da brucatore. Si ciba di piante erbacee, radici, germogli, fogliame, ghiande, castagne, frutti selvatici in genere. D’inverno può scortecciare gli alberi, così che dove la densità di questo ungulato è eccessiva si hanno danni al bosco.

Dinamica di popolazione

La specie oggi presenta una distribuzione completamente artificiale. A dimostrazione di ciò, vi è anche il suo elevato grado di domesticazione e dalla presenza di addirittura di 4 colorazioni di mantello. Il suo carattere gregario associato alla limitata capacità di dispersione rispetto ai propri areali, permette localmente di raggiungere densità elevate ( più di 30 capi su 100 ha). Il solo predatore del daino adulto è il lupo, mentre i neonati possono essere occasionalmente vittime della volpe; tuttavia il principale predatore del daino è costituito dai cani, inselvatichiti o domestici, oltre

 

 

naturalmente all’uomo. Scarsamente sensibile alla predazione, il daino presenta problemi quindi più di gestione che di conservazione e ciò suggerisce una particolare cautela e valutazione in qualunque altra situazione di questo ungulato.

2.2.2.2.9. Gatto selvatico Sistematica, status e distribuzione

Ordine Carnivori

Famiglia Felidi

Genere Felis

Specie Felis sylvestris Schreber

Solitamente si associa il gatto selvatico (Felis silvestris) alle foreste di latifoglie miste o, in Sardegna, di macchia mediterranea. In Italia il gatto selvatico vive principalmente sulle Alpi liguri al confine con la Francia, sulle Alpi Carniche al confine con la Jugoslavia e lungo la dorsale appenninica centrale fino alla Sicilia. Si distinguono due sottospecie di gatto selvatico: il gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris) e il gatto selvatico sardo (Felis silvestris libyca) che appartiene al gruppo libyca, comprendente i gatti selvatici africani e del Medio Oriente. La specie è inserita dall'IUCN nella categoria di minaccia LC-Least Concern (a rischio minimo).

Morfologia

Il suo aspetto ricorda quello di un gatto soriano ma ha la testa più grande e il pelo più scuro. I maschi si differenziano dalle femmine per la taglia, decisamente superiore (3,500-5,550 kg), anche se vi possono essere delle variazioni a seconda delle stagioni. Il gatto selvatico sardo risulta invece decisamente più piccolo (1,550 - 3,300 kg).

Alimentazione

Esclusivamente carnivoro, questo affascinante felino è un cacciatore notturno e si ciba di piccole prede (roditori, uccelli, lagomorfi, piccoli rettili, insetti). Il gatto selvatico possiede un tipo di organizzazione sociale dove vige una rigida ripartizione dello spazio tra individui dello stesso sesso (tra maschi e femmine invece è possibile una sovrapposizione degli spazi). Questo tipo di organizzazione sociale, sostanzialmente solitaria, non permette a questa specie di raggiungere densità elevate in natura.

Dinamica di popolazione

Le conoscenze finora acquisite sulla distribuzione di questo felide non sono molte. Ciò è dovuto sia alla natura di questo animale, particolarmente elusivo, sia alle difficoltà oggettive di identificarlo: il gatto selvatico infatti viene spesso confuso con quello domestico.

E' difficile definire con esattezza la consistenza e lo stato delle popolazioni di questa specie. Tra i fattori di minaccia vi sono quelli tristemente comuni a tutte le popolazioni selvatiche come la modificazione e la frammentazione degli habitat e il bracconaggio, cui se ne aggiunge, in questo caso, una più specifica e, per così dire peculiare a questa specie: l'ibridazione con il gatto domestico che incide a tal punto da essere considerata in alcune regioni d'Europa addirittura il principale fattore di minaccia. Per questo motivo in Italia si dovrebbe aumentare il controllo delle popolazioni ferali di gatto domestico, soprattutto in quelle aree dove è stata accertata la presenza del gatto selvatico.

2.2.2.2.10. Volpe Sistematica, distribuzione e status

Ordine Carnivori

Famiglia Canidi

 

 

Genere Vulpes

Specie Vulpes vulpes L.

La volpe è la più nota e diffusa rappresentante del Genere Vulpes. Specie autoctona presente con la forma Vulpes vulpes crucigera nella Penisola e nelle isole maggiori ad eccezione della Sardegna, dove è sostituita da Vulpes vulpes ichnusae.

La specie è presente su tutto il territorio nazionale, sia pure con densità assai variabili, in una vastissima gamma di ambienti e fasce altitudinali. Si è assistito ad una recente espansione dell’areale anche in aree di pianura intensamente coltivate ed addirittura in ambienti periurbani. Le densità più elevate si osservano negli agro-ecosistemi tradizionali, dove esiste una grande eterogeneità ambientale ed una distribuzione disomogenea delle risorse.

Morfologia

La voIpe è un canide di medie dimensioni, daIIe forme sneIIe, muso appuntito, orecchie grandi appuntite ed aIte, emergenti daIIa peIIiccia. GIi arti sono reIativamente brevi; Ia coda è Iunga e foIta. II coIore dominante è iI bruno fuIvo tendente aI rossastro in particoIare suI dorso e suI muso. Le porzioni inferiori tendono ad essere pià chiare ed è presente una macchia goIare bianca. La punta deIIa coda è quasi sempre bianca. In diverse parti deI corpo, ma prevaIentemente sui fianchi, Ie spaIIe e aIIa base deIIe orecchie, sono presenti peIi neri e bianchi che conferiscono aIIe parti un aspetto grigiastro. II coIore varia notevoImente tra soggetti e neI corso deIIe stagioni.

Le dimensioni sono moIto variabiIi, ma in generaIe gIi individui che popoIano gIi ambienti aIpini sono pià grandi di queIIi deII’ItaIia peninsuIare; in Sardegna si trovano Ie forme pià piccoIe.

La Iunghezza deIIa testa e deI corpo varia negIi individui aduIti tra i 57 e gIi 80 cm, con i maschi Ieggermente pià grandi deIIe femmine. La coda è Iunga dai 32 ai 48 cm, mentre I’aItezza aIIe spaIe varia tra i 35 e i 40 cm. II peso varia in modo ancora pià marcato deIIe misure, con variazioni tra i 4 e gIi 11 chiIi (i maschi pesano generaImente 1 chiIo pià deIIe femmine).

Habitat ed alimentazione

La volpe è notoriamente un animale difficile da studiare, sia per le sue preferenze spaziali che per quelle ambientali ed alimentari (praticamente onnivora). La si può incontrare di frequente sia sulle coste che nelle zone montuose. Occupa territori le cui dimensioni possono variare - a secondo dell’habitat – da 5 a 50 km2, i cui confini vengono scrupolosamente marcati con urina e feci. Spesso scava tane nel terreno o usufruisce di quelle dei tassi o dei conigli selvatici.

Da un punto di vista alimentare, la volpe presenta uno spettro molto ampio, dal momento che le sue prede vanno dalle larve di maggiolino fino ai giovani di capriolo, con una spiccata predilezione per i Roditori. In tal senso, la sua azione risulta di grande utilità per l’agricoltura, anche se non esiste un’animale più odiato degli agricoltori. Il cibo in eccesso viene accuratamente nascosto e/o seppellito.

Dinamica di popolazione

In tutta la penisola, l’aumento della consistenza numerica delle popolazioni di volpe appare strettamente legato al grado di antropizzazione del territorio. Infatti la crescita della popolazione di quest’animale, è da porre in connessione con l’abbandono delle aree marginali e la riduzione delle attività di controllo tradizionalmente effettuate (in modo lecito ed illecito) dalle popolazioni rurali. Inoltre, i rifiuti urbani, i frutti non raccolti e la presenza di carogne, offrono facili alternative alle prede più usuali.

In ultimo, non è da trascurare il fatto che il frequente ripopolamento con piccola selvaggina offre alla volpe una grande quantità di prede facilmente catturabile. Come contropartita dell’aumento della sua presenza sul nostro territorio, c’è da osservare l’impatto negativo è esercitato sugli animali da cortile e sulle piccole specie d’interesse venatorio. Per cui in ultima analisi, questa sua abbondanza finisce per tradursi in un serio problema e non può confortare in questo caso l’arricchimento di origine antropica con risorse alimentari secondarie.

 

 

Per quanto concerne le specie d’interesse venatorio presenti nel territorio provinciale, appare evidente che la presenza di numerose volpi può influire molto negativamente sulle popolazioni di Lagomorfi.

Al momento attuale, non si hanno elementi probanti che consentano una valutazione certa dell’impatto predatorio della volpe su specie come lepre, fagiano e coturnice. Conseguentemente, si possono produrre solo ipotesi prudenziali che riescano ad ispirare una serie di comportamenti gestionali tendenti a mantenere il desiderato equilibrio fra quantità di prede e predatori. In particolare, risulterà indispensabile procedere ad un attento miglioramento ambientale, avendo cura di attuare ogni misura prescelta per mezzo di specifiche figure professionali motivate e formate per questo scopo. Infine, si dovrà spendere uno sforzo supplementare nell’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica ed attivazione del mondo agricolo tramite un’azione di divulgazione e pubblicizzazione delle opportunità ed incentivazioni (finanziamenti per colture a perdere, risarcimento danni arrecati dalla selvaggina, etc.) promosse a livello regionale. Fra i suoi nemici naturali, annovera principalmente il lupo seguito dall’aquila e, benché raro, il gufo reale. Le popolazioni di Volpe sono periodicamente localmente decimate da malattie infettive tra cui la rogna sarcoptica; gli effetti di questi eventi hanno comunque una durata limitata nel tempo, in quanto le capacità riproduttive della specie consentono un rapido recupero numerico.

2.2.2.2.11. Lupo Sistematica, distribuzione e status

Ordine Carnivori

Famiglia Canidi

Genere Canis

Specie Canis lupus

Sottospecie Canis lupus italicus

Nelle Alpi la brutale azione dell'uomo ha estinto il lupo dall'inizio del 1900, oggi se ne contano circa 500 individui, distribuiti nel Centro Italia tra il Lazio, l'Abruzzo, il Molise e la Toscana, nel Meridione, in Calabria e Basilicata; da oltre un decennio al Nord sono stati di nuovo individuati primi esemplari in Liguria e in Piemonte, qualche esemplare ha raggiunto anche la Francia. Dall’inizio del 1900 per il Lupo continua la riduzione demografica e di areale, attribuibile, forse, più che alla persecuzione diretta, soprattutto alla drastica riduzione di prede selvatiche e alla alterazione degli ambienti. La situazione peggiora in maniera rapida negli anni 1950-’60 e l’areale, prima continuo in tutta la regione, si riduce drasticamente. Alla fine di questo periodo il Lupo scompare da tutto il massiccio Serre-Aspromonte e della porzione centrale e meridionale della Catena Costiera, dove non sarà presente per tutti gli anni 1970, periodo in cui la specie è al minimo storico di densità di popolazione e rischia l’estinzione anche nel resto dell’Italia. E’ da sottolineare, però, che i 25 esemplari stimati nel massiccio del Pollino e i 12 stimati per il massiccio della Sila (Zimen & Boitani, 1975) rappresentano circa un terzo di tutta la popolazione nazionale. La Calabria quindi, grazie alla natura relativamente aspra, selvaggia e non pesantemente antropizzata di alcune parti del territorio e al tipo di conduzione silvo-pastorale delle aree montane, ha rappresentato una delle più importanti aree per la sopravvivenza e del Lupo e uno dei principali centri di diffusione nella ri-colonizzazione dell’Appennino. Forse il grande rispetto e la protezione di cui gode negli ultimi anni questo superbo animale, iniziano a far ben sperare, in relazione ad una sua lenta ripresa demografica. Agli inizi degli anni 1980 inizia la fase di ri-colonizzazione del territorio e il lupo ritorna fino all’estremo meridionale della regione, sul massiccio Serre-Aspromonte (Mirabelli, 1985; Reggiani & Andreoli, 1989). Nel decennio successivo, il recupero di areale si consolida, fatto testimoniato dalle sempre più frequenti segnalazioni e uccisioni di esemplari anche a quote non elevate e addirittura in aree molto antropizzate. In tutto il territorio calabrese sembra esserci ora una presenza stabile sul territorio piuttosto che, come in passato, dovuta ad erratismo o “incursioni” da aree vicine (Aloise, 1997). Il Lupo si attesta anche in molte aree a bassa quota, in cui non mancano le opportunità di sostentamento alimentare, dove la pastorizia ormai limitata ha ridotto il conflitto con le attività umane e il lungo periodo di assenza della specie ne fa passare

 

 

inosservata la presenza (Aloise, 1997). Attualmente, la presenza di branchi stabili e riproduttivi sono stati rilevati sul Pollino fin sulla costa ionica (Boitani, 2002), sul massiccio della Sila (Crispino & Gervasio, 2005; Crispino et al., 2008a), sulla Catena Costiera, sul massiccio dell’Aspromonte (Crispino et al., 2008b). Ma la presenza stabile in un’area ben più vasta è più che plausibile, come suggeriscono il grado di idoneità ambientale della regione (Boitani et al. 2002) e alcuni casi verificati. Così che, in vaste aree sarebbe necessario ancora indagare e queste potrebbero riservare delle sorprese.

Morfologia

Esiste un evidente dimorfismo sessuale per cui i maschi adulti pesano intorno ai 30/35 kg., le femmine si fermano a 20/25 kg., i cuccioli alla nascita pesano dai 200 ai 400 g.

Habitat

Lo si trova con frequenza nelle zone più integre e riparate dei nostri Appennini, nei boschi di latifoglia e nelle radure più isolate e non disturbate dall'azione o dalla presenza dell'uomo.

Riproduzione

Differentemente dai cani, i lupi hanno un solo periodo riproduttivo all'anno, l'epoca dell'estro si concentra nei mesi di gennaio/febbraio e normalmente gli accoppiamenti si realizzano nelle prime due settimane di marzo. La gravidanza ha una gestazione di circa 57/63 giorni e quindi le nascite si concentrano nelle ultime settimane di maggio. Le cucciolate risultano essere discretamente numerose nelle femmine più mature (7/8 cuccioli), decisamente contenute nelle primipare (2/3 cuccioli).

Comportamento

Il lupo è un animale sociale e vive in branchi, questi sono regolati numericamente dalla presenza delle prede di grande mole, solo dove esistono grandi ungulati (cervidi in genere), si possono incontrare branchi complessi che arrivano ad essere composti da numerosi individui adulti (circa 7/10 adulti), dove la disponibilità alimentare è data, dalla sola presenza di piccole prede, si trovano, diversamente, piccoli gruppi familiari. I branchi sono organizzati per struttura gerarchica e con la presenza di un maschio e una femmina alfa, che hanno la dominanza assoluta sugli altri componenti e che sono gli unici a riprodursi. La comunicazione è estremamente evoluta e si realizza attraverso mimiche del corpo e vocalizzazioni ben precise, che esprimono con grande chiarezza, gli stati d'animo dei vari componenti il branco. Raramente i conflitti interni al gruppo hanno esiti cruenti, nella maggioranza dei casi tutto viene chiarito da una esplicita gestualità e vocalizzazione adottata dai vari componenti del branco.

Alimentazione

Un lupo mangia mediamente circa 2/3 Kg. di carne al giorno, questo significa che deve predare almeno ogni tre giorni e che può ingurgitare in un solo pasto fino a 8 Kg. di carne. L'alimentazione è strettamente carnivora, molto marginali sono le integrazioni con bacche, frutti, erbe, alimenti che svolgono una funzione digestiva e depurativa, oltre a fornire microelementi essenziali al corretto bilanciamento della dieta. La vita media è di circa 10 anni ed è strettamente legata alla capacità di provvedere al proprio sostentamento, ancor oggi esistono tristi incidenze di mortalità, legate alla persecuzione dell'uomo.

Dinamica di popolazione

Il lupo è uno dei carnivori selvatici con la più estesa distribuzione geografica. Solo la persecuzione operata dell’uomo ne ha limitato la presenza relegandolo alle zone montane densamente forestate. Animale gregario, vive in piccoli gruppi tendenzialmente mono- famigliari con bassissime densità ( 1-3,5 individui / 100km2). Attualmente in Italia, si stima la presenza di 500 lupi con un abbattimento illegale stimato di circa 50 lupi ogni anno. Alla luce di ciò, appare ancora più impellente la pianificazione di misure di prevenzione e di risarcimento dei danni arrecati al comparto zootecnico. Ulteriore fattore di minaccia per questa specie presente sulla lista rossa dell’IUCN è rappresentato dalla competizione con i cani vaganti, altro serbatoio di infezioni e motivo di inasprimento del rapporto con l’uomo (false attribuzioni di colpa per predazione su animali domestici).

 

 

2.2.2.2.12. Tasso Sistematica, distribuzione e status

Ordine: Carnivori

Famiglia: Mustelidi

Sottofamiglia: Melini

Genere: Meles

Specie: Meles meles

Morfologia

Il Tasso (Meles meles), il più grosso dei mustelidi italiani, è un plantigrado lungo non più di 80 cm, compresa la coda di circa 18 cm, caratterizzato da testa piccola ed allungata con muso corto ed appuntito, occhi piccoli e padiglioni auricolari arrotondati. Il pelo è molto folto, specialmente sulla coda, e presenta una tipica colorazione bianco-nera sul capo. Possiede una robusta dentatura e gli arti sono corti e forti con 5 dita munite di unghie lunghe adatte a scavare. Le sue movenze sono lente e pigre, la sua andatura è incerta e pesante. Le femmine si distinguono dai maschi per le dimensioni ridotte e per la tinta più chiara del pelo. Viene cacciato illegalmente, per il pelo con cui si fanno pennelli.

Habitat

Vive soprattutto in ambienti collinari e di pianura, non superando il limite degli alberi nei boschi montani, conducendo generalmente una vita solitaria. Preferisce terreni ricchi di humus, nei quali può trovare le sue prede.

Riproduzione

Il periodo degli accoppiamenti ha luogo di solito nel mese di ottobre, e dopo una gestazione di circa tre mesi e mezzo, tra febbraio e marzo nascono da 3 a 5 piccoli che diventano adulti in un paio di anni. I cuccioli restano con i genitori fino all'autunno successivo ed in alcuni casi fino all'inverno. Nei neonati il corpo appare coperto di peli radi e setolosi di colore bianco, misti a peli neri o grigi. Se i cacciatori non li uccidono anzitempo, possono raggiungere un'età massima di quindici anni.

Comportamento

Il Tasso (Meles meles), forte delle sue robuste unghie, scava ampie tane con gallerie lunghe anche diversi metri e tutta una serie di cunicoli per fornire aerazione alla camera centrale. Vive in gruppi anche di una decina di individui organizzati gerarchicamente che hanno bisogno di territori grandi anche un centinaio di ettari. Trascorre gran parte della sua vita nella tana, da cui esce solo di notte; alla fine dell'autunno si ritira nella tana e vi trascorre l'inverno dormendo quasi continuativamente.

Alimentazione

Il cibo che ricerca, durante le uscite notturne dalla tana, è costituito, in quanto onnivoro, soprattutto di insetti, grosse larve, lombrichi, lumache, uova, frutta, miele, bacche, erba, bulbi e se riesce a catturarli anche di piccoli mammiferi e uccellini. In estate si aggira alla ricerca di cibo anche di sera.

 

 

Bibliografia al Cap. 2.2.2.2 (2.2.2.2.1 – 2.2.2.2.12) 

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Sitografia

www.gisbau.uniroma1.it  

www.minambiente.it  

www.naturamediterraneo.com 

www.wwf.it  

 

 

2.2.2.2.13. Chirotteri Un terzo dei mammiferi selvatici terrestri italiani appartiene all'ordine dei chirotteri, i pipistrelli. Si tratta di uno dei gruppi zoologici più sensibili alle rapide modificazioni ambientali causate dall'uomo: attualmente il 50% dei mammiferi terrestri italiani inseriti nella lista IUCN delle specie considerate minacciate d'estinzione o prossime a divenire tali, è rappresentato da chirotteri.

Negli ecosistemi rivestono l'insostituibile ruolo di principali predatori notturni di insetti. A causa delle alterazioni ambientali provocate dall'uomo, sono divenuti uno dei gruppi faunistici più minacciati. Le cause di tale precario stato di conservazione sono molteplici: abuso dei pesticidi in agricoltura, distruzione/alterazione degli ambienti in cui i pipistrelli si alimentano e dei siti di rifugio - che essi utilizzano per riposare di giorno, trascorrere il periodo del letargo e riprodursi - episodi vandalici alimentati dal persistere di luoghi comuni assolutamente infondati.

I chirotteri sono protetti dalle Convenzioni di Berna e Bonn, in Italia sono operativi l’Accordo sulla conservazione delle popolazioni di chirotteri (L. 104/2005) e la Direttiva 92/43/CEE che classifica i chirotteri fra le “specie d’interesse comunitario”.

Dal punto di vista legislativo i chirotteri sono protetti in tutta Europa. Al lato pratico significa che l’uccisione, la cattura e la detenzione di pipistrelli sono perseguite penalmente, esattamente come avviene per specie come l’orso e il lupo.

E' inoltre vietato disturbare gli esemplari e distruggere o alterare i loro siti di rifugio. Purtroppo tali disposizioni sono quasi sempre "rimaste sulla carta", ignorate in un contesto generale di scarsa attenzione ai problemi dei chirotteri.

Le norme di significato nazionale riguardanti i chirotteri, attualmente in vigore in Italia, sono contenute nelle seguenti fonti:

• L. 11 febbraio 1992, n. 157: "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio" (Legge quadro in materia di fauna selvatica e attività venatoria);

• "Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa" (Convenzione di Berna), resa esecutiva in Italia dalla L. 5 agosto 1981, n. 503;

• "Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica" (Convenzione di Bonn), resa esecutiva in Italia dalla L. 25 gennaio 1983, n. 42;

• "Accordo sulla conservazione delle popolazioni di pipistrelli europei" (Bat agreement), reso esecutivo con L. 27 maggio 2005, n. 104;

• Direttiva comunitaria 92/43/CEE del Consiglio del 21/05/92 "relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche" (Direttiva Habitat), attuata in via regolamentare col D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, integrato e modificato dal D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120;

• Direttiva 2004/35/CE "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale"; attuata col Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Parte VI.

A causa delle scarse informazione riguardo ai chirotteri nel territorio della Provincia di Reggio Calabria,vengono riportate le schede dei chirotteri la cui protezione è disciplinata dalla Dir. 92/43/CEE All. 2 tratte da Spagnesi e De Marinis (2002).

 

 

Rinolofo eurìale Rhinolophus euryale Blasius, 1853

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)

Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)

Sottospecie italiana: Rhinolophus euryale euryale Blasius,1853

La specie comprenderebbe quattro sottospecie: euryale Blasius, 1853 (dall’Europa al Turkmenistan e all’Iran); barbarus Andersen et Matschie, 1904 (Africa maghrebina); meridionalis Andersen et Matschie, 1904 (Algeria; forma probabilmente montana); judaicus Andersen et Matschie, 1904 (dalla Siria e Israele all’Irak).

Geonemia

Corotipo Turanico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Europa meridionale (isole maggiori comprese, eccezion fatta per le Baleari e Creta; non segnalato per le Isole Maltesi), Africa maghrebina, da Israele alla Turchia (con Cipro) e alla Transcaucasia verso N, all’Iran e al Turkmenistan verso E. In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie molto probabilmente originatasi nel Bacino Mediterraneo. Da noi è nota in un deposito quaternario würmiano della Grotta dell’Orso presso Gabrovizza (provincia di Trieste); citata anche per il Quaternario (Età del Bronzo) di Malta, dell’Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e del Monte Circeo (provincia di Latina); un Rhinolophus del gruppo euryale è citato per il Quaternario della provincia di Foggia.

Biologia

Predilige aree calde e alberate ai piedi di colline e montagne, soprattutto se situate in zone calcaree ricche di caverne e prossime all’acqua. Ci risulta segnalato sino a 1.000 m di quota. Rifugi estivi prevalentemente in grotta nelle regioni più calde, talora nelle soffitte in quelle più fredde. Colonie riproduttive di 50-400 femmine, con presenza occasionale di qualche maschio. Di frequente condivide i rifugi e può formare colonie miste con altre specie congeneri e con Miniopterus schreibersii, Myotis emarginatuse, Myotis capaccinii. Rifugi invernali in grotte e gallerie minerarie, preferibilmente con temperature intorno ai 10-12 °C. Si attacca alle volte o alle pareti per mezzo dei piedi. Ha spiccate abitudini gregarie tanto che di solito lo si trova in gruppi in cui gli esemplari sono a stretto contatto fra loro; le colonie, talora miste, possono essere formate anche da migliaia di individui. Scarse le notizie sulla riproduzione. Gli accoppiamenti iniziano verso la fine di luglio, ma possono avere luogo anche durante l’inverno; la femmina partorisce per lo più fra luglio e agosto. L’unico piccolo, del peso di circa 4 g alla nascita, è di regola atto al volo tra l’inizio e la metà di agosto, ma talora già verso la metà di luglio. Alcune osservazioni indicherebbero che in ambedue i sessi la maturità sessuale viene raggiunta a due anni di età o all’inizio del terzo e che la maggior parte delle femmine partorisce a due anni. Mancano notizie sulla longevità. Lascia il rifugio nel tardo imbrunire; caccia volando basso sul terreno, preferibilmente in zone collinari con copertura arborea o arbustiva relativamente fitta. La specie presenta un volo lento, farfalleggiante e molto agile, con possibilità di eseguire anche quello di tipo stazionario (“spirito santo”). Abitudini alimentari e prede simili a quelle del Rhinolophus blasii. Di regola sedentario; il più lungo spostamento sinora registrato è di 134 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a

 

 

parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei suoi rifugi abituali (grotte).

Rinolofo maggiore Rhinolophus ferrumequinum Schreber, 1774

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)

Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)

Sottospecie italiana:- Rhinolophus ferrumequinum ferrumequinum (Schreber, 1774)

La specie comprenderebbe cinque sottospecie: ferrumequinum (Schreber, 1774) (Europa e Africa NO); creticus Iliopoulou-Georgudaki et Ondrias, 1985 (Creta); proximus Andersen, 1905 (dall’Asia SO al Kashmir); tragatus Hodgson, 1835 (India N e Cina SO); nippon Temminck, 1835 (Cina N e centrale, Corea e Giappone).

Geonemia

Corotipo Centroasiatico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione verso est fino al Giappone compreso. Dall’Europa settentrionale e dalla Gran Bretagna meridionale a quasi tutta la Sottoregione Mediterranea (isole maggiori e Maltesi comprese; Libia ed Egitto esclusi) e da questa, attraverso le regioni himalayane, sino alla Cina, alla Corea e al Giappone. In Italia la specie è presente su tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Pleistocene (Würmiano inferiore) della Sicilia. Citata anche per il Quaternario della provincia di Trieste, dell’Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e del Monte Circeo (provincia di Latina).

Biologia

Predilige zone calde e aperte con alberi e cespugli, in aree calcaree prossime ad acque ferme o correnti, anche in vicinanza di insediamenti umani; si spinge eccezionalmente anche oltre i 2.000 m, ma per lo più si mantiene a quote non superiori agli 800 m. Rifugi estivi in edifici, fessure rocciose, cavi degli alberi e talora in grotte e gallerie minerarie; svernamento in cavità sotterranee naturali o artificiali con temperature di 7-12 °C, raramente inferiori; l’ibernazione ha luogo da settembre-ottobre ad aprile, ma durante questo periodo il sonno può essere interrotto più volte, anche per procurarsi il cibo. Pende dal soffitto o dalle pareti, ove si attacca con i soli piedi, isolatamente o formando gruppi di regola piccoli, monospecifici e in cui i singoli individui si mantengono ad una certa distanza l’uno dall’altro; in alcuni casi le colonie sono più grandi, miste (con Rhinolophus euryale, R. mehelyi, Miniopterus schreibersii, Myotis emarginatus, ecc.) e con esemplari a stretto contatto reciproco; particolarmente fitte e numerose sono le colonie riproduttive, formate da 12-1.000, ma per lo più da 200 esemplari, in prevalenza di sesso femminile, dato che i maschi preferiscono estivare isolatamente; qui le femmine possono mantenersi isolate con il loro piccolo o riunirsi in gruppi. Gli accoppiamenti hanno luogo dalla fine dell’estate a tutta la primavera successiva. Le femmine, che raggiungono la maturità sessuale a (2 ?) 3-4 anni, normalmente partoriscono il loro primo figlio fra i 3 e, nel nord Europa, i 4 anni di età; i maschi raggiungono la maturità non prima del secondo anno di vita; il parto, solo occasionalmente gemellare, ha luogo all’incirca tra giugno e i primi di agosto, dopo una gestazione la cui durata, in parte condizionata dalle condizioni ambientali, si aggira sui due mesi e mezzo; avambraccio lungo 24, 32, 41 e 52 mm rispettivamente alla nascita e a 5, 10 e 20 giorni di età; peso alla nascita 5-6 g. Il piccolo apre gli occhi a circa sette giorni di vita ed è capace di volare dopo quattro settimane, diventando indipendente pressappoco all’età di due mesi. La longevità media si aggira sui 3-4 anni, la

 

 

massima nota è di 30 anni e mezzo, la maggiore tra quelle di tutti i pipistrelli europei. Lascia i rifugi all’imbrunire per cacciare con volo farfalleggiante, piuttosto lento e usualmente basso (0,3-6 m); la localizzazione della preda, oltre che in volo, può avvenire anche da fermo, scandagliando lo spazio circostante col movimento della testa; aree di foraggiamento in zone con copertura arborea ed arbustiva sparsa, su pendici collinari, presso pareti rocciose, nei giardini, ecc.; le prede vengono talora catturate direttamente sul terreno. Abitudini alimentari e prede simili a quelle del Rhinolophus blasii. Sedentario; la distanza tra il rifugio estivo e quello invernale è usualmente di 20-30 km; il più lungo spostamento noto è di 320 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei suoi rifugi abituali (grotte e costruzioni).

Rinolofo minore Rhinolophus hipposideros (Bechstein, 1800)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)

Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)

Sottospecie italiane: Rhinolophus hipposideros minimus Heuglin, 1861 - Rhinolophus hipposideros majori Andersen, 1918 (Corsica)

Ambedue i taxa sono di dubbia validità. La specie comprenderebbe sette sottospecie: escalerae Andersen, 1918 (Marocco: Mogador); hipposideros (Bechstein, 1800) (dall’Europa continentale a N delle Alpi all’estremità E del Mar Nero); majori Andersen, 1918 (Corsica); midas Andersen, 1905 (dalla Transcaucasia e Iraq al Kazakistan e Kashmir); minimus Heuglin, 1861 (dall’Europa S all’estremità E del Mediterraneo; verso Sud fino all’Etiopia e al Sudan); minutus (Montagu, 1808) (Gran Bretagna e Irlanda); vespa Laurent, 1937 (Marocco: Korifla).

Geonemia

Corotipo Turanico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione verso NO alla Gran Bretagna S e all’Irlanda, verso S al Sudan, Eritrea ed Etiopia. Dall’Irlanda, Francia, Iberia e Marocco al Kashmir e alla Kirghizia attraverso l’Europa centrale e meridionale (isole maggiori e Maltesi comprese), l’Africa maghrebina, l’Egitto, l’Arabia occidentale e settentrionale e il resto dell’Asia sud-occidentale (anche a Cipro); Sudan, Eritrea, Etiopia. In Italia la specie è presente su tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario della Sicilia (Würmiano inferiore), di Malta (Età del Bronzo, Pleistocene superiore e medio) e dell’Isola Palmaria (provincia de La Spezia).

Biologia

Predilige zone calde, parzialmente boscate, in aree calcaree, anche in vicinanza di insediamenti umani. Nella buona stagione è stato osservato fino a 1.800 m e in inverno fino a 2.000 m. La più alta nursery conosciuta a 1.177 m. Rifugi estivi e colonie riproduttive prevalentemente negli edifici (soffitte, ecc.) nelle regioni più fredde, soprattutto in caverne e gallerie minerarie in quelle più calde. Ibernacoli in grotte, gallerie minerarie e cantine, preferibilmente con temperature di 4-12 °C e un alto tasso di umidità. Gli animali pendono dal soffitto o dalle pareti, ove si attaccano con i soli piedi, sempre isolatamente durante l’ibernazione, anche a contatto reciproco nelle colonie

 

 

riproduttive; queste sono formate in prevalenza da femmine (da una decina a un centinaio di esemplari, fino ad un massimo di 800) e da una minoranza di maschi adulti (sino al 20%), dato che questi estivano per lo più isolatamente; in dette colonie possono trovarsi anche altre specie quali Myotis myotis o Myotis emarginatus, le quali però non si mescolano ai gruppi del Rhinolophus hipposideros. Gli accoppiamenti hanno luogo soprattutto in autunno, talora anche in inverno. La maturità sessuale è raggiunta in ambo i sessi a 1-2 anni; il primo parto può avvenire a un anno di età. L’unico figlio nasce, nella maggior parte dei casi, nella seconda metà di giugno; il piccolo, che alla nascita pesa poco meno di 2 g ed ha un avambraccio lungo 15-19 mm, apre gli occhi a circa dieci giorni di vita, è atto al volo a 4 settimane di età e raggiunge la completa indipendenza a 6-7 settimane. La longevità media è di poco superiore ai due anni, la massima nota è di 21 anni. Esce al tramonto e caccia con volo abile, abbastanza veloce, con movimenti alari quasi frullanti, usualmente a bassa quota (fino a circa 5 m); aree di foraggiamento in boschi aperti, parchi, boscaglie e cespuglieti; le prede vengono catturate anche direttamente sul terreno o sui rami. Si nutre di vari tipi di Artropodi, principalmente di Ditteri (tipule, zanzare, moscerini), Lepidotteri (piccole falene, ecc.), Neurotteri e Tricotteri, raramente di Coleotteri e ragni. Sedentario; la distanza tra il rifugio estivo e quello invernale è usualmente di 5-10 km; il più lungo spostamento noto è di 153 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “in pericolo”, cioè corre un altissimo rischio di estinzione nel prossimo futuro. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei suoi rifugi abituali (grotte e costruzioni).

Rinolofo di Méhely Rhinolophus mehelyi Matschie, 1901

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)

Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)

Sottospecie italiana: Rhinolophus mehelyi mehelyi Matschie, 1901

La specie comprenderebbe due sottospecie: mehelyi Matschie, 1901 (Europa e Asia O); tunetae Deleuil et Labbe, 1955 (Africa N).

Geonemia

Corotipo Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Europa meridionale, Africa a N del Sahara e Asia sud-occidentale; segnalato per la Corsica meridionale (zona di Bonifacio) ove la sua presenza potrebbe però essere occasionale per migrazione temporanea dalla vicina Sardegna. In Italia la specie è nota per la Sardegna, la Puglia, la Calabria e la Sicilia.

Origine delle popolazioni italiane

Specie molto probabilmente originatasi nel Bacino Mediterraneo. Citata per il Pleistocene della Sicilia (probabilmente la sottospecie tipica), nonché per il Quaternario dell’Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e del Monte Circeo (provincia di Latina); la specie è rappresentata in una grotta di Malta dalla sottospecie mehelyi in uno strato del Pleistocene superiore e dalla sottospecie estinta Rhinolophus mehelyi birzebbugensis Storch, 1974 in uno strato del Pleistocene medio.

Biologia

Apparentemente simile a quella di Rhinolophus euryale; può spingersi fino a 1.200 m di quota, ma per lo più non supera i 500 m. Rifugi estivi e invernali in cavità sotterranee naturali o artificiali, situate in aree calcaree prossime all’acqua, talora con altri rinolofi, Myotis blythii, Myotis capaccinii,

 

 

Myotis myotis e Miniopterus schreibersii. Per quanto ci è noto la specie non frequenta le costruzioni umane. Fortemente gregaria, forma grosse colonie la cui consistenza varia da pochi a circa 2.000 individui; colonie numerose possono trovarsi in ogni stagione. In Sardegna gli animali non ibernanti stanno di regola a più o meno stretto contatto reciproco, mentre quelli ibernanti preferiscono distribuirsi su superfici più ampie, rimanendo separati l’uno dall’altro; qui la specie si rifugia in grotte che non superano i 600 m di quota e predilige temperature di circa 15-24 °C nelle colonie riproduttive, di circa 11-13 °C in quelle invernali. In Spagna è stata trovata in rifugi a 25-32 °C. Nell’Azerbaigian, in un gruppo ibernante è stato osservato, fra novembre e metà marzo, che tutti gli esemplari, eccezion fatta per alcuni periferici, erano tra loro a contatto; la temperatura era di 12,2-14 °C e l’umidità del 97-100%. Occasionalmente può tuttavia usare ibernacoli con temperature di poco superiori a 0 °C ed è sicuramente capace di spostarsi da una grotta a un’altra anche in pieno inverno. La maturità sessuale viene raggiunta a 1-3 anni di età nelle femmine, a 2-3 nei maschi; le femmine partoriscono un solo figlio capace di involarsi nella seconda metà di luglio; la lunghezza dell’avambraccio alla nascita è di 15-17 mm. La longevità media è di 2,5-3,6 anni, la massima conosciuta è di 11 nelle femmine e di 12 nei maschi. Lascia i rifugi al crepuscolo serale. Vola lentamente e con destrezza, alternando brevi tratti a volo planato; senza sforzo può decollare dal suolo e ciò fa pensare che possa cacciare anche sul terreno. Poco si sa sull’alimentazione, verosimilmente simile a quella del Rhinolophus blasii. La specie è molto probabilmente sedentaria, limitandosi eventualmente a compiere brevi spostamenti tra quartieri estivi ed invernali.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei suoi rifugi abituali (grotte).

Barbastello comune Barbastella barbastellus (Schreber, 1774)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Specie monotipica: Barbastella barbastellus (Schreber, 1774)

Geonemia

Corotipo Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con esclusione di parte dell’Europa SE e dell’Africa mediterranea (eccezion fatta per il Marocco) ed estensione al Caucaso, alle Canarie e forse al Senegal. L’areale della specie comprende buona parte dell’Europa (Corsica, Sardegna e Sicilia comprese; non segnalata per le Isole Maltesi), a N sin verso il 60° di latitudine (Scandinavia meridionale), ad E, attraverso la quasi totalità della Penisola Balcanica, all’incirca fino al 30° meridiano (Ucraina), con un prolungamento meridionale fino alla Crimea, alla Turchia e al Caucaso; Marocco, Canarie e, forse, Senegal. In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea. Citata per il Quaternario dell’Isola Palmaria (provincia di La Spezia); Barbastella cfr. barbastellus è citata per il Quaternario (Würmiano inferiore) della Sicilia.

Biologia

 

 

Specie relativamente microterma, predilige le zone boscose collinari e di bassa e media montagna, ma frequenta comunemente anche le aree urbanizzate; rara in pianura; sulle Alpi è stata trovata sino a un’altitudine di 2.000 m, di 2.260 sui Pirenei; la più alta colonia riproduttiva nota è stata trovata in Slovacchia a 1.100 m di quota. Rifugi estivi e nursery prevalentemente nelle costruzioni (spaccature dei muri, interstizi fra questi e le persiane, le travi e i rivestimenti, soffitte), talora nei cavi degli alberi e, al Sud, anche nelle grotte. Rifugi invernali in ambienti sotterranei naturali o artificiali (grotte, gallerie minerarie e non, cantine), occasionalmente in ambienti non interrati degli edifici e nei cavi degli alberi. Negli ibernacoli, talora ventilati e relativamente secchi (tasso igrometrico più basso accertato di 70%), sono state rilevate temperature di 0-8 °C, con estremi sino a -6 °C. La resistenza al freddo permette al Barbastello di cambiare rifugio anche in pieno inverno e, in grotta, di frequentare ambienti vicini all’entrata, ove può trovarsi circondato da ghiaccioli o addirittura col pelame imbiancato di nevischio; per breve tempo può resistere a temperature molto basse, anche di -16,5 °C. Nei rifugi lo si trova incuneato nelle fessure, pendente dalle volte o aggrappato alle pareti e con esse a contatto. Sverna solitario o in gruppi, anche di mille individui, da ottobre-novembre a marzo-aprile; le colonie di svernamento, spesso con una forte prevalenza di maschi e talora miste ad altre specie (ad es. con Pipistrellus pipistrellus), possono raggiungere negli ibernacoli più vasti alcune migliaia di individui (fino a 7.800 in un tunnel abbandonato della Slovacchia). Le femmine, sessualmente mature nel secondo anno di vita, ma talora già nel primo, si accoppiano, a seconda delle località, dalla tarda estate ai primi di autunno, talvolta d’inverno; a partire da giugno-agosto occupano le nursery, ove formano colonie composte anche da 100 individui, ma per lo più da 5-30. I maschi vivono separatamente, in piccoli gruppi, in primavera e nel periodo estivo precedente alla stagione degli amori. I parti, che iniziano a metà giugno dopo una gravidanza approssimativamente di 6 mesi, sono di solito semplici, talora bigemini. Il piccolo cresce rapidamente e raggiunge la taglia degli adulti a 8-9 settimane di vita o prima. La massima longevità sinora accertata è di 21 anni e 9 mesi (una precedente citazione di 23 anni è risultata errata). Di norma lascia il rifugio di buon’ora, se non addirittura di giorno, anche col cattivo tempo, e caccia preferibilmente lungo percorsi regolari e circolari con un diametro di 50-100 m, a 4-5 m dal suolo o dal pelo dell’acqua, più in alto quando foraggia al di sopra delle chiome degli alberi. Le prede, talora consumate appendendosi a un appiglio, sono rappresentate in larga maggioranza da piccoli e delicati Insetti e altri Artropodi catturati per lo più in volo o, talora, come ad esempio nel caso dei ragni, sui rami degli alberi e altri supporti; la bocca e la dentatura relativamente piccole ostacolano la cattura e il consumo di prede di una certa taglia. Le zone di foraggiamento sono rappresentate da corpi d’acqua, boschi e loro margini, giardini e viali illuminati. Il volo, agile e con facilità di manovra, è descritto ora come lento (il che ben si accorda con le caratteristiche morfologiche delle ali), ora come pesante e frullante, ora come veloce; a momenti è quasi stazionario, quasi a “spirito santo”. La specie, sebbene sedentaria, è tuttavia capace di compiere spostamenti di una certa entità; quello più lungo sinora accertato è di 290 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “in pericolo”, cioè corre un altissimo rischio di estinzione nel prossimo futuro. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo (alla quale la specie sembra essere particolarmente sensibile) nei rifugi situati in grotte e costruzioni, e dal taglio dei vecchi alberi cavi.

Vespertilio di Bechstein Myotis bechsteinii (Kuhl, 1817)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

 

 

Specie monotipica: Myotis bechsteinii (Kuhl, 1817)

Geonemia

Corotipi S-Europeo e Centroeuropeo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione alla Gran Bretagna S. Dall’Europa [a N sino alla Gran Bretagna e alla Svezia meridionali; a S presente anche in Corsica e in Sicilia; manca in Sardegna, nelle Isole Maltesi (ove segnalato in depositi quaternari) e a Creta] al Caucaso, alla Turchia (manca a Cipro) e all’Iran. In Italia la specie risulta presente nella maggior parte delle regioni continentali e peninsulari, nonché in Sicilia.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario di Malta (Pleistocene medio; subspecies robustus Topal, 1963, nota solo allo stato fossile) e della Sicilia (Würmiano inferiore; sottospecie non identificata). Biologia Predilige i boschi misti umidi, ma frequenta comunemente anche le pinete e le zone alberate in genere, come giardini e parchi, spingendosi sino a 1.350 m di quota nella buona stagione e sino a 1.800 m in inverno. Rifugi estivi e colonie riproduttive nei cavi degli alberi e nelle bat- e bird-box, meno spesso nelle costruzioni e di rado nelle cavità delle rocce. D’inverno si rifugia soprattutto in cavità sotterranee, naturali o artificiali, molto umide e con temperature di (1) 7-8 (10) °C, occasionalmente anche nei cavi degli alberi; l’ibernazione dura all’incirca da ottobre-novembre a marzo-aprile. Per lo più si trova attaccato con i piedi all’appiglio, donde pende liberamente, ma talora si insinua nelle fessure rocciose; cambia talora rifugio o si sposta da un punto all’altro dello stesso. A differenza dei Plecotus, mantiene sempre diritte le lunghe orecchie in stato di riposo. Per lo più solitario, solo di rado si trova in piccoli gruppi formati al massimo da 10 individui; gli iberna coli possono essere condivisi con Rinolofidi e alcune specie di Vespertilionidi, quali Myotis nattereri, M. mystacinus, M. myotis, Plecotus e Barbastella. Gli accoppiamenti iniziano in autunno e si prolungano probabilmente sino alla primavera; non si sa a quale età viene raggiunta la maturità sessuale, probabilmente a un anno. Le colonie riproduttive, che si formano di regola tra la fine di aprile e maggio e si disperdono verso la fine di agosto, sono formate da 7-30 (80) femmine che cambiano frequentemente sede; i maschi vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente la stagione degli amori. L’unico piccolo viene partorito tra la seconda metà di giugno e la fine di luglio, talora più precocemente, anche in maggio, dopo una gravidanza della durata approssimativa di 50-60 giorni; è capace di involarsi fra l’inizio e la metà di agosto; lo svezzamento avviene a 6-7 settimane dalla nascita; il parto gemellare rappresenta un’eccezione. La longevità massima nota è di 21 anni. Lascia il rifugio solo a notte fonda e lo riguadagna assai prima dell’alba, di solito dopo avervi fatto temporaneamente ritorno alcune volte nel frattempo; il foraggiamento si svolge di regola nelle radure dei boschi, ai loro margini e lungo le strade che li attraversano, spesso a poche centinaia di metri dal rifugio. Il volo, farfalleggiante e all’occorrenza assai agile, è di regola basso, fra 1 e 5 m di altezza; le prede, che possono esser catturate anche direttamente sui rami o a terra, constano soprattutto di falene, Ditteri e Coleotteri, ma anche di altri Artropodi, ragni e opilioni ad esempio. Sedentario; il più lungo spostamento noto è di 39 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, lo status della specie non è valutabile per “carenza di informazioni”. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei rifugi situati in grotte e costruzioni, e dal taglio dei vecchi alberi cavi.

Vespertilio di Blyth Myotis blythii (Tomes, 1857)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

 

 

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Sottospecie italiana: Myotis blythii oxygnathus (Monticelli, 1885)

Geonemia

Corotipo Centroasiatico-Europeo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Iberia, Francia centrale e meridionale (Corsica molto probabilmente esclusa), Svizzera, Italia (Sicilia compresa, Sardegna molto probabilmente esclusa), Isole Maltesi (?), regioni più meridionali dell’Europa centrale, Penisola Balcanica (Creta inclusa); dall’Ucraina meridionale, la Turchia (con Cipro), il Caucaso e l’Iran verso E sino all’India nord-occidentale, al Nepal, alla Mongolia (sin poco oltre il 50° parallelo) e alla Cina (Mongolia interna e Shanxi) attraverso i Monti Altai nord-occidentali e l’Himalaya. In Italia la specie è nota per l’intero territorio, con esclusione quasi certa della Sardegna.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario dell’Isola Palmaria (provincia de La Spezia) e della Montagnola Senese (provincia di Siena); inoltre per il Quaternario (Età del Bronzo) di Malta; un Myotis cfr. blythii è citato per il Quaternario della provincia di Foggia.

Biologia

Dato che Myotis blythii e Myotis myotis sono stati distinti come specie solo in data relativamente recente e che ancora oggi non è sempre facile distinguerli in natura, la conoscenza della loro biologia necessita di ulteriori precisazioni; comunque sembra che la biologia del M. blythii sia in complesso molto simile a quella del M. myotis, differendone però sensibilmente per quanto concerne la dieta e, di conseguenza, le aree di foraggiamento preferite. Frequenta località dal livello del mare ad almeno 1.000 m di quota in Europa, fino a 2.500 m in Kirghizistan; ibernacoli di solito con temperatura di 4-14 °C; gli accoppiamenti, che possono iniziare in luglio, hanno luogo in prevalenza in autunno e verosimilmente si prolungano fino alla primavera, sebbene ciò non sia stato ancora accertato. Le nursery, che possono contare sino a 5.000 femmine in Europa e sino a 10.000 nel Kirghizistan [250 (3.459) 10.000], sono spesso condivise col Myotis myotis. Longevità media di 2,3-3,6 anni, massima sinora accertata di 30 anni. Preda soprattutto Artropodi erbicoli, nutrendosi in netta prevalenza di Ortotteri Tettigonidi dalla tarda primavera all’autunno, per lo più di Coleotteri Melolontidi in primavera, quando i Tettigonidi mancano o sono ancora scarsi; predilige pertanto cacciare nelle zone più o meno riccamente erbose, sia primarie (steppe, praterie) sia di origine antropica (prati, pascoli), evitando per esempio le aree aride e denudate, quelle erbose rasate di fresco o degradate e qualsiasi tipo di bosco e foresta. Occasionalmente capace di compiere spostamenti di una certa entità; lo spostamento più lungo sinora accertato è di 600 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei rifugi abituali (grotte e costruzioni).

Vespertilio di Capaccini Myotis capaccinii (Bonaparte, 1837)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Sottospecie italiana: Myotis capaccinii capaccinii (Bonaparte, 1837)

 

 

La specie comprenderebbe due sottospecie: capaccinii (Bonaparte, 1837) (dal NO Africa alla ex-Jugoslavia); bureschi (Heinrich, 1936) (dalla Bulgaria al Turkmenistan).

Geonemia

Corotipo Centroasiatico-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione all’Estremo Oriente Russo S (Primorye S). Contrade mediterranee dell’Europa isole maggiori comprese, dubbio per l’Arcipelago Maltese (ove è segnalato in depositi quaternari); Africa maghrebina; Turchia, Cipro, Israele, Iraq, Iran, Uzbekistan. In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie probabilmente originatasi nel Bacino Mediterraneo o in aree meridionali dell’Asia paleartica. Citata per il Quaternario della Sicilia (Würmiano inferiore) e di Malta (Pleistocene medio).

Biologia

Predilige sia aree carsiche boscose o cespugliose, sia aree alluvionali aperte, purché, in ogni caso, prossime a fiumi o specchi d’acqua, dal livello del mare a 825 m di quota (grotta in provincia di Rieti, Lazio). Pur non disdegnando di frequentare occasionalmente gli edifici, è animale tipicamente cavernicolo che ama rifugiarsi durante tutto l’anno in cavità sotterranee naturali o artificiali, che possono essere diverse in stagioni, mesi o addirittura in giorni diversi. Lo si trova di regola aggrappato alle pareti con tutti e quattro gli arti o rintanato nelle fessure, sia solitario sia in colonie formate da centinaia o migliaia di individui, non di rado in compagnia o addirittura in promiscuità con altre specie, quali Rhinolophus euryale, R. ferrumequinum, R. mehelyi, Myotis blythii, M. daubentonii, M. myotis, ma soprattutto Miniopterus schreibersii. Durante lo svernamento si dimostra piuttosto euritermo e stenoigro, scegliendo rifugi con temperature fra i 4 e i 15 °C e umidità relativa del 90-100% o poco inferiore. Scarse le informazioni sulla riproduzione. Nelle nursery le femmine, possibilmente già mature a un anno di età, si aggrappano alla volta formando, nell’ambito di una stessa nursery, più gruppi ognuno dei quali può raggiungere i 500 individui; una nursery formata da circa 10.000 femmine adulte è stata di recente scoperta in una grotta dell’Albania; i maschi adulti vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente la stagione degli amori; recentemente è stata accertata la presenza, entro una torretta decorativa situata sulle rive del lago di Como, di una colonia riproduttiva mista a Myotis daubentonii, consistente complessivamente di 1.300-1.500 esemplari (2.100-2.400 dopo la nascita dei piccoli). L’unico piccolo, che viene partorito di regola in giugno dopo una gravidanza della durata approssimativa di 50-60 giorni, è capace di involarsi dopo circa un mese ed è svezzato a 6-7 settimane; il parto gemellare rappresenta un’eccezione. Mancano dati sulla longevità. La caccia, che inizia dopo il tramonto ma prima della notte fonda, si svolge in aree aperte o ai margini di zone alberate, ma soprattutto sull’acqua, anche a vari chilometri di distanza dai rifugi; le prede consistono in Insetti catturati in volo o sul pelo dell’acqua. Il volo è rapido, agile, ora rettilineo con frequenti variazioni direzionali, ora ondulato, ora ad ali tese, ora contrassegnato da frequenti battiti d’ala a escursione limitata, talora frullante. Preda Ditteri, Neurotteri e altri Insetti che vivono vicino o sull’acqua. La specie è sedentaria ma, almeno in Bulgaria, sembra compiere spostamenti relativamente ampi tra quartieri estivi e invernali.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “in pericolo”, cioè corre un altissimo rischio di estinzione nel prossimo futuro. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei suoi rifugi abituali (grotte e costruzioni).

Vespertilio smarginato Myotis emarginatus (E. Geoffroy, 1806)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

 

 

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Sottospecie italiana: Myotis emarginatus emarginatus (E. Geoffroy, 1806)

La specie comprenderebbe quattro sottospecie: emarginatus E. Geoffroy, 1806 (Europa, Africa NO, Asia SO); desertorum (Dobson, 1875) [dall’Arabia (Oman) all’Afghanistan]; turcomanicus Bobrinskii, 1925 (Turkmenistan e Afghanistan); saturatus Kuzyakin, 1934 (Uzbekistan).

Geonemia

Corotipo Turanico-Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione alla Penisola Arabica. Dall’Europa (a N fino all’Olanda e alla Polonia meridionale; Corsica, Sardegna, Sicilia e Creta; non segnalato per le Baleari e le Isole Maltesi) al Turkmenistan, Uzbekistan e Afghanistan, attraverso la Crimea e il Caucaso; Arabia Saudita, Oman, Libano, Israele e Africa maghrebina. In Italia la specie è presente praticamente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Non risultano noti reperti fossili per l’Italia. Biologia Specie termofila che si spinge sin verso i 1.800 m di quota, prediligendo le zone temperato-calde di pianura e collina, sia calcaree e selvagge sia abitate, con parchi, giardini e corpi d’acqua. Rifugi estivi al Nord soprattutto negli edifici, che condivide spesso con altre specie (quali Rhinolophus hipposideros e Myotis myotis), ma anche nelle bat-box e nei cavi dei muri e degli alberi; al Sud prevalentemente in cavità sotterranee naturali o artificiali. Sverna in cavità sotterranee naturali o artificiali con temperature di 5-9 °C, di rado minori, da ottobre a marzo-aprile, talvolta fino a maggio; qui pende dalle volte o dalle pareti, singolarmente o in piccoli gruppi, ma talora si incunea nelle fessure; sono conosciuti gruppi in cui la specie era mescolata con Myotis myotis e M. bechsteinii. La maturità sessuale è raggiunta di regola a due anni di età in ambo i sessi; le femmine possono accoppiarsi anche entro il primo anno di vita, ma non è provato che effettivamente partoriscano a un anno di età; gli accoppiamenti hanno luogo dall’autunno alla primavera successiva, ma non è stato ancora accertato se si verificano anche negli ibernacoli. Le colonie riproduttive, che si formano in aprile, almeno al Sud, o in maggio-giugno e si disperdono ad agosto-settembre, sono situate prevalentemente nelle soffitte nelle regioni più fredde, nelle grotte in quelle più calde; la temperatura ambiente nelle nursery è sempre notevolmente alta, compresa in genere tra i 25 e i 30 °C, ma con estremi compresi fra i 36 e i 40 °C; le colonie riproduttive, la più alta delle quali è stata osservata a 645 m di quota (Austria), contano ognuna da 20 a 1.000 femmine; detti ambienti sono talora condivisi con i Rinolofidi; i maschi vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente alla stagione degli amori. L’unico piccolo viene messo al mondo da metà giugno all’inizio di luglio, dopo una gravidanza di circa 50-60 giorni; può involarsi a un mese di età, ma lo svezzamento avviene a 6-7 settimane; il parto gemellare rappresenta un’eccezione. La durata media della vita è di 2,8-3,5 anni, la longevità massima nota di 18 anni. Fuoriesce al crepuscolo, all’incirca 40-45 minuti dopo il tramonto, utilizzando corridoi di volo sino alle aree di foraggiamento poste di solito a breve distanza dal rifugio (circa 500 m); caccia quasi sempre isolatamente, ai margini di boschi e siepi, tra la vegetazione o sull’acqua, a 1-5 m di altezza, con volo molto agile e manovrato ove gli spazi sono limitati, prevalentemente rettilineo e, velocità a parte, simile a quello di rondini e rondoni nelle zone aperte. Si ciba di vari tipi di Insetti, ivi compresi i bruchi, e di ragni, dato che, oltre che al volo, è capace di catturare le prede direttamente sui rami e sul suolo. Fondamentalmente sedentario, compie per lo più spostamenti inferiori ai 40 km; quello più lungo noto è di 106 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei rifugi situati in grotte e costruzioni.

 

 

Vespertilio maggiore Myotis myotis (Borkhausen, 1797)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)

Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilioninae)

Sottospecie italiane (presumibili): Myotis myotis myotis (Borkhausen, 1797) (Italia continentale, Italia peninsulare e probabilmente Sicilia) Myotis myotis punicus Felten, 1977 (Sardegna).

I caratteri che permettono di distinguere tra loro in maniera attendibile M. blythii (Tomes, 1857) e M. myotis sono stati evidenziati solo in data recente; pertanto, in mancanza di un’approfondita revisione dei problemi inerenti la loro sistematica e corologia, è attualmente impossibile definire con sufficiente approssimazione gli areali delle due specie, stabilire l’appartenenza all’una o all’altra di alcune delle forme sinora descritte, nonché accertare una loro possibile divisione in sottospecie. I taxa nominali attribuibili con certezza o presumibilmente a M. myotis, dei quali è in parentesi indicata la località classica, sarebbero i seguenti: alpinus Koch, 1863 [Uri (Svizzera)]; latipennis (Crespon, 1844) [Gard (Francia)]; macrocephalicus Harrison et Lewis, 1961 [2 km E di Amchite (Libano)]; myotis (Borkhausen, 1797) [Turingia (Germania)]; ? omari Thomas, 1906 [50 miglia a O di Isfahan (Iran)]; punicus Felten, 1977 [Capo Bon (Tunisia)]; ? risorius Cheesman, 1921 [Shiraz (Iran)]; spelaeus Bielz, 1886; submurinus (Brehm, 1827) [Turingia (Germania)]; typus Koch, 1863 [Nassau (Germania)].

Geonemia

Corotipo Europeo-Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con estensione all’Inghilterra meridionale e alle Azzorre (e possibilmente anche all’area turanica, se omari è davvero una subsp. o un sinonimo di myotis). Europa, a N fino all’Inghilterra meridionale e quasi al 55° parallelo in corrispondenza della Polonia nord-orientale e della Bielorussia; a E sino all’Ucraina (zona di Odessa), alla Turchia e ad Israele, ma probabilmente (se omari è davvero una subsp. o un sinonimo di myotis) sino all’Iran e al Turkmenistan; Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia, Isole Maltesi, Creta, Azzorre, Africa maghrebina e Libia. In Italia la specie è nota per l’intero territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine paleartica europea o asiatica. Citata per il Quaternario dell’Isola Palmaria (provincia de La Spezia).

Biologia

Specie termofila, predilige le località temperate e calde di pianura e di collina, ove frequenta gli ambienti più vari, ivi compresi quelli fortemente antropizzati, che anzi sono i preferiti nelle località relativamente più fredde del Nord o più elevate; lo stesso vale per l’affine M. blythii, col quale vive in simpatria e spesso anche in sintopia nella vasta zona di sovrapposizione dei loro areali, ma dal quale si differenzia nettamente per quanto attiene alla nicchia trofica (aree di foraggiamento e preferenda alimentari). Frequenta di regola località comprese fra il livello del mare e i 600 m di quota, ma può spingersi sin verso i 2.000 m e, forse solo occasionalmente, sino ai 2.200 m (resti ossei recenti in una grotta pirenaica). Nella buona stagione si rifugia, anche per la riproduzione, nei fabbricati, ove può sopportare temperature elevate (sino a 45 °C), in ambienti sotterranei naturali o artificiali (cantine, grotte, miniere, ecc.) e, più di rado, nei cavi degli alberi e nelle batbox; si trova di regola appeso alle volte o alle pareti, sia isolato sia in colonie che possono raggiungere varie migliaia di individui, talora miste a esemplari di alcuni Rhinolophus, di altri Myotis, ecc., ma specialmente di Miniopterus schreibersii; spesso si insinua in fessure naturali o in interstizi presenti nei fabbricati, ma solo raramente in spacchi molto stretti. Sverna di regola in ambienti sotterranei

 

 

naturali o artificiali con temperature di 2-12 °C e alto tasso igrometrico (85-100%), ma è stato trovato anche a -4 °C e con umidità relativa del 50% o addirittura inferiore. Pende quasi sempre liberamente dal soffitto o dalle pareti, per lo più in gruppi che contano sino a un centinaio di esemplari, e solo raramente si rifugia in strette fessure. Gli ibernacoli di grandi dimensioni possono albergare colonie molto popolose, la maggiore delle quali, presente in un vecchio bunker della Polonia, conta fino a 5.000 individui; i luoghi di svernamento, che verrebbero raggiunti prima dalle femmine che dai maschi, sono occupati da settembre-ottobre a marzo-aprile ed è abbastanza frequente che vengano cambiati, anche in pieno inverno. La maturità sessuale è raggiunta in ambo i sessi a 1-2 anni di età; le femmine, che in piccola percentuale possono riprodursi già nel loro primo anno di vita, si accoppiano da agosto alla primavera successiva, anche negli ibernacoli, ma prevalentemente in autunno; i maschi posseggono harem dei quali possono far parte sino a cinque femmine. Le nursery, che vengono occupate a partire da marzo e abbandonate in luglio-agosto, sono state osservate sino a poco oltre i 1.000 m di altitudine, possono ospitare sino a 2.000 femmine e occasionalmente qualche maschio; questi, di regola, vivono separatamente in primavera e nel periodo estivo precedente la stagione degli amori. I parti, di rado gemellari e frequenti soprattutto nelle prime ore del mattino, si susseguono da maggio a luglio, dopo una gravidanza della durata approssimativa di 50-70 giorni. Le puerpere escono a caccia già durante la notte seguente al parto; i neonati vengono riuniti in gruppi e rimangono affidati ad alcune femmine che ritardano la loro uscita. Il piccolo appena nato pesa 6 g ed ha un avambraccio lungo 15-17 mm; quest’ultimo ha una crescita giornaliera di 0,9-1,5 mm e misura 49 mm nel giovane di un mese di età; gli occhi si aprono a 4-7 giorni dalla nascita, la dentatura è definitiva a 30-35 giorni, la copertura pelosa è completa dopo circa 22 giorni, i primi voli avvengono a 23-27 giorni e lo svezzamento ha luogo a circa 5 settimane dalla nascita. La mortalità infantile, almeno al Nord, può superare il 40% nella stagione fredda. La durata media della vita, a seconda degli Autori, è di 2,4-2,7 o di 4-5 anni, la longevità massima sinora accertata di 22. Le uscite di caccia iniziano in genere poco dopo il tramonto, ma non di rado a notte inoltrata, e hanno di regola una durata di 4-5 ore; il volo è piuttosto lento, con ampi colpi d’ala remeggianti, e si svolge per lo più tra il livello del suolo, sul quale l’animale si posa di frequente per cacciare, e i 10 m di altezza. Preda soprattutto Artropodi terragnoli, in netta prevalenza Coleotteri Carabidi, in zone ove il suolo è facilmente raggiungibile, preferendo cacciare in corrispondenza di prati rasati di fresco, pascoli degradati, frutteti con ampie radure e boschi misti o pinete privi o poveri di sottobosco, evitando per esempio le aree coperte da ricca vegetazione erbacea e i boschi con fitto sottobosco; in certe aree geografiche caccia anche in ambienti semidesertici. Può compiere spostamenti, anche di oltre 200 km, tra i quartieri estivi e quelli invernali; lo spostamento più lungo sinora accertato è di 390 km.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è “vulnerabile”, cioè corre un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei rifugi abituali (grotte e costruzioni).

Miniottero di Schreiber Miniopterus schreibersii (Kuhl, 1817)

Sistematica

Ordine: Chirotteri (Chiroptera)

Sottordine: Microchirotteri (Microchiroptera)

Famiglia monotipica: Miniotteridi (Miniopteridae)

Sottospecie italiana: Miniopterus schreibersii schreibersii (Kuhl, 1817)

La specie comprenderebbe quindici sottospecie, ma l’attribuzione sottospecifica di alcune popolazioni è ancora incerta.

Geonemia

 

 

Elemento Subcosmopolita (Sudeuropeo-Mediterraneo-Etiopico-Orientale-Australiano). Dall’Europa meridionale e dalla porzione meridionale di quella centrale sino al Giappone, alla maggior parte della Cina e della Regione Orientale, attraverso il Caucaso e l’Asia sud-occidentale; Nuova Guinea, Isole Salomone (Isola Bougainville compresa), Australia e Arcipelago delle Bismarck; isole maggiori del Mediterraneo e Isole Maltesi; Africa mediterranea e subsahariana, Madagascar e Comore. In Italia la specie è nota per l’intero territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine tropicale (africana, asiatica o australiana). Citata per il Pleistocene della Sicilia, nonché per il Quaternario di Malta (Pleistocene superiore e medio) e per il Quaternario della provincia di Trieste e dell’Isola Palmaria (provincia de La Spezia).

Biologia

I dati disponibili sono solo per la regione Paleartica.

Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel 1998, la specie è a più basso rischio”, ossia il suo stato di conservazione non è scevro da rischi. Inquinamento a parte, il maggior pericolo è rappresentato dall’azione di disturbo da parte dell’uomo nei rifugi situati in grotte e secondariamente in costruzioni.

 

 

Bibliografia  al Cap. 2.2.2.2.13 

Spagnesi M., De Marinis A.M. (a cura di), 2002 – Mammiferi d’Italia. Quad. Cons. Natura, 14, in. Ambiente ‐ Ist. Naz. Fauna Selvatica. 

Vigna Ttaglianti A., Audisio P.A., Belfiore C., Biondi M., Bologna M.A., Carpaneto G.M., de Biase A., De Felici S., Piattella E., Racheli T., Zapparoli M., Zoia S., 1993 – Riflessioni di gruppo sui corotipi fondamentali della fauna W‐paleartica ed in particolare italiana Biogeographia, 16 (1992): 159‐179. 

 

 

2.3. Assetto sociale 

2.3.1. Inquadramento generale  La Provincia di Reggio Calabria, situata all’estremo sud della Calabria, a confine con le provincie di Vibo Valentia e Catanzaro, caratterizzata dalla catena appenninica dove si erge maestoso l'Aspromonte e scendendo a valle i Mari Tirreno e Ionio è terra storicamente oggetto di contesa per la sua posizione ritenuta strategica in quanto ha di fronte a sé la distesa del Mar Mediterraneo.

Nel contesto calabrese il territorio della Provincia di Reggio Calabria presenta una peculiare realtà anche sul piano della gestione faunistica e faunistico-venatoria distinguendosi per esigenze e tradizioni differenti rispetto alla maggior parte degli altri comprensori della regione.

All’interno del territorio provinciale si individuano due aree con caratteristiche differenti sia sul piano economico e sociale sia su quello faunistico – venatorio:

- A Nord – Ovest la zona pianeggiante e la zona collinare-montana che dalle pendici dell'Aspromonte dove nascono numerosi corsi d'acqua “ fiumare “ scorrono a volte tumultuose e sinuose per poi gettarsi nel Tirreno, imprimendo al paesaggio un chiaro segno distintivo e rappresentando, per le popolazioni locali, un forte elemento di appartenenza. Si tratta di un’area a vocazione turistica, agricola e commerciale per la presenza del porto di Gioia Tauro, tuttavia, per decenni si è assistito ad un progressivo declino dell'agricoltura e, parallelamente, all’abbandono delle campagne e delle frazioni collinari e di montagna.

- A Sud – Est, l’altra porzione del territorio della provincia si affaccia sul Mare Ionio, a pochi chilometri dal confine nord-orientale della provincia di Reggio Calabria, vide la nascita di una delle più fiorenti città della Magna Grecia, tra cui la più importante sicuramente è “Locri Epizephiri“ tanto da essere definita da Platone "fiore dell'Italia per nobiltà, per ricchezza e gloria delle sue genti".

La provincia di Reggio Calabria (anticamente Calabria Ulteriore Prima) ha una popolazione residente di 566.926 abitanti. Il territorio, che comprende il 28% della popolazione calabrese, conta 97 comuni; si estende per 3.184 km² occupando il 21,1% del territorio della Calabria È la provincia calabrese con la più alta densità abitativa. Oltre al capoluogo Reggio di Calabria , i centri popolati sono riportati nella Tab. 24.

Tab. 24  – Caratteristiche demografiche della Provincia di Reggio Calabria 

Comune Abitanti residenti Densità /km2 Numero Famiglie

1 Reggio Calabria 180.353 764,1 63.264

2 Palmi 19.435 610,4 6.890

3 Gioia Tauro 17.762 455,6 5.772

4 Siderno 16.734 531,4 5.504

5 Taurianova 15.799 330,2 5.396

6 Rosarno 15.051 381,4 5.007

7 Villa San Giovanni 13.119 1.073,6 4.493

8 Locri 12.997 507,3 4.432

9 Polistena 11.591 990,7 4.219

10 Bagnara Calabra 11.230 455,0 3.734

11 Cittanova 10.675 172,7 3.871

12 Melito di Porto Salvo 10.506 297,4 3.536

13 Bovalino 8.358 465,6 2.879

 

 

14 Caulonia 7.756 77,0 3.069

15 Rizziconi 7.650 192,6 2.461

16 Gioiosa Ionica 7.044 195,7 2.361

17 Montebello Ionico 6.922 124,3 2.603

18 Roccella Ionica 6.762 180,4 2.526

19 Cinquefrondi 6.461 216,6 2.197

20 Motta San Giovanni 6.449 138,0 2.360

21 Marina di Gioiosa Ionica 6.440 404,3 2.172

22 Laureana di Borrello 5.709 161,2 2.032

23 Oppido Mamertina 5.559 94,9 2.017

24 Scilla 5.176 118,5 1.849

25 Condofuri 5.055 86,4 1.697

26 Melicucco 4.996 784,3 1.563

27 Ardore 4.820 147,4 1.924

28 San Ferdinando 4.339 310,4 1.431

29 San Luca 4.106 39,4 1.242

30 Campo Calabro 4.074 546,1 1.384

31 Sant'Eufemia d'Aspromonte 4.074 123,8 1.443

32 Bianco 4.047 127,8 1.483

33 Bova Marina 3.967 134,4 1.416

34 Brancaleone 3.882 108,1 1.558

35 Platì 3.823 76,4 1.167

36 Grotteria 3.611 95,3 1.371

37 Delianuova 3.584 170,3 1.189

38 Africo 3.465 67,9 1.022

39 Monasterace 3.426 218,9 1.219

40 Mammola 3.389 42,1 1.309

41 San Giorgio Morgeto 3.384 96,5 1.164

42 San Lorenzo 3.357 52,3 1.363

43 Seminara 3.352 99,9 1.195

44 Gerace 2.973 104,1 1.117

45 Stilo 2.816 35,9 951

46 Molochio 2.803 75,1 1.000

47 Palizzi 2.709 51,8 1.080

48 Careri 2.443 63,9 859

49 Benestare 2.426 130,6 886

50 Anoia 2.378 235,7 799

51 Sinopoli 2.329 90,3 765

52 Varapodio 2.329 80,2 808

53 Cardeto 2.325 64,0 882

54 Galatro 2.307 45,7 879

55 Giffone 2.182 150,8 713

 

 

56 San Roberto 1.985 57,9 709

57 Feroleto della Chiesa 1.872 245,7 670

58 Maropati 1.736 168,5 645

59 San Pietro di Caridà 1.715 35,9 631

60 Riace 1.605 100,0 574

61 Bivongi 1.596 63,1 656

62 Placanica 1.507 51,5 605

63 Santo Stefano in Aspromonte 1.470 83,1 611

64 Antonimina 1.442 64,2 566

65 Bruzzano Zeffirio 1.401 67,1 628

66 Sant'Ilario dello Ionio 1.389 100,9 565

67 Stignano 1.373 79,2 503

68 Roghudi 1.365 37,4 533

69 Portigliola 1.343 224,6 510

70 Bagaladi 1.286 41,7 485

71 Fiumara 1.201 173,6 422

72 Calanna 1.183 112,8 489

73 Samo 1.097 21,9 445

74 Santa Cristina d'Aspromonte 1.095 47,5 431

75 Melicuccà 1.079 62,9 450

76 Scido 1.047 59,3 368

77 Cosoleto 976 28,9 368

78 Serrata 964 44,3 370

79 Canolo 957 33,9 371

80 Ferruzzano 852 44,6 355

81 Roccaforte del Greco 802 14,8 293

82 Pazzano 799 51,6 364

83 Casignana 775 31,7 316

84 Camini 736 42,9 261

85 Sant'Agata del Bianco 715 37,9 277

86 Ciminà 683 14,0 294

87 Agnana Calabra 673 80,6 269

88 Caraffa del Bianco 622 50,6 248

89 San Procopio 617 57,6 216

90 San Giovanni di Gerace 609 45,8 243

91 Martone 597 72,3 248

92 Terranova Sappo Minulio 537 59,7 194

93 Laganadi 498 60,3 219

94 Bova 474 10,1 208

95 Sant'Alessio in Aspromonte 436 104,8 197

96 Candidoni 410 15,4 168

97 Staiti 395 24,8 196

 

 

La Provincia di Reggio Calabria, ricca di risorse culturali, umane e paesaggistiche e indubbiamente con grande vocazione turistica, possiede tutte le caratteristiche per produrre quello sviluppo necessario per una migliore qualità della vita dei suoi cittadini.

E’ da qui che bisogna ripartire, dalla consapevolezza che la Provincia di Reggio Calabria è ricca di potenzialità e risorse inespresse.

La sua collocazione geografica, che ha rappresentato fino ad oggi un limite per ogni politica di sviluppo, può diventare una straordinaria opportunità e l’elemento centrale su cui fondare una strategia in grado di cambiare il destino economico, sociale e culturale del territorio provinciale.

2.3.2. Gestione faunistico venatoria e territorio a caccia programmata (ATC)  

Gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) sono istituiti per effetto della Legge n. 157/92 "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", legge quadro che demanda alle Regioni la promulgazione delle leggi di sviluppo che per la Calabria è la L.R. n. 9/96 .

In base alla definizione che ne da’ la regolamentazione regionale, in ogni comprensorio l'Ambito Territoriale di Caccia (ATC) rappresenta la porzione di territorio agro-silvo-pastorale che, nella pianificazione provinciale residua dalla presenza sullo stesso degli istituti pubblici destinati alla protezione e alla produzione della fauna selvatica e degli altri privati destinati alla gestione faunistico e faunistico-venatoria e che non è soggetta ad altra destinazione.

La provincia di Reggio Calabria è suddivisa in 2 Ambiti Territoriali di Caccia. L’organo di Gestione dell’ATC è il Comitato di gestione che assolve a funzioni di tipo pubblicistico in considerazione della natura degli interessi (venatori, agricoli ed ambientalisti) di cui è portatore nelle persone dei propri componenti che la normativa vuole collegialmente impegnati nella gestione faunistico venatoria del comprensorio di competenza (c.d. territorio a caccia programmata). La nomina dei membri del comitato avviene su deliberazione provinciale.

A più di un quinquennio dall’applicazione della legge regionale 9/96, stiamo attraversando una fase di assetto della politica di gestione faunistica e faunistico-venatoria, condotta alla luce delle esperienze fatte, da parte delle diverse componenti coinvolte (istituzioni, associazioni venatorie, organizzazioni agricole e mondo ambientalista) ognuna per il suo ruolo.

Il Comitati di Gestione ATC RC 1 e ATC RC2 gestiscono il territorio a caccia programmata della provincia. L’Istituto nasce nel 2003 con l’eredità di un patrimonio agro forestale che, per lo spopolamento delle campagne ed il progressivo abbandono dei seminativi, delle foraggere, dei pascoli e della silvicoltura, si caratterizza nonostante tutto di una buona vocazionalità per la piccola fauna stanziale (galliformi e lepri). Per contro, con l’avanzare delle aree boscate, si è venuto a creare l’ambiente ideale per la presenza degli ungulati e del cinghiale in particolare, specie questa che, dal punto di vista venatorio, rappresenta per gli l’ATC una delle principali risorse faunistiche. Tuttavia la gestione del cinghiale è per l’ATC anche il principale “grattacapo”, sia per i problemi che ne derivano ai rapporti con il mondo agricolo per i danni causati da parte di tale specie ungulata alle produzioni agricole, sia per i delicati problemi di equilibrio costantemente affrontati dai Comitati di Gestione nell’ambito del coordinamento delle centinaia di cacciatori impegnati nell’esercizio della caccia al cinghiale ( 2668 nell’ultima stagione 2008/09). In tale contesto, infatti, occorre considerare che si sono consolidate nel tempo, a livello locale, vere e proprie tradizioni venatorie e che, l’impegno profuso dai cacciatori stessi nelle attività di gestione faunistica della specie, compreso lo svolgimento di attività volontarie di prevenzione dei danni e di tutela delle produzioni agricole, rappresenta per l’ATC una risorsa imprescindibile di fattiva collaborazione.

Cospicue risorse finanziarie ed umane fondamentali per un significativo miglioramento dell’habitat favorevole alla gestione faunistico-venatoria . Su questo fronte gli l’ATC promuovono da tempo programmi di ripristino e di mantenimento del patrimonio agro forestale, rilevandosi, tuttavia, la

 

 

necessità di un comune impegno, con gli altri enti preposti, per un coerente approccio alle problematiche coinvolte, volto all’integrazione della programmazione faunistico – venatoria provinciale con gli altri strumenti di pianificazione, anche quelle paesaggistiche e di sviluppo del territorio in generale.

2.3.2.1. Attività effettuate dagli A.T.C.  Ripopolamenti ed eventuali reintroduzioni Di seguito si analizza l'attività di ripopolamento attuate dagli A.T.C. , in relazione a Lepre, Fagiano, Starna, Coturnice e Cinghiale.

Tab. 25 – Immissioni selvaggina effettuate dagli A.T.C. Numero di animali rilasciati

( Lepre ) Ambito Territoriale di

Caccia Stagione

2005/2006

Stagione

2007/2008

A.T.C. RC1 280 - 586 436 - 597 A.T.C. RC2 320 - 400 250 Totale 1586 1283

Numero di animali rilasciati ( Fagiano)

Ambito Territoriale di Caccia Stagione

2005/2006

Stagione

2007/2008

A.T.C. RC1 1000 - 2900 3150 - 1650 A.T.C. RC2 2000 - 3000 1616 Totale 8900 6416

Numero di animali rilasciati (Starna)

Ambito Territoriale di Caccia Stagione

2005/2006

Stagione

2007/2008

A.T.C. RC1 475 336 - 400 A.T.C. RC2 - - Totale 475 736

Numero di animali rilasciati (Coturnice)

Ambito Territoriale di Caccia Stagione

2005/2006

Stagione

2007/2008

A.T.C. RC1 150 – 300 764 - 970 A.T.C. RC2 300 400 Totale 750 2134

Numero di animali rilasciati ( Cinghiale ) Ambito Territoriale di

Caccia Stagione Stagione

 

 

2005/2006 2007/2008

A.T.C. RC1 80 - 207 150 - 148 A.T.C. RC2 150 - Totale 437 298 Andando ad approfondire la qualità delle specie interessate ai fini di ripopolamento so da atto a tecnici dell’A.T.C., che data l’intensa attività gestionale di questi ultimi cinque anni hanno avuto modo di appurare la qualità degli esemplari utilizzati:

Lepre Europea La Lepre europea e tra quelle che hanno dato migliori risultati, a livello di sopravvivenza e di riproduzione, sono quelle di cattura, produzione italiana.

Ogni progetto d’immissione è stato curato nei più minimi particolari da parte dei tecnici dell’A.T.C., prestando particolare attenzione ai seguenti aspetti:

- periodo di immissione;

- individuazione e miglioramento delle aree più idonee;

- provenienza e qualità degli animali;

- lotta contro i predatori;

- lotta contro il bracconaggio;

- tecniche di immissione.

Periodo di immissione

Il periodo di immissione delle lepri è quello che va dal 01 al 10 febbraio, periodo che ha molteplici ragion d’essere, così come di seguito meglio riportati:

- Legislazione faunistico venatoria: la L. R. 9/96 e dal Piano Faunistico Venatorio Regionale approvato con Delibera di Giunta Regionale n° 222 del 25.06.2003 , che le immissioni di fauna a scopo di ripopolamento possono essere effettuate entro gennaio/febbraio di ogni anno, (a caccia chiusa);

- Biologia degli animali: in quel periodo le lepri non sono nella stagione riproduttiva.

- Politica di mercato: le importazioni di lepri dell’Est Europa sono permesse sino alla fine di gennaio.

Un aspetto importantissimo per la buon riuscita di una immissione di lepri è stata l’individuazione delle zone oggetto del ripopolamento per la quali sono state tenute presenti i vari elementi in considerazione delle esigenze vitali della lepre:

- Tipo del territorio: - Tipo di colture presenti- Antropizzazione: l’abusivismo edilizio, assai fiorente nelle nostre campagne, e l’abuso del ricorso alla pratica dei condoni, ha reso sempre più presente la presenza dell’uomo determinando al contempo un frazionamento dei terreni, e rendendo gli stessi poco adatti agli animali selvatici;

- Frazionamento: - Assenza di predatori- Scarsità di strade asfaltate:

- Controllo del bracconaggio: va tenuto presente che dei terreni sia pur vocati per le immissioni di lepri, ma scarsamente controllabili, proprio a causa della loro natura, dalle autorità a ciò preposte, ma anche dal basso numero di agenti di Polizia Provinciale in organico a cui va posto rimedio.

Nell’attività di individuazione delle zone per le immissioni, gli A.T.C. si sono avvalsi della Carta delle Vocazioni Faunistiche Vanatoria redatta da questa Amministrazione Provinciale e hanno avviato un’indagine specifica per verificare l’idoneità dei siti, la quale può essere sintetizzata in 2 fasi:

 

 

- Nella prima fase sono stati coinvolti i Presidenti dei Circoli Comunali delle Associazioni Venatorie, il cui contributo è stato prezioso, in quanto, conoscendo molto bene il proprio territorio, hanno fornito una prima indicazione delle zone più idonee;

- Nella seconda fase le zone sono state oggetto di sopralluogo da parte dei tecnici dell’A.T.C., allo scopo di verificare l’effettiva rispondenza dei luoghi alle esigenze biologiche della lepre.

Così si è potuto verificare, in concreto, la idoneità delle zone individuate per le immissioni.

Nelle successive verifiche e avvistamenti si è constatato che la lepre ha trovato una condizione ideale nelle zone coltivate dovute anche al miglioramento dei siti di immissione, attraverso contributi ai proprietari e/o conduttori di fondi rustici, allo scopo di mantenere habitat adeguati al mantenimento ed alla riproduzione spontanea della fauna.

Inoltre per i Leprotti prima dell’immissione sono stati immessi nei recinti di preambientamento.

Coturnice e Starna Dopo una attenta e severa valutazione del grado di attendibilità delle numerose testimonianze di esperti, cacciatori anziani, operai forestali, possiamo con certezza affermare che la coturnice (alectoris graeca graeca) e la Starna ( Perdix perdix ) sono state presenti nel territorio dell’A.T.C. RC1 e dell’A.T.C.RC2, , sia pure con distribuzione, limitata alle aree vocate, lungo tutta la fascia pedemontana che va dal territorio basso e alto Ionio reggino a quello del sud-ovest del versante Aspromontano, ove è facile incontrare pascoli misti a zone rocciose esposti a mezzogiorno. fino ad estendersi in modo limitato al versante Tirrenico, I territori sono sati individuati in:

- territori di massima vocazionalità: media ed alta colina (350-800 m) con colture prevalenti di frumento, orzo ed erba medica spontanea e presenza di appezzamenti di vigneto, vegetazione spontanea in siepi ed incolti;

- territori di media vocazionalità: alta collina e montagna (800-1000 m) con coltivazioni di graminacee e foraggere, prati stabili e pascoli, siepi ed incolti numerosi, boschi estesi;

- territori di bassa vocazionalità: media collina (300-400 m) con coltivazioni di piccole e rare particelle a frumento ed erba medica, boschi misti di piccola e media estensione.

La reintroduzione, fatta per unità territoriali omogenee di almeno 500-700 Ha, ha avuto la sua efficacia grazie al sopravvenuto divieto come specie cacciabili e quindi dichiarate specie protette, il quale contribuirà a raggiungere densità più ottimali.

I ripopolamenti non hanno avuto grande successo perché sono state semplicemente immessi degli individui in terreni liberi, come sempre è stato fatto con esiti molto deludenti, ma devevano realizzarsi utilizzando strutture faunistiche (voliere di ambientamento) capaci di impedire la predazione e facilitare il passaggio graduale da una alimentazione basata su mangimi ad una fatta di granaglie, per poi favorire l’alimentazione naturale anche si è, intervenuto con miglioramenti ambientali, con colture a perdere, creando, punti d’acqua anche artificiali ripristinato punti di abbeveramento naturali.

Faggiano Gli A.T.C. reggini, nel 2004, trovandosi nelle condizioni di dover procedere a un complessivo piano di ricostituzione di popolazioni di fagiano in aree dove, negli ultimi decenni, la specie era andata pressoché scomparendo e non disponendo di un sufficiente numero di fagiani selvatici da destinare a tale scopo,hanno provveduto all’acquisto di soggetti di provenienza italiana.

Sui risultati conseguiti dell’immissione del Fagiano sul territorio reggino non si hanno notizie di risultati certi , si tratta di qualche raro avvistamento , questo perché sicuramente si tratta di soggetti allevata in cattività per scopi più o meno scopertamente "pronta caccia", è purtroppo una pratica abbastanza diffusa nel nostro Paese. Per soddisfare questo tipo di pratiche si è sviluppato, nel tempo, un modello di allevamento con caratteristiche prevalentemente commerciali, impostato sulla produzione del maggior numero di soggetti al minor costo possibile ( anche se vengono allevati in voliere e vengono inopportunamente considerati da cattura ) .

 

 

Per quanto riguarda il fagiano, ad esempio, le ricerche condotte in Gran Bretagna dal Game Conservancy Trust hanno chiarito come alla base dello scarso successo riproduttivo che caratterizza i soggetti allevati in cattività, una volta che siano stati inseriti nell'ambiente naturale, vi siano gravi problemi di carattere sanitario, in particolare quelli provocati dai parassiti intestinali. Problemi che, si badi bene, non si manifestano in estate, in autunno o nell'inverno, bensì nella primavera successiva all'immissione, al momento della riproduzione. E' stato dimostrato, infatti, come sia proprio l'aumento primaverile di alcuni parassiti intestinali a impedire ai maschi la conquista dei territori riproduttivi e delle femmine. Mentre gli studi condotti con la tecnica della telemetria (dotando in altre parole le fagiane di radio trasmittenti e seguendole giorno e notte con una radio ricevente) hanno dimostrato, contrariamente a quanto si era ipotizzato in passato, come le fagiane immesse, sebbene siano capaci di costruire il nido, di deporre e incubare le uova e di accudire alla propria nidiata al pari delle loro cugine selvatiche, subiscano, rispetto a queste ultime, perdite notevolmente più elevate. In altri termini, per ragioni connesse con il loro precario stato di salute, le fagiane immesse si dimostrano molto più vulnerabili rispetto ai predatori, in particolare della volpe, di quelle selvatiche e per questa ragione risultano assai meno produttive.Un dato scientifico, quest'ultimo, che dovrebbe essere tenuto attentamente presente da coloro (Province e Ambiti Territoriali di Caccia, ma anche Aziende Faunistico-Venatorie) che sono chiamati a gestire la selvaggina.

Cinghiale Il numero elevato dei Cinghiali immessi dai due A.T.C. sul territorio provinciale non hanno dato alcun esito positivo in quanto si è rilevato i soggetti puri andranno ad incrociarsi con individui ibridati con il maiale presenti in numero elevatissimo su tutto il il territorio, e quindi come già previsto non saranno effettuati successivi ripopolamenti.

Ad ogni buon modo risulta che nonostante le difficoltà iniziali gli A.T.C. ricadenti sul territorio hanno agito come di seguito specificato:

- Lo statuto di cui sono dotati gli A.T.C , assegna ai Comitati di Gestione di tali Enti, il compito delle valutazione dei tempi e modalità di immissione della selvaggina nel rispetto della loro biologia e della tecnica necessaria onde evitare traumi.

- Per quanto risulta dagli atti sia l’A.T.C. RC1 , sia l’A.T.C. RC2 hanno predisposto l’immissione della fauna da ripopolamento, al fine di assicurare la corretta esecuzione delle operazioni si sono avvalsi delle seguenti figure professionali ed Enti competenti:

• Veterinari dell’ASL competente per territorio, per verificare lo stato di salute, le caratteristiche e che le specie da immettere corrispondessero a quanto previsto dal bando e prescritto dal P.F.V.R.;

• Agenti del Corpo di Polizia Provinciale e/o delle Guardie Volontarie Venatoria, per controllare che tutto si svolgesse nel rispetto delle leggi vigenti in materia;

- I periodi nei quali tale attività si è sviluppata, stante la validazione del personale qualificato presente, si ritiene rientri nei parametri biologici previsti per le diverse specie ed immessi nei territori vocati in quanto, gli A.T.C. sono dotati della Carta delle Vocazioni Faunistiche redatta dall’Amministrazione Provinciale ed in particolare l’ATC RC1 aveva provveduto in seguito ad ulteriore aggiornamento;

- Le specie di Fauna immesse sul territorio provinciale interessato corrispondono a quelle previste nel P.F.V.R. ( “Piano Faunistico Venatorio Regionale approvato con Delibera della G.R. n° 222 del 25/06/2003) che sono: Coturnice ( Aleectoris graeca graeca ), Fagiano ( Phanianus colchicus e relative sottospecie ), Starna ( Perdix Perdix ), Lepre ( Lepus europaeus ), Cinghiale ( Sus Scrofa ) e Capriolo ( per il Capriolo non si è mai provveduto a ripopolamento), le specie indicate come previsto dal P.F.V.R. sono quelle che, in relazione agli habitat naturali esistenti nel territorio regionale, hanno la maggiore probabilità di ambientamento e sopravvivenza, infatti dagli atti trasmessi risulta che le specie di cui sopra sono state immesse come previsto dal Piano Faunistico Venatorio Regionale, nei tempi , nelle modalità, nel rispetto della loro biologia e con le tecniche necessarie onde evitare traumi “ prima e dopo l'immissione sono state adottate delle

 

 

misure di tutela con la collaborazione degli Agenti volontari di vigilanza venatoria, dalle Associazione Venatorie e dai circoli dei cacciatori del territorio.

Gli ATC hanno inoltre realizzato interventi di miglioramento ambientale riportati al punto 2.1.6 .

ATC RC1 Il bilancio previsionale presentato dall’ATC RC1 per l’anno 2009, espone un totale di entrate pari ad €340.290,13, di cui 26.550,00 per avanzo di Amministrazione vincolato ed €156.740,13 relativo ad avanzo di ammistrazione non vincolato.

Le spese per il funzionamento e la gestione annuale ammontano ad €340.290,13 di cui €80.000,00 destinati per ambientamento fauna. Nello specifico i progetti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di programma di gestione possono essere schematizzati come segue:

- Ripristino habitat ed interventi di miglioramento ambientale;

- Istituzione di banche dati territoriali;

- Interventi sul territorio per l’istituzione di recinti e voliere di ambientamento.

Il bilancio è corredato oltre che della relazione del Collegio dei Revisori dei Conti della situazione finanziaria presunta al 31/12/2008, di un progetto:

• Centro di allevamento per Fagiani in località Aretina di Reggio Calabria l’importo di tale progetto redatto da apposito professionista ammonta ad €59.156,09 .

Il Collegio dei Revisori dei Conti sulla scorta della documentazione lo ha giudicato cooerente con gli obiettivi di gestione 2009 evidenziando che l’attività ordinaria è finanziata parzialmente mediante l’utilizzo dell’avanzo di Amministrazione.

ATC RC2 Il bilancio preventivo presentato dall’ATC RC2 per l’anno 2009, espone un totale di entrate pari ad €752,700,00, di cui 167.000,0013 di Avanzo Esercizi Precedenti, €15.000,00 di avanzo anni precedenti per danni provocati da fauna selvatica, €100.000,00 per Contributi Progetti finalizzati PSR POR Calabria e €50.000,00 per Contributi progetti finalizzati Amministrazione Provinciale.

Le spese per il funzionamento e la gestione annuale e così suddiviso: €63.800,00 per organizzazione generale, €16.400,00 per Revisori dei Conti e Consulenze Fiscali, €93.000,00 per varie e €37.000,00 per gettoni di presenza e rimborsi chilometrici. È prevista la spesa di 345.000,00€ da destinare a progetti di:

- Ripristino habitat ed incentivi agli agricoltori;

- Censimenti e monitoraggi;

- Interventi sul territorio;

- Danni provocati dalla fauna selvatica a terzi;

- Acquisto ed immissione di fauna selvatica .

Il bilancio è corredato oltre che della relazione del Collegio dei Revisori dei Conti della situazione finanziaria previsionale al 31/12/2008.

Si riportato i dati e le località dove sono avvenuti i danni provocati dalla fauna selvatica ( Cinghiale ) e le richieste di indennizzo.

Tab.26   – Richieste risarcimento danni provocati dalla fauna selvatica 

COMUNI A.T.C. RC1 ANNO RICHIESTE Importo liquidato Bova Marina 2005 Richiesta di indennizzo €. 450,00

Bova Marina 2005 Richiesta di indennizzo €. 450,00

 

 

Bova 2005 Richiesta di indennizzo €. 400,00

Bova 2005 Richiesta di indennizzo €. 250,00

Galatro 2005 Richiesta di indennizzo €. 250,00

Galatro 2005 Richiesta di indennizzo €. 200,00

Galatro 2005 Richiesta di indennizzo €.1.000,00

Galatro 2005 Richiesta con esito negativo

San Pietro di Caridà 2005 Richiesta di indennizzo €.1.450,00

Maropati 2005 Richiesta di indennizzo €. 500,00

Maropati 2005 Richiesta di indennizzo €. 500,00

Cardeto 2005 In corso di definizione

Reggio Calabria 2008 In corso di definizione

Reggio Calabria 2008 In corso di definizione

Oppido Mamertina 2008 In corso di definizione

Oppido Mamertina 2008 In corso di definizione

Bagaladi 2008 In corso di definizione

Bagnara Calabra 2008 In corso di definizione

San Pietro di Caridà 2008 In corso di definizione

San Pietro di Caridà 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

San Lorenzo 2008 In corso di definizione

San Lorenzo 2008 In corso di definizione

Scilla 2008 In corso di definizione

Bova 2008 In corso di definizione

S. Stefano in Aspromonte 2009 In corso di definizione

COMUNI A.T.C. RC2 ANNO RICHIESTESamo 2007 Esito negativo

Canolo 2007 In corso di definizione

Bivongi 2008 Richiesta fuori termine

Bivongi 2008 Richiesta fuori termine

Totale somme erogate €

Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento dei danni da cinghiale alle colture agricole. Tale aumento ha riguardato il numero delle denunce mentre l’entità dei risarcimenti erogati non è alta come esposto in tabella ma questo è dovuto essenzialmente alla non definizione delle richieste presentate. Tale incremento è principalmente legato all’aumento della densità della popolazione ed al superamento delle densità soglia. È necessario inoltre considerare una naturale alternanza tra anni in cui il bosco produce forti quantità di alimenti (ghiande, castagne, faggiole) e anni in cui le risorse trofiche spontanee sono scarse. È proprio in queste stagioni che le colture agrarie costituiscono per la specie una forte attrattiva (vigneti, mais, patate, granella stocchi, olive, ed ortaggi in generale) in quanto forniscono alimenti ad alto contenuto energetico, facilmente

 

 

disponibili ed in grande quantità e danni alle reti messe in posa per la raccolta delle olive. Nel prospetto sopra evidenziato per ogni risarcimento sono stati rilevati la località, del danno e importo del risarcimento,

Una attenta analisi dei dati relativi alla distribuzione geografica dei danni, alla tipologia colturale interessata, oltre alla conoscenza delle popolazioni di cinghiali responsabili, permette una corretta lettura del fenomeno al fine di razionalizzare gli interventi volti al contenimento dei danni stessi. Il danno alle attività agricole rappresenta un onere per le casse degli enti gestori, ma non si deve sottovalutare anche il sorgere di conflittualità tra agricoltori e cacciatori, e tra agricoltori ed istituzioni. Parimenti il danno comporta anche problemi di natura organizzativa per gli imprenditori che programmano la gestione dell’azienda agricola e zootecnica . Anche la presenza di aree protette (parchi, oasi, ecc..) e la loro dislocazione, rappresentano spesso la causa di squilibri. Infatti queste aree, durante la stagione di caccia, assumono il ruolo di rifugio dove i cinghiali si concentrano in gran numero. La forte pressione venatoria oltre ad incidere sulla densità agisce anche come fattore di disturbo sulla normale attività di spostamento, inducendo i cinghiali ad aumentare la propria dispersione sul territorio. L’assenza di un prelievo di tipo selettivo, causa inoltre una destrutturazione della popolazione ed un suo eccessivo ringiovanimento. Infatti quando il prelievo viene effettuato attraverso la forma tradizionale di caccia, la battuta o braccata, gli abbattimenti sono a carico soprattutto degli animali adulti. La conseguenza diretta dell’abbattimento delle scrofe adulte, le capobranco, è la perdita della memoria storica del branco ed un aumento dell’erratismo, con un conseguente maggior impatto sulle zone coltivate. L’impatto che il cinghiale esercita sulle coltivazioni e sulle comunità naturali, può essere notevole e lo è in modo particolare quando la sua densità supera determinati valori soglia.

 

 

2.3.3. Caratterizzazione della popolazione venatoria 

2.3.3.1. Numero di cacciatori residenti In provincia di Reggio Calabria, negli anni 70/80, la popolazione di cacciatori residenti ha raggiunto il suo massimo storico con circa 25.000 unità; in seguito si è assistito ad un costante decremento, che ha portato il numero dei praticanti nell’annata venatoria 2007/2008 a 14.706,e un lieve aumento nell'annata 2008/2009 il cui numero si è attestato a 15.242 unità.

L’analisi storica mostra come in alcuni anni vi sia stata una forte contrazione nel numero dei cacciatori seguita da un tendenziale rallentamento, mentre i dati dell’ultimo decennio indicano una relativa stabilizzazione del fenomeno.

Gli anni che hanno fatto registrare le maggiori contrazioni sono il 1983, il 1986 ed il 1991, con una diminuzione rispettivamente – (8%) - (11,6%) (15,4%) unità.

Nella provincia, dagli anni 90, si è avuta complessivamente una riduzione di circa 6.000 cacciatori, con una diminuzione media di circa 300 cacciatori all’anno; nell’ultimo decennio invece il decremento medio si è assestato intorno ai 100 cacciatori all’anno (1,6%). Una tra le cause che ha probabilmente contribuito al rallentamento registrato a partire dagli anni 90 può essere identificata nella crescente diminuzione della selvaggina migratoria, dovuta probabilmente allo spolpamento delle campagne e delle zone collinari e montane, ai cambiamenti climatici e di conseguenza alla mutazione delle rotte di migrazione.

Le analisi sulla popolazione venatoria condotte dal Servizio Caccia e Pesca permettono di evidenziare come il fenomeno descritto per la Provincia di Reggio Calabria sia generalizzato in tutto il territorio regionale e come esso rifletta sostanzialmente la tendenza complessiva a livello nazionale.

Se è vero che la diminuzione del numero dei cacciatori provinciali nell’ultimo triennio ha subito una relativa stabilizzazione, è altresì vero che andando ad osservare l’evoluzione del numero di tesserini rilasciati dai comuni per un totale di 15.242 nell'annata venatoria 2008/2009, mentre nella'annata 2007/2008 erano stati rilasciati 14.706 tesserini da questi due dati risalta un incremento di 536 unità in una sola annata che è pari al 3,6%.

Abilitazioni all’esercizio venatorio rilasciate nel trascorso quinquennio suddivise per anni e tipologie La licenza di porto di fucile per uso di caccia è rilasciata in conformità alle leggi di pubblica sicurezza contenute nel T.U. delle leggi di P.S. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773 “Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”) e regolamentata dalla L. 157/92, dalla L.R. 9/96 art. 17 e dal Regolamento Regionale n° 536 del 2003.

Il primo rilascio avviene a seguito di esami pubblici sostenuti dinanzi alla Commissione di esami di abilitazione all’esercizio venatorio nominata con decreto dell’Assessore Regionale all’Agricoltura – Foreste – Forestazione, Caccia e Pesca . La sede delle Commissioni è presso ogni Amministrazione Provinciale.

Le materie d’esame riguardano le nozioni di:

1. legislazione venatoria;

2. zoologia applicata alla caccia con prove pratiche di riconoscimento delle specie cacciabili;

3. armi e munizioni da caccia e relativa legislazione;

4. tutela della natura e principi di salvaguardia della produzione agricola, con particolare riferimento al territorio Regionale;

5. norme di pronto soccorso.

Legislazione venatoria:

 

 

- Nnormativa nazionale e regionale sull’attività venatoria e nozioni sul calendario venatorio e sulle forme di esercizio della caccia;

- Definizione di selvaggina stanziale e migratoria; Limitazioni alla caccia rispetto ai tempi e ai luoghi; Mezzi consentiti e mezzi vietati per la caccia;

- Appostamenti di caccia;

- Divieto di detenzione e vendita della fauna selvatica;

- Nozioni sulle licenze di caccia (rilascio, rinnovo e validitá delle licenze e assicurazione per responsabilitá civile);

- Caccia programmata, oasi di protezione della fauna;

- Agenti di vigilanza: distinzione tra agenti dipendenti dagli enti delegati e agenti venatori, loro compiti e poteri;

- Organismi preposti alla amministrazione della caccia;

- Sanzioni e procedure.

Zoologia applicata alla caccia con prove pratiche di riconoscimento delle specie cacciabili:

- Concetto elementare di equilibrio della natura;

- Correlazione tra selvaggina ed ambiente;

- Fauna particolarmente protetta e protetta;

- Fauna autoctona e alloctona;

- Fauna migratoria e stanziale;

- Animali che sono esclusi dal novero della selvaggina stanziale e migratoria;

- Inanellamento;

- Rotte di migrazione;

- Riconoscimento di mammiferi e uccelli;

- Principali razze canine;

- Utilizzo delle razze canine da caccia;

- Zone addestramento cani e regolamento delle stesse.

Armi e munizioni da caccia e relativa legislazione:

- Nozioni generali e particolari sulle armi e munizioni usate per la caccia;

- Custodia, manutenzione, controllo e trasporto delle armi da caccia;

- Uso delle armi durante la caccia;

- Nozioni sul tiro con armi da caccia e sulle misure di sicurezza da osservare nel maneggio delle armi;

- Prevenzione degli incidenti contro se stessi ed altri;

- Prova pratica di smontaggio e montaggio delle armi e puntamento.

Tutela della natura e principi di salvaguardia della produzione agricola, con particolare riferimento al territorio Regionale:

- Concetti elementari di tutela dell'ambiente;

- Nozioni generali sugli inquinamenti (aria, acqua e suolo) e sulle deturpazioni ambientali;

- Concetti generali sul riassetto idrogeologico e sulla riforestazione;

- Prevenzione e lotta agli incendi boschivi;

 

 

- Istituti rivolti alla tutela dell'ambiente venatorio (oasi di rifugio, , parchi);

- Concetti elementari sulle coltivazioni in atto (frutti pendenti), sulle coltivazioni specializzate (vigneti, frutteti, vivai,) e loro periodi di maturazione;

- Nozioni sui fondi chiusi, cenni sui rapporti tra cacciatore ed agricoltore e viceversa;

- Nozioni sul rispetto dell'agricoltura da parte del cacciatore;

- Nozioni sul rispetto della selvaggina da parte dell'agricoltore (rispetto delle nidificazioni, norme precauzionali a salvaguardia della selvaggina durante la mietitura e la fienagione, impiego di prodotti non tossici per la selvaggina);

- Indennizzi agli agricoltori per i danni arrecati alle colture agricole.

Norme di pronto soccorso;

- Casi di emergenza;

- Casi di urgenza;

- Casi di non urgenza;

- Tecniche di emergenza per ferite da taglio o arma da fuoco, lussazioni e fratture, morsi di vipera e punture di imenotteri, trasporto infortunato.

Nelle tabelle di seguito e riportato il consuntivo dei candidati agli Esami di Abilitazione all'Esercizio Venatorio e il numero di Attestati di Abilitazione rilasciati, a partire dal 2004 al 2008;

Tab. 27 ‐ Consuntivo dei candidati agli Esami di Abilitazione all'Esercizio Venatorio e il numero di Attestati di Abilitazione rilasciati. Periodo 2004‐2008 

Convocati anno 2004 Attestati Rilasciati

988 710

Convocati anno 2005 Attestati Rilasciati

1034 577

Convocati anno 2006 Attestati Rilasciati

845 456

Convocati anno 2007 Attestati Rilasciati

823 588

Convocati anno 2008 Attestati Rilasciati

1528 1190

TOTALE CANDIDATI 2004--2008 TOTALE ABILITAZIONI 2004--2008

5218 3521

 

L’attuale regime venatorio è regolamentato dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 “ Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.” Dal 1992 nasce una caccia nuova, pianificata e programmata. Il cacciatore deve optare per una forma di caccia e legarsi ad un territorio connesso ad un Ambito Territoriale di Caccia (ATC). Non è un legame indissolubile perché

 

 

può essere interrotto in ogni momento, tuttavia l’esercizio della pratica venatoria è legato alla scelta di un ambito e alla sua attenta programmazione all’interno di un processo che prevede che tutto il territorio agro-silvo pastorale nazionale sia soggetto a pianificazione faunistico-venatoria con diretto riferimento alla conservazione e al riequilibrio delle specie selvatiche, alla riqualificazione delle risorse ambientali e ad un razionale prelievo venatorio. La disposizione normativa ha una valenza generale, considerato che il territorio ricomprende l’intero territorio agro- silvo pastorale all’interno del quale si situano i parchi, le riserve naturali e tutte le aree protette. La previsione del piano faunistico venatorio ha come finalità la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio. I piani faunistico venatori sono predisposti sulla base di una attività di coordinamento alla quale partecipano le Regioni, le Province, il Ministero delle Risorse Agricole e delle Foreste, il Ministero per l’Ambiente. La novità assoluta della legge 157/92 è data dall’aver previsto una gestione programmata della caccia attraverso la collaborazione dei soggetti maggiormente interessati quali: i cacciatori, gli agricoltori e gli ambientalisti. Con la legge 157/92 si passa da una concezione di caccia controllata, così come prevista dalla precedente disciplina legislativa, ad una concezione di caccia programmata, posto che è necessario tenere conto e combinare i vari interessi connessi con l’ambiente e l’agricoltura. Gli aspetti innovativi della legge 157/92 sono rappresentati dai seguenti elementi: ambiti territoriali di caccia; organi degli ambiti territoriali; densità venatoria intesa come rapporto cacciatore e territorio; opzione tra le varie forme di caccia. L’Ambito Territoriale di Caccia rappresenta uno dei perni della riforma introdotta dalla legge 157/92: è attraverso questo istituto che deve realizzarsi in concreto la programmazione dell’attività venatoria. Il nuovo regime di caccia programmata, come è stato già evidenziato, si basa su una predeterminata presenza di cacciatori, legati al territorio e impegnati nella sua gestione: il prelievo è infatti commisurato alle risorse e richiede quindi una cura assidua delle potenzialità ambientali. Uno degli aspetti di maggior rilievo della legge in esame, emerso con forza grazie alla creazione degli ATC, è il ruolo di incentivo allo sviluppo socio-economico dei territori svantaggiati che è possibile ottenere grazie allo sfruttamento oculato del territorio. Il mutuo scambio conoscitivo e la collaborazione che si viene ad instaurare tra i diversi livelli pubblico-privato, non ha solo lo scopo di proteggere l’ambiente e la fauna per permettere ai cacciatori di poter colmare il oro carniere ma quello di ottenere miglioramenti ambientali che portino benefici anche dal punto di vista agricolo e turistico

Tab. 28 – Numero di cacciatori residenti sul territorio provinciale nell’annata venatoria 2008/2009. 

A.T.C. RC1 11723 A.T.C. RC2 3519 TOTALE 15242

Tab.  29  – Numero  di    cacciatori  che  hanno  esercitato  l'attività  venatoria  annata  2008/2009  nei  comuni dell’ATC RC1. 

COMUNI ATC. RC1 N. CACCIATORI CHE HANNO ESERCITATO L'ATTIVITÀ VENATORIA ANNATA 2008/2009

ANOIA 64 BAGALADI 35 BAGNARA CALABRA 195 BOVA 12 BOVA MARINA 120 BRANCALEONE 114 CALANNA 81 CAMPO CALABRO 134 CANDIDONI 18 CARDETO 65 CINQUEFRONDI 250 CITTANOVA 269 CONDOFURI 223 COSOLETO 44 DELIANUOVA 104

 

 

FEROLETO DELLA CHIESA 54 FIUMARA 56 GALATRO 125 GIFFONE 148 GIOIA TAURO 241 LAGANADI 35 LAUREANA DI BORRELLO 207 MAROPATI 35 MELICUCCA' 20 MELICUCCO 157 MELITO DI PORTO SALVO 260 MOLOCHIO 150 MONTEBELLO IONICO 247 MOTTA SAN GIOVANNI 299 OPPIDO MAMERTINA 192 PALIZZI 85 PALMI 510 POLISTENA 179 REGGIO CALABRIA 1^ Circoscrizione 116 REGGIO CALABRIA II^ Circoscrizione 201 REGGIO CALABRIA III^ Circoscrizione 298 REGGIO CALABRIA IV^ Circoscrizione 379 REGGIO CALABRIA V^ Circoscrizione 220 REGGIO CALABRIA VI^ Circoscrizione 205 REGGIO CALABRIA VII^ Circoscrizione 316 REGGIO CALABRIA VIII^ Circoscrizione 462 REGGIO CALABRIA IX^ Circoscrizione 377 REGGIO CALABRIA X^ Circoscrizione 204 REGGIO CALABRIA XI^ Circoscrizione 91 REGGIO CALABRIA XII^ Circoscrizione 324 REGGIO CALABRIA XIII^ Circoscrizione 676 REGGIO CALABRIA XIV^ Circoscrizione 300 REGGIO CALABRIA XV^ Circoscrizione 449 RIZZICONI 149 ROCCAFORTE DEL GRECO 8 ROGHUDI 2 ROSARNO 173 SAN FERDINANDO 43 SAN GIORGIO MORGETO 192 SAN LORENZO 43 SAN PIETRO DI CARIDA' 43 SAN PROCOPIO 36 SAN ROBERTO 138 SANTA CRISTINA D'ASPROMONTE 54 SANT'ALESSIO IN ASPROMONTE 21 SANT'EUFEMIA D'ASPROMONTE 196 SANTO STEFANO IN ASPROMONTE 50 SCIDO 41 SCILLA 209 SEMINARA 95 SERRATA 25 SINOPOLI 25 STAITI 13 TAURIANOVA 469 TERRANOVA SAPPO MINULIO 23 VARAPODIO 54 VILLA SAN GIOVANNI 275 TOTALE 11723

 

 

Tab.  30  – Numero  di    cacciatori  che  hanno  esercitato  l'attività  venatoria  annata  2008/2009  nei  comuni dell’ATC RC2 

COMUNI ATC. RC2 N. CACCIATORI CHE HANNO ESERCITATO L'ATTIVITÀ VENATORIA ANNATA 2008/2009

AFRICO 33 AGNANA CALABRA 15 ANTONIMINA 73 ARDORE 215 BENESTARE 70 BIANCO 95 BIVONGI 55 BOVALINO 156 BRUZZANO ZEFFIRIO 49 CAMINI 29 CANOLO 33 CARAFFA DEL BIANCO 17 CARERI 81 CASIGNANA 22 CAULONIA 340 CIMINA' 43 FERRUZZANO 17 GERACE 61 GIOIOSA JONICA 149 GROTTERIA 148 LOCRI 299 MAMMOLA 91 MARINA DI GIOIOSA JONICA 158 MARTONE 25 MONASTERACE 65 PAZZANO 31 PLACANICA 89 PLATI' 74 PORTIGLIOLA 44 RIACE 71 ROCCELLA JONICA 131 SAMO 23 SAN GIOVANNI DI GERACE 16 SAN LUCA 44 SANT'AGATA DEL BIANCO 38 SANT'ILARIO DELLO JONIO 32 SIDERNO 468 STIGNANO 28 STILO 91 TOTALE 3519

Nell’annata venatoria 2008/2009 la popolazione di cacciatori nella Provincia di Reggio Calabria è di 15.242 unità (prettamente maschili) che rappresentano il 2,71% della popolazione provinciale.

La presenza femminile all’interno del mondo venatorio non è statisticamente significativa, in quanto è rappresentata da sole 8 unità dei cacciatori residenti.

L’interesse per l’attività venatoria è diffusa tra i residenti della pianura e delle zone costiere, come pure negli abitanti delle zone collinari e montane. Ma anche nella città di Reggio Calabria dove troviamo infatti un numero di 4618 cacciatori praticanti.

 

 

2.3.3.2. Età dei cacciatori  L’attività venatoria è particolarmente radicata nella fascia di cittadini con età superiore ai 50 anni, mentre è esigua la presenza di cacciatori nelle fasce giovanili.

L’età media del cacciatore reggino è 58 anni, mentre la classe d’età più numerosa è quella che va dai 55 ai 59 anni; il cacciatore più anziano ha 91 anni. All’interno della popolazione venatoria soltanto il 23% dei cacciatori ha meno di 50 anni.

Il progressivo invecchiamento della categoria è particolarmente evidente se si considera che fino agli anni 90 i cacciatori con meno di 50 anni rappresentavano la maggioranza dei praticanti.

2.3.3.3. Profilo sociale dei cacciatori I settori di attività e le professioni esercitate dai cacciatori reggini nell’anno 2009/2010 sono scaturite dall'analisi dei tesserini e mostra come le categorie più rappresentate siano quelle degli operai e dei pensionati del settore della piccola e media impresa, commercianti, liberi professionisti, agricoltori, lavoratori autonomi, imprenditori e impiegati che assieme costituiscono più del 80% dei cacciatori.

2.3.3.4. Opzioni territoriali di caccia L’analisi dei tesserini venatori rilasciati dai comuni nel 2008/2009 mostra come la maggioranza dei cacciatori residenti eserciti la caccia esclusivamente in ATC e soltanto una piccolissima porzione esclusivamente in aziende venatorie (fuori regione). I cacciatori che hanno optato per la caccia da appostamento fisso con l’uso di richiami vivi, ai sensi dell’art. 12, comma 5, della Legge 157/92, sono stati due.

Dei 15242 cacciatori residenti in Provincia di Reggio Calabria che hanno optato per la caccia in ATC risultano iscritti in 11.723 nell'Ambito Territoriale di Caccia denominato A.T.C. RC 1 mentre gli altri 3.519 risultano iscritti nell'Ambito Territoriale di Caccia denominato A.T.C. RC 2 .

Dai tesserini rilasciati nel 2008/2009 si nota come le scelte dei cacciatori reggini siano pure orientate verso gli ATC delle province limitrofe, Vibo Valentia, Crotone e Cosenza, ed un'altra cospicua parte, in particolare predilige il territorio della dirempettaia Sicilia, dove risultano esercitare l'attività venatoria negli A.T.C. delle provincie di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani. Questa forte tendenza a spostarsi verso il territorio siciliano è dovuto principalmente, all'apertura della stagione venatoria, che inizia generalmente il 1° settembre e anche alla numerosa presenza di fauna che si può abbattere in periodo di preapertura come: coniglio selvatico, tortora , merlo e colombaccio.

2.3.3.5. Quadro conoscitivo dei cacciatori non residenti, suddivisi per A.T.C. Le richieste dei cacciatori non residenti che pervengono sono superiori a quelle che sono le percentuali di ammissione nei due A.T.C.; di queste la maggior parte proviene dalle regioni del centro e dal nord Italia quali: Lombardia, Valle D'Aosta, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio e Sicilia, il numero maggiore di iscritti extraregionali arriva dalle province di Bergamo, Brescia, Torino, Milano,La Spezia, Brescia , Siena, Roma, Perugia.

Vi è da segnalare che una cospicua parte dei cacciatori richiedenti non residenti sono emigranti o figli di emigranti del nostro territorio che essendo rimasti legati al paese dei loro avi, avendo ancora legami familiari e affettivi, ritornano annualmente per esercitare l'attività venatoria e passare un periodo di vacanze.

Il numero di cacciatori in mobilità controllata per la caccia alla fauna migratoria ammessi nei due A.T.C. è riportato come dalla seguente tabella.

Tab. 31 – Numero di cacciatori in mobilità controllata per ATC 

 

 

Numero cacciatori

A.T.C. RC1 191

A.T.C. RC2 92

2.3.3.6. Quadro conoscitivo dei cacciatori residenti, praticanti la caccia al Cinghiale suddivisi per  A.T.C. 

La caccia al cinghiale è praticata a scopo alimentare, commerciale o ricreativo, ed avente come obiettivo principale il cinghiale (Sus scrofa), anche se gli stessi metodi possono essere utilizzati per la caccia ad altri suidi, come maiali rinselvatichiti o ibridi.

Attualmente la caccia al cinghiale a scopo alimentare viene praticata come forma di sussistenza solo dalle culture a base tribale africane, americane ed asiatiche, mentre nelle regioni industrializzate essa viene praticata soprattutto come hobby o come necessità, in quanto la presenza massiccia di cinghiali in un'area ha effetti nefasti sull'ecosistema della zona.

La caccia agli ungulati è fortemente praticata poiché gli ATC, ed in particolar modo l'A.T.C. RC1, , ricadono su un territorio particolarmente vocato per questa specie. Nella Provincia di Reggio Calabria non si è mai effettuato prelievo selettivo.

Il numero di praticanti riportato è indicativo, in quanto desunto dal numero di cacciatori che compongono le squadre autorizzate annualmente dagli A.T.C. per la caccia agli ungulati e nello specifico nella nostra Provincia, per la caccia al Cinghiale, le squadre sono composte da un minimo di 20 ad un massimo di 50 cacciatori.

Il totale squadre che esercitano la caccia su cinghiale nel territorio provinciale annata venatoria 2008/2009 e riportato nella seguente tabella.

Tab. 32 – Squadre che esercitano la caccia al cinghiale  Numero Squadre Numero Cacciatori

A.T.C. RC1 80 1.967

A.T.C. RC2 31 701

Totale 111 2668

Tab. 33 ‐ elenco squadre cinghiali e abbattimenti ATC RC12006‐2007‐2008 

DENOMINAZIONE SQUADRA COMUNE

NUMERO DELLE

BATTUTE

N. CAPI ABBATTUT

 

 

I

Anno 2006 1 PETRULLI GIFFONE 20 08 2 STELITANO PALIZZI 27 22 3 I URPUNI CAMPO CALABRO 13 06 4 TRUNCA-CINGHIALI TRUNCA (RC) 11 07 5 RHU RAGIUNERI MELIA DI SAN ROBERTO 8 04 6 VINCO I REGGIO CAL. 24 13

7 ARMATA BRANCALEONE BRANCALEONE 10 11

8 VALLATA VALANIDI 1 REGGIO CAL. 3 03 9 IL CORVO CINQUEFRONDI 12 04 10 FERMANO 1 GALATRO 22 12 11 SCILLESI SCILLA 23 06 12 COLACARUSO 2002 SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE 9 12 13 I RE DEL BOSCO BOVA MARINA 26 19 14 GRECANICA MELITO PORTO SALVO 5 05 15 LO GNIRRU SAN GIORGIO MORGETO 25 27

16 I VARAPODIESI DI VARAPODIO VARAPODIO 3 03

17 LA SERRATESE SERRATA 9 06 18 VALLATA S. AGATA REGGIO CAL. 34 12 19 ORSO BRUNO REGGIO CAL. 10 05

20 CACCIA SPORT E NATURA SAN ROBERTO 10 06

21 GLI UNGULATI CINQUEFRONDI 6 06 22 ASPROMONTE UNO MOLOCHIO 10 08 23 ZANNA LUNGA FEROLETO DELLA CHIESA 23 20 24 GNAZIO MOSORROFA (RC) 20 04 25 BIG HUNTERS TAURIANOVA 12 09 26 SUS SCROFA TAURIANOVA 19 18

27 DEL BRUTTO GRUGNO SANTO STEFANO D’ASPROMONTE 15 08

28 FALCO CINQUEFRONDI 00 00 29 RAPINO REGGIO CAL. 15 18

30 LUPI D’ASPROMONTE COSOLETO 6 13

31 IL SEGUGIO MOLOCHIO 29 09 32 L’ISTRIANO TAURIANOVA 18 09

33 SQUADRA DI SANTO GAETANO SOLANO DI BAGNARA 29 29

34 SQUADRA DI PEPPE BUETI SOLANO DI SCILLA 17 21

35 FADDEDA CATAFORIO (RC) 00 00 36 STAITI 1 STAITI (RC) 28 19 37 ASPROMONTE SCIDO 20 32 38 GALASIA MOLOCHIO 26 13 39 CERASIA MOLOCHIO 21 12

40 SOLENGO (GLI IMPROVVISATI) PELLEGRINA 10 05

41 DOMENICO VIRGARA OPPIDO MAMERTINA 11 14

42 AMENDOLEA CONDOFURI 2 02 43 ARTEMIDE MONTEBELLO JONICO 5 08

44 CACCIATORI D’ASPROMONTE SAN ROBERTO 10 05

45 IL CINGHIALE VINCO (RC) 20 16 46 I FEMIOTI SANT’EUFEMIAD’ASPROMONTE 28 07 47 TIM SOLENGO CITTANOVA 26 15

 

 

48 WILD BOARD A BARVUTA CITTANOVA 00 00

49 LOREDANA CITTANOVA 35 49

50 MIMMO POLIMENI REGGIO CAL. 25 32 51 DIAVOLI NERI ROCCAFORTE DEL GRECO 13 11 52 VOLPE SAN GIORGIO MORGETO 26 21 53 SAN PASQUALE BOVA MARINA 13 08 54 IL CASTELLO PALIZZI 30 39 55 I FELINI DEI ROVI BARRITTERI 11 14 56 MAIO SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE 21 12 57 ASPROMONTE PALIZZI 10 24 58 SOLENGO BOVA MARINA 25 31 59 IL CINGHIALE VARAPODIO 15 12 60 SQUADRACCIA CITTANOVA 18 06

61 SEZ. COMUNALE ORTI’ SUP. ORTI’ (RC) 5 08

62 SANTO UMBERTO SCILLA ----- 7

63 ZAGARIA CARDETO REGGIO CAL. 6 06

64 VALLATA VALANIDI 2 REGGIO CAL. 3 05 65 I MASSICCI PALIZZI M. (RC) 20 15

66 I SEGUGISTI DI DIMINNITI DIMINNITI (RC) 32 04

67 CORSARO GIUSEPPE MELIA DI SCILLA 00 00

68 PENNA-PRIOLO SANTO STEFANO D’ASPROMONTE 26 20 69 I BUMBULARI GALLINA (RC) 10 04 70 MARCO/GIORGIONE DELIANUOVA 11 18 71 ASPROMONTE SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE ------- 12

TOTALE DELLE BATTUTTE N° 1096 ( dati parziali )

TOTALE CAPI ABBATTUTI N° 869

Anno 2007 1 PETRULLI GIFFONE 19 06

 

 

2 SCILLESI SCILLA 17 15 3 STAITI 1 STAITI 27 25 4 VINCO 1 REGGIO CALABRIA (VINCO) 30 29 5 COLACARUSO 2002 S. EUFEMIAD’ASPROMONTE 24 03 6 STELITANO PALIZZI 27 22 7 TRUNCA-CINGHIALI REGGIO CALABRIA (TRUNCA) 00 00 8 ASPROMONTE UNO MOLOCHIO 13 13 9 I MASSICCI MOLITO PORTO SALVO 24 31 10 IL SEGUGIO MOLOCHIO 25 15 11 VALLATA S. AGATA REGGIO CALABRIA (RAVAGNESE) 14 05 12 ORSO BRUNO REGGIO CALABRIA (SAN SPERATO) 5 07 13 ZANNA LUNGA FEROLETO DELLA CHIESA 21 06 14 FERMANO 1 GALATRO 27 11 15 IL CASTELLO PALIZZI 21 46 16 IL CORVO CINQUEFRONDI 8 06 17 CERASIA MOLOCHIO 34 13 18 LA SERRATESE SERRATA 12 01 19 I FEMIOTI S. EUFEMIA D’ASPROMONTE 27 08

20 IL CINGHIALE 1 REGGIO CALABRIA (VINCO) 18 13

21 VOLPE SAN GIORGIO MORGETO 20 12

22 LU GNIRRU SAN GIORGIO MORGETO ------- 12 23 LOREDANA CITTANOVA 22 14

24 FADDEDA REGGIO CALABRIA (S. SALVATORE) 00 00

25 RHU RAGIUNERI MELIA SAN ROBERTO 6 08 26 GALASIA MOLOCHIO 38 09

27 VIRGARA DOMENICO OPPIDO MAMERTINA 16 09

28 IL CINGHIALE VARAPODIO 21 22 29 GNAZIO REGGIO CALABRIA (MOSORROFA) 11 14 30 FALCO CINQUEFRONDI 5 07 31 SOLENGO BOVA MARINA 18 16 32 SQUADRACCIA CITTANOVA 23 14 33 BIG HUNTERS TAURIANOVA 9 04 34 L’ISTRIANO TAURIANOVA 10 03 35 SUS SCROFA TAURIANOVA 14 06 36 RAPINO REGGIO CALABRIA 21 30

37 SQUADRA DI PEPPE BUETI SOLANO DI SCILLA 30 35

38 GLI UNGULATI CINQUEFRONDI 13 10

39 SQUADRA DI SANTO GAETANO SOLANO DI BAGNARA 31 33

40 I BUMBULARI REGGIO CALABRIA (GALLINA) 12 03

41 CACCIATORI D’ASPROMONTE CAMPO CALABRO 12 05

42 DEL BRUTTO GRUNO SANTO STEFANO D’ASPROMONTE 17 05

43 I VARAPODIESI VARAPODIO 3 00 44 ARTEMIDE MONTEBELLO IONICO 5 06

45 WILD BOARD A BARVUTA CITTANOVA 3 04

46 TEAM SOLENGO CITTANOVA 27 10

47 CACCIA SPORT E NATURA LAGANADI 21 21

48 CORSARO GIUSEPPE SAN ROBERTO 16 09

49 CARDETO ZAGARIA REGGIO CALABRIA (CARDETO) 21 11 50 I RE DEL BOSCO BOVA MARINA 30 22

 

 

51 ASPROMONTE PALIZZI ------ 12 52 DIAVOLI NERI ROCCAFORTE DEL GRECO 20 10

53 I SEGUGISTI DI DIMINNITI REGGIO CALABRIA (DIMINNITI) 26 07

54 MIMMO POLIMENI REGGIO CALABRIA 16 14

55 SEZ. COMUNALE ORTI’ SUP. REGGIO CALABRIA (ORTI’) 00 00

56 MAIO SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE 17 12 57 I FELINI DEI ROVI BARRITTERI 14 22 58 SANTO UBERTO SCILLA 15 12 59 PENNA-PRIOLO SANTO STEFANO D’ASPROMONTE 20 26

60 SOLENGHI 2007 GLI IMPROVVISATI PELLEGRINA 00 00

61 AMENDOLEA SINOPOLI 4 07

62 LUPI DELL’ASPROMONTE COSOLETO 36 26

63 MARCO/GIORGIONE DELIANUOVA 14 25

64 I CUGINI DI SAN PASQUALE SCILLA 30 15

65 SQUADRA MELIA “IURPUNI” MELIA DI SAN ROBERTO 21 30

66 VALLATA VALANIDI 1 REGGIO CALABRIA 6 15 67 VALLATA VALANIDI 2 MOTTA SAN GIOVANNI ----- 12 68 ASPROMONTE MANNOLI DI S. STEFANO 12 10 69 ASPROMONTE 1 SCIDO -------- 20 TOTALE DELLE BATTUTTE N° 1122 (Dati parziali )

Anno 2008 1 WILD BOARD A

BARVUTA CITTANOVA ------ 10

2 LUPI D’ASPROMONTE

COSOLETO 12 22

3 STAITI 1 STAITI 27 27 4 TRUNCA-CINGHIALI REGGIO CALABRIA

(TRUNCA) ------- 4

 

 

5 SOLENGHI 2007 GLI IMPROVVISATI

PELLEGRINA ------- 5

6 IL CINGHIALE REGGIO CALABRIA (VINCO)

------- 04

7 SCILLESI SCILLA 21 24 8 FERMANO 1 GALATRO 19 13 9 PETRULLI GIFFONE 21 06 10 I RE DEL BOSCO BOVA 21 24 11 CORSARO

GIUSEPPE SAN ROBERTO -------- 7

12 VINCO 1 VINCO (RC) 00 00 13 STELITANO PALIZZI 19 64 14 DIAVOLI NERI ROCCAFORTE DEL GRECO 14 18 15 VOLPE SAN GIORGIO MORGETO ------- 10 16 LU GNIRRU SAN GIORGIO MORGETO ------- 8 17 COLACARUSO 2002 SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE 28 11 18 ZANNA LUNGA GALATRO 18 11 19 LOREDANA CITTANOVA 25 39 20 RAPINO REGGIO CALABRIA ------ 21 RHU RAGIUNERI SAN ROBERTO 10 16 22 I BUMBULARI REGGIO CALABRIA 10 04 23 I FEMIOTI SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE 27 08 24 IL SEGUGIO MOLOCHIO 14 05 25 LA SERRATESE SERRATA 9 13 26 SQUADRA MELIA

“I URPUNI” MELIA DI SAN ROBERTO 16 28

27 I VARAPODIESI VARAPODIO 3 03 28 CACCIATORI

D’ASPROMONTE SAN ROBERTO 16 11

29 IL CORVO CINQUEFRONDI 7 08 30 I MASSICCI PALIZZI 20 21 31 VALLATA VALANIDI I REGGIO CALABRIA 00 00 32 VALLATA VALANIDI II REGGIO CALABRIA 00 00 33 I CUGINI DI SAN

PASQUALE SCILLA 28 08

34 SQUADRA DI PEPPE BUETI

SOLANO SUP. (SCILLA) 14 17

35 SQUADRA DI SANTO GAETANO

SOLANO INF. (BAGNARA) 24 28

36 GNAZIO REGGIO CALABRIA 10 07 37 L’ISTRIANO TAURIANOVA 10 05 38 ASPROMONTE UNO MOLOCHIO 6 10 39 MAIO SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE 15 29 40 I FELINI DEI ROVI SEMINARA 14 18 41 I SEGUGISTI DI

DIMINNITI REGGIO CALABRIA

18 17

42 GLI UNGULATI CINQUEFRONDI ------ 7 43 CERASIA MOLOCHIO 30 12 44 GALASIA MOLOCHIO 28 16 45 TEAM SOLENGO CITTANOVA 18 13 46 FALCO CINQUEFRONDI 5 05 47 VIRGARA

DOMENICO OPPIDO MAMERTINA 9 12

48 VALLATA S. AGATA REGGIO CALABRIA 14 16 49 IL CINGHIALE VARAPODIO ------ 11 50 FADDEDA CATAFORIO (REGGIO CAL.) 1 01 51 SEZ. COMUNALE

ORTI’ SUPERIORE REGGIO CALABRIA 5 05

52 ASPROMONTE PALIZZI MARINA ------ 9 53 SQUADRACCIA CITTANOVA 12 04

 

 

54 SUS SCROFA TAURIANOVA 28 09 55 BIG HUNTERS TAURIANOVA 13 05 56 CARDETO ZAGARIA CARDETO 14 21 57 MIMMO POLIMENI REGGIO CALABRIA ------ 6 58 SOLENGO BOVA MARINA 26 24 59 SANTO UMBERTO SCILLA ------ 5 60 CACCIA SPORT E

NATURA LAGANADI 23 32

61 ARTEMIDE MONTEBELLO I. 3 06 62 MARCO/GIORGIONE DELIANUOVA ------ 7 63 DEL BRUTTO

GRUGNO SANTO STEFANO D’ASPROMONTE 11 11

64 IL CASTELLO PALIZZI ------ 10 65 PENNA-PRIOLO SANTO STEFANO D’ASPROMONTE 9 19 66 ASPROMONTE 1 SCIDO ------ 6 67 AMENDOLEA SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE 6 05 68 SAN PASQUALE BOVA MARINA ------ 6 69 ORSO BRUNO DELIANUOVA 15 10 70 MUCCHIO

SELVAGGIO OPPIDO MAMERTINA ------ 5

71 INDIANI OPPIDO MAMERTINA (MESSIGNADI) ------ 7 72 GLI AMICI DI SAN

BRUNO REGGIO CALABRIA 24 13

73 ORSI DELLE SCRISE

PALMI 2 00

73/A

ASPROMONTE TERMINETOR

REGGIO CALABRIA ------ 4

74 I URPUNI II° CAMPO CALABRO 9 09 75 CINGHIALAI

“CANNAVO” REGGIO CALABRIA 25 28

76 ARMATA BRANCALEONE

BRANCALEONE 22 24

77 LA VOLPE CALANNA 11 20 78 RIVALE REGGIO CALABRIA ------ 7 79 S. GIORGIO SAN GIORGIO MORGETO 3 03 80 LA REGINA BAGNARA CALABRA 5 09 TOTALE DELLE BATTUTTE N° 865 (Dati parziali )

TOTALE CAPI ABBATTUTI N°

 

 

982

 

Tab. 34 ‐ elenco squadre cinghiali e abbattimenti ATC RC2 2007 

DENOMINAZIONE SQUADRA COMUNE

NUMERO DELLE

BATTUTE

N. CAPI ABBATTUTI

Anno 2007 1 FOLGORE BIVONGI 00 00 2 FRANCO- OBILE CAULONIA 24 11 3 COMITO CAULONIA 18 7 4 SAN NICOLA CAULONIA 00 00 5 MONTE GALLO CAULONIA 00 00 6 BIVONGI PAZZANO 25 10 7 PAZZANO PAZZANO 14 3 8 TITI 1 PLACANICA 13 2 9 CORVO STILO 5 5 10 CIRCOLO

CACCIATORI PRISDARELLO

GIOIOSA JONICA 10 4

11 ROCCO MARTINO DETTO COSCIA

GIOIOSA JONICA 2 3

12 TRAPPEZZIERE GIOIOSA JONICA 16 4 13 PEPPE I LIMINA GROTTERIA 17 18 14 ACQUA DEL SOLE MAMMOLA 19 24 15 CALLA’ PEJARO MAMMOLA 00 00 16 I TERRIBILI MAMMOLA 00 00 17 I GORILLA MARTONE 6 10 18 TRAMONTANA MARINA DI GIOIOSA JONICA 00 00 19 ROCCELLA 1 ROCCELLA JONICA 14 3 20 IRREDUCIBILI AFRICO 00 00 21 ASPROMONTE ANTONIMINA 00 00 22 ANTONIMINA ANTONIMINA 00 00 23 SAN NICOLA ARDORE 00 00 24 DIAVOLA CASIGNANA 00 00 25 CASIGNANA CASIGNANA 00 00 26 LA LUPA SANT’AGATA DEL BIANCO 19 29 27 ASPROMONTE SANT’AGATA DEL BIANCO 6 8 28 CINGHIALAI SAMESI SAMO 00 00 29 NATALE SAMO 00 00

 

 

30 SAN LUCA ONE SAN LUCA 00 00 31 I RRè SAN LUCA 8 25 32 ROCCELA 1 ROCCELLA JONICA 27 50 TOTALE BATTUTE 243 T

OTALE CAPI ABBATTUTI 216

Nella nostra Provincia la pratica del controllo è a tutt’oggi quasi inesistente, complici le non sempre univoche interpretazioni delle normative, lo scarso numero di persone qualificate, ma soprattutto la ridotta attenzione per la gestione che solo negli ultimi tre anni ha subito una inversione di tendenza. La totalità degli abbattimenti avvengono quindi attraverso la caccia non programmata, nei territori ( Gli A.T.C.in questa fase col supporto di un Faunista qualificato DREAm stanno provvedendo a programmare la caccia al Cinghiale con l’assegnazione dei Distretti ) alle squadre. L’analisi dei carnieri è quindi una fonte notevolissima di informazioni utili ai fini gestionali. Per l’ottimale sfruttamento di questi dati è tuttavia necessario che si consolidi nei cacciatori la coscienza del loro ruolo di compartecipi nella gestione del territorio, e non più semplici fruitori delle risorse. Grazie alla maggiore disponibilità e solerzia degli stessi è possibile utilizzare dati sempre più precisi ed articolati che permettono una stima della consistenza della popolazione, della dinamica e della struttura, tutti parametri indispensabili per una corretta gestione. Dall’esame dei dati risulta che nel corso degli ultimi tre anni il numero di capi abbattuti nelle singole stagioni venatorie non è estremamente variabile.

2.3.3.7. Quadro conoscitivo dei cacciatori non residenti, provenienti da stati Comunitari o non comunitari. 

Le richieste dei cacciatori non residenti che proviene da Stati esteri e Comunitari sono una parte statisticamente non significativa.

Pervengono tutte da emigranti della nostra provincia che negli anni del grande spopolamento che ha interessato tutto il nostro territorio ( Costiero, Collinare e Montano) si sono trasferiti in Argentina, in Brasile, negli Stati Uniti, Canada e Australia, che essendo rimasti legati sentimentalmente ed emotivamente ai paesi di origine, ritornano saltuarimente per esercitare l'attività venatoria .

Cacciatori provenienti da Stati Esteri o Comunitari autorizzati dalla Provincia di Reggio Calabria presenti sul terririo provinciale annata venatoria 2009/2010 e indicato nella seguente tabella.

 

 

Tab. 35 – Cacciatori provenienti da Stati Esteri o Comunitari autorizzati  Numero cacciatori

A.T.C. RC1 4

A.T.C. RC2 3

TOTALE 7

2.3.3.8. Iniziative da intraprendere La formazione deI mondo venatorio deve costituire uno degIi obbiettivi principaIi che gIi enti preposti devono perseguire aI fine di accrescere iI IiveIIo cuIturaIe dei cacciatori chiamati sempre di pià ad essere parte attiva deIIa gestione e non sempIici fruitori deI patrimonio fauna. In particoIare dovranno essere reaIizzati incontri formativi per iIIustrare Ie attività che gIi ATC attuano suI territorio, con particoIare riferimento aIIe specie cacciabiIi oggetto di immissioni. Dovranno essere iIIustrati in particoIare i principi di bioIogia deIIa seIvaggina e i risuItati ottenuti con i Ianci definiti pronto caccia in paragone con queIIi ottenuti con forme di aIIevamento e gestione deI territorio pià rispondenti aIIe esigenze dei seIvatici.

Per quanto riguarda Ia caccia aI cinghiaIe, unico unguIato cacciabiIe in Provincia di Reggio CaIabria, dovranno essere programmati corsi di formazione per i nuovi abiIitati propedeutici per I’iscrizione aII’aIbo ProvinciaIe dei cacciatori di cinghiaIe, aI quaIe verranno iscritti d’ufficio tutti i cacciatori che hanno già effettuato in passato taIe forma di caccia. In merito a quest’uItimi, per un doveroso aggiornamento e coinvoIgimento suIIe pratiche gestionaIi che Ia Provincia intende adottare, dovranno essere organizzati eventi formativi per una rappresentanza significativa di ogni squadra. In particoIare tutti i capisquadra dovranno, neII’ambito temporaIe di vaIidità deI PFV, frequentare specifici corsi di formazione.

Vengono pertanto individuate Ie seguenti abiIitazioni:

• cacciatore di cinghiaIe in forma coIIettiva;

• caposquadra per Ia caccia aI cinghiaIe in forma coIIettiva;

• conduttore di cane da traccia;

• riIevatore biometrico;

Tutti i percorsi formativi devono prevedere un programma articoIato in moduIi che contempIino Ia conoscenza deIIa bioIogia deIIa specie, i principi generaIi di monitoraggio e gestione, I’uso deIIe armi e Ie norme di sicurezza; i programmi dovranno essere approvati daII’ISPRA (ex INFS).

QuaIora vengano attuati progetti specifici per Ia gestione deI cinghiaIe anche con forme diverse di preIievo rispetto aIIa braccata, e soIo in queI caso, potranno essere previste aItre figure abiIitate:

• coadiutore aI controIIo deI cinghiaIe con metodi seIettivi;

• conduttore di cane Iimiere.

In merito ai coadiutori aI controIIo deI cinghiaIe con metodi seIettivi, è opportuno ricordare che iI Parco NazionaIe deII’Aspromonte ha già abiIitato con moduIi formativi adeguati un numero di poco superiore aIIe 80 unità, che potrebbero essere aII’occorrenza utiIizzati neI territorio di competenza degIi ATC attraverso iI riconoscimento deII’equipoIIenza da parte deII’Amministrazione ProvinciaIe.

Per quanto riguarda iI controIIo deIIe specie opportuniste, dovranno essere pianificati corsi di formazione finaIizzati aI riIascio di abiIitazioni specifiche per specie:

• coadiutore per iI controIIo dei corvidi;

• coadiutore per iI controIIo deIIa voIpe.

Anche in questo caso tutti i percorsi formativi devono prevedere un programma articoIato in moduIi che contempIino Ia conoscenza deIIa bioIogia deIIe specie, i principi generaIi di

 

 

monitoraggio e gestione, l’uso delle armi, degli strumenti di cattura (larsen, eccN) e le norme di sicurezza; i programmi dovranno essere approvati dall’ISPRA (ex INFS).

 

 

2.3.4. Vigilanza venatoria  

2.3.4.1.Fabbisogno di agenti sul territorio Nel P.F.V.P. redatto nel 1997 risultava necessario un adeguamento del numero di addetti alla vigilanza, che contava un numero di 13 (tredici) unità, con un rapporto guardie/ettari di una guardia ogni 24.500 ettari ed un rapporto di 1 guardia ogni 1450 cacciatori.

Dalle linee di indirizzo più volte espresse dall’ex Istituto nazionale per la Fauna Selvatica (I.N.F.S.) per un ottimale funzione di vigilanza necessitava sul territorio la presenza di un Agente ogni 3000 ettari circa era quindi necessario a tal fine procedere all’assunzione di nuovo personale. La pianta organica dell’Ente prevedeva 41 unità di personale addetto al servizio di vigilanza ambientale-ittico-venatoria, con l’obiettivo di raggiungere il rapporto di una guardia ogni 7800 ettari di territorio ed ogni 450 cacciatori. Il P.F.V.P., riportava inoltre, lo schema delle prove di selezione relative ad un probabile bando per la selezione di personale.

In data 27 maggio 1997 la Provincia di Reggio Calabria ha indetto un concorso per l’assunzione di 15 vigili ittico venatori che ha portato dopo l’espletamento dello stesso, all’assunzione in data 01/10/2001 delle quindici unità previste dal bando.

In data 06/11/2001 con delibera esecutiva il 02/01/2002 il Consiglio Provinciale ha costituito il Corpo della Polizia Provinciale per poter affrontare le innumerevoli funzioni assegnate alle Province fra cui la vigilanza ambientale, stradale ed amministrativa, trovandosi con un organico insufficiente a tale scopo. Per sopperire a questa carenza di personale in data 29/12/2003 con lo scorrimento della graduatoria dei vigili ittico venatori ha provveduto all’assunzione di altri 9 Agenti di Polizia Provinciale.

Tra le attività peculiari degli addetti alla vigilanza così come più volte sottolineato dall’ ISPRA (ex INFS) occorre precisare le specifiche mansioni che sono:

• Prevenzione e repressione dei reati in materia venatoria;

• Censimenti della fauna selvatica;

• Monitoraggio dello status delle popolazioni;

• Verifica dell’attuazione degli interventi di miglioramento ambientale;

• Vigilanza nell’esecuzione dei programmi di ripopolamento;

• Interventi di contenimento numerico delle popolazioni;

• Studi e ricerche sulla fauna selvatica.

Dal 2002 con l’Istituzione del Corpo di Polizia Provinciale della Provincia di Reggio Calabria le competenze in materia venatoria sono state trasferite alla Sezione ittico-venatoria del Corpo, che ha svolto, inoltre altre attività di P.G. in altri settori di competenza del Corpod di P.P..

Attualmente la Sezione ittico venatoria del Corpo di Polizia Provinciale comprende l’utilizzo di 4 unità per i 97 Comuni della Provincia. In proporzione al numero di cacciatori presenti nel territorio, risulta la presenza di un Agente di Polizia provinciale ogni 3800 cacciatori circa, numero insufficiente a garantire sul territorio la funzione di vigilanza.

Particolare attenzione da parte del Corpo di Polizia Provinciale è stata rivolta al fenomeno delle rapine dei fucili nei confronti dei cacciatori, caratteristica unica di questa provincia, diventata ormai per la sua diffusione e frequenza una vera e propria piaga.

Sono stati, infatti, svolti servizi mirati per contrastare tale attività in particolare nei Comuni di Bruzzano Zeffirio, Ferruzzano, Africo, Cosoleto, Melicuccà, Sinopoli, Oppido Mamertina, Rosarno, che statisticamente risultano quelli dove il fenomeno si verifica con maggiore frequenza.

L’attività si è svolta effettuando posti di controllo diurni e notturni nelle località e negli orari dove sono avvenute le rapine ai cacciatori, con l’ausilio di visori notturni e personale in borghese e con mezzi civetta.

 

 

Oltre agli Agenti della Provincia è impegnato nel controllo venatorio il personale del Corpo Forestale dello Stato.

L’attività di vigilanza viene svolta, inoltre, da numerose Associazioni presenti sul territorio provinciale dotate di personale addetto alla vigilanza così come previsto dall’art. 27 c. 1 l. b della Legge 157/92, munite di Decreto di G.V.V. rilasciato dal Presidente della Provincia che vengono di seguito elencate, le stesse coordinate dalla Sezione di Polizia ittico venatoria, effettuano i servizi sul territorio segnalando al Corpo di P.P. eventuali violazioni o reati per gli adempimenti di Legge.

Tab. 36 – Distribuzione delle Guardie Venatorie volontarie sul territorio della Provincia di Reggio Calabria 

N. Associazioni Guardie Venatorie Volontarie (G.V.V.)

1 A.N.L.C. (Associazione Nazionale Libera Caccia) 21 2 A.N.P.A.N.A. (Associazione Nazionale Protezione

Animali Natura e Ambiente) 43

3 A.N.U.U. (Associazione Nazionale Uccellatori e Uccellinai)

22

4 Arci Caccia 28 5 Arci pesca 164 6 Enalcaccia 46 7 Comune di Africo 1 8 Comune di Bianco 2 9 Comunità Montana versante Tirrenico meridionale 1 10 F.I.D.C. (Federazione Italiana della Caccia) 104 11 C.S.T (Caccia Sviluppo Territorio) 1 12 Italcaccia 17 13 P. C. A. (Polizia Costiera Ausiliaria) 11 Totale G.V.V. addette alla vigilanza venatoria 4

61

2.3.4.2. Illeciti amministrativi Per evidenziare i più diffusi illeciti amministrativi connessi all’attività di prevenzione e vigilanza si riportano di seguito alcune tabelle (25 e 26) esplicative:

Principali Violazioni Amministrative Legge 157/92:

Art. 21 c. 1 l. e – Cacciare a distanza inferiore a 100 m. da immobili o a meno da 50 m. da vie di comunicazioni ferroviarie o strade carrozzabili escluso strade poderali e interpoderali;

Art. 21 c. 1 l. f – Sparare a distanza inferiore a 150 m in direzione di immobili, vie di comunicazione o spazi adibiti al ricovero di bestiame;

Art. 31 c. 1 l. i – Mancanza della prescritta annotazione sul tesserino venatorio;

Art. 31 c. 1 l. m – Mancata esibizione tesserino venatorio;

Art. 31 c. 1 l. g – Violazione degli orari di caccia o Abbattimento, cattura, detenzione fringillidi in numero non superiore a 5;

Art. 31 c. 1 l. f – Caccia in fondi chiusi.

Principali Violazioni Amministrative Legge Regionale 9/96:

Art. 15 c. 1 – Caccia da appostamento alla beccaccia

Art. 20 c. 2 – Abbandono dei bossoli delle cartucce sul luogo di caccia

 

 

Art. 20 c. 4 – Addestramento cani da caccia in periodo non consentito ( 1febbraio–1agosto). Consentito dal 2 agosto al 31 agosto nei giorni di mercoledì, sabato e domenica.

2.3.4.3. Illeciti Penali Per evidenziare i più diffusi illeciti penali connessi all’attività di prevenzione e vigilanza si riportano di seguito alcune tabelle esplicative:

Principali Violazioni Penali Legge 157/92:

Art. 3, Art. 30 c. 1 l. e Divieto di uccellagione, prelievo di uccelli, uova, piccoli;

Art. 30 c. 1 l. b. Abbattimento, cattura, detenzione mammiferi o uccelli art. 2;

Art. 30 c. 1 l. h. Abbattimento, cattura, detenzione mammiferi o uccelli non consentiti o fringillidi di numero superiore a 5;

Art. 21 c. 1 l. r, Art. 30 c. 1 l. h. Uso di richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono;

Art. 21 c. 1 l. b, Art. 30 c. 1 l. d. Esercizio della caccia in parchi nazionali, regionali, oasi o riserve.

Principali Illeciti penali in materia venatoria durante l’anno solare

• Pratica dell’uccellagione tramite reti per la cattura dei nidiacei di cardellino ed altri fringillidi dal mese di aprile al mese di agosto;

• Pratica dell’uccellagione tramite reti durante la migrazione post-nuziale da ottobre a dicembre del cardellino ed altri fringillidi (verdoni, lucherini, frosoni);

• Pratica dell’uccellagione tramite reti verticali da ottobre ad aprile dei turdidi, delle beccacce e dei fringillidi nella fascia aspromontana della Piana di Gioia Tauro;

• Uso di richiami elettromagnetici vietati per l’addestramento dei cani da penna su quaglie selvatiche dal mese di maggio ad agosto;

• Uso di richiami elettromagnetici vietati per la caccia alla quaglia dal mese di settembre a dicembre;

• Uso di richiami elettromagnetici vietati per la caccia ai turdidi ed agli alaudidi dal mese di ottobre a gennaio;

• Bracconaggio al Falco pecchiaiolo tra la metà da metà di aprile a tutto il mese di giugno e durante i mese di settembre e ottobre;

• Bracconaggio migratori primaverili dal mese di aprile al mese di maggio (quaglia e tortora);

• Bracconaggio all’interno del Parco Nazionale d’Aspromonte durante tutto l’anno solare (ore diurne e notturne) su lepri e cinghiali;

• Uso di trappole per la cattura di Cinghiali;

• Commercio di fringillidi da canto.

Si riportano, inoltre, i dati statistici relativi agli illeciti comminati dalla Polizia Provinciale, nel quinquennio 2004/2008, precisando che durante questo periodo l’abbassamento numerico delle infrazioni è dovuto esclusivamente alla nuova organizzazione del Corpo ed alla mancanza delle figure professionali di un Comandante effettivo e di Ufficiali di P.G..

Tab.37 – Numeri di infrazioni venatorie per anno 

 

 

Polizia Provinciale di Reggio Calabria

Infrazioni venatorie 2004/2008

2004 2005 2006 2007 2008 Sanzioni amministrative 46 39 31 0 4 Notizie di reato 66 46 21 5 0

 

Fig. 17 – Distribuzione percentuale delle sanzioni amministrative 

 

 

Fig. 18 – Distribuzione percentuale delle notizie di reato 

Tab. 38 – Infrazioni venatorie per Comune 2004‐2008 

2004Comune Notizie di reato Sanzioni Amministrative Bagnara C. 1 0 Bova M. 7 0 Brancaleone 2 0 Bruzzano Z. 5 1 Calanna 0 2 Camini 2 0 Campo Calabro 1 1 Condofuri 1 1 Cosoleto 3 7 Ferruzzano 0 0 Galatro 4 4 Gioiosa J. 0 1 Grotteria 1 1 Mammola 0 3 Marina di Gioiosa J. 0 1 Maropati 0 1 Melicuccà 2 1 Melito P.S. 2 3 Montebello J. 5 2 Palizzi 5 0 Reggio Calabria 12 10 Riace 3 0 Roccella J. 0 1 Rosarno 2 1

 

 

S. Eufemia d'A. 4 1 S. Giorgio M. 0 1 S. Lorenzo 0 2 S. Pietro di Caridà 1 1 Sinopoli 1 0 Staiti 1 0 Stignano 1 0 TOTALI 21 31 2005 Comune Notizie di reato Sanzioni Amministrative Bagnara C. 0 2 Benestare 1 0 Bianco 0 1 Bova M. 5 1 Brancaleone 3 4 Campo Calabro 0 2 Cardeto 0 2 Caulonia 1 0 Cinquefrondi 1 0 Condofuri 2 1 Cosoleto 1 3 Ferruzzano 1 1 Galatro 1 3 Gioiosa J. 1 0 Mammola 0 2 Marina di Gioiosa J. 2 0 Maropati 1 0 Melicuccà 0 1 Melito P.S. 2 1 Molochio 2 2 Montebello J. 3 1 Motta S. G. 1 0 Reggio Calabria 4 2 Riace 1 0 Roccella J. 2 0 Rosarno 2 2 S. Alessio d. A. 0 1 S. Eufemia d'A. 2 1 S. Lorenzo 2 0 S. Roberto 0 3 Staiti 0 3 TOTALI 46 39 2006 Comune Notizie di reato Sanzioni Amministrative Bianco 0 2 Bova M. 2 1

 

 

Brancaleone 2 0 Bruzzano Z. 0 2 Campo Calabro 0 2 Caraffa d. Bianco 0 1 Casignana 0 1 Molochio 2 0 Montebello J. 3 2 Motta S. G. 1 0 Oppido M. 0 3 Placanica 0 1 Reggio Calabria 2 6 Roghudi 1 1 Rosarno 2 2 S. Lorenzo 2 0 S. Pietro di Caridà 1 3 Samo 2 1 Taurianova 0 1 Terranova S. M. 0 2 Villa S. G. 1 TOTALI 21

2007 Comune Notizie di reato Sanzioni Amministrative Cittanova 1 0 Reggio Calabria 2 0 Varapodio 2 0 TOTALI 5 0

2008 Comune Notizie di reato Sanzioni Amministrative Cardeto 0 1 S. Agata d. B. 0 2 Reggio Calabria 0 1 TOTALI 0 4

2.3.3.4. Adeguamento del personale e decentramento operativo 

Nel territorio dalla Provincia di Reggio Calabria risulta evidente un insufficiente numero di addetti all’attività di controllo, dovuto a molteplici fattori, da identificare in una vasta dimensione territoriale, ed ad una densità di cacciatori una fra le più alte d’Italia.

Sono stati registrati da parte del personale del Corpo della Polizia Provinciale, negli ultimi 5 anni, 123 illeciti amministrativi con una media di 25 per anno ed un numero di 138 illeciti penali con una media di 28 per anno, che risultano pochi a causa del numero limitato di servizi svolti in questo settore.

Da ciò emerge una diffusa illegalità soprattutto di carattere penale su tutto il territorio, con concentrazioni elevate nelle zone meno soggette ai controlli che risultano essere, quella dell’area jonica della provincia reggina e quella interna dell’area tirrenica.

Ciò viene evidenziato, anche dai dati relativi al recupero di animali feriti, 342 negli ultimi 5 anni 2004/2008 con una media di 68 animali per anno, sebbene è da precisare che gli animali

 

 

recuperati oltre che da ferite di arma da fuoco presentano patologie dovute ad avvelenamento o ad incidenti stradali.

Il Corpo di Polizia Provinciale oggi opera su una complessa disciplina giuridica, con l’impegno nella tutela e la protezione ambientale del territorio, la sicurezza sulla rete viaria, i controlli amministrativi nonchè in materia ittico-venatoria.

Per il raggiungimento della completa efficienza ed efficacia operativa del Corpo è necessario adeguare le risorse umane e strumentali per poter operare al meglio sul territorio.

Per il completo assetto strutturale di questo Corpo di Polizia, tenuto conto del vasto territorio di competenza su cui dovrà operare, è stato previsto un programma di decentramento operativo mediante la creazione di altre tre zone operative individuate con l’istituzione di un Comando a Palmi per la zona Tirrenica, uno a Locri per la zona Jonica, ed uno a Gambarie nel Comune di S. Stefano d’Aspromonte per la zona interna e per il Parco Nazionale d’Aspromonte.

Verranno quindi a tal fine, approntate sedi attrezzate per ospitare Uffici, per garantire gli alloggi al personale distaccato e per custodire gli automezzi in dotazione.

Per attuare tutto ciò sarà è in programma un concorso pubblico per procedere ad un sostanziale potenziamento del personale che porterà dalle 27 unità di oggi a raggiungere un organico di 70 unità destinando 20 Agenti alla Sezione ittico-venatoria del Corpo.

Per quanto concerne il funzionamento delle strutture periferiche da istituire per il raggiungimento del decentramento operativo, ad ogni distaccamento dovranno essere assegnati un congruo numero di Agenti coordinati da un Ufficiale di P.G..

2.3.3.5. Danni fauna registrati, interventi di prevenzione dei danni, attività di controllo della fauna selvatica 

Non sono stai effettuati da parte del Corpo di Polizia Provinciale, censimenti dei danni provocati dalla fauna selvatica, in quanto non sono pervenute ai nostri Uffici denunce di danni, e di conseguenza effettuati interventi di prevenzione degli stessi, non ès tata quindi svolta attività di controllo della fauna selvatica. Queste attività sono state effettuate dagli ATC RC1 ed ATC RC

 

 

2.4. Risultati e considerazioni sulle strategie gestionali previste dal precedente Piano Faunistico 

Il Piano Faunistico Venatorio Provinciale 1998-2002 è stato approvato dal Consiglio Provinciale con deliberazione n. 18 del 18/03/1998.

La predisposizione ed adozione del Piano faunistico venatorio ha consentito alla Provincia di ottemperare alle disposizioni di legge (L. 157/92 e L.R. 9/96 ) che prevedevano che “tutto il territorio agro-silvo-pastorale fosse soggetto a pianificazione faunistico venatoria finalizzata”.

Lo strumento base che ha permesso l’implementazione e l’attuazione, per la prima volta sul territorio provinciale, di una politica di pianificazione faunistico venatoria del territorio è stato appunto il Piano faunistico venatorio.

Il provvedimento ha rappresentato uno dei momenti di maggiore rilevanza di una politica di gestione ponderata e programmatica del territorio in cui, con il supporto delle strutture di ricerca e degli operatori locali, si sono coniugate, contemporaneamente, le politiche di gestione della fauna stanziale e migratoria con le politiche di tutela e miglioramento territoriale al fine di consentire una attività venatoria corretta, equilibrata e quanto più possibile etica e sostenibile.

La sostenibilità delle attività venatorie è stato l’obiettivo preponderante della programmazione venatoria.

La sfida che bisognava affrontare era quella di programmare, per i cinque anni successivi, il territorio per raggiungere veramente quanto dettato dalla norma statale e regionale: “..norme per la gestione faunistica e prelievo venatorio...”, usufruendo di una esperienza preziosa di questi ultimi anni, ove la "caccia programmata" (altro concetto chiave) ha portato a lusinghieri risultati.

Pertanto, sotto l'aspetto gestionale, gli obiettivi sono stati raggiunti rispettando l'equilibrio tra territorio e cacciatori praticanti nonché il corretto rapporto con il mondo agricolo ed ambientalista.

Il precedente Piano non poteva tenere in considerazione, in quanto non ancora previste, alcuni importanti “cambiamenti” che sono intervenuti dopo l’approvazione del Piano: l’istituzione degli “ATC”, la riperimetrazione del Parco Nazionale dell’Aspromonte e l’adozione dei piani di gestione dei Siti di Interesse Comunitario (SIC) che hanno cambiato sia la geografia del territorio venatorio che il modo di rapportarsi dei cacciatori con l’ambiente naturale e, in particolare, con le aree protette.

Si ritiene che la stagione degli Ambiti di caccia, gli “ATC”, abbia dato buoni frutti, tanto che, dopo i primi momenti di perplessità, oggi non ne viene più messa in discussione l'esistenza, “ ma al più corretto qualche aspetto gestionale e di rappresentatività, rafforzandone le peculiarità e specificità del territorio ”.

Con il precedente Piano Faunistico Venatorio si sono create le condizioni per una gestione programmata del territorio e degli interventi da parte dell'uomo: il territorio non è stato “aggredito”, ma riportato nel giusto rapporto mondo faunistico - ambiente forestale - esigenze antropiche.

Con il ripopolamento programmato, inoltre, la popolazione faunistica è stata “arricchita“ e gli interventi mirati hanno fatto in modo che sia stato salvaguardato l'equilibrio biologico fondamentale, senza il quale l'azione dell'uomo sarebbe stata dannosa e non proficua.

La nuova perimetrazione del Parco Nazionale dell’Aspromonte e la creazione del Parco Regionale delle Serre, nonché il riconoscimento dei SIC come vere e proprie arie naturali protette ha modificato sostanzialmente la geografia dei territori venatori, ma contrariamente a quanto precedentemente accaduto negli anni passati, in cui i territori legalmente interdetti alle attività venatorie non venivano accettati dai cacciatori, si è assistito ad una maggiore “sensibilità ambientale” da parte dei cacciatori stessi che fa ben presagire una svolta epocale verso una “caccia sostenibile”.

Per questi motivi, a qualche anno di distanza è sorta la naturale esigenza di sottoporre a “revisione“ gli interventi programmati, e di approfondire, specie per specie, quelle che sono le

 

 

peculiarità necessarie per condurre un'analisi di fondo rispetto ai programmi futuri, che ha indotto gli studiosi ad effettuare rilievi che sono ritenuti necessari a garantire non solo le odierne previsioni, ma a ritenerle ragionevolmente durevoli.

L'incisione sempre maggiore dell'ambiente, soggetto a variazioni che intervengono, non sempre favorevolmente, a salvaguardare l'equilibrio degli habitat, periodi di mancanza di pioggia ai quali si susseguono periodi di pioggia battente, con erosione del territorio, impoverimento degli habitat, e quanto connesso, hanno reso necessario effettuare anche delle previsioni in termini di prevenzioni dei fenomeni più a rischio.

L'aspetto scientifico del piano e inoltre correlato ad una serie di interventi tecnici, all'intera programmazione provinciale anche in relazione, ad altre materie, per consentire all'attuale strumento di pianificazione a interagire positivamente con gli altri strumenti di pianificazione provinciali in atto.

Esigenza molto sentita sotto il profilo tecnico e scientifico è quella del monitoraggio della fauna, già lo scorso piano faunistico venatorio così come quello attuale sono stati realizzati senza tale opportuno strumento conoscitivo. è quindi auspicabile che l’autorità provinciale disponga l’avvio di attività di censimento e monitoraggio sistematico della fauna al fine di evidenziare non solo l’incidenza della attività venatorio ma anche l’influenza che le trasformazioni ambientali hanno sulla consistenza del popolamento faunistico.

Il Piano Faunistico Venatorio Provinciale 1998-2002 è stato approvato dal Consiglio Provinciale con deliberazione n. 18 del 18/03/1998.

La predisposizione ed adozione del Piano faunistico venatorio ha consentito alla Provincia di ottemperare alle disposizioni di legge (L. 157/92 e L.R. 9/96 ) che prevedevano che “tutto il territorio agro-silvo-pastorale fosse soggetto a pianificazione faunistico venatoria finalizzata”.

Lo strumento base che ha permesso l’implementazione e l’attuazione, per la prima volta sul territorio provinciale, di una politica di pianificazione faunistico venatoria del territorio è stato appunto il Piano faunistico venatorio.

Il provvedimento ha rappresentato uno dei momenti di maggiore rilevanza di una politica di gestione ponderata e programmatica del territorio in cui, con il supporto delle strutture di ricerca e degli operatori locali, si sono coniugate, contemporaneamente, le politiche di gestione della fauna stanziale e migratoria con le politiche di tutela e miglioramento territoriale al fine di consentire una attività venatoria corretta, equilibrata e quanto più possibile etica e sostenibile.

La sostenibilità delle attività venatorie è stato l’obiettivo preponderante della programmazione venatoria.

La sfida che bisognava affrontare era quella di programmare, per i cinque anni successivi, il territorio per raggiungere veramente quanto dettato dalla norma statale e regionale: “..norme per la gestione faunistica e prelievo venatorio...”, usufruendo di una esperienza preziosa di questi ultimi anni, ove la "caccia programmata" (altro concetto chiave) ha portato a lusinghieri risultati.

Pertanto, sotto l'aspetto gestionale, gli obiettivi sono stati raggiunti rispettando l'equilibrio tra territorio e cacciatori praticanti nonché il corretto rapporto con il mondo agricolo ed ambientalista.

Il precedente Piano non poteva tenere in considerazione, in quanto non ancora previste, alcuni importanti “cambiamenti” che sono intervenuti dopo l’approvazione del Piano: l’istituzione degli “ATC”, la riperimetrazione del Parco Nazionale dell’Aspromonte e l’adozione dei piani di gestione dei Siti di Interesse Comunitario (SIC) che hanno cambiato sia la geografia del territorio venatorio che il modo di rapportarsi dei cacciatori con l’ambiente naturale e, in particolare, con le aree protette.

Si ritiene che la stagione degli Ambiti di caccia, gli “ATC”, abbia dato buoni frutti, tanto che, dopo i primi momenti di perplessità, oggi non ne viene più messa in discussione l'esistenza, “ ma al più corretto qualche aspetto gestionale e di rappresentatività, rafforzandone le peculiarità e specificità del territorio ”.

 

 

Con il precedente Piano Faunistico Venatorio si sono create le condizioni per una gestione programmata del territorio e degli interventi da parte dell'uomo: il territorio non è stato “aggredito”, ma riportato nel giusto rapporto mondo faunistico - ambiente forestale - esigenze antropiche.

Con il ripopolamento programmato, inoltre, la popolazione faunistica è stata “arricchita“ e gli interventi mirati hanno fatto in modo che sia stato salvaguardato l'equilibrio biologico fondamentale, senza il quale l'azione dell'uomo sarebbe stata dannosa e non proficua.

La nuova perimetrazione del Parco Nazionale dell’Aspromonte e la creazione del Parco Regionale delle Serre, nonché il riconoscimento dei SIC come vere e proprie arie naturali protette ha modificato sostanzialmente la geografia dei territori venatori, ma contrariamente a quanto precedentemente accaduto negli anni passati, in cui i territori legalmente interdetti alle attività venatorie non venivano accettati dai cacciatori, si è assistito ad una maggiore “sensibilità ambientale” da parte dei cacciatori stessi che fa ben presagire una svolta epocale verso una “caccia sostenibile”.

Per questi motivi, a qualche anno di distanza è sorta la naturale esigenza di sottoporre a “revisione“ gli interventi programmati, e di approfondire, specie per specie, quelle che sono le peculiarità necessarie per condurre un'analisi di fondo rispetto ai programmi futuri, che ha indotto gli studiosi ad effettuare rilievi che sono ritenuti necessari a garantire non solo le odierne previsioni, ma a ritenerle ragionevolmente durevoli.

L'incisione sempre maggiore dell'ambiente, soggetto a variazioni che intervengono, non sempre favorevolmente, a salvaguardare l'equilibrio degli habitat, periodi di mancanza di pioggia ai quali si susseguono periodi di pioggia battente, con erosione del territorio, impoverimento degli habitat, e quanto connesso, hanno reso necessario effettuare anche delle previsioni in termini di prevenzioni dei fenomeni più a rischio.

L'aspetto scientifico del piano e inoltre correlato ad una serie di interventi tecnici, all'intera programmazione provinciale anche in relazione, ad altre materie, per consentire all'attuale strumento di pianificazione a interagire positivamente con gli altri strumenti di pianificazione provinciali in atto.

Esigenza molto sentita sotto il profilo tecnico e scientifico è quella del monitoraggio della fauna, già lo scorso piano faunistico venatorio così come quello attuale sono stati realizzati senza tale opportuno strumento conoscitivo. è quindi auspicabile che l’autorità provinciale disponga l’avvio di attività di censimento e monitoraggio sistematico della fauna al fine di evidenziare non solo l’incidenza della attività venatorio ma anche l’influenza che le trasformazioni ambientali hanno sulla consistenza del popolamento faunistico.

 

 

3. PIANIFICAZIONE FAUNISTICO-VENATORIA

3.1. Obiettivi generali di pianificazione Il territorio della Provincia di Reggio Calabria si connota, nel contesto del territorio regionale, come uno dei più naturali e meno modificati da attività antropiche, urbanizzazioni e sfruttamenti industriali. Vaste superfici sono occupate da ambienti naturali e seminaturali e la notevole superficie occupata da aree protette e da siti della Rete ecologica europea “Natura 2000” testimonia dell’importanza naturalistica di questo territorio nel contesto regionale e nazionale. Di tale specificità il Piano faunistico venatorio provinciale 2009-2013 si propone di tenere ampia considerazione, evidenziandone le valenze, le criticità, i possibili impatti sfavorevoli, le misure alternative, le misure di eventuale mitigazione e il monitoraggio rispetto agli obiettivi di conservazione e gestione predisposti.

Parimenti il piano delinea la necessità di ricercare la più ampia sinergia e coordinamento con gli obiettivi di carattere conservazionistico e gestionale propri della rete delle aree protette in essere sul territorio provinciale.

Il Piano si propone altresì di armonizzare gli obiettivi di periodo in modo coerente con gli altri strumenti di pianificazione e di programmazione a livello regionale e provinciale, laddove questi ultimi interessino, direttamente o indirettamente, tematiche inerenti la gestione faunistica o che da questa possano essere influenzati.

Oltre la metà della superficie provinciale è da considerarsi montana e collinare, e rappresenta uno dei contesti del meridione d’Italia con il più alto numero di cacciatori. Detto ciò, è importante sottolineare quanto gestire un territorio significhi innanzitutto conoscerne lo status generale e locale, l’evoluzione e le tendenze che lo coinvolgono; in tal senso, la presenza di specie selvatiche rappresenta il frutto di una co-evoluzione e l’abbondanza di una popolazione è condizionata da stretti rapporti tra le specie oltre che da modificazioni naturali ed antropiche degli habitat.

Di conseguenza, la gestione integrata del territorio provinciale di Reggio Calabria dovrà contemporaneamente rispondere ad un’insieme di interessi ed obiettivi generali:

• Conservazione e miglioramento degli habitat e delle specie;

• Gestione sostenibile delle risorse naturali;

• Gestione venatoria sostenibile e coerente con il complesso delle norme vigenti, nonché in sinergia con la gestione agro-silvo-pastorale;Mantenimento della qualità del paesaggio.

Va peraltro considerato che l’insieme degli elementi normativi, ovvero le leggi e regolamenti vigenti, inerenti la pianificazione faunistica e venatoria, sono finalizzati al conseguimento dei seguenti obiettivi:

• Specie carnivore:

• Conservazione delle effettive capacità riproduttive;

• Contenimento di eventuali sovrannumeri;

• Altre specie:

• Conseguimento di densità ottimali;

• conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali, la programmazione e la regolazione del prelievo venatorio.

Una suddivisione della fauna selvatica omeoterma per categorie d’interesse, ci permette di distinguere le specie d’interesse venatorio, da quelle d’interesse conservazionistico e d’interesse gestionale.

 

 

Per ciò che concerne la prima categoria sopraelencata, l’obiettivo principale è quello del conseguimento della sostenibilità del prelievo, puntando alla implementazione di metodiche di censimento e monitoraggio, sia delle popolazioni naturali, sia sui capi abbattuti.

Invece, per quanto riguarda la seconda categoria menzionata, l’attenzione si concentrerà principalmente:

- sull’attuazione delle strategie internazionali, nazionali e regionali di conservazione (es. attuazione dei Piani d’azione);

- sull’aumento delle conoscenze attraverso una più ampia distribuzione spaziale e temporale dell’azione di monitoraggio.

Per l’ultima categoria, gli obiettivi saranno:

- il contenimento dell’impatto delle specie problematiche sulle attività agro-forestali e zootecniche;

- l’individuazione di un protocollo di azione che presti un’attenzione particolare alle problematiche derivanti dalle specie alloctone.

Effetti di tutta questa pianificazione saranno l’incremento della conoscenza dello stato di conservazione e della distribuzione delle diverse specie considerate, con conseguente corretta gestione e miglioramento della qualità dell’ambiente.

In riferimento alle difficoltà di successo delle attività di ripopolamento delle varie specie d’interesse faunistico venatorio, i dati in nostro possesso ci testimoniano un successo non superiore al 30% degli individui immessi in un’area. Le perdite sono dovute ad una incapacità da parte dei soggetti di sfuggire alla pressione venatoria (si consideri che nella sola provincia di Reggio Calabria siano presenti ben 15.242 tesserini venatori per l’anno 2008-2009). Appare evidente quindi, quanto sia fondamentale la qualità dei soggetti introdotti sul territorio e ciò si realizza nel privilegiare la scelta di soggetti di cattura, con prelievi effettuati in aree idonee di riproduzione in ambito locale. Non va inoltre trascurata la funzione di irradiamento della fauna assicurata dalle aree di produzione in campo aperto (zone di ripopolamento e cattura, centri pubblici e privati di riproduzione allo stato naturale).

Ulteriore elemento di supporto alla buona riuscita dell’attività di ripopolamento risiede nella adeguatezza degli ambienti di acclimatamento e di neo-introduzione. Le dimensioni delle recensioni non dovranno essere inferiori a 2 ha e la natura del terreno dovrà essere tendenzialmente sabbiosa per permettere un maggiore drenaggio del terreno e quindi non favorire l’insorgenza di patologie. Ultima accortezza sarà relativa alla scelta di prati polifiti o trasemine come colture più adatte a questi territori di inserimento/acclimatamento.

Relativamente alle operazioni di censimento, esse andranno a determinare i quantitativi relativi ai prelievi e alle eventuali immissioni. Solo un’adeguata programmazione delle operazioni di censimento e monitoraggio, che prevedono l’utilizzo di metodiche standardizzate, potrà permettere di disporre di dati che siano confrontabili non solo nel tempo ma anche tra differenti unità di gestione. Le attività di rilevamento riguarderanno la distribuzione, la consistenza, l’abbondanza relativa e struttura dei popolamenti delle specie di interesse faunistico venatorio. La suddivisione in sub-unità omogenee sufficientemente ridotte per estensione permetterà invece una valutazione ed individuazione, anche qualitativa delle strutture di popolazione. Ultimo ma fondamentale criterio da seguire sarà relativo all’incentivazione dei miglioramenti ambientali, con ripristini, mantenimenti o creazione ex-novo di seminativi a perdere, impianti di siepi, punti di abbeverata con diverse dislocazioni nelle fasce collinari, di pianura e di montagna.

 

 

Bibliografia al Cap.3.1.  Gariboldi A., Andreotti A., Bogliani G., 2004 – La conservazione degli uccelli in Italia. Strategie e azioni. Alberto Perdisa Editore, Bologna. 

Lucchesi M. 2006 – Monitoraggio faunistico delle specie di interesse venatorio e delle specie predatrici potenzialmente impattanti. Centro asqua – Quadrifoglio settore fauna. 

Malcevschi S., Bisogni L. G., Gariboldi A., 1996 – Reti ecologiche ed interventi di miglioramento ambientale. Il verde editoriale, Milano. 

Spagnesi M., S. Toso, R. Cocchi e V. Trocchi ‐ Documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunistico‐venatoria. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Documenti Tecnici, 15: 1‐84. 

 

 

3.2. Definizione della Superficie Agro­Silvo­Pastorale 

3.2.1. Analisi ambientale del Territorio Provinciale per la definizione della Superficie Agro­Silvo­Pastorale  

Per quanto riguarda le analisi ambientali dell'intero territorio provinciale, sono stati acquisiti e analizzati i seguenti archivi in formato digitale:

• Cartografia CORINE LAND-COVER III livello che consente, in presenza di validi rilevamenti delle densità faunistiche, una interpretazione accurata e dettagliata delle relazioni fauna - ambiente e, in ogni caso, una precisa definizione delle tipologie di uso del suolo esistenti, utili per la ripartizione del territorio provinciale in comprensori omogenei.

• Carte digitalizzate e georeferenziate in dotazione all’Ente provinciale, consente altresì una rapida e precisa misurazione delle superfici territoriali ad un livello di precisione mai ottenuto prima dell'utilizzazione di questi metodi.

Le informazioni territoriali sono state gestite mediante l'uso di Sistemi Informativi Territoriali e in particolare mediante analisi effettuate in ambiente GIS.

3.2.2. Uso del Suolo La maggior parte delle attività produttive sono concentrate lungo la costa, nella zona di pianura e nella prima collina. La carta di uso del suolo evidenzia distintamente la fascia urbana che corre, senza soluzione di continuità, lungo la costa allargandosi in prossimità della città di Reggio Calabria e frastagliandosi in nuclei, progressivamente meno densi, procedendo dalla costa verso l'interno del territorio.

Il territorio è per gran parte costituito da una vasta e diffusa estensione di coltura specializzata ad ulivo la cui maggiore concentrazione ricade nel comprensorio della “Piana di Gioia Tauro”. Cospicua risulta altresì la presenza di tale coltura lungo la fascia jonica della Provincia.

I boschi costituiscono l’altra tipologia ambientale maggiormente presente su tutto il territorio provinciale, rappresentati in prevalenza da “Boschi di leccio e sughera”, “Boschi di faggio” e “Boschi di castagno”.

Una significativa porzione di territorio è occupata da colture classificate come "seminativi intensivi", la cui distribuzione seppur frammentata si concentra principalmente sul versante jonico della Provincia.

Apprezzabile è anche la superficie provinciale investita a colture specializzate comprendenti i “Frutteti e frutti minori”, con netta predominanza di agrumi, la cui distribuzione nel territorio però appare discontinua e localizzata prevalentemente ai margini delle aste fluviali e soprattutto nella Piana di Gioia Tauro, dove tale tipologia di coltura si frappone agli uliveti.

Significativa è anche la presenza della categoria definita come “Macchia bassa e garighe”, distribuita in ampie ma delimitate estensioni facilmente individuabili. Le categorie di uso del suolo più rappresentate sono, in ordine decrescente, Uliveti ( 29,6 %), Formazioni boschive (30,6 %), Seminativi intensivi (8,8 %), Frutteti e frutti minori (6,4 %) Macchia bassa e garighe (5,2 %), Zone urbanizzate (3,3 %).

Tab. 39 – Uso reale del suolo nel territorio provinciale Tipi Ambientali superficie (ha) % Oliveti 94094,75 29,63

 

 

Seminativi intensivi 28208,04 8,88 Bosco di leccio e sughera 24234,15 7,63 Frutteti e frutti minori 20404,87 6,43 Bosco di faggio 18242,60 5,74 Macchia bassa e garighe 16541,17 5,21 Bosco di castagno 16102,94 5,07 Colture temporanee associate a colture permanenti 12914,36 4,07 Macchia alta 12001,14 3,78 Zone residenziali a tessuto continuo 8468,99 2,67 Seminativi estensivi 7690,41 2,42 Boschi misti a prev. di faggio 7189,90 2,26 Bosco di pini montani e oromediterranei 6126,23 1,93 Bosco di querce caducifoglie 5555,35 1,75 Praterie continue 4329,82 1,36 Corsi d'acqua, canali e idrovie 4186,00 1,32 Prati stabili (foraggere permanenti) 4121,28 1,30 Vigneti 3733,43 1,18 Boschi misti a prev. di pini montani e/o oromediterranei 3203,29 1,01 Praterie discontinue 2899,22 0,91 Sistemi colturali e particellari complessi 2277,49 0,72 Brughiere e cespuglieti 2122,23 0,67 Zone residenziali a tessuto discontinuo e rado 2055,24 0,65 Boschi misti a prev. di castagno 1735,67 0,55 Aree preval. occupate da colture agrarie con presenza di 1626,84 0,51 Altre colture permanenti 938,38 0,30 Bosco di pini mediterranei 906,72 0,29 Aree agroforestali 763,81 0,24 Boschi misti a prev. di pini mediterranei 754,02 0,24 Boschi misti a prev. di ab. bianco e/o ab. rosso 666,65 0,21 Cantieri 506,20 0,16 Aree portuali 501,48 0,16 Aree industriali, commerciali e dei servizi pubblici e privati 428,83 0,14 Risaie 396,61 0,12 Spiagge, dune e sabbie 374,16 0,12 Bosco di ab. bianco e/o ab. rosso 325,43 0,10 Boschi misti a prev. di leccio 251,62 0,08 Seminativi in aree irrigue 222,92 0,07 Aereoporti 144,61 0,05 Aree estrattive 97,48 0,03 Bosco di conifere non native 76,90 0,02 Reti stradali, ferroviarie e infrastrutture tecniche 67,21 0,02 Boschi misti a prevalenza. di querce caducifoglie 40,37 0,01 Bacini d'acqua 23,01 0,01 Zone intertidiali 12,65 0,00 Totale complessivo 317564,50 100,00

3.2.3. Determinazione e destinazione delle superfici agro­silvo­pastorali La legge quadro nazionale (art. 10, comma1) dispone che l'intero territorio agro-silvo-pastorale sia soggetto a pianificazione faunistico-venatoria. Il Territorio può essere destinato a protezione faunistica a gestione privata o a gestione programmata della caccia.

La definizione e la quantificazione del territorio agro-silvo-pastorale assume pertanto importanza fondamentale per determinare le porzioni destinate alle citate destinazioni.

Tuttavia, ai fini delle fasi successive della programmazione faunistico-venatoria, sulla base della carta di uso del suolo utilizzata per l'analisi ambientale e tenendo conto delle indicazioni del Primo Documento Orientativo sui Criteri di Omogeneità e Congruenza dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, sono state determinate a livello comunale, le superfici agro-silvo-pastorali.

I criteri contenuti nel documento citato consentono di giungere ad una corretta determinazione di detta superficie, escludendo dalla superficie territoriale complessiva le seguenti categorie di uso del suolo: le aree urbane, le zone verdi urbane e gli impianti sportivi, le zone estrattive, le

 

 

discariche, le zone industriali, le aree portuali, la rete ferroviaria, le strade principali extraurbane e le zone non foto interpretabili comprese quindi le aree militari.

Le superfici comunali e la S.A.S.P. ricavata per ciascun comune sono riportate in Tab. 40.

Tab. 40 – Superfici agro‐silvo‐pastorali (SASP) per comune della provincia Comune Superficie Comunale S.A.S.P. % S.A.S.P. Africo 5.342,91 4.980,52 93,22 Agnana Calabra 840,59 681,31 81,05 Anoia 1.007,51 743,15 73,76 Antonimina 2.269,15 1.849,07 81,49 Ardore 3.258,28 2.381,90 73,10 Bagaladi 2.983,11 2.820,19 94,54 Bagnara Calabra 2.460,90 1.839,09 74,73 Benestare 1.856,28 1.555,54 83,80 Bianco 2.973,07 2.298,69 77,32 Bivongi 2.509,31 2.400,32 95,66 Bova 4.651,44 4.092,20 87,98 Bova Marina 2.934,20 2.142,87 73,03 Bovalino 1.801,98 1.202,14 66,71 Brancaleone 3.601,12 2.828,90 78,56 Bruzzano Zeffirio 2.052,20 1.669,45 81,35 Calanna 1.087,15 832,59 76,59 Camini 1.726,95 1.371,19 79,40 Campo Calabro 794,09 426,10 53,66 Candidoni 2.671,04 2.150,13 80,50 Canolo 2.802,72 2.397,79 85,55 Caraffa del Bianco 1.135,57 874,10 76,97 Cardeto 3.724,34 3.126,37 83,94 Careri 3.778,90 3.411,97 90,29 Casignana 2.434,05 1.994,79 81,95 Caulonia 10.106,89 8.156,58 80,70 Cimina' 4.877,61 4.036,46 82,75 Cinquefrondi 2.967,23 2.456,78 82,80 Cittanova 6.136,08 4.978,40 81,13 Condofuri 5.979,65 4.970,71 83,13 Cosoleto 3.407,08 3.034,27 89,06 Delianuova 2.119,11 1.811,82 85,50 Feroleto della Chiesa 748,67 580,45 77,53 Ferruzzano 1.891,86 1.521,10 80,40 Fiumara 653,26 500,90 76,68 Galatro 5.085,94 4.533,48 89,14 Gerace 2.871,29 2.353,27 81,96 Giffone 1.458,11 1.307,33 89,66 Gioia Tauro 3.948,71 2.249,57 56,97 Gioiosa Ionica 3.571,33 2.709,73 75,87 Grotteria 3.761,06 3.256,19 86,58 Laganadi 812,13 712,60 87,74 Laureana di Borrello 3.536,55 2.922,72 82,64 Locri 2.555,13 894,98 35,03 Mammola 8.028,70 7.007,14 87,28 Marina di Gioiosa Ionica 1.602,16 1.091,30 68,11 Maropati 1.042,28 809,95 77,71 Martone 825,56 663,55 80,38 Melicucca' 1.725,18 1.302,74 75,51 Melicucco 647,28 398,43 61,55 Melito Di Porto Salvo 3.683,05 3.128,65 84,95 Molochio 3.710,40 3.009,84 81,12 Monasterace 1.564,82 1.266,78 80,95

 

 

Montebello Ionico 5.598,17 4.340,65 77,54 Motta San Giovanni 4.607,00 3.465,98 75,23 Oppido Mamertina 5.834,53 4.668,35 80,01 Palizzi 5.235,83 4.364,91 83,37 Palmi 3.191,28 2.101,58 65,85 Pazzano 1.541,44 1.375,09 89,21 Placanica 2.921,58 2.452,62 83,95 Plati' 5.040,53 4.407,33 87,44 Polistena 1.166,29 635,18 54,46 Portigliola 594,01 289,01 48,65 Reggio di Calabria 23.647,43 16.191,83 68,47 Riace 1.603,37 1.230,29 76,73 Rizziconi 3.986,72 2.984,18 74,85 Roccaforte del Greco 4.347,03 3.931,58 90,44 Roccella Ionica 3.730,66 2.896,29 77,63 Roghudi 4.489,38 4.086,55 91,03 Rosarno 3.920,26 2.552,64 65,11 Samo 4.976,28 4.549,05 91,41 San Ferdinando 1.406,02 574,10 40,83 San Giorgio Morgeto 3.507,14 2.799,56 79,82 San Giovanni di Gerace 1.343,51 1.186,44 88,31 San Lorenzo 6.390,15 5.666,96 88,68 San Luca 10.438,71 9.255,89 88,67 San Pietro di Carida' 4.755,28 4.208,76 88,51 San Procopio 1.125,87 849,18 75,42 San Roberto 3.434,21 2.739,76 79,78 Sant'Agata Del Bianco 2.001,39 1.769,97 88,44 Sant'Alessio In Aspromonte 395,83 359,44 90,81 Sant'Eufemia d'Aspromonte 3.259,47 2.752,05 84,43 Sant'Ilario Dello Ionio 1.390,91 1.064,43 76,53 Santa Cristina d'Aspromonte 2.319,89 1.920,30 82,78 Santo Stefano in Aspromonte 1.764,26 1.551,38 87,93 Scido 1.737,35 1.514,94 87,20 Scilla 4.376,70 3.507,57 80,14 Seminara 3.357,63 2.662,82 79,31 Serrata 2.185,86 1.960,39 89,69 Siderno 3.158,24 2.148,70 68,03 Sinopoli 2.499,27 2.158,66 86,37 Staiti 1.615,72 1.364,81 84,47 Stignano 1.752,77 1.300,70 74,21 Stilo 7.735,18 6.975,21 90,18 Taurianova 4.813,38 3.345,89 69,51 Terranova Sappo Minulio 903,25 797,98 88,35 Varapodio 2.886,03 2.401,44 83,21 Villa San Giovanni 1.202,16 508,14 42,27 Totali 318.201,90 255.604,66 80,31

3.3. Individuazione dei Comprensori Omogenei Gli artt. 10 e 14 della Legge 157/92 prevedono la realizzazione di piani faunistici articolati per “comprensori omogenei” e per “ambiti territoriali di caccia” (ATC), di dimensioni sub-provinciali possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali.

Nonostante l’indicazione del legislatore sembri privilegiare criteri ambientali, rispetto a quelli amministrativi, nella fase di individuazione dei perimetri dei comprensori e degli ATC, nella prassi di pianificazione di tutte le regioni ha prevalso la scelta di individuazione di tali unità per

 

 

accorpamento di comuni, quindi attestandosi sui confini amministrativi degli stessi. Ciò appare obbligato, anche tenendo conto che la residenza anagrafica dei cacciatori costituisce la base di partenza, in assenza di richieste diverse, per l’assegnazione all’ ATC di appartenenza.

Sulla base di questa impostazione i comprensori costituiscono l’unità della pianificazione faunistico venatoria delle Province, all’interno dei quali vengono individuati e progettati i diversi istituti faunistico-venatori, ovvero le diverse destinazioni del territorio ai fini faunistici. L’ATC deve intendersi invece come la superficie destinata alla gestione programmata della caccia che residua dal comprensorio, tolti gli istituti di protezione e di gestione privata.

L’omogeneità dei comprensori deve quindi intendersi come una equa ripartizione tra gli stessi delle diverse tipologie ambientali, in modo che in ogni ATC in cui è suddiviso il territorio provinciale, vi siano analoghe potenzialità faunistiche.

Sulla base di questa linea interpretativa, l’individuazione dei Comprensori Omogenei, che coincidono con i confini territoriali dei due Ambiti Territoriali di Caccia ATC RC1 e ATC RC2 (Allegati cartografici) appare condivisibile in quanto garantisce le medesime opportunità faunistiche e gestionali ai cacciatori residenti.

3.3.1. Ripartizione della Superficie agro­silvo­pastorale  Le metodologie impiegate per la determinazione della Superficie Agro-Silvo-Pastorale (SASP), oltre a essere soggette a quanto previsto a livello normativo (L.N. 157/92, L.N. 394/91, L.R. 9/96) sono state definite sulla base delle informazioni disponibili presso i vari EEPP presenti nel territorio provinciale e regionale.

Grazie alla disponibilità di strumentazioni innovative, è stato possibile aggiornare i dati relativi alla SASP riportati nell'ambito della revisione del precedente Piano Faunistico-Venatorio, ottenendo un più elevato livello di precisione della stima di tali superfici.

In considerazione del fatto che la SASP è in continua evoluzione, in virtù del costante incremento dell’urbanizzazione del territorio, è importante che in concomitanza della scadenza di ogni Piano venga effettuato un aggiornamento del calcolo delle superfici di SASP disponibili nell’intero territorio provinciale; sarà inoltre importante anche una valutazione in tempo reale dell’impatto delle nuove grandi opere realizzate sul territorio nei prossimi anni.

Come già anticipato nel precedente paragrafo, lo strumento utilizzato per la valutazione e la definizione della SASP è costituito da un Sistema Informativo Territoriale (SIT). Le motivazioni che hanno condotto alla scelta di adottare questa metodologia sono di seguito illustrate:

- questo approccio innovativo consente di raggiungere gradi di precisione più elevati rispetto alle tecniche tradizionali, di automatizzare quanto più possibile le operazioni di rilievo planimetrico e di integrazione dei dati cartografici, permettendo, allo stesso tempo, di definire protocolli operativi rigorosi;

- i SIT assolvono efficacemente e in modo rigoroso alle funzioni di classificazione del territorio e di calcolo delle superfici, eliminando tutte quelle problematiche dovute a errori umani, quali imprecisioni nella misurazione delle aree o il considerare più di una volta la superficie di un poligono (ad esempio di una data parcella);

- questi sistemi consentono di velocizzare le procedure di calcolo e di gestire simultaneamente e in modo integrato dati di origine differente.

Pertanto, grazie alla precisione fornita dal Sistema Informativo Territoriale e all'elevata affidabilità della cartografia di base, è stato possibile effettuare una valutazione rigorosa del SASP.

Il protocollo di seguito presentato integra le disposizioni previste ai sensi della normativa nazionale e regionale vigente con le possibilità di analisi spaziale che i Sistemi Informativi Territoriali sono in grado di offrire.

 

 

La tecnica adottata è denominata "sovrapposizione topologica" (spatial overlay) che prevede le seguenti fasi operative:

- scomposizione del territorio in parcelle sulla base di determinate caratteristiche fisiografiche e morfologiche;

- isolamento di aree che soddisfino precisi requisiti a seguito di successive esclusioni.

Per quanto riguarda le analisi ambientali dell'intero territorio provinciale, sono stati acquisiti e analizzati i seguenti archivi in formato digitale:

• Cartografia di uso del suolo CORINE LAND-COVER III livello che consente, in presenza di validi rilevamenti delle densità faunistiche, una interpretazione accurata e dettagliata delle relazioni fauna - ambiente e, in ogni caso, una precisa definizione delle tipologie di uso del suolo esistenti, della ripartizione del territorio provinciale in comprensori omogenei in riferimento a diverse caratteristiche geomorfologiche. La carta dell’uso del suolo è stata ottenuta integrando i dati di questa cartografia con quelli disponibili con il DB10K di seguito illustrato.

• Cartografia disponibile presso il portale cartografico del Ministero dell’ambiente (www.pcn.mimambiente.it) fruibile attraverso i software GIS più comuni.

• Cartografia disponibile su Globe Explorer Map Server (www.globexplorer.com) fruibile attraverso il protocollo WMS.

• Db Prior 10K dell Regione Calabria

Il progetto del Data Base degli strati di riferimento prioritari essenziali alla scala 1:10.000 è stato concepito nell'ambito dei lavori dell'Intesa Stato - Regioni - Enti Locali per la realizzazione di banche dati di interesse generale.

Il suo scopo è quello di fornire una prima risposta, secondo specifiche comuni, alle esigenze collegate alla gestione del territorio, dagli interventi in campo ambientale, alla difesa del suolo, alla protezione civile.

Le specifiche di contenuto sono legate alla necessità prioritaria di una realizzazione in tempi brevi. Da ciò deriva che l'ottimizzazione dei contenuti deve essere funzione della speditezza esecutiva, dei costi e della qualità necessaria alla fruibilità.

In base a questa esigenza è stato stabilito che il DBPrior10k fosse costituito da strati prioritari ed essenziali. Strati Prioritari, cioè non tutti gli strati richiesti anche da una versione minima, ma solo quelli ritenuti non dilazionabili. Strati Essenziali, in quanto il loro contenuto informativo è stato ridotto al minimo garantibile in tempi brevi su tutto il territorio nazionale.

L'insieme degli strati che costituiscono il DBPrior10k è il seguente:

• Viabilità, mobilità e trasporti (reticolo strade e ferrovie);

• Centri urbani e nuclei abitati;

• Indirizzi;

• Idrografia (Reticolo idrografico e bacini);

• Ambiti e limiti amministrativi;

• Altimetria;

• Toponimi delle località significative.

La superficie asfaltata delle strade è stata ricavata a partire dallo strato informativo relativo alla rete stradale, creando, su entrambi i lati di ciascun elemento lineare, una fascia (buffer) di ampiezza pari alla metà della classe di larghezza della carreggiata stradale, secondo le tipologie indicate in tabella.

Tab. 41 – Superficie buffer applicate alle diverse tipologie infrastrutturali 

 

 

Tipologia d’Infrastruttura viaria Larghezza buffer (m)

Ferrovie 5

Strade Provinciali 5

Autostrada A3 11

Strade Comunali 3

Strade Statali 6

Calcolo delle superfici Propedeuticamente occorre considerare che la sentenza 21 maggio 2002 n. 4972 del Consiglio di Stato (VI), in merito ai criteri adottabili nel calcolo della percentuale di SASP da destinare a protezione della fauna selvatica (art.10, comma 3, L. n. 157/92), stabilisce che non è compatibile l'inclusione nella quota minima (20%), da destinare ad aree di protezione della fauna selvatica, dei territori sottratti alla caccia per ragioni di sicurezza. Infatti, la medesima sentenza afferma che, se è vero che, ai sensi della disposizione citata, in dette percentuali (20-30%) sono compresi i territori ove è comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni, non è meno vero che la stessa norma nazionale, al successivo comma 4, definisce come territorio di protezione quello nel quale opera al contempo il divieto di caccia e una regolamentazione intesa ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole: regolamentazione, quest'ultima, senz'altro mancante nei territori sottratti alla caccia per ragioni del tutto diverse da quelle inerenti la protezione della fauna selvatica.

Ne deriva, quindi, che le fasce di SASP in divieto di caccia a lato delle strade, autostrade e ferrovie (50 m da entrambi i lati) concorrono a formare la percentuale di territorio che deve essere posto in divieto di caccia (minimo 20% e massimo 30%), ma solo oltre la quota minima, ovvero solo dopo aver soddisfatto almeno il 20% con aree di protezione della fauna selvatica vere e proprie (di fatto idonee ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole).

Le superfici sono state ricavate attraverso una serie di interrogazioni successive e mutuamente esclusive. Il sistema ha restituito valori di superficie in metri, significativi alla seconda cifra decimale, successivamente trasformati in ettari e arrotondati a due cifre significative. Inizialmente è stata valutata la superficie totale e successivamente ripartita per Ambiti Territoriali di Caccia

È stata quindi calcolata la superficie non idonea alla gestione faunistico-venatotia di origine antropica. È importante sottolineare come le superfici occupate dalla carreggiata delle strade e dalle reti ferroviarie siano state calcolate soltanto nella porzione extraurbana delle viarie, dal momento che le porzioni urbane sono già comprese negli ambiti urbani esclusi a priori dal calcolo della SASP.

Tab. 42 – SASP totale per ATC 

Denominazione Ambito territoriale di Caccia Superficie agro-silvo-pastorale

RC 1 154.427,28

RC 2 101.524,48

Totale 255.951,76

Sulla base del calcolo effettuato e tenendo conto anche delle informazioni non disponibili in formato cartografico (fondi chiusi) l’assetto della provincia di Reggio Calabria attualmente è il seguente:

 

 

DESCRIZIONE Sup. (ha) % Superficie Agro-Silvo-Pastorale 255.604,60

Aree protette e Istituti di Tutela della Fauna Selvatica:

Parco Nazionale dell’Aspromonte 64.546,16

Parco Naturale Regionale delle Serre 5.060,63

Zone di ripopolamento e cattura

Demani Regionali

Centri pubblici di riprod. della fauna selvatica allo stato naturale

Fondi chiusi

Totale Aree Protette (a) 69.606,79 27,27

Totale delle aree protette previste dalla normativa vigente (min. 20%) (b) 51.120,93 20,00

Aree protette eccedenti il minimo previsto (a-b) 18.485,86 7,27

Zone di addestramento cani 148,55 0,06

Centri privati di riprod. della fauna selvatica allo stato naturale

Fondi sottratti alla pianificazione (art. 15, c. 6, legge n°157/92)

Territorio sottratti alla caccia per ragioni di sicurezza (fasce di rispetto) 33.466,00 13,09

Totale generale 103.221,34 40,38

Per quanto concerne i territori destinabili a gestione privatistica, gli indirizzi regionali per la pianificazione faunistico-venatoria indicano espressamente un’estensione massima del 15% della S.A.S.P. da destinare ad:

- aziende faunistico-venatorie; - aziende agri-turistico venatorie; - centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale; - zone per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani.

Si ritiene che per le aziende venatorie una porzione di territorio corrispondente ad almeno l'8% di S.A.S.P. risulti idonea a tale destinazione. Sotto il profilo tecnico si fa notare quanto segue:

- alle aziende faunistico-venatorie, che perseguono obiettivi “naturalistici e faunistici”, dovrebbe essere attribuita una priorità (ad es. i 2/3 della superficie complessiva potenziale);

- i centri privati di produzione non sono mai molto diffusi (in Italia) e le zone di addestramento cani sono di norma di limitata estensione, di conseguenza, rispetto al 15% di S.A.S.P. destinabile alla gestione privatistica, una percentuale del 2-3% appare più che sufficiente a soddisfare le eventuali richieste.

Ne consegue che la parte restante del territorio agro-silvo-pastorale provinciale sarà destinata alla gestione programmata della caccia (ATC). Di seguito si riporta il quadro relativo alle superfici - S.A.S.P. (Superfice Agro-Silvo-Pastorale) - occupate dagli attuali ATC da tenere in considerazione per la pianificazione faunistico-venatoria.

Superficie (ha) SASP (ha) Provincia di Reggio Calabria 318.201,00 255.604,66 Aree in divieto di caccia 122661,40 95548,08 Aziende venatorie 0 0 ATC RC1 193.534,96 152.677,79 ATC RC2 124.666,92 118.722,22

Per il periodo 2009-2013 non sono previste variazioni nella ripartizione della SASP provinciale tra i due ATC (RC_1 e RC_2).

 

 

3.3.2. Carta delle idoneità ambientali Le carte di idoneità ambientale permettono di integrare e sintetizzare le relazioni specie – ambiente e rappresentano pertanto un valido strumento di supporto alle indagini conoscitive e ai progetti relativi alla conservazione e alla gestione territoriale.

La costruzione della carta di idoneità si basa sulla conoscenza delle caratteristiche auto ecologiche delle specie analizzate e su quei parametri ambientali che discriminano la presenza o meno della singola specie nel territorio. La scelta delle variabili ambientali su cui impostare il modello è fortemente condizionata dalla disponibilità di dati nel territorio di riferimento ed in particolare da studi specifici che legano tali variabili alle specie da analizzare. Le carte delle idoneità ambientali per le specie indagate sono state costruite seguendo i dettami della Rete Ecologica Nazionale http://www.gisbau.uniroma1.it/ren.php.

Sono state elaborate le carte di idoneità ambientale per le specie stanziali di particolare pregio sotto il profilo faunistico-venatorio e conservazioni stico: fagiano, coturnice, lepre europea, lepre italica, cinghiale, capriolo. Le carte suddividono il territorio in quattro categorie: aree non idonee alla specie, aree scarsamente idonee (bassa idoneità), aree mediamente idonee ed aree ad elevata idoneità.

3.3.2.1. Lepre italica (Specie non cacciabile) La carta delle idoneità ambientali riferita a Lepus corsicanus (Lepre italica) è stata realizzata considerando i seguenti parametri ambientali, ecologici e etologici:

1. Dimensione del gruppo secondo una scala che va da 1 individuo a 4 individui

2. Relazione con l’uso del suolo secondo la tabella di seguito riportata:

Tab. 43 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la lepre 

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità 2.1.1 Terre arabili non irrigate 2 2.1.2 Terre irrigate permanenti 1 2.2.1 Vigneti 2 2.2.2 Alberi e arbusti 2 2.2.3 Oliveti 2 2.3.1 Pascoli 3 2.4.1 Seminativi e colture arboree 2 2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 3 2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale 3 2.4.4 Aree agro-forestali 2 3.1.1 Boschi di latifoglie 2 3.1.3 Boschi misti 2 3.2.1 Praterie naturali 2 3.2.2 Brughiere 2 3.2.3 Vegetazione a sclerofille 2 3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 3 3.3.1 Spiagge e dune 2 3.3.3 Aree con vegetazione sparsa 2 3.3.4 Aree incendiate 1

Come rilevabile in tabella, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

3.3.2.2. Lepre europea Non vi sono elementi sufficienti per definire un modello di idoneità ambientale per la lepre europea in Calabria, così come nelle regioni dell’Italia meridionale, dove sostanzialmente la specie è stata

 

 

introdotta artificialmente dall’Uomo e dove la presenza si mantiene ancora in virtù delle consistenti attività di ripopolamento venatorio. Va notato, infatti, che questa specie mal si adatta agli ambienti di tipo mediterraneo e che la presenza di popolazioni vitali nelle regioni meridionali, allo stato delle conoscenze, può essere ipotizzata essenzialmente nelle aree degli orizzonti sub-montano e montano. Va notato altresì che in questi ultimi ambienti la presenza delle componenti boschive (che manifestano un’azione sfavorevole sulla densità della specie) è di norma elevata e, viceversa, risulta più limitata l’attività agricola (che è favorevole alla lepre europea).

La carta delle idoneità ambientali riferita a Lepus corsicanus (Lepre italica) (Tavola 1b) è stata realizzata considerando i parametri ambientali, ecologici riportati della Tabella 14

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

Tab. 44 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la lepre europea 

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità 2.1.1 Terre arabili non irrigate 3 2.1.2 Terre irrigate permanenti 3 2.2.1 Vigneti 2 2.2.2 Alberi e arbusti 2 2.2.3 Oliveti 1 2.3.1 Pascoli 2 2.4.1 Seminativi e colture arboree 3 2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 3 2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale 3 2.4.4 Aree agro-forestali 2 3.1.1 Boschi di latifoglie 1 3.1.3 Boschi misti 1 3.2.1 Praterie naturali 1 3.2.2 Brughiere 1 3.2.3 Vegetazione a sclerofille 1 3.3.1 Spiagge e dune 1

3.3.2.3. Cinghiale Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Sus scrofa (Cinghiale) sono stati considerati i seguenti parametri ambientali, ecologici e etologici:

1 Dimensione del gruppo secondo una scala che va da 1 individuo a 16 individui.

2 Dimensione dell’home range secondo una scala che va da 300 a 5000 ha

3 Distanza percorsa in un ciclo di attività secondo una scala che va da 3 a 8 km

4 Distanza percorsa in fase di dispersione secondo una scala che va da 5 a 15 km

5 Relazione con l’uso del suolo secondo la tabella di seguito riportata.

Tab. 45 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il cinghiale 

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità 2.1.1 Terre arabili non irrigate 1 2.1.3 Risaie 1 2.2.1 Vigneti 2

 

 

2.2.2 Alberi e arbusti 2 2.2.3 Oliveti 1 2.3.1 Pascoli 1 2.4.1 Seminativi e colture arboree 1 2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 2 2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale 3 2.4.4 Aree agro-forestali 2 3.1.1 Boschi di latifoglie 3 3.1.2 Foreste di conifere 1 3.1.3 Boschi misti 3 3.2.1 Praterie naturali 2 3.2.2 Brughiere 2 3.2.3 Vegetazione a sclerofille 3 3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 3 3.3.4 Aree incendiate 1 4.1.1 Aree interne palustri 2

Come rilevabile in tabella, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

Per questa specie che manifesta un importante impatto sulle attività antropiche e l’ambiente, dovrà essere realizzata una "carte di vocazione agro-forestale" ovverosia una carta che esprime le "densità obiettivo" della specie, tenuto conto dei diversi fattori "socio-economici" esistenti in loco. La finalità è quella di minimizzare l’impatto soprattutto nei confronti dei coltivi ricorrendo ad una razionale gestione faunistico-venatoria e a piani di controllo. In quest’ottica le densità obiettivo dovranno essere individuate al di sotto dei valori della densità biotica. Il comprensorio planiziale è inadatto alla presenza della specie. Le aree della collina caratterizzate dalla presenza di colture di pregio suscettibili di danneggiamenti importanti saranno considerate ugualmente inidonee alla presenza della specie. Sono ritenuti moderatamente idonei o idonei alla specie solamente i settori provinciali a medio o basso rischio agronomico.

Definizione delle densità obiettivo: le densità obiettivo sono espresse per le aree classificate come sopra e ad esse sarà associato un range di valori che dovranno essere modulati nel tempo in relazione ai risultati ottenuti:

- nessuna presenza: densità zero;

- bassa densità: 0,5 capi/100ha (range da 0 a 1 capi/100 ha);

- media densità: 1,5 capi/100ha (range da 0,5 a 2 capi/100 ha).

Considerate le difficoltà nel determinare la densità della specie sul territorio, il raggiungimento dell'obiettivo gestionale potrà avvalersi di metodi indiretti (es. statistiche venatorie ed entità dei danneggiamenti).

3.3.2.4. Starna Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Perdix perdix (Starna) sono stati considerati i seguenti parametri ambientali, ecologici e etologici. Sebbene il modello risulti poco attendibile, esso rappresenta tuttavia l’unico disponibile per valutare l’idoneità ambientale alla specie, che come è noto risulta estinta in Calabria da ormai lungo tempo.

1. Dimensione dell’home range secondo una scala che va da 0.06 a 0.3 km

2. Relazione con l’uso del suolo secondo la tabella di seguito riportata

Tab. 46 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la starna 

 

 

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità 2.1.1 Terre arabili non irrigate 3 2.2.1 Vigneti 2 2.2.2 Alberi e arbusti 3 2.2.3 Oliveti 2 2.3.1 Pascoli 1 2.4.1 Seminativi e colture arboree 3 2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 3 2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale 3 2.4.4 Aree agro-forestali 1 3.2.1 Praterie naturali 2 3.2.2 Brughiere 3 3.2.3 Vegetazione a sclerofille 1 3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 2 3.3.4 Aree incendiate 1

Come rilevabile in tabella, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

3.3.2.5. Fagiano comune  Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Phasianus cochicus (Fagiano comune) sono stati considerati i seguenti parametri ambientali, ecologici e etologici. Sebbene il modello proposto dalla REN interessi solo in parte la Calabria, la sua scelta scaturisce dalla similitudine degli ambienti calabresi con quelli in cui la specie riesce a completare il proprio ciclo.

1. Dimensione dell’home range secondo una scala che va da 0.5 a 2 ha

2. Relazione con l’uso del suolo secondo la tabella di seguito riportata

Tab. 47  – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il fagiano comune 

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità 1.2.4 Aeroporti 3 2.1.1 Terre arabili non irrigate 2 2.1.2 Terre irrigate permanenti 2 2.2.1 Vigneti 2 2.2.2 Alberi e arbusti 2 2.3.1 Pascoli 2 2.4.1 Seminativi e colture arboree 3 2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 3 2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale 3 2.4.4 Aree agro-forestali 2 3.2.2 Brughiere 2 3.2.3 Vegetazione a sclerofille 1 3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 2 4.1.1 Aree interne palustri 2

Come rilevabile in tabella, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

3.3.2.6. Coturnice Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Alectoris graeca (Coturnice) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della Tabella XXX.

 

 

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

Tab. 48 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per la coturnice 

CORINE Land Cover livello 3 Idoneità 2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 2 3.2.1 Praterie naturali 2 3.2.2 Brughiere 2 3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 3

3.3.2.7. Capriolo Per la costruzione della carta delle idoneità ambientali di Capreolus capreolus (Capriolo) (Tavole 3a e 3b) sono stati considerati i parametri ambientali, ecologici della Tabella 16.

Come rilevabile, ad ogni tipologia ambientale è stato assegnato un Punteggio di Idoneità Ambientale,. Tale punteggio prevede quattro valori: 0 = non idoneo, 1 = bassa idoneità, 2 = media idoneità, 3 = alta idoneità.

Tab. 49 – Relazione tra uso del suolo e idoneità ambientale per il capriolo 

Categoria CORINE Land Cover livello 3 Idoneità 2.2.2 Alberi e arbusti 2 2.2.3 Oliveti 1 2.3.1 Pascoli 1 2.4.1 Seminativi e colture arboree 2 2.4.2 Aree agricole a struttura complessa 1 2.4.3 Aree agricole interrotte da vegetazione naturale 3 2.4.4 Aree agro-forestali 2 3.1.1 Boschi di latifoglie 3 3.1.2 Foreste di conifere 2 3.1.3 Boschi misti 3 3.2.1 Praterie naturali 3 3.2.2 Brughiere 2 3.2.3 Vegetazione a sclerofille 2

3.4. Ripartizione e localizzazione degli istituti per la gestione faunistico­venatoria E’ stato qui ampiamente riconosciuto il ruolo d’indirizzo, attribuito dall’art. 10 della L.157/1992 all’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS), che attraverso i propri Documenti Tecnici ed Action Plan pubblicati, fornisce indicazioni per la gestione e conservazione di specie faunistiche d’interesse venatorio o conservazionistico. In particolare occorre citare il “Documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunisticovenatoria” dell’INFS (D.T. INFS n° 15, Febbraio 1994) che allo specifico capitolo dedicato alle ZRC, chiarisce come tali istituti sono destinati alla riproduzione allo stato naturale della fauna selvatica e quindi di grande rilevanza per le Province che li gestiscono per fornire una dotazione annua di selvaggina naturale attraverso l’immissione nei territori cacciabili o in altri territori di tutela, sia tramite catture e sia tramite irradiamento spontaneo nei territori circostanti.

Nello stesso documento si evidenzia come la scelta dei territori in cui localizzare detti Istituti debba essere molto accurata ed espressa non esclusivamente sulla base delle vocazionalità territoriali (teoriche) ma anche sulla base di una validità accertata sotto il profilo faunistico. Si tratta infatti di Istituti di gestione della durata di almeno 5 anni, in cui la Provincia dovrà investire ingenti risorse economiche e umane, e pertanto la scelta deve essere opportunamente valutata.

 

 

Tali indicazioni sono poi state riprese dal“ Documento di indirizzo e coordinamento della Pianificazione Faunistico – Venatoria - Provinciale”, formulato dalla Regione Calabria Dipartimento n° 6 Agricoltura – Foreste – Forestazione - Caccia e Pesca ,del mese di Gennaio 2009, ed inviato alle Province; si cita a proposito anche il “ Documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la Pianificazione Faunistico – Venatoria “ dell’I.N.F.S.

Il richiamato documento chiarisce soprattutto il ruolo degli Istituti di produzione e protezione, nonchè l’importanza della salvaguardia della fauna selvatica in tali istituti attraverso specifici interventi di gestione.

Considerato il ruolo del presente Piano che è quello di “ Programmazione e previsione degli interventi Faunistico Venatori, riconducibili anche alle pregresse previsioni contenute nel Piano Faunistico precedente annualità 1998/2003”, la Provincia si è paticolarmente soffermata sull'approfondimento tecnico scientifico degli Istituti Faunistici.

3.4.1. Localizzazione e strategia degli Istituti Come descritto al punto 2.1.5.2 nella parte descrittiva, In ritardo con cui la L.N. 157/92 è stata recepita in Calabria e nella nostra Provincia, come in altre parti d’Italia, ha determinato un ritardo anche nello sfruttamento di tutte le possibilità che la legge prevede, ed a questo si aggiungono le modalità tradizioni con cui viene esercitata la caccia nel territorio della Provincia di Reggio Calabria. Tale lacuna fa perdere molte opportunità che si possono tradurre sicuramente in un miglioramento degli ambienti (le AFV hanno l’obbligo di reinvestire i proventi della caccia in miglioramenti ambientali), oltre che del miglioramento qualitativo e quantitativo della fauna stanziale sul territorio. l’istituzione di centri pubblici e privati di per la produzione di selvaggine costituiscono infatti una valida alternativa all’acquisto di selvaggina da aree lontane (e spesso dall’estero), con indubbi vantaggi sia dal punto di vista economico che sanitario. Mancano completamente anche le altre tipologie di istituto quali le Zone di Ripopolamento e Cattura, le Oasi di Protezione e i Fondi chiusi. Tali istituti non devono essere visti come ulteriori limitazioni all’attività venatoria ), ma come una opportunità per la qualificazione del territorio e della fauna presente. NeII’ambito temporaIe di vaIidità deI PFV ProvinciaIe, dovranno essere avviati studi ambientaIi voIti ad individuare Ie zone pià idonee per I’istituzione di Istituti Faunistici come da L.N. 157/92 e s.m.i..La priorità di istituzione dovrà essere rivoIta ai centri pubbIici e privati per Ia produzione di seIvaggina aIIo stato naturaIe. L’istituzione di Oasi di Protezione dovrà essere vaIutata attentamente per queIIe situazioni dove già sussistono aItri vincoIi per Ia presenza di ambienti e specie faunistiche di particoIare pregio naturaIistico.Per tutte Ie tipoIogie di istituto, ma in particoIare per queIIe di natura già gestionaIe, dovrà essere vaIutata Ia Ioro distribuzione daI punto di vista territoriaIe in modo da garantire Ia massima fruizione possibiIe da parte di tutta I’utenza venatoria. L’obbiettivo a medio-Iungo termine è queIIo di ridurre aI minimo I’acquisto di lepri daII’estero e di avviare un progetto di aIIevamento IocaIe che può divenire anche fonte di reddito aIternativo per Ie aziende agricoIe IocaIi che abbiano i requisiti necessari. Gli Istituti in esame, proprio per la loro funzione di sosta, rifugio e riproduzione della fauna selvatica dovrebbero essere ben distribuiti sull’intero territorio agro-silvopastorale. Una distribuzione a scacchiera contribuisce a creare quella rete sinergica di istituti di tutela tra loro vicini, interrotti da comprensori venatori, che favorisce da una parte un efficace sistema di protezione alla fauna, in particolare quella migratoria, ma dall’altra comporta anche un irradiamento spontaneo della selvaggina, da questi serbatoi naturali, ai limitrofi territori cacciabili. La richiesta di avere una distribuzione piuttosto omogenea di questi istituti di tutela sull’intero territorio provinciale viene, infatti, anche dalla “base” dei cacciatori, i quali ben conoscono le potenzialità di irradiamento di selvaggina. L’individuazione della superficie e la collocazione degli istituti verranno indicati dalla nuova carta delle vocazioni faunistiche, documento che l’Amministrazione Provinciale andrà a sviluppare, coinvolgendo gli A.T.C. attivando tutte le strategie per utilizzare al meglio i finanziamenti erogati dalla Regione. Non essendo presenti allo stato attuale, e in mancanza di nuove domande di istituzione, si ritiene che possa essere eventualmente riservata a tale tipologia di istituti una superficie non superiore al 2% per soddisfare eventuali nuove richieste

 

 

Tuttavia, va considerato che la presenza di due grossi Parchi (il PN dell’Aspromonte e il PR delle Serre Calabresi), ancorchè apportare un importante contributo sotto il profilo della conservazione degli habitat, della fauna e della flora, assorbe notevolmente la percentuale di SASP che per legge può essere posta in “divieto di caccia”. Questo fatto rappresenta un forte limite alla efficacia del presente PFV provinciale sotto il profilo della conservazione della fauna selvatica nella maggior parte del territorio provinciale. Sussistono in questi territori notevolissime esigenze di tutela della fauna selvatica (un esempio su tutti e quello della tutela delle aree strategiche sulle rotte di migrazione, tenuto conto che la Calabria e la provinciali Reggio Calabria in particolare, risultano sicuramente tra le aree più importanti a livello europeo da questo punto di vista), che per le ragioni esposte non possono essere soddisfatte, se non in misura assai marginale. Anche le pur necessarie attività di tutela e incremento delle specie stanziali sono così assai limitate. Una rivisitazione dei confini delle predette Aree protette va eventualmente quindi ipotizzata e prospettata nelle sedi appropriate.

In parallelo dovrebbe essere valutata la possibilità di realizzare, in prospettiva, le cosiddette “aree di rispetto” (istituite in varie regioni, ma almeno per ora non previste dal Legislatore regionale), che potrebbero essere costituite all’interno degli Ambiti territori di caccia con deliberazione degli Organi di gestione. Si tratta di territori che si differenziano dalle zone di ripopolamento e cattura, oltre che per le dimensioni (in genere comprese tra 100 e 300 ettari), per il fatto che in esse potrebbe essere ammissibile la caccia a determinate specie, come ad es. il cinghiale e la volpe; per questa ragione le stesse aree di rispetto non verrebbero a gravare sulla quota di SASP vincolata a divieto di caccia. In questo modo si potrebbe quindi ovviare almeno in parte alla eventuale perdurante impossibilità di realizzare le Oasi di protezione, le ZRC e i Centri pubblici o provati di riproduzione della fauna selvatica.

Per la localizzazione degli istituti di cui trattasi, compatibilmente con le superfici di SASP disponibili, si debbono considerare sia le caratteristiche fisiche, ambientali e faunistiche dei territori prescelti, sia altri fattori che possono influenzare il loro funzionamento in relazione delle finalità di ciascuno di essi. Tra questi la possibilità concreta di vigilanza e la disponibilità nel realizzare in loco, anche dal punto di vista organizzativo, una effettiva gestione degli stessi istituti.

Il Piano pertanto individua e propone l’istituzione dei seguenti istituti:

(Art. 6 L.R. 9/96 comma 2 lettere a, b, c, d, ed e ) prevede di istituire :

• Oasi di protezione, destinate alla rproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;

• Zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturaleed alla cattura della stessa per l’immissione sul territorio;

• Centri privati di produzione di fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma agricola, singola, consortile o cooperativa.

Questa Amministrazione Provinciale Istituire delle zone di ripopolamento e cattura prevedendo idonei finanziamenti. Per tali Istituti non è stata prevista ancora la collocazione , ma si prevede di istituirle, entro un anno massimo, dall’approvazione del presente Piano Faunistico Venatorio: Le ZRC devono essere strutture efficaci per la produzione della piccola selvaggina stanziale e dovrà essere intrapresa ogni azione per il controllo e la gestione del cinghiale. E’ necessario e urgente istituirle al fine di ottenere un contributo efficace onde raggiungere una produzione della fauna selvatica soddisfacente, per non dipendere da logiche di mercato che portano all’utilizzo di specie e soggetti non idonei e allo sperpero delle risorse economiche senza ottenere risultati soddisfacenti . Per queste struttura si dovranno attivare tutte le strategie per utilizzare al meglio i finanziamenti pubblici.

 

 

3.4.2. Proposte del mondo venatorio e degli ATC Per l’individuazione concreta dei siti e dei perimetri dei vari istituti (Oasi, ZRC e Centri pubblici di riproduzione) si ritiene opportuno ottenere anche il fattivo coinvolgimento del mondo venatorio, per arrivare ad una scelte condivisae ed unitaria, definitiva proposta.

Proprio su tali scelte l’Assessore provinciale al ramo, avvierà un percorso richiedendo al “mondo venatorio”, in particolare agli Ambiti Territoriali di Caccia, eventuali proposte e contemporaneamente chiedendo al Servizio Caccia Pesca di attivarsi a formulare proprie proposte (da sottoporre al “mondo venatorio”) ed una valutazione tecnica di quelle sulle proposte che perverranno all’Assessorato da parte dello stesso “mondo venatorio”ei due Ambiti ( A.T.C.).

Il principale presupposto di ordine tecnico che motiverà le scelte della Provincia sulle varie proposte degli A.T.C. sarà quello di basare tutte le considerazioni su parametri tecnico scientifici e su dati oggettivi.

Considerata, infatti, la natura delle richieste, condizionate sicuramente dalla preziosa esperienza pratica dei cacciatori, ma spesso non fondata su concrete esperienze gestionali,basate su considerazioni di tipo soggettivo e su osservazioni di tipo empirico, e vista anche l’impossibilità da parte dell’Amministrazione Provinciale di arrivare a valutazioni oggettive complete delle consistenze faunistiche, sarà opportuno verificare sotto il profilo tecnico oggettivamente le proposte per la realizzazione dei nuovi Istituti, anche per assicurare la costituzione di un sistema coerente ed efficace di aree di tutela e di riproduzione della fauna.

Pertanto, avviate le prime fasi di attuazione delle previsioni contenute nel piano, saranno avviate formulate appropriate iniziativeconclusioni sulla base delle proposte e delle osservazioni pervenute, che saranno approvate e realizzate, anche previo con il contributo tecnico scientifico offerto da dipartimentoi universitari competenti.

3.4.3. Proposta per la realizzazione di un C.R.A.S. in Provincia di Reggio Calabria Il Centro per il Recupero della Fauna Selvatica (C.R.A.S. ) progettato per la Provincia di Reggio Calabria, tenuto in debito conto le pluriennali esperienze maturate dai C.R.A.S. sia a livello regionale che nazionale, intende sopperire ad un “vuoto” percepito sia dai vari Enti che prestano la loro opera nel campo della tutela ambientale (Polizia Provinciale, Corpo Forestale dello Stato, Ente Parco, ecc.), sia dai gruppi ambientalisti che dai cittadini che sono obbligati a ricorrere alle prestazioni di tale tipologia di centri fuori provincia e, in alcuni casi, fuori Regione.

Inoltre, grande attenzione è stata rivolta alle caratteristiche ambientali del territorio oggetto dell’intervento, sitio in in Località “Zomaro” del Comune di Cittanova. Tale area, infatti, per le sue peculiarità naturalistiche e per la sua localizzazione geografica, strategica per le rotte migratorie, ben si presta alla creazione di un centro per il recupero della fauna selvatica.

Per quanto riguarda l’esperienza maturata dal Servizio Tutela Fauna di questa Provincia, annualmente molte volte si ricorre ai C.R.A.S. o ad altri centri similari, con dispendio sia di notevoli risorse economiche che di personale, e la reintroduzione finale degli animali non avviene nel territorio originario dell’animale e ciò contribuisce all’ulteriore impoverimento del patrimonio faunistico della provincia.

La realizzazione del C.R.A.S. ha tra le principali finalità quelle della tutela di specie faunistiche di elevato interesse sotto il profilo conservazionistico (in particolare i Rapaci), della ricerca scientifica, nonché della fruizione del territorio in termini di sensibilizzazione e di educazione ambientale.

3.4.3.1. Localizzazione dell'intervento La struttura che dovrebbe ospitare il C.R.A.S. è stata già realizzata in Località “Zomaro” del Comune di Cittanova, in un area che presenta un terreno pianeggiante contornato da una faggeta.

In tale area si è avuta la disponibilità, sia del Comune di Cittanova che della Comunità Montana, di uno stabile con adeguati spazi interni e con un’ampia area esterna circostante che hanno

 

 

consentito di strutturare un intervento in grado di far fronte, in maniera adeguata, a tutte le attività che richiedono la cura, il recupero e la reintroduzione in natura della fauna in difficoltà.

3.4.3.2. Attività  Le attività previste all’interno del Centro per il Recupero della Fauna Selvatica possono essere così riassunte:

• Primo soccorso e valutazione diagnostica;

• Chirurgia;

• Degenza;

• Riabilitazione alla vita selvatica;

• Reintroduzione in natura della fauna recuperata;

• Sensibilizzazione ed educazione ambientale;

• Ricerca scientifica;

Il primo soccorso, la valutazione diagnostica e gli interventi chirurgici saranno realizzati in due locali adeguatamente attrezzati per far fronte a tutte le cause di ricovero (ferite d’arma da fuoco, fratture, intossicazioni, inoculazioni, etc) che generalmente presentano gli animali che vengono consegnati ai centri di recupero per la fauna selvatica.

La degenza, la riabilitazione alla vita selvatica e l’ospitalità degli animali “inabili” ossia non più reintroducibili in natura, sono assicurati dalla realizzazione di voliere di diverse tipologie per forme e dimensioni a seconda della loro destinazione d’uso (voliere da adibire a primo soccorso, a stabulazione prolungata, a riabilitazione alla vita selvatica) e a seconda delle specie animali da ospitare.

Sarà possibile avviare azioni di sensibilizzazione e di educazione ambientale grazie ad un percorso didattico realizzato all’interno del Centro per il Recupero della Fauna Selvatica che consentirà ai visitatori di osservare da vicino gli animali ospiti del Centro. A tal fine saranno “aperte al pubblico” solo alcune voliere. Attraverso un porticato, adiacente ad un lato della voliera, oscurato da un doppio strato di rete ombreggiante, i visitatori osserveranno attraverso degli appositi pertugi gli animali nelle voliere più grandi. Tale accorgimento non sarà necessario, invece, per i box che ospiteranno gli animali “inabili” dal momento che essi non potranno essere più reintrodotti in natura. Su ogni voliera potranno essere affissi i pannelli didattici recanti, con sintesi e chiarezza, informazioni sullo status, la conservazione, l'alimentazione degli animali ospitati, con informazioni sulle particolarità delle specie e sulle possibilità di avvistamento.

Un ulteriore attività realizzabile all’interno del Centro di Recupero per la Fauna Selvatica è quella della ricerca scientifica. La reintroduzione in natura, infatti, di specie stanziali consente, mediante consolidate metodologie (inanellamento, decolorazione del piumaggio, radiotracking, etc) di studiare gli individui direttamente nelle proprie nicchie ecologiche. Infine, la possibilità di conservare i cadaveri degli animali deceduti consente di intraprendere progetti di ricerca sulla presenza di pesticidi, metalli pesanti ed altre sostanze tossiche accumulati nei tessuti molli.

Oltre che per le attività principali sopra descritte, i C.R.A.S. si caratterizzano per poter svolgere le seguenti funzioni:

- educazione del pubblico alla tutela della fauna selvatica, allo scopo di sviluppare maggiore consapevolezza e sensibilizzazione rispetto ai temi della conservazione;

- sostegno all’opera di conservazione della fauna selvatica, attraverso la reintroduzione di animali e la conduzione di programmi di riproduzione per specie a rischio di estinzione;

- valutazione dell’efficacia di provvedimenti legislativi adottati in materia di caccia e di conservazione della natura;

 

 

- utilizzo degli animali selvatici come indicatori della salute e dell’integrità di un ecosistema, potendo essi fornire sia dati per un monitoraggio epidemiologico sia campioni per analisi tossicologiche.

Nell’uso comune sono invalsi numerosi altri acronimi per indicare le strutture di recupero; i più comuni sono C.R.R. (Centro Recupero Rapaci) e C.R.F.S. (Centro Recupero Fauna Selvatica).

Ritrovamento

Per ritrovamento si intende il primo contatto delle persone coinvolte nel recupero con l’animale selvatico.

Esso avviene in genere da parte di privati cittadini o degli addetti alla vigilanza venatoria.

Al ritrovamento possono conseguire la segnalazione, la consegna od il soccorso.

Si ricorda che, ai sensi della Legge 157/92 e dei relativi recepimenti regionali, il prelievo da parte di privati di uova, nidi, neonati e adulti di fauna selvatica, che non siano evidentemente esposti a grave minaccia, è vietato.

Segnalazione

La persona che ha effettuato il ritrovamento è tenuta a segnalare il fatto entro 24 ore all’autorità competente per territorio. A seguito della segnalazione l’animale ritrovato può essere raccolto dal personale provinciale preposto e consegnato ad un centro di recupero.

Più spesso, i privati che ritrovano un animale selvatico si rivolgono direttamente ad un C.R.A.S. consegnando l’animale o segnalandone la presenza e richiedendo che gli operatori del centro si rechino sul luogo a prelevare l’esemplare.

A seguito di un ritrovamento effettuato da privati, la segnalazione è l’atteggiamento migliore, perché consente agli operatori del recupero, siano essi volontari di un centro o addetti alla vigilanza venatoria, di fornire le istruzioni necessarie ad evitare tentativi potenzialmente controproducenti di manipolazione e cura dell’animale.

Non è infrequente, infatti, che gli animali ritrovati vengano detenuti per un certo periodo di tempo in ambito domestico, con il rischio di diminuire la percentuale di successo del recupero.

Recupero

Complesso di interventi attuati per motivazioni scientifiche ed etiche, necessario a riportare un animale nelle condizioni di vivere autonomamente in stato di naturale libertà, consentendogli di riacquistare la capacità di relazionarsi con l’ambiente, con i conspecifici, con i predatori e di riprodursi.

Il termine “recuperato” non si applica pertanto agli animali per i quali sia stata formulata una prognosi infausta ad vitam o ad valitudinem.

Le motivazioni su cui poggia il recupero sono state sintetizzate da Gandini (1996):

- salvaguardia delle popolazioni e delle specie selvatiche in cattivo stato di conservazione, riconoscendo agli animali liberati un ruolo di sostegno demografico alle popolazioni viventi sul territorio;

- riconoscimento all’animale selvatico del diritto ad essere recuperato, indipendentemente dalla specie di appartenenza.

Possiamo riconoscere sei fasi necessarie per lo svolgimento del recupero:

1) ricovero e analisi di fattibilità;

2) cura;

 

 

3) riabilitazione;

4) marcatura;

5) liberazione;

6) monitoraggio e altre attività post-rilascio.

Le fasi elencate non corrispondono ad una situazione reale, ma sono funzionali ad inquadrare in una sequenza temporale e logica le attività di un centro.

Consegna e soccorso

Quando gli animali ritrovati vengono portati al centro dalla persona che ha effettuato il ritrovamento, o dal personale provinciale che ne aveva ricevuto la segnalazione, si parla di consegna.

Nel caso invece in cui sia stato il personale del centro a recarsi sul luogo del ritrovamento per prendere in carico l’animale, si utilizza il termine soccorso. L’impiego di due vocaboli differenti è stato ritenuto opportuno per evitare di utilizzare il termine “recupero”, già carico di significati, per indicare il semplice prelievo di un animale sul territorio.

Ricovero e analisi di fattibilità

Per ricovero intendiamo tutte le procedure che devono essere espletate dal momento dell’arrivo dell’animale al centro, fino al suo avvio a strutture di stabulazione idonee.

Alcune di queste procedure possono essere eseguite da volontari (comunque previo un’adeguata formazione), mentre altre richiedono l’intervento di professionisti e personale qualificato (attività cliniche; analisi di fattibilità).

Le tappe in cui si articola la fase di ricovero verranno ovviamente affrontate in un ordine temporale variabile a seconda delle condizioni cliniche dell’animale e della disponibilità di personale; esse sono:

- compilazione della scheda di ingresso dell’animale;

- prima visita clinica e rianimazione;

- eventuale marcatura provvisoria, interna al centro;

- analisi di fattibilità.

L’analisi di fattibilità dovrebbe costituire una tappa imprescindibile per avviare il processo del recupero. Essa permette di scegliere razionalmente fra le tre opzioni che si presentano al momento del ricovero:

1. l’avvio dei processi di cura e riabilitazione al fine di liberare l’animale;

2. il mantenimento in cattività per l’intera vita di un soggetto, giudicato irrecuperabile;

3. l’eutanasia.

Una pratica assimilabile all’analisi di fattibilità non è prevista dalla regione Calabria, che quindi non impone al veterinario del centro di formulare una prognosi sulla ricuperabilità dell’animale entro sei mesi dal suo ricovero ma è ritenuta opportuna.

Il ricovero dovrebbe essere sempre seguito da un periodo di quarantena.

Cura

Come fase di cura intendiamo il periodo in cui vengono condotte su un animale ricoverato procedure terapeutiche, sia mediche che chirurgiche.

 

 

Detenzione

La detenzione di esemplari vivi di fauna selvatica è vietata a soggetti che la realizzino su iniziativa privata, in particolare per specie non cacciabili o soggette ad un regime di protezione particolare ai sensi dell’articolo 2 della Legge 157/92.

Per questo motivo i C.R.A.S. devono possedere una specifica autorizzazione per esercitare la loro attività.

La detenzione non indica il possesso degli esemplari, dal momento che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile della Stato.

La detenzione delle specie considerate pericolose ai sensi del Decreto Interministeriale 19 aprile 1996 è vietata.

I centri di recupero che vogliano ricoverare specie presenti nell’Allegato A del suddetto provvedimento, devono essere in possesso di una specifica autorizzazione che testimoni la sussistenza dei necessari requisiti, e sono tenuti a denunciare ogni acquisizione di tali animali all' Ufficio Territoriale del Governo, competente per territorio.

I gestori dei centri di recupero sono tenuti a compilare dei registri per il carico e lo scarico delle specie animali incluse negli Allegati A e B del Regolamento (CEE) 338/97 del Consiglio.

Il registro di per sé non costituisce comunque una prova sufficiente della legalità della detenzione degli esemplari in esso iscritti.

In alcuni C.R.A.S., l’obbligo di tenuta di un registro di detenzione è stabilito dai medesimi provvedimenti, regionali o provinciali, che ne autorizzano l’attività.

Riabilitazione

Per riabilitazione intendiamo gli interventi di tipo gestionale, clinico e comportamentale, cui un animale deve essere sottoposto dopo la fase di cura per poter essere liberato.

La fase di riabilitazione ha lo scopo di ripristinare l’integrità fisica (segnatamente la tonicità muscolare) e comportamentale (istinto predatorio, attitudine riproduttiva, comportamento alimentare) dell’animale. Essa viene a volte indicata con il termine “rieducazione”.

Marcatura

Per marcatura intendiamo l’applicazione ad un animale di dispositivi che ne consentano l’identificazione individuale ed eventualmente il monitoraggio delle attività a seguito della liberazione.

La Campania e la Sicilia sono le uniche Regioni a rendere obbligatoria la marcatura degli animali prima della liberazione.

Liberazione

La liberazione è la fase del recupero consistente nel rilascio in natura di un animale curato, riabilitato e marcato. Essa dovrebbe avvenire secondo tempi, modalità e scelta del luogo di rilascio, che ne garantiscano le maggiori probabilità di successo.

La liberazione (o “rilascio”) può configurarsi, a seconda delle specie e delle modalità di liberazione, come reintroduzione, introduzione o ripopolamento.

Monitoraggio e altre attività post-rilascio

Il monitoraggio è la fase successiva alla liberazione, ed ha lo scopo di verificare il successo di quest’ultima.

 

 

Essa si realizza attraverso l’applicazione all’animale di un dispositivo di marcatura (ad esempio un radiocollare) che consenta il controllo delle sue attività.

L’esigenza di una fase di monitoraggio nasce dalla considerazione che il recupero non termina con la liberazione, bensì con il ritorno effettivo dell’animale alla vita selvatica.

I dati raccolti in questa fase, nel breve e nel lungo periodo, possono permettere di valutare l’efficacia della cura, della riabilitazione e delle tecniche di rilascio. Per una reale efficacia nel perfezionamento delle metodiche di recupero, sarebbe necessario che questi dati venissero divulgati, sia nel caso di successi che di insuccessi.

Oltre al monitoraggio, nel periodo successivo alla liberazione possono essere attuate misure di sostegno per gli animali, ad esempio la predisposizione di carnai o mangiatoie in cui il soggetto appena rilasciato possa tornare a nutrirsi nei primi tempi.

Irrecuperabili

Sono comunemente indicati come “irrecuperabili” quegli animali, ricoverati e curati in un C.R.A.S., che non potranno mai essere liberati a causa di gravi ed irreversibili menomazioni fisiche (ad esempio amputazione di ali o arti) o alterazioni comportamentali (ad esempio imprinting sull’uomo).

Alcune Regioni si sono espresse sul destino degli animali irrecuperabili.

Ad esempio l’Abruzzo e la Lombardia stabiliscono che essi possano essere ceduti ad istituzioni scientifiche autorizzate, o essere utilizzati a scopi didattici (Emilia-Romagna; Sicilia) o nell’ambito di progetti di riproduzione a scopo di conservazione (Puglia).

La Lombardia inoltre, con l’Emilia-Romagna, prevede la possibilità che essi vengano sottoposti ad eutanasia.

3.4.4. Istituzione dell’Osservatorio Faunistico Provinciale La Provincia di Reggio Calabria istituisce e disciplina l’organizzazione ed il funzionamento dell’Osservatorio Faunistico Provinciale al fine dell’attuazione, del controllo e delle eventuali correzioni che si rendessero necessarie nel tempo sul Piano Faunistico Venatorio.

Attraverso l’Osservatorio si vuole rispondere in maniera coordinata e razionale alle indicazioni normative regionali e nazionali prodotte, in ambito faunistico, nonché alle osservazioni pervenute dall’ISPRA durante le fasi istruttorie del Piano Faunistico Venatorio Provinciale di Reggio Calabria.

La volontà di istituire un Osservatorio Faunistico Provinciale è volta a risolvere le notevoli carenze non soltanto nella dotazione di dati sulla distribuzione faunistica locale, ma soprattutto nell’organizzazione di un organismo competente capace di rispondere alle esigenze programmatorie e progettuali espresse dall’Ente Provincia e dagli altri Enti presenti sul territorio.

Con l’Osservatorio la Provincia di Reggio Calabria sarà in grado di poter controllare, orientare e rimodulare gli interventi pianificatori, di garantire un monitoraggio puntuale e organico dell’ambiente, di promuovere la divulgazione scientifica e di fornire ad enti terzi strumenti certi e razionali per gli interventi sul territorio rurale. In tal modo sarà possibile realizzare un contenimento delle spese riferibili ai compiti dell’Osservatorio, tra l’altro di interesse intersettoriale, per le quali storicamente si è reso necessario l’intervento di una pluralità di tecnici esterni.

La Provincia di Reggio Calabria individua nell’Osservatorio Faunistico Provinciale una struttura di particolare interesse scientifico per lo studio del patrimonio faunistico provinciale, nonché per la risoluzione delle problematiche tecniche connesse alla gestione della fauna selvatica in relazione alle attività socio-economiche provinciali ed alla tutela delle peculiarità bio-ecologiche del territorio. La Provincia di Reggio Calabria riconosce inoltre allo stesso Osservatorio, in collaborazione con gli Enti e gli Istituti accreditati, il ruolo di coordinamento, a scala provinciale, delle attività di ricerca e monitoraggio della fauna selvatica.

 

 

L’Osservatorio Faunistico Provinciale è istituito quale Ente strumentale della Provincia di Reggio Calabria, è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, di autonomia amministrativa, patrimoniale, contabile e tecnico-scientifica. La sede dell’Osservatorio Faunistico Provinciale è individuata, tra i beni immobiliari di patrimonio provinciale, su proposta dell’Assessore competente.

Le funzioni dell’Osservatorio Faunistico Provinciale, da svolgere in collaborazione con i Servizi Territoriali del Settore Agricoltura – Caccia e Pesca secondo le proprie competenze, sono individuate:

- nelle azioni di assistenza tecnica, con particolare riferimento:

• all’elaborazione di criteri ed indirizzi per la pianificazione faunistico-venatoria e di prelievo ittico per finalità sportive;

• al monitoraggio ed al controllo delle azione previste negli interventi programmatori di settore;

• agli interventi tecnici di gestione faunistica, di conservazione delle specie animali selvatiche protette e di incremento, diffusione e controllo (di cui all’art.19 della Legge n°157 dell’11/2/1992 – Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) delle specie di interesse economico, venatorio ed ittico;

• alla proposizione, sperimentazione e progettazione degli interventi tecnici di gestione faunistica finalizzati al controllo delle popolazioni di specie animali che arrecano danni alle colture ed al patrimonio zootecnico;

• alla proposizione, sperimentazione e progettazione degli interventi tecnici per l’utilizzo di mezzi di prevenzione dei danni alle colture ed al patrimonio zootecnico causati dalla fauna selvatica;

• allo studio dei danni arrecati alla flora dalla fauna selvatica (con particolare attenzione per le aree protette e la flora tutelata o a rischio), nonché alla proposizione, sperimentazione e progettazione degli interventi tecnici di gestione faunistica e di utilizzo di mezzi per la prevenzione dei danni;

• allo studio ed al monitoraggio delle relazioni tra fauna autoctona e fauna introdotta (con particolare riguardo per le specie alloctone), nonché alla proposizione, sperimentazione e progettazione degli interventi tecnici di controllo della fauna;

• alla valutazione tecnica di proposte ed interventi di gestione e tutela faunistica;

• all’elaborazione di proposte tecniche finalizzate ad armonizzare gli interventi e gli aiuti in campo agricolo con le esigenze di gestione e tutela della fauna;

• all’elaborazione di proposte tecniche per l’attuazione dei Piani di Miglioramento ambientale della Provincia e degli ATC;

• all’elaborazione di proposte tecniche per l’istituzione di istituti venatori e la modifica della localizzazione dei comprensori faunistici;

• all’elaborazione di proposte tecniche per la gestione e la tutela delle specie ittiche oggetto di pesca sportiva;

• all’elaborazione di proposte per la tutela della teriofauna, dell’erpetofauna, dell’ittiofauna e dell’entomofauna, nonché allo studio della flora locale, con particolare riferimento alle specie protette, a quelle sensibili ed a quelle individuabili quali indicatori di stato e struttura ecologica;

• all’elaborazione di proposte tecniche finalizzate alla disciplina dell’esercizio venatorio nella aree contigue alle aree naturali protette (di cui alla Legge n°394 del 6/12/1991 e successive modifiche – Legge quadro sulle aree protette);

 

 

• all’elaborazione, con scadenza temporale programmata, delle relazioni sullo stato di gestione della fauna, sui censimenti faunistici provinciali e sullo stato di salute dell’ambiente, nonché alla stesura dei documenti relativi alle attività di indagine condotte;

• alla collaborazione con i servizi veterinari dell’ASP secondo le necessità individuate dal Servizio Veterinario o da soggetti scientifici competenti in materia.

- nelle attività di coordinamento scientifico e tecnico per:

• la definizione delle linee guida e di indirizzo per le attività di monitoraggio della fauna selvatica e di raccolta dati;

• il coordinamento, su scala provinciale, delle attività di cattura temporanea per fini scientifici ed inanellamento ed applicazione delle direttive impartite dalla Regione Calabria e dall’ISPRA (ex INFS);

• il coordinamento, su scala provinciale, degli Enti, delle Associazioni e del personale preposti agli accertamenti sanitari per la fauna selvatica;

• il coordinamento, su scala provinciale, degli Enti, delle Associazioni, dei volontari e del personale preposti alle attività di monitoraggio, censimento ed raccolta dati relativamente agli aspetti quali-quantitativi della fauna selvatica e della struttura dell’ambiente naturale;

• il coordinamento, su scala provinciale, delle attività di gestione delle popolazioni faunistiche che arrecano danni alle attività agri-silvo-pastorali, alle attività antropiche ed al mantenimento delle ottimali condizioni dell’ambiente naturale.

- nelle attività di indirizzo e coordinamento per le attività di formazione condotte dalla Provincia e dagli ATC per:

• qualificazione, formazione ed aggiornamento degli operatori faunistici;

• organizzazione dei corsi per selecontrollori.

- nelle attività di divulgazione e formazione per:

• l’organizzazione, in collaborazione con le Università, di master e corsi di specializzazione nella gestione faunistica;

• la predisposizione di borse di studio per laureati in discipline scientifiche ambientali e naturali;

• l’organizzazione, in collaborazione con gli istituti scolastici provinciali di ogni ordine e grado, di attività di formazione e sensibilizzazione sul sistema naturale provinciale;

• la produzione di pubblicazioni ed altro materiale divulgativo sulla fauna selvatica provinciale e sullo stato dell’ambiente naturale.

L’osservatorio Faunistico Provinciale, per le sue attività di monitoraggio si avvale, oltre che della collaborazione con Enti ed Istituti competenti nelle specifiche indagini, di personale volontario afferente alle associazioni venatorie ed alle associazioni ambientaliste, oltre a quello formato dall’Ente o dal Settore. In maniera similare, l’Osservatorio faunistico Provinciale, per le sue attività di ricerca si avvale, oltre che degli Enti nazionali qualificati in materia (ed in modo privilegiato l’ISPRA), delle Università ( Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi della Calabria, Facoltà di Medicina Veterinaria e Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi di Messina), dell’ ARPACal e della Sezione Veterinaria dell’ASP di Reggio Calabria.

A tali funzioni primarie all’Osservatorio Faunistico Provinciale vengono demandate tutte le attività di monitoraggio volte alle attività programmatorie ed al controllo del territorio, da condurre in

 

 

collaborazione con l’ISPRA e gli altri Enti ed Istituti nel rispetto delle relative competenze, con particolare riferimento alle specie:

- di interesse venatorio:

• avifauna migratoria cacciabile ed analisi del trend delle popolazioni di passo o svernanti anche ai fini dell’elaborazione di eventuali proposte di regolamento e gestione;

• popolazioni di ungulati selvatici e di lagomorfi oggetto di prelievo venatorio;

• popolazioni di galliformi e lagomorfi oggetto di prelievo venatorio e di ripopolamento anche ai fini valutativi della attività gestionali;

- protette ai sensi delle normative comunitarie, nazionali e regionali:

• avifauna acquatica ai fini dell’applicazione del D.P.R. n°448 del 13/03/1976 (Esecuzione della Convenzione di Ramsar relativa alle zone umide di importanza internazionale) e relative modifiche ed integrazioni;

• avifauna migratoria ai fini dell’applicazione della Legge n°42 del 25/01/1983 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica, con allegati, adottata a Bonn il 23/06/1979) e relative modifiche ed integrazioni;

• specie faunistiche endemiche o minacciate ai fini dell’applicazione della Legge n°124 del 14/02/1994 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 05/06/1992) e successive modifiche ed integrazioni;

• specie faunistiche ai fini dell’applicazione delle Direttive 79/409 CEE (Direttiva “Uccelli”) e 92/43 CEE (Direttiva “Habitat”), del D.P.R. n°357 del 08/09/1997 e successive modifiche ed integrazioni;

- che arrecano danni alle attività agricole, zootecniche o ad altre attività umane.

Ulteriori attività di monitoraggio assegnate all’Osservatorio Faunistico provinciale, da svolgere in collaborazione con i Servizi Territoriali del Settore Agricoltura – Caccia e Pesca secondo le proprie competenze, sono individuate relativamente:

- allo stato sanitario delle specie faunistiche oggetto di prelievo venatorio e relativa collaborazione con l’ASP, secondo le necessità individuate e le rispettive competenze;

- allo stato sanitario di specie faunistiche in relazioni alla possibile comparsa di zoonosi o epidemie, per il controllo dello stato sanitario di specie faunistiche relativo in relazione alle attività di sorveglianza epidemiologica e profilassi delle patologie infettive e diffusive degli animali ed alla prevenzione, controllo delle zoonosi e relativa collaborazione con l’ASP, secondo le necessità individuate e le rispettive competenze;

- al numero degli uccelli catturati per l’inanellamento a scopo scientifico e relative modalità d’intervento;

- agli abbattimenti effettuati nell’attività venatoria al fine di costituire una banca dati quale strumento fondamentale per la gestione faunistica;

- ai danni arrecati dalla fauna selvatica alle colture, al patrimonio zootecnico, alle altre attività antropiche ed agli habitat naturali protetti e di di pregio;

- allo stato dell’ambiente in relazione all’ecologia delle specie faunistiche locali.

L’Osservatorio Faunistico Provinciale è contestualmente chiamato a svolgere attività di assistenza tecnica, limitatamente alle funzioni precedentemente attribuite, a favore di richiedenti, che ne assumano l’onere corrispettivo determinato dall’Ente, con riferimento alle tariffe ordinarie di mercato, regolando convenzionalmente i relativi rapporti.

 

 

La Giunta Provinciale può affidare all’Osservatorio Faunistico Provinciale ulteriori compiti (nell’ambito degli interventi provinciali per la gestione faunistica, per il monitoraggio ed i miglioramenti ambientali) finalizzati alla tutela, incremento e controllo della fauna e per il monitoraggio degli ambienti naturali. Tali incarichi, che possono avere carattere saltuario o organico, sono conferiti mediante atti di affidamento che prevedano la finalità dell’azione, i tempi e le modalità di svolgimento, gli strumenti di aggiornamento e verifica, le dotazioni finanziarie eventualmente occorrenti, le modalità di acquisizione di eventuale personale accessorio, gli obblighi e le forme di rendicontazione delle spese sostenute ed i referti sui risultati conseguiti. Le attività aggiuntive non possono comunque pregiudicare o ritardare il prioritario assolvimento dei compiti di istituto richiamati nelle funzioni primarie.

Per lo svolgimento delle sue funzioni l’Osservatorio Faunistico Provinciale può avvalersi, oltre che della propria sede e delle attrezzature in dotazione, di immobili delocalizzati di proprietà provinciale (o di strutture di proprietà di altri Enti previa opportuna convenzione) e, oltre al proprio personale e nell’eventualità se ne presentasse la necessità, di personale provinciale e di altri Enti provvisoriamente distaccati.

Per l’esercizio delle attività di ricerca, studio e progettazione l’Osservatorio Faunistico Provinciale può stipulare, nel rispetto delle prescrizioni e solo per periodi temporali limitati all’attività, convenzioni, anche a titolo oneroso, con Università e/o soggetti pubblici o privati qualificati. In casi di onerosità le richieste di convenzione dovranno essere opportunamente motivate alla Giunta Provinciale rimandando alla sua approvazione.

L’Osservatorio Faunistico Provinciale, in quanto Ente strumentale della provincia di Reggio Calabria, è posto sotto la vigilanza della Giunta Provinciale, sono sottoposti all’approvazione della Giunta Provinciale :

- il regolamento dell’Osservatorio Faunistico Provinciale;

- la pianta organica dell’Osservatorio Faunistico Provinciale;

- la relazione annuale di fine esercizio

mentre sono sottoposti all’approvazione del Settore competente:

- la scelta degli indirizzi e della priorità degli interventi;

- il programma annuale delle attività;

- il bilancio di previsione e poliennale ed il conto consuntivo;

- le variazioni di bilancio.

L’Osservatorio faunistico provinciale è organizzato attraverso un comitato tecnico di dirigenza interdisciplinare composto da personale qualificato e competente nelle materie oggetto delle funzioni affidate all’osservatorio.

Il comitato tecnico è composto da cinque dirigenti tecnici ognuno responsabile di uno dei seguenti ambiti:

1) Pianificazione, cartografia e spazializzazione dei dati;

2) Monitoraggio dei piani, dei programmi e degli interventi;

3) Censimento della fauna ed analisi dei dati ambientali;

4) Progettazione e assistenza tecnica;

5) Ricerca, sperimentazione e divulgazione.

I componenti del comitato tecnico sono individuati quali responsabili diretti delle attività svolte all’interno degli ambiti di competenza e sono chiamati a redigere, alla chiusura di ogni anno, le relative relazioni annuali sulle attività svolte ed un documento previsionale sulle attività da svolgere e/o completare. Il comitato tecnico è chiamato a riunirsi almeno quattro volte l’anno per la relazione interna sui lavori in esecuzione e sui rispettivi stati di avanzamento.

 

 

Al fine di garantire il massimo livello di professionalità e l’innovatività nella programmazione, nella gestione e nell’esecuzione dei lavori, i membri del comitato tecnico devono essere esperti in materie coerenti con gli scopi e le funzioni assegnati all’Osservatorio Faunistico Provinciale e, comunque, con curricula didattico-professionali che ne attestino le competenze specifiche (pubblicazioni, lavori professionali, etc.).

Il personale componente il comitato tecnico di dirigenza dovrà essere scelto, prioritariamente, tra il personale afferente, a vario titolo, alla Provincia di Reggio Calabria. L’individuazione dei componenti spetterà ad una commissione (Settore Agricoltura, Caccia e Pesca), presieduta dal Dirigente titolare, attraverso una procedura di selezione per titoli e colloquio; in caso di carenza di personale interno in possesso delle suddette qualifiche e competenze, la commissione intersettoriale procederà attraverso le ordinarie forme di reclutamento.

Il comitato tecnico, con scadenza triennale, elegge uno dei suoi componenti quale direttore, avente funzioni di rappresentante legale della struttura e demandato a provvedere, oltre che alle sue mansioni d’ambito:

- alla direzione ed al coordinamento tra i componenti dell’Osservatorio Faunistico Provinciale;

- al monitoraggio, all’assicurazione ed alla valutazione dei livelli qualitativi delle attività svolte;

- alla predisposizione dei piani annuali di attività;

- all’adozione ed all’esecuzione del regolamento;

- all’adozione, alla variazione ed all’organizzazione della pianta organica;

- alla redazione ed all’adozione del bilancio previsionale e del conto consuntivo;

- alla stipula dei contratti e delle convenzioni;

- all’invio della relazione annuale sulle attività svolte alla Giunta Provinciale, al consiglio Provinciale, agli Assessori competenti ed ai dirigenti dei Settori competenti.

Nell’esercizio delle sue funzioni il direttore si avvale dei membri del comitato tecnico chiamati ad esprimere pareri, secondo quanto di competenza, sui provvedimenti o progetti da adottare o da realizzare. Per il rilascio di pareri tecnici ad Enti pubblici il direttore, sentito il comitato tecnico, si avvale dell’ISPRA, recependo le indicazioni o i pareri espressi dallo stesso Istituto.

La decadenza del direttore prima del tempo naturale è prevista nei casi di:

- inosservanza degli obblighi d pareggio del bilancio,

- condanna per reati connessi nell’esercizio delle sue funzioni

- mancata predisposizione dei piani annuali,

- gravosa inadempienza nella redazione delle relazioni annuali.

Le funzioni di controllo e verifica contabile dell’Osservatorio Faunistico Provinciale sono demandate al Collegio dei Revisori della Provincia di Reggio Calabria, con le relative mansioni di:

- verifica del Bilancio dell’Osservatorio Faunistico Provinciale;

- rispondenza del bilancio alle scritture contabili;

- controllo della regolare tenuta delle scritture contabili.

Il Collegio del Revisori è chiamato ad accertare la consistenza di cassa dell’Osservatorio faunistico Provinciale con scadenza trimestrale; è in loro potere accedere agli atti ed ai documenti tenuti presso l’Osservatorio Faunistico Provinciale e convocarne il Direttore per accertarsi dell’andamento gestionale.

Le verifiche , gli accertamenti effettuati, i pareri espressi e le relazioni redatte dal Collegio dei Revisori debbono essere trascritti in un apposito registro e sottoscritti dai membri componenti; tutti

 

 

gli atti sono trasmessi al direttore dell’Osservatorio Faunistico Provinciale, ai Dirigenti dei Settori competenti, agli Assessori competenti ed al Presidente della Giunta Provinciale.

Entro sessanta giorni dall’entrata in funzione dell’Osservatorio Faunistico Provinciale il comitato tecnico, previa verifica degli effettivi bisogni, propone alla Giunta Provinciale la dotazione organica del personale necessario al funzionamento della struttura, distinguendo tra figure professionali di supporto giuridico-amministrativo-contabile e figure professionali specifiche, da inquadrare a tempo indeterminato.

La dotazione complessiva del personale, ad esclusione del comitato tecnico, non potrà comunque superare la quindici unità, delle quali almeno tre dovranno afferire alle figure professionali di supporto giuridico-amministrativo-contabile. Tale personale dovrà essere scelto, prioritariamente, tra il personale afferente, a vario titolo, alla Provincia di Reggio Calabria, dando precedenza agli esperti in materie individuate per le mansioni di funzionamento della struttura. L’individuazione dei componenti spetterà al Dirigente del Settore Agricoltura, Caccia e Pesca, attraverso una procedura di selezione per titoli e colloquio; in caso di carenza di personale interno in possesso delle suddette qualifiche e competenze, il dirigente procederà attraverso le ordinarie forme di reclutamento.

Ove si presentasse la necessità di incremento di personale per l’espletamento delle funzioni assegnate, l’Osservatorio Faunistico Provinciale si può avvalere, per periodi di tempo limitati, a personale provinciale con competenze specifiche, a personale di altri Enti (competenti nelle materie di intervento) ed a volontari delle associazioni presenti sul territorio (previa opportuna stipula di convenzione). In caso si presentasse l’esigenza di utilizzare esperti con professionalità specialistiche, non reclutabili secondo le modalità sopraelencate, il comitato tecnico dell’Osservatorio Faunistico Provinciale, attraverso il suo direttore (e previa consultazione con il Dirigente del Settore di riferimento e con il Collegio dei Revisori), può provvedere all’espletamento di procedure selettive specifiche relative a contratti a tempo determinato o con rapporto di consulenza mediante i meccanismi di reclutamento previsti dalla normativa vigente.

Tutto il personale in servizio presso l’Osservatorio Faunistico Provinciale, anche se per periodi di tempo limitati, è equiparato al personale provinciale e, nell’applicazione delle diverse forme contrattuali, rispetta la disciplina specifica dettata dalla contrattazione collettiva nazionale e decntrata.

Per l’elaborazione dei documenti programmatori e dei protocolli progettuali e di ricerca di particolare rilevanza, l’Osservatorio Faunistico Provinciale può avvalersi della Consulta faunistico Venatoria e della consulenza di professionisti individuati nell’elenco provinciale al quale afferiscono esperti qualificati nelle materie componenti l’assetto dei compiti e delle funzionalità della struttura.

Gli esperti sono individuati tra il personale, con adeguati curricula, afferenti seguenti qualifiche:

- ricercatori dell’ISPRA,

- agronomi-forestali con particolare esperienza nelle tematiche agro-ambientali,

- inanellatori in possesso del permesso rilasciato dall’ISPRA,

- agronomi e\o forestali, esperti nelle tematiche afferenti ai compiti dell’Osservatorio Faunistico Provinciale,

- biologi e\o naturalisti, esperti nelle tematiche afferenti ai compiti dell’Osservatorio Faunistico Provinciale,

- esperti in servizio presso Enti operanti nella Provincia di Reggio Calabria,

- veterinari, con particolare esperienza nella fauna selvatica, anche del settore veterinario dell’ASP,

- faunisti degli ATC e delle Associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale.

L’Elenco Provinciale dei faunisti è istituito con decreto del Presidente della Giunta Provinciale, previa manifestazione d’interesse indetta dall’Assessore competente e azione valutativa coordinata

 

 

dal dirigente del Settore competente, sulla base delle indicazioni del direttore dell’Osservatorio Faunistico Provinciale.

Il direttore dell’Osservatorio Faunistico Provinciale, previa convocazione del comitato tecnico di dirigenza, provvede a convocare, secondo le rispettive qualifiche e competenze professionali, gli esperti per le operazioni di consultazione. Le consultazioni degli esperti non sono a titolo oneroso per l’Osservatorio Faunistico Provinciale.

La mancata designazione degli esperti, da parte degli Enti individuati, non crea impedimento alla formazione del comitato di consultazione; in tali casi, trascorsi quindici giorni dalla richiesta di nomina sostitutiva, l’Osservatorio Faunistico Provinciale provvederà in completa autonomia all’esecuzione dei lavori nel rispetto del regolamento interno.

L’Osservatorio Faunistico Provinciale è tenuto al pareggio del bilancio.

Le entrate sono costituite:

- da un finanziamento straordinario attribuito dalla Provincia di Reggio Calabria per le relative spese di attivazione;

- da un contributo annuale di finanziamento attribuito dalla Provincia di Reggio Calabria per l’espletamento delle attività ordinarie assegnate all’Osservatorio Faunistico Provinciale;

- dai corrispettivi di prestazioni rese a titolo oneroso a soggetti pubblici e/o privati;

- dai finanziamenti regionali, nazionali e comunitari per la realizzazione delle attività e dei progetti specifici commissionati dalla Regione all’Osservatorio o alla Provincia di Reggio Calabria.

Con tali risorse l’Osservatorio Faunistico Provinciale provvede anche ai trattamenti retributivi o accessori del personale, a qualsiasi titolo utilizzato, contenendo la spesa corrispondente nei limiti definiti annualmente dalla Giunta Provinciale, rispetto agli stanziamenti iscritti nel bilancio dell’Osservatorio Faunistico provinciale.

Il patrimonio dell’Osservatorio Faunistico Provinciale, oltre alla sede assegnata, è integrato dalle attrezzature e dagli altri beni mobili trasferiti dalla Provincia di Reggio Calabria (in relazione alle necessità di funzionamento) e dalle attrezzature e dagli altri beni successivamente acquisiti nell’esercizio dell’autonomia riconosciuta all’Osservatorio Faunistico Provinciale. Del patrimonio, come sopra costituito, il Direttore dell’osservatorio Faunistico Provinciale provvede a redigere ed aggiornare l’inventario

Entro sessanta giorni dall’elezione il direttore dell’Osservatorio Faunistico Provinciale, riunito con il comitato tecnico direttivo, ne predispone il regolamento e lo fa pervenire alla Giunta ed al Consiglio Provinciale per l’approvazione.

Tale regolamento disciplina il funzionamento dell’Osservatorio Faunistico Provinciale e, in particolare,definisce:

- l’organizzazione e la dotazione organica,

- le modalità per la prestazione, da parte dell’Osservatorio Faunistico Provinciale, di attività tecnico-scientifiche a soggetti pubblici diversi dalla Provincia di Reggio Calabria, sulla base di apposite convenzioni, nonchè a soggetti privati,

- le modalità per la prestazione, da parte dell’Osservatorio Faunistico Provinciale, di servizi di divulgazione, formazione e documentazione a soggetti pubblici diversi dalla Provincia di Reggio Calabria, sulla base di apposite convenzioni, nonché a soggetti privati,

- le modalità per la predisposizione di progetti, di piani e di protocolli di ricerca condotti in autonomia o comuni tra la Provincia di Reggio Calabria ed altri Enti,

- le modalità di acquisizione di specifiche consulenze professionali e prestazioni esterne,

- la contabilità dell’Osservatorio Faunistico Provinciale individuando anche i criteri per la tenuta di una contabilità a carattere economico-patrimoniale integrata con un sistema di contabilità analitica.

 

 

Ogni eventuale modifica del regolamento deve essere predisposta dal direttore dell’Osservatorio Faunistico Provinciale e deve essere approvata dalla Giunta Provinciale. In base a tali procedure, la Giunta Provinciale, gli Assessori interessati ed i dirigenti della Provincia di Reggio Calabria possono proporre, in motivo della riduzione dei costi dell’amministrazione ed in considerazione delle potenzialità tecnico-scientifiche dell’Osservatorio quale Ente strumentale, l’assegnazione di ulteriori funzioni, mansioni e compiti all’Osservatorio Faunistico Provinciale purchè coerenti con le sue professionalità espresse ed in linea con le competenze faunistico-ambientali di istituzione.

 

 

3.5 Individuazione della Superficie Agro­Silvo­Pastorale per la determinazione degli indici di densità venatoria 

3.5.1. Densità venatoria reale L’indice di densità venatoria reale per l’annata di caccia 2008/2009, ai sensi all’art. 13, comma 11, della L.R. 9/96, è stata calcolato in funzione della Superficie Agro-Silvo-Pastorale (SASP), cioè della superficie provinciale soggetta a pianificazione faunistica, utilizzando come secondo parametro il numero di cacciatori residenti, esercitanti l’attività venatoria.

Dal rapporto tra i due valori si è ottenuta la S.A.S.P. effettivamente disponibile per ogni cacciatore nell’annata 2008/2009 (indice di densità venatoria reale), distinta per ATC e per singolo Comune, come riportato nelle Tab. 44 e 45. Da tali valori sono state ricavate anche le carte tematiche in allegato.

Tab. 50 – Densità venatoria  reale per  i comuni dell’ATC RC1 espressa  in ettari disponibili della S.A.S.P. per ciascun cacciatore 

ELENCO COMUNI ATC RC1

N° cacciatori che hanno svolto attività

venatoria annata 2008/2009

S.A.S.P. (Ha)

Ettari disponibili per cacciatore

Anoia 64 743,15 11,61 Bagaladi 35 2.820,19 80,57 Bagnara Calabra 195 1.839,09 9,43 Bova 12 4.092,20 341,01 Bova Marina 120 2.142,87 17,85 Brancaleone 114 2.828,90 24,81 Calanna 81 832,59 10,27 Campo Calabro 134 426,1 3,17 Candidoni 18 2.150,13 119,45 Cardeto 65 3.126,37 48,09 Cinquefrondi 250 2.456,78 9,82 Cittanova 269 4.978,40 18,50 Condofuri 223 4.970,71 22,29 Cosoleto 44 3.034,27 68,96 Delianuova 104 1.811,82 17,42 Feroleto della Chiesa 54 580,45 10,74 Fiumara 56 500,9 8,94 Galatro 125 4.533,48 36,26784 Giffone 148 1.307,33 8,83 Gioia Tauro 241 2.249,57 9,33 Laganadi 35 712,6 20,36 Laureana Di Borrello 207 2.922,72 14,11 Maropati 35 809,95 23,14 Melicucca' 20 1.302,74 65,13 Melicucco 157 398,43 2,53 Melito di Porto Salvo 260 3.128,65 12,03 Molochio 150 3.009,84 20,06

 

 

Montebello Ionico 247 4.340,65 17,57 Motta San Giovanni 299 3.465,98 11,59 Oppido Mamertina 192 4.668,35 24,31 Palizzi 85 4.364,91 51,35 Palmi 510 2.101,58 4,12 Polistena 179 635,18 3,54 Reggio Calabria 4618 16.191,83 3,50 Rizziconi 149 2.984,18 20,02 Roccaforte del Greco 8 3.931,58 491,44 Roghudi 2 4.086,55 2043,27 Rosarno 173 2.552,64 14,75 San Ferdinando 43 4.549,05 105,79 San Giorgio Morgeto 192 574,1 2,99 San Lorenzo 43 5.666,96 131,78 San Pietro di Carida' 43 4.208,76 97,87 San Procopio 36 849,18 23,58 San Roberto 138 2.739,76 19,85 Santa Cristina d'Aspromonte 54 1.920,30 35,56 Sant'alessio in Aspromonte 21 359,44 17,11 Sant'eufemia d'Aspromonte 196 2.752,05 14,04 Santo Stefano in Aspromonte 50 1.551,38 31,02 Scido 41 1.514,94 36,94 Scilla 209 3.507,57 16,78 Seminara 95 2.662,82 28,02 Serrata 25 1.960,39 78,41 Sinopoli 25 2.158,66 86,34 Staiti 13 1.364,81 104,98 Taurianova 469 3.345,89 7,13 Terranova Sappo Minulio 23 797,98 34,69 Varapodio 54 2.401,44 44,47 Villa San Giovanni 275 508,14 1,84 Totale 11723 154427,28 13,17

Tab. 51 – Densità venatoria  reale per  i comuni dell’ATC RC2 espressa  in ettari disponibili della S.A.S.P. per ciascun cacciatore 

ELENCO COMUNI ATC RC2

N° cacciatori che hanno svolto attività

venatoria annata 2008/2009

S.A.S.P. (Ha)

Ettari disponibili per cacciatore

Africo 33 4.980,52 150,92 Agnana Calabra 15 681,31 45,42 Antonimina 73 1.849,07 25,32 Ardore 215 2.381,90 11,078 Benestare 70 1.555,54 22,22 Bianco 95 2.298,69 24,19 Bivongi 55 2.400,32 43,64

 

 

Bovalino 156 1.202,14 7,70 Bruzzano Zeffirio 49 1.669,45 34,07 Camini 29 1.371,19 47,28 Canolo 33 2.397,79 72,66 Caraffa del Bianco 17 874,1 51,41 Careri 81 3.411,97 42,12 Casignana 22 1.994,79 90,67 Caulonia 340 8.156,58 23,98 Cimina' 43 4.036,46 93,87 Ferruzzano 17 1.521,10 89,47 Gerace 61 2.353,27 38,57 Gioiosa Jonica 149 1.307,33 8,77 Grotteria 148 3.256,19 22,00 Locri 299 894,98 2,99 Mammola 91 7.007,14 77,00 Marina di Gioiosa Jonica 158 1.091,30 6,90 Martone 25 663,55 26,54 Monasterace 65 1.266,78 19,48 Pazzano 31 1.375,09 44,35 Placanica 89 2.452,62 27,55 Plati' 74 4.407,33 59,55 Portigliola 44 289,01 6,56 Riace 71 1.230,29 17,32 Roccella Jonica 131 2.896,29 22,10 Samo 23 4.549,05 197,78 San Giovanni di Gerace 16 1.186,44 74,15 San Luca 44 9.255,89 210,36 Sant'agata del Bianco 38 1.769,97 46,57 Sant'ilario dello Jonio 32 1.064,43 33,26 Siderno 468 2.148,70 4,59 Stignano 28 1.300,70 46,45 Stilo 91 6.975,21 76,65 Totale 3519 101.524,48 28,85

3.5.2. Programmazione degli indici di densità venatoria  Fermo restando l’indice di densità venatoria minima, fissato a livello nazionale (art. 10, comma 6, legge 157/92) a 1:19 (un cacciatore ogni 19 ettari di superficie agro-silvo-pastorale effettiva - SASP), l’indice di densità venatoria massima (comma 11, art. 13, LR n. 9/96) per ogni ambito territoriale di caccia, è fissato annualmente dalla Regione Calabria al fine della determinazione del numero dei cacciatori ammissibili in mobilità per la caccia alla fauna migratoria.

La provincia di Reggio Calabria fa eccezione rispetto a tali indici di densità venatoria in particolare per l’ ATC RC1, per essa valgono le norme in deroga stabilite nel regolamento di attuazione (art. 4. comma 4) allegato al regolamento faunistico regionale.

 

 

3.6 La fauna selvatica: definizione degli obiettivi e pianificazione delle attività gestionali 

3.6.1. Conservazione e gestione delle principali specie di interesse venatorio (avifauna) Il territorio provinciale è caratterizzato da una morfologia complessa e molto articolata che rende difficile l’avvio di azioni di gestione. Tale processo è ulteriormente complicato dalla scarsa presenza di dati sulla consistenza, densità e reale distribuzione delle specie di interesse venatorio. Tuttavia le informazioni a nostra disposizione evidenziano chiaramente la necessità di intervento sulle popolazioni naturali di selvatici.

La gestione delle specie di interesse venatorio è un processo che non può essere scisso dalla gestione del territorio nel suo complesso. Infatti accanto alle azioni dirette (restocking, reintroduzioni e istituzione di oasi e zone di ripopolamento) a sostegno delle popolazioni stanziali delle principali specie, vanno avviate delle azioni di gestione degli habitat per ripristinare o aumentare la capacità portante del territorio. Tali azioni assumono particolare importanza in un territorio, come quello in oggetto, dove l’attività venatoria è essenzialmente basata sulla fauna migratrice.

Ad una prima analisi della situazione provinciale, per il momento basata su dati carenti e meritevole di futuro approfondimento, emerge l’urgenza di intervento sulle specie stanziali. Il gruppo dei Fasianidi, vista l’elevato interesse venatorio e considerato che la provincia di Reggio Calabria ha una delle più alte densità venatorie dell’intero territorio nazionale, è quello che potenzialmente subisce la maggiore pressione.

Una gestione di tipo “consumistico” ha fatto perdere di vista la gestione delle popolazioni naturali di queste specie, ripopolamenti, scarse azioni di miglioramento ambientale e bracconaggio hanno determinato la riduzione delle densità ed estinzioni locali. In alcuni casi le ibridazioni con soggetti d’allevamento ed il rilascio di individui affetti da patologie hanno dato un contributo importante alla scomparsa delle popolazioni selvatiche da diverse aree.

3.6.1.1. Coturnice Stato di conservazione.

Il territorio provinciale, in particolare alcune aree del versante ionico, ha una potenzialità ad ospitare la specie sicuramente superiore a quanto emerge dai dati in nostro possesso.

Le informazioni più recenti sullo status di questa specie a livello provinciale risalgono al 2006 (Lucchesi, 2006), la specie è stata censita su 2 Unità di Campionamento su un totale di 1345 Unità. Tale dato, seppure non risultante da una attività di censimento specifico e riferito solo all’ATC1, evidenzia la criticità della situazione della specie.

Attualmente i nuclei presenti sono confinati in aree di rifugio favorevoli alla specie ed in genere difficilmente accessibili o all’interno del perimetro del parco nazionale d’Aspromonte. Le notizie sulla distribuzione storica testimoniano come in gran parte del territorio vocato la specie risulti estinta, il rischio di estinzione delle popolazioni residue è reale ed eventuali immissioni di soggetti, la cui provenienza genetica è dubbia o ignota, aggraverebbe decisamente tale minaccia. Altro importante fattore di rischio è la persecuzione diretta spinta anche nelle aree di rifugio, che oltre all’abbattimento diretto, da un importante contributo all’isolamento genetico dei nuclei residui.

Negli impianti arborei è ottima, sotto il profilo agronomico e per valore ecologico, la semina interfilare di trifoglio sotterraneo che, oltre a garantire la copertura durante la stagione autunnale, invernale e primaverile, offre risorse trofiche a molte specie.

Favorevole è anche il mantenimento delle stoppie di cereali fino all’autunno e del mais fino alla primavera successiva, magari aumentandone le qualità pabulari con la semina di loietto perenne o di frumento i quali, dopo la germinazione, potranno costituire una importante fonte alimentare nella cattiva stagione.

 

 

Una delle principali cause di morte degli individui, soprattutto dei giovani, è da imputare alle operazioni colturali, sia esse di tipo meccanico che chimico. Per quanto riguarda le operazioni di raccolta è auspicabile l’utilizzo della barra d’involo per lo sfalcio di erbai primaverili (periodo di riproduzione), soprattutto nelle ZRC e nei Centri di riproduzione della fauna selvatica, con l’accortezza di procedere nella operazione di taglio dall’interno verso l’esterno dell’appezzamento, in modo da consentire la fuga dei fagianotti (il fagiano è una specie “pedinatrice”). È opportuno inoltre evitare la raccolta del foraggio entro un raggio di almeno 5 metri intorno ai nidi non schiusi individuati nel corso delle operazioni di sfalcio.

Interventi permanenti

In ambienti agrari dove è predominante la presenza di aree aperte coltivate (zone pianeggianti), la creazione di compagini ecologiche complesse stabili è molto importante per la sosta, la riproduzione ed il rifugio dei fagiani.

L’assenza di piccole aree boscate o anche di semplici filari di alberi o siepi a carattere arbustivo è una condizione sfavorevole alle popolazioni di fagiano in una certa area, seppur per altre caratteristiche vocata.

La riqualificazione di queste aree o l’impianto ex-novo di siepi ed alberi autoctoni (meglio se di specie di bassa taglia, per evitare la nidificazione dei corvidi) è senz’altro auspicabile in virtù dell’alto valore aggiunto sia per il fagiano che per altre specie di fauna selvatica; l’eliminazione di specie infestanti, la messa a dimora di piante arboree e arbustive, la conservazione di piante mature, il mantenimento di una fascia inerbita ai lati della siepe e/o del filare sono solo alcune delle possibili opere realizzabili in questi contesti.

Nel caso del fagiano anche la creazione di piccole aree boscate (fino ad 1 ha) ha sicuramente effetti benefici, soprattutto perché favorisce la rimessa notturna vicino ai luoghi di alimentazione ed offre una certa protezione dai predatori.

E’ sempre fondamentale il soddisfacimento dei fabbisogni idrici della specie, soprattutto nel periodo primaverile-estivo, per cui risulta necessario salvaguardare le sorgenti, le raccolte ed i corsi d’acqua esistenti, nel caso in cui fossero inquinati o soggetti ad attingimenti che non risparmino un minimo flusso vitale per la fauna, crearndo ex-novo ulteriori punti di approvvigionamento in aree in cui la disponibilità idrica risulti scarsa.

Necessità di salvaguardia.

Le popolazioni locali di coturnice si trovano all’estremo limite meridionale dell’areale della specie, inoltre la popolazione appenninica apparterrebbe alla sottospecie orlandoi che, in tutto l’areale ha diffusione discontinua con nuclei localizzati e distanti tra loro.

La conservazione e la gestione della coturnice deve essere certamente una priorità per il piano faunistico provinciale. E’ necessario avviare una campagna di rilevamenti sulla presenza e consistenza numerica della coturnice, in modo da definirne lo status reale (e potenziale) ed avviare la programmazione degli interventi di conservazione organizzati in uno specifico piano di azione provinciale.

Un ipotetico piano di azione per la conservazione dovrebbe seguire le seguenti fasi:

- Analisi retrospettiva e delle cause di scomparsa locale;

- Acquisizione dei parametri di popolazione (distribuzione, consistenza, densità);

- Creazione di una carta della idoneità ambientale potenziale per la specie;

- Studio di una rete ecologica specifica per limitare l’isolamento delle popolazioni della specie;

- Verifica degli attuali livelli di tutela delle popolazioni;

- Pianificazione degli interventi di conservazione e miglioramento ambientale;

- Monitoraggio primaverile (coppie) ed estivo (successo riproduttivo) delle popolazioni;

- Monitoraggio sanitario;

 

 

- Ruolo eventuale e partecipazione dei cinofili nelle attività legate alla conservazione e gestione delle popolazioni di coturnice;

- Formazione, abilitazione, sensibilizzazione;

- Vigilanza;

- Disturbo antropico, soprattutto in determinate aree e periodi (escursionismo, fruizione turistico-ricreativa);

- Impatto eventuale di infrastrutture esistenti o da realizzare (impianti a fune, impianti eolici, linee elettriche aeree);

- Rapporti con le attività agricole, forestali e zootecniche;

- Ipotesi di reintroduzione, studi di fattibilità;

- Incentivazione della ricerca (es. habitat, demografia);

- Monitoraggio periodico dei risultati.

Particolare importanza riveste la prima fase di questo processo di lavoro, una corretta effettuazione dei censimenti nelle aree di presenza accertata e stabile della coturnice, oltre che propedeutica, è anche fondamentale per il passaggio alle successive.

La gestione della specie deve essere effettuata con strumenti gestionali diversi da quelli finora adoperati (immissioni) e non può prescindere dalla realizzazione di uno strumento conoscitivo dettagliato che diventi una base certa per la pianificazione. La prima ed immediata misura di conservazione è il censimento, la realizzazione di una carta della distribuzione reale e l’avvio di azioni che tendano alla conservazione dei nuclei residui presenti ed alla ricostituzione delle popolazioni locali.

La conferma della sospensione dell’attività venatoria e la protezione delle aree dove sono presenti i nuclei residui potrebbe manifestare effetti immediati sulla densità di popolazione e sulle capacità di ricolonizzare i territori limitrofi. Quindi il mantenimento della sospensione dell’attività venatoria a carico della specie è allo stato la prima misura minima indispensabile e conservativa che possa essere adottata nell’immediato.

3.6.1.2. Starna Stato di conservazione

La presenza della starna in ambito provinciale è legata esclusivamente a soggetti provenienti da allevamenti, immessi per fini venatori e certamente non appartenenti alla sottospecie italica.

L’assenza di nuclei in grado di riprodursi, nonostante l’ingente numero di soggetti rilasciati, testimonia la bassa capacità di adattamento alle condizioni locali. Ciò può essere dovuto ai metodi con cui sono state fatte le immissioni o alle sottospecie utilizzate, infatti studi condotti su ceppi centroeuropei dimostrano che temperature medie del mese di luglio superiori a 22 °C determinano mortalità dei pulli superiori all’80 % (Meriggi A e Beani L., 1998).

Ciò indica che le popolazioni di starna peninsulari, pur essendo adattate a condizioni di temperatura superiori a quelle normali per la specie vivono comunque ai limiti delle possibilità per la specie.

Necessità di salvaguardia.

Le cause dell’estinzione della starna in Italia sono state ampiamente dibattute e sicuramente risiedono nella riduzione della biodiversità degli agro-ecosistemi ed in particolare di quelli cerealicoli, nonché nell’irrazionale gestione faunistico-venatoria. L’uso degli erbicidi e degli insetticidi, la meccanizzazione e l’intensificazione delle pratiche colturali, la monocoltura, l’abbandono dell’agricoltura nelle aree collinari sono considerati fra gli aspetti più negativi per questa specie (Casanova et al., 1993; Potts, 1997). In particolare, l’abbandono delle colture riduce

 

 

la base alimentare per gli adulti, l’uso di pesticidi causa la scomparsa della microfauna necessaria al nutrimento dei pulcini. Un ulteriore aspetto da considerare è la competizione con il fagiano (Potts, 1985) e, inoltre, fra le cause di estinzione locale, l’incontrollata ed esasperata pressione venatoria (Casanova & Cellini, 1986). In provincia di Reggio Calabria, tuttavia, essendo scomparsa la specie già nel XIX Secolo, le cause non sono note.

Per la conservazione delle popolazioni di starna i miglioramenti ambientali sono determinanti soprattutto per accrescere la disponibilità dell’entomofauna utile all’alimentazione dei pulcini e nel periodo invernale.

Gli ambienti ecotonali sono fondamentali per la starna. Siepi e boschetti sono, soprattutto nelle prime fasi d’impianto, molo importanti in quanto si presentano come degli appezzamenti a prato, con piccole coperture arbustive e, pertanto, più graditi per una specie steppica come la starna.

Il rilascio dei residui colturali dei cereali autunno-vernini consiste nella non aratura delle stoppie, che sono lasciate alla libera colonizzazione delle infestanti, fino a marzo.

Questo consente, visto il periodo della trebbiatura, una notevole colonizzazione del terreno da parte della vegetazione spontanea e del frumento nato dalle cariossidi rimaste dopo la raccolta, in grado di fornire cibo e una certa copertura nel periodo invernale.

Altra coltura importante è il medicaio misto a sfalcio tardivo, valido strumento per la conservazione e la riproduzione della starna. Questa coltura, infatti, è frequentata in tutto il periodo dell’anno, compreso il periodo primaverile-estivo, nel quale i pulcini trovano una ricca entomofauna essenziale per la loro alimentazione. Esso quindi sembra rappresentare un intervento efficace per la specie, soprattutto in ambienti intensamente coltivati di pianura. Il mais a perdere può rappresentare un ottimo rifugio nel periodo invernale più avverso (aree montane).

Reintroduzione

Dai dati in nostro possesso non risultano presenti in ambito provinciale nuclei di individui in grado di riprodursi. Vista la vocazione del territorio (Lucchesi, 2006), in gran parte favorevole alla specie, è possibile ipotizzare dei programmi di ricostituzione di una popolazione locale in grado di autostenersi. L’immissione di soggetti provenienti da allevamento, con le modalità attuali, difficilmente porterà alla costituzione di una popolazione locale. E’ necessario dunque, considerato anche il grande interesse venatorio per la specie, razionalizzare gli attuali interventi di immissione ed inserirli in un piano finalizzato alla costituzione di una popolazione in grado di auto mantenersi.

Tale processo deve essere preceduto da una approfondita analisi delle aree vocate ed una selezione di ceppi in grado di adattarsi alle condizioni ambientali locali. A tal fine risulta indispensabile confermare la sospensione del prelievo venatorio.

3.6.1.3. Fagiano Stato di conservazione

Il fagiano è una specie parautoctona per l’Italia, la cui presenza attuale in provincia di Reggio Calabria è dovuta a soggetti provenienti da allevamenti immessi per fini venatori. Le notizie sulla presenza di nuclei in grado di riprodursi sono da attribuirsi a popolazione derivanti da individui introdotti in passato.

L’interesse conservazionistico della specie è dunque basso e giustificato quasi esclusivamente dall’interesse del settore venatorio.

Necessità di salvaguardia

Data la grande facilità di reperimento di soggetti appartenenti a varie sottospecie, la messa a punto di programmi di immissione è più facile. Accanto all’azione di rilascio dei soggetti vanno avviati studi finalizzati all’aumento delle possibilità di sopravvivenza dei soggetti immessi. Infatti le misure

 

 

di gestione degli habitat possono contribuire ad ottenere la “naturalizzazione” di popolazioni locali. A tal fine sono comunque indispensabili piani specifici di ripopolamento, con l’ausilio di strutture finalizzate a favorire l’ambientamento degli esemplari (recinti a cielo aperto, voliere, ecc.), la disponibilità di ZRC, la sospensione del prelievo, il controllo dei potenziali predatori opportunisti (volpe, cornacchia grigia e gazza) e iniziative di miglioramento ambientale.

Le azioni di miglioramento ambientale sono facilmente realizzabili in quanto si inseriscono tra le normali attività di conduzione dei fondi agricoli e possono essere messe in pratica attraverso la corresponsione di incentivi ai conduttori dei fondi.

Le principali misure agro-faunistiche e, più in generale, di miglioramento ambientale nel caso della specie fagiano, sono abbastanza simili a quelle proposte per la starna.

Le azioni di base, suddivise per durata, sono:

1) Interventi temporanei;

2) Interventi permanenti.

Lo scopo principale da perseguire con i miglioramenti è quello di diversificare il più possibile l’habitat (Simonetta e Dessì-Fulgheri, 1998) e fornire le risorse trofiche ed idriche indispensabili alla sopravvivenza e al buon mantenimento delle popolazioni di fagiano.

Interventi temporanei

Questa tipologia di interventi comprende varie tipologie che, pur essendo di breve durata, possono, se reiterati per più anni, offrire alle varie specie animali, valide opportunità di sopravvivenza ed incremento numerico.

Nel caso del fagiano gli interventi agronomici sono quelli che meglio rispondono alle esigenze della specie; la semina ed il mantenimento a fini non produttivi di colture erbacee a perdere in grado di fornire rifugio ed alimentazione alla specie, ad esempio, è molto utile se effettuata con tecniche colturali ed essenze in grado di fornire una buona copertura vegetale e semi nei periodi utili alla riproduzione (Genghini e Nardelli, 2005).

Date le caratteristiche ecologiche del fagiano, il quale nidifica nel periodo che va da marzo a giugno, sono da preferire essenze a semina autunno-vernina (graminacee: frumento, avena, segale, panico, orzo, segale; leguminose: medica, trifoglio, veccia, favino, pisello e loro miscugli) e primaverile (mais, sorgo, girasole, miglio, panico, frumento, soia, veccia, orzo e avena) che, per le loro caratteristiche botaniche ed agronomiche, offrono in questo periodo rifugio e risorse alimentari, sia per la produzione diretta di semi sia per la ricchezza di entomofauna che in certe associazioni colturali si instaurano (favino - avena, erba medica, ecc.).

La ottimale disposizione in campo degli appezzamenti a perdere deve essere “a macchia di leopardo” con maggior frequenza ai margini dei campi, con estensioni minime di 0,2 ha e massime di 1 ha; in caso di fasce marginali ai campi coltivati queste non devono superare i 10 m di larghezza.

Vista la vasta diffusione in provincia di aree marginali non coltivate, appare prioritario avviare processi di realizzazione di colture a perdere realizzate con misture idonee alla specie. Tali interventi devono essere localizzati in particolare nelle aree dove vengono effettuati i rilasci. In merito ai ripopolamenti, deve essere garantito il monitoraggio delle operazioni finalizzato alla verifica del successo delle operazioni. In particolare dovrà essere posta particolare cura nella marcatura dei soggetti rilasciati e la successiva raccolta dei dati in merito alla localizzazione e quantificazione dei soggetti catturati. Deve essere data lettura dei tesserini venatori al fine di quantificare in modo oggettivo del successo delle immissioni.

Anche una gestione “faunistica” del “set-aside”, previsto dai regolamenti comunitari ormai da decenni, può fornire un valido strumento di salvaguardia e mantenimento delle popolazioni di fagiano, ad esempio rimandando gli sfalci in epoche non dannose né per il fagiano né sotto il profilo agronomico, oppure seminando colture a perdere.

 

 

Nelle aree coltivate, poi, è opportuno gestire adeguatamente i residui colturali, ad esempio posticipando ad inizio autunno le lavorazioni del terreno per la semina dei cereali autunno-vernini e ad inizio primavera per la semina delle colture primaverili-estive.

Negli impianti arborei è ottima, sotto il profilo agronomico e per valore ecologico, la semina interfilare di trifoglio sotterraneo che, oltre a garantire la copertura durante la stagione autunnale, invernale e primaverile, offre risorse trofiche a molte specie.

Favorevole è anche il mantenimento delle stoppie di cereali fino all’autunno e del mais fino alla primavera successiva, magari aumentandone le qualità pabulari con la semina di loietto perenne o di frumento i quali, dopo la germinazione, potranno costituire una importante fonte alimentare nella cattiva stagione.

Una delle principali cause di morte degli individui, soprattutto dei giovani, è da imputare alle operazioni colturali, sia esse di tipo meccanico che chimico. Per quanto riguarda le operazioni di raccolta è auspicabile l’utilizzo della barra d’involo per lo sfalcio di erbai primaverili (periodo di riproduzione), soprattutto nelle ZRC e nei Centri di riproduzione della fauna selvatica, con l’accortezza di procedere nella operazione di taglio dall’interno verso l’esterno dell’appezzamento, in modo da consentire la fuga dei fagianotti (il fagiano è una specie “pedinatrice”). È opportuno inoltre evitare la raccolta del foraggio entro un raggio di almeno 5 metri intorno ai nidi non schiusi individuati nel corso delle operazioni di sfalcio.

Interventi permanenti

In ambienti agrari dove è predominante la presenza di aree aperte coltivate (zone pianeggianti), la creazione di compagini ecologiche complesse stabili è molto importante per la sosta, la riproduzione ed il rifugio dei fagiani.

L’assenza di piccole aree boscate o anche di semplici filari di alberi o siepi a carattere arbustivo è una condizione sfavorevole alle popolazioni di fagiano in una certa area, seppur per altre caratteristiche vocata.

La riqualificazione di queste aree o l’impianto ex-novo di siepi ed alberi autoctoni (meglio se di specie di bassa taglia, per evitare la nidificazione dei corvidi) è senz’altro auspicabile in virtù dell’alto valore aggiunto sia per il fagiano che per altre specie di fauna selvatica; l’eliminazione di specie infestanti, la messa a dimora di piante arboree e arbustive, la conservazione di piante mature, il mantenimento di una fascia inerbita ai lati della siepe e/o del filare sono solo alcune delle possibili opere realizzabili in questi contesti.

Nel caso del fagiano anche la creazione di piccole aree boscate (fino ad 1 ha) ha sicuramente effetti benefici, soprattutto perché favorisce la rimessa notturna vicino ai luoghi di alimentazione ed offre una certa protezione dai predatori.

E’ sempre fondamentale il soddisfacimento dei fabbisogni idrici della specie, soprattutto nel periodo primaverile-estivo, per cui risulta necessario salvaguardare le sorgenti, le raccolte ed i corsi d’acqua esistenti, nel caso in cui fossero inquinati o soggetti ad attingimenti che non risparmino un minimo flusso vitale per la fauna, crearndo ex-novo ulteriori punti di approvvigionamento in aree in cui la disponibilità idrica risulti scarsa.

Ripopolamento

L’immissione dei soggetti deve avvenire nel periodo primaverile-estivo utilizzando strutture di ambientamento. I soggetti dovrebbero avere circa 70-90 giorni, provenire da centri di allevamento certificati, che garantiscano sullo stato sanitario dei soggetti e, soprattutto, sui metodi di allevamento.

Gli interventi diretti sulle popolazioni di fagiano sono rappresentati da attività di ripopolamento, da effettuarsi nel nostro territorio:

• sulle popolazioni cacciate dove le densità sono fortemente al di sotto della capacità portante del territorio, oppure come supporto alla produzione naturale, per incrementare le possibilità di prelievo nelle aree a bassa idoneità ambientale.

 

 

Lo sforzo di ripopolamento deve essere commisurato alla capacità portante del territorio, in quanto se dovesse eccedere i fagiani si disperderebbero o morirebbero, oppure se le quantità non sono sufficienti verrebbero meno le aspettative di prelievo o di ricostituzione delle popolazioni. I fagiani di allevamento rilasciati in natura, senza strutture di ambientamento, ne sopravvive (nelle prime 5 settimane) il 45% nel caso di animali di allevamento, mentre nel caso di soggetti selvatici (di cattura) il tasso di sopravvivenza è dell’80%. Da questo si desume l’importanza di aver a disposizione delle popolazioni selvatiche sulle quali effettuare delle cattura di soggetti da immettere in zone a caccia programmata vocate alla specie. In mancanza di soggetti di cattura è necessario ricorrere a soggetti di allevamento, che anche se di qualità hanno notevoli problemi di adattamento e di sopravvivenza nell’ambiente naturale. I fagiani di allevamento sono nettamente più grandi e più pesanti di quelli selvatici e, nell’involo, l'angolo di partenza è più basso e l'arco del volo più corto rispetto ai selvatici, e questo è uno dei principali motivi per il quale i fagiani di allevamento non riescono a sfuggire efficacemente alla predazione. Un altro serio problema, che limita la sopravvivenza dopo l’immissione, è il processo di domesticazione a carico dei riproduttori, ovvero una selezione nei confronti di caratteristiche fisiologiche, morfologiche e comportamentali profondamente diverse da quelle proprie dei selvatici. Anche l’alimentazione, nella fase di allevamento, svolge un ruolo cruciale per la fase di successivo ambientamento in natura. Normalmente in allevamento i mangimi impiegati sono bilanciati da un punto di vista nutritivo, possiedono un’elevata digeribilità ed un’alta concentrazione nutritiva che permette un’adeguata nutrizione impiegando un minor volume di cibo. Una razione alimentare così concepita è funzionale alla produzione di carne, ma è del tutto inadeguata per gli animali da impiegarsi nei ripopolamenti, in quanto provoca una riduzione della lunghezza dell’intestino tenue e cieco, con la conseguenza che le funzioni di digestione ed assorbimento risultano alterate. E’ necessario, quindi, che nell’allevamento di fagiani da ripopolamento, si debbano impiegare mangimi con tenore di fibra più alto (12%) di quello contenuto nei normali mangimi commerciali (6%), in questo modo si migliora notevolmente la sopravvivenza in natura degli animali di allevamento. Un altro fatto estremamente importante è quello, che a parità di consumo proteico, la somministrazione alle femmine di un quantità di fibra nell’alimento pari al 18% (simile a quella ingerita in condizioni naturali) migliora la resa della produzioni di uova e determina un aumento significativo delle uova e dei pulcini. Il peso del pulcino alla schiusa è uno dei

principali fattori che ne determina la sopravvivenza in natura. Nei maschi un aumento di peso e di carico alare influisce fortemente sulla loro vulnerabilità alla predazione, quindi un cambiamento del regime alimentare, in una fase preparatoria all’immissione, che permette una diminuzione del peso favorirebbe la sopravvivenza in quanto diminuirebbe il rischio di predazione. Se tale cambiamento del regime alimentare contemplasse anche un aumento di fibra nella razione alimentare si avrebbero benefici anche al sistema digerente (preadattamento all’alimentazione naturale). Anche le condizioni di allevamento influiscono notevolmente sul comportamento antipredatorio dei soggetti, infatti soggetti allevati da madri naturali sviluppano strategie antipredatorie più efficaci rispetto a quelli nati in incubatrice. La tecnica migliore sarebbe quella di sostituire, periodicamente, i riproduttori con soggetti di cattura, al fine di mantenere una buona attitudine alla cova, una buona resistenza alle malattie, una maggiore vitalità e sopravvivenza dei pulcini.

Capannine di foraggiamento

Per aumentare le possibilità di sopravvivenza dei riproduttori liberati si devono posizionare, nelle aree maggiormente vocate delle capannine di foraggiamento, dotate di mangiatoie ed eventualmente di dispensatori d’acqua. Il foraggiamento e la fornitura di acqua deve avvenire per un periodo minimo di 10 gg (con un controllo bi-giornaliero), e comunque fino a quando le condizioni climatiche non garantiranno la presenza di una quantità sufficiente di alimento naturale disponibile. Il tipo di mangime da somministrare deve avere delle caratteristiche simili a quello impiegato durante l’allevamento, per aggiungere un’ulteriore stress dato dal cambiamento repentino di alimentazione. Il mangime già sperimentato, che ha dato buoni risultati è così formulato:

• 40% mais laminato

• 50% frumento tenero

 

 

• 10% fioccato di soja

In particolar modo è stato utile l’impiego del fioccato di soja che, anche in condizioni di forte umidità, mantiene la struttura e quindi risulta più facilmente utilizzabile dai fagiani. Immissione dirette nel periodo invernale/primaverile Contestualmente alla liberazioni di fagiani adulti deve essere effettuato un adeguato foraggiamento attraverso le capannine di foraggiamento. Le capannine vengono rifornite di mangime e, se necessario, di acqua per un periodo variabile, da pochi giorni ad alcune settimane, fino a quando si ritiene che gli animali siano autosufficienti per la ricerca ed il reperimento di cibo in ambiente naturale. Immissione diretta nel periodo estivo e tardo estivo/autunnale Durante il periodo estivo si deve ricorrere a soggetti adulti, in particolare a fagiane ovaiole a fine carriera, già pre-ambientati in allevamento.

3.6.1.4. Quaglia Nelle aree vocate la specie è presente come nidificate durante il periodo estivo; il territorio provinciale è però interessato soprattutto da importanti flussi di individui in migrazione anche in pieno autunno (ottobre) e da più rari individui svernanti.

Una misura gestionale fondamentale è rappresentata dalla limitazione del prelievo (attraverso la definizione di un carniere annuale e giornaliero prudenziale) soprattutto sulle popolazioni che si riproducono in territorio provinciale realizzabile posticipando l’apertura della caccia e comunque evitando la cosiddetta “pre-apertura”. Fenomeno grave ed incontrollato su gran parte del territorio provinciale è il bracconaggio con l’uso di richiami elettromagnetici sia in periodo primaverile che in autunno. Il controllo di tale attività, tra l’altro di estrema facilità, è la prima e fondamentale azione da intraprendere.

3.6.1.5. Acquatici Considerate le caratteristiche delle zone umide esistenti in provincia di reggio Calabria (piccole o piccolissime dimensioni), l’elevata pressione venatoria che si registra sul territorio provinciale e l’impossibilità di applicare un piano di prelievo in questa fase, in un’ottica di salvaguardia della risorsa che si intende sfruttare, la gestione nel breve e medio termine, dovrà necessariamente essere prudenziale.

Inoltre, per le specie cacciabili di interesse comunitrario e/o elecate nell’All. I della Direttiva 409/79, è necessario applicare almeno le indicazioni di seguito riportate.

Canapiglia, Codone, Marzaiola

In attesa di una migliore definizione dello status delle specie e, in considerazione della rarità delle segnalazioni, si consiglia di ridurre il numero dei capi abbattibili per giornata, nonché il limite annuo.

Moretta

La specie dovrebbe essere esclusa dall’elenco delle specie cacciabili per l’elevata probabilità di confusione con la Moretta tabaccata (Aythya niroca), specie particolarmente protetta che in ambito provinciale viene segnalata negli stessi siti della moretta. Inoltre le segnalazioni di moretta sono estremamente limitate e non si conosce lo status della specie a livello provinciale. Si ricorda che comunque la moretta non è cacciabile nelle ZPS.

Combattente

Considerata la rarità delle segnalazioni, in attesa di una migliore definizione dello status della specie e, in considerazione del declino delle popolazioni europee, si consiglia di escludere la specie dal calendario venatorio.

Frullino

 

 

Considerata la rarità delle segnalazioni di questa specie, in attesa di una migliore definizione dello status e, in considerazione del declino delle popolazioni europee, si consiglia di escludere le specie dal calendario venatorio.

Beccaccia

Considerata la precarietà dello stato di conservazione a livello europeo e la vulnerabilità della specie in gennaio, nonché la fedeltà ai siti di svernamento si raccomanda, come misura minima di gestione della specie, la riduzione del numero dei capi abbattibili giornalmente e, per non incidere sullo stock di soggetti svernanti, l’anticipazione della chiusura al 31 dicembre.

Gestione delle zone umide

La gestione delle specie di questo gruppo, tutte migratrici, non può prescindere dal ripristino degli habitat ad esse indispensabili. Nel caso degli anatidi la presenza regolare si registra in una sola area (pantano di Saline Joniche), la messa a regime dell’oasi di protezione già istituita con legge regionale è una misura ineludibile anche in considerazione dell’importanza dell’area e delle dimensioni contenute della stessa.

3.6.1.6. Rapaci Ogni ipotesi di gestione non può non scaturire da una base di conoscenze che mettano in evidenza le necessità della risorsa. Attualmente le conoscenze sul reale status e sulla distribuzione delle specie di rapaci nidificanti sul territorio provinciale non è affatto esauriente; inoltre, considerata l’importanza internazionale del territorio provinciale per la migrazione dei rapaci, la necessità di adeguare le conoscenze diviene un imperativo.

Solo partendo da una base conoscitiva adeguata si potranno proporre adeguati interventi di gestione.

Nell’immediato l’unica ipotesi proponibile è il contenimento o l’annullamento delle principali cause di declino, ovvero:

• la riduzione o modifica degli habitat favorevoli;

• la persecuzione diretta (bracconaggio primaverile e abbattimento delle specie durante la stagione venatoria);

• mancanza di risorse trofiche o bassa densità delle stesse per eccessivo prelievo venatorio.

3.6.1.7. Immissioni Gli eventuali piani di immissione da realizzare nel prossimo futuro devono tenere in considerazione quanto precedentemente detto per le singole specie. E’ necessario dunque supplire alla ingiustificabile mancanza di informazioni sullo stato di conservazione, sulla presenza e sulla reale distribuzione delle specie a livello provinciale ed avviare delle azioni di gestione coordinate e basate su adeguati strumenti di conoscenza.

I piani di gestione della fauna devono essere inoltre compatibili con i piani di gestione redatti per i siti rete natura 2000 della provincia e raccordarsi con il piano faunistico del Parco Nazionale d’Aspromonte.

Le immissioni di fauna cacciabile sul territori provinciale devono tenere conto principalmente dei livelli di vocazionalità del territorio nei confronti delle specie, della provenienza dei soggetti e della effettiva capacità di sopravvivenza degli stessi. In tal senso devono essere valutate con attenzione anche le numerosità dei nuclei di rilascio al fine di non disperdere inutilmente i soggetti sul territorio. nell’ambito di validità del piano faunistico, dovrà essere perseguito l’obbiettivo di minimizzare il rilascio di animali provenienti da strutture di allevamento estere o locali prive dei requisiti minimi a tutela della salute degli animali, e contestualmente dovrà essere massimizzato lo sforzo per produrre localmente la fauna da immettere favorendo la creazione di strutture idonee distribuite sul territorio che possono anche

 

 

contribuire al reddito alternativo per le aziende agricole a conduzione familiare. In particolare per la lepre dovrà essere presa in considerazione la possibilità di allevare in loco le lepri mutuando le esperienze positive già attuate in altre parti d’Italia, oltre a favorire la riproduzione naturale della specie nelle aree a maggiore vocazionalità e all’interno degli istituti preposti allo scopo.

Non sono previste reintroduzioni di specie se non a seguito di specifici studi di fattibilità approvati dall’ISPRA. In ottemperanza all’art 10 comma 7 della L.N. 157/92 (Ai fini della pianificazione generale del territorio agro-silvo-pastorale le province predispongono, articolandoli per comprensori omogenei, piani faunistico-venatori. Le province predispongono altresì piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica nonché piani di immissione di fauna selvatica anche tramite la cattura di selvatici presenti in soprannumero nei parchi nazionali e regionali e in altri ambiti faunistici, salvo accertamento delle compatibilità genetiche da parte dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica e sentite le organizzazioni professionali agricole presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale tramite le loro strutture regionali), è possibile prevedere accordi con le aree in cui gli animali si trovano in sovrannumero al fine di essere utilizzati per le immissioni faunistiche.

 

 

Bibliografia al Cap. 3.6.1 Gariboldi A., Andreotti A., Bogliani G., 2004 – La conservazione degli uccelli in Italia. Strategie e azioni. Alberto Perdisa Editore, Bologna. 

Lucchesi M., 2006 – Monitoraggio faunistico delle specie di interesse venatorio e delle specie predatrici potenzialmente impattanti. Centro asqua – Quadrifoglio settore fauna. 

Malcevschi S., Bisogni L. G., Gariboldi A., 1996 – Reti ecologiche ed interventi di miglioramento ambientale. Il verde editoriale, Milano. 

Meriggi A e Beani L., 1998 – Starna. (in Simonetta A. M. e Dessì‐Fulgheri F., 1998. Principi e Tecniche di Gestione faunistico‐venatoria). Greentime, Bologna. 

 

 

3.6.2. Conservazione e gestione della Mammalofauna La conservazione degli ecosistemi naturali attraverso una gestione integrata rappresenta l’approccio teoricamente più corretto per preservare la biodiversità di un determinato territorio; è infatti proteggendo gli ambienti naturali che si garantisce la conservazione delle comunità viventi, prevenendo l’estinzione delle diverse specie. D’altra parte, in alcuni casi le misure di tutela ambientale non appaiono sufficienti per garantire la sopravvivenza di specie minacciate, che presentano popolazioni talmente ridotte o isolate tra loro da non essere più in grado di una ripresa naturale senza l’intervento dell’uomo. In questi casi è necessario seguire un approccio specie specifico, intervenendo direttamente sui taxa fortemente minacciati di estinzione, che richiedono misure urgenti di conservazione. Nonostante la parzialità di questo tipo di approccio, che si focalizza sulla conservazione di poche specie, le ricadute che ne derivano spesso comportano effetti positivi su altre componenti delle biocenosi, o più in generale su interi ecosistemi. In questa logica, l’approccio eco sistemico alla conservazione di queste specie, non sono da considerarsi alternativi, ma complementari. A riguardo vale la pena sottolineare anche come progetti mirati alla conservazione di poche specie possono talora essere impiegati per avviare campagne di sensibilizzazione e di raccolta fondi, facendo leva sul carisma che taluni animali esercitano sull’opinione pubblica. L’approccio specie, prevede misure di intervento delineate in documenti tecnici denominati «Piani d’Azione» (cfr. Council of Europe, 1998). Un piano d’azione si fonda sulle informazioni disponibili relative a biologia, distribuzione ed abbondanza della specie oggetto di interesse. Tali conoscenze, purtroppo spesso lacunose,costituiscono un necessario punto di partenza per avviare la defi nizione di efficaci strategie di intervento, innanzitutto attraverso l’identifi cazione delle minacce che mettono a rischio la sopravvivenza della specie. La parte centrale di ogni piano è costituita dalla defi nizione degli obiettivi volti ad assicurare la conservazione della specie nel lungo periodo e dalle corrispondenti azioni necessarie per realizzarli. Una adeguata conoscenza dell’ecologia delle popolazioni oggetto d’interesse, delle proprietà degli ecosistemi in cui le stesse vivono e del contesto umano che li caratterizza, costituisce dunque il presupposto essenziale per la defi nizione appropriata di obiettivi e azioni. Una corretta strategia di conservazione relativa ad una determinata specie deve contemplare la pianifi cazione degli obiettivi nel breve, medio e lungo periodo e deve essere flessibile e modifi cabile nel tempo. Infatti periodiche verifi che circa lo stato di realizzazione ed avanzamento delle azioni, in rapporto al raggiungimento degli obiettivi, possono mettere in luce la necessità di un loro adeguamento, in funzione anche di scenari mutati. Poiché in misura sempre maggiore le attività umane incidono sui processi naturali e sulla conseguente evoluzione degli ecosistemi, il successo a lungo termine di una determinata strategia di conservazione dipende fortemente da un corretto approccio verso le problematiche di carattere economico, sociale e culturale che caratterizzano le comunità umane presenti all’interno dell’areale della specie che si vuole conservare. Nello specifico contesto provinciale, la sfida che si dovrà affrontare nel dare attuazione alle indicazioni tecniche contenute nei piani riguarda le modalità attraverso cui convogliare le risorse umane, tecniche e finanziarie necessarie per il perseguimento degli obiettivi indicati, in assenza di un quadro normativo che ne defi nisca la valenza. Sarà soprattutto su questo terreno che si valuterà la reale effi cacia di questi strumenti di conservazione nel contesto nazionale.

STRUTTURA DELLE AZIONI Nome dell’azione

Priorità: rilevanza dell’azione in senso conservazionistico (alta, media, bassa).

Tempi: periodo entro cui è opportuno avviare l’azione; durata prevista dell’azione.

Responsabili: soggetti cui è opportuno affidare il coordinamento e/o la realizzazione dell’azione.

Programma: descrizione sintetica del contenuto e delle fi nalità dell’azione.

Costi: costi presunti dell’azione (se defi nibili), in Euro.

Note: informazioni aggiuntive per meglio delineare il contenuto dell’azione o i rapporti con altre azioni.

 

 

VOLPE La gestione faunistico-venatoria della popolazione della volpe nasce dalla necessità più generale, in attuazione dei principi espressi dall’ art.14 della legge 157/92, con particolare riguardo alla conservazione della biocenosi con il massimo grado possibile di diversificazione ed evitando il potenziamento di solo alcune specie di fauna selvatica a scapito di altre.E’ ben noto come nella provincia di Reggio Calabria una pregressa gestione del territorio, la radicale modificazione degli habitat, l’eccessivo prelievo di alcune specie (come la lepre) quasi mai accompagnato da adeguati programmi di ripopolamento e soprattutto la grande capacità di adattamento delle volpi, ha portato ad un consistente aumento della popolazione di questa specie.Se spesso nel recente passato il problema ”volpe” si e posto all’attenzione degli organismi gestori senza mai essere affrontato in maniera pragmatica e flessibile con un approccio che non teneva conto della necessità di conseguire soluzioni concrete, piuttosto di tutelare ideologie, oggi il decollo degli A.T.C. rende necessario per legge un intervento radicale ed efficace per ristabilire, li dove la natura non ha la forza, i naturali equilibri.

Dinamica della popolazione della volpe nella provincia di reggio calabria

La volpe solitamente predilige frequentare le superfici boscose, quelle macchiose ed i canali di grande e media sezione ricoperti da folta vegetazione, ma come si e già detto la grande adattabilità della specie ha favorito la distribuzione in tutti gli ambienti ecologici della provincia.

La valutazione quantitativa della popolazione della volpe e la sua dinamica può essere effettuata con le seguenti tecniche:

• conteggio delle tane occupate

• censimento notturno con sorgente luminosa

• indici relativi di abbondanza, con particolare riferimento all’ esame dei capi abbattuti

Allo stato attuale l’unica fonte di valutazione de! la densità biotica della specie nel territorio ci è data dal conteggio dagli avvistamenti dei cacciatori e da numerosissime richieste da parte di cittadini per danni subiti al foraggio e agli animali da cortile. Considerando che l’Home Range di una volpe di sesso maschile e di circa 190 Ha (in alcuni esemplari con attitudini erratiche arriva sino a 350 Ha), mentre quello di una volpe di sesso femminile e di circa 90 Ha (solo durante il periodo dell’allattamento della prole non supera i 2 Ha), si può stimare la densità biotica ottimale della volpe su un territorio con massimo grado di biocenosi intorno ad 1capo/150 Ha. E’, pertanto, lecito ipotizzare che nella provincia reggina, nelle zone in cui si vuole raggiungere una buona densità di Galloformi e Lagomorfi, la volpe influisce negativamente con la produttività di tali popolazioni.

Ruolo della provincia e degli a.t.c. nella gestione faunistico - venatoria della volpe

La gestione di una risorsa si basa essenzialmente sulla conoscenza del problema e viene impostata in funzione delle finalità che l’organo gestore vuole perseguire. Nel caso specifico della volpe, la gestione comporta notevoli difficoltà applicative che vanno soprattutto ricercate nelle sue attitudini elusive e notturne e nella caratteristica di rifugiarsi all’interno di tane.

L’analisi dello status della popolazione nella provincia si presenta carente sotto molti aspetti, ma la densità biotica è a livelli tali da ripercuotersi negativamente sulle altre specie. I suggerimenti e le tecniche per risolvere il problema non sono molti, ma si potrebbe procedere con l’attuazione dei seguenti piani:

• Il piano dl assestamento

• Il piano dl controllo

Il piano di assestamento

L’interesse venatorio per la volpe nella nostra provincia, come del resto in tutta la penisola, risulta assai modesto a causa di una assenza di tradizioni cinogenetiche. Per niente adottate le tecniche che prevedono l’uso del cane da tana o l’aspetto con l’impiego di armi a canna rigata, in definitiva

 

 

l’attività venatoria a questa specie trova il suo limite nell’abbattimento casuale durante altre pratiche venatorie e nelle ormai rare battute a squadra con cani da seguita. Di fronte a questa situazione di scarso interesse venatorio perché il Piano possa avere un peso significativo nella regolazione quantitativa della popolazione di questa specie è opportuno che si preveda l’abbattimento in periodo di caccia chiusa correttamente regolamentata e attuando al tempo stesso:

• il controllo della specie

• la valutazione dell’indice relativo di abbondanza

• una minore pressione venatoria a quelle specie di grande valenza venatoria (lepre e fagiano), ma di scarsa presenza sul territorio.

Il piano di controllo

Si tratta essenzialmente di interventi di abbattimento da realizzare in periodo di caccia chiusa, che devono assolvere la funzione di mantenere nel tempo la densità raggiunta con il Piano di Assestamento. Questo Piano è predisposto dalla Provincia in collaborazione con il Comitato di Gestione dell’A.T.C., ma annualmente deve essere autorizzato dall’ISPRA tramite la Regione Calabria.

L’esecuzione del Piano avviene esclusivamente dopo le autorizzazioni del caso e con le modalità e gli strumenti previsti dalle normative vigenti;

Aspetti normativi del controllo della Volpe

(Legge n. 157/92)

• Gestione finalizzata alla conservazione effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie” (art.10, comma 1)

• Possibilità di interventi di controllo “per motivi sanitari, per la selezione biologica, … per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali” (art. 19 19, comma 2)

• Il controllo deve essere selettivo e deve, di norma, essere attuato tramite metodi ecologici;

Obiettivi

• Prevenzione della diffusione della rabbia silvestre

• Prevenzione di danni economici agli allevamenti di animali di bassa corte

• Protezione di specie di interesse conservazionistico ( Fagiano e lepre progetti di reintroduzione, ecc);

• Incremento della produttività di specie di interesse venatorio;

Metodi ecologici di contenimento degli impatti

• Graduale eliminazione delle routinarie immissioni pronta-caccia di quantitativi elevati di fasianidi e lepri dotati di scarsa fitness individuale

• Creazione di zone di rifugio e di nidificazione che abbattono l’incidenza della predazione

• Chiusura delle discariche abusive di rifiuti e la protezione di quelle autorizzate con recinzione perimetrale a prova di mammifero ed interramento frequente dei rifiuti

Prevedere adeguati programmi di monitoraggio

• andamenti delle popolazioni sia di volpe monitoraggio sia delle specie-preda di interesse gestionale

• Metodi semplici, efficaci e ripetibili

 

 

• Indici vs censimenti

Metodi di stima quantitativa delle popolazioni di Volpe (teoricamente) applicabili

• cattura-marcatura-ricattura delle volpi pN = (Mn)/m

• conta delle tane

• identificazione degli escrementi delle volpi catturate

• estensione dei territori delle volpi D =1/H

• tracce delle volpi che visitano un’esca

• tracce o escrementi su transetti

• conteggi notturni con i fari

• statistiche degli abbattimenti di volpe nelle attività di caccia

Conteggi alle tane

• Indagine preliminare, localizzazione tanepresenti

• Nel periodo post-riproduttivo, identificazione tane attive

• Osservazione per stima numero di cuccioli per tana

Tracce (su neve) o escrementi su transetti

• Si contano tutte le tracce che si incontrano durante uno o più transetti fissi standardizzati

• Tecnica molto economica, realizzabile in aree boschive

Tracce delle volpi che visitano un’esca

• si pongono le esche, all’interno di una piccola zona di terreno setacciato ad intervalli regolari setacciato, (300 - 500 m)

• si visita l’esca per 5 giorni consecutivi a partire l esca dal giorno successivo alla messa in opera

• si annota ogni visita di volpe alle varie esche e si riprepara il terreno eventualmente manomesso dalle tracce

• al termine dei 5 giorni si può calcolare un indice di frequenza secondo la formula:

totale delle visite: totale delle esche x le notti X 1000 = Indice

Conteggi notturni con il faro

• è una tecnica utile e facilmente realizzabile per ottenere indici di abbondanza relativa

• permette di comparare le popolazioni di differenti aree o di seguire l’evoluzione di una popolazione nella stessa area

• fluttuazioni stagionali e a lungo termine possono essere identificate

la tecnica

• percorsi fissi

• illuminare i 2 lati della strada a/h10-15 Km/– ripetere i percorsi

• ripetizioni a ore diverse

• calcolare l’area illuminata

• per ogni avvistamento segnare posizione ora ambiente attività

 

 

cosa otteniamo

1. IKA delle volpi (n° individui x Km)

2. Indici di densità (n° individui x Kmq)

3. Potenzialmente Stima di densità da Distance Sampling

Una strategia corretta di gestione e controllo della Volpe deve:

1) essere basata su obiettivi chiari ed espliciti, coerenti con l’attuale quadro normativo e realizzabili;

2) prevedere l’applicazione delle possibili misure incruente di contenimento del danno;

3) prevedere l’utilizzo di metodi di prelievo selettivi e che limitino gli effetti indesiderati;

4) includere un’attenta valutazione dei risultati conseguiti in relazione agli obiettivi, in modo da permettere una costante revisione del programma operativo.

Obiettivi

In relazione a quanto prescritto dal quadro normativo, l’obiettivo primario della gestione della Volpe deve essere il mantenimento di idonee densità obiettivo della specie sul territorio, in modo da assicurare il ruolo di regolazione delle prede; tale fine generale della gestione esclude quindi la programmazione di interventi di contenimento (controllo) della densità della Volpe su larga scala. Benché la specie rivesta uno scarso interesse venatorio, nell’ambito degli ATC e delle Aziende faunistico-venatorie la gestione può avvenire sulla base dei criteri della caccia programmata ed in coerenza con i calendari venatori annuali.

Programmi di controllo della Volpe possono essere, invece, previsti nell’ambito di interventi di conservazione di specie minacciate (per es. Lepre italica e Coturnice), realizzati in ambiti localizzati e con tempi definiti.

La legge prevede, inoltre, la possibilità di realizzare interventi di controllo per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali, tra le quali pare corretto includere, oltre alle attività zootecniche, anche la riproduzione delle specie di interesse venatorio all’interno degli istituti specificamente finalizzati alla produzione della selvaggina (Zone di Ripopolamento e Cattura, Centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica, ecc.).

In conclusione il controllo della Volpe può risultare coerente con il quadro normativo e tecnicamente accettabile solo in limitati e specifici casi, che includono:

1) rilevante impatto su specie di interesse conservazionistico, registrato nell’ambito di programmi di conservazione di tali specie;

2) rilevante impatto su animali di bassa corte;

3) rilevante impatto su specie di interesse venatorio, registrato in istituti finalizzati alla produzione di piccola selvaggina stanziale.

Metodi ecologici di contenimento degli impatti

Obiettivo degli interventi di controllo è il contenimento degli impatti indesiderati, non la riduzione del numero dei predatori. Perciò, quando si registrano impatti rilevanti causati dalla Volpe, la legge 157/92 richiede che prima di programmare operazioni di abbattimento venga esplorata la possibilità di utilizzare metodi non cruenti di intervento, capaci di prevenire gli impatti o di ridurre la consistenza numerica delle specie responsabili del danno, attraverso la limitazione delle opportunità di fruizione di risorse alimentari. In termini generali la principale e più efficace misura di prevenzione degli impatti indesiderati della Volpe è rappresentata dal contenimento della disponibilità di fonti trofiche artificiali. Questo può essere ottenuto sia attraverso la recinzione delle discariche e l’adeguamento dei contenitori di rifiuti, ma anche tramite la sospensione o il contenimento di massicce immissioni di selvaggina allevata o “pronta–caccia”.

 

 

Nel caso della predazione su animali di bassa corte – fenomeno localizzato, che generalmente colpisce piccoli allevamenti a conduzione familiare – l’impatto può essere prevenuto efficacemente attraverso l’adeguata protezione meccanica delle strutture d'allevamento ed il ricovero notturno degli animali.

Impostazione dei piani di abbattimento

Qualora, a seguito di una attenta ed approfondita verifica, i metodi incruenti di intervento sopra descritti risultino inefficaci o inapplicabili, può essere prevista la realizzazione di piani di abbattimento, purché condotti in contesti geografici ed istituti di gestione localizzati.

Aree di intervento

Programmi di controllo finalizzati a contenere danni ai piccoli allevamenti di animali di bassa corte devono essere realizzati nel sito di predazione o nelle immediate vicinanze.

Interventi di controllo della Volpe programmati nell’ambito di progetti di conservazione di specie minacciate vanno concentrati nell’area specifica di intervento e devono avere una durata temporale adeguata al raggiungimento degli scopi per cui sono stati programmati.

Interventi mirati a contenere gli effetti della predazione della Volpe su specie di interesse cinegetico vanno programmati all’interno di istituti con finalità di produzione di piccola selvaggina in campo aperto.

La realizzazione degli interventi in limitati ambiti geografici, oltre a rispondere al dettato e allo spirito della legge nazionale, può permettere di concentrare le risorse di personale disponibili, aumentando quindi l’efficacia del controllo.

Operatori e corsi di formazione

Il controllo della Volpe è un’attività gestionale che comprende sia aspetti biologici (eco-etologia della specie, relazioni ecologiche preda-predatore, ecc), sia pratici (tecniche di prelievo, tecniche di monitoraggio, ecc.). Appare pertanto necessario, qualora la Provincia decida di avvalersi della collaborazione di personale non dipendente, prevedere la realizzazione di corsi per gli operatori abilitabili al controllo della Volpe in grado di fornire una preparazione teorica di base sull’eco-etologia della Volpe e sui principi ecologici del controllo, ed una adeguata formazione pratica sulle tecniche di prelievo.

Per quanto riguarda quest’ultimo punto, va sottolineato che il dettato normativo consente l’applicazione di tecniche di prelievo spesso diverse da quelli tradizionalmente utilizzate per la caccia (ad es. il tiro notturno con l'ausilio del faro, da parte degli Agenti della Polizia Provinciale); la formazione degli operatori è quindi un elemento chiave per il successo degli interventi.

Dimensioni del piano di abbattimento

In termini generali la dimensione dei piani di abbattimento andrebbe definita in base alla consistenza e al tasso di incremento della popolazione target. Nel caso di programmi di controllo, la dimensione dei piani dovrebbe superare il valore dell’incremento annuale della popolazione, senza tuttavia compromettere lo status complessivo di conservazione della specie. Tale impostazione teorica appare di difficile realizzabilità nel caso della Volpe, che è una specie particolarmente difficile da censire e presenta tassi di incremento molto variabili, anche per i meccanismi densità - dipendenti di regolazione della dinamica di popolazione. Gli aspetti quantitativi dei programmi di controllo di questo predatore possono dunque essere affrontati tramite due differenti approcci.

1) L’approccio teoricamente più corretto, ma metodologicamente più complesso, è quello di definire la consistenza della Volpe nell’area di intervento, valutare l’incremento utile annuo, realizzare quindi un piano di abbattimento superiore agli incrementi. Questo approccio richiede adeguati livelli di accuratezza e precisione delle stime di consistenza, che rendono indispensabile l’utilizzo di tecniche complesse, molto impegnative da un punto di vista organizzativo, operativo ed economico.

2) In alternativa, è possibile utilizzare un approccio adattativo, che permette cioè di analizzare costantemente i risultati del programma, in modo da rendere possibile la periodica revisione del

 

 

protocollo operativo in funzione dei risultati ottenuti. In questo senso è necessario prevedere tecniche di monitoraggio che permettano la raccolta di indici di densità sia della Volpe, sia delle specie-preda, ed una costante analisi dei risultati del monitoraggio.

Tecniche di abbattimento

Le tecniche di abbattimento devono minimizzare l’impatto sulle specie non target, assicurare adeguata selettività e ridurre le sofferenze degli animali.

Sulla base di questi principi, si ritengono accettabili lo sparo all’aspetto (anche su carnai) senza l’ausilio di cani (fuori dalla stagione riproduttiva) e quello alla cerca con autoveicolo condotto nelle ore notturne con carabina a canna rigata ed ottica di mira e con l’ausilio di fari. Viasta la delicatezza di questo tipo d’intervento, lo stesso deve essere riservato agli Agenti della Polizia Provinciale o a equipaggi di operatori di cui faccia parte anche un Agente dello stesso corpo di polizia.

Nel periodo di presenza dei cuccioli (aprile-luglio) la tecnica ammissibile è la caccia in tana con l’ausilio di cani appositamente addestrati, perché evita il rischio di uccisione delle femmine in allattamento con conseguente morte per inedia dei cuccioli.

Anche la cattura tramite trappole a cassetta risponde ai criteri sopra riportati, purché sia assicurato un frequente controllo delle trappole; va però sottolineato che tale tecnica risulta generalmente di limitata efficacia.

Il ricorso alle battute e alle braccate, che può determinare un elevato disturbo alle altre specie selvatiche, va invece escluso nell’ambito dei programmi di controllo.

CINGHIALE Nei confronti del cinghiale la Provincia intende attuare una gestione differenziata a seconda che le aree siano vocate o non vocate alla specie.

Nelle aree vocate alla specie, la gestione di questo ungulato sarà attuata dagli A.T.C. anche tramite specifici Distretti di gestione, sulla base di precisi piani di prelievo elaborati dagli A.T.C. medesimi sulla scorta di specifiche operazioni di stima della consistenza delle diverse popolazioni.

Un distretto a regime può essere definito come un’area nella quale le popolazioni animali oggetto di attività venatoria sono rappresentate da popolazioni definite e la cui dinamica è condizionata in misura non eccessiva dai fenomeni di immigrazione ed emigrazione. I distretti dovrebbero essere identificati sulla base di carte di vocazionalità per la specie, avere dimensioni idonee per gestire singole popolazioni ovvero “unità di popolazione” (per il cinghiale orientativamente 10.000-20.000 ha). Un distretto potrà contenere anche istituti di protezione o aziende faunistiche venatorie con l’avvetenza che:

le dimensioni del distretto non debbono aumentare;

deve essere rispettato il concetto di “unità di popolazione”;

i piani di abbattimento debbono essere calcolati al netto degli individui stimati come presenti nelle aree protette.

Problematiche che insorgono in presenza di distretti troppo grandi:

poco personale disponibile per le attività di gestione;

difficoltà nel realizzare le stime di popolazione su superfici rappresentative;

prelievo non distribuito omogeneamente e rischio di applicare un unico piano di prelievo a popolazioni differenti o a territori con diverse problematiche d’impatto da parte del cinghiale;

difficoltà ad esercitare una sorveglianza efficace

I piani di prelievo dovranno avere l'obiettivo di mantenere la presenza del cinghiale nell’ambito di “densità obiettivo” differenziate per singoli distretti o singole realtà ambientali e saranno elaborati annualmente dagli A.T.C..

 

 

I piani annuali di prelievo, elaborati dai tecnici degli A.T.C. ed approvati dagli A.T.C. medesimi, saranno assegnati alle Squadre di caccia, operanti nei diversi Distretti di gestione. Al termine della stagione venatoria, ogni Squadra dovrà comunicare al proprio A.T.C. i dati relativi ai capi abbattuti, comprensivi di età (determinata sulla base della composizione e dell'usura dei denti) e sesso, il peso e i tratti riproduttivi al fine di stimare la fertilità della popolazione”. Nel paragrafo successivo, dove tra parentesi si cita il personale esperto per la valutazione dei tratti riproduttivi, deve essere aggiunto: “o da parte dei rilevatori biometrici formati.

All'interno delle aree non vocate alla specie il cinghiale dovrà essere eradicato o mantenuto sotto stretto controllo numerico finalizzato a prevenire i danni alle colture agricole. Tali interventi potranno essere attuati con la collaborazione degli A.T.C.. Per la definizione dei carnieri annuali tesi a mantenere la densità obiettivo prescelta è necessario vengano raccolti in forma standardizzata dati sul successo riproduttivo. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso l’esame (da parte di personale esperto) di un campione significativo degli apparati riproduttivi delle femmine abbattute durante la precedente stagione venatoria.

Modelli di valutazione ambientale

Nel caso del Cinghiale la densita agro-forestale e spesso assai inferiore alla densita biologica e il suo mantenimento comporta da parte dell'uomo un'attivita di controllo atta a contrastare la naturale tendenza della popolazione a raggiungere la capacita portante del sistema. I molteplici fattori che influenzano la recettivita dei singoli ambienti non consentono di fornire valori numerici generalizzabili circa la densita biologica ne tantomeno quelli relativi al carico di animali accettabile. La diversa attendibilita dei metodi di stima o censimentoapplicati a popolazioni di Cinghiale e riportati in letteratura rendono difficilmente confrontabili le densita di animali anche in ambienti simili; variazioni sensibili di densita possono verificarsi inoltre nell'ambito dello stesso territorio, ad esempio in anni caratterizzati da diversa disponibilita alimentare. Vengono forniti, per gli ambienti mediterranei, valori di densita biotica variabili da 2-4 a 5-10 (fino a 25) capi per 100 ettari. In realta e verosimile che la foresta e la macchia mediterranea o submediterranea, con la varieta di specie quercine e la scalarita temporale dell'offerta di frutti selvatici che le contraddistingue, rappresentino l'optimum ecologico originario per la specie che in tali ambienti puo raggiungere densita assai piu elevate (in assenza di foraggiamento artificiale) rispetto a quelle generalmente mostrate dalle popolazioni dell'Europa centrale ed orientale.

Competizione interspecifica

L'impatto del Cinghiale sulle zoocenosi assume aspetti molto variabili in relazione alle diverse specie considerate, ma riguarda essenzialmente il comportamento alimentare.

Laddove risorse fondamentali da punto di vista trofico, quali ghiande, castagne e faggiole, siano presenti in quantita limitate, il Cinghiale si configura come competitore rispetto ad altri animali. E' ipotizzabile dunque una sovrapposizione, almeno parziale, di nicchia trofica con altri Ungulati (in particolare il Cervo e il Daino) che condividono le scelte alimentari del Suide, sebbene questo non sembri pregiudicare la coesistenza delle diverse specie. Agendo in parte come predatore, il Cinghiale determina un l'impatto rilevante sui micro- e macromammiferi del suolo, attivamente ricercati durante il rooting. Roditori e insettivori vengono predati in maniera sensibile ma, sebbene in modo piu occasionale, entrano a far parte della dieta del Cinghiale anche giovani Lagomorfi, Carnivori ed Ungulati. Controverso fra gli studiosi risulta il valore da attribuire alla predazione del Cinghiale su altri vertebrati quali rettili, anfibi, uccelli, spesso considerata piu casuale che sistematica. In alcuni casi si e trovato che il Cinghiale ha un ruolo insignificante nella predazione sui nidi di uccelli terricoli, ma in altri sembra accertato che la presenza del Suide possa provocare una contrazione numerica nelle popolazioni di Fagiano per distruzione dei nidi. Un'ultima considerazione riguarda il Cinghiale in quanto preda dei grossi carnivori. In Paesi ancora popolati da Linci, Lupi, Orsi, i Cinghiali (soprattutto gli individui appartenenti alle classi giovanili) possono costituire percentuali rilevanti della dieta di questi ca nivori. Anche in Italia i risultati di recenti indagini sullo spettro alimentare del Lupo indicano come il Cinghiale risulti la specie piu importante, in termini di biomassa, nell'ambito della frazione costituita dagli animali selvatici.

Danni all'ambiente

 

 

Le interazioni che una popolazione di Cinghiale contrae con le fitocenosi naturali, cosi come con gli ecosistemi agrari, variano in maniera sensibile non solo da area ad area ma anche, nell'ambito della stessa zona, se considerate in anni successivi.

Onnivoro per eccellenza, il Cinghiale e in grado di modificare la propria dieta in funzione delle disponibilita trofiche offerte dai vari ambienti; le richieste energetiche quotidianevariano inoltre in funzione dell'eta, delle condizioni fisiologiche e del periodo dell'anno.Il regime alimentare risulta in prevalenza composto da bulbi, rizomi, radici, frutti; l'analisidelle feci e del contenuto stomacale di individui abbattuti ha rivelato alimenti di origineanimale solitamente non superiori al 10% del volume totale.Le abitudini alimentari di una popolazione di Cinghiale sono influenzate da molteplici fattorirelativi sia a caratteristiche intrinseche della popolazioni stesse, quali densita, composizioneper classi d'eta e per gruppi, che a elementi specifici dell'ecosistema.Circa gli effetti della densita si registrano pareri discordi fra gli studiosi: secondo alcuniAutori i danni provocati alla vegetazione dal Cinghiale non dipendono dalla densita di individuipresenti, mentre altri sottolineano la significativita di tale relazione.Uno studio effettuato in Camargue sulle preferenze alimentari delle diverse classi d'eta di Cinghiale evidenzia come il contenuto medio stomacale degli adulti sia rappresentato di maggiori quantita di alimenti di origine vegetale rispetto a quello di giovani e subadulti; adulti e subadulti assieme consumano invece piu e parti vegetali ipogee rispetto ai giovani. Tra i fattori dell'ecosistema che influenzano le scelte alimentari del Cinghiale si annoverano la fenologia e la produttivita delle varie essenze vegetali cosi come la disponibilita di specie coltivate. La risposta del sistema all'impatto di una popolazione di Suidi e in stretta relazione con lo stadio serale raggiunto dall'ecosistema stesso: piu l'insieme appare evoluto,cioe costituito da una molteplicita di organismi interagenti, piu le possibilita di far fronte a una perturbazione si fanno elevate. Nel caso dell'impatto del Cinghiale, si assiste spesso ad una sensibile diminuzione della biomassa vegetale, fortemente ridotta quantitativamente ma non nel numero di specie.Alcuni studi hanno evidenziato invece cambiamenti nelle associazioni vegetali utilizzate dal Cinghiale: in prati e pascoli le graminacee sono state sostituite da altre essenze erbacee quali, ad esempio, Potentilla anserina. Esperimenti effettuati confrontando aree recintate con zone adiacenti accessibili al pascolo dei selvatici hanno mostrato il forte impatto che il Cinghiale ha sulle specie vegetali appetite: la densita della copertura della flora primaverile e aumentata in recinto fino a quattro volte quella delle aree pascolate, mentre Claytonia virginica, una specie erbacea della famiglia delle Portulacacee, ha subito una riduzione dibiomassa da 607 Kg/ha a 138 Kg/ha. Da tali studi e emerso che le essenze erbacee appetite dal Cinghiale si stabilizzano, dopo circa 20 anni, su livelli di biomassa inferiori aquelli precedenti la presenza del Suide, senza comunque estinguersi. Il recupero, in aree in cui il Cinghiale e stato eliminato, si verifica entro 1-3 anni per le piante erbacee mentre il processo e piu lento per le radici legnose. La fenologia e la produttivita di specie quali la quercia o il faggio, i cui frutti rivestono un'enorme importanza nell'alimentazione autunnale di molti Ungulati, assumono un ruolo determinante nel condizionare la dinamica di popolazione del Cinghiale. E' stato infatti provato che una diminuita produzione di ghianda provoca un netto declino nell'attivita ovarica delle femmine diminuendone cosi il successo riproduttivo.

L'abbondanza di ghianda sembra anche in relazione diretta con l'inizio della stagione riproduttiva piu o meno ritardata a seconda della disponibilita dei frutti. E' noto come il succedersi di cinque anni di forte innevamento e bassa produzione di ghianda nella foresta di Bialowieza (Polonia) abbiano decimato la popolazione locale di Cinghiale, scesa da poco piu di un migliaio di capi nel 1951 a circa 200 nel 1956. In carenza di alimenti reperibili in bosco, il consumo di piante coltivate, quali ad sempio cereali, patate, girasole, sembra aumentare in notevole misura. Laddove non esiste la possibilita di rivolgersi alle coltivazioni, il Cinghiale compie migrazioni per procurarsi il cibo necessario. In tali casi, la simultanea convergenza di molti animali in aree anche di dimensioni limitate, crea un forte impatto sulla vegetazione, peraltro limitato nel tempo dalla durata dell'offerta alimentare. Gran parte del cibo utilizzato dal Cinghiale e reperibile sotto terra: oltre all'influenza diretta esercitata sulle specie di cui il Suide si nutre, esiste un altro aspetto, di estrema importanza, legato alle conseguenze dell'attivita di scavo (rooting). Tale attivita, effettuata per reperire radici, tuberi e piccoli invertebrati presenti nel suolo, e in relazione alle condizioni del substrato: risulta maggiore dopo una pioggia o in suoli sciolti (ad esempio sabbiosi) e appare ostacolata dalla neve o dal terreno gelato. Gli effetti sono molteplici; il rooting, se intenso, provoca un forte degrado della

 

 

copertura erbacea del suolo con conseguente pericolo di erosione. Secondo alcuni Autori il manto vegetale diminuirebbe dell'87% rispetto alle condizioni originarie, mentre la proporzione di terreno nudo aumenterebbe dallo 0 all'88%. Il rapporto del Cinghiale con gli ecosistemi agrari si risolve in un impatto diretto, dovuto a prelievo delle diverse specie coltivate, e in un'azione indiretta, causata dal calpestio e dall'attivita di scavo che danneggiano le piante mettendone a nudo le radici. I danni che ne derivano possono avere un notevole peso sulle attivita umane, ragione forse per cui tale aspetto risulta piu studiato rispetto ad altri. E' opportuno individuare quei fattori che, interagendo con le popolazioni di Cinghiale, ne indirizzano le scelte alimentari verso colture quali cereali, patate, girasole, vigneti. L'alto valore energetico di queste ultime, unito alla concentrazione spaziale delle risorse stesse, giustifica in parte le preferenze dei Suidi, che tendono a ottimizzare il rapporto costi/benefici. In generale il grano viene sistematicamente utilizzato quando si trova in aree relativamente prive di disturbo antropico e lo sviluppo dei margini fra zone boscate e coltivi risulta direttamente proporzionale alla presenza dei Suidi.

Il valore dell'estensione di tali ecotoni per il Cinghiale e spiegabile come alternanza ideale di luoghi di rifugio e/o riposo e ricche aree di pastura. Secondo vari Autori sussiste un rapporto inversamente proporzionale fra intensita di frequentazione delle colture e disponibilita di alimenti quali ghiande e faggiole in bosco. Principale fattore di regolazione dell'attivita del Cinghiale sulle specie coltivate sembra essere la richiesta di cibo in determinati periodi, piu che la disponibilita dello stesso. Cio e indicato dal fatto che durante studi sperimentali la quantita media di ghiande consumata in diverse stagioni (e offerta ad libitum tutto l'anno) e risultata molto variabile. Da gennaio ad aprile, quando le risorse alimentari dell'ambiente sono scarse, anche il consumo del cibo offerto appare basso ma aumenta parallelamente al crescere delle disponibilita naturali. Si puo concludere che il fattore base che influenza la predilezione per le colture e soprattutto la mancanza di sufficiente cibo attraente in bosco in determinati periodi. In ambienti fortemente rimaneggiati dall'uomo, quali gli ecosistemi agrari, risulta sempre opportuno considerare tali aspetti della biologia del Cinghiale per far fronte alle periodiche "invasioni" di animali condizionate (anche) da ritmi endogeni specifici. I mezzi che e possibile utilizzare per limitare i danni arrecati dal Cinghiale alle colture agrarie riguardano due grandi categorie: 1) i repellenti e le barriere; 2) l'alimentazione complementare. Numerosi esperimenti, di seguito riportati, hanno tentato di stabilire la durata e l'efficacia di tali mezzi, unitamente ad una valutazione dei costi di impianto e manutenzione necessari. Durante uno studio condotto per verificare i diversi sistemi di prevenzione dei danni, i 25 repellenti chimici impiegati, agenti sul sistema olfattivo o gustativo, si sono dimostrati efficaci per soli 3-4 giorni. Risultati analoghi per quanto concerne la durata dell'effetto deterrente si sono avuti con repellenti acustici costituiti da colpi sparati con cannoncini o da generatori di suoni, oppure da emissione del verso di allarme specifico del Cinghiale precedentemente registrato in tutti i casi gli animali vanno incontro ad assuefazione in brevissimo tempo. La recinzione elettrica sembra, fino ad ora, aver dato i migliori risultati: si compone di due fili elettrificati posti rispettivamente a 25 e 50 cm dal suolo e fissati, ad intervalli, a paletti di supporto in plastica, fibra di vetro, legno. Generalmente disposta attorno alle parcelle, puo anche essere installata a protezione globale delle colture, qualche metro all'interno dell'area boscata confinante con i campi stessi. Il sistema di elettrificazione si basa su impulsi molto brevi, ad alto voltaggio (5-6.000 Volts) ed e tale da rimanere efficiente anche nel caso di contatto tra fili ed erbe o rami. La riuscita di una simile protezione dipende soprattutto dalla manutenzione: diviene rapidamente inefficace se i mezzi per effettuare tale mantenimento, intesi come materiali e personale, non sono stati previsti. In generale, visti i costi di installazione e manutenzione, pare che la recinzione elettrica risulti vantaggiosa per appezzamenti di dimensioni limitate investiti a colture di alto pregio. L'alimentazione complementare, intesa come offerta di cibo alternativo alle piante coltivate, si pone nell'ambito dei sistemi di lotta biologica. Si cerca cioe di riproporre agli animali condizioni di elevata produttivita del bosco il quale, offrendo anche protezione e rifugio, diviene un habitat piu frequentato rispetto alle coltivazioni. Esperimenti di questo genere sono stati condotti con successo da vari ricercatori. La frequenza di visite e la durata dell'attivita' nelle parcelle coltivate diminuiscono sensibilmente in seguito alla presentazione di cibo alternativo in bosco. Opportuni accorgimenti quali il posizionamento di tali cibi in piu punti, disperso su ampie superfici, consentono di "legare" gli animali al nuovo territorio. Si e notato che l'apporto di mais modifica le dimensioni delle zone frequentate durante l'attivita notturna diminuendo l'ampiezza degli spostamenti che vengono a concentrarsi attorno ai nuovi siti di alimentazione. Le modalita e i

 

 

tempi di somministrazione di tali alimenti in bosco vanno valutati a livello locale e non possono essere generalizzati ai diversi ambienti. In particolare, occorre tener conto delle disponibilita naturali in foresta e dei tempi di maturazione delle colture, regolandosi di conseguenza. La conduzione selvicolturale dovrebbe privilegiare comunque la presenza di esemplari maturi di querce, castagno, faggio, in grado di fruttificare cosi da aumentare naturalmente l'offerta trofica dell'ambiente. Fra gli alimenti cosiddetti "di dissuasione", che possono anche venir impiantati nel bosco e lasciati a disposizione della fauna selvatica, vi sono, oltre al mais, le patate, i topinambur, il grano e l'avena; va sottolineato nel contempo che una siffatta pratica, favorendo la concentrazione di animali in aree prevedibili e facilmente raggiungibili in auto, puo determinare un aumento del bracconaggio. In Italia, nella provincia di Siena, si e rilevato come il 43% delle squadre di caccia al Cinghiale operanti effettui interventi di integrazione alimentare in favore del Suide: la maggioranza delle squadre preferisce la somministrazione temporanea di granaglie, mentre solo alcuni gruppi adottano il sistema delle colture a perdere.

Determinazione della consistenza e della struttura delle popolazioni

Al fine di una corretta gestione della specie, e necessario procedere alla piu possibile accurata stima quantitativa delle diverse popolazioni, in modo da determinarne la consistenza e la composizione in classi di eta. Il metodo piu di frequente utilizzato in aree di pianura e il conteggio delle orme degli animali su terreno innevato, che viene effettuato il giorno successivo ad una nevicata. L'area da censire, a seconda dell'estensione complessiva, viene suddivisa in piu zone, ciascuna delle quali viene perlustrata nella stessa giornata da gruppi di osservatori. Ciascun gruppo annota tutte le piste di Cinghiale trovate su cartine in scala 1:25.000 e verifica se queste

sconfinano nelle zone adiacenti. Tale metodo permette inoltre di ottenere informazioni sulla composizione della popolazione attraverso il rilevamento delle dimensioni delleimpronte (lunghezza dello zoccolo delle dita mediane). Si assume infatti che:

- lunghezza dell'impronta fino a 4 cm = soggetto giovane,

- lunghezza dell'impronta da 5 a 6 cm = soggetto subadulto,

- lunghezza dell'impronta oltre 7 cm = soggetto adulto.

La precisione delle suddette misurazioni dipende in gran parte dalla tempestivita con cui il censimento viene effettuato dopo una nevicata e dalle caratteristiche del manto nevoso. In condizioni ottimali lo spessore nevoso deve essere di alcuni centimetri, in modo da consentire un facile rilevamento delle impronte e da non limitare la capacita di spostamento degli animali.

Le caratteristiche morfologiche e vegetazionali dei territori collinari e montani non consentono in genere di seguire le tracce sulla neve per lunghi tratti; in queste condizioni risulta piu redditizio affidarsi al conteggio diretto degli animali da postazioni sopraelevate (altane), situate in radure che offrano una buona visibilita e nelle quali siano state predisposti siti di foraggiamento per attirare gli animali. In queste condizioni il conteggio e la suddivisione degli animali in maschi, femmine e classi di eta risulta facilitato, anche se va segnalato come la frequentazione delle "governe" da parte dei verri sia assai piu saltuaria rispetto a quanto avviene per le scrofe, i rossi e gli striati; cio puo condurre ad una sottostima di questa classe sociale.

Impostazione dei piani di prelievo

Per la formulazione dei piani annuali di prelievo e indispensabile valutare attentamente i risultati delle stime quantitative delle diverse popolazioni, considerando sia l'entita sia la struttura della popolazione. Dato l'incremento utile annuo elevato caratteristico della specie, e considerato accettabile per gli adulti un prelievo pari al 50% della loro consistenza, mantenendo costante un rapporto sessi paritario; per gli animali appartenenti alle classi giovanili viene generalmente suggerito un prelievo dell'80%, in modo da evitare un ringiovanimento eccessivo della pop lazione che invece sembra essere una caratteristica della maggior parte delle attuali popolazioni italiane come conseguenza del tipo di gestione venatoria cui vengono sottoposte.

La possibilita di analizzare le carcasse degli animali abbattuti puo fornire dati estremamente interessanti circa lo status della popolazione (peso per sessi ed eta, rapporto sessi, rapporto giovani adulti); in particolare l'analisi della dentizione consente di ottenere una valutazione piu

 

 

precisa dell'eta degli animali abbattuti e della struttura della popolazione. Questi dati permettono inoltre di rilevare la distribuzione mensile delle nascite, in relazione a fattori ambientali e intrinseci della popolazione. Ad esempio, la maggior parte degli studi effettuati sulle popolazioni naturali di Cinghiale, mostrano come la precocita o il ritardo nelle nascite sia legato alla disponibilita di frutti prodotti dalle essenze forestali (soprattutto ghiande e castagne). Inoltre la ripartizione delle nascite da febbraio a settembre con picchi tra aprile e giugno si verifica per popolazioni pure di Cinghiale, mentre in quelle ibride le nascite avvengono tutto l'anno. L'esame dei capi abbattuti in ciascuna unita territoriale di gestione, o almeno di un campione significativo degli stessi, risulta dunque per il Cinghiale, ancor piu che per altri Ungulati caratterizzati da indici di contattabilita piu elevati che rendono le operazioni di censimento meno difficoltose, un elemento indispensabile per contribuire ad una maggior conoscenza della dinamica delle popolazioni ed alla stesura di piani di prelievo razionali e corretti.

Modalità di gestione

Il cinghiale verrà gestito per distretti di dimensioni adeguate e comunque non inferiori ai 10.000 ettari. Non essendoci precedenti esperienze gestionali in tal senso, gli ATC dovranno provvedere all’organizzazione territoriale della caccia al cinghiale indicando il numero di squadre iscrivibili ad ogni distretto. I distretti dovranno avere caratteristiche di omogeneità in funzione, oltre che delle caratteristiche del territorio, anche degli obbiettivi gestionali che dovranno essere perseguiti all’intenro degli stessi. Nell’ambito temporale di validità del Piano, il primo livello di monitoraggio richiesto è quello sui capi abbattuti attraverso quanto già specificato in merito alla raccolta dei dati sui capi abbattuti. I dati dovranno essere analizzati al fine di definire nel medio lungo periodo la dinamica di popolazione. Vista la massiccia presenza di individui ibridati con il maiale allo stato brado, l’abbattimento di questi individui dovrà essere annotata negli appositi registri che gli ATC devono predisporre a supporto dell’attività venatoria sulla specie. Un elemento essenziale della gestione del cinghiale è la raccolta dei dati georeferita dei danni alle attività antropiche con particolare riguardo alle colture agricole. Gli ATC dovranno pertanto predisporre adeguate modulistiche per la richiesta dei danni e banche dati su base GIS per l’analisi dei dati dal punto di vista geografico oltre che qualitativo e quantitativo. L’analisi dei dati dovrà costituire una delle basi sulle quali basare le scelte gestionali in termini di definizione delle densità obbiettivo per singolo distretto.

La banca dati dei danni costituisce una base decisionale anche per la pianificazione delle opere di intervento di prevenzione ed eventuale dissuasione del danno attraverso il foraggiamento dissuasivo. La pratica del foraggiamento dissuasivo è comunque vietata a distanze inferiori ai 1.000 metri da colture suscettibili di danno, e le stesse devono essere effettuate in modo da non comportare la concentrazione degli animali in poche aree. L’elemento chiave della gestione adattativa del cinghiale non può prescindere da una attenta valutazione di tutti i dati derivanti dalla gestione e sintetizzando:

• banca dati dei capi abbattuti per distretto;

• caratteristiche biometriche dei capi abbattuti;

• quantificazione e georeferenziazione dei danni;

• quantificazione e georeferenziazione delle opere di prevenzione e dissuasione.

Annualmente gli ATC dovranno predisporre un elaborato tecnico a consultivo dell stagione venatoria passata e contestualmente di programmazione delle attività di quella successiva, compresi gli eventuali interventi di controllo nelle aree che presentano elementi di criticità.

Sono vietate le immissioni di soggetti provenienti da allevamenti. Le eventuali immissioni potranno essere effettuate solo nei casi in cui, in seguito ai dati forniti dalle squadre per ogni distretto, venga rilevata una densità al di sotto di quelle obbiettivo definite annualmente dagli ATC; in ogni caso per le immissioni devono favoriti gli esemplari di cattura provenienti da aree in cui ci sia la presenza di cinghiali autoctoni (vedi art. 10 comma 7 L.N. 157/92). Le eventuali immissioni devono essere effettuate in base a progetti specifici e approvate dall’Amministrazione provinciale e sentito l’ISPRA (ex INFS).

Altri interventi di gestione

 

 

La recente espansione dell'areale e l'incremento delle popolazioni di Cinghiale verificatesi nel nostro Paese ha favorito sia il fenomeno del nomadismo venatorio, che rappresenta tra l'altro un ostacolo ad una razionale programmazione del prelievo, sia l'uso del segugio, che arreca grave disturbo alle popolazioni di altre specie selvatiche e in particolare al Capriolo. Mentre il primo problema puo essere risolto costituendo strutture territoriali di gestione cui associare stabilmente cacciatori, il secondo andrebbe invece affrontato rendendo obbligatorio 'uso esclusivo di cani addestrati e specializzati su questo selvatico, oppure operando gli abbattimenti da altane poste nei pressi delle aree maggiormente frequentate dagli animali che possono anche essere quelle provviste dei punti di foraggiamento utilizzate per i conteggi. In molti casi le due forme di caccia possono coesistere nella stessa unita di gestione anche se, ovunque cio sia consentito dalle condizioni ambientali, la caccia di selezione con la carabina andrebbe preferita. E' inoltre necessario predisporre accorgimenti al fine di minimizzare i danni arrecati alle colture da questo selvatico. In parte cio e possibile mediante l'utilizzo di repellenti o meglio delle recinzioni elettrificate e in parte dovrebbe essere incentivata la messa a coltura di piccoli appezzamenti "a perdere" di mais nelle radure, in modo da facilitare agli animali il reperimento del cibo nei momenti critici e ridurre in tal modo gli sconfinamenti dalle zone boscate. L'anticipazione della chiusura della caccia alla specie (almeno quella in ba tuta) al 31 dicembre consentirebbe inoltre di ridurre il disturbo che l'attivita venatoria diretta a questo Ungulato arreca all'altra selvaggina stanziale.

LEPRE COMUNE Partendo dal presupposto della presenza di due distinte specie di lepre, il PFV prevede:

1. - indagini preventive sulla distribuzione della lepre italica e della lepre europea;

2. - analisi delle rispettive preferenze ambientali in ambito provinciale;

3. - individuazione di strategie di conservazione e gestione differenziate per specie.

Di conseguenza la gestione delle popolazioni della lepre europea deve quindi perseguire i seguenti obiettivi prioritari:

1. la pianificazione del prelievo sulla base del successo riproduttivo annuale delle popolazioni e dei livelli di densità primaverili prefissati (prelievo sostenibile);

2. il miglioramento delle densità primaverili delle popolazioni;

3. la riduzione dei fattori di resistenza ambientale (attraverso il miglioramento ambientale e la limitazione delle perdite dovute alla predazione, alle attività agricole, ecc.);

4. l’abbandono delle attività di ripopolamento quale mezzo di gestione corrente della lepre europea.

Rispetto a quest’ultimo punto si rimarca l'insuccesso della gestione fondata sulla prassi del ripopolamento artificiale, per le seguenti motivazioni principali:

• difficoltà di adattamento della lepre europea agli ambienti di tipo mediterraneo;

• mancata individuazione e rimozione delle cause primarie e/o concause all'origine della contrazione delle popolazioni locali della specie (modificazioni ambientali, sovrasfruttamento, diffusione o comparsa di agenti patogeni nuovi ecc.);

• scadente qualità degli esemplari immessi;

• sopravvalutazione delle potenzialità del ripopolamento artificiale.

Ormai le numerose prove sperimentali di ripopolamento dimostrano chiaramente come le lepri sottoposte ad importanti cambiamenti ambientali accrescono il loro già elevato grado di vulnerabilità, anche quando la traslocazione avviene fra zone simili dal punto di vista ecologico e nel volgere di poche ore. La tabella seguente riassume i risultati di sopravvivenza relativi alla quasi totalità delle prove di ripopolamento concluse in Italia e in Francia nel 2005 e realizzate attraverso la tecnica di radio-tracking. Questa tecnica risulta notevolmente efficace per localizzare e controllare potenzialmente in ogni momento le singole lepri, ma è di fatto applicabile a campioni

 

 

numericamente limitati a causa dei costi elevati. D'altra parte i risultati delle prove verificate attraverso il marcaggio all'orecchio di gruppi molto più consistenti di lepri indicano una sopravvivenza sempre inferiore (Toso e Trocchi, 1999). Questi risultati dimostrano chiaramente i forti limiti insiti nella prassi del ripopolamento artificiale ed un rapporto costi/benefici sempre sfavorevole.

Tab. 52 ‐ Sopravvivenza delle lepri di ripopolamento rilevata in studi di radio‐tracking 

Origine delle lepri Età n° lepri

Periodo d’immissione

% sopravvivenza* Fonte

allevamento in gabbia varie 25 gennaio-febbraio 0 Gatti et al., 1997

allevamento in gabbia leprotti 44 estate 11,36 Barbino, 1996

allevamento in gabbia leprotti 30 giugno 6,7 Meriggi et al., 2001

allevamento in gabbia(+ ambientamento) leprotti 10 giugno 70 (°) Meineri et al., 1998

allevamento in gabbia adulti 11 primaverile-estivo 27 Riga et al. 1997

allevamento in gabbia leprotti 10 estivo 90 (°) Zanni et al., 1988

allevamento in gabbia leprotti 9 estivo 56 Giovannini et al., 1988

allevamento in gabbia leprotti 116 primaverile-estivo 20 Biadì e Benmergui,

1989

cattura locale leprotti 17 primaverile-estivo 50 Biadì. e Benmergui,

1989

cattura locale varie 30 dicembre 43,3 Meriggi et al., 2001

cattura locale varie 14 gennaio-febbraio 21,4 Gatti et al., 1997

importazione europea varie 19 gennaio-febbraio 15,8 Gatti et al., 1997

importazione europea varie 26 dicembre 30 Meriggi et al., 2001

importazione Sud America varie 50 aprile 18 Marsan e Spanò, 2001

importazione Sud America varie 30 aprile 23,33 Ferrara, 2003

(*) all'inizio dell'autunno seguente  l'immissione.  (°) risultati ottenuti  in aree di studio sperimentali prive di importanti predatori. 

Organizzazione e regolamentazione del prelievo

La pianificazione del prelievo della lepre europea nelle aree di compresenza della lepre italica dovrebbe fondarsi su criteri di sostenibilità, con il fine esplicito di conservare un numero sufficiente di riproduttori per la stagione riproduttiva seguente. Tale approccio può essere conseguito attraverso i seguenti provvedimenti:

- adeguamento della stagione venatoria utile per la lepre comune al ciclo biologico della specie, avendo presente che gli ultimi parti si verificano fino alla prima decade di

 

 

ottobre e i leprotti sono dipendenti dalla madre per almeno 3 settimane dopo la nascita; ne consegue che l’apertura della caccia alla lepre europea dovrebbe essere posticipata ai primi giorni d’ottobre e protrarsi non oltre la fine di novembre;

- calcolo dell’entità del prelievo della lepre europea sulla base dei seguenti criteri, che valorizzino l’attività venatoria come strumento di campionamento delle popolazioni di lepre attraverso l’analisi dei carnieri:

o adozione dell’indice cinegetico d’abbondanza (ICA) per monitorare il trend della popolazione;

o valutazione precoce del successo riproduttivo (rapporto giovani/adulti) attraverso l’esame delle lepri abbattute entro il 31 ottobre di ogni anno;

o utilizzo della tecnica di Stroh per stimare l'età della lepre; o introduzione della pianificazione del prelievo in base alla tendenza dell’ICA e al

successo riproduttivo (giovani/adulti) della popolazione. La necessità di adottare anche per questa specie un approccio gestionale fondato sui criteri della sostenibilità del prelievo venatorio, oltre a corrispondere ai principi generali di conservazione delle risorse naturali rinnovabili, trova conferma indiretta nella constatazione del divario normalmente esistente tra le densità reali e quelle potenziali dell'habitat nelle aree di caccia. Ciò indica il sussistere di problemi di gestione, che in parte prescindono dalla qualità dell’ambiente. Realizzare la gestione sostenibile delle popolazioni di lepre richiede, tuttavia, un graduale processo di acquisizione delle tecniche necessarie, non solo da parte dei componenti i Comitati di gestione degli A.T.C., a cui è affidata questa competenza, ma anche dei singoli cacciatori (sia pure per aspetti circoscritti). A tal fine può essere utile la realizzazione di "esperienze gestionali pilota" con funzioni dimostrative, formative e divulgative. Le suddette esperienze potrebbero essere condotte su territori con estensione minima di 3.000-5.000 ettari nell’ambito di "distretti" di caccia alla lepre all'interno degli A.T.C.. LEPRE ITALICA Il Piano d’Azione per L. corsicanus ha l’intento di raccogliere e sintetizzare le attuali conoscenze su status e biologia di questa specie, solo recentemente rintracciata e riconfermata come “buona specie” (Palacios 1996, Lo Valvo et al. 1997, Pierpaoli et al. 1999, Angelici e Luiselli, in stampa, Riga et al. 2001). Attualmente manca un quadro normativo specifico di riferimento per conseguire tali intenti conservazionistici e non esistono precedenti già discussi e concordati in via definitiva, per cui questa esperienza, unitamente ad alcune altre di recente definizione, può rappresentare un utile banco di prova per verificare l’opportunità di prevedere anche possibili adeguamenti normativi. Peraltro, allo stato attuale gli unici provvedimenti amministrativi in favore di L. corsicanus sono stati adottati dalla Regione Calabria, che ha ha escluso Lepus europaeus dal calendario venatorio. Quest’ultimo provvedimento si è reso necessario dal momento in cui è stato possibile accertare che in provincia esistono popolazioni di L. corsicanus. La convivenza con L. europaeus, spesso conseguente a ripetute introduzioni realizzate per fini venatori, ha frenato l’adozione di analoghi provvedimenti e, di fatto, essa continua ad essere cacciata anche per scarsa conoscenza della specie, a prescindere da qualsiasi verifica preliminare. Inoltre, nessun interesse è stato manifestato ufficialmente dagli Enti locali competenti in materia (benché formalmente edotti dall’ex INFS oggi ISPRA) per la messa in atto di forme di prevenzione in grado di evitare o ridurre il prelievo venatorio a carico di una specie non contemplata tra quelle cacciabili (art. 18, legge n. 157 dell’11.2.1992). nella nostra area geografica a cui il documento si applica è quella coincidente con l’areale storico noto della specie La durata prevista del piano è di cinque anni, al termine dei quali dovrà essere prodotta una versione aggiornata. Nel caso di importanti acquisizioni sullo status della specie o sulla sua biologia, nonchè di importanti cambiamenti gestionali o ambientali, in grado di mettere a repentaglio la sopravvivenza delle popolazioni, sarà necessario prevederne una revisione anticipata.

Strategie di conservazione La conservazione delle popolazioni di lepre italica richiede innanzi tutto una più precisa definizione dell’areale della specie, anche rispetto a quello della lepre europea. Ciò risulta fondamentale anche per predisporre sul territorio una idonea rete coordinata di aree protette, che interessi sia le aree di residua presenza della specie, sia quelle con ambiente potenzialmente idoneo da utilizzare per eventuali programmi di reintroduzione. Tutte le aree che costituiranno la rete ecologica

 

 

dovranno essere individuate tra gli istituti di tutela quali i Parchi Nazionali, le Riserve naturali, le aree protette regionali, le Oasi di protezione e le Zone di ripopolamento e cattura. Ove non risulti possibile l’istituzione di aree protette specifiche si potrà ricorrere all’adozione di divieti di caccia nei confronti delle lepri (anche temporanei) adottabili dagli Ambiti territoriali di caccia. In sintesi gli obiettivi principali della pianificazione dovrebbero essere: - conservazione ed incremento delle popolazioni esistenti, anche attraverso una efficace rete di aree ove la specie sia protetta; - realizzazione di corridoi ecologici utili per favorire un naturale ripopolamento e flusso genico tra popolazioni; - miglioramento dell'habitat al fine di favorire la naturale ricolonizzazione dei territori idonei; - progettazione di programmi di reintroduzione.

Prospettive per una gestione venatoria della lepre italica La gestione venatoria della lepre italica nell’Italia continentale, attualmente non consentita dalla legge n. 157/92, è allo stato attuale ancora molto prematura in considerazione del suo stato di conservazione. La presenza della lepre europea complica peraltro notevolmente le iniziative in favore della forma endemica (che si ricorda è meglio adattata all’ambiente di tipo mediterraneo), dal momento che le due specie sono poco distinguibili durante l’azione di caccia. La strategia delineata dal Piano d’azione nazionale per la lepre italica (Trocchi e Riga, 2001) richiede necessariamente la partecipazione consapevole e l’impegno dei cacciatori e consiste nell'avvio di un sistema di gestione sostenibile delle lepri nel loro complesso. Il percorso per arrivare, in prospettiva (con le necessarie modifiche alla legislazione vigente), alla piena fruizione delle popolazioni di lepre italica implica quindi necessariamente il passaggio attraverso le seguenti azioni:

• buona conoscenza della distribuzione e dell’abbondanza della specie; • esclusione della prassi del ripopolamento artificiale con la lepre europea nelle aree

in cui sia accertata la presenza della lepre italica; • impiego di una parte dei fondi oggi utilizzati per i ripopolamenti per azioni in favore

della lepre italica nelle aree potenzialmente idonee (miglioramenti ambientali, centri di riproduzione allo stato naturale, aree di temporaneo divieto di caccia alle lepri ecc., reintroduzioni);

adeguamento dei criteri di gestione in relazione ai risultati ottenuti (raggiungimento di densità obiettivo); in questa prospettiva potrebbe così divenire di nuovo ammissibile un prelievo venatorio sostenibile anche nei confronti della lepre italica. CRITERI DI GESTIONE E PER LE “LEPRI”

Criteri di gestione

Una corretta gestione delle popolazioni di Lepre impone la necessita di affrontare tre obiettivi prioritari: la conservazione ed il miglioramento degli ecosistemi agrari, la realizzazione di un prelievo venatorio commisurato alla produttivita naturale e un'azione di salvaguardia nell'ambito di territori appositamente vincolati.

Determinazione della consistenza e della struttura delle popolazioni

Tra i parametri demografici piu importanti da considerare nella gestione delle popolazioni di Lepre vi sono, oltre ai fenomeni di emigrazione e di immigrazione, i tassi di natalita e di mortalita. In particolare occorre sottolineare la notevole variabilita del tasso di mortalita dei leprotti da un anno all'altro e da zona a zona, fenomeno che condiziona pesantemente la disponibilita di capi in autunno e quindi l'entita del prelievo ammissibile. La mortalita degli adulti nel periodo primaverile-estivo e invece meno variabile e, poiche risulta difficile da accertare sul campo, puo essere considerata come suo valore medio (20%) rispetto alla consistenza di fine inverno (salvo la necessita di adottare correttivi nel caso si manifestino insoliti fenomeni di mortalita). Nella formulazione del piano di prelievo occorre inoltre prevedere che al termine della stagione venatoria si verificano ulteriori perdite a carico della popolazione residua, in genere preventivabili nella misura del 25-30% dei capi presenti a fine caccia (o a fine autunno). Tale mortalita deve essere comunque accertata direttamente attraverso i censimenti di fine inverno ed indurre agli eventuali correttivi nella definizione del successivo piano di prelievo. Per il controllo della dinamica di una

 

 

popolazione di Lepri l'accertamento della sua densita o della consistenza rappresenta un'operazione essenziale sotto il profilo tecnico. Tuttavia, non sempre cio e possibile, in particolare in certi periodi o in alcuni contesti ambientali ed organizzativi. In questi casi puo essere preferibile il ricorso all'acquisizione dei cosiddetti "indici di abbondanza relativa" di piu semplice determinazione. Questi indici non permettono di ricavare la densita assoluta della specie, ma consentono di rilevare la tendenza della popolazione all'accrescimento o alla diminuzione rispetto a determinati periodi precedenti. Si tratta infatti di rapportare la presenza delle Lepri ad una costante diversa dalla superficie, come la lunghezza di un percorso, il tempo di osservazione o altre variabili che possono essere piu facilmente rilevate. Anche i cosiddetti "indici cinegetici di abbondanza relativa", ovvero il numero medio di capi abbattuti durante l'esercizio venatorio in rapporto allo sforzo di caccia, sono utilizzabili per valutare la tendenza di una popolazione sul lungo periodo. Gli stessi carnieri annuali, se considerati come serie "storica", possono fornire qualche buona indicazione in tal senso e spesso sono utilizzati per programmare empirici piani di abbattimento in mancanza di parametri di valutazione piu attendibili.

Il censimento in battuta

Si tratta di una tecnica di censimento possibile nei piu svariati contesti ambientali e, teoricamente, in ogni stagione. Le battute si svolgono con l'intento di "rastrellare" un determinato territorio, in modo tale da garantirsi l'avvistamento di tutte le Lepri pr senti, e vedono l'impiego di un numero di persone rapportato alla larghezza del fronte di battuta e al grado di copertura vegetale del terreno. Pertanto, se il percorso di censimento si sviluppa su di un'area diversificata sotto il profilo vegetazionale, la distanza tra i battitori dovra essere stabilita in considerazione di quella necessaria per esplorare la componente vegetale piu folta e coprente. Tenuto conto della fenologia della vegetazione piu comune nel territorio di ciascuna unita di gestione la distanza consigliabile tra i battitori puo essere ritenuta la seguente: territori collinari e montani da 3 a 5 m, territori pianeggianti a policoltura da 5 a 8. In presenza di comprensori di modesta estensione la battuta puo interessare l'intero territorio oggetto di censimento, tuttavia di regola si preferisce esplorare una zona o fascia campione (almeno il 10% della superficie totale), scelta affinche risulti rappresentativa dell'intera area in esame; dalla scelta accurata della zona campione dipende naturalmente il buon esito del censimento. A tal fine e certamente auspicabile l'uso di una cartografia aggiornata con l'uso del suolo in scala 1:2.000 o 1:5.000. Qualora, per qualche motivo, non risulti possibile procedere ad una determinazione precisa della rappresentativita del campione di territorio prescelto, i dati raccolti possono essere utilizzati almeno come indice di abbondanza relativa della specie, a condizione che la metodica rimanga rigorosamente costante nel tempo e non intervengano significative modificazioni ambientali. Nel caso dei censimenti su fasce campione la larghezza consigliabile della battuta risulta di m 150 in pianura e di solo m 100 in collina e montagna a causa delle maggiori difficolta di manovra sul campo. Con questa tecnica e importante che il percorso di censimento sia ben definito sul terreno da precisi punti di riferimento (margini di appezzamenti, siepi, piante isolate, bandierine, picchetti, ecc.), in modo da evitare restringimenti o allargamenti del fronte della battuta. Per un corretto svolgimento delle operazioni e peraltro importante che i

battitori siano affiatati tra loro in modo da mantenere un buon allineamento e la distanza prestabilita. Per la previsione dei tempi di percorrenza si consideri che la velocita media di avanzamento della battuta puo oscillare tra 1,5 e 3 Km/h a seconda delle caratteristiche del terreno. Oltre ai battitori e spesso necessario disporre di osservatori opportunamente appostati (badatori), i quali hanno l'incarico di contare le Lepri scovate in zone difficilmentecontrollabili dai battitori per la presenza di vegetazione arborea o arbustiva, oppure per l'orografia del suolo. La disponibilita di un collegamento via radio tra il fronte di battuta e gli osservatori facilita questo compito e limita il rischio dei doppi conteggi.

Il censimento notturno con fari

Per le sue caratteristiche comportamentali la lepre risulta piu facilmente contattabile nelle ore notturne, particolarmente nel periodo di riposo vegetativo e nelle zone pianeggianti aperte. Il principio utilizzato per questa tecnica di censimento e analogo a quello del censimento in battuta su fascia campione, ma la perlustrazione avviene a mezzo di uno o due fari alogeni manovrati da altrettanti operatori su un'auto fuoristrada. Anche in questo caso la tecnica puo essere utilizzata

 

 

per la raccolta di indici di abbondanza relativa in presenza di condizioni ambientali ed organizzative non sufficienti per la stima della densita. D'altra parte, se si considera che le Lepri hanno l'abitudine di raccogliersi nelle ore notturne in zone aperte per alimentarsi, nonche per ragioni di maggiore sicurezza nei confronti dei predatori, perlustrando queste zone coi fari e possibile osservare buona parte delle Lepri che vivono su comprensori piu ampi e ricchi di vegetazione.Il censimento notturno con fari offre il vantaggio di essere prat cabile da un limitato numero di persone: un autista, che all'occorrenza puo occuparsi anche dell'annotazione degli avvistamenti (diversamente occorre un altro collaboratore) e uno o due osservatori con faro a seconda che si controlli da uno o due lati contemporaneamente. Le attrezzature di cui occorre disporre sono rappresentate da un fuoristrada (necessario per muoversi su strade secondarie nel periodo autunno-invernale) aperto per consentire agli osservatori una maggiore visuale e per mantenere il fascio luminoso piu incidente rispetto al terreno, da uno o due fari alogeni con luminosita di 750.000-1.000.000 di candele, da un binocolo (ideale l'8 x 56) per verificare gli avvistamenti dubbi e da una dettagliata cartografia (scala 1:2.000 o 1:5.000), possibilmente con l'uso del suolo. La preparazione del percorso campione deve essere molto accurata in modo che risulti rappresentativo di tutto il territorio (circa il 20% della superficie); si consideri anche la necessita di evitare le conversioni ad U piu strette di m 400 per prevenire eventuali doppi conteggi. Infatti, se la tecnica consente di osservare le Lepri fino ad una distanza di oltre m 250 (grazie al riflesso degli occhi), motivi di prudenza consigliano di definire una fascia di esplorazione di regola non superiore a m 150 per faro. Non tutte le Lepri sono in effetti avvistabili grazie al riflesso dell'occhio e alcune vengono individuate anche dopo verifica con il binocolo. Dal punto di vista operativo occorre procedere con l'auto ad una velocita di 8-10 Km/h, eseguendo eventuali soste per chiarire possibili dubbi, mentre gli osservatori devono mantenere il fascio luminoso perpendicolare al percorso allo scopo di sfruttare meglio la potenza del faro. Di norma il censimento si svolge da un'ora dopo il tramonto a mezzanotte circa. Naturalmente e necessario che vi siano condizioni meteorologiche adatte, evitando le serate con scarsa visibilita, pioggia, neve al suolo, vento forte e temperature inferiori allo zero. Per una stima piu attendibile della densita di popolazione occorre eseguire almeno tre ripetizioni del percorso di censimento in un periodo di tempo ristretto e, nel caso si riscontri un'elevata variabilita dei dati, e consigliabile procedere ad ulteriori accertamenti. La stima va eseguita considerando il valore medio dei dati raccolti, dovendo ridurre l'effetto dei possibili spostamenti delle Lepri sul territorio. L'eventuale presenza di dati chiaramente anomali per possibili interferenze negative deve indurre alla loro eliminazione in fase analitica. Una variante a questa tecnica di censimento consiste nell'esecuzione di esplorazioni da punti fissi predefiniti e consolidati nel tempo per le osservazioni. Questo metodo si presta maggiormente ove non risulta possibile definire un organico percorso di censimento.

Analisi dei carnieri

L'analisi dei carnieri annuali realizzati in un determinato territorio di caccia rappresenta una fase importante nella gestione di una popolazione di Lepri. Le informazioni ottenibili in tal modo sono numerose e di rilievo. La semplice rilevazione dell'entita del carniere complessivo attraverso l'esame dei tesserini venatori specifici per i singoli territori di caccia e essenziale ai fini della programmazione del prelievo e di una migliore regolamentazione della caccia. Soprattutto se si considera l'attuale fase di non soddisfacente organizzazione dell'attivita venatoria e la necessita di addivenire ad una sua razionalizzazione nel prossimo futuro, sembra necessario procedere innanzi tutto alla definizione di una fase intermedia ove il prelievo venatorio sia fondato su una programmazione che almeno consideri come termine di riferimento la serie dei carnieri pregressi e la loro tendenza nel tempo. Questa forma di approccio, pur essendo in uso gia da molti anni e su larga scala nella generalita dei Paesi europei, e ancora oggi assai diffusa e considerata come base minima per una corretta gestione delle popolazioni di Lepre, cosi come per altre specie stanziali. Da questa analisi e altresi possibile osservare la fenologia del prelievo nell'arco della stagione venatoria che dovrebbe essere posto in relazione allo sforzo di caccia operato. Risulterebbe inoltre di grande utilita poter rilevare il rapporto giovani/adulti, che indica sostanzialmente l'andamento della stagione riproduttiva, ovvero il successo riproduttivo della specie su di un determinato territorio, al quale dovrebbe essere evidentemente commisurato il prelievo ammissibile per una efficace conservazione della specie. Le tecniche di riconoscimento dei giovani (nati dell'anno)

 

 

rispetto agli adulti sono sostanzialmente due. La prima si basa sulla palpazione del cosiddetto tubercolo di Stroh, posto tra la diafisi e l'epifisi distale dell'ulna. Per la sua praticita essa si presta per un uso corrente nei territori di caccia ove non esista personale e puo essere applicata anche su animali vivi catturati, ad esempio, nelle Zone di ripopolamento e cattura per una loro migliore gestione. In tal modo e possibile riconoscere i giovani fino all'eta di 8-9 mesi, per cui da ottobre in poi una certa percentuale di questi non e piu riconoscibile. La seconda tecnica si fonda sull'incremento di peso del cristallino dell'occhio, che si verifica in relazione all'eta del soggetto. Pur essendo di semplice applicazione, questa tecnica deve essere utilizzata da personale preparato. Il suo vantaggio risiede nella precisione pressoche assoluta nella determinazione dell'eta e nella possibilita di acquisire altre informazioni, quali la presenza di momenti critici per la sopravvivenza dei giovani nell'arco della stagione riproduttiva (infatti e possibile stimare con buona attendibilita il bimestre di nascita delle Lepri dell'anno) e la presenza di possibili squilibri nella struttura della popolazione in base all'eta (dovuti esempio ad un'elevata pressione venatoria). Conoscendo la consistenza primaverile di una determinata popolazione di Lepre (condizione pre-riproduttiva) attraverso le tecniche di censimento descritte ed il rapporto giovani/adulti all'inizio della stagione venatoria e possibile stimare la sua consistenza ad inizio caccia (considerando un tasso medio di sopravvivenza dei riproduttori nel periodo primaverile estivo di 0,8 ed un rapporto sessi di 1:1). Infatti, posto che R sia il numero di riproduttori a fine-inverno e G il numero medio di giovani per adulto all'inizio della stagione venatoria (accertato sul 50% di un prudenziale piano di prelievo), consistenza C della popolazione puo essere stimata mediante la seguente formula:

C = 0,8 R (G + 1)

I piani di prelievo

Una corretta gestione delle popolazioni di Lepre non puo prescindere da un loro utilizzo razionale secondo piani di prelievo commisurati al successo riproduttivo della specie, ed anzi questi sono finalizzati ad ottimizzare il prelievo rispetto alla necessita di conservare una adeguata quota di soggetti per la successiva stagione riproduttiva. Occorre comunque considerare che al termine della stagione venatoria le Lepri sono soggette ad ulteriori perdite invernali e che un certo numero di capi non vengono recuperati nel corso della caccia, per cui dimensionando il prelievo occorre rispettare una quota d'individui superiore del 25-30% rispetto alla consistenza prevista per fine- inverno (l'entita di queste perdite puo comunque essere verificata a seguito del censimento di fine-inverno). Pertanto, nell'ipotesi di voler conservare come tale la densita di una data popolazione e tenuto conto dei parametri di sopravvivenza gia considerati, se L rappresenta la quota di capi da mantenere dopo l'esercizio venatorio, il prelievo P puo essere definito come segue:

P = C – L ovvero, P = 0,8 R (G+1) (1/0,75)R

Cio considerato, si nota che la maggior fonte di condizionamento del prelievo P (a pari densita dei riproduttori R) e rappresentata dal numero medio di giovani per adulto ad inizio caccia (G), che in effetti e suscettibile di variazioni importanti, potendo oscillare da 0,5 fino a 3-3,5 a seconda del diverso successo riproduttivo di ogni popolazione.

Altri interventi di gestione

Numerosi sono gli accorgimenti che, se adottati con competenza ed impegno, possono contribuire a migliorare notevolmente la gestione delle popolazioni di Lepre. Tra questi si ricorda la necessita di mantenere o di costituire un'estesa ed efficiente rete di zone protette e/o di produzione, ove sia possibile realizzare un'adeguata azione di salv guardia della specie attraverso la conservazione di popolazioni sufficientemente consistenti, anche per un loro naturale irradiamento nei territori circostanti, e dove sia possibile realizzare periodici prelievi per fini di ripopolamento. Risultano, inoltre, utili tutti gli accorgimenti in grado di limitare l'impatto delle moderne tecniche di coltivazione (pesticidi, meccanizzazione, ecc.), nonche, ovviamente, del bracconaggio. Il controllo del randagismo, sia dei cani che dei gatti rinselvatichiti, ma localmente anche della Volpe, puo contribuire a limitare le perdite a carico dei leprotti e quindi a migliorare il successo riproduttivo della specie. Oggi, soprattutto dopo la diffusione della "European Brown Hare Syndrome" (E.B.H.S.), anche il controllo sanitario sembra assumere un importante rilievo nella gestione delle popolazioni di Lepre.

Il ripopolamento

 

 

Il ripopolamento e stata una pratica molto utilizzata nella provincia di Reggio Calabria e possiamo affermare che no ha avuto grande risultato per una vera ricostituzione delle popolazioni naturali anche se , i ripopolamenti sono stati eseguiti disponendo della carta delle vocazioni faunistiche del territorio e alle normative previste, carta delle vocazione che è stata riprodotta dall’Università Mediterranea che sicuramente permetterà di avere le caratteristiche ambientali idonee alla specie, per permettere che eventuali ripopolamenti potranno avere possibilita di successo). Le Lepri potenzialmente da utilizzare per le immissioni sono sostanzialmente di tre diverse origini: di allevamento, di cattura locale e di importazione. Sembra quindi utile proporre un sintetico esame dei vantaggi e delle problematiche connesse al loro impiego nel ripopolamento.

Lepri di allevamento

Le iniziative di allevamento della Lepre traggono sostanzialmente origine dall'esigenza di far fronte all'elevata pressione venatoria esistente nel nostro Paese e dal tentativo di affrancarsi dalle massicce importazioni di questa specie dall'estero, per una serie di ragioni di carattere tecnico ed economico. Da alcuni anni sono disponibili i risultati di provesperimentali di ripopolamento eseguite utilizzando animali allevati con tecniche diverse. Occorre tuttavia precisare che le esperienze piu organiche in materia si riferiscono a Lepri allevate in stretta cattivita (in gabbia), mentre minori sono le informazioni sulle Lepri allevate in recinto (soprattutto se di dimensioni relativamente elevate). In sintesi i risultati emersi da queste prove evidenziano una grande vulnerabilita di questi soggetti rispetto ai vari fattori della selezione naturale, con una sopravvivenza che si aggira attorno al 15- 20% nel caso dei giovani di 60-90 giorni d'eta liberati in estate, e ancora piu bassa nel caso di animali sub-adulti ed adulti liberati in autunno e in inverno. Una preventiva fase di pre-ambientamento (in allevamento) o di ambientamento (nei luoghi dell'immissione) all'interno di aree recintate non ha fornito risultati sostanzialmente diversi rispetto all'immissione diretta, probabilmente a causa di piu importanti fattori limitanti, tra cui sembrano assumere particolare rilievo quelli di tipo comportamentale nei confronti dei predatori. D'altra parte bisogna considerare che anche le giovani Lepri in natura sono sottoposte ad una pesante selezione ancora prima dell'apertura della caccia.

Lepri di importazione

A prescindere dai risultati ottenibili con le Lepri importate da altri Paesi, il loro impiego nelle operazioni di ripopolamento richiede necessariamente una premessa di carattere generale. Infatti, l'immissione di massicci quantitativi di esemplari appartenenti a sottospecie alloctone determina fenomeni di inquinamento genetico a carico delle popolazioni di Lepre italiane, alterando l'originario assetto genico. Inoltre, tale pratica rende possibile l'introduzione di forme patogene nuove nel nostro Paese o piu semplicemente a livello locale, ma con prevedibili ripercussioni sulle popolazioni autoctone. Normalmente si osserva infatti come le popolazioni di animali selvatici vivano in una sorta di sostanziale equilibrio con una serie di agenti infettivi e parassitari potenzialmente patogeni. L'introduzione di nuovi agenti patogeni in una determinata area puo invece essere all'origine di piu accentuati fenomeni di mortalita, anche a carattere epizootico, almeno fino a quando non si sia raggiunta una nuova condizione di equilibrio. Per quanto riguarda la semplice sopravvivenza di queste Lepri sono noti i risultati di molte prove realizzate in Francia. Controlli eseguiti su di un centinaio di territori di caccia hanno consentito di accertare un tasso di ripresa medio del 20%, con valori estremi del 30% e del 3%. In altri casi si e registrato il 15, 17, 16, 12 e 15% di ripresa a seguito di altrettante prove di ripopolamento.

Lepri di cattura locale

In Italia vengono prodotte annualmente alcune decine di migliaia di Lepri nelle Zone di ripopolamento e cattura o nei Centri di produzione della selvaggina allo stato naturale. A dispetto del quantitativo cosi elevato di capi utilizzati e dell'importanza attribuita alle operazioni di produzione naturale della specie, assai scarse sono le conoscenze circa i

risultati ottenuti con la loro immissione. Alcune prove realizzate in altri Paesi evidenziano comunque risultati piuttosto difformi, anche in relazione alla diversa capacita recettiva dei singoli territori ed alla densita delle Lepri gia presenti sul territorio. In ogni caso le percentuali di sopravvivenza nel corso della sucessiva stagione venatoria non superano il 50% dei capi liberati e piu spesso risultano del 20-30%,

 

 

a conferma delle difficolta che la Lepre incontra allorquando viene traslocata su altri territori. Naturalmente, per le caratteristiche qualitative intrinseche di questi soggetti e per lo stress che essi subiscono, molto minore rispetto agli esemplari di altra provenienza, sono senza dubbio da preferirsi nelle operazioni di ripopolamento. Se si considerano l'elevato tasso di mortalita e la dispersione delle Lepri oggetto di ripopolamento, affinche vi siano le maggiori possibilita di successo di dette operazioni occorre che le immissioni avvengano sulla base di un'adeguata programmazione su aree ben circoscritte, utilizzando un consistente numero di esemplari (circa una decina di capi per 100 ettari). Cio anche per soddisfare la necessita di costituire almeno una primitiva struttura della futura popolazione e rendere possibile l'instaurarsi dei necessari contatti sociali.

MIGLIORAMENTI AMBIENTALI PER LE “LEPRI” Le misure di miglioramento ambientale in favore delle popolazioni di lepre europea e di lepre italica prevedono misure comuni quali:

- l’aumento delle superfici ecotonali;

- l’aumento dei seminativi e dei prato-pascoli che costeggiano o si interpongono tra aree boschive;

- la costituzione o l’incremento degli elementi fissi del paesaggio, arbustivi e arborei, all’interno delle aree ad agricoltura intensiva nei fondovalle e nelle zone pianeggianti o nelle aree ove eventualmente risultino carenti;

- la conservazione delle aree aperte negli ambienti boschivi;

- l’aumento della diversità ambientale;

- la conservazione e l’incentivazione delle coltivazioni agricole, soprattutto di quelle arative, nelle aree marginali;

- la realizzazione di piccoli appezzamenti di colture a perdere;

- il miglioramento dei pascoli attraverso opportune tecniche agronomiche (scarificazione del cotico erboso, concimazioni ecc.) e trasemina di specie foraggere di elevato valore pabulare;

- la conservazione dei pascoli attraverso adeguati carichi di bestiame.

3.6.2.1. Piani di monitoraggio/censimento della mammolofauna L’attuazione di ben programmati censimenti, applicati secondo metodiche standardizzate, rappresenta un’indispensabile punto di partenza per una corretta gestione delle risorse faunistiche.

Al fine di monitorare dal punto di vista quali-quantitavo le popolazioni in oggetto, sarà necessario valutarne la distribuzione, consistenza, dinamica e struttura dei popolamenti, dopo avere suddiviso preliminarmente il territorio in settori o ambiti territoriali omogenei.

Le specie di mammiferi interesse gestionale considerate necessitano di distinte metodiche per il censimento.

LEPRI Le tecniche di censimento delle lepri (prevedendo ovviamente la necessità del riconoscimento della specie: lepre italica o lepre europea) possono essere suddivise in due tipologie: quelle basate sul conteggio degli esemplari inattivi (diurne) e quelle basate sul conteggio degli esemplari attivi (notturne).

Censimento delle lepri inattive

 

 

Rientrano in questa tipologia i censimenti totali o esaustivi e quelli su aree, fasce o percorsi campione, ivi compreso il line transect. Si tratta sostanzialmente di censimenti in battuta o di percorsi individuali finalizzati allo scovo diretto delle lepri al covo da parte degli operatori. Nel caso dei censimenti in battuta e per i fini della gestione sono proponibili solo quelli su aree o fasce campione, rappresentative delle diverse realtà ambientali delle unità di gestione. La tecnica del line transect si basa sulla realizzazione di una serie di percorsi casuali da parte di un operatore e sul rilevamento, per ogni singola lepre scovata, della distanza più breve tra il punto di scovo e la linea del percorso. Esistono alcune condizioni di base da rispettare affinché l’elaborazione dei dati sia corretta, ma non è indispensabile lo scovo di tutte le lepri presenti ai lati del percorso; necessita, invece, la disponibilità di un programma computerizzato per l’elaborazione statistica dei dati da parte di personale qualificato. Questa tecnica non dovrebbe essere applicata nel corso del periodo riproduttivo della lepre per evitare sovrastime (è necessario infatti che tutti gli avvistamenti siano indipendenti tra loro, condizione che non sempre si realizza in tale periodo).

Censimento delle lepri attive

La migliore contattabilità delle lepri nelle ore crepuscolari e notturne consente l’applicazione di tecniche di censimento col faro o spot light census, oppure con dispositivi per l’osservazione notturna e applicazione del distance sampling. La tecnica di censimento col faro presenta problemi teorici irrisolti allorquando viene applicata in aree collinari e montane, a causa della presenza di ostacoli di varia natura e formazioni boschive o aree cespugliate. Viceversa la tecnica di censimento su percorsi campione o da una griglia di punti casuali, risulta molto pratica e sufficientemente efficace nelle aree aperte, in particolare nelle pianure coltivate. Nelle aree collinari la tecnica col faro è stata utilizzata nel presupposto (non sufficientemente chiarito) che nelle ore notturne le lepri frequentino essenzialmente le zone aperte, non solo per il pascolo, ma anche per una più efficace difesa dai predatori. In base a tale assunto le lepri stimate nelle aree aperte corrisponderebbero di fatto a quelle complessivamente presenti nell’area di censimento. In mancanza di una più approfondita sperimentazione su questi aspetti, le lepri stimate nelle zone aperte dovrebbero essere considerate come “numero di lepri su superficie illuminata”e quindi un indice di abbondanza relativa, comunque utile ai fini della gestione. Naturalmente le tipologie di censimento notturno sono adottabili principalmente nel periodo di riposo vegetativo (da fine novembre a marzo - aprile, a seconda dell’altitudine) e in presenza di una rete viaria percorribile con mezzi fuoristrada e sufficientemente sviluppata, una condizione tuttavia non frequente nelle aree montane.

Prassi del censimento notturno su percorsi campione - La preparazione dei percorsi campione standardizzati dev’essere molto accurata nell’intento di rendere rappresentative le superfici prescelte rispetto alle diverse realtà ambientali dell’area oggetto di censimento (è opportuno avvalersi di una cartografia 1:5.000) e coprire una superficie di almeno il 10% del territorio idoneo alla specie. La larghezza dei percorsi non deve superare di norma i 150 m al fine di ridurre il più possibile il rischio di omissioni. La fascia oraria utile si colloca tra un’ora dopo il tramonto e mezzanotte. Per l’esecuzione del censimento sono necessari equipaggi di almeno tre persone, munite di un mezzo fuoristrada (con il tetto apribile), di cui una con funzione di autista, che all’occorrenza può occuparsi anche dell’annotazione degli avvistamenti (diversamente occorre un altro collaboratore) e due addetti al censimento, entrambi muniti di un faro alogeno da 1.000.000 di candele (o più) per l’esplorazione del terreno ai lati del percorso. Dal punto di vista operativo occorre procedere con l’auto ad una velocità di 8-10 km/h, eseguendo eventuali soste per chiarire possibili dubbi (anche con l’ausilio di un binocolo), mentre i censitori debbono mantenere il fascio luminoso, di norma, in direzione perpendicolare al percorso. Naturalmente è necessario che vi siano condizioni meteorologiche adatte, evitando le serate con scarsa visibilità, pioggia, vento forte e temperature inferiori allo zero. Per una stima attendibile occorre eseguire almeno tre ripetizioni dei percorsi campione nell’arco di due - tre settimane e, nel caso si riscontri un’elevata variabilità dei dati, è necessario procedere ad ulteriori accertamenti. La stima va eseguita calcolando il valore medio delle tre ripetizioni più concordanti. Inoltre, appare consigliabile una “stratificazione” dei dati di presenza delle lepri per tipologie ambientali, calcolando prima le consistenze parziali per ogni tipologia ambientale e poi quella complessiva. Considerate le difficoltà insite nel censimento delle lepri, soprattutto nelle aree montane, è raccomandabile almeno il censimento di fine inverno. Si

 

 

tratta del censimento più importante, intervenendo dopo la chiusura della caccia e dopo la mortalità invernale, per conoscere la consistenza della popolazione potenzialmente riproduttiva.

Indici di abbondanza relativa

Nelle attività di gestione delle popolazioni di lepre l’impiego degli indici di abbondanza relativa è più pratico rispetto alle tecniche di censimento. Il principio consiste nel rapportare l’abbondanza delle lepri rispetto ad un parametro facilmente misurabile dall’operatore (standardizzando il più possibile la metodica di rilevamento, in modo tale da consentire confronti tra anni diversi, soprattutto nell’ambito della medesima area e di un dato periodo stagionale), allo scopo di definire il trend della popolazione.

Indice chilometrico di abbondanza (IKA)

L’indice chilometrico di abbondanza è dato dal numero di individui contati mediamente per chilometro di percorso standardizzato. La tecnica prevede, di norma, l’effettuazione dei percorsi nelle ore notturne in cui è massima l’attività delle lepri nelle zone di pascolo. I percorsi debbono essere rappresentativi dell’intera area oggetto di verifica e vanno effettuati da un’auto fuoristrada, con l’ausilio di due fari da 1.000.000 di candele di luminosità azionati a mano da altrettanti operatori. Gli avvistamenti sono localizzati su di una mappa con l’uso del suolo in scala 1:5.000. Sono necessarie almeno tre ripetizioni a seconda della variabilità dei dati, considerando quindi la media delle tre ripetizioni più concordanti. La variabilità può essere espressa in percentuale, rispetto alla media, dal coefficiente di variabilità CV = (deviazione standard x 100)/media. In presenza di ambienti molto diversificati è consigliabile procedere ad una "stratificazione" dei dati per tipologie ambientali (es. aree di pascolo, frutteti, seminativi ecc.).

Indice puntiforme di abbondanza (IPA)

Questo indice rappresenta una variante dell’IKA per il quale non si effettuano osservazioni lungo percorsi, bensì da una serie di punti prestabiliti, standardizzati, predisposti di solito in prossimità di radure e altre zone aperte. In questo caso l’esplorazione “istantanea” avviene a 360° con l’ausilio di un faro e di un binocolo.

Indice cinegetico di abbondanza (ICA)

L’entità dei carnieri può fornire un’indicazione circa la tendenza della popolazione su di un determinato territorio ed anzi questo dato è il più largamente utilizzato in Europa per valutare su larga scala e nel lungo periodo il trend delle popolazioni di lepre e per predisporre i piani annuali di abbattimento. Molto pratico, non tiene conto però dei possibili scostamenti dai parametri medi della mortalità e del successo riproduttivo. Laddove esiste una consolidata esperienza nell’impiego di questo indice è possibile migliorarne l’efficacia ai fini della pianificazione, con analisi che si basano sull’andamento dei carnieri nelle prime giornate di caccia. Un importante perfezionamento dell’indice è rappresentato dal CPUE, ovvero dal numero medio di lepri abbattute da un cacciatore per giornata di caccia potenzialmente utile per il prelievo della specie.

CINGHIALE presenza di una specie della fauna selvatica in un determinato territorio mediante l’adozione di criteri di tecnica faunistica e venatoria che consentono in primo luogo di limitare il danneggiamento delle colture agricole pur garantendo un soddisfacente prelievo venatorio. Molti problemi in gestione faunistica hanno a che fare con decisioni riguardanti: la conservazione degli animali a rischio di estinzione, il prelievo venatorio e il contenimento preventivo dei danni, alla definizione di aree a diversa vocazionalità di un territorio (attraverso rilevamenti, censimenti, informazioni e ricerche) e che rappresenteranno i distretti di gestione dove è importante garantire che la densità della popolazione sia compatibile con i diversi interessi economici. Il grado di idoneità sarà stabilito in base ai seguenti parametri: estensione della superficie boschiva con analisi delle diverse tipologie presenti, localizzazione delle colture agricole suscettibili al danneggiamento e interazione con altre specie selvatiche. L’adozione dei criteri di idoneità consentirà in alcune aree il mantenimento di una densità piuttosto bassa, in altre di aumentare il numero degli animali presenti e in altre ancora l’eradicazione di alcune specie. Tali piani dovrebbero interessare i terreni di

 

 

proprietà pubblica, le aziende faunistico venatorie, le oasi di protezione e rifugio della fauna, le zone di ripopolamento e cattura della selvaggina. In definitiva, per una gestione corretta di una popolazione selvatica è indispensabile seguire due fasi, una conoscitiva e l’altra applicativa. La prima prevede la conoscenza di parametri demografici quali: la consistenza, la struttura, la dinamica, l’ecologia, la densità; e di parametri riguardanti la distribuzione come: la definizione dell’areale della specie, l’utilizzazione stagionale, l’individuazione delle potenziali aree di prelievo, l’analisi storica. Nella prima fase il censimento rappresenta uno strumento fondamentale per la conoscenza della densità, dato principale su cui basare la gestione, in quanto permette confronti spaziali e temporali, nonché di modulare tempi, modalità e quantità delle operazioni gestionali. Con la seconda fase, quella applicativa, dopo un‟attenta analisi circa la vocazionalità del territorio sulla base delle caratteristiche ambientali in relazione alle altre specie presenti e in relazione alle caratteristiche socio-economiche, si procederà a pianificare gli interventi di gestione (Toso e Pedrotti, 2001).

Il censimento è uno strumento di estrema importanza sia per scopo puramente gestionale che scientifico. Come già menzionato più volte, la valutazione della popolazione sia dal punto di vista numerico che della struttura costituisce il punto cardine per ogni intervento di gestione del territorio. Le valutazioni quantitative della specie in oggetto, acquisiscono un sempre maggior significato quando, ripetute nel tempo, forniscono una serie di dati utili alla determinazione della tendenza della popolazione. In base alla popolazione che viene monitorata, i censimenti si possono classificare sostanzialmente in tre categorie: censimenti esaustivi, censimenti per aree-campione, censimenti per indici di abbondanza. I censimenti esaustivi consistono in un conteggio completo degli animali che insistono in una determinata superficie in un dato momento; i censimenti per aree-campione, invece, riguardano il conteggio completo degli animali presenti in una porzione (o area) di una data superficie in un dato momento; per rilevare gli indici di presenza espressi come valori relativi per unità lineari o di superficie sottoposta a conteggio si utilizzano per l’appunto i censimenti per indici. Di quest’ultimo, il più utilizzato è l’indice chilometrico di abbondanza (IKA), che si determina mediante il rapporto tra il numero di segni di presenza rilevati lungo un percorso e i km percorsi. Il vantaggio di questo tipo di censimento è rappresentato dalla facile realizzazione in quanto basta un solo operatore; d’altro canto però non fornisce indicazioni sulla consistenza e densità, ma da soltanto una stima approssimativa del trend della popolazione. L‟applicazione dell’una o dell’altra metodologia è condizionata da diversi fattori quali le caratteristiche ecologiche ed etologiche della specie, la densità della popolazione, la distribuzione, nonché la grandezza e la morfologia dell’area oggetto dell’indagine. Tutti questi elementi condizionano fortemente la possibilità di individuazione del suide in natura, possibilità che diminuisce in ambienti boschivi con fitta copertura vegetale, o in periodi dell’anno in cui gli animali compiono pochi spostamenti. La presenza dell’animale in una zona definita va accertata mediante l’individuazione di segni inequivocabili della sua presenza come: orme, feci, grattatoi, grufolate, ecc.. Una volta accertata la presenza è necessario stabilire una rete di monitoraggio continuo che assicuri il reperimento dei dati riguardanti la distribuzione, la consistenza e le tendenze evolutive della specie su tutto il territorio in maniera omogenea. Reperite tali informazioni, c’è poi bisogno che il flusso di dati dagli enti di gestione locale ai centri in grado di elaborarli, deve essere costante al fine di mantenere sotto controllo l’intera situazione e di avere un quadro completo che consenta di porre in atto un piano gestionale efficiente (Toso e Pedrotti, 2001). Al riguardo, solo una organizzazione territoriale con l’impegno attivo di personale di vigilanza, cacciatori motivati, tecnici faunisti e un controllo continuativo e capillare del territorio, potrà condurre gradualmente all’ottenimento di risultati positivi. In termini operativi si può iniziare dall’esame dei carnieri mediante analisi delle struttura demografica degli abbattimenti, dei tassi di prelievo, e così via, unito a monitoraggi più accurati su aree campione, evidenziandone la biometria e lo studio del rendimento riproduttivo (Amici e Serrani, 2004). Per la definizione di un valido protocollo di gestione del cinghiale è necessario, attraverso il censimento, conoscere i parametri di popolazione. Le principali tecniche usate allo scopo sono due: censimento in battuta e censimento da punti di avvistamento fissi.

Il censimento in battuta è una tecnica che richiede l’intervento di un numero elevato di operatori, alcuni appostati su un lato dell’area da censire e altri in punti fissi di osservazione localizzati lungo

 

 

tre lati del perimetro dell’area battuta. I primi sono definiti battitori in quanto devono muoversi in linea retta su un unico fronte facendo rumore e indirizzando i cinghiali nel luogo dove sono appostati altri operatori che provvedono ad osservare e contare gli individui. I rilievi riguardano il numero degli animali, il loro sesso e l’età. Tale metodo permette di ottenere una densità media dei dati rilevati in più aree di battuta; ovviamente, per minimizzare gli errori di campionamento è necessario che tali rilevamenti vengano effettuati in particolari periodi dell’anno (generalmente da fine aprile agli inizi di maggio)quando ci si attende una distribuzione omogenea della specie. Non bisogna anticipare troppo le date di censimento rispetto a questo intervallo di tempo in quanto gli animali potrebbero non avere ancora definito il territorio e di conseguenza non avere raggiunto la massima omogeneità di distribuzione. Non bisognerebbe nemmeno però posticipare l’epoca dei censimenti in quanto si cadrebbe nel periodo post-parto con il rischio di causare disturbo e interferenza con la sopravvivenza degli striati per effetto della dispersione a seguito dell’allontanamento dal luogo del parto e dalle rispettive madri. Il censimento in battuta funziona bene in aree pianeggianti o in zone collinari dove la vegetazione non è troppo fitta; è importante che, al momento della battuta, gli animali si trovino nelle zone di rimessa, generalmente aree boscose, in modo tale che durante la fase di battuta possano essere condotti in aree più aperte e consentire, quindi, una più agevole osservazione. A tal riguardo, perchè un censimento possa essere considerato attendibile è necessario che la superficie complessiva delle aree campione rappresenti non meno del 10% delle aree boscose presenti nell’area di studio; intorno a questo valore risulta importante tenere conto che la percentuale di bosco censita dovrebbe aumentare nel caso di aree di studio di limitata estensione, e diminuire nel caso contrario. Non bisogna sottovalutare la scelta delle aree di battuta; essa deve considerare le diverse tipologie ambientali presenti in ciascuna area di indagine sperimentale perchè viene ad essere fortemente condizionata la distribuzione degli animali. Per ottenere valori di densità quanto più vicini alla realtà è importante che le aree campione contengano elementi rappresentativi del territorio circostante e pertanto è necessario una preliminare ed accurata analisi. Le abitudini crepuscolari e notturne del cinghiali, nonché la sua tendenza ad essere frequentemente oggetto di attività venatoria, rende questa specie censibile soprattutto nelle ore centrali della giornata. Con il censimento da punti di avvistamento fissi si conta simultaneamente da più punti di avvistamento il numero di capi presenti in un territorio. Le postazioni sono dislocate sul territorio in punti considerati vantaggiosi e ognuna sarà dotata di adeguate attrezzature ottiche (binocolo e cannocchiali) per poter osservare gli animali anche a distanze superiori ad 1 Km. Devono essere oggetto di osservazione le aree comprendenti prati, radure, campi coltivati, ecc, che per l’assenza della vegetazione arborea ed arbustiva, consentono un agevole avvistamento. La registrazione dei dati riguardanti i singoli individui avviene su un’apposita scheda con allegata cartografia in scala 1:10000. Talvolta si può commettere l’errore di conteggiare due volte uno stesso individuo; per cui è di fondamentale importanza provvedere a riportare sulla scheda sia le indicazioni comuni riguardanti l’ora, la specie, il numero degli individui, la classe di sesso e di età, sia la posizione geografica dell’avvistamento e l’eventuale direzione degli spostamenti (Nord, Sud, Est, Ovest). Questo tipo di censimento per gli ungulati in generale va fatto in corrispondenza del periodo primaverile quando c’è la ripresa vegetativa e, quindi, al primo verde. Relativamente al cinghiale, il periodo della giornata in cui si effettua questo tipo di censimento, come quello precedentemente descritto, è il tardo pomeriggio (al tramonto). Talvolta, per consentire una più facile individuazione degli animali, si provvede all’utilizzo del foraggiamento a scopo più che altro attrattivo. Per mettere in pratica questa tecnica è necessario, in primis, allestire per ciascuna sub-area, dei punti di osservazione, chiamate altane, sollevate almeno 3-4 m da terra. Il foraggiamento, a base prevalentemente di mais, deve essere predisposto almeno tre settimane prima dell’inizio del censimento, distribuendolo in strisce che partono dal bosco e che convergono verso l’altana. Successivamente, con il passare dei giorni, si ridurrà la lunghezza delle strisce fino ad arrivare a contrarle tutte attorno all’altana, in questo modo l’osservatore sarà in grado di contare più facilmente il numero di animali presenti; tale conteggio va ripetuto per almeno due o tre volte. Una volta registrati e successivamente elaborati, i dati che si ottengono corrisponderanno al numero minimo di animali presenti sul territorio, forniranno indicazioni sulla struttura della popolazione e consentiranno di fare previsioni sugli incrementi utili annui, quindi, di programmare correttamente il prelievo venatorio se ritenuto necessario. Inoltre, dalle analisi dei dati raccolti è possibile elaborare delle carte delle densità obiettivo con lo scopo di contenere le popolazioni di cinghiale mantenendo la

 

 

densità medio-bassa in montagna, ridurre drasticamente la densità nelle aree alto-collinari per la presenza di boschi e coltivazioni e rimuovere la specie nella fascia basso-collinare (Amici e Serrani, 2004). Nell’ambito degli strumenti di programmazione è necessario definire le vocazionalità dei differenti territori in funzione dell’idoneità ecologica e socioeconomica della specie. L’impatto del cinghiale sulle attività agricole e, a livello più localizzato, sulle fitocenosi forestali e sulle zoocenosi, fa si che i soli criteri ecologici non risultano sufficienti nella definizione delle strategie di gestione della specie. Si dovrebbe, pertanto, considerare attentamente anche gli aspetti socio-economici nella creazione di una zonizzazione del territorio a livello regionale e provinciale.

Le motivazioni che spingono ad una definizione di un piano di gestione durevole del cinghiale, attraverso l’esplicazione di un programma di monitoraggio a breve termine della popolazione sono legate alla percepita criticità della presenza della specie nel territorio del Provinciale. Tale criticità è fondamentalmente collegata ad episodi di danneggiamento di colture agro-pastorali dovuti, con molta probabilità, all’elevata densità di popolazione del cinghiale e all’elevato stato di ibridazione della specie.

Volpe Stime di consistenza della Volpe possono essere realizzate ad es. tramite transetti di osservazione e analisi dei dati con metodi di distance sampling (Buckland et al., 1993). La conta delle tane attive risulta in genere di difficile applicazione negli ambienti collinari e montani caratterizzati da folta macchia e terreni impervi.

Gli indici di abbondanza relativa della Volpe possono essere, invece, raccolti attraverso la realizzazione di transetti notturni con il faro, metodo che ha il vantaggio di poter essere utilizzato contemporaneamente anche per altre specie di interesse gestionale e, se realizzato in maniera corretta, garantisce risultati affidabili a fronte di costi relativamente bassi. I conteggi col faro dovranno essere effettuati nel periodo tardo invernale (da febbraio a metà marzo); per ogni seduta di conteggio dovranno essere effettuate almeno due uscite a più di tre giorni di distanza l’una dall’altra.

Come più volte sottolineato un elemento chiave dell’approccio adattativo nella gestione di questa specie è la parallela valutazione degli effetti del controllo sulle popolazioni di specie-preda target, sia in termini di consistenza, sia di successo riproduttivo.

3.6.2.2. Immissioni di specie della mammalofauna  Per ciò che riguarda l’obbiettivo di mantenere integri i livelli di biodiversità animale, gli sforzi ad oggi profusi dalla gestione delle immissioni nella provincia di Reggio Calabria, appaiono rispondere - in maggior misura - alla crescente richiesta di prelievo venatorio, con pratiche a volte inappropriate, e quindi fraintendimenti di intenti.

Tali immissioni possono essere distinte in tre tipologie:

• Introduzione;

• Reintroduzione;

• Ripopolamento.

L’introduzione si riferisce all’immissione di una specie operata dall’uomo in modo accidentale o intenzionale in un territorio non compreso nel suo areale storico naturale.

La reintroduzione, consiste invece nell’immissione di specie autoctone in un territorio in cui era già presente in passato, ma nel quale risulta estinta. Questo è stato il caso dei caprioli reintrodotti recentemente in territorio aspromontano.

Infine l’attività di ripopolamento è finalizzata all’incremento delle consistenze di una popolazione già presente sul territorio. È inoltre indispensabile sottolineare l’importanza, da una parte di una più

 

 

puntuale scelta della quantità dei capi da ripopolare, dall’altra la fondamentale importanza della qualità dei soggetti utilizzati.

LEPRE EUROPEA La recente riscoperta della Lepre italica, Lepus corsicanus, nell'Italia centrale e meridionale e gli studi realizzati a tal fine non hanno evidenziato per il passato la presenza della Lepre europea, Lepus europaeus, nell'areale storico di Lepus corsicanus. L'attuale presenza diffusa di Lepus europaeus in queste stesse aree è da porsi in relazione con le massicce e ricorrenti attività di ripopolamento venatorio realizzate fin dai primi decenni del secolo scorso. Tuttavia, l'accertata presenza in aree protette di esemplari di Lepre europea con aplotipi peculiari lascia aperta la possibilità che anche lungo la catena appenninica delle regioni centrali e meridionali potessero esistere popolazioni autoctone di questa specie.

Considerato che:

- in generale i ripopolamenti di lepre europea rappresentano degli interventi funzionali ad una gestione di tipo meramente consumistico;

- i risultati di sopravvivenza degli esemplari ripopolati sono normalmente bassi (e molto onerosi);

- di norma i ripopolamenti non danno luogo a popolazioni stabili soprattutto nelle regioni e province caratterizzate da un clima di tipo mediterraneo;

- le introduzioni di Lepus europaeus nell'areale di Lepus corsicanus rappresentano una minaccia per la sopravvivenza delle residue popolazioni peninsulari della specie endemica, come conseguenza di una competizione interspecifica, della diffusione di gravi patologie comuni e dei problemi gestionali indotti dalla difficoltà di riconoscimento sul campo delle due specie;

si ritiene quindi che in generale occorra evitare il ricorso ad attività di ripopolamento con questa specie nelle regioni interessate dall'areale storico della lepre italica (ivi compresa la Calabria).

Selezionate attività di ripopolamento della lepre europea (da effettuarsi preferibilmente con esemplari catturati in aree protette della regione) potranno essere autorizzate solo in aree (ove non sia ammesso il prelievo della specie) non interessate dalla presenza di Lepus corsicanus o da progetti per la sua reintroduzione. In provincia di Reggio Calabria, in attesa di realizzare una esaustiva verifica della distribuzione delle due specie di lepre sul territorio, si individua nella piana di Gioia Tauro il territorio in cui potranno, eventualmente, realizzarsi interventi di ripopolamento con la lepre europea, almeno nel contesto temporale di validità del presente piano

CAPRIOLO ITALICO Eventuali ulteriori progetti di reintroduzione del Capriolo italico, l’unica forma autoctona per la Calabria, potranno essere eventualmente programmati e realizzati successivamente al periodo di validità del presente Piano faunistico-venatorio, tenendo conto dei risultati ottenuti dal progetto attualmente in fase di realizzazione nel territorio del Parco Nazionale dell’Aspromonte.

3.6.2.3. Monitoraggio Sanitario ed Epidemiologico Tra gli argomenti del comparto sanitario completamente sottovalutati e disattesi troviamo:

• Sicurezza alimentare(anche il cacciatore è un consumatore da tutelare, senza considerare l’utenza ulteriormente coinvolta);

 

 

• Monitoraggio epidemiologico. In assenza di dati sono fornite le informazioni essenziali. In particolare va evidenziato che in un sistema di monitoraggio epidemiologico basato anche sulla tempestiva segnalazione ed invio di campioni biologici ad Asl ed Istituti Zooprofilattici, andrà valutate con le Autorità Sanitarie direttamente interessate.

Il primo concetto viaggia parallelamente, ai presidi di Sanità pubblica già garantiti per le produzioni animali in zootecnia (non è possibile consumare carni/latte provenienti da animali privi di certificazioni sanitarie e/o non sottoposti a campionamenti).

Il monitoraggio sanitario della fauna selvatica (condotto sia sugli animali abbattuti che su quelli rinvenuti morti) permette di avere informazioni sullo stato sanitario delle popolazioni selvatiche. Tali informazioni, da un punto di vista epidemiologico, risultano utili ad effettuare anche una valutazione del rischio per le popolazioni domestiche di animali da reddito. Sono oggetto di tale monitoraggio le seguenti malattie trasmissibili:

• Rabbia

• Tubercolosi (TBC)

• Brucellosi (BRC)

• Trichinellosi

• Peste suina classica (PSC)

• Malattia Vescicolare del Suino (MVS)

• Pseudorabbia (AUJ)

Per ciascuna malattia sono individuati animali indicatori da sottoporre alle specifiche indagini di laboratorio.

Cinghiale (Sus scrofa)

Dagli animali abbattuti nel corso dell’attività venatoria saranno prelevati:

• 50 grammi di muscolo (pilastri del diaframma) per l’esame per trichina.

• due provette di sangue (all’atto della iugulazione) per l’esecuzione di esami sierologici per PSC – MVS – AUJ – BRC.

• parti anatomiche (polmone, linfonodi bronchiali, mediastinici, mesenterici, etc.) per la ricerca di TBC.

Volpe (Vulpes vulpes)

Dagli animali abbattuti nel corso dell’attività venatoria saranno prelevati:

• campioni di muscolo (tibiale anteriore, estensori del metacarpo, pilastri del diaframma, masseteri e/o lingua) per l’esame per trichina.

• test per l’esame per Rabbia

Sugli animali rinvenuti morti, ove ne ricorrano i presupposti, saranno pure condotti esami biotossicologici e tossicologici per ricerca di stricnina, arsenico, cianuro, etc.

I campioni saranno consegnati, accompagnati da apposite schede di conferimento, all’IZSM di San Gregorio per le prove analitiche. Le prove analitiche saranno effettuate presso i laboratori dell’IZSM o degli Istituti Universitari partecipanti al monitoraggio.

Il piano di monitoraggio prevede la realizzazione di appositi corsi di formazione per i cacciatori interessati al piano ed il personale comunque operante. Tali corsi sono volti a fornire l’apposita competenza nell’effettuare i prelievi di matrici biologiche, confezionamento e trasporto delle stesse in condizione di sicurezza.

 

 

La formazione del personale definito “rilevatore biometrico” rientra a pieno titolo in questo argomento che deve rappresentare la norma sia all’interno della gestione faunistico-venatoria, sia per tutti i casi in cui ci siano animali rinvenuti morti per altre cause. Nell’ambito temporale di validità del PFV, la Provincia in collaborazione con gli ATC attiverà specifiche convenzioni con l’Istituto Zooprofilattico di riferimento al fine di monitorare a campione tutti gli animali abbattuti e tutti gli animali immessi sul territorio, con particolare riferimento a quelli rinvenuti morti immediatamente dopo l’immissione. Gli ATC dovranno realizzare materiale informativo per sensibilizzare l’utenza venatoria nel confronto delle problematiche sanitarie legate alla fauna selvatica e all’utilizzo scorretto delle carni, oltre naturalmente alla corretta esecuzione dell’eviscerazione e trattamento delle spoglie

 

 

Bibliografia al Cap. 3.6.2. 

Besa M., Genovesi P., 1999 – Il manuale di gestione faunistica. Greentime, Bologna. 

Dessì‐Fulgheri F., Simonetta A. M., 1998 – Principi e tecniche di gestione faunistico – venatoria. Greentime, Bologna. 

Fico R., 2003 – La sorveglianza epidemiologica sulla fauna selvatica: definizioni, obiettivi e metodi(SIVAR Cr) 

Mazzoni dalla Stella R., 2000 – Le tecniche di immissione della piccola selvaggina. Arsia/Regione Toscana. Quaderno Arsia 1/2000. 

 

 

3.7. Istituti di protezione e gestione: vocazione faunistica e pianificazione delle attività gestionali 

Finalità della “rete ecologica” presente nel territorio provinciale, rappresentata nel suo insieme dal complesso delle aree protette e dagli istituti di protezione della fauna selvatica previsti dalla legge n. 157/92, è la tutela e valorizzazione delle risorse naturali e ambientali, nonchè la conservazione dei paesaggi e la conservazione della flora e della fauna.

3.7.1. Aree protette nazionali e regionali La pianificazione delle attività gestionali inerenti il Parco Nazionale dell’Aspromonte e il Parco Regionale delle Serre è devoluta ai piani territoriali delle due aree protette esaminate nel paragrafo 2.1.2.

3.7.2. Siti Rete Natura 2000 (SIC, ZPS, SIN, SIR) La pianificazione delle attività gestionali inerenti i Siti Rete Natura 2000 (SIC, ZPS, SIN, SIR) è definita dai piani di gestione dei singoli siti esaminati nel paragrafo 2.1.3 e 2.1.4; è da evidenziare che nei piani di gestione dei siti SIC realizzati dalla Provincia di Reggio Calabria non sono presenti indicazioni sulla gestione della fauna.

A completamento delle indicazioni fornite dagli Organi gestori dei Siti Natura 2000, è da rimarcare con forza che, a fronte delle indicazioni comunitarie, la normativa vigente esclude interamente tali territori dall’attività venatoria. Infatti, la L.R. n°10 del 14/07/2003 all’art.4 (lettera f) fa rientrare a pieno titolo i Siti Comunitari nel Sistema Regionale delle Aree Protette ed all’art.9 (lettera a) vieta su tutto il territorio perimetrato l’attività venatoria fatte salve le eccezioni previste dal comma 6 dell’art.22 della Legge n°394 del 6/12/199111.

Tali affermazioni trovano ulteriore suffragio nella giurisprudenza nazionale ed in particolare nella Nota alla Sentenza Corte Costituzionale n°193 del 4/6/2010 “Ancora sul riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di ambiente: nulla-osta degli Enti Parco, divieto di attività venatoria nelle aree protette e prevalenza del piano paesaggistico sugli atti di pianificazione ad incidenza territoriale” (Dott. M. Santoloci e Avv. V. Stefutti).

3.7.3. Oasi di protezione Le Oasi di protezione devono assolvere il compito di rifugio, riproduzione e sosta della fauna selvatica, con particolare riferimento alle emergenze faunistiche che necessitano in ambito locale di interventi di protezione. Si tratta dell'unico istituto, tra quelli contemplati dalla legge n. 157/1992, per il quale la sola finalità dichiarata è la protezione di popolazioni di fauna selvatica. In particolare per la localizzazione delle Oasi occorre tenere presenti i settori provinciali interessati dai flussi                                                             

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  � Legge n°394 del 6/12/1991, art.22, comma 6 “Nei Parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l’attività venatoria è vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente”. Comma così modificato dall’art.2 , comma 33, della Legge n°426 del 9/12/1998. 

 

 

 

migratori e quelli importanti per la nidificazione e lo svernamento di queste specie o di specie stanziali in cattivo stato di conservazione nel territorio provinciale.

Relativamente all'estensione delle Oasi non si indicano parametri predefiniti di riferimento, essendo questi subordinati alle esigenze ecologiche proprie delle specie che s'intendono proteggere ed alle peculiarità ambientali meritevoli di tutela. E' comunque necessario rilevare che per un buon numero di popolazioni selvatiche, tra cui anche diverse specie di uccelli migratori, può risultare utile la presenza di aree di protezione anche di dimensioni limitate, ma ben distribuite sul territorio in punti strategici, come ad esempio lungo le principali rotte di migrazione, in corrispondenza di importanti valichi montani oppure nelle aree soggette a naturale espansione degli areali di specie stanziali.

Va sottolineato, inoltre, che nel caso dei migratori acquatici anche aree di tutela di dimensioni ridotte possono svolgere un ruolo assai positivo, soprattutto se ben distribuite sul territorio e soggette ad un'oculata gestione ambientale. Nella provincia di Reggio Calabria è istituita una sola oasi di protezione della fauna con legge Regionale n. 7 del 2 maggio 2001 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2001 e pluriennale 2001/2003” della Regione Calabria (Legge finanziaria), che all’art. 4 bis comma 4, dispone che “l’area del «Pantano» di Saline Joniche è dichiarata “Oasi di protezione della fauna selvatica e della flora tipica delle acque salmastre”. Tuttavia, concretamente dopo tale disposizione nulla è stato realizzato per attuare specifiche misure di salvaguardia e protezione.

3.7.4. Zone di protezione lungo le rotte di migrazione La provincia di Reggio Calabria e l’area dello Stretto di Messina in modo particolare, si colloca, unitamente all’area del Bosforo e a quella di Gibilterra, su una delle tre principali rotte di transito dei migratori di tutto il Paleartico Occidentale. Il fenomeno riguarda sia la migrazione autunnale verso i luoghi di svernamento, sia quella primaverile verso i luoghi di nidificazione. L’area dello Stretto di Messina risulta quindi di grande importanza strategica per il transito di molti milioni di Passeriformi (in grande maggioranza), rapaci diurni (Falconidae, Accipitridae, Pandionidae), di Ciconiformi, Apodiformi, Anseriformi, Caradriformi, Gruiformi, Podicipediformi ed altri gruppi. Transito che avviene nell’arco di periodi relativamente ristretti, con giornate di particolare concentrazione dei flussi, anche in relazione con le condizioni climatiche. I flussi interessano ovviamente sia migratori diurni che notturni. I primi sono soprattutto piccoli Passeriformi e rapaci; i secondi sono in gran parte Passeriformi e in minor misura Limicoli ed uccelli acquatici in genere.

Il Piano faunistico–venatorio provinciale non può trascurare la necessità di prevedere un’adeguata salvaguardia della fauna migratrice soprattutto in aree particolarmente strategiche per queste specie e anche l’istituzione di aree vincolate (ad es. attraverso lo strumento dell’Oasi di protezione). L’importanza dell’individuazione delle direttrici di migrazione dell'avifauna è d’altra parte evidenziata dallo stesso art.1 comma 5, della L.157/92 in rapporto alla necessità di istituire zone di protezione, con particolare riferimento alle specie protette e a quelle d’interesse comunitario (direttiva 79/409/CEE).

A tal fine l'ex INFS, a pochi mesi dall’approvazione della legge, con lettera n. 3262/T-A60 del 25.6.1992, fornì alle Regioni indicazioni oggettive (dati di ripresa di migratori inanellati in Italia e all’estero) sulle principali rotte di migrazione a livello nazionale. Tuttavia, come riconosciuto dal medesimo Istituto, il grado di dettaglio delle informazioni fornite non poteva considerarsi esaustivo ai fini dell’esatta individuazione delle aree da tutelare in ogni singola provincia. Considerando il dettato della L.157/92 e la necessità di disporre di un quadro di riferimento valido per l'intero territorio nazionale l'ex INFS indicò, quindi, la necessità di integrare i dati forniti con approfondimenti a livello locale, finalizzati ad individuare nel dettaglio le zone da sottoporre ad effettiva tutela. L’Istituto ebbe peraltro a suggerire l'utlità di effettuare una ricognizione sulla distribuzione e la concentrazione degli appostamenti di caccia (anche quelli temporanei tradizionalmente allestiti nelle aree di maggior transito) per quanto riguarda, in particolare, anche la individuazione e la scelta di eventuali valichi montani da tutelare in quanto interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna.

 

 

Sulla base di tali indicazioni e per le finalità sopra elencate, tutti i dati ad oggi disponibili, sebbene di diversa ed eterogenea provenienza, sono stati considerati per indagare la distribuzione, l'abbondanza e il transito dell'avifauna migratoria in ambito provinciale.

Tali dati derivano, in particolare dalle seguenti indagini e attività:

• censimenti degli acquatici svernanti (International Waterfowl Census, IWC) coordinati dall’ISPRA;

• dati relativi alle attività di cattura-ricattura a scopo scientifico coordinate e organizzate dall'ISPRA;

• altri censimenti e monitoraggi relativi all'avifauna migratoria effettuati nell'ambito di vari studi e indagini faunistiche condotte sul territorio provinciale;

• ricognizione della distribuzione degli appostamenti e del prelievo alla migratoria sul territorio provinciale.

 

 

Censimenti degli acquatici svernanti.

Tab.  53  ‐  Zone  umide  (Z.U.)  della  provincia  di  Reggio  Calabria  interessate  dai  censimenti  invernali  degli uccelli acquatici svernanti. 

Codice Z.U. Nome Z.U. Descrizione Z.U.

RC0100 Litorale Riace - Fiumara Allaro

RC0101 Litorale Riace - Fiumara Allaro Litorale da foce T. Riace (incl.) a foce Fiumara Allaro (incl.)

RC0200 Fiumara Laverde, Palecastro - foce

RC0201 Fiumara Laverde, Palecastro - foce Fiumara di Laverde da Monte Palecastro alla foce (incl.); Pantano Grande di Laverde

RC0300 Saline Ioniche

RC0301 Pantano di Saline

RC0302 Porto di Saline

RC0400 Fiumara Amendola, San Carlo - foce

RC0401 Fiumara Amendola, San Carlo - foce Fiumara Amendola da San Carlo alla foce (incl.)

RC0500 Porto di Reggio Calabria

RC0501 Porto di Reggio Calabria Porto di Reggio Calabria; Litorale da foce T. Fiumetorbido a foce Fiumara Calopinace

RC0600 Lago Lordo

RC0601 Lago Lordo

 

 

Tab.54  –  Risultati  dei  censimenti  invernali  degli  uccelli  acquatici  svernanti  nelle  Zone  umide  (Z.U.)  della provincia di Reggio Calabria; periodo: 1995‐2007. 

RC0300 RC0300 RC0600 RC0600 min max min max

Codice IWC Nome comune Nome scietifico Saline Ioniche

Lago

Lordo

ANAAC Codone Anas acuta 2 2 ANACL Mestolone Anas clypeata 2 3 ANACR Alzavola Anas crecca 4 10 ANAPE Fischione Anas penelope 6 6 ANAPL Germano reale Anas platyrhynchos 2 6 ANAST Canapiglia Anas strepera 2 2 ARDCI Airone cenerino Ardea cinerea 3 14 10 10 AYTFE Moriglione Aythya ferina 15 52 2 49 AYTFU Moretta Aythya fuligula 1 1 AYTNY Moretta tabaccata Aythya nyroca 2 2 CHAAL Fratino Charadrius alexandrinus 4 4 CIRAE Falco di palude Circus aeruginosus 1 2 4 4 CIRCY Albanella reale Circus cyaneus 1 1 FULAT Folaga Fulica atra 120 150 430 500 GALCH Gallinella d'acqua Gallinula chloropus 20 25 35 35 LARMI Gabbianello Larus minutus 20 20 LARRI Gabbiano comune Larus ridibundus 45 45 31 31 PHACA Cormorano Phalacrocorax carbo 2 5 2 22 PODNI Svasso piccolo Podiceps nigricollis 15 15 RALAQ Porciglione Rallus aquaticus 8 8 TACRU Tuffetto Tachybaptus ruficollis 10 25 4 4 TADTA Volpoca Tadorna tadorna 2 4

Attività di cattura-ricattura a scopo scientifico

La documentazione allegata alla lettera dell’ex INFS, n. 3262/T-A60 del 25.6.1992, evidenziò, tra l’altro, sotto forma di mappe riassuntive, per gruppi di specie con esigenze ecologiche simili, le aree maggiormente interessate dalle ricatture (coordinate geografiche) degli uccelli inanellati all’estero. Di seguito si riportano le mappe riassuntive, dalle quali emergono, sia pure alla scala fornita, indicazioni utili alla definizione delle rotte di migrazione.

 

 

   Fig. 18‐ Totale delle riprese   

Fig. 19 ‐ Rapaci e Passeriformi 

   Fig. 20‐ Totrale riprese Rapaci  Fig.21  ‐  Totale  riprese  specie  legate  alle 

zone umide 

 

 

Altri censimenti e monitoraggi

La figura sottostante rappresenta le IBA n. 150 e n. 151; soprattutto per le aree interne questi territori sono indubbiamente molto importanti per il transito e la potenziale vulnerabilità dei migratori (l’IBA 151 è comunque inclusa nel Parco Nazionale dell’Aspromonte), tuttavia, risulta del tutto evidente l’insufficienza delle IBA così individuate, rispetto ai settori provinciali di maggiore vulnerabilità per i migratori. Tra le aree “scoperte” si segnalano in particolare la fascia costiera che va da Villa San Giovanni a Bova Marina (tutte le specie) e quella da Brancaleone a Roccella Ionica (specie legate alle zone umide).

Fig 22. – Localizzazione delle IBA (Important Bird Areas) n. 150 “Costa Viola” e n. 151 “Aspromonte”. 

L’IBA 150 “Costa Viola” è indicata soprattutto per le seguenti specie:

- Cicogna nera - Cicogna bianca - Falco pecchiaiolo - Nibbio bruno - Nibbio reale - Capovaccaio - Biancone - Falco di palude - Albanella reale - Albanella minore

- Aquila anatraia maggiore - Aquila reale - Grillaio - Gheppio - Falco cuculo - Falco della regina - Pellegrino - Albanella pallida - Aquila minore - Falco pescatore

_______________________________________________________________________

L’IBA 151 “Aspromonte” è indicata soprattutto per le seguenti specie:

- Aquila reale - Aquila del Bonelli - Gheppio - Pellegrino - Picchio verde - Picchio nero - Calandrella - Cappellaccia

- Calandro - Codirosso - Saltimpalo - Codirossone - Passero solitario - Balia dal collare - Averla piccola - Zigolo muciatto

Nell’area dello stretto va rimarcata anche l’istituzione dei seguenti siti della Rete Ecologica europea “Natura 2000”:

SIC Cod. IT 9350158 - Costa Viola e Monte S. Elia

ZPS Cod. IT 9350300 - Costa Viola

SIC Cod. IT 9350139 - Collina di Pentimele

SIC Cod. IT 9350143 - Saline Ioniche

SIC Cod. IT 9350149 - S. Andrea

SIC Cod. IT 9350162 - Torrente S. Giuseppe

SIC Cod. IT 9350177 - Monte Scrisi

SIC Cod. IT 9350183 - Spiaggia di Catona

 

 

La conservazione degli Habitat e delle specie d’interesse comunitario localizzati nei rispettivi territori è un obiettivo prioritario anche del presente PFV provinciale.

Distribuzione degli appostamenti

Il quadro delineato in questa sede, pur essendo preliminare e suscettibile di aggiornamenti (realizzando, nel quinquennio di vigenza del presente Piano, apposite indagini di campo e specifiche attività di monitoraggio), consente di confermare la scelta operata dalla Regione Calabria con l’istituzione dell’Oasi di protezione di Saline Joniche e di proporre la istituzione di ulteriori zone di protezione, rispettivamente sui versanti ionico e tirrenico.

Oasi di protezione Saline Joniche

Il Pantano di Saline Joniche costituisce un’area di rilevante importanza per la conservazione dell’avifauna migratrice acquatica, nonostante le piccole dimensioni e le manomissioni cui è stata oggetto in passato.

Si tratta di un lembo residuo di un sistema di zone umide costiere di ben altra importanza esteso tra Capo d’Armi e la Fiumara di Melito Porto Salvo, oggi unica testimonianza di questa tipologia di ambienti. Nonostante la presenza delle infrastrutture che lo circondano e la cementificazione dei confini è possibile osservare tutte le specie di Caradriformi e di Anseriformi della check-list provinciale, sono inoltre di quest’area alcune prime segnalazioni di osservazioni e nidificazioni.

L’area per la sua rilevanza naturalistica è stata designata come sito di interesse comunitario (IT9350143 - Saline Joniche). Anche la Regione Calabria ha riconosciuto l’importanza di tale sito istituendolo come “Oasi di protezione della fauna selvatica e della flora tipica delle acque salmastre” con la Legge Regionale n. 7 del 2 maggio 2001.

Sul versante tirrenico assume notevole rilevanza, soprattutto per la protezione delle rotte migratorie dei rapaci, l’area della Costa Viola e la fascia costiera tra Villa San Giovanni e Bova Marina (per tutte le specie).

Nel contesto di queste aree si propone l’istituzione delle seguenti Oasi di protezione.

Oasi Costa Viola

Per l’importanza che questo territorio riveste nella migrazione di varie specie è stato indicato dalla Regione Calabria come ZPS (IT9350300 - Costa Viola) oltre che come SIC, sito di interesse comunitario (IT9350158 - Costa Viola e Monte S. Elia). Si tratta di un’area dalle notevoli valenze naturalistiche e paesaggistiche e l’istituzione della “Riserva naturale della Costa Viola e Monte S. Elia” consentirebbe di salvaguardare la peculiare biodiversità che caratterizza il sito.

Per quanto riguarda la fascia costiera a Sud di Villa San Giovanni, da sottolineare per l’importanza che questo territorio riveste nella migrazione dei Rapaci, da dati forniti dalla LIPU sono stati avvistati 28mila esemplari nel canale di Sicilia, appartenenti a 24 specie, cui si aggiungono 107 esemplari tra Cicogna bianca e nera diverse specie rare Su oltre 28mila rapaci osservati, ben il 92% (pari a oltre 26mila esemplari) è rappresentato dal Falco pecchiaiolo, seguito dal Falco di palude con 992 esemplari e dal Nibbio bruno con 471. E’ il bilancio del progetto Rapaci Migratori e del XXVI° campo antibracconaggio sul versante calabrese dello Stretto di Messina della LIPU-BirdLife Italia, che si sono tenuti nei mesi di aprile e maggio. Il progetto Rapaci Migratori ha coinvolto per un mese 12 osservatori in cinque località del canale di Sicilia (Pantelleria, Stretto di Messina, Marettimo, Ustica e Panarea) ha lo scopo di capire con precisione qual è il percorso di migrazione seguito dai rapaci nel Mediterraneo centrale e quali i fattori meteo che possono influire

 

 

sul fenomeno. Il picco della migrazione si è verificato il 30 aprile con il passaggio sullo Stretto di Messina di ben 5.541 esemplari di Falco pecchiaiolo. Purtroppo però, attraversato lo Stretto di Messina, i falchi sono oggetto di abbattimento dai bracconieri: secondo la stima della LIPU, sono 400 i falchi abbattuti. “Le ragioni di questa recrudescenza sono due – spiega Fulvio Mamone Capria, vicepresidente LIPU-BirdLife Italia – la prima è che il servizio del NOA, Nucleo Operativo Antibracconaggio del Corpo Forestale dello Stato, è troppo breve e lascia scoperte fasi importanti della migrazione. La seconda è che il servizio di controllo è troppo rigido: i bracconieri conoscono perfettamente gli orari di servizio e di conseguenza sparano prima che inizino i turni”.

Il contributo del Corpo Forestale dello Stato senza il quale non sarebbe stato possibile ridurre negli anni il fenomeno del bracconaggio (400 i falchi abbattuti nel territorio reggino ) sullo stretto adatterà nuove strategie come : orari più flessibili, pattuglie in abiti civili, una permanenza sullo stretto per un periodo di almeno 40 giorni, così da garantire una maggiore tutela ai rapaci”. Nel complesso, il progetto rapaci Migratori ha osservato alcune specie rare: otto Grifoni (specie ridotta a 40 coppie in Italia), due esemplari di Aquila anatraia minore, specie svernante in Africa orientale a Sud del Sahara e nidificante nell’Est Europa, osservabile ogni anno in soli cinque esemplari. Inoltre un’Aquila imperiale, presente in soli 1-3 esemplari nel nostro Paese, nidificante nell’Est europeo e svernante in Africa orientale, Turchia, Grecia, subcontinente indiano fino alla Cina. Infine una Poiana codabianca e 28 esemplari di Cicogna nera, aquile, avvoltoi, cicogne bianche e nere. In Calabria i volontari della LIPU hanno il compito di registrare eventuali atti di bracconaggio che vengono segnalati al NOA del Corpo Forestale dello Stato, presente sul territorio con un proprio apposito contingente proprio per proteggere il volo dei migratori. La perlustrazione del territorio, operata dal NOA con il supporto di due elicotteri per cercare di bloccare e limitare i danni dai bracconieri, il contingente del Nucleo Operativo Antibracconaggio, in assenza del quale il territorio reggino sarebbe privo di ogni controllo, si dovrebbe essere ulteriormente potenziato, per coprire tutto il periodo della migrazione”. Da questa analisi si potrebbe ipotizzare di istutuire tale zona come Oasi, ma è una scelta politica che deve essere valuta con attenzione in quanto il territorio di Villa San Giovanni ricade vicino a zone poste a vincolo come la Costa viola e il Parco Nazionale dell’Aspromonte, riducendo così il territorio utile all’attività venatoria gia precaria per l’alto numero dei cacciatori iscritti all’A.T.C. RC1.

3.7.5. Zone di Ripopolamento e Cattura (ZRC), Centri Pubblici e Privati di riproduzione della Fauna 

3.7.5.1. Zone di Ripopolamento e Cattura (ZRC) L’istituto della ZRC è destinato alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale e alla eventuale cattura della stessa per l'immissione sul territorio a fini di ripopolamento o di reintroduzione. La produzione faunistico ottenuta attraverso le ZRC dovrebbe sostituire l’immissione di piccola selvaggina allevata artificialmente o importata. Benché non sperimentato concretamente in provincia di Reggio Calabria, si tratta di un istituto che riveste una notevole importanza nel contesto della gestione faunistico-venatoria, in particolare della “piccola selvaggina stanziale”. L’istituto della ZRC consente, in primo luogo, di costituire e conservare in loco popolazioni vitali di specie quali le lepri (lepre italica e lepre europea), il fagiano e la coturnice (la starna presenta problematiche più compesse); in secondo luogo, permette di ottenere un ripopolamento naturale dei territori circostanti, per dispersione; in terzo luogo, consente di ottenere, eventualmente, tramite periodiche catture, una quota di selvaggina naturale da utilizzare per l'immissione sul territorio cacciabile o in altri ambiti protetti. Occorre sottolineare che la disponibilità di una rete di ZRC bene organizzata sul territorio provinciale costituisce, di fatto, il principale strumento per una efficace gestione delle specie stanziali sopracitate; queste zone assolvono inoltre una utilissima azione di tutela anche per numerose altre specie, tra cui quelle ornitiche migratrici.

 

 

Va evidenziato come, per le ZRC, risulti fondamentale una scelta attenta del sito, che va condotta mediante una preventiva verifica della idoneità del territorio e avendo cura di realizzare un sistema coerente di aree di tutela e di riproduzione della fauna (dal punto di vista biologico occorre rifarsi al concetto di “metapopolazione”).

Al fine di incrementare la capacità produttiva di questi territori risulta estremamente utile anche il ricorso ad interventi mirati di ripristino ambientale, per i quali sono e possono essere espressamente previsti incentivi economici (es. articolo 10, comma 8, lettera g, legge n. 157/92).

Le dimensioni adatte delle ZRC al fine di garantire l'insediamento di una popolazione stabile e in grado di autoriprodursi vanno relazionate all'idoneità e completezza ambientale, nonchè alle esigenze specie-specifiche in fatto di area vitale e di spostamenti. In linea di massima si ritiene che le dimensioni minime dei comprensori destinati alla produzione del fagiano e delle lepri debbano essere comprese tra i 500 e i 700 ettari, mentre per la coturnice si deve poter disporre di ambiti di 1.500 ettari almeno.

delimitazioni naturali facilmente sorvegliabili.Le zone di ripopolamento dovranno essere

Ai fini del ripopolamento faunistico iniziale potrà essere utilizzata fauna catturata nel territorio provinciale o preso Centri Pubblici o Privati di riproduzione della Fauna; in carenza potranno essere utilizzati esemplari di allevamenti selezionati sotto il profilo qualitativo. La realizzazione di questa tipologia di istituto potrà essere presa in considerazione qualora pervengano da parte degli ATC proposte concrete in proposito. La gestione delle ZRC sarà di competenza dell’Amministrazione Provinciale e potrà essere affidata all'ATC competente per territorio, soltanto previa stipula di specifico protocollo di gestione in cui vengano considerati i seguenti aspetti:

• catasto faunistico iniziale; • piano di gestione ambientale comprensivo dei miglioramenti ambientali; • eventuale piano di immissione della fauna stanziale oggetto di riproduzione; • piano di monitoraggio faunistico annuale; • modalità di eventuale controllo dei predatori opportunisti, sulla base di specifico piano

autorizzato dalla Provincia; • individuazione del personale di vigilanza e di gestione; • definizione dell'utilizzo dell'eventuale fauna catturata; • modalità di risarcimento danni prodotti dalla fauna; • indicazioni tecniche per la realizzazione di eventuali strutture stabili.

3.7.5.2. Centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica I Centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica per l’immissione a fini faunistico-venatorio sono finalizzati alla “ricostituzione delle popolazioni autoctone” (L. 157/92, art. 10, comma 8, lettera c), in particolare delle specie di piccola selvaggina stanziale. I centri pubblici hanno scopi non dissimili da quelli tipici indicati dal legislatore nazionale per le zone di ripopolamento e cattura. Tuttavia essi si distinguono per la possibilità di valorizzare l'intervento tecnico volto a “ pilotare “ la riproduzione dei selvatici prestandosi simili strutture ad una costante e puntuale monitoraggio del patrimonio faunistico presente nel sito.

La finalità di ricostituzione delle popolazioni autoctone di fauna selvatica prevede l'attività di prelievo degli animali ed il loro trasferimento e successivo rilascio nelle località da qualificare sotto il profilo faunistico.

L'art. 9 della L.R. 9/96 vincola in maniera chiara la destinazione della fauna catturata che potrà essere utilizzata esclusivamente per ripopolamento.

Non si vedono ostacoli alla trasformazione, in caso di istituzione della figura del centro pubblico di strutture preesistenti quali le zone di ripopolamento e cattura che, per talune loro affinità, potrebbero rivelarsi adatte ad una riqualificazione nella direzione indicata.

Prescindendo dalla scelta circa la forma di produzione, si ritiene che a tali Centri possa essere attribuita anche una specifica connotazione di tipo sperimentale, in particolare per ciò che attiene

 

 

allo studio e alla ricerca sulle tecniche di immissione in natura della fauna selvatica a fini di reintroduzione e di ripopolamento.

La superficie dell'area destinata a Centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica dovrebbe essere analoga a quella suggerita per le ZRC.

3.7.5.3. Centri privati di produzione della fauna selvatica I Centri privati di produzione della fauna selvatica ( L. 157/92 art. 10 comma 8, lettera c) hanno strutture analoghe, per taluni aspetti, ai centri pubblici di cui al punto precedente, caratterizzate peraltro dalla titolarità (privata) dei soggetti proprietari e gestori o comunque intestatari della relativa autorizzazione.

I centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale possono essere organizzati in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa; in esse è vietato l’esercizio della caccia ed è consentito solo il prelievo degli animali allevati, per fini di ripopolamento o di reintroduzione, appartenenti a specie cacciabili da parte del titolare dell’impresa agricola. Particolare attenzione dovrà essere posta all’idoneità dei territori concessi a tal fine (sulla base della percentuale di territorio teoricamente disponibile) ed al programma di gestione, nonché alle verifiche annuali dei risultati conseguiti. La superficie minima dei singoli Centri non dovrebbe essere inferiore ai 200 ettari.

3.7.6. Aziende faunistico­venatorie e Agri­Turistico­Venatorie Sulla base della concreta possibilità di pianificare il territorio per ottimizzare la gestione faunistico-venatoria nel rispetto degli indirizzi dettati dal PFVR, verrà destinata all'istituzione delle Aziende faunistico-venatorie –( AFV) e Aziende agri-turistico venatorie – (AATV) una quota del territorio agro-silvo-pastorale provinciale nei limiti fissati dai regolamenti regionali.

La Provincia istituirà appositi bandi per consentire di richiedere la concessione di tali tipologie di istituti, successivamente all'approvazione del PFV provinciale, indicando nello specifico l’estensione complessiva per tipologia d’istituto, tenuto conto della necessità di distribuire le aziende in modo tale da non compromettere la funzionalità degli altri istituti di gestione faunistico-venatoria.

Per le aziende agri-turistico-venatorie potranno essere presentate soltanto le domande che:

- insistano su comprensori di scarso interesse dal punto di vista ambientale e faunistico;

- non insistono su territori della Rete Ecologica Europea “Natura 2000”.

Sarà criterio preferenziale di scelta da parte della Provincia la coincidenza con il territorio di una o più aziende agricole ricadenti in aree ad agricoltura svantaggiata, ovvero dismesse da interventi agricoli ai sensi del regolamento n. 1094/88/U.E. e successive modificazioni.

Le domande dovranno essere presentate corredate della documentazione indicata dall’ex INFS (oggi ISPRA) con lettera circolare n. 2051/T-B1 del 25/03/2004 (per il rilascio del prescritto parere), nonché di ogni altro documento previsto dalle norme regionali vigenti. La documentazione dovrà essere organizzata sotto forma di un Programma pluriennale di gestione.

Documentazione di cui alla lettera circolare ex INFS n. 2051/T-B1 del 25/03/2004:

Aziende faunistico-venatorie.

1 caratterizzazione ambientale del territorio comprendente: l'estensione totale, l'uso del suolo, nonché la presenza di terreni che usufruiscono di contributi dell' UE per fini ambientali (indicare le tipologie e l'estensione);

2 precisazione, a seconda dei casi, sul modello di conduzione agricola, forestale, zootecnica o ittica;

 

 

3 descrizione dei programmi pluriennali di ripristino, conservazione e gestione ambientale, con particolare riferimento agli interventi di miglioramento ambientale a fini faunistici;

4 caratterizzazione faunistica del comprensorio riguardante, oltre che le popolazioni appartenenti a specie cacciabili, anche quelle di specie protette che rivestono particolare interesse naturalistico, presenti in forma temporanea o permanente all'interno del comprensorio;

5 elenco delle specie per le quali si richiede l'autorizzazione al prelievo venatorio e consistenza di popolazione di ciascuna di esse all'inizio della stagione riproduttiva più recente (specie stanziali);

6 indicazioni inerenti le strutture produttive o di ambientamento esistenti o da realizzarsi, con precisazione della/e specie e del numero potenziale di esemplari ospitati e liberati annualmente;

7 programma pluriennale di gestione del patrimonio faunistico, con particolare riferimento alle specie oggetto di caccia ed al prelievo venatorio;

8 eventuali programmi pluriennali di immissione di specie selvatiche indicanti le finalità perseguite (reintroduzione o ripopolamento), i quantitativi annui di soggetti che si intendono liberare, nonché la durata dei programmi stessi;

9 vincoli ambientali e/o faunistici esistenti (o previsti) su tutta o su parte della superficie richiesta;

10 eventuale valutazione d'incidenza, ove previsto ai sensi del DPR n. 357/97 e del DPR n. 120/03.

Aziende agri-turistico-venatorie.

a) caratterizzazione ambientale del territorio comprendente: l'estensione totale, l'altimetria, la ripartizione colturale con relativo ettaraggio, l'estensione di eventuali aree boschive, di bacini artificiali, zone umide naturali e aree ad incolto;

b) eventuale inclusione dell'area nell'ambito di vincoli quali:

aree ad agricoltura svantaggiata;

aree dismesse da interventi agricoli in adesione a disposizioni dell' UE sul ritiro dei seminativi dalla produzione, nonché l'estensivizzazione, la riconversione della produzione ecc;

c) precisazione, a seconda dei casi, sul modello di conduzione agricola, forestale, zootecnica o ittica;

d) caratterizzazione faunistica del comprensorio;

e) elenco delle specie immesse (allevate) per le quali si richiede l'autorizzazione al prelievo venatorio;

f) descrizione delle strutture produttive o di ambientamento esistenti o da realizzarsi, con precisazione della/e specie e del numero di esemplari prodotti e/o liberati annualmente;

g) illustrazione del programma pluriennale di immissione di specie selvatiche cacciabili (allevate), con indicazione dei quantitativi annui massimi di soggetti da liberare per singola specie;

h) eventuale programma di miglioramento ambientale;

i) vincoli ambientali e/o faunistici esistenti (o previsti) su tutta o su parte della superficie richiesta;

j) eventuale valutazione d'incidenza, ove previsto ai sensi del DPR n. 357/97 e del DPR n. 120/03.

 

 

In tutti i casi occorrerà allegare anche una planimetria (non catastale) dell'area in oggetto, possibilmente in scala 1:10.000, con evidenziati i confini del comprensorio chiesto in concessione, degli eventuali vincoli ambientali e/o faunistici (anche se in forma di proposta avanzata), nonché con l'indicazione di ogni altro elemento importante ai fini del rilascio della concessione medesima.

Le richieste di concessione inerenti territori interessati dai vincoli di cui al DPR n. 357/97 e al DPR n. 120/03, per le quali è prevista una preventiva valutazione d'incidenza, dovrà essere prodotto anche uno studio d’incidenza redatto da un tecnico abilitato.

3.7.6.1. Modalità di gestione delle aziende faunistico­venatorie e agrituristico­venatorie  Per quanto riguarda le Aziende faunistico-venatorie, fermo restando le finalità previste dall' art. 16, comma 1, lettera a, della legge 157/92 e dall’art. 8, comma 1, lettera a, della L.R. n. 9/96, nonché delle disposizioni del regolamento regionale in materia, il disciplinare di concessione dovrà tenere conto della fauna oggetto di gestione, ovvero della tipica fauna autoctona, della grossa fauna europea e di quella acquatica, così come altre specie appartenenti alla fauna regionale di particolare interesse.

Le Aziende faunistico-venatorie debbono tendere a favorire l'insediamento sul territorio, la riproduzione naturale e l'incremento delle popolazioni selvatiche che in questi ambienti trovano l’habitat adatto. I Programmi pluriennali di gestione dovranno fondarsi sui principi della corretta gestione delle popolazioni naturali presenti sul territorio. A tal fine si dovranno curare soprattutto gli interventi di miglioramento ambientale (orientativamente almeno sul 2% della superficie disponibile), il monitoraggio delle popolazioni e la pianificazione del prelievo sulla base di criteri biologicamente sostenibili.

Questi obiettivi dovranno quindi essere perseguiti principalmente attraverso la seguente serie di interventi di ripristino e miglioramento ambientale: incrementare la diversificazione ambientale, attraverso sia l'aumento degli incolti e delle colture a perdere per la selvaggina, sia l'inserimento, nell'ambito delle ordinarie rotazioni colturali, di piante coltivate particolarmente adatte; favorire modelli di gestione faunistica dei complessi forestali compatibili con le situazioni ambientali locali; attuare un'agricoltura di tipo non intensivo; realizzare strutture artificiali di ricovero e alimentazione per la selvaggina.

Relativamente al ricorso di eventuali iniziative di immissione artificiale finalizzate al ripopolamento, esse dovanno essere indirizzate esclusivamente al miglioramento di situazioni faunistiche molto degradate; tali attività dovranno, quindi, essere temporalmente circoscritte e limitate al periodo di tempo necessario alla ricostituzione di popolazioni stabili che si autosostengano in natura.

Annualmente il Concessionario dovrà presentare un Piano di gestione all’Amministrazione Provinciale, per l’approvazione, con le modalità di gestione delle specie oggetto di caccia e gli eventuali interventi di ripopolamento/reintroduzione. In ogni caso in queste aziende non è consentito immettere fauna selvatica posteriormente alla data del 31 agosto.

Per quanto concerne le Aziende agri-turistico-venatorie, ad oggi non esistenti in ambito provinciale, al loro interno saranno consentiti l'immissione e l'esclusivo abbattimento di fauna selvatica di allevamento (limitatamente al fagiano, alla starna, alla lepre europea ed al cinghiale, solo all’interno di aree recintate di idonea estensione), per tutta la durata della stagione venatoria, secondo quanto riportato nel comma 6, del sopraccitato art. 8 della L.R. n. 9/96.

In queste aziende, la gestione della fauna oggetto di caccia, è finalizzata all’attività di impresa agricola. La caccia sarà consentita nelle giornate indicate nel calendario venatorio secondo i Piani annuali di gestione approvati dall’Amministrazione Provinciale.

 

 

3.7.7. Zone addestramento cani e gare cinofile Le zone di addestramento cani (ZAC) presenti nella provincia di Reggio Calabria sono riportate nella tabella che segue.

Tab. 55   – Zone Addestramento Cani (Z.A.C.) attive sul Territorio Provinciale e relativa superficie agro‐silvo‐pastorale occupata 

Z.A.C. LOCALITA' Riferimenti Catastali Superfice in ettari Tipo

ENALCACCIA “Matarozzo” Comune di Rizziconi

Partita Catastale n° 994 foglio di mappa 34 particella 77 06.01.00 b

NATURA DI CALABRIA Società Cooperativa Agricola

Località “Moio“ Comune di Cosoleto

Partita Catastale n° 289 foglio mappa 16, partita n°299 foglio mappa 16 partita n°300foglio mappa 16

20.00.00 B

FEDERCACCIA

Località “San Pasquale” Comune di Bova Marina

Partita n° 994 foglio mappa 30 particelle 18 e 23 7.66.00 B

Associazione C.P.A.

Località “Lacchi“ Comune di Agnana Calabra

Foglio di mappa n° 9 particelle n° 140-141-142-143-144-201-202-217 e 223

4.26.90 B

LA GAZZA Località “ Calderano “ Comune di Palizzi

Partita n° 3111 foglio di mappa n°49 particelle 1-2-4-5-7-9-10 e 11

9.18.08 B

AZIENDA AGRICOLA A.G. & C S.R.L.

Località “Covala“ Comune di S. Eufemia d'Aspromonte

Foglio di mappa n° 10 particella 87 20.00.00 B

FEDERCACCIA

Località “ Piano del Prete“ Comune di Montebello Jonico

Partita n° 11116 foglio n° 4 e 7 particelle 149- 1-2-6-32- e 33 19.48.49 B

FEDERCACCIA ZAC (Cinghiali )

Località “ Firmano” Comune di Galatro

Foglio di mappa n° 15 paticella 15 7.00.00 C

CIRCOLO A.N.U.U.

Località “Pantanolungo“ Comune di Cardeto

Foglio n° 13 particella 354 12.09.60 B

ARCI CACCIA Località “Campo” Comune di Bagnara Calabra

Foglio n° 21 particella 53 12.8.560 B

Totale territorio agro-silvo-pastorale destinato a zona addestramento cani 118.55.67

Istituite ai sensi della Legge 157/92 art. 10, della Legge Regionale 9/96 art.9 comma 5 dalle Delibere di G.R. n° 8645 del 16/12/96, n°1081del del 24/02/97 e dal Piano Faunistico Venatorio Regionale anno 2003;

Le Zone addestramento cani, in totale 10 presenti in provincia di Reggio Calabria sono suddive in due categorie, di tipo B e una di tipo C ( per Cinghiale ) come riportato nella tabella sopra citata , e vanno da un minimo di 3 Ettari ad un massimo di 20 Ettari, nelle quali si effettua l’addestramento, allevamento e gare dei cani da cacia con e abbattimento di selvaggina di allevamento appartenente alle specie cacciabili ;

 

 

Le Autorizzazioni rilasciate da parte del Servizio Caccia e Pesca di questa Amministrazione Provinciale, non superano come previsto la quota del 15% dell’intero terrtorio agro-silvo pastorale della provincia che è di circa Ettari 306.700, mentre quello utilizzato dalle Z.A.C. e di circa 119 Ettari che corrisponde allo 0,04% dell’intero territorio agro-silvo pastorale;

Alla luce di quanto sopra, se perverranno richieste di nuove istituzioni, questa Amministrazione intende autorizzarle con lo scopo di promuovere al meglio l’educazione cinofila e venatoria dei cacciatori, provvedendo al recupero dei territori marginali contribuendo all’allegerimento della pressione venatoria sul territorio di caccia, affidandole come previsto alle associazioni agricole, agli imprenditori agricoli, alle associazioni cinofile e alle associazioni venatorie, nel rispetto delle normative vigenti in materia

3.7.8. Ambiti Territoriali di Caccia ­ ATC La legge 157/92 all’art. 10 prevede che il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione sia destinato per una quota compresa tra il 20 e il 30 per cento a protezione della fauna selvatica, per una quota massima del 15 per cento a caccia riservata alla gestione privata e ai centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale; sul rimanente territorio le regioni devono promuovere forme di gestione programmata della caccia, ripartendo il territorio in ambiti territoriali di caccia (ATC), di dimensioni sub provinciali, possibilmente su comprensori omogenei dal punto di vista ambientale e delimitati da confini naturali (art.14).

Tab. 56 ‐ Assetto Del Nuovo Comitato Di Gestione A.T.C.RC1 

PRESIDENTE Sig. Domenico Iero ( Associazione Venatoria )

VICE PRESIDENTE Sig. Lupini Antonino ( Associazione Agricola )

COMPONENTI DESIGNAZIONE Aloi Domenico ( Associazione Venatoria ) Morace Italo ( Associazione Venatoria ) Spoleti Francesco ( Associazione Venatoria ) GiorgioPanuccio ( Associazione Venatoria ) Domenico Pansera ( Associazione Venatoria ) Scutellà Annamaria L. ( Associazione Agricola ) Laganà Antonino ( Associazione Agricola ) Giuffrè Gennaro ( Associazione Agricola ) Lazzaro Domenico ( Associazione Agricola ) Passalia Alessandro ( Associazione Agricola ) Carmelo Siciliano ( Associazione di Protezione Ambientale ) Sig. Antonio Barca ( Associazione di Protezione Ambientale ) Diego Festa ( Associazione di Protezione Ambientale ) Francesco Polimeni ( Associazione di Protezione Ambientale ) Sig.Fortunato Caminiti Associazione A.N.C.I. Sig. Giuseppe Papalia Associazione A.N.C.I. Sig. Demetrio Pasquale rappresentante Amministrazione Provinciale Sig. Daniele Vacalebre rappresentante Amministrazione Provinciale CONSIGLIO ESECUTIVO iero Domenico Presidente Lupini Antonino Vice Presidente Spoleti Freancesco Segretario Siciliano Carmelo Componente

Tab. 57 ‐ Assetto Del Nuovo Comitato Di Gestione A.T.C.RC2 

 

 

PRESIDENTE Sig. Giuseppe Angiò ( Associazione Venatoria )

VICE PRESIDENTE Domenico Linarello rappresentante Amministrazione Provinciale

VICE PRESIDENTE Pietro Multari Associazione A.N.C.I

COMPONENTI DESIGNAZIONE Sgarlato Salvatore ( Associazione Venatoria ) Salvatore Romeo ( Associazione Venatoria ) Alfonso Verdiglione ( Associazione Venatoria ) Bruno Zema ( Associazione Venatoria ) Demartino Mario ( Associazione Venatoria ) Ferdinando Muscatello ( Associazione Agricola ) Santino Lucà ( Associazione Agricola ) Antonio Marrapodi ( Associazione Agricola ) Giuseppe Remo Lauro ( Associazione Agricola ) Vincenzo Lentini ( Associazione Agricola ) Pietro Audino ( Associazione Agricola ) Marilene E.L. Bonavita ( Associazione di Protezione Ambientale ) Maria Rosa D’Agostino ( Associazione di Protezione Ambientale ) Giuseppe Trimarchi ( Associazione di Protezione Ambientale ) Giuseppe Ursino ( Associazione di Protezione Ambientale ) Pietro Multari Associazione A.N.C.I. Francesco Cutugno Associazione A.N.C.I. Sergio Filippone rappresentante Amministrazione Provinciale CONSIGLIO ESECUTIVO Giuseppe Angiò Presidente Domenico Linarello Vice Presidente Pietro Multari Vice Presidente Salvatore Romeo Segretario Vincenzo Lentini Componente

Appare evidente la presenza di tutte le Componenti, per come previsto dalla L.R. 9/96 art.13 comma 6 e dal regolamento Regionale di attuazione degli Ambiti territoriali di Caccia, art.2 punto2 lettere (a,b,c,d, e,) e punto 4, tutto ciò rende il comitato legittimo, per rendere proficua la discussione sulle varie tematiche: il confronto, anche se con finalità diverse sugli stessi obiettivi, porta sempre a esiti positivi.

 

 

Fig. 23 ‐ Mappa degli Ambiti Territoriali di Caccia A.T.C.RC1 e A.T.C.RC2 

A.T.C. RC1 - Superficie HA 191.654

Il territorio di competenza dell’ATC RC1 coincide con gli ambiti destinati alla caccia programmata ricadenti nei 58 seguenti comuni: Anoia, Bagaladi, Bagnara Calabra, Bova, Bova Marina,Brancaleone, Calanna, CampoCalabro,Candidoni, Cardeto,Cinquefrondi, Cittanova,Condofuri, Cosoleto, Delianuova, Feroleto della Chiesa, Fiumara, Galatro, Giffone, Gioia Tauro, Laganadi, Laureana di Borrello, Maropati, Melicuccà, Melicucco, Melito Porto Salvo, Molochio, Montebello Ionico, Motta San Giovanni, Oppido Mamertina, Palizzi, Palmi, Polistena, Reggio Calabria,Rizziconi, Roccaforte del Greco, Roghudi, Rosarno, San Ferdinando, San Giorgio Morgeto,San Lorenzo, San Pietro di Caridà, San Procopio, San Roberto, Santa Cristina d’Aspromonte, Sant’Alessio d’Aspromonte, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Santo Stefano in Aspromonte, Scido, Scilla, Seminara, Serrata, Sinopoli, Staiti, Taurianova, Terranova Sappo Minulio, Varapodio e Villa San Giovanni.

Tab. 58 – Cacciatori e squadre specialistiche ATC RC1 

A.T.C. RC1 Numero di Cacciatori Aderenti 11723

Squadre specialistiche ( Cinghiale ) 96

Numero Cacciatori 2362

A.T.C. - Superficie RC2 HA 115.054

 

 

Il territorio di competenza dell’ATC RC1 1 coincide con gli ambiti destinati alla caccia programmata ricadenti nei 39 seguenti comuni: Africo, Agnana Calabra, Antonimina, Ardore, Benestare, Bianco, Bivongi, Bovalino, Bruzzano Zeffirio, Camini, Canolo, Caraffa del Bianco, Careri, Casignana, Caulonia, Camini, Ferruzzano, Gerace, Gioiosa ionica, Grotteria, Locri, Mammola, Marina di Gioiosa Ionica, Martone, Monasterace, Pazzano, Placanica, Platì, Portigliola, Riace, Roccella Ionica, Samo, San Giovanni di Gerce, San Luca, Sant’Agata del Bianco, Sant’Ilario dello Ionio, Siderno Stignanoe Stilo.

Tab. 59 – Cacciatori e squadre specialistiche ATC RC1 

A.T.C. RC2 Numero di Cacciatori Aderenti 3519

Squadre specialistiche ( Cinghiale ) 33

Numero Cacciatori 701

3.7.8.1  Modalità di gestione degli ATC L’art 13 della legge regionale n. 9/1996, indica che la gestione degli ambiti territoriali di caccia sia affidata ad appositi Comitati i cui compiti rivestono una valenza pubblica per la rilevanza dei fini perseguiti, nell’ambito della programmazione delle attività faunistico-venatorie previste dalla legge 157/1992 e definite dal piano faunistico venatorio regionale e provinciale.

Lo stesso art.13, al comma 6, stabilisce che i componenti del Comitato sono nominati dal Presidente della Provincia.

I compiti dei Comitati sono i seguenti:

- deliberano in ordine all’accesso all’ambito di competenza;

- promuovono ed organizzano le attività di ricognizione delle risorse ambientali e della consistenza faunistica predisponendo programmi di intervento nonché indagini ed azioni inerenti:

o presenze faunistiche e i prelievi venatori

o censimenti e monitoraggi faunistici

o tutela della fauna selvatica

o incremento delle popolazioni animali selvatiche

o difesa delle colture

o promozione di eventuali limitazioni e azioni di razionalizzazione del prelievo venatorio per forme di caccia specifiche.

- istituiscono e regolamentano le zone di rispetto venatorio

- provvedono all’attribuzione di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per:

o ricostituzione di una presenza faunistica ottimale per il territorio

o coltivazioni per l’alimentazione naturale dei mammiferi e degli uccelli

o ripristino delle zone umide e dei fossati

o differenziazione delle colture

o impianto di siepi, cespugli, alberi adatti alla nidificazione

o tutela dei nidi e dei nuovi nati di fauna selvatica nonché dei riproduttori

 

 

- collaborano operativamente ai fini della tabellazione, della difesa preventiva delle coltivazioni, della pasturazione invernale degli animali in difficoltà, della manutenzione degli apprestamenti della fauna selvatica

- erogano i contributi per il risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica e dall’esercizio dell’attività venatoria e per la prevenzione dei danni.

Il Regolamento Regionale n. 536 del 21 Luglio 2003, di attuazione della legge regionale 9/1996, prevede che l’organo di gestione dell’ATC sia il Comitato di gestione.

Il Comitato si dota di uno statuto conforme al modello predisposto dalla Regione.

L’art. 2 parte seconda del Regolamento individua le competenze del Comitato indicando, oltre a quelle già precisate dalla Legge anche:

- la gestione faunistico-venatoria degli ungulati

- l’espressione del parere in forma obbligatoria sulle proposte di Piano Faunistico-Venatorio Provinciale

- la destinazione, fino al raggiungimento delle densità ottimali, delle quote di iscrizione ad operazioni di ripopolamento, reintroduzione di galliformi, lagomorfi e ungulati.

Dal quadro normativo cosi delineato si evince che gli ambiti territoriali sono quelle parti di territorio agro-silvo - pastorale destinato alla caccia programmata e che tali ambiti devono essere gestiti da Comitati.

La norma individua anche i compiti senza però specificarne la natura.

Tra l’altro la legge regionale indica i compiti delle province demandando alle stesse le funzioni amministrative generali riguardanti “la vigilanza e il controllo delle relative attività” e in particolare per i comitati degli ATC “la rispondenza tra attività svolte, direttive impartite e fondi erogati”.

Quindi si può ritenere che il Comitato di gestione svolge compiti di diretto rilievo pubblicistico in quanto:

- la legge nazionale prevede l’istituzione degli ambiti territoriali come entità fisiche definiti nei piani faunistici regionali e gestiti da comitati

- la legge regionale assegna ai comitati funzioni di “rilevanza pubblica”, e la competenza della Provincia riguarda la rispondenza delle attività svolte con le direttive impartite e con le finalità per le quali i fondi sono stati erogati, tale aspetto è una manifestazione tipica di un potere di vigilanza e controllo dell’Ente pubblico locale sovraordinato ai Comitati, a conferma del vincolo di scopo “pubblicistico” al quale l’attività dei comitati di gestione è sottoposta.

I Comitati si trovano a gestire fondi di varia natura:

- di tipo pubblico, quelli trasmessi dalla provincia per finalità specifiche

- di tipo privato , quelli dei cacciatori che hanno però, sempre, finalità di interesse generale, pertanto l’attività è sempre orientata a fini pubblici e si svolge secondo regole e principi che sono tipicamente pubblicistici.

Pertanto i Comitati pur non configurandosi persone giuridiche di diritto pubblico perseguono finalità di interesse generale.

Con l’attuale normativa il legislatore considera i Comitati come strutture di collegamento tra l’Ente locale, Provincia, ed i soggetti che a vario titolo sono titolari di interessi propri ed interessati nella regolamentazione del territorio agro-silvo-pastorale che è destinato all’attività venatoria ( caccia programmata).

Per quanto riguarda la natura giuridica dei Comitati la Regione non la definisce in quanto considera che non sia da accogliere né il modello interamente privatistico né quello interamente pubblico e cioè una forma intermedia tra pubblico e privato.

 

 

Ciò è evidenziato anche per quanto riguarda gli aspetti relativi all’acquisto di beni e servizi, infatti la Regione con proprio regolamento sottopone i comitati ad una procedura specifica per l’acquisto di beni e servizi che è quella disciplinata dall'art. 13 punto 1 e 2 del Regolamento Regionale.

Per ciò che attiene al controllo della Provincia sugli ATC occorre rilevare che alla Provincia spetta il controllo sui conti e sulla regolarità delle procedure amministrative, controllo di tipo sindacale, svolte dagli ATC .

La Provincia ha inoltre il compito di un controllo “rigoroso e mirato” sul rispetto delle direttive impartite e fondi erogati e attività svolte ( art 13, comma 6, LR 9/96 e art. 14 del Regolamento Regionale) ed una funzione di controllo generale su tutte le attività dei Comitati in relazione agli strumenti di programmazione faunistico-venatoria Provinciali e regionali.

GESTIONE AMMINISTRATIVA Gestione finanziaria degli A.T.C. Bilancio di previsione

1. Le entrate degli A.T.C. sono costituite dalle seguenti fonti:

a) quote di partecipazione dei cacciatori ammessi, previste dal comma 1 lettere a, b,c,d dell’art. 12 del Regolamento Regionale n°536 del 21/07/2003;

b) contributi della Regione per il perseguimento dei fini istituzionali;

c) contributi della Regione e della Provincia, su progetti finalizzati al raggiungimento di obiettivi della pianificazione faunistica territoriale presentati dal Comitato di gestione;

d) contributi della Provincia destinati al risarcimento e alla prevenzione dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica e dall’esercizio venatorio;

e) eventuali contributi di altri soggetti pubblici o privati;

f) altre entrate.

2. Il Comitato di gestione predispone ed approva entro il 30 settembre di ogni anno il bilancio di previsione relativo all’esercizio successivo .

3. L’esercizio finanziario ha la durata di un anno e coincide con l’anno solare.

4. Nel bilancio degli A.T.C. debbono essere iscritte tutte le entrate e tutte le spese; è vietata la gestione di fondi fuori bilancio.

5. Le entrate debbono essere iscritte al bilancio separatamente, secondo la loro natura e provenienza; le entrate corrispondenti a contributi per progetti finalizzati debbono essere evidenziate distintamente per ciascun progetto.

6. Le spese debbono essere classificate per categorie, evidenziando la loro destinazione;

7. In particolare, debbono essere indicate:

a) le spese per l’acquisto di beni durevoli;

b) le spese per il personale;

c) le spese di gestione e di funzionamento (godimento e manutenzione dei locali; utenza di servizi; uso e manutenzione di automezzi e altri strumenti tecnici, etc);

d) le spese per l’allevamento e l’immissione di fauna selvatica e quelle per il controllo e il prelievo della stessa;

e) le spese per il miglioramento ambientale;

f) le spese per la vigilanza;

g) le spese per la prevenzione dei danni cagionati dalla fauna selvatica e dalla attività venatoria;

h) le spese per l’erogazione di contributi per il risarcimento dei danni;

i) le spese per la predisposizione e l’attuazione di progetti finalizzati;

 

 

l) altre spese.

8. I progetti finalizzati predisposti dagli ATC debbono essere coerenti con il piano faunistico regionale provinciale.

9. I progetti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi del programma annuale di gestione debbono essere presentati alla Provincia entro il 30 settembre dell'anno antecedente a quello relativi dell'intervento.

10. L’approvazione da parte dell’Ente è condizione per l’iscrizione al bilancio del contributo e della spesa corrispondente.

11. Ogni Comitato di gestione ha facoltà di spesa nei limiti della disponibilità di bilancio.

12. Il bilancio deve essere previsto a pareggio.

13. I componenti del Comitato di gestione rispondono personalmente per le spese non previste a Bilancio e per importi eccedenti quelli autorizzati.

Rendiconto tecnico e finanziario

1. Il Comitato di gestione provvede ad approvare e trasmettere alla Provincia entro il 30 Aprile di ogni anno il bilancio consuntivo relativo all’esercizio precedente con la relazione di accompagnamento, la nota integrativa e la relazione contabile del collegio dei Revisori.

2. Il rendiconto comprende il conto finanziario ed il conto patrimoniale.

3. Allo stesso deve essere allegata una relazione sullo stato di attuazione dei programmi e progetti dell’A.T.C..

4. Per i progetti finalizzati per i quali siano stati erogati contributi da parte della Provincia, i predetti documenti debbono fornire specifica indicazione circa l’utilizzo dei contributi stessi e i risultati conseguiti.

5. Il rendiconto corredato dai relativi allegati è trasmesso in copia alla Regione.

Controllo contabile

1. I Comitati di gestione degli ATC hanno la facoltà di istituire al loro interno un organo di controllo amministrativo – contabile la cui composizione, nomina, compiti e responsabilità sono disciplinati dallo statuto. Le spese relative al tale organo sono a carico del Comitato di gestione.

2. La Regione e la Provincia esercitano il controllo sull’utilizzo dei contributi regionali relativi ai fini istituzionali, alla realizzazione di progetti speciali, nonché al pagamento dei danni provocati dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria alle colture agricole.

3. La Provincia si riserva la facoltà di effettuare controlli e verifiche anche a campione, sulla regolarità della gestione amministrativo – contabile degli ATC.

4. In caso di riscontrate gravi irregolarità contabili, la Provincia dispone la sospensione dell'erogazione dei finanziamenti in corso, nonché il rimborso di quelli già erogati fatte salve altre azioni per la tutela dell'interesse dell'Amministrazione, il Presidente della Provincia con proprio decreto ed ai sensi della L.R. 39/95 dichiara decaduto il Comitato di Gestione inadempiente e alla contestuale nomina di un Commissario straordinario con poteri limitati nel tempo ai sensi della Legge 444/94.

GESTIONE TECNICA Metodi e tecniche di gestione

L'attività gestionale all’interno degli ATC dovrebbe concretizzarsi in alcuni interventi da definirsi attraverso i Piani di gestione.

Aspetto organizzativo

Sotto il profilo organizzativo la redazione dei Piani di gestione degli ATC dovrà prestare particolare attenzione all'approfondimento dei seguenti aspetti:

 

 

• individuazione dei distretti territoriali omogenei interni ai singoli ATC, con descrizione delle caratteristiche ambientali e delle specifiche attività e modalità di gestione da attuare in ciascuno di essi;

• individuazione di personale addetto all'attuazione delle attività gestionali (tale personale dovrà avere una formazione adeguata alla tipologia di mansioni da svolgere).;

All'interno di ciascun distretto dovranno essere individuate, sulla base dell'analisi delle caratteristiche territoriali e delle vocazioni per le specie di interesse cinegetico, delle aree apposite in cui concentrare gli interventi di miglioramento ambientale e i contributi ai conduttori agricoli per azioni in favore della fauna selvatica.

Prassi gestionale

La prassi gestionale in ciascun ATC non può prescindere dal perseguimento di precisi obbiettivi definiti sulla base delle indicazioni dettate dal Piano faunistico-venatorio provinciale. La gestione degli ATC dovrà contribuire ad integrare l’approccio faunistico venatorio con la tutela e la conservazione della fauna selvatica, nel rispetto formale e sostanziale delle Direttive e Convenzioni internazionali e degli strumenti di recepimento a livello nazionale e regionale. Tale contributo dovrà realizzarsi attraverso il rispetto delle misure di conservazione degli habitat e, soprattutto, delle specie non oggetto di prelievo venatorio (definite ad es. dai Piani di gestione dei siti della Rete Ecologica Europea “Natura 2000”, dai Piani d’azione predisposti a livello internazionale e nazionale, dai calendari venatori, ecc.), il miglioramento degli habitat delle specie d’interesse comunitario, la salvaguardia delle specie autoctone e/o in cattivo stato di conservazione e un progressivo sviluppo del prelievo venatorio sulla base di criteri biologicamente sostenibili. In relazione a quest’ultimo aspetto, i prelievi dovranno essere monitorati sistematicamente e commisurati alla presenza faunistica, intesa come patrimonio della comunità internazionale e nazionale da salvaguardare, nell’ottica del ripristino degli equilibri biologici tipici dei diversi ambienti naturali.

In altri termini obiettivo primario dei Piani di gestione degli ATC dovrà essere quello di far coincidere fauna reale e fauna potenziale di un territorio, attraverso appropriati interventi di miglioramento ambientale e una serie di provvedimenti che prevedano di mantenere sotto stretto controllo la mortalità indotta dall'uomo (attraverso l’esercizio venatorio) a carico della fauna selvatica cacciabile, in maniera che non ecceda l'incremento utile annuo delle popolazioni.

Tale approccio implica:

• la definizione dal quadro faunistico espresso dal territorio, vale a dire informazioni precise e dettagliate sulla distribuzione, l'effettiva densità e, per alcune specie, la struttura dei popolamenti faunistici nell'ambito di ciascun ATC, ottenibili attraverso appropriati censimenti o valutazione critica di indici di abbondanza relativa e il controllo sistematico dei carnieri;

• la definizione di densità obiettivo compatibili con la capacità portante dell'ambiente per ciascuna delle specie di interesse gestionale (sensu lato); essa dovrà tener conto di parametri zoogeografici e gestionali compatibili, per alcune specie, come ad esempio il cinghiale, con le esigenze di tutela del comparto primario (densità agro-forestali, intese come massime densità raggiungibili senza che si verifichino danni intollerabili alle coltivazioni e alle piantagioni o al rinnovo forestale);

• la conoscenza dei Piani di gestione e delle misure di tutela dei siti della Rete Natura 2000 insistenti sul territorio degli ATC;

• la conoscenza degli habitat e delle specie d’interesse comunitario presenti sul territorio;

• l’attivazione di sinergie gestionali con gli Organi di gestione delle Aree protette confinanti;

• un costante rapporto di collaborazione con l’Ammnistrazione Provinciale, anche per ciò che concerne le sinergie da attivare per il conseguimento degli obiettivi che competono alla predetta Ammnistrazione (es. gestione delle Oasi, delle ZRC, Piani di controllo, ecc.).

Censimenti.

 

 

I medodi e le tecniche di valutazione quantitativa delle popolazioni degli animali selvatici sono numerosi e diversi in dipendenza delle specie oggetto di indagine, degli ambienti in cui ci si trova ad operare, del grado di precisione che ci si attende e dello sforzo che è possibile mettere in atto.

Oltre che utile per la pianificazione dei prelievi su base sostenibile e la definizione dei carnieri giornalieri ed annuali ammissibili per stagione venatoria, la valutazione quantitativa delle popolazioni oggetto di gestione è indispensabile anche per valutare l’efficacia degli interventi gestionali (miglioramenti ambientali, ripopolamenti, lotta al bracconaggio, ecc.) e quindi, determinarne l'efficacia in relazione ai costi sostenuti. Ai fini della pianificazione faunistica i censimenti sono importanti per il conseguimento delle “densità obiettivo” per le singole specie stanziali (in particolare); a tal fine si farà riferimento alle seguenti categorie:

- nessuna presenza (densità uguale a zero);

- bassa densità = da valori di densità uguale a zero a valori estremamente ridotti e comunque sempre abbondantemente al di sotto dei valori di densità biotica;

- media densità = da valori di densità bassa a valori di alta densità, ma comunque inferiori ai valori massimi che la specie può raggiungere in un dato contesto ambientale (densità biotica);

- alta densità = valori di densità che per le specie non problematiche possono risultare anche vicini a quelli della densità biotica, mentre per tutte le specie in grado di produrre danni alle produzioni agricole risultano entro il limite della densità agro-forestale locale e pertanto inferiori ai valori potenziali della specie.

I censimenti e le attività di monitoraggio devono essere pianificati e condotti da personale esperto con la collaborazione di coadiutori espressamente formati (cacciatori, Guardie provinciali e di quanti sono interessati alla fauna selvatica) e avverranno di norma su base campionaria opportunamente pianificata.

Tutti i dati raccolti dovranno confluire in apposite benche dati che saranno allestite presso i Comitati di gestione dei singoli ATC e l’Ammnistrazione Provinciale.

Pianificazione del prelievo.

La pianificazione del prelievo a carico delle specie stanziali inserite nell'elenco delle specie cacciabili, appare di fondamentale importanza per la conservazione di popolazioni autonome e vitali. Tale pianificazione deve quindi fondarsi sulle specifiche condizioni ambientali e sul loro grado di idoneità per le singole specie (vocazione faunistica), sullo status delle rispettive popolazioni, nonché sul cosiddetto "incremento utile annuo", deducibile dal confronto dei dati relativi ai censimenti di anni successivi.

Per un approccio teorico alla pianificazione del prelievo si consideri che l'incremento utile annuo non è un termine costante, ma variabile nel tempo; esso si annulla quando la popolazione ha raggiunto il limite della capacità recettiva del territorio. Pertanto, nell'utilizzo venatorio di una popolazione di animali selvatici non è conveniente raggiungere tale limite: il massimo rendimento si osserva infatti a livelli inferiori, corrispondenti al punto di flesso della curva logistica di crescita di una popolazione. Non è comunque prudente fissare il livello di densità della popolazione in corrispondenza di tale valore, bensì in un punto intermedio tra quest'ultimo e quello di saturazione, tutelandosi in tal modo nei confronti di andamenti stagionali particolarmente sfavorevoli, epidemie, o altri fattori di limitazione naturale.

Nei capitoli dedicati ai criteri di gestione delle singole specie saranno illustrate le procedure ritenute più idonee per una pratica programmazione del prelievo.

Una innovazione così sostanziale nei criteri di gestione faunistico-venatoria richiede ovviamente un'applicazione graduale attraverso fasi successive (anche per specie: ad es. la lepre europea si presta per una "gestione pilota"), che pur anticipando i principi della futura gestione, utilizzi in concreto gli attuali strumenti opportunamente adattati.

Pertanto, in una fase di breve-medio termine il prelievo venatorio dovrebbe fondarsi, oltre che su opportune indagini relative alla consistenza locale delle diverse specie, su una programmazione che almeno abbia come termine di riferimento la serie dei carnieri pregressi (da valutarsi attraverso

 

 

lo spoglio dei tesserini) nei singoli ATC e la loro tendenza nel tempo. A tal fine il tesserino venatorio individuale dovrà essere predisposto in formato idoneo allo scopo (un esempio è indicato nel “Documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunistico-venatoria”, di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157, art. 10, comma 11). Tutto ciò a prescindere dalla eventuale possibilità di errori per difetto di annotazioni. Tale approccio minimale sembra, al momento, l'unico concretamente adottabile per la generalità delle specie stanziali presenti nella provincia di Reggio Calabria. Esso dovrà peraltro essere opportunamente affiancato, non appena possibile, da rilevazioni più approfondite.A regime il piano di abbattimento dovrà essere definito per ogni specie stanziale e frazionato nel territorio in funzione della disponibilità di ambienti idonei alla specie considerata e dei risultati dei censimenti locali.

Per le specie migratrici dovranno essere definiti carnieri individuali e stagionali ispirati ad una gestione su base conservazionistica delle specie, compatibilmente con le disposizioni previste attraverso il calendario venatorio dalla Regione Calabria.

A livello dei singoli ATC dovrà essere considerata, in seguito ai risultati dei censimenti, la necessità di sospensione della caccia (per ogni specie) e le limitazioni di tempi e luoghi.

Reintroduzioni e ripopolamenti.

Tutti gli interventi di ripopolamento e di reintroduzione da effettuare dovranno essere preventivamente autorizzati dall’Amministrazione Provinciale anche attraverso l’approvazione dei Piani di gestione degli ATC medesimi. Le reintroduzioni di specie autoctone dovranno essere precedute da un Piano di fattibilità e da un Piano di reintroduzione approvato dalla Provincia.

Le reintroduzioni e i ripopolamenti, dovranno essere organizzati dagli ATC con l’ausilio di (strutture d’ambientamento) soprattutto nel caso di utilizzo di esemplari allevati.

Per la scelta degli animali da utilizzare i Comitati di gestione degli ATC potranno avvalersi del personale tecnico dell'Amministrazione Provinciale.

È comunque fatto divieto a chiunque di effettuare l’introduzione di specie alloctone in natura.

Di seguito vengono riportate le indicazioni per le attività inerenti le specie di interesse conservazionistico e quelle di interesse faunistico-venatorio.

Specie di interesse conservazionistico

La liberazione di esemplari riabilitati presso i Centri di recupero di specie di interesse conservazionistico potrà essere autorizzata a seguito della presentazione di un’apposita richiesta all'Amministrazione Provinciale. Per eventuali reintroduzioni inerenti le medesime specie dovrà essere predisposto un apposito progetto, redatto da un operatore tecnico faunistico esperto come riconosciuto o da personale laureato con comprovata esperienza professionale nella gestione faunistica. E’ fatta salva la necessità, in relazione alle specie di cui all’Allegato della Direttiva 43/92/CEE “Habitat”, di autorizzazione da parte del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Dovranno comunque essere utilizzati soggetti geneticamente compatibili con quelli presenti sul territorio o che abbiano caratteristiche genetiche analoghe alla popolazione precedentemente presente nel territorio provinciale.

Tutti gli interventi dovranno garantire la conservazione delle caratteristiche genetiche della popolazione originaria.

L'autorizzazione verrà rilasciata a seguito di parere positivo dell'ISPRA e qualora il progetto dimostri l'utilità della liberazione per il miglioramento dello stato di conservazione della popolazione presente in natura o, nel caso di reintroduzione, qualora venga dimostrata l'importanza dell'intervento in una strategia nazionale di conservazione della specie (es. Piano d’azione nazionale). I modi e i tempi di attuazione saranno valutati in base alle caratteristiche delle singole specie oggetto di intervento, in modo da garantire il rispetto dei cicli biologici della singola specie e l'ottimizzazione della riuscita delle liberazioni.

Le tecniche di monitoraggio dovranno essere esplicitamente previste nel progetto e dovranno essere adeguate alle caratteristiche eco-etologiche della specie.

 

 

Nel progetto di reintroduzione dovrà essere indicato esplicitamente il responsabile tecnico-scientifico dello stesso che garantirà sull'effettiva attuazione di quanto previsto.

Qualora verifiche sullo stato di attuazione del progetto evidenziassero discrepanze con quanto preventivato, l'autorizzazione verrà revocata ad opera dell'Amministrazione Provinciale con la conseguente sospensione di tutte le attività non ancora attuate.

Al termine del periodo progettuale, dovrà essere consegnata all'Amministrazione Provinciale una Relazione Consuntiva con la descrizione dettagliata delle azioni attuate e dei risultati conseguiti.

Specie di interesse venatorio

La pratica del ripopolamento per fini meramente venatori coinvolge sempre problematiche di vario tipo, tra cui quelle genetiche, comportamentali e sanitarie, che possono alterare la condizione delle popolazioni preesistenti. Ad esempio nel caso della coturnice la liberazione di consistenti quantitativi di animali allevati, spesso appartenenti a forme ibride con la coturnice orientale o riferibili geneticamente alla popolazione alpina, ha determinato un vero e proprio inquinamento genetico delle popolazioni locali dell’Appennino, con grave rischio per la loro sopravvivenza. Anche l'utilizzo di animali allevati con criteri intensivi da numerose generazioni pone seri problemi. La selezione artificiale più o meno volontariamente operata negli allevamenti industriali (ad es. il fagiano e la starna) altera il patrimonio genetico dei ceppi allevati, con effetti negativi sulla capacità di adattamento degli esemplari alla vita in natura. Anche gli aspetti comportamentali su base non genetica sono fortemente condizionati dall'allevamento artificiale, che può interferire pesantemente su caratteristiche quali l'imprinting, i legami familiari di gruppo, l'eco-etologia alimentare, le strategie di difesa nei confronti dei predatori ecc. In fine, gli aspetti sanitari propri degli animali allevati in maniera intensiva (patologie favorite dal sovraffollamento), oltre a limitare la capacità di sopravvivenza dei soggetti allevati, possono determinare la diffusione di agenti patogeni tra le residue popolazioni naturali conspecifiche o di specie affini.

A queste cause di fondo, legate all'insuccesso sostanziale dei ripopolamenti ai fini della ricostituzione di popolazioni caratterizzate da una normale riproduzione in natura, si sommano motivazioni legate alle modalità pratiche d’intervento, come la mancata rimozione dei fattori responsabili della rarefazione delle popolazioni naturali, i tempi e le modalità di rilascio spesso impropri. Tra le prime cause un ruolo essenziale è ricoperto dalla elevata pressione venatoria e da un certo appiattimento rispetto alla qualità dell’esercizio venatorio offerto. Per queste ragioni il superamento graduale degli attuali criteri di gestione (ripopolamento) della piccola selvaggina stanziale non potrà avvenire senza il diretto coinvolgimento dei cacciatori nella gestione. In mancanza di tale coinvolgimento, ogni azione di riequilibrio faunistico è destinata al fallimento. In altre parole occorre trasformare il singolo cacciatore da semplice fruitore della selvaggina in oculato e cosciente gestore di essa. D’altra parte gli stessi risultati dei ripopolamenti troppo spesso non vengono valutati in maniera critica e, di conseguenza, gli errori si perpetuano nel tempo, con ripercussioni negative sia sul piano biologico che su quello gestionale ed economico.

Alla luce di quanto sopra evidenziato si può affermare come soprattutto la pratica del cosiddetto ripopolamento “pronta-caccia” debba essere evitata (può svilupparsi all’interno delle Aziende agri-turistico-venatorie di poche centinaia di ettari).

In ogni caso negli ATC le attività di ripopolamento dovranno essere sospese in data successiva al 31 agosto di ogni anno. Per quanto riguarda l’origine degli esemplari utilizzabili dovrà essere preferita quella della cattura nelle ZRC o nei centri pubblici e privati di produzione della fauna selvatica allo stato naturale insistenti sul medesimo territorio o provenienti da allevamenti locali.

Le immissioni all’interno delle zone protette possono essere sostanzialmente di due tipi:

Reintroduzioni.

Si definisce reintroduzione l’immissione di individui di una specie autoctona presente in tempi storici recenti e attualmente estinta, o localmente o sull’intero areale di distribuzione.

Ripopolamenti:

 

 

Si definisce ripopolamento l’immissione di individui di una specie autoctona ancora localmente presente ma con livelli di popolazione molto bassi.

Le immissioni all’interno delle zone protette devono essere effettuate solamente per quelle specie per le quali il territorio è definito idoneo sulla base delle risultanze della carta delle vocazioni faunistiche (o carta delle potenzialità faunistiche).

Tutti i tipi di zone protette possono in teoria essere utilizzati per le reintroduzioni, ma, considerato che perché queste operazioni abbiano successo sono necessarie superfici protette di dimensioni medio-grandi, le ZRC e i Centri Pubblici di Riproduzione della Fauna Selvatica sono da considerarsi le zone protette più adatte allo scopo.

Per quanto riguarda i ripopolamenti, se il loro scopo è quello di ristabilire densità ottimali per popolazioni in declino, allora possono essere effettuati in tutti i tipi di zone protette; in particolare in quelle di nuova o recentissima istituzione, per raggiungere rapidamente consistenze pari alla capacità portante del territorio.

Al contrario, se il ripopolamento è un’operazione di routine che serve a ripopolare il territorio destinato all’attività venatoria, per questo scopo possono essere destinate le ZRV di piccole dimensioni che funzionerebbero, in questo caso, come aree d’ambientamento per la selvaggina allevata.

Le immissioni nelle zone protette possono essere effettuate con animali selvatici traslocati da altre zone protette dove le popolazioni sono più abbondanti, oppure con individui allevati.

In quest’ultimo caso, è necessario, per aumentare la sopravvivenza e ridurre la dispersione, che ogni zona protetta sia dotata di almeno una struttura d’ambientamento, preferibilmente un recinto a cielo aperto di 1-2 ha contenente voliere coperte da rete di nylon.

Nel caso di immissioni di lepri d’allevamento, i recinti d’ambientamento devono essere di dimensioni maggiori.

La costruzione di strutture di ambientamento (voliere, recinti, ecc.) è un supporto assolutamente necessario per garantire il successo delle immissioni, attraverso una riduzione della mortalità da ambientamento e della dispersione, cui tipicamente vanno incontro gli animali immessi in zone a loro sconosciute.

Queste strutture vanno costruite e posizionate sotto la guida di esperti in modo che rispondano a tutti i requisiti di sicurezza, efficienza ed economicità.

Le strutture di ambientamento vanno inoltre sorvegliate strettamente dal personale di vigilanza destinato alla zona protetta in modo da prevenire atti di bracconaggio e vandalismo e distruzioni dovute a cani e gatti randagi

Istituzione di zone di rispetto.

L’istituzione di “zone di rispetto” sarà subordinata all’eventuale autorizzazione da parte degli Organi competenti. Questi istituti potranno essere organizzati a livello di ATC e ricadere in ambienti idonei con perimetrazione razionale.

Dovrà essere posta particolare attenzione alle caratteristiche di vocazionalità del territorio per ciascuna specie.

Interventi di miglioramento ambientale e limitazione delle perdite

La normativa vigente prevede espressamente che negli Ambiti territoriali di caccia il Comitato Direttivo programmi interventi per il miglioramento degli habitat e provveda anche all'attribuzione di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per la coltivazione di alimenti naturali in favore dei selvatici, il ripristino di zone umide, la differenziazione delle colture, l'apprestamento di siepi, cespugli, alberi adatti alla nidificazione (art.14, comma 11, legge n. 157/92).

Sebbene obiettivo dei miglioramenti ambientali sia quello di indurre un generalizzato incremento della diversità e della densità delle zoocenosi in maniera duratura nel tempo, nel contesto specifico degli ATC può risultare opportuno prevedere, in via prioritaria, il ricorso ad interventi di ripristino ambientale più mirati, finalizzandoli all'incremento di specie di interesse venatorio.

 

 

Nei territori ove obiettivo della gestione faunistica sia l'incremento della presenza di selvaggina naturale, il recupero e il ripristino di situazioni ambientali compromesse costituisce un importante strumento cui riservare primaria attenzione. Ciò anche in considerazione del fatto che, a fronte di investimenti finanziari anche consistenti, necessari per la realizzazione dell'intervento, i risultati positivi ottenuti sotto un profilo faunistico generale, e quindi non solo venatorio, potranno essere notevoli e protratti nel tempo.

Va da sé che tali interventi ideati in un’ottica di incremento della fauna selvatica oggetto di caccia, non andranno effettuati all’interno dei siti della Rete Ecologica Europea “Natura 2000”, nella quale vigono norme proprie detatte da specifici Piani di gestione, di competenza dell’Organo gestore.

Si deve comunque considerare che gli interventi di cui trattasi consentono di assicurare anche un generale miglioramento delle condizioni ecologiche complessive, inducendo ulteriori ripercussioni positive di non trascurabile importanza sia dal punto di vista faunistico, sia sotto il profilo agronomico, paesaggistico, estetico e culturale.

Le tipologie d'intervento cui fare ricorso possono essere distinte in due gruppi principali:

- quelle orientate al potenziamento di dotazioni ambientali;

- quelle indirizzate al contenimento dei fattori di mortalità e di disturbo.

Del primo gruppo fanno parte gli interventi volti all'incremento di:

- disponibilità alimentari. Si tratta generalmente del principale fattore limitante la densità degli animali selvatici, soprattutto nel corso del periodo invernale. Gli interventi attuabili in questo ambito possono riguardare la produzione naturale di alimento, destinando porzioni di territorio a colture "a perdere" di essenze particolarmente appetite (scelta generalmente da preferirsi), oppure il foraggiamento artificiale;

- siti di rifugio e micro-ambienti adatti alla riproduzione. Un'adeguata dotazione di ambienti di rifugio e di riproduzione risulta elemento fondamentale per la permanenza di animali selvatici in un determinato territorio (particolarmente nelle zone ad agricoltura intensiva). All'incremento di tali ambienti, che in genere non richiedono particolari interventi gestionali, possono utilmente contribuire le tare colturali, ed aree altrimenti non utilizzate (scarpate di strade e cavedagne, zone "marginali", basi dei tralicci di elettrodotti, arginature di canali e corsi d'acqua, ecc.) purchè lasciate il più possibile tranquille soprattutto durante il periodo riproduttivo;

- disponibilità idrica. La carenza di acqua può costituire un fattore limitante la permanenza di alcune specie selvatiche in relazione alla disponibilità complessiva e alla distribuzione sul territorio delle fonti idriche durante la stagione estiva. Per alcune specie, soprattutto nei comprensori interessati da periodi estivi particolarmente siccitosi, la carenza di sufficienti fonti idriche può costituire un fattore limitante. In questi casi appare opportuno predisporre punti di raccolta d'acqua in numero sufficiente.

I miglioramenti ambientali dovranno di fatto essere organizzati e attuati prevalentemente su terreni privati, per cui è estremamente importante instaurare un rapporto diretto e costruttivo tra agricoltori e i responsabili locali della gestione degli ATC. La collaborazione potrà opportunamente avvenire anche riconoscendo alle imprese agricole un ruolo di multifunzionalità.

Per la realizzazione degli interventi di cui trattasi di norma i Comitati di gestione ATC predisporranno specifici bandi pubblici.

Per ciò che riguarda invece il contenimento dei fattori di mortalità e di disturbo vanno ricordati in particolare:

- alcune pratiche agricole particolarmente dannose. Diverse tecniche colturali di uso consolidato, soprattutto nelle aree interessate da un'agricoltura industrializzata, risultano assai nocive nei confronti della fauna selvatica. A questo proposito vanno citati l'impiego di alcune sostanze chimiche di comprovata tossicità, lo sfalcio dei foraggi eseguito nel corso di particolari periodi stagionali coincidenti con le fasi riproduttive di alcune specie, la mietitura dei cereali e la pratica della bruciatura delle stoppie;

 

 

- le fonti trofiche artificiali. La presenza di fonti trofiche di origine antropica (es. macro- e micro-discariche non controllate, rifiuti di allevamenti intensivi, ecc.) presenti in quantità elevate, con distribuzione puntiforme e facilmente reperibili ed utilizzabili da parte di alcune specie selvatiche cosiddette opportuniste, costituisce un innaturale fattore di alterazione degli equilibri interspecifici delle zoocenosi. Le specie in grado di trarre vantaggio da queste situazioni (cornacchia, gazza, gabbiani, volpe, ecc.), possono rapidamente incrementare il numero degli effettivi ed esercitare un'accresciuta interferenza nei confronti di altre specie selvatiche;

- la presenza di infrastrutture e manufatti. L'elevata e capillare antropizzazione del territorio è stata accompagnata dall'incremento del numero di strade, autostrade, ferrovie, canali, elettrodotti che spesso costituiscono barriere fisiche difficilmente superabili da parte di diverse specie selvatiche. Ciò comporta evidenti risvolti negativi, sia a causa delle perdite dirette (investimenti, elettrocuzione) attribuibili alla presenza di queste infrastrutture, sia per via dell'interruzione della continuità fisica del territorio con conseguente ostacolo alla naturale espansione dell'areale di alcune specie e l'innaturale confinamento di diverse popolazioni (recinzioni, ecc.). Anche la realizzazione di impianti a fonti energetiche rinnovabili, quali gli impianti eolici, ove realizzati in punti strategici per il transito dei migratori (valichi, crinali, costa), specialmente nella provincia di Reggio Calabria, nella quale si constata una formidabile concentrazione delle cosiddette “rotte di migrazione” dell’avifauna (in particolare a ridosso dello Stretto e delle altre aree strategicamente importanti), possono indurre una grave perturbazione e importanti perdite di esemplari anche apparteneti a specie rare o molto rare minacciate d’estinzione. Di conseguenza i processi autorizzativi degli impianti di tale natura dovranno attentamente considerare, anche dopo periodi di monitoraggio diurno e notturno di durata almeno annuale, l’impatto sulla fauna selvatica e le specie migratrici in particolare, escludendo quelli che vadano ad interessare siti strategicamente così importanti per il flusso dei migratori. Lo stesso progetto del ponte sullo Stretto, per quanto di competenza dell’Ammnistrazione Provinciale di Reggio Calabria, rappresenta di per sé un rischio potenziale sotto il profilo della conservazione del patrimonio faunistico e va attentamente considerato. L’importanza dell’opera in progetto ed il consegnente potenziale impatto a carico delle diverse componenti ambientali, tra cui la fauna selvatica, spingono l’Ammnistrazione Provinciale, che peraltro non dispone al momento di elementi sufficienti per una valutazione definitiva della materia, ad attenersi ai risultati delle valutazioni di impatto ambientale che verranno formulate dagli organismi competenti. L’Ammnistrazione Provinciale ritiene comunque necessario che siano adottate tutte le soluzioni idonee a limitare l’incidenza sull’ambiente e la fauna, nonché il mantenimento di un costante monitoraggio.

Nelle fasce di pianura e di collina intensamente coltivata di prioritaria importanza, soprattutto all’interno di zone protette, sono gli interventi tesi a diversificare l’ambiente e a fornire possibilità di rifugio e alimentazione alle specie di piccola selvaggina. In tal senso, per rompere i blocchi di monocolture, è importante ricostituire piccole zone a vegetazione naturale o filari e siepi stratificate a divisione degli appezzamenti. Altro intervento importante per favorire le popolazioni di fauna stanziale è quello della predisposizione, all’interno dei campi, di strisce in cui non venga effettuato il raccolto, garantendo anche in questo modo rifugio e alimentazione. Per la porzione collinare meno coltivata della provincia, il problema si presenta in modo esattamente opposto. Infatti, le zone ancora coltivate sono in questa fascia altimetrica molto ridotte e, tra queste, ancor meno sono le aree destinate alle coltivazioni a rotazione (cereali e foraggiere). D'altra parte l'importanza delle coltivazioni per le specie di piccola selvaggina (Galliformi e Lagomorfi) è stata evidenziata da moltissime ricerche scientifiche su questo argomento. Si ritiene, perciò, che sia della massima importanza intervenire all'interno delle zone protette, coltivando i terreni attualmente abbandonati e ripristinando così, almeno parzialmente, le condizioni di diversità ambientale e di produttività primaria del territorio che hanno favorito lo sviluppo delle popolazioni di piccola selvaggina fino alla metà di questo secolo. In particolare dovranno essere coltivati, tra i cereali, frumento ed orzo e, tra le foraggiere, erba medica e trifoglio.

 

 

Occorre inoltre che i metodi di lavorazione siano quelli tradizionali con arature, semina, concimazioni e i tempi di raccolta siano programmati in modo da non causare perdite di nidi, uova e giovani nati. Per quanto riguarda i cereali, dopo la mietitura, le stoppie dovranno essere lasciate per tutta l’estate, fino al momento della successiva semina; gli appezzamenti coltivati a foraggiere, dovranno essere periodicamente tagliati per garantire una buona qualità di foraggio per le lepri.

Organizzazione della vigilanza

Oltre al ruolo della Polizia Provinciale, segnatamente per quanto riguarda la materia faunistico-venatoria, che la Provincia s’impegna a ripristinare almeno rispetto ai livelli d’organico in essere nel 1997, ogni ATC dovrà coordinare un numero congruo di “guardiacaccia” volontari, che operino al suo interno, in relazione alla sua estensione.

Tale potrà anche basarsi, compatibilmente con le norme statutarie, di figure professionali addette alla vigilanza alle dipendenze dell'Comitato di gestione dell’ATC.

In questo settore il personale volontario coordinato dall’ATC dovrebbe avere un compito di controllo sulle attività promosse e finanziate dall’ ATC, di supporto tecnico per le attività di gestione fauinistica e di sorveglianza antibracconaggio, in collaborazione con la vigilanza provinciale.

Vigilanza

L'attività di vigilanza è uno degli interventi di routine più importanti della gestione faunistico venatoria. Se la vigilanza non è efficace tutti gli altri interventi vengono vanificati.

La vigilanza dovrebbe essere completamente a carico delle guardie dipendenti dall'Amministrazione Provinciale, le quali potrebbero fare affidamento, in casi particolari, su guardie venatorie volontarie, guardie ecologiche, guardie degli ATC e anche cacciatori.

La o le guardie devono essere completamente responsabili di quanto avviene nel territorio loro assegnato e devono occuparsi della programmazione e dell'attuazione di tutti gli interventi gestionali previsti.

Un’alternativa è quella di affidare la vigilanza ad operatori specializzati dipendenti dagli ATC, evitando, comunque che un compito così delicato venga svolto da volontari,senza il necessario coordinamento da parte della Provincia o degli ATC.

Organizzazione del coordinamento provinciale del servizio di vigilanza volontaria venatoria.

La Provincia di Reggio Calabria, al fine di valorizzare e favorire lo sviluppo della funzione del volontariato per la salvaguardia del patrimonio ambientale, faunistico e ittico,dovrebbe promuovere l’informazione sulla legislazione vigente, prevenire le violazioni ed esercitare il Coordinamento delle GG.GG.VV. Venatorie-Ittiche-Ecologiche, dovrebbe dotarsi di un Regolamento, nel rispetto ed ai sensi dell’art. 19 L.R. 9/96, per l’organizzazione della Vigilanza Venatoria sul territorio provinciale ricadente nei due A.T.C, e potrebbe essere così articolato

1. Funzioni

Le Guardie Giurate Volontarie operano nel rispetto della normativa vigente di cui all’art. 27 comma 1 lettera b della Legge N. 157 dell’11 Febbraio 1992: Esercizio delle funzioni di Polizia Amministrativa, svolgono prevalentemente l’attività di vigilanza e controllo nell’ambito delle disposizioni di legge in riferimento ai quali l’Associazione di appartenenza ha richiesto alla Provincia la nomina a Guardia Giurata e coordinate dal Comando del Corpo di Polizia Provinciale.

Le GG.GG.VV. durante l’espletamento della loro attività rivestono la qualifica di Pubblici Ufficiali, fermo restando gli obblighi di cui all’art. 331 del Codice di Procedura Penale, svolgono funzioni di Polizia amministrativa nell’ambito della normativa in riferimento alla quale è stato rilasciato il riconoscimento di Guardia Giurata.

Le GG.GG.VV., ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 689/81, “ sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono, per l’accertamento delle violazioni di rispettiva competenza, assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica”.

 

 

2. Nomine e rapporto giuridico

Fermo restando i requisiti previsti dall’art. 138 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza approvato con R.D. n. 773 del 18/06/1931 la qualifica di guardia ittica, venatoria o ecologica può essere concessa ai cittadini in possesso di attestato di idoneità rilasciato dalla Regione, previa partecipazione al corso e superamento di apposito esame come previsto dall’art. 19 comma 2 della L.R. n. 9/96.

La domanda va presentata alla Provincia per il tramite dell’Associazione di appartenenza.

Il Corpo di Polizia provinciale istruisce le pratiche e, previa verifica dei requisiti procede, con atto del Presidente della Provincia, alla nomina o al rinnovo annuale della stessa. L’espletamento del servizio di vigilanza volontaria, anche se richiesto o programmato dagli A.T.C., dal corpo di Polizia provinciale non da luogo a costituzione di rapporto di pubblico impiego o, comunque, di lavoro subordinato o autonomo, essendo prestato a titolo gratuito.

3. Registro delle guardie giurate volontarie ittiche, venatorie ed ecologiche

Presso la sede del Corpo di Polizia Provinciale viene tenuto l’apposito registro delle guardie giurate volontarie ittiche, venatorie ed ecologiche ove, per ogni guardia, viene annotato quanto segue:

dati anagrafici e di residenza;

a) gli estremi della nomina e dei successivi rinnovi;

b) l’associazione di appartenenza,

c) titoli e corsi di perfezionamento e/o aggiornamento;

d) servizi prestati.

4. Comitato di Coordinamento

Al fine di garantire un effettivo e costante collegamento tra la Provincia e le GG.GG.VV., verrà istituito un Comitato di Coordinamento ( Comandante Corpo di Polizia Provinciale, Il Dirigente del Servizio Caccia e Pesca e A.T.C. ) con il compito di predisporre un programma annuale delle attività delle guardie e di verificare periodicamente l’efficacia dello stesso. Esso è composto da:

a) dal comandante degli agenti di Polizia Provinciale

b) dal Dirigente del Servizio Caccia e Pesca;

c) da un rappresentate degli A.T.C.;

d) un istruttore amministrativo del Servizio Caccia e Pesca, che svolge anche le funzioni di segretario verbalizzante;

e) un rappresentante di ciascuna Associazione, che abbia almeno una GG.GG.VV. iscritta nel registro di cui al precedente art. 4, in qualità di responsabile delle GG.GG.VV. della stessa.

La presidenza del comitato viene assunta dal Comandante del Corpo di Polizia provinciale ed in sua assenza dal coordinatore della Polizia Provinciale. Le decisioni del Comitato vengono prese a maggioranza dei presenti. Il Comitato si riunisce periodicamente ed elabora, entro il 31 gennaio di ogni anno, un programma di massima per l’utilizzo delle GG.GG.VV.. Alle riunioni, in relazione agli argomenti trattati, potranno essere chiamati a partecipare esperti di altri corpi e/o enti, Associazioni e rappresentanti di altre autorità o della stessa Provincia.

5. Organizzazione vigilanza

Il prospetto dei servizi attuativi del programma annuale deve essere trasmesso, con cadenza mensile, dal responsabile dell’Associazione all’interno del Comitato di coordinamento almeno dieci giorni prima dell’inizio del mese, al Corpo di Polizia Provinciale. può richiedere modifiche ai prospetti predisposti dalle singole Associazioni in seguito ad esigenze di controllo del territorio.

 

 

I prospetti inviati dalle associazioni si intendono approvati qualora non intervengano richieste di modifica entro l’inizio del mese di riferimento. Potranno essere predisposti servizi congiunti tra GG.GG.VV. unitamente al personale della Polizia Provinciale.

Nell’ambito delle attività svolte congiuntamente con il personale della Polizia Provinciale, fatte salve le specifiche autorizzazioni e limitazioni di legge, le GG.GG.VV. dovranno utilizzare mezzi propri e utilizzare le proprie dotazioni strumentali. Resta in ogni caso salva la facoltà da parte del Corpo di Polizia Provinciale di attivare direttamente, o tramite il Responsabile dell’Associazione in seno al Comitato di Coordinamento, personale volontario per la realizzazione di interventi urgenti.

Le relazioni di servizio delle GG.GG.VV., dovranno essere vistate dai rispettivi Responsabili delle Associazioni e trasmesse al Comando della Polizia Provinciale, anche via fax, entro cinque giorni dal servizio svolto, contestualmente tutti i risultati di vigilanza verranno anche trasmessi all’Osservatorio Faunistico provinciale, quale Istituto strumentale preposto al monitoraggio del piano Faunistico Venatorio.

Il Comitato di Coordinamento si attiverà per consentire la possibilità di trasmettere le eventuali variazioni e quant’altro necessario, anche con sistemi telematici telefonici.

6. Attività, compiti e norme di comportamento

Nello svolgimento delle proprie attività le Guardie Volontarie sono tenute ad osservare scrupolosamente tutte le norme in materia, le modalità previste dal presente atto.

Le Guardie Volontarie sono inoltre tenute a:

• assicurare le ore di servizio annuali previste nella convenzione che sarà predisposta dopo l’istituzione del Comitato di coordinamento;

• rivolgersi all’utenza durante i servizi qualificandosi con chiarezza ed esibendo sempre il tesserino di riconoscimento;

• effettuare le contestazioni nel rispetto della legge 689/81. art.13 e compilare in modo chiaro e completo i verbali, le relazioni di servizio e ogni eventuale atto previsto su modelli che saranno appositamente predisposti dal la Polizia provinciale;

• La o le guardie devono essere completamente responsabili di quanto avviene nel territorio loro assegnato e devono occuparsi della programmazione e dell'attuazione di tutti gli interventi gestionali previsti.

• usare con cura i mezzi e l’attrezzatura in dotazione;

• indossare la divisa e gli altri simboli di riconoscimento di cui all’articolo 9; osservare strettamente il segreto d’ufficio servizi di vigilanza predisposti dal Comitato di Coordinamento dovranno essere svolti in coppia.

Le GG.GG.VV. non possono svolgere, servizi di propria iniziativa o per incarico dell’Associazione di appartenenza al di fuori delle attività programmate ad eccezione di comprovate ed urgenti necessità di intervenire in presenza di violazioni di norme purché venga data comunicazione tempestiva al servizio reperibilità della Polizia Provinciale.

Ogni GG.GG.VV. è sempre e comunque personalmente responsabile penalmente dell’attività svolta.

7. Uniforme e segni d’identità

Le Guardie Giurate Volontarie, quando sono in servizio, devono vestire l’uniforme prevista dall’Associazione di appartenenza la quale deve essere chiaramente differenziata da quella della Polizia Provinciale.

8. Divieti

Alle Guardie Volontarie Venatorie è vietato l’esercizio venatorio nel periodo temporale di esercizio delle proprie funzioni (art.19, comma 3, L.R. 9/96).

 

 

Nello svolgimento dei propri compiti la Guardia Volontaria non può essere armata anche se regolarmente autorizzata al porto d’armi.

9. Sanzioni

Fermo restando il mantenimento dei requisiti previsti dall’art.138 del T.U. delle leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con R.D. n.773 del 18.06.1931, alla Guardia Giurata Volontaria che commetta infrazioni in materia di caccia, pesca e ambiente, viene immediatamente ritirata la tessera di nomina, sarà poi compito del Comitato di Coordinamento proporre l’entità della sanzione definitiva da adottare (sospensione fino a 2 anni o revoca definitiva). La sospensione o revoca definitiva sono disposte dal Presidente della provincia, su proposta del Comitato di Coordinamento, anche in caso di comprovata e persistente inattività della GG.GG.VV

Pressione venatoria

Deve essere calibrata in funzione delle caratteristiche ambientali di ogni ATC e della produttività media delle popolazioni di selvaggina, tenendo conto delle differenze di produttività che esistono per la stessa specie in situazioni ambientali differenti.

E' in ogni modo importante che al cacciatore sia data la possibilità di prelievi annui soddisfacenti.

All'interno dei singoli ATC dovrebbe essere fissato il rapporto cacciatore-territorio in funzione della produttività delle popolazioni di selvaggina.

Per ogni ATC, inoltre, dovrebbe essere fissato un numero chiuso di cacciatori, garantendo però l'accettazione di tutti i residenti qualora questi fossero in numero eccedente, per superare ciò si può ipotizzare un protocollo d’intesa tra gli A.T.C. RC1 e RC2, che permetterà ai cacciatori interessati di andare indifferentemente nell’uno e nell’altro per un massimo di 30 giornate di caccia, incluse le eventuali preaperture, con o senza alcun onere aggiuntivo. . L’interscambio previsto e concordato permetterebbe l’abbassamento ed un riequilibrio alla pressione venatoria vista la differenza di cacciatori residenti nei 2 Ambiti Territoriali ( riferimento P. 2.3.3.1 tab. ); Un ulteriore provvedimento atto a razionalizzare la pressione venatoria, consiste nella specializzazione del cacciatore.

Allo stato si possono ipotizzare leseguenti specializzazioni:

1. Caccia alla selvaggina stanziale e migratoria col cane da ferma

2. Caccia alla lepre comune col cane da seguita

3. Caccia al cinghiale col cane da seguita

4. Caccia di selezione agli ungulati (necessita di una regolamentazione regionale)

5. Caccia alla selvaggina migratoria da appostamento

I cacciatori potrebbero essere autorizzati a scegliere non più di due tipi di caccia.

Le specializzazioni sopra specificate, andrebbero opportunamente e per competenza, regolamentate dalla Regione Calabria.

Catture

Il prelievo tramite cattura potrà essere effettuato solamente all'interno delle Zone di Ripopolamento e Cattura e dei Centri pubblici di Riproduzione della Fauna Selvatica se dati in gestione agli ATC ed eventualmente nelle Zone di Rispetto Venatorio se autorizzate dalla Regione, ed ha come scopo il trasferimento degli individui catturati ad altre zone sia per ripopolamento sia per reintroduzione.

E' di fondamentale importanza che le catture vengano fatte solamente quando le popolazioni sono sviluppate a tal punto da non risentire dell'asportazione di un certo numero di animali.

 

 

Per questo motivo non è possibile o, comunque, può risultare fortemente negativo, programmare catture senza avere a disposizione i dati dei censimenti.

Sia la decisione se effettuare o no catture, sia l'entità di queste debbono dipendere strettamente dai risultati dei censimenti.

In particolare il prelievo non deve mai superare la differenza tra il tasso di natalità e la mortalità invernale.

Per motivi di salvaguardia dei contingenti immessi è bene che l'attività di cattura sia prevista sempre dopo la chiusra della caccia e che termini al massimo alla fine del mese di gennaio (lepre) o febbraio (fagiano).

I metodi di cattura utilizzabili dipendono dalla specie e dalle caratteristiche delle zone in cui si opera.

In generale per i Galliformi è bene utilizzare delle gabbie trappola o a nassa, previo adeguato foraggiamento.

Per le lepri il metodo è quello della cattura con reti a tramaglio nelle quali gli animali vengono sosspinti dai battitori eventualmente con l’ausilio di cani perfettamente addestrati.

Monitoraggio sanitario

Negli ultimi decenni l’espansione delle attività antropiche e la continua crescita delle popolazioni di animali a vita libera, in particolar modo di ungulati, ha creato un continuum tra fauna selvatica, animali domestici e uomo. Tale continuità favorisce la diffusione di malattie comuni o emergenti, non solo negli animali, ma anche nell’uomo. Non deve quindi sorprendere il fatto che più del 70% delle patologie emergenti (o ri-emergenti) nell’uomo siano dovute all’azione di reservoir degli animali selvatici. Da ricordare che con il termine emergenti, si definiscono quelle patologie che appaiono per la prima volta in una popolazione o che, seppur presenti, rapidamente aumentano la propria mobilità e diffusione geografica. I fattori che più spesso contribuiscono a determinare questo cambiamento sono le alterazioni dell’ecosistema, le movimentazione di patogeni o dei loro vettori, per cause umane o naturali, le modificazioni ( mutazioni, cambi di virulenza ) degli agenti patogeni e lo sviluppo delle tecniche diagnostiche per la ricerca. La situazione descritta esprime il comune stato sanitario europeo, il quale ha spinto, già da qualche anno, ad intraprendere positive esperienze di monitoraggi sanitari anche sul nostro territorio, malgrado fossero il più delle volte condotti solo in situazioni d’emergenza, acquisendo quindi un carattere di sporadicità e incompletezza. Alla luce di questa realtà, l’Istituto Zoo-Proofilattico, l’A.S.P., la Provincia e gli l’A.T.C. si fanno promotori di un monitoraggio sanitario della fauna selvatica in provincia di Reggio Calabria che sia di tipo attivo, preventivo e possibilmente continuativo negli anni. Le implicazioni ed i risultati derivanti da queste attività di controllo e monitoraggio sul territorio trovano il loro campo d’azione anche in termini di salute pubblica, ma soprattutto nella gestione e conservazione delle popolazioni selvatiche, così da delineare un nuov concetto di “gestione integrata”, dove la gestione sanitaria possa trovare il peso che effettivamente gli spetta e possa essere integrata con la gestione territoriale e faunistico-venatoria. Inoltre, l’acquisizione di informazioni sullo stato sanitario attuale delle popolazioni animali a vita libera porterà, se ripetuta negli anni, alla definizione di serie storiche di dati, elemento fondamentale per una corretta valutazione del rischio sanitario per le popolazioni domestiche e per l’uomo. Nel tentativo di rendere il più completo possibile il lavoro così da non tralasciare aree, specie animali o patologie il monitoraggio è articolato in modo da avere dei protocolli standard per le specie oggetto di prelievo venatorio e prevede controlli sanitari sia su animali selvatici movimentati, su quelli ritrovati morti sul territorio ma anche e soprattutto sui soggetti provenienti a prelievo venatorio, anche al fine di un corretto e sicuro utilizzo delle carni di selvaggina a scopo alimentare. Il piano viene svolto in accordo tra Ambiti Territoriali di Caccia, Provincia di Reggio Calabria, Polizia provinciale e Servizi Veterinari delle ASL. I cacciatori sono i veri protagonisti di questa nuova ed ambiziosa iniziativa, ed a loro è richiesto di collaborare alla realizzazione di questo progetto, non per ordine delle autorità o per compiacere le istituzioni, ma per la sopravvivenza e la sostenibilità della passione che li anima, affinchè acquisiscano la consapevolezza trasformazione da “cacciatori raccoglitori” a “cacciatori gestori” del territorio e degli animali. Consapevoli delle difficoltà che questo passo culturale

 

 

richiede, i promotori credono come garanzia alla sensibilità, e la forza di volontà che contraddistingue il mondo venatorio.

Vengono di seguito riportati per ciascuna specie i campioni richiesti, il materiale distribuito e le modalità di conferimento.

Lepre (Lepus europaeus): Accertamenti diagnostici su lepri abbattute durante la stagione venatoria

- Campioni richiesti

1.Corata completa (trachea, polmoni, cuore, fegato, milza, intestino)

2.Piccola quantità di sangue (dalla ferita aperta) su carta bibula

3.Marca auricolare dell’animale se presente

4.Zecche e pulci, se presenti sulla Carcassa

5.Scheda di conferimento da compilare in ogni sua parte per ogni animale abbattuto

- Materiali distribuiti agli operatori

1.Foglietto esplicativo l’iniziativa, sacchetto di cellophane piccolo per la raccolta della corata e grande per riporre campioni e scheda

2.Scheda di conferimento animali selvatici

3.Contenitore in plastica contenente striscia di carta bibula da imbibire di sangue.

- Modalità di consegna

1.I cacciatori sono tenuti, dopo il prelievo dei campioni, a deporre il materiale richiesto nei congelatori e successivamente consegnare loro i kit di raccolta all’Istituto Zooprofilattico.

Monitoraggio delle lepri di cattura

Le indagini sierologiche su soggetti catturati a scopo di ripopolamento va applicata uguale prassi della Lepre europea.

Fagiano (Phasianus colchicus): Viene analizzato un campione di animali per ogni partita prima del rilascio. Sulle carcasse, consegnate integre all’Istituto Zooprofilattico o A.S.P. viene effettuata la ricerca di s stanze inibenti e batteriologica (in particolare per Salmonella spp.) e la ricerca di parassiti intestinali che potrebbero essere trasmessi agli animali a vita libera.

Accertamenti diagnostici su animali

- Campioni richiesti

1.Carcassa integra

- Modalità di consegna

1.Conferire i capi alla Sezione dell’Istituto Zooprofilattico o A.S.P..

Vigilanza

A che ciò avvenga alcuni giorni prima della liberazione dei fagiani sul territorio così che possano essere effettuati i dovuti accertamenti sanitari.

Volpe (Vulpes vulpes): La volpe è considerata il miglior indicatore di presenza di Rabbia e Trichinella spp. sul territorio. Ne risulta che le informazioni sanitarie ottenibili da questi animali sono essenziali.

Accertamenti diagnostici su animali abbattuti

- Campioni richiesti

1.Carcassa integra in contenitori idonei in modo da evitare la fuoriuscita di liquidi

 

 

2.Scheda di conferimento di animali selvatici da compilare in ogni sua parte per ogni animale abbattuto

Cinghiale (Sus scrofa): Accertamenti diagnostici su cinghiali abbattute durante la stagione venatoria

- Campioni richiesti

1.60 grammi di muscolo, quindi minimo 100 grammi di “carne” (massetere o pilastri del diaframma) per l’esame di ricerca della Trichinella spp.

2.La corata completa (cuore, polmoni, fegato, milza e pacchetto intestinale); ove non possibile, 50 grammi di feci

3.Rene e vescica

4.Testa intera così da permettere una valutazione anatomopatologica dei linfonodi della regione del collo

5.Provetta contenente 10 ml di sangue per l’esecuzione degli esami sierologici

6.Zecche, se presenti sulla carcassa

7.Scheda di conferimento da compilare in ogni sua parte per ogni animale abbattuto.

- Materiali distribuiti agli operatori

1.Scheda di conferimento animali selvatici

2. Provette da 20 ml per il prelievo di sangue

- Modalità di consegna

1.L’organizzazione del monitoraggio si basa (capi area, capisquadra,cacciatori). Sono i capisquadra ad impegnarsi nella corretta esecuzione dei prelievi, nel compilare correttamente la schede di accompagnamento e ad interfacciarsi con la Sezione dell’Istituto Zooprofilattico o l’A.S.P., per quanto concerne i risultati delle analisi. I capi squadra, o delegati di questi, sono tenuti, dopo il prelievo dei campioni, a conferire il materiale alla Sezione Diagnostica dell’I Zooprofilattico o dll’A.S.P il più presto possibile.

2.Ciascun campione deve essere identificato sulla scheda di conferimento con il numero di fascetta corrispondente all’animale abbattuto

3.Gli organi prelevati vanno posti singolarmente in appositi sacchetti di plastica o in altri contenitori idonei e chiusi in modo tale da evitare la fuoriuscita di materiale

4.Il consumo della carne degli animali è subordinato all’esito dell’esame per la ricerca della Trichinella.

Controllo numerico di specie dannose

Con l'istituzione di zone protette, di qualunque tipo esse siano, possono verificarsi vere e proprie esplosioni numeriche di specie che esulano dagli obiettivi di protezione e che ad alte densità causano notevoli danni, soprattutto alle attività agricole, anche all’esterno delle aree protette.

Alcune specie inoltre possono avere un'influenza negativa su altre che si vogliono salvaguardare.

Questi improvvisi incrementi sono causati dalla cessazione di ogni tipo di attività venatoria e dallo spostamento e concentrazione degli animali all'interno delle zone protette dove non sono disturbati.

Una specie per la quale sono state verificate queste modalità di occupazione e colonizzazione degli ambiti protetti è il Cinghiale che allo stesso tempo è quella che ha il maggior impatto sulle attività agricole.

Per questi motivi, qualora si sia accertato, attraverso i censimenti e la segnalazioni di danni concretamente documentabili, la sussistenza di densità reali delle popolazioni superiori a quelle potranno essere predisposti Piani di controllo numerico da parte della Provincia, previo parere Tale

 

 

tipo di intervento potrà essere effettuato soprattutto in base alle richieste degli agricoltori, quando vengano accertati reali e consistenti danneggiamenti alle coltivazioni.

Per stabilire, modalità del controllo specialmente sul cinghiale bisogna stabilire:

1. Se i danni sono tollerabili;

La valutazione complessiva degli impatti causati dal cinghiale e degli elementi di conflitto in gioco non devono essere tralasciati gli aspetti positivi connessi della presenza del suide in un’area protetta. Il cinghiale è un elemento tipico della fauna autoctona italiana che arrichisce gli ecosistemi di una presenza importante sotto molteplici aspetti. Tra gli aspetti positivi connessi alla presenza del cinghiale può essere citato il ruolo della specie riveste come base trofica per grandi carnivori. Studi recenti hanno messo in luce come il cinghiale rappresenti la principale base alimentare per il lupo in diversi contesti geografici ed ecologici italiani. Non è probabilmente un caso il progressivo incremento nella distribuzione del lupo lungo la catena appenninica negli ultimi trent’anni abbia fatto seguito all’analogo incremento che ha caratterizzato le popolazioni di cinghiale. L’attuale situazione numerica e distributiva dei Cervidi nell’Italia appenninica risulta ancora piuttosto carente rispetto alle potenzialità e rispetto all’attuale situazione del cinghiale, che in molte aree si presenta come principale, se non l’unica, potenziale preda tra gli ungulati selvatici come nello specifico rappresenta la situazione del territorio della provincia reggina.

Troppo spesso ci propone di affrontare” il problema cinghiale”, o altri problemi di gestione faunistica nelle aree protette, senza che le stesse si siano dotate degli strumenti di programmazione che definiscono obiettivi di medio- lungo termine in questo specifico settore. Senza una programmazione chiara e dettagliata degli obiettivi ciascuna decisione non trova sicuri punti di riferimento, rischia di venire presa sulla base delle spinte contingenti e di produrre azioni che, nel migliorare dei casi, tamponano per breve tempo il problema ma non lo risolvono.

2. Definizione delle tecniche standardizzate di monitoraggio;

a) la tipologia, la distribuzione ( spaziale e temporale ) e l’ammontare economico dei danni prodotti.

b) la tipologia, la distribuzione e l’efficacia dei sistemi di prevenzione in atto;

c) l’analisi della distribuzione de della consistenza della popolazione,

d) l’analisi dell’evoluzione della popolazione attraverso la previsione degli incrementi annui, basati su stime di produttività, in termini di fruttificazione, delle essenze orestali fondamentali come risorse trofiche ( Quercus spp., Fagus sylvatica, Castanea sativa 9;

e) l’analisi dell’impatto del cinghiale sul” problema danni” basata su un confronto delle informazioni relative ai danni prodotti e allo status della popolazione.

3. Per affrontare i problemi posti dalla presenza del cinghiale esistono diversi strumenti:

• L’indennizzo monetario dei danni;

• La protezione delle colture passibili di danneggiamento con recinzioni di diverso tipo ( rete tradizionale in parte interrata, pastore elettrico 9;

• Il foraggiamento dissuasivo dei cinghiali all’interno delle arre boscate;

• Catture e/o abbattimenti periodici in grado di diminuire la densità della popolazione.

a) Sistemi di cattura

Nel caso del cinghiale, il sistema di cattura in grado di fornire il migliore risultato in termini di rapporto costo benefici, è quello che prevede l’uso di corral di cattura o trappole auto scattanti, dette chiusini, in cui gli animali vengono attirati con esca alimentare. L’efficienza di questo sistema di cattura dipende sostanzialmente dalla densità delle trappole attive e correttamente gestite per unità di superficie e all’offerta pabulare, in termini di quantità e qualità, prodotta dall’ambiente. Poiché tale offerta non è costante durante il ciclo annuale, l’efficienza delle trappole, varia considerevolmente a seconda delle stagioni, con picchi che tendenzialmente si collocano nella

 

 

tarda estate in ambienti di tipo mediterraneo. L’esperienza maturata in diversi contesti locali ha ampiamente dimostrato che i chiusini risultano fortemente selettivi nell’ambito delle classi sociali che compongono una popolazione di cinghiale; essi catturano in percentuale superiore alla loro presenza rossi, striati e femmine adulte ( in ordine decrescente ) mentre i maschi adulti vengono catturati assai meno di frequente. Va ricordato tuttavia che proprio gli immaturi e le femmine adulte rappresentano le classi sociali sulle quali risulta prioritario agire per controllare la dinamica di una popolazione di cinghiali e, pertanto l’azione selettiva delle trappole è in genere congruente con l’obiettivo del controllo. E possibile inoltre operare una selezione degli animali dopo la cattura, decidendo quali eliminare e quali eventualmente rilasciare.

b) Piani di abbattimento

In alternativa o in aggiunta, alla cattura possono essere adottati piani di abbattimento deo cinghiali a scopo di controllo. Le tecniche di abbattimento devono coniugare tre caratteristiche:

• Un rapporto credibile tra sforzo profuso e risultati ottenuti;

• Una buona selettività intraspecifica, tale da orientare la struttura della popolazione in modo coerente con gli obiettivi che ci si pone,

• Uno scarso disturbo alle restanti componenti delle zoocenosi.

Quest’ultimo elemento, già di per se non trascurabile nel territorio ove è permessa l’attività venatoria, diventa particolarmente rilevante in un’area protetta.

Fatte queste premesse, risulta evidente che la classica braccata con cani da seguito, normalmente utilizzata per caccia al cinghiale nel nostro Paese, mal si presta ad essere adottata come sistema di controllo del cinghiale in un’area protetta.

Il tiro con la carabina, all’aspetto e alla cerca ( anche di notte con automezzo e faro amano ), rislt risulta caratterizzato dal miglior grado di selettività e da un disturbo assai limitato; la sua efficienza è invece diretta proporzionalmente non solo allo sforzo intrapreso ( numero di ore/uomo ), ma anche alla professionalità degli operatori e all’esistenza di strutture in grado di facilitare gli abbattimenti ( altane, governe, percorsi di pirsch, ecc. ).

Un’altra tecnica di prelievo del cinghiale accettabile anche in area protetta è quella della girata. Si tratta di un sistema impiegato con relativa frequenza nei paesi d’Oltralpe e dell’Est europeo, ma ancora assai poco conosciuto in Italia, anche se recenti esperienze condotte nell’Appennino emiliano hanno provato la sua efficienza anche in alcuni dei nostri contesti ambientali. La girata effettuata dal conduttore di un unico cane che ha la specifica funzione di limiere, cioè quella di segnalare la traccia calda dei cinghiali che dopo l’attività alimentare notturna si rifugiano nei tradizionali luoghi di rimessa.

Le operazioni di prelievo dovrebbero essere effettuate avendo cura di causare il minimo disturbo possibile alle altre specie di selvaggina. Per questo motivo non saranno ammesse le battute con cani da seguita, ma l'abbattimento da postazioni fisse (altane) localizzate in siti di consueta frequentazione da parte dei cinghiali e dove, in più, gli animali vengono attirati, nei periodi di scarsità alimentare, con appositi foraggiamenti.

Gli abbattimenti dovrebbero essere condotti principalmente dalle Guardie dell'Amministrazione Provinciale, eventualmente coadiuvati dai cacciatori-agricoltori sul cui fondo si eseguano gli interventi di controllo e/o da altre figure espressamente formate ed abilitate.

La scelta degli animali da abbattere dovrà inoltre rispondere, oltre alla necessità di riduzione numerica, anche a criteri selettivi per non incorrere in problemi di destrutturazione delle popolazioni e per attuare più efficacemente il controllo e la riduzione delle popolazioni, incidendo sulle classi d’età più produttive.

Ricerca scientifica

Una delle principali attività da promuovere all'interno degli ambiti protetti è la ricerca scientifica sulla fauna selvatica. L'acquisizione di conoscenze sulla biologia della fauna è ancora più importante in Italia dove vi è una notevole carenza di tale tipo di studi.

 

 

La ricerca scientifica dovrebbe essere indirizzata ad argomenti di tipo auto ecologico e sinecologico per fornire una base oggettiva alle attività gestionali. Gli studi da privilegiare dovrebbero essere quelli inerenti la dinamica di popolazione, le preferenze di habitat, la competizione tra specie coesistenti e i rapporti prede-predatori.

Le zone protette, specie se di buona estensione, permettono di avere a disposizione territori di studio dove viene eliminata una delle più importanti e non quantificabili variabili che incidono sulle popolazioni di selvaggina: la caccia. Inoltre nelle zone protette è possibile avere il fondamentale supporto del personale di vigilanza che direttamente può raccogliere in modo continuativo una serie di dati molto utili nelle fasi di approfondimento delle ricerche.

 

 

3.8. Identificazione delle zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi (L. R. 9/96 – art.12 ) Gli indirizzi regionali per la pianificazione faunistico – venatoria provinciale stabiliscono che la Provincia individui nel Piano Faunistico – Venatorio le zone ove possono essere collocati gli appostamenti fissi con o senza l’uso di richiami vivi.

La L.R. 9/996 (articolo 12 comma 5) stabilisce che la Provincia non può rilasciare un numero di autorizzazioni per la caccia da appostamento fisso con l’uso di richiami vivi superiore a quello rilasciato nella stagione venatoria 1989 – 1990.

Poiché nell’annata 1989 – 1990 vi era un solo appostamento fisso autorizzato sul territorio provinciale, per effetto dell’articolo 12 comma 5 della L.R. 9/96, è allo stato attuale non è possibile prevederne degli ulteriori, da “inserire“ nel presente Piano Faunistico Venatorio, se non nel caso in cui si proceda a modifica dell’attuale legislazione regionale, e pertanto rimane individuato, un ( 1 ) appostamentio fisso autorizzatoin data 19/10/1987, in località “ Grazzolo “ in Agro del Comune di Oppido Mamertina ( RC )

 

Fig. 24 – Localizzazione degli appostamenti fissi sul territorio provinciale 

Tab. 60 – Specificazione degli appostamenti fissi sul territorio provinciale 

COMUNE LOCALITA’ Tipologia di Caccia A.T.C.

Oppido Mamerina Grazzolo Turdidi R.C.1

L’appostamento di cui sopra, si trova ad un altitudine di circa 600/700 metri sul livello del mare sui primi pianori che portano sull’Aspromonte fra piantagioni di ulivi, La foresta sempreverde delle quote basse è dominata dal leccio, una specie arborea moltoresistente. Alle altitudini medio-basse

 

 

(fino ai 1.000 m) sono anche molto diffusi i castagni.La caccia da appostamento fisso è una forma di caccia (qualcuno, non a torto, la paragona a una forma d’arte) molto specialistica che presuppone una stretta simbiosi tra il cacciatore e l’ambiente naturale, poiché comporta una cognizione precisa delle abitudini della fauna migratoria (nonché della sua alimentazione) e una conoscenza approfondita della vegetazione e delle risorse di cui l’ambiente dispone. Il cacciatore capannista svolge la propria attività in modo costante nell’arco dell’anno, sia per la preparazione del sito di caccia che per l’allevamento degli uccelli utilizzati come richiami. Possiamo tranquillamente affermare che la caccia da appostamento fisso, è un insieme di specializzazioni che fanno del capannista un cacciatore ma anche un coltivatore e un ornitologo-allevatore (per non parlare delle nozioni di meteorologia).

La struttura dell’capanno

Generalmente i classici appostamenti fissi di caccia alla migratoria si presentano come una struttura di alberi (solitamente a semicerchio) intorno ad un capanno di varia forma, spesso mimetizzato con arbusti e rampicanti. Gli alberi che formano il semicerchio sono piante di buttata principali, adeguamente potate nel corso dell’anno, alcune delle quali alla sommità sono completate con secconi, per favorire l’appoggio dei migratori (in particolare , tordi sasselli e cesene). Tra una pianta e l’altra vengono poste delle pertiche orizzontali con funzione di posatoi (particolarmente gradite ai merli e ai bottacci). Dalla base degli alberi al capanno si sviluppa la cosiddetta “piazza”, che è mantenuta ad erba e nella quale generalmente vengono collocati bassi cespugli di essenze gradite alla migratoria (fitolacca, ginepro, alloro, ecc).

Riassumendo quindi, nella struttura di un appostamento fisso, possiamo individuare tre spazi principali: gli alberi di buttata con i secconi e le pertiche orizzontali, la piazza e il capanno.

Alberi di buttata: generalmente vengono utilizzate piante che non hanno foglie troppo grandi, in maniera da evitare che la migratoria si nasconda dalla vista del capannista. Per la stessa ragione nel corso dell’anno il capannista procederà alla potatura e allo sfoltimento degli alberi, avendo l’accortezza di non sfoltire eccessivamente le piante. Le piante normalmente utilizzate sono il Rovere, la Roverella, i Pioppi, i Faggi, le Robinie e anche diverse piante da frutto come il Ciliegio (anche quello selvatico), il Pero, Il Melo e in taluni casi pure l’Ulivo (che benché cresca molto lentamente ha il vantaggio di avere foglie piccole e soprattutto le gustose olive tanto ricercate dai Turdidi). I secconi, ovvero i grossi rami privi di foglie che vengono issati sulle piante (utilizzando spesso appositi pali) sono generalmente fatti sporgere nella parte superiore degli alberi ma possono anche essere collocati in modo isolato e piantati direttamente in terra. Generalmente vengono utilizzati allo scopo essenze come il Faggio, il Rovere, il Noce oppure il Castagno, ovvero legni che hanno come caratteristica importante la durevolezza (in moda da non essere costretti a sostituirli ogni anno). In aggiunta ai secconi vengono utilizzate le pertiche, ovvero rami o polloni di pochi anni di Castagno, Robinia oppure Frassino, con diametro di qualche centimetro, sistemati orizzontalmente in maniera che dal capanno siano visibili contro il cielo.

Capanno: costruito in vario materiale (cemento, legno oppure pannelli di materiali isolante) solitamente viene mimetizzato con rampicanti o altri arbusti che, una volta potati, producono getti mantenuti piegati e aderenti al capanno fino a farlo avviluppare completamente.

Allo stato attuale non sono pervenute richieste di nuovi appostamenti fissi

 

 

3.9. Danni da fauna selvatica, attività di controllo faunistico, prevenzione e criteri per l’erogazione dei risarcimenti 

Per quanto concerne la possibilità di realizzare interventi di controllo (prevenzione attiva) sulle diverse specie, risulta evidente come qualsiasi decisione debba essere presa in considerazione del rapporto tra il valore conservazionistico della specie interessata e la natura e l'entità del danno arrecato, nel contesto delle densità obiettivo fissate dal PFV nei singoli Comprensori Omogenei. Il primo parametro è dato sostanzialmente dalle caratteristiche distributive, di status e di vulnerabilità della specie o della popolazione locale interessata.

D'altro canto risulta opportuno che il controllo di specie selvatiche si configuri come uno strumento gestionale in armonia con le caratteristiche e gli scopi dei vari istituti di protezione della fauna selvatica. Infatti, negli istituti di cui all’art. 10, comma 8, della legge n. 157/92, finalizzati alla produzione naturale di fauna selvatica, con le dovute cautele ed entro certi limiti, può risultare opportuno il controllo di specie a vasta distribuzione, con densità e trend di popolazione positivi, favorite dall'assetto e dall'uso del territorio dovuti dall'azione dell'Uomo, qualora queste risultino in grado di deprimere la produttività post-riproduttiva di specie di interesse venatorio (nella realtà concreta di Reggio Calabria ciò può configurarsi attualmente solo nel caso della Volpe, in quanto specie con uno status favorevole).

Lo stesso approccio non può evidentemente ritenersi corretto quando ci si trovi ad operare nell'ambito di istituti di protezione con finalità di carattere generale (Oasi).

Preme, inoltre, sottolineare come ormai sia unanimemente acquisita a livello europeo la necessità, sia dal punto di vista tecnico sia per gli aspetti etici, che gli interventi di controllo siano realizzati esclusivamente con mezzi selettivi e preliminarmente con metodi ecologici, sentito il parere dell’ISPRA, come previsto dalla normativa vigente.

A tal fine, quindi, i mezzi d'elezione sono rappresentati dalle trappole a cassetta, che consentono di catturare vivo l'animale che entra, ed il fucile (o la carabina), in quanto è l'operatore che valuta se è il caso di procedere all'abbattimento.

L'attività di prevenzione può essere anche di tipo passivo attraverso l'impiego di vari sistemi deterrenti per la fauna selvatica (dispositivi acustici e visivi di diverso tipo, repellenti, spari a salve ecc.), oppure idonei ad impedire fisicamente l'accesso ai prodotti da tutelare (recinzioni, recinti elettrificati, reticelle individuali, manicotti ecc.).

Nel caso della specie più problematica, il cinghiale, le istanze legittime ma differenti del mondo venatorio si devono infatti conciliare con una serie di provvedimenti relativi alla gestione del territorio e alla conseguente tutela delle attività agricole dai danni provocati, in riferimento alla Legge Regionale n° 9 del 17 Maggio 1996.

In sintesi, i principali interventi negli ATC dovranno basarsi principalmente sulla gestione e regolamentazione del prelievo venatorio del cinghiale. La Provincia si riserverà comunque compiti di coordinamento e la possibilità di intervento anche negli ATC per verificare la rispondenza della gestione del cinghiale rispetto agli obiettivi fissati dal PFV e delle eventuali esigenze subentrate.

Un ulteriore obiettivo sarà quello di istituire tra l’Amministrazione Provinciale e l'Ente Parco Nazionale d'Aspromonte, un tavolo operativo sull'attività di gestione del cinghiale, per coordinare al meglio le azioni di controllo numerico e la gestione della specie per le finalità di reciproco interesse.

Naturalmente la Provincia s’impegna a vietare qualsiasi ulteriore immissione di cinghiali in natura, con unica eventuale eccezione per quanto riguarda aziende agri-turistico-venatorie provviste di idonei recinti per l’abbattimento di soggetti allevati.

Vengono qui suggerite le diverse fasi di un processo logico che dovrebbe guidare l’ente gestore di un’area protetta nel decidere se è come interveniresu una popolazione di cinghiali.

Come tutte le operazioni di gestione faunistica, il controllo di una slecie selvatica dovrebbe essere deciso solo dopo:

 

 

a) un’analisi attenta delle motivazioni che stanno alla base delle richieste di intervento;

b) la validazione di tali richieste sulla base di elementi oggettivi di conoscenza,

c) la scelta delle modalità operative più opportune.

Il primo passo di questo processodecisionaleconsiste nell’esaminare la natura degli elementi di conflitto tra presenza dei cinghiali e gestione complessiva dell’area protetta, anche alla luce della loro rilevanza sotto il profilo economico e sociale.

Dovrà poi essere preso in considerazione il quadro normativo, che regola le azioni di controllo delle popolazioni animali nelle areeprotette, con attenzione sia allo spirito che al dettato delle norme vigenti.

Non meno importante risulta l’acquisizione di una sufficiente conoscenza dello status della popolazione locale di cinghiali in termini qualitativi e quantitativi.

In fine dovrà essere condotto un esame critico in merito alla concreta applicabilità delle diverse tecniche di intervento allo specifico caso che ciascuna area protetta rappresenta.

Il tutto dovrà essere racchiuso in un coerente piano di programmazione degli interventi che definisca obiettivi e azioni e ne valuti l’efficacia.

Valutazioni degli elementi di conflitto

In generale, i problemi dati dal cinghiale sono legati ai danni che questa specie produce alle colture agricole e ai pascoli. Avolte, tuttavia, possono sorgere ache problemi di intereferenza negativa con gli altri elementi delle zoocenosi naturali, è il caso per esempio della predazione da parte del cinghiale di uova e nidiacei di specie ornitiche che nidificano a terra e presentano localmente un cattivo sdtato di conservazione.

Il concetto di danno è tuttavia strettamente dipendente dal punto di vista delle diverse categorie sociali interessate. Il riconoscimento del danno è tuttavia strettamente dipendente dal punto di vista delle diverse categorie sociali interessate. Il riconoscimento e la valutazione del danno richiede pertanto la definizione a priori di un obiettivo concreto ( una condizione desiderata o un beneficio atteso 9 che possa essere confrontato con la condizione verificata in modo da determinare l’eventuale insogenza e l’entità del danno stesso.

Esistono quindi livelli di decisione:

1) Stabilire se i danni sono tollerabili o non lo sono per valutare la necessità d’intervento;

2) Definizione delle Tecniche standardizzate di monitoraggio, che nel piano faunistico di un’area protetta è necessario, più che stabilire a priori una densità di popolazione del cinghiale accettabile, definire i limiti di tollerabilità dei danni. In sintesi, dunque diventa necessario acquisire costantemente ed in maniera standardizzata tutti gli elementi di conoscenza che ci consentono di rispondere e di porre chiari obiettivi all’eventuale piano di controllo:

a) la tipologia, la distribuzione ( spaziale e temporale ) e l’ammontare economico dei danni prodotti.

b) la tipologia, la distribuzione e l’efficacia dei sistemi di prevenzione in atto;

c) l’analisi della distribuzione e della consistenza della popolazione

d) l’analisi dell’evoluzione della popolazione attraverso la previsione degli incrementi annui, basata sulle stime di produttività, in termini di fruttificazione, delle essenze forestali fondamentali come risorse trofiche (Quercus spp., Fagus sylvatica,Castanea sativa 9;

e) l’analisi dell’impatto del cinghiale sul “ problema danni” basata su un confronto delle informazioni relative ai danni prodotti e allo status della popolazione.

 

 

3) Individuazione degli obiettivi di controllo attraverso i seguenti strumenti d’intevento:

a) l’indennizzo monetario dei danni;

b) la protezione delle culture passibili di danneggiamento con recinzioni di diverso tipo ( rete tradizionale in parte interrata, pastore elettrico );

c) il foraggiamento dissuasivo dei cinghiali all’interno delle aree boscate;

d) catture e/o abbattimenti periodici in grado di diminuire la densità della popolazione.

4) Individuazione degli strumenti di controllo attraversole seguenti operazione:

a) Sistemi di cattura

b) Piani di abbattimento

c) Scelta

5) Programmazione degli interventi

Il contrllo numerico del cinghiale nelle arre protette è un argomento indubbiamente delicato per numerosi motivi legati alle finalità istitutive dei Parchi, alle oggettive difficoltà connesse ad un efficace monitoraggio delle popolazioni e del loro impatto e all’impegno necessario per operare concretamente riduzioni numeriche significative dei contingenti presenti.

Se gestite con scarsa attenzione, le operazioni prestano il fianco a molteplici critiche connesse a questioni di merito sulle motivazioni e sull’opportunità degli interventi realizzati e sulla loro reale efficacia nella riduzione dei danni.

Vi è dunque la necessità di operare all’interno di un corente piano di programmazione degli interventi che individui in modo chiaro ed esplicito l’efficacia in questo panorama gli aspetti tecnico-scientifici debbono essere affrontati con il massimo rigore e con la massima chiarezza in modo da garantire una corretta pianificazione degli interventi ed un’altrettanto correta valutazione dei risultati.

Sintesi di un piano per la programmazione degli interventi di controllo numerico del cinghiale nelle aree protette.

1) Valutazione della situazione ( corretta identificazione del problema da un punto di vista ecologico, politico e sociale)

- Analisi della distribuzione, entità ed evoluzione del danno

- Analisi della distribuzione e dell’evoluzione della popolazione di cinghiale

2) Opportunità dell’intervento

3) Individuazione dell’area di intervento

4) Quantificazione dll’intervento

- Entità e distribuzione dell’intervento

- Entità ed efficacia della prevenzione

- Monitoraggio della popolazione e degli effetti del contenimento sull’ecosistema

- Raccordo con le attività gestionali pianificate nelle aree contigue e nelle zone esterne al Parco

5) Modalità di realizzazione dell’intervento

6) Indivuduazione del personale da impiegare

7) Monitoraggio degli effetti

- Valutazione dell’efficacia degli interventi e del rischio di conseguenti possibili scenari non desiderati

8) Valutazione critica e divulgazione dei risultati

 

 

- Sviluppo di una gestione adattativa del programma nello spazio e nel tempo che riconsideri a intervalli definiti i punti 1,4 e 5

9) Pianificazione “ a regime” degli interventi.

Tab. 61  – Richieste risarcimento danni provocati dalla fauna selvatica 

COMUNI A.T.C. RC1 ANNO RICHIESTE Importo liquidato Bova Marina 2005 Richiesta di indennizzo €. 450,00

Bova Marina 2005 Richiesta di indennizzo €. 450,00

Bova 2005 Richiesta di indennizzo €. 400,00

Bova 2005 Richiesta di indennizzo €. 250,00

Galatro 2005 Richiesta di indennizzo €. 250,00

Galatro 2005 Richiesta di indennizzo €. 200,00

Galatro 2005 Richiesta di indennizzo €.1.000,00

Galatro 2005 Richiesta con esito negativo

San Pietro di Caridà 2005 Richiesta di indennizzo €.1.450,00

Maropati 2005 Richiesta di indennizzo €. 500,00

Maropati 2005 Sopralluogo esito negativo €. 500,00

Cardeto 2005 In corso di definizione

Reggio Calabria 2008 In corso di definizione

Reggio Calabria 2008 In corso di definizione

Oppido Mamertina 2008 In corso di definizione

Oppido Mamertina 2008 In corso di definizione

Bagaladi 2008 In corso di definizione

Bagnara Calabra 2008 In corso di definizione

San Pietro di Caridà 2008 In corso di definizione

San Pietro di Caridà 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

Galatro 2008 In corso di definizione

San Lorenzo 2008 In corso di definizione

San Lorenzo 2008 In corso di definizione

Scilla 2008 In corso di definizione

Bova 2008 In corso di definizione

Santo Stefano in 2009 In corso di definizione

COMUNI A.T.C. RC2 ANNO RICHIESTE Importo liquidato Samo 2007 Sopralluogo esito negativo

Canolo 2007 In corso di definizione

Bivongi 2008 Richiesta fuori termine

Bivongi 2008 Richiesta fuori termine

Totale risarcito €

 

 

Dai risarcimenti sopra specificati, in termini economici non sembrerebbe che le colture del nostro territorio siano state danneggiate in modo esagerato, ma andando a verificare le richieste di danni ancora in corso di definizione si evince che il danno è notevole;

Le colture di alimenti con alto valore energetico, concentrate in poco spazio, sono in ogni caso un'indubbia forte attrazione. Ma molti sono i fattori che concorrono a determinare il grado di utilizzo delle colture come fonte alimentare per il cinghiale e l'entità del danno. Innanzitutto esiste

una correlazione inversa tra disponibilità alimentari del bosco e danni alle colture: in anni in cui il bosco produce forti quantità di alimento, principalmente sotto forma di ghiande, il cinghiale si rivolge solo in misura ridotta alle coltivazioni, al contrario la scarsità di frutti del bosco indurrà l’animale a rivolgere la sua ricerca all’esterno. Il danno dipende anche dalla disposizione territoriale dei campi e dei boschi, dallo sviluppo del perimetro forestale, dalla vicinanza delle aree di rifugio rispetto alle colture. Alcuni ecosistemi come il nostro, grazie alle loro peculiarità, sono molto sensibili all’impatto del cinghiale; le praterie montane, ad esempio, sono fortemente danneggiate dalla attività di grufola mento della specie che provoca la distruzione dell’esiguo cotico erboso, favorendo l’erosione dei terreni con forte pendenza. La specie cinghiale rappresenta un elemento dirompente in alcuni ecosistemi estremamente delicati come quelli di alcune aree protette provinciali. Un esempio di tale effetto si osserva sui cosiddetti “lacioni” del Parco Nazionale dell’Aspromonte, depressioni che d’inverno diventano dei piccoli stagni. Questa alternanza di fasi ha indotto lo sviluppo di un ecosistema unico nel suo genere. L’eccessiva densità di cinghiali che li utilizzano frequentemente come insogli mette a repentaglio l’esistenza stessa di queste peculiari formazioni. Le aree protette svolgono durante i periodi di caccia un ruolo di rifugio per il cinghiale che vi si concentra, causando forti squilibri, per poi ridistribuirsi sul territorio nel rimanente periodo dell’anno: effetto “serbatoio”. Tale effetto viene anche definito “effetto spugna” e può verificarsi durante l’arco di ventiquattro ore. Infatti, i cinghiali passano le ore di luce al riposo e soprattutto al sicuro nelle aree “spugna” e fuoriescono durante la notte recandosi alla ricerca di cibo nelle aree limitrofe e quindi nei campi coltivati.

Dal punto di vista agricolo le colture che sono state più interessate nel territorio provinciale dai danni sono i cereali, il mais, i vigneti, patate,ortaggi in generale, oliveti e danni alle reti per la raccolta delle olive molto utilizzate nel nostro territorio .

 

 

3.9.1. Specie selvatiche e danni alle produzioni agricolo­forestali  LEPRE L’impatto maggiore si rileva a carico di frutteti e vigneti di recente impianto, attraverso la rosatura della corteccia, e di colture orticole quali cavolo (in inverno) e melone e cocomero (in estate); mentre il danno su cereali autunno-vernini può rivelarsi evidente nella fase di levata.

CINGHIALE Costituisce la specie selvatica che arreca attualmente a livello regionale la maggiore entità di danni; in ambito provinciale presenta, di fatto, una distribuzione pressoché uniforme, con la sola eccezione delle più estese fasce di pianura ad agricoltura intensiva, prive di appezzamenti boscati.Specie in grado di percorrere notevoli distanze durante la notte per la ricerca del cibo, è in grado di danneggiare ampie superfici soprattutto con l’azione di scavo del terreno sia per la ricerca del seme che di altre fonti alimentari quali Artropodi, Anellidi, micromammiferi, radici, tuberi e residui di precedenti colture.Le colture maggiormente colpite sono quelle cerealicole e foraggere, per quanto possano venire interessate anche in maniera sensibile anche colture quali a vigneto.

FAGIANO Specie prevalentemente granivora, il Fagiano denota comunque uno spettro alimentare piuttosto ampio, che può portare, in condizioni di elevata densità, alla manifestazione di danni soprattutto nei confronti delle produzioni cerealicole ed orticole, nonché di vigneti e colture a campo aperto.

COLUMBIFORMI Il Colombaccio e la Tortora dal collare orientale possono, a seconda della consistenza, provocare danni di una certa entità a colture quali frumento, soia, girasole, in fase di semina. A questi si aggiunge il comune Colombo che, seppure legato agli ambienti urbani, gravita sistematicamente nelle aree agricole con consistenze ben superiori rispetto alle due specie precedenti.

PASSERIFORMI CORVIDI

In prevalenza Gazza, Cornacchia grigia e “Corvo Comune” ( di cui non esistono accertamenti fatti, ma non si può escluderne la presenza in quanto in un recente passato la presenza era certa ) possono provocare danni alle colture cerealicole, più che in fase di semina, in fase di germinazione, nonché arrecando danni a talune colture orticole specializzate in fase di maturazione.

STURNIDI

Lo Storno successivamente al periodo della nidificazione diviene frugivoro e granivoro, privilegiando i frutteti in genere, ma soprattutto i vigneti e gli oliveti. L’entità dei danni da Storno si rende particolarmente manifesta in virtù del comportamento sociale della specie. Potendosi costituire infatti gruppi anche di alcune migliaia di individui, è possibile subire la distruzione completa del raccolto dopo un solo attacco.

PASSERIDI

I passeri, più precisamente il Passero Domestico e la Passera Mattugia, sono caratterizzati anch’essi da comportamento gregario; si rivolgono perlopiù a colture quali girasole, frumento, sorgo, in fase di maturazione.

 

 

3.9.2. Interventi di prevenzione Il problema dell’impatto sulle produzioni agricole da parte della fauna selvatica si sta rivelando, nell’ambito dell’intero territorio provinciale di Reggio Calabria, di sempre maggiore gravità. Talune specie selvatiche (cinghiale, piccoli passeriformi, corvidi, come pure gli stessi colombi), caratterizzate cioè da una più o meno spiccata plasticità ecologica (e quindi da un ampio spettro alimentare) evidenziano livelli di consistenza in progressivo aumento.

A questo riguardo è previsto dalla Regione Calabria ai sensi della L.R. 9/96 dagli art. 6 comma 2 , art. 22 comma 2 e art. 26 comma 1,2,3e 4 della Legge 157/92, i quali prevedono il finanziamento dei fondi economici e i criteri per la determinazione del risarcimento, in favore dei proprietari o conduttori dei fondi rustici, per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate sui terreni vincolati per gli scopi di cui alle lettere a), b) e c)- ( N.d.R. Oasi di protezione, zone di ripopolamento e cattura, centri pubblici di produzione della fauna selvatica allo stato naturale );

Premesso:

che l’art.10 della L. 157/92 prevede che ”tutto il territorio agro-silvo-pastorale è soggetto a pianificazione faunistico venatoria finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie, e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento della densità ottimale e alla sua conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio”;

che l’art.10, comma 8, L.157/92 stabilisce i contenuti del Piano Faunistico Venatorio Provinciale (PFVP):

a) le oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;

b) le zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l'immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all'ambientamento fino alla ricostituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio;

c) i centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di ricostituzione delle popolazioni autoctone;

d) i centri privati di riproduzione di fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, ove è vietato l'esercizio dell'attività venatoria ed è consentito il prelievo di animali allevati appartenenti a specie cacciabili da parte del titolare dell'impresa agricola, di dipendenti della stessa e di persone nominativamente indicate;

e) le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale o con l'abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili, la cui gestione può essere affidata ad associazioni venatorie e cinofile ovvero ad imprenditori agricoli singoli o associati;

f) i criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei conduttori dei fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi vincolati per gli scopi di cui alle lettere a), b), e c);

g) i criteri per la corresponsione degli incentivi in favore dei proprietari o conduttori dei fondi rustici, singoli o associati, che si impegnino alla tutela ed al ripristino degli habitat naturali e all'incremento della fauna selvatica nelle zone di cui alle lettere a) e b);

h) che la Regione Calabria destina l’utilizzazione dei proventi regionali alle Ammininistrazioni Provinciali per le finalità previste dale norme legislative sopra richiamate, questa amministrazione in adempimento a quanto stabilito dalla vigente normativa e secondo gli indirizzi, ha determinato un impegno di spesa pari ad €. 52.661,30 per far fronte alle eventuali richieste che perverranno.

 

 

Qui di seguito vengono illustrati le tipologie di intervento di prevenzione che possono essere intrapresi.

3.9.2.1. Recinzioni  La protezione meccanica delle colture si realizza mediante recinzione perimetrale dei campi coltivati ovvero mediante retini o guaine in plastica per la protezione individuale delle piante (shelter). La recinzione perimetrale trova una valida applicazione nei nuovi impianti di frutteti e vigneti, nei vivai e per tutte quelle colture ortive che sono particolarmente appetite dalla fauna, soprattutto nel periodo invernale. Rappresentano un metodo efficace per prevenire i danni da lepre o nutria. La recinzione può essere fissa, per i vivai o colture orticole che vengono ruotate sempre all’interno dello stesso appezzamento, o mobile, da riavvolgere dopo la raccolta, per colture che per motivi agronomici vengano ruotate su più appezzamenti. La rete metallica, di varia altezza (1-1,5 m) e solitamente a maglie larghe, deve essere fissata con picchetti nella parte inferiore per farla ben aderire al terreno, onde evitare che le lepri possano scalzarla e introdursi all'interno. In alternativa alla recinzione perimetrale negli impianti di colture arboree e di vivai in genere, possono essere applicate alla base di ogni pianta reti a maglia stretta o apposite guaine in plastica. Queste proteggono contro lo scorticamento causato dalle lepri soprattutto in periodi in cui la disponibilità alimentare scarseggia, cioè prevalentemente nel periodo invernale. Rispetto alla protezione perimetrale si hanno meno ostacoli ai passaggi delle macchine operatrici, rendendo di conseguenza più celere ogni tipo di intervento, ma, di contro, non si ottiene una protezione completa della pianta e viene richiesto un impiego di manodopera superiore.

Recinzione elettrificata

Questo sistema è particolarmente indicato per la prevenzione dei danni da cinghiale (e di ungulati in generale) su grandi appezzamenti, ma può essere impiegato anche per colture particolarmente appetite come orti o frutteti specializzati (es. vigneti); prima dell’installazione, dove è previsto il posizionamento della recinzione, deve essere ripulita una fascia di terreno di circa un metro e mezzo di larghezza dai cespugli e dall’erba; occorre poi mantenerla sempre pulita in modo che rami e fili d’erba non facciano massa toccando i fili della recinzione; lungo il perimetro ripulito si piazzano i pali tra i quali viene tirato il filo conduttore della corrente elettrica: questo cavo può essere un apposito filo di nylon con filamenti di metallo conduttore all’interno (meglio se bianco, maggiormente visibile dagli animali anche nelle ore crepuscolari) oppure in cavo di ferro o acciaio zincato. I pali vanno messi a una distanza l’uno dall’altro variabile a seconda del tipo di materiale del palo e di conformazione del terreno: se sono in plastica (isolati) e il terreno si presenta pianeggiante la distanza è di circa 3-4 m, se sono in legno o metallo (non isolati) può essere di qualche metro in più; quando la conformazione del terreno lo renda necessario occorre metterli più ravvicinati (vedi figura 1) e bisogna prevedere dei pali di sostegno a rinforzo degli angoli e alle estremità del recinto, in modo che venga sostenuta una buona tensione del cavo; inoltre se i pali sono in legno o metallo devono essere predisposti degli isolanti in plastica per attaccarvi il filo

 

Fig. 25 – Schema realizzativo alle recinzioni 

 

 

Le recinzione deve essere costruita in modo differenziato a seconda della specie animale: nel caso del cinghiale occorrerà utilizzare pali di circa 80-100 cm di altezza (fuori terra), con un filo a 25 cm dal suolo e un secondo a 50 cm; per il capriolo i pali dovranno essere alti circa 150-170 cm, con un terzo filo a 90 cm, un quarto a 120 cm; per portare la corrente al circuito occorre un elettrificatore a batteria (ha una durata di almeno 6 mesi, permette di elettrificare fino a 2 chilometri di recinzione a due cavi), un elettrificatore con pannello solare (permette di elettrificare fino a 5 chilometri di recinzione a due o quattro cavi) oppure un elettrificatore a corrente, il quale viene collegato direttamente alla rete elettrica ENEL 220 V (può alimentare fino a 10 chilometri di recinzione a due cavi); tutti gli apparecchi devono essere a impulso corto, per permettere una tensione elettrica nel cavo sufficiente anche in caso di messa a massa per presenza di vegetazione. La corrente elettrica nei cavi non è pericolosa per l’uomo perché è a basso amperaggio ed alto voltaggio, ma è bene non toccare i cavi a mani nude non avendo ai piedi scarpe isolanti (quelle con suola in gomma lo sono) e con il terreno bagnato; per far sì che la corrente sia presente sui diversi fili che compongono la recinzione occorre che questi vengano collegati verticalmente tra di loro con lo stesso tipo di filo conduttore alle due estremità del recinto, quando questo sia lineare e non circolare, e comunque ogni 400 m circa di percorso della recinzione; bisogna sempre prevedere un sistema che permetta il passaggio pedonale o di mezzi quando si attraversa con la recinzione un sentiero o una strada pubblica. Si possono predisporre delle maniglie isolate per poter sganciare i fili in modo rapido e sicuro oppure costruire dei cancelletti e prevedere di fare passare il filo elettrificato o molto in alto o sottoterra, dentro un cavo isolato

 

Fig. 26 – Schema relativo alle recinzioni 

se c’è il rischio che il cancello non venga richiuso o quando non sia possibile predisporne uno, si deve prevedere un ritorno della recinzione per alcune decine di metri lungo la strada o il sentiero nella direzione opposta all’area recintata; è infatti difficile che un animale selvatico si inoltri all’interno di un corridoio dalle sponde elettrificate; nel primo periodo di attivazione della recinzione occorre controllare l’intero percorso ogni giorno, per verificare l’eventuale presenza di strappi del cavo dovuti al passaggio degli animali, non ancora abituatisi alla presenza del recinto, od altre cause (es. caduta rami, passaggio rimasto aperto), che pregiudichino il buon funzionamento dell’impianto; dopo le prime settimane il controllo può avere una cadenza di 2-3 giorni; per facilitare la verifica della tensione elettrica è bene dotarsi di voltmetro con il quale misurarla in diversi punti del percorso con facilità; la recinzione deve essere installata e funzionante solo nel periodo interessato dal rischio di danneggiamento delle colture da parte della fauna selvatica; nel periodo di inattività il materiale deve essere riposto con cura in luogo idoneo, lontano da vapori di ammoniaca, dalla portata dei topi e in luogo asciutto e riparato; fare riferimento anche al regolamento apposito sulle recinzioni elettrificate, ricordando in particolare che devono essere impiegati materiali a norma e seguendo le disposizioni normative vigenti). Occorre segnalare la presenza della recinzione con cartelli appositi (20 x 10 cm) di colore giallo con la scritta “Attenzione recinto elettrico” presente su entrambi i lati e disporli sui cavi ogni 50 metri quando si è in prossimità di strade e sentieri pubblici o dove si renda necessario farlo.

3.9.2.2. Repellenti mezzi di protezione chimica sono costituiti da sostanze repellenti che agiscono sul gusto e/o sull'olfatto dell'animale. Esistono in commercio prodotti per la protezione della corteccia degli alberi, per i danni causati dalla lepre, e delle sementi (in particolare grano, mais, sorgo) per quelli

 

 

causati da , corvidi e passeri. I primi devono essere irrorati sulla base della corteccia delle piante una o più volte all'anno a seconda dell'andamento stagionale, in quanto piogge ripetute finiscono per dilavare il prodotto lasciando le piante prive di protezione (è preferibile utilizzarli prevalentemente nel periodo invernale quando i danni sono maggiori) ed in condizioni climatiche favorevoli (giornate asciutte). Questi prodotti forniscono una protezione per un periodo. I tipi di prodotti possono variare rispetto alla specie verso la quale è finalizzato l’intervento medesimo (uccelli, lepre, cinghiale, ecc.) e sono di tipo chimico o naturale.

Nel primo caso, trattandosi generalmente di prodotti di terza e quarta classe di tossicità (ad es. Lentacol, Morkit), possono venire impiegati anche in ambiti protetti, mentre nel secondo caso sono generalmente concimi organici (Deer Away).

3.9.2.3.  Dissuasori visivi: Questa metodica è stata sperimentata per prevenire i danni da corvidi (cornacchia, gazza e ghiandaia) nei frutteti, in particolare su mele e su ciliege in fase di maturazione. Si utilizzano:sagome di rapace a grandezza naturale che simulano un predatore in volo; palloni colorati sui quali è impresso un particolare disegno che ricorda l’occhio di un predatore; nastri catarifrangenti che riflettono i raggi solari;

• le sagome ricalcano le dimensioni reali di un rapace in volo e vengono posizionate su di un’asta di altezza sufficiente perché sia visibile all’uccello in avvicinamento (2,5-3 metri); i palloni, di diversi colori, sono appesi ai rami alti di una pianta o ad una pertica piazzata in un punto idoneo del filare del frutteto e simulano anch’essi la presenza di un predatore; i nastri infine possono essere distesi tra un filare e l’altro a zig-zag o lungo la linea delle piante di un filare e creano forti riflessi quando vengono colpiti dai raggi solari, provocando una fonte ulteriore di disturbo;

• i materiali vanno posizionati all’interno del frutteto non tutti contemporaneamente ma un po’ per volta e in modo sparso, per non abituare troppo velocemente i corvidi alla loro presenza, aumentando man mano nell’appezzamento la distribuzione degli elementi di disturbo; occorre anche cambiare spesso la loro localizzazione, sempre per evitare che gli uccelli si abituino velocemente alla loro presenza;

• il momento ritenuto opportuno per l’impiego è quello dell’ultima fase di maturazione della frutta o eventualmente ai primi segni di danno sui frutti stessi; tale accorgimento deve essere intrapreso per evitare che, piazzando troppo precocemente i dissuasori, i corvidi (uccelli particolarmente intelligenti) prendano troppo velocemente confidenza con loro presenza e siano perciò in grado di arrecare danno alla frutta proprio nello stadio finale, quando è più appetita. Tale sistema funziona attraverso la messa in opera di palloncini gonfiati ad elio di circa 40-60 cm di diametro e sospesi attraverso un filo. Possono essere colorati o caratterizzati da disegni (modello “Predator”) simulanti occhi di rapaci; si considerano comunque necessari circa 3-4 palloni/ha che devono essere periodicamente spostati anche alternandoli tra loro. Sono attivi nei confronti dei passeri, e storni, non facendoli avvicinare.

3.9.3. Criteri per l'erogazione dei risarcimenti Principi generali

La Legge Regionale n. 9/96, all’art. 6 comma 2 lett. f), prevede che i Piani F.V. contengano, altresì, i criteri per la determinazione ed il risarcimento in favore dei proprietari e conduttori dei fondi rustici per i danni causati arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi ricompresi nelle Oasi e nelle Zone di Protezione, nonché nelle Zona di Ripopolamento e Cattura. L’art.. 22 comma 2 lettera b la Regione Calabria trasferisce il finanziamento in favore delle Provincie per il risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica.

 

 

I criteri enunciati nel seguente paragrafo devono quindi intendersi come criteri generali validi per gli istituti faunistici e per il Territorio a Gestione Programmata degli ATC,.

La Provincia provvede all’erogazione dei contributi per il risarcimento dei anni arrecati alle produzioni agricole all’interno delle zone destinate alla protezione della fauna per l’intera durata del presente Piano Faunistico Venatorio 2009/2013.

3.9.3.1. Segnalazione dei danni  Coloro che subiscono danni alle colture agricole sono tenuti a segnalarli all’Organo competente (Provincia di Reggio Calabria) in forma scritta possibilmente entro 48 ore dall’accertamento del primo danno da parte del conduttore dei fondi, affinché possano essere utilmente adottati provvedimenti ed accorgimenti atti a limitare i danni stessi, almeno 15 gg. prima nel caso in cui si approssimi il periodo della raccolta, o, in caso di danni alla semina, prima che la coltura raggiunga uno stato vegetativo tale da impedire la valutazione del danno e l’agente che lo ha causato.

Le domande dovranno essere avanzate usando la modulistica predisposta dal Settore Agricoltura- Caccia e Pesca della Provincia, consegnate a mano o trasmesse a mezzo posta o fax.

Le domande di risarcimento possono essere inoltrate all’Ambito Territoriale di Caccia anche tramite le Associazioni degli Agricoltori, utilizzando la modulistica conforme.

Nelle domande di risarcimento dovranno essere ben specificati:

• I dati anagrafici o ragione sociale del richiedente, accompagnati dal codice fiscale o dal numero di partita IVA;

• Dichiarazione di proprietà o di possesso e riferimenti catastali dei terreni interessati dal danneggiamento;

• Entità della superficie oggetto di danneggamento;

• Coltura danneggiata;

• Tipo di danno ( descrizione esauriente );

• Stima del quantitativo di prodotto perduto;

• Indicazione sulla specie che ha causato il danno;

• Descrizione dell’attività di prevenzione dei danni adottata;

• Eventuale disponibilità a collaborare ai piani di prevenzione.

Nel caso in cui siano stati danneggiati vigneti soggetti a disciplinare di produzione dovrà essere prodotta copia della denuncia delle uve presentata agli organismi competenti nei termini di legge Il Richiedente, con la sottoscrizione della domanda, si assume la responsabilità di quanto dichiarato.

Le richieste che perverranno alla Provincia fuori termine od incomplete dovranno essere archiviate dandone comunicazione scritta all’interessato.

3.9.3.2. Accertamento dei danni  • L’organismo preposto alla erogazione degli indennizzi verifica le richieste avanzate

mediante sopralluoghi, da effettuare di norma entro i 15 giorni lavorativi successivi alla richiesta di indennizzo e comunque entro i limiti previsti dalla legge.

• I sopralluoghi di accertamento sono effettuati, da tecnici incaricati dal Settore Agricoltura – Caccia e Pesca della Provincia i cui compiti sono di verificare e stimare il danno causato dalla fauna, anche mediante campionamenti, rilevamenti GPS (Global Positioning System) e/o fotografici.

• Sull’apposita modulistica di sopralluogo dovrà essere riportato quanto segue:

 

 

• superficie e tipologia della coltura oggetto del sopralluogo;

• stato vegetazionale, fitosanitario e produttività della coltura;

• quantità e/o percentuale di prodotto perduto;

• superficie danneggiata;

• presunta data del danno;

• eventuale provenienza degli animali che hanno provocato il danno;

• indicazioni circa opere per la prevenzione adottate;

• indicazioni circa opere per la prevenzione di eventuali, ulteriori danni.

• In caso di richiesta di sopralluoghi per l’accertamento di danni risultanti inesistenti, il costo della perizia tecnica sarà a carico del richiedente.

3.9.3.3. Operazioni di stima  La stima del danno deve avvenire in contraddittorio con il richiedente, o suo incaricato, ed il relativo verbale deve essere firmato per accettazione della stima.

In caso di mancata firma e accordo, il danneggiato può mettere a verbale i motivi della mancata accettazione

I Tecnici incaricati del sopralluogo provvedono ad informare l’agricoltore danneggiato circa i metodi e le procedure di prevenzione dei danni normalmente adottate nei casi similari, indicando i referenti ( Provincia ) cui rivolgersi per la loro attuazione e dandone menzione nel verbale di sopralluogo.

Il Tecnico incaricato del sopralluogo dovrà procedere ai seguenti adempimenti:

1. Verifica dei documenti allegati, dei quali è obbligatoria la certificazione catastale e la cartografia particellare in scala adeguata tale da consentire l’individuazione territoriale, per i vigneti certificati IGT- DOC – DOCG è obbligatoria la certificazione del catasto vitivinicolo;

2. Verifica in caso di intestazione non corrispondente fra il certificato catastale ed il titolare della richiesta, della documentazione attestante il titolo di conduzione;

3. Accertamento relativo alla rispondenza della qualità di coltura riportata nel certificato catastale e quella oggetto della richiesta;

4. Valutazione del danno con metodo analitico procedendo, ove necessario, alle misurazioni degli appezzamenti danneggiati se facilmente individuabili o, in caso di danno diffuso, alla delimitazioni di aree di saggio distribuite uniformemente sull’appezzamento, conseguente determinazione della media ponderale e definizione dell’aliquota percentuale media complessiva;

5. Redazione del verbale riportando tutte le informazioni richieste e le annotazioni necessarie alla successiva definizione del danno da rimborsare, curando con particolare attenzione l’aspetto delle definizione relativa alle cause o concause che hanno procurato il danno e, se possibile, la provenienza, nonché indicate le misure di prevenzione eventualmente adottate o, in caso contrario, le motivazioni per cui non sono state o non possono essere realizzate;

6. La redazione del verbale deve essere compilato anche in caso di accertamento del danno risultante negativo, riportandone nelle annotazioni le motivazioni;

7. Il verbale deve essere firmato dal Tecnico incaricato e dal richiedente o suo rappresentante. Nel caso in cui il richiedente si rifiuti di firmare la perizia, il Tecnico deve informare il medesimo che eventuali osservazioni dovranno essere fatte con scritto inoltrato al Settore Agricoltura- caccia E Pesca della provincia entro 10 giorni dalla data del verbale,

 

 

permettendo di procedere ad eventuali accertamenti suppletivi o l’attivazione della Commissione Arbitrale.

Il Tecnico con la firma del verbale, si assume la responsabilità di quanto accertato in riferimento alla valutazione del danno

3.9.3.4. Danni non ammessi a risarcimento  Non sono indennizzabili danni relativi a:

• Colture che al momento del sopralluogo siano già state raccolte o comunque manomesse;

• Colture dove non sia in alcun modo tecnicamente accertabile la causa del danno; Colture ottenute in assenza di tutte o parte delle operazioni agronomiche normalmente adottate per il tipo di coltura interessata;

• Colture evidentemente aggredite da infestanti in modo tale da pregiudicare la normale produzione a numerose specie animali e vegetali che possono rischiare di scomparire quando le scelte e le modalità di gestione del territorio vengono effettuate esclusivamente allo scopo di ottimizzare le rese colturali e non garantiscano la sopravvivenza di intere comunità viventi, che altrimenti scomparirebbero. Le normative di interesse in questo caso sono: Direttiva 92/43 CEE - Relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e della fauna selvatiche. Direttiva 79/409/CEE - Concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Scopo della direttiva 92/43 CEE è contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche;

• Impianti di essenze arboree attuati con i contributi previsti dal Reg. CEE 2080/92 “Arboricoltura da legno” ove non sia stata attuata in progetto alcuna opera di prevenzione;

• Danni provocati da colombe, piccioni, animali domestici e nutrie in quanto non riconosciuti come specie di fauna selvatica; Danni causati da eventi metereologici e/o fallanze;

• Danni a colture attuate su terreni posti ad una quota incompatibile con le caratteristiche agronomiche sue proprie a meno che non venga prodotta idonea documentazione attestante che la stessa coltura ha ottenuto risultati rilevanti o apprezzabili negli anni precedenti.

• Resta comunque facoltà dell’Amministrazione provinciale individuare limitazioni per il rimborso di danni a colture attuate in situazioni ambientali ritenute incompatibili con le loro specifiche caratteristiche agronomiche;

• Danni entro la fascia di 200 metri circostanti i confini di aree sottoposte a divieto di caccia, ovvero di strutture pubbliche o private che non abbiano posto in essere i programmi di gestione e controllo delle specie selvatiche predisposti o indicati dall’Amministrazione Provinciale, per i quali i responsabili dei divieti stessi sono tenuti all’indennizzo dei danni);.

3.9.3.5. Tipologia dei danni risarcibili e modalità di valutazione  Ai fini dell’ammissione al risarcimento si distinguono due tipologie di danni, quelli direttamente legati ai prodotti agricoli, forestali e zootecnici, quelli indiretti legati ad alcuni tipi di infrastrutture.

Danni diretti sui prodotti agricoli:

• Colture erbacee- impianti di prati e pascoli, colture foraggiere, cerealicole, colture orticole e pascoli permanenti.

Colture arboree in attualità di coltivazione – frutteti, oliveti, vigneti e castagneti da frutto.

Danni diretti su piante ornamentali, giardini e parchi.

Danni diretti su piante forestali e l’arboricoltura ( escluso il rinnovo del bosco ).

 

 

Danni diretti al patrimonio zootecnico:

1. Danni da lupo

2. Danni da volpe ecc..

Danni diretti alla piscicoltura e acquicoltura in acque interne:

1. Danni da specie ittiofaghe.

Danni sulle infrastrutture valutabili per il risarcimento:

1. Opere di arginatura dei corsi d’acqua, dei canali e dei bacini idrici ( solo da istrice, tasso, volpe o nutria, se presenti in loco.

Tipologia delle infrastutture ammesse a risarcimento

Opere realizzate a sostegno dei filari nelle colture arboree; Opere per la regolazione delle acque

Modalita’ di valutazione

Danni alle colture cerealicole, foraggiere e pascoli permanenti

• a) Nel caso di danni procurati nella fase di semina o comunque in tempi tali da consentire le operazioni di risemina, se questi interessano parti consistenti dell’appezzamento, deve essere indicata la superficie da riseminare, facendo presente al richiedente che qualora non provveda non potrà essere riconosciuto alcun rimborso. Diversamente, nel caso in cui i danni siano di lieve entità e diffusi sull’appezzamento, il danno dovrà essere espresso in percentuale e verificato prima del raccolto. E’ compito del richiedente, inoltrare richiesta all’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, per un ulteriore sopralluogo prima del raccolto, pena il non riconoscimento del danno. Qualora venga riconosciuta una percentuale di danno il richiedente non può procedere alla risemina. L’Amministrazione provinciale potrà svolgere controlli in merito, non risarcendo le risultanze dell’avvenuta risemina per i danni già definiti.

• b) In presenza di danni arrecati a prato o prato pascolo, la valutazione dovrà essere fatta in superficie danneggiata e non a fieno. Se lo stesso danno si presenta su superfici in erbatura ma non facenti parte di una coltivazione come sopra, non può essere riconosciuto, come non sono riconosciuti danni a scarpate, greppi o muri a secco.

• c) Per i danni causati in fase di maturazione del prodotto, il risarcimento sarà pari alla perdita del prodotto definito in sede di valutazione.

Danni alle colture orticole

Il risarcimento viene determinato secondo i criteri già esposti:

superficie danneggiata; prezzo del prodotto; produzione media della zona.

Danni alle colture arboree in attualità di coltivazione frutteti – oliveti – vigneti - castagneti da frutto;

nel caso di danni tali da rendere preferibile la sostituzione delle piante, il risarcimento è basato sul costo delle sostituzioni (messa a dimora completa), con una integrazione pari al valore del prodotto perduto stimata secondo i parametri precedentemente indicati.

Nel caso di danni rilevanti in rapporto alla superficie investita e tali da prevedere ingenti rimborsi, il Tecnico, effettuata la stima, si deve riservare del definitivo accertamento dopo averne data immediata comunicazione al Settore Agricoltura – Caccia e Pesca della Provincia. Nel caso in cui i danni interessino oltre che le produzioni agricole anche le strutture di frutteti, oliveti, vigneti ed altro, il Tecnico redigerà verbale descrittivo di quanto viene accertato senza la definizione percentuale o numerica del danno, informando immediatamente la provincia.

3.9.3.6. Modalità di liquidazione • Definizione delle quantità dei prodotti agricoli da risarcire

 

 

Il Tecnico incaricato del sopralluogo dovrà definire la quantità di prodotto da risarcire in base alle produzioni medie definite dall’Ambito Territoriale di Caccia, tenuto conto delle indicazioni qualitative della coltura danneggiata riportata nel verbale.

• Calcolo degli importi di liquidazione

Il calcolo dovrà essere effettuato sulla base del prezzario predisposto dalla Regione Calabria Dipartimento n° 6 Agricoltura, foreste e Forestazione per ogni annata agraria ( della Camera di Commercio, Industria, Artigianato), nel rispetto dei(criteri per la determinazione ed il risarcimento dei danni causati dalla fauna selvatica)

• Liquidazione degli importi

La liquidazione dei danni risultanti dai conteggi verrà effettuata secondo le normative vigenti.

 

 

3.10. Banche dati faunistiche 

3.10.1. Premessa La Provincia di Reggio Calabria non dispone di una banca dati sul patrimonio faunistico. Ai fini della gestione faunistico – venatorio del territorio è però di fondamentale importanza che la provincia si attivi al più presto per la predisposizione di tale strumento con il contributo di soggetti pubblici e privati. Ciò consentirà sicuramente di realizzare una migliore pianificazione e gestione degli interventi in materia.

La costituzione di una banca dati faunistica dovrà avvalersi delle competenze di esperti della fauna e degli habitat. Essa dovrà essere implementata con specifici software in grado di raccogliere dati provenienti da tutti i soggetti coinvolti nella gestione della fauna, del territorio e dell’attività venatoria, ovvero la Provincia, gli Ambiti Territoriali di Caccia, gli Enti gestori delle aree protette e le aziende private di tipo faunistico e agri-turistico-venatorio), gli istituti di ricerca universitari, le associazioni ambientaliste che operano sul territorio.

Le informazioni che sarà possibile raccogliere riguarderanno il censimento della fauna selvatica, i prelievi venatori, l’attività di controllo delle specie, le immissioni e le morti di fauna selvatica, gli eventuali danni alle colture e gli incidenti stradali che vedano il coinvolgimento degli animali.

La realizzazione e la costante implementazione della banca dati diventeranno uno strumento operativo fondamentale per predisporre opportune modifiche e aggiornamenti al piano faunistico venatorio e alla relativa valutazione ambientale strategica (VAS).

La realizzazione delle banche dati faunistiche è necessariamente collegata alla attività di monitoraggio della fauna, attività che nella provincia di Reggio Calabria è stata svolta solo in modo occasionale e parziale.

Il miglior modo per acquisire questi dati rimane il censimento della fauna selvatica, studiarne lo stato, l’evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, di elaborare progetti di intervento ricostituivo o migliorativo delle comunità animali e degli ambienti naturali con l’obiettivo di una riqualificazione faunistica del

Il compito è quello di predisporre le informazioni necessarie alla redazione dei prossimi Piani faunistico-venatori provinciali.

La redazione di un programma, per la gestione delle principali emergenze faunistiche, potrebbe realizzarsi attraverso:

Monitoraggio Tutte le tecniche dovranno essere in linea con gli standard internazionali e, per quanto riguarda l'attività di inanellamento, coerenti con le disposizioni in materia dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica

1. la realizzazione di un sistema di monitoraggio ornitologico, studio sulle migrazioni ed avifauna stanziale attraverso l’applicazione dell’attività di inanellamento scientifico.

Per svolgere al meglio tale attività i monitoraggi ornitologici devono essere svolti da ornitologi con comprovata esperienza sul campo nell’attività di Inanellamento, in possesso di patentino A, B e patentino C rilasciati dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica di Bologna, e Autorizzazione rilasciata dalla Regione Calabria per la cattura e l’Inanellamento degli uccelli per scopi scientifici.

2. realizzazione di monitoraggio ornitologico per mezzo di censimenti invernali degli uccelli acquatici nelle zone umide provinciali.

La Provincia di Reggio Calabria per la sua collocazione geografica rappresenta un'area di rilevante importanza per la sosta (migrazione post e pre-riproduttiva) e lo svernamento degli uccelli acquatici. In particolare, grazie alla presenza di ambienti umidi costieri (alcuni dei quali riconosciuti importanti, e classificati come Siti d'Interesse Comunitario e Zone a Protezione Speciale ai sensi delle Direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE) e di bacini artificiali interni, ospita ogni anno nel periodo

 

 

invernale un consistente numero di esemplari appartenenti agli ordini dei Podicipediformi, dei Ciconiformi, dei Fenicotteriformi, degli Anseriformi, dei Gruiformi e dei Caradriformi. Tale attività dovrà essere svolta nell’ambito del progranna di censimento invernaledegli uccelli acquatici condotto a livello europeo da Wethlands International e coordinato per l’Italia dall’ISPRA.

3. avvio di un sistema di monitoraggio sulle popolazioni faunistiche caratterizzate da elevato interesse conservazionistico a livello comunitario e particolarmente minacciate di estinzione.

Come evidenziato nel punto 2.2. sono numerose attualmente le specie ornitiche vulnerabili e minacciate da rischio di estinzione. In questo gruppo sono presenti numerose specie già estinte in Italia come nidificanti e altre in cui le notizie sulla distribuzione e la consistenza delle popolazioni appaiono scarse.

Alcune aree dell’Italia meridionale come la Provincia di Reggio Calabria rivestono particolare interesse dal punto di vista conservazionistico e costituiscono habitat prioritari per il mantenimento e la riproduzione di alcune specie ai vertici delle catene alimentari, quali ad esempio il Nibbio reale (Milvus milvus), Capovaccaio (Neophron percnopterus), Biancone (Circaetus gallicuss), Grillaio (Falco naumanni), Lanario (Falco biarmicus), Picchio rosso mezzano (Dendrocopos medius), Cicogna nera (Ciconia nigra) ormai estinti in molte località italiane.

La Calabria è caratterizzata da ambienti ad elevato pregio naturalistico, ma dal punto di vista ornitologico risulta una delle regioni italiane meno conosciute, per cui risulta prioritario avviare un’indagine al fine di stabilire la presenza, lo status delle specie elencate presenti nel territorio provinciale.

Di singolare importanza, risulta all’interno delle foreste regionali la presenza di numerose specie di Piciformi, che rappresentano importanti indicatori di riconosciuta significatività ecologica e biologica dello stato dell’ecosistema; in particolare, specie come il picchio rosso mezzano (Dendrocopos medius) e il picchio nero (Dryocopus martius). sono di importanza nazionale ed inseriti nell’allegato I della Direttiva “Uccelli “, rappresentano specie fortemente minacciate e valide indicatrici dello stato di conservazione degli ambienti

Le azioni che saranno avviate su ciascuna delle specie sopra elencate dovranno essere finalizzate alla raccolta di dati utili alla redazione della Carta Faunistica della Provincia risponderanno alle principali esigenze di carattere gestionale delle specie stesse, con particolare riferimento alla programmazione faunistico-venatoria.

4. monitoraggio di specie ornitiche di particolare interesse venatorio.

Il monitoraggio dovrà riguardare anche le specie di particolare interesse venatorio quali come ad esempio: Germano reale (Anas platyrhynchos), Quaglia (Coturnix coturnix), Tortora (Streptopelia turtur), Beccaccia (Scolopax rusticola), Beccaccino (Gallinago gallinago), Allodola (Alauda arvensis), Merlo (Turdus merula), Tordo bottaccio (Turdus philomelos), Storno (Sturnus vulgaris), ecc. Tale attività dovrà riguardare in primo luogo la verifica dei carnieri conseguiti in relazione allo sforzo di caccia prodotto e la valutazione del rapporto giovani/adulti in campioni statisticamente significativo dei soggetti abbattuti.

3.10.2. Archivio faunistico Con l’intento di ottimizzare il più possibile il lavoro di ricerca, analisi e pianificazione svolto viene inoltre prevista l’assistenza necessaria ai funzionari e tecnici individuati dal Settore Caccia e Pesca per la realizzazione di un archivio faunistico computerizzato, da aggiornare periodicamente.

Gli indirizzi regionali in particolare prevedono che ogni Provincia debba dotarsi di specifiche banche dati faunistiche digitalizzate dove sono raccolti dati e informazioni sui seguenti argomenti:

• Carnieri

• Censimenti faunistici

• Danni

• Controllo faunistico

 

 

• Allevamenti di fauna selvatica

• Miglioramenti ambientali

• Popolazione venatoria

• Infrazioni venatorie

3.10.3. Elementi per una gestione informatizzata dei dati relativi alla fauna In mancanza di un sistematico e capillare programma di monitoraggio dello status delle diverse specie, si possono trarre preziose informazioni per la gestione faunistica dai dati relativi agli abbattimenti, da quelli relativi ai recuperi di animali selvatici in difficoltà, nonché dalla raccolta sistematica delle notizie riguardanti specie “particolarmente protette” dalla Legge Nazionale e segnalate sul territorio provinciale.

Gli abbattimenti possono dare delle attendibili indicazioni circa lo status e la tendenza delle varie specie, mentre, se vengono valutati il sesso e la classe di età dei capi abbattuti, si possono ottenere informazioni riguardanti la struttura e la dinamica delle popolazioni.

Tali dati possono venire integrati, per quanto riguarda le specie stanziali, da quelli relativi ai censimenti, realizzati negli Istituti Faunistici Venatori.

Alcune indicazioni sullo status di specie non cacciabili si possono ottenere dalle statistiche relative ai recuperi.

Tali statistiche danno anche delle indicazioni dirette circa alcuni fattori limitanti delle diverse specie (impatto della mortalità dovuta ad incidenti stradali, effetti del randagismo canino, problemi sanitari, ecc.).

L’istituzione di una banca dati delle “emergenze faunistiche” contenente indicazioni circa la presenza di specie “particolarmente protette” dalla L.N. n. 157/1992, costituirebbe un utile strumento per la gestione del territorio.

Queste informazioni andrebbero raccolte in banche dati informatizzate costituite da data base relazionali, capaci di gestire dati misti (numerici, datari, carattere, logici, ecc.) e di mettere in relazione diverse tabelle che presentino campi comuni.

Particolarmente adatti alla gestione faunistica sono i Sistemi Informativi Territoriali SIT o GIS, validissimo strumento nei processi decisionali riguardanti interventi sul territorio.

Un Sistema Informativo Territoriale è capace di archiviare, gestire e analizzare dati di vario genere in un contesto spaziale, i dati inseriti sono infatti georeferenziati.

La banca dati dovrà soddisfare la necessità di fornire, facilitare ed uniformare la raccolta dei dati riguardanti le specie di fauna selvatica sottoposte ad interventi di gestione in Provincia di Reggio Calabria.

In particolare, il programma consente l’archiviazione delle informazioni relative alla consistenza delle popolazioni, ai danni agricoli, agli interventi di controllo e di immissione, ai censimenti ed abbattimenti di ungulati selvatici e di lagomorfi e galliformi.

Gli utenti che potranno usufruire di questi Sistemi Informativi sono gli Istituti di gestione presenti sul territorio regionale, provinciale, gli Ambiti Territoriali di Caccia e le Aziende Faunistico venatorie e Turistico-Venatorie.

Ne dovrà essere inoltre previsto l’utilizzo da parte degli enti di gestione di Aree Protette regionali e nazionali

 

 

3.11. Piano degli interventi di miglioramento ambientale e criteri per la corresponsione degli incentivi 

Il miglioramento ambientale rappresenta il primo aspetto da affrontare in una prospettiva di gestione delle zone soggette a tutela (Oasi ) e nelle Z.R.C che si andranno ad istituire. Con questo termine si identificano tutti quegli interventi attuati sul territorio allo scopo di ricreare o ripristinare condizioni favorevoli all'affermazione della fauna selvatica. Operare in questo senso significa in primo luogo analizzare le caratteristiche delle varie zone e conseguentemente predisporre piani e programmi di intervento andando a individuare con precisione le specie che si intendono favorire, tutelare ed incrementare. La scelta di operare in questo senso, oltre ad avere motivazioni di ordine eco-biologico, deriva dalle indicazioni espresse nelle Linee Guida dell’I.S.P.R.A in merito alla gestione della Zone di Ripopolamento e Cattura.

Le zone sottoposte a tutela individuate in questo Piano saranno gestite dalla Provincia riservandosi l'opportunità dandone la conduzione ad altri soggetti dopo essersi provvista di apposito "Regolamento per l'affidamento in gestione delle oasi di protezione e delle zone di ripopolamento e cattura", riservandosi l'opportunità di intervenire direttamente in aree in cui si intendono intraprendere particolari progetti o sperimentazioni.

Appare chiaro che così come sono diverse le motivazioni che sono all'origine dell'individuazione e della realizzazione delle aree protette, altrettanto diversificati dovranno essere i programmi e gli scopi della gestione e dei progetti di riqualificazione ambientale.

Di seguito vengono illustrati sinteticamente i principali interventi di miglioramento ambientale a fini faunistici che potranno essere attuati nel corso dei prossimi anni nelle zone soggette a tutela con lo scopo di raggiungere effettive situazioni di riequilibrio finalizzate all'incremento di specie faunistiche di interesse venatorio, ma soprattutto quello di ricreare situazioni ambientali vantaggiose per la riaffermazione della fauna selvatica nel suo complesso.

Le colture a perdere

Con questo termine si identificano coltivazioni lasciate sul terreno e non soggette a raccolto, con lo scopo di fornire fonte di alimentazione e rifugio per le specie faunistiche. Tra le piante più indicate per attuare questa pratica il sorgo (Sorghum vulgare) riveste una particolare importanza sia per le elevate occasioni di riparo e rifugio che esso offre, sia per le caratteristiche nutritive dei suoi semi.

Il sorgo può essere opportunamente utilizzato in consociazione con altre piante quali il mais, il panico e il girasole per ottenere diversità biologica e coperture diversificate.

Le coperture invernali

Per coperture invernali si intendono erbai posti in semina in periodo tardo estivo o autunnale su appezzamenti sui quali sono state effettuati raccolti di mais o soia.

Effettuando semine in miscuglio di loiessa, veccia villosa, trifoglio incarnato, cavolo da foraggio, rapa, si ottengono le coperture erbacee dei terreni precedentemente al periodo invernale. Tali coperture potranno essere mantenute sino al periodo delle semine primaverili allo scopo di ottenere una riserva di fonti trofiche per il periodo invernale e possibilità di rifugio.

Mantenimento dei residui delle coltivazioni

La presenza sul terreno delle stoppie dei cereali e degli stocchi di mais, rappresenta una sicura fonte di alimentazione per le specie faunistiche durante il periodo invernale. Il loro mantenimento, evitando precoci interramenti o estirpazioni, rappresenta un sicuro mezzo di miglioramento ambientale e deve essere perciò incentivato, ricercando tutti gli strumenti e i modi in grado di favorirlo.

Mantenimento e ripristino delle zone umide

 

 

La poca presenza di zone umide nel nostro territorio non va trascurata perché è di fondamentale importanza Il loro mantenimento e la conservazione, deve essere uno degli aspetti caratterizzanti di una oculata gestione ambientale indirizzata per l'affermazione, lo stazionamento e la riproduzione della fauna selvatica.

A questo proposito, andrà fatta un’indagine catastale delle zone umide e dovranno essere attuati dei monitoraggi delle poche zone esistenti comprese all'interno di aree soggette a tutela predisponendo interventi adeguati per il loro mantenimento e la loro valorizzazione.

Ricostituzione delle siepi

Le siepi e i filari arbustivi svolgono un importante ruolo nei confronti della biodiversità dell'ambiente naturale. La loro utilità non è legata unicamente alle opportunità di rifugio e alla possibilità di fornire l'alimentazione, ma soprattutto alla capacità di disegnare e determinare le caratteristiche del territorio.

Un attento recupero ambientale del territorio deve porre particolare attenzione al ripristino delle siepi, ricreando, dove possibile, filari e barriere di essenze arbustive caratteristiche del nostro ambiente. Analogamente la creazione e la conservazione delle siepi deve costituire un obiettivo preminente negli interventi di rinaturalizzazione, dal momento che esse vengono utilizzate da molte specie animali in diversi momenti critici del loro ciclo biologico.

Tipologie di interventi attuabili nelle zone di collina e montagna.

L'azione principale deve essere concentrata nelle aree caratterizzate da seminativi abbandonati dove favorire il mantenimento della diversità ambientale attraverso la conduzione dei terreni impostata sullo sfalcio almeno annuale della vegetazione erbacea con la conservazione di zone cespugliate o alberate in una percentuale compresa tra il 10 e il 30%. Estremamente importante risulta la piantumazione di essenze arbustive da bacca (curando che siano rappresentate tutte le specie tipiche, con una buona distribuzione dei periodi di fruttificazione) e di varietà rustiche e selvatiche di alberi da frutta.

Un intervento ritenuto efficace per tutte le zone è la realizzazione di coltivazioni a perdere per integrare l'alimentazione della fauna: tale azione permette di offrire fonti trofiche durante le stagioni avverse e di fronteggiare i periodi di mancanza di risorse derivanti da estese operazioni agricole quali la raccolta, la lavorazione del terreno, la fertilizzazione etc…

3.11.1. Premessa I miglioramenti ambientali con finalità faunistiche hanno lo scopo di ricreare o ripristinare condizioni favorevoli, fattori da cui dipende la conservazione ed il potenziamento delle risorse faunistiche di un territorio.

I Comitati di Gestione degli ATC:

• Individuano le aree prioritarie ove realizzare miglioramenti ambientali destinati a migliorare lo status specie di interesse faunistico e venatorio utilizzando i criteri espessi nel capitolo 3.12.3.

• predispongono i piani di miglioramento ambientale secondo quanto evidenziato in questo capitolo

• adottano il “Piano e disciplinare per gli interventi di ripristino e miglioramento ambientale con finalità faunistiche”.

Il ripristino di ambienti favorevoli alla fauna, mediante azioni finalizzate al mantenimento e miglioramento della Rete Ecologica Provinciale, sono azioni indispensabili al fine di:

• favorire specie rare o in declino;

• favorire la ricolonizzazione o la reintroduzione di specie estinte ( Cervo, Daino e starna ) localmente;

• perseguire lobiettivo di una adeguata densità per le specie di interesse venatorio.

 

 

Le azioni di miglioramento ambientale dovranno essere prioritariamente applicati ai territori individuati come idonei per le diverse specie (aree vocate) e ricadenti negli istituti destinati alla protezione e/o produzione naturale della fauna selvatica. In questi territori si concentreranno, gli incentivi economici previsti dal bando di accesso ai contributi per interventi di ripristino e miglioramento ambientale con finalità sia per la fauna stanziale che per l’avifauna migratoria.

Tale priorità deriva dalla constatata necessità di avviare la programmazione dell’insediamento e la riproduzione di nuclei faunistici autoctoni per il successivo irradiamento nelle aree limitrofe, nonché di creare le condizioni quanto più ottimali possibili (sito migliore, scarsa pressione venatoria iniziale, sensibilità e partecipazione degli agricoltori.

 

 

3.11.2. Linee di indirizzo  

3.11.2.1. Linee di indirizzo nella realizzazione e ripristino degli elementi fissi del paesaggio Gli elementi fissi del paesaggio hanno una importanza determinante per il rifugio, la nidificazione e l’alimentazione per molte specie selvatiche. Per i galliformi in particolare, i micro - ambienti rappresentati dalle siepi e dagli arbusteti risultano essere un sito preferenziale di nidificazione, oltre che un importante luogo di rifugio dall’attacco dei predatori. A ciò va aggiunto il fondamentale apporto alimentare garantito da queste piante, nel periodo autunnale e invernale, ad una ampia gamma di passeriformi. La loro presenza e diffusione favorisce la diversità ambientale di un determinato territorio e lo sviluppo del cosiddetto “effetto margine”. Ciò consente l’instaurarsi di una fauna più ricca qualitativamente (numero delle specie presenti) e quantitativamente (numero di individui per specie e biomassa complessiva).

Oltre agli effetti benefici di tipo faunistico tali elementi svolgono altre funzioni utili per l’ambiente e le produzioni agrarie, tra cui la riduzione dell’erosione del suolo, la funzione di barriera frangivento, l’incremento della presenza di insetti pronubi e di predatori / parassiti dei fitofagi.

Selezione delle aree

Il criterio di selezione delle aree di intervento deve basarsi sulla programmazione faunistico - territoriale. In base a tale criterio gli interventi devono essere realizzati nelle aree con maggiore vocazionalità per la specie che si intende favorire, tenedo conto di quanto evidenziato al punto 3.12.3.

Sono inoltre considerati prioritari tutti quegli interventi volti alla creazione o al ripristino di siepi, boschetti e piccole zone umide intercalati in zone agricole e pascolive al fine di articolare il mosaico ambientale.

Le aree in cui ripristinare gli ambienti devono quindi essere scelti con attenzione, rispettando la vocazione dei territori, considerando le caratteristiche bioclimatiche, pedologiche, vegetazionali e ristabilendo, per quanto possibile, gli ambienti originariamente presenti.

Occorre in ogni caso prestare la massima attenzione alle potenzialità vegetazionali del territorio in cui si opera tenendo conto di quanto evidenziato a sulla vegetazione reale e su quella potenziale della provincia reggina (punto 2.1.1.4.), per ripristinare e mantenere gli habitat delle specie autoctone.

Specie arboree e arbustive da utilizzare

Per quanto riguarda le specie arboree ed arbustive da utilizzare negli interventi di ricostituzione della vegetazione o da favorire, sono da privilegiare le specie autoctone, cioè quelle originarie del luogo, nelle specifiche fasce altitudinali e fitoclimatiche delle stesse. Le specie da utilizzare devono inoltre essere coerenti con la potenzialità espressa della vegetazione e la relativa serie dinamica (si veda il paragrafo sulla vegetazione potenziale (2.1.1.4.2). Nell’elenco di Tab.56 sono riportate le specie autoctone della flora forestale calabrese che in relazione alla specifica serie di vegetazione è possibile utilizzare.

 

 

Tab.  62  –  Specie  legnose  spontanee  della  flora  calabrese  da  utilizzare  negli  interventi  di miglioramento ambientale con finalità faunistiche 

Nome scientifico Nome italiano Habitus A – albero; a - arbusto

Abies alba Miller ssp. apennina Brullo, Scelsi & Spampinato Abete bianco A

Acer lobelii Ten. Acero di Lobelius A Acer monspessulanum L. Acero minore A Acer neapolitanum Ten. Acero napoletano A Acer obtusatum W. et K. Acero d'Ungheria A Acer pseudoplatanus L. Acero di Monte A Adenocarpus brutius Brullo, Demarco & Siracusa

Ginestra ghiandolosa calabrese a

Alnus cordata (Loisel.) Desf. Ontano napoletano A Alnus glutinosa (L.) Gaertner Ontano nero A Anagyris foetida L. Legno-puzzo A Arbutus unedo L. Corbezzolo a Atriplex halimus L. Atriplice alimo a Calicotome infesta (Presi) Guss. Sparzio infestante a Carpinus betulus L. Carpino comune A Castanea sativa Miller Castagno A Celtis australis L. Bagolaro comune A Ceratonia siliqua L. Carrubo A Clematis cirrhosa L. Clematide cirrosa a Clematis flammula L. Clematide fiammola a Clematis vitalba L. Clematide vitalba a Cornus sanguinea L. Corniolo sanguinello a Corylus avellana L. Nocciolo a Crataegus monogyna Jacq Biancospino comune a Crataegus oxyacantha L. Biancospino selvatico a Cytisus scoparius (L.) Link Ginestra dei carbonai a Cytisus villosus Pourret Citiso trifloro A Daphne gnidium L. Dafne gnidio a Daphne laureola L. Dafne laurella a Erica arborea L. Erica arborea a Erica multiflora L. Erica multiflora a Euonymus europaeus L. Fusaria comune a Fagus sylvatica L. Faggio A Ficus carica L. Fico comune A Fraxinus ornus L. Orniello A Fraxinus oxycarpa Bieb. Frassino meridionale A Hedera helix L. Edera a Ilex aquifolium L. Agrifoglio a Juniperus haemisphaerica Presl Ginepro emisferico a Juniperus oxycedrus L. Ginepro ossicedro a Juniperus turbinata Guss. Ginepro turbinato a Laurus nobilis L. Alloro a Lonicera caprifolium L. Caprifoglio comune a Lonicera etrusca Santi Caprifoglio etrusco a Lonicera implexa Aiton. Caprifoglio mediterraneo a Malus sylvestris Miller Melo selvatico a Mespilus germanica L. Nespolo volgare a Myrtus communis L. Mirto a Nerium oleander L. Oleandro a Olea europaea L. ssp. oleaster (Hoffmanns. & Link) Negodi Olivastro a

Ostrya carpinifolia Scop. Carpino nero A Nome scientifico Nome italiano Habitus

 

 

A – albero; a - arbusto

Phillyrea latifolia L. Ilatro comune a Pinus halepensis Miller Pino d'Aleppo A Pinus nigra Amold ssp. calabrica (Land.) Murray (=Pinus laricio Poiret)

Pino calabrese, Pino laricio A

Pinus pinea L. Pino domestico A Pistacia lentiscus L. Lentisco a Pistacia terebinthus L. Terebinto a Populus alba L. Pioppo bianco A Populus nigra L. Pioppo nero A Populus tremula L. Pioppo tremulo a Prunus avium L. Ciliegio A Prunus cerasus L. Amarena A Prunus spinosa L. Prugnolo a Pyrus amygdaliformis Vill. Pero mandorlino a Pyrus pyraster Burgsd. Perastro a Quercus cerris L. Cerro A Quercus congesta Presl Quercia congesta A Quercus dalechampii Ten. Quercia di Dalechamps A Quercus frainetto Ten. Farnetto A Quercus ilex L. Leccio A Quercus petraea (Mattuschka) Liebl. ssp. austrotyrrhenica Brullo, Guarino & Siracusa Rovere meridionale A

Quercus virgiliana (Ten.) Ten. Quercia virgiliana A Rhamnus alatemus L. Alaterno a Salix alba L. Salice bianco A Salix brutia Brullo & Spampinato Salice calabrese a Salix caprea L. Salice delle capre a Salix fragilis L. Salice fragile A Salix ionica Brullo, Scelsi & Spampinato Salice ionico a Salix oropotamica Brullo, Scelsi & Spampinato Salice dell'Aspromonte a Salix purpurea L. ssp. lambertiana (Sm.) Neumann Salice rosso a

Salsola oppositifolia Guss. Salsola comune a Sambucus nigra L. Sambuco comune a Sorbus aria (L.) Crantz Sorbo montano a Sorbus aucuparia L Sorbo degli uccellatori A Sorbus domestica L. Sorbo comune A Sorbus torminalis (L.) Crantz Sorbo torminale a Spartium junceum L. Ginestra odorosa a Tamarix africana Poiret Tamerici maggiore a Tamarix gallica L. Tamerici comune a Taxus baccata L. Tasso comune A Teline monspessulana (L.) Koch Citiso di Montpellier a Tilia platyphyllos Scop. subsp. psudorubra Schneider Tiglio nostrano A

Ulmus canascens Melville Olmo canescente A Ulmus glabra Huson Olmo di montagna A Ulmus minor Miller Olmo comune A Viburnum tinus L. Tino a Vitex agnus-castus L. Agnocasto a Vitis vinifera L. ssp. sylvestris (Gmelin)Hegi Vite selvatica a

Il proprietario che intenda intraprendere programmi di miglioramento ambientale dovrà produrre uno specifico progetto, redatto da un tecnico qualificato, nel quale tra l’altro viene motivata la scelta delle specie da utilizzare in base alle caratteristiche ecologiche ed vegetazionali dell’area oggetto di intervento. Nel progetto si dovrà tener conto anche di eventuali vincoli ambientali quali

 

 

aree protette, ecc. Nelle aree protette gli interventi di miglioramento ambietale devono essere concordati con l’ente gestore e utilizzando esclusivamente specie autoctone.

La gestione degli habitat ai fini del Il miglioramento ambientale, rappresenta un importantissimo aspetto per il mantenimento e la riaffermazione della fauna selvatica.

Le conoscenze prese in considerazione in questo capitolo rappresentano la sintesi delle esperienze espresse in questo campo.

Particolare attenzione sarà rivolta nel prossimo futuro alle innovazioni che su questa materia arriveranno sia dal mondo della ricerca che da quello dell’applicazione sul campo.

3.11.2.2. Linee di indirizzo per i miglioramenti ambietali in relazione alle specie di interesse faunistico ­ venatorio 

3.11.2.2.1. Starna L'affermazione della starna in idonee aree, è strettamente legata ad interventi di miglioramento ambientale finalizzati alla realizzazione di habitat adeguati alla sua presenza.

I miglioramenti ambientali devono soprattutto riguardare la tipologia delle colture intraprese nelle aree interessate da programmi di riequilibrio faunistico, cercando di favorire colture cerealicole a perdere, alternate a colture foraggere (es. erba medica).

Particolare attenzione dovrà essere posta nel controllo dei fitofarmaci, destinando aree marginali delle coltivazioni a programmi che prevedano l'assenza dell'uso di prodotti chimici per l'agricoltura, sia in fase di concimazione che a protezione delle colture.

Importante è naturalmente anche la possibilità di reperimento di punti d’abbeverata realizzabili secondo le indicazioni evidenziate nel cap. 3.11.3.6.

3.11.2.2.2. Fagiano Oltre alle idicazioni fornite per la starna, gli interventi di miglioramento ambientali in grado di consentire una buona affermazione del fagiano, riguardano la realizzazione di colture cerealicole a perdere (mais, , frumento, granaglie ecc.), particolarmente a fornire un buona fonte di cibo, anche per lunghi periodi, oltre ad una adeguata copertura del terreno in periodo invernale.

Nelle aree pianeggianti e nei fondovalle, sarà opportuno prevedere inoltre un adeguato piano di ripristino delle siepi ed alberature ( operazione comunque raccomandabile in ogni caso di intervento di miglioramento ambientale) soprattutto nei pressi e a confine dei corsi d'acqua in modo da favorire la copertura di rifugio e la nidificazione.

3.11.2.2.3 Coturnice La presenza di questo fasianide sulle zone collinari e montane è strettamente legata ad un ambiente diversificato e contraddistinto dove è facile incontrare pascoli misti a zone rocciose esposti a mezzogiorno e dalla presenza di coltivazioni effettuate dall'uomo.

L'area occupata e :

• media collina (300-400 m) con coltivazioni di piccole e rare particelle a frumento ed erba medica, boschi misti di piccola e media estensione;

• media ed alta colina (350-800 m) con colture prevalenti di frumento, orzo ed erba medica spontanea e presenza di appezzamenti di vigneto, vegetazione spontanea in siepi ed incolti;

• alta collina e montagna (800-1000 m) con coltivazioni di graminacee e foraggere, prati stabili e pascoli, siepi ed incolti numerosi, boschi estesi;

Il mantenimento delle aree sopra citate sono condizioni determinanti per la riaffermazione della coturnice, gli interventi dovranno riguardare in primo luogo la pulizia di aree destinate al pascolo che, per progressivo degrado, vengono invase da cespugli e arbusti .

 

 

In questo modo verrà garantita la presenza di spazi aperti in grado di mantenere alti indici ecotonici ed una adeguata biodiversità anche all'interno di ecosistemi di ridotte dimensioni.

Si dovrà inoltre intervenire con la realizzazione di coltivzioni a perdere di cereali ed ortaggi alternati alle aree destinate al pascolo e prevedere il mantenimento e l'accessibilità alle fonti sorgive, rendendo possibile un sufficiente approvvigionamento idrico che garantisca la possibilità di abbeverata.

Queste zone, situate normalmente tra i 500 ed i 1100 metri ( ma in particolari situazioni locali si possono ritrovare esemplari a quote inferiori ai 500 metri) risentono particolarmente di un progressivo abbandono corrispondente ad un avanzamento sensibile delle aree boscate a scapito delle piccole aree sottoposte a coltivazione (ortaggi, cereali) o a pascolo, in grado di mantenere durante il periodo invernale delle buone opportunità di rifornimento trofico.

Un adeguato intervento di miglioramento ambientale dovrà attentamente mirare alla conservazione o al ripristino di queste aree che rivestono un importante ruolo nella strategia di conservazione della coturnice.

3.11.2.2.4. Lepri La lepre comune è una specie caratterizzata da un vasto areale in tutta l’Europa continentale, con l’eccezione della Spagna, delle vette alpine più elevate e delle regioni più settentrionali (Scandinavia e Russia).

La distribuzione, la consistenza e la composizione delle popolazioni locali sono state notevolmente influenzate dall’opera dell’uomo. Tale processo ha interessato anche il nostro Paese, dove originariamente la lepre era distribuita nelle regioni centrosettentrionali; oggi, a seguito dei rilasci effettuati a fini venatori, la distribuzione si è estesa a tutta l’Italia peninsulare. Nel centro-sud Italia Lepus europaeus vive in simpatria con Lepus corsicanus (lepre appenninica o lepre italica), l’unica specie presente in Sicilia e in Corsica. Anche in Sardegna è presente un’unica specie, la lepre sarda (Lepus capensis), originaria del Nord Africa e quivi introdotta in tempi storici (Andreotti et al. 2001a). Le popolazioni di lepre comune hanno subito un forte calo negli ultimi decenni a causa principalmente della riduzione della diversità ambientale con conseguente peggioramento della qualità dell’habitat. Molte aspettative sono state riposte nelle attività di ripopolamento, che non sono state però efficaci per invertire la tendenza delle popolazioni. Nell’ultimo decennio molte iniziative sono state intraprese in favore del ripristino ambientale; tuttavia, così come la riduzione della lepre è avvenuta in maniera non omogenea sul territorio italiano, anche la ripresa appare più pronta laddove si sono conservate condizioni ambientali più favorevoli. Le densità delle popolazioni della specie sul territorio sono quindi molto variabili e risentono anche della prassi gestionale basata sui ripopolamenti, ancora in larga parte diffusa. La lepre comune è una specie relativamente plastica per quanto concerne le esigenze ecologiche:

il suo habitat originario è la steppa, ma in seguito alla messa a coltura di vasti territori si è ben adattata agli attuali ecosistemi agricoli. In particolare le popolazioni hanno un incremento maggiore negli ambienti agricoli tradizionali caratterizzati da varie coltivazioni (policolture miste). La presenza dei boschi può essere tollerata se non in percentuale elevata (fino al 30% dell’area) e se in formazioni non compatte (preferibilmente di latifoglie e con sottobosco erbaceo). Le aree pastorali (pascoli e prati permanenti) costituiscono un buon habitat per la lepre se hanno appezzamenti seminati con specie foraggere coltivate e se non sono pascolati regolarmente (Bassano et al. 1997; Trocchi e Riga 2005). Come altre specie selvatiche, anche la lepre necessita di un mosaico ambientale complesso, con alternanza di coltivi (soprattutto foraggere e cereali non irrigui), boschetti, siepi campestri, incolti e arbusteti in cui trovare rifugio. Proprio per questo, la riduzione della diversità ambientale provocata dall’agricoltura moderna ha comportato un generale peggioramento della qualità dell’habitat della lepre europea ed il conseguente declino delle sue popolazioni in varie regioni d’Italia. Per quanto riguarda il range altitudinale, la lepre si spinge in montagna fin verso i 2000 – 2100 m slm sulle Alpi, dove può vivere in simpatria con la lepre variabile, e fino ai 2500 m sull’Appennino (Trocchi e Riga 2005). Status delle popolazioni regionali:

Lo status delle popolazioni regionali di lepre è assai difficile da stabilire, in quanto fortemente influenzato dalle continue immissioni a fini venatori. Inotre non è possibile operare una netta distinzione tra le popolazioni autoctone in grado di automantenersi e quelle originate da

 

 

introduzioni, ubicate in aree dove la lepre non è in grado di sopravvivere a causa dellascarsa idoneità ambientale e/o per una mortalità eccessiva dovuta ad un prelievo venatorio troppo pesante e alla predazione da parte di specie selvatiche (la volpe) e domestiche (cani e gatti).

3.11.3. Tipologie di intervento previste 

Le tipologie di miglioramenti ambientali a fini faunistico-venatori possono schematizzarisi secodo il seguente prospetto.

A - Interventi per l’incremento delle disponibilità alimentari ed idriche:

• Realizzazione di colture a perdere per la selvaggina (codice A1)

• Realizzazione di colture foraggere per la selvaggina (codice A2)

• Inerbimento delle superfici arborate (codice A3)

• Ripulitura di arbusti e sterpaglie dei terreni non coltivati (codice A4)

• Posticipazioni delle operazioni colturali (codice A5)

• Recupero e realizzazione di punti d’acqua (codice A6)

• Foraggiamento artificiale della selvaggina (codice A7)

B – Ripristino e mantenimento di elementi fissi del paesaggio:

• Realizzazione di siepi e fasce alberate (codice B1)

• Ripristino di boschetti in zone pianeggianti o di fondovalle, a quote inferiori a 200 m slm (codice B2)

C – Adozione di tecniche colturali a ridotto impatto ambientale

• Salvaguardia di nidi di Fasianidi nei seminativi (codice C1)

La realizzazione degli interventi di miglioramento ambientale si differenzia a seconda dell'area geografica e delle condizioni ambientali, vengono generalmente realizzati attraverso lo sfruttamento di piccole aree non utilizzatedall’agricoltura nelle zone dove essa si presenta più intensiva, o nella realizzazione delle colture a perdere nei terreni scarsamente coltivati. Le essenze erbacee utilizzate allo scopo vengono scelte tra quellemaggiormente indicate in relazione alle caratteristiche climatiche e pedologiche dellazona di intervento ed utilizzate pure o variamente combinate tra loro. Il nostro Territorio caratterizzato da scarsa presenza di pianure e da un grado di frammentazione della proprietà che diff cilmente si riscontra in altre province italiane, ha subito, a causa delle difficoltà ad operare in tali contesti, l’abbandono dei territori collinari e montani da parte della popolazione deditaall’agricoltura; conseguentemente si è assistito ad una notevole riduzione di quasi tutte le colture che in tali aree venivano praticate Consiste nel realizzare, in aree vocazionalmente adatte e su piccoli appezzamenti, delle colture a perdere per la selvaggina.Sono quindi questi i territori che, in generale, richiedono maggior attenzione da parte dei gestori per raggiungere l’obiettivo.

3.11.3.1. Intervento 1 – Realizzazione di colture a perdere per la selvaggina (Codice A1) Finalità dell’intervento

La misura si prefigge lo scopo di incrementare le disponibilità alimentari per la fauna selvatica presente nell'ecosistema agro-forestale. Inoltre attraverso la realizzazione di questo intervento si realizza un incremento della diversificazione ambientale, favorevole ad una presenza più numerosa e con più specie di fauna selvatica.

 

 

Modalità di intervento

Consiste nel realizzare, in aree vocazionalmente adatte e su piccoli appezzamenti, delle colture a perdere per la selvaggina. L’intervento và eseguito su appezzamenti di superficie unitaria non inferiore a 100 mq e non superiore a 1 ha con lavorazione e semina; in ogni caso l’intervento non potrà interessare superfici superiori ad 1 ha per ogni 10 ha di superficie aziendale.

La misura è applicabile anche all’interno di impianti arborei di tipo promiscuo, ma non in frutteti e vigneti produttivi.

Durata

L’impegno e il relativo contributo hanno valenza annuale. La domanda di adesione dovrà pervenire entro il:

- 31gennaio per colture primaverili-estive*

- 15 luglio per cereali autunno-vernini e colture proteoleaginose * * La quantità di seme per ettaro e le specie da seminare verranno concordate tra il richiedente e il tecnico incaricato dell’A.T.C., previo sopralluogo nell’area oggetto d’intervento da parte del tecnico, al fine di esprimere una valutazione sulle caratteristiche pedoclimatiche, in base alle quali ricadrà la scelta delle varietà colturali che meglio si adattano a quel tipo di ambiente.

Obblighi

Obbligo di semina in miscuglio. Assenza di utilizzo di fitofarmaci. Per la semine di oleaginose e cereali può essere previsto un apporto di azoto non superiore alle 20 unità per ettaro. Obbligo di almeno una lavorazione del terreno applicando alla trattrice la barra d’involo, l’dozione della “barra di involo” durante le operazioni di sfalcio da applicare anteriormente agli organi falcianti, . Inizio degli sfalci da una striscia perimetrale all’appezzamento con taglio successivo dal centro dell’appezzamento in senso centrifugo (verso l’esterno) per un periodo di 5 mesi che va da ottobre a fine febbraio. Si raccomanda attenzione alla regimazione delle acque. Permanenza della coltura sul terreno per almeno 10 mesi successivi alla semina.

Contributi

Il contributo massimo ammissibile per ettaro, per i danni provocati dalla fauna da ripopolamento, verrà stabilto dalla Provincia e dell’A.T.C. sulla base del prezzario agricolo predisposto dalla Regione Calabria Dipartimento n° 6 Agricoltura, foreste e Forestazione per ogni annata agraria.

Cumulabilità

L’intervento A1 è cumulabile all’intervento A4

Tab. 63 – Specie erbacee da utilizzare nelle colture a perdere 

Semine autunnali Graminacee Leguminose ed altreAvena Erba medica Bromo FavinoErba mazzolina* GinestrinoFestuca Pisello da foraggioGrano tenero Senape*Loglio italico SullaLoglio perenne Trifoglio biancoPanico* Trifoglio incarnatoSegale Trifoglio pratense Veccia villosa* Semine primaverili Graminacee Leguminose ed altre

 

 

Agrostide Erba medicaBromo GinestrinoCoda di topo Grano saracenoErba mazzolina* LinoFestuca LupinellaGirasole MalvaLoglio italico MelilotoLoglio perenne RafanoMais RamolaccioMiglio Rapa da foraggioPanico* SagginaSorgo Trifoglio bianco Trifoglio persico Trifoglio violetto Cavolo da foraggio Colza * piante da evitare nei seminativi perché

Per le colture a perdere autunnali potranno essere utilizzati miscugli di semi composti obbligatoriamente dalle seguenti specie:

• Lupinella Onobrychis spp. (dose consigliata 25 kg/HA); (da seminare con guscio nei mesi di settembre e ottobre);

• Trifoglio a scelta fra le seguenti specie:T. subterraneum, T. incarnatum, T. pratense, T. repens (dose consigliata 25 kg/HA);

• Ginestrino Lotus corniculatus (dose consigliata 15 Kg/HA);

All’interno del miscuglio potranno essere inserite altre specie che aumenteranno i valore dell’intervento.

Dosi consigliate:

Avena 50 kg/ha

Bromo 15 kg/ha

Cavolo da foraggio 5 kg/ha

Erba mazzolina 15 kg/ha

Festuca 15 kg/ha

Loglio perenne 15 kg/ha

Miglio 18-22 kg/ha

Panico 18-20 kg/ha

Pisello da foraggio 20 kg/ha

Rapa da foraggio 6-8 kg/ha

Veccia 15 kg/ha

3.11.3.2. Intervento 2 – Realizzazione di colture foraggere per la selvaggina (Codice A2) Finalità dell’intervento

Creare una successione colturale in grado di prolungare, diversificare e incrementare le disponibilità alimentari per la fauna selvatica.

Modalità di intervento

 

 

Interessa piccole superfici, vocazionalmente adatte, destinate esclusivamente alla alimentazione della fauna selvatica. Si ottiene con lavorazione e semina di uno o più appezzamenti di ampiezza pari ad almeno 100 mq e non superiore a ha 1 per singolo investimento colturale; in ogni caso l’intervento non potrà interessare superfici superiori ad ha 1 per ogni 10 ha di superficie aziendale.

La misura è applicabile anche all’interno di impianti arborei di tipo promiscuo.

Obblighi

Obbligo di semina in miscuglio. Assenza di utilizzo di fitofarmaci. Sfalcio estivo-annuale obbligatorio da effettuarsi non prima del 15 luglio e con l’utilizzazione della barra d’involo. Obbligo di mantenimento della coltura per un periodo di tre anni.

Con domanda annuale, per ciascuno dei 4 anni successivi alla semina, potrà essere fatta richiesta di contributo per il mantenimento annuale della coltura foraggera. In ogni caso non potrà essere fatta richiesta di contributo per la realizzazione di qualsiasi altro intervento che preveda il cambio di destinazione dell’appezzamento a coltura foraggera per almeno 3 anni dalla prima semina.

Contributi

Gli incentivi come previsto dall’art 12 comma 5, del Regolamento Regionale di attuazione degli Ambiti Territoriali di Caccia verranno liquidati dai Comitati di Gestione A.T.C.,

Contributo annuo massimo ammissibile ad ettaro per la realizzazione (anno I): verrà stabilito dall'ATC

Contributo annuo massimo ammissibile ad ettaro per il mantenimento della coltura foraggera (anno II-V): verrà stabilito dalla Provincia e dell’A.T.C. sulla base del prezzario agricolo predisposto dalla Regione Calabria Dipartimento n° 6 Agricoltura, foreste e Forestazione per ogni annata agraria.

Cumulabilità

Nessuna.

3.11.3.3. Intervento 3 – Inerbimento delle superfici arborate (Codice A3) Finalità dell’intervento

Aumento della disponibilità alimentare per la fauna selvatica.

Modalità di intervento

Prevede l’avviamento all’inerbimento delle più comuni colture arboree (vigneto, oliveto e frutteto) con semina di specie foraggere. Gli interventi sono da realizzarsi in aree contigue o comprese in zone vocazionalmente adatte. Per l’inerbimento dovranno essere utilizzate specie foraggiere autoctone idonee per lo specifico contesto ecologico

Obblighi

Obbligo di sopralluogo preventivo prima dell’effettuazione dell’intervento. Obbligo di semina in miscuglio e mantenimento del tappeto erboso per un periodo minimo di anni 3. Primo sfalcio da effettuarsi in data antecedente al 15 marzo e con l’utilizzo della barra d’involo. Con domanda annuale, per ciascuno dei 4 anni successivi alla semina, potrà essere fatta richiesta di contributo per il mantenimento della coltura.

L’intervento potrà riguardare appezzamenti di ampiezza non superiore a ha 1 per singolo investimento colturale ed in ogni caso per ogni 10 ha di superficie aziendale.

Contributi

Contributo annuo massimo ammissibile ad ettaro per la realizzazione (anno I): verrà stabilito dall'ATC

 

 

Contributo annuo massimo ammissibile ad ettaro per il mantenimento (anno II e V): verrà stabilito dalla Provincia e dell’A.T.C. sulla base del prezzario agricolo predisposto dalla Regione Calabria Dipartimento n° 6 Agricoltura, foreste e Forestazione per ogni annata agraria.

3.11.3.4. Intervento 4 – Ripulitura dei terreni non coltivati (Codice A4) Finalità dell'intervento

Favorire il rinnovarsi delle specie foraggere appetite dalla fauna, evitare il diffondersi di incendi dovuti alla presenza di sostanza vegetale secca, rispettare e favorire la presenza della fauna ad invertebrati, incrementare i luoghi di alimentazione per la fauna selvatica.

Modalità di intervento

Interessa la ripulitura di terreni non coltivati da più di tre anni mediante trinciatura o sfalcio ed asportazione o accumulo in andane della vegetazione. L’intervento non potrà interessare superfici superiori ad ha 1 per ogni 10 ha di superficie aziendale.

Obblighi

Divieto di realizzazione dell’intervento nel periodo compreso tra il 15/2 ed il 15/7.

Contributo

Massimo ammissibile ad ettaro, per sfalcio, verrà stabilito dalla Provincia e dell’A.T.C sulla base del prezzario agricolo predisposto dalla Regione Calabria Dipartimento n° 6 Agricoltura, foreste e Forestazione per ogni annata agraria

Massimo ammissibile ad ettaro, per decespugliamento, verrà stabilito dalla Provincia e dell’A.T.C sulla base del prezzario agricolo predisposto dalla Regione Calabria Dipartimento n° 6 Agricoltura, foreste e Forestazione per ogni annata agraria.

Cumulabilità

Nessuna

3.11.3.5. Intervento 5 – Posticipazioni delle operazioni colturali (Codice A5) Finalità dell’intervento

Incremento dei luoghi di alimentazione, allevamento della prole e rifugio a favore della fauna selvatica; salvaguardia dei nidi.

Modalità di intervento

Posticipazione delle operazioni di aratura nei seminativi e delle operazioni di erpicatura e fresatura all’interno delle colture arboree e dei rimboschimenti.

L’intervento non potrà interessare superfici superiori ad ha 1 per ogni 10 ha di superficie aziendale.

Obblighi

Posticipazione delle operazioni di aratura dei residui colturali dopo il 10 ottobre di ogni anno per le semine autunnali. Posticipazione della esecuzione delle operazioni di ripulitura delle colture arboree dopo il 15 luglio e nei rimboschimenti dopo il 1 luglio. Per quest’ultimo caso il contributo è ammesso solo per gli impianti di età superiori a tre anni, fermo restando la possibilità di realizzare le lavorazioni necessarie in qualunque periodo, naturalmente a prescindere da qualsiasi contributo.

Contributo

Massimo ammissibile per ettaro:. verrà stabilito dalla Provincia e dell’A.T.C sulla base del prezzario agricolo predisposto dalla Regione Calabria Dipartimento n° 6 Agricoltura, foreste e Forestazione per ogni annata agraria

 

 

3.11.3.6. Intervento 6 – Recupero e realizzazione di punti d’acqua (Codice A6) Finalità dell’intervento

Maggiore distribuzione della disponibilità idrica per la fauna selvatica.

Modalità di intervento

Prevede il recupero e il miglioramento dei punti d’acqua esistenti (fontanili, vasche, sorgenti ecc.), al fine di renderli fruibili da parte della fauna selvatica. Si prevede altresì la creazione di nuovi punti di abbeverata in sinergia con gli interventi A1, A2, A7, B1. L’ubicazione dei siti è subordinata ad una valutazione d’idoneità espressa dal Tecnico incaricato dall’A.T.C o dalla Provincia. Gli invasi dovranno uniformarsi alle tipologie costruttive esemplificate in allegato. Nel caso si opti per l’invaso interrato, la sua impermeabilizzazione andrà realizzata preferibilmente con uno strato d’argilla.

Obblighi

Obbligo di sopralluogo preventivo prima dell’effettuazione dell’intervento. I punti d’acqua recuperati o di nuova creazione oltre ad essere accessibili alla fauna (sponde degradanti, bassa profondità del corpo idrico), dovranno essere funzionanti almeno nei mesi da maggio ad .La sua realizzazione andrà ultimata entro il mese di Giugno del primo anno d’impegno.

Contributo

Massimo ammissibile: verrà stabilito dalla Provincia e dell’A.T.C sulla base del prezzario agricolo predisposto dalla Regione Calabria Dipartimento n° 6 Agricoltura, foreste e Forestazione per ogni annata agraria

3.11.3.7. Intervento 7 – Foraggiamento artificiale della selvaggina (Codice A7) Finalità

Assicurare alimento ai selvatici nei periodi di maggiore carenza (periodi di carenza alimentare in inverno), in zone particolarmente vocate.

Modalità

Si tratta di provvedere al foraggiamento artificiale (preferibilmente a spaglio) della selvaggina durante i mesi invernali in cui il clima rigido e la naturale scarsità di alimento può seriamente compromettere la sopravvivenza delle popolazioni di selvatici.

Obblighi

La durata dell’impegno è annuale ripetibile. Ogni anno, l’impegno previsto, è per un periodo di 5 mesi che va da ottobre a fine febbraio. Il richiedente s’impegna a distribuire precisi quantitativi di determinati alimenti per un periodo concordato in un protocollo sottoscritto da entrambe le parti. L’Ambito Territoriale di Caccia o la Provincia si riservano la facoltà di effettuare controlli in qualsiasi momento.

Contributi

E’ previsto un rimborso forfettario di Euro che verrà stabilito dalla Provincia e dell’A.T.C per ogni mangiatoia o dispensatore preso in affidamento. L’alimento è a carico dell’agricoltore.

Cumulabilità

Nessuna

3.11.3.8. Intervento 8 – Realizzazione di siepi e fasce alberate (Codice B1) Finalità dell’intervento

Incremento degli spazi ecotonali all’interno di vaste superfici interessate da seminativi con la ricostituzione di alcuni elementi vegetazionali un tempo caratteristici del paesaggio agrario (siepi, aree di rifugio boscate) che rivestono un ruolo determinante per il rifugio, la nidificazione e

 

 

l'alimentazione della fauna selvatica in generale e di alcune specie di selvaggina stanziale in particolare. Solo in aree pianeggianti a coltivazione intensiva.

Modalità di intervento

Sarà finanziata la realizzazione di moduli monospecifici di siepe costituite da specie arbustive. Ciascun modulo dovrà avere lunghezza non inferiore a 5 metri e si potranno prevedere filari anche affiancati ciascuno composto da più moduli in successione lineare. Al fine di conseguire la massima diversificazione vegetazionale la successione dei moduli dovrà essere tale da escludere la presenza della stessa specie in moduli contigui. La distanza tra moduli affiancati dovrà essere non inferiore a 4 metri. Le specie arbustive saranno scelte tra quelle indicate nella Tab. 56 tenuto conto delle caratteristiche ecologiche (clima, fascia altimetrica) e pedologiche (tessitura e acidità del terreno) su cui vanno poste a dimora, nonché della vegetazione potenziale del territorio.

Modulo

Obblighi

Obbligo di sopralluogo preventivo da parte dei tecnici della Provincia o dell’ATC prima dell’effettuazione dell’intervento. Il richiedente s’impegna ad impiantare, conservare e mantenere gli impianti per almeno 15 anni.

Contributi

Contributo massimo a metro lineare: verrà stabilito dall'ATC o dalla Provincia.

3.11.3.9. Intervento9 – Salvaguardia dei nidi di Fasianidi nei seminativi (Codice C1) Finalità dell’intervento

Salvaguardia di nidi di Fasianidi dislocati all’interno di colture al momento delle lavorazioni agricole.

Modalità di intervento

Astensione dal raccolto o dalle lavorazioni del terreno su una superficie di almeno 100 mq attorno al nido, fino al momento della schiusa.

Obblighi

La presente misura può essere applicata solo su operazioni colturali al suolo (sfalci, mietitura, erpicatura, aratura, ecc.). le segnalazioni dovranno avvenire entro 24 ore dal rinvenimento dei nidi. Il contributo satrà erogato solo dopo verifica da parte dell’Organo competente.

Contributi

Contributo massimo ammissibile : verrà stabilito dall'ATC o dalla Provincia

 

 

3.12. Piano di immissione di fauna selvatica 

Le immissioni di fauna cacciabile sul territori provinciale devono tenere conto principalmente dei livelli di vocazionalità del territorio nei confronti delle specie, della provenienza dei soggetti e della effettiva capacità di sopravvivenza degli stessi. In tal senso devono essere valutate con attenzione anche le numerosità dei nuclei di rilascio al fine di non disperdere inutilmente i soggetti sul territorio. nell’ambito di validità del piano faunistico, dovrà essere perseguito l’obbiettivo di minimizzare il rilascio di animali provenienti da strutture di allevamento estere o locali prive dei requisiti minimi a tutela della salute degli animali, e contestualmente dovrà essere massimizzato lo sforzo per produrre localmente la fauna da immettere favorendo la creazione di strutture idonee distribuite sul territorio che possono anche contribuire al reddito alternativo per le aziende agricole a conduzione familiare. In particolare per la lepre dovrà essere presa in considerazione la possibilità di allevare in loco le lepri mutuando le esperienze positive già attuate in altre parti d’Italia, oltre a favorire la riproduzione naturale della specie nelle aree a maggiore vocazionalità e all’interno degli istituti preposti allo scopo. Non sono previste reintroduzioni di specie se non a seguito di specifici studi di fattibilità approvati dall’ISPRA. In ottemperanza all’art 10 comma 7 della L.N. 157/92 (Ai fini della pianificazione generale del territorio agro-silvo-pastorale le province predispongono, articolandoli per comprensori omogenei, piani faunistico-venatori. Le province predispongono altresì piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica nonché piani di immissione di fauna selvatica anche tramite la cattura di selvatici presenti in soprannumero nei parchi nazionali e regionali e in altri ambiti faunistici, salvo accertamento delle compatibilità genetiche da parte dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica e sentite le organizzazioni professionali agricole presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale tramite le loro strutture regionali), è possibile prevedere accordi con le aree in cui gli animali si trovano in sovrannumero al fine di essere utilizzati per le immissioni faunistiche.

Le immissioni all’interno delle zone protette possono essere sostanzialmente di due tipi:

Reintroduzioni. Si definisce reintroduzione l’immissione di individui di una specie autoctona presente in tempi storici recenti e attualmente estinta, o localmente o sull’intero areale di distribuzione.

Ripopolamento Si definisce ripopolamento l’immissione di individui di una specie autoctona ancora localmente presente ma con livelli di popolazione molto bassi. Le immissioni all’interno delle zone protette devono essere effettuate solamente per quelle specie per le quali il territorio e definito idoneo sulla base delle risultanze della carta delle vocazioni faunistiche (o carta delle potenzialita faunistiche). Tutti i tipi di zone protette possono in teoria essere utilizzati per le reintroduzioni, ma, considerato che perche queste operazioni abbiano successo sono necessarie superfici protette di dimensioni medio-grandi, le ZRC e i Centri Pubblici di Riproduzione della Fauna Selvatica sono da considerarsi le zone protette piu adatte allo scopo. Per quanto riguarda i ripopolamenti, se il loro scopo e quello di ristabilire densita ottimali per popolazioni in declino, allora possono essere effettuati in tutti i tipi di zone protette; in particolare in quelle di nuova o recentissima istituzione, per raggiungere rapidamente consistenze pari alla capacita portante del territorio. Al contrario, se il ripopolamento e un’operazione di routine che serve a ripopolare il territorio destinato all’attivita venatoria, per questo scopo possono essere destinate le ZRV di piccole dimensioni che funzionerebbero, in questo caso, come aree d’ambientamento per la selvaggina allevata. Le immissioni nelle zone protette possono essere effettuate con animali selvatici traslocati da altre zone protette dove le popolazioni sono piu abbondanti, oppure con individui allevati. In quest’ultimo caso, e necessario, per aumentare la sopravvivenza e ridurre la dispersione, che ogni zona protetta sia dotata di almeno una struttura d’ambientamento, preferibilmente un recinto a cielo aperto di 1-2 ha contenente voliere coperte da rete di nylon. Nel caso di immissioni di lepri d’allevamento, i recinti d’ambientamento devono essere di dimensioni maggiori. La costruzione di strutture di ambientamento (voliere, recinti, ecc.) e un supporto assolutamente necessario per garantire il successo delle immissioni, attraverso una riduzione della mortalita da ambientamento e

 

 

della dispersione, cui tipicamente vanno incontro gli animali immessi in zone a loro sconosciute. Queste strutture vanno costruite e posizionate sotto la guida di esperti in modo che rispondano a tutti i requisiti di sicurezza, efficienza ed economicita. Le strutture di ambientamento vanno inoltre sorvegliate strettamente dal personale di vigilanza destinato alla zona protetta in modo da prevenire atti di bracconaggio e vandalismo e distruzioni dovute a cani e gatti randagi.

3.12.1. Obiettivi del ripopolamento La riqualificazione e il potenziamento delle zoocenosi costituiscono l’aspetto caratterizzante la programmazione faunistico-venatoria della Provincia e il principale obiettivo degli A.T.C.

I piani di immissione da realizzare nel prossimo futuro devono tenere in considerazione quanto precedentemente detto per le singole specie nel paragrafo della gestione (3.6.). Va in particolare evidenziato che è necessario supplire alla mancanza di informazioni sullo stato di conservazione delle specie a livello provinciale con azioni di censimento della fauna ed avviare delle azioni di gestione coordinate e basate su adeguati strumenti di conoscenza.

I piani di gestione della fauna devono essere inoltre compatibili con i piani di gestione redatti per i siti rete natura 2000 della provincia e raccordarsi con il piano faunistico del Parco Nazionale d’Aspromonte. In particolare nei siti Natura 2000, fatto salvo il divieto di introduzione di popolazioni non autoctone ex art. 12 D.P.R. 357/97, ogni intervento di reintroduzione di fauna selvatica all’interno dei siti e delle aree limitrofe, definite tali sulla base della mobilità delle specie oggetto della reintroduzione, è sottoposto a specifica valutazione di incidenza.

Eventuali piani di immissione devono porsi lo scopo principale di limitare gradualmente gli interventi di ripopolamento in modo che il prelievo venatorio sia basato sulla produzione spontanea della fauna. Gli interventi programmati dovranno quindi favorire la naturale moltiplicazione delle diverse specie pianificando le attività di conservazione degli habitat e di regolamentazione dell’attività venatoria. Negli anni passati la liberazione di notevoli quantitativi di animali appartenenti a razze o sottospecie diverse da quelle autoctone ha determinato fenomeni di inquinamento genetico delle popolazioni locali. Notevoli sono inoltre i problemi legati all’utilizzo di animali allevati nelle immissioni faunistiche quali le condizioni sanitarie, le modificazioni del comportamento indotto dall’allevamento, la caratterizzazione genetica degli animali allevati e la difficoltà degli animali ad integrarsi nel contesto dell’ambiente naturale dove sono immessi.

La immissioni dovranno perciò essere attuate in modo pianificato tenendo conto della specie e delle peculiarità del territorio. La definizione dei piani di immissione deve essere quindi subordinata ad una azione preliminare di monitoraggio sulla consistenza della specie negli specifici comprensori omogenei che sono stati individuati nel relativo paragrafo (3.3.).

Ricerca scientifica Una delle principali attivita da promuovere all'interno degli ambiti protetti e la ricerca scientifica sulla fauna selvatica. L'acquisizione di conoscenze sulla biologia della fauna e ancora piu importante in Italia dove vi e una notevole carenza di tale tipo di studi. La ricerca scientifica dovrebbe essere indirizzata ad argomenti di tipo auto ecologico e sinecologico per fornire una base oggettiva alle attivita gestionali. Gli studi da privilegiare dovrebbero essere quelli inerenti la dinamica di popolazione, le preferenze di habitat, la competizione tra specie coesistenti e i rapporti prede-predatori. Le zone protette, specie se di buona estensione, permettono di avere a disposizione territori di studio dove viene eliminata una delle piu importanti e non quantificabili variabili che incidono sulle popolazioni di selvaggina: la caccia. Inoltre nelle zone protette e possibile avere il fondamentale supporto del personale di vigilanza che direttamente puo raccogliere in modo continuativo una serie di dati molto utili nelle fasi diapprofondimento delle ricerche.

3.12.2. Criteri del ripopolamento I ripopolamenti più qualificati, sia dal punto di vista faunistico, sia sotto il profilo venatorio, sono senza dubbio quelli realizzati con la selvaggina catturata nelle Z.R.C. che attualmente nella

 

 

Provincia di Reggio Calabria non sono state ancora istituite. L’istituzione delle ZRC deve rappresentare una priorità nell’ambito della programmazione delle attività faunistico-venatorie e la massima cura dovra essere in seguito prestata per assicurarne la funzionalità.

A tale proposito, dovrà essere totalmente evitata la pratica dei cosiddetti “rinsanguamenti”, vale a dire lo scambio di animali catturati tra Z.R.C. diverse.

Tale pratica, infatti, è priva di qualsiasi fondamento scientifico e, lungi dal produrre gli ipotetici incrementi riproduttivi per i quali è invocata, viceversa comporta concreti rischi di carattere sanitario.

La provincia e gli A.T.C., di comune accordo, potranno prevedere specifiche forme di incentivazioni a favore degli agricoltori i cui fondi risultano compresi all’interno delle Z.R.C. che, aderendo e collaborando ai piani di miglioramento ambientale a fini faunistici, contribuiranno a conseguire significativi incrementi nella produttività faunistica naturale.

Per quanto concerne le immissioni di selvaggina, acquistata da allevatori professionisti, si devono rispettare corretti principi di gestione faunistica e di profilassi sanitaria.

3.12.2.1. Lepre Nella gestione delle popolazioni di lepre per fini venatori il ripopolamento artificiale rappresenta uno strumento prezioso allorquando di debbano risolvere situazioni a tal punto compromesse da non lasciar sperare in un naturale recupero delle popolazioni in tempi ragionevoli (ripopolamento vero e proprio), oppure nel caso in cui si renda opportuno il re insediamento di un nucleo iniziale in una zona ove la specie sia scomparsa (reintroduzione).

Naturalmente in entrambi questi casi occorre considerare una serie di accorgimenti di carattere tecnico affinché l’operazione abbia le maggiori possibilità di successo.

In primo luogo è necessario che il territorio presenti ancora caratteristiche idonee alla specie e che le cause all’origine della sua rarefazione o scomparsa non sussistano più o siano state rimosse.

In secondo luogo le strategie di gestione della lepre devono essere indirizzate a determinare un incremento di popolamenti di questo lagomorfo numericamente consistenti e presenti sul territorio tutto l’anno.

Al fine di limitare il più possibile le pratiche di ripopolamento con animali di provenienza diversa da quella locale occorre soprattutto potenziare la gestione produttiva delle zone di ripopolamento e cattura per l’approvvigionamento di lepri autoctone di alta rusticità e adattabilità agli habitat della Provincia di Reggio Calabria attraverso pratiche di buona gestione quali:

• corretta perimetrazione delle zone R.C.

• controllo dei predatori

• miglioramento ambientale a fini faunistici

• adeguamento del prelievo dentro e fuori dalle ZRC, in relazione alla consistenza delle popolazioni di lepre

• accordi con gli agricoltori

• approntamento di un servizio di vigilanza efficace per la prevenzione e il controllo degli illeciti.

Occorre inoltre non far ricorso al ripopolamento con lepri di importazione che non consente di risolvere efficacemente i problemi della gestione faunistico venatoria della lepre se non in maniera transitoria e spesso solo illusoria, bisogna istituire e potenziare la gestione produttiva delle zone di ripopolamento e cattura per l’approvvigionamento di lepri autoctone da immettere sul nostro territorio

 

 

3.12.2.2. Fagiano Le immissioni di fagiani allevati in cattività, dovranno essere coerenti con le linee di gestione, indicate dall’ex INFS, ispirate a criteri di razionale gestione faunistica, volti prioritariamente a costituire popolazioni selvatiche capaci di riprodursi allo stato di natura, vale a dire:

a) realizzare le immissioni prevalentemente all’interno di Z.R.C (o zone di rifugio se istituibili) di nuova costituzione, opportunamente individuate in funzione dell’idoneità ambientale per la specie;

b) affiancare sempre alle immissioni degli interventi di miglioramento ambientale;

c) avviare ed estendere la pratica dell’ambientamento dei fagiani da immettere in recinti a cielo aperto, ampi e specificatamente coltivati, collocati all’interno di Z.R.C.;

d) ridurre quanto prima le immissioni di fagiani senza preventivo ambientamento nei recinti a cielo aperto;

e) eliminare completamente le immissioni di fagiani allevati durante la stagione venatoria;

f) impiegare per i ripopolamenti preferibilmente fagiani di età compresa tra i 50 ed i 120 giorni;

g) utilizzare nel tempo, quantità decrescenti di fagiani allevati, di pari passo con l’aumento del numero dei riproduttori selvatici, mirando al loro totale azzeramento in corrispondenza della definitiva formazione di popolazioni selvatiche autosufficienti.

3.12.2.3. Starna la starna dovranno essere redatti preventivamente degli studi di fattibilità per eventuali piani di reintroduzione basati sulla reale vocazione del territorio e degli istituti di protezione coinvolti. Prevedere specifici progetti pluriennali di miglioramento ambientale, con particolare riguardo per gli interventi di gestione dei margini dei campi di cereali e delle colture a perdere.

Le immissioni di fauna selvatica, di cattura o allevata, così come espressamente previsto dalla L.R., devono essere autorizzate, senza eccezione alcuna, dalla Provincia.

 

 

3.12.3. Carte delle aree vocate  La realizzazione delle carte delle aree vocate per le specie d’interesse gestionale (Tavv. 8a, 8b, 8c, 8d) si è basata sull’elaborazione della cartografia Corine Land Cover 90 (CLC90) e dei suoi successivi aggiornamenti (CLC2000).

Le carte delle aree prefernziali per il ripopolamento scaturiscono dall’elaborazione delle carte di idoneità ambientale per le singole specie. Rispetto alle citate carte di idoneità ambientale la superficie vocata al ripopolamento delle specie analizzate risulta ridotta, in quanto sono state escluse le classi di uso del suolo riportate nella tabella che segue.

Tab. 64 – Classi di uso del suolo escluse per la elaborazione delle aree vocate 

1.1.1 Zone residenziali a tessuto continuo 1.1 Zone urbanizzate di tipo residenziale 1.1.2 Zone residenziali a tessuto discontinuo e

rado 1.2.1 Aree industriali, commerciali e dei servizi pubblici e privati 1.2.2 Reti stradali, ferroviarie e infrastrutture tecniche 1.2.3 Aree portuali

1.2 Zone industriali, commerciali ed infrastrutturali

1.2.4 Aeroporti 1.3.1 Aree estrattive 1.3.2 Discariche

1.3 Zone estrattive, cantieri, discariche e terreni artefatti e abbandonati 1.3.3 Cantieri

1.4.1 Aree verdi urbane

1. Superfici artificiali

1.4 Zone verdi artificiali non agricole 1.4.2 Aree ricreative e sportive

2.1.1 Seminativi in aree non irrigue 2.1.2 Seminativi in aree irrigue 2.1 Seminativi 2.1.3 Risaie 2.2.1 Vigneti 2.2.2 Frutteti e frutti minori 2.2 Colture permanenti 2.2.3 Oliveti

2.3 Prati stabili (foraggere permanenti) 2.3.1 Prati stabili (foraggere permanenti)

2.4.1 Colture temporanee associate a colture permanenti 2.4.2 Sistemi colturali e particellari complessi

2.4.3 Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali importanti

2. Superfici agricole utilizzate

2.4 Zone agricole eterogenee

2.4.4 Aree agroforestali

Per stabilire la vocazionalità delle aree al ripopolamento per ogni specie considerata sono state individuate le tipologie ambientali a diversa vocazione seguendo le linee guida della Rete Ecologica Nazionale. Per i due fasianidi, Starna e Fagiano, sono state individuate le tipologie ambientali inerenti la fenologia riproduttiva.

Di seguito vengono indicate per ogni specie le classi di uso del suolo vocate per il ripopolamento assegnando il punteggio di: 0 per le aree non vocate; 1 per le aree a bassa vocazione, 2 per le aree a media vocazione e 3 per le aree ad alta vocazione.

Tab. 65  – Classi di uso del suolo vocate per il ripopolamento della Lepre appenninica 

 

 

3.1.1 Boschi di latifoglie 2 3.1.3 Boschi misti 2 3.2.1 Praterie naturali 2 3.2.2 Brughiere 2 3.2.3 Vegetazione a sclerofille 2 3.2.4 Aree di transizione cespugliato-bosco 3 3.3.1 Spiagge e dune 2 3.3.3 Aree con vegetazione sparsa 2 3.3.4 Aree incendiate 1

Tab. 66  – Classi di uso del suolo vocate per il ripopolamento del Fagiano 

3.2.2 Brughiere 2 3.2.3 Vegetazione a sclerofille 1 3.2.4 Aree di transizione cespuglieto - bosco 2 4.1.1 Aree interne palustri 2

Tab. 67  – Classi di uso del suolo vocate per il ripopolamento della Starna 

3.2.1 Praterie naturali 2 3.2.2 Brughiere 3 3.2.3 Vegetazione a sclerofille 1 3.2.4 Aree di transizione cespuglieto - bosco 2 3.3.4 Aree incendiate 1

 

 

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Allegati normativi

All. 1 – Regolamento per la Gestione Faunistico ­Venatoria del Cinghiale 

All. 2 – Regolamento di gestione delle aree per l’addestramento, l’allenamento e le gare dei cani ( Z.A.C.) 

All. 3 ­ Linee guida per la realizzazione di miglioramenti ambientali 

All. 4 – Disciplinare per l’accesso ai contributi per interventi di ripristino e miglioramento ambientale con finalità faunistiche 

 

 

All. 1 – Regolamento per la Gestione Faunistico ­Venatoria del Cinghiale Art. 1

(Finalità) Il presente regolamento disciplina la gestione faunistico-venatoria della specie cinghiale nel territorio della Provincia di Reggio Calabria, nel rispetto della Legge 157/92, della Legge Regionale 9/96) e del Piano Faunistico Venatorio Regionale e contenute nel Calendario Venatorio di ogni stagione Venatoria, ed è finalizzato alla organizzazione di tale tipo di attività di caccia, nonché al mantenimento di una presenza della specie compatibile con le esigenze di salvaguardia delle colture agricole e di tutela delle altre specie selvatiche.

Art. 2 (Territorio vocato per il cinghiale)

La Provincia, sentiti gli A.T.C., individua nel Piano Faunistico Venatorio Provinciale il territorio vocato per il cinghiale. Tale territorio vocato rappresenta l'area in cui la presenza della specie è compatibile con lo svolgimento delle attività agricole e con la tutela delle altre specie selvatiche.

Nell’ambito del territorio vocato per il cinghiale è attuata la gestione faunistico venatoria di tale specie.

Nell'area vocata la caccia al cinghiale è esercitata solo con il metodo della battuta con ausilio dei cani (braccata, girata ). Nell'area vocata è vietata qualsiasi forma di caccia al cinghiale ad eccezione di quella esercitata dalle squadre regolarmente autorizzate ed con il sopracitato metodo della battuta con ausilio dei cani (braccata, girata ).

Nell’area vocata viene perseguito l'obiettivo della conservazione della specie cinghiale mediante il raggiungimento ed il mantenimento di densità compatibili con la tutela degli habitat e con le attività antropiche presenti.

Art. 3 (territorio non vocato per il cinghiale)

Il territorio non vocato per il cinghiale è individuato dalla Provincia, sentiti gli A.T.C., nel Piano Faunistico Venatorio Provinciale e rappresenta l'area nella quale la presenza del cinghiale è da ritenere incompatibile con la salvaguardia delle colture agricole e delle altre specie selvatiche.

In tale territorio la gestione fuunistico-venatoria della specie è organizzata mediante interventi tesi all'eliminazione o, comunque, alla limitazione, della presenza del cinghiale.

Art. 4 (Densità agricolo forestale sostenibile)

Nel territorio vocato per il cinghiale deve essere annualmente definita dal Comitato di Gestione dell’A.T.C. la densità agricolo forestale sostenibile, ovvero la densità massima tollerabile della specie, in relazione alle esigenze di tutela delle colture agricole e delle altre specie selvatiche.

La definizione della densità agricolo - forestale sostenibile avviene per ogni area sulla base dei seguenti parametri:

a) censimenti del cinghiale da svolgere al termine della stagione venatoria;

b) l'ammontare degli indennizzi erogati;

c) i capi abbattuti annualmente dalle squadre nel territorio vocato.

Art. 5 (Aree di gestione)

Il Comitato di Gestione dell’A.T.C. suddivide il territorio vocato al cinghiale in aree, dandone successiva comunicazione alla Provincia.

 

 

Le Aree di battuta assegnate alle squadre nel suo insieme, esse sono porzioni di territorio aventi confini ben individuabili e dimensioni tali da garantire effettivo conseguimento degli obbiettivi stabiliti .

Le Aree di battuta sono individuate annualmente dai Comitati di gestione degli ATC tenendo conto dei seguenti parametri:

a) indice di boscosità;

b) indici cinegetici;

c) densità dei cinghiali rilevate dai censimenti.

Nelle arre assegnate devono essere garantiti:

a) attuazione della prevenzione dei danni alle colture agricole;

b) conduzione dei censimenti;

Le squadre assegnate all'Area hanno l'obbligo di assicurare la propria collaborazione alla realizzazione dei censimenti e di quanto altro venga richiesto dal!' A. T .C.. La mancata, o negligente, realizzazione dei censimenti o di quanto altro sia richiesto dall'A.T.C. è da considerare infrazione di carattere grave ed è sanzionata dal Comitato di Gestione dell’A.T.C. con apposito Provvedimento con il quale l’attività venatoria della squadra può essere sospesa temporaneamente fino ad una intera stagione venatoria.

L' area di battuta deve essere regolata da un unico regime.

Art. 6 (Responsabile di squadra)

Il Responsabile di squadra risponde, a tutti gli effetti , dell'attività della squadra che rappresenta.

Art. 7 (assegnazione dei cacciatori alle aree)

L'A.T.C. stabilisce annualmente il numero massimo delle squadre e dei cacciatori assegnabili a ciascuna area.

Qualora si renda necessario, l’A.T.C. provvede alla formulazione di graduatorie di accesso alle aree sulla base dei seguenti requisiti:

a) ) anzianità della squadra nell’uso delle aree di battuta;

b) residenza anagrafica in un Comune dell'area;

c) residenza anagrafica nell'A.T.C. comprendente l'area;

d) residenza venatoria nell'A.T.C.

Nel caso in cui le aree vocate dovessero risultare inferiori al numero delle squadre iscritte, il Comitato di Gestione, può, istituire, in maniera del tutto sperimentale, nelle Aree di Gestione, le “Zone”, corrispondenti alle Unità Minime Territoriali, da assegnare alle squadre col metodo della “ rotazione” secondo un calendario che sarà reso pubblico in tempo utile.

Le squadre ammesse a praticare la caccia al cinghiale nelle Aree di Gestione “ Zone”, dovranno rispettare la rotazione assegnata dal Comitato. Tale comportamento consentirà al Comitato stesso di poter effettuare una attenta ed oculata valutazione dei dati di riscontro pervenuti sia in riferimento alla presenza del selvatico sia in riferimento alla zona. Gli stessi dati potranno essere di indicazione ad indirizzo attuativo per l’eventuale istituzione delle zone sul territorio delle altre Aree nel caso in cui ne dovesse ricorrere la necessità.

Nel Aree di Gestione le “Zone” saranno assegnate, alle squadre che ne faranno richiesta, con sorteggio, dopo aver verificato la possibilità di accordi dirette tra le diverse squadre. Non si procederà al sorteggio in quei casi in cui si otterrà tra le squadre un accordo all’unanimità.

Ogni squadra ha diritto ai capi abbattuti all’interno della propria zona assegnata. i confini della zona assegnata.

 

 

E’ severamente proibito violare i confini delle zone assegnate o occupare zone assegnate ad altre squadre. Il Comitato di Gestione, nel caso di infrazione della presente disposizione, si riserva la facoltà di ritirare l’autorizzazione all’intera squadra per l’annata venatoria in corso dandone comunicazione alla Provincia e a tutti gli organismi di controllo.

Art.8 (Modalità per la battuta di caccia al cinghiale)

La battuta di caccia al cinghiale, nell’ambito del territorio , è riservata ai cacciatori, riuniti in squadre.

Il Comitato di gestione dell'A.T.C. può stabilire un numero massimo di cani che ogni squadra può utilizzare nell'ambito dell'area per ogni singola battuta.

La battuta può essere effettuata con la presenza di un numero di cacciatori iscritti alla squadra annualmente stabilito dall’A.T.C.

Alle battute possono partecipare fino ad un massimo di 10 cacciatori ospiti per ogni singola battuta in regola con la mobilità.

Nella caccia al cinghiale in battuta sono utilizzabili esclusivamente le armi previste dalla normativa vigente.

Ai partecipanti alla caccia al cinghiale in battuta è vietato portare cartucce a munizione spezzata.

Ai battitori e ai bracchieri è consentito portare cartucce a salve.

Durante la battuta di caccia al cinghiale è vietato abbattere selvaggina diversa dal cinghiale con la sola esclusione della volpe.

Durante lo svolgimento della battuta di caccia al cinghiale è vietato l'utilizzo di apparecchi radio ricetrasmittenti, come strumenti preordinati alla attività venatoria e possono, solamente, essere utilizzati esclusivamente per fini di sicurezza.

Durante lo svolgimento delle battute è necessario che le stesse vengano segnalate con appositi cartelli indicatori provvisori, ben visibili da tutti i punti di accesso alle aree interessate e che i partecipanti indossino, per motivi di sicurezza, almeno un indumento ad alta visibilità.

Ogni squadra, regolarmente autorizzata potrà abbattere il numero di capi stabilito annualmente dal Calendario venatorio regionale.

Art. 9 (Costituzione di una squadra)

Il Responsabile della squadra comunica all'A.T.C., con le modalità e nei tempi previsti dallo stesso Ente l'elenco dei cacciatori iscritti e facenti parte della squadra, i nominativi di due vice-responsabili, nonché le eventuali richieste di adesione alla squadra di nuovi componenti con allegati documenti di rito.

Annualmente l’A.T.C. individua il numero minimo di cacciatori necessario per la composizione delle squadre di caccia al cinghiale.

Il numero minimo di cui sopra deve esistere effettivamente, i componenti della squadra devono essere in possesso della licenza di caccia in corso di validità, e l’iscrizione all'A.T.C.,

Un cacciatore la cui Licenza di porto di fucile , si trovi al rinnovo può richiedere l’iscrizione alla squadra anche dopo i tempi previsti dall’A.T.C.

Un Componente della squadra può, in qualsiasi momento chiedere la cancellazione dalla squadra facendo esplicita richiesta all’A.T.C. è non può richiedere iscrizione in altra squadra per l’annata venatoria in corso.

 

 

Il numero massimo dei cacciatori provenienti da altre Regioni che possono essere iscritti alla squadra, senza concorrere al raggiungimento del sopraindicato numero minimo, viene fissato in una quota massima del 20% omnicomprensivo.

Ogni cacciatore può essere iscritto ad una sola squadra. L'eventuale interruzione dell'attività da parte della squadra deve essere tempestivamente comunicata all'A.T.C. di appartenenza, pena l' esclusione dall'esercizio della caccia al cinghiale, per una intera stagione venatoria, dei suoi componenti e, le aree di battuta verranno assegnate ad altre squadre che precedentemente ne abbiano fatto richiesta.

Art. 10 (Compiti del responsabile della squadra)

Il responsabile della squadra ha I'obbligo di provvedere alla precisa e corretta compilazione della scheda delle presenze giornaliere, fornite annualmente dall’A.T.C., indicando i partecipanti, gli invitati ed ogni altro dato richiesto con particolare attenzione a quelli relativi agli abbattimenti e agli avvistamenti. Il responsabile è tenuto a riconsegnare entro trenta giorni dalla fine dell'annuale attività venatoria all'A.T.C. le schede delle battute complete in ogni sua parte. Compito delle squadre è di attuare la prevenzione dei danni causati dalla specie cinghiale, limitatamente alle aree assegnate.

Art. 11 (Tempi e orari della caccia al cinghiale in battuta)

La caccia al cinghiale in battuta si svolge, nel periodo previsto dal Calendario Venatorio. Per ogni area, I'A.T.C., ove necessario, può stabilire l'orario di inizio delle battute e le eventuali misure per la salvaguardia delle altre forme di caccia.

Art. 12 (Modalità svolgimento dei censimenti)

I censimenti si svolgono nel periodo e nelle giornate stabiliti dall'A.T.C. ed ogni squadra ha l'obbligo della partecipazione garantendo la presenza, per le giornate di censimento stabilite annualmente, di almeno il 15% dei cacciatori iscritti. Forme e metodi di censimento sono stabiliti ed indicati dall'A.T.C. che può avvalersi della collaborazione della Provincia o di esperti tecnici faunistici. I censimenti, effettuati per aree campione, dovranno comunque tendere ad interessare almeno il 10% della superficie complessivamente disponibile in ciascuna area.

Art. 13 (Provvedimenti)

Per tutte le infrazioni, a titolo collettivo e/o individuale, alle norme contenute nel presente Regolamento oltre alle sanzioni previste dalle vigenti normative, nel rispetto dei principi desumibili dalla Legge 157/1992 e legge regionale N° 9/1996, si applicano i seguenti provvedimenti:

Sospensione dell’attività venatoria sul cinghiale sotto qualsiasi forma da 10 giorni fino ad un anno per le seguenti infrazioni:

Inizio e/o conclusione della battuta di caccia al di fuori degli orari stabiliti; Battuta di caccia al cinghiale con un numero di cacciatori iscritti alla squadra inferiore al minimo stabilito dall’A.T.C.;

Battuta di caccia al cinghiale con un numero di cacciatori “invitati” superiore al massimo stabilito dall’A.T.C.;

Partecipazione alla squadra di un cacciatore iscritto ad un’altra squadra senza che il responsabile della stessa ne sia a conoscenza;

Partecipazione alla battuta di un cacciatore non iscritto alla squadra e/o non inserito nell’elenco dei cacciatori “invitati”;

Carente compilazione delle schede delle battute;

 

 

Porto ed uso di munizione spezzata durante la battuta di caccia al cinghiale;

Utilizzo in battuta di un numero di cani superiore a quello stabilito dall’A.T.C., nonché utilizzo in battuta di uno o più cani sprovvisti di regolare tatuaggio;

Utilizzo di sostanze repellenti e quanto altro possa essere impiegato per impedire il libero movimento ai cinghiali ed alla fauna selvatica in genere;

Utilizzo di radio ricetrasmittenti non preventivamente comunicate all’A.T.C. ed alla Provincia oppure impiegate per fini diversi da quelli stabiliti dal presente Regolamento;

Mancato adempimento di quanto richiesto dall’A,T.C.;

Inosservanza di eventuali prescrizioni impartite dall’A.T.C. a tutela delle altre forme di caccia

Cancellazione della squadra dall’A.T.C. e del singolo cacciatore dal registro dei cacciatori abilitati per le seguenti infrazioni:

Abbattimento, durante la battuta di caccia al cinghiale, di fauna selvatica protetta e/o particolarmente protetta;

Utilizzo, organizzato dalla squadra, di esche, lacci, bocconi avvelenati, e altre sostanze nei confronti di cinghiali;

Utilizzo di armi da sparo munite di silenziatore.

Infrazioni previste dalla Legge 157/92 all'articolo 30, lett. b), c), e), g).

Art. 14 (Norma transitoria)

Due distinte squadre – nel corso della stagione venatoria – possono effettuare battute di caccia al cinghiale in maniera congiunta nel territorio vocato ad esse assegnato.

Tali battute potranno svolgersi previa comunicazione scritta alla Provincia ed all’A.T.C. con l’indicazione di data, area di battuta e squadre interessate.

Ciascuna squadra dovrà scrupolosamente rispettare il numero minimo di cacciatori iscritti partecipanti e dovrà regolarmente compilare la propria scheda giornaliera delle battute.

 

 

All. 2 – Regolamento di gestione delle aree per l’addestramento, l’allenamento e le gare dei cani ( Z.A.C.) 

Ai Sensi della Legge 157/92 art. 10 comma 8 e 9 - Legge Regionale 9/96 art.9 Art. 1

Finalità Le aree di cui al presente disciplinare sono istituite al fine di consentire e favorire l’addestramento, l’allenamento e le gare dei cani da ferma, da cerca e da seguita, iscritti e non iscritti ai libri genealogici, nonché la loro qualificazione in funzione della selezione produttiva ed in generale in funzione dello sviluppo e dell’educazione cinofila.

La gestione di dette aree è disciplinata dal presente atto, per tutto ciò che non è previsto dalla normativa regionale che disciplina la materia.

Art. 2 Tipologia delle aree

Le aree per l’addestramento, l’allenamento e le gare dei cani si distinguono in:

a) aree ove le attività cinofile sono consentite su selvaggina senza possibilità di abbattimento;

b) aree ove le attività cinofile sono consentite anche con possibilità di abbattimento di selvaggina proveniente da allevamento, purché appartenenti alle specie cacciabili fermo restando il divieto assoluto di sparare ad altra fauna.

c) aree ove le attività cinofile sono consentite prove, gare per l'addestramento e l'allenamento di cani da seguita senza possibilità di abbattimento, nonché zone specifiche per addestramento, allenamento, prove e gare, in tana artificiale di caccia alla volpe.

Art. 3 Dimensioni

La dimensione delle aree di cui alla lett. a) del precedente articolo 2 può estendersi fino a 80 ettari di terreno, mentre le aree di cui alla lett. b) del predetto art. 2, dove si effettua l’abbattimento, non possono occupare territori di superficie superiori a 20 ettari e non inferiori a 3 ettari di terreno, privilegiando i terreni di scarso interesse faunistico e ambientale;

Art. 4 Immissioni di selvaggina

Nelle aree di cui all’art. 2, sono consentite immissioni di selvaggina di allevamento appartenente alle specie cacciabili indicate dalla Regione Calabria nel Calendario Venatorio emanato per ogni annata venatoria;

Le specie di selvaggina utilizzate per le immissioni nelle aree dove è consentito l’abbattimento devono provenire da allevamenti nazionali e appartenere alle specie proprie della fauna italiana;

Nelle aree ove si effettua l’addestramento e l’allenamento senza abbattimento, è consentita l’immissione, oltre alle specie previste dal Calendario Venatorio, anche della lepre comune.

Art. 5 Addestramento ed allenamento su cinghiale e lepre in aree recintate

L’attività di addestramento e allenamento su cinghiale e lepre è effettuata anche con possibilità di abbattimento e in aree adeguatamente recintate, tali da non permettere la fuoriuscita dei selvatici. All’interno di detti recinti è consentita esclusivamente la presenza di soggetti appartenenti allo stesso sesso.

I soggetti immessi devono provenire da allevamenti nazionali.

Art. 6

 

 

Addestramento ed allenamento su volpe in tana artificiale Prove in Tana artificiale Scopo delle prove in tana artificiale è quello di verificare la completezza del lavoro richiesto all’ausiliare nella caccia in naturale, consentendo di identificare i soggetti destinati alla riproduzione ed all’utilizzo nelle operazioni di controllo.

Non è una prova di ferocia in quanto mezzo di esclusiva verifica delle qualità naturali del cane nel lavoro sottoterra.

Il lavoro dei cani da seguita si svolge con volpi di allevamento.

E’ prescritto il rispetto assoluto dell’integrità fisica delle volpi impiegate e quello dell’ausiliare. Le prove di caccia in tana artificiale hanno lo scopo di iniziare i soggetti alla caccia della volpe.

I Cani che avranno sostenuto queste prove potranno poi essere più facilmente istruiti anche nella caccia in tane naturali.

Le prove sono inoltre utili agli allevatori per verificare l’integrità nei soggetti selezionati delle qualità venatorie.

Il selvatico usato sarà la volpe.

Il proprietario del cane è responsabile dei danni che questo dovesse arrecare a persone o cose appartenenti a terzi.

Tutti i cani che partecipano alla gara dovranno essere muniti del regolare libretto sanitario e dell' eventuale libretto qualifiche rilasciato dall’ENCI.

Descrizione della tana Per l'allenamento dei terrier e per la disputa delle prove la società organizzatrice deve avere a disposizione una tana artificiale così costruita:

la tana artificiale è formata da una serie di cassoni a parallelepipedo (di legno, cemento o altro materiale naturale), sistemati uno di seguito all’altro senza fondo e con coperchi a cerniera in modo che possano essere velocemente aperti in caso di necessità. Le dimensioni interne della tana devono essere di cm. 18 di larghezza e di cm. 20 di altezza dal suolo al coperchio. I cassoni devono essere totalmente interrati e non devono permettere alcun passaggio di luce nell'interno della tana.

Nel condotto così formato devono essere sistemati almeno cinque cassoni a forma circolare (detti "forni") con un diametro compreso fra quaranta e cinquanta cm, dotati anche questi di un coperchio a cerniera. Tali forni hanno lo scopo di consentire alla volpe ed al cane una maggiore libertà di movimento e servono a racchiudervi la volpe. L’ingresso e l’uscita dei forni devono avere due guide di scorrimento per consentire l'introduzione di grate di ferro o di lastre di lamiera che servono ad isolare i forni dalla galleria quando vi è la volpe.

Il primo forno deve essere posto ad una distanza non inferiore ai sei metri rispetto all’entrata della tana ed in questo tratto vi devono essere almeno due semicurve, in modo che dall’entrata il cane non possa vedere la volpe chiusa nel forno. Dal primo forno si diramano altri due condotti di lunghezza variabile tra i nove e i quattordici m. che si devono ricongiungere nel secondo forno formando una specie di anello. Dal secondo forno partono altre due gallerie che devono formare un secondo anello, avente uno sviluppo in lunghezza compreso tra i dieci e i ventotto metri.

In questo secondo anello vi possono essere altri due forni, di cui uno facoltativo da cui parte un uscita secondaria e uno obbligatorio da cui parte l’uscita principale, ovvero un condotto lungo tra uno e quattro metri che alla fine si biforca (“bivio”) in due condotti lunghi ciascuno tra i tre e gli otto metri con almeno una semicurva in modo che il cane dal bivio non possa vedere la volpe chiusa in uno dei forni terminali.

Lo sviluppo totale della tana, pertanto, deve essere compreso tra i ventinove e ottantasei metri, mentre il percorso che il cane deve affrontare è lungo tra i diciassette e cinquanta metri.

 

 

I due condotti che partono dal bivio devono essere perfettamente simmetrici e devono formare un angolo (con il condotto da cui si biforcano) compreso tra i 110° e 150°.

Nei coperchi dei cassoni si dovranno praticare dei fori atti ad ospitare delle bandierine di segnalazione che, con il loro movimento al passaggio della volpe o del cane, diano al giudice ed al pubblico l’esatta indicazione della posizione della volpe e del cane.

Il percorso dovrà obbligatoriamente comprendere una discesa (con angolo tra i 35° e 65°) seguito da un piano (lungo tra i 0,5 e 1,5 metri) e da una salita (con angolo tra 35° e 65°), il tutto denominato "saliscendi".

Art. 7 Periodi e modalità di utilizzo

L’attività di addestramento ed allenamento dei cani nelle A.A.C. di cui all’art. 2, lett. a) sono consentite per tutto l’anno ad eccezione del periodo 1 MARZO – 30 GIUGNO. Le prove cinofile nazionali o internazionali possono essere effettuate su specifica autorizzazione nello stesso periodo;

L’attività di addestramento ed allenamento dei cani nelle aree di cui all’art. 2, lett. b) sono consentite per tutto l’anno o, nel periodo stabilito nelle relative autorizzazioni nei giorni di lunedì, mercoledì giovedì, sabato e domenica, con possibilità di abbattimento e, nei giorni di Martedì e Venerdì sarà consentito solo l’allenamento e l’addestramento dei cani senza possibilità di abbattimento potendo, comunque, immettere selvaggina;

Le attività di addestramento nelle Aree di cui all’art. 5 sono consentite secondo le disposizioni impartite dal Calendario Venatorio Regionale.

Nelle aree di cui all’art. 2, lett. b) autorizzate con abbattimento di fauna selvatica di allevamento, il fucile può essere sostituito dall’ arco regolarmente detenuto.

Art. 8 Orari per l’addestramento

L’attività di addestramento ed allenamento dei cani nelle aree di cui all’art. 2, lett. a) ed art. 5, è consentita dal sorgere del sole fino al tramonto, escluse le aree addestramento cani su cinghiale in recinto, disciplinate in altra parte del presente regolamento. Nelle Aree di cui all’art. 2, lett. b), l’attività di addestramento e sparo sono consentite dal sorgere del fino al tramonto. In occasione di gare cinofile con sparo, è consentito l’utilizzo dell’area senza l’interruzione.

Art. 9 Gare Cinofile

Le gare cinofile per i cani da ferma, da cerca e da seguita, sono effettuate nell’ambito delle aree di cui alla lettera a) del precedente art. 2 e art. 5 senza possibilità di abbattimento, mentre sono consentite con abbattimento o senza abbattimento, all’interno delle aree di cui alla lett. b) del predetto art. 2;

Le gare cinofile di carattere transitorio senza possibilità di abbattimento possono essere autorizzate dalla Provincia, in territori diversi da quelli di cui all’art. 2 del presente disciplinare, dietro presentazione di domanda corredata di consenso dei proprietari dei terreni. Dette gare dovranno avere carattere provinciale, regionale o nazionale e i territori interessati dovranno essere temporaneamente tabellati ai sensi dell’art. 14 del presente regolamento. La durata massima di tali manifestazioni non dovrà essere superiore a 2 giorni. Dette manifestazioni non sono consentite nel periodo 1 Marzo – 30 Giugno.

Art. 10 Uso dei cani da ferma e da cerca per le operazioni

di valutazione quantitativa della fauna

 

 

Ai fini di valutare la quantità della fauna nel territorio possono essere autorizzate dalla Provincia operazioni di verifica quantitativa della fauna selvatica, organizzate nei territori di propria competenza dagli organi di gestione dei vari istituti faunistici.

Art. 11 Autorizzazione per la gestione delle aree

La gestione delle aree di addestramento, allenamento e le gare dei cani, individuate nel P.F.V.P., è autorizzata, su richiesta, con provvedimenti del Dirigente del Servizio Caccia;

L’autorizzazione ha durata massima di cinque anni e può essere rinnovata. La data di scadenza è fissata al 31 dicembre del 5° anno.

Art. 12 Destinatari di autorizzazione

L’autorizzazione è rilasciata prioritariamente alle associazioni venatorie e cinofile, nonché ad imprenditori agricoli singoli o associati o titolari di Azienda Agrituristico Venatoria;

Le aree addestramento autorizzate a imprenditori agricoli titolari di A.A.V. devono ricadere all’interno dell’azienda stessa.

Art. 13 Procedure per il rilascio dell’autorizzazione

La domanda di autorizzazione deve essere inoltrata alla Provincia in carta legale, corredata oltre che dal regolamento di gestione previsto al successivo art. 13, dalla documentazione prevista dalle disposizioni regionali che regolano la materia.

Art. 14 Regolamento di gestione

Il richiedente l’autorizzazione dovrà predisporre un regolamento di gestione dal quale risultino:

a) le specie di selvaggina appartenenti alla fauna che s’intende immettere ed eventualmente abbattere;

b) tempi e modalità di utilizzo dell’area;

In caso di variazione dei tempi e delle modalità di esercizio il responsabile dovrà presentare alla Provincia, per l’approvazione, il nuovo regolamento di gestione.

Art. 15 Tabellazione perimetrale

I titolari di autorizzazione delle aree sono tenuti alla tabellazione perimetrale delle stesse. Le relative tabelle, devono recare la scritta “Area addestramento cani” ed essere conformi a quanto prescritto dall’art. 10 della legge 157/92 dell'art. 9 della L.R. Calabria 9/96 e dalle delibere della G.R. N° 8645 del 16/12/96 e n° 1081 del 24/02/97.

Art. 16 Esercizio dell’attività

L’accesso all’area addestramento cani è consentito ai soli soggetti autorizzati, dal titolare/responsabile della gestione dell’area;

Nelle aree di addestramento con abbattimento, le autorizzazioni di cui al precedente comma dovranno essere cronologicamente annotate nel registro di cui al successivo art. 16, 2° comma;

Nelle aree addestramento con abbattimento è prevista una densità massima di fucili pari ad uno ogni 2 ettari e uno ogni cane. Le densità di cui sopra non si applicano quando l’attività sia svolta esclusivamente su quaglie;

 

 

All’interno delle aree addestramento cani con abbattimento si applicano le norme del calendario venatorio in ordine al numero dei capi da prelevare;

Nelle aree di cui sopra si dovrà accedere con il cane a guinzaglio e fucile scarico e in custodia;

Nelle aree autorizzate con abbattimento di fauna selvatica, previste all’art. 2, punto 1), lett. b, il fucile può essere sostituito dall’arco regolarmente detenuto;

7) Nelle aree dove è consentito l’abbattimento, la zona dove avviene lo sparo deve essere delimitata da apposite bande rosse.

Art. 17 Esercizio del controllo

1) La Provincia controlla che nelle aree di addestramento cani sia rispettato quanto previsto dal regolamento di gestione sottoscritto dal titolare dell’autorizzazione nonché dal presente regolamento;

Di tutte le operazioni di immissione e abbattimento deve essere eseguita, a cura del responsabile della gestione, specifica annotazione in apposito registro che dovrà essere tenuto a disposizione della Provincia e che sarà vidimato dal Dirigente del Servizio Caccia.

Art. 18 Vigilanza nelle aree con abbattimento

Nelle aree addestramento cani con abbattimento, durante l’attività deve essere assicurata la presenza di almeno due agenti aventi il titolo di guardia volontaria venatoria e o dagli agenti del Corpo di Polizia Provinciale, come previsto all’art. 19 della LR. n. 9/96, ed indossando la prescritta uniforme al fine di consentirne un’agevole riconoscimento.

Art. 19 Norme particolari per le A.A.C. aree addestramento

cani su cinghiale in aree recintate Ogni area di addestramento dovrà essere recintata da rete metallica od altra effettiva chiusura, in modo da impedire la fuoriuscita degli animali dovrà essere delimitata da tabelle portanti la dicitura “aree addestramento cani - Accesso regolamentato” e disposte nei modi e nelle forme prescritte dalla L.R.. 9/96 e successive modificazioni e integrazioni;

Il numero dei cinghiali presenti in ogni area di addestramento dovrà essere rapportato in base alle dimensioni ettariali del campo stesso e cioè:

1. a) fino a 5 ha. - n. 2 capi come limite massimo;

2. b) da 5 ha fino a 10 ha. - n. 3 capi come limite massimo;

3. c) da 10 ha. fino a 20 ha. - n. 5 capi come limite massimo;

I cinghiali presenti nell’Z.A.C. dovranno essere tutti dello stesso sesso.

Fermo restando quanto disposto dalla normativa regionale, le dimensioni ettariali minime delle nuove Z.A.C. non potranno essere inferiori a 5 ha.

Il numero massimo dei cani introdotti nelle aree per ogni sciolta dovrà essere.

4. recinti fino a 5 ha. - n. 3 cani;

5. recinti da 5 ha. fino a 10 ha. - n. 4 cani;

6. recinti da 10 ha. fino a 20 ha. - n. 6 cani;

Nell’effettuazione di gare cinofile riconosciute a livello provinciale, regionale e nazionale potranno essere ammessi fino a n. 8 cani per muta, solo nei recinti di dimensione superiore a 20 ha.;

L’immissione dei cinghiali nei recinti dovrà avvenire alla presenza di: funzionari dell’Ufficio Caccia; ufficiali/agenti del Corpo della Polizia Provinciale; G.V. di cui all’art. 19 della L.R. n. 9/96. Dei

 

 

soggetti immessi, dovrà essere comprovata la legittima provenienza e l’idoneità sanitaria, tramite regolare documentazione;

Tutti i cacciatori possono accedere nelle Z.A.C. con parità di diritti e di doveri;

Durante l’addestramento dovrà essere presente un responsabile della struttura;

Qualora si renda necessario l’abbattimento dei cinghiali presenti nel campo d’addestramento, dovrà in merito essere richiesta preventiva autorizzazione alla Provincia;

Copia dell’autorizzazione e del regolamento di gestione dovranno essere posti in visione all’ingresso delle Z.A.C.;

Con l’entrata in vigore del presente regolamento tutte le A.A.C. su cinghiale e lepre in aree recintate, devono adeguarsi a quanto in esso stabilito;

Art. 20 Decadenza dell’autorizzazione

L’irregolare gestione, le violazioni del provvedimento d’autorizzazione, del presente regolamento, oltre alle violazioni di legge, comportano la diffida da parte del Dirigente, o la revoca dell’autorizzazione nei casi di particolare gravità. In caso di nuova irregolarità, commessa entro due anni dalla precedente diffida, ciò comporta la decadenza automatica dell’autorizzazione stessa, pronunciata dal Dirigente. L’eventuale nuovo rilascio potrà avvenire dopo il decorso di un biennio dalla data del provvedimento di decadenza.

 

 

Le Zone Addestramento Cani (Z.A.C.) attive sul Territorio Provinciale sono 10 

ASSOCIAZIONE LOCALITÀ Partita Catastale Superfice in Ettari

1 ENALCACCIA “MATAROZZO” COMUNE DI RIZZICONI

Partita Catastale n° 994 foglio di mappa 34 particella 77

06.01.00

2

NATURA DI CALABRIA Società Cooperativa Agricola

Località “ Moio “ Comune di COSOLETO

Partita Catastale n° 289 foglio mappa 16, partita n°299 foglio mappa 16 partita n°300foglio mappa 16

20.00.00

3 FEDERCACCIA

LOCALITA' “SAN PASQUALE COMUNE di BOVA MARINA

Partita n° 994 foglio mappa 30 particelle 18 e 23

7.66.00

4 Associazione C.P.A.

Località “ LACCHI “ COMUNE DI AGNANA CALABRA

Foglio di mappa n° 9 particelle n° 140-141-142-143-144-201-202-217 e 223

4.26.90

5 LA GAZZA

Località “ Calderano “ COMUNE DI PALIZZI

Partita n° 3111 foglio di mappa n°49 particelle 1-2-4-5-7-9-10 e 11

9.18.08

6

AZIENDA AGRICOLA A.G. & C S.R.L. ZAC (Cinghiali)

Località “ Covala “ Comune di S. Eufemia d'Aspromonte

Foglio di mappa n° 10 particella 87

20.00.00

7 FEDERCACCIA

Località “Piano del Prete“ Comune di MONTEBELLO JONICO

Partita n° 11116 foglio n° 4 e 7 particelle 149- 1-2-6-32- e 33

49.48.49

8 FEDERCACCIA ZAC (Cinghiali)

Località “Firmano” Comune di GALATRO

Foglio di mappa n° 15 paticella 15

7.00.00

9 CIRCOLO A.N.U.U.

Località “ Pantanolungo “ Comune di CARDETO

Foglio n° 13 particella 354 12.09.60

10 ARCI CACCIA Località “ Campo “ Comune di Bagnara Calabra

Foglio n° 21 particella 53 12.8.560

TERRENO AGRO SILVO PASTORALE DESTINATO A ZONA ADDESTRAMENTO CANI

Totale Etta

 

 

ri148.55.67

 

 

All. 3 ­ Linee guida per la realizzazione di miglioramenti ambientali 

Con il termine miglioramenti ambientali a fini faunistici si intendono quegli interventi volti ad incrementare e conservare la consistenza della fauna selvatica spontanea, la cui realizzazione deve essere proporzionata alla densità desiderata e lo sforzo inversamente commisurato ai livelli già esistenti.

I miglioramenti ambientali sono fondamentali per la protezione, la salvaguardia e la gestione della fauna selvatica, siano essi effettuati da enti pubblici (nelle Oasi di protezione, nelle Zone di ripopolamento e cattura), da organi di gestione (Ambiti Territoriali di Caccia) o da soggetti privati (nelle Aziende faunistiche).

La considerazione principale, quando si pensa ai miglioramenti ambientali, è che gli animali selvatici si trovano a vivere per la maggior parte del territorio, non in ambienti naturali, ma in agro-ecosistemi, in cui la presenza dell’uomo e delle pratiche agricole sono ormai parte integrante.

La diffusione delle pratiche agro-silvo-pastorali è sempre stata compatibile ed in armonia con le risorse naturali.

In passato, il paesaggio agricolo, modellato da secoli di uso sostenibile, era caratterizzato dall’elevata frammentazione degli appezzamenti, dalla coltivazione contemporanea di specie vegetali diverse, anche in miscela, dall’avvicendamento colturale, dal mantenimento di siepi arbustate e alberate, fasce inerbite, filari e boschi, ad individuare i confini delle proprietà, che costituivano allo stesso tempo preziose fonti di legna da ardere, erbe, bacche e frutti del sottobosco.

Un paesaggio rurale di questo tipo favoriva la naturale presenza di diverse specie di piccola fauna selvatica, originarie di ambienti naturalmente aperti, steppici o mediterranei: starna, quaglia, pernice rossa e lepre comune in pianura e collina, coturnice e molti passeriformi (averle, allodole, strillozzi, zigoli, stiaccini, prispoloni, rondine) e i loro predatori naturali, terrestri (volpi, faine, donnole) ed alati (rapaci diurni e notturni).

Questo equilibrio, frutto di un uso secolare delle risorse naturali compatibili con l’ambiente, non era però destinato a mantenersi immutabile. Fu così che, con l’avvento della tecnologia, dagli anni 70 cominciò ad incrinarsi il rapporto uomo-ambiente, prima lentamente e poi sempre più velocemente, ed il tradizionale paesaggio rurale, lasciò il posto ad un’agricoltura più moderna e produttiva sì, ma basata sullo sfruttamento intensivo del suolo e dell’ambiente naturale.

Le monocolture iniziarono ad interessare appezzamenti più vasti, privi degli elementi naturali che per secoli li avevano suddivisi, offrendo rifugio ed alimentazione alla fauna selvatica. Contemporaneamente, lo spopolamento del territorio rurale, di montagna e di collina, privò vaste zone di un presidio umano, dei mille piccoli lavori di manutenzione di muretti, argini, terrazzamenti, che per secoli avevano prevenuto e limitato il verificarsi di calamità naturali.

La fauna selvatica degli agro-ecosistemi tradizionali non poteva non risentire del progresso tecnologico: la progressiva scomparsa di siepi, filari e boschetti, la “pulizia” di tutte le “tare” aziendali (fossi, strade a fondo naturale, testate dei campi) ha privato centinaia di uccelli e piccoli mammiferi di siti di riproduzione e rifugio dai predatori; l’aratura delle stoppie in aree a monocoltura intensiva, oggi effettuata a brevissima distanza dal raccolto, crea un vero e proprio deserto artificiale, che poco o nulla offre dal punto di vista alimentare.

Vasti appezzamenti coltivati a cereali autunno - vernini già in agosto vengono arati, e così rimangono fino alla fine di gennaio: ciò significa circa sei mesi di assenza di qualsiasi fonte di nutrimento per la fauna, proprio nel corso della stagione più fredda.

L’azienda agricola deve essere vista non solo più come un’unità produttiva, ma deve essere valorizzato, anche economicamente, il suo ruolo di tutela e salvaguardia del territorio rurale e dell’ambiente naturale.

Ciò significa creare e recuperare filari e siepi alberate e arbustate, margini inerbiti dei campi, boschetti e lembi di vegetazione naturale lungo fossi, sentieri e tratturi, utilizzati per il rifugio e la

 

 

riproduzione dalla fauna, i quali prevengono inoltre l’erosione e l’eccessivo dilavamento dei terreni agricoli.

Occorre anche fornire fonti alimentari che compensino, seppure solo parzialmente, la povertà colturale prodotta dalla moderna agricoltura. Studi e ricerche recenti hanno dimostrato che questa via è percorribile. Europa, Gran Bretagna e Francia sono gli stati dove la fase sperimentale si può ormai dire conclusa con successo, e dove le coltivazioni a perdere per l’alimentazione della fauna selvatica sono diffuse nelle campagne.

Una coltura “a perdere” è un appezzamento dove le piante coltivate sono lasciate in piedi fino a 6 mesi oltre la data di raccolta abituale, per esempio fino a fine settembre per i cereali autunno-vernini ed a marzo dell’anno successivo per quelli a semina primaverile; così, soprattutto durante l’inverno, le piante non raccolte costituiscono una preziosa fonte di alimento per uccelli e mammiferi selvatici.

L’uso di specie vegetali a semina autunnale e primaverile nella stessa annata agraria è garanzia di presenza di una copertura vegetale per tutto l’anno. Essenze ormai quasi scomparse dalle nostre campagne come segale, grano saraceno, sorgo, miglio e panico sono particolarmente indicate a questi scopi, anche in virtù della loro rusticità, e possono essere affiancate ai seminativi più diffusi a scopo produttivo, come frumento (tenero e duro) e mais.

Le esperienze fatte all’estero sottolineano, inoltre, l’importanza di usare anche foraggiere quali avena, erba medica, trifoglio e veccia, e tradizionali specie oleifere, come colza, ravizzone e girasole.

Le coltivazioni possono essere a monocoltura o in associazione; in Francia le miscele più utilizzate per questo scopo sono abitualmente mais-sorgo, mais-miglio, cavolo da foraggio-avena-grano saraceno e veccia-segale.

La collocazione, la forma e la dimensione degli appezzamenti coltivati per la fauna selvatica devono essere scelti oculatamente, così come la gestione delle colture.

I seminativi a perdere dovrebbero essere situati vicino a quegli stessi elementi naturali che starne, pernici rosse, lepri, passeriformi e piccoli mammiferi scelgono per riprodursi e ripararsi. Questi elementi sono, inoltre, corridoi ecologici, vere e proprie “autostrade verdi” che consentono lo spostamento della fauna all’interno dell’agroecosistema. Anche i predatori sfruttano questa rete verde, dove siepi e boschi, se ben strutturati, possono concorrere a diminuirne l’impatto sulle prede.

Le coltivazioni a perdere non determinano un decremento così forte della produttività aziendale, proprio in virtù della loro collocazione marginale.

Affinché siano facilmente accessibili alla fauna, dovrebbero essere coltivate su appezzamenti di forma allungata; per lo stesso motivo, avendo a disposizione un’estensione di intervento definita, è bene che essa sia frammentata in diversi appezzamenti dispersi sul territorio a “macchia di leopardo”, piuttosto che concentrata in un solo punto.

Proprio in virtù della loro destinazione non produttiva, le coltivazioni a perdere non devono essere oggetto di particolari trattamenti con pesticidi o fertilizzanti chimici, con il duplice risultato di diminuire l’impatto della coltura sull’ambiente e di ridurre i costi di produzione per l’agricoltore.

Ci sono, però, ancora alcuni pregiudizi ed un po’ di scetticismo da parte del mondo agricolo nei confronti di questi interventi. Innanzitutto la convinzione che mantenere i seminativi a perdere per la fauna comporti, al termine del periodo d’intervento, lavoro aggiuntivo per ripristinare condizioni ottimali per la semina a scopo produttivo.

Per ovviare a questi inconvenienti, oltre che al mancato reddito, la coltivazione a perdere eve essere agevolata da contributi pubblici che dovrebbero garantire al conduttore dei fondi entrate pari a quelle fornite dalla raccolta a scopo produttivo.

Un altro pregiudizio diffuso è che lasciare coltivazioni mature in campo determini l’aumento indesiderato di alcune specie di fauna con conseguente incremento dei danni in genere.

 

 

Il cinghiale è la specie simbolo di tutte le controversie, poiché è responsabile di buona parte dei danni arrecati all'agricoltura ed è in forte espansione demografica.

A questo proposito è bene considerare che le coltivazioni a perdere sono marginali rispetto agli appezzamenti più produttivi. La loro stessa vicinanza alle aree non coltivate, da cui provengono i cinghiali, sfrutta il naturale comportamento elusivo ed antipredatorio di quest’ultimi: essi tenderanno ad alimentarsi prima sulle piante coltivate più vicine alle loro aree di rifugio, per poi allontanarsi usando siepi e boschi come vie di comunicazione, limitando pertanto ildanneggiamento dei campi centrali.

Inoltre, in zone coltivate in prevalenza a mais, i cinghiali si alimenterebbero comunque sulle pannocchie, fonte alimentare sicura, più accessibile e concentrata di qualsiasi altra di origine selvatica; i danni arrecati ad appezzamenti coltivati proprio a questo scopo sono più facili da accettare, anche da un punto di vista psicologico, da parte degli agricoltori perché fanno parte del “gioco”. Infine è da sfatare il pregiudizio più radicato secondo cui “dare da mangiare” ai cinghiali favorirebbe l’incremento demografico della popolazione Calabrese di questo ungulato, la cui gestione è già problematica.

Le colture a perdere, infatti, non forniscono fonti alimentari supplementari, ma “dirottano” semplicemente i cinghiali su appezzamenti coltivati per questo scopo.

La fase sperimentale delle coltivazioni a perdere per l’alimentazione della fauna selvatica nei nostri territori è appena iniziata, ma le esperienze straniere fanno ben sperare per una futura miglior convivenza fra fauna e agricoltura anche in casa nostra.

Accanto alle colture a perdere che sono una parte degli interventi atti a favorire la presenza di fauna selvatica, sono altrettanto importanti quelle misure di ripristino ambientale di cui si diceva in precedenza, finalizzate alla ricostituzione dell’ambiente naturale:

• favorire modelli di gestione faunistica dei complessi forestali e vallivi compatibili con le situazioni ambientali locali;

• praticare un’agricoltura non intensiva di limitato impatto ambientale che preveda un moderato impiego di prodotti chimici;

• creare strutture artificiali di ricovero e alimentazione;

• incrementare la diversificazione ambientale sia attraverso l’aumento degli incolti, sia con la messa a dimora di siepi e alberi, sia con l’inserimento nell’ambito delle ordinarie rotazioni colturali di piante coltivate particolarmente adatte.

Una prima distinzione da fare riguarda la il contesto territoriale in cui si opera.

ZONE DI PIANURA CON AGRICOLTURA INTENSIVA

Tra i fattori più influenti sulla disponibilità faunistica, quindi da considerare nei programmi di miglioramento ambientale, figurano il tipo di conduzione agricola, da cui consegue anche l’estensione delle parcelle coltivate e la scelta delle specie coltivate, sempre più indirizzata verso la monocoltura.

Adeguamento di alcune pratiche agricole e dei sistemi di lavorazione. Tutte le operazioni di campo (aratura, fresatura, erpicatura, discatura e interramento delle stoppie, concimazione, trattamenti fitosanitari, sfalcio dei foraggi, mietitura, trinciatura della paglia) riducono la disponibilità alimentare nel periodo tardo estivo-autunnale (quando già in natura inizia la carenza) e impediscono la nidificazione dei galliformi nel periodo primaverile-estivo. Altre operazioni, come l’irrigazione intensa in tempi brevi, comporta l’annegamento diretto di intere covate di nidiacei.

Gli interventi più efficaci dal punto di vista naturalistico sarebbero quelli volti ad armonizzare le attività agricole con le esigenze biologiche dei selvatici su vasta scala.

Leprime, infatti, dovrebbero prevedere più ampie rotazioni colturali, interruzioni della monocoltura in favore di una maggiore mosaicatura delle coltivazioni per non interrompere bruscamente la

 

 

disponibilità alimentare a fine raccolta e consentire la massima disponibilità di siti di nidificazione e rifugio.

E’ un dato di fatto, purtroppo, che in un contesto di agricoltura specializzata come quello attuale, molte proposte gestionali riconducibili al ripristino di sistemi di coltivazione non più perseguiti da tempo risultano poco proponibili su vasta scala per ragioni di mercato, dal momento che obbligano gli imprenditori agricoli ad impiegare le risorse con la massima razionalità e ridurre il più possibile i tempi morti nelle lavorazioni.

Si propone un breve elenco dei possibili rimedi, che pur comportando maggiori costi per gli agricoltori, potrebbero essere più facilmente adottati.

Lavorazioni del suolo • Aratura a fine inverno dei suoli più sciolti o sabbiosi. Questi sono più accessibili in condizioni umide e, rispetto a quelli di medio impasto o argillosi, beneficiano meno degli effetti migliorativi del gelo sulla struttura se arati in autunno.

• La vegetazione lungo i bordi delle strade, dei fossi, dei canali, dei terreni a set-aside può essere sfalciata al termine del periodo di cova (seconda metà di luglio). Lo stesso posticipo sarebbe utile per tutte le operazioni di sfalcio, anche se nel caso dei foraggi questo non è sempre fattibile per esigenze biologiche e organizzative.

• Permanenza delle stoppie di cereali fino all’autunno, per lasciare all’avifauna i semi caduti nella mietitrebbiatura, soprattutto per le specie steppicole come la quaglia.

Le infestanti che si sviluppano, nel frattempo, permettono la crescita delle popolazioni di insetti.

• Rinuncia alla bruciatura delle stoppie. Se del caso, è necessario adottare misure di contenimento e frazionamento del fronte di fiamma, mediante fasce parafuoco di suolo lavorato superficialmente larghe 5-10 m, di difesa delle siepi, oltre che rispettare tuttele precauzioni di sicurezza.

• Adozione di barre di involo o snidamento nel taglio dei foraggi, più efficaci con densità di vegetazione non eccessiva.

• Inizio del taglio a partire dal centro del campo e procedendo in direzione centrifuga o, comunque, secondo modalità che consentano la fuga dei selvatici.

• Mantenimento delle barre falcianti ad una altezza tale da rispettare i nidi (almeno 10 cm, non applicabile con i foraggi).

• Trinciatura della paglia nel più breve tempo possibile dalla mietitura, per evitare la morte delle lepri eventualmente rifugiatesi nelle andane.

Sistemi di lavorazione • Minima lavorazione. Consiste nell’aratura superficiale (20 cm o poco più). In alcuni casi, da valutare, consente un risparmio economico senza ripercuotersi sulle rese.

• Assenza di lavorazione. Proponibile con maggiori cautele, in quanto non è adottabile efficacemente in tutte le condizioni pedo-ambientali. Consiste nella semina diretta della coltura sui residui di quella precedente, lasciati sul campo.

• Lavorazione per fasce di 4-6 metri, intervallate da fasce di pari ampiezza, non lavorate.

• Coltivazione su prode. Il suolo viene rincalzato a prode, sulle quali si effettua la semina, quindi la lavorazione successiva alla raccolta avviene solo sulla proda, risparmiando la parte bassa.

• Semina su sodo dei prati. La coltura successiva viene seminata mediante apposite macchine direttamente su terreno inerbito.

I vantaggi per la fauna selvatica in generale sono molteplici, riconducibili in sintesi al minore disturbo dovuto ai passaggi delle macchine operatrici e alla prolungata disponibilità alimentare data dai residui colturali.

 

 

Gli svantaggi, tuttavia, sono pure rilevanti per l’agricoltore in termini di resa e programmazione degli interventi, soprattutto i diserbi, in quanto le infestanti sono più favorite se non avviene l’interramento dei residui della coltura precedente.

Risultati positivi si ottengono sicuramente con l’agricoltura biologica e integrata, nel senso che si tratta di pratiche non prevedenti (o in misura limitata) l’apporto di sostanze e input energetici che alterano gli equilibri dinamici dell’ambiente.

Impiego dei fitofarmaci e dei fattori produttivi I fitofarmaci sono mezzi da utilizzare nel modo più razionale possibile, per ragioni generali di interesse agroecosistemico e non solo faunistico, attenendosi ad alcune semplici indicazioni:

• Utilizzo, se possibile, dei prodotti meno tossici, senza mescolarli e nel rispetto dei dosaggi prescritti.

• Leggero interramento degli insetticidi in formulazione microgranulare, invece dell’aspersione superficiale.

• Irrorazione dei campi iniziando dal centro e in direzione centrifuga, adottando ogni precauzione per limitare le aspersioni ove necessario trattare.

• Non distribuire con forte vento, sole intenso o pioggia per limitare le derive e i dilavamenti e rispetto di bordure, siepi e aree cespugliate.

• Corretto smaltimento dei contenitori e dei residui.

Impianto di siepi e boschetti quali elementi fissi del paesaggio Nelle zone di pianura gli interventi di effetto più realistico possono essere prevalentemente di natura ricostitutiva degli habitat utili alla riproduzione, al rifugio e all’alimentazione delle specie, come l’impianto di siepi tra i confini dei campi e il mantenimento di fasce inerbite lungo i bordi, quali rimedi interruttivi della mancanza di rifugio e nutrimento per la fauna.

Siepi e fasce boscate possono risultare positive anche per l’ambiente, oltre che per la fauna. Impianti di siepi ben predisposti e sufficientemente sviluppati fungono da frangivento e da barriera contro la deriva dei prodotti, possono limitare l’erosione dei suoli, lo scorrimento superficiale e la lisciviazione dei nutrienti, mantenere gli insetti impollinatori e predatori utili all’agricoltura.

Questi accorgimenti, pur non alterando sostanzialmente i piani colturali delle aziende, comportano tuttavia alcune complicazioni nella gestione di tutte le pratiche, in particolare il diserbo e la somministrazione dei fitofarmaci che in queste fasce vanno risparmiati.

La realizzazione di siepi e boschetti deve tener conto della potenzialità della vegetazione e della relativa serie dinamica così come evidenziato dal Piano faunistico – venatorio provinciale.

Gli inconvenienti che ne potrebbero derivare sono legati alla possibile diffusione di infestanti e parassiti tra le colture con conseguenti ripercussioni economiche anche di un certo rilievo sui costi colturali o sulle rese, dovute alla sottrazione di acqua e all’ombreggiamento.

L’entità di queste conseguenze varia secondo i diversi ambienti, comunque può sortire effetti economici più o meno sensibili per l’agricoltore.

Tra le numerose specie vegetali da utilizzare come siepi sono naturalmente da preferire quelle autoctone, alternando essenze a foglie caduche con sempreverdi e che producano frutti commestibili.

Punti di alimentazione e di abbeverata Colture a perdere Per attenuare i repentini cambiamenti tra periodi di abbondanza trofica e le forti carenze susseguenti ai raccolti e alle lavorazioni autunnali, è utile la semina di colture a perdere, destinandone innanzitutto le tare aziendali, strisce lungo siepi o bordi di estensioni orientative di 2000 – 4000 m2.

 

 

Le essenze debbono essere individuate secondo le esigenze specifiche. Generalmente, specie singole o consociate (es. graminacee e leguminose) non sottoposte a trattamenti chimici, lasciate sino a oltre la maturazione possono già rappresentare occasioni di alimentazione, luoghi di nidificazione e rifugio per molta parte della piccola fauna selvatica.

Delle colture a perdere si è già trattato nella parte iniziale del capitolo.

ZONE DI COLLINA E MONTAGNA CON AGRICOLTURA NON INTENSIVA

A partire dagli anni 70, come conseguenza della trasformazione dei mercati agricoli e delle mutate esigenze sociali, è iniziato il fenomeno dello spopolamento in vaste e numerose zone pedemontane e collinari, tradizionalmente caratterizzate da una buona diversificazione delle biocenosi animali e vegetali data l’agricoltura poco intensiva. L’abbandono, quindi, delle terre che ne è conseguito ha comportato la riduzione della variabilità agroecosistemica che consentiva l’insediamento stabile di numerose specie selvatiche.

I singoli ecosistemi tendono naturalmente ad evolversi verso uno stadio finale, che solitamente nelle zone in oggetto è di bosco a discapito delle aree aperte. Tale processo si svolge in natura più o meno rapidamente secondo i tipi di coltivazione preesistenti; seminativi annui, vigneti, arboreti, erbai di leguminose sono esempi di colture con diversi gradi di persistenza, fenomeno che dipende dalla copertura del suolo e da vari altri fattori biologici, tecnici e pedo-ambientali. Tuttavia, entro pochi anni dall’abbandono possono avvenire trasformazioni imponenti della composizione floristica.

Nei momenti decisionali della programmazione di qualsiasi intervento è utile conoscere le condizioni territoriali per prevedere la fattibilità e la convenienza economica di azioni di recupero dello stato antecedente all’abbandono.

In territori abbandonati da molti anni, per di più privi di qualsiasi forma di gestione selvicolturale che dipenda da una presenza costante dell’uomo, oltre a dover compiere interventi alquanto importanti ed onerosi, occorre verificare la disponibilità futura di forze che possano continuare a mantenere quanto ottenuto. Condizioni tali di abbandono territoriale da non garantire di mantenere i miglioramenti, sono già molto diffuse in ampie e significative porzioni del territorio regionale, soprattutto nelle zone collinari e nelle zone pedemontane in genere.

In alcuni casi, modeste aree sono state destinate a forme di agricoltura più remunerative, come i vigneti o l’arboricoltura di pregio.

Questo orientamento, sostenuto dall’interesse economico, ha introdotto la comparsa di alcuni tipi di danni da fauna selvatica sconosciuti in precedenza, conseguenti alla vicinanza di vaste aree cespugliate e boschive.

Qualsiasi programma d’intervento deve essere necessariamente contestualizzato a misure finanziarie e iniziative volte alla realizzazione di più vasti equilibri territoriali, motivando la componente sociale a permanere sui territori oggetto di spopolamento (garanzia di servizi, etc.).

Interventi sull’ambiente Si intendono gli interventi atti ad aumentare la capacità recettiva di un territorio, in altre parole l’insieme di caratteristiche ambientali intrinseche sostenenti la presenza di un certo numero di selvatici.

I tipi di intervento possibili sull’ambiente sono suddivisibili in due grandi gruppi:

1) Interventi volti al potenziamento di dotazioni ambientali, tra i quali si indicano, in particolare:

• Aumento delle disponibilità alimentari. Produzione naturale di alimento con destinazione di parti di terreno a perdere di essenze appetite; pratica da attuarsi prioritariamente rispetto al foraggiamento artificiale.

• Siti di rifugio e micro-ambienti adatti alla riproduzione. Fondamentali per la permanenza degli animali sul territorio, per di più semplici da realizzare, con utile contributo delle cosiddette “tare colturali” ed aree non utilizzate diversamente quali scarpate, cavedagne, zone marginali, basi di tralicci, arginature e così via), se lasciate in condizioni di tranquillità durante il periodo riproduttivo.

 

 

• Disponibilità idrica. Importante in relazione sia alla disponibilità complessiva, sia alla distribuzione sul territorio, specie nella stagione estiva. Talvolta è serio fattore limitante, al punto da rendere opportuna la predisposizione di punti di raccolta d’acqua.

2) Interventi orientati al contenimento dei fattori di mortalità e di disturbo, che sono:

• Pratiche agricole dannose. Sostanze chimiche varie (peraltro di assai difficile sostituzione), sfalcio dei foraggi in coincidenza con fasi riproduttive, mietitura e bruciatura delle stoppie (ove eventualmente praticata), sottrazione di habitat.

• Fonti trofiche artificiali. Macro e micro-discariche non controllate, rifiuti di allevamenti, possono rappresentare fattori di alterazione degli equilibrii delle zoocenosi, in quanto utilizzate abbondantemente da specie opportuniste (cornacchie, gabbiani, volpi).

• Infrastrutture e manufatti. Strade, ferrovie, canali, elettrodotti, etc. oltre che perdita diretta di territorio, sono barriere fisiche all’espansione e alla fuga dai pericoli, innaturali confinamenti per le popolazioni.

Per i dettagli sulle modalità consolidate di intervento per i miglioramenti ambientali a finifaunistici si rimanda a: Genghini, M. 1994. I miglioramenti ambientali a fini faunistici. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Documenti Tecnici, 16.

 

 

All. 4 – Disciplinare per l’accesso ai contributi per interventi di ripristino e miglioramento ambientale con finalità faunistiche 

Art. 1 Soggetti beneficiari

1. Possono accedere al presente bando, ai sensi degli Articoli 13 com. 6 lettere b, c e 22 com. 2 lettera a, della Legge Regionale n. 9 del 1996, gli imprenditori agricoli professionali singoli o associati, proprietari o conduttori di terreni agricoli ricadenti nell’ Ambito Territoriale di Caccia.

2. Sono esclusi dai benefici previsti dal presente bando i proprietari o conduttori di terreni agricoli ricadenti in aree a divieto di caccia, nei fondi chiusi, nonché quelli ricadenti negli istituti privati a fini venatori (aziende faunistico-venatorie, aziende agrituristico-venatorie), aree addestramento cani, eccetto quelli in rapporto convenzionato con l’ATC per lo svolgimento di particolari progetti.

3. Sono inoltre esclusi coloro che percepiscono per le stesse misure d’intervento previste nel presente bando contributi da parte dell’Unione Europea e/o di Pubbliche Amministrazioni.

Art. 2 Termini e modalità di presentazione della domanda

1. Sono previste due sessioni annuali di accesso al presente bando, primaverile e autunnale. La presentazione della domanda dovrà avvenire entro e non oltre il 31 dicembre, per la realizzazione degli interventi primaverili, ed entro il 31 maggio, per la realizzazione degli interventi autunnali, di ogni anno.

2. La richiesta di contributo relativa agli interventi previsti dal presente Bando dovrà essere inoltrate al Presidente del Comitato di Gestione dell’A.T.C, utilizzando obbligatoriamente il Modello 1 (vedi allegati), redatto in carta semplice e debitamente sottoscritto con firma in calce. Le domande non compilate in ogni sua parte e non conformi al modello 1 saranno ritenute non valide.

3. Per la presentazione della documentazione integrativa alla domanda, necessaria per l’accesso al bando, è concessa una proroga di 20 giorni dal termine di scadenza della sessione per la quale si concorre. Trascorso tale periodo, le domande incomplete saranno ritenute non valide ai fini dell’ammissione al bando.

Art. 3 Documenti da allegare alla domanda.

Alla domanda dovrà essere allegata la seguente documentazione:

• Corografia in scala 1:25.000 o 1:10.000 dei terreni oggetto d’intervento;

• planimetria catastale 1:2.000 dei terreni oggetto d’intervento;

• visura catastale dei terreni oggetto di intervento aggiornata ad non oltre 6 mesi antecedenti il termine di scadenza per la presentazione della domanda di partecipazione al bando.

• Nel caso di presentazione di visura rilasciata in data antecedente ai termini suddetti dovrà essere allegata dichiarazione di non avvenuta variazione;

• copia di idoneo documento comprovante il dichiarato titolo di possesso o conduzione dei fondi;

• copia dei necessari atti di autorizzazione rilasciati dagli organi competenti se richiesti dalla normativa vigente;

• relazione tecnica sugli interventi redatta da un tecnico qualificato e abilitato

• autorizzazione del proprietario o comproprietario ad eseguire le opere per le seguenti tipologie di intervento aventi codice: A3, A4, A6, A8, B1, B2.

Art. 4

 

 

Regime di aiuti 1. II contributo annuo massimo ammissibile per azienda, per i complessivi interventi proposti, non può superare la quota pari a €. ( Verrà Stabilto dal Comitato di Gestione )

2. Il Comitato di Gestione dell’A.T.C. insieme al Tecnico incaricato si riserva la facoltà di attribuire ulteriori contributi finalizzati alla realizzazione di interventi non espressamente previsti nel presente Bando. L’entità di tali importi non potrà comunque superare la cifra di €. ( verrà stabilto dal Comitato di Gestione ) ad personam.

3. I contributi relativi ai vari tipi di intervento non sono tra loro cumulabili, se effettuati sullo stesso appezzamento, escluso dove indicato alla voce cumulabilità dei singoli interventi.

Art. 5 Criteri di assegnazione dei contributi

1. Entro i 60 giorni successivi la chiusura del termine per la presentazione della domanda di ciascuna sessione (autunnale o primaverile) il Comitato di Gestione dell’A.T.C. istruisce le richieste pervenute ed elabora, in base alle priorità assegnate per ciascun intervento (vedi allegati), apposite graduatorie e comunica al richiedente sull'esito dell'istanza.

2. In caso di parità nella graduatoria saranno considerate priorità valide per tutte le tipologie di intervento: interventi proposti in prossimità di strutture fisse di ambientamento della selvaggina, entro il raggio di 500 mt lineari (punti 2), interventi proposti in aree limitrofe ad Istituti Faunistici, entro il raggio di 1 Km (punti 1). In ultima istanza sarà considerata prioritaria la data di presentazione della domanda.

3. A scorrimento della graduatoria saranno oggetto di finanziamento tutti i progetti fino all’esaurimento delle disponibilità finanziarie assegnate ai diversi interventi.

4. In caso di rinuncia o inadempienza da parte di un richiedente il Comitato di Gestione provvedere ad istruire ed approvare la prima richiesta fra quelle non ammesse per mancanza di fondi disponibili.

5. Sarà cura del Comitato di Gestione dell’A.T.C. rendere noto prima dell’apertura dei bandi annuali eventuali modifiche ai criteri di assegnazione dei contributi di cui ai punti precedenti.

Art. 6 Procedure di attuazione.

1. I lavori inerenti il progetto presentato potranno essere eseguiti esclusivamente dopo il ricevimento della comunicazione di ammissione a contributo rilasciata dall’A.T.C. che comunque si riserva la facoltà di dare prescrizioni vincolanti l’approvazione dei progetti stessi.

2. Il richiedente si impegnerà nell’esecuzione di tutte le opere necessarie a rendere efficaci al massimo gli interventi e secondo le prescrizioni del bando.

Nel caso che i terreni siano sottoposti a vincoli (vincolo idrogeologico, forestale, ecc.) le istanze agli organi competenti per il conseguimento del nulla osta alla realizzazione degli interventi saranno richiesti da parte del beneficiario del contributo.

Il Comitato di gestione dell’A.T.C. non si assume nessuna responsabilità per inadempienze o infrazioni commesse nella realizzazione dei lavori e delle opere.

3. Eventuali modifiche al progetto autorizzato dovranno essere preventivamente comunicate all’A.T.C. che si riserva la facoltà di concordarle e approvarle.

4. Gli interventi dovranno essere segnalati da apposite tabelle, fornite dall’A.T.C. all’atto della comunicazione di ammissione a contributo, indicanti la partecipazione finanziaria dell’A.T.C. realizzazione delle opere.

5. I lavori dovranno essere eseguiti entro e non oltre i 6 mesi a far data dal ricevimento della comunicazione di ammissione a finanziamento inviata dal Comitato di Gestione dell’A.T.C. e comunque nel rispetto delle ordinarie pratiche agronomiche (sono fatte salve eventuali esigenze di

 

 

deroga connesse a causa di forza maggiore riconosciute dal Comitato di Gestione. - Es. pioggie persistenti, nevicate, etc.)

6. Al termine dei lavori il richiedente dovrà presentare domanda di collaudo al Presidente dell’A.T.C.;

7. Il collaudo delle opere, al fine di definirne la congruità e poter procedere alla liquidazione dell’importo ammesso a contributo, verrà effettuato entro i termini di raggiungimento delle finalità degli interventi da parte del tecnico incaricato dall’A.T.C.; L’erogazione del finanziamento ammesso avverrà entro 60 giorni dalla data del verbale di collaudo a seguito dell’approvazione da parte del Comitato di Gestione dell’A.T.C.;

8. Qualora sia rilevata una non ottimale riuscita dell’intervento o siano rilevate inadempienze nella realizzazione degli interventi e comunque a quanto prescritto nel bando, l’A.T.C. si riserva il diritto di non assegnare o assegnare solo parzialmente i contributi previsti.

 

 

Allegati cartografici

TAV. 1 Carta dell’uso del suolo CORINE LAND COVER  

TAV. 2 Carta della superficie Agro­Silvo­Pastorale 

TAV. 3 Carta dei comprensori omogenei 

TAV. 4 Carta della densità di cacciatori (n°) per comune 

TAV. 5a Carta delle densità venatorie reali per comune 

TAV. 5b Carta delle densità venatorie reali per ATC 

TAV. 6a  Carta delle idoneità ambientali della lepre appenninica 

TAV. 6b  Carta delle idoneità ambientali del cinghiale 

TAV. 6c  Carta delle idoneità ambientali della starna 

TAV. 6d  Carta delle idoneità ambientali del fagiano 

TAV. 7  Carta delle aree protette 

TAV. 8a  Carta delle aree vocate al ripopolamento della lepre appenninica 

TAV. 8b  Carta delle aree vocate al ripopolamento della starna 

TAV. 8c  Carta delle aree vocate al ripopolamento del fagiano