AURELI 2005-Teoria Critica

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    Teoria e Critica. Punto e a capo

    Pier Vittorio Aureli, Gabriele Mastrigli

    Questo scritto, i cui temi sono stati anticipati a due voci nel corso dellamanifestazioneItaly Now?che si tenuta presso la Cornell University diIthaca lo scorso aprile, vuole esprimere un indirizzo di studio e di ricercaalternativo alle modalit odierne di discussione dell'architettura. Questaposizione comprende le diff icolt estreme con le quali oggi si confrontal'idea stessa di architettura, ma non riconosce piena legittimit ad alcunepratiche odierne della critica che trovano consenso in molte discussioni ediscorsi sull'architettura e la citt. La tesi centrale di questa posizione che uno dei problemi fondamentali della cultura architettonica in Italiacome in Europa risiede nella mancanza pressoch totale di un discorsocritico generalizzante ed ambizioso, che sia ancorato a presupposti teoricirigorosi, intelligibili e per questo non limitati ad un tautologica e acriticarappresentazione della realt. [PVA, GM]

    E dovremmo contentarci di intuizioni impressionistiche, motti sibillini,lampeggiamenti baluginanti, vagiti...

    Alberto Arbasino, La gita a Chiasso, 1963

    La conclusione che la teoria deve iniziare, ancora una volta, a pensare in modoambizioso. Non perch la teoria deve rendere conto alla tradizione occidentale,ma perch, cos facendo, essa pu costituire il senso delle grandi narrative nellequali essa implicata.Terry Eagle ton,After Theory, 2002

    ARCHITETTURA. Parafrasando una battuta di Robert Bressonsul teatro, si potrebbe affermare che l'architettura l'architettura. Ed sempre per questo che la gente diarchitettura, che vuole cambiare l'architettura, non lacambier mai. Esiste, non la si pu cambiare, altrimentidiventer qualcosa che non pi architettura. L'architettura sempre uguale a se stessa.

    Ma se l'architettura anche, ancora oggi, "sostanza di cosesperate" perch essa non ha bisogno di ricontrattare ognivolta il proprio senso e la propria appartenenza al mondo.L'architettura il mondo, nella forma in cui esso viene resodisponibile ad accogliere l'uomo: una forma di cui l'uomoambisce a fissare i principi nei quali riconoscere e verificarevalori collettivi e condivisi. La celebre "profezia" di EdoardoPersico del 1935 (1) dunque l'esempio pi chiaro di come non

    serva a nulla chiedersi affannosamente ogni volta cos'l'architettura. La speranza di Persico non risiede, come pensa

    molta critica oggi, nell'imperativo di c ambiare tutto per disfarsial pi presto del proprio, deteriorato, presente. invece lasperanza di mettere a fuoco, comprendere e condividerequesta sostanza delle cose; cose di cui riconosciamo i nessiinevitabili, nonostante tutta la storia dell'architettura siatroppo spesso presentata soltanto come il racconto dello

    [23may2005]

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    ,futuro (cio, letteralmente, di separarlo dal presente), diaffrancarsi dall'oppressione di un passato che inibisce ilcompimento del progetto.

    Una volta emendata dall'obbligo del nuovo a tutti costi, dellanovitas nelle sue varie forme (tecnologica, linguistica,funzionale, estetica, politica, etc.) come suo unico, liberatoriofine, l'architettura cessa immediatamente di essere unproblema in se stessa.

    Liberata dai suoi falsi scopi, l'architettura torna ad essere unaconcreta realt.

    TEORIA. Con il presunto tramonto del linguaggio classico, conla presunta fine del linguaggio moderno, e oggi con l'avvento diquello che molti taste-setters odierni definiscono come unvero e proprio periodo post-teorico (2) o post-c ritico (3),sembra che non sia rimasto nulla che ci consenta di definire, invacuo, cosa l'architettura. Di qui la pretesa ricorrente disbarazzarsi della teoria intesa come dispositivo criticoobsoleto, antitesi di uno spensierato pragmatismo o di unaltrettanto spensierato utopismo delle buone intenzioni.Checch ne dicano, per, le anime belle del tardo-capitalismopost-industriale o quelle dell'utopismo post-moderno,l'impossibilit di una teoria in vacuo non soltanto la felicecaratteristica degli odierni tempi moderni, bens un travaglioche ha segnato tutta l'architettura, a cominciare proprio daquella classica, il cui linguaggio si sempre fondato nonsoltanto sull'astrazione della norma o sulla purezza dello stile,ma anche sulla piena coscienza delle cose e sulla fermaconvinzione della loro ragione di esistere (4). Una teoriadell'architettura allora il riconoscimento di valoriparadigmatic i colti e formati nel vivo della condizionedrammaticamente congiunturale in cui si trovano le forme

    dell'architettura. La teoria in architettura, dunque, nasce inprimo luogo dalle questioni della forma intesa nella sua verit

    effettuale e non, come si ostina a credere gran parte dellacritica odierna, da sistemi di pensiero astratti, da qualcheparanoia ermeneutica, da esercizi tassonomici o da un verismoa buon mercato. In architettura non c' scampo dalla forma (egran parte dell'architettura odierna gratuito formalismo,malgrado tutte le argomentazioni programmatiche, simboliche,funzionali, filosofiche, sociologiche, tecnologiche, regionali,economiche che inutilmente vengono spese per la suagiustificazione). Pi ci si ostina ad intendere il formalismo comesalto nell'arbitrariet, pi ci si condanna all'arbitrariet nellasua versione peggiore, ovvero il formalismo inconsapevole.

    Non vi pu essere cultura architettonica laddove la Teoria nondisponga i propri mezzi nel modo pi chiaro e rigoroso edindividui i propri scopi al di l di banali compiti quali ilsuperamento dello status quo. All'eterogeneit delle condizionila Teoria deve opporre la propria specificit, giacch proprio

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    in questa opposizione c e arc itettura, come ogni a tro ire,trova il suo fondamento. Per opposizione intendiamo un mododella teoria di essere nel profondo della sua costituzione,critica, ovvero una teoria che non sia espressione letterale deiluoghi comuni con i quali si costruiscono oggi lerappresentazioni del mondo e le forme del suo consenso dimassa (complessit, informazione, mercato, dispersione,frammentazione, fluidit, individualismo, ecc.). Soltanto unateoria dell'architettura coscientemente instaurata al di l diquesti totalizzanti e ridondanti luoghi comuni (che certo non

    hanno bisogno delle teorie architettoniche per continuare adaffermarsi) pu accumulare e formalizzare le proprie ragioni,renderle intelligibili, presentarle ai propri interlocutori per quelloche sono, rivendicare la propria posizione, promuovere unconfronto, rendersi disponibile e non irriconoscibile. Soloall'interno di questa posizione critica pu darsi oggi una teoriache non riduca l'architettura -parafrasando ancora Persico- a"bisogno artificioso di novit", ma che nemmeno la condanni adessere per i posteri nulla pi che lo sterile "documento di unainquietudine spirituale che non riuscita a stabilire concoerenza i termini del problema." (5)

    CRITICA. Vi oggi un diffuso equivoco sui ruoli e gli scopi dellacontemporanea critica di architettura. Un equivoco peculiaredella condizione italiana che tuttavia si pu estendere a tuttoil contesto europeo. Esso c onsiste nel riconoscere nel critico ilruolo dipromoterdel "nuovo", medium attraverso il quale

    l'architettura viene traghettata e legittimata nei circuiti dellacomunicazione, trampolini di lancio per l'incontro con lecommittenze pi generose e ambiziose. Non a caso il critico,nelle reali spoglie del giornalista, del curatore e dell'editor, difatto richiesto in qualit di osservatore del mondodell'architettura, decrittatore delle mode e delle tendenze,talent-scout della progettualit "giovane" e sperimentale. Ilproblema sorge nel momento in cui ci si interroga in base aquali posizioni, in base a quale teoria, intesa nel sensoletterale del termine, cio in base a quale visione del mondoquesta figura opera al di l dei vaghi contenitori tematici divolta in volta proposti in forma di libri, conferenze, mostre eriviste. E spesso la risposta a questo interrogativo un

    imbarazzato silenzio subito riempito dall'arrogante insofferenzaper qualsiasi assunzione di responsabilit che non sia il doveredi facilitare un generico nuovo, alimentare il flussodell'informazione e rispondere all'urgenza di essere l invece diessere qualche cosa.

    In Italia scom arsi rima Manfredo Tafuri oi Bruno Zevi

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    l'interesse per la figura del critico trova nuova linfa dalla finedegli anni '90: da una parte strumentalizzando e riducendo achiacchiera il celebre anatema del primo -non c' critica, c'solo storia (6)-, dall'altro tentando di rinverdire l'att ivismo diuna certa critica "operativa", per fronteggiare la penuria dientusiasmo della classe dirigente dell'architettura nazionale esollecitarne il ricambio generazionale. Ossessionata dallavisibilit mediatica e dalla tempestivit di intervento nel"dibatt ito", questa critica -che ha battezzato la Rete come illuogo e contemporaneamente il senso stesso del fare critico-

    non ancora uscita dal grande tab italiano delle liste e delleclassificazioni, secondo il quale non si pu parlare diarchitettura se non mettendo in fila gli elenchi dei buoni e deicattivi di turno, in nome del "nuovo" contro le posizioniritenute pi pedanti e regressive. Che la nuova critica siattardi sulle posizioni pi retrive lo conferma d'altronde la fedecieca nell'informazione e la conseguente, malcelata pretesa direstituire la realt per quella che . Una pretesa che, sullascorta dell'equazione architettura=informazione, ha portato inbreve a legitt imare e promuovere l'architettura senza il ricorsoa prospettive teoriche e realmente critiche, ma confidando indefinizioni sempre pi semplicistiche e stereotipate, in parolechiave e negli slogan demiurgici, etichette pubblicitarie di

    facile comprensione che si avvicendano da un media all'altrocon ormai l'unico intento di scacciare la dannata ansia chel'architettura sia un argomento difficile da vendere.

    L'argomento solitamente sostenuto a proposito di questo"rompete le righe" della teoria e della critica in architettura,consiste nell'ormai assai abusato dovere morale di superare itradizionali confini della disciplina e annientare qualsiasieconomia e regola del discorso sull'architettura. Non ci siavvede, per, che, rompendo le regole, si lascia campo liberoproprio alla pi reazionaria nostalgia delle regole, una nostalgiache oggi arriva nei modi pi regressivi attraverso il ricorso adun determinismo materiale e tecnologico giustificato dapretese di autonomia disciplinare; un determinismo giuntoancora prima che lo spensierato approccio leggero emultidisciplinare abbia conseguito i risultati ingenuamentesperati ormai da molto tempo (7). Questo risultato, che vedela critica incapace di proporre prospettive di dibattitoalternative al letterale broadcasting della novit, ci deve farriflettere proprio sulla natura postmoderna del "nuovo", cio'

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    un co parame ro vagamen e eor co ran o a a nuovacritica post-critica come valore positivo assoluto, indiscutibilea prescindere dei suoi contenuti effettivi. Il nuovo nuovo ormaisvuotato di qualsiasi impeto riformatore o di emancipazioneculturale, sociale e politica, si offre, in chiave teorica, comepura tautologia, tanto che verrebbe voglia di parafrasarel'inquietante constatazione che Tolstoj rivolgeva, pi di unsecolo fa, nei confronti della fede cieca nella bellezza: "incredibile come assoluta sia l'illusione che il nuovo sia buono."

    ITALIA. In realt il dibattito critico sull'architettura e sullacitt, almeno in Europa, da molto tempo non verte pinemmeno su questioni quali 'nuovo', o 'moderno'. Dato perscontato il dovere della novit, l'inutilit della teoria, lapericolosit dell'ideologia, la fut ilit dell'accademia come luogodi ricerca, tra i nuovi slogan, uno dei pi potenti e utili percomprendere alcuni dei fenomeni pi recenti dell'architetturaitaliana e europea, il mito delle identit regionali. Conc lusasila stagione degli stili internazionali (dal modernismo alpostmodernismo, dal regionalismo critico, al decostruttivismo),a partire dagli anni '90 proprio in Europa si consolida un certointeresse per le identit nazionali. un interesse che prende le

    mosse dai grandi programmi di trasformazione urbana finanziatidalle amministrazioni pubbliche gi dagli anni '80 (come nelcaso dei Grands Travauxdella Francia di Mitterand e del pigenerale rilancio dell'architettura nella Spagna post-franchista)nei quali le sempre pi generiche etichette del modernismo edel postmodernismo vengono lentamente rimpiazzate dalriconoscimento di una cifra nazionale, che allenta la riflessionesugli stili e sulle forme spostandola sulle funzioni e suiprogrammi. Non un caso che questo interesse -diversamentedal Regionalismo critico individuato e auspicato da Kenneth

    Frampton (8)- si sia risolto, in ultima istanza, in generici neo-modernismi rivisitati in chiave locale che, con additivi retorici dicomodo (gli iper- o i super- (9)), sono diventati facili sloganper leggere e promuovere l'architettura senza il ricorso adalcuna prospettiva teorica e critica. Questo stato delle cose inItalia, paese che purtroppo (o per fortuna) stato tagliatofuori dalla costellazione delle star-regions, ha dato vita a dueatteggiamenti opposti ma concorrenti nella medesimaprospettiva che intende la critica come strumento dipromozione. Da una parte l'isteria sempre pi ricorrente dileggere la situazione italiana come dotata di una identitriconoscibile e potenzialmente parte integrante nel cosiddettotanto per usare lo slang della critica odierna network della

    contemporaneit(10). Dall'altra l'ansia di scavalcare lasituazione locale quale effettiva condizione strutturale dellaproduzione culturale che esiste e costituisce uno sfondoconcreto e fortemente determinante, malgrado la retorica dellevarie globalizzazioni e network ci parlino di un mondo senzaconfini in cui le culture e le politiche nazionali non hanno pivalore.

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    Se l'isteria da Superdutch (oggi addiritura proiettata su scalaEuropea) costituisce il modo pi meschino e triviale di

    commentare, raggruppare, tassonomizzare e promuoverel'architettura, l'annullamento di un dibattito che metta a fuocole condizioni strutturali di un luogo in nome di un genericocosmopolitanismo fenomeno attraente cui, per, solo unapiccola parte della professione e della cultura architettonicapu accedere- rischia di appiattire le effettive condizioni delmondo attraverso l'opinione di quel gruppo ristretto di persone

    che il filosofo Peter Sloterdijk ha definito come l'elite cinetica.

    Da questo punto di vista affrontare il tema dell'Italia adessopotrebbe dire anzitutto guardare non a una improbabilearchitettura italiana ma, al contrario a una geografia sociale,

    politica e culturale fortemente eccentrica, difficile, per certiversi caotica e irriducibile ad una denominazione omogenea,che fa da sfondo ad alcuni tentativi di stabilire, malgradotutto, non tanto una inutile via italiana all'architettura, bensuna cultura architettonica in Italia (11). L'estrema difficoltentro cui si muove questa ambizione non una novit, e,dunque, non una ragione per lasciar perdere.

    Machiavelli opponeva all'ignavia e alla meschinit delleambizioni politiche italiane, l'idea di uno Stato ideale intesocome impeto dell'immaginazione e sforzo istituzionalecongruente c on l'effettualit del reale, che avrebbe dovutoconcretizzarsi attraverso un carisma nazionale e popolarefortemente condiviso e generalizzante. Ma lo stessoMachiavelli aveva ben presente l'assoluta instabilit di unambito geografico l'Italia, appunto- su cui andava fondandoun progetto generale di sintesi culturale e politica, affermandoche la stessa immaginazione delle cose, affrancata dalla lorostessa problematicit concreta ed effett iva diveniva tragicaillusione e falsa mitologia. Non un caso che Aldo Rossi eAndrea Branzi, malgrado le differenze radicali che li hannocontrapposti, abbiano entrambi sostenuto una posizione cheaccetta le condizioni imperfette della geografia italiana intesanon come valore in s o peggio come genius loci, ma comerealt strutturalmente complessa in perenne crisi, difficile eper questo ostile all'architettura come fatto generalizzato e

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    norma vo . ncora ogg ques a rea e e va non so oostile all'architettura nei modi pi banalmente regressivi ma ,nella sua stratificazione culturale, un complesso intraducibile informule lineari, come quelle che hanno accompagnato, peresempio, l'emergere dell'architettura Portoghese, Svizzera eOlandese nel corso degli anni '90; la realt italiana pu essererappresentata solo in tutta la sua problematicit tragicamenteirrisolvibile. Parlare invece di un architettura italianaottimisticamente a priori-come fa con una certa insistenza

    gran parte della critica recente in Italia, imitandomaldestramente il marketing promozionale di altri paesi Europeipi "efficienti" come Olanda, Francia, Spagna e paesiScandinavi non solo segno di un innocente quantoinsanabile provincialismo (questo s autent icamente italiano),ma anche illusorio se non, a nostro avviso, sbagliato.

    LINGUAGGIO. Il problema sul quale indirizzare la discussionenon , dunque, la questione delle etichette o delle definizioni.La teoria deve entrare nel vivo delle opere, capire attraversouna comprensione profonda della sua costituzione e del suoimpegno singolare il peso specifico del proprio contributo aduna idea di architettura e, attraverso quest'ultima, ad unaidea del mondo. In questo senso occorre abbandonare al pipresto lo schematismo stereotipato e accomodante che granparte dell'informazione sull'architet tura e la c itt impone alleidee e alle posizioni.

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    Alla falsa dialettica che la critica solitamente istituisce tra unaarchitettura generica e una architettura dell'identit, tra una

    architet tura nuova e una architettura vecchia, tra unaarchitettura sperimentale e un architettura tradizionale, trauna architettura globale e una architettura locale, occorrecontrapporre l'idea di una architettura assoluta, rigorosa e,allo stesso tempo, disponibile che fa i conti con le condizioni diun luogo, con la sua ineludibile geografia e la sua inevitabilestoria. La scelta della continuit critica con la storiacostituisce non un velleitario appello alla tradizione, bensl'unico apparato critico capace di orientarsi in una situazioneculturale che di fatto rischia di rimanere illeggibile. Maparadossalmente il riconoscimento di questa problematicitse non impossibilit di lettura di un luogo a costituire il terrenopi fertile sul quale costruire una idea di architettura in Italia

    al di fuori delle retoriche regionaliste, nazionaliste,cosmopolitaniste o genericamente nuoviste su cui si fondanomolte campagne promozionali dell'architettura oggi. Pier PaoloPasolini, paragonando la cultura Italiana a quella francese,affermava che mentre "il Classicismo Francese ma noipotremmo dire gran parte della tradizione culturale europea-ha alle sue spalle le sequenze progressive della lingua, gliitaliani hanno alle loro spalle un caos che rende sempreindefinito e sensuale il loro c lassicismo" (13).

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    Per questo la chiarezza di intenti del padiglione di Otterlo, inOlanda, realizzato dal gruppo A12 -che qui proponiamo inchiave esemplificativa contro la tirannia e il qualunquismo delle"liste"- ben rappresenta il senso di questa posizione critica nonsolo nel contesto italiano, ma anche all'interno dello scenariointernazionale. Il progetto, che non rappresenta unaarchitet tura italiana in senso stretto, tuttavia un piccoloesempio, straordinariamente interessante, per discutere unaspetto strutturale che ha caratterizzato alcune tendenzeartistiche e architettoniche sviluppatesi in Italia nel corso deltempo. In questa opera apparsa lo scorso anno nel bosco checirconda la villa Kroller Muller, si sovrappongono magicamentesenza soluzione di continuit un austero ed enigmatico

    classicismo e un'apparenza fragile, goffa, ossessivamente erigorosamente costituita con un materiale povero: il legno.

    Con alle spalle il caos della metropoli contemporanea pi che ilrigore di dettami tipologici ormai persi nella storia, il padiglionedel gruppo A12 trasforma la semplicit della formaarchitettonica nell'esperienza della citt, rivisitata in tutta lasua labirintica chiarezza attraverso l'originale e rigorosainvenzione planimetrica, in cui rivivono i fantasmi di unacultura italiana dove l'individualit del fat to urbano di AldoRossi si sovrappone all'eccentrico, sensuale e disponibileclassicismo dell'Arte Povera. Ed proprio questo originalelinguaggio ad aprire prospettive insolite verso un architetturanuova ed assoluta dove permane in modo quasi surreale unaconcezione classica attuata mediante le proporzionidell'impianto, i ritmi ortogonali, il compiacimento per unabellezza austera e, allo stesso tempo, quasi accidentale.

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    Questa prospettiva, che qui abbiamo appena accennato esemplificato attraverso un'opera cos atipica e distante daisimbolismi neo-modernisti fatti di blob, photoshop e diagrammi,vissuta in tutta la sua difficolt senza complessi di inferiorit,con pessimismo dell'intelligenza e ottimismo della volont, pua nostro avviso costituire una opportunit atipica e, dunque,di per s critica all'interno della geografia globale sempre incerca di facili iconografie locali, cui far corrispondere lineari eaccomodanti tassonomie critiche stilistiche.

    Oggi all'interno delle condizioni reali che costituiscono lageografia sociale, culturale e politica del nostro paese,

    condizioni che vanno profondamente comprese, assimilate ecriticate senza velleitarie quanto inutili scorciatoie orassegnata accettazione, occorre promuovere una Teoria euna Critica architettonica che non si fermi a valori criticisuperficiali, a moduli comportamentali precostituiti, alconformismo del consenso, al pressappochismo della diffusionemassmediatica, ma che, al contrario, affronti con rabbiaintellettuale lucida e costruttiva le speranze fondamentali checaratterizzeranno gli anni a venire, ovvero il superamentodell'architettura spettacolare degli anni '90, il consumo dellepratiche ripetitive stanche e oramai noiose dell'architettura dastar, la fine del decorativismo digitale, la responsabilit delprogetto verso la citt quale spazio pubblico della societ

    civile, la continuit critica con la storia intesa non comerepertorio di tradizioni, ma come patrimonio civile complesso sucui, volenti o nolenti, si fonda la coscienza del nostrodisordinato procedere ed, infine, l'esperienza e la necessitreale dello spazio e della forma quali inesorabili fatti costituentidi una teoria e di una critica chiaramente esplicitate nei lorotermini e che abbiano il coraggio di confrontarsi, ancora unavolta e in modo ambizioso e generale, con l'architettura e la

    citt.

    Per quanto riguarda l'architettura solo se essa avr il coraggiodi essere implacabilmente se stessa, potr essere, di nuovo, lasostanza di queste speranze.

    Pier Vittorio Aureli, Gabriele Mastrigli

    NOTE:

    1. Edoardo Persico, Profezia dell'architettura, conferenza tenuta a To rino il21 genna io 1935 presso la Societ P ro Cultura Fem minile, dell'IstitutoFascista di Cultura, in Edoardo Persico, Scritti d'architettura (1927-1935),Vallecchi, Firenze, 1968. p. 117. "Edoardo persico -come ricorda Giulia

    Veronesi nell'introduzione al volume- a veva redatto e po i diretto al fiancodi Giuseppe Pagano la pi autorevole e spregiudicata rivista di architetturache dal 1930 a l 1936 si pubblicasse in I talia, e forse in Europa: la vecchia,gloriosa C asabe lla, nelle cui pagine egli aveva a ssunto l'architetturanuova (la rivoluzionaria architettura "razionale", l'architettura del secolo:passione e realt di quegli ann i difficili nell'intera Europa) a specchio e asimbolo de lle aspirazioni pi civili del pae se, represse da l mondo ufficiale,mistificate dai fascisti "modernisti"; egli lottava anche contro gli errori diPagano, dal quale lo divideva il proprio impegno morale e politico di

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    rr uc e oppos z o ne a re g m e om na nte . E m ot v e a sua a pe rta ,temeraria polemica sono tuttora validi: si trattava, infatti, di ragioni." InProfezia dell 'architettura, forse il suo testo pi importante, Persico traccia lelinee essenziali di una storia dell'architettura moderna che avrebbe scrittose la m orte non lo avesse colpito, pochi mesi dopo, alla giovane et di 36anni.2. Il fortunato titolo del libro di Terry Eagleton After Theory statoinopportunamente utilizzato da alcuni esponenti del Post-Criticalpersancire l'inutilit delle forme tradizionali di produzione critica e teorica. Perun quadro sintetico ed esauriente sullo stato della pratica teorica oggi sivedano: Maurice Berger (a cura di) The crisis of criticism, The New Press,New York, 1998; Terry Eagle ton,After Theory, Penguin Books, Londra,2004.3. Diversame nte dagli anni '90, quando vi era un ge nerale consenso

    all'interno del dibattito pi avanzato nell'idea che la teoria architettonicadovesse aprirsi, fino quasi a scomparire come discorso in s verso i grandifenomeni urbani, oggi assistiamo ad un pi teso dibattito sulle formestesse di progetto teorico e disciplinare; un dibattito sollecitato in partedai recenti avvenimenti geopolitici che hanno risignificato la stessaglobalizzazione e i suoi modi di impo sizione culturale, ed in parte dallamancanza stessa di testi significativi e generalizzanti -di "fatti costituenti",per usare le pa role di Sigfried Giedion- dopo l'uscita del volume diKoolhaas S,M,L,XL, il libro che pi di tutti ha e mblem atizzato lo Zeitgeistdella scorsa de cade. Su questi temi esiste gi una vasta letteratura ma s iveda in primo luogo la critica che Hal Foster ha mosso nei confronti dellacultura architettonica, eccessivamente rivolta, se condo il critico d'arteame ricano, al design (Hal Foster, Design and Crime, Verso, Londra, 2002).Si veda anche il dibattito sulla posizione di Foster sollecitato dalla rivistaPraxis nel numero 5, con interventi di K. Michael Hays, Felicity D. Scott,Michael Speaks e Sanford Kwinter. Un altro tentativo di suscitare ildibattito intorno a tem i della produzione teorica stato ci che Bob Som ole Sarah Withing hanno de finito come Projective Theory(cfr. Bob Somol,Sarah Whiting, Notes around the Doppler Effect and other Moods of modernism,in "Perspecta" 33, Mining Autonomy, 2002). A questa pos izione hannorisposto pi o m eno criticamente dalle pagine di "Harvard DesignMagazine" George Baird e , rileggendo la recente architettura olandese ,Roem er Van Toorn. (Cfr. George Baird, Criticality and its discontents;Roemer Van Toorn, No More Dreams. The passion for Reality in recent Dutch

    Architecture... and its limitations, in "Harvard Design Magazine" n. 21,2004). Infine si veda il polemico attacco di Reinhold Martin al Post-Critical,pubblicato sempre sulle pagine di HDM (Reinhold Martin, Critical of What?,in Harvard Design Magazine n. 22, 2005).4. Forse la pi bella definizione di approccio classico all'architettura statascritta da Aldo Rossi citando Mies nella sua recensione al libro di FrancoisCali, L'Ordre Grec. Scrive Rossi "Cos si deve intepretare quanto Mies ha scritto'... i nuovi materiali non sono necessariamente i migliori. Ogni materialeacquista significato soltanto dal modo in cui noi lo usiamo'. Che come dire chei nuovi materiali e ci che essi presuppongono, non sono i pi moderni ma che

    essi acquistano significato solo da come vengono intesi, cio che la loro

    modernit non la loro novit ma la loro ragione di esistere". In questo branol'idea di una architettura classica completamente liberatadall'immaginario letterale de l classicismo e restituita in tutta la suaassolutezza e ne cessaria realt e , dunque, pe r chi scrive ancorastraordinariamente utile oltre che ba nalmente attuale . Vedi: Aldo Ros si,L'ordine Greco, recensione a Francois Cali, L'Ordre Grec, in "CasabellaContinuit" n. 228, 1958, anche in Aldo Ros si, Scritti scelti sull'architettura ela citt 1956-1972 (a cura di Rosalo Bonicalzi) CittStudi Edizioni, 1975, pp.77.5. Edoardo Persico, Gli architetti italiani, pubblicato in "L'Italia letteraria, 6agosto 1933. Cfr. Edoardo Persico, Scritti d'architettura (1927-1935),Vallecchi, Firenze, 1968, p. 64. La critica era qui rivolta verso la vuotapolemica tra "razionalisti" e "tradizionalisti" che -secondo Persico- "hacreato s oltanto aspirazioni confuse, come quella della 'm oralit' e de lla'contemporaneit', senza nessuna aderenza a problemi reali, e senzaalcun contenuto".6. Manfredo Tafuri, There is no Criticism, only History, (intervista a cura di

    Richard Ingersoll), in "Design Book Review", 9, primavera 1986, p. 8-11.7. Si veda a tal proposito: Ciro Naje, Machinic Manifesto, in "Quaderns" n.244, dicembre 2004. Molte personalit di spicco del dibattitointernazionale sem brano oggi sedotte dal m ito dell'Autonomia Disciplinareintesa non pi come condizione ideologica di produzione dell'architettura,bens come forma di experties al servizio del mercato. Cfr. Helene Furjan,

    Autonomy, in Sylvia Lavin, Helene Furjan, Penelope Dean (a cura di), CribSheets: Notes on the Contemporary Architectural Conversations, MonacelliPress, New York 2005.8. Cfr. Kenneth Frampton, "Towards a Critical Regionalism: Six Points foran Architecture of Resistance" in: Hal Foster (a cura di), Anti-Aesthetic:Essays on Postmodern culture, New Press , New York, 1999.9. Cfr. Bart Lootsma, SuperDutch: New Architecture in the Netherlands,Thames&Hudson, London, 2000; Manuel Gausa , Vicente Guallart, WillyMuller, Hicat: Hipercatalunya Research Territories, Actar, Barcelona , 2004.10. Cfr. ad ese mpio il recente NET.IT snapshot su architettura designfotografia network in Italia, a cura di G. Pino Scaglione, Actar, Barcellona,2005, incerta raccolta di materiali eterogenei, dove i residui delle gi

    deboli tassonom ie "critiche", vengono sepolti in un catalogo ossessivo diconfuse istantanee del sem pre pi improbabile "network" italiano.11. Descrizione della nuova citt, identificata nella pi inclusiva esimbolica figura del paesaggio, e riscoperta dell'"architettura comemes tiere", sono i due aspe tti del nuovo realismo che caratterizza, durantetutti gli anni '90, la ricerca di un vasto gruppo di architetti italiani dellanuova generazione, presentata emblematicamente nella partecipazioneitaliana alla 6. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale diVenezia Sensori del futuro. L'architetto come sismo rafo del 1996. Animata

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    dal tentativo di riappropriarsi di un proprio terreno operativo superandodefinitivamente gli esercizi stilistici dell'ultima architettura "di carta" el'astrattezza accademica delle ultime speculazioni teoriche, questa ricerca rimasta di fatto ostaggio dei suoi migliori propositi. Il primo approccioha prodotto infatti una lunga serie di letture de ipaesaggi ibridi, riflessionisempre pi sofisticate per i successivi apporti interdisciplinari dellafotografia, della so ciologia e dell'arte, ma non sem pre altrettantospendibili sul piano dell'architettura. Sul secondo peser invece unambiguo e irrisolto sospetto di tautologia (l'architettura in ogni caso unmes tiere), giustificato s oltanto dal p erdurare in Italia di una scarsaconsuetudine degli architetti con il cantiere; un difetto questo che non haconsentito, m algrado tutto, di lasciare sul campo molte opere s ignificative,e soprattutto di riconoscere in queste opere una qualsiasi, convincenteidentit comune, e ancor meno italiana. Per una disam ina piapprofondita del tema cfr. Gabriele Mastrigli, Dal realismo alla realt, nelcatalogo della mo stra Italy now?, a cura di Alberto Alessi, CornellUniversity, Ithaca, 2005, di prossima pubblicazione.12. Vedi: Aldo Rossi, Lettera a Tentori, in Aspetti dell'arte contemporanea,L'Aquila, Rom a, 1963; Andrea Branzi, Introduzione al design italiano, Baldini& Castoldi, Milano 1999.13. Pier Paolo Pasolini, La Sceneggiatura come "struttura che vuol esse realtra struttura" in Empirismo Eretico, Garzanti, Milano, 1972, p. 196.

    Le imm agini che accompa gnano questo a rticolo sono relative al progettorealizzato da gruppo A12 (Nicoletta Artuso, Andrea Balestrero, GianandreaBarreca, Antonella Bruzzese, Maddalena De Ferrari, Fabrizio Gallanti,Massimiliano Marchica) nell'ambito della mostra LAB, a cura di NathalieZonnenberg, rimasta aperta sino a l 26 se ttembre 2004. All'interno delgiardino delle sculture del Museo Kroeller Muller di Otterlo, immerso inuna fo resta, lo spazio rettangolare di 75X50 m etri riservato ad eventitemporanei stato interamente occupato da l dispositivo a rchitettonico inlegno di pioppo che ha creato spazi interconnessi ma non comunicanti. Leopere degli a rtisti sono state ospitate in sei sa le bianche dalla coperturatraslucida.

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