Avventura Rinaldo

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Rinaldo

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  • L'Avventura di RinaldoAuthor(s): Alfredo BonadeoSource: PMLA, Vol. 81, No. 3 (Jun., 1966), pp. 199-206Published by: Modern Language AssociationStable URL: http://www.jstor.org/stable/460805 .Accessed: 30/01/2014 07:40

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  • L'AVVENTURA DI RINALDO Di ALFREDO BONADEO

    I COMMENTI e i saggi sui molteplici passi ed episodi che nell'Orlando Furioso di Ludovico

    Ariosto occupano un posto di primo piano nell'economia del poema e che, piu importante, rappresentano un aspetto rilevantissimo della civilta medioevale e rinascimentale, la cavalleria, sono praticamente tutti informati all'ammi- razione per le gesta grandiose, le imprese eroiche, gli atti di coraggio, la forza eccezzionale e la superiore abilita nel maneggio delle armi dei cavalieri. Ma questo non puo essere che un cri- terio di giudizio superficiale in vista dell'im- portanza storico-culturale dell'istituzione caval- leresca e dei differenti modi di manifestarsi del suo spirito nel corso della storia.

    Alle origini, vale a dire attorno all'anno mille, lo spirito cavalleresco era improntato all'ab- negazione e alla generosita poiche esso era fon- dato su di un codice che prevedeva da parte del cavaliere la difesa disinteressata delle donne, dei deboli e degli oppressi.' Questo fatto puo a ragione aver suscitato ammirazione e lode tra i posteri. Ma nel corso del tempo l'istituzione cavalleresca, e quindi la natura delle sue mani- festazioni, subirono una trasformazione notevole il cui risultato principale fu, da una parte, il dileguo del suo spirito originario e, dall'altra, la soppravvivenza di forme puramente esteriori quale ad esempio l'aspirazione a rivivere ed imitare la gloria e lo splendore delle leggendarie imprese degli antichi cavalieri. Al tempo in cui l'Orlando Furioso fu composto, le prime due decadi del Cinquecento, quella trasformazione era ormai pressoche completa. Dinnanzi a un mutamento cosi profondo nei valori di quella istituzione, valori la cui portata e significato si vedranno piiu precisamente in avanti, appare molto difficile accettare il tutt'ora corrente tipo d'interpretazione impressionistica dei passi caval- lereschi del Furioso indicato di sopra.

    I1 ben noto episodio di Ginevra di cui al Canto iv e v offre un esempio assai significativo, per quanto a prima vista nient'affatto palese a causa dell'insidioso metodo poetico ariostesco, della natura delle aspirazioni cavalleresche rinascimentali.

    Rinaldo, paladino cristiano di ragguardevole statura, riappare al lettore del poema verso la fine del Canto iv. La sua apparizione sulla scena 6 in stretta realazione con un'importante missione affidatagli poco innanzi da Carlo Magno: rac- cogliere aiuti per il pericolante esercito cristiano

    presso le corti di Bretagna. Sbarcato in Scozia sale a cavallo e prende la via che dovrebbe condurlo alle corti dei diversi potentati. Ma e giocoforza che egli attraversi una gran foresta poiche sui lidi di questa Rinaldo era stato ap- punto costretto ad approdare da forti venti: e la famosa "selva Calidonia" che "spesso fra gli antiqui ombrosi cerri / s'ode sonar di bellicosi ferri" (ot. 51). Il paladino, tuttavia, non segue una via predeterminata che lo porti ad una precisa meta, ma "or una et or un'altra via." La ragione per questo procedere deliberatamente in- certo, casuale e senza meta e dovuta al fatto che egli pensa in tal modo di trovare "strane aven- ture" (ot. 54). Il desiderio di "aver strane aven- ture" s'e' dunque subitamente impadronito di Rinaldo. Niente di tal sorta avviene pero durante il primo giorno di vagabondaggio. Egli sosta invece ad un'abbazia la cui funzione sembra essere principalmente quella di ospitare e ristorare "le donne e i cavallier che vanno intorno." Anche Rinaldo, evidentemente scambiato per uno di quei cavalieri, riceve dai monaci "bella accoglienza." Ristoratosi domanda subito "come dai cavallier sien ritrovate / spesso aventure per quel tenitoro" (ot. 55). Gli si narra allora che la figlia del re di quel territorio, Gi- nevra, e stata accusata da un certo Lurcanio d' "averla a mezza notte ritrovata / trarr'un suo amante a se sopra un verrone" (ot. 58). Vi e una legge in quel paese secondo cui una donna "ch'ad uom si giunga, e non gli sia mogliera" (ot. 59), venga condannata a morte

    ... se non truova campione che fra un mese... l'iniquo accusator faccia mentire.

    (iv, 58)

    II periodo di tempo sta per scadere e la situazione della fanciulla appare disperata. Rinaldo rimane alquanto pensoso e poi esprime il suo parere sul singolare caso nel modo seguente:

    Una donzella dunque de morire perche lascio sfogar ne I'amorose sue braccia al suo amator tanto desire? Sia maledetto chi tal legge pose, el maledetto chi la puo patire! Debitamente muore una crudele, non chi da vita al suo amator fedele.... Ho in sua difesa ogni pensier rivolto

    (iv, 63, 64) I Cf. S. Pivano, "Cavalleria" in Enciclopedia italiana, vm

    (1931), 523-542.

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  • 200 L'Avventura di Rinaldo

    Ma a questo punto bisognera riconoscere che Ariosto ha portato il suo protagonista insieme con il lettore assai lontano: dalla disfatta dell'esercito cristiano e da una missione dalla quale dipendono le sue sorti, alla decisione di prendere la difesa di una donzella colpevole d'aver concesso i suoi favori all'amante, il passo e lungo e disagevole. Come poi possa essere stato compiuto nel breve giro di diciotto ottave, di cui sei sono dedicate al viaggio del paladino e alla tempesta, e ancora piu difficile intendere. Un mutamento cosi radicale di obbiettivi da parte di un individuo non sarebbe concepibile se non attraverso un cambiamento profondo e lento di tutto un modo di sentire e intendere l'esistenza individuale e sociale, un cambiamento, percio, che porterebbe in se il for- marsi di una particolare personalit. morale e sociale. Per queste ragioni converr. sostare e cercare di fare il punto sulla situazione.

    n verso "dove piu aver strane aventure pensa" che indica il subitaneo mutamento della direzione dei pensieri ed azioni di Rinaldo non e motivato ne giustificato dalla narrazione precedente.2 Ma forse cio non e del tutto corretto; i versi che contengono la descrizione della selva Calidonia, degli avvenimenti e personaggi che la popolano sembrano essere veramente l'antefatto di quel verso. Vediamo di stabilire il rapporto tra il primo e il secondo. Ecco i versi in questione:

    Sopra la Scozia ultimamente sorse, dove la selva Calidonia appare, che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri s'ode sonar di bellicosi ferri.

    Vanno per quella i cavallieri erranti, incliti in arme, di tutta Bretagna, e de' prossimi luoghi e de' distanti, di Francia, di Norvegia e de Lamagna. Chi non ha gran valor, non vada inanti; che dove cerca onor, morte guadagna. Gran cose in essa gia fece Tristano, Lancillotto, Galasso, Artiu e Galvano

    et altri cavallieri e de la nuova e de la vecchia Tavola famosi: restano ancor di piu' d'una lor pruova li monumenti e li trofei pomposi. L'arme Rinaldo e il suo Baiardo truova, e tosto si fa por nei liti ombrosi, . . .

    Senza scudiero e senza compagnia va il cavallier per quella selva immensa, facendo or una et or un'altra via, dove piil aver strane aventure pensa.

    (iv, 51-54) II primo verso del passo presenta Rinaldo sul luogo del fortunoso approdo ma il seguente, repentinamente, effetua, mediante il semplice avverbio "dove," il passaggio da un argomento

    narrativo ad un altro. II protagonista Rinaldo e tutto quanto lo concerne viene lasciato da parte e viene invece introdotto un pilu preciso riferi- mento geografico, "la selva Calidonia." Ma questo e in effetti l'argomento principale del passo, lo sfondo su cui si svolgera l'avventura di Rinaldo, uno sfondo ricco di arcani e leggendari richiami, gli "ombrosi cerri," il suonar di "bel- licosi ferri" e la presenza di "cavallieri erranti, incliti in arme." Tutto cio ha l'effetto di stimolare la curiosita e assorbire l'attenzione del lettore facendogli dimenticare Rinaldo e la sua mis- sione. Cosi dal fortunoso approdo d'un famoso cavaliere incaricato di una importante missione la scena e il tema narrativo si schiudono, senza alcun brusco o forzato trapasso, sul mondo leg- gendario dei cavalieri della Tavola Rotonda.3 "CChi non ha gran valor non vada inanti; / che dove cerca onor, morte guadagna:" dalla mera descrizione si passa all'azione: azione solo po- tenziale ed il cui agente e l'indefinito "chi." Ma la semplice menzione di un ipotetico attore soggetto di un'azione valorosa e sufficiente ad evocare e suggerire la possibilita di un'azione reale ed a preparare l'immaginazione del lettore ad assis- tervi. L'ottava 52 e parte della seguente che continuano la descrizione della selva evocano e suggeriscono la stessa possibilita; si tratta ora delle "gran cose" e dei "monumenti e .. . trofei pomposi" che restano dei cavalieri illustri: questa 6 una selva, Ariosto pare indicare im- pazientemente, fatta per l'uomo di valore onde

    2 A proposito di questo aspetto dell'avventura di Rinaldo a ragione veduta P. Rajna osservava: "Ma forse mai un barone del ciclo di Carlo Magno fu convertito cosi espressamente in Cavaliere Errante come in questo caso, nel quale Rinaldo si mette a vagare per una gran selva in questa parte e in quella, 'Dove pii aver strane aventure pensa'." Anche J. Hoole, un traduttore inglese del Furioso era gia stato colpito da questa subitanea "conversione." Le Fonti dedl'Orlando Furioso (Firenze, 1900), p. 148 e nota 5.

    3 Anche il commento dell'edizione U.T.E.T. al passo qui citato rileva 1"'abilitV" con cui Ariosto ha effettuato iR tra- passo da un Rinaldo carolingio a uno brettone senza per altro indicarne il significato: "E si noti ... come l'Ariosto abbia saputo abilmente immergere nell'atmosf era brettone Rinaldo, che b tipico eroe carolingio e che b giunto qui spinto dalla mis- sione carolingia di raccogliere aiuti per l'esercito francese." L. Ariosto, Orlando Furioso a cura di R. Ceserani (Torino, 1962), I, 143.

    Comunque b evidentemente difficile accettare questo subitaneo "split" nel modo di sentire ed agire di Rinaldo. t appunto noto che storicamente, culturalmente e letteraria- mente esiste una differenza considerevole tra la tradizione carolingia e quella brettone. Per un'esauriente ed acuta indi- viduazione degli elementi differenziatori tra le due tradizioni cf. "Roland against Ganelon" e "The Knight Sets Forth" di E. Auerbach in Mimesis. The Representation of Reality in Western Literature (New York, 1953), pp. 83-107 e 107-124.

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  • Alfredo Bonadeo 201

    dar di s6 imperiture prove. Ma chi potrh mai essere quest'uomo di valore? Allora quell'inde- finito "chi" comincia ad assumere una precisa fisionomia, quella di Rinaldo. Infatti egli e certo uomo di valore e, trovandosi nel luogo propizio, niente gli sarebbe pitu facile ed opportuno che lasciare anch'egli qualche monumento e trofeo pomposo nella selva. Quei "monumenti" e "trofei pomposi" non possono mancare di pro- durre invidia e stimolo in Rinaldo, uno di quei cavalieri ariosteschi che in fatto d'armi e valore personale son ben decisi a non cedere a chicchesia. Infatti la narrazione ritorna a Rinaldo precisa- mente nei termini di un cavaliere che si appresta all'azione: "L'arme Rinaldo e il suo Baiardo truova." E il passo in esame si conclude con il noto verso: "dove piiu aver strane aventure pensa."

    Vi 6 finalmente un altro elemento caratteristico nell'avventura di Rinaldo che occorre tener presente, la preoccupazione circa il proprio onore e la propria fama. I versi 5, 6 dell'ottava 52 suo- nano cosi: "Chi non ha gran valor, non vada inanti; / che dove cerca onor, morte guadagna." Si tratta del "gran valor" ed "onor" di chiunque s'inoltri nella selva e naturalmente percio di chiunque sappia affrontare avventure con suc- cesso. All'ottava 55 Rinaldo esprime diretta- mente quel che l'avventura significhi per lui: "dove si possa in qualche fatto egreggio / l'uom dimostrar, se merta biasmo o pregio." Similmente all'ottava 56 i monaci esortano Rinaldo a far si che alle gesta che egli si appresta a compiere "segua la fama, e il debito ne dica." L'ottava 57 infine riprende per bocca dei monaci il tema del "valor": "E se del tuo valor cerchi far prova." E' evidente che l'avventura per Rinaldo 6, fra l'altro, una prova dalla quale se ne puo derivare onore, fama e pregio.4

    Da quanto precede b chiaro che non c'e in Rinaldo alcuna ragione radicata nelle precedenti o attuali condizioni della sua vita morale e sociale che lo spinga a cercare avventure. La vera ragione e l'atmosfera suggestiva che, con i suoi richiami leggendari, esercita sul paladino un fascino irresistibile e gli risveglia il desiderio di ottenere onore e fama.

    L'avventura e una manifestazione impor- tantissima nella vita del cavaliere cortese; la necessita e il desiderio di cercare e vivere l'avven- tura gli sono dettate da ragioni profonde e cogenti. Essa non e nb qualcosa di accidentale ne di fantastico. "We must be very careful not to be misled by the modern value of the term adven- ture, to think of [it] as purely accidental. When

    we moderns speak of adventure, we mean some- thing unstable, peripheral, disordered . . . some- thing that stands outside the real meaning of existence.... On the contrary, trial through adventure is the real meaning of the knight's ideal existence.... The very essence of the knight's ideal of manhood is called forth by ad- venture." Date queste esigenze profonde e vitali l'avventura equivale a "self-realization"; per adempiere questo scopo occorre, "besides birth, proper training too" e per conservare, come per conquistare, le virtiu che ne derivano occorre "the unforced will to renew them by constant and tireless practice and proving. The means by which they are proved and preserved is adven- ture, 'avanture,' a very characteristic form of activity developed by courtly culture."5

    4Per quanto riguarda "fama" e "pregio" P. Rajna e dopo di lui la maggior parte dei commentatori hanno osservato che l'onore e la gloria erano ideali estranei a quello cortese; cf. Le Fonti, cit., pp. 148, 149, e il commento dell'edizione U.T.E.T., p. 145: "Il desiderio di gloria e sentimento umanistico; i cavalieri arturiani cercavano piuttosto di tenere celate le proprie imprese e consideravano la modestia come uno dei loro primi doveri." Per quanto riguarda invece "valor," se lo si considera nell'accezione di forza fisica ed abilitA nel maneg- gio delle armi allora, come s'6 visto, non ' di questo genere di valore che il cavliere cortese intende dar prova quando af- fronta l'avventura. Lancillotto, Erec ed altri personaggi dei romanzi cortesi subiscono spesso, nel corso delle loro avven- ture, sconfitte clamorose; temporanee sconfitte se si vuole, ma che sarebbero bastate, secondo questo criterio, a squalificarli dal rango di cavalieri di valore. Ma quelle sconfitte servono a stimolare o a mutare nella giusta direzione il corso dei pen- sieri e delle azioni del cavaliere, non a provarne l'inettitudine. D'altra parte se si considera "valor" nell'accezione di valore morale e spirituale allora la concezione dell'avventura del paladino rappresenterebbe un'inversione dei termini ideali dell'avventura cortese- mediante quest'ultima non s'intende affatto dar prova di valore in quel senso ma, al contrario, s'in- tende proprio acquistarlo.

    6 Auerbach, p. 117. A questo proposito cf. anche R. Bez- zola, Le Sens de l'aventure et de l'amour (Chrdien de Troyes) (Paris, 1947), pp. 85, 152. Che l'avventura di Rinaldo sia invece fittizia ed accidentale appare pure molto evidente dalla domanda del paladino ai monaci: "Come dai cavallier sien ritrovate / spesso aventure . . . " (ot. 55). Un cavaliere cor- tese, ancorchb fare una domanda simile a chicchesia, non I'avrebbe nemmeno fatta a s6 stesso. I due veri ed importanti problemi di quest'ultimo sono, s'~ visto, il motivo per intra- prendere l'avventura, che investe tutto il significato della sua esistenza, e il fine ultimo dell'avventura, "self-realization." Al cavaliere cortese non avviene mai di dubitare, una volta ch'egli s'e messo in cammino per affrontare l'ignoto, che non possa trovare avventure; egli non e mai preoccupato da questo che altro non e se non un elemento accessorio e d'ordine pratico. Invece nel caso di Rinaldo, un cavaliere ap- punto senza problemi personali o sociali d'ordine sentimentale o morale e che non puZo quindi sentire il bisogno dell'avven- tura in maniera profonda ed urgente, il modo di ritrovare av- venture deve, di necessita, assurgere a problema di grande importanza; problema tuttavia irrilevante dal punto di vista della tradizione culturale e letteraria.

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  • 202 L'Avventura di Rinaldo

    Da quella che in effetti e la pseudo motivazione del generale desiderio di avventure da parte del paladino si passa al racconto dei monaci sul caso di Ginevra e poi al motivo specifico su cui questa particolare avventura sta per essere intrapresa. II racconto si conclude con questa esortazione:

    Poi per cavalleria tu s8 ubligato a vendicar di tanto tradimento costei, che per commune opinione, di vera pudicizia e un paragone.

    Penso Rinaldo alquanto, e poi rispose: -Una donzella dunque de' morire

    (iv, 62, 63)

    I monaci fanno dunque appello al senso caval- leresco del paladino e lo incitano ad usarlo al servizio della "vera pudicizia" della fanciulla. Rinaldo esprime il suo parere con la risposta riportata indietro (resto dell'ottava 63). In esso si afferma il diritto all'amore di Ginevra in par- ticolare e di quello delle donne in genere; di qui la decisione di prendere la difesa dell'accusata. Ma si noti bene che la difesa non e quindi basata sulla "vera pudicizia" di Ginevra, ma invece proprio sull'opposto, sul fatto che essa abbia riamato l'amante, cioe sulla di lei impudicizia. Ora, due interpretazioni, l'una cosi diversa dall'altra, del motivo specifico e fondamentale dell'avventura puo imbarazzare il lettore; non certo Rinaldo che si getta comunque nell'avven- tura ben deciso a difendere il diritto all'amore. Ma questa duplice e contradditoria interpre- tazione rivela ambiguita e incertezza sul vero motivo ed e, come si vedra, sintomatica dell'ul- teriore sviluppo dell'avventura.6

    Infatti, che Rinaldo proceda sull'assunzione che Ginevra abbia riamato l'amante o non l'abbia riamato, che egli intenda difendere la sua pudicizia o impudicizia non e affatto chiaro. All'ottava 64 si legge:

    Sia Vero o falso che Ginevra tolto s'abbia il suo amante io non riguardo a questo: d'averlo fatto la loderei molto.

    Qui si pongono due ipotesi la cui importanza e dapprima negata ("io non riguardo a questo") ma da cui in effetti le conseguenze della prima, e solo della prima ("Sia vero"), sono esplicitamente tratte ("d'averlo fatto la loderei molto"). Sta di fatto pero che se Rinaldo trae le conseguenze solo dalla prima ipotesi non si vede come il lettore, a cui gli si era proposto l'indifferenza di valore delle due ipotesi, non possa avere il legittimo desiderio di trarre le conseguenze anche dalla seconda ipotesi ("Sia . . . falso"). Se fosse stato falso che "Ginevra tolto / s'abbia il suo amante," egli non

    la loderebbe affatto; e da cio ne deriverebbe che, non avendo Ginevra riamato l'amante, Rinaldo non avrebbe piiu ne una colpevole da difendere ne una legge iniqua da sopprimere e non plU, quindi, un motivo per intraprendere I'avventura.

    Ma Rinaldo procede seguendo il corso d'idee e d'azione tracciato all'ottava 63. Armato delle sue armi ideali e materiali parte per incontrare e sfidare l'accusatore di Ginevra. Strada facendo libera una donna da due malfattori e con lei prosegue il cammino. : costei Dalinda, cameriera di Ginevra. Essa raccontera il retroscena del caso della padrona. Gli spasimanti erano due: Poli- nesso e Ariodante. I1 primo era divenuto da tempo amante di Dalinda stessa mentre Ario- dante aveva attratto tutta l'attenzione senti- mentale di Ginevra. Ma Polinesso, le cui as- pirazioni andavano evidentemente ben oltre al godimento delle grazie di una semplice donzella di corte, aveva anch'egli puntato I'attenzione su Ginevra. Occorreva naturalmente togliere di mezzo l'inopportuno rivale. A questo fine Poli- nesso avvicina Ariodante e, mentendo, gli fa noto che egli gode ormai i favori di Ginevra. Ariodante si rifiuta di credere; Polinesso gli propone allora di accostarsi una sera al balcone della fanciulla di modo che possa constatare da se come lui, Polinesso, ne goda i favori in modo ben generoso. Egli accetta l'invito sperando di poter avere invece la prova che quanto Polinesso afferma non sia vero. Approfittando del cieco amore di Dalinda, Polinesso l'induce ad indossare gl'in- dumenti di Ginevra, ad apparire sul verone della stessa ed accoglierlo. Ariodante in com- pagnia del fratello Lurcanio assistono esterefatti, una notte di luna, alla scena sul verone tra Polinesso e la presunta Ginevra che riceve il primo con abbracci e baci. Ariodante disperato fugge e Lurcanio, anch'egli ingannato sulla vera natura dell'accaduto, accusa Ginevra di "averla a mezza notte ritrovata / trarr'un suo amante a se sopra un verrone" (iv, 58). Ed ecco la reazione di Rinaldo alla fine del racconto di Dalinda:

    I Non si tratta qui di una casuale confusione di due motivi importantissimi e ben distinti dell'avventura, cioe il motivo dell'innocenza di Ginevra espresso appunto dalla sua "pudi- cizia" e quello della colpa per aver lasciato "sfogar ne I'amo- rose sue braccia al suo amator tanto desire." Questi due mo- tivi riappariranno nel corso dell'avventura con un significato di primo piano. D'altra parte i due punti di vista non rap- presentano, come potrebbe sospettarsi, 1'espressione di due modi diversi ed opposti di giudicare il caso di Ginevra, quello dei monaci e quello di Rinaldo; infatti alla fine dell'intensa pronuncia contro 1 "aspra legge" e in favore del diritto all'a- more Rinaldo "ebbe il consenso universale" (ot. 67), vale a dire il consenso dei monaci presenti.

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  • Alfredo Bonadeo 203

    E se sperato avea, quando accusata ancor fosse a ragione, d'aiutar quella, [Ginevra] via con maggior baldanza or viene in prova, poiche evidente la calunnia truova. (v, 75)

    Ora e vero che Ginevra appare innocente dell'ac- cusa d'aver tradito Ariodante, ma, e questo e cio che pilu importa, allo stesso tempo essa appare pure innocente d'aver tratto "un suo amante a se sopra un verrone," cioe innocente d'aver riamato l'amante; e questo era proprio il capo d'accusa che aveva offerto a Rinaldo il motivo specifico e fondamentale per gettarsi nell'avven- tura. Cade perci8, o almeno dovrebbe cadere, la ragione perche la difesa di Ginevra sia assunta e l'avventura intrapresa. Ma invece Rinaldo, tutto al contrario, "via con maggior baldanza or viene in pruova." Ma si badi: la "pruova" (v, 86, 88, 89) sara tuttavia non contro Lurcanio il vero ac- cusatore perche la sua accusa, con la confessione di Dalinda, e ormai provata infondate e Ginevra non ha piiu bisogno di essere difesa, ma contro Polinesso. Questi "e colui che aveva intrigato in modo che Ginevra fosse creduta colpevole d'aver riamato l'amante: precisamente la ragione per cui Rinaldo aveva originalmente assunto la sua difesa. Ora, duellando con Polinesso il paladino difende in effetti la virtiu e la castita di Ginevra e non piiu certo il diritto all'amore perche quell'amore, e ora evidente, non era mai stato consumato. In conclusione, Rinaldo si batte per la causa esattamente opposta (castita) a quella che l'aveva indotto a intraprendere l'avventura (amore corrisposto). Questo paradossale capo- volgimento di situazione fa dell'avventura del paladino qualcosa di assolutamente inconsistente e fittizio.

    L'avventura, un caratteristico prodotto let- terario e culturale del mondo brettone ha, s'e visto, nel suo contesto originale un significato profondo nella vita di colui che l'intraprende; importa "self-realization" ed e percio potente- mente motivata. Rinaldo invece, la cui funzione e ad ogni modo tutt'altro che quella di indulgere in avventure, abbraccia l'avventura che il caso di Ginevra gli offre semplicemente perche subisce il fascino della leggenda evocata e suggeritagli dal luogo in cui e venuto accidentalinente a trovarsi; deroga dal naturale corso d'azione che il mandato conferitogli da Carlo Magno gl'im- pone e, pronto alle lusinghe delle cose, come un irrequieto fanciullo insegue, anche per un solo giorno, il sogno d'onore e di gloria evocato dalla leggenda.

    Questo modo fantastico ed astratto di con- cepire e sentire appare ancor piu drammatica-

    mente dal comportamento del paladino dinnanzi al mutamento radicale che la situazione subisce in seguito alla scoperta dell'innocenza di Gin- evra: egli continua imperterrito nel corso d'azione intrapresa non accorgendosi pero che ormai i principii che quell'azione avevano ori- ginato hanno perduto la loro validita e non possono quindi piiu ne giustificare ne sostenere le sue azioni. E questo stesso modo di concepire e giudicare il reale in maniera del tutto ideale, sia esso pure spontaneo e generoso, questo per- sistere nel corso d'azione intrapresa anche quando esso si rivela erroneo e in bisogno di modificazione ed adattamento alla cangiante situazione del reale, questa ferma volonth di tenere alta la bandiera di una causa ideale e non abbassarla nemmeno di fronte all'evidenza che quella causa smente, sono tutte caratteristiche dell'avventura di Rinaldo che preludono in modo impressionante alle avventure che, quasi un secolo dopo l'apparizione del Furioso, dovevano rendere immortale un altro paladino famoso, il Cavaliere della Mancia.

    L'analisi dell'episodio mostra quanto insi- dioso ed elusivo il metodo poetico di Ariosto sia. La gran disinvoltura e naturalezza narrativa, lo stile elevato e fluente afferrano e trascinano dolcemente il lettore costringendolo ad abban- donarsi all'onda musicale dell'ottava e facendogli dimenticare al tempo stesso gli uomini e le cose che sono l'oggetto del suo poetare. Queste carat- teristiche hanno portato schiere di critici ad interpretare ed ammirare il Furioso come un puro mondo della bella forma e a fare di Ariosto il poeta dal "cor sereno" e senza problemi. In questo episodio diverse ottave sono dedicate al periglioso viaggio ed approdo di Rinaldo e alla selva Calidonia; tali elementi hanno in se una funzione puramente descrittiva; ma la relativa lunghezza dell'esposizione e il richiamo alla tra- dizione leggendaria che essi contengono tendono ad assorbire tutta l'attenzione del lettore inav- veduto e a fargli dimenticare il paladino e la sua missione. Viceversa, all'ottava 54 del Canto iv appare improvvisamente ed apparentemente slegato dal centro narrativo il verso "dove piiu aver strane aventure pensa"; questo fugace ed isolato accenno potrebbe difficilmente risvegliare l'attenzione del lettore in senso diverso immerso com 'e nella selva e nell'ammirazione per il mondo degli antichi cavalieri. Ma quel verso rimane pure, con tutto il peso dei problemi cul- turali, sociali ed umani che porta in se, una parte importante della poesia ariostesca.

    L'onore, la gloria, I'aspirazione all'imitazione

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  • 204 L'Avventura di Rinaldo

    delle imprese leggendarie dei cavalieri e un tenace, per quanto gratuito, desiderio di vivere I'avventura sono i motivi che spingono Rinaldo ad intraprenderla; basata su tali valori astratti essa rimane pervasa da un senso fantastico ed irreale. Sorge allora la domanda: come si spiega la presenza di tali elementi in un episodio ispi- rato dalla leggenda brettone ma che a quella leggenda sono completamente estranei? La risposta e, naturalmente, abbastanza semplice: l'Orlando Furioso fu composto in un'epoca (1504- 14 circa) di qualche secolo posteriore al sorgere e allo svilupparsi della leggenda brettone e gli elementi a questa estranei devono essere stati assorbiti nel Furioso dal mondo sociale e culturale del tempo in cui il poema, e quindi l'episodio esaminato, furono scritti. Rimane perci6o da vedere come si configura quel mondo specifica- mente per quanto riguarda il sentimento e l'idea tradizionale della cavalleria e il valore ideologico e pratico che in esso erano venuti assumendo.

    Le ricerche di P. Rajna e G. Bertoni avevano provato come moltissimi personaggi e situazioni del Furioso derivassero da opere del ciclo brettone e come esse fossero possedute e lette avidamente dai nobili di Ferrara e dai membri della corte estense.7 II risultato di queste ricerche, se e stato utilissimo sotto certi aspetti, sotto altri e stato invece tendenzioso in quanto quelle ricerche si sono limitate ad accertare certi fatti letterari e sociali senza per altro differenziare e precisare il loro valore pratico e culturale nei rispettivi con- testi storici. In tal modo si e creata l'impressione che lo spirito cavalleresco delle antiche opere fosse quello stesso che riviveva nel poema ario- stesco e nella societa ferrarese delle ultime decadi del Quattrocento e delle prime del Cinquecento. La diffusa lettura ed ammirazione per le opere cavalleresche tradizionali non significa affatto che il loro spirito originario e le forme di vita che esse rappresentano rivivessero identicamente ed operassero nella stessa guisa in quel poema e nella vita di quella societ'a.

    S'6 accennato al carattere originario della cavalleria fondato su un codice informato alla generosita e all'altruismo e in seguito al signifi- cato profondo e vitale che essa aveva assunto nella societa cortese. Ma gia attorno alla meta del XIII secolo lo spirito cavalleresco comincia a subire in Italia una trasformazione notevole. Questo e dovuto al sorgere del Comune; questa forma politica porto con se, com'e noto, una nuova forma economica e sociale, lo scambio basato sul denaro che consenti l'accumulazione del capitale, e la classe borghese, che di questo

    nuovo tipo di vita economica ne era la protagoni- sta e beneficiaria. Essa era costituita da membri di famiglie non nobili ma che, quanto a mezzi finanziari e potere politico, contavano ormai tanto quanto, e spesso di piiu, dei membri di quelle famiglie il cui prestigio economico e sociale era consacrato dalla tradizione. II risultato fu che se nella societa feudale poteva essere cava- liere chi era tradizionalmente di famiglia nobile e ricca, nell'epoca comunale invece la borghesia "si trovo sollevata alla pari della nobilta e allora ... fu naturalmente portata ad appro- priarsi i distintivi della nobilta, per ... vanita e tendenza ad imitare le classi superiori."8 Ma gli attributi ed ideali cavallereschi passando alla borghesia cambiano, necessariamente, di carat- tere: "questi borghesi arricchitisi nelle manifat- ture e nei traffici sono menti equilibratissime, hanno profondo il senso della praticita e vivono in un mondo che . . . e ormai parecchio lontano dalla violenza e dall'anarchia feudale." Pertanto essi nella morale cavalleresca tradizionale non vedono niente di profondo e vitale: "un uomo che, mettendosi come gli eroi romanzeschi al di fuori e al di sopra delle leggi, si occupasse a difendere per conto suo il giusto e a raddrizzare i torti, ammazzando o lasciandosi ammazzare, essi lo riterrebbero un brigante o un matto."9 E quale valore assume allora per questi borghesi la dignita cavalleresca? Semplicemente quella di un titolo onorifico "il quale da diritto a certe deter- minate distinzioni allo stesso modo che i cava- lierati e le commende d'oggigiorno servono solo ad essere messi sulle carte da visita e annunziati nelle anticamere."'l Un altro fattore importante tende tuttavia a distruggere le prerogative caval- leresche, il sorgere degli eserciti mercenari. Mentre nel passato solo il vero nobile poteva andare a cavallo ed indossare un'armatura, ora invece non occorre piiu essere nobile per farlo; cosi cade un'altra causa di differenza tra nobili ed ignobili. Percio la degenerazione di quella che era un'istituzione eminentemente aristocartica continua. Ora anche gli uomini della plebe piiu bassa "vogliono darsi la soddisfazione di fare i

    7 P. Rajna, Le Fonti, e G. Bertoni, L'Orlando Furioso e la Rinascenza a Ferrara (Modena, 1919), pp. 91-110.

    8 G. Salvemini, La Dignitd cavalleresca ned comune di Firenze in Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295 (Torino, 1960), p. 356.

    9 Salvemini, p. 359. 10 Salvemini, p. 358. I risultati delle ricerche di Salvemini

    non sono valide strettamente per il Comune di Firenze come il titolo del saggio potrebbe suggerire, ma anche per la mag- gior parte dei comuni italiani ed alcuni paesi europei: cf. p. 360.

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  • Alfredo Bonadeo 205

    paladini." Cosi, sempre nel secolo XIII, si trovano ricordati in certi statuti "dei cavalieri, e loro figli e nipoti, che si occupano di lavori man- uali, come zappare e condurre sull'asino legna e letame.""l

    Questa degenerazione causata dalle mutazioni di carattere economico, sociale e militare nell'e- poca comunale non segno tuttavia la liquidazione dell'istituto e spirito cavalleresco. Al contrario, quest'ultimo rivive vigorosamente presso le societa aristocratiche di tutta Europa e rivive nella forma di una delle piiu fallaci e tenaci illu- sioni della civilta occidentale al tramonto del Medio Evo. J. Huizinga dimostro brillantemente alcuni decenni fa il ruolo e il valore dello spirito cavalleresco presso le aristocrazie di quel tempo essere radicato nell'imitazione ed aspirazione all'onore, gloria e splendore dell'antica vita cavalleresca. Ed anche se le concrete esigenze della realta politica e sociale contrastavano aper- tamente all'attuazione di tali aspirazioni, esse erano pero cosi tenaci e vitali, cosi profonda- mente radicate nella concezione di quella che doveva essere una nobile esistenza, che fu spesso tentato di soddisfarle anche a costo di tragici errori politici con disastrosi effetti sul destino delle nazioni.'2

    Ora, il Rinascimento eredita le caratteristiche dello spirito cavalleresco formatesi nelle epoche precedenti, quelle di titolo onorifico, distinzione personale e aspirazione all'onore e alla gloria del passato. Ma questa e 1'epoca delle tirannie e dei principati, le esigenze politiche e sociali sono divenute imperiose ed impriscindibili, e un'epoca dominata dall'astuzia, dal calcolo e dalla con- siderazione oggettiva della realta. Lo spirito cavalleresco pur permanendo deve allora di ne- cessita estraniarsi sempre piiu dalla realta della vita politica e sociale se vuole sopravvivere; il senso del reale e dell'importanza dei valori pra- tici e divenuto preponderante e non tollererebbe piiu l'interferenza di motivazioni ed atti pura- mente ideali.13 Ma appunto perche allo spirito cavalleresco vengono ora a mancare, da una parte, motivazioni ed interessi vitali e dall'altra la deplorevole possibilita di cozzare ed inter- ferire, nel suo manifestarsi, con i valori e le esigenze pratiche di una realta impriscindibile, si esterna allora nella maniera piiu dilettantesca, fantastica, futile ed accentuando vieppiu il pro- prio carattere di distinzione personale. Cosi verso la fine del Quattrocento e ai primi del Cinque- cento a Ferrara, un principato gettato come tanti altri principati del tempo nella turbolenza di quelle lotte economiche, politiche e militari che

    spazzavano ad intermittenza la penisola italiana da un capo all'altro,'4 si assiste alla corte di Ercole I a "singolari combattimenti che traevano origine da cause futilissime e a guisa di spettacoli avvenivano dinnanzi al duca e alla corte" e alla sfida di Giulio d'Este, un figlio bastardo del duca, a un nobile ferrarese perche s'era reso colpevole di vilipendio alla sua cagna.'5 Lo stesso genere di manifestazioni e le "finte battaglie cavalleres- che" prevaranno alla corte di Alfonso I, il suc- cessore di Ercole I.16 Per quanto concerne infine

    11 Salvemini, pp. 357, 358. Una fonte autorevole sulla decadenza cavalleresca nell'epoca comunale e naturalmente Dante: cf. specialmente Purgatorio xiv.109-111 e xvi.115- 117.

    12 Cf. J. Huizinga, "The Political and Military Significance of Chivalric Ideas in the Middle Ages" in Men and Ideas (New York, 1959), pp. 196-206, e il capitolo "The Political and Military Value of Chivalrous Ideas" in Thze Waning of the Middle Ages (New York, n.d.), pp. 93-107.

    z Per la trasformazione del valore degli ideali cavallereschi in rapporto alla realtA politica e sociale rinascimentale, cf. R. Kilgour, The Decline of Chivalry as Shown in the French Literature of the Late Middle Ages, Cambridge, Mass., 1937, A. Ferguson, The Indian Summer of English Chivalry, Dur- ham, N. C., 1960 e H. Baron, "Secularization of Wisdom and Political Humanism: Rice's Renaissance Idea of Wisdom," JHI, xxi (1960), 131-150.

    14 Per le condizioni politiche e sociali, interne ed esterne degli stati italiani b sempre di capitale importanza la Storia d'Italia di F. Guicciardini, a cura di C. Panigada, Bari, 1929, 5 vols., che copre appunto il periodo in questione. Per le condizioni di Ferrara cf. J. Burckhardt, La Civiltd del Rinasci- mento in Italia, trad. Valbusa (Firenze, 1927), i, 52-62, G. Bertoni, L'Orlando Furioso e la Rinascenza a Ferrara, pp. 7, 8, e M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto (Geneve, 1930), I, 104-116 e 179-201.

    15 Catalano, I, 267 e nota 22. '6 Catalano, i, 491, 492. Ci6 che rappresenta nel modo pia

    esemplare e sensazionale questo carattere fittizio e irreale delle manifestazioni cavalleresche del tempo sono i tornei e il duello d'onore. II torneo ha nel Rinascimento una storia gia relativamente lunga ma il duello d'onore fiorisce invece pro- prio nel secolo XVI. Ambedue le pratiche ebbero una diffus- ione enorme in Italia e vi fece riscontro una parimenti enorme trattatistica. 1I torneo con la sua pompa ed apparato impres- sionante nasce dalla necessita di trovare un mezzo per ottenere onore, gloria e beni materiali quando la reale possi- bilita di farlo nel campo di battaglia, resa ormai impossibile dalle pratiche esigenze militari, viene a mancare; cf. J. Huizinga, The Waning of the Middle Ages, p. 96, e S. Painter, French Chivalry: Chivalric Ideas and Practices in Mediaeval France (Baltimore, Md., 1940), pp. 60-62. Per manifesta- zioni di questo genere a Ferrara al tempo di Ercole I cf. B. Zambotti, Diario ferrarese in L. Muratori, Rerum italicarum scriptores (Bologna, 1934), 24:7:2, 81, 215, 216. D'altra parte il duellante d'onore, ricercando gloria e onore mediante motivazioni il piA delle volte arbitrarie e sempre con le armi anziche con la giustizia, impartisce a quella pratica un carat- tere, pia ancora che irreale, disumano, minando cosi alla base la concezione dell'onore e della gloria tradizionale; cf. J. G. Millingen, The History of Duelling (London, 1841), i, 67, 70, e P. Rush, The Book of Duels (London, 1964), pp. 55, 56.

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  • 206 L'Avventura di Rinaldo

    il conferimento della dignith cavalleresca tra i nobili della corte estense occorrera accennare ad alcuni fatti significativi. Ercole I nomina cava- lieri uno studente all'Universith di Ferrara proveniente dalla Borgogna a cagione delle amichevoli relazioni tra le due corti, "un suo camerero e compagno" e due ambasciatori bolog- nesi perche erano riusciti a combinaie il matri- monio tra la figlia illegittima del duca e un Ben- tivoglio. Successivamente lo stesso Ercole I prima d'intraprendere una pericolosa missione politica e dopo aver raccomandato lo stato e la famiglia ai notabili della corte, all'atto di partire, crea cavalieri, impromptu, quattro di questi notabili unicamente per assicurarsene i fedeli servigi durante l'assenza. Similmente alle corti del re d'Ungheria e dei Gonzaga di Mantova,

    notoriamente in stretti ed amichevoli rapporti con quella di Ferrara, alcuni cortigiani ferraresi sono creati cavalieri al fine di mostrare benvolere e liberalita verso la corte estense.'7 Tali fatti indicano quanto la dignita cavalleresca a Ferrara avesse ormai poco a che fare con l'onore e la gloria, o viceversa, quanto questi attributi fossero divenuti semplicemente una faccenda di dis- tinzione e vantaggio personale.

    UNIVERSITY OF CALIFORNIA Davis

    17 Cf. B. Zambotti, Diarioferrarese, pp. 4, 33, 46, 183, 189, 275. Per la diffusa e indiscriminata nomina di cavalieri tra i dottori e laureati dell'Universita di Ferrara nel secolo XVI e il suo effetto negativo sulla qualita degli studi e dell'insegna- mento cf. A. Visconti, La Storia dell'Universitd di Ferrara (1391-1950) (Bologna, 1950), pp. 58, 59.

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    Article Contentsp. 199p. 200p. 201p. 202p. 203p. 204p. 205p. 206

    Issue Table of ContentsPMLA, Vol. 81, No. 3 (Jun., 1966), pp. 149-310Front MatterThe Death of Lazarillo de Tormes [pp. 149-166]Certain Difficulties in Reading Marianne Moore: Exemplified in Her "Apparition of Splendor" [pp. 167-172]Anglo-Saxon Chronicle for 755: The Missing Evidence for a Traditional Reading [pp. 173-178]Las cien doncellas: trayectoria de una leyenda [pp. 179-184]Two Old English Scop Poems [pp. 185-192]The Dramatic Setting of the Wakefield Annunciation [pp. 193-198]L'Avventura di Rinaldo [pp. 199-206]Melancholy, Ambition, and Revenge in Belleforest's Hamlet [pp. 207-213]Classical Mythology and Christian Tradition in Marlowe's Doctor Faustus [pp. 214-223]Die Schranken der Vernunft in Gellerts leben der schwedischen Grfin von G.: Ein Beitrag zur Geistesgeschichte der Aufklrung[pp. 224-235]Conscience and the Pattern of Christian Perfection in Clarissa [pp. 236-245]Romantic Psychology and the Inner Senses: Coleridge [pp. 246-260]Newman, Aristotle, and the New Criticism: On the Modern Element in Newman's Poetics [pp. 261-271]Gnostic Mythos in Moby-Dick [pp. 272-277]Miss Havisham Brought to Book [pp. 278-285]The Elaboration of Character in the bauches of Zola's Rougon-Macquart Novels[pp. 286-296]Flaubert's Saint Julien: The Sin of Existing [pp. 297-302]T. S. Eliot's Theory of Personal Expression [pp. 303-307]Notes, Documents, and Critical CommentThe Bradshaw Carols [pp. 308-310]