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BOLIVIARIO GABRIELE CAMELO DI UN VOLONTARIO DELUSIONI E CONQUISTE

Boliviario. Delusioni e conquiste di un volontario - estratto libro - Paoline

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Partire con un bagaglio di sogni. Per poi scontrarsi con una delle più dure realtà. Partire con i ferri del mestiere: trampoli, palloncini, biacca da clown, trucchi da prestigiatore. Per fare magie, per fare il pagliaccio... ecco l'esperienza di un anno passato di volontariato di Gabriele Camelo raccontata nbel libro... con incredibili sorprese!

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Gabriele Camelo è laureato in scienze della comunicazione alla LUMSA, in peda-gogia della comunicazione mediale e in psi-cologia alla UPS e in scienze della formazione primaria presso l’Università dell’Aquila. Ha conseguito un master in cinema digitale e produzione televisiva all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha lavorato per la RAI come « autore televisivo ». Fa il gio-coliere e cammina sui trampoli; è clown e attualmente lavora come autore di reportages presso TV2000.

Si tratta di un diario nel quale l’autore racconta – con grande forza, passione e in uno stile brillante – la sua esperienza di volontario del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) tra i bambini, gli adolescenti e i giovani emarginati a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia.

I racconti che si susseguono sono molto veri e, nella loro drammaticità, aiutano il protagonista a riscoprire il senso della vita, il significato dell’essere cristiani oggi.

Attraverso questo diario, l’autore ripercorre tappe e passaggi salienti della sua esperienza; descrive la fatica di essere accolto in determinati contesti, la fatica di... scalfire la durezza degli emarginati; l’aggressività dei bambini divenuti vecchi prima di aver potuto crescere e diventare persone adulte... E, insieme alle tante delusioni, racconta le piccole-grandi conquiste: il sorriso sbocciato improvviso negli occhi di un bimbo, le confidenze ricevute da un adolescente, gli spaccati d’animo di molti, scoperti con sorpresa.

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Cosa succede quando si decide di mollare tutto per darsi tutto?

Partito per cambiare vita e finalmente provare a fare qualcosa di buono, mi sono tuffato in un mondo povero (la Bolivia) per lavorare (come educatore di ragazzi di strada) e con l’intento di darmi.

Ma l’idea di darsi è, appunto, un’idea. È bella quando rimane dentro la testa. Ma quando si trasforma in realtà, non tutto può essere come ce lo si aspetta...

Io, che ero andato per portare un po’ di vestiti a chi non li ha, mi sono ritrovato nudo come loro, spogliato di tutto me stesso, solo.

Ho dovuto farmi forza con una penna, quella con cui ho scritto questo diario. E con delle preghiere, quelle che mi hanno guidato a non sentirmi solo nella solitudine.

Foto di copertina: © Gabriele Camelo€ 15,00

BOLIVIARIO

GABRIELE CAMELO

DI UNVOLONTARIO

DELUSIONIE CONQUISTE

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INTRODUZIONE

Cosa succede quando si decide di mollare tutto per darsi tutto?

Partito per cambiare vita e finalmente provare a fare qualcosa di buono, mi sono tuffato in un mondo povero (la Bolivia) per lavorare (come educatore di ragazzi di strada) e con l’intento di darmi.

Ma l’idea di darsi è, appunto, un’idea. È bella, l’idea, quando rimane dentro la testa. Ma quando si trasforma in realtà, non tutto può essere come ce lo aspettiamo.

E io non mi aspettavo di sentire per l’aria una puzza quasi costante (quella dei mercati a cielo aperto mischia-ti all’afa), non mi aspettavo di vedere bambini che si drogavano e non mi aspettavo di vedere uscire sangue da braccia lesionate con il vetro di bottiglie di birra: autolesionismo dei ragazzi di strada. Non mi aspettavo nemmeno che le mie ricchezze (le lauree, le esperienze lavorative, le competenze) potessero servire a ben poco contro le povertà boliviane.

Io, che ero andato per portare un po’ di vestiti a chi non li ha, mi sono ritrovato nudo come loro, spogliato di tutto me stesso, solo.

Ho dovuto farmi forza con una penna, quella con cui ho scritto questo diario. E con delle preghiere, quelle che mi hanno guidato a non sentirmi solo nella solitudine.

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I.

SI PARTE

Il senso della partenza

Quando mi si chiede perché, il perché della partenza, o quando mi ritrovo per qualche motivo a cercare di spiegarmi, annaspo. Non annaspo perché non so, anna-spo per altro. Come si fa a parlare del senso del verbo essere (ben diverso dai verbi avere o apparire), del desi-derio di crescere come Uomo, del desiderio di amarmi, amare ed essere amato? Ma anche del desiderio di sen-tirmi cristiano e quindi, con questo, di sentirmi sulla strada di Cristo?

Le ultime parole, « sentirmi sulla strada di Cristo », non sono presunzione: significano, semplicemente, cer-care di percorrere una strada già battuta. La parola cri-stiano, in fondo, non significa altro che « sentirsi sulla strada di Cristo ».

Il senso della partenza.Parto, per avviarmi su una strada.Annaspo, quando cerco di spiegarmi. Eppure talvol-

ta capita che chi mi ascolta mi prenda e mi tiri fuori dall’acqua delle parole che male spiegano: sono tirato fuori, uno sguardo, un assenso e sento che quella perso-na mi ha capito. Sono lì che mi dimeno nel « perché », eppure sono salvato. È molto bello, quando capita.

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È normale, anche, accettare il fatto che chi mi ascol-ta, di fronte alle mie parole che male spiegano, sempli-cemente, non capisca – non le capisca.

E io rimango lì, ad annaspare.Nei miei pensieri. Sul senso della partenza. Per poi ritrovarmi, alla fine scrivendo, con poche

parole, che bene spiegano.Il senso della partenza: essere, amato, amante, cri-

stiano.

Un tentativo di spiegazione

Si cerca tanto più la bellezza fuori quanto più si è lontani dalla bellezza dentro.

Una donna cerca la liposuzione o ambisce a rifarsi il seno quando più è lontana dalla propria vera bellezza, che va al di là dei numeri dei fianchi o del seno.

Parto, non per andare fuori, ma per andare dentro.

***

Io non so. Non so, voglio dire: mi sembra che ci sia un mondo che gira per il verso sbagliato. Di gente che gira intorno a cose inutili, inutili. Di gente che si incaz-za, litiga, si deprime e vive suonando il clacson perché il semaforo è appena diventato verde e quello davanti non s’è mosso – e intanto, suonando suonando, corren-do correndo, ci si dimentica di chiamare l’amico che sta male. E si sa che sta male, si sa, ma ci si dimentica, per-ché si ha la fretta addosso – la fretta addosso. Ecco: non è la gente di per sé. Le gente non è fatta di fretta. È

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che si è lontani dall’essenza. È che – con la fretta addos-so – ci si ritrova (io per primo) a confondere quella che è la vera, propria, profonda, volontà. Ci si ritrova a di-menticarsi delle cose importanti. Quella che si pensa sia la propria volontà, spesso non corrisponde alla vera propria volontà. Io penso che la mia volontà sia rispar-miare tempo e sbrigarmi e quindi mi ritro vo a suonare clacson al lentone davanti. Ma mi confondo: la mia vera, propria, volontà sarebbe accostare, fermarmi, e chiama-re l’amico che sta male, e chiudendo i fine strini per la-sciare i rumori fuori, chiedergli: « Come stai? ».

I rumori fuori. I rumori.

Io la smetto con tutto questo.Io la smetto con questo mondo che gira intorno ai

soldi, a ragazze in minigonna e a successi inutili: io non voglio ritrovarmi la sera ad accendere la televisione e a stare impalato di fronte al culetto delle veline, e ad ascoltare il rumore degli applausi a comando e il rumo-re delle risate finte.

Io la smetto. Basta coi rumori.Parto per cercare l’essenza. Musica.

***

È che io mi sono sempre molto arricchito nella po-vertà. Nei posti e negli ambienti ricchi, mi sono arric-chito poco. La povertà è fonte di ricchezza, infinita.

Quando vado a fare le feste per bambini, una cosa è andare a fare una festa nella sala dell’albergo a cinque stelle di Parioli e un’altra è andare a fare una festa nella piazzetta di Campoleone, una frazione di Roma. I bam-

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bini sono diversi, la gente è diversa. Io ho sempre nota-to che la povertà è piena, la ricchezza è un po’ vuota.

I bambini di Parioli rimangono a giocare con le loro carte dei Pokemon, piuttosto che guardare la sputata di fuoco.

I bambini di Campoleone gioiscono del nulla, di un sopracciglio che si alza in maniera buffa.

La gente di Campoleone ti invita a rimanere a cena.C’è una bellezza particolare per me nella povertà. La

povertà è fonte di vita, e mi lascia interdetto.Un’interdizione bella, che mi spinge a farmi doman-

de, a cercarmi, a cercare.La povertà avvicina all’essenza.

Io non parto per pormi su un altro piano. Io non vado in Bolivia per portare un qualcosa. Se c’è un qual-cosa che porto, questo è me stesso, e basta.

Non voglio fare, voglio stare. Stare è un verbo molto bello, poiché presuppone uno scambio sullo stesso pia-no: non c’è uno che dà e uno che riceve, c’è piuttosto un reciproco darericevere – tutto attaccato – poiché queste parole, nello stare, sono inscindibili. Stare con la povertà significa vivere la povertà. Non ha senso il gesto di allungare una mano e deporre una moneta nella ma-no del mendicante che la chiede, perché è un gesto che amplifica la differenza, e con la differenza si amplifica la dipendenza, quella del povero verso il ricco.

Parto, con la voglia di essere povero con i poveri.

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Un trampoliere su un aereo

« È inutile che li porti, i trampoli. È un’assurdità, una cosa da pazzi: non te li faranno mai e poi mai imbarcare ».

« Papà, provo. Provo a portarli, si vedrà ».

Check-in.« Ehm, sono un clown e… »« Te li faccio imbarcare se mi fai una magia » mi dice

l’impiegata dell’Aerolinas.Prendo una moneta. La fila dietro aspetta. Check-in,

gente dietro di me, valigie e io che faccio sparire una moneta di fronte gli occhi interdetti di due hostess.

Affare fatto.Si avvicinano anche delle vecchiette, una con la

video camera: « Posso riprenderti? ». Un vero mago di fronte a loro. Lì, al check-in, fila intorno, trampoli da una parte,

prendo il cellulare, la custodia degli occhiali e il cusci-netto poggiatesta e li faccio roteare per aria: giocoliere con oggetti assurdi.

Faccio battute, la gente ride.E i trampoli stanno lì, che aspettano di essere imbar-

cati. Gratis.Più tardi, ringrazio l’impiegata: « Stiamo andando a

lavorare per dei bambini di strada in Bolivia. Averci permesso di imbarcare i trampoli ha un grande valore. Grazie ».

L’impiegata mi chiede un’altra magia. Questa volta non mi riesce.

Ma i trampoli, ormai, sono imbarcati.

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Arie buone

Buenos Aires.Uno lo legge, lo scrive, lo dice.Le parole: tutti conoscono le parole Buenos Aires.

Tutti. Se dico Buenos Aires, la prima parola associata – che

tutti sanno – è « città ». Buenos Aires, città. Tutto si ri-duce qui.

Il bello del viaggiare è che ti apre altri mondi. Viag-giare ti fa rendere conto di quante altre parole ci siano associate a quel nome, Buenos Aires.

E allora, qui sull’aereo, in attesa di arrivare, guardo la mappa e mi rendo conto che Buenos Aires è quasi sulla costa, che Buenos Aires è uno dei punti più lon-tani da Roma, che Buenos Aires è veramente lontanis-sima, che il nome Buenos Aires significa « arie buone ». E che una mappa e un nome, osservare una semplice mappa e un semplice nome, mi aprono un mondo – parole – diverse. Come quando dico « Bolivia » e mol-ti pensano (ma solo qualcuno chiede): « Dov’è? ».

Chi se lo domanda, va oltre la nozione – le parole – di « Stato », « Paese ».

Io ci sto andando dentro, a quella domanda.

Facciamo partire l’applauso

« Dai, applaudiamo insieme! »« No, io certe cose non le faccio ».« Ma dai… dai, facciamo partire l’applauso! » Il mio intento, apparentemente goliardico, ha lo sco-

po di cercare di stabilire un contatto con Valerio. L’ami-

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cizia nasce anche da piccole situazioni, scherzose – come questa. Con-divisione.

« La brutta figura la fai tu ».C’è qualcosa di Valerio che mi dà fastidio. Non sento

sintonia, sento distacco. Da dove nasce il distacco? Ci sono cose – come la

sintonia – che non si possono spiegare. Si sente, la sin-tonia. A pelle. Si sente. O c’è o non c’è. Eppure cerco di capire, con Valerio, cosa non va. Forse la realtà è che siamo profondamente diversi. Forse. Semplicemente, Valerio, pur essendo molto « goliardico », disprezza l’i-dea di scherzare facendo partire l’applauso all’atterrag-gio dell’aereo.

E, forse, il suo modo di scherzare è lontano dal mio: a lui piace scherzare sulle mancanze, sui punti deboli dell’altro. E così mi ritrovo oggetto. Mi sento osservato – pronto, lui, costantemente, a fare battute sul mio scar-so spagnolo.

Scrivere mi fa bene. Scrivere mi permette di mante-nere l’equilibrio.

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continua! Il Boliviario ti aspetta...

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INDICE

Introduzione pag. 5

I. Si parte » 7Il senso della partenza » 7Un tentativo di spiegazione » 8Un trampoliere su un aereo » 11Arie buone » 12Facciamo partire l’applauso » 12

II. Esperienze » 14Due pizze volanti » 14Io non me la immaginavo così » 15Limber » 15La cura delle semplici cose (27-11-2008) » 16Eduardo-Roberto (28-11-2008) » 17« En la calle » » 20Dai vestiti firmati

agli scarafaggi ovunque » 20Donne (2-12-2008) » 21A poco a poco (2-12-2008) » 22Sei stata brava (2-12-2008) » 24

III. Occhi vivi » 27Dagli occhi spenti agli occhi vivi (3-12-2008) » 27

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Edwin (4-12-2008) » 30 Richiamo all’antico » 32 Il viaggio » 33 Le case dalle porte aperte » 35 « Confio en Gabriel, confio en mi padre, confio en mi madre » » 37 Come se nulla fosse successo » 39

IV. Ragazzi strabordanti » 42 Credere » 42 Una voce pacata è più forte

di qualunque urlo » 44 Padre nostro » 45 « A chi racconti, al mondo? » » 46 « Sudor sudor, cacca cacca, orina orinaaa! » » 47

V. Buttarsi e bruciarsi » 49 Avenida Monsignor Ribeiro » 49 Spettacolo! » 51 Inutilità » 53 Isolamento » 55 Narcisismo nella povertà » 58 Dalla propria morte al dono di sé » 59 Apprender » 60 Aymè » 62 « Hermano, mi presti cinque pesos? » » 63 Pomeriggio all’ospedale » 66 Amen » 71 Non c’è pienezza

nella semplice condivisione di corpi » 73 Cristian e Vania » 76

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VI. Le libertà » 82 Circo! (Uno) » 82 Circo! (Due) » 84 La repulsione delle mie pulsioni » 86 La vera libertà è essere in condizione

di scegliere » 88 « Esto es un pais libre, no? » » 91 I bambini che nascono

senza avere la possibilità di essere bambini » 92

Granja » 94 La somma degli zeri non fa zero » 96

VII. Con l’anima e il corpo » 100 Sbattere contro la Bolivia » 100 Gli incontri » 102 Immergermi, nuotare,

non farmi sommergere » 104 La pretesa di essere ascoltati

senza che si sia detta alcuna parola » 107 Emozioni contrastanti » 110 Fiesta! » 111 Miguelito » 113 Brandon e Adaniel » 118 Odioamoredolore » 122 Picchiare » 124 Fernando » 127 Io sono un animale » 128 « E non ci indurre in tentazione,

ma liberaci dal male » » 131

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VIII. Abituarsi » 134 Incastrati » 134 Sono loro, sono semplicemente così » 138 Non l’ho salvato » 142 Essere leggeri » 145 Due letti vuoti » 146 È come una coppia » 149 Essere educatore » 152 Abbracciare » 155

IX. Le cose belle » 158 Carezze » 158 Circo (E tre!) » 159 Ritrovarsi a fare il papà » 162 Educarsi alla durezza » 163 Una lettera di ringraziamento » 165 Santiago (Uno) » 167 Santiago (Due) » 170 Regalando allegria » 176 Roma, Assisi, Torino » 179 Umiltà » 181

X. Ritorno in Bolivia » 184 Ritorno » 184 Alcol, coca e moto » 185 Personalità forti e statue di granito » 187 L’olandesina in crisi » 189 La Gabrielosa II » 191 Camminare in Bolivia » 193

XI. Come finiscono le storie » 196 Vietato ai minori di diciotto anni » 196

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Daniel » 199 Così vanno a finire le storie d’amore,

di vita e di morte, come nessuna favola racconta mai » 202

Grazie per aiutarmi a non essere aggressivo » 208

Un estraneo straniero strano » 210 Una carezza sulla maledetta terra » 213

XII. Continuare a stare » 217 La sensazione di non essere voluto » 217 Stare » 220 Dinieghi ed errori » 222 Il diavolo dentro » 226 Conferenza stampa » 227

XIII. Iniziare a capire » 231 Quando un’esperienza finisce,

si inizia a capire… » 231 Una moto galeotta » 233 Hai dimostrato a tutti chi sei » 235 « De lastdei! » » 237

XIV. Riflessioni finali » 243

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Si tratta di un diario nel quale l’autore racconta – con grande forza, passione e in uno stile brillante – la sua esperienza di volontario del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) tra i bambini, gli adolescenti e i giovani emarginati a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia.

I racconti che si susseguono sono molto veri e, nella loro drammaticità, aiutano il protagonista a riscoprire il senso della vita, il significato dell’essere cristiani oggi.

Attraverso questo diario, l’autore ripercorre tappe e passaggi salienti della sua esperienza; descrive la fatica di essere accolto in determinati contesti, la fatica di... scalfire la durezza degli emarginati; l’aggressività dei bambini divenuti vecchi prima di aver potuto crescere e diventare persone adulte... E, insieme alle tante delusioni, racconta le piccole-grandi conquiste: il sorriso sbocciato improvviso negli occhi di un bimbo, le confidenze ricevute da un adolescente, gli spaccati d’animo di molti, scoperti con sorpresa.

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Cosa succede quando si decide di mollare tutto per darsi tutto?

Partito per cambiare vita e finalmente provare a fare qualcosa di buono, mi sono tuffato in un mondo povero (la Bolivia) per lavorare (come educatore di ragazzi di strada) e con l’intento di darmi.

Ma l’idea di darsi è, appunto, un’idea. È bella quando rimane dentro la testa. Ma quando si trasforma in realtà, non tutto può essere come ce lo si aspetta...

Io, che ero andato per portare un po’ di vestiti a chi non li ha, mi sono ritrovato nudo come loro, spogliato di tutto me stesso, solo.

Ho dovuto farmi forza con una penna, quella con cui ho scritto questo diario. E con delle preghiere, quelle che mi hanno guidato a non sentirmi solo nella solitudine.

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