Calasso, Roberto - Le Parole Provocate Col Rascio

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  • 7/30/2019 Calasso, Roberto - Le Parole Provocate Col Rascio

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    Vico Acitillo 124 - Poetry WaveZapping

    nel mondo, disperdendoli sulla sua superficie, dove sempre hannosoggiornato, se vero, come scrisse il neoplatonico Salustio, che"anche il mondo stesso pu essere detto un mito". A quel punto,potranno anche viaggiare camuffati, personaggi fra i tanti che entra-

    no ed escono da un cosmico Hotel du Libre Echange; o invecemostrarsi con le loro antiche vesti, in decalcomanie iperreali. Ciche importa che il mondo continuer a essere il luogo delle epifanie.E, per muoversi fra di esse, la letteratura sar l'ultimo sopravvissutoPausania. Ma accertato che cosa significa "letteratura"? Se oggi pro-nunciamo questa parola, avvertiamo subito che un abisso la separada ci che con essa poteva significare qualsiasi scrittore del Sette-cento, mentre gi all'inizio dell'Ottocento la parola aveva assuntocerte connotazioni che oggi subito riconosciamo in essa: soprattut-

    to le pi azzardate e le pi esigenti, che lasciano dietro di s l'anticacostruzione della retorica come una sorta di Kindergarten da ab-bandonare per sempre, fuggendo verso un sapere che trova fonda-mento in se stesso e si espande ovunque come una nube, capace diavvolgere ogni profilo, incurante di ogni confine. Questo nuovoessere, che apparve un certo giorno imprecisato e abita ancora tranoi, pu essere definito letteratura assoluta.Letteratura, perch si tratta di un sapere che si dichiara e si pretendeinaccessibile per altra via che non sia la composizione letteraria;

    assoluta, perch un sapere che si assimila alla ricerca di un assoluto- e perci non pu coinvolgere nulla meno del tutto; e al tempostesso qualcosa di ab-solutum, sciolto da qualsiasi vincolo di ob-bedienza o appartenenza, da qualsiasi funzionalit rispetto al corposociale. Talvolta proclamato con arroganza, altre volte praticato conaccorgimenti clandestini e subdoli, questo sapere si lascia avvertirenella letteratura - quale presenza o presagio - sin dagli albori roman-tici in Germania. E sembra destinato a non abbandonarla pi: comeuna sorta di irreversibile mutazione, che pu essere celebrata o ese-crata, ma appartiene ormai alla fisiologia della scrittura.Applicando l'utile superstizione delle date, potremmo dire che l'eteroica della letteratura assoluta si apre nel 1798 con una rivista dipoco pi che ventenni, l'"Athenaeum", redatta spesso in forma ano-nima da alcuni "serafini orgogliosi" (come li defin Wieland) fra iquali spiccavano Friedrich Schlegel e Novalis, e si chiude nel 1898con la morte di Mallarm a Valvins.Un secolo esatto lungo il quale tutti i caratteri dirimenti della lette-ratura assoluta ebbero modo di manifestarsi. Ci implica che quan-to accadde dopo - e in parte viene catalogato sottole etichette ugual-

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    mente imbarazzanti di "modernismo" e "avanguardia" - aveva giperso la radianza aurorale, e anche per questo avrebbe predilettoforme turbolente come quella del manifesto. Entro la fine del seco-lo diciannovesimo quell'oscuro processo si era compiuto nei suoi

    tratti essenziali. Dopo, per un altro secolo, si sarebbero intrecciate eibridate innumerevoli diramazioni, ripercussioni, estensioni a nuo-vi ambiti.Ma come rendere ragione delle origini di quel processo? Non certocon argomentazioni storiche o sociali. Anzi, forte il sospetto cheesso rappresenti la pi radicale apostasia dalla storia e dalla societ.E' come se, quando le maglie di quest'ultima hanno cominciato ainfittirsi, sino a ricoprire l'intera volta celeste, e al tempo stesso lasociet ha sempre pi chiaramente preteso un culto per se stessa, si

    sia anche avviato il reclutamento di una setta di refrattari, talunisilenziosi altri facinorosi, tutti inscalfibili nel loro rifiuto. E noncerto perch dovessero rimanere fedeli ad altri culti. Ma perch liabitava una percezione della divinit cos intensa da non aver nep-pure bisogno di darsi un nome e cos precisa da imporre innanzituttodi rifuggire quella sua velenosa contraffazione che il Grande Anima-le della societ - secondo la definizione platonica - stava perfezio-nando con zelo e tremenda potenza. Da Hlderlin a oggi, nulla difondamentale cambiato in questo, se non che il dominio della

    societ diventato cos pervasivo da coincidere con l'ovviet stessa.E questo il suo supremo trionfo, cos come l'aspirazione supremadel Diavolo quella di convincere tutti della propria inesistenza.In un secolo come il diciannovesimo, squassato da sconvolgimentidi ogni specie, l'evento che tutti li riassume sarebbe passato inosser-vato: la pseudomorfosi fra religioso e sociale.Tutto convergeva non tanto nella frase di Durkheim: "Il religioso il sociale", quanto nel fatto che tale frase, a un tratto, suonava natu-rale. Nel corso del secolo non era stata certo la religione a conqui-stare nuovi territori, al di l delle liturgie e dei culti, come pretende-vano Hugo e tanti altri nella sua scia, ma il sociale che aveva pro-gressivamente invaso e annesso vaste plaghe del religioso, primasovrapponendosi a esso, poi infiltrandosi in una insana commistione,infine inglobandolo in s. Ci che rimaneva alla fine era la nudasociet, ma carica di tutti i poteri ereditati, per via di effrazione, dalreligioso.E il Novecento sar il secolo del suo trionfo. La teologia sociale sisvincola sempre pi da ogni dipendenza e ostenta la sua peculiarit:che tautologica, pubblicitaria. La forza d'urto delle forme politi-

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    che totalitarie non spiegabile se non ammettendo che la nozionestessadi societ ha assorbito in s una potenza inaudita, che primaera custodita nel religioso.Ne conseguiranno le liturgie negli stadi, gli eroi positivi, le femmi-

    ne feconde, i massacri.Essere anti-sociale diventer l'equivalente delpeccato contro lo Spirito Santo. Che il pretesto sia razziale o classista,per sterminare il nemico l'unico motivo rivendicato sempre lostesso: si tratterebbe di esseri dannosi per la societ. La societ ilsoggetto al di sopra di tutti i soggetti, per il cui bene tutto si giusti-fica. In una prima fase ricorrendo a un'enfasi mutuata brutalmentedal religioso (il sacrificio per la patria), ma successivamente in nomedel puro funzionamento della societ stessa, che impone di elimina-re ogni disturbo.

    Per quella setta poco numerosa e variamente dispersa che riluttava atutto questo, innanzitutto per pura incompatibilit fisiologica, comeunico segno di riconoscimento sarebbe rimasta soltanto "quella pa-rola stessa di letteratura, parola tardiva, parola senza onore, utilesoprattutto per i manuali", che tanto pi si staglia, solitaria e illesa,quando "i generi si sbriciolano e le forme si perdono, quando dauna parte il mondo non ha pi bisogno di letteratura e dall'altraogni libro sembra estraneo a tutti gli altri e indifferente alla realtdei generi" (Blanchot).

    E a questo punto si manifesta un singolare fenomeno: per seguire lastoria accidentata e tortuosa della letteratura assoluta dovremo affi-darci quasi esclusivamente agli scrittori stessi.Non certo agli storici, che devono ancora oggi prendere atto di ciche accaduto; e raramente ai puri critici. Mentre alcune discipline,come la semiologia, che pretendevano a un loro ruolo, si sono rive-late superflue - o importune. Quasi soltanto gli scrittori sono ingrado di aprirci i loro laboratori segreti. Guide capricciose ed elusi-ve, sono per gli unici a conoscere passo per passo il terreno: quan-do leggiamo i saggi di Baudelaire o di Proust, di Hofmannsthal o diBenn, di Valry o di Auden, di Brodskij o di Mandel'stam, di Mari-na Cvetaeva o di Kraus, di Yeats o di Montale, di Borges o di Nabokov,di Manganelli o di Calvino, di Canetti o di Kundera, avvertiamosubito - anche se ciascuno poteva detestare l'altro, o ignorarlo omuovergli contro - che tutti parlano della stessa cosa. Non per que-sto sono ansiosi di nominarla. Protetti da molteplici maschere, san-no che la letteratura di cui parlano si riconosce, pi che dall'osse-quio a una teoria, da una certa vibrazione o luminescenza della frase(o del paragrafo, della pagina, del capitolo, del libro intero).

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    Quella specie di letteratura un essere che basta a se stesso. Maquesto non vuol dire che sia solo autoreferenziale, come vorr unanuova specie di bigotti, speculare a quella degli ingenui realisti, gisgominati da una sola frase di Nabokov (sulla "realt" che pu esse-

    re nominata soltanto fra virgolette - e altrove dir che quelle virgo-lette vi affondano come artigli).Non si pu sensatamente dubitare che la letteratura siaautoreferenziale: come potrebbe non esserlo una forma? Ma al tem-po stesso onnivora, simile allo stomaco di certi animali, dove siincontrano chiodi, cocci e fazzoletti. Talvolta intatti, insolentimemento che qualcosa successo, laggi, in quel luogo compostodi molteplici, divergenti e mal definiti realia, che l'alveo di tutta laletteratura. Ma anche della vita in genere.

    Occorrer rassegnarsi a questo: che la letteratura non ostenta, nonha mai ostentato segni di riconoscimento. La migliore verifica spe-rimentale, se non l'unica, a cui la si pu sottoporre quella suggeri-ta da Housman: se una sequenza di parole, pronunciate silenziosa-mente mentre il rasoio scorre la mattina sulla pelle, fa drizzare i pelidella barba, mentre "un brivido scende lungo la spina dorsale". Enon si tratta certo di riduzionismo fisiologico.Colui che rammemora un verso mentre si rade subisce quelrabbrividimento, quell'"orripilazione", romaharsha, che sopravvie-

    ne in Arjuna davanti alla soverchiante epifania di Krishna nellaBhagavad Gita. E si dovrebbe piuttosto tradurre "felicit dei peli",perch harsha significa "felicit", oltre che "erezione" sessuale.Cos vuole una lingua come il sanscrito, che non ama l'esplicito, masottintende che tutto sia sessuale. Quanto a Baudelaire, era fiero cheHugo avesse percepito nei suoi versi un "brivido nuovo". Comericonoscere, altrimenti, la poesia - e il suo scarto rispetto a ci chegi esiste?Qualcosa accade, che Coomaraswamy defin "la scossa estetica". Lasua natura non cambia - che si tratti dell'apparizione di un dio o diuna sequenza di parole. A questo induce la poesia: a vedere ci chealtrimenti non si vedrebbe, attraverso ci che mai prima si udito.Ma cosa intendevano tutti gli scrittori che ho nominato quandodicevano, quando pensavano di qualcosa: letteratura? Allergici aogni appartenenza, soci onorari, non meno di Groucho Marx, delclub di coloro che non si iscriverebbero mai a un club che li accet-tasse come membri, accennavano con quella parola all'unico pae-saggio in cui si sentivano vivere: una sortadi realt seconda, che si spalanca dietro le fessure di quell'altra dove

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    tutti hanno concordato le convenzioni che fanno procedere la mac-china del mondo. Che queste fessure esistano gi un postulatometafisico - e non tutti avevano voglia di praticare testi di filosofia.Ma di fatto cos operavano, come se la letteratura fosse una sorta

    di metafisica naturale, irreprimibile, che non si fonda su catene diconcetti ma di entit eteroclite - brandelli di immagini, assonanze,ritmi, gesti, forme di qualsiasi genere. E quest'ultima era forse laparola decisiva: forma. Ripetuta da secoli, per i motivi pi vari esotto le specie pi diverse, tuttora sembra essere il fondo dietroogni altro fondo, quando si parla di letteratura.Fondo sfuggente, oltre tutto, per natura incapace di tradursi in enun-ciati. Di forma si pu parlare in modo persuasivo soltanto attraver-so altre forme. Non esiste alcun linguaggio sovraordinato alle for-

    me, che possa spiegarle, renderle funzionali ad altro. Cos come nonesiste in rapporto al mito. Che invece esista stato il presuppostodi intere discipline e scuole di pensiero, che hanno invaso il mondoin torme successive ma non per questo hanno scalfito quello checontinua a essere il "mistero palese", parola di Goethe, di ogni for-ma.