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IN SINTESI Definizione. Il termine menopausa indica il momento, nella vita di una donna, in cui si verifica l’esaurimento del patrimonio fol- licolare dell’ovaio, con la conseguente cessazione della produzione gonadica di ormoni sessuali. Tali fenomeni comportano co- me primo segno la scomparsa del flusso mestruale. Epidemiologia. L’età media alla quale si realizza la cessazione dell’attività ovarica è compresa tra i 50 ed i 52 anni. L’incidenza della menopausa precoce nella popolazione generale è stimata intorno all’1%. Se si considera un’età della menopausa antici- pata tra i 40 ed i 50 anni, l’incidenza di menopausa prematura può arrivare al 10%. Eziopatogenesi. La mancata produzione di steroidi a livello ovarico ed il mancato feed-back a livello ipofisario determinano l’in- nalzamento dei livelli di FSH ed LH. Con il passaggio dalla premenopausa alla menopausa vi è un notevole calo dell’estradiolo, mentre il livello di estrone, prodotto dalla conversione degli androgeni ovarici e surrenalici a livello del tessuto adiposo, rimane pressoché invariato. Sintomatologia. I sintomi a breve termine sono le vampate di calore, i disturbi dell’umore, l’atrofia genito-urinaria; i sintomi a lungo termine sono l’osteoporosi, le malattie cardio-vascolari. Diagnosi. Dosaggio delle gonadotropine FSH ed LH e dell’estradiolo; densitometria ossea per la valutazione dell’osteoporosi. Terapia. La terapia sostitutiva prevede schemi differenti a seconda del tipo e del dosaggio di estrogeno e progestinico utilizzati. Terapie alternative prevedono l’impiego di SERMs, SEEMs, fitoestrogeni, bifosfonati. Ginecologia della terza età LUIGI BENASSI GIANLUCA BENASSI 99 CAPITOLO 5 La ginecologia della terza età può essere suddivisa in due parti: la prima comprende il climaterio e la menopausa, Il climaterio è una fase della vita femminile, che si colloca tra i 45 ed i 55 anni, durante la quale si verifica la perdita progressiva della capacità riproduttiva per esaurimento del patrimonio follicolare (atresia follicolare), processo che, co- me si sa, inizia già durante la vita fetale. Accanto a questo, si osserva anche il declino della produzione endocrina, con ripercussioni generali di carattere trofico, metabolico, psi- cologico e sessuale, di cui la menopausa, definita come la cessazione permanente dei flussi mestruali, costituisce il punto di arrivo. EPIDEMIOLOGIA L’età media alla quale si realizza la cessazione dei flussi me- struali è compresa tra i 50 ed i 52 anni. I fattori che possono mentre la seconda caratterizza la senescenza e rientra nel contesto della medicina geriatrica (età > 60 anni). 5.1 Climaterio e menopausa

CAPITOLO 5 Ginecologia della terza età · Con il passaggio dalla premenopausa alla menopausa vi è un notevole calo dell’estradiolo, ... l’alterazione della follicologenesi e

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Page 1: CAPITOLO 5 Ginecologia della terza età · Con il passaggio dalla premenopausa alla menopausa vi è un notevole calo dell’estradiolo, ... l’alterazione della follicologenesi e

IN SINTESI

◗ Definizione. Il termine menopausa indica il momento, nella vita di una donna, in cui si verifica l’esaurimento del patrimonio fol-licolare dell’ovaio, con la conseguente cessazione della produzione gonadica di ormoni sessuali. Tali fenomeni comportano co-me primo segno la scomparsa del flusso mestruale.

◗ Epidemiologia. L’età media alla quale si realizza la cessazione dell’attività ovarica è compresa tra i 50 ed i 52 anni. L’incidenzadella menopausa precoce nella popolazione generale è stimata intorno all’1%. Se si considera un’età della menopausa antici-pata tra i 40 ed i 50 anni, l’incidenza di menopausa prematura può arrivare al 10%.

◗ Eziopatogenesi. La mancata produzione di steroidi a livello ovarico ed il mancato feed-back a livello ipofisario determinano l’in-nalzamento dei livelli di FSH ed LH. Con il passaggio dalla premenopausa alla menopausa vi è un notevole calo dell’estradiolo,mentre il livello di estrone, prodotto dalla conversione degli androgeni ovarici e surrenalici a livello del tessuto adiposo, rimanepressoché invariato.

◗ Sintomatologia. I sintomi a breve termine sono le vampate di calore, i disturbi dell’umore, l’atrofia genito-urinaria; i sintomi alungo termine sono l’osteoporosi, le malattie cardio-vascolari.

◗ Diagnosi. Dosaggio delle gonadotropine FSH ed LH e dell’estradiolo; densitometria ossea per la valutazione dell’osteoporosi.◗ Terapia. La terapia sostitutiva prevede schemi differenti a seconda del tipo e del dosaggio di estrogeno e progestinico utilizzati.

Terapie alternative prevedono l’impiego di SERMs, SEEMs, fitoestrogeni, bifosfonati.

Ginecologia della terza etàLUIGI BENASSI GIANLUCA BENASSI

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CAPITOLO 5

La ginecologia della terza età può essere suddivisa in dueparti: la prima comprende il climaterio e la menopausa,

Il climaterio è una fase della vita femminile, che si collocatra i 45 ed i 55 anni, durante la quale si verifica la perditaprogressiva della capacità riproduttiva per esaurimento delpatrimonio follicolare (atresia follicolare), processo che, co-me si sa, inizia già durante la vita fetale. Accanto a questo,si osserva anche il declino della produzione endocrina, conripercussioni generali di carattere trofico, metabolico, psi-

cologico e sessuale, di cui la menopausa, definita come lacessazione permanente dei flussi mestruali, costituisce ilpunto di arrivo.

EPIDEMIOLOGIA

L’età media alla quale si realizza la cessazione dei flussi me-struali è compresa tra i 50 ed i 52 anni. I fattori che possono

mentre la seconda caratterizza la senescenza e rientra nelcontesto della medicina geriatrica (età > 60 anni).

5.1 Climaterio e menopausa

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interferire sono il fumo, l’alimentazione, il BMI (Body MassIndex). Non sono ancora state del tutto confermate le in-fluenze ereditarie.

DEFINIZIONE

1) Menopausa spontanea: corrisponde all’età in cui si verifi-ca la cessazione dei flussi (generalmente intorno ai 50anni); può essere definita solo retrospettivamente, dopoun periodo ininterrotto di 12 mesi di amenorrea; è pre-matura, se insorge tra i 40 ed i 45 anni, tardiva, se insor-ge oltre i 53 anni e precoce, quando la cessazione dei flus-si si verifica in donne di età inferiore ai 40 anni.

2) Premenopausa: è il periodo che comprende il tempo pre-cedente l’ultima mestruazione.

3) Postmenopausa: è il periodo successivo all’ultima me-struazione.

4) Perimenopausa: comprende il periodo che si estende trala premenopausa e l’anno successivo alla menopausa.

5) Transizione menopausale: è il periodo precedente l’ultimoflusso, durante il quale aumentano l’irregolarità del cicloed il declino della fertilità: va da 2 a 8 anni, con una du-rata media di 4 anni. Il fumo accelera la transizione me-nopausale di circa 2 anni.

6) Menopausa artificiale: può essere indotta dalla chirurgia,dalla chemio- o radioterapia. L’isterectomia in pazientigiovani induce la cessazione dei soli cicli mestruali, manon si accompagna ai segni di esaurimento della fun-zione ovarica.

MODIFICAZIONI ORMONALI

Dopo i 35 anni la massa ovarica e la fertilità si riducono,perché i follicoli subiscono un processo di deterioramentoo atresia (diminuzione del numero e della funzione dellecellule della granulosa e riduzione della riserva follicolare)che si traduce in una diminuita capacità di secernere inibi-na e di rispondere alle gonadotropine: tali eventi si accen-tuano nel corso degli anni successivi e precipitano nel pe-riodo perimenopausale. La diminuita secrezione di inibinacomporta un aumento della produzione di FSH durantetutto il ciclo, specialmente in fase follicolare; inizialmente,nel periodo premenopausale, esistono ancora, benché ri-dotti, normali livelli di estrogeni, progesterone ed LH, ma,lentamente, la produzione di estradiolo diventa insuffi-ciente e solo di rado determina il picco di LH: l’ovulazionediventa così episodica e sempre più distanziata, il proge-sterone diminuisce (insufficienza del corpo luteo) ed i ciclidiventano per lo più anovulatori. In tali situazioni, anchel’LH tende ad aumentare, dapprima in modo incostante,poi definitivamente (Figura 5.1).Nel periodo perimenopausale la fase follicolare è accelera-ta (3 giorni) a causa del progressivo aumento dell’FSH, del-l’alterazione della follicologenesi e della notevole riduzio-

ne di inibina: ciò comporta una situazione di “irregolaritàirregolare”degli ormoni. Nello stesso periodo, l’iperestro-genismo relativo che si instaura durante un ciclo anovula-torio, nel quale manca cioè un’adeguata protezione delprogesterone, può determinare l’insorgenza di iperplasia,poliposi o carcinoma dell’endometrio, e/o lo sviluppo dileiomiomi uterini.Nel periodo di transizione menopausale l’aumento dell’F-SH è ben più alto (10-20 volte) di quello dell’LH (3 volte),perché quest’ultimo ha un’emivita più breve: tale aumentoè secondario, come si è già visto, alla mancanza di inibinae del feed-back con gli estrogeni. Il livello di estradiolo (E2)si riduce marcatamente, mentre quello dell’estrone (E1), ti-pico ormone della menopausa, si mantiene più elevato: ciòè dovuto all’aromatizzazione dell’androstenedione di ori-gine surrenalica (80%) ed ovarica (20%) in sedi extraghian-dolari, come tessuto adiposo, fegato, rene, muscolo ecc.L’estrone così sintetizzato ha un’attività funzionale di circa1/3 rispetto all’estradiolo.I livelli di FSH ed LH raggiungono i picchi più elevati 1-3anni dopo la menopausa (FSH: 50-100 mUI/ml; LH: 30-60mUI/ml); la loro secrezione conserva il carattere pulsatile,come quella del GnRH ipotalamico, mentre si osservaun’ulteriore diminuzione degli estrogeni plasmatici.Nella menopausa artificiale (postannessiectomia), i valoridelle gonadotropine aumentano rapidamente.Nella maggior parte delle donne in postmenopausa è pre-sente un’iperplasia dello stroma funzionale dell’ovaio, chegiustifica sia la produzione di androstenedione, il cui livelloplasmatico tuttavia diminuisce, sia quella del testosterone(prodotto per il 25% dall’ovaio, per il 25% dal surrene e peril 50% dalla conversione periferica dell’androstenedione), lacui secrezione non decresce in modo apprezzabile, ma talo-ra, a causa dell’elevato stimolo gonadotropinico, aumenta: illivello plasmatico complessivo del testosterone è comunquediminuito, a causa della riduzione della conversione perife-rica dell’androstenedione. Lentamente anche lo stromaovarico si esaurisce, cessa l’attività steroidogenetica e l’en-dometrio diventa atrofico. A causa della diminuzione degliestrogeni, diminuisce anche l’SHBG (Sex Hormone BindingGlobulin), mentre il DHEAS, di origine surrenalica, non col-legato alla menopausa, diminuisce più lentamente, in rap-porto all’età. Complessivamente, quindi, dato il maggior ca-lo degli estrogeni rispetto agli androgeni, si può osservareun certo grado di androgenizzazione (irsutismo, modifica-zione della voce, rarefazione dei capelli ecc.), legata ancheall’azione del testosterone che, benché globalmente dimi-nuito, a causa della concomitante diminuzione dell’SHBG,è più disponibile in forma libera, e perciò attiva.La tiroide subisce un lento processo di fibrosi ed il T3 de-cresce del 25-40%; diminuisce anche il metabolismo basa-le, ma nel complesso la donna resta eutiroidea.

GINECOLOGIA

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Ginecologia della terza età 5

Figura 5.1 Modificazioni ormonali nella menopausa. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Published by ElsevierInc. All rights reserved.)

OrePremenopausa Postmenopausa

CH3

CH3

O

OH

HO

Estradiolo (E2)

Estrone (E1)

Ore Ore Giorni

Progesterone

O O

CH3H

LHLH FSHFSH

C = O

Giorni

E2

FSH LH

10

9

8

765

4

3

2

1

14 21

Progesterone

ProgesteroneE2E1 E1

ng

ml 7

500

375

250

125

ng

ml

LH

FSH200

175

150

125

100

75

50

25

200

175

150

125

100

75

50

25

I livelli ormonali aumentano e diminuisconociclicamente durante il ciclo mestruale. Tale regolazionedipende dal rilascio pulsatile delle gonadotropine e daimeccanismi di feedback positivo e negativo.

In postmenopausa i livelli delle gonadotropine aumentano,il livello degli ormoni ovarici diminuisce per l’atropiaovarica e gli estrogeni endogeni diventano per lo più diorigine surrenalica ed il rapporto E1/E2 è invertito.

Feed-back

Feed-back

LH e FSH (mlU/ml)

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Si osserva inoltre una progressiva degenerazione delle cel-lule � di Langerhans pancreatiche, che può determina-re (50% dei casi) una ridotta tolleranza glucidica dopo i65 anni con un’incidenza di diabete di tipo 2 nel 7% deicasi.

MENOPAUSA PRECOCE

Il termine menopausa precoce o POF (Premature Ovarian Fai-lure) indica la scomparsa dei flussi mestruali prima dei 40anni di età. Essa viene anche definita come un quadro diamenorrea secondaria ipergonadotropa ipogonadica e pre-senta una frequenza pari allo 0,9%: è dovuta all’esauri-mento funzionale prematuro dell’ovaio, ma dal punto divista clinico presenta le stesse caratteristiche della meno-pausa naturale, anzi le carenze estrogeniche si manifesta-no con molti anni di anticipo e sono spesso anche più gra-vi. Questa malattia non va confusa con un’altra rara sin-drome di insufficienza ovarica denominata sindrome dell’o-vaio resistente, caratterizzata dalla presenza di numerosi fol-licoli il cui sviluppo si è arrestato in fase precedente allostadio antrale, probabilmente per difetto dei recettori del-l’FSH.

Eziopatogenesi. Nella menopausa precoce, l’ovaio mo-stra le stesse caratteristiche della menopausa normale acausa del processo accelerato di atresia follicolare con as-senza o presenza di pochi follicoli, mentre dal punto di vi-sta clinico si può presentare come sindrome isolata o poli-disfunzionale.Nel primo caso (sindrome isolata) può riconoscere origine:

1) autoimmune, per presenza di autoanticorpi antiovaio;2) genetica o familiare, da deficit di 17-�-idrolasi (disordi-

ne autosomico recessivo), legata a difetti del cromosomaX (anomalia di struttura e X fragile);

3) congenita, legata all’assenza del timo o a galattosemia;4) infettiva, da virus;5) tossica, da fumo o chemioterapici;6) chirurgica o attinica.

Nella sindrome polidisfunzionale la genesi è sempre di na-tura autoimmune e sono noti due quadri clinici:

1) PGA (PoliGlandular Autoimmune Syndrome) di tipo I, ca-ratterizzata da candidiasi mucocutanea, ipoparatiroidi-smo, insufficienza surrenalica;

2) PGA di tipo II (sindrome di Schmidt), caratterizzata dainsufficienza surrenalica, tiroidite-ipotiroidismo, diabetedi tipo I; la disfunzione ovarica può essere associata an-che semplicemente a quella surrenalica e/o a quella ti-roidea.

Sintomatologia e diagnosi. Le manifestazioni clinichesono estremamente eterogenee, in quanto la sintomatolo-gia varia a seconda del patrimonio follicolare residuo. Nel-la maggior parte dei casi, dopo una fisiologica storia ripro-duttiva caratterizzata da cicli mestruali regolari od oligo-menorroici, la donna va incontro dapprima ad oligome-norrea, con cicli sempre più frequentemente anovulatori,fino a raggiungere una condizione di franca amenorrea. Lascomparsa delle mestruazioni si accompagna a sintomi esegni tipici della carenza estrogenica: vampate di calore esudorazioni notturne da instabilità vasomotoria, dispareu-nia, ansia, depressione, insonnia e labilità emotiva, instabi-lità psicologica, modificazione dell’immmagine corporea.Le conseguenze a breve e lungo termine sono: atrofia deitegumenti e delle mucose; secchezza vaginale; incontinen-za urinaria; osteoporosi, alterazioni dell’assetto lipidico edaumento del rischio cardio-vascolare.Inoltre viene meno per queste giovani donne, la possibilitàdi una gravidanza futura. Da questa considerazione parto-no i numerosi studi, volti ad identificare possibili test discreening, per riconoscere tale condizione il più precoce-mente possibile e poter consentire alle giovani donne af-fette da POF di anticipare eventualmente il progetto pro-creativo.L’iter diagnostico è riassunto nella Tabella 5.1.

Terapia. La menopausa precoce non deve sempre essereintesa come una condizione irreversibile, in quanto esisto-no diverse segnalazioni che documentano la ripresa spon-tanea della funzionalità ovarica e/o l’instaurarsi di una gra-vidanza.Una terapia in grado di ripristinare una corretta funzio-ne ovarica non esiste. Benché siano state proposte tera-pie immuno-soppressive corticosteroidee in caso di POFda causa autoimmune, i risultati sono scarsi ed attual-mente la terapia ormonale sostitutiva risulta essere l’uni-ca sia per migliorare la tipica sintomatologia climaterica,sia per prevenire le complicanze a lungo termine. Allo sta-to attuale, si può affermare che le possibilità di una gravi-danza spontanea o indotta per una paziente affetta damenopausa precoce sono assolutamente minime (menodel 10%).

SINTOMATOLOGIA DELLA MENOPAUSA

La sintomatologia da deprivazione estrogenica determina:

1) manifestazioni immediate:a) alterazioni del quadro mestruale;b) vampate di calore e crisi di sudorazione;

GINECOLOGIA

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c) sintomatologia psicologica (ansia, depressione, in-sonnia);

d) aumento di peso;2) manifestazioni differite:

a) atrofia cutanea;b) atrofia genito-urinaria;c) artralgie;d) modificazioni psico-sessuali;

3) manifestazioni tardive:a) osteoporosi;b) malattie cardio-vascolari.

ALTERAZIONI DEL QUADRO MESTRUALE

Le anomalie più evidenti riguardano il ciclo mestruale. Giàverso i 35 anni si osserva un accorciamento della fase folli-colare con riduzione della durata del ciclo e polimenorrea,per diminuzione dell’inibina ed aumento dell’FSH; poi,pochi anni (2-4) prima della menopausa, il ciclo si modifi-ca ulteriormente, presentando un aumento della durata(oligomenorrea) poiché i follicoli residui, di peggiore qua-lità, rispondono meno agli stimoli dell’FSH sull’accresci-mento e maturazione: ciò si traduce in riduzione della fer-tilità per anovulazione o, nel ciclo ovulatorio, in insufficien-za del corpo luteo. In tali situazioni compaiono spesso pe-riodi di amenorrea seguiti da ipo-ipermenorrea o meno-metrorragie, per mancata deiscenza e persistenza del folli-colo, che attestano l’irregolarità della produzione ormona-le (ipo- o iperproduzione di estrogeni con iperplasia del-l’endometrio non controbilanciata efficacemente dall’azio-ne del progesterone).Il sanguinamento uterino anomalo allarma la paziente edinsospettisce il ginecologo, che deve in primo luogo esclu-dere cause organiche, quali lesioni atrofiche, polipi, iper-plasia endometriale o, peggio, il carcinoma dell’endome-trio (Figura 5.2). Quando i livelli di estrogeni circolanti sa-ranno così bassi da non stimolare più la crescita endome-triale e da non condizionare più un feed-back con l’ipofisi,con conseguente emorragia da privazione (mestruazione),sarà la menopausa vera e propria.

VAMPATE DI CALORE

Le vampate di calore (hot flush), che si presentano in circail 65-75% delle donne, sono il sintomo più comune del cli-materio: pur essendo un fenomeno tipico della postmeno-pausa, nel 20% circa delle donne compaiono in premeno-pausa, anche in presenza di cicli mestruali regolari e ten-dono a scomparire circa 2 anni dopo la menopausa (nel30% circa possono durare oltre i 5 anni). Quando sono as-senti è probabile che esistano livelli di estrone, prodotto persintesi extraghiandolare, sufficienti a garantire una “buonaestrogenizzazione”, idonea ad evitare il fenomeno, fattoquesto più evidente nelle donne obese.Le vampate di calore sono caratterizzate dall’aumento del-la temperatura, definita “sensazione di calore intenso oustione” a testa, collo e torace; si possono estendere inqualsiasi direzione, ad ondata, fino a coinvolgere l’interasuperficie corporea; spesso si associano ad eritema cuta-neo, cefalea, ansia e tachicardia e sono seguite da intensasudorazione e poi da brividi; possono durare da pochi se-condi fino ad alcuni minuti e presentarsi poche volte almese o numerose volte al giorno; tipicamente e prevalen-temente insorgono durante le ore notturne.Sulla loro eziologia si sa tutt’ora molto poco; sono scatena-te da un’improvvisa riduzione dei livelli estrogenici in uncontesto di ipoestrogenismo di base. In successione com-paiono la vampata, la vasodilatazione, l’aumento dellatemperatura, il rilascio di un picco di LH, la sudorazione(finalizzata alla dispersione di calore) ed i brividi di freddo(finalizzati al ripristino della temperatura). Sia il sistemanoradrenergico, sia il dopaminergico, sia l’oppioide sonocoinvolti a vario titolo. La carenza di estrogeni è responsa-bile dell’abbassamento della serotonina che determina ilcoinvolgimento dei recettori (5 idrossitriptamina 2A) re-sponsabili dei cambiamenti della termogenesi, con alterataregolazione del centro termoregolatore (set point: punto ditaratura) del SNC ostacolando il meccanismo di dispersio-ne di calore, con conseguente aumento della temperatura,della perspirazione e della sudorazione. Oltre all’LH (con-secutivo ad iperproduzione di GnRH da iperattività neuro-

Ginecologia della terza età 5

Tabella 5.1 ITER DIAGNOSTICO IN CASO DI MENOPAUSA PRECOCE

• Anamnesi personale (interventi chirurgici, malattie autoimmuni, endocrine)• Anamnesi ostetrica e ginecologica (parità, menarca, storia mestruale)• Anamnesi familiare (eventuale familiarità per POF)• Esame obiettivo ginecologico, Pap-test, ecografia pelvica, eventualmente biopsia ovarica• Cariotipo su sangue periferico• Esami ematochimici generali• Funzionalità tiroidea, ipofisaria, ovarica, surrenalica• Autoanticorpi (ad es.: fattore reumatoide, antinucleo ecc.)• Mineralometria Ossea Computerizzata (MOC)• Esame senologico, eventualmente ecografia mammaria o mammografia

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GINECOLOGIA

Figura 5.2 Valutazione del sanguinamento uterino in menopausa. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Publi-shed by Elsevier Inc. All rights reserved.)

Aspirazioneper citologiavaginale

Tecnica tampone per strisciocervicale

Biopsia cervicalecon pinza

Conizzazione cervicaleBiopsiaendometrialcacon cannuladi Novak

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nale), in corso di vampata aumentano epinefrina, cortico-tropina, cortisolo, androstenedione, DHEA, �-endorfina,�-lipotropina, GH, mentre restano invariati norepinefrina,FSH, estradiolo, estrone, prolattina, TSH.

SINTOMATOLOGIA PSICOLOGICA

Come già accennato, i disturbi del sonno spesso complica-no la perimenopausa. È un’evidenza la diminuzione inqueste pazienti del sonno REM, la fase cioè in cui si verifi-cano i sogni e l’encefalo riposa. Questa alterazione dei rit-mi del sonno è di sicuro causa, in primo luogo, di stan-chezza fisica ma anche e soprattutto di disturbi dell’umoree della memoria; a questo si deve aggiungere la depressio-ne, che interessa fino al 50% delle donne di età compresatra i 48 ed i 52 anni (non è ancora stato dimostrato alcunlegame tra questo disturbo e la menopausa).Tale patologiapotrebbe essere spiegata dalle strette interazioni tra estro-geni e vari neurotrasmettitori, sia attraverso la riduzionedella disponibilità del triptofano per la sintesi della seroto-nina, che mediante la diminuzione della sensibilità dei re-cettori della dopamina. In particolare, sembra che la ridu-zione della norepinefrina e della dopamina determini (at-traverso l’ipofunzione ipotalamico-ipofisaria) la scomparsadella modulazione del comportamento, dell’umore e del-l’attività motorio-volititiva in generale.Tuttavia non c’è dubbio che questa complessa sintomato-logia sia condizionata da fattori socio-culturali ed ambien-tali. Molte donne, infatti, attraversano in questa fase dellaloro vita importanti cambiamenti: spesso sono presentitensioni familiari o lavorative; con il passare del tempo ladonna assiste, inoltre, ad un cambiamento dei ruoli ed al-l’allontanamento dei figli (sindrome del nido vuoto).Quale che sia il meccanismo scatenante, rimane il fatto cheil 40 % circa delle donne in perimenopausa assume tran-quillanti od antidepressivi.Le deprivazioni menopausali sembrano accelerare anchel’invecchiamento cerebrale (perdita di memoria e della ca-pacità di concentrazione), perché gli estrogeni hanno effet-ti pleiotropici di tipo genomico e non, sul sistema nervosocentrale, incluse azioni neurotrofiche in aree determinantiche coinvolgono la memoria e la cognizione (ipotesi neu-roprotettiva degli estrogeni). L’incidenza della malattia diAlzheimer è da sempre superiore nelle donne che non insoggetti maschili di pari età. Nonostante la maggior partedegli studi abbia, negli anni, portato la terapia ormonalesostitutiva ad imporsi come gold standard per la prevenzio-ne di tali sintomi, oggi il suo ruolo sembra più incerto: a ta-le proposito è in corso uno studio ancillare randomizzatodel WHI (Women’s Health Initiative) circa l’impatto del trat-tamento ormonale sulla salute mentale della donna inun’età compresa tra i 65 ed i 79 anni, il cui risultato sarà no-to nell’anno 2007.

Infine, non va ignorata la responsabilità della carenza degliandrogeni (soprattutto dopo annessiectomia bilaterale)nella caduta del desiderio sessuale, dell’energia, dell’umo-re e del senso di benessere.

ATROFIA DELLA CUTE

La carenza estrogenica comporta l’assottigliamento dell’e-pidermide con diminuzione dei follicoli piliferi, delleghiandole sebacee e sudoripare e del derma, per riduzionedel collagene: di conseguenza la cute diventa meno elasti-ca, più disidratata, trasparente e con maggiore esposizionee visibilità dei capillari e dei vasi. Compaiono prurito, rila-sciamento dei tessuti delle guance, delle palpebre, delmento-sottomento, si accentuano le rughe e la desquama-zione.

ATROFIA GENITO-URINARIA

L’epitelio vaginale ed uretrale ha le concentrazioni più ele-vate di recettori per gli estrogeni dell’intero organismo, edè pertanto estremamente sensibile ad ogni variazione or-monale.La vulva presenta diminuzione del grasso; alterazione del-la cute e dei peli, che diventano grigi, ispidi e meno folti; ri-duzione delle grandi e piccole labbra e restringimento delvestibolo vaginale. L’introito vaginale diviene stenotico e lavagina atrofica, sottile, perde le pliche trasversali, diventapiù corta, più stretta, più secca e si appiattiscono i fornici.La parete è più fragile, priva del processo maturativo cicli-co (lo striscio vaginale è caratterizzato dalla presenza dicellule basali e parabasali – quasi 100% –, leucociti, dimi-nuzione delle cellule eosinofile e dell’indice cariopicnoti-co), della produzione di glicogeno, dei processi normali disecrezione e trasudazione che condizionano pertanto uninnalzamento del pH (6-8 versus 3-4), una diminuzione delbacillo di Doderlein ed una maggior difficoltà durante irapporti sessuali (dispareunia), con calo ulteriore del desi-derio sessuale. Inoltre la fragilità della parete rende la vagi-na più sensibile ai traumi (facilità al sanguinamento ed al-le ulcerazioni) ed agli episodi infiammatori (secchezza, ir-ritazione, prurito, bruciore ecc.).La parete vescico-uretrale, specialmente nella zona del tri-gono e dell’uretra prossimale, che hanno una derivazioneembriogenetica comune alla vagina e sono ormono-sensi-bili, in mancanza di estrogeni, presenta atrofia, per cuispesso si instaurano episodi di cistite (trigoniti) ed uretriti,che costituiscono la “sindrome urologica della menopausa”,caratterizzata da tenesmo, disuria, pollachiuria ed urocol-tura negativa; questi disturbi sono determinati verosimil-mente da ipersensibilità delle terminazioni nervose sensi-tive, indovate nella mucosa uretrale, al passaggio dell’uri-na. Inoltre compaiono spesso, per instabilità del detruso-re, urge incontinence, disuria e nicturia.

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La progressiva scomparsa della flora batterica residente, lariduzione del glicogeno, l’assenza di lattobacilli, la risalitadel pH e lo spostamento del meato uretrale (la cui mucosaè spesso ectopica) verso l’introito vaginale agevolano la co-lonizzazione da parte di patogeni cutanei od intestinali(specie enterobatteri) e favoriscono le infezioni del trattourinario (UTI), soprattutto in quelle donne che presentinofattori predisponenti (flogosi urinarie, incontinenza, cisto-cele, aumento del ristagno postminzionale, ridotto flussourinario, chirurgia uro-genitale, depressione).L’incontinenza urinaria nelle donne in menopausa presen-ta un’incidenza variabile dal 15% al 50% ed è circa 8 voltepiù frequente di altre patologie internistiche. Le alterazionianatomo-fisiologiche predisponenti, già in parte menzio-nate, sono costituite dall’assottigliamento della mucosauretrale, dall’inversione del rapporto proteoglicani/collage-ne nel connettivo parauretrale, dalla diminuzione dellapressione di chiusura uretrale, dall’alterazione del normaleangolo uretro-vescicale e dall’aumento del BMI (Body MassIndex: fattore modificabile): esiste una relazione tra aumen-to (> 50%) di incontinenza urinaria ed isterectomia.

ARTRALGIE

Sono descritti dolori ossei migranti, od artralgie della me-nopausa, che coinvolgono spesso le piccole articolazionidistali, il ginocchio, l’anca e la colonna vertebrale. Interes-sano più del 50% delle donne in età postmenopausale; laloro eziopatogenesi va ricondotta solo in parte alla carenzaestrogenica, infatti, il trattamento con estrogeni migliora lasintomatologia nel 40% dei casi. Indicata anche la terapiafisica (aquagym, stretching, cyclette).

OsteoporosiL’osteoporosi è definita come una riduzione della massa odensità ossea sufficiente ad indurre una frattura a seguitodi un piccolo trauma: infatti la perdita di tessuto osseo cau-sa il deterioramento architetturale complessivo dello sche-letro corticale, trabecolare e del collagene (che costituisce il90% della matrice ossea), determinando un elevato rischiodi frattura.Viene classificata come segue.

1) Osteoporosi di tipo I o primaria, a sua volta distinta inpostmenopausale e senile: quella postmenopausale si rea-lizza tra i 50 ed i 70 anni di età ed è caratterizzata nonsolo dalla deprivazione estrogenica, ma anche dalla per-dita della sola porzione trabecolare dell’osso, dalla par-ticolare sede delle lesioni (vertebre e radio) e dalla pre-valenza del sesso femminile su quello maschile (6:1).L’osteoporosi senile compare oltre i 75 anni di età, coin-volge l’osso trabecolare e corticale, colpisce il collo delfemore e le vertebre e, causata dall’invecchiamento, è

due volte più frequente nella donna rispetto all’uomo(2:1). Complessivamente le fratture ammontano al 30-40%: quelle distali del radio (di Colles) sono frequentinella sesta decade; le vertebrali, del collo del femore edel terzo prossimale dell’omero nella settima decade, leintertrocanteriche nell’ottava decade.

2) Osteoporosi di tipo II, secondaria a stati ipogonadici,disordini endocrini (diabete I, ipertiroidismo, iperprolat-tinemia), carenze nutrizionali e patologie da malassorbi-mento, omocistinuria, carenza di vitamina C, cirrosi bi-liare primitiva ed altre cirrosi, malattie reumatiche, os-see, polmonari, a stati di prolungata immobilizzazione osport agonistico, fattori iatrogeni-farmacologici (gluco-corticoidi, citostatici, diuretici ecc.); si può manifestareanche in giovane età.

L’osteoporosi di tipo I, postmenopausale, rappresenta unproblema di primaria importanza per la salute pubblica neiPaesi industrializzati; basti pensare che dopo i 65 anni di etàl’80% delle fratture dell’anca (anche spontanee) è di naturaosteoporotica e che dopo una prima frattura il rischio di unasuccessiva aumenta di circa tre volte: ciò può comportare lanon autosufficienza, nel 10% l’istituzionalizzazione e nel17-30% la morte dei soggetti affetti da questa patologia.L’osteoporosi, come detto, è causata da una perdita ossea,generalmente età-dipendente, durante il rimodellamento oturnover del tessuto osseo (neoformazione e riassorbimen-to), in cui agiscono fattori intrinseci ed estrinseci che, esa-gerando il processo, ne determinano una tendenza preva-lente al riassorbimento.Il rimodellamento ha lo scopo di riparare le microlesioni,per mantenere la resistenza dell’osso e di drenare il calciodallo scheletro per conservarne i livelli ematici; è regolatodagli ormoni circolanti (estrogeni, androgeni, calcitonina,paratormone), dalla vitamina D e da fattori locali (IGF I-II:Insulin-like Growth Factor; TGF �: Trasforming Growth Factor;PTHrP: Parathyroid Hormone-related Peptide; interleuchine;prostaglandine, TNF: Tumor Necrosis Factor ecc.). Annual-mente viene sostituito l’8-10% della massa ossea, mentreun intero ciclo di rimodellamento dura circa 100 giorni; ilmodellamento osseo prosegue, con incremento positivo,dall’infanzia fino all’età di 30 anni, epoca in cui viene rag-giunto il picco di massa ossea (peak skeletal mass): da quelmomento, nonostante il rimaneggiamento, inizia una leg-gera perdita annuale di tessuto osseo. Gli estrogeni, nor-malmente, inibiscono gli osteoclasti (deputati al riassorbi-mento osseo) e stimolano gli osteoblasti (deputati alla sin-tesi e mineralizzazione di sostanza osteoide); la mancanzadi estrogeni stimola le interleuchine che, a loro volta, inibi-scono l’apoptosi degli osteoclasti (aumentandone quindi lasopravvivenza). Anche se a tutt’oggi non è stato ancorachiarito l’esatto meccanismo fisio-patologico, si sa con cer-

GINECOLOGIA

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tezza che gli estrogeni agiscono indirettamente aumentandola sintesi di calcitonina, facilitando l’attivazione della vita-mina D, incrementando l’assorbimento intestinale di calcio;e direttamente, inibendo il riassorbimento osseo (recettoriestrogenici sono presenti sugli osteoclasti).Nelle donne in perimenopausa, a partire dai 45-48 anni dietà, il riassorbimento osseo presenta un brusco incremento,con una perdita di massa che può arrivare fino all’1-2% al-l’anno; dopo annessiectomia fino al 3,9%. Questo fatto con-ferma il forte nesso causale con la deprivazione estrogenica:la perdita ossea postmenopausale (osteoporosi di tipo I, po-stmenopausale) continua per 10-15 anni in modo accelera-to; dopo questo periodo diminuisce, ma continua perché le-gata all’età (osteoporosi di tipo I, senile), così che, dopo 20anni, il decremento osseo complessivo è pari al 30-50%.

Sintomatologia. L’osteoporosi è clinicamente manifestaquando, in postmenopausa,diventa causa di fratture o inva-lidità; dolori ossei, mal di schiena, un lieve incurvamentodella parte superiore del dorso (cifosi) o la diminuzione del-l’altezza possono precedere la frattura vera e propria (Figura5.3). Le ossa più frequentemente sede di frattura sono il ra-dio e l’ulna distale (frattura di Colles), i corpi vertebrali ed ilcollo del femore: circa il 40% delle donne oltre i 65 anni an-drà incontro ad uno di questi traumi, spesso verificatisi a se-guito di una caduta. I fattori scheletrici determinanti per unafrattura dipendono dalla massa ossea, dal turnover, dallaqualità e organizzazione del tessuto osseo; gli extraschele-trici dipendono dalla gravità e frequenza dei traumi, dallaprotezione dei tessuti molli e dal tipo di risposta al trauma.I più rilevanti fattori di rischio (Tabella 5.2) sono l’ipoestri-nismo, l’insufficiente apporto di calcio e di vitamina D, lamancanza di attività fisica, le malattie croniche, i farmaci edil fumo.

Diagnosi. Viene posta in base all’anamnesi, all’esameobiettivo, all’impiego di tecniche non invasive ed indaginiematochimiche, utili per valutare il contenuto minerale(previsione del rischio di frattura), per porre diagnosi diffe-renziale con altre patologie che interferiscono con il meta-bolismo dell’osso e soprattutto per definire i marcatori bio-chimici del turnover osseo (efficacia del trattamento).La densitometria ossea rappresenta la metodica non in-vasiva di scelta per la diagnosi di osteoporosi: può esserevalutata a livello dei corpi vertebrali, del femore prossima-le, del radio o dell’ intero scheletro (total body). Nelle don-ne di età inferiore ai 65 anni, i corpi vertebrali rappresenta-no la sede preferenziale per l’esame densitometrico inquanto sono i siti scheletrici più precocemente interessatidal processo osteoporotico postmenopausale. Dopo i 65anni di età la frattura del femore rappresenta l’evento piùinsidioso dell’osteoporosi; pertanto, dopo tale età, la sede

preferenziale per l’esame densitometrico è l’estremitàprossimale del femore. Tale esame può essere ripetuto perverificare l’entità della perdita ossea postmenopausale eper controllare l’efficacia di una terapia osteoprotettiva, manon prima di un anno dalla data dell’ultimo controllo.La DEXA (Double Energy X-ray Absorptiometry) è lametodica correntemente più utilizzata per la quantificazionedella massa ossea ed esprime, sulla base di una elaborazionedei dati, alcuni indici di riferimento (T-score e Z-score)espressi in deviazioni standard, che consentono la definizio-ne del quadro.Si utilizza su colonna, radio,ulna, femore o to-tal body ed il tempo di esposizione è di 4-5 minuti.Precisamente, il T-score è un indice densitometrico cheesprime il rapporto della densità ossea tra il valore indivi-duale e quello teorico (picco di massa ossea) del giovaneadulto; lo Z-score esprime il rapporto tra il risultato indivi-duale ed il valore dei soggetti nella stessa fascia di età (ri-schio relativo personale di contrarre una frattura osteopo-rotica, rispetto alla popolazione normale dello stesso sessoe della stessa età).I valori del T-score permettono di valutare la presenza del-le seguenti situazioni:

• valori compresi tra – 1 e – 2,5 indicano una condizione diosteopenia, che richiede un trattamento osteoprotettivoa fini preventivi;

• valori di T-score inferiori o uguali a – 2,5 consentono diidentificare soggetti già osteoporotici, con rischio di frat-tura anche per piccoli traumi;

• T-score inferiori a – 2,5, con almeno una frattura osteo-porotica, individuano una condizione di osteoporosi sta-bilizzata.

La DEXA e la MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata)misurano la densità,quindi il grado di resistenza alle fratture,della componente ossea minerale (idrossiapatite di Ca),manon quella organica,rappresentata soprattutto dalla compo-nente proteica delle fibre collagene,invisibile ai raggi X.

In questi ultimi anni si sono inoltre sviluppati altri tipi diesami:

• SEXA (Single Energy X-ray Absorptiometry): altamentesensibile per radio e calcagno (15 minuti);

• QCT (Quantitative Computer Tomography): sensibile sucolonna vertebrale e periferia (avambraccio e tibia),espone a forti dosi di radiazioni (15 minuti);

• US (Ultra Sound): valutando la velocità degli ultrasuoninel tessuto osseo, non misurano la densità ossea, ma va-riabili ad essa correlate e vengono impiegati come pro-cedure di screening;

• Spettroscopia RAMAN: è un particolare tipo di spettro-scopia molecolare, caratterizzata dall’impiego di unasorgente laser che si avvicina alla cute sovrastante l’osso

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GINECOLOGIA

Figura 5.3 Progressiva deformazione spinale nell’osteoporosi. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Publishedby Elsevier Inc. All rights reserved.)

I fenomeni di compressione delle vertebre toraciche portano ad un calo della statura ed a una progressiva cifosi.Il conseguente abbassamento delle ultime coste può talvolta esercitare una pressione sui visceri e causare distensioneaddominale

55 anni 65 anni 75 anni

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da esaminare: viene registrato lo spettro Raman che rile-va sia la componente organica sia quella inorganica (en-trambe associate a frequenze caratteristiche e ben rico-noscibili). È una tecnica semplice, veloce e non invasivala cui applicazione clinica è ancora allo stato iniziale, madestinata ad espandersi.

I marcatori biochimici di rimodellamento osseo si di-stinguono in marcatori di formazione:

1) fosfatasi alcalina plasmatica osso-specifica;2) osteocalcina plasmatica;3) propeptide di tipo I procollageno plasmatico;

e di riassorbimento:

1) telopeptidi crociati N e C terminale del collagene I;2) idrossiprolina urinaria (urine 24/ore);3) calcio urinario (urine 24/ore);4) galattosio idrossilisina (urine 24/ore);5) fosfatasi acida plasmatica;6) sialoproteina ossea plasmatica.

TERAPIA

Il primo trattamento consiste innanzitutto nell’eliminazio-ne dei fattori di rischio (inattività fisica, alcool, fumo, farma-ci) e nel miglioramento delle abitudini nutrizionali e dellostile di vita. Obiettivi clinici del trattamento osteoprotettivoin menopausa sono quelli di prevenire l’osteoporosi in pre-senza di un’osteopenia e di evitare l’aggravamento di un’o-steoporosi già in atto, riducendo il rischio di frattura.

Calcio. È spesso necessaria una supplementazione di cal-cio, perché il fabbisogno aumenta con l’età (> 100 mg/dieoltre i 50 anni di età); è preferibile, per questioni di solubi-lità, il carbonato di calcio in somministrazioni che non de-vono superare i 600 mg (oltre questo valore, il calcio nonviene assorbito). La riduzione del rischio di frattura sembraessere del 20-30%.

Vitamina D. Aumentando il fabbisogno con l’età, è con-sigliabile una supplementazione da 400 UI (a 50-70 anni di

età), a 600 UI (oltre i 70 anni di età). Con la somministra-zione della vitamina D in forma attiva (calcitriolo 0,5�g/die) si ottengono una diminuzione dei fenomeni diriassorbimento osseo ed un aumento dell’assorbimento in-testinale di calcio.

Altri nutrienti. Vitamina K, che interferisce con la car-bossilazione dell’osteocalcina (terapie croniche con anti-coagulanti riducono la massa ossea); magnesio, soprattut-to in corso di malattie croniche debilitanti o malassorbi-mento; dieta ipoproteica, in quanto le proteine aumentanol’eliminazione urinaria del calcio.

Estrogeni. Numerosi studi hanno dimostrato l’efficaciasignificativa del trattamento ormonale nella riduzione del-le fratture: precisamente gli estrogeni coniugati, l’estrone,l’estradiolo, gli estrogeni esterificati, l’etinilestradiolo ed ilmestranolo riducono il turnover osseo, prevengono la per-dita di osso ed inducono un piccolo aumento della massaossea dell’anca, della colonna e total body. I loro effetti so-no positivi a prescindere dalla presenza di osteoporosi, dal-la via di somministrazione e dall’associazione con proge-stinici. L’HRT si propone di minimizzare tutte le potenzialiconseguenze negative della deprivazione ormonale, inclu-so l’aumentato riassorbimento osseo, tanto che cinque an-ni di terapia sostitutiva dimezzano il rischio di fratture.L’aumento della densità ossea dopo terapia estrogenica di-pende non solo dall’effetto ipertrofizzante degli estrogenisul tessuto trabecolare residuo, ma anche dalla deposizio-ne minerale endocorticale.

Progestinici. Sono somministrati con gli estrogeni perminimizzare il rischio di cancro endometriale; il noretin-drone ha un impatto più favorevole del MAP sull’osso.

SERMs (Selective Estrogen Receptor Modulators).Sono farmaci provvisti di attività selettiva sui tessuti; la lo-ro modalità di azione consiste nell’indurre un effetto estro-genino benefico in alcuni (ossa, cervello, fegato) e un effet-to antagonista in altri (mammella, endometrio ecc.).

Ginecologia della terza età 5

Tabella 5.2 FATTORI DI RISCHIO PER OSTEOPOROSI POSTMENOPAUSALE

• Mancanza del raggiungimento del picco di massa ossea in età giovanile• Fattori genetici (60-80%) e costituzionali• Ipoestrogenismo (menopausa precoce, amenorrea secondaria, iperprolattinemia, sport agonistico)• Fattori comportamentali (fumo, alcool, droga, stile di vita sedentario, ipoesposizione al sole, scarsa introduzione di calcio e vi-

tamina D, abuso di caffè ecc.)• Farmaci: cortisone, tiroxina, antiepilettici, ciclosporina, citostatici, diuretici, eparina, litio, agonisti del GnRH• Malattie croniche: reumatiche, gastro-intestinali, endocrine• Livelli di estradiolo < 5 pg/ml e tassi elevati di SHBG• Basso BMI (< 19 kg/m2)

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Il tamoxifene evidenzia effetti antiestrogenici, estrogenici omisti in funzione dei tessuti bersaglio; inibisce la prolifera-zione delle cellule del carcinoma mammario, quest’ultimaattività principale del farmaco (il trattamento per 5 annicomporta una riduzione del carcinoma mammario pari al45% nelle pazienti con aumento di rischio e del 65% inquelle con carcinoma mammario ER positivo); riduce lefratture vertebrali e dell’anca, tuttavia in misura minore delreloxifene; stimola la proliferazione endometriale (aumen-ta di circa due volte l’incidenza del carcinoma endometria-le); diminuisce colesterolo totale, LDL, lipoproteine, nonaumenta l’HDL e i trigliceridi determinando potenzial-mente una riduzione dell’infarto del miocardio; tuttaviaaumenta il rischio tromboembolico e, a dosaggi superiorialla media, anche la cataratta e la degenerazione retinica.Viene impiegato soprattutto per la prevenzione del carci-noma mammario nelle pazienti ad alto rischio, come tera-pia adiuvante nel carcinoma mammario iniziale e cometrattamento nel carcinoma mammario avanzato.Il reloxifene è un estrogeno agonista sull’osso poiché riducele fratture vertebrali (non di altre sedi) di oltre il 50% e tro-va la sua principale indicazione sia nella prevenzione chenel trattamento dell’osteoporosi in maniera dose-dipen-dente; riduce il colesterolo totale e l’LDL e non aumentaquello HDL determinando una diminuzione del rischio diinfarto del miocardio; aumenta di circa tre volte l’incidenzadella trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare.In alcuni studi viene riportata una diminuzione significati-va della cardiopatia nelle pazienti ad alto rischio con un de-cremento dell’ictus di circa il 40%. È un estrogeno antago-nista sull’endometrio di cui non induce la proliferazione esul carcinoma mammario sul quale ha un effetto antiproli-ferativo (riduce significativamente il rischio di insorgenzadi carcinoma mammario ER positivo, ma non di ER nega-tivo).Entrambi i tipi di SERMs non riducono i sintomi del clima-terio (vampate di calore, sudorazione ecc.).Meccanismo d’azione: normalmente esistono due sottoti-pi di recettori estrogenaci (α e β) presenti in forma mono-metrica all’interno del nucleo. Mentre gli agonisti (come il17 β-estradiolo e affini) legandosi al recettore ne induconola dimerizzazione e l’interazione come elementi specifici dirisposta estrogenica nelle sequenze del DNA, il complessoER-DNA recluta diverse serie di coattivatori di natura pro-teica che portano alla formazione del GTA (General Tran-scription Apparatus) con conseguente sintesi di mRNA.Gli antagonisti estrogenici si legano al recettore producen-do una conformazione recettoriale differente dalla prece-dente: tale conformazione (antagonista-indotta<9) deter-mina ugualmente la dimerizzazione e l’interazione con ilDNA, ma facilita il legame con una serie diversa di protei-ne definite corepressori: il loro complesso (ER/corepresso-

ri) recluta altre proteine con il risultato di stabilizzare lastruttura del nucleosoma, alterare la conformazione dellacromatina e prevenire l’interazione con il GTA per la sinte-si del mRNA.

Bifosfonati. Analoghi stabili del pirofosfato, comprendo-no l’alendronato ed il risedronato. Si depositano selettiva-mente a livello della matrice ossea nei siti di mineralizzazio-ne o a livello delle lacune di riassorbimento; sono potentiinibitori del riassorbimento osseo ed il loro meccanismo d’a-zione consiste nell’arresto dell’attività osteoclastica. La som-ministrazione di bifosfonati blocca la perdita ossea, incre-menta la massa e riduce il rischio di frattura (del 50% verte-brale; superiore al 40% non vertebrale). L’effetto collateralepiù rilevante è l’esofagite; l’acalasia ed i restringimenti eso-fagei rappresentano, quindi, una controindicazione assoluta,mentre l’esofagite da reflusso costituisce una controindica-zione relativa. Per minimizzare il rischio di esofagite è neces-sario deglutire la compressa con abbondante acqua ed evi-tare di porsi in posizione orizzontale nei 30 minuti successi-vi all’assunzione. L’introduzione di nuove vie di sommini-strazione (intramuscolare) ha permesso di minimizzare glieffetti collaterali della via orale. Sono impiegati anche etidro-nato, zolendronato ed ibandronato. Tutti agiscono determi-nando una diminuzione del numero e dell’attività degliosteoclasti anche promuovendone l’apoptosi. Bifosfonati diprima generazione (medronato, clodronato, etidronato) agi-scono per apoptosi osteoclastica mediante la quale viene adeterminarsi l’effetto antiriassorbimento.I bifosfonati di seconda (alendronato, pamidronato e iban-dronato) e terza (risedronato e zoledronato) generazione,de-nominati anche aminobifosfonati a causa della loro strutturachimica, conservano il loro effetto antiriassorbimento anchequando l’apoptosi è soppressa: la potenza degli aminobifo-sfonati è correlata all’effetto inibitorio sulla farnesilsintetasiche termina l’attività antiriassorbimento dei farmaci.

Calcitonina. Prodotta dalla tiroide, a dosi farmacologi-che è in grado di inibire il riassorbimento osseo, agendo suirecettori specifici della calcitonina presenti sugli osteoclasti;è inoltre efficace contro il dolore osseo. Può essere sommi-nistrata per via iniettiva, ma con possibili effetti secondari(reazioni vasomotorie, nausea, diarrea) o per via nasale(200 UI/die), ma con possibili episodi di allergia locale. Ilcosto della terapia è comunque tuttora elevato.

Paratormone (PTH). Può essere somministrato alla do-se di 20 �g/die fino a 2 anni (nausea, cefalea, vertigini, an-sia ne consigliano il trattamento ad intermittenza) anche incorso di HRT: il trattamento combinato aumenta la massaossea più degli estrogeni da soli, per incremento della com-ponente trabecolare; il paratormone agisce determinando

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l’attività degli osteoblasti (stimolazione del fattore di cresci-ta IGF-I, produzione di collagene, inibizione dell’apoptosi).Attualmente viene molto impiegata la teriparatide, unframmento sintetico dei 34 aminoacidi con gruppo aminicoterminale del PTH [hPTH (1–34) teriparatide].È indicata nel trattamento di pazienti che hanno una lungastoria di fratture da osteoporosi, con molti fattori di rischioper frattura, o che in precedenza non abbiano risposto o ab-biano dimostrato intolleranza ai vari trattamenti contro l’o-steoporosi.Complessivamente la teriparatide somministrata alle pa-zienti in postmenopausa con osteoporosi aumenta la BDM(Bone Mineral Density) e riduce significativamente il rischiodi fratture vertebrali e non vertebrali (Figura 5.4).Il farmaco viene impiegato alla dose di 20 μg/die e puòessere somministrato per via sottocutanea per un perio-do di 18 mesi da solo o in associazione con estrogeni o an-drogeni. Sperimentalmente la teriparatide aumenta l’in-cidenza di tumori ossei ed è controindicata nella malattiaossea di Paget, nei casi di elevati tassi di fosfatasi alcalina dinatura non spiegata o di precedenti trattamenti ossei ra-dianti.

Stronzio ranelato. Agisce inibendo in parte il riassorbi-mento dell’osso, in parte stimolandone leggermente laproduzione. È indicato nelle pazienti a rischio di frattura(prevenzione).

Fluoruri. Il loro impiego è oggetto di studi contrastanti:efficaci in vitro come stimolatori delle cellule osteoprogeni-trici, in vivo non sembrano avere effetti positivi sulle frattu-re vertebrali e non vertebrali.

MODIFICAZIONI DELL’APPARATO CARDIO-VASCOLAREIN MENOPAUSA

Le malattie cardio-vascolari e la relativa mortalità nella don-na presentano, dopo la menopausa, un’incidenza superioreanche a quella per cancro della mammella. Prima della me-nopausa l’incidenza di fatti ischemici o tromboembolici nel-la donna risulta essere nettamente inferiore rispetto al sessomaschile; per ogni decesso femminile legato a queste pato-logie (malattie cardiache e cerebro-vascolari), infatti, ve nesono cinque maschili: in particolare le coronaropatie, piùfrequenti nel sesso maschile (2:1 rispetto a quello femminile,prima della menopausa) e letali in oltre il 50% degli uomini,aumentano nelle donne in postmenopausa,al punto da pre-sentare un’uguale incidenza dopo i 70 anni di età.Tuttavia,mentre l’infarto del miocardio nella donna evolve spessoverso l’arresto cardiaco o lo shock cardiogeno, nell’uomoevolve più frequentemente verso una tachicardia ventricola-re,dimostrando quindi un esito meno drammatico.Al di là della ovvia responsabilità ormonale, la patogenesirivela ancora tanti punti oscuri; sono note le azioni protet-tive degli estrogeni ai seguenti livelli:

1) lipidico: aumento dell’HDL apoAI-II, diminuzione del-l’LDL, della lipoproteina (a) [Lp(a)], apoB, della capta-zione e dell’accumulo vascolare dell’LDL;

2) vascolare: stimolazione della produzione di prostaciclineed ossido nitrico (NO), ad azione vasodilatativa, e ridu-zione della produzione di endotelina e trombossano, adazione vasocostrittiva;

3) metabolico: aumento della sensibilità all’insulina, dimi-nuzione dell’insulinemia, aumento del catabolismo diLDL;

4) coagulativo: diminuzione dell’attività del plasminogenoe del fibrinogeno plasmatici.

La caduta degli estrogeni in postmenopausa determina:

1) diminuzione del trofismo esercitato da tali ormoni sul-l’endotelio arterioso (stimolazione della produzione difattori vasodilatanti come prostacicline, NO, peptidi-EDRFs – Endothelial relaxant factors – ed inibizione del ri-lascio di trombossano A2, vasocostrittore);

2) modificazioni del metabolismo delle lipoproteine: dimi-nuzione dei recettori delle LDL ed incremento dell’atti-vità della lipasi epatica responsabile del catabolismo del-le HDL e della conversione delle VLDL in LDL; lo sbi-lanciamento del rapporto tra HDL ed LDL incrementa ilpotere aterogeno delle LDL e ciò rappresenta, insieme aldiabete, al fumo ed all’obesità, uno dei fattori di rischiomaggiori per infarti od ictus;

3) ipertrigliceridemia, legata all’iperinsulinismo, per au-mento della clearance epatica dell’insulina e all’insuli-no-resistenza periferica: l’attività della lipasi epatica, or-

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teriparatide(40 �g)

PTH (25 �g)+ estradiolo

alendronato(10 mg)

estradiolo(0,625 mg/die)raloxifene(120 mg)

calcitonica (200 IU)

placebo

durata trattamento (mesi)0 6 12 18 24 30 36

Figura 5.4 Efficacia relativa di differenti trattamenti sulla BDMdella spina dorsale. (Da Goodman e Gilman’s. The pharmacologicalbasis of therapeutics. McGraw-Hill, 2006.)

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mono-sensibile, è infatti incrementata dall’insulino-re-sistenza, per cui si verifica un aumento della lipolisi, unmaggior apporto di acidi grassi non esterificati al fegatoe, di conseguenza, un’aumentata sintesi di trigliceridi;

4) modificazione dell’assetto emocoagulativo, con altera-zione dell’equilibrio fra emostasi e fibrinolisi a favoredella prima.

In menopausa spesso sono copresenti resistenza all’insuli-na, iperinsulinemia, diabete, dislipidemia, obesità ed iper-tensione: essi agiscono sinergicamente nel determinismodelle malattie cardio-vascolari, ma costituiscono fattori dirischio indipendenti per la loro insorgenza (Tabella 5.3).L’obesità è uno dei principali fattori di rischio per malattiacardio-vascolare. La quantificazione del peso viene esegui-ta secondo il BMI (Body Mass Index) espresso secondo laformula peso/altezza2, per cui si parla di soprappeso quan-do il BMI è superiore a 25, di obesità se il BMI è superiorea 30. L’aumento di peso, abbastanza frequente in meno-pausa (0,8 kg/anno), data la diminuzione del metabolismobasale e dell’attività fisica, riconosce un’origine controver-sa: vi concorrono fattori sociali, culturali e genetici (recentescoperta del gene OB espresso nel tessuto adiposo e dellemodificazioni della leptina e dei suoi recettori in alcune fa-miglie). In ogni modo l’obesità, specialmente quella addo-minale, è associata ad ipertensione, intolleranza glucidica,ritenzione sodica ed incremento della viscosità ematica: ciòcomporta una maggiore incidenza di coronaropatie, stroke,insufficienza cardiaca congestizia, aumento delle compli-canze polmonari, cutanee, articolari e del cancro alla cole-cisti, dotti biliari, endometrio, mammella, ovaio.L’ipertensione arteriosa aumenta con l’età della donna a par-tire dai 50 anni e, benché non si conosca bene il meccani-smo con cui si sviluppa, viene messa in relazione con lemodificazioni ormonali della menopausa, probabilmenteper la cessazione dell’effetto protettivo degli estrogeni(prostacicline, NO) sulla parete vascolare.L’iperinsulinemia e/o la resistenza all’insulina determina unaritenzione di sodio, cui seguono un aumento secondario deltono simpatico, un’iperplasia delle cellule muscolari vasco-

lari o un incremento del livello di calcio citosolico nel tessutorenale o insulino-sensitivo,con modificazioni secondarie deltrasporto ionico di membrana e quindi ipertensione.Questasi può accompagnare anche ad obesità di tipo centrale edipertrigliceridemia (sindrome X) o a diabete di tipo II.In presenza di diabete franco il rischio cardio-vascolare au-menta fino a 5 volte, specie se associato al fumo, all’iper-tensione ed all’iperlipidemia; va ricordato che l’ischemiamiocardica nel diabete non si accompagna a dolore toraci-co (silent ischemia), per cui diagnosi e terapia possono esse-re ritardate.Il cambiamento del profilo lipidico, ipertrigliceridemia edipercolesterolemia, che insorge nei primi 6 mesi dalla meno-pausa è causa di vasculopatie per aumento delle lesioniaterosclerotiche; l’apoproteina (a) essendo molto similechimicamente può competere con il plasminogeno iniben-do la fibrinolisi. In tal modo interferisce con il sistema coa-gulativo favorendo la trombosi.

Prevenzione delle malattie cardio-vascolari. Si basasulla correzione/eliminazione di fattori di rischio, alcuni deiquali non modificabili (età, coronaropatie, storia familiaree/o personale di malattie cardio-vascolari), altri modificabili(eliminazione del fumo, attività fisica, alimentazione equili-brata, correzione della obesità e della depressione); sull’im-piego di farmaci (anti-ipertensivi, statine, ipoglicemizzantiorali ecc.) e sulla terapia ormonale sostitutiva.A proposito diquest’ultima, va detto che, dopo un iniziale entusiasmo siaper la prevenzione primaria (eliminazione dei fattori di ri-schio), sia secondaria (riduzione degli accidenti vascolari inpazienti con malattie cardio-circolatorie), basata sull’evi-denza che gli estrogeni riducono il rischio di cardiopatia del35-50% migliorando il quadro lipidico ed ipertensivo,oggi siè molto più prudenti. Gli ultimi studi hanno infatti dimo-strato che il trattamento estrogenico, oltre ai citati effetti po-sitivi, ne determina anche di negativi, quali aumento dei tri-gliceridi, del fibrinopeptide A, dei frammenti 1 e 2 della pro-trombina e della proteina C dell’infiammazione, oltre allapromozione della coagulazione via fattore VII; i progestinici,inoltre, potrebbero antagonizzare gli effetti positivi degli

Tabella 5.3 FATTORI DI RISCHIO CARDIO-VASCOLARE IN POSTMENOPAUSA

• Obesità e soprappeso• Ipertensione arteriosa• Insulino-resistenza, ridotta tolleranza glucidica, diabete• Ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia• Aumento dell’aggregazione piastrinica, aumento del fibrinogeno• Fumo• Aumento dell’attività del sistema renina-angiotensina

(Modificata da: Liguori R, deAloysio D., 2001)

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estrogeni, con un’azione dipendente non solo dal tipo diprogestinico usato,ma anche dalla via di somministrazione .Oggi, quindi, l’American Heart Association raccomanda pru-denza (e non chiusura) nell’uso del trattamento ormonale

sostitutivo nella prevenzione della patologia cardio-vasco-lare (Tabella 5.4): tale patologia, infatti, aumenta in funzionedell’età (5% a 20 anni; 75% a 75 anni), indipendentementedall’eventuale terapia.

Ginecologia della terza età 5

Tabella 5.4 PREVENZIONE DELLA PATOLOGIA CARDIO-VASCOLARE: RACCOMANDAZIONI AHA 2001

Prevenzione primaria• Le raccomandazioni cliniche richiedono ulteriori risultati di ricerche cliniche randomizzate in corso• Non vi sono dati sufficienti per l’indicazione al trattamento preventivo delle patologie cardio-vascolari• L’inizio e la continuazione della TOS si devono basare su rischi e benefici non coronarici e sulle preferenze della paziente

Prevenzione secondaria• La TOS non deve essere iniziata per la prevenzione secondaria delle malattie cardio-vascolari• La decisione se continuare o interrompere il trattamento in pazienti con malattia in atto deve prendere in considerazione i ri-

schi ed i benefici non coronarici e le preferenze della paziente• In presenza di un evento cardio-vascolare acuto o di immobilizzazione durante il trattamento, è prudente interrompere la te-

rapia, eseguire la profilassi della trombosi venosa per minimizzare il rischio tromboembolico. La ripresa della terapia si dovràbasare sulla valutazione dei rischi e benefici non coronarici e sulle preferenze della paziente

BiologiaLa senescenza, periodo di vita che si estende dopo i 65 an-ni di età, comprende una serie di modificazioni involutivedell’organismo, il cui ambito e trattamento è riservato allamedicina geriatrica.Sono descritti numerosi cambiamenti molecolari cellulariconcomitanti tipici dell’età, come anomalie ultrastrutturalidei cromosomi, cross-linking DNA e frequenti rotture deisingoli filamenti, declino della metilazione e perdita dellesequenze telomeriche del DNA; le proteine, pur essendointatte nella loro struttura primaria, presentano spesso fe-nomeni di ossidazione, deaminazione, glicosilazione nonenzimatica, mentre i mitocondri si deteriorano, anche senon universalmente.Tuttavia, mentre la crescita e lo svilup-po dell’uomo riconoscono un modello genetico, la sene-scenza, rappresentata come un accumulo progressivo dieventi dannosi, è un fatto individuale. Teorie come “muta-zione somatica”, “errore catastrofico nella sintesi delle pro-teine”, “mutagenesi intrinseca”devono essere abbandona-te: attualmente, la sola possibilità di ritardare l’invecchia-mento è ridurre l’assunzione di calorie.Dal punto di vista fisiologico, l’invecchiamento si caratte-rizza per la riduzione dell’omeostasi di tutti gli organi edapparati, riduzione che viene definita omeostenosi: tale pro-cesso, pur essendo progressivo, risulta evidente già dallaterza decade, procede in modo variabile ed individuale, po-co dipendente da fattori genetici, più da fattori personali-

ambientali (alimentazione, abitudini di vita ecc.). Se noncompaiono eventi morbosi sovrapposti, l’omeostenosi nonprovoca particolari sintomi e la riduzione delle attività gior-naliere è modesta.Nella paziente anziana si devono quindi tenere presenti al-cune considerazioni:1) in un quadro di patologia d’organo è ipotizzabile una

sequenza di eventi che l’hanno preceduto e ne hannodeterminato una maggior vulnerabilità, ma il risultato fi-nale può essere atipico;

2) in funzione dell’età, diminuisce la capacità fisiologicareattiva, con comparsa precoce di sintomi patologici;

3) diversi sistemi possono essere contemporaneamentecoinvolti, per cui è necessario indagare a tutto campo edeffettuare una terapia ad ampio raggio.

VULVA

L’involuzione atrofica della vulva è una naturale sequeladella carenza estrogenica postmenopausale. È caratterizza-ta dall’assottigliamento della cute e della perdita della nor-male architettura istologica, con scompaginamento deglistrati dermici e sostituzione dei collageni di tipo elasticocon quelli di tipo fibroso. Clinicamente la paziente può la-mentare facile sanguinamento dei tessuti, bruciore, prurito,dispareunia; non rara è la presenza di stenosi da aderenze

5.2 Ginecologia geriatrica

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labiali, peraltro facilmente risolvibili chirurgicamente in re-gime di day-hospital.Il trattamento risolutivo consiste nel ripristinare un climaestrogenico o con una terapia sistemica o con applicazionicicliche di gel o creme.La vulvodinia è caratterizzata dalla presenza di dolore co-stante, non solo all’area vestibolare, ma a tutta la vulva. IlCongresso del 1983 della ISSVD (International Society forthe Study of Vulvovaginal Disease) ha coniato il termine diquesta patologia e ne ha anche definito le caratteristiche:fastidio continuo e cronico, con bruciore, disturbi trafittivi,irritazioni ed escoriazioni; sono assenti il dolore in un pun-to preciso e l’eritema.Per anni etichettata come problema psicosomatico e spes-so confusa con il vaginismo (problema psichiatrico), attual-mente si pensa sia dovuta a una patologia del tessuto con-nettivo (vista l’associazione con fibromialgia, cistite inter-stiziale ed intestino irritabile), o a fattori genetici (familia-rità) o alla presenza di cellule dell’infiammazione (mastoci-ti), che producono sostanze come il Nerve Growth Factor.La vulvodinia si presenta come forma essenziale, che deveperciò essere diagnosticata dopo aver escluso le patologieinfettive (candida), distrofica (lichen scleroso), virale, irrita-tiva, la sindrome di Beçhet od altro, o come forma disestesi-ca: nel primo caso i sintomi sono irregolari ed aspecifici; nelsecondo caso sono presenti allodinia (le sensazioni piace-voli sono percepite come dolorose) ed iperestesia continua,diffusa a tutto il vestibolo. All’origine di questa forma e nelmantenimento del dolore sembra interessato il sistemanervoso simpatico. La terapia di scelta, in queste forme, co-sì come nella nevralgia del nervo pudendo (molto similealla vulvodinia) è l’antidepressivo triciclico (amitriptilina), abasso dosaggio, in associazione o meno con altri farmaciattivi sul SNC (anticonvulsivanti, come ad esempio gaba-pentin) od importanti trattamenti fisioterapici, come la ria-bilitazione del pavimento pelvico.La sindrome da vestibolite vulvare è caratterizzata daun dolore urente, limitato alla zona posteriore corrispon-dente alle ghiandole vestibolari, provocato nei tentativi dipenetrazione vaginale (senza pressione le pazienti sonoasintomatiche), flogosi e conseguente dispareunia. Istolo-gicamente si rileva la presenza di linfociti, plasmacellule,mastociti e frazione C3 del complemento. La patogenesi èda ricondurre ad una ipersensibilità delle terminazioni ner-vose nel vestibolo vaginale, che amplifica la percezione deldolore.Vi è spesso eritema, a vari gradi, ed è positivo il testdi provocazione con un tampone (Swab test). Il trattamen-to si avvale di una serie di interventi:

1) antimicotici;2) lubrificanti vaginali;3) anestetici locali (lidocaina o xilocaina) in gel;

4) iniezioni locali di cortisonici (triamcinolone), da ripeterea cicli (la somministrazione prolungata può provocareassottigliamento ed atrofia dell’epidermide, nonché der-matite reattiva alla sospensione, con eritema e bruciore);

5) iniezioni locali di interferone α (3 milioni U/ml);6) amitriptilina (10-25 mg/die);7) escissione (50% di ricorrenze).

Il prurito vulvare, che si manifesta spesso nelle ore not-turne ed è accompagnato da lesioni da grattamento, puòessere secondario a dermatite vulvare cronica (causata dacandidiasi diabete-dipendente), a vaginite postattinica(con bruciore), od essere espressione di un carcinoma vul-vare: in questo caso il prurito è intenso, presente nel 60%dei casi, e precede la manifestazione neoplastica anche di10 anni. Il prurito vulvare è un sintomo, inoltre, delle vulvi-ti distrofiche, da contatto, da infezioni virali, da lichen scle-roso e piano, della cirrosi e dell’insufficienza renale, di pa-tologie psico-somatiche, emopatie (linfoma di Hodgkin) emalattie gastro-intestinali (morbo di Chron) (vedi Cap. 12).La vulvo-vaginite senile o atrofica è caratterizzata damodificazioni parallele della vulva e della vagina dovute acarenza estrogenica. Le superfici cutanee diventano sottilie trasparenti, il vestibolo è arrossato, l’ostio vulvare si re-stringe. Anche la vagina si assottiglia e perde il glicogeno:aumentano il pH, lo stafilo-streptococco e le forme difteri-che, mentre diminuiscono i lattobacilli. Compaiono petec-chie, talora sanguinamenti (diagnosi differenziale con cer-vico- ed endometriopatie mediante colpocitologia, revisio-ne frazionata ecc.), bruciore, prurito, senso di gonfiore, di-spareunia. La terapia si avvale di estrogeni (estriolo com-presse 1 mg/die, estrogeni coniugati compresse 0,625mg/die, estrogeni in preparati di creme o gel).Il lichen scleroso (vedi anche Cap. 12), denominato in pas-sato craurosi, è una malattia benigna di verosimile naturaautoimmune, facilmente confondibile con altre dermatitiatrofiche, che si presenta con cute bianca, sottile, pergame-nacea, spesso accompagnata da erosioni, ulcerazioni, ecchi-mosi secondarie a grattamento (per l’intenso prurito).Le distrofie vulvari, tipiche dell’età, iper- o ipopigmenta-te non hanno un chiaro significato di lesione precancerosa,anche se talora, nelle prime, possono comparire melanomie, nelle seconde, specialmente nel 5% che non evolve ver-so l’atrofia, si può assistere alla trasformazione neoplastica.Pertanto queste lesioni vanno seguite nel tempo, con vul-voscopia e biopsia, in particolare se non rispondono ai trat-tamenti medici (generalmente a base di corticosteroidi).

VAGINA

Le alterazioni postmenopausali della vagina includono laperdita degli strati mucosi cheratinizzati, il decremento del

GINECOLOGIA

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glicogeno epiteliale con scomparsa del bacillo di Doderleine l’innalzamento del pH a valori > 4. Clinicamente questicambiamenti si presentano con assottigliamento delle pa-reti, talvolta sanguinanti, scomparsa delle rughe trasversali,stenosi del canale vaginale con dispareunia; la presenza diuna perdita bianca, fluida, è spesso il segno di una vaginiteatrofica, esfoliativa. Data l’eziologia non infettiva, il tratta-mento di scelta è l’estrogeno-terapia topica, fermo restan-do l’obbligo di un esame microscopico del secreto.Talora, acausa di piccoli traumi, in questo contesto si possono veri-ficare perdite ematiche (colporragia).Le alterazioni connettivali già menzionate insieme a fatto-ri aggravanti (ad esempio, pluriparità) sono alla base deifrequenti rilasciamenti delle strutture di sostegno endopel-viche; a seconda del distretto vaginale interessato si distin-guono difetti della parete anteriore con abbassamento del-la retrostante vescica (cistocele), di quella posteriore condiscesa del retto (rettocele), dell’utero in toto (isterocele),o del peritoneo del Douglas (elitrocele) tra vagina e retto,a volte comprendente anse intestinali (enterocele). Le piùrecenti evidenze cliniche assegnano alla chirurgia il ruolopredominante nella correzione di questo disturbo, anchenelle pazienti anziane non complicate. Le forme lievi diprolasso possono talvolta rispondere ad una buona riabili-tazione dei muscoli perineali e pelvici insieme ad una tera-pia estrogenica topica.Questo scompaginamento più o meno diffuso della staticapelvica si ripercuote con una frequenza sempre maggioresulla continenza urinaria. Circa un quarto delle donne oltrei 65 anni di età è affetta da perdita involontaria di urina, sianella più frequente forma da sforzo (stress incontinence), dainstabilità del muscolo detrusore (urge incontinence), sianella forma mista. Come gold standard nella terapia dellastress incontinence si è imposta da pochi anni la sling sot-touretrale tension-free, una benderella sintetica (polipropile-ne) posizionata al di sotto dell’uretra a fungere da suppor-to. Le forme da urgenza rispondono bene, in genere, alla te-rapia medica con anticolinergici.

UTERO E ANNESSI

L’utero postmenopausale va incontro lentamente ad involu-zione senile, diminuendo di volume: diminuiscono il corporispetto al collo, lo spessore dell’endometrio e del miome-trio; tendono alla riduzione e talora addirittura scompaionogli eventuali miomi. È importante non sottovalutare le pic-cole metrorragie in postmenopausa, che nel 90% dei casisono causate da atrofia endometriale o vasculopatie senili,ma possono anche essere dovute a polipi endometriali, car-cinomi o sarcomi dell’endometrio: è necessario eseguireun’ecografia transvaginale per lo studio dell’endometrio

(che deve essere omogeneo e di spessore inferiore ai 4-5mm), e/o un’isteroscopia con revisione frazionata della ca-vità uterina. L’aumento del volume uterino può essere anchesecondario all’obliterazione del canale cervicale con conse-guente ritenzione di muco, pus, cellule di sfaldamento, san-gue.È sempre bene eseguire, anche a quest’età, il Pap-test perla ricerca di atipie cervicali, anche se il cervico-carcinoma èraro oltre i 65 anni; tuttavia, quando presente, ha un decor-so molto aggressivo (tumore a piccole cellule o a celluleneuro-endocrine).Le ovaie diventano macroscopicamente più piccole e diaspetto raggrinzito, perché funzionalmente, viene meno larisposta dei follicoli rimanenti allo stimolo delle gonado-tropine con conseguente calo nella secrezione ormonale:spesso compare iperplasia dello stroma che secerne andro-geni, ma, poco a poco, anche questa attività diminuisce escompare.Neoformazioni ovariche sono piuttosto rare in età geriatri-ca e spesso, quando presenti, si confondono con i tumoriintestinali più frequenti degli ovarici nelle donne anziane.La diagnosi viene posta, oltre che in base alla sintomatolo-gia clinica, con l’ecografia transvaginale, la TAC o la RMN,e definita con la laparoscopia o la laparotomia. Gli antige-ni tumorali CA-125 o Ca19-9 sono buoni marker siero-ematici per le neoplasie epiteliali non mucinose, anche sepossono essere falsamente elevati da malattie epatiche,malattie infiammatorie croniche, miomi in necrosi, perito-niti, diverticoliti; in ogni caso devono essere utilizzati nelfollow-up dopo la diagnosi e la cura.Nelle pazienti anziane aumentano inoltre le complicanzeanestesiologiche, metaboliche e postoperatorie.Anche la mammella subisce modificazioni senili, come ladiminuzione del volume e l’allentamento dei supporti le-gamentosi; i tumori del seno aumentano con l’età fino a 85anni: è necessario suggerire quindi una mammografia,eventualmente abbinata ad ecografia, annualmente dopo i40 anni.

TERAPIA DELLA MENOPAUSA

La terapia ormonale sostitutiva (HRT o TOS) in postmeno-pausa è da circa un decennio oggetto di studi e contrastinell’ambiente medico-scientifico e sociale, tanto da esseredefinita la “pillola della discordia”. Essendo aumentata l’a-spettativa di vita della donna e dato che circa 1/3 di questaviene trascorso in postmenopausa, con un aumento del ri-schio e dell’incidenza di malattie degenerative gravi(osteoporosi e fratture, tumori al seno, malattie cardio-va-scolari ecc.), ci si chiede se un trattamento estroprogestini-co sostitutivo non migliori la qualità della vita, prevenendo

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i disturbi e le malattie del climaterio; se esistano terapie al-ternative e quali siano i rischi ed i benefici nell’immediatoed a distanza.Negli anni 1980-1996, dati osservazionali deponevano perun importante effetto protettivo dell’HRT nella patologiacardio-vascolare (riduzione dal 35% al 60%: Nurse’s HealthStudy) e nell’osteoporosi.Più tardi (1998-2002), gli studi HERS I e II (Heart and Estro-gen/progestin Replacement Study) e WHI (Women’s HealthInitiative) hanno dimostrato un aumento del rischio dellemalattie cardio-vascolari (RR: 1,29), dell’ictus (RR: 1,41)dell’embolia polmonare (RR: 2,13), della chirurgia del trat-to biliare e del carcinoma mammario (RR: 1,26) ed una di-minuzione dell’osteoporosi e delle relative fratture (RR:0,66), del cancro colon-rettale (RR: 0,63), del carcinoma en-dometriale (RR: 0,43) e del diabete II. Rispetto al carcino-ma ovarico, la letteratura è contrastante: uno studio dimo-stra un lieve incremento dopo 11 anni di terapia nelle uti-lizzatrici dell’HRT (il rischio aumenta in funzione del tem-po di esposizione al trattamento).Lo studio WHI (randomizzato su 17.000 donne trattate conestrogeni coniugati e MAP versus placebo, della durata dianni 8,5) viene interrotto dopo 5,2 anni perché il tratta-mento causa un danno superiore al beneficio atteso.Nel 2003 il MWS (Million Women Study), che esprime unostudio di coorte su più di 1 milione di donne inglesi di etàcompresa tra i 50 ed i 79 anni dal 1999 al 2001 in terapiaestro-progestinica, ha dimostrato un significativo aumentodi accidenti cardio-vascolari e di cancro al seno, a fronte diuna diminuzione del cancro colon-rettale e dell’endome-trio, dell’osteoporosi e delle fratture, della scomparsa dellevampate di calore e del miglioramento della sindrome de-pressiva e della sintomatologia urinaria.Alla luce di questi studi, emergono i seguenti dati impor-tanti che hanno frenato l’impiego dell’HRT:

1) l’aumento del rischio è in funzione del tempo di esposi-zione al farmaco: sotto i 5 anni sembra minimo;

2) l’aumento del rischio di tumore al seno non sembra es-sere in funzione della via di somministrazione (alcuniAutori tuttavia consigliano la via transdermica);

3) per quanto attiene alla combinazione estro-progestini-ca, non sembrano esserci differenze significative tra i va-ri tipi di progestinico di sintesi usato;

4) poiché il rischio di comparsa di tumori al seno è maggiorenel trattamento combinato estro-progestinico con pro-gestinici di sintesi rispetto ai soli estrogeni, è verosimileche l’aggiunta di progestinici sintetici annulli gli effettipositivi degli estrogeni, sia a livello cardio-vascolare chemammario; d’altra parte gli estrogeni da soli aumentanoil rischio di carcinoma endometriale,mentre l’aggiunta diprogestinici sintetici lo riduce od addirittura lo annulla.

Lo studio E3N-EPIC coorte del 2004 (54.000 donne trattateper 2,8 anni con estrogeni e progesterone micronizzato, se-guite con un follow-up di 5,8 anni) ha rilevato che il tratta-mento estro-progestinico con progesterone micronizzatonon è accompagnato da aumento di incidenza del carcino-ma mammario (RR: 0,9), a differenza di quanto avviene congli estro-progestinici di sintesi (RR: 1,2-1,4). È probabile chequesta combinazione apra una nuova strada per il tratta-mento postmenopausale con TOS, anche perché il test dieterogeneità tra progesterone micronizzato e progestinici disintesi risulta statisticamente significativo (p < 0,001).Inoltre, un altro studio recente (WHI 2004) interrompe lasomministrazione di soli estrogeni dopo 7 anni per l’au-mento di incidenza di ictus e la mancanza di effetti sullemalattie cardio-vascolari e sul tumore al seno (unico risul-tato positivo è la riduzione delle fratture). Il rischio relativo(RR) di tumore mammario in donne in trattamento con so-li estrogeni oltre i 7 anni aumenta di 0,003/anno di terapia;l’RR diventa 0,12/anno di terapia con l’associazione estro-progestinica (la differenza appare maggiore nelle pazientimagre rispetto a quelle in soprappeso); inoltre, va detto chei tumori insorti in corso di HRT danno una maggiore so-pravvivenza, spiegabile non solo da una migliore sorve-glianza (controlli annuali di mammografia ed ecografiamammaria nelle pazienti in terapia), ma anche, probabil-mente, da una maggiore differenziazione (basso grading).Ancora, sembra che gli estrogeni somministrati in postme-nopausa riducano la somatomedina C (fattore IGF1), po-tente mitogeno mammario, che risulta al contrario elevatoin premenopausa nelle donne con alti livelli di estrogeni.Mentre i progestinici di sintesi sono stati accusati di favori-re il carcinoma della mammella (sulla base dell’aumentodell’attività mitotica delle cellule mammarie nella fase lu-teinica del ciclo), per quanto attiene al progesterone micro-nizzato, pur non esistendo osservazioni cliniche sul suo ef-fetto protettivo a lungo termine sulla mammella, tale effet-to sembra essere ipotizzabile.Personalmente, data la continua evoluzione degli studi, vor-remmo suggerire di non prendere per definitive tutte le infor-mazioni in proposito di HRT: non si può infatti essere d’ac-cordo con i risultati di studi che propongono il trattamentosoltanto a donne oltre i 65 anni dimostrando che è dannoso,né con coloro che perseguono un trattamento ad oltranzanon tenendo conto dei suoi effetti negativi: come sempre lamedicina è fatta anche di buon senso e perciò si avvale di in-dicazioni e controindicazioni e dell’impiego di farmaci ade-guati per qualità,dosaggi e tempo di esposizione.Il razionale della TOS in postmenopausa richiede un bilan-cio tra i rischi ed i benefici. Il medico è la prima persona chepone l’indicazione per un trattamento sostitutivo: il rilievodi importanti sintomi della menopausa e la prevenzionedell’osteoporosi costituiscono valide ragioni per iniziarlo. È

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opportuno analizzare eventuali fattori di rischio personalie/o familiari, valutare la sintomatologia soggettiva, l’ atteg-giamento psicologico, prendere conoscenza delle aspettati-ve, dei timori legati a rischi reali o conseguenti ad una ina-deguata, insufficiente od errata informazione.Definiti i criteri di sicurezza ed efficacia, la scelta dello sche-ma terapeutico varia in funzione del desiderio o meno del-la paziente di continuare ad avere un flusso simil-mestrua-le; tale richiesta può variare a seconda del vissuto, dell’etàcronologica e dal tempo intercorso dall’inizio della meno-pausa.Le differenti variabili terapeutiche consentono di persona-lizzare il trattamento aumentando la compliance della pa-ziente.

INDICAZIONI

1) Il trattamento a breve termine (sotto i 5 anni) è previsto pervampate di calore, secchezza vaginale, sintomatologiaurinaria, prevenzione dell’osteoporosi e della sindromedepressiva in donne che non presentino controindica-zioni; in alternativa possono essere prescritti antidepres-sivi, fitoestrogeni della soia (vedi oltre), creme vaginaliagli estrogeni ecc.;

2) il trattamento a lungo termine (superiore ai 5 anni) è previ-sto, in assenza di controindicazioni assolute o relative(Tabella 5.5), per donne che presentino una sintomatolo-gia vasomotoria persistente od un aumentato rischio diosteoporosi (anamnesi personale e/o familiare di osteo-penia grave e fratture non traumatiche con indice di mas-sa corporea < 22) e siano motivate al trattamento.Verran-no raccomandate loro l’astensione da alcool e fumo,un’adeguata attività fisica ed una dieta opportuna.

CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE

Sono costituite dalla presenza di perdite ematiche genitalida causa sconosciuta, malattie epatiche in fase attiva, coro-

naropatie, tromboembolismo venoso, carcinoma endome-triale o mammario in atto od in presenza di fattori di ri-schio cardio-vascolare o di tumore mammario (anamnesi esuscettibilità genetica tipo BRCA1-2, atipie cellulari mam-marie identificate mediante biopsia).

CONTROINDICAZIONI RELATIVE

Sono l’ipertrigliceridemia (> 400 mg/dl), la calcolosi coleci-stica in fase attiva, il fumo.Per concludere, è opportuno affermare che, anche se dalpunto di vista medico esistono pareri discordanti, non c’èdubbio che le ultime ricerche, specialmente quelle svolte inEuropa, offrano uno spiraglio al trattamento estro-progesti-nico postmenopausale in termini non così severi come con-sigliato dalla letteratura americana, da venire erogato, divolta in volta, in modo personale. La possibilità psicologica,reale o temuta, di evitare i profondi mutamenti psico-fisicidell’età diventa una potente motivazione al trattamento: te-nendo conto delle indicazioni, delle controindicazioni e del-l’idoneità personale alla terapia è possibile ottenere un be-nessere ed un equilibrio fondamentali per esorcizzare lepaure e per perseguire una corretta finalità di equilibrio psi-co-fisico. Una modalità complementare potrebbe essere lasomministrazione di un contraccettivo per qualche anno acavallo della menopausa, sia per prevenire eventuali gravi-danze indesiderate, sia per evitare le situazioni di disagiodella perimenopausa (menometrorragie, amenorree, sinto-mi vasomotori ecc.).

SCHEMI DI TRATTAMENTO

Estrogeni. I più utilizzati sono i coniugati equini, l’estra-diolo e l’estriolo, che possono essere somministrati per viaorale, transdermica, vaginale ed endonasale; molto usatesono la via orale e la transdermica a matrice autoadesivacon 17-�-estradiolo, in misura minore le creme, i gel, gliovuli vaginali e gli spray nasali. La somministrazione per

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Tabella 5.5 CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE E RELATIVE ALLA TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA (TOS)

Controindicazioni assolute alla terapia ormonale sostitutiva• Perdite ematiche genitali• Severe epatopatie in atto• Fenomeni trombotici o embolici in atto o recenti• Adenocarcinoma dell’endometrio• Carcinoma dell’ovaio• Carcinoma mammario

Controindicazioni relative alla terapia ormonale sostitutiva• Pregressi episodi di tromboflebite• Presenza di calcolosi della colecisti• Patologie benigne della mammella• Ipertrigliceridemia severa• Pregressa endometriosi e fibromi uterini• Fumo

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via orale avvia l’estrogeno al fegato, dove la sua concentra-zione aumenta di 4 volte rispetto al sangue periferico: èconsigliata alle donne con ipercolesterolemia (l’estradiolostimola direttamente i vari fattori della coagulazione e larenina ed indirettamente inibisce la lipoproteina (a) [Lp(a)]con effetto antiaterosclerotico) e, più di quella transdermi-ca, si associa alla riduzione di IGF-I (potente mutageno alivello delle cellule mammarie). La somministrazione pervia transdermica è preferibile in caso di ipertensione, iper-trigliceridemia ecc.Oltre alla correzione della sintomatologia menopausale(vampate di calore ed atrofia genito-urinaria), la terapiaestrogenica è indicata nella prevenzione e trattamento del-l’osteoporosi e della sindrome depressiva; utile appare,inoltre, nella terapia dell’artrosi (riduzione del 40% dellasintomatologia dolorosa) per ripristino dell’attività recetto-riale estrogenica delle articolazioni.Il trattamento postmenopausale preferito si basa sull’im-piego di estradiolo naturale che coinvolge meno il meta-bolismo epatico (rispetto a quello sintetico utilizzato neicontraccettivi) e circola legato alla SHBG (mentre l’etinile-stradiolo è veicolato ampiamente dalle albumine sieriche),riducendo così gli eventuali effetti negativi. La terapia consoli estrogeni è riservata alle donne prive di utero. Glischemi proposti sono i seguenti.

Per via orale (preferita nei casi di ipercolesterolemia)

1) Estrogeni coniugati equini alla dose di 0,625 mg/die2) Estradiolo valerato alla dose di 2 mg/die3) Estriolo, molto debole, attivo sull’epitelio vaginale e sul

trigono vescicale, somministrato alla dose di 1 mg/die.

Per via transvaginale

1) Estrogeni coniugati equini sotto forma di creme2) Estradiolo in compresse vaginali3) Estriolo in crema ed ovuli4) Promestriene in crema od ovuli.

Per via transdermica (in presenza di epatopatie, patologiebiliari e gastro-intestinali)

1) Cerotto monosettimanale (50-100 �g 17-�-estradiolo)2) Cerotto bisettimanale (25, 50, 75, 100 �g 17-�-estradiolo)3) Gel transcutaneo (17-�-estradiolo).

Per via endonasale (utile soprattutto in presenza di vam-pate di calore)

Estradiolo emidrato spray nasale.

Progestinici. Vengono utilizzati, in associazione agliestrogeni, per il ruolo protettivo che svolgono nel prevenire

l’insorgenza dell’iperplasia e del carcinoma endometriale, abasse dosi per evitare possibili effetti secondari (aterogene-si, tumore al seno). Indicazioni non trascurabili all’impiegodei progestinici da soli sono la correzione della sintomato-logia vasomotoria e la prevenzione del carcinoma endome-triale in donne in terapia con tamoxifene per tumore al se-no (determinano una trasformazione pseudodeciduale del-l’endometrio): per brevi periodi è possibile l’impiego delmedrossiprogesterone acetato (MAP 100 mg/die), ma perperiodi più prolungati è preferibile il progesterone micro-nizzato (100-200 mg/die). Questi ormoni esplicano nelleneoplasie endocrino-correlate (carcinoma mammario edendometriale), un’azione inibitoria diretta ed indiretta sullamitosi cellulare: a basse dosi riducono i recettori, diminuen-do quindi la capacità delle cellule di rispondere agli stimolidegli estrogeni; ad alte dosi bloccano la produzione di ste-roidi sessuali con effetto di citotossicità diretta. A concen-trazioni adeguate contrastano (soprattutto il MAP) la caricadel recettore per gli estrogeni, mediante l’inibizione dellasintesi di nuovi recettori e diminuiscono l’efficacia del recet-tore del progesterone per retroattività (down regulation). Èstato ancora dimostrato, recentemente, che essi stimolanola sintesi di EGF (Epidermal Growth Factor) e di TGF� (Tran-sforming Growth Factor alpha) ed inibiscono quella di TGF�(Transforming Growth Factor beta) e di IGF-1 (Insulin GrowthFactor 1), implicato nello stimolo mitotico mammario. IlMAP ed il noretindrone abbassano le lipoproteine ad altadensità, mentre il progesterone micronizzato non determi-na, in questo senso, alcun effetto negativo.Le vie di somministrazioni possibili sono le seguenti.

Per via orale

1) Medrossiprogesterone acetato (MAP) alla dose di 10-20mg/die (dose bassa); 100 mg/die (dose alta)

2) Ciproterone acetato (antiandrogeno 1 mg/die), noreti-sterone (10 mg/die), noretindrone, nomegestrolo (5mg/die), medrogestone (5 mg/die) progesterone micro-nizzato (100-200 mg/die).

Per via transdermica come crema o pomataProgesterone (5 mg/die).

Per via vaginale (ovuli o compresse)Progesterone micronizzato (1 o 2 compresse da 100 mg/die).

Per via intrauterinaIUD di levonorgestrel, che libera una quota giornaliera di pro-gestinico (20 �g), per un periodo di 5 anni; tale dispositivopossiede un elevato effetto antiproliferativo a livello endome-triale, ed inoltre garantisce un effetto contraccettivo in una fa-scia d’età nella quale una gravidanza risulta ancora possibile.

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ni della somministrazione estroprogestinica perché, a par-te un indimostrato effetto positivo sulle fratture ossee,sembra aumentare, con gli anni, l’incidenza del carcinomamammario.

Fitoestrogeni. Sono composti chimici non steroidei,estraibili dalle piante, che mimano la funzione degli estro-geni ovarici. Gli isoflavoni sono quelli metabolicamente piùattivi, sono presenti soprattutto nella soia e sono rappre-sentati principalmente dalla genisteina e dalla daidzeina. Idati clinici sugli effetti della somministrazione dei fitoestro-geni sono, ad oggi, ancora insufficienti per confermare i lo-ro benefici nel trattamento delle problematiche relative al-la menopausa.

FOLLOW-UP IN MENOPAUSA

Di seguito sono elencati i controlli a cui sottoporre le don-ne in postmenopausa.

1) Visita senologica, mammografia, ecografia mammaria:annuali; in caso di seno denso o fattori di rischio anam-nestici o genetici: RMN;

2) citologia cervico-vaginale: annuale;3) densitometria ossea: biannuale; più ravvicinata in pa-

zienti a rischio con osteoporosi grave in trattamento;4) ecografia transvaginale (studio dell’ecopattern endome-

triale): annuale o biannuale;5) ecografia addomino-pelvica: annuale;6) controlli ematochimici semestrali o annuali: glicemia,

profilo lipidico,profilo coagulatorio.

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A dosi inferiori di quelle citate non esiste una protezionedell’endometrio dal rischio di iperplasia.

Il trattamento estro-progestinico può essere:

1) combinato continuativo (estrogeni e progestinici tutti igiorni senza interruzione);

2) combinato ciclico (estrogeni e progestinici per 21-25 gior-ni con intervallo di 7 giorni);

3) sequenziale continuativo (estrogeni tutti i giorni e proge-stinici per 12-14 giorni a mese);

4) sequenziale ciclico (estrogeni per 21-25 giorni e progesti-nici negli ultimi 12-14 giorni, cui segue una pausa di 7giorni).

Per evitare l’insorgenza di sintomi è preferibile evitare lapausa settimanale eseguendo una somministrazione con-tinuativa; tuttavia, a volte, per motivi psicologici, è oppor-tuno applicare uno schema ciclico che preveda una perditaematica pseudomestruale durante la pausa settimanale (al-le dosi suddette si verifica una regolare e ciclica desquama-zione endometriale); nel trattamento continuativo si in-staura un’atrofia endometriale, con stimolazione più o me-no marcata dello stroma e saltuaria comparsa di spottingper lo più entro 6 mesi dall’inizio del trattamento, seguitoda amenorrea.

TERAPIE ALTERNATIVE

SERMs (Selective Estrogen Receptor Modulators).Sono caratterizzati da contemporanea attività estrogeno-agonista in alcuni tessuti e antagonista in altri. Il tamoxife-ne esercita un ruolo estrogenico sull’osso (previene l’osteo-porosi) e sull’endometrio (stimola la proliferazione), men-tre possiede un effetto antiestrogenico sulla mammella(previene l’insorgenza del carcinoma mammario); il raloxi-fene, al contrario, esercita un effetto protettivo sull’osso (at-tività estrogeno-agonista), sull’endometrio e sulla mam-mella (attività estrogeno-antagonista).Entrambi favoriscono la diminuzione dei livelli di coleste-rolo, non hanno effetti benefici sui disturbi neuro-vegeta-tivi/vasomotori e sul trofismo uro-genitale. Presentano, co-me effetti collaterali, la possibilità di favorire l’insorgenza divampate di calore di lieve entità e un aumento, modestoma significativo, del rischio trombotico.

SEEMs (Selective Estrogen Enzime Modulators).Sono caratterizzati da un’azione estrogenica selettiva e dal-la capacità di modularla a livello di tessuti ed organi speci-fici attraverso un meccanismo che coinvolge le attività en-zimatiche cellulari implicate nel metabolismo degli estro-geni. Il tibolone viene utilizzato nel trattamento dei distur-bi vasomotori, neuro-vegetativi, uro-genitali e nella pre-venzione dell’osteoporosi, ma richiede le stesse precauzio-

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