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1 Marc Aug´ e Che fine ha fatto il futuro dai nonluoghi al nontempo el` euthera Titolo orig- inale: O` u est pass´ e l’avenir? Traduzione dal francese di Guido Lagomarsino c 2008 Marc Auge c 2009 El` euthera Progetto grafico di Riccardo Falcinelli In copertina foto c Michael Fernahl / iStock Il nostro sito ` e www.eleuthera.it e-mail: [email protected] EAN 9788889490730 Per secoli il tempo ` e stato portatore di speranza. Dal futuro ci si attendeva pace, evoluzione, progresso, crescita... o rivoluzione. Non ` e pi` u cos` ı. Il futuro ` e praticamente sparito. Sul mondo si ` e abbattuto un presente immobile che annulla l’orizzonte storico e, con esso, quello che ` e stato per generazioni il sistema di orientamento. Da dove viene questa eclisse del tempo? Perch´ e il futuro ` e scomparso nelle coscienze individuali e nelle rappresentazioni collettive? Ci sono rimedi, ci sono uscite di sicurezza? Per rispondere, Aug´ e scruta lucidamente le molteplici dimensioni della mondializzazione nei suoi aspetti politici, scientifici e simbolici. E abbozza elementi di speranza. Marc Aug´ e (Poitiers, 1935), antropologo, ` e directeur d’´ etudes (Logica sim- bolica e ideologia) all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, di cui ` e stato a lungo presidente. Africanista di formazione, da anni si occupa di antropologia delle societ` a complesse. Presso El` euthera sono inoltre usciti Un etnologo nel metr` o, Ville e tenute, etnologia della casa di campagna, La guerra dei sogni, esercizi di etno-fiction e L’antropologia del mondo contemporaneo, insieme a Jean-Paul Colleyn. le opere LA GUERRA DEI SOGNI - Esercizi di etno-fiction VILLE E TENUTE - Etnologia della casa di campagna UN ETNOLOGO NEL METR ` O - L’ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO - CHE FINE HA FATTO IL FUTURO? - dai nonluoghi al nontempo NONLUOGHI - Intro- duzione a una antropologia della surmodernit` a

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Marc AugeChe fine ha fatto il futuro dai nonluoghi al nontempo eleuthera Titolo orig-

inale: Ou est passe l’avenir? Traduzione dal francese di Guido Lagomarsinoc©2008 Marc Auge c© 2009 Eleuthera Progetto grafico di Riccardo Falcinelli

In copertina foto c© Michael Fernahl / iStock Il nostro sito e www.eleuthera.ite-mail: [email protected]

EAN 9788889490730Per secoli il tempo e stato portatore di speranza. Dal futuro ci si attendeva

pace, evoluzione, progresso, crescita... o rivoluzione. Non e piu cosı. Il futuroe praticamente sparito. Sul mondo si e abbattuto un presente immobile cheannulla l’orizzonte storico e, con esso, quello che e stato per generazioni il sistemadi orientamento. Da dove viene questa eclisse del tempo? Perche il futuro escomparso nelle coscienze individuali e nelle rappresentazioni collettive? Ci sonorimedi, ci sono uscite di sicurezza? Per rispondere, Auge scruta lucidamente lemolteplici dimensioni della mondializzazione nei suoi aspetti politici, scientificie simbolici. E abbozza elementi di speranza.

Marc Auge (Poitiers, 1935), antropologo, e directeur d’etudes (Logica sim-bolica e ideologia) all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi,di cui e stato a lungo presidente. Africanista di formazione, da anni si occupadi antropologia delle societa complesse. Presso Eleuthera sono inoltre usciti Unetnologo nel metro, Ville e tenute, etnologia della casa di campagna, La guerradei sogni, esercizi di etno-fiction e L’antropologia del mondo contemporaneo,insieme a Jean-Paul Colleyn.

le opere LA GUERRA DEI SOGNI - Esercizi di etno-fiction VILLE ETENUTE - Etnologia della casa di campagna UN ETNOLOGO NEL METRO- L’ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO - CHE FINE HAFATTO IL FUTURO? - dai nonluoghi al nontempo NONLUOGHI - Intro-duzione a una antropologia della surmodernita

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Indice

introduzione Il paradosso del tempo 7 capitolo primo Le culture dell’immanenza15 capitolo secondo Cambiamento di scala, stato delle questioni e stato dei lu-oghi 25 capitolo terzo Globalizzazione, urbanizzazione, comunicazione, istanta-neita 33 capitolo quarto Contemporaneita e coscienza storica 45 capitolo quintoAlienazione, modernita, democrazia, progresso 61 capitolo sesto Il passato, lamemoria, l’esilio 73 capitolo settimo L’avvenire e l’utopia 81 capitolo ottavoIl mondo di domani, l’individuo, la scienza, l’istruzione 95 conclusione Perun’utopia dell’educazione 109

Nel testo in nero i numeri di pagina sono posti in basso.

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introduzioneIl paradosso del tempo

Il primo paradosso del tempo e inerente alla consapevolezza che ognuno ha di vi-vere in un tempo che precedeva la sua nascita e che continuera dopo la sua morte.Questa consapevolezza individuale del finito e dell’infinito vale simultaneamenteper il singolo e per la societa. Infatti l’individuo che si trasforma, cresce e poiinvecchia, prima di scomparire un giorno o l’altro, assiste in quel mentre allanascita e alla crescita degli uni e all’invecchiamento e alla morte degli altri. In-vecchia in un mondo che cambia, se non altro perche gli individui che ne fannoparte invecchiano anche loro e vedono generazioni piu giovani prendere pro-gressivamente il loro posto. Ci sono spiegazioni di tipo intellettuale per questoprimo para- dosso: sono tutte le teorie che, in un modo o nell’altro, inscenanoil ritorno del medesimo. Nella maggioranza delle societa studiate dall’etnologiatradizionale esistono rappresentazioni dell’eredita molto elaborate che tendonoa ritenere la morte degli individui non una fine in se quanto l’occasione per ridis-tribuire e riciclare gli elementi che li compongono. Le teorie della metempsicosisono solo un tipo particolare di tali rappresentazioni. In Africa, per esem- 7 pio,l’idea del ritorno degli elementi liberati dalla morte non e as- sociata a quella delritorno degli individui in quanto tali, anche se, nelle grandi chefferies o nei regni,la logica dinastica spinge in quella direzione. Altre istituzioni, come le classi dieta, o taluni fenomeni religiosi ritualizzati, come la possessione, rientrano inquella vi- sione immanente del mondo che tende a relativizzare l’opposizione travita e morte in virtu di un’intuizione non lontana dal principio scientifico sec-ondo il quale nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Il secondoparadosso del tempo e quasi l’inverso del primo e ri- guarda la difficolta per uo-mini mortali, e quindi tributari del tempo e delle idee di inizio e fine, di pensareil mondo senza imma- ginarsene una nascita e senza assegnargli un termine.Le cosmogo- nie e le apocalissi, in varie modalita, sono una soluzione immagi-naria per rispondere a questa difficolta. Il terzo paradosso del tempo rimandaal suo contenuto o, se vo- gliamo, alla storia. E’ il paradosso dell’evento, delfatto sempre at- teso e sempre temuto. Per un verso sono gli eventi che rendonosensibile il passaggio del tempo e che servono anche a datarlo, a or- dinarlosecondo una prospettiva diversa dal semplice ripresentarsi delle stagioni. Maper un altro verso l’evento comporta il rischio di una rottura, di una lacerazioneirreversibile con il passato, di un’in- trusione irrimediabile del nuovo nelle sueforme piu pericolose. Per un lungo periodo della storia umana le catastrofi eco-logiche, meteorologiche, epidemiologiche, politiche o militari avevano il poteredi minacciare l’esistenza stessa del gruppo, e lo sviluppo delle societa non ha

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fatto svanire la consapevolezza di rischi del ge- nere: li ha solo collocati su unascala diversa. Il controllo intellet- tuale e simbolico dell’evento e sempre statoal centro delle atten- zioni dei gruppi umani. Lo e ancora oggi; cambiano solole parole e le soluzioni. E’ anzi possibile che il paradosso dell’evento sia al suoculmine: mentre la storia accelera sotto la spinta di eventi di ogni genere, noipretendiamo di negarne l’esistenza, come nelle epoche piu arcaiche, per esem-pio celebrandone la fine. 8 E proprio con la configurazione, la delimitazione ol’esplicita- zione di questi tre paradossi che si sono misurati, nei contesti sto-rici piu vari, tutti i tentativi di simbolizzazione del mondo e delle societa. Se,come afferma Claude Levi-Strauss nella sua Introdu- zione all’opera di MarcelMauss, (1) la comparsa del linguaggio ha comportato ipso facto la necessita direndere il mondo significante, e ben evidente che la categoria del tempo, piu an-cora di quella dello spazio, ha fornito una materia prima ideale per quell’opera-zione, perche e la piu sperimentabile, la piu immediatamente per- cepibile e,in questo senso, la meno arbitraria dei dati simbolici. La padronanza del cal-endario e stata una delle forme piu efficaci di controllo religioso e/o politicoesercitato sulle societa, perche il tempo, dato immediato della coscienza, apparesimultaneamente una delle componenti essenziali della natura e uno strumentopri- vilegiato per capirla e governarla. I poteri religiosi e politici si sono sempreserviti del tempo per dare alla cultura l’apparenza di un fatto naturale. Tuttele rivoluzioni hanno dovuto fare i conti con la necessita di ridefinire l’impiegodel tempo e di rifondare il calenda- rio per cercare di cambiare la societa. Restail fatto che non avrebbe senso dissociare una riflessione sul tempo da una sullospazio. Tutti i sistemi simbolici che si possono osservare nel mondo attestanoinvece il legame sempre intuitiva- mente avvertito tra queste forme a priori dellasensibilita, come le definisce Kant. Le culture dell’immanenza individuano, seg-nalano e ordinano gli spazi di socialita con estrema minuzia, sia per distin-guerli dagli spazi non umani, sia per tracciare le linee di partizione che ordinanoil gruppo sociale stesso (norme di residenza, sistemi di divisione, spazio pub-blico e spazio privato, spazio sacro e spazio pro- fano...). Queste suddivisionisono intimamente correlate alle rap- presentazioni del tempo sociale. Alcune diqueste si manifestano solo in occasione di riti stagionali. La residenza cambiacon le varie eta della vita (ingresso nell’eta adulta, matrimonio...). Si potrebbecosı parlare di uno spazio-tempo sociale il cui grado piu o meno forte di co-esione corrisponde alle diverse modalita organizzative. 9 La prova dell’altro,nelle forme della conquista e della colonizza- zione, e spesso stata tanto piudolorosa quanto piu ribaltava l’or- dine spazio-temporale preesistente, da quelmomento in poi con- siderato obsoleto. Agli occhi dei colonizzati tale provaera percio, prima di tutto, un evento ingovernabile che segnava una rottura ir-reversibile tra presente e passato e che imponeva loro, tanto in ter- mini politiciquanto religiosi, una reintetpretazione del passato e una visione dell’avvenire.Parallelamente, quell’evento trasformava da cima a fondo la loro organizzazionespaziale. L’urbanizzazione, le nuove suddivisioni amministrative, la creazione dicolture indu- strializzate destinate all’esportazione, l’integrazione forzata nellospazio del colonizzatore (per esempio in occasione della prima guerra mondialeo delle stesse guerre coloniali) hanno costituito un abbozzo su scala regionale diquella che oggi viene chiamata globalizzazione. Non e escluso che, per un curiosoribaltamento della situazione, l’Occidente colonizzatore oggi si trovi davanti allestesse difficolta che non molto tempo fa ha provocato tra i colonizzati, quandopretendeva di imporre la propria concezione piu o meno evoluzio- nista della sto-

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ria. In effetti, nel corso del XX secolo, si sono trovati a mal partito tutti queglischemi intellettuali sui quali, con mag- giori o minori dubbi, certezze e buonafede, si era costruita l’ideo- logia coloniale e postcoloniale (il senso della sto-ria, il volontarismo rispetto all’evento, il rifiuto della contingenza e quell’ereditadell’Il- luminismo che e l’ineludibile legame tra progresso scientifico, pro- gressomateriale e progresso morale). A questo proposito si cita spesso, e non a torto,il fallimento dei sistemi comunisti, ma biso- gna anche insistere sul disorienta-mento morale provocato dall’am- piezza ilei massacri resi possibili dal progressotecnologico, sulla fine disastrosa delle avventure coloniali, che toglie ogni sensoa una parte della storia occidentale, e sulle incertezze intellettuali che oggi ac-compagnano il movimento accelerato della globalizzazione. Questo movimento,tanto evidente quanto imprevedibile, ri- guarda non solo l’economia ma anche lascienza, la tecnologia e la 10 politica; e comporta manifestazioni del tutto ineditedi violenza e di nazionalismo, convulsioni religiose e politiche senza precedentiche sanciscono il fallimento dell’impresa coloniale come primo ab- bozzo dellaglobalizzazione. Sono dunque il nostro passato piu recente, la nostra storia piuvicina (quella misurabile sulla durata di un’esistenza individuale), che ci diven-tano enigmatici. Dal 1989, dopo la caduta del muro di Berlino, comincia unanuova storia che fatichiamo a capire, perche procede troppo in fretta e riguardadirettamente e immediatamente tutto il pianeta. Dal punto di vista intellettuale,questo cambiamento di scala ci ptende alla sprovvista. Siamo ancora nella fase dicritica dei vecchi concetti e delle visioni del mondo che li sottendevano. A questisi sostituiscono da un lato una visione pessimista, nichilista e apoca- littica, sec-ondo la quale non c’e piu niente da capire, e dall’altro una visione trionfalista edevangelica per la quale tutto e compiuto o sta per esserlo. In entrambi i casi, ilpassato non e piu portatore di alcuna lezione e dall’avvenire non c’e piu nienteda aspettarsi. Tra queste due visioni estreme, c’e posto per un’ideologia del pre-sente caratteristica di quella che per convenzione e definita societa dei consumi.Sotto la marea di immagini e di messaggi, sotto l’effetto di tecnologie della co-municazione istantanea e della mercificazione di tutti i beni materiali e culturali,sembra che agli individui resti solo la scelta tra un consumismo conformista epassivo, anche quando le possibilita di consumo sono ridotte, e un rifiuto radi-cale al quale solo le espressioni religiose esasperate sembrano in grado di fornireun’apparente armatura teorica. Sullo stesso piano ideolo- gico, vediamo inoltreformarsi connubi sostanziali tra ideologia re- ligiosa e ideologia consumista, piuin particolare nel caso dell’e- vangelismo di origine nordamericana. Per il resto,le nuove forme di esclusione, delle quali la globalizzazione e nello stesso tempoil contesto generale e uno dei principali fattori, generano, attraverso diverse me-diazioni come quella del fondamentalismo religioso, at- teggiamenti di rigetto odi fuga che hanno senso solo in rapporto 11 all’ordine dominante. Quest’ultimoprovoca insieme odio e sedu- zione. La contestazione, la rivolta o la protestasembrano cosı pri- gioniere di quegli stessi schemi di pensiero ai quali si oppon-gono, sia a livello della vita politica sia sul piano intellettuale e artistico. Ogniimpero ha avuto la pretesa di fermare la storia, tanto che e possibile sostenereche altre globalizzazioni abbiano preceduto l’attuale. L’unica differenza, chepero e di dimensioni, sta nel fatto che la globalizzazione presente e coestesa alpianeta come corpo fi- sico. Ogni giorno di piu prendiamo coscienza di occupareun an- golo dell’universo, come diceva Pascal. In questo universo le cate- goriedi tempo e di spazio alle quali siamo assuefatti non funzionano piu, e qualcosadi quella vertigine provocata dalle esplorazioni dell’astrofisica puo avere delle

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ricadute sulla nostra percezione della storia umana. Tutto contribuisce dunquea mettere in discussione le categorie tradizionali dell’analisi e della riflessione,che pure ci hanno per- messo di capire come funziona l’ideologia e, in partico-lare, di indi- viduarne una caratteristica essenziale: la sua capacita di sottrarsiin parte alla coscienza non solo di coloro che ne sono vittime, ma anche di chila sfrutta per dominare gli altri. Puo allora essere utile riprendere la categoriadi tempo per interrogare nuovamente le false evidenze dell’attuale ideologia delpresente. Queste evidenze assumono la forma di un triplice paradosso. Primoparadosso: la storia, intesa come fonte di nuove idee per la gestione delle societaumane, sembra terminare proprio nel momento in cui riguarda esplicitamentel’umanita nel suo insieme. Secondo paradosso: noi dubitiamo della nostra ca-pacita di influire sul nostro comune de- stino proprio nel momento in cui lascienza progredisce a una ve- locita sempre piu accelerata. Terzo paradosso: lasovrabbondanza senza precedenti dei nostri mezzi sembra vietarci di rifletteresui fini, come se la timidezza politica dovesse essere lo scotto da pagare perl’ambizione scientifica e l’arroganza tecnologica. Questi tre paradossi altro nonsono che l’odierna forma storica di tre paradossi del tempo citati all’inizio. Inquesto senso atten- 12 gono tutti all’ideologia. Ogni sistema di organizzazionee di do- minio del mondo sia che quest’ultimo abbia limiti geografici piu o menoestesi o che lo si voglia, come oggi, coesteso al pianeta - ha prodotto teoriedell’individuo, del mondo e dell’evento. Il sistema della globalizzazione non sisottrae a questa regola. L’ideologia che gli e sottesa, che lo anima e che gli con-sente di imporsi alle co- scienze dei singoli, puo essere analizzata in quanto tale,nonostante la complessita delle sue determinazioni e dei suoi effetti. Le rifles-sioni qui proposte, che si inseriscono nell’ottica di un’anttopologia comparatadelle rappresentazioni del tempo, vorrebbero dare un contributo a questa analisi.Esse dunque prenderanno in successione come oggetto i con- cetti di immanenza(riguardo alle societa o alle culture dell’imma- nenza), di sviluppo (a livello delleteorie e delle azioni di sviluppo), di globalizzazione (e, in correlazione, di comu-nicazione e urbaniz- zazione), di contemporaneita, di modernita, di memoria e,infine, di utopia, nel tentativo di rispondere alla domanda in apparenza ingenuache ossessiona ogni giorno di piu i vari ambiti del fare e del pensare: che fine hafatto il futuro?

Nota all’Introduzione 1. Marcel Mauss, Sociologie et anthropologie, PUF,Paris, 1950 [trad. it.: Sociologia e antropologia, Newton Compton, Roma, 1976].13

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Le culture dell’immanenza

L’espressione cultura dell’immanenza rimanda per un verso a una teoria dell’eventoche ha per oggetto e per conseguenza il negarne l’esistenza o il rifiutarne il carat-tere contingente e, per l’altro, a un insieme di rappresentazioni della persona,della societa, dell’ere- dita e della tradizione che, non lasciando spazio a nes-sun duali- smo, sono particolarmente adatte ad attivate questa negazione. Lesocieta politeiste, che sono state oggetto privilegiato di studio della prima et-nologia, sono estranee a qualsiasi idea di trascendenza e di salvezza individuale.In esse l’individuo umano e concepito come unione provvisoria (il tempo di unavita) di un certo numero di elementi che sono liberati dalla morte: alcuni scom-paiono, altri entrano in nuove combinazioni, in parte arbitrarie e in parte stabi-lite dalle regole della filiazione. In Africa, tra le popolazioni amerin- die e inOceania, le formule possono variare all’infinito, ma in ogni gruppo umano e pre-sente l’idea delle componenti della persona, idea collegata in modo piu o menostretto a quelle di eredita e di fi- liazione. Tali componenti non sono ne materialine spirituali o, per meglio dire, sono indifferentemente e contemporaneamente15 materiali e spirituali, se proprio vogliamo renderne conto nelle lingue occi-dentali segnate dal dualismo metafisico. Queste componenti sono sia marchiidentitari sia principi di azione, vettori di energia. Alcune sono strettamenteindividuali, altre si ereditano. Alcune sono relazionali e possono entrare in con-tatto, talvolta in modo aggressivo, con le componenti di altri indi- vidui, altresono piu legate al corpo vero e proprio ed esposte all’ag- gressione di componentidi altri individui. Tutte queste possibilita di attacco e di difesa, alle quali si fatalora riferimento inserendole sotto il titolo credenze nella stregoneria, sono al-trettante espres- sioni di cio che si chiama struttura sociale. La struttura socialee l’insieme della rete di relazioni possibili e pensabili tra individui che apparten-gono a quell’insieme. Nella loro maggioranza gli eventi, soprattutto biologici(la malattia, la morte), sono interpre- tati come esito di quella serie di rap-porti, che a loro volta sono rap- porti di forza e rapporti strutturali, relazioni disenso sociale. Facciamo un esempio. Nelle societa apparentate al gruppo akan,nell’Africa occidentale, sui due lati della frontiera tra Costa d’Avo- rio e Ghana,la filiazione e matrilineare, ma la relazione tra un figlio e suo padre (o chi glisuccede, ovvero un parenre materno del padre) ha proprie esigenze specifiche.Il duplice gioco di relazioni tra la linea materna di Ego e la linea materna delpadre si esplica nel tempo. Presso gli Alladiani, tra i quali ho lavorato negli anniSes- santa e Settanta, lo status dipendeva in gran parte dall’eta. L’indi- viduo

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10 CHAPTER 1. LE CULTURE DELL’IMMANENZA

si affrancava progressivamente dalla tutela del padre, per in- serirsi in modopiu marcato nella famiglia della madre e acquisire una relativa indipendenzaeconomica. Le varie tappe di questo pro- cesso si traducevano in cambiamentidi residenza e in una ridistri- buzione dei prodotti del suo lavoro. Normalmenteun bravo fi- glio otteneva da suo padre, insieme all’autorizzazione a prenderemoglie, il diritto a costruirsi una capanna nel cortile paterno e a coltivare uncampo di manioca sui terreni del lignaggio materno del padre. Solo dopo lanascita del secondo o del terzo figlio acqui- siva il diritto di costruire una cucinaaccanto alla propria capanna 16 e di far venire la propria sposa in permanenzapresso di lui. Piu tardi ancora, alla nascita del quinto o del sesto figlio, avrebbeavuto il diritto di ridistribuire anch’egli i prodotti della sua pesca in mare. Mafino a quel momento sarebbe stato suo padre (o l’erede del padre in linea ma-terna) che avrebbe provveduto a questa ridistribu- zione. Dal momento in cuiacquisiva quel diritto, i principali bene- ficiari della pesca, al posto dei parentimaterni del padre, diventa- vano i propri parenti materni. E contestualmenteegli acquisiva il diritto di lavorare sulle terre di questi ultimi e di cacciare perpro- prio conto. Un sistema del genere comportava tensioni tra i diversi soggetticoinvolti e soprattutto tra i lignaggi alleati, quello del padre e quello dello ziomaterno. La causa di ogni evento negativo era facilmente imputata a quelletensioni, vuoi a causa di un attacco di stregone- ria della parentela materna,vuoi a causa di una maledizione della parte paterna. Gli scenari erano soggettia molteplici evoluzioni ed erano spesso complicati, essendo anche possibile, incerte condi- zioni, l’intervento di terzi. Resta comunque il fatto che non c’eraposto per l’idea di malattia o di morte naturale (nella nostra lin- gua), percheera rigorosamente priva di senso: in caso di disgrazia era necessario condurreun’indagine e identificare un responsabile. Lo scopo di un simile dispositivo nonera tanto quello di punire il colpevole, anche nel caso che si trovasse un’intesasu chi fosse, quanto di spiegare il fatto riadattandolo alla struttura. Infatti, lepotenzialita aggressive o difensive erano costitutive della definizione delle re-lazioni stesse e nel caso non facevano che attualizzarle: erano nella natura dellecose e la diagnosi o il verdetto avevano l’effetto di un ritorno all’ordine normale.La malattia o la morte erano uno scandalo solo finche non trovavano una spie-gazione. Una volta ri- condotto l’ignoto o l’imprevisto al fatto noto, il ritornoalla norma diventava operativo. Le societa basate sul lignaggio, quelle politeisteo animiste, non hanno il monopolio della negazione dell’evento, che pure ha unruolo centrale nella loro gestione dello spazio-tempo sociale. 17 Quando l’eventotravalica per ampiezza le normali capacita di dia- gnosi, si attivano procedurespecifiche, che la letteratura etnolo- gica designa spesso con il termine genericodi riti di inversione. Una siccita, un’epidemia o la morte di un capo, eventirincorrenti ma irregolari che minacciano l’equilibrio e talvolta la sopravvivenzadel gruppo, fanno scattare quelle che si potrebbero chiamare ri- tualizzazionidi urgenza. In generale queste mettono in scena, nel senso davvero teatraledel tetmine, il dramma i cui effetti vogliono scongiurare. Si tratta allora diun tentativo estremo, di una ri- tualizzazione con le spalle al muro. La colo-nizzazione e l’evento la cui esistenza nessun rito e stato capace di eliminare onegare, l’e- vento che ha prodotto proprio cio che ogni rito cerca di scongiu-rare: un fossato invalicabile tra il passato e il presente. Quando Levi-Straussparlava di societa fredde o tiepide, evi- dentemente non intendeva suggerire chequeste fossero senza sto- ria, ma mirava piuttosto a definire il loro rapportocon la storia. Questo infatti varia storicamente, anche nelle societa occidentali,

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e oggi si pone la questione, come vedremo piu avanti, di capire se le societacosiddette sviluppate non siano sul punto di entrare, in quest’ottica, in una fasetiepida. Il rapporto con la storia non sintetizza da solo tutte le concezioni deltempo in funzione nella vita individuale e sociale. La prima ca- ratteristicadelle culture dell’immanenza, come abbiamo visto, e il forte legame solidale chepostulano tra corpo individuale e corpo sociale, tra identita e alterita, e perquesta stessa ragione tra evento e Struttura. Ma questa consonanza si affermaall’interno di una concezione piu ampia, per la quale la distinzione tra vita emorte, tra veglia e sonno, tra uomini e dei non ha niente di irrimediabile. Leelaborazioni antropologiche e cosmologiche dei diversi gruppi umani sono, evi-dentemente, tutte diverse e singolarmente raffi- nate, ma si potrebbe affermare,a costo di qualche semplificazione, che gli dei del politeismo sono uomini antichiche si manifestano attraverso il sogno e i fenomeni di possessione; una voltaadegua- tamente interpretati dagli specialisti, il sogno e la possessione sono 18i canali attraverso i quali i due mondi solidali comunicano, for- mandone unosolo. I ruoli affidati rispettivamente al sogno e alla possessione sono di- versi perogni societa. Tradizionalmente la possessione occupa un posto importante nellesttategie dell’immaginario africano. Le cul- ture amerindie sono state invece def-inite dall’antropologo Kroeber culture del sogno. In ogni caso, e la prossimitadelle origini che si manifesta, e la cosmogonia che si riattiva. In Africa, le forzeance- strali delle origini si impadroniscono dei corpi dei posseduti, men- tre losciamano amerindio viaggia in sogno verso la linea dell’oriz- zonte per andarea prendere notizie dei morti recenti che hanno raggiunto le divinita ancestrali.Nel complesso, e dunque la prossi- mita spaziale e temporale del presente edel passato mitico che si af- ferma e, piu ancora, la dipendenza del primo dalsecondo. Si capisce come in queste condizioni osservatori piu o meno in- ter-essati a questo aspetto della faccenda (missionari, amministra- tori, funzionaridi ogni genere... ed etnologi) siano stati tentati di attribuire genericamente allesocieta non occidentali, non indu- striali, sottosviluppate, un rapporto con iltempo troppo soggetto al fascino dell’evocazione delle origini, troppo invischi-ato nella ri- petizione rituale del ritorno ancestrale e nel rifiuto dell’evento in-novatore per riuscire a lanciarsi con efficacia nell’avventura della modernita.Era chiaramente un modo per confondere le acque e, soprattutto negli anniSessanta del secolo scorso, in un periodo in cui coesiste- vano piu modelli epis-temologici, per fare concessioni nello stesso tempo al modello culturalista e aquello evoluzionista. Secondo il primo, in ogni insieme socio-culturale esistonopiu livelli di realta sociale, ognuno dei quali, pero, e espressione degli altri: se siscopre la cifra di una delle letture possibili, si ottiene al contempo la capa- citadi capire le altre e il tutto specifico che esse compongono. Se- condo il modelloevoluzionista, la via dello sviluppo e rigorosamente indicata e ha, in particolare,implicazioni psicologiche individuali e collettive che tutti gli enti di ricerca, neldecennio di cui parliamo, 19 inserivano nei propri questionari come voci per-tinenti (per esempio, il senso del progresso o il tempo come valore in se). Ilpunto problematico consisteva chiaramente nel presupporre un concetto socialedi tempo che si credeva di poter inferire dalla presenza o assenza di qualchecategoria abitualmente considerata parte integrante della cassetta degli attrezzipropria a imprenditori, leader e dirigenti della classe capitalista. D’altronde, inquello stesso periodo (1965), Louis Althusser in Leggere il Capitale (1) faceva lacritica di quel concetto di tempo omo- geneo e contemporaneo a se che autor-izzava quella che definiva la cesura di essenza. Tale cesura, dove ogni elemento

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della totalita e dato in una copresenza, che e essa stessa presenza immediatadella sua essenza, diventata cosı immediatamente leggibile in se, (2) puntava adaggiornare la struttura specifica della totalita sociale che la ren- deva possibile.Ci trovavamo allora, in realta, davanti a una visione evoluzionista e cultural-ista del mondo, secondo la quale le societa si collocano su un continuum doveognuna di esse, nella sua totale pienezza, occupa un proprio posto funzional-mente armonioso. Se il concetto di un tempo sociale proprio di ciascun insiemeso- ciale e inammissibile, evidentemente ci saranno tante concezioni del tempoquante sono le mansioni da compiere: per riprendere per un istante l’esempiodegli Alladiani, i lavori agricoli non impon- gono le stesse scadenze e le stesseurgenze di una giornata di pesca in mare o dell’elaborazione di strategie mat-rimoniali a lungo termine. Inoltre, si potrebbero fare distinzioni tra un tempociclico, legato al calendario e ai ritmi agricoli (i quali, tra parentesi, fanno sıche tra gli agricoltori ci sia un senso acuto delle scadenze), e un tempo cu-mulativo legato all’eta e al percorso sociale. Edmund Leach aveva fatto questadistinzione nella sua Critique de l’anthropologie. (3) Nel 1947 Maurice Halb-wach (4) aveva gia fatto notare l’esistenza, in un’u- nica societa, di tanti tempicollettivi quanti sono i gruppi separati e l’assenza di un tempo unificante chesi impone a tutti. A sua volta lo storico Jacques Le Goff, dopo aver distinto,nel Medioevo, il tempo della Chiesa da quello del mercante, osservava come ilprimo 20 fosse un orizzonte presente anche nell’esistenza del mercante, ma cheil tempo nel quale operava professionalmente non era quello in cui viveva reli-giosamente. (5) La distinzione dei diversi tempi era da molto tempo alla basedelle inchieste etnologiche sul campo. Gia nel 1939 Edward E. Evans-Pritchard,a proposito dei Nuer, aveva di- stinto tra tempo strutturale e tempo ecologico.(6) Di nuovo negli anni Sessanta, una ricerca diretta da Georges Balandier dis-tingueva tra tempo non utilitario, tempo ecologico e tempo utilitario. (7) Sivede dunque che non tutti gli etnologi e non tutti gli osserva- tori sono stativittime dell’illusione evoluzionista e culturalista. Ma non e questo l’aspetto piuimportante. Per quello che qui ci inte- ressa, l’aspetto rimarchevole e l’insistenzacon la quale etnologi, so- ciologi, storici e filosofi sono tornati, nel decennio inquestione, sull’argomento del tempo e dello sviluppo. Per la maggior partedi costoro non si e trattato di una discussione puramente speculativa, ma deltentativo di riflettere sulle condizioni che rendono possi- bile lo sviluppo. Perqualcuno non si e trattato tanto di sviluppo, un concetto del quale si denunci-ava il carattere ideologico, quanto di rivoluzione. In ogni caso, da parte sia deimarxisti sia dei teorici li- berali dello sviluppo e del decollo, c’e stato il tenta-tivo di co- struire un pensiero dell’avvenire che, per quanto attraversato da con-traddizioni e polemiche, non era ancora minato dal dubbio e dallo scetticismo.Questo atteggiamento sara dominante fino agli anni Settanta. E possibile fareun’altra osservazione a proposito dell’espressione culture dell’immanenza. Essanon tende tanto a distinguere que- ste culture dalle altre quanto a individuare inogni societa la propria dimensione immanente, la propria parte di immanenza.Perche i riferimenti collettivi ufficiali sono una cosa e le modalita pratiche diesistenza un’altra. Gli individui e i gruppi umani in maggioranza privilegianola sicurezza di un ambiente a loro noto a un avvenire prefigurato e si sforzano dilimitare per quanto e possibile la portata dell’evento. Nelle societa complesse,nelle quali le divisioni di classe e le differenze di rango e di qualifica professionalesono nette e mol- 17 teplici, l’impiego del termine cultura, sempre problematico,e par- ticolarmente delicato. Mi sembra comunque possibile accostare la cul-

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tura dell’immanenza a cio che Pierre Bourdieu chiama habitus, definito comesistema di disposizioni a essere e a fare, desiderio di essere che, in certo modo,cerca di creare le condizioni del proprio conseguimento. Quel sentirsi a casa nelquale si ritrovano gli in- dividui e al quale contribuiscono, indipendentementeda qualsiasi specifico riferimento cosmologico, tanto il contesto materiale (edi-ficio, mobili, attrezzature domestiche) quanto i rapporti di prossi- mita (amici,congiunti, relazioni), e un mondo dell’immanenza, un luogo di immanenza che etale proprio nella misura in cui coloro che lo creano, a prescindere dalle determi-nazioni che rimangono in gran parte esterne a loro, intendono perpetuarlo il piua lungo pos- sibile, soprattutto cercando solo lı le ragioni del proprio divenire.Scrive Bourdieu: Il corpo e nel mondo sociale, ma il mondo so- ciale e nel corpo[...]. Le strutture stesse del mondo sono presenti nelle strutture (o meglio neglischemi cognitivi) che gli agenti met- tono in funzione per capirli [...]. (8) Non sipotrebbero definire me- glio le societa del lignaggio africane o altre societa piu omeno in- differenziate che sicuramente Bourdieu, etnologo della Kabilia, avevain mente nel momento in cui scriveva queste parole: L’indi- scutibile fascinodelle societa stabili e poco differenziate, luogo per eccellenza secondo Hegel, chene aveva avuto un’intuizione acutis- sima, della liberta concreta dell’essere ”acasa propria” (bei sich sein) cio che e, trova il suo principio nella coincidenzaquasi perfetta tra habitus e habitat, tra gli schemi della visione mitica del mondoe La struttura dello spazio domestico organizzato secondo le stesse opposizioni,o ancora tra le speranze e le opportunita effettive di realizzarle. Nelle stessesocieta differenziate tutta una serie di mec- canismi sociali tende ad assicurarel’adeguamento delle disposi- zioni alle posizioni, offrendo cosı a chi ne beneficiaun’esperienza incantata (o mistificata) del mondo sociale. (9) L’errore di certifautori dello sviluppo degli anni Sessanta e certamente consistito nel pretenderedi agire direttamente su 22 schemi mentali dei quali non comprendevano ne lanatura ne la funzione, facendone espressione di una mentalita considerata daqualcuno riformabile e da altri irrimediabilmente cristallizzata. Di converso,tutti i dibattiti del periodo che affrontavano i rapporti tra tempo e societa sonointeressanti per due ragioni: da una parte ci sollecitano a riflettere sulla cate-goria del simbolico e sullo statuto degli schemi preesistenti alla produzione disenso da parte degli individui in societa; dall’altra ci invitano a interrogarci suimotivi per cui il grande dibattito sul tempo e sul futuro degli anni Sessantaabbia mancato l’obiettivo e, al di la di questo, sui motivi per cui oggi il tempocome principio di speranza sembra essere scomparso dalle nostre discussioni,dalle nostre coscienze e dalle nostre pro- spettive politiche.

Note al capitolo 1. Louis Althusser, Lire le Capital Maspero, Paris, 1965[trad it.: Leggere il Ca- pitale, Mimesis, Milano, 2006]. 2. Ibid., p. 40. 3.Edmund Leach, Critique de l’anthropologie, PUF, Paris, 1968 [ediz. originaleRethinking Anthropology, Dikens, Northampton, 1966]. 4. Maurice Halbwachs,La memoire collective et le temps, Cahiers internationaux de sociologie, II, 1947[trad. it.: La memoria collettiva, Unicopli, Milano, 2007]. 5. Jacques Le Goff,Temps de l’Eglise et temps du marchand, Annales, XV (3), maggio-giugno 1960[trad. it.: Tempo della Chiesa e tempo del mercante e altri saggi sul lavoroe la cultura nel Medioevo, Einaudi, Torino, 2000]. 6. E. Evans-Pritchard,Nuer Time Reckoning, Africa, 12, 1939 [trad. it.: [Nuer: un’anarchia ordinata,Franco Angeli, Milano, 2004]. 7. Georges Balandier, Le Temps et la montre enAfrique noire, Federation horlogere suisse, Bienne, 1963. 8. Pierre Bourdieu,Meditations pascaliennes, Seuil, Paris, 2003, p. 218 [trad. it.: Meditazioni

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pascaliane, Feltrinelli, Milano, 1998]. 9. Ibid, p. 213. 23

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Chapter 2

Cambiamento di scala,stato delle questioni e statodei luoghi

Sul mondo dei nostri riferimenti quotidiani, come sull’impero di Carlo V, nontramonta mai il sole e noi abbiamo il presentimento che, bene o male, la sortedegli uni non possa essere del tutto estranea a quella degli altri. Il mondo fattodi informazioni e immagini che ci sommerge conferma la nostra sensazione divivere in una situazione (globale) ad anello, dalla quale sono eventualmenteeliminati gli scarti alla regola piu inopportuni. La resistenza a questo stato dicose si e espressa di recente piu volte negli incontri dei movimenti cosiddettino global o altermondialisti, movimenti piuttosto eterogenei che vanno primadi tutto considerati sintomi di una presa di coscienza planetaria. Una presa dicoscienza, tuttavia, che rimane per il momento frammentaria e impotente: ilnuovo spazio pubblico planetario non e ancora nato e, a conti fatti, quella chedomina tra gli osservatori del mondo contemporaneo e una sorpresa affascinatadavanti all’ampiezza di un improvviso cambiamento di scala e di scenario, delquale non hanno saputo ne sanno ancora immaginare gli effetti e le conseguenzea lungo termine. 25 Noi viviamo, senza avere abbastanza coraggio per ren-dercene conto, in un periodo di transizione al termine del quale la Terra sarasolo un punto di riferimento e di partenza. L’esplorazione dello spazio e appenaagli inizi, ma l’evoluzione politica e scientifica del pianeta e gia ora profonda-mente orientata verso questa nuova prospettiva. La misura del tempo e dellospazio cambia dal momento in cui la Terra nel suo insieme diventa un punto diriferimento e di partenza, e cambia sulla Terra stessa: in molti ambiti il pianetain quanto tale e diventato l’unita spaziale di riferimento; mentre il secolo, chepotrebbe apparire un’unita storica risibile rispetto allo spazio-tempo all’internodel quale apprendiamo l’universo, rimarra un riferimento troppo vasto per dareconto della storia a venire. La famosa accelerazione della storia non e altroche la storia dei cambiamenti di misura e di riferimento che ne hanno permessoil farsi: a posteriori, noi identifichiamo le epoche preistoriche solo in terminidi ere e di eta, essenzialmente sulla base delle innovazioni tecnologiche chevi hanno visto la luce; i tempi storici si misurano in millenni e poi in secoli.Per dare conto della lotta per l’egemonia tra cristianesimo e islam nell’Europa

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mediterranea, contiamo ancora per gruppi di secoli; tra la riconquista cristianadi Toledo e quella di Granada intercorrono quattrocento anni. Per dare invececonto dell’epoca moderna, il secolo diventa un periodo troppo esteso: tra l’inizioe la fine dei secoli XVII, XVIII e XIX l’ampiezza dei cambiamenti scientifici epolitici e notevolissima, e anche se gli stili di pensiero e quelli estetici portano ilsegno di questo o di quel secolo, a costo di grandi approssimazioni, la pertinenzadi una scansione storica a frazioni di cento anni pone diversi problemi. Sonosfumature che rappresentano il massimo piacere per certi storici, ma l’essenzialeriguarda il presente: non basta affermare che nell’ultimo mezzo secolo si sonoverificate trasformazioni scientifiche e tecnologiche piu numerose e profonde diquelle che si sono verificate dalla comparsa dell’umanita? Nel corso del XXIsecolo, per avere la misura dei cambiamenti avvenuti non bisognera forse studi-are per frazioni di venti o di dieci anni? 26 Non appena prendiamo atto dellabrusca accelerazione dei cam- biamenti che hanno reso il pianeta uno spaziodi comunicazione, subito si attivano le sperimentazioni che domani renderannoil corpo umano atto a sopportare a lungo l’assenza di peso, a molti- plicarele prestazioni, a integrare elementi meccanici ed elettronici, ad avvicinarsi almodello di uomo bionico immaginato dalla fan- tascienza. Peraltro, la cooper-azione internazionale in materia di esplorazione dello spazio ben esprime l’unitaimposta al pianeta dai suoi nuovi obiettivi, anche se questa unita conferma irapporti di forza esistenti. Un bel giorno verremo a sapere della scoperta di unanuova America, o di tante nuove Americhe, mentre avremo visto partire gli es-ploratori dei nuovi tempi senza dare loro un’im- portanza maggiore di quella che,sei secoli fa, diedero ai conquista- dores i contadini dell’Estremadura. Eppure leconseguenze di que- sta nuova conquista saranno alla fine, da ogni punto di vista,ancora piu decisive per il futuro dei terrestri di quelle della prima. Da uno o duedecenni il presente e diventato egemonico. Agli occhi dei comuni mortali essonon e piu frutto della lenta matura- zione del passato, non lascia piu trasparirei lineamenti di possibili futuri, ma si impone come un fatto compiuto, schiac-ciante, il cui improvviso sorgere fa sparire il passato e satura l’immaginazionedel futuro. Questo mondo del presente e segnato dall’ambivalenza dell’im- pen-sato e dell’impensabile: impensato del consumo, che rispecchia l’immagine di unpresente invalicabile, caratterizzato dalla sovrab- bondanza degli oggetti che cipropone; impensabile della scienza, sempre al di la delle tecnologie che ne sonola ricaduta. Il mondo del consumo basta a se stesso, mostrando rimandi a unacosmolo- gia: si definisce attraverso le proprie modalita di uso. La cosmo- tec-nologia, intendendo con questo termine l’insieme delle tecnolo- gie messe a dis-posizione degli umani per la gestione della propria esistenza materiale e l’insiemedelle rappresentazioni a queste le- gate, e fine a se stessa. Essa definisce la naturae le modalita delle re- lazioni che gli umani possono intrattenere quando vi siriferiscono: 27 mondo dell’immanenza nel quale l’immagine rimanda all’imma-gine e il messaggio al messaggio; mondo da consumare subito, come i bignealla crema; mondo da consumare ma non da pen- sare; mondo dove si possonoattivare procedure di assistenza ma dove non e possibile elaborare strategie dicambiamento. Il mondo della scienza, invece, e sempre in movimento, alle fron-tiere del noto e dell’ignoto che tracciano le proprie orbite va- riabili negli spazidell’infinitamente grande e dell’infinitamente pic- colo. Rispetto alla sua verafinalita, ogni giorno piu esplicita (strut- tura dell’universo, origini e meccanismidella vita), le tecnologie che si richiudono ad anello intorno al pianeta sono solouna rica- duta rassicurante e, in questo senso, alienante. Ma l’indissolubile cop-

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pia scienza-tecnologia, per parte sua, ci promette soltanto sco- perte, orizzontisempre diversi e rovesciamento di prospettive. La storia delle scienze, la storiadelle idee e la storia dell’arte hanno tenuto sempre conto del contesto, ma il con-cetto di conte- sto puo essere inteso in modi differenti e inoltre non ha lo stessostatuto quando si riferisce alle scienze dure o alle scienze umane. Le scienze ele arti si sviluppano in ambiti particolari, in epoche particolari, e tutti sannoche non e possibile studiarle e compren- derle completamente se non alla luce diquel contesto generale. Ma si sviluppano anche in funzione di un contesto speci-fico a ognuna di esse, alla storia propria della disciplina. La distinzione classicanella storia delle scienze tra il punto di vista esterno e quello interno non e peroassoluta ed e suscettibile di evoluzione. In ogni caso, quello che e in discussionee il rapporto tra lo stato delle questioni (il punto di vista interno) e lo stato deiluoghi (il punto di vista esterno). In tutte le discipline scientifiche e artistiche lostato delle que- stioni e evolutivo: c’e un avanzamento delle conoscenze, visibil-mente cumulativo nel caso delle scienze tanto e inesauribile la loro materia; piutravagliato e il caso delle arti, nella misura in cui la materia stessa dell’opera (ilsuono, la luce) o le sue forme (la melo- dia, la figura, i colori) diventano l’oggettoe non piu il mezzo della 28 creazione e della ricerca artistica. Il che puo darespunto a riscoperte o a cedimenti al gusto del giorno che non hanno equivalentinel mondo scientifico: la scoperta dell’arte negra, a suo tempo, quella dei dip-inti degli aborigeni, piu di recente, appartengono a un tempo specificamenteartistico. Il caso delle scienze sociali si colloca a mezza via. Non si puo negareche abbiano fatto progressi nel corso del XX secolo: la carto- grafia del saperesi e arricchita; sono state studiate le modalita di or- ganizzazione sociale piudiverse; si sono aperti campi nuovi e rivo- luzionari (la psicoanalisi); nel casodella storia, i cambiamenti e i traumi che ha imposto, spesso tragicamente, agliindividui e alle so- cieta hanno rappresentato una sorta di sperimentazione invivo che e stata per queste discipline l’equivalente degli esperimenti scienti- fici.Gli etnologi, per esempio, hanno potuto studiare solo gruppi profondamentesconvolti dal contesto coloniale. Probabilmente, nel campo delle scienze socialinon e possibile, ne auspicabile, di- stinguere nettamente lo stato delle questionie lo stato dei luoghi. Lo stato dei luoghi e il contesto generale (economico,politico) nel quale si originano atteggiamenti mentali e comportamenti. Nellinguaggio marxista degli anni Sessanta e Settanta, si parlava in questo sensodi ideologia dominante. Le cose si semplificano e insieme si complicano per ilfatto che, evidentemente, lo stato delle questioni fa parte ogni giorno di piudello stato dei luoghi. I media diffondono un’informazione sulla scienza e sullesue ricadute tecnologiche che contribuisce alla for- mazione della coscienza so-ciale. E soprattutto, le politiche della ri- cerca, la scelta dei programmi (checostano sempre di piu) dipen- dono in gran parte dallo stato dei luoghi. Le modeculturali, le vicissitudini storiche e piu ancora i giochi economici gravano sullostato delle questioni. Lo scienziato, per dura che possa essere la sua disciplina,non e rinchiuso nella sua torre d’avorio. Il caso delle scienze umane o sociali eparticolare: lo stato dei luoghi fa tradizionalmente parte del loro oggetto. Inquesto senso sono scienze storiche (prese nella storia). Le scienze della naturae 29 della vita scoprono una complessita crescente, o cosı almeno si dice. Maquella che cresce davvero e la consapevolezza che esse hanno di tale complessita,che era lı fin dall’inizio. I grandi eventi ai quali queste scienze possono riferirsi(comparsa della vita, nascita del- l’universo) non si collocano ovviamente in untempo storico, ma sono piuttosto espressione della complessita del loro oggetto.

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Le scienze sociali, di converso, hanno a che fare con una du- plice complessita.In primo luogo, quella inerente al loro oggetto. A tale proposito e possibile par-lare di progresso della conoscenza (noi sappiamo piu cose oggi rispetto a ieri delmodo in cui si strut- turano e si simbolizzano le relazioni di potere, filiazione,alleanza, i sistemi religiosi, le organizzazioni economiche...). In secondo luogo, lacrescente complessita storica del loro oggetto: cambiano le formazioni politichee sociali, le ideologie, l’organizzazione dello spazio e la demografia, e questostesso cambiamento e anch’esso oggetto delle scienze sociali. Cio significa, perun verso, che lo stato dei luoghi e qui una limitazione, come per le scienze dure,ma anche un oggetto; e, per l’altro, che le scienze sociali, per questa stessa ra-gione, non sono evidentemente scienze a pari titolo di quelle della natura e dellavita. Questa constatazione non e affatto a favore di una concezione relativista,qualitativa e lassista di tali di- scipline, ma rimanda semplicemente al fatto che,nel campo delle scienze umane e sociali, gli oggetti e la sperimentazione sonosto- ria, a differenza di quanto avviene nelle scienze della natura e della vita.Non sono qui in discussione i mezzi e le tecniche della ricerca, e non bisognafarsi illusioni al riguardo: ne la demografia ne l’eco- nomia quantitativa, peresempio, hanno altro oggetto al di fuori di quello storico. Non sono scienze nelsenso della fisica, della chi- mica e della biologia. In ogni caso, e dell’evidenzache la ricerca deve diffidare. Lo stato delle questioni, in tutte le disciplinedella scienza, dell’arte o della gestione, puo essere un fattore di immobilismo,di routine, di ripetizione, quando si esprime in modo apparentemente definitivonelle formule che sanzionano la tirannia del presente; citiamo tra le piu recentiquelle che hanno spopolato: la fine della storia, la globalizzazione, o magari lapiu classica e vetusta legge del mer- cato, tutte formule che, presentate comeinvalicabili, rappresen- tano altrettanti interdetti a pensare. 30 Le espressionidell’evidenza, trasmesse e amplificate dal sistema mondiale delle comunicazioni,spesso appartengono simultanea- mente allo stato delle questioni e allo stato deiluoghi, e questa du- plice porosita ha tutte le probabilita di aumentare in futuro.Ma e caratteristica della fase di transizione che vede il pianeta trasfor- marsiinsensibilmente nel punto di partenza e di riferimento: una trasformazione chetocca insieme la storia generale e la storia delle scienze. Questo cambiamentodi scala puo avere una conseguenza posi- tiva, obbligando le scienze, la filosofiae le arti a scoprire e a esplo- rare i territori che hanno in comune. Il regnodella cosmotecnolo- gia presenta due facce: la prima e quella delle evidenze,luminosa e accecante; la seconda, la faccia nascosta, e quella sulla quale si puoimparare a decifrare la necessita delle consonanze tra scienze, tec- nologie e so-cieta. La ricerca scientifica fa scoperte la cui applica- zione in tutti i campi puotrasformare la vita e perfino l’identita degli esseri umani. Le questioni che poneriguardano la societa, non solo gli esperti o le anime belle ma tutti coloro chesi preoc- cupano dell’avvenire sociale dell’umanita. Le commissioni etiche o glialtri organismi ad hoc esprimono a loro modo l’esigenza di que- sta nuova collab-orazione. Ma ben oltre questa esigenza, la loro stessa comparsa rappresenta unfenomeno rilevante: la storia ha raggiunto la scienza. La storia ha raggiunto lascienza o, per essere piu precisi, la scienza e entrata nella storia. Non semplice-mente nel senso che le conseguenze della scienza, le sue applicazioni, possonoporre pro- blemi etici (si sa da tempo che scienza senza coscienza rovina l’a-nima), ma anche nel senso che gli oggetti della speculazione scien- tifica sonodiventati oggetti storici. La conquista dello spazio o l’esplorazione del viventeappartengono ormai allo stato dei luoghi, 31 non solo in ragione delle loro possi-

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bili applicazioni alla Terra e agli umani, ma anche perche aggiornano i parametridell’avvenire. Gli scienziati ne sono cosı consapevoli che sempre piu si affret-tano a sottolineare gli aspetti pratici, applicabili, delle loro sco- perte, in par-ticolare la loro ricaduta in ambito medico (a proposito della clonazione o degliesperimenti che combinano neuroni e mi- croprocessori), quasi amoderare con illinguaggio rassicurante della cosmotecnologia la vertigine che introducono nellastoria umana. L’avvenire delle nostre societa, l’avvenire del pianeta come in-sieme di societa, non e immaginabile facendo astrazione dalla scienza. E questa,a conti fatti, che ordinera il sociale, e l’opposizione tra i punti di vista internoed esterno diventera rapidamente obso- leta. 32

capitolo terzo Globalizzazione, urbanizzazione, comunicazione, istantaneitaEsiste oggi un’ideologia della globalita senza frontiere che si mani- festa nei

piu diversi campi dell’attivita umana mondiale. Quella attuale e una globalitain rete che produce effetti di omogeneizza- zione, ma anche di esclusione. Questatensione o contraddizione la possiamo misurare interrogandoci sul concetto diglobalizzazione nelle sue numerose accezioni e sul fenomeno piu impression-ante del secolo da poco compiuto: l’urbanizzazione del pianeta, identi- ficatadal demografo Herve Le Bras come una tappa decisiva della storia umana, unfenomeno di importanza pari a quello del passag- gio dall’economia di raccoltaall’agricoltura. Il termine globalizzazione richiama due ordini di realta: da unlato corrisponde all’estensione, su tutta la superficie terrestre, del mercato cosid-detto libero e delle reti tecnologiche di comunica- zione e informazione; dall’altrorimanda a quella che si potrebbe chiamare coscienza planetaria, o planetariz-zazione, che presenta anch’essa due aspetti. Ogni giorno di piu ci rendiamoconto di abitare uno stesso pia- neta fragile ed esposto a minacce, infinitamentepiccolo in un uni- 33 verso infinitamente grande. La coscienza planetaria e dinatura eco- logica ed e una coscienza inquieta: tutti noi condividiamo uno spa-zio limitato e lo trattiamo male. Questa consapevolezza influenza incontesta-bilmente il nostro rapporto con la storia, con la nostra storia, nella misura incui la delocalizza, anche a costo di lacerazioni e sofferenze senza precedenti suquesta scala. Le nuove situazioni di acculturazione, migrazione o esilio trasfor-mano la percezione del tempo ancor piu profondamente della percezione dellospazio. Siamo anche consapevoli del divario ogni giorno piu grande tra i piuricchi dei ricchi e i piu poveri dei poveri, e di quello parallelo tra sapere e ig-noranza; questa linea di rottura non si sovrappone perfettamente a quella trapaesi sviluppati e sottosviluppati (ci sono poveri ed esclusi dal sapere nei paesicosiddetti sviluppati; ci sono paesi scientificamente emergenti), ma contribuiscea riprodurla, in quanto i paesi sviluppati sono sempre meno impegnati nellapro- pria missione di diffusione scientifica. La coscienza planetaria, come co-scienza ecologica e sociale, e pertanto una coscienza infelice. L’attuale termineglobalizzazione si riferisce all’esistenza di un mercato mondiale libero, o pre-sunto tale, e di una rete tecnologica estesa alla Terra intera, alla quale pero nonha ancora accesso un gran numero di persone. Il mondo globale e dunque unmondo in rete, un sistema definito da parametri spaziali, ma anche econo- mici,tecnologici e politici. La dimensione politica e stata messa in evidenza da PaulVirilio in varie sue opere e soprattutto in La bomba informatica, (1) nella qualeanalizza la strategia del Pentagono americano e il suo con- cetto di opposizionetra globale e locale. Per il Pentagono, ci spiega Virilio, il globale e il sistema cheho appena descritto, ma conside- rato dal suo punto di vista, dal punto di vistadel sistema: esso e quindi interno; se restiamo in quest’ottica, il locale diventa

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cosı esterno. Nel mondo globalizzato, il globale si contrappone al locale comel’interno all’esterno. Quando Francis Fukuyama evoca la fine della storia persottolineare come il connubio democrazia rap- 34 presentativa-economia liberalesia intellettualmente insuperabile, introduce nello stesso tempo una contrappo-sizione tra sistema e storia che ricalca quella tra globale e locale. Nel mondoglobale la storia, nel senso di una contestazione al sistema, puo solo veniredall’esterno, dal locale. Il mondo globale presuppone, almeno ideal- mente, lacancellazione delle frontiere e delle contestazioni, a van- taggio di una rete dicomunicazioni istantanea. La cancellazione delle frontiere, che si vorrebbe fosseuna cancel- lazione del tempo, e messa in scena dalle tecnologie dell’immaginee dall’organizzazione dello spazio. Sul pianeta si moltiplicano gli spazi di circo-lazione, di consumo e di comunicazione, rendendo vi- sibile molto concretamentel’esistenza della rete. La storia (il di- stanziamento nel tempo) e congelata inrappresentazioni di diverso ordine che la rendono uno spettacolo per il presentee in partico- lare per i turisti in visita nel mondo. La distanza culturale e geogra-fica (il distanziamento nello spazio) subisce un’identica sorte. L’e- sotismo, chee sempre stato un’illusione, diventa doppiamente illusorio da quando e messo inscena. Le stesse catene alberghiere, le stesse reti televisive, rinserrano il globoper darci la sensazione di un mondo uniforme, uguale dappertutto, in cui solo glispettacoli cambiano, come a Broadway e Disneyland. Il regno dell’imma- gine,rafforzato dallo sviluppo delle reti di comunicazione, accen- tua nello stessotempo il carattere iperreale del sistema, per ri- prendere l’espressione di Um-berto Eco, e la crescente indistinzione tra realta e fiction. Nel sistema tutto espettacolo, ma l’accesso allo spettacolo si identifica con il massimo del consumo.Il nuovo spazio planetario esiste, ma non esiste uno spazio pub- blico planetario.Lo spazio pubblico e quello in cui si forma l’opi- nione pubblica. Nella Greciadella polis, c’era una coincidenza tra lo spazio materiale dell’agora e il luogodi espressione e di forma- zione dell’opinione pubblica. In certe citta italiane,dove sussiste una cultura della pubblica piazza, si vedono ancora gruppi di per-sone (soprattutto uomini) che discutono, talora con passione, delle faccende lo-cali o nazionali. A Londra, Hyde Park accoglie i predi- 35 catori, ma anchegli oratori che esprimono la propria opinione sulla pubblica via. Tuttavia, ci sirende ben conto come negli Stati moderni lo spa- zio pubblico non possa lim-itarsi a qualche piazza nel centro delle citta. Il loro posto e stato preso dallastampa e dalla radio, che in linea di principio gestiscono rubriche (spazi) nellequali i lettori o gli ascoltatori possono esprimere le loro opinioni. La stampa eparte dello spazio pubblico anche quando si afferma come stampa d’opinione.Quest’ultima, che si sia piu o meno d’accordo con le sue idee, svolge un ruoloimportante nella formazione e nell’infor- mazione del pubblico, proprio perche eimpegnata nella vita pubblica e prende posizione. E piuttosto la stampa cosid-detta apo- litica ad avere spesso un ruolo insidioso in quanto presenta l’attua-lita ufficiale come la norma, modellando cosı inconsapevolmente il modo di sen-tire degli individui. Le cose si complicano con la tecnica dei sondaggi detti d’opi-nione e ancor piu con la televisione. I sondaggi pretendono di for- nire una fo-tografia istantanea dell’opinione in un momento dato, ma si sa che le rispostefornite nel corso delle inchieste dipendono spesso da come sono formulate ledomande. La televisione e sempre piu parolaia e oltretutto da voce a testi-moni o organizza dibattiti tra individui che si suppone esprimano la diversitadell’opinione pubblica, senza pero che vi sia alcuna garanzia di una rappresenta-tivita statistica. Le nuove tecniche di comunicazione, soprattutto Internet, of-

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frono uno straordinario canale per scambi di ogni ge- nere, ma Internet non eaperto a tutti, puo essere confiscato da gruppi organizzati e si presta a talunemanipolazioni. La globalizzazione rende ancora piu complicato lo schema, siaperche comporta una proliferazione delle immagini e dei messaggi, sia perchecontribuisce a uniformare l’informazione, gli orienta- menti e i gusti. Non esisteuno spazio pubblico planetario proprio quando noi, ogni giorno di piu, ci rendi-amo conto che la nostra esistenza dipende da decisioni e da fatti che sfuggono alnostro controllo diretto e che non hanno senso se non su scala globale. I media,che per il momento rappresentano un succedaneo di tale spazio pubblico plane-tario inesistente, sono costantemente esposti alla tentazione di confondere spaziopubblico e spazio del pubblico, nel senso teatrale del termine. Il pubblico, chetalora si vuole se- durre e lusingare piuttosto che informare, e spesso indotto aconsu- mare passivamente le notizie del mondo, come un qualunque spet- tacolocinematografico o televisivo. L’essere umano, pero, rimane un animale politico,nel senso greco del termine. Quali che siano i limiti del sistema globale, que-sto animale non rinuncia a esprimersi, in piazza, con il voto o in altri modi.Di recente e accaduto un fatto che non sara certo privo di conseguenze: sonostate condotte alcune inchieste mondiali a proposito delle elezioni presidenzialiamericane del 2004. La scelta del mondo - che ha preferito Kerry a Bush, trannein due paesi - non e stata quella della maggioranza del popolo americano. Mal’aspetto piu interessante e significativo e che, per la prima volta nella storia delpianeta, qualcuno abbia avuto l’idea di fare quei sondaggi. Sappiamo tutti chele scelte degli Stati Uniti riguardano ognuno di noi. Sappiamo tutti che la vitapolitica, come quella economica, ha cambiato di scala. E che sta per nascerequalche cosa che assomiglia a un’opinione pubblica mondiale. Un’opinione mon-diale non vuole necessariamente dire un’opinione unanime, quanto un’opinioneche si occupa del mondo intero. Alla stessa stregua, una cultura mondiale none una cultura omogenea o unica, ma una cultura che si preoccupa delle sorti delmondo. Non siamo ancora cittadini del mondo, ma se non smettiamo di interes-sarci allo stato del mondo avremo la possibilita di restare cittadini del nostropaese e di diventare forse un giorno cittadini della Terra. C’e dunque un chedi affascinante nella rapida propagazione dei mezzi di trasmissione istantaneadei messaggi e delle immagini. E un fenomeno del quale non si puo ignorarel’esistenza o sottova- lutare l’importanza, ma bisogna essere vigili riguardo airischi che comporta. Che sono commisurati alle speranze che puo suscitare, peresempio nel campo dell’istruzione e dell’informazione: i media 37 sono un’ottimacosa, purche chi vi fa ricorso non dimentichi che si tratta di mezzi e non di finie che le immagini non sono la realta. Quest’ultima proposizione pone tuttavianumerose difficolta. Prima di tutto i media, nella forma attuale, tendono ainsinuarsi nell’intimita del corpo di chi li utilizza. Si vedono sempre piu per-sone che sembrano dipendere quasi fisicamente dal cellulare, dal computer, dalmondo musicale che, con le cuffie alle orecchie, si portano in giro nel cuore dellecitta come in viaggio. Questo acco- stamento dei mezzi di comunicazione alcorpo, che le persone ac- quisiscono progressivamente e finiscono per abitare,e proprio il fenomeno prefigurato dalla fantascienza (pensiamo all’uomo e alladonna bionici dei telefilm americani) e dalle favole del passato, in tutte le cul-ture, che giocano con le capacita del corpo umano. E lo ritroviamo anche nelleinnovazioni piu recenti nel campo della si- curezza: oggi, in alcuni paesi, certipiccoli criminali o delinquenti colpevoli di reati sessuali sono lasciati in libertaapparente, ma ob- bligati a portare un braccialetto elettronico che ne segnala

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la pre- senza o l’identita. Sappiamo gia che un individuo ricercato per un qual-siasi motivo puo essere rintracciato o ritrovato grazie al suo cellulare. Non cie possibile, ormai, dissociare l’immagine dei media dalla funzione che svolgonodiscretamente, mettendo sotto sorveglianza la vita pubblica e privata. Un giornoforse l’essere umano sara tanto dipendente dai mezzi di comunicazione, ai qualiil suo corpo e sempre piu letteralmente connesso, quanto lo e dal corpo stesso,il quale, come ben sap- piamo, impone di malattia in malattia la propria leggeall’essere che alla fine scompare con lui. L’uomo dipendera dai nuovi mezzi dicomunicazione e informazione allo stesso modo in cui oggi di- pende dai propriocchiali o dall’apparecchio acustico. La miniatu- rizzazione dell’elettronica ac-centua questa tendenza, come pure la multifunzionalita degli apparecchi: con ilnostro cellulare possiamo gia fotografare e addirittura guardare la televisione.E difficile im- maginare l’effetto di queste nuove contiguita, di questi innestitec- nologici, sulle generazioni a venire. 38 Infine, continua a porsi il problemadi quello che i media diffon- dono e trasmettono. Abbondano gli esempi dimanipolazione da parte dei poteri costituiti. Sappiamo che e possibile far direalle immagini quello che si vuole. Ma la questione e ancora piu com- plessa ela globalizzazione non semplifica le cose: non solo vediamo solo quello che civogliono mostrare, ma la forza delle immagini reiterate e tale da poterci indurrea considerare i messaggi che ci vengono imposti come la storia stessa, la pura esemplice realta. Non ci sono piu eventi al di fuori di quelli mediatizzati. L’espres-sione evento mediatico e un pleonasmo. Anche quando non siamo d’accordo conquesto o quel commentatore, anche se ab- biamo reazioni personali davanti aifatti del mondo, noi cre- diamo di conoscerlo questo mondo e i suoi attori. Ab-biamo una fa- miliarita sempre piu grande con lo stato del mondo, e l’evidenzadelle immagini ci fa dimenticare che in realta non abbiamo visto niente, chesappiamo poco e lo sappiamo male. Alla stessa stregua, crediamo di conoscerele persone che ci governano perche ne rico- nosciamo l’immagine. L’effetto per-verso dei media, indipendente- mente dalla qualita e dalle intenzioni di chi lidirige, sta nel fatto che ci insegnano a riconoscere, ovvero a credere di conosceree non a conoscere o ad apprendere. L’effetto perverso dei media consiste anchenel cancellare im- percettibilmente la frontiera tra realta e finzione. La televi-sione opera per lo piu nel senso di questa cancellazione, perche crea un mondoartificiale con persone reali, il mondo della televisione, nel quale si ritrovanoindifferentemente, in una specie di Olimpo catodico, personalita politiche, stelledel varieta, attori, presenta- tori, campioni sportivi e altre celebrita. Nei tele-spettatori nasce pian piano la sensazione che apparire sullo schermo sia la provaul- tima di un’esistenza riuscita. Vivere intensamente e a conti fatti esisterenello sguatdo degli altri, diventare un’immagine, passare dall’altta parte delloschermo. Ma la televisione non e sola in que- sta faccenda e fa appello a tuttele risorse della tecnologia per in- durre gli spettatori a diventare oggetto dellosguardo degli altri. 39 Invita il pubblico a scrivere e-mail e SMS, a mettere infunzione computer e cellulari, che a loro volta suscitano l’immagine di un mondosenza frontiere nel quale la comunicazione e istantanea, fino al punto di offrirela ricompensa suprema: entrare nello schermo in occasione di un programma direality. In altri termini, i media svolgono oggi il ruolo che un tempo spettava allecosmologie, alle visioni del mondo che sono al tempo stesso visioni della personae che creano un’apparenza di senso le- gando strettamente i due punti di vista.Le cosmologie articolano lo spazio e il tempo simbolizzandoli, cioe imponendoa entrambi un ordine arbitrario che si afferma anche sulle relazioni che gli es-

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seri umani intrattengono tra di loro e con il mondo. L’indispensa- bile necessitadi dare senso all’universo, che Levi-Strauss lega al- l’apparizione del linguaggio,si e attuata con l’imposizione sulla realta del mondo di una logica simbolicaapplicata anche alle rela- zioni tra gli umani. Oggi si sta verificando la stessasituazione con quelle che si potrebbero chiamare le societa del codice, salvo cheora le relazioni tra umani dipendono ogni giorno di piu dalle rela- zioni con letecnologie e i media, che sono i prodotti piu elaborati della societa dei consumi:sono relazioni che passano attraverso i mezzi di comunicazione. In questo sensonon sono piu relazioni simbolizzate; sono comandate da codici e da regole ef-fimere. Dopo il loro uso, l’utilizzatore/consumatore ritorna alla sua solitudine.Nello stato attuale del mondo il ruolo dei media e delle tecnolo- gie e inscindibiledal fenomeno della globalizzazione, se con questo termine intendiamo la com-binazione del mercato liberista planeta- rio e della comunicazione generale is-tantanea. Questa combina- zione e in sintonia, sul piano filosofico, con il temadella fine della storia. Il regno delle immagini e dei messaggi, che circolano inogni direzione e in modo istantaneo grazie alle tecnologie della co- municazione,conforta questa ideologia del presente. Nella nostra epoca, le tecnologie fannoconcorrenza alle religioni e alle filosofie nella ricomposizione del tempo e dellospazio. I media strutturano il nostro tempo quotidiano, stagionale e annuale.La vita politica, 40 artistica, sportiva non e piu concepibile senza l’intromissionedei media, che cambiano la nostra relazione con lo spazio e con il tempo impo-nendoci, con la forza delle immagini, una certa idea del bello, del vero e del bene,e anche una certa idea dell’abituale, del solito e, a conti fatti, della norma; inaltre parole, un’idea del consumo che continuano a riprodurre essendo essi stessibeni di consumo. Sono totalitari per essenza. La cosmotecnologia spiega tutto,racconta tutto e si rivolge a tutti. Come le altre cosmologie, aliena chiunquela prenda alla lettera. Completano questo quadro l’urbanizzazione del mondo,l’e- stensione dei filamenti urbani di cui parla il demografo Herve Le Bras nelsuo libro La Planete au village, (2) il fatto che la vita politica ed economica delpianeta dipenda da centri di decisione situati nelle grandi metropoli mondiali,tutte interconesse, che costitui- scono insieme una specie di metacitta virtuale(Paul Virilio). Il mondo e come un’unica immensa citta. Questo mondo-citta,al cui interno circolano e vengono scambiati prodotti di tutti i tipi, compresi imessaggi, gli artisti e le mode, estende i propri tentacoli su tutto il pianeta ecostituisce lo spazio nel quale si esprime in ogni suo aspetto la cosmotecnologia.E’ pero anche vero che ogni grande citta e un mondo a se e che riassume inse il mondo, con la sua diversita etnica, culturale, so- ciale ed economica. Lefrontiere o le barriere la cui esistenza ten- diamo spesso a dimenticare, davantiallo spettacolo affascinante della globalizzazione, le ritroviamo evidenti, impi-etosamente di- scriminanti, nel tessuto urbano tanto variegato quanto lacerato.Si ha in mente la citta quando si parla di quartieri difficili, di ghetti, di poverta edi sottosviluppo. Nella grande citta, nella megalopoli, e dove si concentrano gliimmigrati in fuga dai paesi del Sud, quei paesi per loro fuori sistema ma che os-pitano spesso le strut- ture alberghiere internazionali dove vengono a rilassarsii turisti ve- nuti dal Nord. Una grande metropoli oggi accoglie e tiene sepa-rate tutte le diversita e le diseguaglianze del mondo. Tracce di sottosvilupposi ritrovano in un centro urbano come quello di New 41 York, mentre ci sonoquartieri d’affari connessi alla rete mondiale in alcune citta del Terzo mondo.La citta-mondo relativizza o smentisce con la sua sola esistenza le illusioni delmondo-citta. Muri, separazioni, barriere appaiono su scala locale e nelle piu

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banali pratiche quotidiane dello spazio. In Nord-America esistono citta private;in America latina, al Cairo, e ovunque nel mondo, si vedono nascere quartieriprivati, settori della citta dove non e pos- sibile entrare se non giustificando lapropria identita e le proprie relazioni. Ci siamo abituati al fatto che lo stabilenel quale viviamo in citta sia protetto da codici di accesso, e abbiamo accesso alcon- sumo grazie a certi codici (che siano carte di credito, telefoni cellu- lari ocarte speciali create da ipermercati, compagnie aeree o altre aziende). Visto congli occhi del singolo e dal centro della citta, il mondo globale e un mondo delladiscontinuita e dell’interdetto. L’opposizione tra mondo-citta e citta-mondo eparallela a quella tra sistema e storia. Ne rappresenta, per cosı dire, la conc-reta tradu- zione spaziale e comporta conseguenze nel campo dell’estetica, del-l’arte e dell’architettura. I grandi architetti sono diventati star inter- nazionali:quando una citta aspira a figurare sulla rete mondiale, cerca di affidare a uno diloro la realizzazione di un edificio che abbia valore di monumento, di testimoni-anza, che ne provi la pre- senza al mondo, ovvero l’esistenza nella rete, nel sis-tema. I progetti architettonici tengono conto, in linea di principio, del contestostorico e geografico, ma alle loro spalle piomba il consumo mon- diale: la massadi turisti provenienti da tutto il mondo che ne san- ziona il successo. Il coloreglobale cancella il colore locale. Questo, trasformato in immagine e accessoriod’arredo, e un locale dai co- lori globali, un’espressione del sistema. La grandearchitettura mondiale si inscrive nell’estetica contem- poranea, un’estetica delladistanza che tende a farci ignorare tutti gli effetti di rottura. Le foto prese daisatelliti, le vedute aeree, ci abi- tuano a una visione globale delle cose. Vistada lontano e dall’alto, la miseria e bella e pittoresca. Le grandi torri di ufficio abitazioni educano lo sguardo, come hanno fatto e continuano a fare il ci- 42nema e la televisione. Le auto che corrono sull’autostrada, il decollo degli aereisulle piste degli aeroporti, i navigatori solitari che fanno il giro del mondo a velasotto lo sguardo dei telespettatori, ci of- frono un’immagine del mondo comeci piacerebbe che fosse. Ma questa immagine svanisce se la osserviamo troppoda vicino e se ci impegniamo, come ci invitava Michel de Certeau, a misurare apiedi la citta, per riscoprirla nella sua intimita violenta, contrastata e contrad-dittoria. Lo spettacolo del mondo globalizzato ci pone cosı davanti a una seriedi contraddizioni che hanno tutta l’apparenza della falsita. Contraddizione tral’esistenza proclamata di uno spazio planetario, aperto alla libera circolazionedelle merci, delle persone e delle idee, e la realta di un mondo nel quale i piu fortiproteggono i propri in- teressi e la propria produzione; nel quale i piu poveritentano, spesso invano e a costo della loro vita, di rifugiarsi nei paesi ricchi, cheli accolgono con il contagocce; nel quale la guerra delle idee e delle ideologietrova un campo di azione nuovo nella rete interna- zionale delle comunicazioni.Contraddizione tra l’esistenza procla- mata di uno spazio continuo e la realta diun mondo discontinuo, nel quale proliferano i divieti di ogni genere. Contrad-dizione, in- fine, tra il mondo del sapere, che pretende di indicare la data di na-scita dell’universo, di misurare in milioni di anni-luce la distanza dalle galassiepiu lontane, di datare con certezza la breve comparsa dell’uomo sulla Terra, ela realta sociale e politica di un mondo nel quale tanti esseri umani si sentonoinsieme spossessati del proprio passato e privati del futuro.

Note al capitolo 1. Paul Virilio, La Bombe informatique, Galilee, Paris, 1998[trad. it.: La bomba informatica, Cortina, Milano, 2000]. 2. Herve Le Bras, LaPlanete au village, L’Aube-DATAR, La Tour-d’Aigues, 1993. 43

Capitolo quarto Contemporaneita e coscienza storica

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Pensare il tempo rappresenta oggi una sfida e una necessita. Una sfida,perche ogni cosa ci suggerisce o vuole farci credere che vi- viamo in un sis-tema che si colloca definitivamente fuori della sto- ria. Una necessita, percheil tema della fine della storia che nega la speranza ai tanti esclusi del sistemaglobale oggi esistente, e porta- tore di tutte le violenze. Sara forse utile, primadi interrogarci su un possibile pensiero del tempo nel contesto della globaliz-zazione economica e tecnologica, aprire una parentesi sulla questione dell’arte edell’estetica. L’arte e, piu precisamente, la creazione artistica e letteraria pon-gono infatti il problema della contemporaneita. Da molti punti di vista sonote- stimoni del nostro rapporto con il tempo e in particolare del rap- porto si-multaneo con il passato e il futuro che, quando e condiviso, definisce una formadi contemporaneita. Per rispondere alla do- manda che significa oggi essereartista o creatore?, e necessario tener conto di numerose questioni che hannotutte una dimen- sione antropologica e, soprattutto, considerare i tre seguentiinter- rogativi: 45 a. Che significa appartenere al proprio tempo? b. Che cos’eoggi il nostro tempo? c. Dove si collocano i punti di articolazione tra la nos-tra epoca e la creazione artistica e letteraria? Michel Leiris, nel suo saggio LeRuban au cou d’Olympia, (1) fa due osservazioni in contrasto tra loro. Da unlato nota come arrivi un momento, nella vita delle persone, in cui queste pos-sono avere la sensazione di non appartenere piu completamente all’epoca in cuiperaltro vivono; una sensazione che puo essere particolarmente do- lorosa per ilcreatore, scrittore o artista, che si accorge di non avere piu niente da dire allapropria epoca, perche essa non gli dice piu niente. Ma Leiris fa anche notarecome sia sempre difficile definire o inquadrare i caratteri specifici dell’epoca incui si vive. Se si volge lo sguardo al passato, capita invece di percepire conmaggiore chia- rezza gli elementi che legano un artista o un autore al propriotempo. Il particolare in pittura sarebbe uno di questi elementi che evidenzianosimultaneamente l’appartenenza di un artista al suo tempo e la sua presenza(o, se si preferisce, la sua sopravvivenza), nella storia dell’arte. Perche sta quiil paradosso: bisogna apparte- nere pienamente al proprio tempo per avere lapossibilita di soprav- vivergli. Il particolare puo allora apparire a posterioriun segno che promette una pertinenza storica. Il nastro nero intorno al collodi Olympia, (2) quel povero nastro, lusso da poveri, ci rimanda a di- stanzal’interesse, nuovo per l’arte di quel periodo e soprattutto nel- l’arte nobile delritratto, che Manet provava per la gente del po- polo e in senso lato per la citta ela rivoluzione industriale. E tuttavia Manet era un artista inquieto, scontento dinon essere ap- prezzato nel giusto valore dai suoi contemporanei. Ci sarebbe vo-luto un certo lasso di tempo prima che gli fosse riconosciuta una concordanzacon la sua epoca, la sua pertinenza, e che si affermasse la sua presenza agliocchi della posterita. Insomma, l’artista o l’au- tore contemporaneo che lasciatrasparire nelle opere del passato tracce di pertinenza storica e che e sensibilealla loro presenza (gli parlano ancora) deve trovare in questa esperienza motividi spe- ranza. La contemporaneita non e l’attualita. Il paradosso e dunque cheun’opera non e pienamente contem- poranea se non e al tempo stesso originalenei due sensi del ter- mine (d’epoca e unica insieme), ovvero se si accontenta diripro- durre l’esistente. Sono gli artisti che innovano ed eventualmente sorpren-dono o sviano quelli che, retrospettivamente, apparter- ranno a pieno titolo alproprio tempo. Per essere contemporanei c’e bisogno del passato e del futuro.Cio significa anche che l’arte si misura in base alle sue capacita di stabilire re-lazioni, cioe in base a quella che si potrebbe definire la sua capacita simbolica.

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Senza referenti, senza pubblico, l’arte atte- sta una solitudine assoluta. Deveessere sociale. La sua capacita sim- bolica si afferma ancora di piu quando ri-mane presente nel tempo, anche se la domanda di cui e oggetto puo evolversi ocambiare. Fa- cendo astrazione dalle leggi del mercato dell’arte (il che, va am-messo, oggi e particolarmente difficile), e possibile arrivare alla con- clusioneche in arte la legge della domanda e dell’offerta tende per lo piu a funzionareall’inverso: l’offerta dell’artista ha la forma di una domanda (mi capite?) e ladomanda del pubblico ha la forma di un appello (diteci qualcosa!). In sintesi,oggi come ieri, l’opera d’arte si misura in base a tre pa- rametri: a. Il suo in-scriversi in una storia specifica, la storia interna, sia pure a titolo rivoluzionario.b. Il suo articolarsi al proprio tempo, il suo esistere in rapporto alla storia es-terna, contestuale, anche se si manifesta solo a distanza di tempo. Questi dueprimi parametri definiscono la pertinenza di un’o- pera, sia in rapporto alla suaepoca sia rispetto alla storia dell’arte. c. La sua capacita simbolica, anche sesi manifesta in ritardo. 47 Questa capacita simbolica e l’attitudine a creare unlegame (in- tellettuale, affettivo o sociale) con coloro che la scoprono. E’ cioche definisce la presenza di un’opera. Il nostro tempo, quello nel quale abbiamola sensazione di vi- vere, e dunque un tempo accelerato che ci impone di fare iconti con altri tre paradossi, che si aggiungono a quelli che pensiamo di aver giaindividuato. Il primo paradosso, di cui abbiamo parlato in precedenza, e spa-zio-temporale. La misura del tempo e dello spazio cambia. La Terra e ormaisolo un punto infinitesimale rispetto al quale la distanza dalle stelle si misurain anni-luce, ma i cambiamenti sono tali, sulla Terra, che avremmo bisognodi periodi piu brevi per misurarli. Il secondo paradosso riguarda la comparsa,oggi, di un nuovo spazio-tempo che sembra sancire la perennita del presente,come se l’accelerazione del tempo impedisse di percepirne il movimento. Di quiuna pregnanza dello spazio nel linguaggio. L’opposizione tra lo- cale e globaleappartiene alla geografia e alla strategia. Riprendiamo brevemente le caratter-istiche del nuovo spazio-tempo nel quale sembra inscriversi la vita politica edeconomica del globo: a. Nelle rappresentazioni della globalizzazione economicae tec- nologica e ovviamente all’opera il riferimento mondialista, ma lo e anchenella coscienza ecologica e sociale di chi guarda con preoccu- pazione al cres-cente divario tra i piu ricchi dei ricchi e i piu poveri dei poveri. Uniformazione edisuguaglianza procedono di pari passo. b. La circolazione delle immagini e deimessaggi intorno al globo e da un punto all’altro del pianeta corrisponde a quellache ab- biamo chiamato cosmotecnologia. Parallelamente, vediamo estendersisu tutto il pianeta gli spazi del codice. Questi spazi della comunicazione, dellacircolazione e dei consumi questi nonluo- ghi, per riprendere il termine gia pro-posto nel 1992 sono riservati a singoli utilizzatori e non implicano la creazione direlazioni sociali specifiche e durevoli. Mettono solo provvisoriamente in coabita-zione individualita, passeggeri, passanti. 48 c. A questo sistema che suddividelo spazio sulla Terra, senza pero ricoprirla nella sua interezza, corrisponde unateoria della fine della storia formulata da Fukuyama, ma anticipata in un certosenso da Lyotard quando parlava della fine delle grandi narrazioni. La fine dellastoria non e tanto la fine della storia evenemenziale quanto l’affermazione diun accordo, che si presume generale, sul carattere definitivo della formula checoniuga economia di mercato e demo- crazia rappresentativa. A sua volta, lafine delle grandi narrazioni si applicava alla supposta scomparsa sia dei mitioriginari particolari- sti (le cosmogonie proprie di un gruppo) per effetto dellamodernita affermatasi dal XVIII secolo, sia dei miti escatologici universalisti,

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queste visioni del futuro dell’umanita, a causa dell’emergere della condizionepostmoderna successiva alle disillusioni del XX secolo. Il terzo paradosso, che eun’estensione del secondo, riguarda il fatto che la nuova ideologia del presentee quella di un mondo che, se per un istante si facesse astrazione dalle apparentievidenze dif- fuse dal sistema politico e tecnologico esistente, ci apparirebbe perquello che e: un mondo in piena eruzione storica. La scienza non e mai pro-gredita con tale rapidita. Nel giro di pochi anni l’idea di quello che possiamofare dell’universo, ma anche dell’uomo, sara completamente stravolta. D’altrocanto, la storia non ci ha mai posto sfide di tale portata, ovvero quelle di una sto-ria planetaria comune in corso di realizzazione. Infine, e probabile che stiamovivendo, con l’urbanizzazione del mondo, un cambiamento pari, se dobbiamocredere a Herve Le Bras, a quello che ha segnato il pas- saggio dal nomadismoall’agricoltura. E questo rende ancora piu intollerabile l’idea che le tante dis-eguaglianze svuotino di ogni con- tenuto reale il tema della contemporaneita.Se oggi le articolazioni della creazione artistica nel tempo che vi- viamo sonocosı difficili da individuare, cio avviene proprio perche questo tempo accelera esi sottrae al tempo stesso e perche la so- vrapposizione sul linguaggio temporaledel linguaggio spaziale, il primato del codice, che prescrive i comportamenti, sulsimbolico, 49 che costruisce le relazioni, ha effetti pesanti sulle condizioni dellacreazione. Il mondo che circonda l’artista e l’epoca in cui vive gli si palesano soloin forme mediatizzate - immagini, avvenimenti, messaggi che sono esse stesseeffetti, aspetti e motori del sistema globale. Questo sistema e l’ideologia di sestesso; funziona come le istruzioni per l’uso; fa letteralmente da schermo allarealta, alla quale si sostituisce o meglio della quale occupa il posto. Il malessereo lo smarrimento degli artisti davanti a questa situazione sono anche i nostri,o piu esattamente tendono a duplicare i nostri, e cosı ci in- terroghiamo nonsulla pertinenza degli artisti rispetto all’epoca, ma sulla natura e il significatodella loro presenza: che cosa hanno da dirci? Per questo ci capita ogni tantodi avere la sensazione che i grandi artisti del nostro tempo siano gli architetti.Sono loro che sposano il proprio tempo, ne elaborano le immagini e i simboli.I piu fa- mosi edificano singolarita ai quattro angoli del pianeta. Singolarita induplice senso: sono opere singolari, firmate, contrassegnate dalla sigla di unostile personale, ma anche opere che, al di la della loro giustificazione locale,sono concepite come curiosita planetarie, in grado di attrarre flussi turistici datutto il mondo. Nello stesso tempo l’architettura mondiale, nelle sue opere piusignificative, sembra alludere a una societa planetaria ancora inesistente e pro-pone frammenti brillanti di un’utopia esplosa: una societa della trasparenza chenon esiste ancora da nessuna parte. Se per un verso mette insieme le illusionidell’ideologia del presente ed esprime il trionfo del sistema nei punti piu fortidella rete planetaria, per l’al- tro verso disegna qualcosa che rientra nell’ordinedell’utopia e del- l’allusione, prospettando e rappresentando un tempo che non eancora arrivato, che forse non arrivera mai, ma che resta nel campo del possibile.In questo senso, il rapporto con il tempo espresso dalla grande architettura ur-bana contemporanea riproduce, ribaltandolo, il rap- porto con il tempo espressodallo spettacolo dei ruderi. I ruderi accumulano troppa storia per esprimere unastoria. Quella che sot- 50 topongono al nostro sguardo non e storia. E infatticio che vi per- cepiamo e piuttosto l’impossibilita di immaginare quello che rap-presentavano per coloro che le vedevano quando non erano ro- vine. Non cidicono la storia, ma il tempo, il tempo puro. Quando contempliamo le piramidimaya nella foresta tropicale del Messico o del Guatemala o i templi di Angkor

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che emergono dalla foresta cambogiana, abbiamo davanti agli occhi uno spetta-colo inedito, che non ci mostra nessuna storia: le rovine si edificano sulle rovinee ritornano alla natura solo quando sono abbandonate dagli uomini. Davantiallo spettacolo dei ruderi, quella che perce- piamo e l’impossibilita di apprenderela storia, una storia concreta, datata e vissuta. La percezione estetica del tempoe percezione di un’assenza, di un vuoto. Tale coscienza del vuoto e inerente allafruizione estetica dell’o- pera originale. Per questo le copie riconosciute cometali deludono: scontano la mancanza del vuoto. E ci rendiamo ben conto cheun pittore che oggi si mettesse a dipingere come Rubens o come qual- che altrogrande artista classico non interesserebbe a nessuno, men- tre l’opera di Rubense degli altri grandi artisti classici e sempre percepita come presente e pertinente.Quello che vale per il passato potrebbe essere vero anche per il futuro. Il tempopuro e indifferentemente passato (anche se non e storia) o futuro (anche se nonriguarda le prospettive o la pianifica- zione). La percezione del tempo puro e lapercezione attuale di un vuoto che struttura il presente orientandolo verso il pas-sato o l’av- venire; ed essa si produce tanto davanti allo spettacolo dell’Acropoliquanto osservando il museo di Bilbao. L’Acropoli e il museo di Bil- bao hannoun’esistenza allusiva, la presenza forte di una pertinenza indefinibile. Oggi gliartisti e gli scrittori sono forse condannati a ricercare la bellezza dei nonluoghi, ascoprirla resistendo alle apparenti evi- denze dell’attualita. E lo fanno scoprendoil carattere enigmatico degli oggetti, delle cose disconnesse da ogni esegesi e daogni istru- zione per l’uso, mettendo in scena e prendendo come oggetti i mezzidi comunicazione che si spacciano per mediatori, rifiutando il simulacro e lamimesi. Mallarme chiedeva che si procedesse con termini allusivi, mai diretti;per lui l’apparente ermetismo della poesia, come ricorda Alain Badiou nel suopiccolo manuale di Inestetica, (3) e espressione di quella momentanea ambiguitache serve a segnalare una pre- senza inaccessibile, in quanto sta oltre l’oggetto.Quello che Mal- larme dice della poesia vale anche per le attuali elaborazioniartisti- che, che si vogliono irriducibili a un’esegesi funzionale, storicista o etno-logica. Quando entrano in scena le religioni africane, quando si espongono unoaccanto all’altro altari religiosi, si sottolinea nel- l’oggetto cio che resiste alla suaimmagine e al suo impiego pra- tico. Siamo nel campo della de-oggettivazionemallarmeana, che manifesta inoltre un tempo puro, nella misura in cui da questioggetti e stata asportata la storia: essi non sono riducibili a nessuna storia che nepotrebbe dar conto. L’ermetismo dell’arte sta in questo: prende per oggetto leevi- denze del contesto per disfarle. Probabilmente e sempre stato cosı, ma oggil’arte deve fare i conti con il dilagare delle immagini, con la confusione tra realtae finzione, con l’evento mediatico, con il re- gime dell’evidenza e con il liberal-ismo che, permettendole di fare qualsiasi cosa, la recupera per farne un prodottodi mercato, per as- segnarla alla residenza museale o, molto piu semplicemente,per ignorarla. Cosı la misura della pertinenza e della presenza sugli esempidel passato e sull’attesa del futuro e resa piu difficile a causa dell’accelerazionedella storia. L’arte contemporanea e sempre soggetta al rischio di essere recu-perata dal consumo planetario. L’organizzazione della vita artistica, attraversole fondazioni, le biennali e i forum, disegna un mercato dell’arte che ha tutte leapparenze del mercato liberista globale. Questa situazione mette in evidenza acontrario la necessita di un’arte che prenda le distanze, che non si lasci assor-bire dalla cul- tura dominante (Jean Dubuffet, nel suo pamphlet AsphyxianteCulture pubblicato dalle Editions de Minuit, aveva scritto gia all’i- 52 niziodegli anni Ottanta che il primo dovere dell’artista e quello di rifuggire dalla

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cultura). Ma l’arte mette anche in evidenza la diffi- colta di questa auspicabilepresa di distanza. Yves Michaud, nel suo L’arte allo stato gassoso, (4) affermache l’estetica ha preso il posto del- l’arte, che la grande arte e morta, che l’artecontemporanea e un’e- sperienza globalizzata come il turismo di massa, che nonesistono piu l’opera, l’aura, la contemplazione, ma ci sono solo le mode. Le operesarebbero state sostituite dalle pose: gli eventi, gli incontri, le performance, leistallazioni altro non sarebbero che riproduzioni del contesto. In altre parole,il contesto farebbe da contenuto del- l’arte, che cosı conserverebbe una certapertinenza (rispetto all’e- poca), ma perderebbe qualsiasi presenza, qualsiasicapacita simbo- lica, trovandosi costretta a sottrarsi alle evidenze dell’immaginecon una nuova forma di ermetismo. E un giudizio certamente troppo severo otroppo pessimista, ma ha il merito di sottolineare il fatto che, nell’arte comealtrove, il contesto e stato sconvolto e che oggi sarebbe urgente ripensare lecondizioni della pertinenza, riannodando i legami tra storia in- terna e storiaesterna, tra storia della disciplina e storia contestuale. L’arte stenta ad attirarel’attenzione di un vasto pubblico sulle poche intuizioni luminose che continuanoa fondarne l’esistenza: l’immagine non e la realta; il reale dell’immagine none la cosa stessa; la storia continua, e continua tanto la storia interna che legal’arte al proprio passato quanto la storia contestuale che ne inter- roga il futuro.E appunto questa la nuova sfida lanciata all’arte con- temporanea: resistere allafagocitazione del contesto. A pensarci bene, si dovra ammettere che le scienzesociali e la letteratura, di- rettamente o indirettamente, si trovano davanti aun’identica sfida e che, come le arti figurative, hanno il compito urgente diprendere come oggetto proprio il contesto, se vogliono sottrarsi all’aliena- zioneche le minaccia. In altre parole, per gli artisti cosı come per gli osservatori dellasocieta e per i politici, si tratta di ritrovare insieme al senso del tempo ancheuna coscienza storica che consentano loro di edificare 53 una contemporaneitareale. L’arte, la societa e la storia sono conso- nanti nella buona e nella cattivasorte. Oggi le arti, anche le arti plastiche e l’architettura, chiacchie- rano volen-tieri. Il bisogno di mettere le cose per iscritto erode il processo artistico, comese l’espressione letteraria tendesse a diven- tare il complemento indispensabiledell’iniziativa formale. Questa constatazione fa sorgere numerosi interrogativi,quelli che si rivol- gono all’arte stessa, di cui abbiamo cercato di dare un’idea,e quelli che riguardano direttamente la letteratura. Quest’ultima e un fat- toreo un’espressione del cambiamento? Esercita un’azione sulla propria epoca o nee un riflesso? La sua situazione e il suo ruolo, in quest’ottica, sono diversi daquelli dell’arte? Bisogna parlare di cam- biamento attraverso la letteratura o dicambiamento nella lettera- tura? In quali termini, infine, si pone oggi questoduplice interro- gativo? La letteratura e un fattore o un’espressione del cam-biamento? Di primo acchito avvertiamo che quell’o e approssimativo, non in-dica un’alternativa netta. Ma bisogna qui distinguere e precisare. Quella che sie convenuto chiamare letteratura impegnata e di so- lito considerata un fattoredi cambiamento, o quanto meno una decisa presa di posizione nei dibattiti cheanimano la societa. Ma il messaggio va a segno solo quando e in grado di essereinteso, ov- vero se esprime qualcosa dello spirito e della sensibilita di una so- cietae di un’epoca. Quando si dice, per esempio, che i filosofi del XVIII secolo hannopreparato la Rivoluzione francese, si intende dire che sono stati gli ostetrici delloro tempo, un po’ come la maieutica socratica faceva esprimere agli interlocu-tori di Socrate certe verita che non erano consapevoli di possedere. Rousseau,Vol- taire e Diderot sono precursori, o annunciatori, o ancora fer- menti della

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Rivoluzione, perche sono pienamente nel loro tempo. Esprimono ideali ed esi-genze di giustizia, uguaglianza, sapere e pro- gresso che dovevano essere dettiper esistere pienamente. Per parlare a un’epoca, bisogna saperla intendere.Ritroviamo cosı il concetto di pertinenza. 54 Veri precursori sono solo coloroche appartengono in tutto e per tutto al proprio tempo, ma tale appartenenzasi misura meglio a una certa distanza. Potremmo anche dire che la necessita dicerte opere, la loro eccezionale pertinenza, e dovuta al fatto di non essere com-pletamente contemporanee o di allargare l’orizzonte della con- temporaneita. Laforza dirompente, la performativita storica, se pos- siamo usare questo termine,e legata cosı a questa doppia presenza nella storia, ma gli effetti di rottura pos-sono essere i piu vari e ri- guardare diversi spazi temporali. Il Contratto socialedi Rousseau e Il Capitale di Marx ci riguardano sempre, ma non e possibileanaliz- zare l’evento della Rivoluzione francese senza riferirsi al primo ne quellodella Rivoluzione di Ottobre senza riferirsi al secondo. Freud ci riguarda piuche mai, ma la sua rivoluzione non ha quella di- mensione di evento. La forzadell’esistenzialismo sartriano sta piut- tosto nell’essere post-evento, nell’essereuna letteratura successiva alla prova, una letteratura del dopoguerra. Diciamo,per farla breve, che le modalita del cambiamento in letteratura e attraverso lalette- ratura sono nell’ordine dell’annuncio, della resistenza o del rinno- vamentoe che si misurano anche in base all’importanza degli eventi o delle congiunturecon cui si pongono in relazione. Il cambiamento attraverso la letteratura sollevaanche la que- stione del cambiamento in letteratura: ci si deve infatti chiederese in letteratura esiste un rapporto con il cambiamento o con la rivo- luzione chenon passi attraverso la forma. Una letteratura nuova o rivoluzionaria e primadi tutto una letteratura che si svincola dai generi, dagli stili e dalle regole chel’hanno preceduta. La questione dei generi e la piu immediata. In letteratura ilge- nere condiziona la natura del messaggio, del contenuto. Passare dalla trage-dia al dramma significa anche cambiare punto di vista sulla storia e sul mondo,come si vede nel caso della tragedia greca. La crisi di un genere dice qualcosa diun’altra crisi, dice qualcosa del pubblico, della societa, delle condizioni di quellache ho chiamato pertinenza. Voltaire era convinto di essere un grande autoretra- gico, mentre ai nostri occhi e soprattutto importante per le sue no- 55 velledall’ironia micidiale e per i suoi pamphlet contro l’ingiustizia e l’intolleranza.In un certo senso, noi siamo giudici migliori di lui sulla sua attualita, la suaoriginalita e la sua influenza. Dopo Vol- taire il mondo non sara piu quello cheera, ma certo non per me- rito delle sue tragedie. Interrogarsi sul prevalere diun genere in una societa e in un’epoca date vuol dire interrogarsi su quella so-cieta e su quell’epoca. Il romanzo si e sviluppato in modo particolare nel XIXsecolo e ha sempre come sfondo e, indirettamente, come oggetto la societa opezzi di societa. La pertinenza del romanzo rispetto alla societa e incontesta-bile: e di questa che parla. Anche quando non e esplici- tamente impegnato (untermine che entra in uso dopo la seconda guerra mondiale), offre una visionedella societa, dei gruppi e delle classi che la compongono, dei turbamenti e dellepassioni che vi si esprimono, insomma la interpreta, quanto meno nel senso incui un musicista interpreta un’opera. Il romanzo esprime un punto di vista sin-golare sul mondo (quello dell’autore) attraverso i ritratti che propone dei suoieroi o antieroi, ma quel punto di vista e ab- bastanza convincente agli occhi dicerti lettori da trasformarsi in un’opinione - la forma letteraria di una sensibilitaaccettata dagli uni, e magari insopportabile per altri e da assumere cosı una di-mensione politica, nel senso primo e originale del termine. Basta citare i nomi di

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Dostojevski o di Stendhal per mettere in luce que- sto paradosso di apparenza:gli scrittori piu presenti nella propria opera sono anche quelli che sono stati piupresenti nel proprio tempo. Proposizione d’altronde ribaltabile: e certamentegrazie alla sua propensione a ritrarre le miserie della prima eta industriale cheZola, di romanzo in romanzo, impone la propria presenza e sensi- bilita. Aquesto va aggiunto che il romanzo ottocentesco e stato un genere popolarissimo,pubblicato a puntate sui giornali, e anche che nelle versioni piu romanzesche epiu lette ha molto spesso pro- posto una lettura critica della societa. La ques-tione della forma e piu delicata. Basta mettere il berretto bigio al dizionario,come diceva il giovane Hugo, per fare opera di cambiamento? Se la rivoluzionedella forma e necessaria, e anche sufficiente? Alcune formule folgoranti di Rim-baud (changer la vie, Je est un autre), lanciate in piena furia adolescenzialesulla scia della Comune di Parigi, sono rimbalzate sulla superficie della storiaesplodendo nel maggio 1968 o nella prosa lacaniana. Forse non hanno ancoraperso niente della loro forza ed e possibile aspet- tarsi di percepire un giorno ol’altro gli effetti differiti della rivolu- zione apportata al linguaggio e alla poesiadal genio fugace del poeta adolescente. Ma la forma, la forma da sola, ha untale potere? Czeslaw Milosz, il grande poeta polacco, ha rimproverato all’Occi-dente di avere inaridito, dopo Mallarme, la fonte viva della poesia, sacrificataall’ermetismo e alla soggettivita. Il filosofo Alain Badiou gli risponde, in In-estetica, che Mallarme non e precisamente erme- tico, e suggerisce che in poesiale cose funzionano in sostanza come in matematica. Puo esistere, spiega Ba-diou, una poesia demago- gica che sembra rivolgersi a tutti perche blandisce laforma sensi- bile delle opinioni del momento. Ed esiste anche una matematicaimbastardita al servizio del commercio e della tecnica. Ma se si definisconotutte le persone egualitariamente per il pensiero, le operazioni poetiche e le de-duzioni matematiche sono il paradigma di cio che si rivolge a tutti. Formulatain questo modo, l’elevata esigenza del filosofo della poesia anticipa l’utopia diun’uguaglianza di tutti: il carattere ermetico della poesia esprimerebbe solo l’as-senza di tale utopia e, indirettamente, la sua necessita. Siamo qui a un puntoestremo, a partire dal quale la pertinenza di un’opera si definisce in negativo,come constatazione di assenza, e di conseguenza si annienta da sola. Quando laletteratura e l’arte, che pure si inscrivono agevol- mente nella loro storia interna,foss’anche con un rovesciamento ri- voluzionario, si staccano progressivamentedalla loro storia conte- stuale, cioe dal pubblico piu vasto, c’e il rischio concretoche continuino sı a esprimere qualche cosa della societa (dei suoi smar- rimentie delle sue incertezze), ma rinunciando a svolgervi un ruolo. In questo caso, ladifficolta con cui dobbiamo fare i conti si 57 puo sintetizzare in questo modo:come conciliare l’irriducibilita della letteratura alla sua funzione sociale o storicacon la sua irridu- cibilita alla pura preoccupazione della forma? A me sembrache si possa cercare una risposta a questo interro- gativo e insieme a quello cherimanda al rapporto tra letteratura e cambiamento oggi ovvero l’ora del mondoglobalizzato, del mer- cato liberista, della comunicazione generalizzata, dellaguerra ci- vile planetaria, del distacco crescente tra i piu ricchi dei ricchi e i piupoveri dei poveri, l’ora che qualcuno indica contraddittoria- mente come finedella storia o scontro di civilta a partire da quella che chiamerei la dimensioneantropologica della letteratura. La pertinenza dell’opera al proprio tempo sistabilisce infatti con criteri eminentemente antropologici: il rapporto dell’io conse stesso, il rapporto dell’io con gli altri, il rapporto dell’uno e degli altri conil tempo, che e loro comune ma che ognuno vive per la propria parte. I generi

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letterari, piu facilmente di quelli artistici, possono essere collocati e definiti sullabase di questi tre criteri, e la forma letteraria a mio avviso e semplicemente ilrisultato della loro conformazione. Non si tratta di criteri formali, perche anzirichie- dono una forma, ma non sono nemmeno criteri sociologici o sto- rici, nondirettamente comunque: sono semplicemente portatori di risonanze, di traccedella societa e della storia che si trovano trasfe- rite nelle relazioni elaborate perproprio conto da un individuo: il poeta, il romanziere, il drammaturgo o il per-sonaggio da questi creato. La letteratura, come ricerca o scoperta di se e deglialtri, possiede, per il solo fatto di questa dimensione, una forza critica e prospet-tica che travalica il proprio oggetto immediato. Non si puo parlare negli stessitermini della citta dopo Baudelaire o Dos Passos, della solitudine dopo Flauberto Joyce, della memoria o della gelo- sia dopo Proust... Certo, un giudizio delgenere e ancora piu facile da esprimere ri- guardo a studiosi dell’economia odella psiche, come Marx o Freud, che hanno scosso le fondamenta della fiduciaingenuamente carte- siana che l’individuo occidentale poteva avere nella propriaautono- 58 mia e nella propria liberta. Tuttavia Marx e Freud, ognuno a suomodo, sono stati autori che volevano dare una spinta alla societa, e hanno creatograndi narrazioni, per usare la definizione di Lyo- tard, in cui Marx immaginavala societa futura e Freud il mito fon- datore del complesso di Edipo. Se dobbi-amo dar retta a Lyotard, oggi il problema e appunto che le grandi narrazionisono morte. Bastonato dalle esperienze totalitarie, un gran numero di intellet-tuali guarda ora con sospetto tutte le posizioni con pretese pro- gressiste, siaperche hanno qualcosa di deja-vu, sia perche possono condurre a un volon-tarismo tirannico. Sembra trionfare il sistema della globalizzazione economica etecnologica, come se per un’iro- nia tipica della storia, solo il capitalismo fosseriuscito a realizzare, naturalmente in una versione sui generis, due grandi sognidel so- cialismo: la globalizzazione e l’esaurimento degli Stati nazionali. Unavolta ancora la letteratura svolge, in parte, il ruolo che le compete. I saggisono piu numerosi che mai e certi mettono in discussione in modo vivace leincoerenze e le crudelta del sistema che pretende di raccontarci la storia. Nellaletteratura cosiddetta di fiction, vediamo spesso apparire spazi anonimi dovesi incro- ciano senza incontrarsi abitanti di un mondo parzialmente alie- natoper l’evidenza delle immagini che lo sommergono. Esiste inol- tre una letter-atura prefigurativa, fantascientifica, che pero e molto esposta alla tentazione diestrapolare le innovazioni tecnologiche del momento, facendoci precipitare, conun cortocircuito dell’im- maginario, in mondi che non hanno piu alcun rapportodi senso con il nostro. Jules Verne, invece, parlava della sua societa. I ro- manzinei quali ha provato davvero a fare un’opera di anticipazione (Parigi nel XXsecolo) sono stati un fallimento. La forza dei suoi ca- polavori risiede nel lororadicamento in una societa reale e con- temporanea, la cui aspirazione al futuroera da lui percepita e cele- brata. La scienza oggi va forse troppo in frettae finisce per togliere il fiato a chi vorrebbe superarla in velocita con la fanta-sia. Sorge al- lora la tentazione, in letteratura come nel cinema, di inventarsigrandiose peripezie che permettano di riprendere la storia umana 59 su nuovebasi. Ne risultano una dubbia pertinenza e una ridotta portata critica. None qui il caso, evidentemente, di fare una selezione o una hit parade degli au-tori che meglio rappresenterebbero una volonta di resistenza o di rinnovamento,ovvero una capacita di annuncio. Bastera osservare che, nella letteratura at-tuale, si cerca ancora la forma, ed e magari nella sua forma breve, saggio oracconto, op- pure in una sottile mescolanza dei due che si proporranno nuove

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pertinenze. Forse ben presto ritroveremo qualcosa dello spirito del XVIII secolo(forma breve, mescolanza dei generi, spirito critico). Se cosı fosse, gli autori piurappresentativi, piu pertinenti e insieme piu aperti al cambiamento potrebberoa mio avviso essere quelli che si renderanno conto del carattere dirompente dellaglobalizza- zione nella sua versione attuale, che rifiuteranno di gettare il bam-bino dell’universale con l’acqua sporca del globale, che saranno co- scienti delfatto che il problema della liberta si pone all’interno di ogni cultura e non solonelle relazioni tra culture, che sapranno che la storia non e finita, che non di-menticheranno che l’individuo e la misura di tutte le cose, e che cercheranno diinventare un di- scorso singolare capace di smentire, per il solo fatto di esistere,il ca- rattere ineluttabile della legge del silenzio, dell’evidenza mediatica e dellarassegnazione consumistica.

Note al capitolo 1. Michel Leiris, Le Ruban au cou d’Olympia, Galli-mard, Paris, 1981. 2. Il riferimento e all’opera di Edouard Manet, Olympia,1863, oggi al Musee d’Irsay di Parigi [N.d.T.]. 3. Alain Badiou, Petit ManuelL’inesthetique, Seuil, Paris, 1998 [trad. it.: Inestetica, Mimesis, Milano, 2007].4 Yves Michaud, L’Art a l’etat gazeux, Stock, Paris, 2003 [trad. it.: L’arte allostato gassoso, saggio sull’epoca del trionfo dell’estetica. Idea, Roma, 2007]. 60

Capitolo quinto Alienazione, modernita, democrazia, progressoCultura e identita sono oggi le parole guida dell’attualita e talora dell’analisi

scientifica che ne viene proposta. Gli etnologi hanno forse qualche responsabilitaper l’uso avventato di questi termini, avendoli molto sfruttati a proposito dellepopolazioni e delle cul- ture remote da loro studiate. Lo stesso pensiero strut-turalista degli anni Sessanta si e tradotto in un paradosso al quale forse non si edata abbastanza attenzione. Certo, le invarianze di cui si interessava relativizza-vano l’importanza delle analisi culturaliste che l’avevano preceduto, ma tale rela-tivizzazione non era fatta in nome di un qual- siasi ritorno alla natura umana, maproprio per ragioni opposte. Le logiche formali che lo strutturalismo si sforzavadi mettere in luce, sul modello delle analisi linguistiche, rimandavano per Levi-Strauss a operazioni cerebrali di classificazione e trasformazione che era possibilevedere all’opera tanto nei sistemi di parentela quanto nelle costruzioni mitiche;queste non erano privilegio o esclusiva dei selvaggi e si potevano anzi individuarein numerosi compor- tamenti e rappresentazioni propri delle societa tecnologi-camente sviluppate. Ma questa conformazione strutturale, piu che scalzarne 61le fondamenta, fungeva da supporto alle configurazioni culturali nelle quali siesprimeva. Era infatti l’arbitrarieta del simbolico, di cui le convenzioni linguis-tiche sono un’altra traduzione, che assicu- rava insieme la coerenza e l’efficacia diogni cultura. In termini socio- logici, nella prospettiva strutturalista le cultureesistevano solo come insiemi significanti. Per l’approccio strutturale il segretodell’aliena- zione al sociale che ne comanda il funzionamento si apprende solonelle culture concretamente esistenti. A ben dire, e colui che defi- niamo sano dimente che si aliena, perche accetta di esistere in un mondo definibile solo graziealla relazione tra io e altro, (1) scrive Levi-Strauss nella Introduzione all’operadi Marcel Mauss. Questa alienazione di principio dell’individuo rispetto al so-ciale era commentata nello stesso periodo, al di fuori di qualsiasi ri- ferimentoetnologico, anche da un autore come Cornelius Casto- nadis, in una raccolta diarticoli pubblicati nel corso degli anni Sessanta. (2) Per Castoriadis, una dataorganizzazione dell’economia, un sistema giuridico, un potere costituito, una re-ligione esistono socialmente come sistemi simbolici sanzionati, e in questo sensoil rapporto dell’individuo con la vita sociale e l’istituzione e un rap- porto di

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alienazione. Quest’ultima e presente anche nelle societa senza classi, pur essendoaltra cosa rispetto al rapporto di sfrutta- mento proprio delle societa divise inclassi. E la stessa alienazione di principio indicata anche da Althusser, quandonel 1965 scri- veva, in Per Marx, (3) che anche la classe dominante e in uno statodi alienazione. Il paradosso dello strutturalismo sta quindi nel fatto che con-ferma sociologicamente cio che smonta intellettualmente, senza dubbio perche(di certo in Levi-Strauss) si interessa piu alla logica mentale che alla pratica stor-ica. Ma e forse possibile portare avanti la salutare impresa di demistificazionestrutturalista in altre direzioni, a partire da un certo numero di constatazioniche qui ci acconten- tiamo di enumerare, quasi a titolo programmatico, e dallepoche in- dicazioni fornite, dopo gli anni Sessanta, da alcuni autori che si in-seriscono in modo originale nel pensiero dominante dell’epoca. 62 La prima con-statazione riguarda il fatto che l’identita, indivi- duale o collettiva, e sempre rel-ativa all’altro, e relazionale. La lette- ratura etnologica, pur nella sua diversita,lo dimostra piu che abbon- dantemente: l’identita e il prodotto di un’incessantenegoziazione. D’altra parte, lo sappiamo tutti per esperienza diretta: cambi-amo, ci evolviamo, certe volte ci arricchiamo e, in ogni caso, ci trasfor- miamoa contatto con gli altri. Di qui la preoccupazione comune a tutte le culturedel mondo di inquadrare ritualmente, nella misura del possibile, le occasionipiu esplicite di contatto reciproco. L’iden- tita cristallizzata, stereotipata, e giasolitudine e, per converso, meno sono solo, piu esisto. La seconda constatazionee che l’analisi delle logiche e dei mec- canismi di alienazione e una cosa, mentrei processi che li strut- turano sono un’altra cosa. Le culture vive sono culture inmovi- mento, che accettano il cambiamento e il contatto. Come le lingue, mod-ello di ogni organizzazione simbolica, cambiano se le si parlano e muoiono se nonvengono piu parlate, muoiono per non poter cambiare, cosı le culture, al paridegli individui, o si muovono o muoiono. Le culture vive sono insiemi in movi-mento, soggetti alle tensioni e alle pressioni della storia. La terza constatazionee che nessuna cultura e egualitaria in se: ognuna instaura gerarchie proprie. Ilrispetto della differenza e della diversita e talora invocato da rappresentanti diculture che nel proprio seno non riconoscono tale diritto alla differenza e alladiver- sita. E con il metro di questo diritto che e legittimo misurare le cul- ture.Non esiste un’impunita culturale. Nessuna cultura puo giusti- ficare il rifiutodell’universalismo. Da questo punto di vista, il riferimento ultimo e la formulasartriana secondo la quale ogni uomo e tutto l’uomo. La quarta constatazionee che il multiculturalismo, per superare la contraddizione tra cultura e univer-salismo, non dovrebbe defi- nirsi come coesistenza di culture monadiche di cuisi decreta la pari dignita, ma come la possibilita sempre offerta agli individuidi at- traversare universi culturali differenti. 63 Quanto agli autori che oggipotrebbero servirci da riferimento e da punto di partenza, io andrei a cercarli, enon per caso, tra quelli che hanno studiato l’esperienza democratica della Greciaantica. Il dialogo avviato ormai da parecchi anni con gli ellenisti della scuoladi Jean-Pierre Vernant, che si considerano sia antropologi sia sto- rici, mi haconvinto dei benefici della comparazione e soprattutto di quanto possa essereutile prendere in considerazione i dibattiti propri della Grecia antica, in materiadi riflessione politica e filoso- fica, per meglio comprendere i nostri. Interrogarela Grecia par- tendo dall’idea di modernita, e viceversa, non e oltretutto inu-tile nel momento in cui stentiamo a elaborare un pensiero del tempo e in cuil’Europa, incerta di se stessa, sembra interrogarsi sulla pro- pria identita e sulproprio avvenire. La Grecia e stata moderna? In un certo senso sı, e in un modo

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originale, personale, che ci invita a riflettere. La modernita, secondo l’analisiche ne ha fatto Lyotard nella Condizione postmoderna, sarebbe caratterizzata,come abbiamo ri- cordato, dalla scomparsa delle grandi narrazioni dell’origine,ovvero dei miti del passato, particolaristi in quanto servivano da fonda- mento,da cosmogonia e cosmologia, a singoli gruppi. Il momento moderno sarebbequello in cui miti escatologici universalisti e grandi narrazioni basate sul futuroe riguardanti l’umanita nel suo insieme si sostituiscono a quei miti del passato.Il XVIII secolo, la Rivolu- zione francese e quanto ne e seguito costituisconoquesto momento moderno. Ora, sembra proprio che ci sia stato il germe diun movi- mento del genere nella Grecia classica, che pero non avrebbe com-portato l’apparizione di miti del futuro, di proiezioni ideologiche sull’avvenireo, se si vuole, di utopie. Come se una sapienza di tipo eroico avesse ancoratola vita degli uomini al presente della storia. Per apprezzare questa originalitadella Grecia classica, occorre riferirsi a quanto gli specialisti hanno scritto dellareligione greca (metto religione tra virgolette perche, quando si parla di culti erappresentazioni dell’antichita - o dell’Africa tradizionale, di cui ho una certaesperienza - non si impiega questa parola nello stesso senso con il quale ci siriferisce alle religioni monoteiste). In effetti e possibile un parallelo tra i po-liteismi studiati dagli etnologi nei di- versi continenti, per esempio in Africa,e il politeismo greco. Gli dei del politeismo sono di per se plurali, hanno piudimen- sioni. Prima di tutto sono protagonisti di racconti, di miti, e per questociascuno di loro ha taluni tratti caratteristici che piu tardi li faranno diventarepersonaggi di commedia. Ma sono anche forze operanti, forze della natura,potenze piu che persone, come scrive Vernant. Sono d’altronde uni e plurimi:dotati di diverse qua- lita, mostrano identita differenti; esistono anche coppiedi dei che associano le rispettive caratteristiche per definire una nuova identita,spesso bisessuale. Numerosi sono gli altari sui quali si dispongono queste figuremultiple della divinita. Esiste infine una grande pros- simita tra gli dei e gliuomini: succede perfino che formino coppie e si riproducano. In Africa, comeabbiamo visto, si dice spesso che gli dei sono stati prima degli uomini, che sonogli antenati. Viene cosı elaborata una cultura dell’immanenza che in Greciaassume un volto particolare, del quale Vernant mette in luce due tratti specificirelativi alla credenza e alla finzione, al racconto. A proposito della credenzaVernant, in Mito e pensiero presso i Greci, (4) spiega come le frontiere dellareligione siano variabili e come esi- stano vari tipi di credenze. Ogni legamereligioso, fa osservare, passa attraverso una relazione sociale. Un individuo en-tra in rap- porto con il divino in quanto esercita una funzione sociale o appar-tiene a un’entita sociale, per esempio perche fa parte di un demo o di una citta(polis), oppure perche e un magistrato. Si potrebbe dire che gli dei non sonodotati di alcuna trascendenza; appartengono allo stesso mondo degli uomini evi svolgono essenzialmente un ruolo simbolico, in senso letterale: mettono gliumani in relazione tra loro. In questa situazione, dunque, la credenza e ben lon-tana da quella che e definibile come una cieca adesione a qualcosa che at- tieneall’indicibile o al soprannaturale; piuttosto, questa passa dal- l’accettazione diprincipi che strutturano la vita quotidiana. In una prospettiva del genere, lacredenza avrebbe dunque per 65 oggetto quello che ho definito il senso sociale.Il senso e la relazione tra gli uni e gli altri, tra l’uno e l’altro, nella misurain cui questa e pensabile, pensata, rappresentata ed eventualmente istituita.Gli antropologi l’hanno studiata nelle sue diverse modalita (relazioni parentali,politiche, di genere eccetera). Non e difficile dimostrare che, in molte societa, i

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riti e le cerimonie del culto hanno prima di tutto come oggetto l’istituzione, ilmantenimento o la creazione di relazioni sociali, di relazioni tra individui umani.In concreto, nella vita di tutti i giorni la pratica effettiva del monoteismo puoas- somigliare a quella del politeismo: serve a gestire i rapporti tra gli uni egli altri. In questo senso, nessuna credenza e veramente irra- gionevole e ancormeno irrazionale; per meglio dire, ogni credenza presuppone e definisce le li-nee di condivisione sulla cui base si di- stingue il ragionevole dall’irragionevole.La relazione tra cultura, credenza e razionalita e pertanto una sottile relazioneche si puo e si deve misurare secondo piu criteri. Il senso sociale e parente delsimbolico alienante messo in evi- denza dallo strutturalismo, ma l’alienazioneal simbolico non e mai tanto impellente come quando viene attivata da quellache Vernant chiama la ragione retorica, che nega l’evento riversandolo sullastruttura e trova in se stessa sia la propria giustificazione sia quella dell’ordinestabilito. La ragione retorica e presente in Grecia, come in tutte le culturepoliteiste dell’immanenza, ma non ostacola la comparsa di una tradizione sci-entifica e filosofica, l’emergere di una prima modernita. Vernant indica l’originedi quel miracolo greco nell’esistenza di racconti di fantasia fiction - nei quali sinarra cio che e oggetto della credenza, ovvero nella narrazione dei miti. Talenarrazione, dapprima orale, prende poi forma negli scritti della tradizione epicacon Omero ed Esiodo; il polo della credenza e quello del racconto di fiction nonsono piu disgiunti. Si instaura cosı uno sfasamento che consente un certo giocotra credenza e invenzione letteraria. Il gioco letterario (che implica una presadi distanza estetica, un grado di liberta riconosciuto all’autore, al narratore,all’ascoltatore, al let- 66 tore) riesce ad aprire uno spazio tra le costrizioni delsistema sim- bolico e l’immaginario dell’individuo. Si creano cosı le premesseper lo sviluppo del pensiero filosofico e per la liberta intellettuale ri- spetto allecosmologie. Quando la mitologia appare essenzialmente come il collante delgruppo sociale, il cerchio dell’immanenza e vi- cino alla rottura. Nel V secolola Grecia esce dal mito, diventato pretesto di riflessione, attraverso la tragedianella quale si coniu- gano letteratura e filosofia. E il momento in cui il passaggioalla narrazione fantastica, alla riflessione filosofica e alla storia mette del tuttofuori gioco la questione della credenza; i Greci credono prima di tutto in lorostessi. Questa fede in loro stessi si afferma grazie al fatto di essere usciti daimiti del passato senza produrre una visione escatologica, una grande narrazionedel futuro. Nell’opera collettiva La Grece pour penser l’avenir, (5) con prefa-zione di Vernant, Castoriadis analizza alcuni passi di due tragedie che consideraemblematiche: il Prometeo incatenato di Eschilo (460 a.C. circa) e l’Antigonedi Sofocle (443-442 a.C.). A diciotto anni di intervallo, queste tragedie evo-cano due momenti essenziali per la coscienza che l’essere umano prende di sestesso: la cteazione degli uomini da parte degli dei in Eschilo e l’autocreazionedell’uomo in Sofocle. A questo proposito Castoriadis fa un’osservazione: leantro- pogonie mitiche greche non hanno mai privilegiato una razza greca, nonhanno mai ritenuto che solo i Greci fossero uomini; e lo stesso vale per le antro-pogonie filosofiche che cominciano con Demo- crito nel V secolo a.C. Entrambele tragedie trattano delle origini dell’umanita e delle sue istituzioni, entrambesono scritte in occa- sione delle grandi feste dionisiache, nel corso delle qualil’Antigone ottiene il primo premio. Rappresentano dunque qualcosa per la vitadella citta ateniese, ed e questo che interessa a Castoriadis: Cio che importae l’esistenza effettiva, social-storica, di queste due tra- gedie [...]. Qualcuno adAtene, a meta del V secolo, poteva inven- tare quelle idee e presentarle al popolo

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senza essere ammazzato o messo al rogo: poteva addirittura essere premiato perquesto. (6) Castoriadis interroga la tragedia greca da filosofo della politica e 67osserva come questa si sia affermata parallelamente all’ascesa della democraziaad Atene. A suo avviso la tragedia e un’istituzione de- mocratica, per il suocontenuto piu profondo, per l’interrogativo centrale che pone: che cos’e la moira,il destino umano? Mentre in tutte le societa teologiche (o teocratiche) e sempreDio che ha gia ri- sposto a questa domanda, la tragedia continua a riprenderlae a sca- varla a fondo. E soprattutto continua a rievocare i due tratti chedefiniscono l’essere umano e la sua natura: la coscienza di essere mortale, da unlato, e l’hybris, la dismisura, dall’altro. Per Castoria- dis, la questione centraledella democrazia e quella che pone Sofo- cle nell’Antigone, ovvero la questionedell’autolimitazione. Nel Pro- meteo di Eschilo Castoriadis prende in esame duegruppi di versi. Prometeo si rivolge al Coro e risponde alla domanda che cos’el’uomo? con la narrazione dell’origine. E proprio Prometeo che ha strappatogli uomini dallo stato preumano (erano come infanti prima di saper parlare),che ha dato loro la conoscenza del cielo, dei numeri, delle lettere, delle arti,delle tecniche, della medicina e della divinazione, ma soprattutto la conoscenzadella propria mortalita e del rimedio per combatterla: le illusioni e le vanesperanze. Ambi- valenza di Prometeo, Titano ribelle, ambivalenza dell’essereumano, posto sotto il segno della negazione: io lo so bene, e tuttavia... Diciottoanni dopo, nel 443-442 a.C, Atene e all’apice della sua potenza. Per Sofoclesono gli uomini che hanno creato le qua- lita umane: cosı proclama il Coro. ECastoriadis commenta: Gli uomini non hanno preso niente dagli dei e gli deinon hanno mai dato niente agli uomini. E questo lo spirito greco del V secoloed e questa la tragedia premiata dagli Ateniesi. (7) Con tale premessa, puorileggere l’Antigone scoprendovi qualcosa d’altro oltre alla con- trapposizionetra legge civile e legge naturale, tra morale indivi- duale e ragion di Stato o,come Hegel, tra famiglia e Stato. Creonte e Antigone sono due esempi diversi dihybris. Creonte difende le leggi della citta, ma chi ne conosce le regole dovrebbestare attento alle condizioni della sua applicazione ed eventualmente dimostrarsicapace di modificarle. Quanto ad Antigone, la sua follia e il suo ec- 68 cesso simanifestano perche anche lei disconosce le leggi della citta che il fratello Polin-ice ha gia violato. Se Castoriadis ha ragione, la posizione di Sofocle e dunqueque- sta: i due principi che governano le posizioni antagonistiche di Creonte eAntigone non dovrebbero essere pensati come del tutto inconciliabili. Gli uominihanno la vocazione di tessere insieme le leggi degli dei e quelle della citta. Sonocreature terribili, ecce- zionali, in quanto non sono definiti una volta per tutte,come gli dei. Questi ultimi sono piu potenti degli uomini, ma sono anch’essisoggetti al destino e per giunta, diversamente dai mortali, non pos- sono cam-biare (Atena e la saggezza, Ares la guerra). Gli uomini di- ventano. L’essereumano e opera dell’uomo ed e sempre in corso di elaborazione. E questo valeanche per la vita politica. Anche se ri- spettiamo la legge, c’e un altro elementoche deve essere tessuto in- sieme. E quella che Sofocle definisce la dike deglidei, la giustizia dovuta o giurata agli dei. Non sappiamo che idea avesse Sofocledelle divinita, ma Castoriadis ricorda che frequentava il circolo di Pericle, al paridi Protagora di cui cita un frammento: Per cio che attiene agli dei, nulla possodire, ne se ci sono, ne se non ci sono, ne quale aspetto possono avere. (8) Inquesta dike che va coniugata, tessuta insieme, con le leggi della citta, Castoriadisvede un prin- cipio di superamento, ovvero, nel suo lessico, l’autotrascendenzadella societa, quella sua irriducibilita a cio che viene di volta in volta istituito.

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E possibile cambiare le leggi in funzione dei principi che trascendono la leggepositiva e che con gli dei hanno solo un rapporto metaforico. Il miracolo grecosarebbe allora il principio della storicita in quanto autoalterazione, cosı comelo proclama esplicitamente la tragedia sofoclea. Si vede allora quello che Cas-toriadis individua nella democrazia ateniese: la costante capacita di superarsipartendo da una rifles- sione su se stessa, di non farsi intrappolare da una culturareificata. Aristotele individua undici rivoluzioni nella storia ateniese. Questaopera di riflessione e superamento e apprezzata anche da altri stu- diosi dellacultura ellenica in relazione ad altri argomenti che atten- 69 gono alla definizionedi vita democratica. Cosı Nicole Loraux (9) ha messo in evidenza i dibattiti, lecontraddizioni e le evoluzioni che hanno sempre contraddistinto la vita politicaateniese riguardo a due questioni spesso presentate in modo troppo frettoloso eap- prossimativo: quella relativa allo statuto degli stranieri e quella re- lativaallo statuto degli schiavi. Quella tensione che Pierre Rosanvallon (10) pensadi poter indivi- duare al centro dell’universalismo, cosı com’e concepito nellatra- dizione francese, non la si ritrova forse alla base di qualsiasi pensiero demo-cratico? E’ in ogni caso quella che giustifica l’ambizione di Marcel Detienne dicomparare l’incomparabile, ovvero nello spe- cifico l’ideale giacobino con quellodella polis greca. Per i Greci non basta che i cittadini siano uguali e intercam-biabili, devono anche avere dirittura morale e virtu. E lo stesso dilemma deigiacobini. (11) La posta in gioco riguarda ogni volta l’opposizione tra senso (nel-l’accezione che ho dato a questo termine) e liberta. Se si concede tutto al senso,alla necessaria relazione tra gli uni e gli altri cosı com’e definita a priori in nomedella societa o della cultura, si perde la liberta, ovvero l’individuo. Se si concedetutto al desiderio indi- viduale, gli si sottrae l’oggetto, si perdono la relazionee la societa. La vita sociale non puo essere orientata o comandata ne dallafollia totalitaria ne dalla follia della solitudine. L’uomo apolis denunciato dallatradizione ateniese si smarrisce nell’una o nell’altra direzione. Chiaramente lacitta ateniese non ci fornisce un modello, e nem- meno un ideale, per la so-cieta di oggi. I nostri problemi sono su una scala diversa. Nonostante sia statafino al II secolo della nostra era una specie di capitale culturale dell’Imperoromano, non puo essere considerata la realizzazione compiuta di un modellodemo- cratico. Piuttosto ci propone un esempio di dibattito permanente e dirifiuto di una chiusura concettuale, e avremmo torto a non trarne ispirazione.Oggi la vita politica, tanto sul piano nazionale quanto su quello internazionale,sempre piu difficili da distinguere, e infatti prigioniera di concetti vuoti e diintuizioni cieche che gui- dano le nostre analisi invece di esserne oggetto. In-fluenzati come 70 siamo dal sistema delle comunicazioni che stringe il pianetain una morsa e sembra dargli un senso, ci abituiamo a consumare le im- magini,le parole, i messaggi. Siamo percio indotti, senza neppure accorgercene, a prati-care la ragione retorica di cui parla Vernant, la quale non fa altro che giustificarel’esistente cosı com’e. In tal modo, ci modelliamo su quel che di peggio vi e nellacultura del- l’immanenza: il ritorno del medesimo. E al contempo rinunciamoalla parte migliore della tradizione del paganesimo nella versione greca e piuprecisamente ateniese: la capacita di introspezione intel- lettuale, l’attitudine aspostare i confini, la vocazione a restare nella storia senza immolarsi alle illusionidel sistema. La cultura come natura, ecco indubbiamente il maggiore rischioconcettuale (ma con conseguenze tragicamente concrete) cui siamo esposti oggida parte tanto dei teorici dello scontro tra culture quanto degli illuminati fautoridel proselitismo religioso. Contro le ideologie della cultura come natura, che si

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ispirano tutte, piu o meno direttamente, a una visione teleologica della natura,puo es- sere utile ricordare che l’uomo non puo in alcun caso essere definito dauna e solo una appartenenza culturale. Quando diciamo uomo, di chi parliamo?Di tre uomini, in realta: dell’uomo singolo nella sua diversita (voi, io, miliardidi altri); dell’uomo culturale (che ha connivenze storiche, geografiche o socialicon un certo numero di altri); infine dell’uomo generico (quello che e andatosulla luna, quello che ci ha portati a essere cio che siamo nel bene e nel male,quello la cui immagine sentiamo ferita quando si attenta alla di- gnita di unsingolo essere umano). E sono questi tre che ne fanno uno: l’individuo concretoe mortale. L’individuo esiste solo per l’insieme di relazioni che stabilisce con glialtri, insieme culturale in questo senso, collocato nella sto- ria e in un luogo. Mala sua storia puo cambiare come puo cambiare di luogo. Gli individui sono tantie ognuno e ondivago e diverso, come diceva Montaigne; la relazione di ognunocon la pluralita delle culture e con la diversita di ogni cultura puo cambiarefinche non muore. Ma resta uomo, dovunque sia e comunque sia. E uomo 71di diritto. I diritti dell’uomo sono l’uomo tutto intero e sono ogni uomo, ogniessere in diritto di costruire le proprie relazioni con gli altri e con la storia,di costruire la propria essenza, nel senso esi- stenzialista del termine. I dirittidell’uomo, in questo senso, sono il diritto all’esistenza, alla liberta, alla scelta. Ilriesame del concetto di cultura e indispensabile per eludere le trappole intellet-tuali di ogni genere alle quali serve da alibi. La riabilitazione dell’individuo/sog-getto e indispensabile per condurre a buon fine questa impresa e per fondareantropologicamente la difesa dei diritti dell’uomo. E ci sono due tradizioni intel-lettuali tra loro antagoniste, ma che hanno talvolta saputo dialogare, ovvero lostrutturalismo e l’esistenziali- smo, cui possiamo fare appello, in modo comple-mentare, per aiu- tarci a capire come le culture siano artefatti storici necessari,ma anche come l’uomo generico sia insieme il limite di ogni egemonia culturalee l’orizzonte di ogni esistenza individuale.

Note al capitolo 1. Marcel Mauss, op. cit., p. XX. 2. Cornelius Castoriadis,L’Institution imaginaire de la societe, Seuil, Paris, 1975 [trad. it.: L’istituzioneimmaginaria della societa, Bollati Boringhieri, Torino, 1995]. 3. Louis Al-thusser, Pour Marx, Maspero, Paris, 1965 [trad. it.: Per Marx, Mime- sis,Milano, 2008]. 4. Jean-Paul Vernanr, Mythe et pensee chez les Grecs, Maspero,Paris, 1965 [trad. it.: Mito e pensiero presso i Greci, Einaudi, Torino, 1970]. 5.Marc Auge, Cornelius Castoriadis, Maria Daraki et al, La Grece pour penserl’a- venir, L’Harmattan, Paris, 2000. 6. Ibid., p. 153. 7. Ibid., p. 159. 8. Ibid..p. 168. 9. Nicole Loraux, Ne de la terre. Mythe et politique a Athenes, Seuil,Paris, 1996. 10. Pierre Rosanvallon, Le Sacre du citoyen, Gallimard, Paris,1992. 11. Marcel Detienne, Comparer l’incomparable, Seuil, Paris, 2000, pp.125-126. 72

Capitolo sesto Il passato, la memoria, l’esilioSi e potuto affermare che il XIX secolo e stato il secolo della storia. Sarebbe

pero difficile attribuire questa proprieta anche al XX se- colo. Per certi versi, laletteratura storiografica ha continuato a svi- lupparsi, soprattutto in Francia, ela riflessione storica e rimasta al centro dei principali dibattiti politici. Si pensi,per esempio, alle analisi sulla Rivoluzione francese, considerata come modellointel- lettuale del totalitarismo comunista, e ai dibattiti e alle polemiche chene sono seguiti. E tuttavia vero che questi dibattiti hanno teso appunto a pre-sentare il XX secolo come un periodo di chiusura, il secolo della sperimentazionecalamitosa di idee elaborate in un’e- poca precedente. Il che ci ha collocato nella

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prospettiva della fine delle grandi narrazioni. In senso generale, non e certo chelo sviluppo della storiografia esprima semplicemente e direttamente il nostrorapporto con la storia o, se si vuole, il nostro senso della storia. Possiamoanche porci la domanda inversa e chiederci se il metodo storiografico non siastato influenzato, nel corso dei secoli, dai cambiamenti interve- nuti nella nos-tra percezione del tempo e degli avvenimenti. 73 Nella seconda meta del XXsecolo, inoltre, l’una e l’altra hanno in- contestabilmente subito, a gradi diversie con modalita differenti, l’influenza della psicoanalisi. In effetti, il rapportocon il passato che la psicoanalisi cerca di mettere in luce non e quello dellastoriogra- fia. Michel de Certeau, nella raccolta di saggi dal titolo Storia epsi- coanalisi. Tra scienza e finzione, (1) spiega come la psicoanalisi e la sto-ria abbiano due modi diversi di distribuire quello che definisce lo spazio dellamemoria. Cio che Freud ha scoperto, messo in evi- denza ed esplicitato e la pre-senza del passato nel presente, nella forma del ritorno del rimosso. La memoria,ci dice ancora de Cer- teau, diventa un campo chiuso dove si effettuano dueoperazioni di senso opposto: l’oblio, che non e affatto un fenomeno passivo maun dispositivo di lotta contro il passato, e la traccia mnesica, che e il ritornodel dimenticato, cioe un’azione di questo passato ormai costretto al maschera-mento. (2) Il passato, come il fantasma dell’Am- leto, infesta il presente. Lastoria e cannibale. Notiamo subito come la scoperta freudiana faccia vacillare- mostrandoli per quello che sono, cioe illusori - quegli universi in- dividuali ocollettivi, quei mondi rassicuranti del perenne rimando all’io, che ho proposto dichiamare mondi dell’immanenza. Se te- niamo presente che per Freud l’illusionenon e in prima istanza un errore, ma un prodotto del desiderio, come ha spie-gato riguardo alla religione in L’avvenire di una illusione, possiamo allora capireche il passato rimosso introduce una tensione della quale possono essere indiziil rifiuto dell’evento e la mania interpretativa. Quello che e in discussione edunque il desiderio o, in termini piu antro- pologici, la felicita, ovvero l’idea cheuno e indotto a farsene in una situazione data. La ricerca di tale felicita e unadelle caratteristi- che dell’habitus che Bourdieu definisce appunto desiderio dies- sere: Denudati dalle simpatie e dalle antipatie, dagli affetti e dalle avversioni,dai gusti e dai disgusti, ci si crea un ambiente dove ci si sente ”a casa propria” edove e possibile conseguire la piena realizza- zione del proprio desiderio di essereche si identifica con la feli- cita. (3) Michel de Certeau sottolinea con forza ilruolo dirompente 74 del ritorno del rimosso nei confronti di tutti gli ordini sim-bolici cosı costruiti: Ogni ordine autonomo si costituisce grazie a cio che eliminae produce un ”resto” condannato all’oblio, ma l’escluso si insinua nuovamentein quel posto ”pulito”, vi riemerge, lo scon- volge, rende illusoria la coscienzache ha il presente di stare ”a casa propria”, rimane acquattato in un angolo, equel ”selvaggio”, quel- l’”osceno”, quella ”sporcizia”, quella ”resistenza” della”superstizione”, vi deposita, all’insaputa del proprietario (l’io) e contro la suavo- lonta, la legge dell’altro. (4) Il passato come sintomo e embricato nel pre-sente. La storiografia, invece, pone in linea di principio una cesura tra il passatoin quanto oggetto di conoscenza (sistemi, eventi) e il pre- sente come luogo dellaconoscenza, dove si raccolgono i materiali e si elaborano le rappresentazioni delpassato. I rapporti tra storiografia e psicoanalisi, pero, si evolvono e que- staevoluzione ci dice con molta chiarezza qualcosa del nostro nuovo rapporto conil tempo. Per limitarci alla storiografia fran- cese, potremmo dire che tra iltempo lungo di Fernand Braudel, l’antropologia storica di Jacques Le Goff o diGeorges Duby, la sto- ria delle idee come l’hanno concepita e rinnovata Francois

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Furet e Pierre Rosanvallon, i luoghi della memoria di Pierre Nora, si con- figuraun’evoluzione al termine della quale l’opposizione tra le due distinte strategiedescritte da Michel de Certeau tende a sfumare. Esaminando un evento, unpersonaggio o una rappresentazione, l’antropologia storica cerca di osservare ilpassato come un presente e ne prende in considerazione, in una visione olis-tica, la totalita degli aspetti e l’insieme delle determinazioni. In senso inverso,la nuova storia delle idee pone al presente interrogativi per i quali pensa ditrovare elementi di risposta nel passato, ma in certo modo e cio che scopre nelpresente che orienta e sostiene la sua riscoperta del passato. Furet interrogala Rivoluzione francese sulla scorta del totalitarismo sovietico. Rosanvallon,quando fa la storia del suffra- gio universale in Francia, parte dalla constatazionedelle tensioni interne alla democrazia intesa come religione (dell’uguaglianza) 75e come regime (di sovranita popolare); tensioni che si riattivano, per esempio,in tutte le discussioni sulla definizione politica del- l’Europa comunitaria. Sepoi consideriamo l’impresa affrontata nei Luoghi della me- moria, almeno nellapresentazione fatta da chi l’ha concepita e cu- rata, ovvero Pierre Nora, nonci troviamo davanti a una domanda sul passato, ma sul nostro rapporto con ilpassato. Cio che l’ha resa significativa e, secondo il termine usato da Leiris,particolarmente pertinente e stato appunto il suo carattere collettivo e il fattoche vi si siano riconosciuti e associati numerosi storici, ma anche l’eco che haavuto l’espressione stessa di luoghi della memoria, sia pure a spese di qualcheapprossimazione o distorsione. Se ha parlato a tutti, se ha comunicato qualcosaa tutti, probabilmente e stato gra- zie all’accostamento delle due parole luoghie memoria, che sembrano ricostituire un nuovo spazio-tempo di riferimento ri-spetto al quale ogni nostro contemporaneo ha avuto la sensazione di riuscire acollocarsi. Secondo Nora, il censimento dei luoghi della memoria ob- bliga aridefinire il metodo storiografico. Egli fa osservare, con una terminologia chein parte evoca quella psicoanalitica (ma la evoca soltanto), come l’oggetto dellastoria sia cambiato. Per questo se- gnala incidentalmente che gli storici parlanoormai del proprio og- getto e non del proprio soggetto. A proposito della Fran-cia, an- ch’essa definita una realta simbolica, scrive che ormai e aperta la viaverso una storia completamente diversa: [...] non piu le cause, ma i loro effetti;non piu le azioni memorizzate e nemmeno com- memorate, ma la loro traccia e lamessa in scena delle commemo- razioni; non i fatti in se, ma la loro costruzionenel tempo, la can- cellazione e il riemergere dei loro significati; non il passatocome si e svolto, ma il suo continuo riuso, consumo e sfruttamento, la sua preg-nanza sui successivi presenti; non la tradizione, ma il modo in cui si e costituitaed e stata trasmessa. (5) Questo cambiamento di oggetto si spiegherebbe con lacomparsa di un nuovo insieme di elementi diversi che modifica profondamente ilrapporto con il passato e con le forme tradizionali del sentimento nazionale. (6)La storia, fino a un passato relativamente recente, e stata scritta dal punto divista dell’avvenire, in funzione di cio che sarebbe o do- vrebbe essere il futuro:restaurazione, progresso o rivoluzione. Lo storico si definiva allo stesso tempocome un notaio e come un profeta, come un traghettatore, prosegue Nora. Ma leasprezze del secolo hanno progressivamente inaridito le speranze e le illu- sionilegate alle tre possibili visioni del futuro: [...] tra l’oppri- mente imprevedibilitadi un futuro infinitamente aperto e tuttavia senza avvenire e l’ingombrantemolteplicita di un passato ritornato a essere opaco, il presente e diventato lacategoria della nostra com- prensione di noi stessi. (7) Resta il fatto che il rifu-gio nel passato e il rapporto con l’impre- vedibilita del futuro non sono vissuti

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nello stesso modo ai due estremi della gamma sociale. L’interesse degli studisulla condizione coloniale, in particolare attraverso i fenomeni che esprimonouna relazione tra patologia sociale e patologia individuale, e soprattutto dovutoal fatto che ci presentano situazioni in cui numerosi indi- vidui smarriscono lacapacita di collocarsi in modo piu o meno stabile nel presente, nell’immanenzaintima di un mondo personale (personalizzato, come dicono oggi i messaggi pub-blicitari); un mondo nel quale il rapporto con il passato immediato e l’avvenireimminente non rappresenta un problema, il mondo dell’habitus, se si preferisce.In Africa, in particolare, la colonizzazione e stata un fe- nomeno improvviso erapido, e generazioni di bambini e di giovani sono state indotte ad accettare daun giorno all’altro che il mondo nel quale erano cresciuti e nel quale erano statieducati fosse privo di senso. I missionari facevano bruciare i feticci, ma piu ingenerale la derisione di un passato fino a quel momento condiviso e am- messocome evidente scatenava un sisma mentale tanto piu trau- matico in quantoeliminava ogni prospettiva di futuro, anche a breve termine. La situazione deisottoproletari, nella maggior parte dei casi un esito dell’immigrazione, riproduceoggi questo stato di de-simbolizzazione. 77 Come ci dice Bourdieu, i disoccupatisono esclusi dal gioco so- ciale e dalle illusioni che lo fanno funzionare, le illu-sioni che ci aiu- tano a vivere. Perdendo il lavoro, essi smarriscono anche i milleniente grazie ai quali la loro funzione era conosciuta e riconosciuta: Se il temposembra annullarsi, e perche il lavoro salariato e il sup- porto, se non il principio,di gran parte degli interessi, delle attese, delle esigenze, delle speranze e degliinvestimenti che attengono al presente, ma anche al futuro o al passato chequesto implica, in- somma e uno dei principali fondamenti dell’illusione comeimpegno nel gioco della vita, nel presente, come investimento primordiale cheproduce il tempo (come insegnano tutte le scuole sapienziali quando identificanolo sradicamento dal tempo con lo sradica- mento dal mondo), che e il tempostesso. (8) Lo sradicamento dal tempo e proprio cio che, in un altro contesto ein un’altra epoca, ma non cosı lontana, hanno vissuto tanti colonizzati o quanti,dopo l’indipendenza politica, hanno subito e continuano a subire nell’impotenzala retorica dello sviluppo. Che cos’e l’esilio? Non e semplicemente un concettoterritoriale, e forse non lo e neppure nella sostanza. E una perdita, provviso-ria o meno, mai dimenticata, mai cancellata: una perdita di identita che passatalora da quella della lingua, spesso da quella della filia- zione, sempre dallaperdita della storia. Nel nostro mondo le si- tuazioni di esilio diventano sem-pre piu numerose; sono prodotte dai conflitti politici e dalla miseria economica,ma spesso sono anche sostenute dal gioco delle rappresentazioni immaginarie in-dotte dalle cattive politiche di accoglienza, dalle cattive politiche di integrazionee dalle difficolta economiche. C’e una bella distanza tra il racconto epico dellaconquista del West e della creazione del Nuovo Mondo e l’evocazione pauperistae vergognosa delle quote di immigrazione nell’Europa contemporanea. Senzacadere in una visione ingenuamente buonista della nascita di una nazione, checome sappiamo bene e passata attraverso infinite sofferenze e ha avuto tra le suecause la miseria in Europa, bisogna comunque am- mettete che lo stesso anelitonon sembra animare oggi l’immigra- 78 zione in un’Europa che recalcitra all’ideadi diventare una nuova America, perche non ne ha ne i mezzi ne la volonta. Inogni parte del mondo, inoltre, si creano situazioni di isolamento (profughi, ri-fugiati, clandestini, sans-papiers) che corrispondono a un duplice sradicamentodal tempo, perche nello stato di durevole provviso- rieta si smarriscono insiemeil riferimento al passato (abolito) e al futuro (bloccato). Gli individui perdono

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in tal modo l’attitudine a impegnarsi nel gioco della vita perche tutto (comp-rese le forme di assistenza di cui sono fatti oggetto) conferma loro che ne sonoesclusi. A dire il vero, cio da cui sono esclusi e la storia, e non biso- gna stupirsise il rischio di vederli rientrare nella storia per le vie piu pericolose e folli non emai molto lontano.

Note al capitolo 1. Michel De Certeau, Histoire et psychanalyse entre scienceet fiction, Gallimard, Paris, 2002, cap. II, Psychanalyse et histoire [trad. it.:Storia e psicoanalisi. Tra scienza e finzione, Bollati Boringhieri, Torino, 2006].2. Ibid., p. 86. 3. Pierre Bourdieu, op. cit, p. 216. 4. Michel De Cerreau, op.cit., p. 86. 5. Pierre Nora, Les Lieux de memoire, III, La France, 1, Gallimard,Paris, 1992, p. 24. 6. Ibid., p. 27. 7. Ivi. 8. Pierre Bourdieu, op. cit., p. 320.79

Capitolo settimo L’avvenire e l’utopiaLe situazioni che si definiscono di contatto culturale sono state, per lo piu,

casi di scontro ideologico. Dalla scoperta dell’America, l’Occidente europeo esbarcato a casa d’altri con armi e bagagli, ma anche con l’arsenale completo delproprio immaginario. Nei diversi continenti dove si sono svolte quelle lunghecrociate, oggi si ritro- vano le tracce piu o meno profonde e le manifestazionipiu o meno vitali e originali di quelle lotte per l’influenza, di quelle prove diforza, a volte di obbedienza cattolica, a volte protestante. Non e un caso sei sistemi religiosi piu strutturati (il monoteismo islamico, anch’esso capace diproselitismo) o piu legati a forti strutture poli- tiche (Cina, Giappone) si sonorivelati i piu refrattari alla penetra- zione cristiana. La storia della coloniz-zazione e della occidentalizza- zione del mondo ha avuto anche una dimen-sione onirica, e gli osservatori hanno talora penato a rappresentarne il caratterealluci- nato, sia perche appartenevano anch’essi a una tradizione religiosa cheli induceva a considerare naturale il fenomeno, sia perche, all’in- verso, lo con-sideravano un epifenomeno, una semplice conseguenza o un riflesso di sconvol-gimenti politico-economici piu profondi. 81 Rimane il fatto che uno dei settoripiu avvincenti e consolidati della ricerca antropologica attuale riguarda le man-ifestazioni reli- giose nel contesto coloniale o postcoloniale, e anche (giacche lastoria e tutt’altro che conclusa) nel contesto della globalizzazione. Non pos-siamo interessarci al futuro senza incontrare la presenza massiccia e anomaladell’immaginazione. Se e infatti vero che non vivono ogni giorno con il pensierodei propri fini ultimi, gli umani non possono tuttavia accontentarsi indefinita-mente di un’eternita fiacca, di un tempo chiuso. Questo vale per i piu deprivati,ma anche per gli altri. La corsa al senso si svolge dunque anche nelle peggioricondizioni. Il senso non e necessariamente il destino post mortem, l’immortalitao il paradiso. E l’esistenza del domani, un in- sieme di relazioni con gli altrisufficientemente consistente per scongiurare l’assurdita di una solitudine senzaoggetto e senza fine, nel doppio senso del termine. Tutti i movimenti socio-religiosi che ho avuto la possibilita di studiare in Africa e in America latina(ma l’osservazione e generalizzabile) aggregavano in modo stabile o ef- fimeroindividui alla ricerca di un nuovo ambito di riferimento, sia con intenti definitivi(rifugiandosi presso un profeta come in un asilo), sia piu puntualmente, comenel caso di movimenti del tipo candomble o umbanda, in Brasile, che model-lano il calendario di ciascuno trasformando la sua vira in un’esistenza di festee di in- contri. Il successo delle sette rimanda a questo desiderio, al bisogno diimbellettare la realta o di sostituirla con l’artificio di un mondo parallelo, in-timo, nel quale ci si possa riconoscere e farsi ricono- scere, aspettare il seguito e

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lottare contro il panico di un presente definitivo. L’illusione parla il linguaggiodei fini, che e anche quello del desiderio, ma si limita a servirsene, lo sbrici-ola, lo distilla in dosi omeopatiche; i suoi espedienti sono il rovescio negativodel di- scorso sociale sempre incompiuto dei politici e degli economisti: essanon pretende di orientare la societa, la rimpiazza. E’ qui necessario distinguerebene. La constatazione di fondo, globale, e che il trauma che l’Occidente hainflitto all’immaginario degli altri non e stato privo di conseguenze sul proprioimmagina- 82 rio. La colonizzazione e l’occidentalizzazione hanno provocatouna specie di big bang ideologico, le cui ricadute si disperdono oggi, in appar-ente disordine, sul mondo globalizzato. Sono ricadute di varia natura e nonsono esenti da influenze reciproche. Le tradizioni religiose istituite sono talorainterpretate dai loro rappresentanti o dai loro adepti piu intellettuali come unamorale, un’etica o addirittura una filosofia, e non saprebbero piu farne og- gettodi una fede letterale, quella ingenua dell’uomo semplice. Nello stesso tempo,pero, i fondamentalismi non sono mai stati cosı virulenti. Certi movimentievangelici, per esempio, dei quali non va sottovalutata l’espansione e l’influenzanel mondo, si basano su parole d’ordine semplici che trovano eco in tutti coloroche re- clamano certezze, soprattutto negli Stati Uniti e in America latina, maanche in Africa e in Europa, soprattutto nell’Europa dell’est e in Russia, perchevivono in solitudine, senza riferimenti simbolici, in situazioni di miseria mate-riale e morale. Il fondamentalismo islamico trova radici in un identico terreno.Tutti questi fondamentalismi hanno in comune un riferimento, un’ambizione euna modalita di azione. Il riferimento e l’origine: la disputa tra i tre monoteismisi basa essenzialmente sul punto di partenza, sull’origine della sola storia checonti ai loro occhi, quella del vero messaggio. La disputa sul riferimento e anchela causa dei diversi scismi all’interno delle religioni monoteiste. L’ambizione eil mondo intero. I monoteismi in generale aspi- rano all’universalizzazione delproprio messaggio. Si apparentano per questo alle grandi narrazioni di Lyotard,in quanto si basano sia sul passato sia sul futuro. Se ne differenziano, pero,perche pre- tendono, in quanto cosmogonie, di parlare all’umanita intera, anchese ben presto passano a evocare una storia precisa, popoli e territori partico-lari, e perche la loro visione dell’avvenire, tanto degli esseri umani quanto dellasocieta terrena, e singolarmente vuota, essendo la loro ultima prospettiva lafine del mondo come estremo compimento. La modalita di azione, infine, e ilproselitismo, che distingue in 83 modo assoluto i monoteismi dai politeismi. Gliintegralismi - espressione militante e attiva dei fondamentalismi - esasperanoquesta volonta di proselitismo conferendole accenti guerreschi: l’at- tualita cimostra come possano derivarne dei passaggi all’azione, quasi che le realta dellaglobalizzazione agiscano da stimolo alla loro immaginazione. L’integralismo euna globalizzazione dell’immaginario che puo avere conseguenze terribilmentereali. E anche la globalizzazione dei poveri (anche se, ovviamente, puo essereusata, manipolata e so- stenuta dai soldi dei ricchi); in questo senso e una glob-alizzazione mimetica. La globalizzazione e i suoi agenti sono mimetizzati, comelo erano la colonizzazione e i colonizzatori. Il mimetismo e la rappresentazionesono le armi simboliche cui si ricorre quando la relazione diventa impensabile,impossibile da negoziare. Nelle situazioni di dominio tanti personaggi hannointerpretato e orchestrato questo ruolo di un Altro troppo lontano e troppo po-tente. I profeti africani prendono questo termine in prestito dalla Bibbia dicoloro che cercano di convertirli, ma piu che profetizzare, recitano, continuanoa rappresentare l’immagine della colonizza- zione e dei suoi agenti. Il gioco

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della ri-presentazione, il mimeti- smo, e l’ultima tappa prima della violenza, inquanto manifesta la rottura o piuttosto l’impossibilita della relazione. GerardAlthabe (1) aveva utilizzato l’espressione liberazione di immaginario per ca- rat-terizzare certi movimenti politico-religiosi che si affermavano incontestabilmentecome forme di reazione e di resistenza all’op- pressione coloniale. Quei movi-menti, quando cercavano di uscire da un ambito strettamente locale, avevanobisogno di rimandi esterni: di qui spesso la loro relazione ambivalente e un certodebito di ispirazione con le Chiese cristiane, ma anche con l’islam o con il marx-ismo. Ferme restando le ovvie differenze, oggi ci troviamo in una situa- zioneanaloga, solo che le reazioni, spesso provocate da circostanze locali, si esplicanosu un’altra scala. Tutti hanno ormai capito che il locale si esprime attraverso ilglobale e che, per giunta, i movimenti 84 locali di protesta hanno piu che maibisogno di collegamenti con il mondo intero e con la scena mondiale fornita daimedia. Oggi piu di ieri, sono le religioni a vocazione universale che possonoprocurare i mezzi intellettuali e materiali per questa estensione. Il marxismoe le ideologie progressiste in generale, che avevano in- fluenzato i movimentipolitici di indipendenza e di liberazione, sono in declino e i paesi comunisti, cheli avevano in certi casi so- stenuti, sono in via di sparizione. L’immaginazione,in questo caso, va al traino della storia. L’eclettismo occidentale, per partesua, e modellato dalla menta- lita consumista: le arti, la cultura, la filosofia,le religioni del mondo intero, perfino nelle forme piu sincretiche, possono essereoggetto di scelte individuali e di ricomposizioni personali. Ognuno si co- struiscesu misura la propria cosmologia, ricorrendo, se necessario, alle nuove tecnologie.Il mondo della televisione e esemplare per questo postmodernismo dei poveri:se ci sono tante persone che desiderano esprimere in quell’ambito le proprieconvinzioni, le pro- prie preferenze, la propria vita, quando e evidente che nonhanno niente di originale, e perche cosı possono crederci anche loro, gra- zieal prestigio dell’immagine che consolida all’occorrenza l’assicu- razione fornitadal prendere la parola. Nonostante l’egocentrismo forsennato, questi comporta-menti indotti dalla societa dell’imma- gine non sono poi tanto diversi da quelliche governano la fede del- l’uomo semplice (che peraltro non gli competono inmodo esclu- sivo): in entrambi i casi si tratta di una questione di sopravvivenza.Ci troviamo cosı, d’ora in avanti, in una situazione in cui siamo in grado di per-cepire, davanti a un campo di rovine metafisiche nel quale i fondamentalistiilluminati e gli individualisti alienati continuano a rovistare per assemblare unsenso a partire da qualche rottame, che colonizzati e colonizzatori hanno vissutola stessa sto- ria e che la colonizzazione altro non e stata che la prima tappadella globalizzazione. Siamo tutti quanti ai piedi dello stesso muro. Dopo letristi esperienze del secolo scorso, e questa la sfida che ci aspetta: come possi-amo reintrodurre nella nostra storia finalita che 85 ci affranchino dalla tiranniadel presente ma che non siano all’ori- gine di un nuovo dispotismo intellettualee politico? Come pos- siamo, piu che prefigurare il futuro (essendo il cambia-mento tanto inimmaginabile quanto ineluttabile), attrezzarci nella misura delpossibile perche sia l’avvenire di tutti? I termini di questa sfida interessano gliantropologi perche cor- rispondono a una situazione che, da un certo punto divista, ri- pete o tende a ripetere un’esperienza della quale sono gia stati testi-moni, senza prestarvi tutta l’attenzione che sarebbe stata augurabile e senzatrarne tutte le conseguenze: l’esperienza della colonizza- zione e quella della de-colonizzazione, in quanto quest’ultima ha rapidamente cancellato i discorsi sullefinalita che servivano a giu- stificare la prima. Anzi, questa cancellazione forse

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e cio che defini- sce la decolonizzazione, cio che ne costituisce l’essenza. Il temaesplicito della fine della storia e quello piu o meno implicito di una divisione delmondo tra chi e denrro le cose e chi ne e tagliato fuori, tra assistenti e assistiti,privilegiano una lettura attuale della storia che sottrae ogni pertinenza all’ideadi progresso o a quella di un mondo migliore per il domani. Localmente, pero,questi ideali sono ancora formulati in modo vago e confuso. Si delineano forme diresistenza allo stato di cose esistente, ma in nome di ideali par- ticolari, incom-pleti e talora contrastanti (le culture minoritarie, il mondo contadino, l’ecologia)che, anche quando tentano di espri- mersi su scala planetaria, stentano a costru-ire progetti leggibili per il futuro, a proporre obiettivi che non siano in sostanzadifensivi. Questa situazione, intellettualmente interessante, ritengo possa esserecolta piu efficacemente se la si osserva su scala antropolo- gica, ovvero in quelleunita ridotte nelle quali si fanno pero sentire gli effetti del nuovo contesto: ilcontesto planetario (sotto il du- plice, e contraddittorio, aspetto della global-izzazione tecno-econo- mica e della coscienza planetaria in pieno sviluppo). Itradizionali ambiti empirici dell’etnologia si prestano bene a tale approccio (e illoro contesto, che si trasforma e li trasforma) e, a maggior ra- gione, si prestanobene anche gli altri ambiti toccati da qualche 86 anno dagli antropologi (nonsolo la citta, che vanta gia titoli di no- bilta nella tradizione professionale, maanche l’impresa, i grandi agglomerati, i campi profughi, i gruppi di immigrati,le ong...). A condizione, pero, che lo studio dei rispettivi microcontesti e delcontesto globale si basi precisamente sulle finalita di cui essi sono o non sono por-tatori. E proprio perche l’antropologia si definisce simultaneamente ri- spetto alproprio oggetto intellettuale (la relazione pensata e isti- tuita, il senso sociale) erispetto al contesto in cui lo osserva, che mi sembra possa costituire un percorsoprivilegiato per l’osservazione dei mondi contemporanei. La situazione attualela obbliga per prima cosa a definirsi antropologia e non piu solo etnologia: ilcon- testo oggi e sempre mondiale e, per quanto rimanga necessario lo studio deimicrocontesti locali o regionali, essa acquista tutto il pro- prio senso soltanto inrelazione al contesto globale nel quale sono inseriti i microcontesti. Il passag-gio da un’etnologia particolare a un’antropologia comparata o generalizzata eoggi una necessita, se si vuole dare conto di una situazione che, pur senza can-cellare del tutto i particolarismi e le storie locali, li trasforma profondamenteconfrontandoli con la globalita del mercato, delle tecnologie e delle immagini.Di fronte all’ideologia del presente e dell’evidenza diffusa dal si- stema globale,di fronte alle illusioni micidiali e liberticide dei to- talitarismi integralisti, ab-biamo piu che mai bisogno di un ritorno allo sguardo critico capace di rivelarei giochi del potere dietro alle formule che si appellano a una quiete illusoria ouna mobilitazione fanatica. Il ritorno a quello sguardo critico che io attribuiscoall’antropo- logia evidentemente non basta a cambiare il mondo. Ma puo con-tribuire a dare la misura delle vere poste in gioco. Viviamo in un mondo nelquale, agli estremi, si formano crepe sempre piu profonde, come quelle che siallargano tra i piu ricchi dei ricchi e i piu poveri dei poveri, o tra la somma delleconoscenze accumulate nei laboratori scientifici piu attrezzati del pianeta e lostato di igno- 87 ranza nel quale viene tenuta la maggioranza della popolazionemondiale, tanto nei paesi cosiddetti sottosviluppati quanto all’in- terno deglistessi paesi industriali. Il problema e che oggi sul pianeta regna un’ideologiadel pre- sente e dell’evidenza che paralizza lo sforzo di pensare il presente comestoria, un’ideologia impegnata a rendere obsoleti gli insegna- menti del passato,ma anche il desiderio di immaginare il futuro. Da uno o due decenni, il pre-

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sente e diventato egemonico. Agli occhi del comune mortale, non deriva piu dallalenta maturazione del passato e non lascia piu trasparire i lineamenti di possibilifu- turi, ma si impone come un fatto compiuto, schiacciante, il cui improvvisoemergere offusca il passato e satura l’immaginazione del futuro. Quella che ab-biamo chiamato ideologia del presente si manife- sta in diversi modi e qoi neabbiamo individuato l’esistenza sulla scorta di tre fenomeni concomitanti. Con ilprimo ritroviamo Lyo- tard e la fine delle grandi narrazioni basate sull’avvenire.Questa fine corrisponde alla perdita delle illusioni coltivate sul progresso umano,soprattutto dopo le atrocita e le esperienze totalitarie del XX secolo. Il momentopostmoderno sarebbe pertanto quello in cui i miti moderni, i miti del futuro e imiti universalisti, che si erano so- stituiti alle cosmogonie particolariste, scom-paiono a loro volta. Una delle ragioni di questo fallimento e quella che Lyotarddefinisce dis- sidio, cioe la differenza di percezione tra chi inventa teoricamenteun’ideologia universalista e liberatrice e chi ne subisce storicamente gli effetti.La Rivoluzione francese era un atto di liberazione univer- sale o semplicementel’espressione dell’espansionismo francese, che avrebbe trovato il suo autenticoeroe nella figura di Napoleone? Probabilmente l’una e l’altra cosa, ed e da quiche cominciano le difficolta. Il tema della fine delle grandi narrazioni ne hapreceduto un aldo, sviluppato da Fukuyama, che ha ottenuto una notevole at-tenzione: la fine della storia. Ma i due temi, come appare evidente, non vannoaffatto confusi. Lyotard, quando parlava della fine delle due grandi tipolo-gie mitologiche, ci invitava a riflettere sulle nuove modalita di relazione con lospazio e con il tempo che definivano la condizione postmoderna. Con la finedella storia, siamo in tutt’altro contesto: e il tentativo di realizzare una nuovagrande narrazione. La fine della storia non e, evidentemente, il blocco deglieventi, ma la fine di un dibattito intellettuale: tutti quanti, ci dice in sostanzaFukuyama, sarebbero oggi d’accordo nel ritenere che la formula che coniuga ilmercato liberista e la democrazia rap- presentativa sia insuperabile. Derrida,nel suo libro Gli spettri di Marx1, osserva a tal proposito che le formulazioni diFukuyama non sono molto chiare e che permane un dubbio, a fine lettura, sulsignificato da dare al concetto di fine della storia: si tratta di un dato di fattoincontestabile o di un’ipotesi speculativa? Fukuyama presenta la buona novella(Derrida sottolinea quel linguaggio evangelico) dell’avvento della democrazia lib-erale ora come fatto empirico ora come ideale normatore: L’avvenimento e sia larealiz- zazione sia l’annuncio della realizzazione. Ma questa stessa incer- tezza(o incoerenza) e tipica di un’atmosfera intellettuale in cui niente e piu difficileda immaginare del futuro. Ci si potra fare un’idea di questa difficolta interro-gandosi sullo stato dell’evento oggi. Come abbiamo visto, nelle societa dell’im-manenza l’evento e negato nei limiti massimi del possibile: lo si ri- manda allaserie di determinazioni concepite al contempo come sociali e antropologiche chelo riversano sulla struttura. Quando questo riversamento, questa eziologia so-ciale, non e piu possi- bile, perche l’evento e enorme e sproporzionato rispettoagli abi- tuali strumenti di misura e di interpretazione, per esempio nel casodell’irruzione coloniale, allora lo si mima, lo si recita, lo si mette in scena (sec-ondo lo schema dei riti di inversione celebrati in occa- sione di epidemie o dellamorte di un capo), nella speranza che quella sorta di sfida simbolica basti a scon-giurarlo. Nel caso della colonizzazione la speranza e sempre andata delusa e ilprofetismo africano, per esempio, ha continuato a ripetersi in un balbettio finoa un passato molto recente. Ma localmente e per molto tempo e 89 riuscito ascongiurare la violenza, per cui e sempre stato difficile, per gli africani come per

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gli etnologi, decidere se i profeti fossero collaboratori o resistenti, perche eviden-temente erano l’una cosa e l’altra. Nelle societa oggi piu sviluppate assistiamoa una crescita della paura dell’evento (si pensi alla categoria del rischio, al ruolodelle assicurazioni, alla regolamentazione giuridica della pratica medica, all’ideadi insicurezza o al timore del cambiamento climatico). La crescita della pauracomporta classicamente una ricerca delle cause e dei responsabili che, anche inun contesto sociologico diverso da quello delle societa politeiste, ne richiamacomunque alcuni aspetti. Se invece l’evento ha una portata inaspettata e si pre-senta a prima vista imprevedibile, come nel caso dell’attentato dell’11 settembre2001, c’e un rapido cambio di strategia. La ricerca dei colpevoli diretti, morti, edei responsabili piu lontani, irrintracciabili in un futuro prevedibile, lascia prestoil posto a una nuova iniziativa tem- porale: si fa dell’evento non un punto diarrivo che bisogna spie- gare, ma un punto di partenza che tutto spieghera. Equesto il senso e il ruolo della seconda guerra in Iraq e, piu in generale, dellaguerra dichiarata al terrorismo. La parola chiave, qui, e dichiarazione. Forsela formula di- chiarazione di guerra non era piu stata utilizzata dal 1939. Ladi- chiarazione di guerra ha precisamente l’effetto di un annuncio che cancellacon un tratto il passato per convertire gli animi all’attesa e al seguito. E’ ilpassaggio alla violenza legittima, o comunque le- gale; e il ribaltamento dellecoordinate temporali, una rifonda- zione, il canto di chi parte. Il problema eche nella complessita delle societa moderne non e cosı facile riuscire in questaoperazione sim- bolica, passare dall’ordine delle cause a quello degli effetti, dalladiagnosi al progetto. Cosı il discorso ufficiale sul terrorismo si sdop- pia: gli sidichiara guerra, certo, ma questo non cambia niente, si vive come prima (siapure con un po’ piu di vigilanza poliziesca). Cambia tutto, non cambia niente.Alle persone piu anziane questa duplicita fara venire in mente l’atteggiamentorassegnato con cui la 90 Francia aveva dichiarato guerra alla Germania nel 1939.Julien Gracq, nei suoi Carnets du grand chemin, (3) fa un efficace schizzo diquesto episodio contrastato: La totale assenza di ardore della na- zione a ”get-tarsi” nella guerra del 1939, gia dichiarata con scarso en- tusiasmo, giustifica lasolennita dei riti che contraddistinguono ovunque nella storia antica il passaggioallo stato di belligeranza: lo stato di guerra e cosı poco naturale per una nazionemoderna che essa non puo che ”gettarcisi” a occhi chiusi; e necessario crearea ogni costo una rottura irreversibile, non lasciare un millimetro di spazio aidubbi reconditi [...]. Il governo Daladier, nel 1939, an- dava invece alla guerracon gli occhi aperti e facendo il contrario [...]; tutto quello che faceva, o piut-tosto che non faceva, sussurrava alle orecchie della truppa, su un tono minorema eloquente, il motto di Giraudoux, suo propagandista, in La Guerre de Troie:”Vale la pena prendersi un minuto di pace”. (4) La storia, in effetti, non epiu la stessa dopo l’11 settembre 2001. Quel nuovo inizio, pero, non invalidae non deve invalidare agli occhi di chi l’ha concepito il tema della fine dellastoria, proprio perche il nuovo conflitto prende senso nel nuovo mondo globaliz-zato, nel quale rappresenta una perversione momentanea e locale. In questaprospettiva, non c’e contraddizione tra il tema della fine della storia e quellodello scontro di civilta. Questo non contrad- dice quello: e uno dei sintomidella sua attuazione. Il secondo fenomeno riguarda la prevalenza del linguaggiospa- ziale su quello temporale ed e strettamente legato al fenomeno piu vastodella globalizzazione e al paradosso analizzato in precedenza. Ma e utile ri-cordare qui la rivoluzione che comporta nella nostra percezione dello spazio o,piu esattamente, il rovesciamento dei rapporti tra interno ed esterno. La coppia

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globale/locale ha preso il posto dell’opposizione particolare/universale, la quale,associata a una concezione dialettica della storia, si inscriveva nel tempo. L’as-similazione dell’opposizione globale/locale a quella interno/esterno assume tuttoil suo significato in relazione al tema della fine della storia inteso come avventodella democrazia liberale, cioe, in defi- 91 nitiva, in rapporto all’opposizionesistema/storia. Ricordiamo an- cora l’osservazione di Virilio: per il Pentagonol’interno e cio che sta dentro al sistema economico e tecnologico le cui retifanno la glo- balizzazione; l’interno e il globale e il globale e l’interno. Vicev-ersa, l’esterno e il locale, in quanto non e una semplice duplicazione del globale,ma interferisce con il sistema e quindi e imputabile di un possibile reato diingerenza. In una prospettiva del genere si capi- sce come mai la storia, inquanto perturbazione di un sistema che pretende di presentarsi come l’utopiarealizzata, possa avere solo un’origine locale. E’ il linguaggio spaziale che es-prime e in un certo senso protegge l’organizzazione attuale del mondo. Il terzofenomeno che va preso in considerazione e il regno delle immagini, soprattuttodelle immagini televisive. Queste in parte ci racchiudono nello spazio. I satel-liti fissi le rimandano da un punto del pianeta all’altro. I fatti dell’attualitasono rimbalzati, interpretati e rappresentati quasi simultaneamente in tutto ilmondo. Ci abi- tuiamo a essere informati a ore fisse. In un senso piu ampio, ilno- stro ambiente tecnologico svolge quasi il ruolo delle cosmologie tradizionaliche ponevano coordinate nello spazio (compreso il corpo umano) e nel tempo(comprese la nascita e la morte) per dare un ordine simbolico al mondo. Oggisiamo circondati da oggetti materiali estremamente raffinati che invadono ognigiorno la nostra esistenza e sembrano fornirle un senso. Ogni giorno ci stannosem- pre piu accanto: ci eleggono a domicilio, si agganciano al nostro corpo,ci fanno comunicare con il mondo intero senza farci spo- stare, ci assuefannoa stare in una sorta di bozzolo tecnologico che ci mette al riparo da passato efuturo, quasi esistesse solo il presente. Dietro il gioco di immagini e messaggiche, nonostante le vio- lenze ti ci l’attualita, possono dare la sensazione chenon succeda niente, stanno invece per compiersi formidabili progressi. E co-minciata la conquista della galassia e noi sappiamo bene che tra qualche decen-nio non guarderemo piu il cielo con gli stessi occhi. L’esplorazione dello spazionon e la sola che ci offre prospettive vertiginose. La scienza progredisce anchenell’esplorazione della 92 vita: presto sara individuata e varcata la frontiera tramateria e vita. La genetica permette di interrogarsi sulla prossimita di certespecie in apparenza distanti e anche sulla realta e sui limiti dell’individua- zione.La coscienza si interroga sulle condizioni della propria com- parsa. La scienza,pero, a differenza delle cosmologie tranquilliz- zanti che postulano una totalitadistributrice di senso, avanza nell’ignoto spostandone gradualmente le frontiere.Affronta l’i- gnoto e forse per questo la sua immagine e ambivalente: da unaparte si sa che e all’origine di tutte le tecnologie che ci circondano, dall’altraci fa sentire l’immensita di cio che ancora ignoriamo. La scienza non e rassi-curante. Oltretutto, nonostante le apparenze veicolate dalla globalizza- zione,la disparita dei saperi e ancora piu grande di quella delle ric- chezze. Questoinizio di secolo e caratterizzato, oltre che da una crescita dello scarto tra i piuricchi dei ricchi e i piu poveri dei po- veri, anche da un aumento dell’ignoranzae da un allargamento dello scarto tra chi dispone di conoscenze e chi non nedispone. Se si pensa al denaro, alle collaborazioni e agli appoggi politici cherichiede oggi una vera politica della scienza, c’e il fondato so- spetto che ilmondo di domani si scomporra in tre parti: una pic- cola aristocrazia mondiale

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del sapere e del potere costituita dagli scienziati e dai loro finanziatori, coloroche saranno abbastanza istruiti da capire dove stanno andando, e infine unamassa ogni giorno piu numerosa di esclusi dalla conoscenza, che potranno es-sere semplici consumatori o essere esclusi sia dal sapere sia dai con- sumi. Ilforte timore e infatti che, a livello globale, l’aristocrazia del sapere e quella deldenaro si sviluppino parallelamente. Questo rischio di una divisione irreversibilerenderebbe impossibile il costi- tuirsi di un’umanita unificata, di un’umanita-societa, o piu preci- samente darebbe alla societa planetaria in formazione unvolto in- quietante e profondamente non democratico. Utopia nera, che puoessere contrastata solo dall’utopia del sapere per tutti, cioe da una visione delfuturo finalmente sgombra dalle illusioni del pre- sente veicolate dall’ideologiadella globalizzazione consumista. 93

Note al capitolo 1. Gerard Alrhabe, Oppression et liberation dans l’imaginaire,Maspero, Paris, 1969. 2. Jacques Derrida, Spectres de Marx, Galilee, Paris,1993 [trad, it.: Gli spettri di Marx. Stato del debito, lavoro del lutto e nuovaInternazionale, Cortina, Milano, 1994]. 3. Julien Gracq, Carnets du grandchemin, Jose Corti, Paris, 1992. 4. Ibid, pp. 208-209. 94

Capitolo ottavo Il mondo di domani, l’individuo, la scienza, l’istruzioneIn tre espressioni correnti, ma di antica data, la parola mondo oc- cupa un

posto centrale. La prima il giro del mondo e in appa- renza la piu geografica,ma e diventata ben presto uno strumento per misurare il tempo e la velocita deimezzi di trasporto. La se- conda - l’altro mondo o un mondo migliore e statautilizzata dalle religioni monoteiste e, nella sua versione laicizzata, dagli uto-pisti e dai rivoluzionari del XIX secolo. La terza la fine del mondo esiste in dueversioni e gioca talvolta sull’ambivalenza della parola fine (termine o scopo). Illoro significato ha subito un’evoluzione significativa nel corso degli ultimi anni enon e inutile riprenderli qui nel tentativo di capire dove ci collochiamo oggi neinostri rap- porti con il mondo. Occorre innanzi tutto ricordare che, evidente-mente, la parola mondo e una sorta di concetto buono per tutti gli usi in gradodi mascherare le nostre contraddizioni e ambiguita. Ma bisogna anche ricordareche l’ovvia constatazione del fatto che in pochi decenni il mondo sia radicalmentecambiato corrisponde a un’esperienza con- divisa sul cui contenuto e possibileporsi qualche interrogativo. 95 Il giro del mondo C’e voluto parecchio tempoperche l’umanita scoprisse che la Terra e rotonda. Dal momento in cui e diven-tata ufficialmente sfe- rica, e stato possibile impegnarsi a farne il giro. Questadel giro del mondo e una vecchia storia, se si accetta la tesi dell’origine unicae africana degli esseri umani, i quali avrebbero cominciato a fare il giro dellaterra (a popolarla) senza immaginarsi che fosse rotonda. Invece e una storiarecente, se si pensa alla rivoluzione copernicana e ai progressi dell’astronomianegli ultimi cinque secoli. Il mondo del quale si puo fare il giro trova nuovaattualita con il tema della globalizzazione o mondializzazione, ma il tema stessoevidenzia la plasticita di un falso concetto che puo corrispondere tanto all’ideadi una totalita compiuta quanto all’idea di una plu- ralita irriducibile (il mondoe fatto di mondi). Questa tensione tra unita e pluralita oggi e piu evidente chemai: come abbiamo visto, con la globalizzazione si intendono due fenomeni dis-tinti, uno che rimanda all’unita del mercato economico e delle reti tecnologichedi comunicazione, e l’altro che rimanda a una coscienza planetaria, una forma dicoscienza infelice che prende atto delle fragilita eco- logiche del pianeta e delledistorsioni sociali di ogni genere che la- cerano l’umanita. La tensione tra unita epluralita si esprime oggi nell’opposizione globale/locale, che vorrebbe risolverla

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ma invece contribuisce a ri- produrla ed esasperarla. In certi casi il locale e con-cepito a immagine e somiglianza del globale e del sistema economico-tecnologicodel quale e espressione; in altri e visto come un’eccezione, un accidente o unoscarto rispetto al sistema nel suo insieme, e per questo deve es- sere richiamatoe riportato all’ordine. Il concetto di diritto di inge- renza e quello che megliomette in luce il carattere politico del ri- ferimento al mondo e ai mondi. Qui leanalisi proposte da Virilio a proposito della visione strategica del Pentagono as-sumono piena- mente il loro significato e corrispondono in effetti alla visione glo-bale di un sistema-mondo o, meglio, di un mondo-sistema, al mo- mento sottoil controllo politico, economico e tecnologico degli Stati Uniti. Contro tale sis-tema, e al suo stesso interno, spuntano poi nuove candidature alla ridefinizionedel mondo. I candidati si definiscono anch’essi mondo, mondi singolari e parzialiin un primo tempo, ma con l’aspirazione all’unita e all’egemonia in un secondotempo. Si parla dunque di mondo islamico, di mondo asiatico, cosı come si epotuto parlare di crollo del mondo comunista. A causa della sua ambivalenza(indica sia la totalita sia la diffe- renza), il termine mondo ci dice qualcosadella nostra attualita, che coniuga un’effettiva globalita (la globalizzazione neisuoi due aspetti), talune differenze esasperate che restituiscono senso a vec- chiconcetti (classi, ideologie, alienazione) e una simbolizzazione in crisi tenuta invita e dissimulata dalle tecnologie della comunica- zione (Internet, immaginivideo, televisione). Phileas Fogg, l’eroe di Jules Verne, oggi potrebbe fare il girodel mondo in molto meno di ottanta giorni, senza cambiare ambientazione (fre-quenterebbe, da un capo all’altro del mondo, le stesse catene alberghiere), senzasmettere di guardare le stesse serie televisive o di apprendere in di- retta (live)su BBC News le notizie del suo paese, senza dover inter- rompere i contatti coni suoi amici grazie al telefono e a Internet; e cosı attraverserebbe, senza vederli,i mondi piu diversi e piu scon- volti dalla storia: l’uniformazione dello spazio,da questo punto di vista, e un corollario dell’accelerazione del tempo.

Un mondo migliore, un altro mondo Il tema del migliore dei mondi va messoin relazione con due ti- pologie di miti apparsi nella storia: i miti dell’originefondatori delle religioni, che secondo quanto hanno affermato i filosofi occiden-tali sono stati uccisi dalla modernita nel XVIII secolo, e i miti del fu- turo, legrandi narrazioni fondatrici delle ideologie politiche pro- gressiste, che la storiadel XX secolo avrebbe fatto scomparire. 97 Entrambe le declinazioni del temadi un mondo altro presen- tano alcuni paradossi e certe diversita e analogie. Leutopie laiche possono sembrare piu disinteressate e generose delle religioni salvi-fiche, perche non prospettano alcuna ricompensa individuale a breve termine enon si interessano della morte del singolo. Tutte e due, pero, producono effettinel mondo attuale (se intendiamo per mondo attuale quello in cui viviamo eper mondo virtuale quello che le religioni o le utopie pretendono di sostituirgli).Le re- ligioni salvifiche, infatti, danno importanza alle opere, mentre le utopielaiche sono spesso legate a filosofie della felicita che hanno modificato il rap-porto con l’esistenza mondana. Le une e le altre sono state storicamente, peruna moltitudine di individui, un modo di vivere il mondo attuale piu che unamaniera per cambiarlo. Puo darsi che l’attualita ci solleciti a sfumare le tesisulla fine di entrambe le tipologie mitologiche. Se e vero che l’esistenza di formereligiose aggressive (islamismo, evangelismo) puo farci pa- ventare un XXI secololacerato da concezioni del mondo contrappo- ste e altrettanto retrograde (il chesmentirebbe la tesi della fine dei miti dell’origine e del trionfo della modernita),non va pero sotto- valutato l’aspetto politico delle nuove affermazioni religiose,

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ne il loro carattere reattivo. Puo anche darsi che la modernita sia ancora da rag-giungere e che noi ci troviamo nel pieno di una crisi che si apparenta, in realta, auna fine. Inoltre, se bisogna ammettere che le proiezioni politiche di alto profilosi sono indebolite, in questo campo non si possono escludere sorprese: le con-cezioni dominanti non sono piu certe di quelle che le hanno precedute e l’assenzao l’indebolimento delle rappresentazioni strutturate del futuro pos- sono costi-tuire un’opportunita per cambiamenti effettivi alimentati dall’esperienza storicaconcreta. Puo persino darsi che stiamo impa- rando a cambiare il mondo primadi immaginarlo, convertendoci a una sorta di esistenzialismo pratico. Le inno-vazioni tecnologiche che hanno profondamente modificato i rapporti tra i sessi ole mo- dalita di comunicazione (la pillola, Internet) non sono nate dal- l’inopia,ma dalla scienza e dalle sue ricadute tecnologiche. Lesi- 98 genza democraticae l’affermazione individuale seguiranno proba- bilmente strade impreviste cheoggi possiamo solo intuire. Dall’inizio del XX secolo, la scienza ha compiuto pro-gressi sem- pre piu rapidi tali da farci oggi intravedere prospettive rivoluziona-rie. Cominciano ad aprirsi davanti a noi nuovi mondi: da un lato l’universo, legalassie (e questo cambiamento di scala non sara privo di conseguenze sull’ideache abbiamo del pianeta e dell’umanita), dall’altro la frontiera tra materia e vita,l’intima essenza degli esseri viventi, la natura della coscienza (e queste nuoveconoscenze impli- cheranno la ridefinizione dell’idea che ogni individuo puo farsidi se stesso). Cio che sapremo del mondo cambiera il mondo, ma quei cambi-amenti sono oggi inimmaginabili: non possiamo sa- pere, per esempio, quantoprogredira la scienza nei prossimi trenta o quarant’anni. Due osservazioni aquesto proposito: a. Se non si compiono cambiamenti rivoluzionari nel campodell’istruzione, c’e il rischio che l’umanita di domani si divida tra un’aristocraziadel sapere e dell’intelligenza e una massa ogni giorno meno informata del valoredella conoscenza. Questa disparita ri- produrra su scala piu grande la disug-uaglianza delle condizioni eco- nomiche. L’istruzione e la prima delle priorita.b. Le ricadute tecnologiche della scienza sono come una seconda natura Siamocircondati da immagini e da messaggi che ci rassicu- rano e ci alienano dal nuovoordine delle cose senza offrirci neces- sariamente i mezzi per comprenderli. Staqui il rischio di quella che ho chiamato cosmotecnologia. Ci da l’illusione cheil mondo sia fi- nito. Ci aiuta a vivere, ma se non si ha una coscienza esattadel suo statuto, puo anche essere il tramite di tutte le forme di sfrutta- mento.La scienza, per parte sua, non ha bisogno di disuguaglianze ne di dominio. Senei fatti dipende dalle politiche che la finanziano e in larga misura la orientano,di per se risponde solo al desiderio di sa- pere. Rispetto a questa esigenza, lamiseria e l’ignoranza sono fat- 99 tori di ritardo. Un mondo che ubbidisse soloall’ideale della cono- scenza (e dell’istruzione) sarebbe nello stesso tempo piugiusto e piu ricco. Se si ammette che la scienza cambia il mondo, si am- metteanche che non esiste altro mondo al di fuori di quello che stiamo cambiando eche esso ha in se il proprio fine.

La fine del mondo Quello della fine del mondo e un tema vecchio e caro almono- teismo cristiano, che lo associa al Giudizio Universale. Il monotei- smoha bisogno della morte per dare un senso alla vita. Evacua la vita nell’altromondo: la resurrezione e il passaggio alla vita attra- verso la morte, il pas-saggio all’altro mondo. La fine del mondo altro non e che la ricapitolazionegenerale di tutte le fini indivi- duali che si sono successe e accumulate nella sto-ria del mondo che sta in basso. La parola mondo evidenzia qui tutta la propriaam- biguita: deve finire perche cominci l’altro mondo. Un inizio che e insieme

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promessa e minaccia (Dies irae, dies Illa). In altri termini, il mondo attuale esubordinato alla rappresentazione di un mondo virtuale. La sua finalita gli eesterna. Il tema della fine del mondo era tornato di attualita durante la GuerraFredda per il timore di un’apocalisse nucleare. Oggi le nuove paure del terzomillennio sono piuttosto di ordine ecologico (riscaldamento del pianeta, deser-tificazione) o mediche (nuove pan- demie, malattie legate all’alimentazione dimassa). Tali paure sono ravvivate dallo spettacolo quasi familiare dei pianetimorti, come Marte, sui quali si suppone siano state possibili forme di vita; im-magini concrete ed estranee di mondi nei quali non c’e piu posto per l’uomoo non c’e mai stato, nei quali qualsiasi vita e stata sem- pre assente o e scom-parsa, senza possibilita di sapere quale tra que- ste ipotesi sia la piu inquietante;immagini concrete della nostra fine a lunghissima scadenza, ma che le minimealterazioni meteo- rologiche sembrano rendere attuali alla nostra fantasia. 100Il tema della fine del mondo e in continua evoluzione ed e sottil- mente legatoa quello della fine della storia. Quest’ultima, indipen- dente dalla sua perti-nenza o meno alla realta, fa molto concreta- mente riferimento a un modello disocieta che ha i suoi costi, i suoi problemi e le sue ambizioni. Da sempre, siscontrano al suo interno prudenza ecologista e ambizione prometeica: da unaparte il rispar- mio energetico, le energie dolci, lo sviluppo sostenibile, dall’altrolo sfruttamento di nuove forme di energia, soprattutto dell’energia atomica, losfruttamento minerario ed energetico degli astri a noi piu vicini. Si ripresentaqui l’ambivalenza del termine fine, che indica sia un compimento sia uno scopo.Quale mondo si delinea all’orizzonte delle diverse strategie che si confrontanoper lo sfrutta- mento del mondo cosı com’e? E pensabile un mondo senza fi-nalita? Per finire vorrei evocare un’altra evoluzione, anch’essa in corso e che allafine potrebbe rivelarsi la piu rivoluzionaria: quella relativa all’idea di individuo.Il concetto di mondo, come quello di cultura, schiaccia l’esistenza individualesotto un peso dal quale il singolo fa fatica a liberarsi. Non appena alcunecatene si spezzano, subito se ne inventano altre a tal punto l’umanita sembraavere paura della li- berta (la liberta assoluta dell’individuo), preferendo piut-tosto rifu- giarsi nel senso (l’alienazione delle forme istituzionali). Si puo avereun’idea di questo equilibrio precario se, per esempio, si presta atten- zione agliattuali dibattiti sull’omosessualita. La lotta contro la de- terminazione in baseal sesso (determinazione che si ritrova al cen- tro dei simbolismi piu presenti intutte le culture) e in certo senso la piu rivoluzionaria possibile, ma oggi portastranamente a una ri- vendicazione di istituzioni, come il matrimonio o la fili-azione, ap- parentemente molto conformiste. Davanti ai contrasti del mondo incui viviamo, in cui coesistono i piu vertiginosi progressi scienti- fici e le piu ar-caiche rappresentazioni religiose, la coscienza acuta dei diritti dell’individuo e leforme piu eclatanti di totalitarismo, non si puo non constatare come l’evoluzionedelle societa non sia un lungo fiume tranquillo, il cui corso possa sempre esseremisurato e previsto. 101 In una tale situazione, l’idea di postmodernita appareo troppo ambiziosa o troppo oziosa. Talvolta essa sembra definire una condi-zione che si sarebbe sottratta una volta per tutte alle vecchie deter- minazionie che sarebbe dunque in grado di coniugare armoniosa- mente al suo interno ladiversita delle culture e il fiorire delle individualita, ma anche l’incrocio delleune e delle altre e la loro re- ciproca fecondazione. Per certi versi, questa apparecome la ver- sione cool ed ecologista della fine della storia e dell’utopia liberale.Diversa e invece l’interpretazione se la si evoca per riferirsi a una si- tuazionenon utopica, ma vaga e indeterminata, della quale non si riesce a dare una sp-

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iegazione se non in modo parziale e indiretto. Si ignorano deliberatamente, inquesto caso, gli effetti al tempo stesso omologanti e disegualitari indotti dal mer-cato e dalle tecnologie. In entrambi i casi, l’idea di postmodernita presupponeuna rottura (eventualmente una rottura molle, in forma di decomposizione) conil moderno, a sua volta concepito come l’epoca delle grandi ipotesi universal-iste. Nella storia, il pensiero della rottura reca sem- pre in se l’ammissione diun’impotenza o di una sconfitta. Come il cambiamento di paradigma nella sto-ria della scienza o nella storia dell’arte, la rottura in ambito storico e un fattoche rimanda ad at- tori, autori, creatori, ma essa non e arbitraria e la sua ne-cessita, o possibilita, si inscrive in quella continuita che intende spezzare. Dalpunto di vista di chi osserva o analizza, l’avanguardia, l’eresia, il sa- crilegioe la rivoluzione sono pensabili, cioe situabili. Quando ho proposto il concettodi surmodernita per definire la situazione attuale, l’ho fatto appunto per situ-arla in relazione all’epoca della modernita. In effetti, quella e il prolungamentodi questa, ma e soggetta all’influenza di molteplici fattori, complessi e talvoltacon- traddittori, che ne rendono difficoltosa l’analisi. Si tratta di una si- tu-azione surdeterminata, nel senso in cui l’utilizzano Freud e poi Althusser. Ede in questo senso che essa e surmoderna. Il tema dell’individuo costituisce, daquesto punto di vista, un luogo strategico. Nella societa cosiddetta dei consumitutto induce a considerare l’individuo come il motore della vitalita economica.102 Non tanto, come nella prima ideologia capitalista, perche c’e biso- gno diimprenditori, quanto per la fragilita di un sistema che di- pende dalla buonavolonta dei consumatori. Un attentato, un calo di passeggeri su qualche lineaaerea, e grandi imprese che si crede- vano floride sono andate in fallimento. Perquesto una parte note- vole dell’attivita dei media e dedicata a sedurre, a con-vincere l’in- dividuo consumatore, e questo anche nei paesi poveri e nei periodidi marasma economico: e indispensabile far ripartire la macchina o comunqueimpedirle di grippare. L’individuo e re, ma e un re nudo che tutti voglionorivestire, nutrire, curare, abbellire, nella misura, in tutta la misura, dei suoimezzi (e il credito e lı per que- sto). Probabilmente il sistema economico siaccontenterebbe di questo individuo passivo, al quale e sufficiente circolare tragli scaf- fali di un supermercato o ascoltare le varie promozioni dei presen- tatoritelevisivi per avere la sensazione di essere libero nelle proprie scelte e opinioni.Ma in una situazione di surmodernita, nella quale le determinazioni sono com-plesse e la memoria non e mai pari a zero, l’individuo, per condizionato chesia, puo sorprendere il suo mondo prendendo alla lettera i messaggi che gli ven-gono rivolti, giocando in contropiede e schivando gli ostacoli. La paura di di-ventare poveri, il senso del tempo che passa, l’impazienza dell’a- dolescente o ilpessimismo di chi invecchia, il senso dell’urgenza, per dirla tutta, sono armi ter-ribili che risvegliano la lucidita. L’Illu- minismo, da questo punto di vista, restail riferimento rivoluziona- rio piu consono, perche aveva puntato sul risvegliodelle coscienze individuali che tutto l’apparato politico e religioso dell’AncienRe- gime intendeva tenere addormentate. Quella battaglia non e mai statacompletamente vinta, e continua ancora. L’idea di individuo rimane sovversivafinche significa che il mondo nasce con me e muore con me. Tutte le culture sisono co- struite contro questo solipsismo, ed e proprio questa la ragione dellaloro forza, perche l’alterita e al centro dell’identita; l’identita individuale non edefinibile, pensabile e vivibile se non in relazione con altri. Ma anche il sensosociale a sua volta si smarrisce se l’in- 103 dividilo si dissolve nel conformismo,nell’omogeneita, nell’allinea- mento. L’individualita si realizza dunque nella sol-

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idarieta, ma noi sappiamo anche che questa realizzazione, nelle sue forme piuele- vate (l’amore, l’amicizia) non ha bisogno di un quadro istituzio- nale. Laforma sociale ottimale (che concilierebbe senso e liberta) sarebbe allora quellache consentirebbe a tutti gli individui di rea- lizzarsi liberamente senza isolarsi.Conseguire un tale risultato non mi sembra verosimile, a meno che un giornogli esseri umani non rinuncino definitivamente alle consolazioni del senso (es-senzialmente le religioni, ma piu in gene- rale anche tutte le forme abusive dialienazione istituzionale), per affrontare i rischi della liberta. Quel giorno essiimpareranno a co- niugare la solitudine e la solidarieta, la solitudine dell’uomogene- rico e la solidarieta degli uomini individuali. Quella che e sola al mondo ela specie umana. Ed e proprio per dimenticare questo fatto che le culture hannoinventato dei e cosmologie. L’uomo in- dividuale sa di avere bisogno degli altriper esistere, e in questo senso e solidale. La vita individuale resta la misura ditutte le cose. Tanti religiosi, dichiarati o mascherati, tanti rivoluzionari, tanticonservatori, si sono coalizzati per negare questa intima evidenza che, sotto ogniregime, ha alimentato e continua ad alimentare il desiderio di resistenza. 104

Conclusione Per un’utopia dell’educazioneLa vera democrazia passa per una chiara definizione delle relazioni egual-

itarie tra tutti gli individui, tra tutti gli uni, chiunque siano, e tutti gli altri,chiunque siano. Oggi ne siamo ancora ben lontani. Ed e questa la ragione perla quale gli appelli alla violenza, quale che sia l’ideologia che li ispira, avrannosempre un’eco tra i piu sprovveduti. Cosı non e vietato all’antropologo, checerca di os- servare cio che e, suggerire cio che potrebbe essere se fosse resti-tuita una finalita al linguaggio politico e se si prendesse finalmente alla letteral’ideale spesso proclamato dell’istruzione e della scienza per tutti. Bisogna pen-sare al plurale, certo senza dimenticare che non e l’individuo che e al serviziodella cultura, ma sono le culture che stanno al servizio dell’individuo. Come as-sicurare le condizioni di un’utopia dell’educazione pro- gressista (che non rinuncia migliorare le sorti dell’umanita), pro- gressiva (che passi attraverso riforme eadattamenti), ed esplicita- mente finalizzata alla realizzazione dell’individuo?Sento gia le obiezioni: Un’utopia dell’educazione: bella idea, ma come realiz-zarla? Nei nostri bilanci le spese per la scuola sono gia al primo 105 posto. Checosa volete di piu?. Quello che vorremmo di piu e proprio non dover sentireancora questa obiezione. L’accusa di scarso realismo e una delle ganasce dellatenaglia che oggi stritola immediatamente qualsiasi proposta radicale. Bollarecome irreali- stica ogni proposta di trasformazione radicale significa rifiutarsi apriori di prestare attenzione alle evidenze che la sostengono. Nel caso in esame,l’evidenza e quella di una crescita dell’igno- ranza all’inizio di questo secolo.Che l’ignoranza sia in aumento o, piu precisamente, che lo scarto tra i saperispecialistici di chi sa e la cultura media di chi non sa continui a crescere: ecco checosa non si deve dire, per non turbare i sonni di nessuno. Nel mondo ipocrita ebigotto in cui viviamo, nel quale le parole fanno piu paura dei fatti, si dovrebbequindi tacere il fatto grave, enorme e determinante per il futuro dell’umanita,che quanto piu la scienza progredisce, tanto meno viene condivisa? E non bastaconstatare, come si sono impegnate a fare generazioni di etnografi, che svanis-cono i saperi tradizionali (scompaiono soprattutto perche non hanno piu ragionedi esistere): bisogna aggiungere che la loro perdita non significa un accesso anuovi saperi, ma l’esatto contrario. Lo stesso vale nel campo delle lingue. Certopossiamo deplorare la drammatica scom- parsa della diversita linguistica, ma sideve aggiungere che essa non significa un concomitante accesso alla conoscenza

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delle lingue do- minanti. Quello che deriva piu spesso dalla scomparsa dellelingue e un rapporto mutilato con l’altra lingua, un’infermita linguistica fonda-mentale che e l’espressione piu tragica del nesso tra perdita del passato e bloccodell’avvenire. Anche nel campo delle cono- scenze lo scarto tra paesi svilup-pati e paesi sottosviluppati continua ad allargarsi. Una parte maggioritaria delmondo non e in grado di capire alcunche di quanto e in gioco nella ricerca sci-entifica. Il fatto che alcune individualita facciano eccezione e si formino nelleuniversita americane (al termine di quella che chiamano foga dei cervelli) o checi siano settori scientifici di eccellenza in paesi che per altri aspetti sono sot-tosviluppati, come in Asia, non cam- bia niente del quadro di insieme. La lineadi demarcazione tra co- 106 noscenza e ignoranza attraversa peraltro anche ipaesi considerati industrialmente e scientificamente piu avanzati. Le Monde hapubblicato di recente i risultati di un’inchiesta della National Science Founda-tion, secondo i quali solo la meta degli americani sa che la Terra ci mette unanno a fare il giro intorno al sole. Altre in- chieste dicono che la maggioranza diloro crede nei miracoli, la meta nei fantasmi e un terzo nell’astrologia. In talecontesto globale l’offensiva dei creazionisti negli ambienti universitari acquistatutto il suo significato. Si puo certamente tenere conto del fatto che gli studentipiu brillanti delle universita americane sono asiatici (dal 1999 il numero di stu-denti stranieri nei corsi di ingegneria ha su- perato quello degli americani), ma eben noto che lo sviluppo scientifico in Asia presenta anch’esso notevoli disparita.L’esame delle situazioni africane e mediorientali porterebbe a conclusioni infini-tamente piu scoraggianti. Piu vicino a noi, e fatte salve alcune eccezioni degnedi nota, sembra attestarsi la distinzione tra quartieri normali e quartieri diffi-cili, tra elite e classi svantaggiate. Si puo osservare come il si- stema scolasticonon sia piu creatore di uguaglianza, ma riprodut- tore di disparita. D’altraparte, la situazione del mercato del lavoro, l’ideologia consumista e il regnodell’immagine - che mitizza i campioni sportivi e le star del varieta - gravanocon tutto il loro peso sugli animi e sulla fantasia. La ricerca americana affascinai ricercatori europei. Anche se non si dispone di cifre certe sulla fuga di cervellieuropei verso l’A- merica, possiamo affermare che si tratta di un fenomeno dinote- voli proporzioni. Corrisponde all’enorme sproporzione tra l’appa- rato diricerca americano e quello europeo. In un’intervista al Magazine litteraire (gen-naio 2004), George Steiner affermava che il budget annuale di Harvard superala somma dei bilanci di spesa di tutte le universita dell’Europa occidentale. Inaltre parole, su scala mondiale aumenta lo scarto, in termini assoluti e relativi,tra chi non ha nemmeno accesso all’alfabetizza- zione, a un estremo, e chi puoaccostarsi alle grandi ipotesi sulla 107 struttura dell’universo e sulla comparsadella vita, all’altro estremo. E necessario aggiungere che, parlando in terminiglobali, il patri- monio filosofico dell’umanita sembra in parte smarrito e cheun ri- piegamento spesso esasperato verso forme religiose piu o meno lo- goree intolleranti, sostenuto dalla violenza, dall’ingiustizia e da condizioni di dis-uguaglianza, sta prendendo il posto del pensiero per una parte considerevoledell’umanita? E possibile invertire la tendenza? Certamente non con un colpodi bacchetta magica, ne con pie speranze. L’estrema utopia, oggi, riguardal’educazione. Certo, un’utopia, perche l’idea di un ac- cesso all’istruzione aut-enticamente e concretamente uguale per tutti non corrisponde con ogni evidenzaallo stato delle cose, ne alle possibilita immediate di una loro evoluzione. Maun’utopia dell’educazione, contrariamente a quelle che l’hanno preceduta, puodefinire selettivamente i suoi luoghi e progressivamente le sue tappe. Puo essere

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riformista nel metodo, pur restando radicale come progetto. Piu di qualsiasialtra iniziativa politica si scontrera con le solite barriere, con il conservatorismoistituzionale, con le argomentazioni economiche e con lo scetticismo che minaogni progetto che richiede tempo per la sua realizzazione. Cio nono- stante, inquesto campo qualsiasi iniziativa locale, puntuale, puo essere considerata comeun passo nella giusta direzione, non come il tradimento di un ideale. In materiadi educazione non ci sono ri- sultati scarsi o trascurabili. Se l’umanita fosseeroica, accetterebbe l’idea che la conoscenza e il suo fine ultimo. Se l’umanitafosse generosa, capirebbe che la con- divisione dei beni e per lei la soluzione piueconomica (Marcel Mauss, nel suo Saggio sul dono, aveva cominciato a esplorarequesta ipotesi). Se l’umanita avesse coscienza di se stessa, non permette- rebbeai giochi di potere di oscurare l’ideale della conoscenza. Ma l’umanita in quantotale non esiste, ci sono solo gli esseri umani, le societa, i gruppi, le potenze... egli individui. Il paradosso attuale vuole che la globalizzazione si realizzi proprioquando disugua- glianze e disparita stanno toccando un loro picco. I piu oppressi108 degli oppressi hanno coscienza di far parte dello stesso mondo dei piu ricchie dei piu potenti - e viceversa. In fondo, mai come oggi gli esseri umani si sonotrovati in una situazione migliore per pen- sarsi come umanita. Mai, probabil-mente, l’idea di uomo generico e stata tanto presente nelle coscienze individuali.Ma al contempo, mai le tensioni dovute alla disparita delle condizioni di poteree di ricchezza o alla pregnanza degli schemi culturali totalitari sono state tantoforti. In qualsiasi gruppo umano non difettano l’eroi- smo, la generosita, laconsapevolezza. Ma queste qualita non sono isolate, si mescolano ai rapportidi forza, alle evidenze del presente, alle pigrizie e ai timori dell’immaginazione.Sono combinazioni che un’antropologia coerentemente critica deve esplorare nelcon- creto, nel dettaglio, per contribuire a porre la domanda dalla quale dipendeil nostro futuro (il possessivo nostro si riferisce chiara- mente alla nostra con-dizione comune, all’idea di uomo generico che da senso e limite a quella di uomoindividuale): l’utopia di un mondo senza dei, senza paure e senza ingiustizie,un mondo abba- stanza forte da assicurare il benessere a tutti e da dedicarsiintera- mente all’avventura della scienza, dispone ancora della capacita di mo-bilitare? L’avvenire del pianeta, l’abbiamo detto, non puo prospettarsi comel’avvenire di un’elite piu o meno ristretta. Se l’ideale della ri- cerca e della scop-erta, l’ideale dell’avventura, vuole riprendere forza, se vuole diventare il soloideale del pianeta, le conseguenze non sa- ranno certo irrilevanti. La questionedei fini dovra essere esplicita- mente posta e risolta. Una societa governatadal solo ideale della ricerca non puo tollerare disuguaglianza e poverta. Perquella societa le ingiustizie sociali sono intellettualmente ridicole, economica-mente costose e scientificamente pregiudizievoli. L’utopia da co- struire e darealizzare, quella che puo orientare tanto i vari tipi di scienza quanto gli os-servatori del sociale, gli artisti e i gestori dell’e- conomia, e dunque un’utopiadell’educazione per tutti, indispensa- bile per la scienza come per la societa.Per riprendere ancora la di- stinzione proposta in precedenza tra lo stato dellequestioni e lo 109 stato dei luoghi, diciamo che ogni sforzo dell’immaginazioneper superare le routine imputabili allo stato delle questioni avrebbe la possi-bilita di controbilanciare le pesantezze tipiche dello stato dei luoghi. Quanti sioccupano professionalmente della ricerca e del- l’insegnamento devono dunquetenere sempre presente che il pro- gresso scientifico dipende in larga misuradalla rivoluzione sociale dell’insegnamento. Un’utopia dell’educazione puo es-sere definita solo come un’uto- pia pratica e riformista, anche se questi termini

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sembrano stridere. E’ evidente che non potrebbe procedere da un’aspirazione agover- nare in nome del sapere. Il sapere, al contrario dell’ideologia, non e unatotalita ne un punto di partenza. Si tratta allora di governare in vista del sapere,di assegnarsi il sapere come fine individuale e col- lettivo. Quindi, finalmente, diritornare a un pensiero del tempo e fare una ragionevole scommessa: il giorno incui sacrificheremo tutto al sapere, avremo in cambio ricchezza e giustizia. 110