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Colle…ghiamoci · Chiudi gli occhi… Sì, proprio ora, chiudi gli occhi per un momento e non pensare al compito in clas se. Immagina di essere, da sola, in cima a una montagna,

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1 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

sommario

pag 1 Editoriale

pag. 3 “Una giornata speciale” Borfecchia C. I A

pag. 4 “Chiudi gli occhi….” Brevetto D II B

pag. 5 “Le più toste della scuola” Treggia E.V. II A

pag. 7 “Il mio sogno” Fois S. II A

pag. 8 “Un’uscita alternativa” Santecchia G.II A

pag. 10 “Ti trovi su una montagna…” Spinella C. III A

pag. 11 “Lettera primitiva all’umano” Migali M. II A

pag. 12 “Guardando il cielo stellato” Battisti I. III A

pag. 12 “Intervista a Giulio Cesare” Silvi F. III A

pag.13 “Da quel giorni Jonathan…” Scimia L. III A

pag. 15 “Una gara difficile” Bruschini L. III A

pag. 17 “Al tramonto sulla spiaggia” Treggia M. E. III A

pag. 18 “I nostri Hunger Games” Pietrobono G. III A

pag. 19 “Nel buio della notte…” Borfecchia A. III A

pag. 21 “Ce la farai” Budini C. III A

pag. 23 “Sulla montagna” Maroni D. III A

pag. 24 “Notte stellata” Torella I. III NB

pag. 26 “Sulla spiaggia all’alba” Chen E. III B

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2 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

editoriale

Care Lettrici e cari Lettori,

è un piacere presentare il primo numero di questo periodico che contiene i lavori dei ragazzi svolti durante il

Laboratorio di Scrittura. Essi sono il frutto dell’intenso lavoro dei docenti di lettere, che ringrazio, e che con

passione e professionalità cercano di stimolare la fantasia degli alunni, a volte impetuosa, altre nascosta o sopita,

altre ancora brillante ma indisciplinata, sempre ricca e spesso sorprendente.

Italo Calvino affermò una volta che “la fantasia è come la marmellata: ha bisogno di una solida fetta di pane”.

Vale a dire che la spiccata creatività potenziale che ogni ragazzo possiede in quanto tale, va organizata e

strutturata. Loro stessi lo fanno quando inventano un giuoco nuovo stabilendone le regole.

Lo scopo del Laboratorio di scrittura, che mi preme rammentare si svolge in orario curricolare e fa parte integrante

del programma triennale di lettere, consiste quindi nel fornire dei validi strumenti a sostegno di queste capacità per

trasformare in atto ciò che è solo potenziale o disordinato.

Per i risultati affido voi tutti alla penna dei nostri “Futuri Scrittori” augurandovi buona lettura.

Prof. Salvatore Rotunno

P.S. Per ragioni di spazio, i docenti hanno dovuto fare una scelta proponendo i testi di coloro che hanno raggiunto

risultati significativi. Scelte di questo tipo, si sà, sono difficili. Sono sicuro però che ciascun alunno riuscirà a

raggiungere il livello richiesto per vedere pubblicato il proprio lavoro in uno dei prossimi numeri di questo

periodico.

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Una giornata speciale

Un bel mattino accesi la TV: al telegiornale venivano mostrate delle foto di una montagna.

Spinto dalla curiosità, decisi di andare su questa montagna accompagnato da mio figlio.

Ci incamminammo verso la macchina quasi subito. Dopo tre ore lunghissime arrivammo a destinazione.

Caricammo gli zaini sulle spalle e iniziammo a camminare.

Sulla strada incontrammo cervi, volpi, scoiattoli, e piccoli insettini che ci davano il benvenuto; ai bordi del sentiero

incontrammo dei bellissimi fiori che ondeggiavano come se facessero una danza; ma il vento ci spingeva a

continuare ad arrivare al rifugio anche se eravamo stanchi ed affannati.

Finalmente dopo tanti sforzi arrivammo al rifugio, dove mangiammo e dormimmo.

Appena svegliati, ci mettemmo subito in marcia, accompagnati dall'aria frizzantina del mattino e dal sole nascente

che ci dava il buongiorno con i suoi primi raggi.

Decidemmo di fermarci a fare colazione con pane e nutella; subito dopo si avvicinò un gruppetto di animali che,

come dei bambini incuriositi, si accostarono e come delle schegge ci rubarono la colazione; per fortuna tuttavia

avevamo ancora pane e salame.

Ripartimmo e piano piano, sommersi dal verde e dai frutti di bosco che imploravano di essere mangiati, tra una

cosa ed un' altra arrivammo in cima.

Là sopra c'era un paesaggio meraviglioso,ci sedemmo a terra ad ammirarlo:il cielo era turchese come se avesse fatto

il bagno nella vernice; gli alberi in fondo alla valle somigliavano a pennelli sporchi di tempera; si udiva lo scroscio

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del fiume che scorreva in mezzo alla valle come una dolce musica melodiosa; i piccolissimi fiori rampicanti

attaccati allo strapiombo sembravano piccoli scalatori in cerca di salvezza.

Siamo rimasti lì per un po' e poi siamo tornati a casa felici e contenti di aver trascorso una giornata così e di aver

avuto il privilegio di ammirare un panorama così bello.

Caterina Borfecchia IA (autrice anche del bel disegno a commento del testo)

Chiudi gli occhi… Sì, proprio ora, chiudi gli occhi per un momento e non pensare al compito in classe. Immagina di

essere, da sola, in cima a una montagna, anzi non sei sola: c’è la Natura! Che cosa vedi intorno a te? Che cosa

percepisci coi sensi?

Sono qui, in cima a una montagna, immersa nella natura, tra piante di ogni tipo e creature affascinanti. Il cielo è

chiaro, azzurro, con qualche nuvola completamente bianca come lo zucchero filato, e un sole raggiante e caldo

illumina questo paradiso. Non ho paura, perché con me c’è la natura e so che non corro nessun pericolo.

Comincio a camminare lentamente, osservando tutto quello che ho intorno: piante di colore verde, rossiccio,

marrone, che sono i colori dell’autunno. Poi vedo parecchi insetti, come api, coccinelle, formiche e qualche

cavalletta. Infine intravedo dei cervi, in lontananza, coi loro grandi palchi, e camosci, marroni anch’essi. Qui tutto

è meraviglioso, quasi magico.

Proseguo la mia passeggiata… Mi ritrovo in una radura circondata da alberi e pietre. Dato che sono un po’

stanca, mi siedo e ascolto tutti i suoni e i rumori della natura. Sento il fruscio delle foglie, leggere e delicate come

delle piume; sento il cinguettio degli uccelli e penso: “Beati loro che possono volare e ammirare tutto dall’alto!”. In

sottofondo sento il belato delle pecore e i campanacci delle mucche al pascolo nei prati.

Ora ho voglia di sdraiarmi e toccare con le mani il terreno, le foglie secche cadute dagli alberi e l’erba. Mi rialzo e

cammino di nuovo. Intorno a me ci sono tanti cespugli ricchi di bacche, frutti selvatici e fiori. Prendo un frutto,

simile a una mora e comincio a toccarlo e ad annusarlo per capire se è commestibile; è di colore viola, è piccolo.

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Forse sì, è una mora! Lo assaggio e il suo sapore è davvero delizioso. Ne mangio sei o sette, perché sono davvero

buone…

Poco più in là scorgo un ruscello: anche sulle sue sponde ci sono molti cespugli e fiori colorati e profumati. Li

annuso uno per uno per capire la fragranza. Questi fiori sono l’attrazione principale di ogni insetto; infatti volano

intorno api, coccinelle, calabroni. Colgo un fiore per ricordo.

Adesso sono un po’ stanca, ma la mia fatica non è inutile. Chiudo gli occhi per l’ultima volta e ascolto ancora i

suoni del bosco, ma… Il campanaccio che sento non è quello delle mucche: è la campanella di scuola! Sono in

classe, seduta al mio banco a scrivere un tema e il fiore che ho raccolto è la mia penna. Peccato, era davvero così

bello stare là, in quel posto meraviglioso!

Damiana Brevetto IIB

Le piu’ toste della scuola Quella sera ero distrutta dopo una giornata passata fra i banchi in quella specie di carcere minorile che noi comuni

mortali chiamiamo “scuola”; l’unico motivo di felicità consisteva nel fatto che fosse venerdì e che la mia amica

Fleur mi aspettasse sulla soglia di casa sua con un sorriso a 36 denti stampato sulla faccia. Fleur è la mia migliore

amica; ci conosciamo da quando avevamo 4 anni anche se, purtroppo, non frequentiamo la stessa scuola. Il venerdì

è l’unico giorno in cui possiamo vederci e dormire insieme; passiamo l’intera notte a giocare, a parlare di ragazzi e a

pennellare le nostre unghie di smalto. La sua casa è bella, accogliente ed è assolutamente e completamente perfetta;

Fleur è molto ricca e penso che se non la conoscessi bene potrei dire che è snob a tal punto da risultarmi antipatica.

Dall’entrata principale si accede ad un ampio salone con un lampadario di cristallo e tanta servitù pronta ad

esaudire ogni suo desiderio; poi c’è la cucina, simile a quella di un ristorante, dalla quale provengono buoni olezzi

di cibi prelibati. Alla destra del salone ci sono i bagni: uno per i signori Swan ed uno per la piccola Tracy, la sorella

di Fleur. La camera contigua alle toilettes è quella di Tracy mentre la stanza di Fleur si trova al piano di sopra. La

casa possiede un ascensore dal quale si accede direttamente alla sua stanza che è grande quanto tutto il piano di

sotto; questa è provvista di un enorme lettone gonfiabile foderato di lenzuola di marca ed è provvista di una

macchina personale per i pop-corn!

Eravamo lì, sdraiate su quell’enorme letto con la testa alzata al cielo a fissare le nuvole dalla Velux posta sul

soffitto; eravamo io (Claudette Cassera) e lei (Fleur Swan) e nulla ci avrebbe interrotto dai nostri pensieri se non

fosse stato per quel rumoroso ed assolutamente sgradito messaggio. Era stato inviato da parte delle gemelle

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“cattive” della scuola: Brithney Chester (il Capo) e Withney Chester (l’Aiutante): “Cioè, ciao ragazze, siete invitate

al nostro mega-party, cioè, come cameriere, non come vere invitate! Ah Ah Ah!”.

“Cioè” è la loro parola preferita, la usano come se fosse un segno di punteggiatura! Di certo ci avevano invitate

perché sapevano dei nostri buonissimi cupcakes e volevano assaggiarli a tutti i costi! Fleur le aveva conosciute alla

mia festa di compleanno per i 16 anni e non le avevano fatto una buonissima impressione; tuttavia entrambe

avevamo bisogno di soldi per acquistare un nuovo telefono e decidemmo di accettare. Quella sera non passò come

l’avevamo immaginata; trascorremmo l’intera nottata a cucinare.

La mattina seguente raggiungemmo il luogo nel quale quel pomeriggio si sarebbe tenuto il mega-party. Si trattava

di un ristorante di classe situato in un immenso parco e provvisto di tavoli disposti attorno ad un palco dove le

gemelle si sarebbero esibite. Appena raggiungemmo il luogo indossando ancora i grembiuli sporchi le gemelle ci

accolsero con un ghigno sospetto: “Cioè, ciao ragazze! Prego, cioè, posate pure i cupcakes sul tavolo lassù, cioè lì al

centro del palco!” Noi un po’ infastidite andammo sul palco… ad un certo punto… SBAM! Un occhio di bue ci

puntò minacciosamente ed una valanga di miele e piume ci travolse; tutti gli invitati saltarono fuori dai

nascondigli e scoppiarono in una fragorosa risata! Si trattava di una messa in scena: la festa non era mai esistita!

Quell’invito si era rivelato solamente una trappola per metterci in ridicolo davanti all’intera scuola. Le gemelle

erano riuscite perfettamente nel loro intento. Ora Claudette Cassera, III G, era diventata ufficialmente lo zimbello

della scuola. Figuriamoci se potevamo farci vedere in giro! Ora io e Fleur avevamo un unico scopo: riscattare la

nostra reputazione vendicandoci!

Sembrava di essere in una fiaba: due protagoniste ed un’antagonista con la sua assistente che lottavano duramente

per essere elette “le più toste della scuola”. Il giorno successivo era domenica e si sa che le toste non vanno mai a

dormire presto la sera della domenica; per questo decidemmo di organizzarla noi, una festa… Ovviamente non

sarebbero potute mancare le gemelle con i loro abiti firmati ed impeccabili. Purtroppo “per errore” dicemmo loro che

si trattava di un galà super-elegante: in realtà era una festa in costume da bagno a bordo piscina!

Quando arrivarono sulla loro Limousine nera luccicante e scesero i gradini con i loro altrettanto luccicanti abiti, si

alzò un grido di stupore e… tutti cominciarono a ridere fragorosamente di loro! Le gemelle per la vergogna corsero

a nascondersi sotto un tavolo, ma per sbaglio urtarono il carrello dei cupcakes che finirono nei loro occhi e le resero

momentaneamente cieche; per questo motivo le ragazze non si accorsero di aver posto un piede sulla tovaglia e

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inciamparono, dopodiché la ciotola di punch che si trovava sul tavolo si ribaltò riversandosi sulle loro teste e sui

loro vestiti nuovi!

Brithney ci fulminò con lo sguardo mentre gli altri ridevano e, avvicinandosi in modo repentino verso di noi,

esclamò: “Cioè, brava Cassera! Cioè, mi hai rovinato il vestito nuovo! Cioè, e i capelli! Cioè, me la pagherai!” Io,

molto sicura di me, risposi “Non c’è di che!”.

Zoppicando come pochi, con un tacco rotto in mano e con il vestito completamente zuppo, Brithney chiamò a gran

voce: “Taxiiiii! E muoviti, Withney!” Withney la seguiva come un cagnolino e, prima di entrare in macchina, ci

disse: “Io non la posso abbandonare perché è mia sorella ma… grazie! E’ la prima volta che qualcuno ci umilia

così! Spero che le servirà da lezione!”.

A partire da quel giorno scomparvero e nessuno ebbe più notizie di loro in città.

Emma Virginia Treggia – II A (anche autrice del disegno a commento del testo)

Il mio sogno

30/04/1964

Caro amico mio,

ti devo dare una brutta notizia. Ci siamo trasferiti con la mia famiglia a Solèum, un posto sicuro, perché la nostra

casa è stata invasa dai giganti. Non mi piace questo posto; mi sembra di essere rinchiuso in una gabbia come un

gabbiano. Di notte non si vedono le stelle e questo non mi piace per niente perché solo grazie alle stelle posso

trovare la mia strada. Ho deciso che voglio trasferirmi; domani pomeriggio partirò e ti farò sapere com’è il mio

posto ideale e che cosa ho scoperto.

Oggi mentre camminavo alla mia destra ho notato un ruscello; l’acqua era limpida e potevo specchiare il mio volto.

Il suo rumore era piacevole da ascoltare; mi sono sdraiato per terra tra diversi fiori profumati. Continuavo ad

ascoltare il rumore del ruscello… il mio luogo ideale era un posto magnifico; mi sono imbattuto in un migliaio di

scale e su in alto una casa per me; intorno a questa c’era un prato con diversi fiori e un’altalena. All’improvviso ho

sentito delle voci ma non ho visto nessuno. Le voci diventavano sempre più forti e mi sono alzato; il mio sogno è

svanito.

Ho iniziato a camminare per cercare di capire da dove provenissero le voci. Ad un certo punto ne ho sentito una

che stava cantando; era stupenda. Alla fine ho scoperto da dove provenivano le voci; erano degli esseri umani

disposti intorno a un fuoco scintillante. Non avevo mai visto una cosa del genere. In un angolo scuro ho visto una

bambina che stava piangendo. Mi sono avvicinato là e ho cercato di consolarla ma lei aveva paura di me; allora ho

iniziato a fare il pagliaccio e finalmente la ragazzina ha sorriso…

Io e lei siamo diventati amici; lei si chiama Angelì. Purtroppo la ragazzina all’inizio non comprendeva la mia

lingua perché io sono un lupo anche se io ho voluto insegnargliela. Pian piano Angelì sta crescendo e sta imparando

la lingua. La mia emozione grande è stata quella di avere un’amica vera e fedele. Un giorno siamo andati a vedere

un paesaggio dall’alto di una cima della montagna. La vista era stupenda ed una leggera brezza ci accarezzava le

guance. C’era un silenzio assoluto; da qui si vedeva un ruscello che scorreva velocemente. Io e Angelì siamo andati

a vivere in quel posto; non è il mio luogo ideale ma va bene lo stesso.

Amico mio, ho una notizia stupenda. Sai, ho incontrato una persona come te; lei è molto simpatica, divertente e

carina. Praticamente è come te anche se lei è snella; inoltre ha due occhi stupendi di colore azzurro ed i suoi capelli

sono lunghissimi. Ora stiamo vivendo insieme in un luogo stupendo. La prossima volta ti farò conoscere la mia

amica, però stai attento, non ti avvicinare troppo a lei….ahahahah… non ti dimenticare di me. Un giorno

verremo a trovarti.

A PRESTO

Dal tuo amico lupetto

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8 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Questa lettera parla di un lupo che scrive al suo amico umano e racconta che cosa è successo nella sua vita.

L’importanza è avere un amico o un’amica di cui ti puoi fidare e mostrare chi sei veramente.

Saili Fois II A

Un'uscita alternativa

Oggi pomeriggio non ho voglia di guardare la televisione né di andare in centro per vedere le vetrine. Oggi farò

un’uscita alternativa: voglio andare a vedere la collezione autunno-inverno che la natura ha preparato per

quest’anno! M’incammino con le mie comode scarpette da trekking verso il sentiero sterrato che corre in mezzo alla

campagna e mi porta in mezzo alla natura.

Il sentiero è costeggiato da due file di alberi.

Alzo lo sguardo e noto i rami che si stagliano verso il cielo azzurro e che s’intrecciano gli uni con gli altri formando

una sorta di arco continuo che copre il sentiero.

Terminata la fila di alberi ecco che si apre la campagna con i campi pieni di erbetta verde talmente fresca e

invogliante che mi verrebbe voglia di togliermi le scarpe e camminarci in mezzo. Il cammino prosegue tra alberi e

cespugli, ciascuno dei quali racchiude i suoi tesori colorati: fiorellini bianchi, gemme verdine, gemme più scure,

fiorellini gialli. I profumi si mescolano dando luogo ad un profumo delicato ed allo stesso tempo intenso che arriva

alle mie narici in un battibaleno e che m’inebria. Mi fa sentire in pace con il mondo intero! Mentre accarezzo i fiori

vedo e sento il ronzio di diverse api che si danno da fare volando di fiore in fiore per impollinare ognuno di essi.

Torno sul sentiero e chiudo gli occhi. Anch’io mi sento parte della natura. Voglio sperimentare gli altri miei sensi.

Riesco a percepire il calore del sole che mi scalda la schiena; sento la brezza del vento che soffia dolcemente; odo gli

uccellini cantare e odoro il profumo dei fiori. Soprattutto percepisco tanta, tantissima calma...

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9 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Apro gli occhi e proseguo il mio cammino raggiungendo un boschetto; mi appare il trionfo dei colori delle foglie che

virano dal giallo al marrone passando per l'arancio. I rumori delle foglie evidenziano animaletti in movimento;

alcuni uccellini sono in volo ma non sono gli unici.

Se osservo bene posso vedere tanti piccoli insetti intorno a me che volano, camminano o strisciano costruendo il loro

pezzettino di vita. Il sentiero continua e in fondo a questi si stagliano i palazzi della città che tuttavia non ho

nessuna intenzione di raggiungere. Torno sui miei passi per rientrare alla base e continuo la mia osservazione del

cielo limpidissimo che sembra ancora più azzurro nel contrasto con i rami degli alberi che salgono verso di esso.

Sulla sinistra scorgo un vigneto. Che belli tutti quei filari in ordine perfetto aggrappati al palo che li sorregge! Ne

colgo un piccolo grappolo e gusto la dolce morbidezza del chicco d’uva! La passeggiata volge ormai al suo termine e

l'orizzonte finalmente muta: appaiono le montagne alcune delle quali mostrano già la loro cima innevata. Su di

esse si notano alcune nuvole lontane che sembrano ammassi di panna montata sofficissima...

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10 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Rivolgo un ultimo sguardo ad alcuni cespugli di lavanda non ancora in fiore da accarezzare per potersi portar via

il loro odore; si tratta di rovi che nella stagione estiva offrono golosissime more da gustare. Il tutto termina quando

torno a mettere i piedi sulla strada asfaltata ed i suoni della natura vengono sostituiti dai rumori della civiltà!

Giulia Santecchia IIA

Ti trovi su una montagna, ammirando il panorama circostante.

Mi piace svegliarmi presto quando sono in montagna.

Qui a Courmayeur l’aria è fresca e frizzante a tal punto che i miei polmoni, abituati allo smog della città,

sembrano ingrandirsi per respirare quell’aria così pulita.

Mentre sto per raggiungere il bosco vicino casa, alzo gli occhi e vedo lo splendido cielo di un azzurro intenso e

privo di nuvole che nelle ore più calde mi costringe ad indossare gli occhiali da sole, tanto è forte il contrasto tra il

cielo azzurro ed il ghiacciaio splendente sotto i raggi del sole.

Entrata nel bosco, mi accoglie un persistente odore di terra bagnata: tutto nel bosco è ricoperto di quella umida

freschezza che lascia sulle pietre una patina.

La luce penetra meno all’interno a causa dei numerosi rami degli alberi che non le permettono di penetrare.

Cammino lentamente perché non voglio rischiare di cadere sul terreno umido. Da lontano mi giunge il rumore

sempre più forte della cascata. All’inizio quello che è un suono appena percettibile si trasforma pian piano in un

fragore quasi assordante.

Ho finalmente raggiunto la cascata che è circondata da un piccolo arcobaleno a causa del vapore e della giornata

soleggiata.

Migliaia di minuscole goccioline mi bagnano il viso e mi lavano via il sudore provocato dalla scalata. Guardo giù

ed ammiro il panorama: la valle è illuminata dal sole ed è circondata da una vegetazione foltissima e verde.

E’ bellissimo stare qui. Mi sembra di essere l’ unico e solo spettatore di questo magnifico scenario.

Costanza Spinella IIIA

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11 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Lettera primitiva all’umano

Caro Traz,

questa mattina, svegliandomi, ho sentito che questa sarebbe stata una giornata diversa qui ad Alberandia. Sono

sicuro che raccontandoti quanto mi è capitato ti appassionerai al mio racconto.

Mi sono svegliato all’ora sesta degli ossi e sono andato a lavarmi nel mio tappo di ghianda. Subito dopo essermi

lavato ed aver pettinato la mia coda pelosa da SCOIAPTULUM SCIABOLATIS, sono passato al duro lavoro di

lavarmi i denti o meglio “LE SCIABOLE!!!”. La mia sesta sorella Triligina li ha lavati insieme a me e poi ci siamo

seduti a guardare il grande pallone giallo salire nel cielo tra fumi rossi, rosa, viola e gialli; infine siamo tornati a

casa. Ah… quasi dimenticavo! Abbiamo rinnovato la casa per la prossima stagione che si presenta più fredda della

preecedente. Se si entra nella stanza delle conversazioni si può notare che essa è ricoperta sulle pareti di uno strato

di paglia e tappi di ghiande disposti in maniera un po’ precaria: mi sembra che stiano lì lì per cadere. Speriamo di

no! Poi c’è il tubo su cui si affacciano tutte le altre stanze per la notte mia e dei miei familiari; infine la stanza del

lavabo che è stata ritinteggiata di un marrone più chiaro. In casa abbiamo mangiato marmellata di ghiande e di

frutti rossi e siamo ritornati giù a giocare. Oggi ricorreva il giorno dei baby germogli ed io ero curiosissimo di

andare a vedere. Del resto lo sai che la mia curiosità si spinge oltre il limite dell’immaginabile; tuttavia mi ero

ripromesso di non spingermi troppo oltre. Aspetta, tu non sai che cos’è il giorno dei baby germogli! In pratica è il

giorno in cui i germogli parlanti emettono il primo vagito e vanno alimentati con la terra. Purtroppo ai cuccioli è

vietato andare a vedere ma… uff!!! Deve passare ancora un mese prima che io possa considerarmi ufficialmente

uno scoiaptulum adulto! Mentre giocavo con i miei fratelli a schiaccia ghianda (simile al vostro schiaccia palla) si è

presentata la mia sorellina preferita Ghiandolina, la settima sorella nonché penultima della famiglia, che mi ha

chiesto di andare a curiosare ed a quel punto, lo ammetto, ho ceduto. Ci siamo rifugiati in un carretto per la terra e

siamo partiti; all’inizio avevamo paura di essere scoperti tuttavia la bellezza del bosco ci ha costretto a tirare fuori

il muso anche se le sciabole erano veramente ingombranti! Il carretto procedeva lentamente passando tra alberi e

ruscelli, pietre e terra, erba e foglie secche, ghiande e corteggia secca. Il viaggio è durato circa due ore degli ossi e

mia sorella si era quasi addormentata quando arrivammo in un enorme bosco di felci; le piante, alte e di colore

verde prato, erano sottili e maestose e incombevano su di noi come se volessero mangiarci. In questa era le felci

sono molto diffuse anche se noi non avevamo mai visto delle felci così alte e maestose! Girando intorno a questo

campo ho notato che le felci erano disposte in modo circolare e dentro… Wow! C’erano mille o forse più germogli

che erano racchiusi su se stessi come in un bozzolo e poi BUEEEEEEEEEEE! Un pianto incredibilmente forte

mi ha, anzi, ci ha attanagliato le orecchie e siamo svenuti.Quando mi risvegliai e vidi mia sorella che apriva gli

occhi, mi resi conto che era buio e…O MIO DIO! Non c’era più nessuno! Avevamo passato l’intero pomeriggio in

uno stato d’incoscienza. Fortunatamente Ghiandolina ha dimostrato una maturità incredibile e, anziché iniziare a

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12 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

piangere, mi ha consigliato che forse sarebbe stato meglio se avessimo chiamato qualcuno. Ci abbiamo provato e

riprovato ma nessuno rispondeva. Infine ci siamo accucciati stremati ed insonnoliti sotto i piedi di un germoglio

che ha azzardato un piccolo urletto di spavento; ti confesserò che avevo una paura incredibile di svenire di nuovo.

Infine mi sono accorto che il germoglio era ancora addormentato e mi è preso un profondo senso di paura: Da dove

proveniva quel grido sconosciuto? Lo ascoltai nuovamente, presi mia sorella e la incitai a correre sebbene con le

sciabole non fosse per niente facile! Corsi finché non inciampai portandomi dietro mia sorella. Ormai il vento era

divenuto forte; ho sentito qualcosa che mi prendeva e mi trascinava in aria… una voce familiare mi avvolse…

Crivi, la nostra civetta di famiglia, ci ordinò di salire sulla sua schiena dato che stavamo tornando a casa. Ricordo

soltanto un profondo senso di sollievo a partire da quel momento. Poco dopo siamo ritornati a casa e tra gli

abbracci di mamma e papà siamo andati a dormire. Devo riconoscere che un lato positivo questa storia lo ha avuto:

ho imparato ad ascoltare le regole che mi dettano gli adulti perché possono rivelarsi assai preziose.

Mirea Migali II A

Guardando il cielo stellato

La notte di San Lorenzo, nella mia camera, mi trovo sdraiata sul letto, pensando a

quanto sia bella la notte, le lucenti stelle e la luna bianca come l’avorio e candida come

un fiocco di neve nella serata di Natale. Il suo sguardo triste e spensierato sembra che

chiami le sue figlie stelle dicendo di starle vicina. Cerco di contarle ma sembrano

infinite; brillano ed illuminano la notte, nemica del giorno e regina delle tenebre e

dell’oscurità; tuttavia essa nasconde quel suo lato dolce e sereno che scaccia via ogni

pensiero. D’un tratto vedo una scia … è una stella cadente; sembra stia morendo come

un guerriero che viene colpito durante uno scontro e cade a terra con il capo

sanguinante. Eccone un’altra ed un’altra ancora; cadono come pioggia fitta e

silenziosa. D’un tratto si avvicina una nuvola dal colore bianco tendente al grigio

perla che si sposta verso la luna coprendola e rendendo la notte ancora più cupa. In

seguito una folata di vento estivo fa spostare la nuvola e la luna torna a chiamare le

sue stelle. Intanto il bubolare di un gufo mi attira. I suoi occhi così grandi e tondi

ricordano una grande palla da biliardo. Il suo verso mi spaventa; sembra un fantasma pronto a rapirmi durante

una notte tempestosa. Così porto le mie mani dinanzi agli occhi e mi ritiro nelle coperte. Pian piano, mentre torno

ad ammirare il cielo, i miei occhi si chiudono come se avessi subito un’anestesia. Lentamente mi addormento

posando il volto sul guanciale accompagnata dal mio angelo che mi sta accanto per proteggermi dalle oscurità della

notte.

Ilaria Battisti IIIA

Intervista a Giulio Cesare

F.: Ave Caius Iulius Caesar, Franciscus te salutat!

G.C.: Apprezzo lo sforzo ma capisco bene l’italiano!

F.: Grazie per la disponibilità concessa.

G.C.: Grazie a Lei! Mi fa sempre piacere ricordare le gesta importanti che ho compiuto.

F.: Da quale famiglia romana discende?

G.C.:Dalla Gens Iulia.

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13 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

F.:Ci racconti qualcosa di Lei.

G.C.: Le mie imprese sono riportate su tutti i libri di storia. Mi piacerebbe

parlarvi di cose che non si trovano sui libri; ad esempio posso mettervi al

corrente delle scelte importanti della mia carriera.

F.: La ascolto volentieri. Mi parli del Triumvirato e perché ha preso

accordi con Pompeo e Crasso.

G.C.: Tutti e tre volevamo il potere; decidemmo di trovare un accordo

perché per vincere avevamo bisogno gli uni degli altri.

F.: Perché è venuta meno agli accordi?

G.C.: Dopo la morte di Crasso ho iniziato a pensare che Pompeo volesse

tradirmi ed uccidermi; così gli ho dichiarato guerra varcando il Rubicone.

Ho capito che è preferibile governare da soli; a quel punto sono riuscito ad

ottenere il potere assoluto grazie alla carica di dittatore a vita.

F.: Perché il Senato ha deciso di ucciderla?

G.C.: Dopo la mia morte ho capito che la mia curiosità mi ha sempre spinto oltre i limiti. Non mi sono mai

accontentato. Forse è stato questo mio difetto, la mancanza di senso del limite, che ha portato il Senato a

desiderare la mia morte.

F.: Pensa che il popolo romano si sentisse oppresso da Lei?

G.C.:Credo di sì! Mi hanno riconosciuto come un oppressore e mai come una guida.

F.: Ammette di essersi lasciata prendere troppo dal potere?

G.C.: Credo di sì…..

F.: Se la sentirebbe di parlarci del giorno della sua morte?

G.C.: Certo! Ricordo tutto molto bene. Quella mattina mi sono alzato con uno strano presentimento. Mentre mi

recavo al Senato per una riunione ho visto un gruppo di persone che correvano verso di me armate di pugnali. Tra

loro c’erano anche Bruto e Cassio; immaginavo che anche loro mi volessero morto. Sono stato ucciso con ventitre

pugnalate. Ho avvertito ogni colpo!

F.: Ha mai provato a pensare a come sarebbe stata Roma senza di Lei?

G.C.: Ho sempre creduto che senza di me l’impero Romano non avrebbe raggiunto un’estensione così vasta;

tuttavia, se non ci fossi stato io, forse l’impero avrebbe avuto un’amministrazione migliore.

F.: La ringrazio, Cesare, per quest’intervista. E’ ora di salutarci!

G.C.: Grazie a Lei! La aspetto sui libri di storia!

Francesco Silvi III A

Da quel giorno Jonathan non sarebbe stato più lo stesso.

Quando venne travolto da un esercito...

Ma questa è un’altra storia e la racconterò in seguito; intanto torniamo alla realtà.

Londra 1987. (Ci troviamo in periferia dove abitano i poveri che a stento riescono a mantenersi e il cibo scarseggia.)

Quel giorno mia madre malata mi chiese di uscire per fare la spesa. Mentre stavo ritornando a casa dal

supermercato mi scontrai con un ragazzo. Si ruppe la busta e la spesa mi cadde a terra. Non si trattava di molte

cose ma lui si offrì di aiutarmi a portarla. Mi feci aiutare e intanto chiacchierammo un po’. “Come ti chiami?” Mi

chiese. “Catherine e tu?”, “Il mio nome è Jonathan”. “È da tanto tempo che vivi a Londra?” mi domandò. “Sì, vivo

qui con i miei genitori da quando sono nata...tu?”. “Io non ho i genitori...tuttavia anche io vivo a Londra da

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14 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

quanto sono nato”. “Oh, mi dispiace!” dissi. “Non fa niente, non potevi saperlo” rispose. Per tutto il tempo

chiacchierammo. Quando arrivammo davanti a casa mia lui mi chiese “Perché domani non vieni a trovarmi

all’orfanotrofio? Io non ho il permesso di uscire. Ora sono qui perché sono scappato”. “Okay, verrò volentieri. Odio

stare a casa da sola” gli sorrisi. “Però se vuoi che venga, dovresti darmi il tuo indirizzo!” Così prese un foglio di

carta e scrisse l’indirizzo; poi mi diede il foglietto “Ci vediamo domani” disse e se ne andò.

High Street 19. “Blackmoore”. L’unico orfanotrofio di Londra. Uscii di casa. Fuori faceva molto freddo e mi

sembrava di stare al Polo Nord. La strada era ghiacciata. Infine arrivai. Il palazzo era immenso. Entrai. La sala

era accogliente e ben illuminata; chiesi di Jonathan Parks. La signorina all’ingresso mi squadrò e poi andò a

chiamare Jonathan. Lui arrivò. Ci salutammo e poi salimmo in camera sua. Ad un certo punto decidemmo di

esplorare l’orfanotrofio. Arrivammo ad una porta. L’aprimmo. Si trattava dello stanzino delle scope ma decidemmo

di entrare ugualmente. Scorsi una lucina bianca in un angoletto. Scostai le scope di fronte a me e mi accorsi che

c’era una porticina. La aprii e un vortice ci risucchiò. Ci ritrovammo a terra. Non eravamo più nello stanzino; di

fronte a noi si apriva un’immensa foresta che celava un mondo sotterraneo. Mi girai e vidi che dietro di noi c’era la

porticina da cui eravamo entrati; tutto intorno non c’era più traccia dello stanzino, la porta se ne stava lì nel bel

mezzo della foresta. Mi voltai verso Jonathan. Ci guardammo esterrefatti. Provammo a riaprire la porta ma mi

accorsi che mancava la chiave nella serratura. Un rumore improvviso giunse da una parte della foresta. Sembrava

quello di uomini che stavano correndo.

Passarono pochi minuti quando mi accorsi che alcuni alberi stavano cadendo. Dopo un po’ mi resi conto che la mia

deduzione era esatta. Un esercito di uomini, che sembrava uno sciame di api infuriate , si dirigeva contro di noi.

Silenzio nella mia testa. Poi sentii qualcosa travolgermi e infine un urlo straziante. Supposi che fosse Jonathan.

L’esercito era passato… Jonathan era sparito…

Lavinia Scimìa III A

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15 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Una Gara Difficile

Ero in palestra e dovevo allenarmi al karate; a breve sarebbero iniziate le gare ed io ero molto indietro nella tabella

di marcia. Passavo ogni giorno dalle 4 alle 10 di sera ad allenarmi; volevo vincere ad ogni costo il primo premio.

Quest’anno mi sentivo carico ed anche il maestro Camera me lo disse. Erano le 6; persi un’ora a pensare al primo

posto e un’altra ad osservare il quadro del nostro fondatore che era attaccato alla parete mal ridotta della palestra.

Quel dipinto era opera del mio sensei Alberto, un grande uomo. Era bravissimo sia nel karate che nel dipingere. Il

quadro era così bello da sembrare che vegliasse sull’intera palestra; vi era dipinto un kimono bianco e sul lato

destro si scorgeva un piccolo emblema rappresentante una colomba e un pugno davanti a quest’ultima; infine una

cintura molto grande nera con scritte giapponesi bianche. Sullo sfondo campeggiava il segno dell’infinito che stava

a significare che l’insegnamento non termina mai. Davanti al maestro c’era scritto:” Hironori Ohtsuka Sensei”, si

trattava del nome del nostro fondatore. Quel giorno non avevo svolto nessun allenamento; solamente avevo

pensato e ripensato a come avrebbe potuto essere il mio futuro. Ogni pomeriggio mi allenavo per le gare e

passavano i giorni, i mesi e le stagioni. Arrivò il febbraio del 2013; mancava solo un mese alle gare. Stavo uscendo

dalla palestra ma sulla via del ritorno… il vuoto. Sentii solo un grande tonfo e poi il nulla più totale… l’ultima

volta che aprii gli occhi fu all’inizio di febbraio e quando mi risvegliai eravamo arrivati alla fine del mese. Prima

sentii un odore molto forte misto ad un altro profumato. Sentivo persone che gridavano ed altre che ansimavano;

inoltre un rumore cigolante si ripeteva con cadenza regolare. Aprii gli occhi a fatica; vedevo tutto appannato e

sfocato. Intravedevo a stento uno sfondo bianco che si estendeva davanti a me.

Sentivo un suono che mi sembrava familiare: il rumore dell’elettrocardiogramma! In quel momento realizzai che mi

trovavo in ospedale. Cosa ci facevo lì?

Dopo un po’ di tempo mi sentii sulla spalla una mano. Era probabilmente un dottore che mi chiamò per cognome.

Io aprii gli occhi e vidi un uomo di fronte a me con un lungo camice bianco e con uno strumento attorno al collo.

Mi chiese come stessi, se mi sentissi bene e se riuscissi a rispondere; io annuii e potei rispondere con un filo di voce.

Il medico mi chiese se avessi dolore alle gambe anche se non capivo perché mi avesse rivolto questa domanda; io

risposi di no. Infine mi chiese se fossi pronto. “Ma… pronto a cosa?” mi domandai. Il dottore prese il lenzuolo;

riuscii a vedere il bianco e sottile lenzuolo che mi venne tolto come a una madre si toglie un bambino. In quel

momento la mia vita cambiò per sempre…

Il dottore mi chiese di guardare le gambe; io alzai lievemente la testa e vidi le mie due gambe totalmente ricostruite

medianti parti robotiche. Ebbi un tremendo shock; un arto molto importante della mia vita mi era stato portato

via. Pensai al mio futuro e a come avrei vissuto dopo questo cambiamento; dopo mi ricordai che a fine marzo avrei

avuto le gare mondiali di karate: cosa avrei fatto? Avrei abbandonato? Sarei andato comunque? Sarei riuscito a

classificarmi? Mi avrebbero accettato anche con gambe “bioniche”? Queste erano le domande che mi ponevo ogni

giorno che passava.

Dopo circa una settimana i dottori mi dimisero a malincuore poiché non avrei potuto più praticare il mio sport. In

quel breve frangente di tempo mi crollò il mondo addosso; l’intera strada che avevo percorso fino a quel punto era

svanita in due secondi; non potevo crederci. Chiamai un taxi e ritornai a casa con le mie nuove gambe. Arrivato

aprii la porta e mi sedetti sul divano; il destino aveva deciso per me questa vita ma io non potevo e non riuscivo ad

accettarla. Piansi tutta la sera, la notte e la mattina seguente. Le mie lacrime si versavano come pioggia calda sulle

mie gambe. Il giorno dopo decisi che avrei ignorato le affermazioni dei dottori e avrei partecipato alle gare

comunque. Ogni giorno facevo esercizi di riabilitazione nella mia palestra. Miglioravo di giorno in giorno; fu

Alberto, il mio vecchio sensei, che mi tramandò la volontà e la passione per questo sport. Il maestro mi ripeteva

continuamente le seguenti parole:

“Continua a lavorare ogni giorno per la tua passione senza tirarti mai indietro e affrontando qualsiasi ostacolo”.

Grazie a lui riuscii ad essere la persona che sono ora. Mancavano 4 giorni al mondiale. Presi il primo volo per il

Giappone. Il momento più bello di quel viaggio fu il decollo; infatti considerai il tragitto aereo quale specchio della

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mia esperienza. Il decollo fu come il mio debutto nelle gare di karate. Il volo fu stabile anche se con qualche

turbolenza come il mio arrivo fino al momento dell’incidente: l’atterraggio. Arrivato in Giappone il taxi mi portò

nell’albergo nel quale alloggiai per i tre giorni antecedenti a quello della gara.

Il giorno fatidico entrai nella sala; mi trovai davanti a centinaia di persone che come me erano riuscite ad arrivare

ai mondiali. Adesso era il momento di dimostrare il mio impegno costante in questo sport. Si esibirono diversi

avversari; infine toccò a me. Mi diressi verso il centro della sala; i miei piedi battevano sul pavimento creando un

rumore molto fastidioso. Forse quei passi avrebbero potuto cambiare la mia vita per sempre. Arrivato al centro

guardai avanti a me; vi erano i giudici e, dietro di loro, sulla scalinata del pubblico potevo vedere Alberto, il mio

maestro. Il mio corpo fu invaso da una gioia immensa; stentavo a crederci ma era così. Vedendo Alberto mi caricai

ancora di più; lasciai alle spalle il passato e dopo il consenso dell’arbitro iniziai ad eseguire il kata. Lo eseguii

perfettamente, ma… la mia performance sarebbe stato all’altezza degli altri?

Aspettai tutto il pomeriggio per conoscere la votazione; sembravo un ragazzino che attendeva impaziente l’arrivo

della madre a casa. Passato il pomeriggio fu il momento della votazione. dall’ultimo fino al primo. Io non venni

mai chiamato. I giudici si fermarono ai primi tre; pensai tra me e me che ero riuscito ad arrivare ad un buon

traguardo. In seguito uno rullare di tamburi accolse il terzo classificato. Ormai restavano il secondo e primo

posto.”Io dov’ero?” mi chiesi. Alla fine i tamburi si fermarono e i giudici stavano per proclamare il nome del

secondo, sentivo il mio corpo tremare dall’agitazione e poi… gridarono ad alta voce il nome di “LORENZO

BRUSCHINI!!!”. Subito dopo gridai di gioia, ero contentissimo! Lanciai uno sguardo ad Alberto; lui era in piedi

sulle gradinate ad applaudire. Certo non si trattava del primo posto; nonostante tutto riuscii a raggiungere un

risultato interessante che fu possibile grazie alla mia volontà e a quella del mio sensei. Quella vittoria per me valse

più di mille coppe, medaglie ed applausi. Quel giorno riuscii a superare me stesso.

Lorenzo Bruschini III

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17 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Al tramonto sulla spiaggia

Stasera ho avuto il permesso di rimanere ancora un po’ in spiaggia mentre la mia famiglia si è diretta verso casa.

Sotto i piedi la sabbia è fresca e un po’ umida. Gli ombrelloni vengono chiusi un ad uno e un’insolita calma prende

il posto della confusione della giornata. E’ rimasta una famiglia numerosa; la mamma chiama i bambini a gran

voce perché escano finalmente dall’acqua leggermente increspata. Più in là una coppia siede abbracciata guardando

l’orizzonte. Gli ultimi venditori ambulanti si sono raggruppati in cerchi sotto un ombrellone ancora aperto. Gli

uomini parlano tra loro in una lingua incomprensibile e lontana, fumano e bevono birra calda. Mi arrotolo il bordo

dei pantaloni e mi dirigo verso l’acqua immergendovi i piedi: è tiepida e piacevole. Intanto il sole si abbassa pian

piano e il cielo assume mille sfumature tra il rosso e il violetto. Ora la spiaggia è vuota; regna il silenzio rotto

all’improvviso dallo stridio dei gabbiani che arrivano a frotte. Mi sento calma, tranquilla, in pace con me stessa e

con il mondo. Alcuna preoccupazione o pensiero negativo può prendere posto nella mia mente; vivo l’armonia di

questo tramonto come se fosse un evento unico ed irripetibile. Rimane ancora una striscia di sole infuocato e già si

vede la luna. Una fresca brezza mi dà un brivido quasi a ricordarmi che è ormai ora di rincasare. Mi avvio per la

strada portando con me la poesia di questa esperienza. Non vedo l’ora che scenda la notte per poter osservare dalla

finestra della mia camera la luce brillante delle prime stelle.

Maria Elena Treggia III A

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18 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

I nostri Hunger Games

Era il giorno del sorteggio dei tributi che avrebbero partecipato alla centesima edizione degli Hunger Games.

Quella sarebbe stata l’ultima edizione dei giochi e di conseguenza sarebbe stata la più dura e pericolosa. Il

sorteggio quel giorno avvenne nel cortile centrale della mia scuola alle quattro e mezza del pomeriggio. Appena

tutti i partecipanti e gli spettatori si radunarono, Miriam Stenford (la nuova presentatrice degli Hunger games)

entrò e iniziò la presentazione dei giochi: “Benvenuti, benvenuti, benvenuti all’ultima edizione degli Hunger

games. Questi saranno i giochi più pericolosi e duri ed allo stesso tempo divertenti per chi non parteciperà … .

Andiamo avanti, parteciperanno a quest’edizione anche i professori … . Ed ora è il momento del tanto atteso

sorteggio!”. Appena ebbe terminato di parlare, la Stenford si diresse verso una teca di vetro che conteneva tutti i

nomi dei ragazzi e dei professori. La presentatrice ne prese dieci e li dispose su un tavolo; a quel punto iniziò

subito a “proclamare” i nomi dei nuovi e sfortunati protagonisti: “Allora, Valerio Nanni, la professoressa d’inglese

Adriana Dietze, Valeria Fredini, Lucilla D’Arati, Alessandra Lucidi, Martina Bruni, Roberto Montalcini,

Cassandra Pechino, Marta Levi e Giulia Pietrobono”. Appena sentii il mio nome sgranai gli occhi e mia madre

iniziò a gridare il mio nome in preda al panico e così fu anche per gli altri dieci ragazzi e per la professoressa

Dietze. Le famiglie tentarono di avvicinarsi anche se furono bloccate da dei soldati. In seguito a questo “delirio” io

e gli altri dieci ragazzi e la professoressa salimmo sui gradoni e fummo condotti all’interno della scuola nella nostra

classe. Le famiglie vennero a salutarci e abbracciarci per quella che probabilmente sarebbe stata l’ultima volta.

Appena ebbero terminato ci portarono sul treno che ci avrebbe portati nella “pre-arena” dove avremmo conosciuto

altri tributi e ci saremmo allenati. Appena arrivati andammo a cambiarci per l’allenamento. Passarono due

settimane ed il giorno fatidico arrivò. Tutti, me compresa, avevano paura e speravano di risvegliarsi da

quell’incubo. Io ero consapevole che avrei dovuto uccidere e combattere fino alla morte; d’altro canto ero decisa a

non uccidere nessuno dei miei amici: Valerio, Alessandra e Martina. Non avrei ucciso nemmeno la professoressa; al

contrario avrei preferito essere uccisa io da loro. Iniziò il conto alla rovescia e una lacrima attraversò il mio viso;

io, Valerio, Alessandra e Martina ci guardammo e ricordammo il patto che avevamo stretto il giorno precedente:

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19 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Non avremmo ucciso la professoressa; diversamente l’avremmo protetta da tutti e da tutto. Il conto terminò e ci

ritrovammo a correre per entrare nel bosco; i centesimi Hunger Games erano appena iniziati! Io afferrai un arco da

terra e corsi dietro i miei amici controllando con gli occhi la professoressa. Lei girò dietro un angolo ed io gridai:

“Seguitemi!”. I miei compagni mi vennero dietro; inseguimmo la professoressa per l’intera giornata e, quando scese

la sera, ci mettemmo a dormire sopra un albero. Erano quasi le due di notte quando sentii delle grida; guardai giù

dall’albero e vidi la professoressa Dietze trattenuta da due tributi. Chiamai sottovoce i miei compagni, presi l’arco

e la freccia; piano piano mi preparai, mirai e colpii alla testa uno dei ragazzi mentre Valerio aveva ucciso con un

proiettile l’altro. Ci calammo giù dal nostro “nido” e abbracciammo la professoressa. Fatti del genere si verificarono

anche nei giorni seguenti e così capimmo che avremmo dovuto in qualche modo “distogliere” gli altri tributi

dall’uccidere la nostra amata professoressa. Così durante la notte la seguimmo furtivamente e quando lei si

addormentò profondamente la legammo e le imbavagliammo la bocca pensando che gli altri tributi, vedendola in

quello stato, l’avrebbero lasciata stare. Così fu. Io e i miei amici la raggiungevamo di sera e le portavamo da bere,

da mangiare e tutto il necessario. Passarono le settimane e gli altri tributi morirono a parte noi. Io decisi di andare

nella tana del re Abdul, quello che avrebbe proclamato il vincitore, decisa a non far morire nessuno dei miei amici

entrai nella tana e, appena lo vidi, iniziai a supplicare: “La prego, la prego, ci salvi, siamo degni di questo amore,

la prego”, lui mi rispose: “Salverò i tuoi amici ma non te. Tu darai la vita per salvarli.”. Io accettai e fui uccisa dal

suo aiutante.

Questa è la storia di una grande amica che diede la vita per noi! Così per onorarla abbiamo scritto la sua storia

parlando come se fossimo lei!

Giulia Pietrobono III A

“Nel buio della notte un uomo coraggioso esce dalla città sotto assedio per cercare aiuto…”

Anno: 2130 Ora: 1:43

Era notte fonda e tutti dormivano. Tutti tranne uno: un uomo. Questo uomo era stato in gioventù un membro dei

reparti segreti e poi sottotenente dei corpi speciali. Finita la sua carriera si era trasferito nella piccola cittadella

fortificata di Daafsh nella quale molti veterani della 5° guerra mondiale si erano trasferiti.

Durante il susseguirsi delle guerre atomiche le riserve di Uranio 235, usato per costruire le bombe, si era quasi del

tutto esaurito e tutti gli stati cercavano di accaparrarsi gli ultimi giacimenti tanto preziosi. La cittadella sorgeva

sopra uno delle poche miniere ancora ricche del prezioso minerale.

La popolazione era composta dalle famiglie degli operai della miniera che vivevano miseramente ed erano spesso

afflitte da malattie dovute alla continua esposizione alle radiazioni. Le scuole della città erano fatiscenti ed uno

scarso numero di giovani poteva permettersi di frequentarle.

L’inquinamento aveva determinato un clima quasi insopportabile: temperature elevate, venti improvvisi e

violentissimi, tempeste di fulmini e piogge acide. L’acqua era diventata un bene inaccessibile a tal punto da

rappresentare un vero lusso poiché le falde acquifere dell’intero territorio erano oramai irrimediabilmente inquinate.

Le lunghe giornate torride e afose erano caratterizzate dalla frenetica attività nella miniera, dai rumori incessanti

delle enormi macchine per l’estrazione del minerale e dal continuo via vai di operai e delle squadre di sorveglianza

addette al controllo.

Le notti erano gelide e buie perché la luce della luna e delle stelle non poteva attraversare lo spesso strato di polveri

sottili che si alzavano dalla miniera. Il silenzio notturno era interrotto dalle continue ronde dei soldati che

battevano la zona del giacimento per scongiurare qualsiasi intrusione ed impedire a chiunque di uscire dalla città.

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20 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Era notte fonda e tutti dormivano. Tutti tranne uno: un uomo.

I suoi sonni erano continuamente interrotti da incubi che gli riportavano alla mente terribili ricordi.

Un tempo l’uomo aveva creduto nella guerra ma ora vedeva attorno a sé le conseguenze che questa aveva portato e

ne comprendeva le vere ragioni: l’arricchimento e il potere a vantaggio di pochi. La popolazione non poteva

resistere ancora a lungo costretta com’era a lavorare e a vivere in condizioni disumane.

Quella notte l’uomo avvertì qualcosa di diverso: rumori quasi impercettibili di movimenti segreti che si

susseguivano al passaggio dei soldati. Improvvisamente tutto cambiò. Il silenzio si trasformò in grida e spari; la

ribellione era iniziata.

L’uomo corse in strada e vide ciò che stava accadendo; la popolazione usciva dalle case attaccando i soldati che

fuggivano sorpresi per cercare riparo. La gente era spinta dalla disperazione e dalla speranza di cambiare in meglio

il proprio stato. Ben presto però i soldati furono raggiunti dai rinforzi e poterono organizzare il contrattacco. La

repressione fu violenta e la popolazione non aveva né i mezzi né l’esperienza per riuscire ad opporre la resistenza

necessaria a fermare il contrattacco. I soldati formarono un anello intorno alla città per bloccare i rivoltosi e

spingerli in un unico punto nel quale sarebbe stato più facile reprimere la rivolta.

L’uomo comprese che in quelle condizioni la popolazione sarebbe stata facilmente annientata e maturò l’idea che

l’unico modo per offrirle una minima speranza di sopravvivenza consisteva nel tentare a tutti i costi di uscire dalla

città e cercare aiuto all’esterno.

L’uomo era consapevole dei rischi che stava correndo ma decise di tentare comunque. Finalmente stava

combattendo per una giusta causa.

Alessandro Borfecchia III A

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21 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

“Ce la Farai!”

Jonathan era un giovane ventenne coraggioso e determinato. Fin da piccolo aveva maturato una grande passione

per ogni genere di sport. Quando aveva otto anni si iscrisse alla scuola calcio del paese. Il mister, accortosi del suo

grande talento, lo elesse presto capitano della squadra la quale grazie al suo contributo si ricoprì di meriti e scalò le

classifiche regionali.

Jonathan qualche anno dopo lasciò il mondo del calcio e frequentò un corso di atletica. Presto comprese che quello

sport era parte di lui e vi fu un importante svolta nella sua vita. Il ragazzo, agile e scattante, fu convocato per

diverse gare dalle quali uscì sempre vincitore.

Aveva deciso il suo futuro: seguire le orme del padre ex campione olimpionico della corsa ad ostacoli. Il suo caro

padre era scomparso anni fa a causa di un grave incidente in pista.

Jonathan conosceva i rischi cui andava incontro. Aveva paura anche se niente avrebbe potuto impedirgli di

rinunciare al suo più grande sogno. Non voleva mollare. Ce l’avrebbe fatta.

Si diresse al parco nel quale era solito allenarsi. Davanti a lui si estendeva il lungo viale asfaltato che in

lontananza andava a restringersi sempre più fino a scomparire in un punto lontano tra il verde dei prati. Non vi

era anima viva. Il parco era a sua completa disposizione. Volse lo sguardo al cielo:

aveva sfumature violacee che, salendo di quota, si facevano sempre più chiare fino a diventare di un azzurro

cristallino appena visibile.

Il suo sguardo tornò al viale. Gli sembrò infinito. Iniziò a correre.

Stava godendo di tutta la bellezza e tranquillità del parco; l’una e l’altra gli fecero dimenticare quello che stava

facendo e perché. Il suo respiro si fece pian piano sempre più pesante senza che se ne rendesse conto. Cacciò via i

brutti pensieri e si mise ad ascoltare il melodioso canto degli uccelli.

Ognuno emetteva un suono diverso: melodie differenti e scoordinate tra loro che insieme formavano una dolce

sinfonia. Chiuse gli occhi e si lasciò andare. Era in balia di quella musica.

Stava provando una sensazione mai sentita fino ad allora. Era rilassato ed il suo corpo era in pace con l’anima. Si

sentiva tanto leggero come una farfalla quanto piccolo e innocuo come un granello di sabbia. Era attratto dal

quella sinfonia come un’ape dal miele. Si trattava di un richiamo troppo potente al quale lui non poteva cedere.

Tuttavia Jonathan voleva farne parte. Desiderava rimanere in quello stato in eterno senza pensieri nè

preoccupazioni.

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22 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Si lasciò andare ancora di più…Fu in quel momento che sentì un tonfo. Vide nero per un istante e cadde a

terra…Jonathan tentò di riaprire gli occhi.

La luce solare che penetrava tra le fessure delle persiane glielo impedì. Aveva perso il contatto con il resto del

corpo. Non si sentì più gli arti. Aprì e chiuse le mani. Fu uno sforzo enorme.

Qualche minuto dopo riprese interamente i sensi e si chiese dove fosse e perché. Gli corse un brivido lungo la

schiena. Si guardò attorno. Si trovava in una stanza abbastanza spaziosa.

I muri erano bianchi come la poltroncina posta di fronte al letto…Realizzò di essere sdraiato su un materasso: era

già qualcosa.

Infine sul soffitto della camera vi era una vecchia lampadina con il vetro rotto e i fili elettrici in mostra. Jonathan

guardò verso il basso e vide un armadietto di legno appoggiato alla parete rigata da crepe e intervallata da spazi

marroncini di varie dimensioni la cui vernice probabilmente si era consumata con gli anni. Quella stanza gli

metteva i brividi. Sembrava una cella vera e propria. L’ arredamento era semplice a tal punto da rasentare lo

squallore. Tuttavia Jonathan per quanto si sforzasse non riusciva neanche ad immaginare lontanamente in quale

luogo si potesse trovare. Udì uno scricchiolio. Qualcuno era entrato nella stanza. Non riuscì a vedere chi fosse.

Un uomo da un lungo camice bianco gli si avvicinò.

-Come stai?- quello domandò con tono amichevole. Jonathan non gli rispose. - Dove mi trovo?- ribattè parlando

lentamente e a voce bassa. -In ospedale -. - Cosa mi è successo?!- chiese Jonathan preoccupato alzando il busto nel

tentativo di alzarsi.

-Niente, sta calmo…- cercò di rassicurarlo il dottore mentre con la mano sulla spalla del ragazzo spingeva la

schiena di quello sul cuscino.

-Ti abbiamo trovato privo di sensi in un fosso al parco qui vicino- proseguì il dottore con più cautela che potè -

E…ecco…e…- tentennò l’uomo guardando a terra.

Jonathan si accorse che le labbra del medico tremavano; il ragazzo comprendeva perfettamente che ciò che il

dottore stava per rivelargli non sarebbe stata una bella notizia e neanche lui avrebbe voluto saperlo. Aveva paura.

Trasalì.

Dopo lunghi istanti di gelido silenzio, che a Jonathan parvero infiniti, il dottore si decise a parlare.

Respirò a fondo e chiuse le mani tremanti in un pugno.

-Ecco…abbiamodovutoamputartilegambe- esplose l’uomo tutto d’un fiato e a bassa voce.

Poi il dottore, voltandogli le spalle, uscì dalla sala a passo svelto. Quelle parole risuonarono come una condanna

nelle orecchie di Jonathan. Il giovane atleta rimase immobile per chissà quanto tempo a guardare il soffitto. Aveva

le mani gelate. Tremava. Il suo sogno era distrutto. Si era allenato tanto per niente. Voleva che suo padre fosse

orgoglioso di lui. Voleva vincere le Olimpiadi per renderlo felice realizzando il sogno che il defunto genitore non

aveva potuto raggiungere. Si sentiva smarrito. Non sapeva più cosa fare. Non riusciva a provare altro che una

devastante disperazione. Si girò di lato. Il dottore gli aveva lasciato due gambe finte sullo sgabello.

No, lui non doveva arrendersi, non ora! In modo o nell’altra ce l’avrebbe fatta. L’aveva promesso a se stesso ed al

suo caro padre. In tali condizioni l’avrebbe semplicemente deluso. Lui non era morto invano. Doveva realizzare

quel sogno ad ogni costo. Lui sarebbe riuscito lì dove il padre aveva fallito. Si mise seduto. Aveva le scintille negli

occhi. Si guardò le gambe che non aveva più.

Maledì il canto degli uccelli e il fosso che l’aveva fatto inciampare.

Mise quegli aggeggi sulle ginocchia e corse felice verso l’esterno dell’ospedale.

Il dottore lo vide passare. Avrebbe voluto consigliargli di camminare più piano oppure chiedergli se avesse avuto

bisogno di aiuto. Era felice per lui. Non l’aveva presa male. Aveva una grande stima e fiducia di quel ragazzo. Per

Jonathan non era semplice camminare con le protesi; a volte perdeva l’equilibrio. D’altronde mancavano ancora

due settimane alla gara. Se si fosse allenato ogni giorno ce l’avrebbe fatta. Fece qualche giro del porticato

camminando. Sarebbe stata una mera questione di abitudine. Jonathan era felice. Era sicuro: avrebbe vinto la

gara.

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23 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

(Due settimane dopo) Mancava solo un quarto d’ora all’inizio. Jonathan, seduto su una panchina al lato della

pista, era nervosissimo. Aveva le mani sudate. I denti gli tremavano.

Se avesse perso la gara? Cosa sarebbe accaduto? Se tutti i suoi sforzi si fossero rivelati vani?

Questi pensieri lo tormentavano. Sentì gridare il suo nome. Lo stavano chiamando, doveva andare.

Il cuore gli batteva all’impazzata. Questo era il giorno che da tempo attendeva con ansia ma esitò un attimo

nell’alzarsi in piedi e partecipare alla corsa. D’altronde chi gliel’aveva fatto fare.

Lo chiamarono una seconda volta. Cercò di essere sereno e non pensare a nulla. Chiuse gli occhi.

Si alzò all’improvviso e si mise in posizione sulla sua corsia.

Si accorse che gli atleti vicino a lui gli osservavano le gambe con aria di disgusto; sussurravano insulti sul suo

conto e ridacchiavano alle sue spalle.

Poco importava. Gli avrebbe fatto mangiare la polvere. Si sentiva un razzo pronto al decollo. Il nervosismo era

passato. Ora voleva solamente vincere.

A momenti la gara sarebbe iniziata. Respirò a fondo e chiuse gli occhi. -Ce la farai, ce la farai…- si ripetè.

Appena udì il fischio d’inizio partì sparato più veloce di un treno.

-Ce la farai, ce la farai…- Non sapeva quale fosse la sua posizione in quel momento; correva soltanto. Le gambe

sembravano andare da sole. Pareva volasse su quella pista. Saltò un ostacolo dopo l’altro con notevole abilità.

Continuò a correre, correre e saltare per un tempo che gli sembrò infinito. Non vedeva l’ora di raggiungere il

traguardo finchè qualcosa gli solleticò la pancia; si trattava del nastro della vittoria. Fece una brusca frenata e

sorrise. Si guardò attorno.

Non c’era nessuno. No, non era possibile… Non gli sembrava vero… Ce l’aveva fatta…

Il suo più grande sogno si era realizzato.

-Ho vintoooooo!!! Ho vintoooooooo!!!- iniziò a gridare colto da un’euforia incontrollabile.

Era il giorno più bello della sua vita. Avrebbe abbracciato chiunque si fosse trovato accanto a lui.

-Visto papà, abbiamo vinto- disse guardando il cielo che quel giorno gli sembrava più limpido che mai.

Carlotta Budini III A

Sulla montagna

Sono immerso nella natura tra alberi e montagne. Sento una grande pace interiore e una grande tranquillità. Si può

ascoltare il melodioso canto degli uccelli o il fruscio dell’erba mossa dal vento; in lontananza su una grande

montagna rocciosa si riesce a vedere un piccolo branco di stambecchi tra i quali due cuccioli che si divertono a

giocare facendo finta di combattere con le loro piccole corna. Improvvisamente vengo distratto da uno strano

odore. A quel punto mi alzo e l’ odore diventa sempre più forte; guardo in basso e vedo dei piccoli fiori viola che

emanano un odore intenso e profumato. Guardandoli con attenzione capisco che sono dei ciclamini. Decido di

proseguire inoltrandomi sempre di più nel fitto bosco; a questo punto posso avvertire un forte odore di muschio che

al tatto risulta incredibilmente morbido. Sembra un materasso sul quale decido di sedermi. Dopo un po’ riparto e

percepisco uno strano suono durante il cammino; sembra un forte ticchettio che segue un ritmo preciso: è un picchio

che con il suo forte becco cerca larve o piccoli insetti tra la corteccia di un albero; il suo piumaggio mi fa pensare

alla fine dell’autunno, al rosso delle foglie cadute, al bianco delle prime nevicate ed al marrone chiaro dei rami

spogli. Quel ticchettio viene interrotto da un altro suono molto più forte; il rumore non sembra lontano si tratta di

un torrente. La luce sta diminuendo gradualmente; ora il cielo è di un azzurro scuro e si possono ammirare le prime

stelle che compaiono nel cielo; gli uccelli cercano un posto dove dormire tra i rami. Inizio riflettere su come sia

passato in fretta il tempo. Ormai è giunta la notte. Una voce in lontananza mi chiama; probabilmente si tratta di

mia madre o mia nonna. Affretto il passo e mi incammino per tornare a casa ma una piccola luce mi attrae: una

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lucciola. La seguo d’istinto; dopo qualche minuto l’animaletto entra all’interno di una grande caverna ed io

continuo a seguirlo. Appena entrato noto da subito una grande cascata che parte dalla cima della grotta; sempre

più incuriosito decido di avvicinarmi. Mentre cammino inciampo su una radice ed entro all’interno della cascata

dove scorgo un tunnel che si estende in lunghezza. Guardando in lontananza si vedono tanti piccoli puntini che

scintillano; ho un po’ di timore ad avanzare ma alla fine mi faccio coraggio e proseguo. Arrivato alla fine scopro

che quei puntini in verità sono dei diamanti grandi e luminosi; mentre sono intento a osservare le pietre sento in

lontananza dei passi che diventano sempre più vicini. Mi giro di scatto e vedo dietro di me un orso enorme; ci

fissiamo negli occhi per pochi istanti e fuggo.

Continuo a correre senza fermarmi ed alla fine mi tuffo fuori dalla cascata nell’acqua sottostante. Quando provo a

risalire in superficie una forza invisibile mi tiene ed io mi sento soffocare fino a quando non mi sveglio di

soprassalto sul comodo muschio. Mi guardo intorno e mi rendo conto che in realtà è ancora giorno; allora decido di

alzarmi e tornare a casa fischiettando pensando a quel sogno così incredibile.

Daniel Maroni III A

Notte Stellata

Guardando questo quadro (“Notte Stellata”) mi assalgono tante emozioni, tutte insieme, ed io non so proprio a

cosa pensare.

Il mio istinto mi dice di chiudere gli occhi e di proiettarmi con l’immaginazione in questo mondo addormentato.

Mi immagino sulla vetta più alta della montagna, che in questo quadro è in primo piano. Assaporo il vento che mi

accarezza i capelli e me li fa volare come farfalle.

In quel posto c’è un rumore strano: il silenzio.

Tutta la gente del paese dorme beatamente ed i rumori della natura fanno da orchestra.

Mi aggiro nel paese tutto acquietato, camminando sui tetti delle case come un gatto silenzioso e con passo leggero.

Mi dirigo con la mia fantasia verso le colline immerse nella notte, dove l’erba ricoperta dalla rugiada del mattino

mi rinfresca i piedi.

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25 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Il cielo all’orizzonte si sta schiarendo, perché un nuovo giorno sta per cominciare, ma in alto, su nel cielo blu,

regnano ancora la Luna ed i suoi sudditi (le stelle).

Con una scala immaginaria mi arrampico in alto per arrivare alla Luna. Una volta giunta fin lassù con una canna

dei sogni pesco gli incubi di ogni persona e li trasformo in sogni felici e spensierati, pieni di felicità, di allegria e di

gioia.

Tutta quella tranquillità mi ha messo sonno e la Luna mi culla lentamente, come faceva mia madre quando ero

piccola. Ma non posso addormentarmi proprio adesso!

Il sole sta per sorgere e non ho ancora finito di esplorare il paesaggio immerso nella notte.

Attraverso la mia immaginazione, divento una polverina magica leggera come l’aria, grazie alla quale mi faccio

trasportare dal vento attraverso stelle e pianeti.

La notte è similitudine di pace e questo quadro lo dimostra.

Dopo aver fantasticato è giunto il momento di tornare con i piedi per terra, davanti ai problemi di tutti i giorni,

ma soprattutto davanti alle occasioni che la vita ci presenta.

E’ stato bello, per un po’, uscire fuori dalla realtà, diventare una pescatrice di sogni, una gatta ed anche una

polverina magica, ma purtroppo queste sono cose che accadono solo nei sogni e comunque gli incubi che elaborava

la gente nel paesaggio erano molto meglio della realtà che noi viviamo tutti i giorni; ma per fortuna anche nella

realtà io cerco di diventare la mia fatina dei sogni, per rendere speciale e diverso ogni giorno della mia vita.

Prima di finire vorrei dire un’altra cosa: a guardare il quadro “Notte stellata” pensiamo a quanto sia stato difficile

crearlo ed immaginarlo, ma in realtà non è così: basta prendere una sedia, una poltrona… mettersi comodi e

guardare l’orizzonte… per accorgerci che il sole si è spostato, le nuvole hanno cambiato forma, sono cadute le

foglie degli alberi... Le stesse cose delle quali ci rendiamo conto quando guardiamo “ Notte stellata”: che il tempo

passa.

Ilaria Torella III B

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26 Colle…ghiamoci, ottobre-novembre 2013

Sulla spiaggia all’alba ...

Il sole sta sorgendo e, come dopo una nuotata, emerge dal mare tingendolo insieme al cielo di fuoco e oro.

Sono seduto sulla sabbia soffice, ancora fredda per la notte, e la guardo disegnare forme sconosciute, mossa dallo

scirocco.

Il vento gioca con l’acqua, increspandola e creando una leggera spuma che scompare poco dopo.

La sabbia è bianca, e ogni tanto ci vedi una conchiglia seminascosta, ormai vuota del suo proprietario.

Mi trovo in un piccolo golfo, incorniciato da palme che stormiscono al vento sussurrando il loro benvenuto al

nuovo giorno, e tutto fa pensare ad un teatro, di cui io, la sabbia e tutto intorno a me siamo gli spettatori, che

guardano il sole nascente che interpreta la sua parte; e forse persino io faccio parte di questa recita, come una

piccola comparsa, e forse l’intero golfo sta recitando.

Dopotutto basta un po’ di fantasia ed ecco che il sole diventa il protagonista, il mare la scenografia, io e la sabbia

comparse e le palme una gigantesca orchestra, che produce melodie a volte dolci, a volte forti, a volte incalzanti. E

poi c’è il vento che fa il direttore d’orchestra e comanda le palme a suo piacimento.

Man mano che il tempo passa l’opera si avvicina alla sua fine: il mare e il cielo dopo essere arrossiti tornano al loro

blu, il vento fa un inchino e si dirige verso terre lontane, a far suonare altre orchestre e altre opere. E il sole,

rimasto lì, riceve le ovazioni silenziose del suo pubblico invisibile e poi torna a fare il suo lavoro, irradiandomi con

colore e luce. Poi però all’improvviso il vento torna in corsa, anche se non è più il vento caldo di prima, è un vento

freddo e burrascoso che invece di divertirsi col sole tenta di cacciarlo via. Infatti sopra di me iniziano a formarsi

nubi grigie e cupe e provo molto freddo; allorché comincia la battaglia tra Sole e Vento, il Vento fa ingrandire a

dismisura le nuvole, al che il Sole si apre degli spiragli formando tante colonne di luce, e quella che poco fa era

un’opera teatrale diventa una brutale rissa tra gli elementi.

Alla fine vince il vento; e si sentono i primi tuoni, si vedono i primi lampi, e iniziano a scendere, come piccole

lacrime, le gocce, formando punti neri sulla sabbia bianca che pian piano si espandono.

Resterei lì, ma siccome inizio ad essere bagnato e la sabbia mi resta addosso, capisco che è ora di andare.

Andandomene faccio attenzione a lasciare le impronte delle infradito, così, una volta finito il temporale, il sole

potrà venirmi a trovare.

Edoardo Chen III B