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N. 248, APRILE 2013/ MENSILE, POSTE ITALIANE SPA, SPED. ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB ROMA ISSN 1974-2681 L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA ISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA È STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI www.accademia1953.it C IVILTÀ DELLA T AVOLA ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

CIVILTÀ TAVOLA ISSN 1974-2681 - Accademia …...6 Il vino e la Scuola Salernitana (Publio Viola) 8 Goethe al Sud: la tavola, gli amori (Maria Attilia Fabbri Dall’Oglio) 10 Agli

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    L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

    È STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI

    www.accademia1953.it

    CIVILTÀDELLATAVOLAACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

  • S O M M A R I O

    CARI ACCADEMICI...

    3 Paura di cibo (Giovanni Ballarini)

    FOCUS

    4 Il nostro ragù inciampa in un cavallo (Paolo Petroni)

    CULTURA & RICERCA

    5 Dell’insalata (Renzo Pellati)

    6 Il vino e la Scuola Salernitana (Publio Viola)

    8 Goethe al Sud: la tavola, gli amori (Maria Attilia Fabbri Dall’Oglio)

    10 Agli e cipolle (Nicola Barbera)

    12 Il versatile radicchio (Filomena Furno)

    14 I crauti: gusto e tradizione (Giuliano Relja)

    16 Il raffinato palato di D’Annunzio (Luisa Benedetti)

    21 I “Villani” della Garfagnana (Albarosa Lucchesi Mocci)

    22 Il mirto e l’alloro (Luigi Altobella)

    23 Cioccolato termoresistente (Giancarlo Burri)

    25 Il quadrupede generoso (Cettina Princi Lupini)

    27 I “calanchi”, terre da trifola (Giuseppe Montanari)

    29 La carne dei poveri (Amedeo Santarelli)

    30 Il prezioso balsamico (Sandro Bellei)

    32 La lunga storia della birra (Roberto Dottarelli)

    34 Matita e Forchetta (Francesco Ricciardi)

    36 Ricevimento in onore di Pio VII (Alberto Gamaleri Calleri Gamondi)

    37 Mangiar di magro (Rosa Maria Lo Torto Rossomando)

    39 La Quaresima molisana (Enzo Nocera)

    41 Le astuzie per evitare il digiuno (Arnaldo Grandi)

    43 Le zuppe economiche (Gloria Peria)

    45 Gusto: un senso minore (Alfredo Pelle)

    I NOSTRI CONVEGNI

    18 Giovani in cucina (Giovanna Moretti)

    19 Alimentazione consapevole (Marco Dalla Rosa)

    SICUREZZA & QUALITÀ

    47 Bucce d’arancia (Gabriele Gasparro)

    LE RUBRICHE

    7 Calendario accademico15 Le ricette d’Autore48 Notiziario49 In libreria51 Vita dell’Accademia71 Carnet degli Accademici73 Dalle Delegazioni78 International Summary

    L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAÈ STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANIE DA LUIGI BERTETT, DINO BUZZATI TRAVERSO,

    CESARE CHIODI, GIANNINO CITTERIO, ERNESTO DONÀDALLE ROSE, MICHELE GUIDO FRANCI, GIANNI MAZZOCCHI

    BASTONI, ARNOLDO MONDADORI, ATTILIO NAVA, ARTURO ORVIETO, SEVERINO PAGANI, ALDO PASSANTE,

    GIAN LUIGI PONTI, GIÒ PONTI, DINO VILLANI, EDOARDO VISCONTI DI MODRONE,

    CON MASSIMO ALBERINI E VINCENZO BUONASSISI.

    La copertina: particolare di “Funghi” (olio su tavola,1900-1905, dalla Pinacoteca Züst di Rancate) del pittore ticinese Adolfo FeraguttiVisconti (1850-1924), esposto nell’ambito della mostra “La libertà della pittura” a lui dedicata (resterà aperta fino al 16 giugno) presso ilMuseo Civico Villa dei Cedri di Bellinzona (CH). La mostra rappresenta una delle tappe di un percorso espositivo che il Museo dedica al-l’approfondimento e alla valorizzazione della pittura tra Ottocento e Novecento. Feragutti Visconti (divenuto cittadino italiano nel 1888)è considerato uno dei maggiori artisti ticinesi attivi nel periodo a cavallo tra i due secoli e questa mostra antologica rappresenta unosguardo completo sulle sue straordinarie doti artistiche e sulla sua poetica. Attraverso una selezione di oltre ottanta opere (una trentinavenute alla luce di recente) è documentato con esempi di eccellenza l’intero percorso artistico del pittore, il cui spessore è evidente anchein una serie di nature morte, di cui quella scelta per la nostra copertina è un esempio. In questo particolare genere uno dei soggetti prefe-riti da Feragutti fu l’uva, tema iconografico che per almeno due decenni ricorrerà nella sua produzione in diverse versioni, tra cui spic-cano “Uva per il vino santo” presentato nel 1887 a Venezia, e lo splendido dittico di “Uva bianca e “Uva nera” (entrambi in mostra).

    CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 1

  • CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 2

    XV ASSEMBLEA DEI DELEGATIXXIII CONVEGNO INTERNAZIONALE SULLA CIVILTÀ DELLA TAVOLA

    Montecatini Terme 24-26 maggio 2013

    Venerdì 24 maggio

    Arrivo dei partecipanti e sistemazione in hotel (Grand Hotel La Pace, Grand Hotel Tamerici e Principe, Grande Hotel Croce di Malta, Grand Hotel Francia & Quirinale) ore 16.00 Consiglio di Presidenza (2011-2013) al Grand Hotel Tamerici e Principeore 18.00 Consulta Accademica (2011-2013) al Grand Hotel Tamerici e Principeore 20.30 Cena di benvenuto di tradizione locale al Grand Hotel Tettuccio (Viale Giuseppe Verdi 74 - Montecatini Terme)

    Sabato 25 maggio

    ore 8.00 Assemblea ordinaria dei Delegati (I convocazione) - Sala Congressi Teatro Imperiale (Piazza D’Azeglio, 5 - Montecatini Terme)ore 9.00 Assemblea ordinaria dei Delegati (II convocazione) - elezione organi istituzionali: Presidente, Consulta Accademica, Collegio dei Probiviri, Collegio dei Revisori dei Contiore 11.30 Coffee breakore 12.00 Consulta Accademica (2013-2015) - elezione Consiglio di Presidenza al Grand Hotel Tamerici e Principeore 12.30 Consiglio di Presidenza al Grand Hotel Tamerici e Principeore 13.00 Colazione di lavoro a buffet al Gran Hotel Tamerici e Principeore 16.30 XXIII Convegno Internazionale sulla Civiltà della Tavola “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene nel nuovo millennio” - Sala Congressi Teatro Imperiale ore 20.30 Cena di gala in onore del Presidente al Grand Hotel La Pace (cravatta nera o abito scuro)

    Per gli accompagnatori:

    ore 9.30 Partenza in pullman per visita guidata della città di Luccaore 13.00 Colazione di lavoro a buffet al Gran Hotel Tamerici e Principeore 16.30 XXIII Convegno Internazionale sulla Civiltà della Tavola

    Domenica 26 maggio

    ore 8.00 Prima colazione in albergo e commiato dei partecipanti

    • Grand Hotel La Pace***** - Via della Torretta, 1 - Montecatini Terme (PT) - Tel. 0572 9240• Grand Hotel Tamerici e Principe**** - Viale IV Novembre, 2 - Montecatini Terme (PT) - Tel. 0572 71041 • Grande Hotel Croce di Malta**** - Viale IV Novembre, 18 - Montecatini Terme (PT) - Tel. 0572 9201 • Grand Hotel Francia & Quirinale**** - Viale IV Novembre 77 - Montecatini Terme (PT) - Tel. 0572 70271

    I moduli di iscrizione e i costi sono disponibili presso i Delegati.La partecipazione è subordinata al pagamento della quota che dovrà essere effettuato contestualmente alla pre-notazione entro il 15 aprile 2013.Non sarà possibile effettuare pagamenti all’arrivo.

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    TALIANA DELLA CUCINA ★

  • CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 3

    Paura di cibo

    C A R I A C C A D E M I C I . . .

    DI GIOVANNI BALLARINIPresidente dell’Accademia

    La tavola, da luogo di gioia,sta divenendo

    un luogo di paura.Compito dell’Accademiaè di riportare in tavola

    fiducia, letizia e festosità.

    U na sera di tanti secoli fa,Dante Alighieri - ricorda unaleggenda - passeggia nellapiazza di Firenze e un giovane glichiede quale sia il miglior cibo.“L’uovo” risponde senza esitare ilsommo poeta. Passa un anno eDante passeggia ancora nella stessapiazza, dove il medesimo giovanegli si avvicina e senza alcun pream-bolo gli dice “Con che?”. Dimo-strando una memoria straordinaria,“Col sale”, risponde prontamente ilpoeta.

    Ai tempi di Dante, e per tanti etanti altri secoli se non millenni,l’uovo e il sale sono stati ritenuti ci-bi non solo buonissimi, ma sotto al-cuni aspetti indispensabili. All’uovosono state attribuite tante simbolo-gie e sono stati inventati cento senon mille modi per cucinarlo; intutte le civiltà è divenuto un indi-spensabile elemento di gastrono-mia. La scienza ha scelto le proteinedell’uovo come paragone dell’ali-mento nutriente ideale. Senza sale,poi, non si vive e per la sua impor-tanza alimentare è stato oggetto diguerre, ha sostenuto floridi com-merci ed è stato sottoposto a tasse.

    Ora parlare di uova e di sale ècome parlare del diavolo.

    Dopo la scoperta del colesteroloe della pressione del sangue, uovae sale non sono più alimenti bene-fici, ma pericolosi, e fanno paura.Lo stesso avviene per tanti altri ali-menti, in un elenco sempre piùlungo.

    Non passa giorno che questo oquell’alimento non venga crimina-lizzato; la lista dei cibi buoni si ac-corcia e non sappiamo cosa man-giare. Anche l’acqua ci fa paura daquando si è iniziato a esaminarla,

    per non parlare del vino e di tantealtre bevande.

    Siamo entrati nell’era delle paurealimentari, che paradossalmentecoincide con quella delle abbon-danze e delle varietà alimentari. Piùcibo abbiamo, e più questo è vario,tanto più diffuse e intense sono lenostre paure.

    Non è soltanto la chimica che cifa paura, ma il chimico che trovatutto dappertutto, anche se inquantità infinitesime e quindi tra-scurabili. A un esame spassionatodella nostra alimentazione, dobbia-mo riconoscere che mai come oggidisponiamo di cibi sani, e mai co-me oggi ne abbiamo paura!

    Paure alimentari vere o leggendemetropolitane? Paure dovute al ciboo alla sua quantità? Paure dovutealla nostra ignoranza nel leggere einterpretare quanto è comunicatodalla scienza? Paure dovute al mo-do di uso degli alimenti o ai nostristili di vita? Paure semplicementedovute a un irrazionale rifiuto delnuovo?

    Molte paure sono leggende me-tropolitane, che si basano sull’averdimenticato che è la dose che è pe-ricolosa e che qualunque alimentodiviene dannoso se in eccesso. “Èla dose che fa il veleno” insegnava-no gli antichi! Altre paure derivanodall’incertezza lasciata dalla perditadelle tradizioni che, nel bene o nelmale, dicevano con sicurezza cosae quando mangiare.

    In molti casi dobbiamo averepaura di come mal usiamo i cibisani! Non sono il grasso o lo zuc-chero a essere pericolosi, soprat-tutto oggi che sono accuratamentecontrollati, ma quanto e come liusiamo. Nei paesi industrializzati

  • come il nostro, dobbiamo averepaura dei cibi sani mangiati in ec-cesso, che ingrassano, soprattuttochi non si muove a sufficienza. Unritorno a ricette e stili alimentaripiù sobri, meno tempo speso im-

    mobili davanti alla televisione o inautomobile, più movimento fisico eun poco di fame, risolverebberomolti problemi!

    Come Accademici, una miglioreconoscenza delle nostre tradizioni e

    delle reali condizioni alimentari do-vrebbe riportarci ad una tavola luo-go non di paura, ma di fiducia, leti-zia, festosità e gioia.

    GIOVANNI BALLARINISee English text page 78

    C A R I A C C A D E M I C I . . .

    P iù le leggi ci proteggono, più le etichette ci infor-mano, più le marche ci garantiscono e più venia-mo gabbati. Con frequenza impressionante siamobombardati da notizie tragiche su quello che troviamosui mercati e nei cibi che ci propinano.

    Abbiamo scritto un libro di grande successo sull’argo-mento “Il falso in tavola”: vi erano elencati numerosi ca-si, molti problemi, ma la realtà supera ogni più fervidafantasia. Ormai siamo assuefatti, si fa per dire, alle truffesull’olio, sulla mozzarella, sui vini, sui pesci, sui formag-gini; agli scandali legati alla dramma-beffa della muccapazza e dell’aviaria. Ma il caso denominato “horse-gate”ci mancava proprio.

    La carne di cavallo, venduta nelle macellerie equine,era molto comune un tempo, se ne parlava bene in ter-mini nutrizionali, era un toccasana per gli anemici e perle donne incinte; poi, nella maggior parte delle città ita-liane, queste macellerie sono sparite e il consumo dicarne di cavallo si è rarefatto, quasi scomparso, tranneche in alcune zone del Meridione. Così sembrava. Siscopre invece che in Italia vengono prodotti 25 milionidi chili di carne di cavallo e che siamo il maggior im-portatore in Europa, infatti ne importiamo altrettanti(principalmente da Polonia, Spagna, Francia, Romania,Canada e Argentina), per un consumo totale di circa 50milioni di chili. In pratica più di un chilo a testa all’an-no! Tutto questo emerge dopo che tracce, ma spessoanche dosi massicce, di carne di cavallo sono state rin-venute nei ragù, nei ravioli e nelle polpette di carne. Equando si dice ragù e tortellini e lasagne si dice Italia,con quel che ne consegue in termini di immagine ga-stronomica.

    È bene chiarire che oltre a problemi di natura saluti-stica (possibili antinfiammatori e medicinali dopanti noncontrollati, somministrati ai cavalli non destinati alla ma-cellazione), siamo di fronte ad una vera e propria frodealimentare denominata “falsificazione”, che consiste nel-la sostituzione di un prodotto con un altro di minor co-sto. Evidentemente la carne di cavallo si trova a buon

    prezzo, anche perché, specialmente in alcuni paesi, vie-ne poco o per niente controllata. Poi, naturalmente, loscaricabarile comincia subito: la grande marca dà la col-pa al produttore, che dà la colpa all’importatore dellamateria prima, che dà la colpa ai macelli situati chissàdove.

    L’attuale normativa impone al proprietario di un ca-vallo di scegliere se esso sarà “Destinato alla Produzio-ne Alimentare” (DPA) o, in modo irreversibile, “non De-stinato alla Produzione Alimentare” (non-DPA). La sceltadi dichiarare un cavallo non-DPA consente molta più li-bertà nell’uso dei farmaci tipo fenilbutazone. Può acca-dere, e accade, che un animale non più utilizzabile perle corse possa essere macellato e avviato alla lavorazio-ne alimentare. A ciò si aggiunge un problema etico: ilcavallo (ma anche il mulo e l’asino) è oggi un animaled’affezione? Un animale da compagnia da tutelare comeil cane e il gatto? Certamente sì, secondo le associazionianimaliste e ambientaliste.

    A ciascuno la sua convinzione, ma è certo che il ca-vallo ci accompagna nella vita sin da bambini, primanelle favole, con il principe sul cavallo bianco, poi neifumetti e nei film con i cowboys e gli indiani, poi nel-l’arte, con quadri e monumenti equestri, e ancora nellosport, nel lavoro. Un rapporto di dedizione e d’intesamagistralmente interpretato dal recente film di Spiel-berg, “War Horse”. Il cavallo è tutto, fuorché una pol-petta o una braciola.

    Ma tornando a noi, abbiamo speranze di salvarci daqueste frodi? Purtroppo no. Certamente verranno altreleggi, altre toppe saranno messe alle lacune, altre eti-chette diverranno obbligatorie, le filiere saranno piùcontrollate, ma contro le truffe nulla si può, siamo inmano all’industria globalizzata e i grandi marchi non so-no in grado di garantire nulla.

    Il copione per loro prevede sempre le seguenti duebattute: “siamo le prime vittime” e “non ci sono pericoliper la salute”. E la paura per il cibo continua.

    See English text page 78

    IL NOSTRO RAGÙINCIAMPA IN UN CAVALLO

    DI PAOLO PETRONI

    CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 4

  • CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 5

    C U L T U R A & R I C E R C A

    Dell’insalataDI RENZO PELLATI

    Accademico di Torino

    Oggi siamo primi in Europanella produzione

    di insalate di IV gamma.

    L e insalate a foglia verde, sem-pre presenti sulle tavole degliitaliani ebbero in passato deiprofeti illustri (Pitagora, Leonardo daVinci, Jean-Jacques Rousseau), checercarono di rivalutare un cibo chela nobiltà di toga e di spada disprez-zava, ritenendolo un “vile pastumeper popolo basso e servi della gle-ba”. Si diceva che “l’uomo degno diportare l’ermellino o l’armatura” do-veva cibarsi di carne (pesce solo neigiorni di digiuno imposti da MadreChiesa). Un contrasto, quello tra car-nivori e vegetariani, mai sopito neisecoli.

    Sul tema “insalate”, la storia dellagastronomia è ricca di aneddoti. Inepoca romana, per esempio, l’insala-ta si gustava a fine pasto come dige-stivo, piuttosto che come contorno oantipasto (vedi i ricettari di MarcoGavio Apicio e l’opera di Plinio il

    Vecchio). I condimenti erano diversi,ma predominava il famoso garumche oggi nessuno vorrebbe ripropor-re dato che era ottenuto dai visceridi pesce (sardine, sgombri) lasciatifermentare al sole, cosparsi di sale edi vino vecchio. I Romani apprezza-vano anche l’agresto che era un li-quido di sapore acido ottenuto dalsucco di uva acerba.

    Nel periodo rinascimentale e neisecoli successivi, i ricettari dei grandicuochi davano consigli più adatti ainostri gusti. Cito Bartolomeo Scappidetto il Platina, Cristoforo di Messi-sbugo, Vincenzo Corrado. Ricordoanche il modenese Giacomo Castel-vetro, costretto a vivere in Inghilterraper non finire nelle reti dell’Inquisi-zione romana, che raccomandava“un’accurata pulizia delle foglie verdie l’utilizzo dell’olio in abbondanza,con poco aceto, sale e poco pepe,per non fare come i tedeschi e altrestraniere generazioni le quali, ap-presso avere poco l’erbe lavate in unmucchio le mettono nel piatto e suvi gittano molto aceto senza mai ri-volgerle, non avendo altra mira chedi piacere all’occhio: ma noi italiciabbiamo più riguardo di piacere amonna bocca”.

    Per venire ai giorni nostri, grazieagli studi e alle ricerche della scien-za dell’alimentazione, vediamo am-piamente rivalutate le risorse dell’or-to, e delle umili insalate, per la pre-senza di vitamine e di antiossidantiritenuti indispensabili per combatte-re i famigerati “radicali liberi” e perridurre, a dosi opportune, i rischidelle malattie cardiocircolatorie. Lacomunità scientifica, che si occupadi nutrizione umana, raccomanda digustare, nel corso della giornata, 5porzioni di frutta e verdura, ma le ri-levazioni statistiche sono concordi

    nel dire che, oggi, lo stile di vita chestiamo praticando ci obbliga a dedi-care alla provvista dei cibi e alla cu-cina un tempo sempre minore. Il la-voro fuori casa riduce la presenza didonne e uomini ai fornelli, e sono inaumento i single, le famiglie mono-nucleo, per cui è ovvio che l’indu-stria offra soluzioni pratiche ai pro-blemi quotidiani. I supermercati oggivendono sotto private label circa il70% degli ortaggi pronti al consumo.E tra questi, ci sono le insalate di IVgamma, nella cui produzione (chil’avrebbe detto?) siamo primi in Eu-ropa e, in campo mondiale, in terzaposizione dopo la Cina e gli USA.

    Un successo forse poco stimato, inconfronto alle eccellenze dei prodot-ti alimentari italiani ormai conosciutie apprezzati (e anche contraffatti) intutto il mondo, ma per il quale biso-gna dire grazie alle ricerche compiu-te dalla nostra agricoltura. Dice infat-ti la prof.ssa Ludovica Gullino, diAgroinnova (Facoltà di Agraria, Uni-versità di Torino), coordinatricescientifica del volume “Le insalate”,della Collana “Coltura & Cultura”:“Per portare sulla nostra tavola le in-salate italiane tagliate, lavate e imbu-state, sono state necessarie delle in-novazioni avanzate nella selezionedelle varietà, nella coltivazione, nelladifesa dai microrganismi (muffe, pa-rassiti, erbe infestanti), nelle tecnichepost-raccolta e nella conservazione,che hanno coinvolto ricercatori eproduttori. Il risultato di questa col-laborazione è una produzione moltosofisticata e di grande qualità, oltreche fra le più sicure e sostenibili del-la nostra agricoltura, apprezzata intutta Europa (in Italia il fatturato del-la IV gamma è salito a circa 900 mi-lioni di euro)”.See International Summary page 78

  • Il vino e la Scuola SalernitanaDI PUBLIO VIOLA

    Delegato di Roma Appia

    “Che tu possa bramarque’ che potenti

    trovi, e belli, e fragrantie freddi e lievi,

    sicché lo spirito in lorsi riconosca”.

    N ell’antichità, il vino fu spessoconsiderato un medicamen-to, e molti medici e naturali-sti ne hanno descritto, nei secoli, leproprietà benefiche. Tra le più inte-ressanti e conosciute trattazioni, ri-cordiamo quelle di una famosaScuola di medicina, la Scuola Medi-ca Salernitana, che si ritiene sia sta-ta fondata dall’Ordine Benedettinointorno all’anno Mille, e dove l’inse-gnamento medico veniva impartitoseguendo i dettami di illustri medicie naturalisti greci e romani, e preci-samente “secundum Hippocratis etGaleni praecepta”. Tra le diversepubblicazioni della Scuola MedicaSalernitana, ancora oggi conosciute,quella che l’ha resa famosa in tuttoil mondo è stata il “Regimen Sanita-tis Salernitanum” (chiamato anche“Flos Medicinae”), un testo nel qua-le, in forma di facili versetti, vengo-no volgarizzati utili precetti medicie igienici.

    Per quanto riguarda il vino, nel“Regimen Sanitatis”, ne vengonoesaminate le caratteristiche e, dopoun dettagliato esame, il vino vieneconsiderato non solo non dannoso,ma anzi utile, purché, si avverte, sia“fortis, formosus et friseus”, così co-me deve essere anche “clarus, ve-tus, subtile et maturum”. I vini ven-gono giudicati, infatti, dal profumo,dal sapore, dalla limpidezza e dalcolore, cercando in essi cinque qua-lità, e cioè che siano pastosi, spiri-tosi, fragranti, freschi e frizzanti. So-no preferiti i vini bianchi e dolci,perché ricchi di sostanze nutritive(“nutritiva sunt plus dulcis candidavina”), mentre i vini rossi, si affer-ma, se bevuti in eccesso, intontisco-no la mente e il corpo (“corpus red-dit tibi pigrum”) e alterano la limpi-dezza della voce.

    Comunque, osserva la Scuola Sa-lernitana, anche nella terapia dei di-sturbi collegati all’eccesso, non esi-ste rimedio migliore che il vinostesso. Seguendo infatti i concettidella Scuola di Terapia greco-roma-na, che diceva “contraria contrariiscurantur”, si affermava: “se il vinoche hai bevuto alla sera ti avrà crea-to dei disturbi, bevine ancora almattino e ti gioverà come medici-na”. Tra i precetti relativi al vino,viene poi anche affermato che, perfacilitare la digestione, è molto utilecominciare il pasto con un bicchie-re di vino, in modo da preparare lostomaco e anche per “allontanareogni eventuale pena”, ma si aggiun-ge un saggio consiglio, e cioè“quando bevi non saziarti mai di unsolo fiato”. Bevendo spesso e poco,si rendono infatti più leggere le vi-vande e il vino sarà salutare comeun cibo.

    Si sostiene infine che gli uominisaggi devono stare lontani dalle be-vande costituite da sola acqua. Il vi-no “scaccia i vapori, affina l’udito efortifica il corpo”, e si afferma che”è molto nocivo bere solo acquadurante i pasti perché l’acqua raf-fredda lo stomaco e rende il ciboindigesto”. La Scuola Salernitana,seguendo i concetti già espressi daIppocrate, riteneva che il vino facili-tasse lo svuotamento dell’intestino;inoltre riteneva che quello biancopossedesse effetti diuretici ed eraperciò indicato nei soggetti pletori-ci, e infine, potevano essere consi-gliati anche i vini allungati con ac-qua per combattere la febbre.L’unica controindicazione sostenutada Ippocrate era legata al vino dol-ce, che appesantiva il capo, contra-riamente a quanto dirà poi la Scuo-la Salernitana che lo consiglia come

    CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 6

    C U L T U R A & R I C E R C A

  • CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 7

    C U L T U R A & R I C E R C A

    ricostituente perché ricco di sostan-ze nutritive. D’altra parte, oltre allaScuola Medica Salernitane, fin daitempi più remoti, il vino ha avutoun grande rilievo sociale, tanto chesi riteneva fosse protetto dalle divi-nità: Osiride in Egitto, Dioniso inGrecia, Saturno nelle civiltà italiche,Bacco a Roma. In esso si vedeva unmezzo di sostentamento e di benes-sere, ma soprattutto un dono diDio, tema che ricorre in tutte le cul-ture e le civiltà mediterranee. Ricor-diamo, tra gli altri, Cicerone, il qua-le teneva il vino in buona conside-razione tanto che faceva derivare iltermine vinum dalla stessa radice divir (uomo) e di vis (forza), soste-

    nendo “vinum a vi deducitur” unqualcosa cioè che costituisce la for-za e migliora la mente. A sua volta,il naturalista del II secolo, Aulo Cor-nelio Celso, nel suo trattato “DeMedicina”, considerava utile il vinonella cura dell’emicrania, mentrePlinio il Vecchio lo definiva “salu-berrimum” in quanto da esso trae-vano giovamento le forze, il sanguee il colorito degli uomini. Galenoinfine, cita nelle sue ricette trecentovolte l’uso del vino per diverse indi-cazioni terapeutiche, tra cui il medi-camento delle ferite.

    Molti di questi aspetti sono statiripresi ancora oggi dagli studiosi, ecosì, mentre giustamente si ripetono

    le avvertenze di evitare gli abusi,nello stesso tempo il vino vieneconsigliato (a piccole dosi) comestimolante, rasserenante, digestivo,conciliante il riposo, e anche comepreventivo delle malattie cardiocir-colatorie.

    Nel complesso, possiamo quindirileggere e seguire con interessequanto ci suggeriva, un millennioaddietro, la Scuola Medica Salernita-na, che considerava il vino ancheutile e distintivo della specie uma-na: “Vinum bibant homines, anima-lia cetera fontes”, cioè “bevano il vi-no gli uomini e lascino l’acqua aglianimali”.See International Summary page 78

    APRILE

    12-13-14 aprile - NuoroCinquantennale della DelegazioneConvegno “Cibi e sapori della Sardegna antica”

    20 aprile - Versilia StoricaConvegno “Mangiavamo così nel Capitanato. Analisi della ristorazionedella Versilia Storica fra Ottocento e Novecento”a Pietrasanta (Lucca)

    27 aprile - Valdelsa FiorentinaDecennale della DelegazioneConvegno sull’alimentazione dei boscaioli/carbonari attivi fino alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso

    MAGGIO

    4 maggio Forum Accademico 2013Delegazione di Chieti

    5 maggio - Albenga e del Ponente LigureCinquantennale della Delegazione

    10-11 maggio - BolzanoCinquantennale della DelegazioneConvegno “Identità della cucina sudtirolese, storia e tradizioni”

    24-25-26 maggio XV Assemblea dei Delegati,Consulta Accademica e XXIII Convegno sulla Civiltà della Tavola “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene nel nuovo millennio”a Montecatini Terme

    GIUGNO

    19-23 giugno - SiracusaIncontro di cultura classica eConvegno “La cucina siracusana ai tempi di Archimede”

    22 giugno - ArezzoPremio “Cucina e Cultura”riservato ai piccoli cuochi

    28-29 giugno - IserniaV Edizione del Premio Nazionale “Allium cepa”IV Edizione premio Molisani all’esteroConvegno “Gastronomia tra dubbi e certezze”

    SETTEMBRE

    14-15 settembre - Ancona48° “Verdicchio d’Oro”Staffolo (Ancona)

    21-22 settembre - Borgo Val di TaroCinquantennale della Delegazione

    OTTOBRE

    5 ottobre - ViterboVenticinquennale della DelegazioneConvegno sulla nocciola

    11-12 ottobre - CosenzaConvegno “Il cedro di Calabria: tradizioni, sapori e salute””a Cetraro (Cosenza)

    17 ottobre - Cena ecumenica“La cucina delle carni da non dimenticare”

    17 ottobre - PisaVI Premio Delegazione di Pisain accordo con IPSSAR “G. Matteotti”

    18-19-20 ottobre - VeneziaConvegno “L’arte d’oggi e la cucina: declinazioni della cultura”

    NOVEMBRE

    30 novembre - Albenga e del Ponente LigureConvegno “Olio, un filo d’oro tra le Alpie il mare ad Albenga

    DICEMBRE

    7-8 dicembre - RomaSessantennale della Delegazione

    CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI ACCADEMICHE 2013

  • Goethe al Sud: la tavola, gli amori

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    C U L T U R A & R I C E R C A

    DI MARIA ATTILIAFABBRI DALL’OGLIOAccademica di Roma

    Centro Studi “F. Marenghi”

    “La gran festa del godere,a Napoli,

    si celebra tutti i giorni”.

    D alla lettura del “Viaggio in Ita-lia” di Goethe, si rimane sor-presi di non trovare, nelle pa-gine dedicate al soggiorno a Roma,nessun riferimento di particolare ri-lievo ai suoi rapporti con il popolodella città eterna, e questo puramando la gente romana e il suo lin-guaggio.

    Non abbiamo notizie dettagliatesulla cucina romana e le sue osterieanche se siamo informati che fre-quentava molto spesso la trat-toria “la Campana”, aMonte Savello, con gliamici e la cara Fau-stina. Frequentavail Caffè Greco congli artisti tede-schi, con misurale serate mon-dane presso inobili, giocavaa carte con iletterati. In real-tà, durante que-sto suo meravi-glioso viaggio, ciha nascosto molteverità sulle sue espe-rienze romane. È riusci-to a tenere segreta unadoppia vita che sembrava impe-netrabile, bruciandone le testimo-nianze più importanti. A Weimar,però, è stato scoperto un piccolo ar-chivio, tutto in italiano, sfuggito alrogo e questa fortuna ha consentitodi scoprire la “dolce vita” romanadel poeta. Si tratta di più di 200 foglidi appunti, conti, liste di spese, an-notazioni varie su personaggi, sugliamori nascosti. Goethe annota, initaliano, tutte le spese che effettua-va: da quelle per l’alimentazione,per i vestiti e i travestimenti, le lautemance che elargiva, quanto spende-

    va per le sue cene. Sappiamo perfi-no quanto dava alle lavandaie equanto alle prostitute.

    Queste notizie le ha raccolte in unlibro, scritto in tedesco, RobertoZapperi: “Das inkognito Goethe gan-zandere Existenz in Rom”, pubblica-to in Germania nel 1999. I fogli “se-greti” di Goethe ci forniscono un ri-tratto insolito del poeta e un’immagi-ne reale della Roma papalina del-l’epoca, con le sue abitudini, i suoi

    riti, le allegre feste popolari. Inquesto clima vive il Signor

    Filippo Müller alias Jo-hann Wolfang Goe-

    the. L’uso del falsonome si dimostraprovvidenziale,per l’autore del“Werther”, per-ché lo tiene al ri-paro dal control-lo delle autoritàpapaline.

    Era così liberoda poter irridere

    personaggi illustri -si permetteva di af-

    fermare che “il piùgrande attore di Roma è

    il papa” -, parlava semprein italiano, amava travestirsi, me-

    scolarsi indisturbato insieme al po-polo, partecipare a tutte le feste incompagnia della vivace gente roma-na, fare la corte a tutte le donneche gli piacevano, spendere con fa-cilità molto denaro, frequentarequasi tutte le sere le osterie, doveincontrava artisti e letterati dei varipaesi europei, gustare la saporitacucina romana della quale, in brevetempo, conobbe le pietanze più gu-stose e famose come la coda allavaccinara e un piatto profumato aichiodi di garofano, spezia che ama-

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    C U L T U R A & R I C E R C A

    va e gli stuzzicava l’appetito: si trat-tava del garofolato.

    Ebbe molti amici, ma in particolareè da ricordare, come compagno diallegrezze, il pittore Tischbein. Fre-quentava volentieri i caffè e le pa-sticcerie romane dove gustava i dolcicaratteristici con golosità e dove sifaceva preparare la sua amata cioc-colata calda o gelata, di cui eraghiotto; nella sua borsa da viaggione conservava sempre alcune tavo-lette da poter utilizzare quando lodesiderava. Abitando in un apparta-mento a via dei Condotti, frequenta-va spesso le trattorie di quella stradae, in modo particolare, “il Lepre”, lapiù spaziosa, che offriva una rasse-gna notevole di piatti, fra i quali imaccaroni al sugo, i suoi preferiti, leminestre, il farricello, le “cocuzzoleripiene”, cioè le zucchine, le cipollefritte, il cinghiale, la lepre, il porco-spino e altra cacciagione.

    Nel 1786 Goethe arrivò in diligen-za a Ponte Milvio. Quando i ponte-mollesi lo videro comparire, alto,bello, elegante, subito lo accolserocon cordialità e deferenza, chiaman-dolo “l’Apollo del Nord”. Goethe re-stò colpito dagli usi di questa contra-da romana, così particolare e ricca diantiche tradizioni. Frequentò le sueosterie gustando con piacere le pie-tanze che gli offrivano, come le co-stolette d’abbacchio a scottadito, lefocacce biscottate, le impareggiabiliminestre di verdura, la coratellad’abbacchio.

    Fu attirato dalla simpatia della gen-te e si lasciò affascinare dagli occhidella bella Maddalena, con la qualevisse un’appassionata storia d’amore.Dell’intensa vita romana di Goetheparla anche una serie di documentiche raccontano i suoi amori segretiper alcune belle donne romane. Unaera la ventunenne figlia di un ostetedesco, Costanza Roesler. L’avevaconosciuta vicino a casa sua, nel-l’osteria paterna di via dei Condotti,nel gennaio del 1787. La ragazza eramolto bella, ma analfabeta, una par-ticolarità che non gli impedì di amar-la. Fu un amore che non andò a

    buon fine, perché Costanza avevacome unico desiderio quello di spo-sarsi, per cui Goethe si trovò costret-to a ritirarsi. Fu molto dispiaciuto diaver dovuto rinunciare alla bella fan-ciulla. Prima di partire per Napoli,donò a Costanza un anello come re-galo d’addio.

    Ma l’amore che suscitò nel poetatedesco Faustina, fu travolgente. Dilei si innamorò intensamente. È ri-masta una lettera, senza intestazionee senza firma, ma è una letterad’amore struggente. La fanciulla loamava appassionatamente come luiaveva sempre sognato. La conobbealla fine del 1787. Era una popolanadi umili origini, che sapeva appenascrivere e faceva tanti errori di orto-grafia, ma il suo amore era sincero,amava il “Signor Filippo” e di luinon sapeva null’altro. Il poeta ricam-biò questo amore che segnò profon-damente la sua vita. Pianse per lei alungo quando seppe di dover torna-re in Germania. Di certo avrà com-posto i bellissimi versi delle “Elegieromane”, avendo nel cuore la bellaFaustina.

    La serenità e l’allegria che traspaio-no dalle carte ritrovate a Weimar dal-lo Zoppieri fanno piacere e ci dilet-tano, ma quello che meraviglia è co-me nel “Viaggio in Italia”, pur aman-do Roma con reverenza e struggi-mento per la sua storia, le sue formed’arte, la sua cultura, per essere unacittà cosmopolita, Goethe non abbiaevidenziato con maggiore forza alcu-ni aspetti legati al quotidiano e alsuo vissuto come, invece, era acca-duto quando aveva affrontato Napolie la sua gente.

    In questa città, come ci illustra congrande dovizia di particolari il “Viag-gio in Italia”, si abbandona alla de-scrizione della vita, della bellezzadelle donne, attraenti e sensuali, del-la vivacità del popolo napoletano,della fertilità della terra, così simile aun Eden meraviglioso. La sirena Par-tenope, dal mare di quel golfo in-cantevole circondato da vulcani edolci colline, lo aveva colpito al cuo-re: “È qui che si può comprendere

    come l’uomo abbia potuto concepirel’idea di coltivare la terra, qui ove icampi producono tutto, ove si pos-sono ottenere da tre a cinque raccol-ti all’anno... è in questo paese sol-tanto che arrivo a comprendere e aspiegare taluni fenomeni della natu-ra... a Roma si studia volentieri, maqui si ha voglia di vivere...” perchéla gente è occupata a “godere di tuttii piaceri della vita”.

    Il massimo divertimento per Goe-the era quando, camminando per lacittà, poteva assistere a scene inimi-tabili di gente che cantava, ballava,assisteva al teatro di Pulcinella, dovetutte le mercanzie erano esposte sul-le bancarelle, in un tripudio di ver-dure e frutti d’ogni tipo.

    Per San Giuseppe, i protagonistidei vicoli erano i friggitori di ciam-belle. Come in un balletto, davanti agrandi padelle “uno faceva la pasta,l’altro le dava la forma e un terzo lagettava nell’olio bollente” e, con ge-stualità e simpatia inimitabili, offrivaai clienti le ciambelle profumate“sulla punta della forchetta”.

    Ma lo spettacolo che lo aveva sor-preso e colpito in particolare, erastato l’assistere, in una modesta casadove era stato ospitato con semplici-tà, alla lavorazione delle paste, lavo-rate nella “camera dei vermicelli” epoi esposte fuori, sulle strade, adasciugare, e di vedere con quantamaestria le abili mani delle fanciulletrasformavano i vermicelli in manu-fatti a forma di lumaca. Tutti mangia-vano la pasta a Napoli, anche i mo-nelli sulle strade, condita con il soloformaggio.

    I momenti e gli episodi legati al ci-bo vissuti a Napoli dal poeta sonotanto numerosi che non è possibilequi ricordarli tutti, ma non si posso-no dimenticare i venditori ambulantiche, pur nella loro povertà, con i lo-ro panieri pieni di frutta, acqua, ocon pasta, biscotti, limoni, dolciumiriuscivano a trasmettere allegria: “sidirebbe che ciascuno voglia prenderparte... alla gran festa del godere chea Napoli si celebra tutti i giorni”.See International Summary page 78

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    Agli e cipolleDI NICOLA BARBERA

    Accademico di Milano Duomo

    Insieme allo scalogno, al porro, all’erba cipollina e al cipollotto, costituisconoingredienti indispensabiliper molte preparazioni.

    A ppartengono alla famigliadelle Liliacee, come i gigli,ma questi bulbi sotterranei,con radici sottili “fascicolate” (cioèmolto ramificate), da cui emergonoguaine cilindriche cave di colore ver-de-smeraldo, non sono altrettantodecorativi. L’aglio e la cipolla sono,però, tra gli ortaggi più adoperati incucina, sia per dare “profumo” siacome ingredienti di piatti-base. Ve-diamo un po’ più in dettaglio questiortaggi-simbolo della cucina italianae mediterranea che, con il loro spic-cato e tipico sapore, danno carattereanche ai piatti più semplici.

    Ricordiamo, per inciso, che i duepiù grandi produttori mondiali di aglie cipolle sono Cina e India.

    L’aglio è formato da una mezzadozzina di spicchi, raggruppati e pro-tetti da alcune “tuniche” cellulosichetrasparenti, che costituiscono il bulboo “testa d’aglio”.

    I tipi di aglio sono tre: bianco, rosa-to e rosso-vinoso, anche se gli spicchiinterni, quelli che si adoperano in cu-cina, sono sempre di colore bianca-stro per tutti i tipi; il colore, per gli al-tri due tipi, è dato dalle sfoglie pro-tettive, specie l’ultima, quella più vici-na a ciascuno spicchio. Quello bian-co è il più comune, dalla “pellicola”bianco-argentea e dal sapore moltointenso e persistente; quello rosato hasapore meno intenso del bianco e

    quello rosso-vinoso ha sapore ancorpiù delicato.

    L’aglio, originario delle steppedell’Asia centrale, fu apprezzato, findall’antichità, in Cina, Persia, Egitto eanche dai Romani (Aristofane soste-neva che l’aglio, dato ai legionari,conferiva loro maggiore ardore nelcombattere e assicurava un effettoprotettivo nei confronti delle epide-mie).

    Di fatto, recenti studi, hanno prova-to che l’allicina è un antibiotico natu-rale, con un ruolo protettivo nei con-fronti di alcuni tumori (colon-retto,prostata, seno). Un consumo modera-to e costante di aglio riduce la pres-sione sanguigna e combatte le infe-zioni intestinali; le sostanze solforatecontenute sono un antinfluenzale e,per questa proprietà, in Cina l’aglioviene somministrato agli studenti del-le scuole primarie.

    Gli agli italiani più rinomati sonoquelli rossi di Sulmona e di Trapani,il rosato di Caraglio (Cuneo) e il bian-co piacentino. In cucina, è bene sa-pere che l’aglio diventa meno aggres-sivo con la cottura, soprattutto la-sciandogli la buccia, e che l’aglio fre-sco ha molte sfumature di sapore ri-spetto a quello essiccato che ne hauna sola.

    Le preparazioni in cui l’aglio è inso-stituibile sono, ad esempio, per gli“spaghetti aglio, olio e peperoncino”;

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    sulle “bruschette”; nel “pesto alla ge-novese”; nel “pesto alla trapanese”(versione “rossa” di quello ligure);nell’“abbacchio alla romana”; nei“carciofi alla giudìa”. Una cucina sen-za aglio credo sia solo una nuovamoda, anche un po’ mortificante.

    La cipolla, coltivata in Asia già 5000anni fa, è stata sempre un ingredientebase di moltissime ricette salate dellacucina europea e assunse particolareimportanza a partire dal XVIII secolo,quando iniziò il declino delle spezie.

    Gli Egizi consideravano sacra la ci-polla, per i suoi cerchi concentrici cherappresentavano la vita eterna, senzafine. La cipolla fu introdotta in Ameri-ca da Cristoforo Colombo, che l’avevainserita tra le scorte alimentari.

    La pianta di cipolla ha piccole radi-ci filiformi, lunghe “foglie” cilindrichesovrapposte, che s’ingrossano pro-gressivamente alla base, partendo dauna gemma centrale, fino a formareun bulbo carnoso e succoso. Fogliepiù sottili, di colore diverso a secon-da dei tipi (bianca, rossa, dorata) e diconsistenza cartacea, detta tunica, av-volgono esternamente l’ortaggio perproteggerlo.

    I maggiori produttori sono: Cina,India e Stati Uniti; in Italia se ne pro-ducono circa 400.000 tonnellate/an-no, soprattutto in Emilia-Romagna,Piemonte e Veneto.

    La cipolla rossa, con tunica esternadi colore rosso-violaceo, polpa inter-na bianca striata, è il tipo più dolce edigeribile, ideale da mangiare crudain insalata (anche perché, con la cot-tura, si riducono gli effetti beneficidegli antiossidanti), ma anche ripienae per preparare il classico soffritto. Labianca (dolce di Cannara - Perugia),piatta o rotonda, ha un retrogustogradevolmente pungente ed è buonagrigliata, per brodi vegetali, per fritta-te e per gli “anelli fritti” (gli onionrings degli anglosassoni). La dorata(gialla napoletana) ha un gusto piùforte e piccante dei tipi precedenti edè indicata, in particolare, per la “zup-pa di cipolle” sia nella versione italia-na, sia in quella francese gratinata alforno.

    Durante il taglio, le sostanze solfo-rose volatili, contenute nella cipolla,irritano gli occhi facendoli lacrimare;per ridurre questo inconveniente oc-corre tenere sempre bagnata la lamadel coltello.

    Le cipolle più note in Italia sono lerosse: oltre a quella Igp di Tropea(Catanzaro), anche quelle di Certaldo(Firenze), di Isernia (Campobasso), diAcquaviva delle Fonti (Bari) e, per unpizzico di campanilismo, ma giustifi-cato perché molto buona, almenoquanto quella di Tropea, la ”cipollarossa e dolce” di Breme (Pavia), unpiccolo borgo tra le risaie della Lo-mellina: in due varietà, con bulbo ro-tondo di colore rosso-viola, una pri-maverile e una estiva.

    Lo scalogno prende il nome dallacittà palestinese di Ascalona; ha ladimensione di una testa d’aglio, conall’interno due o tre spicchi, e bucciaesterna di colore ramato. Lo scalognoha un gusto più aromatico della ci-polla e costituisce una raffinata alter-nativa anche all’aglio. Il più apprez-zato è quello di Romagna Dop.

    Il porro, apprezzato da Nerone, eb-be larga diffusione nei territori del-

    l’Impero romano, in particolare nelGalles. Del porro esistono numerosevarietà, con bulbo cilindrico volumi-noso, alto da 40 a 80 centimetri, rico-perto da una guaina biancastra. È re-peribile tutto l’anno: le varietà estivesono più tenere e delicate, quelle in-vernali più sode e saporite. Tanti so-no gli utilizzi in cucina: crudo e cottoa vapore, nei risotti; per vellutate; ti-pica è la porrata toscana: una torta diverdure, nota fin dal Medioevo.

    Dell’erba cipollina si adoperano an-che i bulbi (come agli), ma molto piùutilizzate sono le foglie sottili e lun-ghe 25-50 centimetri, per il loro sapo-re fresco e leggermente pungente, ta-gliate a pezzetti o, sfruttando la lun-ghezza e la flessibilità, per chiudereelegantemente dei fagottini.

    Il cipollotto è una cipolla non an-cora completamente matura; ha unsapore intermedio tra quello della ci-polla e quello dell’erba cipollina. Levarietà più diffuse sono quella biancaalla base e verde-striata verso l’altodello stelo, e quella rossa, simile aduna piccola cipolla, di gusto più dol-ce della bianca. See International Summary page 78

    CENA ECUMENICA 2013Quest’anno, la riunione conviviale ecume-nica, che vede alla stessa mensa virtualetutti gli Accademici in Italia e nel mondo,si svolgerà il 17 ottobre alle 20,30, e avràcome tema “La cucina delle carni da nondimenticare”. Un tema, quello scelto dalCentro Studi “Franco Marenghi” e appro-vato dal Consiglio di Presidenza, che com-prende la cucina del quinto quarto, maanche di altre carni o prodotti di origineanimale, presenti nella cucina del popolo

    e oggi sempre meno usati, anche perché espressione di un’ormai supe-rata cucina della fame. L’obiettivo sarà dunque quello di recuperare letradizioni della cucina di frattaglie, visceri, rigaglie, trippe e non solo,che oggi possono ancora avere un ruolo in una moderna cucina ita-liana sobria. I Delegati cureranno che la cena ecumenica sia accom-pagnata da una idonea relazione di carattere culturale che illustril’importante tema proposto e che, sulle mense, il menu sia composto inomaggio agli alimenti scelti.

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    C U L T U R A & R I C E R C A

    Il versatile radicchioDI FILOMENA FURNO

    Accademica della Penisola Sorrentina

    “Come il riso, nasce dall’acqua

    ma muore nel vino”.

    I l radicchio, un tempo cibo delleclassi più povere, è oggi alimentocelebrato dai grandi chef comeprotagonista di piatti particolarmen-te raffinati. L’ottenimento del mar-chio Igp e, soprattutto, la riscopertadella bontà e degli svariati utilizzi diquesto ortaggio hanno fatto salire inmodo sensibile la produzione e lavendita di alcune sue varietà.

    Il radicchio (Cichorium intybus)appartiene alla famiglia delle Com-posite (gruppo delle cicorie) ed èreperibile in una gamma cromaticache varia dalle numerose gradazionidel rosso ai diversi toni del verde;ha tantissime forme: dalla più ton-deggiante alla conica o a quella confoglie frastagliate ai bordi. Ortaggiotipicamente invernale (diffuso da ot-tobre a marzo), è disponibile sulmercato anche nella tipologia estiva.

    Il radicchio di Treviso (o trevigia-no), Igp dal 1996, è una delle varie-tà più conosciute; è coltivato nelleprovince di Treviso, Padova e Vene-zia. Per il suo colore rosso scuroviene associato all’aspetto dei vini ti-pici del suo territorio, cui si accom-

    pagna splendidamente. Ne esistonodue varianti: il precoce, dal cespoallungato e dalle foglie serrate (chesi raccoglie da inizio settembre, ca-ratterizzato da un sapore tendenzial-mente dolce) e quello tardivo, cheha foglie strette dal colore rossastro,con nervatura centrale di un biancobrillante che occupa la maggior par-te della foglia (che si raccoglie danovembre in poi e possiede quel re-trogusto amarognolo particolare).

    Il radicchio di Castelfranco VenetoIgp ha invece forma più tondeggian-te, foglie ondulate, tinte di un belgiallo crema e variegate di viola-ros-sastro. Altrettanto pregiato e delicatoal palato, la sua origine si deve a unincrocio di successo tra il trevigianoe la scarola.

    Anche il radicchio rosso di Veronaha foglie di colore rosso scuro acce-so, che si presentano compatte, connervatura bianca centrale. Il radic-chio rosso di Chioggia, decisamenteil più coltivato, ha forma tondeg-giante, leggermente schiacciata al-l’apice; le foglie rosse sono più lar-ghe rispetto a quello di Verona, tan-

  • CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 13

    C U L T U R A & R I C E R C A

    to che circondano l’intero cespo. Ilradicchio di Lusia, infine, è tondeg-giante; ha colore giallo vivace conuna base centrale bianca.

    Il radicchio è una delle verdurepiù versatili: adatto a qualsiasi por-tata, dall’antipasto ai secondi, dalletorte salate alle pizze, fino alla con-fettura e alla tisana. Cotto, fritto ocucinato ai ferri, rivela appieno sa-pore e profumi; ancor più se consu-mato crudo, condito con sale e oliod’oliva extravergine oppure con so-lo qualche goccia di aceto balsami-co. Le ricette della tradizione lo vo-gliono conservato anche in salamo-ia, sotto grappa, sott’olio o in mar-mellata.

    Le preparazioni odierne, le cotturee gli abbinamenti più gustosi sono ilfrutto di varie memorie gastronomi-che locali: basti pensare al risottocon il radicchio trevigiano, alla pastacon radicchio e gorgonzola oppurealle tagliatelle con radicchio rosso diChioggia e noci di Sorrento. Sarebbeinfine un’imperdonabile mancanzanon abbinarlo al vino, soprattutto aquello tipico del territorio d’origine,anche perché, come vuole un pro-verbio veneto “il radicchio, come ilriso, nasce dall’acqua ma muore nelvino”.

    Abbiamo parlato della riscopertadel sapore del radicchio ma, percompletezza, dobbiamo elencarneanche le numerose proprietà benefi-che per la salute del nostro organi-smo: citiamo innanzitutto quelle de-purative, diuretiche, toniche e lassa-tive. Grazie all’elevato contenuto diacqua (93%), la presenza di fibre eprincipi amari, il radicchio favoriscela digestione e il buon funziona-mento dell’intestino; per merito delsuo basso apporto calorico, risultaun alimento molto indicato ancheper i regimi alimentari controllati.Inoltre, il calcio e il ferro, presentiin quest’ortaggio, sono in grado dicoadiuvare il ricambio metabolicodelle ossa rendendole più forti; gliantociani (presenti in particolar mo-do nel radicchio rosso) favorisconola prevenzione delle malattie cardio-

    vascolari; il triptofano, infine, appor-ta benefici al sistema nervoso con-trastando i disturbi legati all’inson-nia. Nel radicchio sono presenti an-che il fosforo, il potassio (in grandequantità), il magnesio, lo zinco, ilrame e il manganese nonché la qua-si totalità delle vitamine del gruppoB, le vitamine C, E, K, J e P. Recentistudi hanno dimostrato che il radic-chio rosso contiene molte più so-stanze antiossidanti rispetto ad altrivantati alimenti quali, ad esempio, imirtilli e l’uva passa. Le citate so-stanze antiossidanti danno al radic-

    chio rosso la qualifica di “rallentato-re dell’invecchiamento cellulare”.Anche la pelle trae numerosi benefi-ci dagli antiossidanti: si mantienegiovane più a lungo. Gli antiossi-danti, infine, allontanano lo spettrodi artrite e reumatismi.

    Ricordiamo infine che, per giovar-si delle grandi peculiarità medica-mentose di questo ortaggio, è ne-cessario consumarlo fresco.

    Cosa vi è di meglio, allora, di unarosa di radicchio rosso fresco sullanostra tavola?See International Summary page 78

    CROSTINI AL RADICCHIO CON CREMA DI RICOTTA

    Ingredienti: ½ filoncino di pane, ½ radicchio di Chioggia, 150 g diricotta, 2 scalogni, 1 cucchiaio di aceto balsamico, 2 cucchiai di oliod’oliva extravergine, 1 cucchiaio di zenzero, erba cipollina, sale.

    Preparazione: Affettare il pane e tostarlo in forno per pochi minuti.Tritare gli scalogni e lasciarli appassire con l’olio d’oliva. Unire il ra-dicchio rosso lavato, strizzato e tagliato finemente; aggiungere l’acetobalsamico, un pizzico di sale e far cuocere a fuoco lento per 5 minuti.Con i rebbi della forchetta, lavorare la ricotta a crema, aggiungerel’erba cipollina tritata (conservandone qualche foglia per decorare) eun cucchiaino di zenzero grattugiato. Comporre i crostini spalmandola crema di ricotta e completando con una quenelle di radicchio ros-so. Decorare con un filo di erba cipollina. Per dare più sapore ai cro-stini, si può sostituire la ricotta con del caprino o altro formaggiospalmabile.

    PASTICCIO AL RADICCHIO

    Ingredienti (per 6 persone): 400 g di lasagne fatte in casa, ½ litrodi besciamella, 1 kg di radicchio tardivo (viene bene anche con il ra-dicchio precoce), 1 cipolla di media grandezza, 2 grosse fette di so-pressa o 2 salsicce “da rosto”, 30 g di burro, formaggio grana grattu-giato, sale.

    Preparazione: Far soffriggere la cipolla e la sopressa tritate con lametà del burro, aggiungere il radicchio mondato, lavato, asciugato etritato e cuocere a fuoco moderato per circa ½ ora con un poco dibrodo vegetale per insaporire. Cuocere al dente la pasta, toglierladall’acqua con un mestolo forato e farla asciugare su di un telobianco bagnato. In una pirofila stendere poi uno strato di pasta al-ternato ad uno di radicchio e ad uno di besciamella molto morbidae terminare con uno strato di pasta. Cospargervi sopra il formaggio,aggiungere qualche fiocchetto di burro e porre per 20 minuti in for-no caldo a 200°.

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    C U L T U R A & R I C E R C A

    I crauti: gusto e tradizioneDI GIULIANO RELJADelegato di Trieste

    I capuzi garbi costituiscono il principaleingrediente della jota,la più tipica minestra

    della tradizione triestina.

    C auli cappucci, cappucci garbi,crauti o sauerkraut? Appella-tivi che cambiano a secondadei tempi e dei territori ma loro, icrauti, rimangono sempre, in ogniluogo, degli ottimi ortaggi che benaccompagnano alcuni piatti dellatradizione e ne esaltano il sapore. Icrauti sono i cavoli cappuccio sotto-posti ad un metodo naturale di aci-dificazione, sauerkraut nei paesi dilingua tedesca, dove il consumo èda sempre molto radicato. In Italiasono più diffusi nelle regioni confi-nanti con quelle terre, soprattuttoTrentino-Alto Adige e Friuli-VeneziaGiulia.

    Privati del torsolo e delle foglieesterne più dure, vanno tagliati a li-starelle sottili e deposti a strati, al-ternati a sale grosso, in appositicontenitori, con l’eventuale aggiun-ta di aromi, quali semi di cumino,bacche di ginepro, pepe in grani efoglie di alloro. Ben pressati, postisotto peso e rinchiusi, vanno incon-tro a macerazione e ad un processodi fermentazione lattica, con pro-gressiva acidificazione dell’ambien-te, che permette una lunga conser-vazione del prodotto e gli conferi-sce il particolare sapore aspro e de-ciso. Come riportato da alcuni auto-ri, sembra che questo tipo di cibofosse conosciuto già dagli antichiRomani, che usavano portarlo, con-servato in anfore, nelle loro campa-gne militari.

    Lo scrittore e gastronomo triestinoCesare Fonda ritiene che i “chauoligretti”, citati da Cristoforo da Messi-sbugo in “Banchetti Composizionidi Vivande e Apparecchio Genera-le”, stampato nel 1549, possano es-sere proprio gli odierni cavoli cap-puccio acidi. La prima ricetta com-pleta, riportata in un testo italiano,

    è probabilmente quella scritta daBartolomeo Scappi nel suo “Opera”del 1570, sotto la voce “Per far mi-nestra di cauli cappucci stati in sa-le”. Si legge: “…cauli cappucci sala-ti con salimora in uasi di terra o dilegno… si lavano in più acque…etsi fanno perlessare con acqua sem-plice…et faccianosi cuocere in bro-do di carne di uaccina grassa, spi-goli di aglio ammaccati… Si posso-no ancho soffriggere con lo struttoliquefatto… et si serueno con pepe,et fior di finocchio sopra”.

    Pellegrino Artusi nel suo “LaScienza in cucina e l’Arte di man-giar bene”, siamo nel 1891, riportadue ricette di “sauer-kraut”. I cavolinon sono però sottoposti a fermen-tazione ma trattati soltanto con“aceto forte”, e l’autore, corretta-mente, premette: “non è questo ilvero sauer-kraut, il quale bisognalasciar fare ai tedeschi: è una palli-da imitazione di quello, che perònon riesce sgradevole come contor-no ai coteghini, agli zamponi ed an-che al lesso comune”.

    Katharina Prato, austriaca, nata aGraz, alla fine dell’Ottocento pub-blica “Die Suddeutsche Kuche”, ve-ro compendio della cucina mitteleu-ropea di quei tempi, tradotto in ita-liano, a cura della triestina OttiliaVisconti Apartnik, nel 1891. Nel ca-pitolo “Ortaggi e Legumi” si ritrova-no svariate preparazioni di cavolocappuccio: oltre ai tradizionali sa-uerkraut (che nelle prime edizioniitaliane vengono chiamati “salcrau-te” e in quelle più recenti “cappuccigarbi”), cotti a lungo nel grasso fu-mante, con aggiunta di brodo e allafine di un po’ di farina, ci sono i ca-voli cappucci “in garbura”, lasciatiriposare per un’ora sotto sale, acetoe cumino prima di essere cotti;

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    quelli “dorati”, cucinati in burro,zucchero, brodo e farina, e quelli“all’uso ungherese”, nella cui ricettasi impiegano lardo, finocchio, pa-prica e, poco prima di imbandire,del fior di latte acidulo.

    A Trieste, i crauti, che vengonochiamati sempre e soltanto “capuzigarbi” (cappucci acidi), cotti a lun-go in un soffritto di olio (o lardoalla vecchia maniera), con aglio, sa-le, pepe e piccole aggiunte pro-gressive di acqua bollente o di bro-do non salato, f in tanto che siasciugano e assumono una tonalitàdorata, sono molto apprezzati e dilargo consumo.

    Accompagnano infatti, come con-torno, le carni bollite di maiale, lesalsicce e i cotechini che vengonoquotidianamente proposti nelle fu-manti caldaie dei “buffet”. Sonoquesti i più caratteristici luoghi diristoro della città, aperti a tutte leore del giorno per uno spuntino oun pasto completo.

    I capuzi garbi costituiscono inol-tre, accanto ai fagioli, il principaleingrediente della jota, la più tipicaminestra della tradizione gastrono-mica triestina.

    Fino ad una ventina di anni fa, sipotevano trovare in alcune rivendi-te, preparati artigianalmente, incontenitori di legno, venduti sfusi apeso. Attualmente, a meno che nonsi voglia prepararli con pazienza incasa, bisogna accontentarsi di quelliprodotti dall’industria alimentare,per altro di discreta qualità e conofferte variate: da quelli freschi e alnaturale, a quelli cotti o cotti e con-diti, a quelli al vino bianco o al Pro-secco.

    Ma il fascino delle piccole botte-ghe alimentari, con gli odorosi bari-lotti di legno pieni di capuzi garbi,era un’altra cosa. Cucinati con qual-che costina di maiale affumicata oun paio di salsicce, secondo la tra-dizione triestina, costituivano, so-prattutto nelle fredde serate d’inver-no sferzate dalla bora, un piatto ric-co, gustoso e confortevole.See International Summary page 78

    LE RICETTE D’AUTORE

    PER CUOCERE I FEGATI DI OGNI SORTA DI VOLATILE

    Tra gli altri fegati quello del cappone, et della gallina nostrale è il piùperfetto et poi quello dell’oca et del papero et tutti per esser buoni vo-gliono esser cavati et cocinati subito dopo morto il volatile. Delli piùgrossi si potranno far fegatelli in rete di capretto, o di castrato o diporco et cuocersi nello spedo tramezzati con alcune bettoline di lardoet foglie di lauro o di salvia. Si possono anche friggere nello struttodapoi che saranno infarinati, et senza essere infarinati con bettolinedi prosciutto.

    BARTOLOMEO SCAPPIda “Opera” (1570)

    TOMASELLE D’ANIMALE

    Piglierai Fegato d’Animale, una Libra, e lo farai cuocere in acqua, ecotto lo porrai in acqua fresca, doppo lo raderai con Rasora, aggiun-gendovi Uva passa due Oncie, due Oncie pur di Zucaro, sei Oncie diMidola di Manzo cruda, sei Oncie di songia fresca del detto Animaletagliato in dadi. Oncie quattro di buon Formaggio di Lodi grattato,un quarto di Cannella, un pocco di Zenzero, Noce moschata, poccoGarofano, e Zafferano, quattro torli d’Ova crudi e pocco sale, e cosìimpasterai ogni cosa assieme e farai le Tomaselle alla grossezzad’una Noce.

    ANTONIO MARIA DALLIda “Piciol lume di cucina” (1701)

    FEGATO DI PORCO ALLO SPIEDO

    Prendete il Fegato di Porco, levategli la pelle e poi tagliatelo in fette;involgetele ad una ad una separatamente nel resedello di Porco conentro pignoli, uva passa e salvia minutamente tagliata; poscia mette-telo allo spiedo con una foglia di salvia fra mezzo a cadauna fetta,come se fossero uccelletti; indi legateci due bacchettine sottili e lunghequanto portano le suddette fette, cioè una per parte dello spiedo affin-ché nel cuocerle non vadino in giro per lo spiedo e per impedire chenon esca fuori dal resedello l’uva passa ed il restante della roba che ciavrete posto entro, poscia salatele e fatele cuocere come se fossero uc-celletti spergocciolando con butirro fresco; dopo cotte servitele calde inTavola.

    DON FELICE LIBERAda “L’arte della cucina” (1786 circa)

    FEGATO IN MANICARETTO

    Preparate fegato grasso e fatelo rigettare il grasso nell’acqua bollendolentamente, poi fatelo cuocere dolcemente nell’essenza di prosciuttoben finita, e quando dovrete servire mettetelo nel piatto con essenzachiara sopra, e servire. Questo manicaretto si può guernire con picco-le uova, creste, tartufi e funghi se vi aggrada.

    da “La cuciniera piemontese” (1798)

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    Il raffinato palato di D’AnnunzioDI LUISA BENEDETTIAccademica di Biella

    Ricorre il centocinquantesimoanniversario della nascitadel poeta che amava dire:

    “La finezza dei cibi aiuta l’armonia mentale”.

    Q uesto era il pensiero di Ga-briele D’Annunzio quando sitrovava davanti ad una riccatavola imbandita, con pietanze diqualità che lo invitavano ad annota-re alcuni pensieri su piccoli fogli dicarta, apprezzando così “l’arte dellacucina”, come amava chiamarla.

    Il centocinquantesimo anniversariodalla nascita del grande poeta, checade quest’anno, è l’occasione permostre, conferenze, libri e filmati daproporre sia nella sua città natale,Pescara, sia nei luoghi a lui cari. ABiella, nel Fondo Fondazione Fami-glia Caraccio a Città Studi, è conser-vata un’importante collezione del-l’opera omnia dello scrittore, e la cit-tà lo ricorderà attraverso una serie dimanifestazioni. D’Annunzio, perso-naggio spesso e volutamente un po’ignorato, considerato fuori moda, dipersonalità complessa, vissuto in unperiodo politicamente difficile, è sta-to recentemente riscoperto in tutti isuoi vari aspetti: da quello di poeta

    e narratore, a quello di uomo di in-dubbio valore, di invincibile sedutto-re e di estimatore nei riguardi di tuttii piaceri della vita, compresa la cuci-na genuina della sua terra natìa,quell’Abruzzo tanto amato ed esalta-to nella sua poesia (“Ah, perché nonson io co’ i miei pastori?”).

    Scritti e testimonianze dell’epocamostrano due aspetti del poeta pe-scarese a tavola, quello di inesauri-bile ghiotto e quello di grande di-giunatore. Ebbene, D’Annunzio siriconosceva in ambedue gli aspetti:apprezzava e ricordava, con strug-gente nostalgia, la cara cucina re-gionale della sua mamma, donnaLuisa de Benedictis, ma aveva im-parato anche ad effettuare regolar-mente, ogni mese, un digiuno di 48ore (e spesso anche di più), tantoda meravigliare i suoi medici, chelo seguivano per disturbi allo sto-maco, per l’inaspetattata resistenzae metodicità. “Noi in Abruzzo ci cu-riamo così - ripeteva loro con con-

    L’amore per la buona tavola di D’Annunzio e Carducci

    in un disegno di Nasica (1901).

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    vinzione - e si campa cento anni”.Gli anni trascorsi al Vittoriale diGardone Riviera, nell’assoluta bel-lezza di un luogo da lui trasformatoin una reggia-rifugio, circondato dauna quantità incredibile di ricordi epreziosi pezzi d’antiquariato raccoltiin giro per il mondo, vengono“scaldati” dai cibi che gli amici gliinviano dal suo Abruzzo: salaminipiccanti, il famoso formaggio peco-rino dalla crosta nera “quello chepuò rotolare su la strada maestra aguisa di ruzzola in gioco”, il celebreParrozzo, dolce da lui battezzato epubblicizzato assieme all’amico pa-sticciere Luigi D’Amico (“chiù docede qualunque cosa doce”) e unaporchetta che doveva essere davve-ro eccezionale, se anche il Papa, daRoma (dove pure quella laziale nonera certo da sottovalutare) la richie-deva periodicamente. Tutti cibi chelo ispirarono per alcuni sonetti dia-lettali densi di nostalgia: “Non saccepecché mentre che magne, me pia-gne lu còre”.

    La sua cuoca personale, Albina Be-cevello, chiamata affettuosamenteanche “suor Intingola” o “santa Cuci-niera”, cercava di accontentarlo neisuoi ricordi gastronomici. Lui, allora,le inviava biglietti di ringraziamentocon scritto “Avrai una cucina di mar-mo e un trono di fuoco”. Con parti-colare dedizione, la cuoca gli prepa-rava i piatti a lui più graditi, soprat-

    tutto frittate, in tutti i modi. Le uova,d’altronde, erano un alimento gradi-tissimo al Vate, che ne mangiava 3-4alla volta, specie alla fine dei suoifamosi digiuni. In Abruzzo, la tradi-zione delle frittate è viva ancora ogginelle famose crespelle in brodo (le“scrippelle ‘mbusse” o alla teramana)e nel delizioso pasticcio a strati conil ragù.

    Della cucina materna, D’Annunzioricorderà sempre il pesce in umidoe il capitone, la crema casalinga e ilcroccante di mandorle. Ma anche lacelebre pasta alla chitarra, dove lasfoglia viene pressata sopra un’arpacon il matterello, avanti e indietro,e condita con ragù misto o polpetti-ne; gli arrosticini di castrato o dipecora, cotti su un braciere, el’agnello al forno. Certo è che ognipasto doveva terminare con frutta odolce, di cui era ghiottissimo: mace-donie di tutti i tipi, frutta cotta, mar-rons glacés, praline, gelati (ne eraletteralmente pazzo, tanto da consu-marne fino a dieci porzioni di se-guito), e le pizzelle abruzzesi, sortadi cialde morbide, realizzate con unferro rovente. Verso la mezzanotte,il poeta amava ritirarsi nel suo stu-dio a leggere o a scrivere, e si face-va portare mele cotte, biscotti ingle-si e latte.

    Sulla scrivania non mancava maianche un calice colmo di cioccolati-ni, che amava offrire alle sue gentili

    ospiti. Alle cene al Vittoriale, D’An-nunzio offriva “inezie squisitissime”e davvero raffinate: asparagi, scam-pi di Grado, cacciagione, ogni sortadi agrumi, melone, frutti di bosco, edolciumi.

    Tiepido era, seppur strano, il suogradimento per il vino, del cui con-sumo si hanno pochissimi accenni.Solo nel periodo in cui visse in Fran-cia, per circa due anni, non disde-gnò di assaggiare Bordeaux e Cham-pagne, e si convinse a portare in Ita-lia alcune etichette. Molte testimo-nianze dell’epoca lo danno comun-que astemio, e fiero difensore del-l’acqua, di cui proclamava le tanteproprietà: sulle pareti della stanza dabagno, al Vittoriale, campeggia unverso di Pindaro: “Ottima è l’acqua”.Apprezzava berne in ogni luogo e inogni momento, e coglierne le diffe-renze di sapore.

    Come si può ben immaginare,D’Annunzio teneva particolarmentealla sua tavola imbandita, che dove-va rispecchiare in pieno la sua spic-cata personalità e il suo gusto a vol-te un po’ eccessivo: tovaglie raffina-tissime e preziose, con particolarepreferenza per i toni del rosso edell’oro, bicchieri di vetro soffiato,laccato e decorato, sottopiatti in ar-gento sbalzato, porcellane rare(“adeguate ai cibi”) e, come centro-tavola, sontuose sculture raffigurantisoprattutto tartarughe e pavoni tem-pestati di pietre. Una sala, quella dapranzo, che il poeta volle particolar-mente luminosa. “Non penso certo aun refettorio conventuale - spiegòall’architetto - e, a lavori conclusi, af-fermò con soddisfazione: “È l’unicastanza che non sia triste”.

    Se quando si sedeva a tavola nonera prontamente servito, diventavadi cattivo umore. Non amava andareal ristorante, se non nelle trattoriepiù tipiche e genuine, dove apprez-zava “la familiarità con cui vengonopreparate le pietanze”: un aspettoparticolare della sua personalità chenasconde un’anima sensibile e sin-cera. See International Summary page 78

    PARROZZOIngredienti: 120 gr di zucchero, 60 gr di farina, 60 gr di fecola dipatate, 60 gr di mandorle dolci, 40 gr di mandorle amare, 80 gr diburro, 4 uova, 150 gr di cioccolato fondente. Preparazione: Dopo aver sbollentato le mandorle in acqua bollente,sbucciarle e pestarle nel mortaio con 2-3 cucchiai di zucchero, ridu-cendole in polvere. Fondere il burro, montare gli albumi a neve, sa-lando appena; a parte montare i tuorli con lo zucchero e unire alcomposto la polvere di mandorle, la farina, la fecola e il burro raf-freddato; lavorare bene e aggiungere gli albumi. Versare il tutto inuna tortiera imburrata e infarinata, e porla nel forno a 180° per cir-ca 40 minuti. Sfornare e lasciare raffreddare. In una casseruola, abagnomaria, sciogliere il cioccolato e poi versarlo sul dolce ricopren-dolo con uno strato sottile.

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    Giovani in cucinaDI GIOVANNA MORETTI

    Delegata di Arezzo

    Convegno e prove pratichesull’educazione alimentare.

    U n interessante evento, dedica-to all’educazione alimentare,è stato organizzato, a Villa Se-veri, dalla Delegazione di Arezzo edall’associazione MAngiaeGioca. Nelcorso della manifestazione si sonosvolti un convegno sul tema “I gio-vani e le tradizioni della cucina ita-liana”, dove si trattava delle abitudinialimentari dei ragazzi e del compitodell’Accademia di sensibilizzarli anon perdere di vista le nostre tradi-zioni, e alcune prove pratiche di cu-cina rivolte agli alunni della II Adell’Istituto Comprensivo “FrancescoSeveri”. Obiettivo del convegno èstato stabilire un filo conduttore trale nostre tradizioni alimentari e lostile di vita odierno.

    La scienza dell’alimentazione cipuò aiutare a valorizzare il cibo diieri e a rivisitarlo in base alle nuoveacquisizioni scientifiche sulla nutri-

    zione. Ma l’alimentazione non è soloscienza, bensì anche cultura, storia,conservazione del paesaggio, e lefuture generazioni non devono per-dere questi tesori: è per questo chel’Accademia, come in questo incon-tro, assume il compito di testimonia-re e tutelare le ricchezze delle nostretradizioni alimentari.

    Per i ragazzi, manipolare il cibo,preparare una ricetta sono occasioniper farli sentire protagonisti del lorostesso percorso educativo su questetradizioni alimentari, e l’esperienza,che li ha coinvolti in questa manife-stazione, si prefiggeva di aiutare igiovani a non dimenticare e, se pos-sibile, a riappropriarsi di sapori eprofumi di una cucina spesso annul-lata dai fast food e junk food.

    L’incontro è stato introdotto dallaDelegata di Arezzo Giovanna Moret-ti, che si è soffermata sulle finalitàdel convegno e ha poi presentato irelatori: l’Accademico Alfredo Pelle,Direttore del Centro Studi della To-scana, che, oltre ad aver parlato del-le finalità dell’Accademia, ha riporta-to interessanti esperienze di vita. Lanutrizionista dott.ssa Lia Rossi Pro-speri ha parlato dell’importanza difar conoscere ai giovani le nostretradizioni alimentari in funzione de-gli odierni stili di vita. La prof.ssa Ti-ziana Fazi, docente di scienze e ma-tematica alla scuola primaria di IIgrado “Vasari”, ha riportato uno stu-dio statistico sulle abitudini alimenta-ri della sua classe, mentre la dott.ssaGiovanna Municchi, pediatra ed en-docrinologa dell’Università di Siena,ha focalizzato l’importanza dellamalnutrizione e dell’obesità infantilenella popolazione europea e inquella italiana in particolare. Duenonni, il Vice Delegato di ArezzoOsvaldo Miliani e la signora Roberta

    Romagnoli, hanno riassunto le loroesperienze nell’alimentazione dei fi-gli, prima, e poi dei nipoti.

    All’incontro erano presenti anchepubbliche autorità come il presiden-te della Provincia di Arezzo RobertoVasai, il consigliere regionale Vin-cenzo Ceccarelli e l’assessore ai ser-vizi sociali del Comune di ArezzoLucia De Robertis, che non hannomancato di esprimere il loro apprez-zamento e la loro approvazione peruna iniziativa che permette così be-ne di sposare la grande tradizionealimentare toscana con le esigenzedi un comportamento alimentare incostante mutamento. Le istituzionisono molto attente alla promozionedei prodotti agroalimentari del terri-torio presso i giovani fin dalla piùtenera età. I ragazzi che hanno par-tecipato alle prove di cucina hannopotuto sperimentare la grande quali-tà e il fascino dei piatti della tradi-zione toscana, come la pappa al po-modoro, i crostini neri, gli gnocchidi patate, che ad Arezzo vengonochiamati “topini”, e scoprire, peresempio, la differenza che corre frapolpette e hamburger. Tutte cose le-gate alla storia del territorio, che inostri giovani hanno certamente bi-sogno di conoscere.

    La giornata si è conclusa con ladegustazione, da parte di genitori,parenti e partecipanti al convegno,dei piatti cucinati dai 28 ragazzi e ra-gazze della II media, coadiuvati damembri dell’Associazione Cuochi diArezzo e dal loro presidente, Rober-to Lodovichi.

    La manifestazione ha riscossogrande successo, tanto che moltescuole e tanti genitori hanno chiestodi poter ripetere questa esperienzaunica anche l’anno prossimo.See International Summary page 78

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    Alimentazione consapevoleDI MARCO DALLA ROSAAccademico di Cesena

    Tematiche nutrizionali, rapporto tra giovani e cibo,

    ristorazione di qualità,tecnologie alimentari, i principali argomenti

    del convegno.

    A lla presenza del PresidenteGiovanni Ballarini, si è svol-to a Riccione il convegno“Educazione al gusto e conoscenzadegli alimenti”, promosso dalla De-legazione di Riccione-Cattolica, inoccasione del decennale della suafondazione. Nell’elegante cornicedell’Hotel des Bains, è stato appro-fondito il tema delle moderne cono-scenze nutrizionali, tecnologiche emedico-pediatriche e dell’interazio-ne cibo-benessere, con la finalità diintrodurre i giovani nel mondodell’alimentazione consapevole.

    Il Delegato di Riccione-Cattolica,Massimo Mancini, ha introdotto irelatori, iniziando dalla prof.ssa An-tonella Bacchini (“Obiettivi genera-li, cognitivi e non cognitivi del-l’educazione alimentare”), docentedi Scienza e cultura dell’alimenta-zione presso l’Istituto professionale

    per l’Enogastronomia e l’ospitalitàalberghiera “Severo Savioli” di Ric-cione. La prof.ssa Bacchini ha sot-tolineato la necessità di richiamare igiovani a un “protagonismo attivo”nei confronti del rapporto con il ci-bo, promuovendo atteggiamentipositivi sul piano della conoscenzadel sé, della responsabilità nelle re-lazioni interpersonali, della conqui-sta di una propria autonomia. In talsenso, è possibile affrontare le te-matiche alimentari partendo dal-l’esperienza dei bambini e dei ra-gazzi, dal cibo reale, da loro prepa-rato, gustato e consumato con ilpiacere e con l’attenzione che meri-ta, attraverso l’uso degli organi disenso. Tale approccio sensorialenon intende contrapporsi all’educa-zione nutrizionale, i cui termini ri-sultano a volte “virtuali”, soprattut-to per i bambini, poiché lontani dailoro bisogni e desideri.

    Attraverso un instant video, realiz-zato la mattina del convegno, dueclassi elementari di Riccione e diCattolica, sotto la guida dellaprof.ssa Bacchini, hanno sviluppatola manipolazione di materie prime ealimenti, in un’esperienza pratica dieducazione al cibo. Il video ha di-mostrato come l’esperienza direttasu materie prime alimentari, allapresenza di amici e compagni checondividono le modalità di prepara-zione e assaggio, aiuta a superaremolti degli aspetti che spesso stan-no alla base del rifiuto di alcuni cibi(frutta e verdura, pesce ecc).

    La seconda relazione ha portatol’attenzione del pubblico sulle te-matiche nutrizionali. L’Accademicadi Cesena Alessandra Bordoni, ri-cercatrice e docente di Nutrizioneumana al Campus di Cesena del-l’Università di Bologna (“Valore nu-

    trizionale degli alimenti oltre le co-noscenze generali: funzionalità de-gli alimenti e moderna valutazionedelle densità nutrizionali”), ha pre-sentato le moderne cognizioni sumacro e micronutrienti e ha intro-dotto il concetto di densità nutri-zionale.

    I macronutrienti hanno in comunela caratteristica di poter essere tra-sformati in energia, pertanto la“densità energetica” di un alimento(ossia il suo contenuto energeticoin termini di calorie che si ottengo-no dall’ossidazione dell’alimentostesso) viene ricavata con un sem-plice calcolo matematico, che molti-plica la quantità del macronutrientepresente per il suo valore caloricobiologico. Tale valore, peraltro, èpuramente teorico, poiché si basasu digestione, assorbimento e ossi-dazione dei nutrienti presenti nel-l’alimento, che in realtà non si rag-giungono mai.

    La relatrice ha dunque spiegatocome, per avere un’alimentazionecorretta, tutti i nutrienti, sia microche macro, debbano essere intro-dotti in quantità idonee, stabilite dailivelli di assunzione di riferimento(LARN) e basati sul fabbisogno me-tabolico dei nutrienti stessi. Anchein questo caso il calcolo è teorico,perché tiene conto del contenuto innutrienti dell’alimento crudo, manon delle modifiche che l’alimentosubisce durante la trasformazione(sia industriale sia casalinga), né deldiverso grado di digestione e assor-bimento dei nutrienti.

    Risulta necessaria, quindi, unanuova e più integrata visione delladensità, sia calorica sia nutrizionale,degli alimenti, che tenga conto ditutte le variabili; occorre inoltreconsiderare che ad alcuni nutrienti,

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    oltre al conosciuto ruolo fisiologico,viene oggi ascritta un’azione piùpreventiva, che necessita del rag-giungimento di determinate concen-trazioni del nutriente stesso nel no-stro organismo.

    Nella terza relazione, di taglio piùmedico, il dott. Alberto Marsciani(“L’alimentazione in età pediatrica”),Direttore della UO Pediatria del-l’Ospedale Infermi di Rimini, ha pre-sentato il rapporto tra giovani e ciboe ha evidenziato come sia necessariosaper valutare lo stato nutrizionalenel periodo infantile, confrontando idati auxologici del soggetto con glistandard di riferimento, per età eprovenienza geografica.

    In tal modo è possibile distinguereil giovane in buono stato nutriziona-le da quello in condizioni di carenzao eccesso nutrizionale, e conseguen-temente intervenire tempestivamen-te, in ipotesi di alterazione dei para-metri di normalità.

    Tra le condizioni patologichemaggiormente influenzate da errorinutrizionali, è stata sottolineatal’obesità infantile, che, per frequen-za e livello, rappresenta una vera epropria emergenza sanitaria, in gra-do di influenzare negativamente epesantemente il benessere nelleepoche successive della vita. È ne-cessario mettere in atto tutte le stra-tegie di educazione alimentare, ri-volte alla popolazione pediatrica, alfine di prevenire tale fenomeno e,ove già presente, intervenire construmenti di cura efficaci.

    Un’altra emergenza sanitaria, pre-sentata dal relatore e collegata allanutrizione, è quella legata ai distur-bi del comportamento alimentarenella popolazione giovanile, con in-sorgenza in età sempre minore.

    Un corretto approccio a questoproblema - ha sottolineato il dott.Marsciani - richiede un interventomultidisciplinare, che preveda ilcoinvolgimento di pediatri, nutrizio-nisti, dietisti, psicologi e psichiatri,individuando strategie efficaci ingrado di arrestare il progressivo in-cremento di queste patologie. In as-

    senza di tale intervento, per la pri-ma volta negli ultimi cent’anni, legenerazioni future rischieranno diavere un’aspettativa di vita inferiorea quella dei loro genitori.

    Si è passati, quindi, all’interessan-te intervento di un grande giovanechef, ex allievo del già citato Istitu-to Savioli di Riccione, Stefano Ciotti(“La testimonianza della ristorazionedi qualità”), che ha illustrato il suoapproccio creativo nell’interpreta-zione della cucina tradizionale e deipiatti della cultura gastronomica lo-cale e nazionale, a partire dalla vi-sione personale della pizza.

    Lo chef Ciotti, stellato Michelin emembro di “Chef to chef emiliaro-magnacuochi”, ha presentato alcunesue preparazioni gastronomiche al-l’insegna della genuinità. Ha parlatoanche del locale “Urbino dei laghiristorante e naturalmente pizza”,nell’oasi faunistica de “La Badia”, aipiedi di Urbino, interessato da unimportante progetto di ristorazioneall’insegna del biologico e dell’eco-sostenibilità, all’interno del quale èpresente un orto botanico che per-mette allo chef l’utilizzo di erbe evegetali locali, biologici e adatti allepreparazioni gastronomiche, nel ri-spetto dell’ambiente e della stagio-nalità.

    Infine, è intervenuto il moderato-re del convegno, l’Accademico diCesena Marco Dalla Rosa, docentedi Tecnologie alimentari del Cam-pus di Cesena dell’Alma Mater Stu-diorum Università di Bologna (“Co-noscere gli alimenti, l’origine, letrasformazioni casalinghe e indu-striali”).

    Il relatore ha illustrato, anche uti-lizzando immagini e grafici, comel’educazione alimentare di giovani eadulti passi pure attraverso la cono-scenza delle tecnologie di lavora-zione e trasformazione e dell’origi-ne degli alimenti, per non creareinutili allarmismi o pregiudizi e po-ter dare, invece, una valutazioneobiettiva degli alimenti offerti dal si-stema distributivo.

    Ha condotto, inoltre, la platea at-

    traverso un percorso sintetico sul-l’origine del legame tra alimenti,consumi e tecnologie di conserva-zione e trasformazione, iniziando adiscriminare tra consumi di prodottiindustriali, consumo di pasti fuoricasa, e consumi domestici. Sonostate illustrate brevemente le tecno-logie sviluppate in campo commer-ciale, con la nascita dell’industriaalimentare conserviera, con l’inven-zione dell’“appertizzazione” (da Ni-colas Appert) all’inizio del XIX se-colo, e le scoperte, in campo micro-biologico, di Luis Pasteur.

    Queste tecnologie sono state in-trodotte, nella pratica comune, allafine di quel secolo, con la diffusio-ne di alcune tecniche di conserva-zione e poi dell’elettricità. Al con-trario, alcuni prodotti della tradizio-ne hanno sviluppato tecniche dipreparazione e trasformazione nelcorso di secoli, in modo empirico,senza ricorrere a tecnologie partico-lari che non fossero le cotture afiamma viva, l’affumicatura, la disi-dratazione al sole, la salagione,l’uso di zuccheri e le fermentazioninaturali o guidate, peraltro svilup-pando spesso particolarità gastrono-miche e sensoriali ottimali.

    Al termine delle relazioni, ha pre-so la parola il Presidente GiovanniBallarini, congratulandosi con gliorganizzatori del convegno, bencongegnato e riuscito, e sottolinean-do come l’attività dell’Accademiaconsolidi, con iniziative come que-sta, la sua presenza nei territori incui opera. Ciò al fine anche di testi-moniare l’impegno continuo per lasalvaguardia di prodotti locali dipregio e delle eccellenti capacitàdella gastronomia italiana, ma an-che per veicolare conoscenze e in-dirizzi sui comportamenti alimenta-ri, in ambito sia accademico sia civi-le, per lo sviluppo (e per certi versiil recupero) di un’alimentazione piùcorretta in funzione degli stili di vitae delle più moderne evidenzescientifiche.

    MARCO DALLA ROSASee International Summary page 78

  • CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 21

    C U L T U R A & R I C E R C A

    I “Villani” della GarfagnanaDI ALBAROSA LUCCHESI MOCCIAccademica della Garfagnana

    Val di Serchio

    Tre prodotti garfagnini di nicchia, i cui produttori

    hanno conseguito il premio “Dino Villani”,nel 2009, 2010 e 2012.

    I l tuada è un pecorino artigianale apasta dura, stagionato per un pe-riodo superiore a sei mesi, su ta-vola di faggio. Questo formaggio vie-ne prodotto esclusivamente all’alpedi Soraggio, nell’alta Garfagnana, e lamaturazione ha luogo in una cantinainterrata, “tuada”, da cui il nome. Du-rante la fase di maturazione è avvol-to in un tessuto, camicia, che lo pro-tegge e che permette all’umidità diaccarezzarlo senza intaccarlo. Le for-me sono dei cilindri a scalzo moltoalto. Da questo formaggio emerge il“selvatico”, caratteristico del latte dipecora, ma a poco a poco affioranoaromi più gentili di erba pressata,noce e legno. La pasta fondente av-volge il palato in una sapidità poten-te senza, tuttavia, coprire gli altri sa-pori, con un residuo leggermentepiccante a fine degustazione. Cometutti i pecorini, è relativamente facile

    da affettare, con un coltello a lamaalta. Su un tagliere insieme a salumi,creme di verdura salate e fettone dipane, fa grande figura. Anche grattu-giato è ottimo, sia sulla pasta, sia nelripieno dei ravioli. Per provare un sa-pore diverso, ma molto particolare, sipuò anche accompagnare con unamostarda di arance.

    Il biroldo, prodotto di una secolaretradizione norcina della Garfagnana,incontaminata zona montana dellaprovincia lucchese, è l’unico salume,a livello regionale, ottenuto utilizzan-do esclusivamente la testa di maiale,che è magra e conferisce grandemorbidezza e delicatezza al prodottofinale. Le spezie che profumano l’im-pasto di carne e sangue possono va-riare, ma sono tassativamente esclusii pinoli che, spesso, caratterizzano,invece, il biroldo di Lucca. La ricettanon è complicata ma occorre unagrande manualità e un saper fare at-tento per ottenere il prodotto giusto.La testa di maiale si fa bollire per cir-ca tre ore, si disossa accuratamente,si uniscono una piccola quantità disangue, cuore e lingua, cubetti di lar-do e spezie; il finocchio selvaticonon manca mai, ma anche chiodi digarofano, cannella, coriandolo, anicestellato a seconda delle zone di pro-duzione. Si procede quindi all’insac-catura nello stomaco o nella vescicadell’animale (da cui la forma a “C” nelprimo caso o a “pagnotta” nel secon-do), quindi il biroldo viene immersonel brodo di cottura e fatto bollire peraltre tre ore. Il confezionamento èmanuale, con cucitura ad ago. Unavolta cotto, il biroldo assume un colo-re marrone scuro, e viene lasciato ri-posare su un ripiano di legno di ca-stagno, sotto la pressione di un peso,per favorirne la scolatura, il raffredda-mento e la perdita del grasso. Può es-

    sere consumato sia caldo sia freddo eha una durata di circa un mese. Mes-so sotto strutto, come avveniva inpassato, o sotto vuoto, si può conser-vare fino a sei mesi. Il suo peso variada 1,2 a 1,5 kg. Molto profumato, la-scia in bocca un gusto intenso.

    La storia della mondiola risale atempi remoti. Questo salume, infatti,è sempre stato prodotto fin da quan-do le famiglie contadine hanno ini-ziato ad allevare e macellare il maia-le. A quei tempi era uso comuneasciugare questo insaccato in prossi-mità dei grandi camini delle casecontadine. La mondiola si presenta aforma di “U” chiusa con una fogliadi alloro al centro, nel punto di con-giungimento delle estremità ripiega-te. La pasta è di consistenza morbi-da, con granatura media e colorerosso intenso. Il profumo è speziatoma gradevole. Per la produzione siusano le parti anteriori del maiale,quelle più ricche di sangue, checonferiscono il caratteristico colorerosso vivo. Le parti magre provengo-no prevalentemente dalla coppa e,in percentuale minore, dalla spalla,mentre la parte grassa dalla gota edalla pancetta. L’impasto, ottenutoda una macinatura media della car-ne, viene miscelato con sale, pepe,spezie locali e chiodi di garofano.Dopo essere stata ben amalgamata,la carne viene insaccata in budellodi maiale, il cosiddetto “crespone”,prelevato dall’intestino crasso del-l’animale. Durante la piegatura sipossono formare particolari protube-ranze dovute alla consistenza dellepareti del budello. La mondiola vaconsumata entro quattro-cinque me-si dalla produzione per poter meglioapprezzare le particolari caratteristi-che organolettiche. See International Summary page 78

  • CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 248 • PAGINA 22

    C U L T U R A & R I C E R C A

    Il mirto e l’alloroDI LUIGI ALTOBELLA

    Delegato di Foggia-Lucera

    Simbolo di fecondità, l’uno,