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To appear in Bertinetto, Pier Marco (ed.), Atti della Società Italiana di Glottologia, Pisa 2006. Raffaele Simone Università Roma Tre [email protected] Coefficienti verbali nei nomi* 1. Preliminari 1.1. Verbi e Nomi: continui o discontinui? L’articolo di Ross (1972; vedi anche 1973) sul category squish ebbe il merito di proporre l’ipotesi che Nomi e Verbi (d’ora innanzi N e V) sono classi di parole non disgiunte ma connesse in un continuum (V > N), i cui termini intermedi possono essere di varia natura. Questa ipotesi contrastava nettamente con quella consueta, corrente prima della nascita della linguistica in senso moderno, secondo cui le due categorie sono reciprocamente esclusive. Formulata sin dall’antichità, questa seconda posizione è stata ripresa in più occasioni nel corso del tempo, e fu particolarmente frequente nel Settecento, quando la genesi delle lingue veniva sovente descritta (così in Vico e Condillac) come l’affiorare graduale delle classi di parole di pari passo col crescere delle esigenze della comunicazione e delle funzioni a cui questa doveva rispondere. 1 Quest’idea ha continuato a trovare credito anche in epoca moderna. Nel lavoro sulla nominalizzazione di Chomsky (1970), ad esempio, N e V sono rappresentati come entità polarmente opposte, con qualche moderata possibilità di intersezione che dà * Una parte dei dati analizzati in questo lavoro sono dovuti a Anna Pompei (Università Roma Tre), con cui ho discusso le ipotesi che qui propongo e che è stata con me amichevole coautrice di una versione diversamente angolata di questo scritto (in Faits de Langue 2007). La ringrazio vivamente della collaborazione. Ringrazio anche Edoardo Lombardi Vallauri (Roma Tre), per avermi fornito dati giapponesi e Francesca Masini (Roma Tre) con cui ho discusso una versione preliminare di questo lavoro. Maria Grossmann (L’Aquila) mi ha passato una copia di un suo lavoro. 1 Un’illustrazione di queste dottrine settecentesche è in Simone (1991).

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To appear in Bertinetto, Pier Marco (ed.), Atti della Società Italiana di Glottologia, Pisa 2006.

Raffaele Simone Università Roma Tre

[email protected]

Coefficienti verbali nei nomi* 1. Preliminari 1.1. Verbi e Nomi: continui o discontinui? L’articolo di Ross (1972; vedi anche 1973) sul category squish ebbe il merito di proporre l’ipotesi che Nomi e Verbi (d’ora innanzi N e V) sono classi di parole non disgiunte ma connesse in un continuum (V > N), i cui termini intermedi possono essere di varia natura. Questa ipotesi contrastava nettamente con quella consueta, corrente prima della nascita della linguistica in senso moderno, secondo cui le due categorie sono reciprocamente esclusive. Formulata sin dall’antichità, questa seconda posizione è stata ripresa in più occasioni nel corso del tempo, e fu particolarmente frequente nel Settecento, quando la genesi delle lingue veniva sovente descritta (così in Vico e Condillac) come l’affiorare graduale delle classi di parole di pari passo col crescere delle esigenze della comunicazione e delle funzioni a cui questa doveva rispondere.1 Quest’idea ha continuato a trovare credito anche in epoca moderna. Nel lavoro sulla nominalizzazione di Chomsky (1970), ad esempio, N e V sono rappresentati come entità polarmente opposte, con qualche moderata possibilità di intersezione che dà

* Una parte dei dati analizzati in questo lavoro sono dovuti a Anna Pompei (Università Roma Tre), con cui ho discusso le ipotesi che qui propongo e che è stata con me amichevole coautrice di una versione diversamente angolata di questo scritto (in Faits de Langue 2007). La ringrazio vivamente della collaborazione. Ringrazio anche Edoardo Lombardi Vallauri (Roma Tre), per avermi fornito dati giapponesi e Francesca Masini (Roma Tre) con cui ho discusso una versione preliminare di questo lavoro. Maria Grossmann (L’Aquila) mi ha passato una copia di un suo lavoro. 1 Un’illustrazione di queste dottrine settecentesche è in Simone (1991).

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luogo ad altre categorie di parole (specificamente Aggettivi e Preposizioni). Fuori della linguistica, inoltre, ancora oggi s’incontrano analisi in cui N e V appaiono come classi disgiunte. Ad esempio nelle ricerche via neuro-imaging sulla localizzazione cerebrale di N e V, rappresentanti prototipici delle due classi paiono localizzati in punti diversi della corteccia (Shapiro et al. 2006).2 Del pari, secondo alcuni studi sulle Lingue dei Segni, N e V, almeno quando sono presi in forma citazionale e limitatamente a parole tra loro connesse morfologicamente, sembrano essere codificati da set di gesti nettamente distinti.3 Comunque, in linguistica è ormai pacificamente accettato che tra N e V ci sia continuità, anche se questa tesi si presenta in più versioni e con varie sfumature. Non è facile dire se la tendenza a supporre un continuum tra N e V sia dovuta a una peculiarità dell’ottica della linguistica (quindi a un suo proprium epistemologico) o a un’intrinseca caratteristica semiotica del linguaggio rispetto ad altri codici (quindi a un proprium ontologico), anche se alcuni dati (come quelli derivanti dalle ricerche sulle Lingue dei Segni) fanno supporre che la spiegazione giusta sia la seconda. Quanto alle lingue verbali, diverse indagini (dopo il classico Clark & Clark 1979) hanno mostrato che a certe condizioni i nomi possono “affiorare come verbi”4 e che dunque esiste un collegamento tra le due classi di parole Ciò ha consolidato l’idea che, specie per talune lingue, si possa formulare un continuum tra V e N (Broschart 1987; Walter 1981) o una reciproca intersezione tra le due classi (Evans 2000). È nota anche la proposta di Hopper & Thompson (1984, 1985) secondo cui N e V vanno visti come categorie non arbitrarie ma “iconiche”, cioè orientate “naturalmente” a codificare talune proprietà semantiche non-qualunque. Secondo questo punto di vista, se il referente ha per esempio alta definitezza, stabilità nel tempo, agentività, etc., il suo formato semantico tende naturalmente a trovare codifica, ad esempio, in un N e non in un V.5 Quest’ipotesi è stata raccolta anche in ambito generativo, dove è stato proposto (Barker & Dowty 1993; Baker 2003) che N e V siano “contenitori” naturali di insiemi di tratti peculiari. All’idea complessiva di un continuum N > V, come sostenuta da Ross, alcuni (Sasse 2001; Simone 2004) aggiungono un’ipotesi ulteriore, secondo cui per ciascuna delle due classi in gioco è possibile formulare continua più fini e articolati. SI arriva così a postulare un continuum di nominalità (nouniness) e uno di verbalità (verbiness) collegati tra loro in un continuum di continua, secondo lo schema seguente:

2 La stessa opposizione è asserita in psicolinguistica (per esempio, Pinker & Bloom 1990). 3 Secondo Pizzuto et al. (2005), ad esempio, in LIS i N sono [-ampio, -lento, +ripetuto], i V [+ampio, +lento, -ripetuto]. 4 Una sintesi tipologica si trova in Sasse (2001); per singoli aspetti, vedi Gaeta (2003), Gross e Günthner (in prep.), Simone (2004). 5 Per uno studio sull’acquisizione di alcuni tipi di nomi, vedi Gentner (1982), Lo Duca (1990).

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(1) Continuum di continua tra N e V

Classi di forme

Nomi …………………. Verbi

Nomi1 …………….Nomin Verbi1………Verbin

2. Classi di parole Nella cornice di questi problemi, quel che vorrei mostrare qui non è che “i verbi affiorano come nomi”, ma che nei N possono occorrere coefficienti verbali di vario tipo. Il punto di partenza è costituito da alcuni dati di fatto: (a) in più lingue appaiono classi di N che contengono coefficienti verbali (chiamo questo fenomeno “distacco di coefficienti verbali sui N”);6 (b) i coefficienti distaccati sono codificati in forma sintattica (come argomenti e aggiunti) o morfologica (come affissi di varia natura). Vorrei illustrare e classificare alcuni di questi dati e poi discutere (c) se ci sono restrizioni sulle classi di N su cui distaccano coefficienti verbali, (d) quali sono i coefficienti verbali che distaccano sui N e (e) se si può riconoscere un principio che regola il distacco. Segnalo in limine che da qualche tempo quel che s’indaga è soprattutto il distacco di coefficienti temporali sul N (bibliografie estese sono ad esempio nei numerosi lavori di Nordlinger e Sadler). Cercherò di mostrare che, contrariamente a questa veduta, i coefficienti verbali che distaccano sul N sono anche di altra natura e che la loro varietà copre un vasto spettro. Cercherò inoltre di argomentare che il distacco di coefficienti verbali dipende direttamente dalla struttura semantica (ciò che chiamo “modo semantico”: vedi sotto) dei N in questione. 2.1. N e V nella Grammatica di Costruzioni e Categorie Per dare uno sfondo alla discussione, suggerirò alcuni elementi a proposito della 6 Va ricordato che il distacco di coefficienti non è unidirezionale. Possiamo avere infatti sia coefficienti verbali distaccati su N sia coefficienti nominali distaccati su V. Di ciò darò un esempio en passant: in mayali (lingua australiana), entità naturali di tipo “dinamico” sono designate da clausole operanti quasi come nomi deverbali (Evans 2000: 712): ka-bo-rolkan ‘esso-acqua-corre.come.umido’ > “doccia”.

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struttura semantica delle classi di N e di V. Mi servirò di alcune nozioni cruciali della Grammatica di Categorie e Costruzioni (GCC), il modello di “significato grammaticale” a base pragmatico-discorsiva al cui sviluppo lavoro da tempo (vedi per esempio Simone 2006a, b; 2007). In GCC il significato grammaticale è codificato in due canali distinti: Categorie e Costruzioni. Non mi soffermo su quest’ultimo – le costruzioni, con la loro tipologia e le loro proprietà7 – perché qui è rilevante solo il primo, quello costituito dalle categorie. Ora, il termine categoria si riferisce a oggetti di tre tipi:

(2) Tipi di categorie a. Categorie grammaticali nel senso convenzionale (tempo, modo, aspetto,

Aktionsart, etc.): il loro fattore comune sta nel fatto che esse codificano il modo in cui l’evento è rappresentato nell’enunciato.

b. Categorie nozionali, cioè le ‘nozioni’ (Partecipazione, Possesso, Concomitanza, Prossimità, etc.) che ogni lingua si suppone tenuta a esprimere: specificamente, queste categorie codificano la relazione tra il parlante e il contesto extra-linguistico.

c. Classi di Parole (o categorie lessicali). In particolare, la GCC ha alcune assunzioni a proposito delle Classi di Parole:

(3) Ipotesi sulle classi di parole nella GCC a. Le classi di parole non sono pure collezioni di oggetti ma formati semantici pre-

definiti, cioè fasci di coefficienti semantici strutturati in modo peculiare. b. Possono essere sottoposte a determinate Operazioni Discorsive che ne modificano

alcune proprietà. c. Vanno analizzate distinguendo tra funzione e forma grammaticale.

Qualche commento. Nella GCC una classe di parole non è un deposito da cui si debbano solo scegliere elementi da combinare sulla catena sintagmatica: è invece una maniera peculiare di codificare (o “impacchettare”, secondo la brutta metafora dell’inglese to package) il significato sotto forma di parola, rispondendo così anche a specifiche funzioni pragmatiche e discorsive (Hopper & Thompson 1984; Simone 2000). In altri termini, una classe di parole è un formato pre-definito di significato, cioè un fascio di coefficienti semantici specifici.

Su una categoria così definita possono applicarsi Operazioni Discorsive che ne modificano alcune proprietà, agendo sia sul piano del discorso sia su quello del sistema. Ad esempio, tra le Operazioni Discorsive più potenti è ci sono quelle che chiamo Forzature, come soprattutto la Forzatura di Tipo (type coercion: Pustejovsky 1995), che trasferisce il significato di un lemma da un tipo semantico a un altro. È la Forzatura di Tipo ad esempio che fa sì che libro passi da (4) a (5) (a livello di sistema) o che caffè cambi significato passi da (6) a (7) (a livello di discorso):

7 Sull’analisi delle costruzioni, vedi Simone (2006b).

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(4) Ho bruciato il libro (libro <oggetto fisico>) (5) Ho letto il libro (libro <messaggio, informazione>)

(6) Ho portato un caffè a quel signore (caffè <bevanda>) (7) Il caffè vuole anche un cornetto (caffè <designazione provvisoria della persona che ha ordinato il caffè; sinonimo discorsivo di quel signore>)

Quanto a uno degli aspetti evocati dalla terza proprietà, la varietà di vedute

circa la funzione delle classi di parole è notevole (per esempio, Lyons 1977, 1966; Croft 1984), ma su certi punti sembra esistere qualche convergenza. In particolare è generalmente riconosciuto che le classi di parole basiche (N, V, aggettivo) servono per svolgere funzioni lato sensu semantico-pragmatiche essenziali nell’architettura del linguaggio. La lista di queste è tutt’altro che definita, ma si registra un accordo (Seiler 1977; Lyons 1977: 429; Croft 1984, 1991: 67; Hopper & Thompson 1984, 1985; Wierzbicka 1986) circa le funzioni di referenza, predicazione e modificazione, che si presentano in forme e gradi diversi. 2.2. N e V Qui chiamerò in causa soltanto le funzioni di referenza e di predicazione, che toccano più da vicino il nostro tema. Inoltre, siccome discuto di N e V, per caratterizzare queste classi distinguo due diversi tipi di funzione: uno semiotico e uno pragmatico:

(8) Funzioni e forme di N e V Nomi Verbi

Funzione

1 Semiotica 2 Pragmatica

• Referenza • Topicalità

• Predicazione • Illocuzione

Forma grammaticale

o Nomi (primitivi, derivati, etc.)

o Nomi sintagmatici o Clausole nominalizzate, etc.

o Verbi (primitivi, derivati, etc.)

o Verbi sintagmatici, etc.

È utile dare qualche dettaglio sulle proprietà fondamentali dei N (e dei nominali in generale):

(9) Funzioni dei nomi e dei nominali a. funzione semiotica. Referenza: rappresentare il referente alla stregua di entità

discreta; ciò lo rende capace 1. di far parte di una catena anaforica, 2. di entrare in una varietà di fenomeni di focus.

b. funzione pragmatica. Topicalità: costituire il topic dell’enunciato.

Tra quelle indicate, la funzione di referenza è largamente condivisa e non occorre discuterla ulteriormente. Più rilevante è l’altro parametro, menzionato di

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rado in letteratura (per esempio in Croft 1991: 113 ss.): il fatto che il N assicuri la funzione di topicalità. Questa proprietà comporta che, quando si richiede un costituente che possa essere topicale, in linea di principio sono disponibili due vie: (a) ricorrere a un N già formato esistente nel lessico, oppure (caso per noi più interessante) (b) formare un nominale ad hoc mediante le risorse messe a disposizione dalla lingua.

In GCC sono indicate come “Tecnologie Linguistiche” (TL) le risorse che una lingua usa per risolvere i problemi di codifica. Come ho cercato di mostrare (Simone 2007), le lingue devono avere TL dedicate per sviluppare, tra le altre, la funzione di nominare, che è una delle implementazioni principali della funzione semiotica di assicurare la referenza nel discorso. Le TL permettono di generare – secondo formati previsti – N che non sono già disponibili nel sistema ma sono richiesti dalla dinamica del discorso. La generazione di N ad hoc è il prodotto di specifiche Operazioni Discorsive. Qui sotto ne accenno alcune, rinviando per ulteriori dettagli a Simone (2007):

(10) Operazioni Discorsive che generano N

a. Nominalizzazione morfologica: attraverso processi morfologici dedicati traspone un’intera clausola in un oggetto che è superficialmente un N;

b. Trasposizione di Livello: lasciandone immutata la struttura superficiale, traspone qualsivoglia costituente da un livello all’altro, per esempio dalla sintassi al lessico oppure da una classe di parole all’altra.8

La differenza sta nel diverso grado di manipolazione che ciascuna

Operazione Discorsiva compie sulla base: la Nominalizzazione Morfologica cancella la struttura superficiale della clausola, perché ha come risultato un nome; la Trasposizione di Livello converte la clausola in N senza alterare la sua struttura sintattica. Le due Operazioni Discorsive (Nominalizzazione e Trasposizione di Livello) possono avere anche lo stesso punto d’arrivo, ancorché di natura superficiale diversa:

(11) Forme della nominalizzazione

a. nominalizzazione morfologica [che tu parta] mi dispiace molto > la tua [partenza]N mi dispiace molto

b. clausola nominalizzata me doy cuenta de [que no estás con nosotros]N

Qui partenza è una nominalizzazione di clausola ottenuta mediante TL

morfologiche; que no estás con nosotros è invece una clausola nominalizzata ottenuta a livello di discorso con Trasposizione di Livello. Nel seguito chiamo N-Clausola la clausola trasposta a N come in (11)b. Più che nei N veri e propri, la topicalità propria dei N risalta in un fenomeno come la N-Clausola. Trasponendosi a N-Clausola, infatti, la clausola acquista la referenzialità e la capacità di occorrere come topic: 8 Diversi esempi di Trasposizione di Livello in Jezek & Ramat (in stampa).

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(12) [(il fatto) che tu parta] mi dispiace (13) TURCO (Godel 1945: 148) [annemin rahatsız] ol-duğ-u [madrei.mia (è) indisposta] esiste-nomzz.nonfut-suoi “Il fatto che mia madre è indisposta”

In accordo con l’ipotesi di Ross e con la linea di ricerca che ne è seguita, N e

V sono rappresentati come classi non-disgiunte ma situate agli estremi di una scala. Gli estremi sono connessi da passi intermedi, in ciascuno dei quali mentre la verbalità aumenta la nominalità si riduce. In questa prospettiva, i N non sono gli unici elementi capaci di soddisfare le funzioni di referenza e topicalità. Queste possono infatti essere soddisfatte anche da unità situate in altre posizioni della scala (Lyons 1977: 425; Simone 2006a). I N sono soltanto la classe di parole che soddisfa quella funzione nel modo migliore e con la maggior convenienza. 2.3. Scala di Nominalità In base a questi argomenti, ho suggerito (Simone 2003, 2004) di disporre i N lungo una Scala di Nominalità: ai suoi estremi stanno rispettivamente i N ad alta nominalità [+N] e quelli a bassa nominalità [-N], con alcune posizioni intermedie.9

Questa scala ha un’alta utilità teorica, perché offre un argomento per sostenere (come farò alla fine) che i coefficienti verbali distaccano non su qualsivoglia tipo di N ma solo sui N che occupano una determinata posizione nella Scala di Nominalità. 2.3.1. Forza Referenziale. La FR è il grado di intensità della referenza di un N: sono [+FR], in altri termini, i N di entità definite, numerabili, fisiche, ostensibili (“nomi del primo ordine” secondo la nota terminologia di Lyons 1977). La FR offre un utile criterio per distinguere sottoclassi di N come in (14):

(14) Forza referenziale a. Nomi designativi (o ultra-nomi)10: è la posizione più alta, relativa a N

designanti entità definite, numerabili, fisiche, ostensibili. Si distinguono in varie categorie articolate.

b. Quantificatori: N che offrono ai N che seguono nel SN una cornice quantitativa: sacco, quantità, monte;

c. Classificatori: N che pre-segnalano la classe cui appartengono i N seguenti nel SN, specificandone alcuni tratti: 1. cucchiaiata, manciata (oggetti fisici piccoli, discreti e numerabili;

porzioni di oggetti designati da N di massa),

9 Una scala di nominalità è proposta anche da Blanche-Benveniste (2003). 10 La categoria degli ultranomi può essere articolata in sottoclassi (c’è una differenza semantica tra gatto e partenza); rinvio per questo a Simone (2003).

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2. sporta, scatola (oggetti fisici discreti, non necessariamente piccoli), 3. bicchiere, bottiglia (liquidi e fluidi);

d. Approssimanti: N che pre-segnalano l’occorrenza di un nome dotato di FR più alto e in un certo senso favoriscono l’ ‘approssimarsi’ alla loro referenza: specie, tipo, categoria, forma, sorta, razza (Masini 2007);

e. Nomi-supporto : N che offrono informazione grammaticale (ad esempio, la possibilità di plurale, determinazioni aspettuali, etc.) a N designativi che di per sé ne sono privi : atto, colpo, gesto, stato, scoppio; fr. coup, éclat, prise, mise; ingl. piece, item.

La lista offerta sopra non è una derivazione ordinata, anche se sarebbe possibile conferirle questa natura attraverso alcune elaborazioni formali che qui non posso compiere. Mi basta sottolineare che i N possono passare da una sottoclasse all’altra della lista attraverso una Forzatura di Tipo. Alcuni passaggi di sottoclasse sono fenomeni di sistema, altri sono puramente di discorso. La distinzione tra sistema e discorso è cruciale in questo ragionamento e occupa una parte importante ella GCC (Simone 2006a, b; 2007). Si basa sull’idea che non tutte le risorse linguistiche siano accessibili sin dall’inizio nello stesso sito e nello stesso modo, ma si distribuiscano in due registri diversi e comportino quindi due diverse forme di accesso:

(15) Registri delle risorse linguistiche a. Risorse di sistema: sono immediatamente accessibili nel sistema della lingua, b. Risorse di discorso: sono formate ad hoc sulla base di patterns condivisi.

Le risorse di sistema sono “già pronte” e accessibili senza alcuna operazione particolare; le risorse di discorso devono invece essere formate nel discorso mediante operazioni dedicate e si dissolvono quando questo è finito.

Le unità di discorso hanno un statuto intermedio tra le unità di sistema in senso proprio e i meri fatti di performance: non sono peculiarità occasionali dell’uso individuale, ma elementi conosciuti collettivamente e conformi a patterns condivisi. Inoltre, possono convertirsi diacronicamente in unità di sistema, purché vengano rispettate certe condizioni. Ad esempio, secondo un’interpretazione (Bybee & Thompson 1997; Bybee 2006), un’unità di discorso può diventare unità di sistema se raggiunge una determinata frequenza d’uso.

(16) a. Ho rotto due bottiglie di vino b. Ho bevuto due bottiglie di vino

(17) a. Ha trasportato scatole di libri b. Ho letto scatole di libri

(18) a. Ha avuto un colpo di genio c. Ha avuto un colpo in testa

(19) a. Il fumo fa male (<il fatto di fumare>) b. Non bisogna esagerare con la bicicletta (<il fatto di andare in bicicletta>) c. *La bevanda fa male

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In (19) fumo e bicicletta, che superficialmente sono Ultra-nomi (con alta forza defignativa), sono diventati Nomi di Processo (dotati quindi di coefficienti verbali: vedi sotto). La Forzatura di Tipo ha probabilmente operato attraverso un processo metonimico (Simone 2000). In altre lingue infatti questo processo si applica ugualmente, anche se concerne entrate diverse:

(20) FRANCESE a. *La fumée fait dommage “Il fumo fa male” b. La boisson est dangereuse *“La bevanda fa male” > ”Il bere fa male”

La rilevanza della FR appare anche dal fatto che essa ha conseguenze sul comportamento sintattico dei N. Ad esempio, i N [+FR] possono entrare a far parte di catene anaforiche, esser ripresi da pronomi (21)a, b e influire sull’accordo tra sintagmi (22). Queste proprietà si indeboliscono col diminuire della FR:

(21) a. [+FR] Ho ricevuto gli ospitii e lii ho fatti entrare in salotto b. [±FR] ?Ha saputo del tuo esserei a Parigi e non li’ha approvato (22) Ho bevuto una speciei di vinol. Non era affatto buonol!

Inoltre, il grado di FR crea turbolenza nella struttura tematica delle clausole: in un sintagma in cui un N [+ FR] dipenda da un N [-FR], può accadere che il N [-FR] sia testa sintattica del sintagma mentre la “testa topicale” è il N [+FR], anche se si trova in posizione di complemento e dunque a un livello più basso di dipendenza:

(23) ?La bottiglia del vino che ho bevuto si è rotta

Infine, l’ordine secondo cui i costituenti nominali si dispongono nelle configurazioni seriali di N pare sensibile al grado di FR dei diversi N:

(24) Ho bevuto [una specie] [di inizio] [di bottiglia] [di vino] Approssimante Quantificatore Classificatore Designativo

la cui formula è la seguente: (25) [-FR] [+FR] Approssimante > Quantificatore > Classificatore > Designativo

Come vedremo più avanti, la differenza di FR non è priva di rilievo in vista dell’analisi dei N con coefficienti verbali distaccati.

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3. Coefficienti verbali nei N 3.1. Coefficienti temporali Esaminerò ora le possibilità di distacco sul N di alcuni coefficienti propri ai V: TAM, Diatesi, Struttura argomentale, Modificabilità da parte di avverbi (o avverbiali, di maniera, di tempo, etc.), assumendo – come ho detto prima – che non solo il Tempo Nominale sia rilevante per la semantica dei N. 3.1.1. Tempo distaccato sul N. Il distacco di coefficienti verbali sui N11 si presenta in una varietà di forme che si possono ripartire secondo criteri diversi (frequenza, affinità tipologica, etc.). Il caso più diffuso è quello che Nordlinger & Sadler in numerosi loro lavori (ad es. 2003a, b) hanno chiamato “Tempo Nominale” (Nominal Tense): mediante affissi, i N localizzano sull’asse del tempo le entità designate dal N. Questa possibilità sembra tipica di quelli che Coseriu (1978) indicava come nomina adjecta,12 cioè i N che designano non direttamente ma – per così dire – indirettamente. In pratica, si tratta di N che designano uno stato provvisorio (una carica, una funzione, una relazione) attribuito al referente del N: qui il Tempo Nominale non funziona come operatore di predicato (come accade di solito) ma localizza temporalmente un referente:

(26) a. ex-ministro

b. futuro presidente c. mancato marito d. vecchio professore “professore di lunga data” e. president to-be presidente a-essere “presidente in pectore”

In mosetén (Bolivia) esiste un fenomeno somigliante:

(27) MOSETÉN wiya’-win

vecchio-PASS “un vecchio morto”

Questo tipo si presenta in forme di varia complessità. In turco, ad esempio, la

localizzazione temporale del referente, codificata da un morfo dedicato del N, può

11 Già Hockett (1958: 238) aveva segnalato il fenomeno del distacco del tempo sui N, mostrando come in potawatomi parole di tipo nominale portano informazione temporale (per esempio nčimanpn “la mia canoa di una volta”). 12 Trovo il riferimento in Grossmann (2006), che contiene anche copiosi dati su questi N in italiano.

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essere marcata da un suffisso che saldandosi col N forma una clausola predicativa (Nordlinger & Sadler 2003a: 5):

(28) TURCO

mühendis-ti-m ingegnere-PASS-1SG “ero ingegnere”

La stessa struttura appare in cha’palaachi (Ecuador), dove sui N si saldano morfi di tempo/aspetto:

(29) CHA’PALAACHI

ruku-mi uomo-PASS “lui era un uomo”

Se in varie lingue la localizzazione temporale del referente sembra ristretta ai

nomina adjecta, in altre il Tempo Nominale opera in modo più comprensivo in movima: qualunque N designativo, quale che sia il suo modo semantico, può portare il Tempo Nominale:

(30) MOVIMA (Bolivia) oj asna-y’li art.PASS casa-1PL.ESCL “la nostra casa [che non c’è più]”

Questo tratto è diffuso nelle lingue tupi-guaranì (guaranì e siriono: Evans

2000: 711):

(31) GUARANÌ (Tupi-Guaranì; Nordlinger & Sadler 2003a: 6) a. o-va-ta che-roga-kue-pe

3SG-spostarsi-FUT 1SG-casa-PASS-in “lui traslocherà nella mia ex-casa”

b. a-va-vaekue hoga-rã-pe 1SG-spostarsi-PASS 3.casa-FUT-in “io ho traslocato nella sua futura casa”

Il somalo ha una complessa fenomenologia del Tempo Nominale (Lecarme

2004, 2007). Questo amalgama almeno due funzioni, una propriamente temporale e una modale. Un articolo con due forme (una per il passato, una per il non-passato) serve quindi a localizzare temporalmente il referente (come nei casi precedenti) ma dà anche informazioni sulla sua “visibilità” dal punto di vista del parlante (opera cioè come marca modale di evidenzialità, distinguendo quel che l’emittente ha

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“visto coi suoi occhi” da quel che gli è stato riportato).13 Per esempio, il morfo nominale di “passato” segnala tanto che il referente del N è collocato nel passato quanto che è fuori della portata dell’osservazione:

(32) SOMALO

qálinkáyg-ii méeyey? penna.N.POSS1-DEFM.PASS DOMANDA.è “Dov’è la mia penna?” [la penna non è visibile]

In ambito indoeuropeo, in latino e in greco un pattern di Tempo Nominale

presenta un dettaglio interessante: il Tempo non è marcato da un affisso sul N ma da un avverbio che forma con il N un sintagma peculiare:

(33) LATINO

a. discessu tum suo col suo tornare allora “col fatto che allora tornò” b. reliquis deinceps diebus (Caes., Gall., 3.29.1)

i.restanti.ABL.PLUR dopo giorni.ABL.PLUR “i restanti giorni seguenti”

c. neque ignari sumus ante malorum (Verg., Aen., 1.198) e.non ignari siamo di.prima mali.GEN.PLUR “e non siamo ignari dei mali di prima”

(34) GRECO

a. ho nûn khrónos il ora tempo “il tempo presente” b. hoi pálai ánthrōpoi vs. hoi nûn ánthrōpoi gli anticamente uomini vs. gli ora uomini “gli uomini del passato vs. gli uomini di ora” c. ho orthôs kubernêtēs (Plat., Rsp., 341c) il correttamente pilota “colui che pilota come si deve > il buon pilota”

Casi di questo tipo si trovano anche in francese moderno e in italiano:

(35) FRANCESE a. les têtes les plus fortes, les inventeurs les plus sagaces, les connaisseurs les

plus exactement de la pensée (P. Valéry, Monsieur Teste, p. 17) b. volontiers voyageur, il [il pittore Robert Rauschenberg] s’inscrit à Paris à

l’Académie Julian… (Libération 20 ottobre 2006, p. 33) 13 La categoria di “osservativi” (observationnel) è stata postulata anche a livello di predicazione da Boulle (1995), in opposizione a quella di “aforistico” (aoristique): è “osservativo” un predicato che implica che l’evento descritto sia “sotto gli occhi di tutti” (Giovanni sta riparando l’automobile), è invece “aoristico” un predicato che non implica ciò (Giovanni ripara automobili tutto il giorno).

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(36) ITALIANO a. spesso vincitore di premi letterari, lo scrittore ha appena pubblicato un

romanzo b. un frequente viaggiatore oceanico

3.1.2. Tempo distaccato su clausole nominalizzate. In un altro gruppo di casi, il Tempo Nominale non distacca sul N ma su una N-Clausola (cioè, come si è visto, una clausola convertita in N mediante una Trasposizione di Livello che non ne intacca la struttura). Qui i processi sono due: siccome la marca di tempo si lega a un N, prima di essere temporalizzata la clausola dev’essere trasposta a N.

La Trasposizione di Livello di una N-Clausola si serve di varie risorse. Nella più semplice la N-Clausola è costituita da una voce verbale non-finita temporalizzata e i tratti di tempo di cui è portatrice codificano l’informazione temporale. Ciò accade in latino: in (37), ad esempio, il fenomeno è ben evidente anche perché è messo in risalto dal contrasto tra forma presente e passata dell’infinito:

(37) habere eripitur, habuisse numquam (Sen., Ep., 98.11)

[avere]N viene.tolto [aver.avuto]N mai “le cose che si hanno si possono perdere; quelle che si sono avute no”

In altre lingue (specie dell’America centrale e meridionale), invece, la

Trasposizione ha luogo mediante risorse dedicate di varia natura, soprattutto morfi e sintagmi dedicati (i Nominalizzatori: NOMZZ) che traspongono in N costituenti di diversa natura incorporanti un V.

Anche qui si danno gradi di complessità. In apalai (Caraibi), ad esempio, il NOMZZ è un morfo discontinuo con due forme: una per il presente (ny-____-ry) e una per il passato (ny-____-hpyry) (Nordlinger & Sadler 2003b: 4). Il NOMZZ converte il costituente verbale in un N la cui semantica è “oggetto risultante” (una sorta di nomen rei):14

(38) APALAI (Caraibi)

a. y-ny-mero-ry 1SG-NOMZZ1-scrivere-NOMZZ2SG.PRES “la cosa che io scrivo”

b. o-ny-mero-hpyry 2SG-NOMZZ1-scrivere-NOMZZ2SG.PASS “la cosa che tu hai scritto”

E’ interessante osservare che il turco ha una risorsa analoga. Anche qui il

NOMZZ ha una forma per il futuro (-AcAk-) e una per il non-futuro (-dIk), entrambe soggette all’armonia vocalica e alle assimilazioni consonantiche proprie della lingua. Il N che ne risulta ha un output semantico di “stato stazionario”:

14 Altri esempi in Derbyshire (1999).

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(39) TURCO (Godel 1945: 150) bu çocuğun hasta ol-duğ-u belli-dir [questo bambino.DEF malato essere-NOMZZ.NONFUT-suo]N evidente-è “E’ evidente che questo bambino è malato” (< “l’esser-ora-malato”)

In casi più avanzati, un’intera clausola predicativa (con o senza NOMZZ) è

trasposta a N-Clausola e temporalizzata. In questi casi, il N risultante è [+FR]. I tipi sembrano essere due:

(a) una clausola presa tal quale, cioè senza NOMZZ e con piena conservazione

della struttura, opera come N (è quindi un N Sintagmatico, cioè costituito da una costruzione: Simone 2006a). Ciò accade in tuscarora (Mithun 1976: 32) (40):

(40) TUSCARORA ra-kwatihs wa-hr-atkahto-ka-teskr-ahs MASC-giovane PASS-masc-guardare-ASP NON-UM-odorare-non.bene-ASP [lui è giovane] [lui guardava] [esso puzza] “Il ragazzo guardava la capra” (NON-UM = non-umano)

(b) La clausola può essere preceduta da un articolo che la “de-predicativizza” (Sasse 1993: 654), cioè le toglie la forza predicativa convertendola in una N-Clausola con forza referenziale propria. Ciò accade in chehalis superiore (Salish), dove l’articolo è tit (Kinkade 1983):

(41) CHEHALIS SUPERIORE (SALISH) tit ac-mk’w-ℜ ART [STAT-essere.avvolto-INTRANS]N “è avvolto > il pacchetto”

Fenomeni della stessa classe si trovano in altre lingue tipologicamente variate:

(42) GUARANI rei-kwaá pa la o-hó vakwè 2SG-conoscere INT-cm ART [[lui-andare] NOMZZ.PASS]N “conosci quello che è partito?”

(43) MALTESE tgħix waħdek dwejjaq [tu.vivi solo]N (è) brutto “è brutto vivere soli”

Una lingua di speciale interesse in quest’ambito è il turco, dove le completive

(oggettive e soggettive) sono sistematicamente trattate come N-Clausole e trasposte

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con una serie di NOMZZ.15 Il carattere nominale di queste clausole è sottolineato dal fatto che esse prendono un caso che, pur saldandosi all’ultima parola, ha come scope l’intera completiva:

(44) TURCO bu kitab-ı oku-ma-nız-ı istiyorum [questo libro-ACC leggere-NOMZZ-vostro-ACC] volere.1SG “voglio che voi leggiate questo libro”

Mutatis mutandis il giapponese ha qualcosa di simile: la N-Clausola si ottiene saldando alla parte finale della clausola originaria (che conserva la propria struttura) la parola koto “cosa”, che opera quindi come NOMZZ (45) e incorpora in questa clausola un’informazione temporale (45)b o modale (45)c:

(45) GIAPPONESE a. Pari e iky koto

[Parigi verso andare] il.fatto.di “il fatto di andare, l’andata a Parigi”

b. Pari e itta koto [Parigi verso andare.pass] il.fatto.di “il fatto di essere andato a Parigi”

c. Pari e iki-tai koto [Parigi verso andare.desid] il.fatto.di

“il fatto di volere andare a Parigi” Il salentino, che al pari di altre parlate italiane meridionali associate alla Lega

Balcanica è privo di N astratti (deverbali e no: partenza, arrivo, solitudine, etc.), supplisce questa lacuna con clausole (introdotte dal complementatore cu16 e a soggetto arbitrario) trattate come N-Clausola [±FR]:

(46) SALENTINO a. cu stai sulu nu bbè bbèllu

[che stai solo]N non è bello “non è bello stare soli > la solitudine non è bella”

b. cu pparti crai me ncrisce [che parti domani]N mi dispiace 3.1.3. Casi di transizione. In pitta pitta (Australia) la temporalizzazione della clausola non è codificata dal V predicato ma dal N su cui si saldano apposite marche morfologiche. In questo caso quindi lo scope temporale è il predicato della clausola, ma l’informazione di tempo è distaccata sul N: 15 Lewis (1967: cap. X) descrive infatti questi caso come “substantival sentences”. 16 Per il complementatore cu in salentino e le sue funzioni, vedi Simone (2002).

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(47) PITTA PITTA (Blake 1987: 60) ngamari-ngu karnta ngartu-nga kankari-marru-ngu

madre-NOM.FUT andare nardoo-SCOPO coltello-avendo-NOM.FUT “la madre andrà a raccogliere il nardoo [pianta aromatica commestibile] col coltello” In altri casi l’informazione temporale è codificata due volte: tanto sul N (o

sulla N-Clausola) mediante un affisso dedicato quanto sul predicato della clausola con una replica del medesimo affisso. In altri termini, in questi casi l’informazione è ripetuta su due basi diverse con lo stesso mezzo morfologico. In (48), ad esempio, l’affisso di futuro appare sia nel verbo ausiliare sia nel N oggetto:

(48) JARAWARA (Amazzonia)

ee kaa hemejo-ba fonai mada ne-ba ee-ke 1pl.INCL POSS medicina-FUT Fonai mandare AUX-FUTM 1PL.INCL-DICHF “Fonai manderà la medicina [= la nostra futura medicina] per noi”

(incl = inclusivo, dich = dichiarativo) Lo stesso processo si ha in somalo (Lecarme 1996: 164), dove N e clausola possono essere temporalizzati, sia in modo indipendente sia in modo vincolato:

(49) SOMALO dhibaatádii Khalíijka wáy dhammaatay problemi.DEFF [+PASS] Golfo.DETM F+3P finire.[+PASS] “I problemi del Golfo sono finiti” 3.1.4. Tempo Nominale con scope sulla clausola. I due ultimi casi discussi fanno da ponte verso un ulteriore tipo, in cui l’informazione temporale portata dagli affissi del N ha per scope non il N stesso ma il predicato della clausola.

Questo caso, studiato in vari lavori di Nordlinger e Sadler, è peculiare dal punto di vista tipologico e teorico. Infatti, nelle lingue del mondo il tempo è tipicamente un operatore sul predicato, e, siccome la Forza Predicativa è per lo più portata dal V, è sul V che il tempo si applica. Nel caso in questione, invece, Forza Predicativa e temporalità si dissociano distaccando su costituenti diversi: il V porta la Forza Predicativa ma non la temporalità e l’aspetto, il N (più precisamente, l’articolo che lo determina) porta la temporalità e talvolta anche l’aspetto:

(50) CHAMICURO (Arawak, Perù) (Nordlinger & Sadler 2004: 598) a. p-askalat-ís=na čamálo 2-uccidere-2.PL=ART.NONPASS pipistrello “voi state uccidendo il pipistrello” b. p-askalat-ís=ka čamálo 2-uccidere-2.PL=ART.PASS pipistrello “voi avete ucciso il pipistrello”

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3.1.5. Tipi di tecnologie di Tempo Nominale. In conclusione di questa classificazione, in (51) è offerta un’illustrazione schematica della varietà delle TL mediante cui coefficienti temporali distaccano sul N e dei diversi scope della temporalizzazione:

(51) Tipi di temporalizzazione sul Nome Tipi di Tempo Nominale Risorse Scope

Morfologiche: affissi

1. Localizzazione temporale del referente

Sintattiche: Avverbi,

modificatori

Nome Clausola

nominalizzata

2. Informazione temporale sia sul referente sia sulla clausola

Morfologiche: affissi

Predicato di Clausola

3. Informazione temporale sulla sola clausola

Morfologiche: affissi

Predicato di Clausola

Livello basso

Livello alto

Si assume in questo schema che il caso 1 (Localizzazione temporale del referente, nelle diverse forme considerate prima) sia una TL di basso livello, dato che non influenza la predicazione; al contrario, la TL di livello più alto è rappresentata dal caso 3 (Informazione temporale sulla sola clausola, in cui il Tempo Nominale opera sul predicato). 3.2. N con struttura argomentale Numerose ricerche di varia impostazione teorica hanno mostrato che, al pari dei verbi, anche i N possono avere una struttura argomentale (Harris 1976; Gross & Günthner, in prep.; Grimshaw 1989; Pustejovsky 1995; Simone 2000), che può raggiungere anche notevoli livelli di complessità. Per questo si è ipotizzata (per esempio, Gross & Günthner, in prep.) l’esistenza di una classe di nomi-predicato, dotati di struttura argomentale.

È interessante notare che la relazione tra N deverbali e struttura argomentale è peraltro perturbata. Da una parte non solo i N deverbali hanno struttura argomentale – come ci si aspetterebbe perché, essendo morfologicamente connessi coi V, dovrebbero ereditare le proprietà sintattiche dei VEDI Essa appare anche in N privi di relazione con V: ad esempio, viaggio o messaggio, pur non essendo deverbali,17 hanno una struttura argomentale piuttosto ricca:

(52) il messaggio del presidente alla nazione sullo stato della Costituzione (53) ho fatto un viaggio da Roma a Milano

17 Se non forse in una fase storica primitiva, in cui venivano percepiti come nomina actionis. Va precisato inoltre che le due parole indicate hanno un passato di nomina actionis in francese. Altri N che non hanno nulla di verbale, neanche diacronicamente, possono avere struttura argomentale: per esempio, un muro contro la corruzione; preparare un farmaco contro la malaria.

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All’inverso non tutti i N deverbali hanno struttura argomentale: la sottoclasse

di quelli che ho suggerito di chiamare “Nomi di una Volta”18 (Simone 2004) non ha argomenti (salvo quelli “generici”) e i suoi membri si comportano come Ultra-nomi, cioè come N [+N].

Naturalmente il caso più evidente è quello in cui la struttura argomentale è propria di N deverbali:

(54) La presa del potere da parte di Luigi XIV (55) La prise du pouvoir par Louis XIV (56) L’allontanamento del preside dalla sua funzione da parte del rettore

Ma ci sono casi più complessi, in cui i N, conservando tratti verbali, riescono

a “vedere” gli argomenti del verbo. Il latino di Plauto offre in quest’ambito un fenomeno di speciale interesse (Panagl 2006) :

(57) Quid tibi ergo meam me invito tactiost ? (Plaut., Aul., 744) che a.te quindi la.mia.ACC me non.volente toccamento.è “Come hai potuto contro la mia volontà toccare la mia (scil. pentola)?”

(58) Quid tibi, malum, med aut quid ego agam curatiost ? (Plaut., Most., 34) che a.te male me.ACC o quel.che io faccio interesse.è “Perchè hai cura – cosa cattiva– di me o di quel che io faccio?”

In questi casi i N deverbali (tactio «toccamento» < tangere e curatio «interesse» < curare) conservano un coefficiente del V d’origine: sono infatti per così dire “N transitivi”, al punto che reggono un accusativo d’oggetto diretto (meam [aulam auri] e, rispettivamente med «me») esattamente come i V. Questo fenomeno, benché non di grande frequenza, non è isolato in latino, a giudicare dal fatto che se ne incontrano manifestazioni fino a epoca tardiva, anche in forme più drastiche delle precedenti (Panagl 2006), come in (59):

(59) pristinum doctor (Tert., ad. Prax. 1) [antico.neutro]Oggetto dottore “il maestro di cose antiche”19

18 I Nomi di una Volta (calco dell’arabo ‘ism ‘al-marrati) sono nomi per lo più deverbali che indicano un processo visto in uno dei suoi punti o in uno dei suoi possibili segmenti: sorsata, bracciata, frenata, etc. Ci sono lingue in cui essi hanno una marca morfologica (così negli esempi italiani appena citati, o in spagnolo, dove il suff. –azo ha la stessa funzione: vistazo, frenazo, etc.) o sintagmatica (come in francese, dove il formato coup de____ trasforma i nomi i nomi di una volta: coup de fil, coup de foudre, coup de bière, etc.: vedi su questo Simone & Masini in preparazione). Ho sviluppato la nozione di Nomi di una Volta in Simone (2004). 19 Qualcosa di simile esiste nella lingua burocratica italiana (e francese), dove oggetti diretti possono dipendere da parole che sono superficialmente participi presenti. Anche qui l’oggetto “vede” il coefficiente verbale distaccato nel N: presidente la commissione, dante causa, avente causa.

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L’infinito nominale spagnolo, per parte sua, pur essendo pienamente nominale (ha determinanti e modificatori del N), ha conservato la struttura sintattica (argomenti, avverbi) del V, fino a notevoli gradi di complessità (De Miguel 1995):

(60) el mirarle tan dulcemente la amada…

3.3. N con informazione di diatesi e di aspetto Un altro aspetto del distacco di coefficienti verbali sui N è costituito dai casi in cui i N possono codificare informazione di persona e di diatesi. 3.3.1. Informazione di persona e diatesi. In alcune lingue i N codificano, alla stregua dei V, reciprocità o riflessività, ma il fenomeno sembra toccare i N in misura più limitata che i V (Siloni & Preminger 2006). Inoltre questa proprietà è soggetta a forti restrizioni, a causa di cui essa appare solo in alcune categorie di N. In quest’ambito il ceco occupa una posizione particolare, perché ammette che un N deverbale si saldi con il pronome dedicato a codificare la riflessività e la reciprocità:

(61) CECO (Hron 2005) Petrovo umytí se za pět minut situaci nezachránilo Petr.GEN lavaggio sé in cinque minuti situazione NEG.salvò “Il lavarsi Pietro in cinque minuti non ha salvato la situazione”

Il greco antico codifica la diatesi nel N (attiva in (62), medio/passiva in (63)),

ma solo con le forme nominalizzate del V, che sono contrassegnate da un articolo che opera come NOMZZ:

(62) autò [...] tò apothnēiskein oudeìs fobeîtai (Plat., Gorg., 522e) stesso ART.NEUTRO [morire] nessuno teme “nessuno teme il fatto del morire in sé stesso” (63) hína [...] apistôsi tôi emè tetimnêsthai hupò daimónōn (Xen., Apol., 14) affinché dubitino ART.DAT.NEUTRO [me essere.onorato da divinità] “perché non credano che sono onorato dalle divinità”

Analogamente, in turco il NOMZZ -ma converte qualsivoglia radice verbale in N deverbale (si tratta di N di processo definito o indefinito: ne parlerò più sotto). Inoltre, siccome un ulteriore suffisso rende il verbo passivo, i N con –ma possono avere anche diatesi passiva (Godel 1945: 139):

(64) TURCO a. yaz-ma (o yaz-ı) scrivere-NOMZZ “l’atto di scrivere, lo scrivere, la scrittura, lo scritto”

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b. yaz-ıl-ma scrivere-PASSIVO-NOMZZ “il fatto di essere scritto”

In realtà, però, l’Infinito Nominale (IN) romanzo (65) ha per default

interpretazione transitiva con agente arbitrario, in cui pertanto l’argomento manifesto non può essere che un oggetto:

(65) il continuo picchiare i ragazzi (<x picchia continuamente i ragazzi, *i ragazzi si picchiano continuamente>) (66) ??il continuo esser picchiati dei ragazzi (o i ragazzi) (??<i ragazzi sono picchiati da x>)

L’infinito nominale in -si può esprimere reciprocità, ma non riflessività:

(67) il continuo picchiarsi dei ragazzi (<i ragazzi si picchiano l’un l’altro>) (68) ?il lavarsi di Carlo (<Carlo lava sé stesso?>)

I N deverbali romanzi, per parte loro, non possono ricevere per default un’interpretazione reciproco-riflessiva ma tendono ad essere interpretati in termini di diatesi (passiva o attiva o entrambe; negli esempi di 0 ho sottolineato la soluzione che considero preferibile, ma il tema merita uno studio approfondito: vedi intanto Grimshaw 1989):

(69) a. l’aggressione della polizia ha avuto una vittima (<la polizia aggredisce ~ la polizia è aggredita>)

b. la condanna dei presidenti è stata durissima (< i presidenti condannano ~ i presidenti sono condannati>) c. l’arresto dei poliziotti ha avuto luogo ieri (<i poliziotti arrestano ~ i poliziotti sono arrestati>) d. la predilezione di Carlo le è costata cara (<Carlo predilige x ~ *Carlo è prediletto da x>)

3.3.2. Informazione aspettuale. E’ noto che i N possono codificare informazione aspettuale (Pustejovsky 1995). Meno ovvio è il fatto che l’aspettualità è propria solo ai N di processo (Gross & Kiefer 1995; Simone 2000): questi codificano eventi dotati di una particolare struttura alla quale si possono collegare coefficienti aspettuali. Qualche anno fa (Simone 2004) ho proposto di disporre i N di processo secondo la scala di (70). (Uso tra parentesi alcuni termini della grammatica araba classica utili per designare alcuni tipi contenuti nella scala; per diverse ragioni la grammatica araba ha messo in luce le proprietà semantiche dei N più chiaramente sia della tradizione greco-latina sia della linguistica moderna.)

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(70) Nome di Processo Indefinito (o mas dar) > Nome di Processo Definito > Nome di Una Volta (o ismu ‘al marrati)

Nell’interpretazione che ne ho proposto, il continuum dei N di processo

procede col variare di due coefficienti aspettuali: [± processualità] e [± telicità]:

(71) Tipi di N processuale 1 2 3 4

Nome di una Volta (ismu ‘al-marrati)

Nome di Processo Definito

Nome di Processo Indefinito (masdar)

Infinito Nominale

[- processualità] [+ telicità]

[+processualità] [+telicità]

[+ processualità] [-telicità]

[+ processualità] [-telicità]

Esempi sorso, bracciata, passo

Esempi bevuta, nuotata, passeggiata, camminata, sudata

Esempi nuoto, sudorazione

Esempi (il) bere, (il) nuotare, (il) camminare

Il Nome di una Volta, essendo [-processuale], ricade nella classe dei N [+N]

(Ultra-nomi); le altre sottoclassi invece, siccome codificano processualità, presentano altri due cruciali coefficienti verbali: la struttura argomentale e l’aspetto, in particolare l’opposizione [+perfettivo] ~ [- perfettivo].

Nella scala dei N di processo ho messo (colonna 4) la classe degli IN, che (come ho mostrato in Simone 2004) sono N a pieno titolo anche se con bassa FR. Il motivo per cui essi appaiono nella scala dei N processuali è che sono portatori di una specifica aspettualità. L’IN infatti (a) ha forma superficiale verbale e (b) comportamento sintattico intermedio tra N e V, dato che prende specificatori e determinanti del N ma anche argomenti.

Inoltre, dal punto di vista semantico ha due peculiarità importanti, ottenute per Forzatura di Tipo: (c) converte il modo semantico del V in quello del N, arrivando in questo modo a designare un’entità; (d) codifica un’aspettualità: la processualità indefinita focalizzata. In ciò l’IN è affine alla classe di N deverbali che ho chiamato “Nomi di Processo Indefinito”, che hanno la stessa funzione: la differenza è che con l’infinito nominale la processualità non solo è codificata ma è anche focalizzata, cioè messa in rilievo rispetto a altre possibili interpretazioni processuali:

(72) Era un bisbiglio, uno strepito, un picchiare e un aprir d’usci, […] un interrogare di

donne dalle finestre, un rispondere dalla strada (A. Manzoni, I promessi sposi)

4. Restrizioni sul distacco di coefficienti verbali sui N

I dati che ho finora discusso mostrano che i coefficienti verbali non distaccano su tutti i N ma solo su alcune classi e che il distacco è sensibile a una varietà di restrizioni.

Seiler (1977) ha offerto una pista suggerendo che i N denominano in due

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maniere semioticamente diverse: c’è da un lato la “denominazione etichettante”, che non incorpora Forza Predicativa, dall’altro la “denominazione descrittiva”, che invece la incorpora.

(74) etichettante

a. gatto = *animale che … b. sedia = *oggetto che...

(75) descrittivo b. poeta = persona che scrive poesie c. viaggiatore = persona che viaggia d. vincitore = persona che vince

Nel secondo tipo, il N è l’involucro di una descrizione definita dotata di

Forza Predicativa. Quindi il coefficiente verbale in questi casi opera sul predicato contenuto nella semantica del N. Partendo da un punto del tutto diverso, Bach (1968) aveva sostenuto che tutti i N, una volta inseriti in un SN, contengono una clausola relativa sottostante, secondo lo schema seguente:

(76) Ho parlato con un antropologo < Ho parlato con un[o che è] antropologo

Entrambe le ipotesi si fondano sull’ipotesi che il tempo sia un operatore che agisce sul predicato. Ciò comporta che se il N accetta il Tempo Nominale (quale che ne sia lo scope) allora il N incorpora Forza Predicativa, ed è su questa che opera il coefficiente verbale. Quest’interpretazione permette di spiegare anche diversi fenomeni di trasposizione del modificatore, cioè i casi (identificati da Benveniste 1969) in cui l’aggettivo che modifica un N non è aggettivo vero e proprio ma è la trasposizione di un avverbio modificante un V sottostante:

(77) Un guidatore veloce < Una persona che guida velocemente (78) Un vincitore frequente < Una persona che vince frequentemente (79) Un forte fumatore < Una persona che fuma fortemente

Dal punto di vista della GCC, credo che sia più convincente interpretare queste restrizioni come dovute al diverso formato semantico che ciascuna sottoclasse di parole attualizza. Ritorno perciò al continuum di nominalità che ho illustrato all’inizio. Lo riprendo integrandovi gli elementi che ho disseminato nel corso della mia analisi a proposito della Scala di Nominalità.

Propongo quindi il seguente continuum:

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(80) Continuum di nominalità 1 2 3

[-N], [±N] [+N] [+N, +V] quasi-nomi ultra-nomi nomi con coefficienti verbali

2.1. Nomi [+FR]

3.1. Nomi di processo definito Nominalizzazioni 2

3.2. Nomi di processo indefinito Nominalizzazioni 3

3.3. Infiniti nominali e sim. Nominalizzazioni 4

quantificatori classificatori approssimanti nomi-supporto

2.2. Nomi di una volta Nominalizzazioni 1

Questa classificazione è ancora incompleta perché le sfuggono diversi casi

dubbi: ad esempio, per il fenomeno della Forzatura di Tipo diversi N flottano su più di una classe e hanno un comportamento distinto secondo la classe a cui appartengono:

(81) a. Ultra-nome: Ho comprato un regalo per Giovanni

b. Nome a struttura eventiva: Il regalo di un libro a [*per] Giovanni ha fatto parecchio effetto

Ma, benché provvisoria, la classificazione di (80) offre una traccia per cercar

di rispondere alla domanda che ho posto all’inizio: su quali classi di N distaccano coefficienti verbali? E in base a quale criterio?

La proposta che avanzo è che il distacco dei coefficienti verbali sui N vada di pari passo con la derivazione verso destra di (80), ossia col crescere del coefficiente di verbalità incorporata nei N. Quanto più il N è [+V], tanto più su di esso possono distaccare i coefficienti verbali. I Quasi-Nomi restano fuori del campo di distacco dei coefficienti verbali perché ad essi non può essere attribuita nessuna Forza Predicativa.

Esaminiamo quindi classe per classe i diversi tipi indicati in:

(82) a. sui Quasi-nomi non si ha alcun distacco di coefficienti verbali; b. fra gli Ultra-nomi, sui N [+FR] distaccano coefficienti temporali di basso

livello (localizzazione temporale del referente); c. sui Nomi di una Volta, in quanto Ultra-nomi, distaccano coefficienti di basso

livello (temporali); d. sui Nomi di Processo Definito e Indefinito e gli Infiniti Nominali distaccano

vari coefficienti verbali, in partic. la struttura argomentale e quella eventiva, che sono proprie delle strutture processuali.

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