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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 12 DICEMBRE 2015 Contro il terrorismo

Confronti dicembre 2015 (parziale)

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12DICEMBRE 2015

Contro il terrorismo

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Anno XLII, numero 12Confronti, mensile di fede, politica, vita quoti-diana, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Franca Di Lecce, Filippo Gentilo-ni, Adriano Gizzi, Giuliano Ligabue, Michele Li-pori, Rocco Luigi Mangiavillano, Anna MariaMarlia, Daniela Mazzarella, Carmelo Russo,Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Tagliacozzo,Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio,Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Lau-ra Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino,Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani,Franca Long, Maria Immacolata Macioti, AnnaMaffei, Fiammetta Mariani, Dafne Marzoli, Do-menico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Mena-pace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca MariaNegro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabba-dini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Cri-stina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia Guar naProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: R. Bertoni, J. Betz, F. Brezzi, C. Brighi, F.Cardini, S. Corradino, F. Ferrario, M.Ferraris, M. Gendreau-Massaloux, M.Kromer, M. Maisano, M.P. Mazziotti, F.Peloso, G. Sarubbi.

Le immaginiNot in my name • Andrea Sabbadini, copertinaI 160 della Claudiana • 3

Gli editorialiIl terrore, la pancia, l’Europa • Claudio Paravati, 4Ogni governo sogna la sua legge bavaglio • Stefano Corradino, 6

I serviziTerrorismo Senza nervi saldi, l’Europa è perduta • Ottavio Di Grazia, 7

Terrorismo ed Europa: i fantasmi identitari • Maurizio Ferraris, 8Mediterraneo: cosmopolitismo e laicità • M. Gendreau-Massaloux, 11Se il linguaggio veicola il razzismo • Lia Tagliacozzo, 13

Geopolitica Turchia: le carte in mano a Erdogan • Franco Cardini, 15Birmania Una difficile rinascita • Cecilia Brighi, 18Vaticano Fra conservazione e bisogno di «pulizia» • Francesco Peloso, 20Islam La sfida del dialogo • Giovanni Sarubbi, 22

Riscoprire le radici comuni di pace • Michele Lipori, 24Chiesa cattolica In attesa di un Sinodo per l’Italia • Luigi Sandri, 25

Quale umanesimo • Giancarla Codrignani, 28Teologia Paul Tillich, il teologo della correlazione • (int. a) Fulvio Ferrario, 29Cultura Antigone: l’amore è legge • Francesca Brezzi, 31

Un mito che ci pone ancora molte domande • Maria Pia Mazziotti, 32Editoria Da 160 anni la Claudiana ci racconta la Riforma • (int. a) M. Kromer, 33Ecumenismo Francesco ai luterani: «chiediamoci scusa» • (int. a) Jakob Betz, 35Incontri/Vigliani La bambina che viene dalla montagna • Piera Egidi Bouchard, 36

Le notizieYemen Silenzio dell’Italia e dell’Europa sui crimini dell’Arabia Saudita, 38Informazione Rapporto dell’Unesco: oltre 700 giornalisti uccisi in dieci anni, 38Diritti Il rapporto dell’Onu sui bambini apolidi, 39

Rapporto sui diritti globali 2015 della Cgil, 39Antisemitismo Molti attestati di solidarietà dopo l’accoltellamento di Nathan Graff, 39Economia «Onde di giustizia», convegno alla Città dell’Altra economia di Roma, 40Chiesa cattolica Ricordato il «Patto delle catacombe» del 1965, 40

Il movimento internazionale di riforma ecclesiale Imwac a Roma, 41Incontri «Guerre: quali profitti», il Cantiere di pace 2015-2016 del Cipax, 41

A Tirana convegno delle maggiori Chiese e organizzazioni cristiane, 42Convegno Un convegno per ricordare il teologo Ernesto Buonaiuti, 42

Le rubricheNote dal margine Nassiriya: umiliati e offesi • Giovanni Franzoni, 43In genere Donne e politica: i 70 anni del diritto di voto • Anna Maria Marlia, 44Libro Heysel, il dovere della memoria • Roberto Bertoni, 45Segnalazioni 46

RISERVATO AGLI ABBONATI: chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a [email protected]

CONFRONTI12/DICEMBRE 2015WWW.CONFRONTI.NET

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LE IMMAGINI

Le foto che illustrano questo numero si riferiscono al servizio di pagina 33 e provengono dall’archivio della casa editrice Claudiana di Torino.

I 160 DELLA CLAUDIANA

Frontespizio de «L’amico di casa» del 1893, almanacco popolare illustrato.

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GLI EDITORIALI

La strage di Parigi del 13 novembre ha fatto aumentare la diffidenza verso tuttii musulmani presenti in Europa, come sefossero tutti sostenitoridello Stato islamico. Pur non avendo alcunaresponsabilità per leviolenze, la comunitàmusulmana italiana havoluto opportunamentedare un segnale cherisultasse chiaro a tuttal’opinione pubblicaallarmata dallapropaganda populistaanti-islamica,scendendo in piazza il 21 novembre al grido di «Not in my name».

Il terrore, la pancia, l’EuropaClaudio Paravati

Beirut (12 novembre, 43 morti), Pari-gi (13 novembre, 129 morti, 300 feri-ti), Bamako, in Mali (20 novembre,170 ostaggi, 22 morti): questo è il pe-

sante bollettino di novembre del terrorismodel cosiddetto Stato islamico (l’Isis, il cuiacronimo, in arabo, è Daesh) e dei movi-menti a esso affiliati. Un’azione terribile diguerra «a pezzetti» perpetrata, con dram-matica folle lucidità, da coloro che seguo-no una propria ideologia del terrore.

Il terrore. A dieci mesi da Charlie Hebdo,ancora una volta la Parigi di Rousseau e Vol-taire è stata colpita. Questa volta però conuna violenza ancor più impressionante: seiattacchi coordinati nel giro di 33 minuti,sparando sulla folla, in strada e nei locali, so-prattutto fra giovani che stavano trascor-rendo il venerdì sera fuori casa. Un attaccoterroristico senza precedenti in Francia.

La pancia. Le reazioni sono state ovvia-mente di sgomento, disperazione e rabbia.Il presidente Hollande ha promesso che laFrancia reagirà «senza pietà»; Barack Oba-ma ha parlato di «attacco a tutta l’umanitàe ai nostri valori universali». Eppure tuttigli attacchi nel mondo sono un «attacco atutta l’umanità», gli hanno da più parti fat-to notare sulla rete internet gli statuniten-si. Hanno ragione: solo nel mese di ottobre,714 iracheni sono morti in atti terroristici.Il che non giustifica, né allevia ciò che èsuccesso a Parigi: semmai ne è un aggraviosostanziale.

Qui da noi, intanto, si sono levate varievoci per chiedere conto di quei crudelieventi ai musulmani italiani. È tuttavia deltutto evidente che un musulmano che vivein Italia, quale che sia il suo paese d’origine(Siria, Pakistan, Nigeria...), non ha nessunaresponsabilità per quanto compiuto da uncorreligionario in qualche parte del mondo.Del resto, nei decenni passati, a nessuno èvenuto in mente di chiedere conto ai pro-testanti italiani delle violenze dei loro fra-telli nella fede in Irlanda del Nord, o ai cat-tolici nostrani degli attentati compiuti dai«terroristi cattolici» dell’Ira.

La richiesta, dunque, è di per sé senzasenso. E tuttavia, dato il clamore deglieventi e la bieca strumentalizzazione com-piuta da alcuni media («Bastardi islamici»)e da alcuni partiti politici per criminalizza-re in blocco i seguaci dell’islam, era politi-camente e culturalmente più che opportu-no che dalla variegata comunità musulma-na in Italia si levassero voci per condanna-re in modo pubblico e inequivocabile l’at-tacco terroristico di Parigi. Per dire chel’interpretazione del Corano che il Daeshtenta di imporre con la violenza è un tradi-mento del libro sacro dell’islam: dunque unmessaggio importante, che aiuta a capire, adistinguere, a non fare di ogni erba un fa-scio, e a respingere come storicamente, teo-logicamente e di fatto infondata e inam-missibile l’equazione islam=violenza.

Perciò è stata pregna di significato la de-cisione (presa per la prima volta, data l’ec-cezionalità della situazione) da parte diesponenti musulmani, e delle loro varie or-ganizzazioni, di promuovere e partecipa-re – insieme alla cittadinanza – alle mani-festazioni che si sono tenute il 21 novem-bre, a Roma e a Milano soprattutto, sotto loslogan «Musulmani d’Italia. Not in my na-me [Non nel mio nome]». E sentire imamche dal palco proclamavano parole sculto-ree – «Non esiste guerra santa, solo la paceè santa», «I terroristi che invocano Allahper uccidere tradiscono l’islam» – è statoun evento finora inedito, a tale livello.

Il «Not in my name» è bene però che fun-ga da passaggio per un «not in our name».Ovvero che diventi realmente e politicamen-te la strada senza «se» e senza «ma» della no-stra - our - politica interna e internazionale.Cosa possiamo fare dunque come Italia e co-me Europa di fronte al massacro di Parigi?

Prima di tutto capire da dove viene e per-ché è sorto il Daesh, e come resta in vita.Senza questo passaggio sarà fin troppo fa-cile abbandonarsi alle scivolose e pericolo-se tesi dello «scontro di civiltà» e della«guerra di religione». Meglio ripartire dalcolonialismo e dal post-colonialismo; dalladistruzione della Libia e dell’Iraq decisadall’Occidente a guida statunitense; dallastrategia del «caos ordinato», fallimentare,adottata dalle superpotenze mondiali inMedio Oriente; e infine dalla chiusura allademocratizzazione del potere da parte de-gli stessi paesi arabi.

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GLI EDITORIALI

Il flusso d’armi e di soldiproveniente dal bloccoatlantico – quindi anche dall’Italia – versomercati che foraggianoil Daesh e gli estremistidura da decenni. «Not in our name»dovrebbe significarechiudere domanimattina i rubinetti del commercio delle armi. Armi e soldi, basta. E questa è una partitatutta in mano nostra.

Secondo: fare pace con la realtà. L’ArabiaSaudita negli ultimi cinque anni ha speso cen-to miliardi di dollari per acquistare sistemid’arma dagli Stati Uniti, essendo loro storicialleati fin dal 1945. Qui il flusso d’armi e disoldi proveniente dal blocco atlantico – quin-di anche dall’Italia – verso mercati che forag-giano il Daesh e gli estremisti dura da decen-ni. «Not in our name» dovrebbe significarechiudere domani mattina i rubinetti del com-mercio delle armi. Armi e soldi, basta. E que-sta è una partita tutta in mano nostra.

Terzo: non rinunciare mai, soprattutto innome della sicurezza, a libertà, diritti (e do-veri) e pace. Non è il momento di cedere diun millimetro a chi parla, senza neanchesapere di cosa parla, di «buonismo» osciocchezze affini, mettendo a repentagliole convinzioni fondanti della nostra libertà.Neanche la paura per la nostra stessa inco-lumità quotidiana (obiettivo dell’attaccoparigino) ci può far vacillare nell’essere, perl’appunto, europei.

Fare passi indietro, creare uno Stato di po-lizia, rivedere Schengen, affidarsi all’azionemilitare come salvezza è una scelta «not inmy name», o meglio «not in our name».

L’Europa, troppo timida e ancora fram-mentata politicamente, ha però il suo com-pito – potrebbe averlo – ben chiaro e deli-neato. Deve intervenire come la «vecchia»Europa per contrastare machismi politici,interventismi muscolari senza visione, stran-golamento della libertà in nome della sicu-rezza e della paura – e quindi xenofobia, raz-zismo, violenza, discriminazione. Deve met-tere in campo ratio e historia. Il che non hanulla a che fare con «teorie», ma è una«prassi» di vita e di politica, cosa somma-mente concreta.

Usare la forza (politica): tagliare soldi erifornimenti al Daesh, mettere in campo una«forza culturale» per creare un Mediterraneo,e via via un mondo, che per mezzo di allean-ze costruisce la pace. Questo progetto sì coin-volge tutti noi, «in our name».

La libreria Claudiana di Torino, aperta agli inizi degli anni Quaranta del Novecento.

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GLI EDITORIALI

Anche il governo Renziprova a mettere il bavaglioall’informazione libera:approvata alla Camera a giugno (ora all’esame del Senato) la nuova legge sulladiffamazione, che secondo Rodotàmetterebbe seriamentea rischio il dirittocostituzionale ad informare ed essere informati. Il nodo delleintercettazionitelefoniche e quellodelle querele temerarie.

Ogni governo sogna la sua legge bavaglioStefano Corradino

«G iuro che se e quando la legge bava-glio sarà approvata mi impegnerò afare prevalere sempre e comunque ildovere di informare e il diritto di es-

sere informati... Giuro che attraverso tv, ra-dio, giornali, siti e blog e con ogni altro mez-zo possibile darò qualsiasi notizia che rivestai requisiti del pubblico interesse e della rile-vanza sociale come prevedono le sentenzeeuropee, i valori costituzionali e la legge isti-tutiva dell’ordine dei giornalisti... Giuro cheutilizzerò tutti gli strumenti possibili per di-sattivare questa norma ingiusta ed incivileche si propone non solo di colpire giornalistied editori, ma di oscurare l’opinione pubbli-ca e di rendere impuniti corrotti e corrutto-ri...». Questo «giuramento di Ippocrate» deigiornalisti, l’associazione Articolo 21 lo hascritto e recitato il 23 maggio 2010 a piazzaMontecitorio nel corso di un sit-in contro ilddl Alfano sulle intercettazioni.

A distanza di cinque anni quel giuramentoconserva, purtroppo, tutta la sua validità e at-tualità alla luce della nuova legge sulla diffa-mazione approvata nel giugno di quest’annoalla Camera (a breve arriverà al Senato) eche, come ha giustamente commentato ilgiurista Stefano Rodotà, mette seriamente arischio il diritto costituzionale ad informareed essere informati, e per questa ragione èpericolosa, «non solo per la libertà d’infor-mazione ma per la democrazia stessa».

Vediamo, quantomeno per titoli, quali so-no le nostre preoccupazioni sui tentativi dibavaglio all’informazione: · delega al governo sulle intercettazioni: de-mandare all’Esecutivo in questa materia èsbagliato e pericoloso. Significa svuotare ilParlamento del suo ruolo e impedire una di-scussione pubblica e trasparente che si tra-sferirebbe nelle stanze inintelligibili dellecommissioni interministeriali. Come si com-porterebbe il governo qualora dovesse deci-dere sulla diffusione di intercettazioni che ri-guardassero qualcuno dei suoi componenti?· Intercettazioni e privacy: chiedere unastretta sulle intercettazioni telefoniche in no-me della tutela della privacy è un espedien-

te improprio. Le leggi per preservare la riser-vatezza dei cittadini esistono già, si tratta so-lo di applicarle. Al contrario, se fosse passa-to qualche anno fa il principio della limita-zione dell’uso delle intercettazioni, probabil-mente l’opinione pubblica non conoscereb-be alcunché dei più grandi scandali finanzia-ri e politici degli ultimi anni.· Querele temerarie: è uno degli strumentipreferiti dai «potenti» di turno per scorag-giare chi fa informazione dal proseguire lun-go la sua strada. Si chiede un risarcimentomilionario costringendo così un cronista,magari anche precario e in un luogo ad altotasso di criminalità, ad occuparsi di altro.Praticamente un’intimidazione preventivache genera inevitabili forme di autocensura.«Chi me lo fa fare – si domanderà il giorna-lista “di frontiera” – di indagare sugli intrec-ci tra politica, economia e criminalità nellamia realtà se, oltre ai rischi per la mia inco-lumità, posso incorrere in richieste di inden-nizzo insostenibili? Per questo una leggecongrua sulla diffamazione dovrebbe preve-dere, come succede nella gran parte delle de-mocrazie occidentali, che il querelante, almomento dell’esposto, sia obbligato a versa-re una cauzione cospicua che poi perdereb-be, in favore del querelato, in caso di perditadella causa.

Il 5 novembre scorso, insieme alla Federa-zione nazionale della stampa, all’associazio-ne Stampa romana e al Comitato #nobava-glio, ci siamo ritrovati davanti ai cancelli deltribunale di Roma per esprimere solidarietàai 96 cronisti denunciati per aver raccontatole lordure di Mafia capitale, per aver fornitoai lettori notizie di interesse pubblico sul ma-laffare che ha infangato Roma e l’Italia. E ol-tre al nostro «giuramento» abbiamo rilan-ciato l’appello pubblicato sul sito nobava-glio.org e sottoscritto da decine di giornalistie associazioni. «No bavaglio 3», a rappresen-tare una battaglia che continua indipenden-temente dal colore del governo di turno.

Perché imbavagliare l’informazione non si-gnifica solo impedire a un giornalista diadempiere al suo dovere professionale, mainibisce il diritto dei cittadini di conoscere laverità sulle tante zone d’ombra che anneb-biano la nostra quotidianità.

Stefano Corradino è giornalista Rai e direttore di Articolo 21.

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TERRORISMO

Ottavio Di Grazia

G li attacchi terroristici di Parigi del 13novembre scorso, ma anche quelli chesi sono susseguiti e si susseguono or-mai ininterrottamente da mesi e anni,

con la scia di dolore e sbigottimento che la-sciano, ci costringono tutti, anche quelli piùriottosi e indolenti, a misurarci lucidamentesu questioni ormai ineludibili.

In gioco c’è sicuramente una riflessionesull’islam, sulle religioni, sul dialogo, sul far-si e disfarsi di alleanze, di convenienze di-plomatiche, di scelte politiche, sugli scenarigeopolitici, demografici e militari che si fan-no sempre più confusi e incerti. Ma proprioperché siamo di fronte a snodi storici e geo-politici complessi non possiamo lasciarci so-praffare solo dalle emozioni, seppure forti,che tuttavia svaniscono nel giro di pochigiorni, ma dobbiamo fare spazio a una seriariflessione, che con intelligenza, realismopolitico ed efficacia delle analisi e delle stra-tegie risponda all’incalzare delle domande,ai timori, alle speranze, all’altezza delle tra-gedie storiche che stiamo vivendo.

Certo non possiamo accontentarci dellevuote, stupide retoriche che accompagnanoi commenti (spesso anche «autorevoli») diquesti giorni su: scontro di civiltà, barbarie,umano, disumano, come se questi elementifossero cifre vuote senza alcun legame concontraddizioni e conflitti. Un’altra di questefigure retoriche è che l’islam sarebbe unblocco unitario senza differenze al propriointerno solo perché c’è un credo religiosoche fa da collante, per cui lo si appiattisce sulfondamentalismo, sul terrorismo. I militan-ti di Daesh saranno anche «seguaci» del Pro-feta ma prima di tutto hanno ridotto Dio aideologia, contro ogni insegnamento del Co-rano. La loro religiosità è priva di spiritualità

e in fin dei conti di religiosità stessa. Sonodei nichilisti assoluti. La loro alternativa nonè tra fede e non, ma tra vita e morte, vita enulla.

I sinistri bagliori che attraversano la capi-tale francese si riflettono sulle nostre vite erendono affannose le risposte alle domandeche ci assillano: è davvero inevitabile il con-flitto tra mondo occidentale, Europa e mon-do islamico? È questo lo scenario destinato asegnare le nostre esistenze? Sarà il «fonda-mentalismo» o ciò che questo termine do-vrebbe indicare, la cifra che compatterà tut-to l’islam alla ricerca di un riscatto? O è l’i-slam nel suo insieme, il nuovo nemico? E co-sa farà l’Occidente?

Il terrorismo di Daesh, i suoi attacchi inEuropa, ma anche in Africa e altrove, deveessere studiato e affrontato con strumenti al-l’altezza. Non possiamo accettare valutazio-ni che si basano su stereotipi o chiavi di let-tura obsolete. Esso non si limita più ad ali-mentare gli incubi delle diplomazie, dei go-verni e delle borse dei paesi occidentali, mapenetra nella vita di ciascuno di noi comeun’incognita difficilmente riconducibile aduna qualche previsione fatta con superficia-lità e scarsa attenzione alle reali dinamichein gioco. Siamo di fronte a un fenomeno chenon è un inquietante fantasma, ma si nutredelle contraddizioni di anni di miopia politi-ca e diplomatica da parte delle potenze occi-dentali. Un fenomeno che allunga le sue om-bre, non solo sui gruppi più radicali ed estre-misti, ma su masse sempre più vaste di po-poli in cerca di riscatto economico e di ri-scossa politica.

Intanto occorre aver chiaro che – come hascritto Amos Oz – questo conflitto, questaguerra, «prima che essere una guerra control’Europa e l’Occidente, è una guerra internaall’islam per il suo cuore. È un conflitto sulsignificato e l’identità dei musulmani». Unproblema che richiama sicuramente, anchese impropriamente, questioni religiose, ilrapporto tra ebrei, cristiani e musulmani, masoprattutto questioni geopolitiche. Infatti sia-mo in presenza di una guerra fra sunniti e

Dopo la strage di Parigi siamo stati sommersi dalla retorica e inmolti hanno indicato l’ineluttabilità di uno «scontro di civiltà» tramondo occidentale e mondo islamico. Ma i militanti di Daesh, an-dando contro l’insegnamento del Corano, riducono Dio a ideolo-gia: sono dei nichilisti assoluti, privi di spiritualità.

Senza nervi saldi, l’Europa è perduta

Ottavio Di Grazia è docente di Storia delle religionidel Mediterraneo.

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TERRORISMO

sciiti, fra sauditi e iraniani. I nemici dell’Eu-ropa, ovvero i terroristi, sono gli stessi chel’Europa e i suoi alleati nel Golfo hanno ap-poggiato in chiave anti-Bashar al Assad. Eche dire delle inquietudini dell’area sub-sahariana, della saldatura tra Boko Haram inNigeria e lo jihadismo di altro tipo che scen-de dal Nord, in particolare dalla Libia o daquello che è oggi?

Se non comprendiamo questo dato fonda-mentale sarà inevitabile creare nuovi mostrie nuovi incubi da parte dell’opinione pubbli-ca occidentale. Basta osservare le reazioni diquesti giorni, certo a caldo, ma cavalcate ci-nicamente da capi di Stato, primi ministri eministri dell’Interno. Intanto si è subito regi-strata la vera e propria dichiarazione di guer-ra della Francia. Ma a chi? Per cosa? Una di-chiarazione di guerra accompagnata dall’as-sordante silenzio del resto d’Europa. Il soloPutin e in parte Obama, con qualche caute-la, hanno deciso di accompagnare il presi-dente francese Hollande in questa avventurache rischia di naufragare; o quanto meno diprodurre nuovi mostri geopolitici. Le azionimilitari senza alcuna strategia politica sonodisastrose. Afghanistan, Iraq e Libia ce lo ri-cordano ogni momento. Oggi perfino l’expremier britannico Tony Blair ha ammessoil proprio errore per l’attacco anglo-ameri-cano all’Iraq del 2003.

Il problema è che l’unica cosa che si staproducendo è un restringimento degli spazidi democrazia, e un profondo cambiamentodelle politiche che dovrebbero regolare i flus-si migratori. Gli immigrati sono ritenuti po-tenziali seminatori di terrore. Eppure la granparte di essi fugge da guerre e persecuzioni,da quello stesso terrore che ha colpito Parigie da anni colpisce la Nigeria, la Libia, la Siria,l’Iraq, il Mali e l’Afghanistan.

L’Europa fa fatica a misurarsi con questi te-mi. Anzi è attraversata da spinte razziste, an-tisemite, incoraggiate da movimenti e parti-ti che pescano nel torbido e si presentano co-me baluardo a difesa dei valori occidentali.Molti di questi movimenti e partiti, in diver-si paesi europei, hanno trovato spazio nellesedi istituzionali e rischiano di scompagina-re tutto.

L’incombenza della minaccia terroristicanon fa altro che evidenziare fratture e con-trapposizioni che, certo, non aiutano nel dif-ficile compito di sconfiggere il terrore.

L’azione terroristica è molto più di qualco-sa che viene «da fuori», di incontrollabile. Èsemmai qualcosa che viene «da dentro» eche fa parte di quello che noi siamo. Non siintende certamente che i terroristi siamonoi, il punto è tuttavia che i terroristi sonoin gran parte persone che vengono dall’In-ghilterra o dalla Francia, non sono i «noma-di dalle steppe»: si nutrono della grammati-ca occidentale, costruiscono «videoclip»drammaticamente simili allo «splatter» delcinema horror europeo e americano.

La lettura per la quale quello in atto sareb-be uno scontro tra culture o uno scontro trareligioni non regge in alcun modo, perché, secosì fosse, si dovrebbe assumere che tutti iterroristi siano musulmani e che tutti i mu-sulmani siano terroristi. E quando si sentechiedere come mai di fronte a tali fatti di ter-rore gli islamici moderati non si dissocino,non riflettiamo su ciò che tale domanda im-plica come premessa: ovvero che tutti i mu-sulmani siano colpevoli, e che quindi debba-no giustificarsi e chiedere scusa.

Il terrorismo non ha nulla a che fare conl’islam. Andando a vedere quali siano le cau-se remote del terrorismo, è semmai oppor-tuno individuarle nel colonialismo. Ci di-mentichiamo del colonialismo, quasi fosseun periodo remoto e lontano, mentre par-liamo di cinquant’anni fa. Nel 1956, quandosono nato, Francia e Inghilterra sono inter-venute nel Canale di Suez per difendere ipropri interessi politico-economici. Un’a-zione oggi impensabile, ma che era ancoranaturale per la politica dell’epoca: era giu-stificabile e possibile.

E se volessimo, detto ciò, chiedere: perchéallora i terroristi vogliono costruire «il calif-fato», mentre in altri paesi, anch’essi conuna storia di colonizzazione, non c’è un fe-nomeno simile? Come per esempio nel sud-est asiatico?

Risposta: è bene tenere in mente che inquelle zone si sono trovate diverse soluzio-ni statali. Inoltre, in secondo luogo, quellearee ricoprono posizioni geopolitiche deltutto differenti rispetto a – per esempio – ilMedio Oriente. Non si può trascurare que-

i servizi dicembre 2015 confronti

Vi proponiamo alcuniestratti dall’interventodi Maurizio Ferrarisall’ottavo «Festivalmediterraneo della laicità: laicità e cosmopolitismo»,svoltosi dal 13 al 15novembre a Pescara.

Terrorismo ed Europa: i fantasmi identitariMaurizio Ferraris

Il professor Maurizio Ferrarisinsegna Filosofia teoreticaall’Università di Torino e dirige il «Labont» (Laboratorio di ontologia).