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CORSO PER CACCIATORE FORMATO CORRETTO TRATTAMENTO IGIENICO-SANITARIO DELLE CARNI E LORO VALORIZZAZIONE Dott. Vet. Fausto Cambiotti

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CORSO PER CACCIATORE FORMATO

CORRETTO TRATTAMENTO

IGIENICO-SANITARIO DELLE CARNI

E LORO VALORIZZAZIONE

Dott. Vet. Fausto Cambiotti

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INDICE 1 INTRODUZIONE 2 LEGISLAZIONE 3 SIGNIFICATO BIOLOGICO DELLE CARNI DI SELVAGGINA 3.1 Caratteristiche proprietà della selvaggina come alimento per l’uomo 4 DEFINIZIONI 5 IGIENE E QUALITA DELLE CARNI DI SELVAGGINA 5.1 Formazione del cacciatore e conoscenze di base - 5.2 osservazione dell’animale - visita ante mortem - 5.3 Tecnica di caccia e di prelievo e qualità delle carni - 5.4 Armi e munizioni - 5.5 Punto di elezione per colpire ed abbattere l’animale 6 TRATTAMENTO E MANIPOLAZIONE DELLA SPOGLIA 6.1 Tempo di recupero della spoglia - 6.2 Modalità di trattamento della spoglia dopo l’abbattimento ed il recupero - 6.3 apposizione della fascetta di riconoscimento ed altre operazioni connesse - 6.4 Dissanguamento - 6.5 Eviscerazione 7 MICRORGANISMI CHE CONTAMINANO LE CARNI 8 VETTORI BIOLOGICI 9 CONSIGLI ED INDICAZIONI PER IL PRELIEVO DI CAMPIO NI DA SOTTOPORRE AD ESAMI DI LABORATORIO 10 INTERPRETAZIONI DELLE LESIONI ED ANOMALIE RISCON TRABILI DURANTE L’APERTURA DELLA SPOGLIA 11 TRATTAMENTO DELLA CARCASSA SINO ALL’ARRIVO A DES TINAZIONE 12 LA FROLLATURA DELLE CARNI 13 LO SCUOIAMENTO 14 IL SEZIONAMENTO 15 PREPARAZIONE DEI TAGLI 16 METODI DI CONSERVAZIONE 17 DESTINAZIONE DELLA SELVAGGINA CACCIATA 17.1 Vigilanza sulla commercializzazione e/o somministrazione delle carni di selvaggina prodotte dall’attività venatoria 18 MALATTIE DEGLI UNGULATI SELVATICI E ZOONOSI 18.1 Rabbia - 18.2 - Peste suina - 18.3 Brucellosi - 18.4 Tubercolosi - 18.5 Paratubercolosi - 18.6 Listeriosi - 18.7 Salmonellosi - 18.8 Botulismo - 18.9 Cheratocongiuntivite infettiva - 18.10 Leishmaniosi - 18.11 Echinococcosi - 18.12 Trichinellosi - 18.13 Malattie trasmesse da zecche (Malattia di Lyme). 19 CARNI A TAVOLA 19.1 Metodi di utilizzazione - 19.2 Utilizzo dei tagli - 19.3 Le spezie e le piante aromatiche - 19.4 Le conce - 19.5 La cottura - 19.6 Ricette culinarie

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1 INTRODUZIONE La stesura di questo sintetico manuale ha lo scopo di far conoscere al cacciatore ed a quanti utilizzano a fini alimentari le carni di selvaggina, quali siano le pratiche corrette da eseguire nel prelievo venatorio e nella gestione della spoglia nei vari stadi della sua lavorazione, allo scopo di produrre carni di elevata qualità igienico-sanitaria ed organolettica. La selvaggina è un pregiato prodotto della natura: la ricerca, la caccia e la cattura di animali selvatici è stata per millenni una delle più importanti occupazioni degli uomini. Prodotto naturale pregiato che occupa un posto importante nell’ambito di una “alimentazione sana e naturale”, tema attuale, trattato quotidianamente anche dai media. Gli animali selvatici possono scegliere liberamente come nutrirsi, di qui la speciale fragranza delle carni, ed inoltre la grande libertà di movimento di cui godono, fa si che la loro muscolatura sia perfettamente formata ed irrorata di sangue. Oltre ad essere uno degli alimenti più nutrienti, queste carni sono anche molto tenere e saporite. La selvaggina tuttavia non è sempre propriamente selvatica, in molti paesi, ed anche in Italia, sono state sviluppate diverse forme di allevamento. Occorre sottolineare che c’è una differenza sostanziale tra “selvaggina selvatica” e “selvaggina di allevamento”; quest’ultima per qualità etica, ecologica ed organolettica, è da classificare ad un livello decisamente inferiore. I cambiamenti sociali nei decenni passati hanno portato all’abbandono di molte aree rurali determinando ripercussioni sull’ambiente del nostro Paese e della nostra Regione, favorendo la presenza di numerose specie di ungulati.. Sicuramente il quadro faunistico attuale è decisamente variato rispetto a quello ad esempio presente 30 anni fa e per molte specie siamo passati da una scarsa presenza o addirittura assenza, ad una più o meno marcata abbondanza. Tra queste specie in Umbria annoveriamo il Cinghiale, il Capriolo, il Daino e, seppur in misura meno marcata, il Cervo ed il Muflone. Da un approccio orientato alla protezione, si è potuto e dovuto iniziare a pensare in termini di conservazione e gestione. Il concetto di gestione ambientale e faunistica è ormai patrimonio culturale della nostra società. Parlare di gestione della fauna implica, per ragioni etiche ed economiche, anche un corretto utilizzo della spoglie degli animali prelevati durante l’attività venatoria e questo breve manuale vuole essere un piccolo passo in questa direzione. L’applicazione da parte del cacciatore di alcune precauzioni e manualità, risulta di fondamentale importanza per la qualità igienica ed organolettica delle carni nonché per la loro conservabilità. In un ottica di gestione, le spoglie degli animali prelevati ritornano ad essere una risorsa e chi pratica l’attività venatoria dovrebbe quindi essere ben consapevole del fatto che l’igiene delle carni inizia con la scelta, ad esempio, del metodo di caccia e soprattutto con una corretta formazione del cacciatore. La formazione diventa quindi strumento fondamentale, perché il cacciatore sia parte integrante di un processo qualitativo che garantisca la salute del consumatore. La scelta del capo e l’attenta osservazione del suo comportamento prima dello sparo rappresentano infatti un aspetto estremamente importante, tanto che nella lista dei “segni dubbi” elencati nel testo del Regolamento CE 853/2004 compare proprio la dicitura “comportamenti anomali”. Il cacciatore è l’unica persona che ha l’opportunità di osservare l’animale ancora in vita, ed è quindi la sola figura in grado di poter effettuare un’operazione simile a quella della visita ante mortem, che si svolge di routine prima della macellazione nei mattatoi. Il ruolo del cacciatore continua ad essere importante anche durante le fasi successive all’abbattimento, sia per quanto riguarda l’eviscerazione e tutte le fasi successive da eseguire sull’animale abbattuto, il suo trasporto, l’accurata osservazione di quest’ultimo, per il rilevamento e la segnalazione di eventuali caratteristiche anomale. Le carni di selvaggina fanno parte da sempre delle tradizioni alimentari delle varie Regioni

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d’Italia e naturalmente anche dell’Umbria. Negli ultimi decenni sono aumentati considerevolmente i consumi di questi generi di alimenti, tanto da consigliare il ricorso agli allevamenti di determinate specie di selvatici o l’importazione di carni da altri Paesi. Esistono poi le carni derivanti dai prelievi venatori: tali quantitativi raggiungono cifre inaspettate, soprattutto per la specie cinghiale, ponendo quesiti sulla qualità delle carni prodotte e sullo smaltimento dei sottoprodotti ( la resa in polpa di carne di una carcassa è soltanto del 30-35%.) Negli ultimi decenni, visto anche il continuo espandersi in termini numerici del patrimonio faunistico riguardante gli ungulati selvatici nelle zone collinari e montane della nostra Regione, la caccia a tali specie è diventata attività sempre più diffusa (sono ormai 1500 i cacciatori di selezione formati dalla Provincia di Perugia) con volumi di produzioni carnee non affatto trascurabili: cinghiale e capriolo soprattutto, ma anche daino, cervo e muflone. Il seguente aumento del consumo di tali carni, e i nuovi orizzonti che si profilano davanti a questo mercato ancora considerato “di nicchia”, ci impone necessariamente alcune considerazioni ed alcune azioni. In questo contesto la figura del cacciatore, ribadiamo, assume un ruolo fondamentale in quanto è lui il primo responsabile della salubrità del prodotto cacciato. E’ un ruolo impegnativo e di grande responsabilità e per questo ci auguriamo che il presente manuale, pur nella sua semplicità, possa arricchire quella cultura venatoria patrimonio dei nostri cacciatori. Le carni di selvaggina stanno assumendo un’importanza sempre maggiore, anche come imput alla promozione del turismo sotto il profilo culinario, con consumo di prodotti tipici freschi o stagionati. Il ruolo del cacciatore è fondamentale per l’igiene e salubrità delle carni e quindi anche per la salute del consumatore.

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2 LEGISLAZIONE (Regolamento CE 853/2004) SEZIONE IV: CARNI DI SELVAGGINA SELVATICA CAPITOLO I: CORSI DI FORMAZIONE PER CACCIATORI IN MATERIA DI IGIENE E DI SANITÀ 1. Le persone che cacciano selvaggina selvatica al fine di commercializzarla per il consumo umano devono disporre di sufficienti nozioni in materia di patologie della selvaggina e di produzione e trattamento della selvaggina e delle carni di selvaggina dopo la caccia per poter eseguire un esame preliminare della selvaggina stessa sul posto. 2. Tuttavia è sufficiente se almeno una persona tra i componenti di un gruppo di cacciatori dispone delle nozioni di cui al punto 1. I riferimenti a una "persona formata" contenuti nella presente sezione riguardano tali persone. 3. La persona formata potrebbe anche essere il responsabile di una riserva venatoria o un allevatore di selvaggina, se fanno parte del gruppo di cacciatori o si trovano nelle immediate vicinanze del luogo in cui avviene la caccia. In quest'ultimo caso il cacciatore deve presentare la selvaggina al responsabile della riserva venatoria o all'allevatore di selvaggina ed informarli di qualsiasi comportamento anomalo osservato prima dell'abbattimento. 4. La formazione deve essere dispensata in modo tale da garantire all'autorità competente che i cacciatori dispongano delle necessarie nozioni. Essa dovrebbe contemplare almeno le seguenti materie: a) normale quadro anatomico, fisiologico e comportamentale della selvaggina selvatica; b) comportamenti anomali e modificazioni patologiche riscontrabili nella selvaggina selvatica a seguito di malattie, contaminazioni ambientali o altri fattori che possono incidere sulla salute umana dopo il consumo; c) norme igienico-sanitarie e tecniche adeguate per la manipolazione, il trasporto, l’eviscerazione ecc. di capi di selvaggina selvatica dopo l’abbattimento; e d) disposizioni legislative ed amministrative concernenti le condizioni di sanità e igiene pubblica e degli animali per la commercializzazione della selvaggina selvatica. 5. L'autorità competente dovrebbe incoraggiare le associazioni venatorie a dispensare tale formazione. (omissis)

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3 SIGNIFICATO BIOLOGICO DELLE CARNI DI SELVAGGINA NELL’ALIMENTAZIONE UMANA

3.1 Caratteristiche e proprietà della selvaggina come a limento per l’uomo. Sin dall’antichità la selvaggina ha rappresentato un’importante fonte di cibo per l’uomo, e le carni di selvaggina sono tutt’ora apprezzate per il loro elevato apporto proteico, cui si affianca un basso tenore lipidico. Il basso tenore in lipidi e l’elevata qualità delle proteine, dovuta alla presenza di amminoacidi essenziali, giustificano l’aumento di interesse verso queste carni mostrato dai nutrizionisti, e la riscoperta di piatti tipici delle nostre culture rurali. Le carni di selvaggina sono infatti generalmente caratterizzate da un maggiore contenuto in amminoacidi utilizzabili dall’organismo umano per la sintesi proteica rispetto a quanto rilevabile nelle specie domestiche. La carne di cinghiale e lepre presenta, per quanto riguarda gli animali della fauna nostrana, il più alto tenore in amminoacidi essenziali (8,17g e 7,99g per 100 g rispettivamente), il cinghiale, in particolare, fino a 11,7% più alto di quelle del suino domestico, mentre il contenuto proteico delle carni di cervidi è simile a quello del bovino. Per quanto riguarda la composizione lipidica la proporzione degli acidi grassi è a favore di quelli polinsaturi. Il fagiano ha il contenuto in acidi grassi polinsaturi in assoluto più elevato con un livello di acidi grassi polinsaturi di 70,67/100g di acidi grassi totali. Il contenuto in vitamine si presenta differente a seconda della specie considerata. Il cervo ha un più alto contenuto in tiamina, riboflavina e acido pantotenico, il cinghiale presenta un più elevato contenuto di vitamina B6 e riboflavina rispetto al suino domestico, mentre quest’ultimo ha un contenuto superiore di tiamina e acido pantotenico. Infine occorre ricordare che, proprio per il tipo di vita condotto e l’assenza di trattamenti da parte dell’uomo, l’animale selvatico presenta caratteristiche più vicine a quelle di alimento “naturale”, peculiarità divenuta sempre più importante per l’odierno consumatore.

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4 DEFINIZIONI Selvaggina La Direttiva 92/45/CEE definisce Selvaggina selvatica:

- ungulati e lagomorfi selvatici, nonchè altri mammiferi terrestri oggetto di attività venatorie al fine del consumo umano…….compresi i mammiferi che vivono in territori chiusi in condizioni simili a quelle della selvaggina allo stato libero

- selvaggina di penna oggetto di attività venatoria ai fini del consumo umano - selvaggina selvatica piccola (selvaggina di penna e lagomorfi che vivono in libertà - selvaggina selvatica grossa (mammiferi terrestri selvatici che vivono in libertà i quali

non appartengono alla categoria selvaggina selvatica piccola) Carni Ai fini regolamento CE 853/2004 si intende per Carni , in sintesi, tutte le parti commestibili, compreso il sangue, degli animali: "ungulati domestici" ( specie bovina, suina, ovina e caprina e di solipedi domestici), "pollame" ( volatili d'allevamento, compresi i volatili che non sono considerati domestici ma che vengono allevati come animali domestici, ad eccezione dei ratiti), "lagomorfi" ( carni di conigli e lepri, nonché carni di roditori), "selvaggina selvatica piccola” (selvaggina di penna e lagomorfi), "selvaggina selvatica grossa" ( mammiferi terrestri selvatici che vivono in libertà i quali non appartengono alla categoria della selvaggina selvatica piccola). Carcassa : il corpo di un animale dopo il macello e la tolettatura; Carni fresche : carni che non hanno subito alcun trattamento salvo la refrigerazione, il congelamento o la surgelazione, comprese quelle confezionate sotto vuoto o in atmosfera controllata; Frattaglie : le carni fresche diverse da quelle della carcassa, inclusi i visceri e il sangue; Visceri : organi delle cavità toracica, addominale e pelvica, nonché la trachea e l'esofago, e il gozzo degli uccelli di penna oggetto di attività venatoria ai fini del consumo umano. Per carne, al di là delle definizioni ufficiali, nell’accezione comune, s’intende il muscolo degli animali utilizzato come alimento; il muscolo perché si possa definire carne, deve subire dei processi biochimici, maturazione, della durata, a temperatura di refrigerazione, anche di dieci, dodici giorni. Per carni quindi s’intende l’insieme di tessuto muscolare e connettivo, grasso, sangue e nervi di un animale abbattuto in buono stato di salute e nutrizione, dopo che abbia subito un’adeguata frollatura a temperatura di refrigerazione. Qualunque sia la specie di appartenenza, le diverse carni, a parità di percentuale di grasso, hanno un valore calorico pressoché equivalente, ma hanno proprietà organolettiche e nutritive peculiari che le rendono ben distinguibili al gusto e le conferiscono un valore biologico differente. La carne costituisce per l’uomo:

- un’importante fonte di proteine ad alto valore nutrizionale in quanto formate da amminoacidi, tra i quali quelli essenziali, cioè che l’organismo non è in grado di produrre autonomamente

- una fonte di grassi, soprattutto polinsaturi, diversi per ogni specie animale sia per composizione che per distribuzione in ogni singolo muscolo e nell’intera carcassa

- una fonte di ferro altamente biodisponibile - una fonte di vitamine, in particolare quelle del gruppo B e PP

Composizione chimica della carne: Da un punto di vista chimico, le carni hanno una composizione variabile secondo la percentuale di muscolo, grasso e connettivo presenti nel taglio. Le variazioni maggiori si riscontrano nel contenuto in acqua (dal 45 al 76%), la componente maggiormente rappresentata, e dei grassi ( dal 1% al 45%). All’aumentare dei grassi diminuisce l’acqua e

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viceversa. A rimanere pressochè costante è il contenuto in proteine, che si aggira intorno al 20%, con piccole variazioni in eccesso o in difetto. I costituenti della carne in un taglio magro della carcassa di un mammifero adulto sono: Acqua 75% Proteine 19% Lipidi (Grassi) 2.5% Carboidrati e loro derivati 1.2% Sostanze azotate non proteiche estrattive 1.65% Sostanze inorganiche 0.65% Vitamine tracce Vediamo in dettaglio alcune specie:

SPECIE UMIDITA’ PROTEINE GRASSI CENERI % % % % Mammiferi domestici

Bovino 74.2 20.1 4.5 1.2 Suino 73.6 22.2 2.24 1.07

Cavallo 70.94 19.83 6.78 0.98 Volatili da cortile Tacchino (senza pelle)

74.8 20.4 3.8 1.0

Pollo (senza pelle)

76.1 19.4 3.6 0.9

Oca (con pelle) 49.1 15.8 34.4 0.7 Mammiferi selvatici

Camoscio 73.18 21.65 1.8 1.18 Capriolo 74.32 21.25 1.31 1.18 Cervo 74.15 21.47 1.14 1.20

Muflone 73.94 20.74 1.59 1.16 Daino 73.76 22.17 0.85 1.29

Esaminando questi dati, possiamo vedere che le carni a minor contenuto lipidico sono proprio quelle dei mammiferi selvatici, inoltre i lipidi presenti sono di ottima qualità nutrizionale.

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5 IGIENE E QUALITA’ DELLE CARNI DI SELVAGGINA Il termine “igiene” deriva originariamente dal nome della Dea greca della salute Hygieia Secondo l’OMS, per igiene si intende il complesso d ei provvedimenti e delle misure necessari nella produzione, nel magazzinaggio e nel la distribuzione degli alimenti, al fine di garantire un prodotto sicuro, sano e dig eribile, adatto al consumo umano. L’igiene e la qualità delle carni di selvaggina sono influenzate da molti fattori, alcuni dei quali coinvolgono direttamente il cacciatore. Distinguiamo da un lato una fase ante mortem : -formazione del cacciatore e conoscenze di base; - osservazione animale vivo – visita ante mortem - tecnica di caccia e di prelievo. - tipo di arma e munizioni - localizzazione ed esito della ferita sul corpo dell’animale Dall’altro lato una fase post mortem: - tempistica e modalità di recupero dell’animale; - tempo intercorso prima dell’eviscerazione dell’animale; - modalità e manualità adottate per l’eviscerazione; - attenta ed accurata osservazione ai fini di evidenziare eventuali alterazioni; - modalità di trasporto; - adeguato raffreddamento; - modalità di conservazione; - adeguata maturazione (frollatura); Si evince quindi facilmente da questa semplice enumerazione come le problematiche legate alla gestione della carne di selvaggina siano molteplici e fra loro variamente correlate e come spesso non sia sufficiente considerare banalmente i singoli fattori, ma si tratti di un processo in cui tutti i diversi punti contribuiscono al raggiungimento dell’obiettivo finale. Per citare un esempio, la scelta del capo , benchè eventualmente in una posizione ideale per essere colpito, deve tenere conto anche delle successive difficoltà di recupero, qualora si ritenga che il reperimento dell’animale richieda tempi troppo lunghi. Così occorre per esempio considerare che un recupero difficoltoso dovuto alla mole del capo o alla mancanza di un adeguato numero di persone nel gruppo, può contribuire a un imbrattamento della carcassa con possibile compromissione delle carni. 5.1 Formazione del cacciatore e conoscenze di base A fondamento di tutte le fasi e le operazioni che verranno analizzate risiede una basilare conoscenza delle specie trattate, per quanto concerne l’anatomia, la fisiologia e l’etologia. Una corretta gestione, come si evince dalle direttive europee già ricordate, coinvolge direttamente il cacciatore, e non può che iniziare da una sufficiente conoscenza degli animali cacciati. A questo proposito verranno qui talvolta forniti alcuni riferimenti, contestualmente alle fasi considerate, senza alcuna pretesa di una trattazione esaustiva, ma con l’intento di sottolineare le implicazioni di questo tipo di conoscenze sulla qualità delle carni e nella speranza di suscitare l’interesse per ulteriori approfondimenti. La conoscenza del normale comportamento di una determinata specie animale (etologia) è prezioso ausilio per una scrupolosa e responsabile osservazione del capo prescelto e per un pronto riconoscimento di manifestazioni abnormi. La descrizione della forma e l’ubicazione degli organi (anatomia) e lo studio delle loro differenti funzioni (fisiologia) è imprescindibile base per una corretta attività venatoria e per una adeguata gestione delle

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carni come alimento per l’uomo. Una corretta valutazione della posizione del diaframma evita, ad esempio, che il proiettile attinga la cavità addominale. È inoltre indispensabile conoscere l’aspetto normale dei visceri e delle altre parti dell’animale, per poter prontamente riconoscere eventuali alterazioni. Conoscenze di base di anatomia, possono ad esempio permettere di evitare contaminazioni durante l’eviscerazione e saper riconoscere prontamente eventuali alterazioni. Ad es. una corretta valutazione della posizione del diaframma evita ferite in cui il colpo attinge la cavità addominale. Fattori determinanti per la scelta dell’animale - corrispondenza e conformità dell’animale; - aspetto e comportamento normali; - calibro e proiettile adeguato; - difficoltà di tipo tecnico legate alla possibilità di afferire un colpo mortale; - condizioni ed eventuali difficoltà di recupero (caratteristiche del territorio e tempistiche); Anche se la pretesa di un’attenta osservazione antecedente lo sparo può in prima battuta apparire poco realistica nella sua concreta realizzazione, una considerazione più approfondita mostra quale lunga serie di importanti informazioni aggiuntive possa fornire un cacciatore formato. Quando appare un animale, la prima cosa da fare è m ettere mano al binocolo e non certo alla carabina. Come emergerà dalla trattazione dei punti successivi alla base di tutte le operazioni ispettive risiede l’indagine attenta ed accurata da parte del cacciatore. L’indagine sull’animale in vita è fondata da un lato nella analogia con gli animali da macello e nell’ispezione delle carni degli animali in produzione zootecnica, dall’altro sui requisiti fondamentali richiesti dal Codice alimentare per la realizzazione di prodotti a base di carne, i quali ultimi possono anche derivare da carne di selvaggina. 5.2 Osservazione dell’animale vivo - visita ante mortem Per una rapida e sicura valutazione dello stato di salute dell’animale in vita è opportuno procedere con sistematicità ed attenersi al seguente ordine • Stato di nutrizione • Postura, andatura, presenza di eventuali fratture, livello di attenzione • Cute e pelo • Orifizi naturali • Fonazione Stato di nutrizione. Osservazione dello stato generale molto buono – buono - mediocre - cattivo stato - magro – defedato In un animale in mediocre stato di salute sono chiaramente visibili le protuberanze delle scapole, del bacino e delle vertebre. Una serie di patologie croniche, così come ferite, ma anche scarsità di cibo e in alcuni soggetti il periodo del calore possono essere all’origine di tale dimagrimento. In questa prima fase ci si limita essenzialmente a registrare le evidenze per poi procedere a cercare di evidenziarne le cause nell’ispezione successiva all’abbattimento. Postura, andatura, fratture, grado di attenzione: La postura è normale? (fisiologicamente conforme a quella descritta nella norma?) Inarcamento a livello lombare? Segni di debolezza degli arti?

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È possibile rimarcare particolari posture per esempio in seguito a ferite, patologie, infestazioni parassitarie, processi dolorosi, malformazioni congenite, ma anche iperaffaticamento. Particolari andature Zoppie di un arto Cambiamenti nell’andatura Andatura barcollante Urto contro ostacoli Sicuramente la causa più frequente di andature anomale è da ricondursi a ferite. Occorre però pensare anche a possibili intossicazioni e malattie quali la rabbia, la dove presente. Sono evidenziabili fratture? È presente versamento nel sito di frattura? Un arto viene lasciato pendulo? In caso di fratture precedenti la fase di caccia occorre una particolare cautela in quanto su di esse è sempre presente una contaminazione da parte di agenti patogeni. La medesima attenzione è da prestarsi in caso di ferite provocate da macchine agricole o riportate in seguito ad incidenti stradali. Fratture e ferite, potenziale via di ingresso per e ventuali agenti patogeni Grado di attenzione Attenzione nei confronti dell’ambiente Attenzione nei confronti di altri animali Comportamento in branco Frequenza con la quale l’animale vigila l’ambiente circostante Non solo la presenza di un adeguato livello di attenzione deve essere preso in considerazione, ma anche l’atteggiamento opposto, in cui si evidenzi un’eccessiva attività di vigilanza o irrequietezza, in quanto tali atteggiamenti potrebbero avere un’eziologia riconducibile ad eventuali patologie o ferite (in particolare da sparo). Cute, mantello (apparato tegumentario) Cute e mantello presentano caratteristiche particolari Colore: conforme al periodo dell’anno? Lucentezza: brillante o opaco? Liscio e ordinato oppure stopposo? Sono presenti zone alopeciche, escoriazioni, ferite? Imbrattamento? L’apparato tegumentario può essere interpretato come un utile specchio dello stato di salute dell’animale e quindi fornire importanti elementi disponibili per l’osservazione. Tutte le patologie croniche lasciano prima o poi trasparire dei segni a livello di cute e mantello; un manto arruffato, opaco e depigmentato sono la conseguenza visibile. Simile esito, talvolta più specifico e peculiare, quindi maggiormente caratterizzabile, si osserva in presenza di micosi o infestazioni parassitarie. Spesso sono riscontrabili ulteriori danneggiamenti, provocati secondariamente in seguito al prurito. Tutto questo ovviamente diventa più evidente verso la fine del periodo di muta in quanto i soggetti debilitati mostreranno un più o meno marcato ritardo di muta. Orifizi naturali Sono presenti evidenziabili alterazioni nella regione orale o anale? Regione orale: salivazione, schiuma Regione anale: imbrattamento, feci Ferite nella regione orale provocate da corpi estranei, ma anche talune patologie come la rabbia conducono ad una ipersalivazione e di conseguenza spesso è evidenziabile la presenza di saliva.

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Alimentazione inadeguata, cibi avariati (per esempio presenza di micotossine), parassiti gastro-enterici e svariate patologie causano diarrea, cui consegue imbrattamento della regione anale e degli arti posteriori. Fonazione Sono evidenziabili particolari versi? Lamenti Tosse Soffi (animale ansimante) Starnuti o rantoli. Un alto grado di stress o il panico possono portare ad emissioni sonore simili a lamenti. Soffi, rantoli, starnuti fanno, soprattutto nei bovidi, sospettare quadri di broncopolmonite La capacità di rilevare i segni e le caratteristiche sopraelencate si acuisce solo con l’esercizio, che permetterà però di acquisire una certa prontezza e capacità di registrare un importante serie di parametri. 5.3 Tecnica di caccia e di prelievo e qualità dell e carni. L’igiene delle carni dipende anche dalla scelta del metodo e degli strumenti usati per il prelievo Le tecniche di caccia utilizzate per gli ungulati, sono essenzialmente due:

- all’aspetto, ove il cacciatore attende la preda per abbatterla - con i segugi, ove la preda braccata dai cani viene sospinta verso le poste per

essere abbattuta Esiste poi la caccia alla cerca, ove il cacciatore si sposta sul territorio per appostarsi qua e là nei luoghi che sembrano migliori al momento; questa forma di caccia ai fini della qualità delle carni, deve essere considerata sovrapponibile alla caccia all’aspetto.

Per quanto riguarda la qualità igienico-sanitaria ed organolettica delle carni è opportuno considerare l’importanza della specifica tecnica di prelievo adottata, in quanto da essa dipende l’eventuale stress arrecato all’animale prima della morte nonché la probabilità di afferire un colpo mortale al primo sparo e soprattutto la precisa localizzazione di quest’ultimo. Assieme ad un intervallo fra abbattimento ed eviscerazione troppo prolungato e ad una mancanza di igiene nelle operazioni successive, lo stress è uno dei fattori che maggiormente influiscono sulla qualità finale delle carni di selvaggina. E’ dimostrato che lo stress conseguente alla caccia, in particolare alla braccata, influisce in misura rilevante sulla qualità delle carni. Tramite indagini sulle carni di animali da macello è accertato che lo stress premortale porta ad una migrazione di eventuali microrganismi dalle regioni in cui sono primariamente insediati verso la muscolatura, precedentemente sterile. Lo stress fisico e psicologico, come quello attribuibile all’inseguimento, conduce ad un aumento di endotossine che portano ad una maggiore permeabilità vasale dell’apparato digerente e ad una conseguente possibile contaminazione dell’organismo da parte di microrganismi presenti nel tratto digerente. Inoltre, come noto, lo stress risulta in un accelerato consumo delle riserve di glicogeno, che è fondamentale per una sufficiente produzione di acido lattico, indispensabile per un’adeguata acidificazione della carcassa. In carenza di glicogeno non si produce di acido lattico, come normalmente avviene durante il regolare processo di maturazione delle carni, e le trasformazioni biochimiche possono liberare prodotti indesiderati quali acido butirrico, H2S, porfirine. Ne conseguono caratteristiche organolettiche inadeguate o sgradevoli, come odore dolciastro, di muffa o leggermente acido e decolorazioni in profondità del

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tessuto muscolare come striature marroni o aranciate. Le carni mostreranno anche una diminuita consistenza e una certa friabilità e tendenza a sfaldarsi. Quindi, la tranquillità prima dell’abbattimento è un requisito essenziale per la qualità delle carni; infatti l’animale abbattuto senza stress fisici e psicologici, come già ricordato, porta intatta nei suoi muscoli, dopo la morte, la riserva energetica del glicogeno, lo zucchero di pronta disponibilità muscolare, che permetterà alle carni di subire un corretto processo di acidificazione le proteggerà dai batteri e ne permetterà una buona frollatura. L’animale stressato produce invece carni di bassa qualità, non conservabili né inclini alla frollatura e dalle caratteristiche organolettiche scadenti, soprattutto per quanto riguarda tenerezza e succosità. Inoltre le alterazioni muscolari da eccessiva liberazione di acido lattico riportate dopo un inseguimento possono portare a morte un animale sano anche se sfugge alla cattura, senza ferite da arma da fuoco o morsi di cane. Per quanto riguarda il cinghiale, in particolare, occorre effettuare una prima distinzione fra sistemi di caccia collettiva che prevedono l’azione di più cacciatori, spesso coadiuvati da battitori e cani e caccia individuale, in cui l’azione venatoria è svolta dal singolo cacciatore senza l’intervento di ausiliari. Nella caccia collettiva il tiro viene sempre effettuato a distanze brevi o medie su animali in movimento più o meno rapido e legato spesso alla velocità di progressione dei battitori e dei cani e la pressione sugli animali cacciati è generalmente minore nella girata e maggiore nella braccata. Considerate le modalità di tiro, spesso di stoccata, il corretto piazzamento del colpo non è sempre garantito e questo aumenta la probabilità di colpi all’addome o di ferimento del soggetto. Data una certa complessità organizzativa è palese che tutte le forme di caccia collettiva presuppongano un ottimo livello di organizzazione sia nelle fasi precedenti quella propriamente venatoria, sia durante lo svolgimento di quest’ultima, ma sovente ci si dimentica, nell’organizzazione complessiva, di provvedere ad un corretto trattamento delle spoglie dei capi abbattuti. Principali svantaggi della caccia collettiva: • animale costretto alla fuga ==> stress ==> consumo di glicogeno ==> inadeguata frollatura; • animale spesso colpito in movimento ==> maggior rischio di imprecisione del colpo; 5.4 Armi e munizioni Il tipo di arma e di munizione utilizzato nell’abbattere un animale, è in grado di influenzare fortemente la qualità delle carni e la loro conservabilità; esistono ovviamente anche considerazioni di carattere etico. I tipi di armi usati comunemente nell’abbattere gli ungulati sono: - fucili a canna liscia - fucili a canna rigata I fucili a canna liscia, in genere di calibro 12 o 20, usati con munizione spezzata per la selvaggina di penna o per i lagomorfi, se caricati a palla unica (palla asciutta) possono essere utilizzati anche per gli ungulati, in particolare per il cinghiale in battuta; non consigliabili comunque, per ragioni di sicurezza. Le cartucce a palla singola (brenneke, borra Gualandi, ecc.) con discrete prestazioni sino a 80-100 metri, avendo una velocità relativamente bassa, non posseggono una energia tale da disintegrarsi all’impatto, con il rischio di traiettorie di rimbalzo assolutamente imprevedibili e pericolose. In genere il colpo, visto anche il diametro della palla, produce un danno rilevante all’animale, con distruzione di estese aree muscolari. Ricordiamo che qualunque ferita da arma da fuoco porta all’interno dell’organismo peli e batteri cutanei (effetto trascinamento). I fucili a canna rigata sono i veri protagonisti della caccia agli ungulati; con meccanismi di alleggerimento dello scatto, meccanismi di puntamento ottici, miglioramento della qualità in genere, sono diventati armi di precisione a tutti gli effetti. Comunque è importante

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comprendere che per essere buoni cacciatori, per motivi etici ed anche del corretto utilizzo delle carni, si deve sparare ad una preda nell’assoluta certezza di abbatterla. La scelta del calibro e di un proiettile adeguato riducono il rischio di causare ferite eccessivamente estese o al contrario di arrecare un colpo non mortale, provocando inutili sofferenze all’animale e prolungando l’agonia. E’ assolutamente indispensabile che il cacciatore abbia dimestichezza con la propria arma, ne conosca perfettamente le caratteristiche, ne abbia cura in tutti gli elementi (manutenzione, taratura, ecc.) al fine di sapere esattamente dove va a colpire e con quale esito, al momento dello sparo. 5.5 Punto di elezione per colpire ed abbattere l’an imale Per afferire un colpo corretto e al fine di minimizzare la sofferenza dell’animale e salvaguardare la qualità igienica delle carni, colpo etico, è indispensabile conoscere esattamente l’anatomia dell’animale ed in particolare l’estensione del diaframma. Fino ad ora sono stati realizzati rappresentazioni grafiche della regione toracica degli ungulati selvatici ricostruite in base ai rapporti anatomici rilevati nell’animale morto. Il polmone pieno d’aria nell’animale in vita può avere dimensioni assolutamente differenti rispetto a quelle determinate post mortem e una simile discrepanza si presenta anche per quanto riguarda la posizione del diaframma, membrana muscolo-tendinosa che separa la cavità toracica da quella addominale. Per questo motivo in alcuni studi si è pensato di ricorrere a tecniche radiografiche dell’animale in vita osservato in posture fisiologiche, al fine di definire con la maggior precisione possibile la zona diaframmatica e fornire ai cacciatori un aiuto per abbattere l’animale nel modo più conforme e rispondente alla tutela della qualità igienica della carne e alla riduzione della sofferenza, analogamente a quelle che sono le norme per il benessere animale da osservare al macello. La cavità toracica è delimitata dal diaframma, la cui posizione varia però in funzione della specie animale, della postura, del grado di riempimento di stomaco/rumine/prestomaci, della respirazione. La cupola del diaframma con il passaggio della vena cava addominale (Foramen venae cavae caudalis) rimane più o meno costante all’altezza della settima vertebra toracica. Nei ruminanti e nel cinghiale in vita il cuore e il pericardio si trovano in corrispondenza della terza-quinta costa, quindi nel terzo più craniale della cavità toracica. Stomaco, fegato e milza si trovano immediatamente a contatto con la faccia addominale del diaframma. Parallelamente alla gabbia toracica i polmoni possono estendersi con diverso grado caudalmente. Un colpo apportato alla parte più caudale dei polmoni (questo si verifica per esempio nel capriolo a metà della lunghezza della gabbia toracica, corrispondente al livello della nona costa) penetra anche il fegato o la milza, lo stomaco ed eventualmente il lobo polmonare controlaterale. Anche se il colpo è immediatamente mortale, è stata provocata una ferita in cavità addominale. Un colpo nella parte alta della cavità toracica può essere più spostato caudalmente (all’incirca fino in corrispondenza della undicesima costa) senza che si incorra nel rischio di una ferita in cavità addominale. Si tratta però, nell’ultimo esempio descritto, di un colpo che, nel qual caso non abbia incontrato le vertebre, ha comunque ferito l’animale solo a livello degli apici polmonari e che ha come conseguenza una lunga e difficile agonia. Spesso l’estensione della cavità toracica è sopravalutata da molti cacciatori perché non si tiene conto della concavità diaframmatica, sporgente in cavità addominale. In linea generale ogni colpo caudale alla cavità toracica provoca una ferita a livello addominale con conseguente peggioramento della qualità igienica delle carni, anche quando l’animale non riesce più ad allontanarsi ed è prontamente eviscerato e raffreddato. Una ferita da arma da fuoco per un animale è sempre mortale, possono fare eccezione le ferite agli arti o quelle di striscio; ciò che variano sono i tempi impiegati per venire a morte, che nei casi più disgraziati possono essere di giorni.

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Le ferite immediatamente mortali sono quelle che interessano il sistema cardio-circolatorio che determinano il crollo della pressione arteriosa, o quelle del sistema nervoso centrale (cranio e colonna vertebrale cervicale) che determinano un forte shok neurogeno. Le ferite al cuore, alla base del cuore ricca di grossi vasi sanguigni, è quella da preferire, provoca il crollo dell’animale colpito entro pochi metri. Il colpo laterale dietro la spalla è quindi il colpo di elezione. Le ferite che interessano il sistema nervoso centrale, teoricamente sono le più efficaci, con crollo dell’animale sul posto, minor grado di lesioni alle carni, ma più difficili da realizzare. Le ferite che danno morte posticipata nel tempo (da alcuni minuti ad ore o giorni) sono quelle ad esempio dove è colpita la cavità addominale (impanciamento) dove la morte può avvenire per lenta emorragia, peritonite, setticemia, ecc.. L’animale ha tempo e forze per rialzarsi e fuggire, per poi morire in altro luogo. Le carni, anche se recuperate, saranno di cattiva qualità e spesso inutilizzabili a causa di stress e contaminazioni batteriche.

Punto di elezione, base del cuore, in posizione lat erale, per effettuare uno sparo corretto (sparo etico)

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6 TRATTAMENTO E MANIPOLAZIONE DELLA SPOGLIA 6.1 Tempo di recupero della spoglia Dopo l’abbattimento occorre provvedere al più presto possibile e nel rispetto delle norme igieniche, a tutte le operazioni necessarie. Il più presto possibile significa letteralmente che per gli ungulati, tenendo in considerazione le circostanze di caccia, si ha a disposizione un periodo di tempo massimo di tre ore; tuttavia se ci si avvicina troppo allo scadere a questo lasso di tempo, può accadere che in alcune situazioni, l’animale abbattuto inizi a deteriorarsi. I parametri che possono influire sono molti, temperatura esterna, stress dell’animale, abbattimento non “pulito”, e quanto altro. Da considerare, ad esempio, che gli animali macellati nei mattatoi, devono essere eviscerati entro 45 minuti, poiché circa un’ora dopo la morte, i batteri intestinali possono migrare dall’intestino alla cavità addominale. Se le condizioni atmosferiche e la luce lo permettono, l’esemplare abbattuto dovrebbe essere eviscerato direttamente sul posto, altrimenti bisogna cercare di trasportarlo velocemente, previo dissanguamento, in una sala deposito per la selvaggina ben illuminata ed attrezzata e là eseguire l’eviscerazione, in condizioni decisamente più favorevoli. La spoglia dell’animale dovrebbe essere recuperata prima possibile dopo lo sparo, per questo è importante scegliere con cura anche il punto ove un animale deve essere abbattuto; sparare ad un animale da un versante all’altro di una valle, dove occorre un’ora di cammino per arrivare sulla spoglia è una cosa sbagliata, perché nel migliore dei casi avremo carni non eccellenti e nel peggiore dei casi un animale ferito da ricercare in forte ritardo. E’ importante controllare visivamente l’animale dopo lo sparo e nel dubbio, doppiare il colpo, magari con più calma; al fine del controllo dell’effetto della fucilata sul capo scelto, sarebbe utile essere in du, a caccia: chi spara perde facilmente la visione dell’animale, soprattutto con armi dotate di “freno di bocca”. Non appena si reputa di poter avvicinare l’animale, ci si reca sul posto, con il fucile carico, pronti a sparare di nuovo se necessario. Per quanto riguarda le carni avremo una qualità tanto migliore quanto più presto ci recheremo sulla spoglia per effettuare le necessarie operazioni che seguono l’abbattimento (applicazione fascetta, foto, modulistica ecc., dissanguamento, eviscerazione, raffreddamento), infatti tanto più tempo passerà dopo l’abbattimento, tanto più vantaggio daremo ai batteri per iniziare la degradazione delle carni; questo è tanto più vero quanto più sarà grande il livello di inquinamento della carcassa dovuto ad esempio a perforazione delle interiora con la fucilata. 6.2 Modalità di trattamento della spoglia dopo l’ab battimento ed il recupero Strumenti ed attrezzature La scelta delle attrezzatura dipende dalle circostanze e dalle condizioni del territorio; è il cacciatore stesso, conoscendo il territorio, che deve decidere se portare con se’ tutta l’attrezzatura. In caso dubbio sarà meglio essere completamente equipaggiati. Equipaggiamento ideale:

- un coltello affilato, a lama fissa, abbastanza grande, facilmente lavabile e disinfettabile

- una sega o una cesoia - spago e corda - uncini per la carne - telo di plastica - acqua potabile - sacchetti di plastica - vasca per selvaggina - rete di protezione contro insetti

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- lampada tascabile, lampada da fronte - guanti e camice monouso - salviette monouso - provette e contenitori per eventuali prelievi (sangue, liquidi organici, feci, parassiti,

ecc.) Ricordiamo che alcuni agenti patogeni possono infatti penetrare attraverso soluzioni di continuità e ferite cutanee. L’uso dei guanti tutela le persone che manipolano l’animale (la rabbia è un esempio di grave zoonosi che può essere trasmessa oltre che con il morso anche con il semplice contatto di ferite con la saliva degli animali) 6.3 Apposizione della fascetta di riconoscimento ed altre operazioni connesse La prima cosa da fare, raggiunto l’animale abbattuto e verificatane l’avvenuta morte, è l’applicazione, in maniera inamovibile, della fascetta di riconoscimento; tale fascetta è fornita al cacciatore dagli Enti preposti, e riporta un numero di matricola e la data dell’abbattimento. Si devono contestualmente scattare delle foto di riconoscimento, compilare una modulistica di riferimento ed eseguire tutte le operazioni che i singoli regolamenti provinciali prevedono. 6.4 Dissanguamento La spoglia deve essere raggiunta immediatamente dopo lo sparo (trascorsi i canonici 5-6 minuti necessari eventualmente all’animale colpito, per venire a morte) per i motivi suddetti e devono essere eseguite le operazioni di dissanguamento, eviscerazione e raffreddamento. Il dissanguamento è la pratica basilare per avere delle carni ben conservabili, infatti la permanenza del sangue nei vasi favorirà la diffusione di batteri all’interno delle masse muscolari che potranno utilizzare la parte liquida (siero) del sangue coagulato come una vera autostrada e come nutrimento per la loro moltiplicazione. Per effettuare il dissanguamento è necessario recidere i grossi vasi del collo; se l’animale è appeso per gli arti posteriori, effettueremo l’operazione a livello della gola, altrimenti si preferisce operare alla base del collo, infilando la lama all’entrata del petto, per raggiungere i grossi vasi alla base del cuore. Il dissanguamento sarà buono se ci troviamo nelle condizioni di un animale appena abbattuto, con il cuore ancora pulsante che pomperà attivamente il sangue all’esterno, come per gli animali nei mattatoi. Questa condizione in effetti è molto improbabile che si realizzi, aspettare qualche minuto dopo lo sparo, utile perché l’animale colpito non si rimetta ad esempio in piedi e si allontani, presuppone anche l’avvenuto arresto cardiaco. Nel caso di un animale dove il cuore è già fermo (il più delle volte) avremo comunque un effetto di svuotamento dei vasi sanguigni, positivo per la qualità delle carni. L’importante è agire prima che il sangue coaguli nei vasi. Le carni di selvaggina sono sempre in genere poco dissanguate, ma questo non deve essere considerato come una peculiarità, quanto piuttosto come un difetto, anche se comunemente accettato ed in parte correggibile. Le carni mal dissanguate sono difficilmente conservabili ed oltremodo inadatte per la preparazione dei salumi a causa della insufficiente acidificazione della carcassa, dovuto all’effetto tampone del sangue presente in eccesso nei muscoli. Aperta la carcassa, si può tagliare l’aorta a livello cardiaco sfruttando il passaggio attraverso il diaframma; girando l’animale su un fianco si possono flettere le zampe anteriori ed esercitare una pressione sulla gabbia toracica, in modo da forzare il sangue ancora presente a fuoriuscire per poi allontanare anche il sangue risultante dallo sparo dalla cavità toracica. Dissanguamento - scopi : -Favorire il raffreddamento della carcassa -Evitare la contaminazione della carcassa da parte del sangue

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-Migliorare la conservazione Dissanguamento – metodologie: Se l’animale è sospeso per gli arti posteriori, recidere i vasi a livello della gola Se l’animale è a terra, agire all’entrata del petto (base del collo) e recidere i grossi vasi alla base del cuore Con l’animale aperto, recidere l’aorta a livello cardiaco sfruttando il passaggio attraverso il diaframma. Modalità operative: - Girare l’animale su un fianco; - Flettere le zampe anteriori ed esercitare una pressione sulla gabbia toracica, in modo da forzare il sangue ancora presente a fuoriuscire; - Allontanare il sangue risultante dallo sparo dalla cavità toracica. -Recidere l’aorta a livello cardiaco e dissanguare i principali vasi sanguigni 6.5 Eviscerazione Durante la storia della caccia sono stati sviluppati diversi metodi di “aprire” gli ungulati, a volte molto differenziati a seconda delle Regioni, spesso diventati delle “tradizioni”. E’ importante conservare tali tradizioni, ma è altrettanto importante tener conto delle nuove conoscenze sull’igiene degli alimenti e delle nuove disposizioni di legge. Il concetto di fondo è quello di rimuovere tutti gli organi e visceri, dalla lingua fino all’ano, possibilmente in un blocco unico, come avviene generalmente anche per gli animali da macello secondo una pratica sperimentata. A questo scopo, con l’animale a terra, bisogna collocare l’animale abbattuto su di un piano stabile; meglio utilizzare un telo di plastica pulito come base su cui lavorare; inoltre si deve avere a disposizione una superficie pulita per gli attrezzi da lavoro (coltello, sega, uncini, cesoia,ecc.) e per gli organi e visceri rimossi. Per motivi igienici e di comodità di lavoro, quando possibile, è meglio eviscerare l’animale mentre è appeso (per le corna, per la mandibola, per gli arti anteriori o posteriori). Durante tutto il percorso della eviscerazione, bisogna fare attenzione che la mano “pulita” tenga sempre il coltello e la mano “sporca” tocchi la pelle dell’animale. Se la mano pulita, o il coltello, o entrambi si sporcano, devono essere immediatamente lavati. E’ consigliabile l’utilizzo di guanti monouso che possono essere cambiati spesso, così come di salviette monouso.

a) incisione del collo: si inizia, con l’animale appeso per la parte anteriore (corna, mandibola, arti anteriori) o con l’animale a terra, possibilmente dalla punta del mento e si taglia la pelle lungo un’immaginaria linea centrale. E’ opportuno tagliare direttamente fino all’ano, e con gli esemplari maschi il taglio gira attorno agli organi genitali (pene e testicoli). Il taglio deve attraversare solo la pelle fino al tessuto ipodermico, lasciando intatti i tessuti sottostanti (non deve raggiungere le cavità). Successivamente vengono estratti la trachea e l’esofago e la lingua viene separata dalla mandibola. Lingua, trachea ed esofago vengono ora mantenuti in tensione e con il coltello si taglia fino all’inizio della zona pettorale. Durante l’operazione l’osso ioide nella zona della gola può rappresentare un certo ostacolo, che però generalmente è abbastanza semplice da superare. b) distacco degli organi genitali: partendo dal taglio già eseguito lungo la linea centrale, il pene e successivamente i testicoli vengono afferrati con una mano e tenuti sollevati. A questo punto si esegue un secondo taglio parallelo al primo fino all’ano ed i genitali vengono spostati all’indietro. I testicoli devono essere tenuti separati dalla pelle ed analizzati per verificare la presenza di anomalie .Inoltre nel cervo nobile, nel daino, nel muflone e nel cinghiale

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viene rimossa la macchia scura attorno al pene. Nelle femmine si rimuove la mammella. c) apertura della sinfisi pubica e rimozione dell’ano: la sinfisi pubica si incontra eseguendo con attenzione un taglio esattamente lungo l’asse del corpo nella zona tra le due cosce fino ad arrivare all’osso .La sinfisi pubica è una struttura più o meno marcatamente a forma di pettine, che negli esemplari più giovani o più deboli, può essere tagliata con un coltello. In genere è meglio tagliare questa parte per mezzo di una sega o di una cesoia. Eseguita l’operazione descritta, allargato adeguatamente il taglio con le dita, è possibile rimuovere la vescica, l’uretra ed il retto. L’apertura della sinfisi pubica richiede abilità, buone condizioni di lavoro ed attrezzi adeguati. Se viene eseguita male o in modo approssimativo si rischia di danneggiare pregiati tagli di carne della coscia. Per rimuovere l’ano occorre incidere con un coltello affilato la zona circostante. Il taglio riesce meglio se si incide trasversalmente la pelle poco sopra l’ano e poi, mantenendo una leggera trazione, si esegue un taglio circolare attorno all’intestino, in profondità fino al bacino. Durante l’operazione è importante non incidere il retto. Se inavvertitamente vengono incise la vescica o l’uretra, occorre evitare che l’urina contamini la carne. d) apertura della cavità toracica e addominale: se la sinfisi pubica non è ancora stata aperta, prima di compiere l’apertura delle cavità si deve tagliare attentamente la pelle nella pancia lungo la linea centrale con una incisione lunga alcuni centimetri. Bisogna creare un’apertura nella quale sia possibile infilare il medio e l’indice per proteggere poi la punta del coltello durante il taglio. Durante questa operazioni bisogna fare attenzione a non tagliare la vescica che si trova appena sotto. In seguito si pratica un taglio fino allo sterno lungo la linea centrale, sempre proteggendo la punta del coltello. Lo sterno può essere tagliato soltanto con una cesoia od una sega. E’ più semplice eseguire il taglio con il coltello leggermente a lato dello sterno, lungo le giunture cartilaginee delle costole. e) distacco degli organi esterni e dell’intestino: dopo un primo controllo della cavità addominale per verificare che non vi siano contenuti estranei o anomalie evidenti, è ora possibile, con gli animali più piccoli (capriolo,camoscio, cinghiale, ecc.) rimuovere in un’unica soluzione gli organi interni e l’intestino. Per prima cosa bisogna distaccare il diaframma lungo entrambi i lati delle costole fino alla colonna vertebrale. Poi si afferrano lingua, trachea ed esofago e con una trazione si estraggono dalla cavità toracica ed addominale tutti gli organi ad essi collegati, e durante l’operazione vengono recise eventuali aderenze con la carcassa. In questo modo dovrebbe essere possibile rimuovere anche il retto e la vescica. Tutti gli organi ed gli intestini rimossi devono ora essere appoggiati accanto all’animale su di una superficie pulita o, meglio ancora, appesi per essere attentamente esaminati. Nel camoscio, nello stambecco,nel muflone e nel cinghiale, bisogna rimuovere la cistifellea. Se non è stato fatto in precedenza, adesso bisogna recidere la sinfisi pubica. f) operazioni di rifinitura: dopo che l’animale è stato trasportato in un luogo con condizioni igieniche ottimali (sala, centro di raccolta per selvaggina) prima di sottoporlo a trattamento con il freddo, è consigliabile compiere ancora alcune operazioni. Ad esempio occorre controllare ancora una volta il foro di entrata e di uscita del proiettile, nel caso vi siano parti sporche o danneggiate da rimuovere. I reni devono essere asportati e così il grasso di copertura (sugna).

Eviscerazione - scopi: -Ridurre le possibilità di contaminare le carni con il contenuto intestinale; Se l’intestino è danneggiato una celere eviscerazione riduce significativamente il rischio di contaminazione;

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I batteri possono migrare attraverso le pareti intestinali; elevate temperature e lungo periodo di tempo intercorso prima dell’eviscerazione accelerano questo processo Le modalità di crescita esponenziale dei batteri evidenziano l’importanza di una celere eviscerazione. Durante la fase di eviscerazione il rischio di contaminazioni è particolarmente alto. Particolare cura deve dunque essere rivolta a questa fase. Eviscerazione - procedure: Importante evitare il reflusso di materiale dal tubo digerente in cavità addominale; A questo scopo si consiglia di adottare le seguenti modalità di procedura: Praticare un triplo nodo a livello esofageo; Mantenere l’occlusione a livello dell’intestino retto durante l’asportazione dell’apparato gastroenterico. Dopo aver recuperato l’esofago attraverso il diaframma, per liberare completamente stomaco ed intestino dalla carcassa, si procede ad eseguire il nodo. Un singolo nodo viene praticato per legare a monte dell’area di taglio, e il medesimo tipo di nodo viene poi ancora ripetuto per due volte successive. Il contenuto del retto deve essere fatto scorrere in direzione dello stomaco, mediante compressione; Mantenere chiuso l’orifizio anale e ritrarre il retto mantenendolo occluso attraverso la cavità addominale. Asportazione di stomaco ed intestino - Posizionare l’animale sul fianco destro e scollare con le dita il connettivo presente fra milza e diaframma; - Staccare la vena porta dal fegato; - Asportare lo stomaco, mantenendo adesi la milza e l’intestino. - Svuotare la vescica; - Asportare eventuali feti, avendo cura di non perforare il sacco amniotico; - Conservare sempre fegato, reni, cuore e polmoni; - Fegato, reni cuore e polmoni rimangono in situ (se non si dispone di contenitori appositi) - Evitare l’asportazione sul posto della testa e delle parti distali degli arti per non esporre le aree di carne sottostanti; - Pulire in modo idoneo il coltello prima dell’eviscerazione e fra un animale e il successivo; - Non infiggere il coltello nel terreno; Valutazioni • Osservazione dei visceri asportati; • Osservazione dei linfonodi meseraici (eventuale ingrossamento); • Osservazione dei linfonodi portali. Eventuale ricorso al consulto veterinario in caso d i anomalie (aspetto, colore, consistenza) Se il contenuto dell’intestino fosse fuoriuscito nella cavità addominale rimuoverlo il prima possibile ed effettuare una pulitura a secco con salviettine o carta da cucina tipo Scottex.;in alternativa utilizzare una raschiatura con la lama del coltello e toelettare la parte (asportazione della porzione di tessuto interessata dall’imbrattamento). Al termine dell’eviscerazione non lavare mai la carcassa immergendola in acqua di torrente; infatti questa pratica, se anche apparentemente elimina sangue e sudiciume legato all’eviscerazione, tuttavia diffonde in modo ampio sulla carcassa i microrganismi dalla cute – che è molto ricca di batteri tellurici e spore- e dai tratti contaminati, favorendo quindi un rapido incremento della popolazione microbica. Inoltre non esiste alcuna garanzia che l’acqua dei torrenti o la neve non sia essa stessa contaminata. Pertanto la rimozione del sangue e di altre forme di imbrattamento possono essere effettuate a secco (carta monouso) o con uso di acqua potabile portata con sé. In

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quest’ultimo caso è però importante procedere all’asciugatura prima di movimentare la carcassa. Trasporto Possibilmente evitare di trascinare l’animale; Se si intende successivamente applicare una fune (cavo) a livello della mandibola, provvedere a mantenere le fauci dell’animale leggermente schiuse, prima che si instauri il rigor mortis; Gestione delle parti non edibili: Evitare di disperdere nell’ambiente visceri o parti non commestibili; Nel caso di commercializzazione o di richiesta di intervento veterinario, i visceri devono sempre accompagnare la carcassa, ad eccezione di stomaco e intestino. In presenza di una persona formata è disponibile per effettuare l'esame della carcassa e dei visceri asportati al fine di individuare eventuali caratteristiche indicanti che la carne presenta un rischio per la salute, e a seguito di parere favorevole, non è necessario che i visceri accompagnino la carcassa.

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7 MICRORGANISMI CHE CONTAMINANO LA CARNE I batteri che contaminano la carne dopo la morte dell' animale possono provenire da più fonti, quali l'animale stesso, l'ambiente esterno e l'operatore che la maneggia. A causa della facilità con cui si può inquinare un alimento tanto deperibile quanto la carne, è importante osservare rigorosamente le norme di igiene, per evitare di portare su di essa colonie batteriche in grado di ridurne drasticamente il tempo di conservazione (germi alteranti, es. Pseudomonas), o addirittura di renderla pericolosa per la salute del consumatore (germi patogeni, es. Salmonelle). Alcuni batteri, come ad esempio i batteri lattici, sono normali colonizzatori delle carni e la loro presenza è considerata neutra o addirittura utile, in quanto con i loro processi enzimatici promuovono la trasformazione della carne in vari prodotti fermentati, tra i quali il salame. Non va dimenticato, però, che in determinate circostanze anche i batteri lattici possono causare alterazioni, quali l'inacidimento, l'inverdimento e la formazione di odori sgradevoli. In particolare, nella conservazione sottovuoto, trovando un ambiente particolarmente favorevole al loro sviluppo, raggiungono facilmente valori di centinaia di migliaia per grammo, tanto da provocare il gonfiore delle confezioni plastiche. Il loro sviluppo però, impedisce quello di altre popolazioni batteriche potenzialmente patogene per l'uomo (fenomeno della competizione batterica). I batteri patogeni, anche in quantità modeste, sono in grado di dare origine a un episodio di malattia alimentare senza che nelle carni vi sia alcuna modifica delle caratteristiche sensoriali in grado di metterci in allarme. Alcuni di questi batteri sono presenti già nell' intestino dell' animale in vita e sono veicolati sulle sue carni da spandimento di liquidi intestinali in fase di caccia o di eviscerazione; essi si replicano bene a temperatura corporea, per cui rimangono latenti fintanto che viene mantenuta la catena del freddo, per poi ricominciare a moltiplicarsi, se ingeriti vivi, (carni crude o poco cotte) nell'organismo che li ospita (es E.coli, Salmonelle), instaurando stati morbosi più o meno complessi. Altri batteri patogeni infine, vivono nell' ambiente (Listerie, Bacillus, Clostridi) o sul pelo (o penne) dell'animale (Stafilococchi, Salmonelle) e possono riprodursi sia a temperature corporee che, seppur più lentamente, a temperature di refrigerazione; questi ultimi, replicandosi all'interno dei frigoriferi (sopra i 4 °C), sono in grado di raggiungere concentrazioni notevoli, facilmente evidenziabili sulle carni, come patine vischiose biancastre. Crescono anche sulle pareti dei frigoriferi stessi e di conseguenza andranno a contaminare le carni di successiva introduzione. La velocità con la quale una carne, dalla contaminazione iniziale, va incontro al processo alterativo di putrefazione, dipende in misura determinante dal tipo di batteri presenti e dalla loro quantità, nonché dalle condizioni ambientali, che possono influenzare in modo differente la loro moltiplicazione. Se pensiamo che 1 solo grammo di contenuto ruminale di un capriolo può contenere oltre 30 milioni di germi, ciascuno dei quali può compiere un atto di duplicazione ogni 20-30 minuti in condizioni di temperatura ottimali (sopra i l0 °C), possiamo capire quanto sia importante mantenere l'integrità di quest'organo e più in generale di tutto l'apparato gastro-enterico che va allontanato dalla carcassa nel minor tempo possibile mediante l'eviscerazione, senza contaminare le carni. Anche le muffe si moltiplicano facilmente in cella frigorifera contaminando le carni, ma essendo facilmente visibili, si possono eliminare toelettando (asportando) le parti ammuffite durante il sezionamento della carcassa. In generale si ritiene che il tessuto muscolare di un animale sano sia sterile, ma esistono numerosi fattori condizionanti le caratteristiche microbiologiche: -Salute dell’animale -Morte istantanea o insorta a breve tempo dopo lo sparo -Tempestività del recupero

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-Tempestività dell’ eviscerazione -Corrette manualità -Corrette modalità di trasporto -Adeguata tempistica nel raffreddamento -Interruzioni nella catena del freddo La cute dell’animale è ritenuta una delle maggiori fonti di contaminazione delle carcasse (macellazione): studi recenti evidenziano valori di contaminazione (pool di siti) medi di 6,7 log per CBT (carica batterica totale) e 4,3 per Enterobatteriacee e per quanto concerne i valori dei siti più contaminati abbiamo le estremità distale degli arti con (6,9 log CBT) e la punta di petto con (7,1 log CBT). Nella maggior parte dei lavori che si trovano in letteratura, i batteri riscontrati sono Salmonella spp.,Yersinia enterocolitica e Yersinia psudotubercolosis, Listeria monocytogenes,Campylobacter. 8 VETTORI BIOLOGICI Le carni, oltre a essere colonizzate dai microrganismi, sono facilmente aggredite da insetti (mosche e scarafaggi) e topi, che oltre a nutrirsene, ci camminano sopra insudiciandole con i loro escrementi. Essi inoltre, muovendosi continuamente, diffondono batteri e altri microrganismi, capaci di trasmettere pericolose infezioni alimentari al consumatore. È quindi di primaria importanza, proteggere le carni da queste possibili contaminazioni mantenendo puliti ed igienici i locali di conservazione delle carcasse ed impedendo con ogni mezzo, l'accesso a questi sgraditi ospiti.

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9 CONSIGLI E INDICAZIONI PER IL PRELIEVO E L’INVIO DI CAMPIONI DA SOTTOPORRE AD ESAMI DI LABORATORIO La diagnosi di malattie dei selvatici rimane appannaggio di specialisti. Indagini specifiche sull’animale o su alcune parti di organi o tessuti non sono solo utili per la valutazione della presenza di determinate patologie nella fauna selvatica, bensì anche per una valutazione del rischio per gli animali domestici e per una migliore attività di prevenzione relativa all’alimento destinato all’uomo, in quanto, per mezzo di indagini approfondite, possono essere definiti in modo più appropriato le aree problematiche. Talvolta si verifica l’impossibilità di emettere una diagnosi per mezzo del materiale inviato. Per questo è importante inviare, quando è possibile, l’intero capo oltre agli organi interessati da lesioni ed anomalie. Solo in questo modo malattie infettive possono essere appropriatamente diagnosticate. Consigli pratici per l’invio: un sacchetto con adeguata resistenza è assolutamente indispensabile per l’invio. Il materiale deve essere accompagnato da indicazioni relative alle osservazioni effettuate e alla descrizione precisa della zona di prelievo, così come di ogni possibile notizia utile. Il risultato di indagini di laboratorio dipende direttamente dalle modalità di conservazione e invio. Modalità non corrette di prelievo, possono vanificano l’impegno e il lavoro svolto. E’ importante avere a disposizione il siero di sangue, indispensabile per una infinità di ricerche, soprattutto immunologiche: si può prelevare un grosso coagulo, ad esempio dalla cavità cardiaca o da un grosso vaso sanguigno, usando un contenitore adeguato dove farlo sierare, refrigerarlo e condurlo il più rapidamente possibile all’Istituto di ricerca; può essere utile anche una porzione del polmone. La tempestività dell’invio (intero animale, organi, parti di organi, siero, feci, parassiti,ecc.) così come il corretto prelievo, confezionamento e conservazione (refrigerazione), sono spesso determinanti per il buon esito delle analisi. Il ruolo del cacciatore è fondamentale anche nella vigilanza nei confronti di malattie trasmissibili ad altri animali selvatici o domestici e all’uomo (zoonosi).

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10 INTERPRETAZIONI DELLE ANOMALIE RISCONTRABILI DUR ANTE L’APERTURA DELLA SPOGLIA Durante l’apertura dell’animale alcune alterazioni o anomalie possono essere già osservate e registrate dal cacciatore. Quando si incide la parete addominale bisogna fare attenzione alla eventuale presenza di liquido nella cavità addominale, perché questo potrebbe essere sintomo di una malattia del cuore, dei polmoni o dei reni, o anche di una peritonite; in quest’ultimo caso, il liquido è torbido ed a volte frammisto a sangue. In un animale sano, il peritoneo, che ricopre tutta la cavità addominale ed gli organi, è liscio e lucido; se invece è opaco o addirittura presenta frustoli o aderenze, allora siamo in presenza di una peritonite. A volte si trovano nella cavità addominale degli ascessi di origine batterica (ad es. pseudotubercolosi) ; non devono essere in nessun caso tagliati o incisi, per evitare di contaminare le carni con il pus. Le lesioni causate dalla tenia (echinococco) si trovano piuttosto frequentemente in alcune regioni della cavità addominale, soprattutto nel mesentere, sulla parete del rumine e sulla superficie del fegato. Queste vesciche (cisti), grandi anche come un pompelmo e piene di liquido, sono uno stadio di sviluppo della tenia, il cui ospite finale sono gli animali carnivori. La mancanza di riserve di grasso (grasso perirenale e del mesentere) può essere in relazione con malattie croniche o periodi di carenza alimentare. Per valutare se ci si trova di fronte ad un’infezione virale o batterica, si possono prendere come parametro di riferimento le dimensioni e la forma della milza, organo che riveste un ruolo centrale nel sistema immunitario. In presenza di un’infezione di solito la milza s’ingrossa molto rispetto alle sue dimensioni normali ed i bordi diventano spessi ed opachi. Negli ungulati l’inspessimento della milza è associato ad esempio al carbonchio ematico ed alla peste suina. Nella peste suina dei cinghiali la milza presenta focolai emorragici soprattutto ai bordi. L’ingrossamento del fegato è solitamente indice di un disturbo del metabolismo e non indica necessariamente la presenza di una infezione. Se il fegato è fragile, molle,e mostra una colorazione marrone chiaro, si parla di degenerazione grassa del fegato, che può dipendere da disturbi metabolici, ma anche da intossicazioni. La presenza di piccoli fori rossastri sulla superficie del fegato e l’ingrossamento della cistifellea e dei dotti biliari, dono sintomi di distomatosi (malattia parassitaria). Nel cinghiale si trovano focolai necrotici (cellule morte) di dimensioni variabili, ad esempio in presenza di una necrobacillosi. Nel rene possiamo vedere piccole emorragie puntiformi su di una superficie che ha assunto una colorazione simile all’argilla, nel caso di peste suina; anche un’infezione batterica generica può dare queste emorragie, anche con reni di colorazione normale. Possiamo verificare la presenza di un rumine molto gonfio e con contenuto schiumoso, ciò può essere ricondotto al consumo di cibi molto ricchi di proteine (ad es. l’intossicazione provocata dalla colza nel capriolo). Se invece il rumine si presenta duro e teso, pieno di cereali, allora siamo in presenza di una iperacidosi, a causa di una eccessiva ingestione di alimenti molto energetici. Nel caso che omaso ed intestino presentano una sierosa arrossata ed edematosa, alla presenza di un contenuto liquido maleodorante e misto a sangue, si tratta di un processo infiammatorio che può avere varie cause (batteri, virus, parassiti, ecc.). Un inspessimento delle pareti dell’intestino è segno di una enterite cronica, di varia eziologia (origine). Dopo aver aperto la cavità toracica, è bene verificare l’eventuale presenza di liquido, che può indicare un disturbo della circolazione o, se opaco o purulento, può essere sintomo di una pleurite, con pleura opaca o con aderenze, in genere di origine batterica. L’aderenza del pericardio con il cuore e con la pleura, è sintomo di una pericardite (processo infiammatorio di natura infettiva). Emorragie puntiformi sulla muscolatura cardiaca, possono essere considerate come un sintomo importante di una setticemia batterica. L’infestazione da piccoli vermi polmonari,

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spesso riscontrabili negli ungulati, si presenta sottoforma di focolai giallastri dai contorni irregolari, nelle zone polmonari prossime alla colonna vertebrale. I polmoni di cinghiali con infestazione da vermi polmonari si presentano macchiati; stessa cosa per i ruminanti selvatici infestati da grandi vermi polmonari. Riscontrabili negli ungulati dei noduli polmonari coriacei, della grandezza di un pugno, di origine micotica (funghi). 11 TRATTAMENTO DELLA CARCASSA SINO ALL' ARRIVO A DESTINAZIONE Una volta dissanguata, eviscerata e raffreddata la carcassa deve essere avviata ad un punto dove possa essere sezionata o conservata in pelo per la frollatura; gli accorgimenti da osservare in questa fase sono pochi e semplici ma essenziali. - proteggere le carni; - continuare il processo di raffreddamento; - arrivare a destinazione rapidamente. Per protezione delle carni si intende la tutela del frutto della caccia da qualunque cosa possa danneggiarlo o deprezzarlo; nella stagione calda ad esempio le mosche possono deporre uova rapidamente sulle carni per cui l'utilizzo di una retina antimosche è una pratica certamente utile ed a volte indispensabile. Dopo avere preparato l'animale (dissanguamento, eviscerazione e raffreddamento) può essere necessario affrontare un periodo di trasporto a volte lungo e poco agevole; mentre animali di piccole dimensioni possono essere facilmente trasportati nello zaino, quelli di dimensioni superiori devono per forza essere trasportati da più persone od a volte trascinati fino al mezzo in grado di trasportarli. È ovvio che un cervo aperto dalle mandibole fino al bacino e trascinato per centinaia di metri tenderà a contaminarsi all'interno con fili d'erba ed a volte terra; tali contaminazioni sono però da considerare secondarie ai fini della conservazione delle carni, rispetto alla contaminazione da parte del contenuto intestinale, e potranno essere eliminate facilmente con un semplice lavaggio all'arrivo al centro di lavorazione. La pratica in uso di non aprire il torace di una preda prima dell'arrivo a destinazione (l'addome viene comunque aperto per problemi di peso nel trasporto) è invece assolutamente sbagliata in quanto ostacola il raffreddamento delle carni e può favorire l'uscita di liquidi dall' esofago, liquidi in grado, per la loro componente batterica, di contaminare gravemente le carni. Tra i due tipi di contaminazione delle carni quella da terra è di gran lunga più tollerabile ma è comunque preferibile evitarla; si potrà dotarsi di un telo plastificato da legare attorno al busto dell'animale che, in caso di terreno non eccessivamente accidentato oltre che proteggere la carcassa ne faciliterà lo scivolamento. Per le nostre zone gli animali che danno i maggiori problemi di trasporto, per la loro taglia, sono certamente i cervi e cinghiali di grossa mole. Non appena arrivati ad un mezzo motorizzato in grado di trasportare la carcassa è necessario ricordarsi che questo serve per trasportare la preda al più presto in un luogo idoneo a terminare il processo di raffreddamento (cella frigo o cantina fredda), e non a trasportare i cacciatori in luogo idoneo a festeggiare la cattura dimenticandosi della preda magari sotto il sole; è infatti indispensabile riuscire a mettere rapidamente le carni al riparo da possibili alterazioni. Una volta a destinazione si procede ad appendere l'animale, si effettua un lavaggio energico dell' interno della carcassa con abbondante acqua per pulire la sporcizia ed il sangue che sarà colato nel trasporto, ma senza bagnare il pelo, e la si lascia appesa a sgocciolare; una volta sgocciolata ed asciugata (attenzione a non immettere acqua dove non è in grado di scolare, per esempio all'interno delle ferite) la carcassa sarà pronta per

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passare alla frollatura ed al conseguente sezionamento. Nella fase di scolatura ed asciugatura sarà bene tenere aperto il torace della carcassa con un apposito divaricatore (bastone di legno) al fine di favorirne l'asciugatura interna, e mantenerlo in opera anche nella cella, fino a raffreddamento avvenuto. Bisogna ricordare il ruolo della temperatura esterna nella lavorazione e conservazione delle carni; le temperature di conservazione delle carni sono di 3-7 gradi centigradi ma le celle delle macellerie vengono generalmente tarate a -1°c in quanto a questa temperatura la carne non congela, per cui se abbiamo temperature esterne di 18-20°C (in estate-autunno) ed una cantina fresca ad 8°c questa sarà idonea a favorire il raffreddamento ma non idonea alla conservazione della carcassa che, se conservata in quel luogo, tenderà ad imputridire rapidamente. 12 LA FROLLATURA DELLE CARNI Con il termine "frollatura" si identifica quel processo fisico-chimico naturale, a cui vanno inevitabilmente incontro i muscoli scheletrici della carcassa immediatamente dopo l'abbattimento dell'animale, e che decreta la loro trasformazione in "carne". In questo processo non hanno alcun ruolo i batteri, implicati invece nella putrefazione delle carni. La frollatura riconosce due fasi fondamentali: - la prima detta rigor mortis o rigidità cadaverica, contraddistinta da una progressiva contrattura e acidificazione muscolare; - la seconda detta frollatura vera e propria, contrassegnata da reazioni biochimiche che operano sui vari nutrienti della carne (in particolare sulle proteine), una sorta di predigestione, rendendoli più facilmente assimilabili dal consumatore e conferendo loro l'aroma e il gusto tipici della carne fresca. A seguito della frollatura vera e propria, le masse muscolari della carcassa diventano tenere e pastose, acquistano un giusto grado di lucentezza, e quel che più conta diventano sapide e aromatiche. Se in questa fase, fanno la loro comparsa gli enzimi microbici (anziché quelli propri del muscolo) liberati da batteri che, per qualche ragione, hanno colonizzato la carcassa, non si ottiene la frollatura delle carni, bensì la loro putrefazione. La durata del processo di frollatura varia in funzione di alcuni fattori, tra i quali, i più influenti sono: - taglia dell'animale; - temperatura a cui è mantenuta la carcassa o le carni che ne derivano; - capacità intrinseca dei muscoli di potersi acidificare. Le carcasse di animali abbattuti affaticati (per esempio nel corso di una battuta di caccia con i segugi), andranno incontro ad una cattiva frollatura e tenderanno ad essere secche, dure e scure. In sintesi, un'appropriata acidificazione muscolare è fondamentale per ottenere carni di buona qualità, e il cacciatore, operando sulle modalità di abbattimento, e sulla gestione della carcassa, può ottenerla abbastanza facilmente. La frollatura, ribadiamo, trasforma il muscolo in carne, e consta, come detto, di due fasi: Fase precoce con l’instaurarsi del rigor mortis e acidificazione della carcassa; la caduta del pH richiede circa 24 ore, ed è più rapida con un lento raffreddamento della carcassa. A 24 ore si raggiunge il così detto pH “ultimo” che è di norma compreso fra 5,4-5,7, a cui si accompagna un certo calo peso per “gocciolamento” legato proprio alla fase di acidificazione. Il pH acido contribuisce a rallentare lo sviluppo microbico. Fase successiva: vera e propria proteolisi: si accompagna al risolversi del rigor mortis , ed è determinata dall’azione proteolitica degli enzimi endogeni sulle fibre muscolari, con conseguente intenerimento e sviluppo dell’aroma.

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Durante la seconda fase, in presenza di contaminazioni microbiche, temperature non idonee (superiori a 7-8°C), ed eventualmente in presenza di carni derivanti da animali sottoposti a lunghi inseguimenti stressanti, può verificarsi un fenomeno negativo noto con il nome, come detto, di putrefazione che determina profonde alterazioni nelle carni (diminuita consistenza, alterazioni di odore e colore). La durata della frollatura varia in considerazione della specie, taglia ed età dell’animale: di norma si considera necessario almeno una settimana. 13 LO SCUOIAMENTO La pratica dello scuoiamento consiste nell'asportare la cute, cioè la pelle, che ancora ricopre la carcassa. I punti fondamentali da seguire sono i seguenti:

• Effettuare la scuoiatura in ambiente idoneo, pulito e sufficientemente ampio, corredato di adeguate attrezzature per tenere l'animale sollevato da terra.

• Utilizzare utensili idonei e puliti. Nel caso si sporchino lavarli ed asciugarli nuovamente.

• L'operatore deve indossare abiti puliti, copricapo e guanti a perdere, fare attenzione a non starnutire sulla carcassa, se deve soffiarsi il naso togliersi prima i guanti per rimetterli successivamente.

• Durante tutto il ciclo di lavorazione delle carni è vietato fumare. • Effettuare tutte le operazioni in modo che il pelo non venga mai a contatto

con la carne per evitare contaminazioni. La pelle, oltre a proteggere l'animale in vita, ne protegge le carni dopo la morte, riducendo in maniera sostanziale, soprattutto per animali di piccole dimensioni, l'eccessiva disidratazione dei muscoli durante la conservazione in cella frigorifera; per questo è preferibile che la carcassa conservi la pelle durante la frollatura. Lo scuoiamento della carcassa può essere effettuato: - immediatamente dopo la morte dell'animale, a carcassa ancora calda; - dopo la frollatura in cella di refrigerazione per alcuni giorni. Nel caso di animali appena abbattuti ci troveremo spesso ad avere il pelo ancora bagnato per il recente lavaggio seguito all' eviscerazione, per cui si dovrà fare particolare attenzione affinché i liquidi provenienti dal pelo non contaminino la superficie delle carni, e le manualità di scuoiamento non provochino degli schizzi di liquido sporco sulle parti appena scuoiate. Nel caso di carcasse sottoposte a frollatura, e quindi ben asciutte, alla scuoiatura verrà associata una toelettatura, cioè 1'asportazione, di quelle parti muscolari ed adipose che, esposte all'aria, avranno già subito dei processi di degenerazione con formazione di muffe e patine batteri che vischiose. La toelettatura, unita alla scuoiatura, permetterà di avere una carcassa più presentabile e sanitariamente ineccepibile. Metodica Le metodiche di scuoiamento degli animali variano a seconda della taglia e dell'uso delle pelli; nel nostro caso gli ungulati vengono scuoiati tutti allo stesso modo. Si appende l'animale utilizzando dei ganci appositi (in acciaio inossidabile) infilandoli tra la tibia ed il tendine di Achille di modo che il peso venga portato dall'articolazione tibiotarsica (la cosiddetta caviglia). La carcassa deve essere sempre sollevata dal suolo di almeno 20-30 cm, per permettere alla pelle, una volta terminato lo scuoiamento, di cadere a terra e separarsi dalle carni. Nel caso di animali di grandi dimensioni è necessario munirsi di uno sgabello per riuscire a lavorare con facilità nelle parti più alte.

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Si rimuovono i piedi separando le ossa a livello delle articolazioni del piede e si continua incidendo la pelle lungo l'interno delle gambe fino agli inguini dove i tagli verranno raccordati con l'incisione longitudinale dell'addome, già eseguita in precedenza per asportare i visceri. Nel tagliare la pelle è preferibile inserire la punta del coltello al di sotto del piano cutaneo e tagliarla dall'interno verso l'esterno; questo permetterà di tagliare meno peli e quindi avere meno peli separati dalla pelle che si attaccano alle carni. Ogni volta che il coltello si riempie di peli è necessario pulirlo ed eventualmente lavarlo ed asciugarlo per non trasportare sporco in zone pulite; ogni perdita di tempo relativa alle pratiche igieniche verrà ricompensata con una migliore qualità delle carni ed un grande risparmio di tempo nel ripulire ogni singolo pezzo prima della preparazione alimentare. Effettuati questi primi due tagli e considerando quello relativo all' eviscerazione del capo, avremo ora una sorta di figura a Y e potremo cominciare, prima con una gamba e poi con l'altra, ad asportare la pelle dai muscoli sotto stanti tirandola con forza e aiutandosi con il coltello nei punti dove fatica a staccarsi, stando però bene attenti a non provocare fori nella pelle ed incisioni nei muscoli sottostanti. Dobbiamo considerare l'esterno della pelle, con il pelo, una zona fortemente contaminata mentre l'interno, a contatto con il muscolo, una zona sterile e pertanto i due distretti non dovranno mai venire a contatto. Lo scuoiamento di un animale sottoposto a frollatura è più difficoltoso di quello di un animale appena abbattuto, perché durante la permanenza in cella frigo la pelle ed il sottocute perdono acqua aderendo più fortemente ai piani muscolari sottostanti. Per facilitare lo scuoiamento, è in uso la pratica di insufflare aria con una pompa al di sotto della pelle che verrà così scollata ed asportata più facilmente; tale pratica, se l’aria non è adeguatamente filtrata, è però da evitare in quanto può diffondere germi ed altre sostanze inquinanti nelle carni. La coda viene asportata a filo delle masse carnee tra una vertebra e l'altra e si continua a strappare la pelle lungo la schiena fino ad arrivare alle spalle. Arrivati alle spalle si incide la pelle all'interno degli arti anteriori, dopo avere eliminato i piedi e la si asporta come nei posteriori. Si continua poi nella zona del collo fino ad arrivare alla testa che, rivestendo scarso interesse culinario, viene separata dal corpo a livello dell' articolazione occipitale e lasciata attaccata alla pelle che cade a terra Nel caso della selvaggina cacciata destinata ad autoconsumo o cessione diretta di piccoli quantitativi, è bene effettuare la scuoiatura al termine della fase di frollatura (cd “frollatura sotto pelle”). La scuoiatura deve essere invece completa al momento dell’ispezione post mortem per la selvaggina cacciata destinata alla commercializzazione (Reg. 853/2004 All. III Sez. I, cap.IV , comma 7 e 8).

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14 SEZIONAMENTO Subito dopo lo scuoiamento è consigliabile effettuare il sezionamento della carcassa, infatti la conservazione delle carcasse scuoiate in cella frigorifera porterebbe ad una eccessiva disidratazione delle carni. Con l'animale ancora appeso, dopo averlo scuoiato e toelettato, si procede prima all'asportazione degli arti anteriori che, non essendo collegati da ossa alla colonna vertebrale, vengono facilmente separati dalla carcassa con il solo ausilio di un coltello; si passa poi all'asportazione delle due pareti della cassa toracica segando le coste a pochi centimetri dalla colonna vertebrale, seguendo il bordo della massa comune dei muscoli della colonna vertebrale Si procede poi asportando il collo e la porzione toracica della schiena, separando le vertebre tra l'una e l'altra all'inizio ed alla fine del torace stesso. La lombata viene quindi separata dalle cosce incidendo tra l'ultima e la penultima vertebra lombare per non obbligarci ad una deviazione nel taglio, in quanto la linea che passa per l'articolazione lombo sacrale incontra inevitabilmente le ossa del bacino. Le due cosce infine, vengono separate tra loro sezionando l'osso sacro longitudinalmente, con la sega o con un robusto coltello o mannaia. Dalla carcassa iniziale ci troviamo ora con le seguenti parti : n° 3 sezioni di colonna vertebrale (collo, torace, lombi) n° 2 pareti toraciche (costati) n° 2 arti anteriori (spalle) n° 2 arti posteriori (cosce) Questo ci permetterà di maneggiare singolarmente le parti in questione, rendendoci più agevole la successiva fase di sezionamento in tagli carnei più piccoli, idonei a ottenere preparazioni alimentari diverse. Nel caso di carcasse conservate in frigo scuoiate, le loro superfici si presenteranno secche, a seguito della disidratazione subita dalle fasce connettivali superficiali che ricoprono i muscoli sottostanti. Tali fasce vengono facilmente rimosse mediante lo scollamento, eseguito aiutandosi con il coltello e tirandole poi delicatamente con le mani. Nello stesso modo possono essere asportate le sierose interne, pleure e peritoneo, per fare affiorare i piani muscolari sottostanti. Poiché queste pellicole disidratate sono costituite principalmente da collagene, la loro eventuale permanenza non sarà un problema in quanto in cottura prolungata si reidrateranno completamente, assumendo aspetto gelatinoso; sono comunque da togliere nel caso in cui le carni siano destinate ad una cottura rapida (tagliate), od al consumo crudo (carpacci). Una particolare attenzione merita la rifilatura delle parti grasse che, più di quelle magre, possono conferire sapori anomali ai nostri piatti, se sono andate incontro a fenomeni di degradazione (ossidazione, irrancidimento), per cui ogni parte grassa andrà eliminata, soprattutto quelle venute a contatto con l'ambiente esterno. l grassi alterati sono contraddistinti da un colore diverso, giallo tenue o grigiastro. che li renderà facilmente identificabili

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15 PREPARAZIONE DEI TAGLI Colonna vertebrale Collo: può essere disossato per essere cotto in vari modi, oppure sezionato tra-sversalmente con tutto l'osso. Le vertebre cervicali sono molto grosse e spugnose per cui si rischia di mandare in cottura grandi quantità di osso che verrà poi scartato. Torace: può essere sezionato trasversalmente con la formazione di braciole caratteristiche per forma, oppure diviso longitudinalmente per ottenere le braciole classiche, oppure ancora, disossato per ottenere della polpa dalla caratteristica forma cilindrica (roast-beef) spesso erroneamente denominata filetto. Lombi: si prepara come per il torace oppure può essere cotto intero, con l'osso. Al di sotto delle vertebre lombari si trova il vero filetto che, per la sua sottigliezza, negli animali selvatici viene raramente separato e preparato a parte. Pareti toraciche: vengono sezionate con tutto l'osso per ricavarne spezzatino (con osso) oppure disossate per ottenere polpa per preparare macinato per sughi. Arti anteriori: vengono disossati in toto ed utilizzati per preparare arrosti e bolliti. I muscoli terminali del braccio possono essere reclinati all' interno prima di legare l'arrosto (ovviamente di un animale di piccole-medie dimensioni) oppure staccati ed utilizzati diversamente. Arti posteriori: rappresentano le maggiori masse carnee della carcassa per cui, salvo il caso di animali piccoli, non sarà possibile preparare una intera coscia seppur disossata, come arrosto; si renderà quindi necessaria la separazione dei vari tagli. Nei ruminanti selvatici come in quelli domestici si riconoscono i seguenti tagli di coscia: girello, scamone, fesa, noce, controgirello a cui si aggiungono i muscoli tibiali (lanterna). Si procederà aprendo la coscia dal lato interno, asportando la vena grassa posteriore e separando così i vari tagli tenendo conto che, lo scamone è il pezzo migliore, il più tenero ed adatto a preparazioni a rapida cottura, noce e rosa sono di fibrosità intermedia (la noce è venata di connettivo) e adatti a cotture medie, girello e controgirello sono i pezzi più fibrosi per i quali è d'obbligo una cottura prolungata. Bisogna tenere conto che anche un taglio fibroso, se affettato finemente è adatto ad essere consumato crudo (carpaccio) o marinato, ma soprattutto che le caratteristiche di tenerezza e succosità, sono molto variabili in relazione a razza, sesso, età e stato fisico dell'animale nonché condizione di abbattimento e conservazione delle carcasse e di come viene tagliata la carne dopo il sezionamento. Lo spezzatino può essere ricavato da ogni parte della carcassa, ma si consiglia di risparmiare quelle più nobili (scamone fesa, noce), per destinarle a preparazioni più importanti ed utilizzare ritagli e piccole parti muscolari per spezzatini e macinato

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16 METODI DI CONSERVAZIONE L'utilizzo di procedimenti fisici quali il freddo per conservare le carni è a tutt' oggi il sistema migliore, soprattutto se vogliamo che esse mantengano, pressoché inalterate, le loro caratteristiche organolettiche. 16.1 Refrigerazione Con raffreddamento si intende il portare le carni o l’intera carcassa ad una temperatura sufficientemente bassa da ritardare lo sviluppo microbico e i conseguenti fenomeni alterativi o ancora lo sviluppo di microrganismi pericolosi per la salute del consumatore. Questa pratica è molto importante nelle carni di selvaggina dove il dissanguamento non completo della carcassa e l’inquinamento legato alle pratiche di cattura e di eviscerazione, impongono che si intervenga in modo da limitare le conseguenze negative legate a questi fattori. La discesa della temperatura avviene ovviamente più rapidamente durante la stagione fredda, quando le stesse condizioni ambientali favoriscono il progressivo calo della temperatura; al fine di facilitare comunque questo fenomeno è utile mantenere in posizione aperta le cavità naturali (toracica, addominale), ricorrendo eventualmente all’inserimento di un pezzo di legno ad arco per mantenere l’apertura. Si ricorda inoltre che la pronta eviscerazione, con la rimozione del tratto gastrointestinale, è certamente il modo migliore per favorire una rapida discesa della temperatura. Si ricorda che l’eventuale chiusura della carcassa in un sacco impermeabile per evitare contaminazioni esterne, non è consigliabile in quanto non permette la ventilazione e conseguente discesa della temperatura.Viene condotta in frigorifero, a temperature che vanno da -1 a +3 °C. Il freddo agisce sulle carni rallentando sia i processi di degradazione dei suoi nutrienti, proteine e grassi in particolare, che la proliferazione di germi e muffe, che in modo più o meno abbondante, contaminano la carcassa. È chiaro che per ottenere una conservazione prolungata, il raffreddamento va eseguito nel minor tempo possibile dal recupero del capo e dopo che quest'ultimo abbia subito le pratiche di dissanguamento ed eviscerazione, osservando scrupolosamente le regole igieniche. Questo è di fondamentale importanza, in quanto sono proprio i batteri, che vanno a contaminare le carni in queste fasi, a ridurre drasticamente il loro periodo di conservazione, dovuto al fatto che, essendo germi abituali del terreno e delle acque superficiali delle zone fredde, si replicano bene, anche se più lentamente, in cella di refrigerazione. Il freddo inoltre, rallenta anche le attività degli enzimi responsabili della frollatura, che richiederà tempi più lunghi per il suo svolgimento. Ai fini della frollatura, dentro al frigorifero, oltre alla temperatura vanno considerati anche l'umidità e la velocità dell'aria, fattori che concorrono, se ben regolati, a mantenere basse le cariche batteri che di superficie favorendo nel contempo la maturazione delle carni in profondità. La refrigerazione quindi, svolge contemporaneamente due funzioni: prolunga la vita della carne promuovendone la sua frollatura. È chiaro che questo metodo conserva la carne per un periodo limitato di tempo, che per la selvaggina da pelo, supera con difficoltà i 10-15 giorni (nei capi più grandi). Per prolungare questi tempi, risulta efficace, mettere le carni sotto vuoto, mantenendo le sempre a temperatura di refrigerazione. 16.2 Congelamento Il congelamento viene condotto sulle carni allo scopo di aumentare in modo considerevole i suoi tempi di conservazione, in genere alcuni mesi. Esso è da considerarsi tanto migliore, quanto minore è il tempo impiegato dalla carne per raggiungere in tutta la massa una temperatura di almeno –18 °C. Durante questo processo, all'interno delle singole fibrocellule muscolari si formano dei

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cristalli di ghiaccio, le cui dimensioni dipendono dalla temperatura e dalla velocità di congelamento. Se il trattamento procede speditamente (più di 1 cm l'ora), i cristalli risultano molto piccoli e numerosi; al contrario, se il congelamento procede lentamente, si formano pochi cristal1i di grandi dimensioni, che provocano la rottura del1a fibra muscolare che li contiene. Questo, durante la fase di scongelamento determinerà una copiosa fuoriuscita di succhi muscolari da tutte le fibre lesionate, con sensibile scadimento del1e qualità organolettiche del1e carni. A livello industriale, per ovviare a tali inconvenienti, il congelamento viene eseguito in appositi tunnel, a temperature che superano i –30 °C e nel metodo rapido , i –50 °C per massimo 12 ore in involucri protettivi nel metodo rapidissimo e i –200 °C in impianti ad alta tecnologia nel metodo ultrarapido. Se il congelamento viene eseguito a casa con un normale congelatore, è bene tararlo al massimo, distribuendo le carni il più vicino possibile alle piastre refrigeranti. Altra precauzione è quella di congelare piccoli quantitativi per volta, e soprattutto, per facilitare la penetrazione del freddo nella carne, tagliarla in modo da ottenere spessori ridotti, e disporla nei sacchetti ben stesa, come nei surgelati (fatta eccezione per gli arrosti). Pur osservando scrupolosamente tutti i consigli dati, le carni congelate a casa si degradano più velocemente di quelle congelate utilizzando i sistemi industriali, tanto che se ne consiglia il consumo entro 2-3 mesi. Esse infatti, subiscono più facilmente sia le bruciature da freddo , che l'irrancidimento dei grassi , che le rendono rispettivamente secche in superficie e ripugnanti al consumo, mettendo in risalto odori pungenti, sapori piccanti e un'azione irritante sulle mucose delle prime vie digerenti (bocca, lingua, faringe ed esofago) e sulla mucosa intestinale. Penso sia superfluo precisare che vanno congelate esclusivamente le carni che hanno subito una regolare frollatura e quindi una sufficiente acidificazione, prerogativa delle carni ottenute dall'abbattimento di animali sani, in buono stato di nutrizione, non stressati, sufficientemente dissanguati, prontamente eviscerati e velocemente raffreddati. Le carni di un animale inseguito a lungo, colpito all'addome o in altro punto non vitale, con lungo periodo di agonia prima della morte, a temperature ambientali miti (carni stressate, con cariche batteriche elevate), sono da escludere da qualsiasi forma di conservazione. Al massimo, dopo attenta valutazione, vanno consumate subito, sottoponendole a cottura prolungata. Per conservare più a lungo le caratteristiche organolettiche della carne, è buona pratica prima di congelarle, di confezionarle sotto vuoto, in modo da togliere l'aria, rallentando così sia il processo di irrancidimento dei grassi che quello di disidratazione superficiale. Va ricordato che nel congelatore, soprattutto in vicinanza dell' apertura, vivono e si replicano, seppur lentamente, le muffe, che colonizzano facilmente le carni non ben protette, accelerando in modo sensibile l'irrancidimento dei grassi. Le muffe sono visibili solo quando sono presenti in quantità notevole, quindi se non le vedete non vuoi dire che non ci siano. Questo è un motivo in più per conservare le carni congelate sottovuoto. Al momento dello scongelamento, la carne va tolta dal congelatore e messa subito in frigo, in maniera che il processo avvenga lentamente, limitando al minimo gli stress termici, al fine di ridurre il più possibile la trasudazione dei succhi muscolari, ricchi di sali minerali e di altre sostanze aromatiche in essi disciolte. A temperature di refrigerazione infatti, l'acqua che progressivamente si libera dai cristalli in scioglimento, si accumula negli interstizi muscolari, e viene gradualmente riassorbita dal tessuto connettivo interfasciale, consentendo alle carni di mantenere caratteristiche analoghe a quelle della carne fresca. Le carni scongelate velocemente invece, perdono grandi quantità di liquidi, rivelandosi stoppose alla masticazione e prive di aroma.

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17 DESTINAZIONE DELLA SELVAGGINA CACCIATA autoconsumo; fornitura diretta; commercializzazione; Autoconsumo La selvaggina cacciata e destinata solo ed esclusivamente ad autoconsumo si consiglia l’applicazione delle corrette prassi igieniche, così come per qualunque altro alimento che si consuma. Fornitura diretta Con questo termine, si fa riferimento ai cacciatori che forniscono piccoli quantitativi di selvaggina selvatica o di carne di selvaggina selvatica direttamente al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale che riforniscono il consumatore finale. La cessione deve avvenire sul mercato locale escludendo il trasporto sulle lunghe distanze: questo viene identificato nel territorio della Provincia in cui è avvenuto l’abbattimento dell’animale o nel territorio delle Province contermini Anche alla fornitura diretta non si applicano i disposti legislativi dei Reg.852 e 853. Tuttavia, rispetto all’autoconsumo, si applica il requisito della rintracciabilità: il cacciatore deve comunicare in forma scritta all'esercente l'attività di commercio al dettaglio o di somministrazione la zona di provenienza degli animali cacciati, la data di abbattimento e i quantitativi ceduti al fine di poter adottare gli opportuni provvedimenti cautelari in caso di pericolo per la salute. Cosa si intende per piccola quantità: il Provv. C.P.S.R. 9/2/06 la definisce in un massimo di 500 capi/anno per la piccola selvaggina e un capo/cacciatore/anno per la selvaggina di grossa taglia, fatte salve le pertinenti normative in materia venatoria. Per quanto riguarda la cessione dei capi di selvaggina di grossa taglia abbattuti nell'ambito dei piani selettivi di diradamento della fauna selvatica o comunque nel corso di programmi di abbattimento preventivamente autorizzati o battute di caccia organizzate, si applicano invece pienamente le disposizioni previste al punto 1.18, Sezione 1 dell'All. I del Reg. n. 853/2004/CE: le carcasse devono essere trasferite in un centro di lavorazione della selvaggina per essere sottoposte a visita ispettiva veterinaria ed liberate al consumo solo dopo avere superato con esito favorevole il controllo veterinario ed essere state sottoposte a bollatura sanitaria. Nel caso di carni di suidi e degli altri animali selvatici soggetti alla trichinellosi devono applicarsi i provvedimenti sanitari relativi alla Trichinella ai fini del rispetto dei principi di sicurezza alimentare. Commercializzazione Ad eccezione dei piccoli quantitativi e delle carni destinate all’autoconsumo, tutte le altre carcasse, per poter essere commercializzate, devono essere trasferite in un centro di lavorazione della selvaggina, riconosciuto ai sensi dell’at. 4 del Re. 853/04. I capi, appena abbattuti, devono essere privati di stomaco ed intestino, dissanguati, esaminati da una persona formata, al fine di individuare eventuali rischi per la salute umana e animale. Ciò può essere effettuato da un componente della squadra di caccia che abbia una formazione documentata in materia di igiene e sanità., come previsto dal Reg.853/2004 , all.III, sez.IV , cap.I, garantendo in questo modo un controllo immediato; in alternativa, o in attesa degli interventi formativi, ciò può essere effettuato nei singoli centri di raccolta in presenza di personale formato. La formazione deve comunque garantire, ribadiamo, che i cacciatori e gli operatori dispongano delle nozioni necessarie per tale attività e deve contemplare almeno le seguenti materie: -Normale quadro anatomico, fisiologico, comportamentale della selvaggina selvatica

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-Comportamenti anomali e modificazioni patologiche riscontrabili nella selvaggina a seguito di malattie, contaminazioni ambientali o altri fattori che possano incidere sulla salute umana dopo il consumo -Norme igienico-sanitarie e tecniche adeguate per la manipolazione, il trasporto, l’eviscerazione, ecc dei capi di selvaggina dopo l’abbattimento -Disposizioni legislative ed amministrative concernenti le condizioni di sanità ed igiene pubblica e degli animali per la commercializzazione della selvaggina selvatica Dal momento che l’eviscerazione deve essere il più rapida possibile, si ritiene importante un’ampia diffusione di questi piani di formazione, al fine di poter contare su un’ampia percentuale di cacciatori in grado di individuare i segni di alterazioni e malattia e pertanto attivi nella segnalazione di possibili pericoli. La carcassa quindi, accompagnata dai visceri, ad eccezione di stomaco ed intestino, è trasferita in un centro di lavorazione riconosciuto; se tuttavia i capi sono accompagnati da una dichiarazione numerata della persona formata che indichi data, ora e luogo dell’abbattimento e attesti la non evidenziazione di segni anomali prima e dopo l’abbattimento, visceri e testa possono non accompagnare la carcassa (ad eccezione dei cinghiali che, essendo soggetti a trichinosi, devono sempre essere accompagnati da testa, zanne escluse, e diaframma). La selvaggina è sottoposta a ispezione al più presto dopo l'ammissione allo stabilimento di manipolazione; qui il veterinario ufficiale, dopo aver esaminato la dichiarazione o le informazioni che la persona formata partecipante alla caccia dell'animale ha fornito conformemente al Reg. CE n. 853/2004, procede all'ispezione post mortem effettuando le seguenti operazioni previste al Reg. CE 854/2004 All. I, capo VIII. Per le carcasse di cinghiali è obbligatoria anche la ricerca di Trichinella. I centri riconosciuti, oltre a consentire una lavorazione idonea sotto il profilo igienico, permettono che venga effettuata correttamente la visita ispettiva di tutte le carcasse, le quali possono essere esitate al consumo soltanto dopo avere superato favorevolmente detta visita ed essere state sottoposte a bollatura sanitaria. Consentono, inoltre, che gli scarti della lavorazione, quali le pelli, o eventuali animali o parti dichiarati non idonei al consumo vengano raccolti rispettivamente come materiali di cat. III e II ai sensi del Reg. 1069/2009 e sottoposti al relativo trattamento di smaltimento. La refrigerazione deve iniziare entro un ragionevole lasso di tempo dall'abbattimento e raggiungere una temperatura in tutta la carne non superiore a 7°C. Se le condizioni climatiche lo consentono, la refrigerazione attiva non è necessaria.

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17.1 VIGILANZA SULLA COMMERCIALIZZAZIONE E/O SOMMINISTRAZIONE DELLE CARNI

DI SELVAGGINA prodotte dall’attività venatoria

DESTINAZIONE DELLE CARNI DI SELVAGGINA CACCIATA

Ai sensi della normativa vigente le carni di selvaggina uccisa a caccia possono

avere diversa destinazione a seconda che la fauna selvatica sia stata abbattuta nell’ambito dell’attività venatoria o se, invece, sia stata abbattuta nell’ambito dei piani di contenimento della specie.

Fermo restando l’obbligo, per i cinghiali, del prelievo di muscolo da parte della ASL

competente per l’esecuzione dell’esame per la ricerca della trichinella spp. con esito favorevole, le carni possono avere infatti le seguenti DESTINAZIONI:

1) ATTIVITA’ VENATORIA 2) PIANI DI CONTENIMENTO DELLA SPECIE

Autoconsumo

Cessione diretta - consumatore finale - dettagliante (macellerie, ristoranti, ecc.)

Commercializzazione (previo invio a centro di

lavorazione della selvaggina)

Autoconsumo (solo se previsto da

Amministrazione Provinciale)

Commercializzazione (previo invio a centro di

lavorazione della selvaggina)

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1) FAUNA SELVATICA ABBATTUTA NELL’ESERCIZIO DELL’ATTIV ITA’ VENATORIA (modalità e tempi previsti dalla normativa vigente e dal calendario venatorio)

A) AUTOCONSUMO, cioè consumo privato da parte del cacciatore.

B) CESSIONE DIRETTA (occasionale)

� DAL CACCIATORE AL CONSUMATORE, inteso come consumatore finale; � DAL CACCIATORE AL DETTAGLIANTE, inteso come laboratori annessi ad

esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale, che riforniscono il consumatore finale, come ad es. macellerie, ristoranti, agriturismi, etc.

In questi casi devono essere rispettati, da parte del cacciatore, i seguenti requisiti: - rapporto diretto tra cacciatore e destinatario; - rispetto del limite imposto dalla normativa vigente: max 1 capo/anno per cacciatore di selvaggina di grossa taglia (cinghiale, capriolo, daino, cervo, ecc.) e 500 capi/anno per cacciatore di selvaggina di piccola taglia; - ambito locale, inteso come provincia e province contermini (in riferimento al luogo ove è avvenuto la caccia); - comunicazione scritta da parte del cacciatore sulla provenienza della selvaggina, in ottemperanza alle disposizioni di cui al Reg. CE n. 178/02. Per quanto riguarda la Regione Umbria si utilizza l’apposito modulo previsto dalla D.G.R. Umbria n. 2221/2011, allegato 1, compilato in duplice copia di cui una per il cacciatore ed una per il destinatario.

C) COMMERCIALIZZAZIONE, previo invio ad un CENTRO DI LAVORAZIONE

DELLA SELVAGGINA riconosciuto ai sensi del Reg. CE n. 853/04 per essere sottoposta ad ispezione sanitaria ai sensi del Reg. CE n. 854/04 e a bollatura sanitaria, in caso di esito favorevole. Anche in questo caso vige l’obbligo, per il cacciatore, di documentare la provenienza delle carni utilizzando la specifica dichiarazione post-abbattimento prevista in Umbria dalla D.G.R. n. 2221/2011, allegato 2, compilata in triplice copia di cui una per il cacciatore, una per il destinatario ed una per il Servizio Veterinario della ASL competente per il territorio di abbattimento.

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2) FAUNA SELVATICA ABBATTUTA NELL’AMBITO DEI PIANI DI CONTENIMENTO DELLA SPECIE (Art. 19 della Legge 11.0 2.1992, n. 157)

A) COMMERCIALIZZAZIONE , previo invio ad un CENTRO DI LAVORAZIONE DELLA SELVAGGINA riconosciuto ai sensi del Reg. CE n. 853/04 per essere sottoposta ad ispezione sanitaria ai sensi del Reg. CE n. 854/04 e a bollatura sanitaria, in caso di esito favorevole. Anche in questo caso vige l’obbligo per il cacciatore di documentare la provenienza delle carni utilizzando la specifica dichiarazione post-abbattimento prevista in Umbria dalla D.G.R. n. 2221/2011, allegato 2, compilata in triplice copia di cui una per il cacciatore, una per il destinatario ed una per il Servizio Veterinario della ASL competente per il territorio di abbattimento;

B) AUTOCONSUMO, cioè consumo privato da parte del cacciatore, solo se previsto

dall’Amministrazione Provinciale competente per territorio a titolo di rimborso spese di abbattimento, nel limite di un capo/cacciatore/anno;

ATTENZIONE!

IN QUESTO CASO NON E’ CONSENTITA LA CESSIONE DIRETT A.

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ATTIVITA’ DI VIGILANZA C/O DETTAGLIANTI SU CARNI DI SELVAGGINA CACCIATA

Durante gli interventi di vigilanza eseguiti presso i dettaglianti (macellerie, ristoranti, agriturismi, sagre, ecc.), con l’obiettivo di verificare l’ottemperanza delle disposizioni sulla commercializzazione/somministrazione di carni di selvaggina cacciata, è necessario accertare:

- la regolarità dell’origine delle carni; - il rispetto dei requisiti di tracciabilità ed etichettatura; - l’idoneità al consumo; - il rispetto dei requisiti di igiene .

A) CARNI DI SELVAGGINA CACCIATA PRODOTTA IN CENTRI DI LAVORAZIONE RICONOSCIUTI

I controlli sulla commercializzazione al dettaglio/somministrazione delle carni di selvaggina cacciata prodotte in “centri di lavorazione di selvaggina” non sono diversi da quelli che di regola vengono eseguiti per le altre carni prodotte in stabilimenti riconosciuti ai sensi del Reg. CE n. 853/04.

Anche le carni di selvaggina cacciata possono essere commercializzate come: � carni sfuse o confezionate � carni refrigerate, congelate o surgelate.

In tutti i casi le carni devono riportare: � la bollatura sanitaria prevista dal Reg. 854/04, riportante il n° di riconoscimento CE dello stabilimento di produzione, applicata direttamente sulle carni o sulle etichette poste sulle confezioni; � le indicazioni obbligatorie previste dal D.Lgs. n. 109/92 sulle etichette, in

caso di carni confezionate. L’OSA ha inoltre l’obbligo di garantire la tracciabilità delle carni conservando le

informazioni riguardanti il fornitore e i documenti di accompagnamento delle stesse (DDT, fattura, ecc.).

Per quanto riguarda i controlli sulle modalità di conservazione, l’OSA deve garantire il mantenimento delle carni di selvaggina selvatica refrigerata ad una temperatura a cuore non superiore a +7°C per la grossa selvaggina e a +4°C per la piccola selvaggina. Per le carni congelate/surgelate la temperatura di conservazione è di -18°C.

In caso di apertura da parte dell’OSA della confezione originale e parziale utilizzo del contenuto con successivo riconfezionamento/congelamento della parte restante, dovrebbe essere applicata un’etichetta che consenta di correlare le carni alla confezione originale, con indicazione della data di riconfezionamento /congelamento.

B) CARNI DI SELVAGGINA CACCIATA CEDUTE DAL CACCIAT ORE

Il dettagliante ha sempre l’obbligo di documentare la provenienza delle carni per cui, nel caso di selvaggina uccisa a caccia ricevute dal cacciatore per cessione diretta, deve essere in possesso del documento (allegato 1) rilasciato dal cacciatore in cui è indicata la provenienza delle carni, la data e l’ora dell’abbattimento.

Tale documento ci consente anche di effettuare un controllo sulla regolarità della cessione diretta effettuata dal cacciatore (ambito territoriale e n° capi) e sul rispetto

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dell’obbligo, per le carni di cinghiale, dell’esecuzione dell’esame per la ricerca di Trichinella spp.

In caso di confezionamento/congelamento delle suddette carni da parte dell’OSA dovrebbe essere applicata un’etichetta che consenta di correlare le carni al documento sopradescritto, con indicazione della data di confezionamento /congelamento.

Per quanto riguarda i controlli sulle modalità di conservazione, deve essere garantito il mantenimento delle carni di selvaggina selvatica refrigerata ad una temperatura a cuore non superiore a +7°C per la grossa selvaggina e a +4°C per la piccola selvaggina. Per le carni esposte, devono inoltre essere rispettate idonee condizioni di separazione da altri alimenti al fine di evitare contaminazioni crociate.

L’eventuale congelamento delle carni da parte dell’OSA deve essere effettuato utilizzando un abbattitore della temperatura e la successiva conservazione in congelatore deve avvenire a temperatura di -18°C.

Considerate le condizioni igieniche non sempre ottimali con cui vengono ottenute le carni di selvaggina, dalla fase di abbattimento fino alla cessione diretta, è opportuno in vigilanza verificare, mediante ispezione delle carni, l’assenza di imbrattamenti, lesioni, ecc. che le rendono non idonee al consumo.

E’ opportuno inoltre verificare che il piano di autocontrollo adottato dall’OSA preveda specifiche indicazioni riguardanti la gestione igienica delle carni di selvaggina uccisa a caccia cedute dal cacciatore, nelle diverse fasi dall’accettazione alla vendita/somministrazione.

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ALLEGATO 1

CESSIONE DIRETTA DI SELVAGGINA Dichiarazione di provenienza in base alle disposizi oni del Reg. CE n. 178/2002

relativi alla rintracciabilità (compilare in stampatello e firmare per esteso)

Data ............................ Dichiarazione n° …………………………….. Il sottoscritto cacciatore …………………………………………………………………………

………………….. Residente In

via/piazza……………………………………………………………………… n …… Località ……………………… Comune ………………………. Provincia …….

Dichiara di aver abbattuto data dell’abbattimento ora dell’abbattimento luogo dell’abbattimento

le seguenti specie: specie grossa selvaggina ………………………………………. n° fascetta (se dovuto)

………………….. specie piccola selvaggina ………………………………………. n° …………… specie piccola selvaggina ………………………………………. n° ………….. specie piccola selvaggina ………………………………………. n° …………. specie piccola selvaggina ………………………………………. n° ………….

e cede il/i suddetto/i capo/i a: � consumatore finale � esercizio di

commercio al dettaglio

(indicare ragione sociale e sede) ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

� esercizio di somministrazione

(indicare ragione sociale e sede) ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

Firma del cacciatore …………………………………………

Da compilare in duplice copia: una per il cacciatore e una per il destinatario.

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18 MALATTIE DEGLI UNGULATI SELVATICI E ZOONOSI Eziologia: - Malattie virali - Malattie batteriche - Malattie parassitarie - Intossicazioni - Tumori Le malattie sono sicuramente uno dei punti critici nella gestione della fauna a vita libera. Siamo abituati a pensare alle malattie come ad un nemico da combattere perché porta a delle perdite economiche, ma questo ragionamento può venire applicato nell’allevamento degli animali da reddito, ma presenta alcuni dubbi quando si parla di specie selvatiche a vita libera. Infatti se consideriamo le malattie da un punto di vista biologico dobbiamo notare come queste svolgano un importante ruolo, al pari dei predatori, delle condizioni climatiche estreme e dei fattori alimentari, nella regolazione delle popolazioni. La resistenza agli agenti patogeni è stata, ed è tuttora, uno dei principali fattori di selezione naturale che agiscono sugli organismi viventi. L’interazione tra un agente patogeno e la specie ospite normalmente ricade nel parassitismo. Il parassitismo è un’interazione in cui una specie, il parassita (virus, batterio, protozoo, elminta o artropode) trae vantaggio (cibo e/o ricovero) dalla specie ospite parassitata. Parlando di parassitismo vi sono però diversi gradi di interazione che vanno da agenti patogeni in grado di uccidere in poco tempo l’ospite, a rapporti in cui il danno arrecato dal parassita è limitatissimo e può quasi sfociare nel commensalismo, situazione che si determina quando entrambi gli organismi traggono vantaggio dalla reciproca convivenza. Possiamo quindi fare una prima distinzione tra malattie condizionate e malattie non condizionate. Le prime sono quelle in cui i fattori legati all’ambiente e all’ospite sono fondamentali per determinare lo svilupparsi della malattia, mentre nelle seconde i caratteri di virulenza dell’agente infettante sono la causa primaria della malattia, mentre lo stato dell’ambiente e dell’ospite non hanno un ruolo fondamentale per determinare lo sviluppo della malattia. Emerge comunque come l’infezione, cioè il contatto di un ospite con un agente patogeno, non sempre esiti in malattia. Infatti le relazioni tra agente patogeno ed ospite sono complesse e regolate da molti fattori quali: predisposizione genetica, stato fisiologico, livello di nutrizione, condizioni climatiche, carica infettante e virulenza dell’agente patogeno Nelle popolazioni in equilibrio i patogeni sono normalmente presenti, ma solamente alcuni soggetti si ammalano e periscono. A questa situazione “naturale” si contrappone però spesso l’attività umana che provoca delle perturbazioni nel normale status sanitario delle popolazioni selvatiche. Ecco che, occasionalmente, possono presentarsi situazioni in cui agenti particolarmente virulenti associati a condizioni sfavorevoli scatenano epidemie con pesanti perdite nelle popolazioni selvatiche. Questi epidemie possono essere acute quando il patogeno tende a non mantenersi nella popolazione infettata, o croniche quando invece persiste nella popolazione. Spesso si associa un’alta densità di popolazione al rischio di insorgenza di una epidemia, ma va ripetuto che le infezioni possono verificarsi solamente in presenza di una causa specifica. Chiaramente un’alta densità può debilitare gli animali, abbassandone la capacità di difendersi dai patogeni e può facilitare la rapida diffusione degli stessi, ma solamente la presenza di un particolare e preciso agente patogeno può portare ad un’epidemia. Appare evidente che evitare l’introduzione degli agenti patogeni nelle popolazioni selvatiche è uno dei principali strumenti a disposizione per evitare l’insorgenza

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di nuove epidemie. Risulta difficile pensare che qualcuno possa introdurre deliberatamente degli agenti patogeni nell’ambiente silvestre. Purtroppo invece l’uomo, spesso involontariamente, è la causa principale di molte epidemie che hanno colpito in anni recenti la nostra fauna. La brucellosi è stata trasmessa ai bovidi alpini, camoscio e stambecco, da bestiame domestico infetto salito all’alpeggio; in alcune aree i cinghiali hanno contratto la brucellosi da lepri importate dall’est Europa; la tularemia e l’EHBS (Sindrome della Lepre Bruna Europea) che sono oggi presenti nelle lepri sono anch’esse frutto dei ripopolamenti. La lista di queste “malattie introdotte” è molto lunga. L’esempio che ne dobbiamo trarre è che gli spostamenti di animali andrebbero limitati ai casi di effettivo bisogno, e la valutazione del rischio sanitario andrebbe sempre inclusa nei progetti di ripopolamento/reintroduzione. Spesso le informazioni sulle malattie della fauna sono incomplete e frammentate, ma va considerato che negli ultimi anni numerosi studi sono stati condotti in diverse specie e realtà per cui il quadro complessivo è notevolmente migliorato. L’interesse nei confronti delle malattie della fauna è stato sovente “indotto” da focolai epidemici, ma sempre più il monitoraggio viene eseguito anche in situazioni di “normalità”. E’ da rimarcare come buona parte di queste indagini e dei monitoraggi vengano condotti su soggetti prelevati durante l’attività venatoria e come questo sia spesso stato sollecitato dal mondo venatorio che dimostra sempre più di aver acquisito una maggiore maturità sulle tematiche sanitarie. Illustrare, anche brevemente, tutte le malattie che colpisco, o possono colpire, la fauna selvatica della nostra regione richiederebbe un trattato apposito. Tanti sono infatti i patogeni presenti nella nostra fauna e in molti casi le nozioni sono spesso frammentarie. Si è quindi ritenuto opportuno descriverne solo alcune, scegliendo le zoonosi, che possono colpire anche l’uomo, e le malattie maggiormente diffuse con impatto significativo sulle popolazioni animali. 18.1 Rabbia La rabbia è causata da un virus , in grado di colpire animali selvatici e domestici e di essere trasmesso all’uomo e ad altri animali attraverso il contatto con saliva di animali malati, quindi attraverso morsi, ferite, graffi, soluzioni di continuo della cute o contatto con mucose anche integre. E’ quindi una zoonosi che di regola si trasmette attraverso il morso di un animale malato ad un altro animale o all’uomo. I sintomi caratteristici sono dolori acuti nel punto del morso, disturbi nella deglutizione, salivazione eccessiva, paura e sbalzi di umore. La malattia termina sempre con la morte, in seguito a paralisi progressiva. Il virus della rabbia è contenuto nella saliva; nel punto d’infezione i virus si riproducono dapprima nelle cellule muscolari, quindi migrano attraverso i nervi nel cervello, dove avviene una ulteriore replicazione. Di qui si propagano poi alle ghiandole salivari, al pancreas ed ai follicoli, dove replicano ancora e vengono rilasciati con i secreti (saliva, secrezioni gastriche, sudore). Il cane, per il ciclo urbano, e la volpe, per il ciclo silvestre, sono attualmente gli animali maggiormente interessati sotto il profilo epidemiologico. Il decorso clinico dell’encefalite rabida è caratterizzato da due possibili forme (furiosa e paralitica), con epilogo fatale. Per l'identificazione di un caso di rabbia nel caso della selvaggina, occorre prestare attenzione alle turbe del comportamento, a fenomeni di aggressività da parte di animali normalmente mansueti o viceversa, e a modifiche della fonesi. La prevenzione della malattia nell’uomo si basa sulla vaccinazione preventiva per chi svolge attività professionale “a rischio specifico” (veterinari, guardie forestali, guardie venatorie ecc.) e sul trattamento vaccinale post esposizione, limitato a particolari situazioni di rischio, come l’aggressione da parte di un animale sospetto. Nelle aree a rischio, cui la rabbia è endemica o che confinano con zone endemiche, ogni animale rinvenuto morto o che presenti un comportamento anomalo deve venire trattato con la massima prudenza. Questo comporta la sua manipolazione con guanti e l’invio della carcassa, o almeno della

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testa, ad un centro diagnostico. La rabbia è ancora diffusa nei paesi dell’est Europa e in Germania.

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18.2 Peste suina La peste suina è una malattia virale altamente contagiosa, dal decorso acuto o cronico, che può colpire maiali e cinghiali. Non costituisce, ad oggi, un pericolo per le altri specie animali e per l’uomo. Viene trasmessa da suini infetti che inizialmente, ad un giorno dal contagio, diffondono il virus attraverso la saliva e le secrezioni oculari e successivamente in maniera massiccia, attraverso l’urina e gli escrementi. Dobbiamo distinguere tra peste suina africana e peste suina europea. In passato più frequenti le forme acute, oggi a causa dell’adattamento dei virus si manifestano per lo più le forma croniche. Nelle forme acute compaiono febbre alta, accompagnata da diarrea ed apatia; nell’animale morto si osservano emorragie puntiformi nel laringe, vescica, reni e cuore. La più recente forma cronica dei cinghiali, spesso è difficile da diagnosticare. La classe di età più a rischio per l’epidemia e la sua diffusione, è senza dubbio quelle dei cinghialetti. 18.3 Brucellosi (Brucella spp) E’ una malattia contagiosa sostenuta da specie diverse del genere Brucella che colpisce principalmente bovini, ovi-caprini e suini, mentre negli animali selvatici è stata isolata da renne, cervi, bisonti, camosci, stambecchi, caribù, lepri e cinghiali. La brucellosi è stata segnalata in aree limitate dell’arco alpino Italiano, nel camoscio e nello stambecco, a cui è stata trasmessa da bovini e ovini infetti, mentre sembra essere più diffusa nel cinghiale. L’infezione può portare aborto nella femmina e frequente lesioni di orchite ed epididimite, con rigonfiamento dello scroto e occasionalmente suppurazione nel maschio. Sono spesso rilevabili lesioni granulomatose a livello del carpo con conseguente zoppia degli animali infetti. Una specie particolare Brucella suis colpisce il cinghiale e le lepri. Un tempo non era presente in Italia, ma negli ultimi anni sono stati rilevati alcuni focolai dovuti all’importazione di lepri dall’est Europa. L’ infezione umana è possibile attraverso il contatto con visceri infetti, anche se è stata raramente segnalata l’infezione dell’uomo attraverso la manipolazione di selvatici infetti. 18.4 Tubercolosi La Tubercolosi (TBC) è una malattia cronica causata da micobatteri che colpisce l’uomo e l’animale e può manifestarsi sia negli animali domestici che in quelli selvatici (di pelo e di penna). Negli animali che vivono in libertà la TBC è rara, ma può portare invece a gravi conseguenze negli allevamenti, in particolare in quelli di cervi e daini. Fonti d’infezione per gli animali selvatici, sono in genere gli animali domestici al pascolo. L’agente patogeno si trasmette per via aerea ed attraverso il cibo e provoca una reazione infiammatoria tubercolotica nella sede di entrata (generalmente polmonare o intestinale) degli organi interessati e dei relativi linfonodi. Si tratta di focolai giallastri, secchi o friabili, talvolta caseificati; successivamente possono ammalarsi altri distretti dell’organismo. Una forma particolare di TBC si osserva nei cervi; nell’animale malato, nella regione della testa e del collo, i linfonodi infiammati sono spesso molto ingrossati e pieni di sostanze purulente, tanto da confondersi con ascessi. Trattandosi di una malattia cronica, in uno stadio avanzato comporta dimagramento e debolezza.La fauna selvatica può essere un indicatore e/o un serbatoio di micobatteri presenti nell’ambiente in cui vive. In particolare può agire da vettore di M. bovis per il patrimonio zootecnico, creando gravi problemi di sanità pubblica non solo ostacolando il raggiungimento dell’indennità ma anche per il risvolto zoonosico dell’infezione. Nello specifico, il cinghiale, oltre a M. bovis, può albergare altri micobatteri patogeni e/o saprofiti. segnalata fin dall’antichità ed è causata da microrganismi patogeni aerobi obbligati del genere Mycobacterium, che provocano nell’ospite una reazione di tipo granulomatoso. Le specie batteriche che vengono raggruppate all’interno di questo grande genere riconoscono ospiti d’elezione, come ad esempio M. tuberculosis nell’uomo e M. bovis nel bovino. Si preferisce però parlare, nel

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caso del cinghiale di micobatteriosi in quanto è ancora sconosciuto o perlomeno non precisato il ruolo di questo mammifero. Per quanto riguarda l’infezione da M. bovis nel cinghiale, essa è stata diagnosticata in molti Paesi europei, compresa l’Italia. La maggior parte delle segnalazioni riguarda i casi di tubercolosi da M. bovis in concomitanza di focolai nella specie bovina, rilevando che il riscontro dell’infezione nel cinghiale è direttamente proporzionale alla prevalenza e all’incidenza della stessa nei bovini. La tubercolosi è una zoonosi a denuncia obbligatoria. 18.5 Paratubercolosi La paratubercolosi è una malattia batterica intestinale cronica dei ruminanti, contagiosa e diffusa in tutto il mondo, causata da Mycobacterium paratubercolosis. Colpisce, di norma, ruminanti domestici e selvatici, ma anche altre specie animali sono recettive all’infezione, pur senza contrarre la malattia. Gli animali selvatici possono essere infettati dai ruminanti domestici, oppure contribuire essi stessi alla diffusione dell’agente eziologico. Questo ultimo può essere veicolato tramite escrementi, latte e sperma. L’infezione avviene soprattutto per via orale, tramite cibo, acqua e latte contaminato. L’insediamento e la riproduzione dei batteri nella mucosa intestinale provocano un’infiammazione cronica, accompagnata nelle ultime fasi da diarrea incoercibile. Nell’ultimo decennio si registra una quantità crescente di casi di paratubercolosi in cervi, caprioli,camosci e mufloni, di cui si stanno tuttora studiando le cause. Gli animali ammalati mostrano soprattutto ingrossamento dei linfonodi mesenterici ed alterazioni della mucosa intestinale, del fegato e della milza. 18.6 Listeriosi Malattia batterica sostenuta da Listeria monocytogenes: accertata in caprioli e lepri, occasionalmente nei volatili. Può colpire anche l’uomo. Tra gli animali domestici viene diagnosticata di frequente in pecore e bovini; una fonte d’infezione è spesso rappresentata da insilati che hanno subito una fermentazione non appropriata. Il suo sintomo principale è il marcato dimagramento. Spesso si riscontra ingrossamento del fegato e della milza, accompagnato da focolai necrotici grandi 3-4 mm.. L’importanza per l’uomo è che la listeriosi è una malattia infettiva, trasmessa in genere con gli alimenti, che si manifesta sporadicamente in forma conclamata. L'incidenza è molto bassa, di appena 7 persone su un milione, le tipologie più a rischio sono soprattutto i neonati e le persone che hanno superato la sesta decade di età. I soggetti che hanno immunodeficienze sono più vulnerabili. Si manifesta in genere in gravidanza o in soggetti immunodepressi e pur trasmettendosi per via alimentare non dà sintomatologie gastroenteriche ma manifestazioni generali quali la setticemia o la meningite purulenta o infezioni intrauterine o fetali. In gravidanza ha una sintomatologia subdola, simil influenzale, con gravi ripercussioni sul feto. L'infezione avviene per ingestione di determinati prodotti alimentari, soprattutto crudi, ma anche per contatto diretto e nel processo di macellazione di animali infetti. Alcuni formaggi come il gorgonzola hanno la crosta considerata non commestibile proprio a causa della possibile presenza di Listeria. È causata da Listeria monocytogenes: batterio Gram positivo, aerobio, dotato di grande mobilità capace di produrre alcune tossine. L'azione patogena sembra da ricondursi all'azione intracellulare di questi batteri che penetrano nel vacuolo endosomico successivamente lisato ad opera della Listeriolisina O. Alcuni lipidi presenti nella parete cellulare hanno la capacità di alterare i processi metabolici della cellula parassitata mentre il gliceride A sembra richiamare nel luogo dell'infezione un elevato numero di monociti. La proteina Act- A sembra essere in grado di polimerizzare l'actina che forma un specie di coda all'estremità batterica che gli conferisce la capacità di muoversi e di infettare altre cellule. Fra i sintomi e i segni clinici (a seconda della tipologia), ritroviamo: febbre alta, endocardite, osteomielite, colecistite,

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peritonite, meningite, paralisi dei nervi cranici, perdita motoria. La diagnosi più che sulla sintomatologia si basa sull'isolamento del germe nel sangue o nel liquido cefalorachidiano o nel liquido amniotico. I cibi incriminati sono vari: latte non pastorizzato, formaggi freschi, insaccati, verdure contaminate. Si manifesta anche negli animali, in particolare bovini, caprini ed ovini. Si somministra ampicillina (2g per endovena) con l'aggiunta di un aminoglicoside, eritromicina 10 mg/kg al giorno per la forma da dermatite. In molti casi la malattia ha un esito infausto. Una valida profilassi è rappresentata dalla cottura del cibo. 18.7 Salmonellosi Le salmonelle sono bacilli Gram-negativi, asporigeni, anaerobi facoltativi. Fermentano il glucosio, producendo gas (acido solfidrico), riducono i nitrati e non producono citocromo-ossidasi. La maggior parte non fermenta il lattosio. Possedendo flagelli peritrichi, sono tutte mobili tranne S.Gallinarum-Pullorum.I sierotipi sono diversificati secondo l'antigene somatico "O", l'antigene flagellare "H" e l'antigene di superficie "Vi". Secondo l'antigene "O", si distinguono nei sierogruppi A, B, C1, C2, D ed E. Le salmonelle sono presenti nell'ambiente e possono essere sia commensali sia patogeni per uomini e per vari animali; alcuni sierotipi lo sono esclusivamente per l'uomo (es. S. typhi e S. paratyphi A e C), altri si adattano anche ad altri animali (es. S. typhimurium). Nell'uomo sono causa di due patologie infettive: la febbre tifoide e paratifoide. L'infezione da salmonelle è trasmessa per via oro-fecale attraverso l'ingestione di cibi o bevande contaminate. Il periodo di incubazione è molto breve, infatti i sintomi della malattia possono manifestarsi anche solo dopo 12 ore dall'ingestione del batterio. I sintomi interessano il tratto gastrointestinale e sono rappresentati da: dolore addominale, nausea e vomito, febbre e diarrea, malessere generale. Tale patologia ha generalmente decorso breve e termina con la guarigione, ma non è da sottovalutare. Gli alimenti contaminati con salmonelle (ad es. carni di animali infetti) rappresentano dunque un grande rischio per l’uomo. Negli animali colpiti da salmonellosi non si riscontrano alterazioni specifiche, si osservano generalmente solo forti arrossamenti, edemi ed emorragie della mucosa intestinale. Linfonodi e milza possono essere ingrossati. 18.8 Botulismo Il Botulismo è una malattia causata da un'intossicazione alimentare, provocata dall'ingestione di alimenti nei quali è presente la tossina del Clostridium botulinum, batterio Gram +.Il quadro clinico è caratterizzato da pupille fisse, dilatate, mucose secche, paralisi muscolare discendente progressiva, che parte dal capo e va verso le braccia, ed elevata mortalità.I malati di botulismo muoiono per paralisi respiratoria. È necessario sottolineare che esistono altre due forme principali di botulismo: il botulismo infantile, provocato dall'ingestione delle spore batteriche che successivamente si sviluppano nell'intestino e producono la tossina, e la forma più rara di botulismo causata dall'infezione delle ferite. Cause (eziologia) Sono stati individuati sette ceppi immunologicamente distinti di Clostridium botulinum, denominati con le lettere dell'alfabeto da A a G. Ogni tipo elabora una tossina antigenicamente specifica. Le tossine di tipo A, B ed E sono responsabili delle intossicazioni che si sono avute negli Stati Uniti. Si sono riscontrate due sole epidemie di botulismo. La prima nell'isola danese di Langeland a seguito dell'ingestione di paté di fegato; la seconda di tipo F, si è avuta in California e fu dovuta a carne di cervo essiccata. Il tipo C e D producono la malattia esclusivamente in animali, fra i quali uccelli acquatici, bovini, cavalli e visoni.

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Le spore di tipo A e B sono presenti nel terreno di tutto il mondo in gran quantità; le spore di tipo E sono state rinvenute nel fango e nella sabbia. Le spore di tipo F si trovano anch'esse nella sabbia del mare. L'azione della tossina Una volta in circolo, la tossina espleta la sua fun zione legandosi irreversibilmente alle sinapsi colinergiche periferiche. In particolare idrolizza le proteine di fusione delle vescicole sinaptiche contenenti l'acetilcolina, impedendo così la formazione dei complessi SNARE con la membrana della terminazione nervosa e la liberazione del neurotrasmettitore nella giunzione neuromuscolare. Bloccando il rilascio dell'acetilcolina, i muscoli interessati non possono contrarsi e questo produce la paralisi flaccida. Manifestazioni cliniche Il botulismo può essere lieve con manifestazioni subcliniche oppure fulminante e portare alla morte nel giro di 24 ore. In generale più i sintomi compaiono precocemente più la malattia è grave. Il periodo di incubazione, con la conseguente comparsa dei sintomi, dipende dalla via di infezione. Per inalazione il reale periodo di incubazione non è noto, ma in tre casi clinici documentati si aggirava attorno alle 72 ore. Per via intestinale l'incubazione dura da 6 ore a 8 giorni, da ferite da 4 a 18 giorni dopo il contatto. Le sei diverse tossine, quelle prodotte dai ceppi indicati dalla lettera A fino alla F, provocano gli stessi effetti clinici. Il ceppo G non ha finora evidenziato effetto patogeno negli esseri umani. I sintomi tipici della patologia in questione sono la visione doppia e distorta, la ptosi (abbassamento della palpebra superiore), una progressiva difficoltà nel parlare e la secchezza della bocca e della faringe, dovuti alla paralisi, muscolare (motoria) o ghiandolare (secretoria). In circa un terzo dei pazienti si presentano sintomi tipici dell'avvelenamento, con nausea e vomito. Sono pure sintomi precoci le vertigini, l'astenia e i capogiri, anche se non sono tipici. La particolarità è l'assenza di anomalie nelle analisi cliniche. All'esame clinico i pazienti sono coscienti anche nei casi gravi. La difficoltà a deglutire e a parlare è molto evidente. Le pupille sono dilatate e rigide. Le mucose sono secche e crostose. Man mano che la malattia progredisce, vengono interessati i muscoli del collo e degli arti superiori. La triade classica dei sintomi nei casi di botulismo comprende la paralisi flaccida discendente (parte dai muscoli del collo interessando poi in seguito i muscoli facciali, il controllo della deglutizione e i muscoli respiratori, fino a proseguire al resto del corpo), l'assenza di febbre, e il mantenimento dello stato di coscienza da parte del paziente. I riflessi tendinei sono indenni. Si può osservare una distensione dell'addome e avere ritenzione urinaria, per paralisi spastica dello sfintere della vescica. Terapia Il trattamento farmacologico prevede la somministrazione di lassativi per eliminare la tossina non ancora assorbita e di un'antitossina specifica di tipo A e di tipo B e di tipo E in una unica dose. Va eseguita la profilassi dei parenti contaminati anche se asintomatici. L'antitossina esplica la sua azione legandosi alla tossina ancora in circolo, complessandola e rendendola inattiva. Quest'azione non è però retroattiva, nel senso che, i recettori già occupati dalla tossina non sono coinvolti, così che la capacità di guarigione dipende dalla rigenerazione delle terminazioni sinaptiche colpite. Poiché non ci sono prove che il Clostridio si moltiplichi nell'intestino, gli antibiotici si somministrano solo nel caso di complicazioni infettive.

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Il botulismo è talmente grave che la funzione cardiorespiratoria deve essere tenuta costantemente sotto controllo in reparto di rianimazione e nei casi più gravi è necessario la ventilazione artificiale, mediante polmone d'acciaio. I miglioramenti sono rapidi e si hanno entro una settimana, mentre la debolezza generale, la stitichezza e le anomalie oculari persistono per settimane e anche per parecchi mesi. Prognosi Si ha una mortalità del 60-70% (elevata) nel botulismo di tipo A negli USA. In Europa è più presente il tipo E che ha una mortalità minore, del 10-30%. Però il tipo E ha prodotto epidemie che hanno colpito quelle popolazioni che consumano pesce crudo, alle latitudini nordiche come i giapponesi, i canadesi e gli Inuit, con una mortalità del 30-50% dei casi totali colpiti. Con la diagnosi precoce, il trattamento intensivo e l'uso di antitossine polivalenti la mortalità viene ridotta. Quando il paziente ha superato la fase paralitica la prognosi per una guarigione completa è favorevole. Prevenzione Le spore del Clostridio sopportano il riscaldamento a 100 °C per parecchie ore. Nelle conserve casalinghe, specie di fagiolini, zuc chine, spinaci, piselli, granturco, asparagi, pepe di Caienna, sottaceti, olive, fichi, albicocche, pesche, funghi, carne seccata in casa, pesci che vivono o si nutrono sul fondo tipo ghiozzo e poi affumicato. Si tenga presente che i cibi inscatolati dall'industria non sono totalmente sicuri. Infatti si sono verificate delle tossinfezioni alimentari a causa di cibi contaminati quali il paté di fegato in scatola, un formaggio di tipo ignoto, il pesce affumicato tipo ghiozzo, e il tonno in scatola. Mentre i ceppi di tipo A, B e C scindono le proteine e quindi fanno putrefare il cibo rendendolo sgradevole, il ceppo di tipo E non elabora enzimi proteolitici e i cibi possono avere un aspetto e un sapore gradevole, pur contenendo elevate quantità di botulino. 18.9 Cheratocongiuntivite infettiva La cheratocongiuntivite infettiva è una malattia contagiosa sostenuta da Mycoplasma Conjunctivae che colpisce in modo particolare il camoscio (Rupicapra rupicapra) e in modo meno rilevante lo stambecco (Capra ibex) e gli ovicaprini domestici, manifestandosi con lesioni oculari più o meno gravi che possono portare alla cecità dell’animale e nei casi più conclamati alla morte del selvatico colpito. Nel camoscio, secondo l’evoluzione della malattia possiamo distinguere quattro forme cliniche diverse che non necessariamente si manifestano completamente: - stadio iniziale della malattia: l’animale colpito presenta scolo oculare che inizialmente interessa un solo occhio per poi coinvolgere entrambi. Lo scolo inizialmente sieroso diventa muco-catarrale e facilmente osservabile; caratteristica la caduta di pelo nella zona al di sotto dell’angolo nasale dell’occhio. La cornea si presenta edematosa ma ancora trasparente. - stadio evolutivo: l’evoluzione più significativa si manifesta a carico della cornea, con marcato opacamento della zona centrale mentre la zona periferica si presenta generalmente arrossata per la marcata vascolarizzazione. - stadio avanzato: aggravamento dei fenomeni descritti precedentemente che tendono progressivamente ad interessare la totalità della cornea. - stadio finale: le lesioni degenerative della cornea portano ad una perforazione della medesima e fuoriuscita del contenuto oculare, con gravi compromissioni della funzionalità visiva. Nella popolazione del camoscio la malattia si manifesta prevalentemente nel periodo tarda estate-autunno, presenta un periodo d’incubazione di circa due tre giorni e il ciclo

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completo della medesima si compie nell’arco di circa tre settimane con forme cliniche diverse che possono regredire o guarire negli stadi iniziali o arrivare a compromettere lo stato generale del soggetto colpito fino a causarne la morte. La trasmissione della malattia avviene per contatto diretto tra animali infetti e l’insorgenza della patologia è condizionata da fattori predisponenti riferibili all’ospite (stato di nutrizione, fattori genetici, struttura di popolazione) ed all’ambiente (aumento all’esposizione a radiazioni ultraviolette conseguente all’aumento all’esposizione solare). Nella popolazione del camoscio la malattia tende ad autoestinguersi in un periodo che oscilla tra i sei e gli otto mesi senza che la stessa diventi serbatoio per la malattia. Il camoscio colpito da IKC seguito a distanza con i mezzi ottici comunemente a disposizione (binocolo) manifesta difficoltà nel movimento che vanno da lievi esitazioni su terreno particolarmente accidentato a palesi difficoltà anche su terreni erbosi e regolari. Caratteristici i movimenti circolari (maneggio). L’uso del cannocchiale consente un apprezzamento diretto delle lesioni oculari e delle caratteristiche lesioni al di sotto dell’angolo nasale dell’occhio caratterizzate da scolo muco-purulento, perdita di pelo e presenza di croste. Inoltre le palpebre si presentano tumefatte e talora saldate fra loro. L’osservazione dei soggetti interessati dalla malattia consente di evidenziare oltre alle già descritte alterazioni comportamentali anche la presenza di uno stato generale di nutrizione scadente condizionato dalle difficoltà di alimentarsi in modo corretto. 18.10 Leishmaniosi un parassita in grado di colpire soprattutto il cane, ma spesso anche gli esseri umani. La leishmaniosi viene veicolata in Europa dalla puntura del Phlebotomus papatasi, comunemente chiamato pappatacio, insetto simile alla zanzara, mentre nel nuovo mondo è trasmessa da flebotomi del genere Lutzomyia. Il pappatacio colpisce principalmente da maggio ad ottobre e preferibilmente dal tramonto all'alba. È presente in tutto il mondo, tranne, a quanto pare, in Australia, ma principalmente si trova in aree vicino al mare o nelle zone tropicali. La leishmaniosi è una malattia sostenuta da parassiti appartenenti ai protozoi. L'agente principale della leishmaniosi nelle aree mediterranee è la Leishmania infantum; numerose segnalazioni degli ultimi anni di casi di leishmaniosi canina provenienti da aree tradizionalmente ritenute indenni (anche dell'Italia settentrionale), debbono portare alla conclusione che - in pratica - non esistono zone, comunemente abitate, che possano essere considerate completamente sicure. Infatti se fino al 1989 il Nord Italia era considerato praticamente indenne dalla leishmaniosi canina, oggi esistono dei focolai accertati in Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte ed altri probabili in Trentino e Lombardia (Natale, 2004). In Piemonte sono state accertate tre differenti aree in cui la leishmaniosi canina è endemica (Torino, Ivrea, Casale Monferrato), con una sieroprevalenza che va dal 3,9% al 5,8%. È stato identificato anche un possibile focus instabile in Valle d'Aosta: in quest'area montuosa non erano mai stati segnalati flebotomi in precedenti stazioni di cattura. In queste aree la colonizzazione può essere avvenuta spontaneamente dalle zone costiere o in seguito agli aumentati movimenti di persone dalle aree mediterranee in cui abbondano i flebotomi. In queste aree del Piemonte e della Valle d'Aosta la presenza stagionale dei flebotomi va dalla seconda metà di maggio a settembre. In base ad analogie climatiche e caratteristiche ambientali si può anche prevedere che la diffusione della malattia s'estenderà nel prossimo futuro ad altre zone dell'Europa centrale. Questa malattia colpisce il cane punto dall'insetto infetto e porta a sintomi piuttosto gravi. Un cane risultato positivo al test può tuttavia vivere per molto tempo prima di manifestare sintomi, ma può comunque diffondere la malattia. La leishmaniosi, inoltre, è un'antropo-zoonosi, cioè una malattia trasmissibile, in alcune particolari condizioni, anche all'uomo (vedi leishmaniosi umana).

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Molto importante è tenere presente che la leishmania non viene trasmessa direttamente da cane a cane o da cane a persona: il protozoo infatti, per diventare infettante, deve prima compiere nel flebotomo una parte del proprio ciclo biologico. La vicinanza o il possesso di un cane infetto comportano dunque un rischio epidemiologico per l'uomo del tutto risibile, visto che in una zona endemica saranno molti milioni i pappataci infetti potenzialmente in grado di pungere. La leishmaniosi può manifestarsi con una serie di sintomi che possono presentarsi assieme o singolarmente. Alcuni animali possono presentare prevalentemente la sintomatologia cutanea della malattia, in altri vengono colpiti gli organi interni, altri ancora manifestano sintomi di entrambi i tipi. La sintomatologia e i segni clinici possono pertanto essere, nei casi non conclamati, multiformi e talvolta difficili da inquadrare. La sintomatologia "classica" della leishmaniosi comprende:

• Dermatite secca esfoliativa tipo forfora • Perdita di peso in modo più o meno rapido. • Alopecia ovvero perdita di pelo intorno agli occhi, sulle zampe, sul dorso. • Lesioni alle orecchie le quali perdono pelo e manifestano vere e proprie ulcere

sanguinolente. • Perdita di sangue dal naso (epistassi) dovuta a ulcere nella mucosa orale, in cui

sono presenti i parassiti. • Crescita accelerata delle unghie (onicogrifosi).

a carico della pelle si può talora osservare una dermatite esfoliativa con forfora. • Dolori articolari compreso anche mal di schiena: il cane se ne sta spesso immobile

in piedi, tenendo la testa bassa per cercare sollievo. • lesioni oculari, dovute a una uveite e iridociclite. • A livello viscerale si riscontrano danni renali, in correlazione ai quali compaiono, col

procedere della malattia nei successivi gradi di disfunzione renale: polidipsia, poliuria, anoressia, vomito, diarrea, ulcere orali, sino ai segni neurologici e al coma uremico.

• La diagnosi viene effettuata sul sangue, sull'urina, su prelievi citologici di linfonodi, midollo osseo e milza. Il sangue viene valutato quali-quantitativamente nelle sue componenti cellulari (esame emocromocitometrico), in quelle proteiche plasmatiche (elettroforesi) e dal punto di vista immunologico, alla ricerca degli anticorpi indicanti il contatto col parassita (immunofluorescenza) o del parassita stesso (PCR); dall'esame del siero si ricavano informazioni sulla funzionalità degli organi interni, specie fegato e reni.

L'urina dà informazioni sulla funzionalità renale, valutatone il peso specifico, il contenuto in proteine, le cellule presenti. Sul midollo osseo, milza ed i linfonodi si ricerca la presenza del parassita tramite esame microscopico e PCR. I protocolli terapeutici sono oggetto di continui studi e verifiche di efficacia ed attualmente alcuni soggetti possono guarire. Cani che reagiscono molto bene alla cura possono continuare a vivere anni senza più manifestare i sintomi ed alcuni possono negativizzarsi sierologicamente. Tuttavia sono possibili delle recidive e per questo motivo in genere si effettuano esami di laboratorio periodici. I farmaci che hanno maggior successo sono quelli a base di antimoniali, come l'antimoniato di metil-glucamina, che è considerata la terapia d'elezione in associazione con un altro farmaco, l'allopurinolo, ma sono attivi parzialmente anche il metronidazolo e alcuni chinoloni. Inoltre la miltefosina, un farmaco usato da anni in medicina umana come chemioterapico, ha mostrato nei primi studi un'efficacia sovrapponibile a quella dell'antimoniato di metil-glucamina. La miltfosina viene somministrata per via orale nel cibo, al contrario l'antimoniato di metil-glucamina deve essere somministrato per via parenterale prevalentemente sottocutanea. Numerosi sono i

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casi di negativizzazione del parassita (leishmanie) con gli attuali protocolli di cura (glucantime-allopurinolo e\0 milteforan-allopurinolo), ma ciò non rende purtroppo l'animale esente da un eventuale ricontagio o reinfestazione. La profilassi per il cane rivolta alla protezione dagli insetti, avviene tramite l'applicazione sull'animale di prodotti repellenti (in genere piretroidi naturali o sintetici come la deltametrina e la permetrina), contenuti in collari, spray o fiale spot-on da applicare sulla cute, che hanno dimostrato in test e ricerche scientifiche un potere antifeeding sul flebotomo, ospite intermedio. Poiché il flebotomo vive tra l'erba e colpisce soprattutto di notte, è meglio non far dormire il cane in giardino almeno nelle aree geografiche più colpite dalla malattia. La lotta ai flebotomi può essere condotta principalmente attraverso due tipi d'intervento: il primo prevede misure di protezione contro la puntura dei flebotomi; il secondo, teso a ridurre significativamente la densità di questi insetti, implica l'uso di insetticidi e/o operazioni di bonifica ambientale atte ad eliminare le cause favorenti il loro sviluppo larvale, in particolare in aree urbane e peri-urbane. Misure da prendere per la protezione individuale e collettiva in zone endemiche per leishmaniosi, oltre l'uso di repellenti, sono l'utilizzo di zanzariere a maglie molto fitte applicate a finestre e porte e l'evitare di soggiornare all'aperto durante le ore notturne nella stagione calda. Da aprile 2012 è disponibile in Italia il primo vaccino europeo contro la leishmaniosi canina, sviluppato e commercializzato dall'azienda farmaceutica Virbac[2]. La prima vaccinazione va eseguita su cani di almeno 6 mesi di età, dopo l'esecuzione di un test rapido per accertare che il cane non sia sieropositivo alla malattia e, in caso di negatività, comprende 3 inoculazioni di vaccino distanziate 3 settimane l'una dall'altra. Fatto ciò si procede come per tutte le altre vaccinazioni con un richiamo annuale. La leishmaniosi nei canili sanitari e rifugi [modifica] I cani che risiedono nei canili situati in zone endemiche, dove la malattia è presente, possono plausibilmente essere più facilmente contagiati poiché risiedendo all'aperto possono essere più facilmente infettati dagli insetti vettori (Phlebotomuns spp. (P. perniciosus, P. perfiliewi e P. major)). Inoltre i cani infetti possono fungere da serbatoi di infezione e trasmetterla ai soggetti sani sempre tramite l'azione degli insetti vettori. Quindi i cani che risiedono in canili situati in zone endemiche hanno una maggiore probabilità di venire a contatto con la leishmania. Questo vale sia per i cani che risiedono indefinitamente in canili rifugio, sia per i cani che risiedono anche temporaneamente per brevi periodi in canili privati ma in periodo estivo (i flebotomi vettori sono attivi a temperature superiori a 25 °C). Per questo motivo, e per ridurre la possibilità di infezione e di trasmissione della malattia, è necessario che nei canili si effettui un efficace controllo degli insetti vettori ed è necessario anche trattare gli animali infetti. È provato che il trattamento dei soggetti infetti riduce la possibilità che possano essere serbatoi di infezione. Nei canili il controllo degli insetti vettori può essere effettuato tramite programmi di disinfestazione ambientale e trattando di tutti i soggetti con sostanze repellenti. Anche l'uso di griglie elettriche per la cattura degli insetti può ridurre il numero totale degli insetti vettori di leishmaniosi. In alcuni casi è anche possibile isolare temporaneamente i cani infetti in box muniti di zanzariere in attesa che la terapia farmacologica riduca la possibilità che possano fungere da serbatoi. 18.11 Echinococcosi Il parassita adulto è un verme piatto di pochi millimetri di lunghezza che si trova nell’intestino della volpe, ma può svilupparsi anche nel cane e nel gatto senza però dare sintomi evidenti. La forma larvale invece si sviluppa a livello di fegato e polmone di diverse

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specie di micromammiferi, ma anche nell’uomo. Questa forma è estremamente patogena perché la ciste che si sviluppa tende ad espandersi ed infiltrarsi, similmente a quanto accade nei tumori maligni. Nell’uomo se non curata può portare a morte. E’ diffusa da anni in tutti i paesi dell’arco alpino, ma solo recentemente sono state rinvenute volpi positive in Italia (Province di Bolzano e Trento). Per ridurre i rischi di infezione è bene curare l’igiene personale dopo aver manipolato (preferibile proteggersi comunque sempre con guanti) volpi, lavare i frutti di bosco e trattare con antiparassitari efficaci nei confronti dei vermi piatti i cani da caccia o che comunque frequentano i boschi. Questo perché questi potrebbero cibarsi di micromammiferi con cisti larvali, sviluppando il parassita adulto a livello intestinale ed eliminare poi le uova nelle feci con elevato rischio di infezione umana. 18.12 Trichinellosi E’ sostenuta da un nematode, Trichinella spiralis e britovi, che trova nel cinghiale un ospite importante per quanto riguarda il ciclo silvestre. Le larve, non visibili a occhio nudo, si localizzano incapsulate nella muscolatura striata, dove hanno grande capacità di sopravvivere anche alla putrefazione e ad alcune forme di congelamento. In Europa, il cinghiale è infestato indifferentemente da T.spiralis e T.britovi (rispettivamente 49% e 47%). Gran parte dei casi di trichinellosi umana in Italia hanno avuto comunque origine dal consumo di carni di cavallo (interamente di provenienza estera), una percentuale, circa il 15%, da carni di cinghiale, altri casi dal maiale. Le principali fonti di rischio non derivano da animali allevati sul territorio nazionale bensì dall’importazione di animali e derrate alimentari da Paesi terzi, come dimostra il numero considerevole di infetti dovuti al consumo di carni equine importate (80 %). Si trasmette all’uomo per ingestione di carni infestate mangiate crude o no sufficientemente cotte ( per la selvaggina soprattutto il cinghiale, per gli animali domestici cavallo e suino). La malattia può avere decorso mortale. E’obbligatorio far esaminare le carni di cinghiale (sono sufficienti 50 grammi di diaframma) tramite esame trichinoscopico eseguito da laboratorio accreditato. 18.13 Malattie trasmesse da zecche L’importanza delle zecche come rischio per la salute umana è legato soprattutto alle infezioni che esse possono trasmettere. Infatti le zecche possono trasmettere malattie quali l’encefalite da zecche, la borreliosi o malattia di Lyme, la febbre bottonosa ed altre zoonosi meno diffuse. La profilassi si può basare sull’impiego di repellenti da usare sulla persona nelle aree molto infestate. Tuttavia va considerato che le zecche inoculano gli agenti delle malattie sopra riportate dopo 24-48 ore dall’infissione, per cui la loro rimozione entro tale periodo riduce considerevolmente il rischio di infezione. Per la rimozione delle zecche occorre estrarle con una pinzetta senza deporre alcuna sostanze (olio, alcool etc) sulle zecche stesse. Questo per evitare che le zecche prima di staccarsi dalla cute rigurgitino sulla ferita trasmettendo in tal modo le infezioni di cui sopra. La malattia di Lyme (borreliosi ) è una malattia di origine batterica. Il New York Times l'ha definita "la malattia infettiva che si diffonde più rapidamente (negli Stati Uniti) dopo l'AIDS". Rapporti da altri paesi indicano che si sta diffondendo anche in Asia, Europa e Sud America.L'origine del nome della malattia si riferisce alla cittadina di Lyme (Connecticut), dove si verificò un'epidemia di questo male, segnalata a partire dal 1975, che si manifestò con un misterioso aumento dei casi di artrite, soprattutto infantile. L'artrite cominciava con eritemi cutanei sul torace, addome, dorso e natiche, che si ingrandivano fino a raggiungere una dimensione variabile tra i 10 e i 50 cm, mal di testa e dolori articolari.La causa della malattia di Lyme è un batterio spiraliforme, la Borrelia burgdorferi, chiamata così in onore al suo scopritore, Burgdorfer, che infesta le zecche, le quali possono trasmetterlo all'uomo e agli animali. I luoghi nei quali è più facile contrarla

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sono le zone boscose e ricche di cervi, dal momento che queste rappresentano l'habitat ideale per le zecche. In Italia la malattia è endemica del Carso, del Trentino e della Liguria. Il primo sintomo della malattia di Lyme in genere è un eritema cutaneo (noto come eritema cronico migrante, o ECM) di piccole dimensioni. Nel giro di qualche giorno o settimana la caratteristica macchia si estende fino a diventare un eritema circolare, triangolare o ovale che può avere le dimensioni di una moneta oppure può diffondersi su tutto il dorso. L'eritema compare in un numero di casi stimato tra l'80% e il 90% delle persone infettate. Spesso l'eritema è accompagnato da febbre, mal di testa, rigidità del collo, dolori muscolari e spossatezza. Se non vengono curate in tempo, oltre metà delle vittime finiscono per accusare dolori e gonfiore alle articolazioni, che durano anche mesi. Il secondo stadio della malattia prevede complicanze neurologiche e dolori muscolari e ossei; sono possibili anche disturbi cardiaci che consistono in palpitazioni, blocco atrioventricolare e in alcuni casi può essere indispensabile uno stimolatore cardiaco. Fino al 20 per cento dei pazienti che non ricevono cure sviluppano l'artrite cronica che provoca difficoltà a camminare. Più raramente, la malattia può influire sul sistema nervoso causando meningite asettica, radicoloneuriti, infiammazione delle radici nervose cervicali e paralisi di Bell. Nel terzo stadio della malattia un ristretto numero di pazienti soffre di perdita di memoria, instabilità comportamentale. Per le donne in stato di gravidanza, la malattia è ancora più pericolosa perché l'infezione può essere trasmessa al nascituro e può aumentare il rischio di aborto spontaneo. Elenco dei sintomi del’infezione primaria: eritema cutaneo, dolori muscolari e articolari, mal di testa, rigidità del collo, spossatezza, febbre, paralisi facciale, meningite, brevi episodi di dolore e gonfiore alle articolazioni . Meno comuni:Infiammazione agli occhi, capogiri, fiato corto. Infezione secondaria: a rtrite, intermittente o cronica, meno comuni, perdita della memoria, difficoltà di concentrazione, cambiamenti d'umore o delle abitudini di sonno. Secondo molti esperti è difficile diagnosticare la malattia di Lyme perché i sintomi iniziali di tipo influenza assomigliano a quelli di altre infezioni comuni. Oltre a ciò, alcuni pazienti infetti non manifestano l'eruzione cutanea o la manifestano in zone dove passa inosservata. Unica caratteristica peculiare della malattia di Lyme è che molti pazienti non ricordano di essere stati punti da una zecca poiché la puntura in genere è indolore. Un ulteriore ostacolo è il fatto che le analisi immunologiche del sangue (ELISA o IFA per la ricerca di anticorpi anti-Borrelia) attualmente disponibili non sono né abbastanza sensibili né abbastanza precise per effettuare una sicura diagnosi differenziale, generando quindi un consistente numero di falsi positivi o falsi negativi. Se la malattia viene diagnosticata in tempo, la maggior parte dei pazienti può essere curata con successo con una terapia antibiotica mirata contro l'agente patogeno. Il senso di spossatezza e i dolori possono continuare per diversi mesi dopo la cura, ma tendono a scomparire spontaneamente senza bisogno di prolungare la terapia. Secondo gli Istituti Sanitari Americani, la malattia non dà "effetto memoria", dimodoché è possibile contrarla più volte nella vita. Viene consigliato di impiegare farmaci che siano efficaci anche contro le rickettsiosi (un'altra malattia che può essere provocata dal morso delle zecche) e le borreliosi (tra cui doxiciclina, amoxicillina o cefuroxime) per un periodo non inferiore alle tre settimane. Prevenzione Il modo più semplice di prevenire la malattia di Lyme è quello di evitare di subire infestazioni di zecche, dal momento che questi aracnidi sono il veicolo della malattia. Valgono perciò i seguenti consigli. Se camminate in zone infestate da zecche (zone boscose, ad esempio), tenetevi al centro dei sentieri; indossate indumenti lunghi e berretto; infilate i pantaloni nei calzettoni, e portate scarpe che non lascino scoperta nessuna parte del piede. Indossare indumenti di colore chiaro rende più facile scoprire le

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zecche. Gli insettifughi applicati sugli indumenti e sulla pelle sono efficaci, ma possono avere gravi effetti collaterali, specie sui bambini. Una volta rientrati in casa controllate che né voi né i bambini abbiate zecche, specialmente nelle parti del corpo coperte da peli. Fatelo con attenzione, perché le zecche immature sono minuscole, e si possono scambiare facilmente per particelle di sporco. Se avete animali domestici controllate anch'essi prima di farli entrare in casa. In caso di riscontro di una zecca adesa alla cute, questa va eliminata afferrandola con delle pinzette e tirando verso l'alto, senza ruotare, fino a che non lascia la presa, senza schiacciarla. Il tentativo di estrazione di una zecca con la pinzetta, se fatto nella maniera sopra descritta, raramente esita in una rottura del parassita. Nel caso in cui tuttavia non si riesca ad estrarre completamente la zecca, è necessario rivolgersi al medico. È assolutamente sconsigliato usare dell'olio di oliva o altri liquidi che provochino il distacco della zecca perché questo potrebbe avvenire dopo un rigurgito da parte del parassita, aumentando notevolmente le possibilità di infezione. Una volta eliminata la zecca, si può procedere alla disinfezione della cute colpita. Tenere poi sotto controllo la parte per 30-40 giorni per verificare se il rossore della puntura si modifica assumendo un andamento di espansione centrifuga con schiarimento centrale. In questo caso recarsi dal medico per una eventuale terapia antibiotica.

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19 LA CARNE A TAVOLA 19.1 Modi di utilizzazione La necessaria premessa è che si utilizzino in cucina carni che provengano da animali sani, adeguatamente controllati, trattati e lavorati, correttamente frollati e sezionati, nonché conservati nel migliore dei modi. Per poter utilizzare al meglio le potenzialità di un taglio di carne, bisogna valutare lo stato di conservazione (fresco o congelato) ed il tipo di taglio carneo. La carne fresca deve essere sgrassata, cioè liberata quanto più possibile dalle parti grasse che l’accompagnano in quanto queste possono veicolare odori eccessivamente forti di selvatico; si procederà poi alla ripulitura delle parti non idonee, ad esempio parti eccessivamente fibrose, ematomi, porzioni di osso, ecc.. La carne congelata, opportunamente portata a temperatura di refrigerazione, subirà gli stessi trattamenti. Come ricordato, le diverse porzioni anatomiche degli animali (tagli) richiedono, per essere meglio valorizzate, preparazioni differenziate: 19.2 Utilizzo dei tagli Coscia intera arrosto, tagliate scamone carpaccio, tagliate, burguignonne girello arrosto controgirello carpaccio, tagliate noce arrosto, tagliate fesa arrosto, tagliate Lombo In osso braciole disossato carpaccio, tagliate Spalla in toto arrosto, bollito, spezzatino Costato, parti minute spezzatino, bollito 19.3 Le spezie e le piante aromatiche : storicamente venivano utilizzate sia come conservanti, che per mascherare, nella cottura, gli aromi sgradevoli delle carni alterate a causa dell’impossibilità di conservarle con il freddo. Al giorno d’oggi, essendo frigoriferi e congelatori di uso comune, le spezie rivestono solo il ruolo di rendere particolare e tipico l’aroma delle preparazione culinarie a base di selvaggina. Le spezie sono semi, frutti, radici, cortecce o sostanze vegetali, usate in quantità limitata come additivi per dare sapore ad un alimento ed anche per la preservazione come può essere per gli insaccati. Le più comuni sono: chiodi di garofano, coriandolo, cumino,dragoncello, ginepro, menta, mirto, mentuccia, noce moscata, paprica, Piper nigrum (da cui derivano pepe nero, bianco e verde), peperoncino, santoreggia, senape, zenzero. Nel preparare le carni di selvaggina, utili anche le piante aromatiche quali: aglio, alloro, basilico, carota, cipolla, finocchio, maggiorana, origano, prezzemolo, rosmarino, salvia, scalogno, sedano, timo. 19.4 Le conce: per concia (marinatura) s’intende quel processo a cui viene sottoposta la carne con il preciso scopo di eliminare odori anomali ed insaporirla. Le carni, generalmente a pezzetti, in quanto questo processo è utilizzato quasi esclusivamente per gli spezzatini, vengono messe a bagno in una sospensione contenente spezie, piante aromatiche, vino; in questa preparazione parte degli aromi si trasferiranno alle carni e parte degli aromi delle carni si trasferiranno al liquido, che potrà essere eliminato. Il processo può durare, a temperatura di refrigerazione, sino a 48 ore; è opportuno non utilizzare nella cottura i componenti della concia, ma scolare ed asciugare la carne ed utilizzare nuove verdure e liquidi per la cottura.

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19.5 La cottura: abbiamo cotture rapide, su piastra o padelle antiaderenti, usando olio di oliva, pochi aromi per non mascherare quelli della carne; è possibile fiammeggiare con brandy o altro liquore. Con un sistema di cottura lenta, possiamo preparare bolliti, in acqua aromatizzata, arrosti, in pentola o in forno a 180 °C (meglio se coperto parzialmente con carta stagnola);se si arrostisce una coscia intera, bisogna prima aprirla ed eliminare la vena grassa che la percorre, in quanto può essere veicolo di aromi indesiderati. E’ importante lardellare il pezzo di carne all’interno prima di legarlo, perché le carni di selvaggina, magre per natura, tendono ad essere troppo asciutte. Per evitare di perdere troppi liquidi, è consigliabile di cuocere a fuoco vivace fino ad imbrunire esternamente l’arrosto, per poi completare la cottura all’interno in tempi lunghi. L’arrosto può essere servito già affettato, accompagnato nel piatto di portata dal fondo di cottura, di colore bruno e conferente alla carne un ottimo sapore. Gli spezzatini, se sottoposti a marinatura che come detto, va eliminata, si può aggiungere vino e brodo per ultimare la cottura. I ragù di carne di selvaggina, ottimi per la pasta fatta in casa, si preparano facendo rosolare e cuocere la carne ridotta in piccoli pezzi in un soffritto di olio di oliva, burro, aglio, cipolla, sedano e carota, aggiungendo in seguito passata di pomodoro. 19.6 Ricette culinarie Cinghiale del “Malpasso” Ingredienti per 8 persone: -1 Kg di polpa di carne di cinghiale; - vino rosso q.b. (circa 2 litri); - una testa d’aglio; - una cipolla grande rossa; - bacche di ginepro; - bacche di peperoncino rosso; - 3 carote di media grandezza; - olio e burro q.b.; - sale e pepe q. b. , - salvia fresca; - rosmarino fresco; - sedano fresco; olive verdi denocciolate 300 gr.; cipolline sottaceto 300 gr.; capperi 30 gr.; aceto di vino ½ bicchiere; brandy 1 bicchierino. Preparazione: Si utilizzano in genere le parti destinate allo spezzatino, (spalla, costato e parti minute) ma graditi, se disponibili, anche tagli più nobili; considerare almeno 100 gr. di carne, già pulita, a persona. Per 1 Kg di polpa. Si prepara la concia o marinata, in un recipiente della necessaria capienza, con buon vino rosso, meglio se asciutto e ricco di tannini che deve coprire interamente il contenuto (circa 2 litri); si aggiunge la carne anche a pezzi grossi, tolte le parti grasse, le aponeurosi, ossi, ecc.(in altri termini le carni devono essere ridotte a polpa pura.), rosmarino (un ramoscello), due spicchi di aglio intero (soltanto spogliato), tre peperoncini interi, un cucchiaio colmo di bacche di ginepro, una cipolla intera ridotta a rondelle sottili, due carote ridotte a tocchetti, sedano (costa e foglie), salvia (un ramoscello). La carne, anche se di animale giovane, va lasciata a marinare almeno 24 ore ( sino a 48 ore) a temperatura di refrigerazione (in frigorifero). Il giorno dopo, o due giorni dopo, si toglie la carne dalla marinatura, si fa scolare e si mette a bollire in una pentola con vino rosso che deve sempre coprire il tutto ( non quello usato in precedenza per la marinatura che va buttato), un peperoncino intero, qualche bacca di ginepro. L’ebollizione deve durare da un’ora, ad un’ora e mezza, a seconda della tenacità della carne utilizzata. Terminata la cottura si fa scolare e raffreddare la carne, si riduce a pezzetti (grandi circa come un dado da brodo) e si fa rosolare in un soffritto preparato con olio di oliva, burro, aglio (due, tre spicchi), cipolla, carota, sedano. Appena la carne è ben rosolata, si aggiunge sale e pepe (quantitativi modesti), mezzo bicchiere di aceto di vino, la quantità necessaria, un mestolo o due, del vino usato per l’ebollizione. Si fa cuocere il tutto per 30 – 40 minuti, si sfuma in fine con un sorso di brandy; si aggiungono olive verdi, cipolline e qualche cappero, altri 10 minuti di cottura ed il piatto è pronto. Capriolo del “Malpasso” Ingredienti per 8 persone:

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-1 Kg di polpa di carne di capriolo; - vino rosso q.b. (circa 2 litri); - una testa d’aglio; - una cipolla grande rossa; - bacche di ginepro; - bacche di peperoncino rosso; - 3 carote di media grandezza; - olio e burro q.b.; - sale e pepe q. b. , - salvia fresca; - rosmarino fresco; - sedano fresco; ½ bicchiere di aceto di vino; 1 bicchierino di Brandy; chiodi di garofano; 1/2 litro di panna da cucina; 2 – 3 cucchiai di farina; 1 Kg di funghi naturali o coltivati. Preparazione: Esattamente come per il Cinghiale del “Malpasso” sino all’aggiunta delle olive, cipolline e capperi, che sono sostituiti dai funghi e dalla panna da cucina. Durante la rosolatura, oltre a sale e pepe, vanno aggiunti 4 chiodi di garofano. I funghi vanno cucinati a parte in una padella con olio ed un pizzico di sale aggiunto a fine cottura; a cottura avvenuta si uniscono alla carne ed alla panna da cucina. Si fa cuocere ancora per 5 minuti. Se necessario, per condensare il tutto, aggiungere uno o due cucchiai di farina di grano, mescolando attentamente. Questo piatto è ottimo anche, senza l’aggiunta di funghi e panna, se unito a riso bianco condito con burro, parmigiano e besciamella piuttosto liquida. I riferimenti bibliografici riscontrabili in questo manuale sono numerosi, seppur filtrati ed elaborati dalle nostre conoscenze perso nali e professionali. Dottor Fausto Cambiotti