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N° 1 201 BUONE VACANZE CI VEDIAMO A SETTEMBRE 34 direttore simone siliani redazione gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli, michele morrocchi, barbara setti progetto grafico emiliano bacci [email protected] [email protected] www.culturacommestibile.com www.facebook.com/cultura.commestibile editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012 Con la cultura non si mangia Rilievo nazionale 21 mila visitatori paganti nel 2014, oltre 30 mila quest’anno. Numeri incredibili per l’XI Fe- sta dell’Unicorno a Vinci. Ormai è una manifestazione di rilievo nazionale. Tutto iniziò nel 2005. Ero sindaco e ricordo i primi colloqui coi ragazzi del Circolo Fantasy: non era facile allora mettere a fuoco i contorni esatti di una festa che appariva un oggetto misterioso. Ma mi colpì la straordinaria inventiva e l’eccezionale entusiasmo degli organiz- zatori. Credevano nelle loro idee. Erano convinti di poter fare qualcosa di unico. Scommet- temmo su di loro e soprattutto loro scommisero su se stessi. Dieci anni dopo possiamo dire: scommessa vinta alla grande. Bravi. Bravi davvero. Dario Parrini, parlamentare e segretario regionale toscano del PD

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N° 1201

buone vacanze ci vediamo a settembre

34direttore

simone silianiredazione

gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli,

michele morrocchi, barbara setti

progetto graficoemiliano bacci

[email protected] [email protected] www.facebook.com/cultura.commestibile

editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 FirenzeRegistrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012

Con la cultura non si mangia

Rilievo nazionale

21 mila visitatori paganti nel 2014, oltre 30 mila quest’anno. Numeri incredibili per l’XI Fe-sta dell’Unicorno a Vinci. Ormai è una manifestazione di rilievo nazionale.Tutto iniziò nel 2005. Ero sindaco e ricordo i primi colloqui coi ragazzi del Circolo Fantasy: non era facile allora mettere a fuoco i contorni esatti di una festa che appariva un oggetto misterioso. Ma mi colpì la straordinaria inventiva e l’eccezionale entusiasmo degli organiz-zatori. Credevano nelle loro idee. Erano convinti di poter fare qualcosa di unico. Scommet-temmo su di loro e soprattutto loro scommisero su se stessi. Dieci anni dopo possiamo dire: scommessa vinta alla grande. Bravi. Bravi davvero.

Dario Parrini, parlamentare e segretario regionale toscano del PD

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Da nonsaltare

Quando eravamo giovani, fra gli anni Sessanta e Settanta, era di moda essere “contro”,

e la cosa, visto come stava andando il mondo (e come è poi conti-nuato ad andare), non era poi del tutto irragionevole. Ma per molti di noi era, appunto, una moda. Non si parlava di cultura, ma di controcultura, non di informa-zione, ma di controinformazione, non di economia ma di contro-economia, non di poteri ma di contropoteri, non di piani ma di contropiani, per finire al contro-spazio, sempre andando contro-corrente e sbattendo spesso contro qualche muro. Eppure la voglia di essere in qualche modo “contro” in qualcuno è rimasta, magari limi-tatamente a pochi argomenti, ma non del tutto secondari. Parlando ad esempio della storia, oggetto di continue rivisitazioni e di forzatu-re spesso ideologiche, può essere ancora utile ed attuale parlare di una controstoria, contrapposta alla “storia” ufficiale. Questo è vero non solo per la storia politica, militare o sociale, ma anche, ad esempio, per la storia dell’arte, dove spesso entusiasmi ed infatua-zioni lasciano ben poco spazio alla valutazione ed alla ricostruzione storica. E se questo è vero per la storia dell’arte, è ancora più vero per la storia della fotografia, dove gli storici sono abituati a mescolare la storia delle tecniche, dalla chi-mica all’ottica alla meccanica, fino all’elettronica, con la volgarizzazio-ne e massificazione delle pratiche e degli impieghi fotografici (da una parte) e la evoluzione del linguaggio (dall’altra), ma quasi sempre subordinando quest’ulti-mo fenomeno agli altri. La storia della fotografia italiana, una delle ultime, in ordine di tempo, ad essere studiata, ha forse la necessità di essere riscritta, non più come storia, ma come controstoria. Ma-gari partendo proprio dalle “storie” pubblicate nel recente passato, dalla prima, un poco pionieristica, del 1978 di Italo Zannier “70 anni di fotografia in Italia”, limitata al Novecento. La seconda “Storia della fotografia italiana”, ancora di Zannier è più spaziosa ed ambizio-sa, e viene pubblicata da Laterza nel 1986, per essere sintetizzata nel 1994 negli Jaca Book. Segue la trilogia “Segni di Luce” degli anni 1991-1993, curata dallo stesso

di danilo [email protected] Per una controstoria

della fotografia italiana

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Da nonsaltare

Zannier. Notevole l’apporto dei tre tomi della “Storia d’Italia - Einau-di - Annali 2 e 20” (del 1979 e del 2004) dedicati alla “Immagine Fotografica”, che non sono per esplicita ammissione né una “storia d’Italia attraverso la fotografia” né tanto meno una “storia della fotografia in Italia”. A queste opere vanno aggiunti gli studi settoriali compiuti negli ultimi quarant’anni da autori come Marina Miraglia, Wladimiro Settimelli, Paolo Costantini, Roberta Valtorta ed altri storici dello stesso livello, ma anche le numerose monografie di fotografi locali, attivi fra metà Ot-tocento e metà Novecento, spesso ingiustamente ritenuti “minori”, fiorite in maniera estremamente prolifica nell’arco degli ultimi quindici anni, spesso per interessa-mento dei diversi enti o bibliote-che locali, e curate talvolta da sto-rici altamente qualificati. Fino ad arrivare alle opere più recenti, del 2011, come “Percorsi della foto-grafia in Italia” di Maria Antonella Pelizzari e “Storia culturale della fotografia italiana” di Antonella Russo, ambedue un poco settoriali, ma ben fatte e significativamente diverse dai testi di Zannier, che nello stesso anno ripubblica con Quinlan una ennesima “Storia della fotografia Italiana”, questa volta “dalle origini agli anni ‘50”. Quello che forse manca in queste opere, è un taglio che metta al centro della ricerca la figura dei singoli fotografi e della loro opera, inquadrandoli nel loro tempo, ma senza volerli accumunare forza-tamente in “scuole”, “tendenze” e, peggio ancora, in “categorie”. Troppo spesso ci si limita a fornire dei semplici elenchi di nomi, il più possibile completi, e dove molti fotografi vengono riuniti sotto la stessa etichetta o la stessa “matrice”, di volta in volta di tipo geografico, culturale o professiona-le. Sappiamo invece che la “storia” non è quasi mai lineare né omo-genea, ed è composta dall’insieme di tante “storie” diverse, anche se intrecciate, sovrapposte o contrap-poste. Occorre infine rispondere, anche in fotografia, all’eterna domanda: se contano di più la vita e la personalità dell’autore, o l’in-sieme delle sue opere, così come ci sono state tramandate. Allora, forse, invece di una “controstoria” della fotografia italiana, sarà neces-sario scrivere una vera “storia” dei fotografi italiani.

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Il Presidente Eugenio Giani si è messo elemetto e mimetica e, dalle frequenze della nuova Radio Londra alias Radio Blu. Ha suo-nato la carica: “localismi di tutto il mondo, unitevi!”. Contro chi? Ma contro la Lega Calcio Serie A e non certo per il malaffare che alligna da quelle parti, bensì per un affronto ben più grave che la Burocratia del calcio ha mosso all’Italia dei cento cam-panili. Questi manigoldi hanno osato proporre di far suonare “O Generosa” di Giovanni Allevi (che proprio un capolavoro non è) prima di ogni partita.“La Lega non può fare quello che vuole. Gli stadi di calcio sono tutti di proprietà dei comuni e se all’interno di uno spazio pubblico vuole che si abolisca ciò che è un profilo di identità locale, deve fare i conti di quella che è la volontà delle comunità del luogo, quindi sono pronto a portare una mozio-ne nel consiglio regionale della to-scana che rivendichi alle squadre della nostra regione di poter far

risuonare il proprio inno durante l’ingresso in campo. La Lega di Serie A deve muoversi in modo più cauto, quando si saluta una partita attraverso un inno si deve dare spazio a ciò che è espressione della comunità locale, che esprime attraverso la squadra determinati valori. ... L’ingresso in campo deve essere accompagnato da quella musica che rappresenta un patrimonio della nostra identità.” E così, dopo la campagna per la fascia di riconoscimento dei

consiglieri regionali e la promo-zione di Pinocchio nel mondo, Eugenio Presidente parte per una nuova storica impresa: alla testa degli eserciti della Compagnia dei Campanili sfiderà nella piana di Mordor la malvagia Lega del Calcio intonando “La porti un bacione a Firenze”, mentre s’ode a destra un canto partenopeo “O sole mio” e a manca quello longo-bardo “O mia bella Madunina”. Pregevole (e imprescindibile) iniziativa.

riunione

difamiglia

E’ da un po’ di tempo che la nostra famiglia segue con passione le gesta di Dario Par-rini da Vinci, o se volete, più umilmente, Dario il Gran-de, parlamentare e segretario regionale del PD. Una figura affascinante molto attiva sui social network e ultimamente sull’Unità (fondata da Matteo Renzi nel 1924) che sempre più assomiglia alla pagina facebook dei più ortodossi (e molesti) fan del premier di Rignano. Parrini nel gioco di ruolo della comunicazione PD è l’intellettuale. Si lancia in analisi su quasi tutto lo scibile umano. Azzarda analisi del voto in cui è l’elettorato a sbagliare, demolisce ogni detrattore del governo da Va-roufakis a Fassina senza essere minimante scalfito dal dubbio che, magari il secondo no, ma il primo di chi sia Parrini non ne ha minimante idea e vive benissimo così. Non contento di questo, tra un post sulla festa dell’unicorno (manifestazione ormai nazionale creata da lui a Vinci, è arrivato a dire che Reichlin è uno che scrive senza documentarsi. Infine ha esordi-to in settimana come traduttore di Tony Blair sull’Unità (e dove altrimenti?), un po’ come Togliatti che curava l’opera di Lenin. In tutto questo come parlamentare non ha trovato il tempo di presentare alcuna proposta di legge come primo firmatario ed è intervenuto in aula soltanto 5 volte. In com-penso come segretario regionale toscano ha affrontato le ultime regionali dove il partito ha subito una drastica riduzione di voti e si è segnalato, nella gestione della sfiducia alla sindaca di Sesto Fiorentino, per un SMS-precox all’ex sindaco Gianni Gianassi, dopo un anno di assoluto silenzio. Insomma, pur indecisi su quale sia l’ambito nel quale Parrini può fare meno danni, consiglie-remo al pensoso Dario di fare una scelta tra il troll renziano e il dirigente politico.

le Sorelle Marx i Cugini engelSLa Lega non passerà Dario da Vinci

Uno spettro si aggira per l’Italia, per l’Europa, per il Mondo. Ma non è quello che speravano i no-stri avi in questa pagina, bensì una cosa più terra terra. La scoperta arriva da Vito Crimi, cittadino-deputato del M5S che, su segnalazione di un altro cit-tadino-non deputato, ma amico, ha elaborato con tanto di prove provate che a camminare scalzi in casa i piedi si insudiciano. Applausi fragorosi dalla curva degli storici degli Stati Uniti che si arrovellvano sulle origini del nome della tribù di pellerossa dei Piedi Neri e anche dai francesi che dopo decenni hanno capito la sottile malizia dell’epiteto Pieds noir” rivolto ai concit-tadini (anche e sopratutto non deputati) originari dall’Algeria. A questa misteriosa sostanza, invisibile a occhio nudo, che si appiccica subdolamente sotto i piedi è stato dato il nome di “polvere” e da subito sembra che provochi gravi scompensi e effetti

lo Zio di TroTZky

Polverealla polvere

collaterali in caso di esposizione continuata: ispessimento dei calli, produzione di palline di sporco tra le dita e in un paio di casi documentati dall’Oms unghia incarnita, prodromo inelluttabile del tumore celebra-le. Ma il M5S, solerte come suo solito, ha già pronta la soluzio-ne. Una soluzione a chilometro zero visto la grande tradizione italiana in fatto di mamme. Un

esercito di madri, coadiuvate an-che da nonne sempre in gamba e zie zitelle non più appetibili, daranno battaglia alla polvere a colpi di spazzolone, straccio e spolverino. I nostri piedi saranno salvi, basta sopportare il tempo della terapia la formula magica: “Se tu ogni tanto mettessi a posto la camera, sembra un porcile. Ricordati che questa casa non è un albergo”.

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Magna Grecia, 2006 Acrilico, tela, legno Trittico, 3 elementi cm 250x120 cadau-no Provenienza Emilio Isgrò, Milano. Sotto Henricus Kissinger, Ex, 1974.

di laura [email protected] intrise di una non-comunicazione

espressiva inedita e degna della migliore approvazione culturale e intellettuale. Si tratta di una silen-te appropriazione concettuale che sconcerta e meraviglia: negli enigmi del gioco paradossale della convenzionalità gestuale emerge l’alto valore poetico della parola cancellata, altrimenti impen-sabile. Il lessema si riappropria di un’identità perduta, poiché negandolo e negandosi dichiara la sua esistenza e il principio seman-tico torna a risplendere di luce propria, in un rinnovato trionfo verbale. Quella di Emilio Isgrò è una poetica consapevole che il frammento e la plurisensoralità non sono più in grado da soli di dare un’interpretazione univo-ca alle molteplici sfaccettature semantiche della quotidianità. Soltanto negando e riaffermando la parola nella sua centralità poe-tica ed espressiva si attua la presa di coscienza che l’Arte debba imparare a riscattare ciò che ha di più prezioso… il linguaggio. L’arte della sottrazione di Emilio Isgrò è in definitiva una prassi che libera e salva la parola da un de-stino oscuro e macchinoso, volto all’oblio, ponendo al contem-poraneo l’antica questione della lingua sotto una luce nuova, tesa al progresso e alla rinascita delle coscienze, poiché dietro la parola si cela tutta la sostanza dell’essen-za e dell’esistenza.

Emilio Isgrò

Del cancellare

Installazione composta da: Ave Maria, 2006 Acrilico, tela, legno, Polittico: 11 elementi, cm 210x45 cadauno, 1 elemento, cm 255x45- Maria delle formiche, 2006 Legno, acrilici, fibra di vetro e PVC cm. 225x69x69

Courtesy Collezione Carlo Palli, Prato

La cancellazione non è un mero atto banale di sop-pressione, ma un’operazione

di trasformazione del verbum, in quanto sostanza del dire e del vivere indispensabile all’intelletto umano e al progresso culturale. Cancellare significa affermare nuovi significati, annientando la tradizione attraverso un gesto consapevole e costruttivo, in virtù di un atto creativo che ha in sé la forza militante di destare le coscienze dal torpore contempo-raneo e porre alla loro attenzione una realtà completamente diversa dal convenzionale bombardamen-to mediatico. Nell’opera artistica di Emilio Isgrò v’è la volontà di far coincidere la negazione del linguaggio e della comunicazione – portata avanti dalle avanguardie a oggi – con la materializzazione concreta della progressiva perdita di significazione della parola. La cancellatura diviene in tal senso un gesto estetico che nega le ideologie e costruisce complessi-vamente un’architettura di senso, basata su una semplice semplifi-cazione apparente. I turbamenti del contemporaneo trovano una sintesi perfetta di concettualità e concretezza, nell’intimo desi-derio artistico di dare ascolto a un linguaggio rinnovato, che privilegia la connotazione al po-sto della denotazione ed elimina surplus morfologici, pesantezze sintattiche e ogni meccanismo di neologizzazione. Le opere di Emilio Isgrò evocano e lascia-no riflettere; allo stesso modo l’atto della cancellazione richiama scelte di politica culturale, av-volte dall’ovvietà e dalla banalità dell’azione ma, al tempo stesso,

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di restituire alla città non solo un grande edificio per servizi pubbli-ci, opportunamente adeguato alle esigenze della medicina attuale, compreso un nuovissimo Pronto Soccorso, ma anche di restituire alla vista il notevole patrimonio di opere d’arte ancora nella dispo-nibilità dell’ospedale. L’ospedale aveva in dotazione infatti un ingente patrimonio di opere d’arte che in due successivi momenti (il primo per volontà regia nel 1825 e il secondo con convenzione nel 1897) trasferirono oltre 140 opere alla Regia Galleria degli Uffizi.

Ma ancora oggi percorrendo i chiostri e le sale dell’ospedale, ed in particolare il nuovo ingresso sul lato est del loggiato che si caratterizza per una inedita, ma appropriata, coloritura rosso scu-ro, si possono ammirare opere di Alessandro Allori ( Cristo e la sa-maritana al pozzo- affresco stacca-to dalla originaria collocazione nel chiostro del refettorio) e la copia della Consacrazione della Chiesa di Sant’Egidio di Bicci di Lorenzo scenograficamente sistemata sulla parete di fondo del grande nuovo ingresso all’ospedale. Ingresso

che ospita anche, in un piano ammezzato, altre opere d’arte che costituiscono un piccolo museo fruibile gratuitamente per che vive questa città.Così come sono stati restaurati, e riportati alla pubblica fruizione, gli affreschi dipinti nelle lunette delle volte del loggiato sul lato est e che contribuiscono ad “abbel-lire” la grande piazza di Santa Maria Nuova ora completamente pedonale, salvo l’accesso dei mezzi di soccorso all’ingresso del Pronto Soccorso sul lato ovest del loggiato.

Il loggiato, che oggi caratteriz-za la facciata dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, disegna-

to dal Buontalenti e iniziato in-torno al 1574, è stato completato, riprendendo integralmente il pro-getto originario, nel 1956 quando si mise mano all’ampliamento, su progetto di Giovanni Michelucci, degli uffici della contigua Cassa di Risparmio di Firenze. Fu così che circa quattrocento anni dopo gli interventi buontalentiani fu completato il disegno della grande piazza delimitata da tre lati, con una forma di U molto allunga-ta, dal loggiato di forme tardo rinascimentali. Ma la storia della grande fabbrica del più vecchio ospedale della città, fondato nel 1288 da Folco Portinari su terreni di proprietà anche dei frati “sac-cati” della chiesa di Sant’Egidio, non è finita con il completamento del loggiato. Quando alla fine del secolo scorso si decise la riorga-nizzazione del sistema ospedaliero cittadino, dopo alcune iniziali titubanze (alcuni pensavano che sarebbe stato meglio dismettere l’ospedale a causa degli alti costi necessari per l’intervento di recu-pero e adeguamento funzionale), il vecchio ospedale rimase il pre-sidio ospedaliero del centro della città. Da allora, e fino al 2014, si sono succeduti interventi che hanno profondamente modificato l’organizzazione funzionale e an-che operativa del vecchio comples-so, ma che hanno anche consen-tito di recuperare alla pubblica fruizione, e non solo di chi per proprie necessità o di familiari e amici e per lavoro utilizza la strut-tura. Una struttura fondamentale per comprendere l’organizzazione urbana di questa parte di Firenze. Intorno all’ospedale infatti nac-quero altri importanti complessi, come quello delle Suore Oblate, il cui monastero è oggi la più grande biblioteca pubblica della città, ma anche case e servizi che oggi, dismessi dalla Banca Cassa di Ri-sparmio, attendono una opportu-na destinazione. Inoltre l’ospedale nel corso della sua attività inglobò in parte anche il grande complesso del Convento di Santa Maria degli Angeli, oggi ancora in parte in uso all’ospedale e in parte destinato a sedi universitarie.L’intervento di restauro e di recupero funzionale ha permesso

di John [email protected]

Il restauro di Santa Maria Nuova

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maggiore sollecitudine per la loro vita spirituale, per la loro libertà”. “Le libere donne di Magliano” è un libro bellissimo, per l’argo-mento affascinante che viene trattato da molte angolazioni, e anche perché a rileggerlo oggi colpisce la modernità dell’ap-proccio che l’autore aveva verso i suoi pazienti, che erano soprattutto donne. Popolane provenienti dalla Lucchesia, in un tempo molto lontano dal nostro, quasi tutte di origine contadina, delle quali viene data una rappresentazione viva

e dinamica, poetica e dramma-tica insieme. Infatti lo psichia-tra-scrittore Mario Tobino aveva lo sguardo e la sensibilità perfetti per scavare nella perso-nalità di quelle donne fuori dal comune, per arrivare al fondo misterioso della loro verità uma-na e psicologica.Nelle pagine di Tobino esse sono donne libere, ma di una libertà dolorosa, l’unica pos-sibile nei confini ristretti del manicomio. Ma si sente che lo slancio della fantasia, il pungolo della contrizione, le manife-stazioni del desiderio sessuale,

l’esplosione dell’urlo che pro-voca scalpore, l’autolesione che viene dal substrato masochistico di tanta parte dell’umanità, la malignità e la furbizia tipiche della femmina d’ogni specie,-sono rappresentati da Tobino , testimone armato dalla scienza dello specialista e dalla serena pietas del cristiano, con un lin-guaggio estremamente essenziale e concreto, di cui ogni parola corrisponde alla necessità dello straordinario racconto. Il libro colpì molto al suo apparire per-chè rappresentava un esempio unico di un’umanità speciale che aveva i suoi terribili silenzi e le sue innumerevoli follie.Ma benché Tobino rifiutasse i dogmi ideologizzanti dell’An-tipsichiatria, e fosse saldamente convinto che le cause della malattia mentale sono den-tro l’uomo e non il prodotto del sistema produttivo e delle ingiustizie sociali, sente tuttavia fortissimo il fascino che eserci-tano i matti, quel loro conti-nuo ammiccare ad una libertà assoluta, all’ebbrezza di una Felicità che i sani ignorano:”Ma prima i malati, i folli, non erano più felici? La pazzia è davvero una malattia? Non è una delle misteriose e divine manifesta-zioni dell’uomo? Non esiste per caso una sublime felicità che noi chiamiamo patologica e super-bamente rifiutiamo?”

Mario Tobino è morto nel 1991, quasi 25 anni fa, e di lui non si parla quasi

più. Era uno scrittore impor-tante e fu anche uno psichiatra, e attraversò da protagonista la vita culturale del dopoguerra. Il medico Tobino ha legato il suo nome al suo libro forse più famoso ”Le libere donne di Magliano”, uscito nel ‘53, uno dei libri più ispirati e poetici che siano stati scritti sul mondo della follia, raccontato da un osservatore privilegiato che era al tempo stesso un vero scrittore e il medico che curava i pazienti di cui narrava. E’ cosa nota che Tobino non fu mai entusiasta della legge Basaglia che aboliva i manicomi. Era convinto che fosse migliore il suo metodo di cura, consistente nel parlare con le donne pazze, farle parlare ed ascoltarle, fare uscire liberamen-te da esse le loro angosce e le loro fantasie. Ma era necessario, secondo lui, mantenere intorno a loro l’ambiente ospedaliero che consentiva di avere le cure a portata di mano,e quindi permettesse di far fluire il calore umano, l’unica risorsa a cui ci si poteva appoggiare contro lo sfacelo interiore prodotto dalla malattia mentale. Di quel libro si era innamo-rato Federico Fellini ma non riuscì a fare il film che gli aveva ispirato. Io però ho sempre immaginato che tipo di film ne avrebbe ricavato Fellini, e penso che in molti episodi dei suoi film lo abbia davvero in parte realizzato, per es, ne “La città delle donne”.Una toscanità pretta e genuina è la sigla peculiare di Tobino , che amava dirsi “figlio del piazzo-ne”di Viareggio, cioè di essere cresciuto (benché figlio di un farmacista) nell’ambiente po-polare della Darseana, ciò che rimanda esattamente al carattere schietto e quasi selvaggio, anti-conformista, vulcanico e un po’ folle che Tobino in realtà aveva.Nella ristampa del libro che ne fu fatta nel ‘64 scriveva Tobino: ”Scrissi questo libro per dimo-strare che anche i matti sono creature degne d’amore, il mio scopo fu ottenere che i malati fossero trattati meglio, meglio nutriti, meglio vestiti, si avesse

di leandro [email protected]

Il migliore dei Lidipossibili

Caro Pinocchio, stai tranquillo, o sereno

(come si dice ora) non sei l’unico

bugiardo in giro

Disegnodi Lido ContemoriDidascalia di Aldo Frangioni

di lido [email protected]

Di Mario Tobino non si parla più

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La notte fra il 3 e il 4 ottobre 1925 le squadre fasciste fiorenti-ne, capitanate da Tullio Tambu-rini (nella foto), console della legione “Francesco Ferrucci” (che si sarà rigirato nella tomba), si scatenarono in un raid di tale violenza da essere ricordato come “la notte di San Bartolomeo”, raccontata da Vasco Pratolini in “Cronache di poveri amanti. Il pretesto che diede il via alle violenze fu la morte di uno squadrista, tale Giovanni Lupo-rini, quasi certamente ucciso da “fuoco amico” durante l’aggres-sione di una squadra fascista in casa di Napoleone Bandinelli, noto esponente della massoneria fiorentina, Maestro Venerabile della loggia “Lucifero”.Il difesa di Bandinelli intervenne Giovanni Becciolini, suo vicino di casa e confratello massone nonché membro della redazione del “Non mollare”, che, minac-ciando i fascisti con una pistola, consentì a Bandinelli di mettersi

in salvo sui tetti, ma fu poi co-stretto ad arrendersi alle camice nere. Assassinato a bastonate e a colpi di pistola, il suo corpo, letteralmente fatto a pezzi, fu esposto all’ingresso del Mercato Centrale come monito per gli anti-fascisti.Da casa Becciolini i fascisti raggiunsero Via Timoteo Bertelli, nella zona di San Gervasio, dove abitava l’avvocato Gustavo Console. Console era considerato l’erede ideale di un altro avvo-cato, Giuseppe Pescetti, depu-tato socialista ed esule politico a Parigi, che aveva difeso operai e contadini in tribunale. L’inerme Console fu scaraventato giù dal letto e assassinato, in camicia da notte come era, davanti alla moglie e ai due figli.Il raid si concluse in Via Fratelli

Dandolo dove Gaetano Pilati, ex-deputato socialista, abitava in un villino costruito dalla sua impresa edile. Pilati, che aveva perso un braccio durante la prima guerra mondiale, aveva fondato l’”Andrea del Sarto”, aveva brevettato un nuovo tipo di solaio che aveva drasticamente abbassato i costi di costruzione degli edifici civili e aveva inventa-to protesi e ausili per gli invalidi in favore dei quali, da deputato, aveva promosso diverse leggi.

Colpito da diverse revolverate, morì alcuni giorni dopo in ospe-dale dove al medico che gli chie-deva cosa fosse successo, rispose: “Gli austriaci mi mutilarono, gli italiani mi hanno ucciso”.La strage dell’ottobre 1925 mandò su tutte le furie lo stesso Benito Mussolini, che fra l’altro conosceva e stimava Pilati, che dichiarò “per poco non si è fatto di Pilati un secondo Matteotti”. Prefetto e questore furono rimos-si, Tamburini inviato in Libia e 51 fra i fascisti fiorentini più facinorosi espulsi dal partito. Ma in sede processuale le cose andarono diversamente: dei dieci squadristi inchiodati dalla coraggiosa testimonianza della vedova di Pilati, Amedea Landi (alla cui memoria fu concessa nel 1992 la medaglia d’oro al valor civile), otto furono assolti e due condannati per “ferite gravi”: come scrisse Gaetano Salvemini “Becciolini non era stato ucciso, ma ferito gravemente; poi era morto di suo”.

provvedono soltanto piano, basso e batteria, anziché gli strumenti ai quali si accennava sopra. Opera ambiziosa e origi-nale, Cthulhu Rising fonde con gusto umori jazz, classici e rock. Nella lunga “Clay of Horror” si alternano momenti tesi e

melodici.Il fraseggio elegante del pianista Taylor Eigsti emerge in “The Esoteric Order of the Dragon” e nella breve “Cthulhu Fhtagn”. John Greaves (ex Henry Cow) firma l’unico brano non com-posto da Bradley, la “The Price

Lo scrittore statunitense Howard Phillips Love-craft (1890-1937), figura

fondamentale della letteratura horror, ha avuto un’enorme influenza in campo musicale, ispirando molti gruppi e solisti. Secondo Gary Hill, autore del libro The Strange Sound of Cthulhu: Music Inspired by the Writings of H. P. Lovecraft, nes-sun altro scrittore ha ricevuto un numero maggiore di omaggi musicali. Buona parte delle composizioni ispirate al solitario di Providen-ce viene da gruppi dark e metal che riproducono le atmosfere cupe e oniriche dei suoi roman-zi facendo ampio uso di chitarre e apparecchiature elettroniche.Di tenore diverso è invece Cthulhu Rising (Rattle, 2015), il nuovo CD del trio guidato da Reuben Bradley, batterista jazz neozelandese che vanta una lunga attività come session man. Cthulhu, la creatura orribile che intitola il celebre ciclo lovecraftiano, trova in questo disco una proiezione musicale perfetta. Le atmosfere tenebrose non mancano, ma a costruirle

We Pay”, che il trio propone in una versione ampiamente rielaborata e molto più lunga dell’originale, comparsa nel 1997 su Parrot Fashions.Bella e curata la confezione; unico neo, le note di copertina non specificano gli strumenti suonati dai tre musicisti.I jazzisti in questione non sono molto noti, ma questo non deve indurci a sottovalutarli. Taylor Eigsti, pianista americano, vanta un lungo legame con la famiglia di Dave Brubeck. A 12 anni ha suonato con il celebre pianista americano, riscuotendo la sua ammirazione. Successi-vamente ha affiancato i figli di Brubeck, il batterista Dan e il trombonista Chris. Anche il bassista Matt Penman ha collaborato con musicisti prestigiosi, fra i quali Joshua Redman e John Taylor. Penman e Bradley avevano già collabo-rato nel precedente disco del batterista, Mantis: The Music of Drew Menzies (Rattle, 2012). Amico fraterno di Bradley, questo bassista era morto nel 2007 senza avere registrato le proprie composizioni; il CD era quindi un omaggio al quale il batterista di Wellington teneva in modo particolare.

di FabriZio [email protected] Viale Gaetano Pilati

La notte di San Bartalomeo

Sinfonia gotica

di aleSSandro [email protected]

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libri e leggerli. Quell’afferma-zione – “noi non accettiamo di non poter esprimere le nostre opinioni” – deve valere per tut-ti, ma proprio tutti, altrimenti conta meno di zero. Questo è proprio uno di quei casi in cui “o tutti o nessuno”. E dun-que quei libri in biblioteca ci devono stare, anche se qualcuno non li leggerà e non li vorrà mai

leggere. Ci devono stare per una questione di pluralismo, per una questione di rispetto, per una questione di intelligenza. E, se vogliamo, anche di senso dell’opportunità. Vedete? Avete proibito “Piccolo blu e piccolo giallo” ma la prima cosa che ho fatto è stata proprio di andarlo a chiedere in prestito. Non lo avevo mai letto e volevo capire.

Non sapevo che il testo era brevissimo e si legge tutto d’un fiato, in biblioteca, tra una cosa e l’altra. A un adulto bastano meno di due minuti per finirlo, se non si sofferma sulla grazia delle immagini e della scelte semantiche. Incuriosita perché Evelina mi aveva detto che c’era una versione video, sono andata a cercarla. Ho scoperto che non c’era solo quella ma ce n’erano anche altre di fiabe proibite: qualcuno si è preso la briga di leggerle, animarle o farle illu-strare dai bambini. Non tutte le favole sono reperibili e va detto che la cosa più bella è leggerle nelle sedi giuste: la scuola o la biblioteca. In ogni caso questo assaggio serve a dare un’idea di cosa stiamo parlando. In uno dei libri, “La cosa più importan-te”, un bambino torna da scuola con il compito di dire qual è la cosa più importante per ricostruire il mondo. Il bambi-no lo domanda a tante persone diverse ma, invece di una sola risposta, ne ottiene tante: tutte diverse. Vedendo puntare il dito contro “Il pentolino di Antoni-no” non si può non pensare che si stia proprio cercando di soffo-care  la cosa più importante.

I nani sono sconvolti: 49 volumi di favole sono stati messi al bando perché

accusati di diffondere la teoria gender. Per rendersi conto delle cose bisogna toccare con mano, così sono andata da Angela, in biblioteca, a leggermi “Piccolo blu e piccolo giallo”, uno dei libri banditi. Prima non ne conoscevo nemmeno l’esistenza così, in un certo senso, devo ringraziare il sindaco censore. A causa del dibattito che ha solle-vato il ritiro dei 49 libri, sono venuta a sapere che esisteva quel capolavoro mignon. Parla di due colori, il blu e il giallo, che giocando si confondono e formano il verde. Come verdi, i genitori non li riconoscono e li rifiutano. Allora i verdi si mettono a piangere lacrime blu e lacrime gialle e da quelle lacrime si ricompongono pic-colo blu e piccolo giallo. I due amici vanno da papà blu e da mamma blu. Felici di rivedere il figlio, i genitori blu abbrac-ciano entrambi i bambini. Ed è a quel punto, nell’abbraccio, che i genitori blu si confondono con piccolo giallo e formano il verde. Questa, secondo qualcu-no, è la teoria gender. È vero, una favola parla di un gatto che adotta un uccello, però non era la stessa cosa dell’osanna-ta e adorabile “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”? Qualcuno mi spieghi dove sta la differen-za: perché “Rosso Micione” è eversivo mentre la Gabbianella è accettabile? C’è anche una storia che riguarda due papà pinguini. E di fronte a questo io non di-scuto: se a qualcuno non piace, non lo deve mica leggere! Il fat-to è che proprio quel qualcuno ha detto: “noi non accettiamo di non poter esprimere le nostre opinioni” e si è messo in piedi, a leggere libri in silenzio. Quei libri vengono dalle librerie di casa ma anche dagli scaffali delle biblioteche pubbliche e scolasti-che. Loro hanno avuto la liber-tà di prendere i libri e leggerli. Io non rivendico che tutti i libri siano letti da tutti né cerco di convincere qualcuno a leggere qualcosa che non vuole. Ma sta di fatto che qualcuno non ha più la libertà di prendere i

I nani sono sconvoltiStorie di favole proibite

di ilaria [email protected]

Scavezzacollodi MaSSiMo [email protected]

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Personalità arrivate da varie parti dell’Italia e del mondo: Firenze,

Mugello, Pistoia, Roma, Ve-nezia, persino Mumbay! Poeti, letterati e artisti quali Antonio Bertoli, Arundhati Subramanian, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Andrea Sirotti, Paola Giomi, Luca Buonaguidi, Eli-sa Biagini, Marco Simonelli, Iacopo Ninni, Brenda Porster, Stefania Zampiga, Liliana Grueff, Rosaria Lo Russo, Julian Zhara, Fabio Orecchini ed i Pane, I Collective Nimel, Alfredo Vestrini con i Masna-dieri, Christian Mastroianni!Proiezioni di foto, sperimen-tali, documentarie. Musica dal vivo: armoniche e fisarmoni-che, chitarre, trombe, con-trabbasso, sintetizzatori!Presentazioni di libri appena o da poco pubblicati e comme-morazioni di grandi ricorrenze letterarie. Grandi sale, stanze esotica-mente arredate, situazioni intime. Cucina indiana, toscana tradi-

di MaTTeo [email protected]

Le conclusionidell’evoluzione

zionale, piatti abbinati a lettu-re in un connubio perfetto. Più di 200 presenze in sei mesi di programmazione e otto appuntamenti convenute a Fiesole, in ristoranti e Case del popolo, per seguire la poesia.Tutto questo e molto di più è stata L’evoluzione de Lo Stato della Poesia, nato su queste pagine, “liberato” al Teatro romano di Fiesole un anno fa, proseguito, diversificandosi, in questo primo semestre del 2015 e diretto chissà dove.Prezioso, niente di grandioso ma neanche facile, come una poesia che da una semplice pagina straripa altrove e, pro-prio come la poesia, sofferta in ogni verso e liberatoria nella sua conclusione. Grazie a tutti e a presto.

Grattugia da negozio di ali-mentari dell’inizio del ‘900... Il legno permetteva di costruire attrezzi da lavoro e suppellettili varie di grande fascino e sicuro valore estetico. Un tempo i negozi vendevano il Parmigia-no grattugiato e, forse, grattu-giavano con questo aggeggio anche il pane “secco” per ricavarne “pangrattato”. Che dire del Parmigiano Reggiano, istituzione nostrale di antico lignaggio e gusto inconfon-dibile? Prodotto da vero latte di vere ed apposite mucche, nutrite su pascoli appositi...

Esistono alcuni Musei del Parmigiano, il più grande ha sede all’interno della Corte Ca-stellazzi, nel Castello adibito per secoli alla sua produzione, all’ombra della Rocca Meli-Lu-pi di Soragna. Vi offro, fra le numerose citazioni letterarie sul tema, non proprio le più note ed abusate, Boccaccio e Vasari cioè, ma alcune “chic-che” letterarie...

“... Se vinco un terno - diceva agli amici - voglio comperare una villa, un palazzo, quattro cavalli scappatori, una bella galleria di quadri e una forma intera di cacio parmigia-no...”Collodi, Giannettino. “A fissare con una fortissima lente d’ingrandimento la grana del parmigiano, essa si rivela non soltanto come un’immutabile folla di granuli associati nell’es-sere formaggio, ma addirittura come un panorama. E’ una foto aerea dell’Emilia presa da un’altezza pari a quella del Pa-dreterno.” Giovannino Gua-reschi (1908–1968), scrittore

e giornalista. Qualche “gossip” per concludere, dicono che Molière ne fosse golosissimo e che ne abbia chiesto un pezzet-to sul letto di morte. Dumas poi cucinava personalmente per gli amici maccheroni con ragù e vi grattava abbondan-tissimo parmigiano.Verdi amava molto un risotto di cui Giuseppina Strepponi scrisse, in una lettera ad un amico impresario, la ricetta, trattasi di risotto alla milanese,direi, raccomanda infine “mettete anche, una dopo l’altra, tre buone manate di formaggio Parmigiano grattato rapè”.

a Cura di CriSTina [email protected]

Dalla collezione di RossanoBizzarriadegli oggetti

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Mazzini per Principe di Piemon-te, non avvenne, come si può ragionevolmente pensare, dopo la caduta del fascismo, ma durante la Repubblica Sociale detta di Salò. Il 17 gennaio 1944, infatti, il Podestà, “veduta la circolare prefet-tizia in data 28 p.p. dicembre con la quale pregasi provvedere onde siano abolite nelle piazze, vie ed

alberghi le intitolazioni alla ex casa regnante ed al gruppo di traditori del periodo 25 luglio – 9 settem-bre 1943”, attribuisce alla piazza Umberto I il nome di Giuseppe Garibaldi ed alla piazza Principe di Piemonte quello di Giuseppe Mazzini.Dopo l’avvento della Repubblica avviene un inevitabile revisio-ne dell’odonomastica stradale fiesolana ed ogni ulteriore traccia e ricordo del ventennio viene cancellata.Già dal gennaio 1945 è restitu-ita alla via 28 aprile la primitiva denominazione Andrea Costa ed è sostituita la denominazione via 21 aprile con via della Libertà.Bisogna attendere l’aprile 1947 perché la Giunta Comunale “non potendosi obliare i nomi di Antonio Gramsci e di Giacomo Matteotti, caduti nella lotta per la Libertà e per le rivendicazioni delle classi lavoratrici”, intitoli ad essi la strada principale già chiamata Via Roma.Una ulteriore epurazione avviene per i simboli fascisti scolpiti nel ventennio accanto allo stemma comunale, che sono immediata-mente tolti dai vari edifici quali, ad esempio, lo stemma del fascio dalla facciata dell’impianto di sol-levamento dell’acquedotto di Via Badia dei Roccettini e dal taber-nacolo di S. Anna, e i fasci littori dal tabernacolo di Via Faentina a Caldine.L’immagine di Mussolini riprodot-ta nei graffiti dell’ara del Parco del-la Rimembranza dedicato ai caduti della grande guerra, è anch’essa accuratamente scalpellata.Fra il 1960 e il 1970 sono adottati diversi criteri per la scelta di nuove denominazioni legate alla recente storia locale e nazionale.Sono quindi intitolate nuove vie e piazze alla Repubblica, al I Mag-gio, al XXV Aprile, al I settembre (anniversario della liberazione di Fiesole), ai Tre Pini e al Partigiano, in ricordo, quest’ultime, dello scontro avvenuto a Montebeni nella notte fra il 4 e 5 agosto 1944 fra forze partigiane e truppe tedesche.

Tratto da Mario Cantini, Le strade di Fiesole, 2009, Firenze,

Polistampa.

È noto come le intitolazioni delle vie e piazze pubbliche, specialmente negli anni più

recenti, siano riferite ad avveni-menti e personaggi legati al clima culturale, politico e sociale dell’e-poca in cui sono state scelte.Tralasciando tutti i casi in cui denominazioni storiche e della tradizione sono state sostituite con nomi di personaggi al momento famosi, ma oggi completamente dimenticati, con l’Unità d’Italia e la conseguente monarchia, nu-merose furono le nuove denomi-nazioni legate alla casa regnante e, dal 1922, all’avvento del regime fascista.Un esempio è costituito dalla via intitolata al noto esponente socialista Andrea Costa (1851-1910) dall’allora amministrazione socialista fiesolana, che il Podestà, dopo un tentativo senza esito di intitolarla a Giosuè Carducci, l’11 giugno 1931 ne cambia l’intito-lazione in Via 28 ottobre con la motivazione che “la storica data, sostituita al nome di Andrea Co-sta, acquista tutto il suo patriottico significato”. e contemporaneamen-te intitola al 21 aprile una nuova strada a Caldine.Le due date ricordavano rispettiva-mente l’anniversario della marcia su Roma e il Natale di Roma.A proposito di Roma, forse molti hanno notato che in tutte o quasi le città italiane, grandi o piccole, non a caso una strada è ancora chiamata Via Roma.Ciò è dovuto ad una precisa disposizione emanata nello stesso anno 1931 dalla Prefettura di Firenze, che impartiva disposizioni affinché ad una via non secondaria del centro urbano del capoluogo fosse dato il nome di Roma ed a cui anche Fiesole si adeguò, intitolandole un tratto di strada “principalissima”.Altre denominazioni monarchiche erano state utilizzate in preceden-za, intitolando i vialetti del parco pubblico di Via San Francesco alle regine d’Italia Elena, Margherita e Maria Adelaide, nonché alcune piazze ad Umberto I e al Principe di Piemonte. Mentre il nome delle regine scomparve ben presto nell’uso popolare, il cambio dei nomi delle due piazze ha del sin-golare. La nuova denominazione, rispettivamente di Giuseppe Ga-ribaldi per Umberto I e Giuseppe

Odonomasticafiesolana

di Mario [email protected]

In alto Piazza Umberto I all’inizio del 1900 con il monumento al Re Al centro l’inaugurazione monumento ad Umberto I nella piazza omonima avvenuta il 30 settembre 1900, dopo pochi mesi dell’assassino del re (29 luglio 1900)A sinistra Andrea Costa

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la mamma, il babbo, i reciproci fidanzati o mogli o mariti, com-plicano la vita a tutti e finiscono per andare in massa dagli psico-

analisti. Spesso fanno quello che non dovrebbero come contrarre debiti o essere scorretti, menti-tori, vili, ma anche coraggiosis-

Sabato 8 Agosto,alle 21nella stupenda cornice della ter-razza del Monastero di Monte-senarioVaglia (FI) dialogo oc-chi al cielo tra Matteo Rimi (poesia) e Emanue-le Brilli (violino)

simi e in questo caso le donne li amano. Poi viaggiano, passano clandestinamente le frontiere, fanno le spie, muoiono per la patria, commettono furti rocamboleschi e vanno come dicevo dappertutto, nei bar e caffè di tutti i tipi e questi sono dislocati nei porti, sulle strade del centro delle città, nei grandi alberghi, vanno anche spesso al ristorante, secondo le reciproche disponibilità in quelli di lusso o in quelli da due soldi. Talvolta avviene, sempre in tema di ristoranti, che chi non ha soldi voglia andare in quelli di lusso, magari per fare colpo sulla fidanzata o futura tale e come potrete immaginare si mettono invariabilmente su una brutta strada e successivamente svali-geranno molte banche prima di essere acchiappati e messi in galera, ma non prima di grandi processi con valenti avvocati sia difensori che pubblici accusa-tori. Successivamente e inevi-tabilmente si beccano un sacco d’anni di prigione, le mogli li vanno a trovare, a volte evadono e in questo caso sono inseguiti dai segugi, ma non preoccupa-tevi per loro in quanto i segugi compaiono solo nei romanzi americani, nei nostri si evade e basta e poi se la godono sempre che non abbiano infastidito qualche potente.Come potete notare vanno in ogni dove anche nelle bibliote-che, forse per similitudine con la loro professione, nelle case, nei palazzi, sulle navi, negli hotel o grandi hotel, sulle mon-tagne, ai laghi, al mare. Vanno sui treni, in macchina, in bici, camminano, bevono molto, diventano alcolizzati, cascano, vanno all’ospedale o ci lavorano e ancora si amano e di nuovo si lasciano. Comunque statene certi non vanno mai a vedere una mostra.Questo rimane un mistero, perché non si incontrano in un museo, perché non parlano mai d’arte, perché nei luoghi dove vivono non c’è mai un opera di arte contemporanea ?Questo, credo, sta alla base del fatto che nessuno vada alle mo-stre d’arte e la colpa è evidente è degli scrittori che non creano familiarità con questi pur de-gnissimi luoghi e sospetto non sappiano della loro esistenza.

di Claudio [email protected]

Da lettore instancabile e appassionato di arti visive quale sono mi viene da

riflettere su alcuni aspetti della letteratura in relazione all’arte. Per lettore intendo chi è interes-sato alle letterature del mondo e per arti visive mi riferisco a tutta l’arte con particolare interesse a quella del XX secolo e a quella in corso. Mentre gli artisti si ispirano o fanno rife-rimento o illustrano i romanzi e le opere di poesia dei grandi scrittori, questi, tutti o quasi tutti, ignorano completamente che esistano gli artisti, i musei, le gallerie, le chiese le opere di architettura, che qualcuno compri un quadro per arredare la casa o che preso dal demone del collezionismo addirittura ne compri tanti e non solo di quadri ma anche delle ben più complicate opere contempora-nee. Quello del collezionismo potrebbe essere anche un ar-gomento interessante e fornire degli spunti agli autori dei libri, ma invece niente.La maggioranza dei personaggi dei romanzi fanno moltissime cose, se si tratta, ad esempio, dei protagonisti di libri gialli, sono tutti presi da uccidere qualcuno e poi cercare di farla franca. Ne-gli altri questi signori e queste signore che li popolano se ne vanno in giro, mai comunque nei luoghi sopra descritti, per svolgere la trama loro assegnata, all’interno di una specifica so-cietà, durante un periodo stori-co, anche molto lungo che può comprendere più generazioni e se la devono vedere con quello che succede. Il ‘900 che con le sue due guerre, che poi a parte le letterature del secolo prece-dente che sono di gran lunga le migliori, sono i romanzi che vado leggendo più di frequente, il ‘900 dicevo con tutto quello che è successo è fonte inesauri-bile per gli scrittori che dunque fanno muovere i loro eroi nello spazio e nel tempo sia interiore che esteriore. Si amano queste persone e poi non si amano più, sono depressi, sono maniaci di qualcosa, sono a volte felici, la-vorano svolgendo le loro profes-sioni con successo o più spesso senza, sono addirittura dei falliti e in questo caso fanno soffrire

Sui motivi per i qualisi va a vederele mostre

d’arte contemporana

Trishaw - collage di Tan Ru Yi (2013) Trishaw vuol dire risciò e la resa surreale di tale mezzo, trainato da un mezzo uomo e mezzo pesce oltre all’assonanza col titolo del romanzo di Laurence Sterne, Vita e opinioni di Tristram Shandy, famoso per il suo cavillare mi pare indicato per commentare il movimento del genere umano che va dappertutto con qualsiasi mezzo per qualsiasi motivo eccetto che nei luoghi d’arte, a parte quelli deputati.

Ad Astra...a riveder le stelle...

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Un nuovo scudo per l’ille-galità: tre stelle concesse dall’Agcm, Garante della

concorrenza, (quelle di Negro-ni volevano dire qualità!) che vogliono dire: accesso prioritario ai finanziamenti pubblici e mag-giore certezza nelle richieste di credito bancario, due ambiti che il legislatore ha individuato per favorire una ripresa economica per tutte quelle società che hanno predisposto o sono pronte a pre-disporre sistemi di organizzazione e trasparenza interna ispirati alla eticità e legalità.II nostro Paese è, infatti, perce-pito come ad elevato rischio di corruzione tanto da attestarsi al 69° posto mondiale nell’indice di percezione della corruzione 2014 redatto, annualmente, da Transparency international.Il rating di legalità è stato dunque previsto dalla legge n. 1/2012 come uno strumenti necessario e utile per combattere il malaffare e ripristinare un’etica sociale, oltreché aziendale. E’ stato quindi sostenuto e commentato dall’Assonime con la circolare n. 16/2014, dal MEF con il Regolamento del 7 aprile 2014, dall’ANAC con provve-dimento del 15 dicembre 2014, eppure manca ancora qualcosa: il credere comune all’utilità di questo nuovo strumento!

Chi è munito di rating ottiene per i finanziamenti pubblici (Art. 7, c. 1, del D. lgs n. 123/1998) almeno una delle seguenti premialità: preferenza in gradua-toria; attribuzione di punteggio aggiuntivo; riserva di quota delle risorse finanziarie allocate.Per quel che attiene, invece, l’accesso al credito bancario le banche devono tenere conto del rating ottenuto dall’impresa sia in relazione ai tempi e ai costi dell’i-struttoria che nella determinazio-ne delle condizioni economiche

di erogazione.La società dovrà verificare l’assen-za, all’interno della propria strut-tura, di alcuni elementi di natura etica: (condanne penali in carico all’imprenditore e alla società; misure di prevenzione e cautelari; provvedimenti antimafia; con-danne antitrust, violazione sulla sicurezza; revoca di finanziamenti pubblici; accertamenti definitivi di maggior reddito imponibile; ecc.). Il massimo delle stelle, poi, si può ottenere se sono stati adottati sistemi di controllo di

legalità, quali ad esempio quello inerente il Modello organizzativo ai sensi del D. lgs 231/2001; iscrizione in uno degli elenchi di fornitori e prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafio-sa istituiti ai sensi delle vigenti disposizioni di legge (white list); ecc.Possono accedervi le imprese ope-ranti nel territorio nazionale che raggiungano un fatturato minimo di due milioni di euro, ed ha la durata di due anni dal rilascio.La principale novità è data dal coinvolgimento nell’iter di attri-buzione del rating da un’apposita Commissione composta da un rappresentante dell’AGCM, del Ministero dell’Interno, del Mini-stero della Giustizia, dall’ANAC e dal mondo imprenditoriale.Che era un’occasione da non perdere l’aveva capito però la cooperativa Sociale Capodarco, una di quelle che si sono distinte a Roma nel sostenere e valorizzare i propri principi etici con ben due stelle su tre per Mafia Capitale!Ma allora come è stato possibile non riuscire a monitorare questo “virtuoso” percorso?Ma non dovrebbe essere normale possedere i requisiti di legalità.

Il rating di illegalitàdi roberTo [email protected]

Atto Primo, trasmissione Agorà ore 8 e 30 su rai3, Alfonso Bonafede, toscanaccio penta stellato così interviene : - Renzi non mantiene le promesse, ci sono ancora 60……mmmm...non ricordo …….mmm...se milioni o miliardi di pagamenti non fatti dalla pubblica ammini-strazione…….-Atto Secondo, intervista a Repubblica del 22/7 di Roberto Speranza  ex capogruppo PD :- Se non fai pagare la tassa sulla casa a  chi guadagna mezzo mi-lione l’anno, per me commetti un errore! -Atto terzo , ore 10 e 15 su La 7, Danilo Toninelli astro nascente grillino , così apostrofa la platea :- Renzi dovrebbe andare dalla Merkel a chiedergli di chiudere delle aziende tedesche altrimenti chiudono delle aziende italiane

! –Facciamo il test antridroga a chi conduce uno scuolabus e non facciamo un test sul Quoziente d’Intelligenza ai nostri parla-mentari : questi sono i risultati.

Il primo è avvocato e non afferra la palese differenza fra milioni e miliardi di euro, lo vogliamo immaginare come Ministro delle Finanze????Il secondo ha studiato economia

addirittura a Londra ma, forse, non sapeva l’inglese ? Vogliamo far pagare l’IMU in funzione del reddito annuo????Il terzo lo vorrei proprio vedere come Ministro degli Affari Este-ri a confrontarsi con  frau Mer-kel  per chiudere la Volkswagen per riaprire gli stabilimenti Fiat !!E il buon Fassina…..non si è sentito in questi giorni?? Che fine a fatto?? Mistero svelato : ha fatto un corso accelerato di spin-gitore di carrozzelle per mettersi al servizio di Wolfgang Schäuble diventando, di fatto, suo sodale ( entrambi auspicavano l’uscita della Grecia dall’Euro).Conclusione alla fiorentina : non è Renzi un gigante, sono gli altri che sono nani e per di più, come si dice da noi……… se un son grulli un si vogliono!!!!!

Renzi e i tanti nanidi Sergio Favilli

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“una sorta di assuefazione”. Assuefazione? Io parlerei di ‘incan-tamento’! E sarà per incantamento che persino l’odierno Vittorione nazionale (Sgarbi) si è precipitato ad ammirare le circa 70 tele in esposizione (cui si aggiungono quadri di Benvenuto Benvenuti, Llewelyn Lloyd, Oscar Ghiglia, Guglielmo Micheli, Alfredo Müller, Plinio Nomellini che variamente contribuirono alla sua formazione ed all’affermazione della sua pittura), ricordando di aver visto alcune sue opere per la prima volta da bambino, in un albergo di Castiglioncello.L’intento dell’iniziativa è dichiara-to: ricostruire l’evoluzione artistica ma anche la biografia dell’artista, per assegnare alla sua produzione la giusta collocazione nel contesto figurativo anche europeo. Si potrà così sfatare il mito del Puccini

“pazzo e primitivo”, perché l’uomo fu semmai – ancora citando il saggio della curatrice – di “una sensibilità raffinata (forse al punto di renderlo estremamente vulnerabi-le...) unita a un intelletto brillante e a una vasta cultura, che spaziava (…) ben oltre il panora-ma cittadino e toscano, mostrando un artista perfettamente informato delle polemiche culturali

e artistiche del proprio tempo...”.C’è, sì, un periodo buio nella sua vita, segnato da quella malattia psichica che già si manifesta al termine del periodo di formazione (iniziato a 16 anni, all’Accademia di Belle Arti di Firenze su presu-mibile indicazione del Fattori) e che lo porterà al ricovero presso gli ospedali di Livorno e Siena (1893-1898). Ma la malattia non ha mai un segno univoco, ed è proprio lì che si prepara una grande tra-sformazione della sua personalità pittorica, quello ‘sbocciare’ che lo porterà al compimento, alla maturità artistica. Da ciò si spiega (e si apprezza) la suddivisione della mostra in cin-que sezioni (I maestri e gli esordi / Gli anni della solitudine / Una nuova grammatica del colore / La grafica / Il Caffè Bardi a Livorno), dove la terza dovrebbe dirsi il

La mostra di Pietrasanta pre-senta una serie di lavori su carta dove, a partire da un supporto bidimensionale, l’artista sviluppa degli “spazi di luce” che vivono in un’atmosfera sospesa, atemporale, in continuo spostamento tra le di-verse dimensioni fisiche. Nella loro difformità, cronologica e di forma-to, Acque (2007), Croce (2014) e Pieghe (2014 ) danno vita a un insieme armonico e coerente che tratta la superficie pittorica come elemento prettamente spaziale, una “rappresentazione” di signi-ficati che evoca, per sottrazione, elementi e immagini. I frutti di queste proficue collabo-razioni sono stati di recente esposti in una mostra-studio (tenutasi alla British School of Rome) e costituiscono il nuovo punto di

partenza per la prossima personale fiorentina, dove verrà presentata un’ installazione inedita che pone in relazione gli ambienti della galleria con quelli dello spazio di lavoro di artista, affiancata da una serie di lavori a parete.Nello steso periodo, in occasio-ne del Festival “Firenze suona

contemporanea” sarà presentata sempre a Firenze, nel cortile del Museo Novecento, una grande installa-zione dal titolo Passi Museo 900 - 2015 in collaborazione col mu-sicista Alvin Curran.Ognuno di questi luoghi verrà trattato in modo singolare

ma in tutti è evidente la costante attenzione che l’artista rivolge alla struttura, ai materiali, al colore, alla luce e alla sua rifrazione.I disegni “atti di immaginazione” traspongono su carta una visione evocativa dei diversi spazi, caratte-rizzati da particolari accostamenti materici e cromatici.

“E’ architettura il prevedere come la pittura si possa espandere nello spazio fino a costruire un luogo” (Alfredo Pirri).La sensibilità pittorica si accom-pagna sempre a un’ attenta analisi della creazione di spazi “abitabili” - alcuni pensati per una fruizione più intima, altri come luogo di aggregazione - generando architet-ture accomunate da una continua dialettica tra raccoglimento e condivisione.L’architettura, per Pirri, è da intendersi “come spazio, ma anche luogo di relazione archetipale”, votata da sempre a una funzione pubblica, ma anche, allo stesso tempo, ad un raccoglimento priva-to che possa favorire il pensiero e la creatività in senso lato.mia di Belle Arti di Palermo.Alfredo Pirri Alla Galleria Secci Pie-trasanta _ Via P. Eugenio Barsanti 1

“Carneade! Chi era costui? - Si domanda Don Abbondio all’inizio del capitolo VIII del

capolavoro manzoniano. Aggior-nando all’uopo la domanda, si potrebbe dire: “Mario Puccini! Chi era costui?”. E poniamo che sia proprio per dare la risposta ad un vasto pubblico - presso il quale il personaggio è quasi sconosciuto - che la Fondazione Terre Medicee e il Comune di Seravezza, con l’Istituto Matteucci di Viareggio, hanno organizzato la mostra sul pittore livornese al Palazzo Medi-ceo dall’11 luglio al 2 novembre 2015. Com’è che “un autore di assoluto valore artistico - per usare le parole del Sindaco Ettore Neri - (...), da quasi mezzo secolo risulta essere assente dal circuito espositivo na-zionale”? Sfogliando il bel catalogo della mostra (Maschietto Edito-re, pp. 176, € 25,00) è pronta la risposta di Nadia Marchioni (curatrice, assieme a Elisabetta Palminteri) per la quale, in realtà, ciò che è mancata in questi anni non è una proposta di opere pucciniane all’interno di eventi collettanei, bensì “un’antologica che ripercorresse l’intera carriera pittorica del maestro livornese”. Le ragioni? La difficoltà nel reperire le opere - quasi tutte in mano a collezionisti privati – ed il timore che la ripetitività tematica intorno a cui ruota la produzione puccinia-na potesse ingenerare nel visitatore

Un’esplosione di colori cuore pulsante, perché in essa si trovano le sue più amate creature, quelle dei “cromatismi sovreccitati e febbrili”, dell’impiego del colore, emozionale, in funzione costrutti-va dell’immagine.Puccini opera nel periodo artistico comunemente detto ‘postmacchia-iolo’ ma il suo lascito è ricco di contaminazioni con l’arte europea. Tipici della sua vasta produzione sono il ricorrere frequente dei me-desimi soggetti e l’acribia con cui egli studia le variazioni luminose colte sul vero. Per Raffaele Monti, critico d’arte e suo estimatore, “Puccini non descrive niente: non un personaggio, non un evento che disperda la narrazione in aned-doto, nessun elemento allusivo o simbolico. Ed è così che, nascendo da questa vera e propria inclemen-za narrativa, il solo potere della forma può sollevar folate di vento ristagnato, di salmastro, di canapi; gli odori e le luci mozzafiato che il porto di Livorno possiede in misura particolare (...).”Non aggiungo molto di più. Se non che Puccini visse un’esistenza ritirata e per lo più misera, sempre però con questa sua grande anima, che gli fece scrivere, in due epistole all’amico Gianni Malesci: “Cosa vuoi, lavoro per mia passione (...) per fastidio del mondo volgare (...)”; “Non ho di che lamentar-mi giacché la stagione buona mi permette di lavorare tutti i giorni e tu sai che per noi quando si può lavorare è la felicità completa.”

di Paolo [email protected]

a Cura arabella naTalin All’Orizzonte

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aldo Frangioni presentaL’arte del riciclo di Paolo della Bella

scottexLa rabbia che fa sentire quest’opera sarà stata realizzata con il massimo della calma, ma con la volontà di comunicare un sentimento furioso? Oppure l’accartocciamento prodotto è il frutto di un un autentico scatto di nervi? Il fascino delle opere di della Bella sta proprio in questa incertezza, in fondo, l’arte, come dice il simpatico A.B.Oliva, non da risposte, pone solo domande.

sculturaleggera 31

La granita al limone senza gelatie-ra è un dolce facile da preparare in casa: un dopo pasto fresco e dissetante. La granita è fatta con un composto semi-congelato preparato con acqua, zucchero e succo di limone. Durante la preparazione della granita al limone senza gelatiera è molto importante rimestare continua-mente in modo che l’acqua non si separi dal succo forman-do dei cristalli di ghiaccio. La granita al limone senza ge-latiera è ottima per rinfrescare le torride giornate estive.Ingredienti:Acqua 500 ml 500 ml di succo di limoni filtrato Zucchero semolato 250 grPreparazione: Per preparare la granita al limone senza gelatiera, versate l’acqua in un pentolino, portatela a bollore e aggiungete lo zucchero. Quando lo zucchero si sarà sciolto completamente e il liquido sarà diventato trasparente, spegnete il fuoco e lasciate raffred-dare lo sciroppo ottenuto.Tagliate i limoni a metà, spre-meteli con uno spremiagrumi e filtrate molto bene il succo, con l’aiuto di un colino: dovrete ottenere 500 ml di succo filtrato. Incorporatelo allo sciroppo ormai freddo e agitate bene il composto

aiutandovi con una frusta. A que-sto punto, mettete il composto in freezer dentro ad un contenitore (coperto) di plastica o di metallo.

Trascorsa mezz’ora, estraete il composto dal freezer e rime-statelo energica-mente per rompere i cristalli di ghiaccio che si saranno formati. Ripetete la stessa operazione ogni mezz’ora (o ogni quarto d’ora se vedete che il com-posto tende a com-

pattarsi più velocemente) per altre due-tre volte, fino a ottenere la granita al limone della consistenza desiderata. Potete conservare la granita al limone in freezer anche per 15 giorni.ConsiglioSe la granita al limone dovesse gelarsi troppo, potete rompere il ghiaccio grossolanamente e passarla velocemente in un trita-ghiaccio o in un mixer per tritarla più finemente. Per una buona riuscita della granita al limone è consigliabile usare i limoni di Sor-rento o dei buoni limoni biologici che sono meno acidi degli altri limoni. Se volete dare un tocco in più alla vostra granita potete aggiungere al composto iniziale un bicchierino di vodka o di gin.

Consigliod’agosto

di MiChele [email protected] Ai Weiwei is free to fly and to meet the wide world!

What a wonderful news!We are happy for him, for his family, for us and for all the people who love him!We wish to thank everyone who made his freedom possible!

Lorenzo, Mario, Maurizio and the team of Galleria Continua in Italy, France, China and Cuba

Via del Castello 11 53037 San Gimignano (SI), ItaliaTel. +39.0577.943134 | [email protected]

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1agosto

2015pag. 16

lectura

dantisDisegni di Pamtesti di aldo Frangioni

Dante sviene dopo aver visto i dannati

salire sulla barca

Prima che per timor fossi accasciato,i dannati vid’io montar sovra naviglioognun di lor dal remo bastonato.

Disperati salìan, ma con cipiglio,v’era una dama con le zinne al ventoeretta in prua con labbra di vermiglio

pur senza veli sapeva di convento.Fors’era quella che all’aria fina finavolea cambiare il vecchio con talento.

La chiamavan Madonna in Laterina,ma non credea facesse questa finem’era sembrata in alto, no in cantina.

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2015pag. 17

L

Dalle stelle alle stalle! Mi pare questo il titolo giusto per queste due immagini. Come ben si vede sono immagini di bambini più o meno della stessa età. In tutti e due i casi i ragazzini sono a bordo di un’automobile, ma che differenza! Nel primo scatto i bimbi sono ben vestiti e sono su una limousine scoperta piena di festoni di carta che sta sfilando in mezzo a due ali di folla che li accoglie con la classica pioggia di coriandoli colorati

tipica dei grandi eventi. Siamo sulla Quinta Strada e si tratta della parata in onore degli astronauti americani appena rientrati dalla storica missione che aveva permesso loro di piantare la prima bandiera a Stelle e Strisce sul suolo della Luna. I bimbi sono i due figli dell’astronauta Buzz Aldrin che, assieme ai colleghi Neal Armstrong e Michael Collins, era appena rientrato dalla storica missione compiuta con successo a bordo della navicella spaziale Apollo 11. L’altra immagine, senza dubbio meno “glamorous” della prima, mostra invece due loro coetanei, anch’essi a bordo di un’auto, stanchi e annoiati e in attesa che la madre torni a riprenderli dopo aver fatto un po’ di shopping nel vicino grocery store del quartiere.

NY City, 1969

Dall’archiviodi Maurizio Berlincioni

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