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N° 1 206 39 direttore simone siliani redazione gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli, michele morrocchi, barbara setti progetto grafico emiliano bacci [email protected] [email protected] www.culturacommestibile.com www.facebook.com/cultura.commestibile editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012 Con la cultura non si mangia Il silenzio è d’oro Credo moltissimo nella pubbli- cità e nei media. La mia arte e la mia vita per- sonale sono basate su di essi. Penso che il mondo dell’arte è un serbatoio enorme per chiunque sia coinvolto nella pubblicità. Jeff Koons

Cultura commestibile 139

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N° 1206

39direttore

simone silianiredazione

gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli,

michele morrocchi, barbara setti

progetto graficoemiliano bacci

[email protected] [email protected] www.facebook.com/cultura.commestibile

editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 FirenzeRegistrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012

Con la cultura non si mangia

Il silenzioè d’oro

Credo moltissimo nella pubbli-cità e nei media. La mia arte e la mia vita per-sonale sono basate su di essi.Penso che il mondo dell’arte è un serbatoio enorme per chiunque sia coinvolto nella pubblicità.

Jeff Koons

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Da nonsaltare

Cosa accade all’Arte Con-temporanea oggi? Quali sfide per il domani, quali

competenze da spendere? A queste e a molte altre doman-de si è tentato di rispondere durante il Forum dell’Arte Contemporanea Italiana orga-nizzato dal 25 al 27 settembre tra i vicoli storici di Prato. La città toscana, protagonista negli ultimi anni di un indiscusso fermento culturale, ha raccolto attorno a sé i maggiori esperti del settore per discutere delle problematiche di glocalizzazio-ne e delocalizzazione che l’Italia è chiamata ad affrontare ormai quotidianamente. L’evento, sostenuto dal Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, è stato interpretato da alcuni operatori come un momento di confronto, un’opportunità di crescita, da altri come un fallimento. Sicuramente è stata avvertita la retorica roboante e autoreferenziale di certi perso-naggi un po’ stantii e ancorati a una tradizione estremamente fossilizzata, ma, nel comples-so, si può affermare che uno squarcio nel velo di Maya è stato aperto, anche se è mancata una vera spinta propulsiva del pubblico. Come mai? Poco abili i relatori? Poco interessanti gli argomenti? Troppo dispersiva la strutturazione della convention? Forse una combinazione di ele-menti, nonostante il program-ma fittissimo di incontri.Il Teatro Metastasio è stato adibito a quartier generale del Forum: non solo punto di regi-strazione per accedere alle tavole rotonde, ma location privilegia-ta per ospitare le conferenze e le relazioni finali dei tavoli, ubicati tra Palazzo Banci Buonamici e Monash University.Per l’apertura di venerdi 25 settembre sono stati previsti gli interventi di: Massimo Bressan (Presidente del Teatro Metasta-sio), Matteo Biffoni (Sindaco di Prato e Presidente del Centro Pecci), Elena Pianea (Rappre-sentante dell’Assessorato alla Cultura della Regione Toscana), Federica Galloni (Direttore Generale Arte e Architettura Contemporanea e Periferie Urbane, MIBACT), Gian-franco Marianello, (Presidente

Amaci Associazione Musei di Arte Contemporanea Italiani), Patrizia Sandretto Re Rebau-dengo (Presidente Comitato Fondazioni Arte Contempo-ranea Italiana), Annamaria Gambuzzi (Presidente Associa-zione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea). A introdurre gli ospiti, Fabio Cavallucci (Direttore del Cen-tro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci), componente del comitato promotore insieme a Ilaria Bonacossa (Direttrice del Museo dell’Arte Contempora-nea Villa Croce), Anna Daneri (curatrice indipendente), Cesare Pietroiusti (artista) e Pier Luigi Sacco (Professore ordinario di economia della cultura presso la IULM di Milano).Le tematiche, affrontate nelle tre giornate, sono state raggrup-pate in sei macroaree: Forma-zione (F), Proposta di riforme politiche (R), Discussione, ana-

lisi, approfondimento, denuncia (A), Comunicazione e rapporto con i media (M), Rapporto pubblico/privato (PP), Proposta di strategie interne (S). Ad ogni macroarea sono stati associati diversi argomenti corrisponden-ti a tavoli che hanno lavorato in simultanea su vari focus per 2h 30’, secondo uno schema fisso: criticità (45’), obiettivi (45’), proposte (45’). Ogni tavolo, a porte aperte, è stato coordinato da un responsabile, incaricato di mediare e sollecitare consi-derazioni attente e specifiche tra i professionisti invitati alla discussione. Molto stimolante è stata la diatriba suscitata dalla ‘defi-nizione’ del ruolo di critico e curatore. La vexata questio si è alimentata tra i vari relatori del tavolo F4 nel pomeriggio di ve-nerdì 25 settembre: “Il percorso formativo dei curatori e dei critici nel bene e nel male non

è standardizzato. È necessario uniformare gli studi di queste due figure, oppure potrebbe essere controproducente? Si ritiene auspicabile un ragiona-mento sulla effettiva necessità di differenziare i due ruoli e su come il percorso per arrivarvi possa essere migliorato, a partire dal contesto universitario?” La giovane coordinatrice Anto-nia Alampi, Associate Curator del Centro per l’Arte Contem-poranea Beirut, ha condotto abilmente un talk piuttosto movimentato tra Renato Ba-rilli, Federica Bueti, Corrado Chiatti, Ester Coen, Davide Giannella, Matteo Lucchet-ti, Cristiana Perrella, Marco Scotini e Gaia Tedone, storici dell’arte ed esperti molto diver-si tra di loro, formati quasi tut-ti all’estero, che hanno tentato di capire se esiste un modo per distinguere le due figure, anche attraverso percorsi di specializ-

di AureliA [email protected] Che fare?

Discorsi intornoall’arte contemporanea

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Da nonsaltare

zazione, purtroppo assenti nel nostro Paese. Barilli, in quanto personaggio di spicco della critica d’arte italiana, non ha ritenuto corretto scindere la cu-ratela dalla critica, due facce di una stessa medaglia che si com-pletano tra loro: una formazio-ne militante e aggiornata deve accogliere entrambi gli aspetti e non può piegarsi a schemi stereotipati. Lucchetti, curatore e storico dell’arte, ha sostenuto, invece, l’importanza di specia-lizzarsi in un ben preciso ramo poiché critica e curatela sono due grandi concetti ‘ombrello’ dell’arte all’interno dei quali si trovano molteplici indirizzi. Il confronto/scontro è stato costante nelle ore e a questo si è aggiunta una notevole partecipazione di pubblico, contrariamente ad altri tavoli e per bravura di Antonia Alampi, che ha reso il dibattito vivo, tanto da attirare l’attenzione di spettatori, inizialmente diretti altrove. L’unica pecca è stata l’interruzione dello scambio animato di idee nel momento clou delle proposte, ormai fuori orario.Altro tavolo di lavoro, assoluta-mente invitante, è stato quello di sabato 26 settembre, intito-lato Quale mercato per l’arte? (PP6), coordinato da Alessia Zorloni, docente alla IULM, esperta in economia dell’arte, che ha diretto la discussione sul seguente ragionamento: “Nell’ultimo decennio la struttura del mercato dell’arte contemporanea è cambiata, soprattutto per la concorrenza generata dalle fiere e per gli interventi degli investitori. Il mercato italiano dell’arte oggi pesa solo per lo 0.8% nel mon-do e per il 2,5% in Europa. Quali sono gli aspetti destinati a condizionare i prezzi nel mer-cato dell’arte contemporanea? E chi sono gli attori rilevanti nella valorizzazione dell’arte in una prospettiva internazio-nale?” Beatrice Bertini, cura-trice e direttore della Galleria Ex Elettrofonica di Roma, ha esposto le difficoltà che i giovani italiani hanno nell’e-mergere in un mercato chiuso, che si autoalimenta, lasciando fuori ogni forma di novità, e ha sottolineato come lo Stato Italiano non incoraggi adegua-

tamente le gallerie o chi vuole investire nei talenti emergenti perché le detrazioni fiscali non sono sufficientemente calibrate. Leonardo Farsetti, responsabi-le dell’Arte Contemporanea, per la casa d’aste Farsetti Arte, ha sollevato la questione del diritto di seguito imposto dalla SIAE, che alza i costi di vendita di un pezzo e scoraggia gli ac-quirenti, o della burocrazia che per le operazione di ‘notifica’ su un’opera d’interesse culturale allunga i tempi di esportazione dell’opera stessa. Paolo Troilo, pittore di fama internazionale, ha presentato la sua esperien-za ed ha affermato la volontà di mettersi in proprio, senza la mediazione dei galleristi, per avere un contatto diretto con i collezionisti, curatori e istituzioni. Claudio Palmigia-no e Mariano Pichler hanno parlato della loro attività di collezionisti e attenti frequen-tatori di fiere, gallerie e case d’aste. Alessia Panella, avvoca-to, esperta in diritto d’autore, e Paolo Ceccherini, referente per la Banca Monte dei Paschi

di Siena, hanno operato un confronto tra l’Italia e gli altri Paesi europei sull’iva imposta alle gallerie e sulle agevolazioni fiscali per chi ‘dona’ un’opera allo Stato e per chi compra arte. Luca Zuccala, giornalista di ArtsLife, e Alberto Fiz, cri-tico e curatore, si sono, infine, confrontati sulle riviste italiane, specializzate in arte, che ‘tra-scurano’ l’argomento mercati e quotazioni di mercato. Si giunge così a domenica 27 settembre: al Teatro Metastasio sono state convogliate le sintesi delle relazioni e le conclusio-ni, orientate principalmente a come sostenere l’arte italiana e a come creare reti per essere competitivi a livello interna-zionale. Alla considerazione finale che l’Italia, in forza del suo inestimabile Patrimonio Culturale, dovrebbe garantire un sistema di tutela e valorizza-zione dell’Arte (giovane e meno giovane), attraverso politiche che favoriscano il settore e la nascita di specifiche compe-tenze, sono state aggiunte delle proposte:

- garantire al Forum un carat-tere di solidità e stabilità nel tempo; - sollecitare la nascita di un’a-genzia italiana che diventi un organo efficace per promuovere iniziative di politica culturale; - istituire un Italian Arts Coun-cil sul modello inglese, piatta-forma basilare per una program-mazione artistica condivisa che renda il contemporaneo “più trasparente e rendicontabile”.Progetti, suggerimenti, consigli, sono stati, pertanto, al centro di un dibattito vivo, che ha mostrato le ferite del nostro Belpaese. Il Forum è certamente da elogiare per aver messo a nudo i problemi della cultura e del sistema-arte, ma delle domande sorgono spontanee: dopo aver agitato le acque ‘stantie’ del ‘Contemporaneo’, quanti saranno in grado di replicare all’appello? Quanti si spoglieranno delle loro polvero-se vesti accademiche, politiche o istituzionali e scenderanno dai loro pulpiti? Solo il tempo potrà darci delle risposte…La chiama-ta alle armi è ancora in atto!

Il racconto del Forum di Pratotra critica, mercato e estetica

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Si aprono le iscrizioni per i nuovi corsi di formazione in Largo del Nazzareno, nel cuore pulsante della nuova geografia politica renziana, già sede dello storico incontro fra Renzi e Berlusconi, nonché sede del PD. Siccome il partito è liquido e nuovissimo, i corsi non vengono impartiti come alle vecchie e barbose Frattocchie ai quadri del partito, bensì ai giornalisti, nella convinzione di rendere così un servizio di pub-blica utilità fondamentale per il progresso democratico della Nazio-ne. Lectio magistralis d’inaugura-zione affidata a Michele Anzaldi, deputato PD e Segretario della Commissione di Vigilanza Rai. L’aula è gremita di giornalisti che prendono febbrilmente appunti sui loro tablet e block notes (la classe è divisa fra alunni 2.0 e over-50). In un angolo, dietro la lavagna, due giornalisti, faccia al muro e con cappello di cartone a punta in testa con su scritto “asino”. Mi avvicino ai due che sembrano in verità dannati di un girone dantesco e mi rendo conto che sono Bianca Berlinguer e

Massimo Giannini. Timidamente chiedo a due affranti meschini perché siano stati così duramente puniti. La Bianca, ferita nell’or-goglio, risponde: “Non abbiamo saputo rispondere alle domande fondamentali del corso: chi ha vinto le primarie del PD? Chi è il capo del Governo?”. Il Gian-nini invece: “mi hanno messo in castigo perché non ho saputo dire il nome di almeno 10 deputati PD e perché, dice il professore, ho i Grilli per la testa”. Intanto il luminare Anzaldi sciorina le cifre dei dati dell’Osservatorio di Pavia Media Research che chiede ai suoi discenti di imparare a memoria e, come esercitazione, di sintetizzare in un twitter: il migliore sarà pre-miato con una mentina. Manco a dirlo, ecco dall’ultima fila, s’alza un giornalista che legge il suo twitter: “Renzi è il presidente, non avrai altro presidente all’infuori di lui. Grillo e Speranza puzzano. Cuperlo a casa sua”. Tutta la classe applaude, in un delirio di osanna e mentine.

riunione

difamiglia

lo Zio di TroTZky

le sorelle MArx i cugiNi eNgels

Franceschini sconfiggerà l’intellighenzia

Emergenza sicurezzaBoBo

Dopo i sindacati, l’intellighenzia. Il ministro Franceschini non si fa man-care nulla del vecchio armamentario della sinistra nella sua rivoluzione modernizzatrice della cultura ita-liana. Così dopo aver additato come nemici della patria lavoratori a cui, il ministero che lui dirige, non paga da mesi gli straordinari; si è visto re-capitare una lettera da Stefano Ben-ni, scrittore amatissimo dalle parti della sinistra vecchio stampo, in cui, pacatamente, lo scrittore rifiuta un premio perché a premiarlo sarebbe stato proprio il barbuto ministro. Un ministero che taglia la cultura, argo-menta Benni, non ha molto senso che premi chi cultura fa. Immaginiamo che Franceschini non abbia perso il suo aplomb e la sua tempra rivolu-zionaria ma abbia considerato anche questa l’ennesima conferma del suo ben agire. La rivoluzione, si sa, non è un pranzo di gala e nemmeno un premio letterario.

Informazione liquida (quasi viscida)

Pizza e moschetto, cittadino perfetto. Dopo anni di studi finalmente la po-litica (fiorentina e non) è riuscita a dare la risposta all’assillante bisogno di sicurezza dei cittadini. La polizia e le altre forze dell’ordine dovranno abbandonare armi e investigazioni, concentrandosi sulla scelta di farine, pomodori e mozzarelle per sfornare il trancio di pizza più fragrante. La prima sperimentazione è andata be-nissimo: da quando nella zona della stazione di Santa Maria Novella si può mangiare a tutti gli angoli il degrado è sparito così come il crimine associato. Niente bivacchi, niente risse, niente borseggi, Santa Maria Novella è diventata un’oasi di pace e felicità, aromatizzata all’origano e al basilico. E adesso l’operazione si ripetere su tutta Firenze a partire dalla Palazzina Reale di Michelucci (Nardella dixit): non più poliziotto di quartiere, ma pizzerie a taglio, paninerie, sushibar, salsicciai in ogni via e finalmente potremmo girare in tranquillità ammirando i gioielli di Firenze. La polizia gentilmente ringrazia, i dietologi un po’ meno, ma è il prezzo da pagare per vivere serenamente.

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No, non è petrolio, sia chiaro. Trattasi di investimento per lo sviluppo territoriale

connesso a cultura e turismo. Un investimento quello fatto in To-scana nei settori della cultura, del turismo e del commercio nel ciclo di programmazione 2007-2013 che l’Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana ha misurato e valutato in uno studio del luglio scorso.La ricerca dimostra come l’investi-mento pubblico in questi settori costituisce non una spesa ma un investimento che, oltre a migliora-re la vita dei cittadini, ha anche un significato economico, contribuen-do anche allo sviluppo economico e sociale delle comunità. Non costituisce questo il primo motivo per il quale gli enti pubblici devo-no investire nella tutela e valoriz-zazione del patrimonio culturale e paesaggistico, ma certamente occorre considerarlo seriamente. Nel periodo di programmazione dei fondi europei 2007-2013, la Regione Toscana ha indirizzato risorse (regionali, statali ed euro-pee) in forma di investimenti per la cultura e per il settore turisti-co-commerciale per complessivi 660 milioni di euro per un totale di 609 interventi in infrastruttu-re pubbliche, in un settore che, secondo i criteri definiti dalla UE, occupa circa 32.600 persone in Toscana. I due programmi europei attraverso sono stati destinati questi fondi, il Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS) e il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, hanno permesso di agire su ter-ritori diversificati e con modalità innovative di destinazione e impie-go delle risorse: recupero di edifici storici, musei, teatri e biblioteche, operazioni di rigenerazione urbana e di riqualificazione di centri storici, rivitalizzazione di centri commerciali naturali, ricostruzione e valorizzazione di percorsi archi-tettonici e ambientali con forte richiamo turistico, percorsi pedo-nali e ciclabili, ecc. Metodi nuovi di allocazione di risorse, come i PIUSS (Piano Integrato di Svilup-po Urbano Sostenibile), una specie di contenitore tematico nel quale raccogliere e coordinare interventi di rigenerazione urbana; come la Via Francigena o come i bandi integrati tra i settori culturale e turistico. Modalità che hanno teso

I numeri della cultura toscanaprogetti attivano modalità e offerte innovative. Dall’altro lato lo studio IRPET ci indica che dove non si investe nel patrimonio, questa scelta si traduce in un deperimento progressivo e in una riduzione dell’attrattività turistica.In particolare, i PIUSS (Piani Inte-grati Urbani di Sviluppo Sosteni-bile) costituiscono una modalità interessante d’intervento perché obbliga ad un coordinamento tra settori e soggetti per migliorare l’efficacia degli investimenti e consentono di concentrare risorse su progetti di vario tipo (musei, biblioteche e teatri per il 19%, riqualificazione urbana 18%, recu-pero architettonico 26%, sentieri-stica, aprchi e piste ciclabili 12%, strutture accoglienza turistica 7%). Inoltre, sono interventi che pre-vedono una forte regia regionale e una governance multilivello che valorizza le proposte locali ma le inseriscono in un quadro unitario, che favorisce l’integrazione di in-vestimenti pubblici e privati. Sono stati approvati 16 PIUSS per 280 operazioni ammissibili, con una spesa complessiva di 279,8 milioni di euro.Dunque, un intervento pubblico importante in questo settore è necessario perché è un imperativo costituzionale; ma è anche una scelta lungimirante per lo sviluppo sociale ed economico del territorio.

di siMoNe [email protected]

a concentrare gli interventi (per di-mensione e territorio; basti pensare al finanziamento del nuovo Teatro dell’Opera di Firenze), a stimolare la collaborazione e integrazione fra diversi soggetti coinvolti (sono stati 106 i Comuni su cui si sono realizzati gli interventi). Una stra-tegia che sembra aver dato risultati importanti, almeno sotto il profilo economico ed occupazionale, sia nel breve che nel medio periodo. A breve termine, la spesa pubblica toscana per il recupero e la manu-tenzione delle infrastrutture cultu-rali ha impatti economici maggiori rispetto agli investimenti medi dell’intero sistema economico: il moltiplicatore del PIL per i primi

è pari a 0,56, contro lo 0,49 dei secondi e i posti di lavoro attivati sono 10,3 contro 8,6 per milione di euro investito. Nel medio perio-do (per i quali IRPET considera solo i progetti conclusi entro il 2012 e che quindi hanno dato la possibilità di valutare gli effetti nei due anni successivi) l’impatto sull’attrattività turistica è positivo: ogni 100.000 euro investiti nelle infrastrutture culturali, turistiche e commerciali attivano 1.017 pre-senze turistiche aggiuntive. Non ovunque: è minore (addirittura non tanto positivo da compensare la perdita nelle zone balneari) nelle aree a turismo maturo, ma molto forte nelle zone in cui questi

Il migliore dei Lidipossibili

La vettura del popolo detta anche Volkswagen

Disegnodi Lido ContemoriDidascalia di Aldo Frangioni

di lido [email protected]

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luxus

di lAurA [email protected]

Quando, nel non lontano 1961, George Maciunas coniò il termine Fluxus

probabilmente ignorò di aver dato vita a uno dei più grandi movimenti della contemporanei-tà. Fin da subito Fluxus non fu una semplice corrente artistica, ma un vero e proprio stile di vita, colto nella sua essenza e nella sua dinamicità. La poetica del mutamento e dell’antiforma-lismo così come la caratteristica interdisciplinare degli eventi hanno fatto del movimento un ancoraggio estetico a livello mondiale, ancora esistente. Di fatto l’attualità degli esiti fu per-

cepibile dagli esordi all’interno di una militanza estetica capace di unire al contempo più stimoli e più sperimentazioni: situazioni, percezioni e riflessioni convissero e convivono tutt’oggi con svaria-te correnti artistiche, in un’ottica progressiva e tesa ad annientare i manifesti programmatici e l’idea di un’arte preconfezionata, fatta di rivisitazioni. Fluxus è un movimento inglobante, peren-nemente attento agli infiniti mutamenti di un’epoca comples-sa e caotica; aperto ed accessibile a chiunque e a qualsiasi mani-festazione estetica, poiché l’Arte deve essere universale e universa-lizzante, incline alla vita e facente parte di essa; è un flusso libero di espressione e comunicazione, è un impeto creativo inarrestabile e in continua attività. Fluxus è stato un esempio per molti e continua ancora ad essere un principio generatore di progetti e iniziative, un vero e proprio mo-dello di come il pensiero diver-gente abbia possibilità infinite e di come l’Arte non debba mai né retrocedere né saturarsi in nome di un Sistema chiuso e ciclico. Fluxus è il flusso di coscienza che anima ogni artista e permette di vedere oltre le apparenze del reale per cogliere la pura autenticità dell’espressione e della creazione estetica.

FA sinistra Fluxshoe ADD END A 72 73, 1972 / 1973 Beau Geste Press, car-tella documenti. GEORGE BRECHT A Flux Game, 1965 Edizione in scato-la di plastica

Sopra a sinistra Flux Shop, 1966A fianco da sinistra George Maciunas, Flux-Deck, 1968Carte da gioco in scatola di plastica; Milan Knizak Flux White Meditation, 1968 Scatola in plastica

Tutte Courtesy Collezione Carlo Palli, Prato

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lorata a mano. Mentre l’interesse di Pesce e Giannuzzi sembra più rivolto alle antichità del paese, Montabone si interessa anche alla vita dei suoi contemporanei, mettendo accanto a dignitari e funzionari, ufficiali e nobili, an-che semplici soldati o venditori di strada. Nelle sue immagini Montabone passa dal ritratto singolo al ritratto di gruppo, dalla foto di paesaggio alle foto di architettura, fotografa gli an-tichi edifici in rovina ed i palazzi reali in tutto il loro splendore, nei ricchi giardini e negli interni sfarzosi. L’esperienza del viaggio e del soggiorno in medio oriente si dimostra fondamentale per la sua carriera. Al ritorno dalla Persia, il presti-gio di Luigi Montabone è tale da permettergli di riaprire lo studio di ritrattista di Torino, studio che viene trasferito più tardi in Piazza San Carlo, fregiandosi del titolo di “Fo-tografo di S.M. il Re d’Italia, della Regina d’Inghilterra e dello Shah di Persia”. All’epoca sono già molti i fotografi che si qualificano come fornitori della Casa Reale e di Sua Maestà, ma Montabone è l’unico a potere affiancare sui suoi cartoncini allo stemma di casa Savoia il Leone di Giuda. Nel 1867 le sue foto persiane vengono pre-miate all’Esposizione Universale di Parigi, ed in seguito Monta-bone partecipa alle Esposizioni Nazionali di Torino del 1868 e del 1872. Nel 1872 viene nominato Cavaliere d’Italia per i suoi meriti in campo fotografico e ben presto inizia ad avvalersi di uno stuolo di collaboratori, dislocati in diverse città. Il nome “Montabone” diventa un vero e proprio marchio di fabbrica, e con questo nome vengono aperti numerosi studi e succur-sali, a Roma in Piazza di Spagna ed a Firenze in Via de’ Banchi, a Milano in Piazza Durini ed a Napoli in Piazza della Vitto-ria. Sembra che uno “Studio Montabone” sia presente a fine Ottocento perfino in Egitto, in un quartiere del Cairo. Anche dopo la sua morte, i suoi nu-merosi successori, quasi tutti ex soci o collaboratori, continuano ad utilizzare lo stesso nome e lo stesso marchio, continuando a fregiarsi dei titoli acquisiti dal fondatore della ditta.

Non è nota la data esatta di nascita (forse il 1827) del fotografo Luigi

Montabone, attivo fino dalla metà dell’Ottocento e fino alla sua scomparsa nel 1877. Montabone apre il suo primo studio di “Fotografia artistica” a Torino in Via Rocca, è uno dei primi fotografi ad utilizzare in Italia il formato “carte de visite” inventato da Disderi nel 1854, e si qualifica per una serie di ritratti dei personaggi della famiglia reale, tanto da indicare il proprio studio con l’appella-tivo di “Fotografia Reale”. Nel 1860 Montabone viene accolto come socio nella esclusiva So-cieté Française de Photographie di Parigi. A parte questo, fra i fotografi italiani della sua epoca Montabone riveste un ruolo particolare per essere stato scelto, insieme al suo assistente Alberto Pietrobon, da Cavour per prendere parte alla missione italiana in Persia del 1862. Si tratta della prima missione uffi-ciale del neonato Stato unitario in quel lontano paese, è guidata dal segretario generale agli Esteri Marcello Cerruti (1808-1896), ed è ben nutrita di personaggi di alto rango, fra diplomatici, scienziati, militari e tecnici. La missione attraversa la Georgia, l’Armenia ed il Caucaso, e Montabone ha cura di registrare la propria esperienza nel suo album fotografico “Ricordo del viaggio in Persia” composto da oltre settanta immagini. Mon-tabone non è il primo fotografo italiano approdato a Teheran, altri due fotografi lo hanno pre-ceduto di almeno cinque anni, negli stessi luoghi ed alla corte dello stesso sovrano Nâseroddin Shah (1831-1896) della dinastia Qajar. Sono Luigi Pesce (1827-1864) ed Antonio Giannuzzi (1819-1876) ambedue espulsi dall’Italia in seguito ai moti risorgimentali ed assoldati come istruttori militari in Persia, mai rientrati in Italia e deceduti a Teheran. Se i due fotografi hanno iniziato il sovrano ai segreti della registrazione delle immagini ottiche, facendone un appassionato della fotografia, è Montabone che lo ritrae più volte, stampando la sua immagi-ne anche su carta salata poi co-

di dANilo [email protected]

Luigi MontaboneFra Italia e Persia

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verso il porticciolo e la spiaggia, rinchiuso in un piumino estivo che avevo provvidenzialmente aggiunto al bagaglio, e medi-tavo su quanto si gode di più ciò che abbiamo precariamente

a disposizione. Come spiegare altrimenti l’entusiasmo con cui i villeggianti ospiti delle casette sospese sull’acqua del porto si tuffavano in mare al mattino, appena alzati, senza riguardo

al cielo scuro e al vento freddo che a me impediva, pure vestito delle opportune tecniche, di scendere in acqua sul mio kayak? Peccato, mancava davve-ro solo il sole!

Ma torniamo al Sole! La sua è una presenza che noi declineremmo rapida-

mente in termini di si o no: le situazioni intermedie sono così poco solari, accompagnate da freddo e nuvoloni minacciosi e vento pungente che nessuno che viva intorno alle rive del mediterraneo può considerare. E si vive facilmente la differen-za mentre percorri le strade in mezzo agli alberi e improvvisa-mente le nuvole si fanno avanti e ti immergono in una oscurità quasi serale. E’ per questo – cre-do io – che la bellezza della luce del sole, quando c’è, a queste latitudini ti colpisce partico-larmente. Sembra penetrare dappertutto, mite, non aggres-siva come il nostro sole estivo, ma capace di illuminare i colori della campagna come una sorta di carezza che si prolunga nel cielo, che si mostra allora aperto all’infinito con le sparse nuvole bianche a galleggiare indolenti; tutto appare netto e pulito, i campi verdi e gialli, la foresta che veglia ai margini con una intensità di colore sorprendente, piena anch’essa di luce che il giorno prima non c’era e sentivi anzi una cupa minaccia  nell’in-trigo fittissimo degli alberi. E poi in mezzo ai campi, proprio in mezzo, testimonianza di una antica cultura contadina, isole di verde, uno due alberi ricchi di fronde, disposti ad arte ad ospitare gli uccelli che terranno lontani gli insetti nemici delle colture. Lo sguardo si riposa e si allunga a seguire i colori che, massimamente ordinati - ricordate: siamo comunque in Germania - si distribuiscono sui campi di grano, di mais, di colza, fino al limite della foresta che tutto contorna e definisce. Quando manca questa luce - e nella nostra vacanza è mancata spesso! - ti sorprendi ad osserva-re come i locali si organizzano per coglierne le tracce e goderne come fosse sole. Mi ricordo due anziani signori che ogni mattina piazzavano due lettini al riparo di una fitta siepe, e con una co-perta sulle gambe se ne stavano ad un sole incerto e freddino, come da noi staremmo ad ab-bronzarsi al sole. Io li osservavo dalla nostra terrazza sul prato,

di ANdreA [email protected]

Seconda parte del viaggio nell’ex DdrMancava solo il sole

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Nel 1300 Dante fu priore della città di Firenze; esponente di spicco dei Guelfi Bianchi, osteg-giò papa Bonifacio VIII che, con grande sagacia, convocò Dante a Roma per un tentativo di con-ciliazione ma, contemporanea-mente, mandò a Firenze Carlo di Valois in qualità di paciere fra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri. Ma, non appena i fiorentini cominciarono a mugugnare, l’inviato del papa mise la città a ferro o fuoco e comminò con-danne a raffica per i Bianchi.Dante, in particolare, “è con-dannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpe-tuo (in contumacia), e, se lo si prende, al rogo, così che muoia” come recita la sentenza conclusi-va del 10 marzo 1302: il poeta, che era ancora a Roma, scansò

multa e rogo ma dovette invece scontare l’esilio fino alla morte, nonostante alcuni tentativi di rientro, fra i quali quello del 1304, culminato con la battaglia della Lastra, dove caddero quat-trocento uomini, fra ghibellini e guelfi bianchi.Ricade nella fattispecie di “pro-venti illeciti” il fatto che Dante (che, nella sua qualità di Priore, ricopriva fra l’altro la carica di “Ufficiale di strade, piazze e

ponti”) avesse fatto bucare le mura per prolungare l’allora Via di San Procolo, oggi Via dei Pandolfini, verso Sant’Ambro-gio, dove gli Alighieri possedeva-no un grande podere.Forse per cancellare il ricordo di quell’episodio, legato alla memo-ria storica della strada, Via dei Pandolfini fu cosparsa di taber-nacoli, immagini sacre e luoghi di culto (fra i quali la chiesa di San Procolo, altrove ricordata), ma furono santi di ben altra natura a contaminare di nuovo la strada molti secoli dopo.Alessandro Sinigaglia era nato a Fiesole nel 1909, figlio di David, ebreo di origini mantovane, e Cynthia White, nera americana giunta in Italia come cameriera. Dopo avere servito in marina, aderì al Partito Comunista clan-destino e partecipò alla guerra di Spagna. Confinato a Ventotene e liberato dopo il 25 luglio, tor-nò a Firenze dove organizzò, con il nome di battaglia “Vittorio”,

le prime formazioni GAP. Il 2 novembre 1943 riuscì a sfuggire a un agguato che, grazie a una spia, aveva permesso ai repubbli-chini di catturare tutti i membri del CTLN durante la loro prima riunione in un appartamento al n.c. 93 di Via Masaccio. Ma il 13 febbraio 1944, mentre usciva disarmato da una trattoria di Via dei Pandolfini all’angolo di Via del Crocifisso, “Vittorio” fu sorpreso dai “quattro santi” e as-sassinato inerme sul marciapiede a colpi di pistola. I quattro santi erano uno dei bracci armati della famigerata “banda Carità”; citiamoli per non dimenticarli: Natale Cardini, Valerio Meni-chetti, Luciano Sestini e Arnolfo Natali.Gli uomini della 22a Brigata Ga-ribaldi “Sinigaglia”, intitolata al comandante partigiano “negro, ebreo e comunista”, sarebbero stati i primi, l’11 agosto 1944, a entrare in Firenze da Porta Romana.

pianista jazz finlandese, con il suo ultimo CD My Working Class Hero (ACT, 2015).Iiro Rantala è nato a Helsinki il 19 gennaio 1970. Neanche tre mesi dopo, il fatidico venerdì 10 aprile 1970, Paul McCartney annunciò che intendeva lasciare i Beatles, segnando così la fine del celebre quartetto. Quindi non si può dire che Rantala sia cresciuto

con le canzoni dei Fab Four, e neanche con quelle del Lennon solista, dato che il musicista ingle-se fu ucciso nel 1980.Ma torniamo al disco, dove Rantala ha raccolto un repertorio che già da tempo eseguiva dal vivo. Alcuni dei suoi concerti sono concepiti come un doppio omaggio, uno a Lennon e uno al pianista svedese Esbjörn Svensson (1964-2008), leader del trio jazz E.S.T. Pochi brani (soltanto quattro su dodici) sono tratti dal repertorio dei Beatles: una scelta intelligente, perché altrimenti il disco sarebbe

Il 9 ottobre John Lennon compi(rebb)e 75 anni. Per chi ha imparato ad amare

la musica ascoltando i dischi dei Beatles non è facile parlare di lui senza gli accenti nostalgici tipici di chi sta invecchiando. Eppure vogliamo provarci. Prima di tutto, è necessario chiarire che parlare di John limitandosi al periodo dei Beatles (1962-1970) significhe-rebbe fargli un torto. Pensiamo a quello che ha scritto dopo: Imagi-ne è un classico immortale come Yesterday, mentre nessuno degli altri tre ex Beatles si è dimostrato capace di fare altrettanto, restando nei confini di un easy listening gradevole. È come se John avesse portato con sé la magica alchimia che aveva fatto dei Beatles gli interpreti di una generazione. Alla vecchia formula ha aggiunto l’impegno politico imposto dal grande spartiacque del Sessan-totto: i Beatles, pur inserendo in certe canzoni dei riferimenti politici, non ne avevano mai fatto un elemento centrale della propria musica.Quello che John ha fatto da solo, insomma, legittima ampiamen-te un omaggio specificamente rivolto a lui.È quello che ha fatto Iiro Rantala,

stato un ennesimo omaggio al quartetto.Certo, la mancanza del testo impoverisce canzoni come “Imagine” e “Norwegian Wood”, tanto siamo abituati alla versione originale. In ogni caso il pianista finlandese offre versioni intense e particolari che riducono al mini-mo questa differenza.Dotato di una tecnica e di una sensibilità impeccabili, Rantala suona uno Steinway D-524780, lo stesso utilizzato da Alfred Bren-del per le sue celebri interpretazio-ni di Bach, Mozart e altri classici della letteratura musicale europea.Molte persone, soprattutto fra i meno giovani, non amano che le canzoni di Lennon (e ancora meno dei Beatles) vengano inter-pretate da altri. Ma ascoltando questo disco potrebbero cambiare idea. Auguri, John. Non ti abbiamo mai dimenticato, non ti potremo dimenticare mai, perché sappia-mo che senza di te la nostra vita sarebbe stata diversa. Se oggi il rock è oggetto di studi accademi-ci, se le musiche di compositori come Frank Zappa e Bob Dylan vengono eseguite dalle filarmoni-che più prestigiose, se nessuno si sogna più di affermare che “erano soltanto canzonette”, lo dobbia-mo (anche) a te.

di FABriZio [email protected] Via Pandolfini

Poeti e santi

Auguri, John

di AlessANdro [email protected]

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soldo in più vendendo il loro corpo, per entrare nell’universo delle grandi cortigiane, lussuose e interessate amanti di uomi-ni potenti. La mostra espone anche alcuni mobili che arric-chivano le loro dimore sfaccia-tamente sontuose. Ed infine l’ultima sezione, Prostituzione e Modernità, che ci mostra come il Cubismo, l’Espressionismo e il Dadaismo trascinano la rap-presentazione di questo mondo segreto dalla Belle Epoque fino alle soglie della Grande Guerra.Una mostra che parla di donne che però sono sempre circon-date da un universo maschile di nobili in cerca di emozione encanaillant, di borghesi con la frenesia o la stanchezza del vi-vere, di militari in libera uscita, di pittori e scrittori che però offrono la loro creatività e non solo soldi.La mostra sta suscitando grande interesse ma ha avuto una partenza difficile: tre giorni di sciopero totale hanno impedito l’inaugurazione ufficiale e l’ ingresso ai visitatori (molti già con il biglietto anticipatamente acquistato). Il motivo? Il mi-nistero della Cultura è deciso a far passare il suo piano di aper-tura anche il lunedì, tradiziona-le giorno di chiusura, per alcuni importanti musei parigini. Non un’apertura al pubblico, bensì una giornata settimanale dedicata alle scolaresche. Il sin-dacato si è ribellato. Nessuno il giorno dell’inaugurazione ha preso l’iniziativa di informare, per oltre un’ora, le centinaia di persone in attesa sotto la pioggia senza sapere cosa stesse succedendo. In molti erano arrivati oltre un’ora prima “per non fare la fila”. Non solo il fenomeno della prostituzione ci fa dire che tutto il mondo è paese...

Al Quai d’Orsay di Parigi è in corso fino al 17 genna-io una mostra evento dal

significativo titolo Splendori e Miserie. Immagini della prosti-tuzione in Francia 1850-1910. L’esposizione, la prima dedicata all’argomento, propone una lettura sociale di un paradosso del XIX secolo: la prostitu-zione, nonostante sia pratica segreta circoscritta nei bordelli e nelle alcove dei ricchi salotti, riesce a sollecitare l’immagina-zione e la creatività degli artisti tanto da svolgere un ruolo centrale nello sviluppo della pittura moderna. Le 410 opere esposte, alcune famosissime, altre raramente viste, mettono in scena, tra realtà e fantasie, i luoghi, i personaggi e le mille sfaccettature di questo universo di piacere e di disperazione. Le feste coloratissime del Moulin Rouge, l’interno dei bordelli, i bistrot, le strade, le alcove di lusso si popolano di bellezze orgogliose come l’ Olympia di Manet, di donne distrutte dall’alcol come quelle ritratte da Degas o da Van Gogh e delle sagome solitarie nella notte di Steinlen e Picasso. La mostra è divisa in quattro sezioni dai titoli evocativi. La prima, l’Ambiguità, ci introduce in un mondo fatto di sottintesi: il colore giallo delle vesti delle cortigiane, l’invito “vuoi questa bella spilla?” di una povera pierreuse (che attende sulla pietra della strada) a qualche passante distratto, la lavandaia seduta sul greto della Senna che forse offrirà ai due uomini che la guardano qualcosa di diverso dal bucato, le giovani ballerine in tutù bianco circondate di zelanti ammiratori in frac nero..Nella seconda sezione, le Case chiuse, si entra quasi con affetto più che morbosità nell’intimità di questi luoghi legali fino alla metà del XX secolo. Nella terza, l’ Aristocrazia del Vizio, ci si al-lontana dalle ingenue ragazze di provincia appena arrivate nella capitale per sparire nei bordelli e dalle povere lavoratrici che cercano di guadagnare qualche

Scioperi e bordellianche a Parigi

di siMoNeTTA [email protected]

Scavezzacollodi MAssiMo [email protected]

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su uno spazio dal quale emergo-no, per effetto di una particolare illuminazione radente, lettere a rilievo che compongono aforismi sul tema della pace. I dodici testi, tratti da personaggi come Petrarca, Gandhi, Voltaire, Buddha e Madre Teresa di Calcutta, prendono cor-po dall’estroflessione di una sottile lamina metallica adagiata al suolo. Ecco dunque la risposta alla guerra attraverso una “sceneggiatura” plastica che nega appoggio alle co-lonne lasciandole sospese o meglio respingendole con la luce salvifica del messaggio di pace. E’ una rap-presentazione teatrale silente ma vitalizzata dalla pregnanza dei testi e ritualizzata dalla gioia della luce che con forza dionisiaca esorcizza i lutti delle guerre. Ancora una

Dopo la mostra Le vesti di Saturno, tenutasi in Palazzo Medici-Riccardi nel 2011,

Umberto Mariani torna ad emo-zionarci con Plutone e Dioniso, il grande evento realizzato in colla-borazione con Armanda Gori-Pra-to. L’esposizione è allestita nel Mu-seo della Pittura Murale all’interno del complesso di San Domenico a Prato e la città del tessuto sembra quasi rispondere ad una “obbliga-zione tematica” ospitando l’artista che fa del panneggio il protago-nista assoluto delle proprie opere. Umberto Mariani (Milano, classe ’36) è tra gli artisti più significativi della sua generazione: gli esordi lo vedono giovane assistente e colla-boratore di Achille Funi ma ben presto si distingue per il suo stile personalissimo e viene proiettato all’estero con numerose mostre che lo consacrano all’attenzione internazionale. A Prato viene proposta un’ampia scelta antologica che abbraccia il periodo dal 1967 al 2014.Sapendo che il clou della mostra è costituito da un’opera dal forte impatto teatrale, scegliamo di fare una visita a rebours iniziando il percorso proprio da dove la mostra si conclude e riservandoci di ammirare in un secondo momento le opere esposte nelle sale iniziali. E così ci ritroviamo coinvolti in una grande opera ambientale che si sviluppa su una superficie di duecento metri quadrati; il luogo, ricavato sotto il tetto di una chiesa, è già di per sé molto suggestivo. Con una grandiosa installazione che contrappone simbolicamen-te la guerra e la pace attraverso il confronto fra le due divinità della mitologia classica, Plutone e Dioniso, Mariani mette in scena il proprio inno alla pace dedicato al Premio Nobel Dag Hammarskio-eld. La drammaticità della guerra, identificata con il dio degli inferi e delle tenebre, viene rappresentata da dodici imponenti colonne alte più di quattro metri, panneggiate a sipario ed appese alle capriate del soffitto. I rassicuranti canoni classici della colonna vengono però sovvertiti a cominciare dal colore - nero e non bianco-, dal materiale - tessuto e non marmo- e dall’e-quilibrio - sospeso e non poggian-te- quasi a sottolineare la perver-sità della guerra. Ogni colonna, privata della propria base, insiste

di luisA [email protected]

Plutone e Dioniso

Voi non ci crederete ma, dopo ol-tre vent’anni di assoluto dissenso, finalmente ci troviamo  in piena sintonia con Berlusconi. Inter-venendo ad un piccolo raduno di fascistelli capitanati da una vaporosa biondina, l’ormai ex Ca-valiere ha affermato che Matteo Salvini sarà utile perché è molto bravo a parlare alla pancia della gente!! E’ vero , verissimo che Salvini è abituato a parlare alla pancia di quelle persone le quali, per loro sfortuna, non hanno alternative ricettive alle parole del

capo leghista . Questo particolare può avere, però, degli effetti colla-terali su quelle persone avvezze a filtrare i ragionamenti altrui con il proprio cervello.Non è difficile comprendere di cosa si tratta e non bisogna aver studiato anatomia per sapere che dietro la famosa pancia citata da Berlusconi si annida, da sempre, un importante organo, l’intestino, utile ad una primaria funzione corporale.Tale organo, data l’immane pigrizia dell’uomo moderno, diventa pigro anche lui e quindi ha sempre più spesso bisogno di essere stimolato : pasticche d’erbe, lassativi a gocce, perette di glice-rina e quanto altro per sopperire alla pigrizia intestinale. Gli uomi-ni sapiens finalmente potranno dire basta a tutti questi metodi , basterà ascoltare un discordo di

Matteo Salvini, il cervello, con un tempo di reazione variabile dai 2  ai 5 minuti, invierà all’intesti-no un particolare impulso ed il problema sarà risolto, meglio del guttalax, parola di Berlusconi!!Corre notizia che la ditta  Cac-cabella s.r.l.  di Milano presto metterà in commercio, solo in farmacia,  un dvd con i migliori discorsi del capo leghista, natu-ralmente da somministrarsi  con moderazione e sotto controllo medico.Per i fascistelli  si viene, però, ad aprire un grosso problema di non facile soluzione : che se ne faran-no dell’olio di ricino??Il nostro ultimo pensiero, però, deve andare a tutti i leghisti i qua-li, nonostante il continuo ascolto dei discorsi del loro capo non riescono  a regolarizzare il loro intestino : stitichezza incurabile!!!

di sergio [email protected] Sancho Panza in Padania

volta Mariani declina il panneggio confermandolo elemento fondante della sua ricerca artistica che ab-biamo modo di seguire attraverso il percorso delle varie sale. A ben guardare certi acrilici degli anni Sessanta-Settanta, improntati ad una matrice pop, contengono già in nuce la sua cifra stilistica, la piega appunto, che compare inserita nella perfezione formale di uno stivale sado-maso o che viene citata nella deformazione di pol-trone imbottite. La svolta radicale del ’73 lo converte alla scelta del monocromo giocato sugli effetti di luce e ombra: è il periodo di alfa-beto afono in cui sulle tele compa-iono lettere dell’alfabeto celate da panneggi. Ma la produzione più affascinante resta quella iniziata nel nuovo millennio e che sperimenta l’uso del piombo. Le opere di que-sta fase sono interamente costituite dal susseguirsi di pieghe in lamina i piombo dello spessore di 0,25 millimetri, talvolta spolverata di sabbia e poi dipinta, che risultano paragonabili a morbidi panneggi serici. Lascia davvero sorpresi che il materiale “pesante” per antono-masia possa produrre effetti di tale leggerezza, componendo forme ritmiche di pieghe cadenzate che si comprimono in “stretti” o si distendono in allargamenti talvolta scanditi da cluster. Da vedere entro il primo novembre.

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si innamora e sposa il giova-notto, sperando di emergere dallo squallore della corruzione familiare appoggiandosi alla sua purezza. Il nero però predomina e come si sa offusca ogni bianco-

re. L’altro prestante giovane, che era taxista, si imbranca proprio nel sottobosco mafioso e nelle lotte tra gansters, pensa di usarli a suo modo e non si sente uguale a loro, protegge deboli e amici

O l’Indonesia dov’è? All’Alfieri, che si confer-ma d’essai “a bestia”, si

apre una inedita tre giorni di Festival del cinema Indonesia-no. Ingresso libero. Non posso mancare. “L’Indonesia è uno stato del Sud Est asiatico... il più grande stato arcipelago...12.507 isole, 250 milioni di abitanti...Capitale Giacarta ...” 12 milioni di anime, islamiche dicesi, anche se senza particolare esibizione.Intanto, come si conviene, c’è una mostra di preziosi Batik appartenenti alla collezione privata della Royal Family Pakualaman. Batik, punteggiare, è un tipo di tintura di antichis-sima origine, i disegni vengono tracciati sulle stoffe e ripassati con la cera calda, immergendole nel colore si impregnano là dove non c’è la copertura della cera, sembra facile... risultato arti-stico garantito. Il Batik è stato dichiarato patrimonio dell’Une-sco. In sala sono presenti regista ed attore,Tio Pakusadewo, 40 film, a mio parere somigliante a Toshiro Mifune,del film “The moon hangs above the gra-veyeards”, (2015) campione di incassi in patria. Vi si racconta della semplice vita tradizionale in un’isola sede di un Vulcano, reo di stragi umane nel corso di secoli passati, pesca, coltiva-zioni, matrimonio e figli. Due giovani, che anche colà sognano altre mete, inseguono altri miti, successo, fama, danaro, vogliono lanciarsi nell’avanzato e veloce mondo della Capitale Giacarta, attratti da un paesano maniacale e fanfarone che narra di facili guadagni e altre meraviglie. Formicolio di gente, ricca sì, ma anche miseranda, grattacieli stile America sì, ma anche baracche e discariche abitate e bruttissi-me. Politica corrotta anche colà, malavita, estorsioni, violente risse, prostituzione, strozzinag-gio. Uno dei nostri protagonisti ha scritto nell’isola un romanzo, lo ha spedito ad un concorso e lo ha vinto,ma...non è tutt’oro quel che luccica, niente pubblicazio-ne come promesso, esso però, con la sua umana idealità, ha affascinato la splendida figlia del falso editore, un ricco uomo di (mal)affari e politica. Costei,in-sofferente alla illegalità paterna,

L’Indonesia è all’Alfieridi crisTiNA [email protected]

Lo stendardo accanto a San Lorenzo invoglia. Il posto, la biblioteca medicea laurenziana, pure. Così in un caldo sabato settembrino incuriosito da quello stendardo che recita “la Bibbia amiatina, storia di un cimelio” faccio due biglietti per quella che immagino una mo-stra. Due perché mio figlio, set-te anni, paga il biglietto intero come me. Queste le regole della casa che, insieme all’importo modesto (tre euro cadauno), non mi fanno preoccupare. Il problema però si ha all’interno quando si scopre che la suddetta storia di un cimelio si sostanza in una copia a stampa della Bibbia amiatina posta, aperta su una pagina miniata, sotto una teca in plexiglass e un (1) pannello scritto sia in italiano e in inglese che in 10 righe spiega

la storia del manoscritto oggetto della mostra. Incredulo chiedo alla custode che presidia un

banco pieno di libri, gadget e ammennicoli vari in vendita se la mostra fosse tutta lì. Risposta, lievemente imbarazzata, “non c’è scritto mostra”. No non c’è scritto mostra ma nemmeno fregatura. Perché questo è una esposizione (non la chiamo mostra perché non c’è scritto) siffatta. Una fregatura com-pensata dalla bellezza del luogo in cui ci si trova che però non meriterebbe simili mezzucci per attrarre turisti. Quando si discute di patrimonio artisti-co, della sua valorizzazione, di servizi pubblici essenziali forse andrebbe analizzatati aspetti come questi.

di Michele Morrocchitwitter @michemorr La mostra che non è

mostra

in difficoltà, progetta il ritorno a casa con la ragazza di cui si innamora, dalla, fin lì, poco specchiata vita, ma il cattivo vice boss lo fa fuori. Del fanfarone che dire? Si rovina economica-mente, investe un motociclista e una banda di ragazzacci per vendicarlo devastano e incendia-no la macchina con lui dentro. Lo scrittore ha un sussulto di consapevolezza, favorito dalla bella moglie che gli esprime la delusione di vederlo trasformato in tirapiedi del padre, e torna al paese. Il “Maestro” gli ricorda le sue stesse parole “non il Vulcano ci distrugge, ma l’avidità e la solitudine che ad essa si lega...” La scena più bella di questo film, ingenuo e lento, è quella finale, il funerale della madre dello scrittore, dolcezza e vicinanza degli amici che la accompagnano indossando bellissimi e colorati abiti tradizionali. Presente la spe-ranzosa moglie,senza il pesante trucco cittadino e, chissà, senza tacco 12. Intelligenza e cultura salvano, voglio io concludere, aiutano a capire e scegliere. L’altra cosa bella i tetti delle case strani di colore e foggia che si vedono all’inizio. Ho scoperto qualcosa dell’Indonesia...e anche che Giacarta non mi attira!

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vita agra” fu scritta da lui come “la storia di una solenne incazza-tura”. Egli visse in prima persona il trauma dell’industrializzazione degli anni cinquanta e sessanta, registrando il lato negativo del boom economico, lo sradicamen-to di milioni di contadini dive-nuti da un giorno all’altro operai di fabbrica, cosa che distrusse tradizioni e riti comunitari vecchi di secoli. Nel quadro catastrofico

C’è una certa affettazione autoria-le tutta italiana che muove dalle sponde del peggior Sorrentino per farsi corpo, sostanza e pellicola. E’ il caso de “L’attesa” di Piero Messina. Ogni cosa, nel film, è evidenziata, sottolineata, rimar-cata, allertata fino alla nausea, permutata, frullata, riamalgamata fino al parossismo: manca solo un segnale luminoso e che annunci allo spettatore: “questa è una netta evidenziazione, occhio a non di-strarvi”. L’impianto della tragedia scade nella farsa fin dalle prime scene: le urine in chiesa, il rivolo che scorre  lungo il polpaccio della matrona che fa tanto “feti-sh” e “scandalo” alla prima botta. E poi risate sguaiate, la Binoche che fa la Binoche, due bei tomi che fanno i bei tomi, gli attori che fanno gli attori e che recitano in maniera talmente attoriale e insopportabile. Che dire poi di questa immagine della Sicilia, col suo bel fardello (quantomai greve e inopportuno in tempi sì mediocri) di terra esotica ed ammaliante. Mi chiedo: “per-

ché diavolo parlano tutti così!”, in questa maniera grottesca, affettata, ridicola, nell’intermezzo delle pause ignobili. Tutto questo pasticcio, ambientato per giunta in Sicilia ha lo stesso effetto del cuscus servito in Groenlandia. La stucchevole scena del ballo in casa rappresenta il non plus ultra del cattivo gusto. Io non ne posso più di questo cinema del silenzio, in cui il silenzio sta a colmare il vuoto, l’inanità di un cinema este-tizzante e falsamente allusivo, non ne posso più di questi particolari

culinari, di queste sciocche zum-mate di pappe, pietanze, animali scannati, di questo diversivo iner-te, di questa simbiosi scema tra uomo e cosa. “Stavo solo danzan-do. Non facevo niente di male”. Come se il male” possa essere qualcosa di diverso dalla tenta-zione, dal vestitino rosso, dalla suadenza della voce, dalla male-detta “sinuosità”. E certo che stavi facendo del male, sciocchina, stavi facendo “ingrifare” i due tomi, che diavolo farfugli! E poi questa maschera attoriale della Binoche,

col volto matronesco ripreso di lato, di sguincio, in frontale; poi l’occhio e le gote e gli occhietti da sicana, infine la demonica risata sguaiata. E via - su su! - col vento, col frusciar di fronde e ulivi, pompa di qua e pompa di là, con ‘sto materassino rosso. Cos’è codesto materassino? Il simbo-lo del figlio morto? Nessuno si commuove. Nessuno entra in empatia con niente: il paesaggio, tali benedettissimi attori, il ma-ledetto materassino rosso. Posso solo dirvi che a me ‘sto cinema innervosisce. Ma santo ragazzo (dico al regista), ma come fai a imbastire una trama del genere, quando già al quinto minuto tutti abbiamo capito l’inghippo? Il film diventa patetico giacché, nel suo immediato farsi, a ciascuno spet-tatore (mi ci gioco la vita eterna) sarà apparsa la seguente scritta a caratteri luminosi cubitali rosso inferno: “E chiedi no?”. Ragaz-zina, ma santo iddio, ma quante canne ti sei fatta? Che ci vuole a chiedere: “dove sta il mio fidanza-to”?, e su! Posso giurarvi che alla fine piangevo intimamente come un salice cieco.

di leANdro [email protected]

Se rileggo “La Vita Agra” mi viene da domandarmi dove avrà imparato Bianciardi a

scrivere così bene. Infatti Bian-ciardi aveva delle qualità straor-dinarie.Lo scrittore grossetano lo comprendiamo forse meglio oggi di quando il libro uscì, nel 1962. Egli era per costituzione uno scrittore “contro”, aveva un fortissimo interesse per la Realtà senza essere neorealista. E il clima che si respirava allora spingeva a questo, infatti non era solo, e i suoi coetanei erano Calvino, Cas-sola, Volponi, Pasolini. I suoi tre romanzi – “Il lavoro culturale”, “L’integrazione”, “La vita agra”- sono incomprensibili fuori dalle idee, dalle rivendicazioni sociali ecc., che in quegli anni fortunati per la letteratura erano merce corrente.Bianciardi è tra i pochi scrittori degli anni sessanta che continua-no ad essere amati dai giovani, forse perché essi sentono che Bianciardi aveva qualcosa di essenziale nel suo patrimonio di scrittore che oggi ci manca e

Bianciardie noi

Una brutta attesadi FrANcesco [email protected]

la sua scrittura riusciva a rende-re vivide e brillanti le cose che raccontava, anche se si trattava di articoli di giornale. Ma oltre alla scrittura egli aveva un compito che voleva perseguire e lo fece con coerenza. Infatti, come scrisse all’amico Terrosi, “La

che egli fa della Milano del boom c’era anche –mascherata sotto l’ironia ed il sarcasmo- l’eco di antiche utopie palingenetiche, in-sieme all’influsso del radicalismo dei beatnick americani. Col passare del tempo la sua figura si impone sempre più. Bianciardi è diventato un modello da seguire anche se a me la sua le-zione sembra unica e inimitabile.Gli va riconosciuto il merito di es-sere stato coerente nel perseguire soprattutto nei “Tre libri” un suo discorso sulla società e sull’aliena-zione prodotta dall’industrializza-zione, a danno dei valori e degli stili di vita della provincia.Partì dal dolore provato per i 43 morti della strage nella miniera di Ribolla, avvenuta nel 1954, e volle gridare il proprio dolore, lo schifo per una società che se ne fregava delle vite umane e mirava solo al profitto. Tali gli sembrano nei suoi libri i milanesi che ha conosciuto: incarogniti, egoisti,, incapaci di solidarietà e di amore per i più sfortunati.La sua opera è una delle manife-stazioni più forti e intelligenti dei guasti prodotti dal neocapitali-smo.

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Giovanni Lorenzetti è artista assai prolifico e dalla tecnica pittorica

impeccabile; immergere i sensi nella sua arte e abbandonarsi all’eccellenza della sua pittura, così strettamente collegata alla tradizione dei maestri figurativi, fa pensare di trovarsi di fronte all’opera riscoperta di un grande artista colpevolmente dimenti-cato. Ma non è certo una mera riproduzione di ciò che è stato (anche se straordinariamen-te ricca e composita) quella proposta da Lorenzetti bensì un interscambio continuo tra presente e passato, un dialogo serrato capace di creare un vero e proprio, personalissimo, linguaggio artistico. Ed è proprio lui, il pittore lucchese con lo sguardo sempre aperto sulle lezioni del passato a rivendicare con forza ed ironia il suo appartenere alla contem-poraneità, inserendo nelle sue opere particolari inaspettati che la rivelano: un paesaggio da rivoluzione industriale fa da sfondo ad una antica battaglia; gioielli assolutamente moderni decorano i polsi e il collo di dame, sante e madonne; oggetti che appartengono alla nostra quotidianità diventano fulminee apparizioni raffigurate fuori dal loro contesto temporale. Questa considerazione introdu-ce un’altra componente irrinun-ciabile dei canoni espressivi di Lorenzetti ovvero l’uso costante di immagini dall’intrinseca forza simbolica, anche se mai pale-semente esplicite; sono sempre messaggi accennati e pieni di delicatezza, perché l’intento dell’artista non è certo quello di ammaestrare, ma di attirare l’at-tenzione su un tema e proporre una conseguente riflessione.In questo senso l’esempio perfetto è l’opera “Il ratto delle sabine” realizzata pensando al drammatico tema della violenza sulle donne.Come anticipato dal titolo il percorso espositivo si divide in tre parti; i “Ricordi”, com-posti da paesaggi rurali, scorci cittadini, immagini dell’infanzia e temi di attualità. La sezione detta “Le Vanitas”, immagini femminili (le modelle sono

I ricordi,le vanitas e l’arte sacra

di MoNicA [email protected]

allieve od ex-allieve di Loren-zetti che è anche insegnante di Discipline Pittoriche presso il

liceo Artistico di Lucca) che l’artista aveva abbozzato per un ritratto di Lucida Mansi, la

Cominciamo mangiando le nostre madri nel loro ventre…. . poi nel loro latte(…). Così inizia la condanna dell’essere umano nel suo legame con il cibo, abbraccio vitale e mortale inevitabile, che Cauteruccio grida al mondo, sazio e infelice, nell’ultima edizione di “Fame”,monologo nella sua lingua madre calabrese, graffian-te e dolente come in un canto funebre. La scena stessa è fra le più suggestive, nell’antica chiesa di Santa Verdiana (ora parte della facoltà di architettura), spazio vuoto e indifferente con la sua pietra serena e i suoi affreschi cinque seicenteschi. La messa in scena è essenziale: un piccolo tavolo al centro della cappella con su un’ammucchiata di cibo, una vuccirìa di verdure carni, frutti, e un Cauteruccio che s’aggira intorno come un lupo famelico, addentando e rigettando qualsiasi cosa. La musica in quest’edizione non c’è per l’impossibilità del musicista co-attore a partecipare . Ma la lingua di Cauteruccio, nei lunghi gemiti gutturali e lamen-tevoli, ne trasmette la disperante armonia . Il testo è tratto dal più complesso poemetto Panza Crianza Ricordanza (ediz. della Meridiana), ma la concentrazone

di questo monologo ne aumenta, se possibile, l’intensità. Il ventre reale e iperbolico dell’autore- at-tore si dà, per così dire, in pasto al pubblico in una specie di sofferente e disperata eucarestia, che è invettiva e lamento univer-sale dell’individuo bulimico alla società malata di sovrabbondanza, egoismo, crudeltà di chi quel cibo reclama come diritto. -. negato. -. alla vita ; e chi sperpera e si abbandona all’ingordigia fino alla perdizione del proprio corpo e fino a rasentarne la morte. Cibo come droga, piacere e auto distruzione, incubo della men-te. Mentre Cauteruccio torna e ritorna intorno agli oggetti della sua ossessione e li afferra. -. un

frutto, un pezzo di carne di un animale ucciso. -. alle pareti scor-rono immagini di pantagrueliche bocche che s’ingollano e strafoga-no lussuriosamente di manciate di cibo; di mani che ne manipo-lano sensualmente gli ingredienti fino alla trasfigurazione poetica e iperbolica. Ci sono insomma appetiti di ogni genere e il loro contrario, in un piacere sadico come fra torturato e torturatore. La mente e il ventre di Cauteruc-cio ci portano fino agli inferi della polifagia individuale e sociale. Non per nulla, a un certo punto, l’allusione ai gironi danteschi si fa inevitabile ; e anche, stando alle immagini che si proiettano in parete, a incubi medievali di peccatori della carne, del sesso e dell’ ingordigia, dilaniati da dia-voli, come in alcuni affreschi che rappresentanti gli inferi. Ripensando al luogo dove questa scena si è svolta, ritornano in mente anche altre suggestioni . Il luogo fu un monastero nel sec. XIII e si narra di una monaca, chiusa murata in una stanza, con due serpi, per 34 anni. Se il racconto fosse vero, avrà prevalso la fame o quale amore? Certo anche più tardi, quando il luogo divenne la chiesa delle carcerate, si saranno sentite le maledizioni e la impotente ribellione di molte.

di ANNAMAriA MANeTTi [email protected]

signora degli specchi, una delle famose “dark ladies” lucchesi del ‘600; abbozzi che, grazie al singolare uso del rapporto luce/ colore peculiare di Lorenzetti, si sono trasformate in una galleria di “donne allo specchio” affa-scinante e carica di suggestioni. La sezione conclusiva riguarda l’arte sacra, parte essenziale del lavoro di Lorenzetti e che ha portato all’autore (che anche in questo caso non rinuncia ad un approccio personale alla materia) importanti e unanimi riconoscimenti (basti pensare ai quadri di “Santa Bona”, protet-trice degli assistenti di volo: uno conservato nei palazzi Vaticani, uno esposto all’aeroporto di Pisa).Una terza versione la si può ammirare fino all’11 ottobre in questa splendida mostra di Gio-vanni Lorenzetti alla Casermetta del Museo Nazionale di Villa Guinigi, in via della Quarquo-nia a Lucca.

Foto di Andrea Rossi

Fame

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non distorta. Oggi, secondo il Rapporto Censis-Ucsi del 2015 sulla comunicazione, il 71% degli italiani è su Internet, l’85,7 dei giovani è su smartphone e la tv è ancora regina dei media. Si moltiplicano gli articoli sulle dipendenze da social network e i disordini psichiatrici legati all’abuso di internet. Le immagini di successo estetico sono chiare a tutti, ma con estrema difficoltà sappiamo metterci a piedi nudi, guardarci negli occhi e sorreggere chi potrebbe cadere.Nello spazio di Sieni si entra senza scarpe, con abiti comodi, non si parla. Non importa chi si è, cosa si è fatto,

se abbiamo un ruolo, parenti o amici vicini. Siamo solo noi stessi e gli altri intorno. Non si devono usare le parole, le espressioni del viso, non si devono caricare i gesti di significato. L’esercizio è essere neutri, ascoltarsi. Sono i movimenti, i gesti, a parlare da soli, perché evocano da soli uno stato d’animo, esprimono una forza. Ci si mette in cammino, ognuno inizia un proprio viaggio e incontra l’altro in una coreogra-fia che Virgilio costruisce sui gesti spontanei che ognuno porta. Una comunità in esodo. I percorsi vengono incrociati, fissati, ripetu-ti come in un rituale, in un culto,

Ingredienti per 4 persone:320/360gr di linguine di Gragnano12 cicale di mare freschissime (vive)24 cozze40 vongole veraci16 pomodori ciliegino tagliati in quarti1 spicchio d’aglio tagliato a metàBattuto di peperoncino frescoOlio extravergine d’olivaPreparazione: Fate un battu-to con il peperoncino fresco secondo il gusto personale. Pelate e tagliate in due uno spicchio d’aglio. In una padella mettete a scaldare dell’olio extravergine d’oliva e soffrig-geteci il peperoncino e l’aglio. Nel frattempo avrete tagliato i pomodori ciliegini in 4 parti e a doratura del soffritto li

andrete ad aggiungere nel-la padella. Saltateli un po’ e dopodiché aggiungete le cicale di mare. Saltatele un paio

di minuti e poi aggiungete cozze e vongole, tappate con un coperchio e lasciate che le conchiglie si schiudono.

Contemporaneamente mettete a cuocere in ab-bondante acqua bollente le linguine di Gragnano. Una volta schiuse le coz-ze e le vongole prendete una nuova padella in cui, aiutandovi con il coperchio, rovescerete il liquido sprigionato dai frutti di mare. Tenete le due padelle in caldo.Scolata la pasta, rove-sciatela in quella con il liquido, saltate e me-scolate per amalgamare bene il tutto, Impiattate le linguine e conditele con le cozze, le vongole veraci e le cicale di mare.

Condite con un filo d’olio extravergine d’oliva a crudo e spolverate con del prezzemolo fresco tritato.

A maggio scorso ho risposto ad una bando del coreogra-fo Virgilio Sieni, che cer-

cava uomini e donne di tutte le età per un progetto coreografico sul territorio di San Gimignano, Poggibonsi e Firenze. All’Uni-versità ho studiato filosofia e mi sono appassionata alla Scuola di Francoforte. Dopo molti anni, camminando a piedi scalzi nella coreografia di Sieni, mi sono ri-cordata perché. Nel 1936 Walter Benjamin scrisse L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, sostenendo che l’arte dovesse essere riscattata dal suo essere strumento di estetizzazione politica delle masse, per tornare ad essere strumento rivoluziona-rio di manifestazione del divino nell’uomo, alla portata di tutti e luogo di incontro. Negli anni ‘60, le teorie della scuola di Franco-forte risultavano superate senza essere state realizzate. Herbert Marcuse, erede della Scuola di Francoforte, indicava nell’etica comunicativa il luogo di un’e-mancipazione ancora possibile, di ricostruzione del dialogo sociale e dell’intersoggettività, attra-verso la quale l’individuo, nella società capitalistica e tecnologi-ca, poteva rafforzare la propria autonomia e la propria razionalità attraverso una comunicazione

La rivoluzione dolce Camminare con Virgilio Sieni

come un ciclo di vita. Ognu-no cerca la propria strada con passi lenti, pause ed accelerazioni improvvise. Ognuno inciam-pa, cade, cerca accoglienza ed accoglie. Nella vita normale non ci concediamo quasi mai di essere neutri, di ascoltare e di scoprire una naturale empatia. Quasi mai non ci è richiesto in alcun modo di essere belli, ma di essere veri. Mi sono sentita fragile nelle ca-dute, ridicola a muovermi a piedi nudi nel silenzio e nell’assenza di coordinate, aiutata dalle braccia che mi hanno sorretta e che mi hanno aiutato a risollevarmi. Mi sono vergognata, ho provato gioia, affetto, ho colto imbarazzi e paure, non ho nascosto i miei, ho provato un senso di appartenen-za. Eravamo uniti nella fragilità e desiderosi di comunicare, insie-me. In quel momento eravamo umani. Per ore di prove, per due mesi, ognuno di noi ha ripetuto la sua parte di coreografia e ha in-contrato l’altro. Virgilio Sieni sta portando le sue esperienze coreo-grafiche dall’Accademia sull’arte del gesto di Firenze alla Biennale di Venezia, a luoghi altri e non artistici delle città d’Italia. Se fossi stata presente nel 1989 a Berlino o nella Polonia di Solidarność, avrei vissuto una rivoluzione. Ci sono rivoluzioni più silenziose, ma altrettanto potenti.

di elisA [email protected]

di Michele [email protected] Linguine dell’Adriatico

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Nel corso dell’incontro curato dalla Fondazione CDSE e tenutosi presso

la Sala Banti, venerdì 25 settembre, dal titolo “Mon-temurlo fra storia e memo-ria: dagli opifici idraulici al moderno distretto tessile”, la ricercatrice Luisa Ciardi ha parlato a tutto tondo della storia dell’industria a Prato. Parleremo, in questa prima parte, della nascita della proto industria sino allo sviluppo delle moderne fabbriche indu-striali di epoca settecentesca.Si deve fare un bel passo indietro, e cioè fino al Me-dioevo, per capire com’è nata l’industria a Prato e nelle loca-lità limitrofe. La presenza del fiume Bisenzio fece sì che in quei secoli l’industria laniera si sviluppasse specialmente nell’alta valle. Le committenze della Badia di Vaiano e della Badia di Montepiano dettero il loro contributo perché la Val di Bisenzio diventasse centro operoso per la fabbri-cazione della lana. Altra protagonista, oltre al fiume cui si deve lo sviluppo della fabbricazione della lana, fu la gualchiera. Dall’an-no 1000 in poi, accanto ai mulini iniziarono a sorgere questi edifici, che altro non erano se non macchinari che aiutavano, grazie alla presenza dell’acqua, la lavorazione della lana: il panno si infeltriva e diventava più resistente. L’esigenza di dover risolvere – siamo in età comunale – l’uso e il recupero dell’acqua stagnante posta nelle zone di piana, ad esempio Santa Lucia (a nord di Prato), spinse alla costruzione di una vasta rete di canali chiamati gore. Esse servivano a fornire l’acqua alle diverse zone della città, anche a quelle più lontane dal fiume. In questo panorama si inseri-sce l’edificio del Cavalciotto, la cui funzione principale era quella di deviare il naturale corso del Bisenzio per dare vita al cosiddetto Gorone, la prima e più grande gora di Prato. Questo ingegnoso uso dell’acqua fu un contributo anche per la fabbricazione dei tessuti: l’acqua delle gore

di leTiZiA [email protected]

La storia della proto industriaa Prato

e la lavorazione della seta

a Montemurlo

infatti veniva utilizzata per le varie fasi di lavorazione della lana, dalla follatura sino alla tintura. Oltre a questo, le gore venivano utilizzate anche come vie di trasporto. In questo modo le merci di Prato erano imbarcate, attraverso le gore, sull’Ombrone, arrivava-no all’Arno e raggiungevano quindi il porto di Livorno per essere commerciate con tutti i paesi del Mediterraneo.Nella zona di Montemurlo non si parlava ancora di proto industria, la zona era agricola e c’erano coloni sparsi a mac-chia di leopardo. Esistevano delle sporadiche attività, per esempio quelle dei mulini: si ricordano il mulino di Calonca, nella zona di Amba-lagi, e il mulino di Bagnolo. Erano due delle poche attività presenti nella zona e legati alla fattoria.Ma è alla fine del ‘700 che si può iniziare a parlare di indu-stria vera e propria. Nel 1790 è da annoverare il fatto che Pra-to imparò la fabbricazione del cappello alla levantina, tant’ è che intorno ai primissimi anni del 1800 ne furono prodotti molte migliaia. Fu un periodo d’oro per la storia di Prato. Il primo opificio industriale a ciclo completo fu, infatti, costruito alla fine del 1700.Montemurlo si riconosce il questo periodo per la produ-zione della paglia. Dalla chiesa locale fu creata una scuola adibita alla creazione dei cap-pelli. Le varie trecce di paglia venivano portate dalle cascine a questa scuola, dove lavorava-no anche bambine di 7 anni. Alla fine del ‘700, a Monte-murlo, si registra una pecu-liarità: la produzione della seta. Era riservata alle donne: il baco da seta infatti aveva bisogno di una temperatura intorno ai 25 gradi per schiu-dersi e per questo, nell’ultima fase, veniva messo in seno. La parte finale della produ-zione che coincideva con la filatura, avveniva invece nelle ville di Galceti e in quella del Barone. Sono solo i prodromi di quello che sarà, nei secoli successivi, il grande sviluppo dell’industria dei tessuti a Prato nel corso del XIX e XX secolo

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Nelle elezioni catalane si sono affrontati due progetti incom-patibili: indipendenza o Spagna. Questa polarizzazione inizia quando il Tribunale Costituzionale nel 2010 ha dichiarato incosti-tuzionale alcuni punti del nuovo Estatut d’Autonomia che il popolo catalano approvò per referendum nel 2006, tra cui la considerazione della Catalogna come nazione. Ciò provocò una forte reazione e l’indi-pendentismo cominciò a crescere nella società catalana. La nuova composizione del Parlamento cata-lano riflette questa polarizzazione, con una maggioranza assoluta, benché non in voti, di deputati in-dipendentisti (72 seggi - 47,7% in voti), con gli unionisti a 52 seggi (37,2% in voti) gli unionisti, che appoggiano il diritto a decidere senza essere indipendentisti.La candidatura vincitrice, indipen-dentista, Junts Pel Sí, composta da CDC (liberale-conservatore) ed ERC (socialdemocratica) ha bisogno dell’appoggio della CUP(Candidatura d’Unitat Popu-lar). Questa candidatura è disposta ad appoggiare a Junts pel Sí, a condizione che non sia Artur Mas il nuovo presidente del governo catalano, nel quale identificano le misure di austerità e tagli in servizi pubblici e diritti sociali e la corru-

zione durante la legislatura passata. Ugualmente, la CUP respinge una dichiarazione unilaterale di indipendenza, non essendo uscita una chiara maggioranza di voti favorevole alla separazione.Tra gli antiindependentisti, il Partido Popular affonda, zavorrato dalla corruzione e la sua incapacità al dialogo. Il PSC, il PSOE cata-lano, resiste e si mantiene come terza forza, benché perda 4 seggi, malgrado i sondaggi segnalassero il suo crollo davanti a Podemos. Ma il gran trionfatore del polo unio-nista è stato il partito Ciudadanos, partito di destra, neoliberale e conservatore. Alcuni lo definisco-no come il nuovo PP, ma senza gli abbondanti casi di corruzione.

Questo partito ha lanciato già segni al resto del polo unionista per cercare di gestire un’alternativa all’indipendentismo.Infine, la candidatura Catalunya Sí Que És Pot che raggruppava parti-ti di sinistra: Podemos, IU ed ICV. Aspiravano a essere la seconda for-za, ma sono solo il quarto partito, con 11 deputati, di fronte ai 13 che ottenne la coalizione ICV-IU nel 2012. Questa candidatura è favorevole al Diritto a Decidere, ma senza una posizione chiara sull’indipendenza, cosa che può spiegare questo risultato negativo, considerando la centralità della questa indipendentista in queste elezioni. Probabilmente ha influito sulla strategia di Pablo Iglesias, lea-

der di Podemos, in vista delle pros-sime elezioni generali, coscientie che appoggiare l’indipendentismo potrebbe avere influenze negati-ve sulla sua immagine nel resto della Spagna. Un’altra spiegazione potrebbe essere che le costanti modifiche nei suoi programmi, la loro indeterminatezza ideolo-gica o l’usura mediatica abbiano già esaurito Podemos. I risultati di CSQEP stanno orientando il dibattito sulla valutazione se Pode-mos possa unirsi adaltre organiz-zazioni di sinistra per le prossime elezioni generali.Questa frammentazione in seguito alla elezioni pone un messaggio chiaro ai governanti: la necessità di dialogo e di trovare una soluzione democratica a questa situazione. Valutando anche la possibilità, imparando dall’esperienza del caso britannico, col referendum scozzese, che lo Stato Spagnolo e il nuovo governo catalano uscito delle urne siano capaci di trovare un consenso su un processo di consultazione popolare perché il popolo catalano possa dare una risposta chiara a una domanda molto semplice: volete l’indipen-denza della Catalogna o volete continuare con la Spagna?Solamente con più democrazia si potrà risolvere questo difficile situazione.

Aldo Frangioni presentaL’arte del riciclo di Paolo della Bella

ScottexAbbiamo liberamente titolato quest’o-pera, che per l’autore è semplicemente Scottex n° 36,“Il fazzoletto di Totò in mano all’ono-revole Trombetta”. Tutti ricordano la scena esilarante del vagone letto con Totò e l’onorevole Trombetta e il ten-tativo di quest’ultimo di far fare uno starnuto a Totò facendo la punta ad un fazzoletto per infilarglielo nel naso. Pezzo eccezionale del cinema italiano. Manca solo il cappello quadrettato della Baronessa della Stufa (Sandra Milo) per completare l’opera. Ma, come altre sculture del della Bella, può darsi che anche questa sia un lavoro incompiuto.

Sculturaleggera

Spagna o Catalogna?36

di viceNT selvAConsigliere comunale di Esquerra Unida

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lectura

dantisDisegni di PamTesti di Aldo Frangioni

Canto VNel terzo cerchio, sotto una piaggia continua di acqua

sudicia, stanno i go-losi, Dante e Virgilio

incontrano il mo-stro Cerbero che

azzanna i peccatori

Senza le mezze stagion, almen si dice, la terra vive un grande mutamento non è più il tempo del vivere felice

qui pur non si può stare contento.Mai aveo visto un simile tempacciochi si meriterà questo tormento?

Coloro che mangiarono a casaccio?Oppure quegli della credenza pienaa scapito di, chi vive malaccio.

Omini assomigliabili alla jena che rizzan muri e serrano le porte per cacciare dei poveri la piena.

Per terra e mar diffusero la morte,ma il Cerbero a tre teste gli maciulla,non c’è pietà per queste gattemorte,

scoprian chi son, i perfidi fanfullain prima fila con i ghigni amari,il giogo di tant’anni non gli annulla,

ci stanno i capi dei popoli magiarigolosi della carne col piccante, dell’Europa i peggiori autoritari.

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La Fondazione Giovanni Michelucci (Fiesole-Pistoia) e la redazione di Cultura Commestibile manifesta il suo grande dolore per la morte di Massimo Pavarini, che nella nostra Fondazione aveva portato la sua profonda conoscenza del sistema penale e penitenziario insieme alla sua generosa amicizia. Per le nostre attività rispetto alle carceri è stato un punto di riferimento imprescindibile. Ci mancherà la sua competenza, la sua disponibilità e la sua inconfondi-bile risata.

Sabato 10 ottobre in occasione della Giornata del Contem-poraneo promossa da AMACI (Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani) i Musei Civici Fiorentini e l’As-sociazione MUS.E propongono una serie di visite speciali per il grande pubblico: sarà così pos-sibile prendere parte alle visite

offerte al Museo Novecento, alle Murate e alla mostra Jeff Koons in Florence in Palazzo Vecchio. Per informazioni e prenotazioni:Tel 055-2768224 055-2768558Mail [email protected] www.museonovecento.it www.lemuratepac.it

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Ciao Massimo Giornata del contemporaneo

Via del Castello 11 53037 San Gimignano (SI), ItaliaTel. +39.0577.943134 | [email protected]

Dashanzi 798 Art District #8503, 2 Jiuxianqiao Road Chaoyang Dst. 100015 Beijing, ChinaTel. +86.1059789505 | [email protected]

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On the occasion of the exhibition «Follia Continua !» in honor of 25th anniversary of Galleria Continua at CentQuatre-Par is , we celebrate with a gift for us and for all of you who supported and followed us the past 25 years: the launch of new website !!!

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MARIO CRISTIANI, MAURIZIO RIGILLO and LORENZO FIASCHI,the Directors of GALLERIA CONTINUA / San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana

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L

Questa è un’altra tipica scena newyorkese: un anziano che a modo suo cerca refrigerio, si fa per dire, alla terribile calura tropicale del mese di agosto a New York. Situazioni come questa erano abbastanza comuni e mi stupivano molto perché non ero abituato alle grandi metropoli e alla durezza delle condizioni di vita delle persone più deboli. Debbo ammettere che durante il mio primo soggior-

no americano erano proprio queste le situazioni che mi intrigavano di più. Passate le prime settimane mi sono reso conto che avrei dovuto gettare uno sguardo anche in altre direzioni. E’ una cosa che ho poi portato avanti con la stessa curiosità. Nello specifico di questo scatto è stata proprio la sua geometria particolare che ha immediatamente attratto il mio sguardo.

NY City, agosto 1969

Dall’archiviodi Maurizio Berlincioni

[email protected]

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