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84 uesta settimana il menu è Q PICCOLE ARCHITETTURE Stammer a pagina 5 Tre luoghi diventai 3 piazze RIUNIONE DI FAMIGLIA a pagina 4 Lombroso 2.0 Siliani a pagina 2 Cecchi a pagina 7 OCCHIO X OCCHIO L’universo femminile di Rania Matar Zanuncoli a pagina 11 VISIONARIA Prima fabbrica adesso parco DA NON SALTARE Maggiani, le Apuane e la difesa del paesaggio Sapore di soldi Pronto Meucci here is Bell Barbara Palombelli durante “Quarto Grado” In questa vicenda c’è un fattore che nessun processo potrà rimuovere. La vittima era una ragazza bruttina. Il colpevole individuato era un ra- gazzo di colore. Loro due (Amanda Knox e Raffaele Sollecito, ndr) sono belli sempre

Cultura Commestibile 84

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84 uesta settimanail menu èQ

PICCOLE ARCHITETTURE

Stammer a pagina 5

Tre luoghidiventai 3 piazze

RIUNIONEDI FAMIGLIA

a pagina 4

Lombroso 2.0Siliani a pagina 2

Cecchi a pagina 7

OCCHIO X OCCHIO

L’universo femminiledi Rania Matar

Zanuncoli a pagina 11

VISIONARIA

Prima fabbricaadesso parco

“DA NON SALTARE

Maggiani, le Apuanee la difesa del paesaggio

Saporedisoldi

ProntoMeuccihere is Bell

Barbara Palombellidurante “Quarto Grado”

In questa vicenda c’è un fattoreche nessun processopotrà rimuovere.La vittima era una ragazza bruttina.Il colpevole individuato era un ra-gazzo di colore.Loro due (Amanda Knoxe Raffaele Sollecito, ndr)sono belli sempre

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?CCU

O.com sabato 12 luglio 2014

no84 PAG.2DA NON SALTARE

di Simone [email protected]

Abbiamo intervistato lo scrittoreMaurizio Maggiani sul conflittoche si è consumato nei giorniscorsi intorno alle Alpi Apuane

sul Piano Paesaggistico della RegioneToscana. Maggiani, già vincitore del pre-mio Campiello e il premio Viareggio con“Il coraggio del pet-tirosso” nel 1995, nel 2005 ha vinto conil romanzo “Il viaggiatore notturno”, ipremi Premio Ernest Hemingway e Pre-mio Parco della Maiella e il PremioStrega. Nato a Castelnuovo Magra èuomo di montagne.Nei giorni scorsi, sulle Apuane, si è combat-tuta una battaglia: cavatori (o meglio im-prese) vs. ambientalisti, intorno al PianoPaesaggistico redatto dall’assessore Marsonper la Giunta Regionale Toscana. Sembra

una guerra fra chi considera il paesaggio unbene privato (o comunque, asservito all’in-teresse privato) e un bene comune, fra l’egoi-smo e l’altruismo. Tu hai raccontato la vitadelle genti di Vagli nel Distretto, incastonatofra i monti delle Apuane e le vallate dellaGarfagnana in Meccanica Celeste. Il Di-stretto è forse il vero protagonista del tuolibro: quell’ambiente naturale e mitologico,in cui la giovane della tribù delle montagnepiange l’uccisione da parte delle centurie ro-mane del suo amato principe guerriero dellapiana pisana e lo piange tanto da plasmarecon le sue lacrime un’intera montagna(l’Omo Morto). Ci racconti queste monta-gne, questo paesaggio dal punto di vista

delle genti di Vagli?Il paesaggio raccontato dalle genti diVagli bisognerà chiederlo a quelli diVagli, di cui non conosco nemmeno lalingua e credo nessuno fuori da Vagli sap-pia nemmeno capirla bene tanto sono ri-servati. Io non so cosa sia il paesaggio peri misteriosi abitanti di Vagli; posso in-tuirlo attraverso le loro azioni, attraversoil modo che hanno di vivere, il modo chehanno di rappresentare la propria vita eche è una vita dentro un paesaggio. Vo-glio però prima fare una precisazione. Ionon sono un ecologista, perché non hola cultura dell’ecologia essendo figlio dicontadini. Se c’è della gente che non rie-

sce ad afferrare la cultura ecologista sonoproprio i contadini perché per loro la na-tura, intesa come luogo inumano, è unaassoluta estraneità. Il contadino si rap-porta con la natura in genere, con gli ani-mali, con il paesaggio, con gli esseriviventi e soggiacenti di vita come le pie-tre, per sé, per la sua vita. La natura che ilcontadino capisce è la sua vita; dentroquella vita, la propria vita. Se mio nonnoGaribaldi lo mettevi davanti ad un pae-saggio selvaggio, la prima cosa che gli ve-niva in mente è “chi è che mettan ilvigne? Chi mettan di coi? Chi’l che portal’acqua a le bestie?” Questo è importanteperché io parto da lì, quella è la mia cul-

Cosa rimarrà

Foto di Daniele Borghini

delleApuane

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.com sabato 12 luglio 2014no84 PAG.3C.com DA NON SALTARE

tura. Non esiste per me il concetto di va-lore a sé, L’ecosistema comprende anchegli umani; come comprende gli scor-pioni e la grandine. Ora, forse gli scor-pioni e la grandine hanno poche amiciziein giro, però sono parte dell’ecosistema.I cavatori sono parte dell’ecosistema e losono, forse, anche gli ecologisti. Mia mo-glie è stata commissario d’esame in unliceo artistico di Ravenna. Un giovanecandidato ha portato una tesina suinuovi sistemi di agricoltura biologica diun tale giapponese che non conosco.Questo ragazzo spiegava come si mesco-lano i semi insieme all’argilla e si gettanoin terra. Questo ragazzo, che ha sicura-mente una forte sensibilità ecologica,probabilmente ricava il suo reddito (o isuoi genitori) ignorando completamenteche cosa vuol dire metter su un pezzo dipane. Non si falcia il grano andando aspiluccare le sue spighe tra la gramigna,l’avena selvatica e loglio. Allora, leApuane. C’è sempre stato, per obbligoneppure per sensibilità estetica, una curache si rivela anche estetica nel rapportocon l’ambiente che ti dà da vivere e dun-que con le Apuane da parte delle genti diVagli che erano in gran parte fatte di ca-vatori. C’è una bellezza in sé in una vec-chia cava, ma questa bellezza in sé vieneperché è stato un lavoro ben fatto. L’ideadi bellezza che io ho, l’unica idea di bel-lezza su cui io sono cresciuto, è quella ge-nerata per forza di cose da un lavoro benfatto. Un lavoro ben fatto lo riconosci su-bito perché brutto a vedersi e poi perchénon dà frutto, o non lo dà abbastanza enon lo dà nel tempo. Una potatura benfatta di una vigna è veramente bella davedersi; sembra un ritmo decorativo, unacosa adatta ai poeti; ma io non sono cre-sciuto fra i poeti, bensì fra i contadini, ep-pure quella bellezza c’era. Ora, quellapotatura ben fatta, bella da vedersi, in re-altà era buona perché dava il giustofrutto, nel giusto modo e soprattutto lodava nel tempo: vigne che duravano per-ché non era possibile pensare di cam-biare gli impianti ogni 5 o 10 anni. Lacava doveva durare secoli perché dove-vano mangiarci i figli, i figli dei figlio, i figlidei figli dei figli. E poi le cave più prezioseerano quelle del bianco e il bianco do-veva essere lavorato con grande atten-zione e non solo, ma con un’artestraordinaria perché è raro, prezioso e so-prattutto deve essere integro quandoviene venduto a Rodin o a Michelangelo.Ma adesso tutto questo non c’è più. In-tanto perché le cave più prezioso sono ingran parte estinte. Ma soprattutto il red-dito maggiore non viene dalla cava tradi-zionale ma dalle nuove necessitàcommerciali, cioè dal carbonato dovenon è necessaria nessuna cura, nessunacautela, nessuna arte se non quella stret-tamente necessaria, mi auguro, almenoper non far morire gli operatori che ci la-vorano.Infatti, il paesaggio di cui dobbiamo discu-tere, l’unico paesaggio possibile in Toscana,è quello artefatto dall’uomo, costruito dal-l’uomo. E, in questo caso anche le Apuanehanno indubbiamente questa caratteristica.Il problema è quando le esigenze industrialifanno smarrire quelle capacità, competenze,quella cura, anche quell’amore per il territo-

essere combattuta, solo se è la comunitàche si confronta con se stessa. Se vieneun professore di Harvard a spiegarmi cheio faccio male a scavare carbonato di cal-cio in questo meraviglioso giogo di mon-tagne incantate, non ho grandi difficoltàa cacciarlo giù da un pozzo di cava; se in-vece è mio figlio o sono i bambini dellascuola del paese, è molto diverso. Pensoalla TAV, che è un tema che riguardamolto la Toscana: io ho l’idea che la TAVse mai potrà succedere che non si farà,sarà perché avranno vinto gli “egoismi lo-cali”, non il movimento ecologista mon-diale; cioè se avranno vinto le comunitàlocali che intendono difendere se stessee per questo parlo di egoismo. Anzi, pro-babilmente l’ecologista mondiale cosìmalamente rappresentato in certe occa-sioni, non dà un contributo particolar-mente positivo, mi sembra. Allora, ladifesa del territorio, del paesaggio, ivicompresa la bellezza del paesaggio seessa è – come io penso – una cosa benfatta, il frutto di un buon lavoro: gli “egoi-smi locali” possono discutere quandoanche gli interessi all’interno della comu-nità sono diversi. Mi chiedo quanto que-sto accada. In questo momento ti parloda un posto, dove ormai vivo da tempo,sulle colline della campagna romagnolae intorno a me vedo migliaia di ettari dipaesaggio che mi commuovono, ed ètutto paesaggio lavorato. Qui la gentevive di quello, di agricoltura. Lo stessostudente di mia moglie si scagliava con-tro gli anticrittogamici, lamentava chenon ci sono più le rane, ecc.: certo, è vero,ma vorrei prenderlo per le orecchie eportarlo qui dove non si dorme di notteper il gracidare delle rane. Non è piùcome nel 1950 e non si danno più gli an-ticrittogamici che uccidono le rane. Lecose sono cambiate perché ha vinto unabattaglia l’egoismo locale che rappresentail lavoro ben fatto che quindi considerache anche le rane hanno un loro posto.Il paesaggio toscano è veramente soltanto ilpaesaggio “ben fatto”, o quando non lo è, è“mal fatto”, ma comunque è “fatto”. Nonesiste niente di naturale, nel senso assoluto,vergine.Certo. Un’operazione simile a quella delcarbonato, ad esempio, si sta consu-mando nelle Cinque Terre. Esse sonoesclusivamente frutto dell’interventoumano, altrimenti sarebbero solo unpezzo di 15 chilometri di falesia in uncomplesso che si sviluppa fra la Liguria eun pezzo di Francia. Le falesie sono belle,però non sono le Cinque Terre, che nonsono altro che l’incredibile secolare la-voro per ricavare dalla falesia – che è ilposto più ingrato possibile – terreno agri-colo e terrazzamenti. Cosa è successo?Da 20 anni le Cinque Terre vivono dellosfruttamento turistico di massa di quelpanorama. E quel panorama si sta sfal-dando pezzo per pezzo; viene consu-mato da 2-4 milioni di presenze annue.Gli abitanti delle Cinque terre sono di-ventati tutti improvvisamente ricchi,anche perché lavorano esentasse. Ma sa-ranno ricchi loro e i loro figli; i ricchi simangeranno la ricchezza accumulata daipadri e poi non ci sarà più niente. Se-condo me non è un tema diverso daquello delle Apuane. Bisogna capire oggi

La voce di Maurizio Maggianisul dibattito accesotra cavatori e Regionedopo la presentazionedel Piano Paesaggistico

Foto di Daniele Borghini

rio in cui vivi, giusto?Sì, è un totale disinteresse perché la mul-tinazionale con sede, ad esempio, a To-ronto non sa nemmeno cosa sono leApuane e non ha nessun interesse a sa-perlo. Quello chela riguarda è il profittoe i dividendi. Per cui le Apuane equival-gono a delle cave nello stato del RioGrande do Sol. Ora, il problema è che ipoveri, i salariati sono in conflitto eternocon altri poveri e salariati che non pren-dono il pane da dove lo prendono loro. Iseringueiros, che sono persone degnis-sime, si affrontano a colpi di machete congli indigeni della zona amazzonica: nonpossono vivere insieme, cavare caucciù e

continuare a vivere nel paleolitico comecerte popolazioni desiderano e hanno di-ritto di vivere, nella foresta vergine. Que-sto è un caso, ma ve ne sono moltissimianaloghi. I cavatori contro gli ecologistisono la parte peggiore di un conflitto checomunque esiste. Non puoi dire ai cava-tori “cercatevi un altro lavoro”; puoi direagli ecologisti “levatevi di qui”. A menoche gli ecologisti non siano gli abitanti,gente che abita lo stesso paesaggio dei ca-vatori; e allora sono i fratelli contro i fra-telli, i padri contro i figli, però è una cosadiversa. E la battaglia per la difesa del pa-trimonio paesistico comune può esseresolo vinta, e secondo me vale la pena di

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Saporedi soldi Antonio Meucci che lui dice vero inven-

tore telefono. Ma sbagliato tutto!Meucci forse è (meglio, era perché noicrede che lui è morto: spiegate a Mat-

Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

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“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

Abbiamo ricevuto questa letteradalle nostre corrispondenti SorelleBell dagli Stati Uniti a seguito del-l'intervento del Presidente MatteoRenzi pronunciato a Venezia al-l'iniziativa europea sulle politicheper il digitale, Digital Venice, loscorso lunedì.Dear Marx Sisters,as your Premier Mr. MatteoRenzi speaks so fluently English(so to say), we will write this let-ter in our also fluent Italian. Di-menticateci per nostri errori, maanche vostro Premier nonscherza.Noi, essere nipotine di Mr.Ale-xander Graham Bell. A noi nonessere piaciuto niente affatto spi-ritosaggini di vostro Premierdette a Venezia su nostro nonno!Veramente Matteo è moltissimoumoristico, ma quando vuole fareparabola su storia di invenzionetelefono, non avere capito un ca-voletto di Bruxelles. In inglese conmaccheroni, Renzi dice che perfare impresa tu devi avere nonsolo buone idee ma anche marke-ting e poi racconta favoletta di

RIUNIONE DI FAMIGLIA

LE SORELLE MARX

Hai fatto 2.745 foto altuo gattino e le vuoi mettere su unapennina usb da 4 giga per portarle atua cugina questa estate quando saraiin vacanza dagli zii? Ok, paga 40 cen-tesimi a Gino Paoli. Hai comprato unosmartphone alla sorella che così possachattare con le amichette 12enne sulquel ragazzo carino della Terza F? Be-nissimo, paga 5 euro e 20 a Gino Paoli.Sei un fanatico dell’Apple e hai consu-mato la carta di credito scaricando ladiscografia dei Beatles sul tuo Ipodnuovo fiammante? Perfetto, aggiungi12,88 euro per Gino Paoli. Stufo di farele foto con una macchinetta troata nellepatatine hai comprato una reflex daprofessionista? Niente di male, le pas-sioni son passioni, adesso però sgancia5 euro in più per Gino Paoli. Questo agrandi linee il funzionamento del de-creto che delibera sui cosidetti “com-pensi per Copia Privata” da destinarealla Siae presieduta da Gino Paoli. Manon è finita perché prima che vengapubblicata sulla Gazzetta ufficiale sa-ranno aggiunti altri balzelli: 5 euro suogni acquisto di una bottiglia di birrache potrebbe essere atta a produrresuoni; 3 euro e 20 cent per ogni bic-chiere perché se riempito nella giustamisura di acqua (gratis) può emettereun La; 56 euro per ogni bambino natomunito di lingua e corde vocali che inun futuro potrebbe fischiettare una me-lodia coperta da Siae. Sconto in caso diparto gemellare.

Pronto Meucci, here is Bell

Avremo i mondiali di calcioe l’aumento dei prezzi.Avremo le domeniche pari e disparied un inasprimento delle imposte.Avremo le centocinquanta oree la cassa integrazione.Avremo i mari inquinatie la crisi del greggio.Avremo il rafforzamento sindacalee la politica dei redditi.Avremo un corpo specialecontro il terrorismo.Avremo un governo di coalizionee nuove trappole contro il socialismo.Avremo la scuola con la gestione socialee le classi ancora congestionate.Avremo figli sempre più corrazzatisempre meno carota e più bastone.Avremo un sol leone 1974SE ANDREMO IN FERIE ANCHECON LA COSCIENZA POLITICA.

Il diario di Frank M.Andersen è una tragica testimonianza dell'avanzare lento, ma ineso-rabile, del morbo di Alzheimer. L'ombra della memoria è la fase avanzata della malattiaquando Andersen, ancora con qualche briciola di consapevolezza, decide di iniziare a scri-vere il suo diario. L'ombra della memoria non è un barlume di ricordo – si legge all'iniziodel libro – ma la negazione dei ricordi, come l'ombra è il contrario della luce. Col passaredei giorni si avvertono ancora cenni di un lungo e pare brillante passato dello scrittore,anche se ad un certo punto si legge: “Ho sempre lottato contra la mia mediocrità, ma nonso dire se l'ho sconfitta”. Poi si legge di vicende lontanissime negli anni mescolate a sensazioniistantanee: “Ho salutato il Presidente Andreotti, non stringe la mano (molliccia e sudata)come se si trattasse di un cardinale, mi deve aver trovato interessante visto che ogni giornoviene a trovarmi per prendere il caffè”. Lentamente lo scritto diventa sempre più incom-prensibile: “Giudicate, giudicate se lo zucchero è cresciuto nella possibilità di affermare lalogica delle zanzariere giganti...” Tempo e spazio si annullano e nelle ultime pagine non cisono neanche più parole ma scarabocchi che, si dice in una nota, sono tracciati con cosìtanta forza che le pagine sono in gran parte lacerate. Sul Magazine Salute del Sole 24 oreleggo che nei prossimi dieci anni si potrà sconfiggere la malattia: resistiamo “ragazzi”.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

I CUGINI ENGELS

LUGLIO 1974

Il sol leone

teo che anche ininglese passato èdiverso da presente in verbi!) genio,ma noi pensiamo un poco stupid per-ché no fatta patente per sua inven-zione senza fiato. Nostro granpadreinvece molto affilato perché avere pa-tentato telefono in 1876. Ma luianche grande studioso: fatto studi sulingua, elocution, optical telecommu-nications, ingegneria (progettatoidroscafi, do you know?). E mai havoluto telefono in suo ufficio (noncome vostro Premier che ha 5 o 6 te-lephones: cosa fa con tutti?). Ma Mr.Renzi knows a whistle (sa un fischio)di tutto questo! Noi pensare cheRenzi è un poco “dunce” (somaro).Certo, suo inglese un poco “rough”(grezzo), ma anche sua conoscenzastoria. Nostre informazioni diconoche ha suggerito questa storia “crac-ked” ( fessa) un signore chiamato Eu-gene Giany, possible? Please, informyour President that Sisters Bell arevery, but very much disgruntled (conrabbia, forse “incazzate”).All the best

VINTAGE

Il Franco MiratoreGli epigrammi

di Franco Manescalchinelle pagine di Ca Balà

a cura di Paolo della Bella

Disegno di Ferruh Dogan pubblicatosu Ca Balà del giugno 1974

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di John Stammer

Tre piazze, o meglio un grandeslargo, fra gli edifici e le stradedi Sorgane, e due luoghi chepiazze non sono, ma che gli abi-

tanti del luogo hanno sempre chia-mato "piazze", a Varlungo e a Il Sodo.Tre ipotesi di piazze da fare diventare"realmente" piazze. Tre luoghi nelleperiferie della città perchè è dalle pe-riferie che si giudicano le città. Treprogetti nati dopo un lungo percorsodi partecipazione dei cittadini. Treprogetti e tre realizzazioni. Nasconocosì dal 2005, anno in cui si avvianole fasi di progettazione, al 2008, annoin cui le piazze sono aperte al pub-blico, questi tre progetti di luoghi ur-bani. La scelta dei luoghi non è

casuale ma rispecchia la filosofiadella amministrazione di allora di pri-vilegiare gli interventi per le aree pe-riferiche. Una scelta che stava nellascia di un percorso, avviato a partiredal 1995, quando l'amministrazionedi allora iniziò a pensare ai fondi eu-ropei per interventi di miglioramentodelle aree urbane periferiche. Un per-corso che ha consentito, ad esempio,la realizzazione della nuova pavimen-tazione delle strade del borgo di Pe-retola e delle piazze adiacenti (primafra tutte la piazza Garibaldi).Naturalmente tre progetti diversi,per le diverse caratteristiche dei luo-ghi e dei progettisti, ma tre progettimolto discussi, nell'ambito delle as-semblee pubbliche appositamenteconvocate, ma non solo,e che hannorestituito ai cittadini luoghi più ordi-nati e vivibili.C'è da tempo un dibattito, nelcampo dell'architettura ma anchedelle scienze sociali, sul fatto chenella città contemporanea non siprogettano più le piazze e, anchequando accade, questi luoghi non di-ventano aree centrali e pulsanti divita, e luoghi di identità collettiva,come le grandi piazze delle città sto-riche. Certo gli ordini monastici pre-dicatori non svolgono più il loroministero nelle piazze antistanti lebasiliche, come nel medioevo, e laguardia reale non svolge più le pro-prie esercitazioni e parate nellepiazze della città. I tempi e gli attoridella scena urbana sono cambiati. Andrea Branzi, in un suo scritto diqualche anno fa, mette in guardia dalricercare, e nel ricostruire oggi, tipo-logie e luoghi che dovrebbero fun-zionare come quelli pensati secoliprecedenti. Scrive Branzi riferendosialle piazze " vorrei dire che questiluoghi mi sembrano superati. Lepiazze nuove infatti funzionano dif-ficilmente, perchè fanno parte di unvecchio bagaglio di simbologie

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

astratte, che hanno ancora come rife-rimento l'idea della forma della cittàcome metafora della forma della so-cietà"... e più avanti " I legami diclasse, gli interessi economici, la reli-gione, la politica, la cultura, hannosempre costituito delle reti relazionalipiù efficaci che non le strade e lepiazze".Ora se guardiamo ai progetti delle trepiazze risulta evidente che, a distanzadi anni dalla loro realizzazione, i luo-ghi meno strutturati e più "anonimi"delle periferie urbane, quelli che i cit-tadini chiamavano piazze più per laloro storia vissuta che per la confor-mazione del luogo, hanno rispostopositivamente alla nuova organizza-zione del progetto. Non so se si possacostruire una relazione fra quello che

scrive Andrea Branzi e il contesto ur-bano delle perifierie fiorentine. Sta difatto che oggi a Varlungo, a Sorgane eal Sodo ci sono tre "piazze" usate daicittadini, in modo talvolta anchescomposto e, in alcuni casi, con uninizio di segni di degrado dei materialie degli oggetti che il progettista hacollocato sul terreno, ma vive e vitali.I tre progetti sono stati redatti da Al-berto Breschi (capogruppo) perpiazza Istria a Sorgane, da MassimoGuidi (capogruppo) per la piazza diVarlungo e da Marta Righeschi (ca-pogruppo) per la piazza del Sodo,dopo un articolato percorso di di-scussione pubblica organizzato dal-l'assessorato alla PartecipazioneDemocratica del Comune, con l'ausi-lio di esperti di comunicazione.Il progetto di Piazza Istria prendespunto dal sistema urbano e dagli edi-fici al contorno (progettati da Leo-nardo Ricci e Leonardo Savioli) perriprenderne materiali e colori e perrealizzare, con una pensilina lungaquanto il lato minore della piazza,una sorta di "stanza urbana" apertama accogliente. Nei progetti di Var-lungo e Il Sodo prevale l'idea di "ride-finire" il confine fra la strada,destinata al traffico veicolare e glispazi destinati ai pedoni e all'uso ur-bano, con la presenza marcata di"segni" per la individuazione deglispazi per la sosta pedonale e per l'usocollettivo. Sedili e cubi in marmobianco per Il Sodo e prati verdi so-praelevati e inclinati per Varlungo.Progetti apparentemente semplici,con l'uso di materiali tradizionali, chesono stati scelti con un concorso diarchitettura dove è stato sperimen-tato per la prima volta un metodo cheha visto la presenza dei cittadinicome parte integrante della giuria delconcorso. Ad essi, cioè a tutti i resi-denti che si sono iscritti al laboratoriodi quartiere, era riservato il 20% delpunteggio da attribuire ai progetti.Varlungo

Istria

Il Sodo

3 luoghi diventati 3 piazze

VarlungoIstria

Il Sodo

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Si è inaugurata, lo scorso 5 lugliopresso il Palazzo della Fonda-zione Banca del Monte diLucca, la mostra di Elisa Zadi

“Sacri miti. Storie di uomini e santi”, acura di Marco Palamidessi: un interes-sante percorso espositivo che elogia lagrandezza storico-culturale di Lucca,con una serie di opere che abbandonanole retoriche classiche e tradizionali del-l’arte sacra, per reinterpretare e rivisitarele icone rappresentative dell’identità diuna città culturalmente intrigante. La bellezza e l’intrigo misterioso e dia-bolico di Lucida Mansi, l’immagineacheropita del Volto Santo nella sua sa-cralità umanizzata, le doti umane e spi-rituali di Santa Giulia, il martirio umanodi Aldo Mei, la generosità di Santa Zitae la bontà di San Martino, emergononella loro spiritualità come manifesta-zione dell’esperienza umana e riletturacontemporanea di identità assolutizzatenella storia che vale la pena riscoprirecome presa di coscienza collettiva, neltentativo di recuperare un’autentica evera dimensione spirituale, declinata inuna prospettiva umanizzante. Nell’infi-nito territorio del realismo il sacro ap-pare come un concetto ambiguo eindefinibile, in virtù dei suoi misteri e diquelle sacralità difficilmente carpibili dailinguaggi formali, tuttavia si tratta del-l’unico concetto in grado di spiritualiz-zare la materia e tenere insieme, in unanello congiunto, la dimensione storicae l’eternità, in una durata spazio-tempo-rale che vivifica le poetiche e le spiritua-lità identitarie, che dal passato giungonofino a oggi in tutta la loro energia allusivaed evocatrice. In tal senso il sacro diviene per l’artistaun archetipo da riscoprire e da reinter-pretare, adottando un linguaggio pitto-rico – quello del ritratto edell’autoritratto – adeguato a rappresen-tare il mistero esistenziale che si celanell’evocazione allusiva dell’immaginesacra la quale, nell’eternità del mito, de-nota la sua valenza illustrativa e rivela-tiva. Il mondo pittorico di Elisa Zadi sicaratterizza per la ricerca di uno stile in-confondibile, dettato da una spiccata vo-lontà espressiva, tesa a mettere in luce ilsenso primo dell’emozione e l’immensacapacità dell’immagine di esprimere eraccontare, attraverso una poetica cheunisce il sacro e l’umano, la storia e l’eter-nità, nella soggettività molteplice dellosguardo umano. Si tratta del riscattoestetico dell'immagine come presa di co-scienza del segreto che avvolge l'uomo,le sue esistenze e il suo viver quotidiano,in una frammentarietà da esplorare, at-traverso giochi di luce, composizioni,linee e colori tenui, che conducono l'os-servatore a percepire non solo l'imma-gine dipinta ma anche l'anima riflessa,che affiora con forza e si lascia leggerenella propria e indiscussa sacra intimità. La mostra, patrocinata dalla RegioneToscana, è visibile fino al 27 luglio, da lu-nedì a venerdì con orario 15:30-19:30(sabato e domenica 10:00-13:00 e15:30-19:30).

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

In alto La carità di San Martino, Olio su tessuto, Trittico,cm. 110x260. A destra Santa Giulia, Olio su tessuto dilino, Polittico, cm. 80x60. Qui due foto della mostra

I sacrimiti

ElisaZadi

di

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mano il velo davanti alla foto di una terza donna ve-lata (la madre? la nonna?). Tutte immagini forte-mente emblematiche, non banali e non scontate,assolutamente non riconducibili a dei cliché usurati.Lasciato il Libano, Rania inizia a dedicarsi all’esplo-razione di altri aspetti dell’universo femminile con ilprogetto “A girl and her room”.

CCUO

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Rania Matar nasce e cresce in Li-bano, e si trasferisce negli USAnel 1984, dove studia dapprimaarchitettura, ed in seguito foto-

grafia. Le sue origini e la sua duplice cul-tura la spingono a concentrare la propriaattenzione sui problemi del MedioOriente, con una sensibilità particolarenei confronti della condizione femmi-nile, che la fotografa indaga e docu-menta frequentando lungamente icampi dei rifugiati palestinesi nei sob-borghi di Beirut e nel Libano meridio-nale. Da questa frequentazioneemergono momenti di vita che in con-testi diversi potremmo definire “ordi-nari” ma che sono invece ladimostrazione di quanto le condizioniestreme possano essere sopportate econdivise, con forza piuttosto che conrassegnazione, con dignità piuttosto checon disperazione. Le conseguenze diuna guerra strisciante ed apparente-mente senza fine, la contrapposizione fraculture, religioni ed abitudini diverse, lecondizioni di vita precarie, vengono vis-sute in un quotidiano che riesce a com-binare gli opposti, in manierapragmatica, rimettendo al centro dellascena l’umanità, una umanità privatadella voce e di qualsiasi possibilità di in-fluenzare il corso degli eventi, messa aimargini della storia, ma ancora tenace-mente ancorata alla sopravvivenza, attra-verso la cura di sé e dei figli, attraverso latrasmissione del nome, dei ricordi, delmodo di esistere. Il lavoro di RaniaMatar si articola su tre temi, le conse-guenze della guerra, il velo come mododi essere e di presentarsi, ed il popolo deidimenticati, ma non vuole essere un ri-tratto del Libano, non vuole mostrare ilvolto e le cicatrici di un paese, vuole es-sere una storia di persone, soprattutto didonne, donne espulse dalla storia maportatrici di storie individuali e collet-tive. Ed è per raccontare queste storie,individuali, personali, talvolta intime,sempre minime, mai grandiose o falsa-mente eroiche, che Rania Matar entranelle case, o in ciò che rimane delle case,accettata ed ospitata senza timori o reti-cenze, per intrecciare la sua esistenzacon quella di altre donne come lei, percondividere, ascoltare, guardare, capire,assimilare. La fotografa non indulge sutemi come il dolore o la disperazione, lasolitudine o la paura di un futuro incerto,ma entra in sintonia con donne come lei,forti e coraggiose, forse vinte ed esiliate,ma non ancora piegate o spezzate dallavita e dalle avversità, decise a continuarea vivere, nonostante tutto. Donne gio-vani o meno giovani, mogli o vedove,bambine cresciute in fretta, anziane congli occhi pieni di ricordi, ma in cui nonsi è ancora spenta la scintilla della spe-ranza. Nel 2009 Rania Matar pubblica illibro “Ordinary Lives” in cui raccogliedozzine di immagini di altissimo valoresimbolico, come quella della ragazza chesi sistema il velo davanti ad uno specchioscheggiato, l’altra con una ragazza velatadavanti ad un pannello di vetro sfondato,o l’altra con le due ragazze che si siste-

OCCHIO X OCCHIO

di Danilo [email protected]

L’universofemminilesecondoRania Matar

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culture musicali e teatrali di tutto ilmondo. A Montepulciano ho trovato ilmondo. E sono rimasta.E poi: come sei arrivata a Firenze? Lavoravo già con il Coro Guido Monacodi Prato e la Scuola di Musica di Fiesole,quando rimasi incinta. Non volevo piùfare la pendolare e volevo che mia figlianascesse a Firenze. Qui ho cominciato acollaborare con il Teatro del MaggioMusicale Fiorentino e ho fondato ilCoro Ragazzi Cantori di Firenze. Anchestavolta, alla fine, la vita ha scelto per me.Cosa ti piace dei fiorentini e di Firenze? Di Firenze mi piace che ci si possa muo-vere a piedi, guardando una bellezza die-

tro l’altra. E dei Fiorentini il fatto che ap-prezzino le loro tradizioni, manginobene e si vestano con cura.E cosa hai portato con te dal tuo Paese? Una caratteristica propria dei Ticos: unaspecie di internazionalismo culturale. InCosta Rica non c’è prevalenza di unacultura e nessuna viene considerata piùimportante dell’altra. I fiorentini, a volte,credono un po’ troppo nella supremaziadella loro cultura…Firenze ti ha ispirato nel tuo lavoro? Ma certo! Qui ho studiato la musica fio-rentina del Rinascimento, ho visto i luo-ghi dove è nata l’opera. Ho sempreamato la musica rinascimentale e la liricama a Firenze ho imparato ad amarle econoscerle ancora di più. Nessun rimpianto dunque di aver lasciatoil Costa Rica? Nessuno. Qui ho avuto delle opportu-nità di lavoro che là non avrei mai avuto.Ho lavorato con i più grandi direttorid’orchestra: Mehta, Ozawa, Chung, Bar-toletti, Bychkov… Sono esperienze pre-ziose, incomparabili.E’ un buon Paese l’Italia per invecchiarvi? Ho l’impressione che in Italia si invecchipiù soli. Nonostante il welfare sia più svi-luppato che in Costa Rica, nonostantele iniziative per gli anziani, anche sulpiano culturale, mi sembra che in CostaRicca gli anziani siano più apprezzati.Qui corrono il rischio della “rottama-zione”.Pensi a Firenze e vedi… Bei palazzi, con i loro giardini; e sentotanta musica.Pensi al Costa Rica e vedi… Il verde. Le infinite tonalità di verde checi circondano. E tutte le persone careche vivono là ma sono sempre con me,nel mio cuore.

di Franco [email protected]

HO SCELTO LA TOSCANA

Il Costa Rica è una delle mete di va-canza preferite dagli Italiani negli ul-timi anni: spiagge incontaminate,oceani che fanno la gioia dei surfisti,

foreste ricche di una vegetazione ed unafauna preservate dal devastante effettodel progresso; tutto unito a un tenore divita e a una civiltà che l’hanno fatta defi-nire “la Svizzera del Centro America”. Al-cuni Italiani hanno fatto anche scelte piùdefinitive: non solo una vacanza, ma,negli ultimi anni, inseguiti dalla crisi, untrasferimento totale, armi e bagagli, ditutta la loro esistenza per tentare la for-tuna soprattutto nel settore delle attivitàturistiche. Suona dunque bizzarro tro-vare chi ha compiuto il percorso inversoe dal paradiso tropicale è arrivato tra lecolline toscane. Marisol Carballo, musi-cista costaricana, direttrice di coro, vivein Italia dal 1981: a Montepulciano persei anni e poi a Firenze.Come sei arrivata in Italia?Ho compiuto i miei studi universitari aLondra negli Anni Settanta per poi tor-nare a vivere in Costa Rica dove ho co-minciato la mia attività di Direttrice diCoro. Nel 1980 fui contattata dal Can-tiere Internazionale d’Arte di Montepul-ciano, diretto da Hans Werner Henze,che mi propose un progetto culturale edidattico del tutto innovativo. Mi sem-brò una sfida imperdibile. Decisi di pro-vare, magari per un anno…. ma miinnamorai di Montepulciano, della suabellezza, della gente e anche di tutte lecose che si potevano fare lì nel campodella cultura. Il Cantiere era qualcosa dipiù che non un semplice festival musi-cale: era un laboratorio, un crocevia di

di Annalena [email protected]

Rosalba de Filippis, nata a Macchia-godena, in Molise, laureata in Let-tere moderne, con una tesi sull'operadel primo Giorgio Caproni, è au-trice dei libri in versi Sotto nevi dicarta,(Campanotto editore 2007), Ilfilo forte del liuto (idem 2008), Laluce sugli spigoli Canti di Monteloro(Strade Bianche, Stampa Alterna-tiva, 2011) , Danielle, L'ultima fogliaè sempre la più alta (Campanotto2013).Il suo rapporto col mondo animale èdal vivo, col bosco, ai confini dellasua casa, così come essa stessa cinarra:"Vivo a due passi da Firenze, a Mon-teloro, in una zona ancora scarsa-mente antropizzata, in cuicomunque l'uomo fa di tutto per la-sciare il suo segno, impiantando adesempio vigneti industriali chesconvolgono il territorio: via, lepiante di impiccio, via, soprattutto icespugli di vitalba e di rovo dove vi-vono gli usignoli. Quindi il silenziodella notte ha un suo motivo, se

ANIMALI IN POESIA

tutto diventa ordinato, troppo ordi-nato. Se in questo modo anche lelucciole sono divenute rare. Sononecessari ad esempio i muri scalci-nati perché il verzellino faccia il suonido. Così gli animali di terra, ca-prioli, istrici, lepri e anche volpihanno bisogno di luoghi incolti che

il nostro senso estetico, addomesti-cato, ormai sembra voler rifiutare.La mia casa è nel bosco, una vecchiacolonica non del tutto ristrutturata;da qui mi metto in ascolto delmondo di animali che le passano ac-canto. Ho una quercia proprio vi-cino alla finestra dello studio, doveogni anno nidificano upupe e merli,appena leggermente sfasati neitempi delle loro nidiate. Da quiscrivo brevissime cronache di eventiminimali, come l'arrivo sul vetrodella finestra di un picchio, che hoscoperto essere ghiotto dello stuccodegli infissi, oppure la comparsa diun intero gregge di pecore disperso.E' una costante la presenza larica,talvolta angelicata, dei miei gatti, al-lineati sulla soglia, la mattina, in at-tesa di un pezzetto di qualcosa.Anche la poesia si scrive così, ac-

cordandosi alla grazia di un movi-mento, di un raspare per terra, di untramestio notturno di cose smosse,di mangiucchiamenti sommessi eappartati, per poi scoprire che unistrice è passato nelle sue ricogni-zioni in quello che in fondo è innan-zitutto il suo luogo. La poesia mi

La casa al bosco di Rosalba De Filippis

Costaricense innamoratadi Montepulciano

permette di entrare in piena conso-nanza con questa dimensione in-colta, docile, bestiale. E nonviceversa. Essi sono e restano (perfortuna) animali, perché l'umanità èdiversa. Ma è proprio qui, se vo-gliamo, che i linguaggi si incontrano.E si comprendono. Direi con sol-lievo."Questo uno dei tanti momenti in cuila poetessa coglie la presenza deisuoi ospiti.

Angeli/gattivi appendete ai ramidell'albero di frontee con gli unghielliguadagnate il cieloper dirmi che la ciotola è già vuota.Io donna e forestieraavrò la codagonfia di paurae fuggirò lontanadalla casache accende le sue luciper la cena.

Da” La luce sugli spigoli Canti diMonteloro”, Strade Bianche, Stampa

Alternativa, 2011

Marisol Carballo

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in cui vivevamo. Va bene, in realtànon credevamo che avremmo visto ilSocialismo (o comunque lo vole-vamo chiamare), ma sarebbe statauna società più umana, vivibile, giu-sta. Ma ho nostalgia di quel luogo edi quel tempo perché mi sembravagonfio di possibilità, di strade diverseche ciascuno poteva imboccare (al-cune tragiche, a dire il vero, ma altredecisamente esaltanti); mentre oggitutto sembra bloccato oppure affi-dato a singoli leader e non alla forzaimplacabile della cultura e dei cam-biamenti sociali che interi gruppi di

persone (partiti, movimenti, associa-zioni) potevano indurre. L'Universaleera parte di quel mondo di possibi-lità.Ora un giovane regista, nato nel1971, ha trovato la passione, il corag-gio e la forza di farne un film. Nonpossiamo sapere se sarà bello, seandrà nelle sale (già, ma quali?), sevincerà premi, se piacerà... ma saràgiusto farlo. Per noi che c'eravamo,per lui che ne ha studiato la storia, peri figli che forse sapranno che un altrocinema è stato possibile. www.universalefilm.it

C.com

Ho fatto subito la mia dona-zione sul crowdfunding perbudget del film di FedericoMicali sul mitico cinema Uni-

versale di Firenze (www.limoney.it).Lo confesso, per nostalgia prima cheper l'opera cinematografica. Nell'illu-sione di poter rivivere, anche solonella finzione cinematografica, quelclima magico, bohémien, rivoluziona-rio, scapigliato, alternativo (chiama-telo un po' come vi pare) che vi avevorespirato quando adolescente ti rifu-giavi in quella sala, invero scomoda efumosa, per vedere i film che la TVnon mostrava, che in altre sale eranoforbidden. Parrà impossibile ai piùgiovani, ma fra i '70 e gli '80 non c'eraancora Youtube, neppure internet, fi-gurarsi Sky e se volevi vedere che so,Woodstock o Tommy o The song re-mains the same o i più rari e atleticiRenaldo & Clara o Pat Garret & Billythe Kid, potevi farlo solo all'Univer-sale. Entravi in un mondo a parte: sic-come, udite udite, non esistevanoneppure i cellulari, potevi scapparedal mondo per 2/4 ore ed entrare inun universo parallelo dove non vale-vano le regole del mondo normale,anzi dove non c'erano norme. Era ve-ramente un posto anormale. Tuttoera possibile lì dentro. Era certamenteun luogo politico, dove ci riconosce-vamo noi, di sinistra, alternativi. Maera anche un luogo di grande cinema:incontravi il nuovo cinema ameri-cano indipendente, oppure retrospet-tive di cinematografie altrimentiinvisibili. Non era solo l'Universale: aFirenze c'erano l'Alfieri, lo SpazioUno, non una rete, ma certamente di-verse possibilità di cinema di qualità,cineclub. Dal punto di vista cinema-tografico era un tempo – lo vogliodire alto e forte – mille volte miglioredi quello di oggi, in cui ci sono tantischermi, poche sale e soprattuttopochi film e quasi tutti commerciali.Sì, ho nostalgia di quel tempo cine-matografico a Firenze. Non solo per-ché eravamo giovani ed eravamoillogicamente sicuri che il nostro im-pegno politico, civile, culturaleavrebbe cambiato in meglio il mondo

di Simone [email protected]

KINO&VIDEO

Un altro cinemaè stato possibile

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Florence Night Movida Itinerari notturniFirenze 2008-2013

LUCE CATTURATA

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di Sandro Biniwww.deaphoto.it

di Alessandro [email protected]

MUSICAMAESTRO

Il termine polinesiano taongo puoroindica l’insieme degli strumenti tra-dizionali utilizzati dai Maori dellaNuova Zelanda: fiati e percussionicostruiti con conchiglie, legno, ossa epietra. Alcuni imitano i suoni natu-rali, dal vento al canto degli uccelli.Originariamente legati alle pratichereligiose, poi usati per l’intratteni-mento, questi strumenti caddero indisuso nel diciannovesimo secolo,mentre era in corso il processo di co-lonizzazione britannica che avrebbeportato alla nascita della Nuova Ze-landa (1840). I missionari, compren-dendo che il significato religiosodegli strumenti ostacolava la cristia-nizzazione, li distrussero o li brucia-rono in grande quantità. È stato necessario aspettare gli anniOttanta del secolo scorso perché unartigiano bianco, Brian Flintoff, rico-minciasse a costruirli. Flintoff ha col-laborato strettamente con duemusicisti, Richard Nunns (1945-vi-vente) e Hirini Melbourne (1949-

2003), che col loro disco Te Ku TeWhe (Rattle, 1994) li hanno reintro-dotti nella musica neozelandese.Oggi li utilizzano sia i compositori“colti” di origine europea come Mar-tin Lodge e Gillian Whitehead chegli altri musicisti del remoto arcipe-lago.Fra i tanti merita particolare atten-zione Rob Thorne, meticcio anglo-maori, che suona quasiesclusivamente questi strumenti. Lasua musica, però, non può essere de-finita “tradizionale”, dato cheThorne proviene dal rock e usa

anche apparecchiature elettroniche.Nato e cresciuto a Hamilton, ha co-minciato a cantare a tre anni. Dopoaver imparato a suonare la tromba ela chitarra ha perfezionato gli studialla Massey University. Negli stessianni si è dedicato alla musica rock esperimentale, con ampio uso di stru-menti elettronici. Un giorno unamico gli dette un koauau (piccoloflauto maori) e Rob rimase amma-liato da quello strumento insolito.Non solo cominciò a suonarlo, madecise di esplorare la vasta gammadegli strumenti tradizionali e imparòanche a costruirli. Il primo frutto di questo impegno èil CD Whāia te Māramatanga(Rattle Records, 2013). Oltre a for-nire un eccellente saggio delle capa-cità di Thorne, il disco èun’occasione per avvicinarsi a questesonorità ancora ignote in Europa.Come si può intuire, non si tratta dimusica da utilizzare come sotto-fondo mentre si fa la doccia o nelleserate conviviali. Soltanto ascoltan-dola in cuffia, magari al buio, è possi-bile coglierne appieno la struttura

apparentemente semplice, ma in re-altà articolata e complessa. Il disco contiene tre composizioni:“Whāia Te Māramatanga”, divisa inotto parti, la breve “Whakawhiti” e“Pursue Enlightenment Suite”, di-visa in sette. Thorne ci propone unamusica evocativa che attinge a sono-rità antiche, ma le trasforma e le rige-nera. In questo modo il musicistaneozelandese continua un’antica tra-dizione e la proietta nel futuro. In due brani compare come ospite ilsuddetto Richard Nunns, che ancoroggi è il più prestigioso suonatore ditaonga puoro. L’approccio musicale di Thorne ri-corda quello di Jorge Reyes (1952-2009), un grande compositoremessicano che era riuscito a fonderegli stimoli musicali precolombianicon le molteplici opportunità offertedalle apparecchiature elettroniche.Lontana anni luce dalle sonorità zuc-cherose della New Age, la musica diWhāia Te Māramatanga racchiudel’essenza di quella Polinesia miste-riosa e affascinante dove il maresconfinato incontra il cielo.

Il suono del mare che incontra il cielo

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Il quartiere di Javel, nel XV arron-dissement a sud ovest di Parigi, al-l'inizio del 900 era fortementecaratterizzato da un'alta concentra-

zione di fabbriche dedicate all'indu-stria dei trasporti che costruivanolocomotive, dirigibili e le prime vet-ture. Per questo motivo la chiesa che fucostruita negli anni 30 su progetto del-l'architetto Charles Henri Besnard,oltre a rappresentare una novità asso-luta (la prima al mondo ad essere edi-ficata in cemento armatoprefabbricato), fu dedicata a SaintChristophe protettore dei viaggiatori edei mezzi di trasporto perché, secondola leggenda, avrebbe aiutato Gesù an-cora bambino ad attraversare un tor-rente trasportandolo sulle spalle. Lachiesa ha qualcosa di surreale: sulla fac-ciata d'ingresso e poi all'interno nelcoro troneggiano alcuni straordinariaffreschi, opera di Henri MarcelMagne, che rappresentano San Cristo-foro in atto di benedire o affannato asoccorrere navigatori, aviatori e mac-chinisti. In uno di questi il santo sitrova in una macchina, che si intuiscelanciata a tutta velocità, seduto accantoal conducente con cuffia di pelle e oc-chialoni secondo la moda del tempo.Ciò che rendeva particolarmente im-portante il quartiere di Javel era lagrande fabbrica della Citroen che siestendeva con una superficie di 14 et-tari vicino alla Senna, tra Pont Mira-beau e Pont du Garigliano, fino aquando, con l'espandersi della città, nel1972 la produzione fu trasferita fuoriParigi. La grande superficie liberatadagli stabilimenti è stata riconvertita aparco pubblico, uffici e area residen-ziale su progetto del famoso architettoPatrick Berger, oggi impegnato nella ri-costruzione di Les Halles, e del paesag-gista Gilles Clement, tra i più noti diEuropa e artefice dei giardini de la Dé-fense. Il parco, dedicato a André Ci-troen e inaugurato nel 1992, è uno deimigliori esempi di giardino contempo-raneo per la varietà degli allestimenti,le architetture moderne e le innova-zioni tecnologiche. Vegetazione, pietra,vetro e acqua sono messi in relazionetra loro con un impianto fortementegeometrico. Un grande prato centralecon fontane arricchite da giochi d'ac-qua unisce diverse tipologie di giardiniad ognuno dei quali è associato un co-lore e un elemento: al giardino Blu è as-sociato il rame, al Verde lo stagno, alRosso il ferro, al Dorato l'oro....Com-pletano il parco due grandi serre cheospitano un giardino mediterraneo eun agrumeto, un canale che si raccordaalla Senna e un grande pallone aerosta-tico, omaggio alla storia del quartieredi Javel, ancorato al terreno con uncavo di 150 metri. Il pallone, come unsilenzioso ascensore spinto dalla legge-rezza dell'elio, può portare 30 personeoffrendo loro una delle più belle e ori-ginali viste di Parigi.In funzione tutto l'anno tranne nellegiornate piovose o ventose.

VISIONARIA

di Simonetta [email protected]

Là dove c’erail cemento...ora c’è il verde

Al curatore scientifico del progettomuseologico Valentina Gensini,al consulente scientifico Maria GraziaMessina e per conoscenza al sindaco DarioNardella

Quando mi fu chiesto di far partedella collezione del costituendomuseo del Novecento di Firenze conopere risalenti agli anni sessanta – perl’esattezza due opere per le quali ot-tenni dal Comune di Firenze unaborsa di studio per giovani artisti -espressi il desiderio legittimo di parte-cipare con lavori più recenti; mi fu ri-sposto che la curatela si sarebbeattenuta scrupolosamente al criteriodi esporre solo opere di proprietà delComune. All’inaugurazione di lunedì23 Giugno, come si poteva facilmenteprevedere, il criterio è stato smentitodalla presenza di opere di alcuni arti-sti.

E’ stata stampata una guida breve cheavrebbe dovuto offrire un tracciatostorico di massima. Al capitolo “Fi-renze alla Biennale di Venezianell’88”si omette - si stenta a credere sitratti di dimenticanza - che il sotto-scritto fu uno dei quattro scultori invi-tati da Giovanni Carandente apartecipare in quell’anno con una sala

monografica nel padiglione italianoalla suddetta Biennale ( gli altri: Mat-tiacci, Pomodoro, Kounellis ). Ritengo che mettendo nero su bianco,come avete fatto, siate i responsabilidella disinformazione offerta dalmuseo, avete dimostrato di non cono-scere come sono andate veramente lecose. Come sempre vi siete fidati deisuggerimenti che qualche “consi-gliere” vi ha dato allo scopo di esaltareo abbuiare certi profili per ricavarnevantaggi. Si sa bene che la disatten-zione dei cosiddetti addetti ai lavori,per tradizione, accompagna la vita del-l’artista e che ogni società dell’arte hale sue eminenze grigie – di solito arti-sti caratterizzati da un segno d’accattoe dalla vocazione manageriale. Ri-mane solo la speranza che, un giorno,qualche istituzione possa offrire veritàai fruitori che ignorano tutto.

di Renato Ranaldi

LA LETTERA

Lettera apertasul Museo Novecento

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lenza colà, nei mercati esistono ban-chi specializzati in oggetti di uso earredo per queste "casette", minicop-pette, minicucchiaini di ceramica odi altro materiale, a volte pure colo-rati o con minuscolissimi elementidecorativi . Non ho proprio altro dadirvi!

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cercare altro da se, che le farà accettarela possibilità di viaggiare come mo-mento di lavoro e conoscenza, regalan-dole una eccezionalità verso cui potercorrere e alzarsi, anche attraverso mo-menti di vera ispirazione spirituale,dalla paura del vivere. Scivola infatti,nella ricchezza tematica e fra le varie-gate figure che popolano sapiente-mente il testo nei momenti più felici ecomplessi delle sue esperienze, un di-sagio, un piccolo sorprendente males-sere che la raggiungeràdefinitivamente, quando, chiusa l’espe-rienza dello “straordinario”, entrerà

nella “nor-malità” deiruoli di mo-glie e madre.R o m a n z oricco e mol-t e p l i c equello diM a s s i m oG r a n c h i ,dove iltempo e lep e r s o n es c o r r o n oc o s t r u i t e

con sensibilità attenta e meditata, conla profondità psicologica di chi sa guar-dare oltre le forme, che contiene vari li-velli di indagine e lettura sia nelletematiche affrontate che nelle persona-lità espresse, e questo porta il lettore anon smettere mai di interrogarsi e sor-prendersi delle parole, del “viaggio”che fa assieme alla protagonista per tro-varsi, alla fine, all’interno delle propriecomplessità, cambiato e arricchito dinuove domande a se stesso.

ODORE DI LIBRI

di Chiara Novelli

In giugno presso la libreria NardiniBookstore, Le Murate è stato pre-sentato il romanzo di MassimoGranchi “Come una pianta di cap-

pero” Ed.0111. Granchi nato a Cagliarinel 1974), vive in provincia di Siena eha pubblicato due saggi: “Camillo Ber-neri e i Totalitarismi” (Reggio Cala-bria, 2006) e “Siena: Immagine e realtànel secondo dopoguerra” (Siena,2010) oltre ad aver scritto articoli su ri-viste sul tema della comunicazionepubblica e istituzionale, sulla storiadella comunicazione e sullo sviluppolocale fino ad arrivare alla passione perla letteratura che lo ha portato a com-porre numerosi racconti brevi e lun-ghi.“Come una pianta di cappero” è ilsuo primo romanzo.La serata è stata aperta da Fiorella Mai-sto (Presidente dell’ACSIT- Associa-zione Culturale Sardi in Toscana) Unastoria, quella del romanzo di MassimoGranchi, che si svolge nella secondaparte del novecento, tra la Sardegna ela Toscana, e ha come protagonista unadonna, Edda Fossi, le sue età, la sua fa-miglia che vive in un quartiere di Ca-gliari tra i più popolari e problematicicon numerosi fratelli e sorelle, una casapiccola e sovrappopolata, due genitoricon alle spalle un’ origine segnata dallamulticulturalità, dalla fragilità di unamadre che si confonde nell’alcool e diun padre amatissimo che va e viene peril suo mestiere di giostraio. Una iden-tità quindi, quella di Edda, che vive ladifficoltà di identificazione in un mo-saico originario su cui cominciare a es-sere, il quale, ragazzina, la porterà a

Una storiafra Sardegnae Toscanaintornoa uncapperoSCAVEZZACOLLO

1) Stai sempre seduta2)Fai vedere solo il mezzobusto. Se luivuol vedere il resto, desisti e congedalo.3)Stai con le braccia conserte4) Ricorda che le donne più attraentisono quelle a composizione piramidale5)Ricorda che le spalle danno volume allafigura6)Ricorda che devi dare l’impressione diessere un po’ costretta dalle vesti7) Cerca di sembrare impacciata8) Ricorda che gli uomini sono moltosensibili al sorriso enigmatico9) Niente trucco. Niente mascara. Siisemplice e un po’ selvatica.10) Se lui vuole sottoporti a esame ana-tomico o geomorfologico, desisti e con-gedalo.11) Se t’interroga, dagli risposte intelli-genti, ma molto brevi.12) Ricordati, gli uomini si dividono in:incapaci, molto incapaci, totalmente inca-paci e geni.13) Scarta i geni. 14) I geni sono un errore dell’evoluzione.L’evoluzione, per questa colpa che si portadietro, è sempre in cura dallo psicologo.15) Ricorda, gli uomini sono buoni percose, tipo: la battaglia di Anghiari, bom-

di Massimo [email protected]

a cura di Cristina [email protected]

Abbeveratoio per uccelli in vetrosoffiato, fine '800. Il nome precisodi questo oggetto, deliziosamenteinutile e inevitabilmente artigianale,è "beverino". Si poneva dentro legabbie degli uccelli da compagnia oda richiamo, immagino, quelli cioèche venivano tenuti in un luogochiuso, ingabbiati sì, ma ben nutritie, che, al tempo giusto, erano posti,sempre ben custoditi dietro sbarremagari di sottili canne colorate diverde, su un ramo o in un "capanno"di frasche da dove, cantando, favori-vano l'arrivo di altri uccelli che svo-lazzando liberi e felici nei dintornidella voce, erano prontamente fred-dati dai cacciatori. La pratica è tut-tora in uso, il regolamento perdotarsi di uccelli da richiamo e dete-nerli e servirsene è molto articolatoe complesso, indispensabile comun-que il "porto d'armi". Dirò che piùbizzarri di questo di Rossano sono i"beverini" che arredano le minuscolegabbiette per grilli, diffusissime inCina. Per le strade vecchietti cheparlano o giocano a qualcosa hannoa sè vicina la gabbietta con l'appositogrillo, animale domestico per eccel-

BIZZARRIA DEGLI OGGETTI

Dalla collezione di Rossano

Abbeveratoio

I consiglidi Monna Lisabarde e catapulte, monumenti equestrietc. 16) Davanti a un uomo stai sempre inprospettiva lineare.17) Ricorda: l’uomo ha una modesta vi-sione periferica. Tende a dipingere pae-saggi toscani alle tue spalle…18) Chiamalo “Maestro”.

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matematici, diagrammi e onde sonore.Nonché lo studio approfondito di ognimateriale utilizzato, così come le sue ca-ratteristiche e la sua storia. Tutto ciò creaun ossimoro affascinate e sensuale nellesue opere, dove le pietre o l’uso di mate-riali diversi si sovrappongono in un con-trasto di chiaro/ scuro, pulito/grezzo,caldo/freddo, figurativo/astratto. In altreparole, la scultura del Brinati cerca l’armo-nia attraverso ritmi distinti che si propa-gano contemporaneamente e trovano nelloro insieme l’equilibrio che nasce delladiversità sia della forma, come dell’ener-gia che emana. Contrasto perenne chetraspare anche nel modo con cui egli sipone al mondo. L’appagamento nell’iso-larsi, attraverso una partenza verso l’im-mensità del mare, in contrapposizionecon la consapevolezza del bisogno che haun artista di emergere nella società perfare sentire la sua arte. Ed è in questo am-bito che Brinati scegli il marmo comemateriale più adatto ai suoi lavori. Fa diquesto la società che lo “soffoca”, lo af-

ICON

di Ramile Leandro

Mi sono trovata immersa nelverde del piccolo paesino diScarperia - FI, in un pome-riggio di sole intenso a visi-

tare lo studio dell’artista Lorenzo Brinati.Le parole, gli schizzi e i lavori dell’artistami hanno riportato alla mente una can-zone brasiliana degli anni ‘90. Il fram-mento della canzone, sopra menzionatain lingua originale, dice: “Niente di ciòche è stato sarà di nuovo della stessa ma-niera che fu un giorno; Tutto passa, tuttosempre passerà; La vita viene come onde,come il mare, in un andare e venire infi-nito…”. Penso non ci sia modo miglioreper iniziare a parlare del lavoro di Brinatiche partire da una canzone come questa.Cercherò di trasmettere attraverso pocheparole l’effetto estetico che i suoi lavori mihanno provocato, senza la pretesa di par-larne di ognuno, ma bensì seguendo lostesso modo semplice e pulito con cuil’artista mi ha fatto vedere le sue opere:con i piedi per terra e la mente curiosa. E’bastato entrare nel suo studio, per capireun po’ le domande che si è posto negli ul-timi anni. Un luogo senza spazi vuoti. Pa-reti, soffitto e pavimento coperti diappunti, disegni, dipinti, pietre, fram-menti di spartiti, poesie, fotografie, libridi fisica, matematica, arte, e chi più ne hapiù ne metta. Appunti di un’artista auto-didatta che ha imparato anche il nobilemestiere del marinaio per poter cono-scere le stelle, il suono del vento e le onde.Rispettare tutto questo, sono stati i primipassi del Brinati verso i legami tra arte,geometria e fisica. Fonte d'ispirazione delsuo lavoro è, infatti, la scienza che dà ori-gine alle forme della natura, a modelli

Non ne posso più di sentire la parola“Occidente”. E’ diventata il lemma-vessillo vuoto dei reazionari, uncontenitore immane dentro cui con-fluiscono i fantasmi delle nostre an-gosce. E’ un calderone pieno dicrepe, una pentolaccia che sta perspaccarsi nel calore secolare dellafiamma. Un corpo spugnoso che as-sorbe l’orrore e lo tramuta in normae legge, in mercato comune, in mo-neta condivisa. In altre parole nel-l’omologazione di orwellianamemoria. Ciò dopo due guerre inte-stine e città rase al suolo dallabomba H (pochi lustri fa, qui, in Eu-ropa, ci si massacrava). Una distor-sione geografica che unisce Tokio eSingapore alla Magna Carta, la Viadella Seta alla cesta che accoglie latesta del Capeto. “I valori dell’Occi-dente”. Le “democrazie”. Simulacrid’ordinamento costituzionale e ci-vile. Distonie del linguaggio. Mal’Orrore, quello con la O maiuscola,è fiume carsico. Rampolla laddove laciviltà del nostro salotto buono nonarriva, nei luoghi non più remoti,resi attuali dalla nitidezza delle tele-camere. Secoli e secoli di dominio

di Francesco [email protected]

Piediper terraUn tuffo nei proprisensi

dell'Occidente in funzione diMonsieur Profittohanno generato op-pressione, ster-minio di interepopolazioni(Indianid'America,Maya, Aztechiecc. ecc.). Que-sto con buonapace delle pe-culiarità tra cri-stiani,protestanti,atei, calvinisti,e compagnia di-scorrendo, a lorovolta in conflitto, tramassacri e massacrifino alle due guerre delsecolo scorso che hannovisto distruggere e divorarebuona parte di quell'Occidentemedesimo che adesso è latore di Va-lori Universali di Democrazia.Per cui faccio al barista: - Che ne pensiamo di questo Occi-

dente ege-mone, di questa distonia del lin-guaggio eh? Il Giappone e laCalifornia! Non c’è più geografia

che tenga!- Guardi, per me questi si devonotrovare il lavoro là dove vivono, che

qua non ce n’è.Per cui faccio al barbiere:- Ma quindi la questione dellemma “occidente”…- Siamo in mezzo agli africani, aMaometto e ad Ali Babà.Per cui faccio al muratore che stariparando il terrazzo:- Come la mettiamo ordunquecon questo Blob para-democra-tico da esportazione?- Non guardo Rai Tre perchésono comunisti.La parola Occidente andrebbedeclinata con quella di Coloniali-smo. La parola Occidente andrebbe

sostituita con quella diSchiavismo. La parola Occidente andrebbe cam-biata con quella di Profitto.La parola Occidente significa Oli-garchia, Egemonia, Potere.Siamo un popolo ignorante, razzistae maleducato.

fronta, lo guarda, lo sente e lo accarezzacome un fiore, finché lo fa diventare leg-gero, tenue, semplice nella forma e arric-chito nei significati. Le sue operediventano dunque il paradiso e la bellezzache cerca per la sua vita e la voglia che hadi portare la stessa armonia a chi loguarda. Nella mostra “Deus Sive Natura”(letteralmente "Dio ossia la Natura"),nome scelto dell’artista, che significa “lanatura intesa come l’insieme di tutto ciòche esiste”,il Brinati mette in mostra i suoipiccoli paradisi in marmo e bronzo, invi-tando lo spettatore ad un viaggio nell’es-senza della natura in un postoparticolarmente importante per l’artistache ha vissuto la maggior parte della suavita in Borgo San Frediano. Fare una mo-stra in questo posto significa a maggior ra-gione reimmergersi in un’energia vissutaprima ma che, come dice la canzone, “nonsarà di nuovo nella stessa maniera che fuun giorno”. Accresce l’importanza dellalocation: un studio, “Ecletico SpazioD’arte” che da una parte lavora con il con-temporaneo e dall’altra con l’antichità.Dualità presente nel lavoro del Brinati,che pur utilizzando una tecnica pittoricacon materiali classici presenta riflessioniestremamente contemporanee sulla com-plessità di trattare e vedere il paesaggionella sua essenza. Le tracce che mi hannolasciato questi lavori sono pari ad un tuffoprofondo in onde sonore di cui tantol’energia che le genera, quanto l’aria che lepropaga e tutta la natura che le assorbevengono rappresentate in movimenti chetramutano tutto ciò che è pietra, marmoo bronzo in energia, in mare, in acqua. Untuffo nei propri sensi.A Eclettico-spazi d'Arte San Frediano 44a/r

A occidente di cosa?CATTIVISSIMO

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di Michele [email protected]

MENÙ

La dicitura maritata deriva dal fattoche gli ingredienti di carne e ver-dura, si "maritano" partecipando in-sieme alla minestra. La ricetta nelcorso degli anni è stata notevol-mente rimaneggiata eliminando omodificandone gli ingredienti chesono sempre più rari da trovare incommercio. Durante le festività tra-dizionali, tuttavia, nei mercatini rio-nali di Napoli si possono acquistarele verdure tipiche per preparare laminestra maritata, che sono tipica-mente cicoria, piccole scarole (sca-rulelle), verza e borragine, che neconferisce una nota amarostica. Inqualche variante si usa anche la cata-logna (in napoletano: puntarelle).La carne è tipicamente di maiale,con tracchie ( costine ), salsicce ealtri tagli.Nella tradizione più antica invecedel pane tostato si usano gli sca-gliuozzi, tipiche frittelle di farina dimais fritte dalla forma arrotondata,adagiate sul fondo del piatto.Curioso notare come nella tradi-zione gastronomica ciociàra (dellaCiociarìa, regione storica del Laziomeridionale) tale ricetta trovi ospi-talità nei libri di cucina ed è segna-

Scarulelle e puntarellesi sposano con le tracchie

di Ilaria [email protected] Città d’acqua Lucca San Michele

LUCE CATTURATA

500 gr di scarole 500 gr di cicoria - 2spicchi d’aglio - croste di formaggioparmigiano - caciocavallo secco - pe-peroncino - erbe aromatiche.Preparazione Per il brodo e la carnePrendete un pentolone di grandi di-mensioni. Sul fondo sistemate tuttala carne che avrete in precedenza ta-gliato a pezzi. Coprite la carne conabbondante acqua e salate. Aggiun-gete le erbe aromatiche. Mettete lapentola sul fuoco fino a quando lacarne non sarà cotta. Quando lacarne è pronta, toglietela dalla pen-tola e disossatela. Nel frattempo ri-mettete la pentola sul fuoco sino aportare a ebollizione il brodo che siè così venuto a creare. Aiutandovicon una schiumarola eliminate ilgrasso in eccesso.Per le verdureLavate, pulite le verdure e iniziate afarle cuocere in una pentola a partepiena d’acqua salata. A metà cottura,dopo circa un quarto d’ora quindi,scolate le verdure e mettetele nelbrodo.La cottura Aggiungete le due croste di parmi-giano, un pezzetto di caciocavallo, ilpeperoncino, l’aglio e tutta la carneche avete tagliato a pezzi. Terminatela cottura per circa 3 ore. La mine-stra maritata va servita molto calda.

lata sui ricettari tipici della zona.La preparazione del perfetto matri-monio tra il maiale, le verdure e lespezieIngredienti: 500 gr di guanciale di

maiale - 400 gr di costine di maiale -500 gr di salsiccia piccante - un ossodi prosciutto - 150 gr di guancialesalato - 100 gr di lardo - 700 gr diverza - mezza insalata cappuccia -

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.com sabato 12 luglio 2014no84 PAG.15C.com HORROR VACUI

Disegni di PamTesti di Aldo Frangioni

Un caro amico,scomparso daanni, mi raccon-tava spesso dellesue strane avven-ture erotiche.

“Nonho maivisto –mi disseunavolta –comefossefattaG.O. ,puravendouna co-gni-zioneprecisadel suo

grandecorpo. Ciincontra-vamosempredi nottein unastanzatuttabuia, nonavendocono-sciutoneppureil suonome lachiamavoil mioGrassoOscuro”.

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parole dell'immagine della giovanesocietà, quella nuova idea del pro-getto decostruttiva e obliterante diogni idea di social network che nonsia informatica e virtuale espressionedi una decadente cultura del vivereproiettata nel non-progetto del sé fu-turo, implicita quanto drammaticaammissione del non sapere nem-meno cosa potrebbe essere. 

ODORE DI LIBRI

di Giacomo [email protected]

Storie di un calcioche non esiste più

Perché Trash Town? Il vocabolo in-glese trash vuol dire anche cianfru-saglia, paccottiglia nel senso diqualcosa, o un luogo, senza forma-struttura, la morphé che Pericleconsiderava invece essenziale per ilvivere civile nella polis. Firenze oggiappare diroccata, frastornata e invi-vibile. Ne è rivelatore l’uso notturnodella città, diventato controllabilesolo con l’intervento delle Forzedell’Ordine. La questione della“Ruota Panoramica” al Parco delleCascine motivata unicamente sul “...la faremo come quella di Londra ...”espressione nardelliana tristementesolitaria di una cultura (?) interna-zio-nalista. E la ormai annosa que-stione dei dehors? Non si dica, perfavore, che “... a Parigi ci sono e per-ché qui da noi no ...”. Londra è Lon-dra, e Parigi è Parigi, ma Firenze ètutt’altra cosa: fragile, becera quantobasta e tutto sommato molto piùprovinciale di qualunque altra cittàdel mondo, eppu-re così tanto piùinternazionale da sembrare univer-sale, così tanto amabile e amata.Questa Firenze che si sta invol-vendo tristemente in una TrashTown, una città paccottiglia chepare impersonare aspetti ancora in-consci di una gioventù aliena alla re-altà. L'idea della ruota panoramica ela polemica sui dehors non parreb-bero, allora, una questione estetica,ma piuttosto parte emergente dellanaturale definizione a gesti e non a

In periodo di Mondiali brasiliani,par d’obbligo occuparsi di due libriche trattano appunto di calcio e lofanno in modo affatto banale. Il

primo ha proprio nel Brasile il suo sce-nario d’eccellenza, là dove nacque unodei più famosi e amati campioni ca-rioca, Socrates, il “Doutor” o il “taccodi Dio”, soprannome malamente tra-dotto dalla stampa italiana e che in-vece, in portoghese, suona molto piùpoetico, cioè “il tacco che il pallonechiese a Dio”. Il libro (Un giorno tristecosì felice, Ed.66thand2nd) scritto daLorenzo Iervolino con una certa en-fasi (sempre sotto controllo), è uncommovente (e documentatissimo)viaggio alla (ri)scoperta dell’uomoche fu l’artefice della “DemocraciaCorinthiana”, il primo caso di autoge-stione totale di una squadra di foot-ball, il Corinthias di San Paolo, di cuiSocrates fu capitano e leader carisma-tico. Quasi un caso di folklore spor-tivo, per gli occhi miopi degli europeie invece scelta politicamente eversivain una società, come quella brasilianaa cavallo tra gli anni ‘70 e ’80, che do-veva fare i conti con una dittatura mi-litare forse meno tristemente nota diquelle coeve in Cile ed Argentina, manon per questo meno feroce e repres-siva. Il fatto che una squadra di calciomostrasse al mondo che ogni deci-sione relativa alla sua vita quotidiana(durata degli allenamenti, sì o no ai ri-tiri, calciatori da acquistare o vendere)fosse presa con votazioni nello spo-gliatoio (a cui partecipavano anchemassaggiatori e tecnici) e dunque ri-messa alla maggioranza, costituiva unpericoloso tarlo per il regime, uno sco-modo esempio che rischiava di allar-garsi al tessuto sociale. Se poi quellasquadra, in cui i giocatori bevono e fu-mano, vanno alle feste la sera primadella partita, si allenano a piacimento(Socrates addirittura una sola volta asettimana perché doveva preparare gliesami per la laurea in medicina e rag-giungeva i compagni poco prima del-l’inizio del match), se, dunque, lasquadra addirittura vince il campio-nato brasiliano, ecco che lo slogandella “Democracia corinthiana”, stam-pato spavaldamente anche sulle ma-glie dei calciatori, diventa un vero eproprio pericolo. Non manca la narra-zione della breve e incolore parentesifiorentina, dove il “Magrao”, altro iro-nico soprannome del Doutor, si scon-trò con un mondo, non solo pallonaro,lontano anni luce da quello in cui eranato. Gli aneddoti si sprecano. Unoper tutti quello di Socrates che, du-rante il ritiro precampionato, sfiancatodalla quotidiana corsa in montagna, siavvicina ad Antognoni e gli chiede.“Scusa, ma in Italia i campi di calciosono in salita?”. Di tutt’altra pastaerano fatti i “bad boys” che portaronola Lazio alla conquista del suo primoscudetto nella stagione 1973-74. Una“sporca dozzina” (meno uno…) chenegli spogliatoi non solo non teneva

assemblee e votazioni, ma era addirit-tura spaccata in due clan, quello diChinaglia contro quello di Martini. Lapartitella in famiglia del venerdì si tra-sformava in una battaglia più aspra diquella domenicale in campionato.Scontri e agonismo esasperati, a talpunto che Chinaglia non voleva smet-tere se la sua squadra stava perdendoe così l’allenamento finiva a buio fatto.Se Socrates aveva sempre con sé piledi libri, alla Lazio si trastullavano conle pistole, prendendo di mira lam-pioni, cartelli stradali, barattoli. Ma fuproprio per un maledetto colpod’arma da fuoco che l’ala Re Cecconimorì tragicamente nel 1976, ucciso daun gioielliere che credette per erroredi essere vittima di una rapina. Unasquadra, quella del primo scudettobiancazzurro, segnata da un sinistrodestino. Oltre a Re Cecconi se ne an-dranno prematuramente Maestrelli,stroncato da una malattia, l’allenatore

che, lui solo, era in grado di tenere in-sieme quel coacervo di giocatori ca-ratteriali e incostanti, Frustalupi,morto in un pauroso incidente stra-dale a cinquant’anni e poi lui, Gior-gione Chinaglia, il bomber, iltrascinatore, il cavallo pazzo, colui gra-zie al quale il “vaffanculo” rivolto al-l’allenatore (Ferruccio Valcareggi,nda), è stato ribattezzato, appunto,gesto “alla Chinaglia”. “Long John” èstatostroncato da un infarto, quandoormai per la giustizia italiana era un la-titante. Questa storia di uno scudettovinto nella più totale anarchia, è abil-mente narrata da Guy Chiappaventiin Pistole e Palloni (Ed. Castelvecchi,ma già uscito nel 2004 per Limina)che con il libro di Iervolino ha in co-mune la capacità di raccontare fa-cendo parlare i testimoni diretti,andando a cercare coloro che furonoi protagonisti di quella cavalcata inar-restabile, che riportò lo scudetto nellacapitale per la prima volta dopo laguerra. Cronache di un altro calcio. Ilsaggio sportivo è un genere letterarioche sta conoscendo una crescita siad’interesse sia di qualità narrativa. Itesti di Iervolino e Chiappaventi nesono due eccellenti esempi.

di Alessandro [email protected]

TRASH TOWN

i pistoleri

La faremocomequelladi Londra

Il dottoree

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.com sabato 12 luglio 2014no84 PAG.17C.com RI-FLESSIONI

di Fabrizio [email protected]

Sembra quasi che sul parco delle Ca-scine aleggi una maledizione; la terri-bile morte della piccolissima Alice edella zia è solo l’ultima di tante trage-die delle quali il parco è stato testi-mone, a cominciare da quella del 26settembre 1948.Dal 1946 si era iniziato a disputarealle Cascine il circuito di Formula 2che richiamava un’enorme folla di ap-passionati e semplici curiosi: pare chea quello del quale stiamo parlando as-sistessero oltre 50.000 spettatori.Il Comune di Firenze aveva provve-duto a riasfaltare tutto lo sviluppo delcircuito, come ha fatto di recente per imondiali di ciclismo; ma, se il parcodelle Cascine è una cornice ideale perle gare ciclistiche, non altrettanto sipuò dire per le corse automobilisti-che: sembra impossibile ma, quasi 70anni fa, sul rettilineo di circa 2 km.Viale dell’Aeronautica-Viale degliOlmi, le auto erano in grado di rag-giungere una velocità di punta vicina

ai 200 km/h, proprio quello che civoleva su un rettilineo costeggiato daalberi secolari e che si concludeva conuna svolta ad angolo retto.Alla gara sono iscritti i migliori pilotidel momento, in rappresentanza dellemarche più note: fra gli altri la Ferraricon il primo pilota Raymond Som-mer e l’idolo dei fiorentini ClementeBiondetti, la Maserati con Ascari eSerafini, la BMW con Moore, laSimca-Gordini con un pilota davverosingolare: il principe del Siam in esilioBira. Fra le auto partecipanti ci sonoanche due “Ermini”, progettate dalfiorentino Pasquale Ermini, detto“Pasquino”: una la guiderà lui stesso.Al termine delle prove ufficiali Bion-detti conquista la pole position da-vanti a Serafini, Ascari e Sommer e

questo è l’ordine di partenza che ve-dete nella foto; Ermini è nelle retro-vie. Sommer, che ha la macchina piùpotente, si impone facilmente e Bion-detti riesce a piazzarsi al secondoposto. Ma il fatto sportivo passa in se-condo piano (nonostante la gara fosseincredibilmente portata a termine) difronte a quello che succede al 42° giro(dei 60 previsti). Pasquino, arrivandodal Viale degli Olmi, non riesce asvoltare nel Viale della Catena e, pro-prio dove ora c’è la fermata della tran-via, piomba sulle recinzioni a oltre

160 km/h, travol-gendole: muoiono 6persone, fra le quali3 ragazzi.L’inchiesta, oltre adappurare che Erminiaveva apportato allasua vettura dellemodifiche non pre-viste dal regola-mento, portò ancheal rinvio a giudiziodegli organizzatori,che non avevano

adottato le necessarie cautele a prote-zione degli spettatori, in particolare inquel punto pericolosissimo, al ter-mine del rettilineo; fra l’altro emerseche, degli oltre 50.000 spettatori, al-meno la metà erano entrati abusiva-mente, approfittando di varchi nellarecinzione del circuito; molti (fra iquali una delle vittime) assistevano alcircuito, al di là degli assiti di prote-zione, in precario equilibrio in piedisulle canne delle biciclette. L’inci-dente, ovviamente, segnò la fine dellabreve vita del circuito delle Cascine.

Viale degli Olmi

Tragediaalle Cascine

di Laura [email protected]

Ho da poco finito di leggere“La costanza della ragione” diVasco Pratolini, un libro chea tratti mi ha entusiasmata

moltissimo, forse per l’empatia che siè venuta a creare con Bruno, il per-sonaggio principale del libro, o forseper quei continui richiami a luoghi ame molto familiari. Mi è sembratodavvero di essere sbalzata per lestrade di Rifredi, di Careggi o delCinquale negli anni ’60, di sedermi amangiare in quelle vecchie trattorie,di assistere, seduta al tavolo della cu-cina, alle interminabili, spesso incon-cludenti, discussioni tra la madreIvana e il figlio Bruno. Sì perché nellamaggior parte dei casi i confronti tramadre e figlio avvenivano a cena, da-vanti a un piatto divenuto ormaifreddo. Forse perché la cena rappre-sentava l’unico momento della gior-nata nel quale il figlio e la madrepotevano davvero incontrarsi e scon-trarsi.Non avevo mai prestato troppa at-tenzione al fatto che effettivamentealcuni dei momenti più importantiall’interno di un romanzo sianostrettamente legati ai pasti consu-mati dai personaggi o più semplice-mente che spesso le trame di un libroabbiano inizio attorno ad una tavolaimbandita. Poi sono venuta a cono-scenza del lavoro della designer sta-tunitense Dinah Fried e ho iniziato arendermi conto di come molti dei ri-cordi dei libri che ho letto siano le-gati al cibo, sia esso servito,mangiato, o semplicemente vistocome momento di incontro. Quellodi Dinah Fried è stato un lavoro ini-ziato per gioco due anni fa, mentrefrequentava un corso alla Rhode Is-

Ecco che improvvisamente sembradi trovarsi dinnanzi al ricco buffet diantipasti delle suntuose feste a casaGatsby, di gustare il cocktail con gine ananas di Nabokov o, volando an-cora di più con la fantasia, di sedersial tavolo a fianco del Bianconigliosorseggiando il tè. Moby Dick (Herman Melville), Il ta-lento di mister Ripley (Patricia Hi-ghsmith) , Dalla parte di Swann(Marcel Proust), sono solo alcunidei romanzi rivisitati da DinahFried. Una ricerca metodica, con-traddistinta dalla volontà di ripro-durre fedelmente l’atmosferadell’originale letterario.Certo qualcuno potrebbe storcere ilnaso, asserendo che non vi è poimolta difficoltà nel leggere un libroe nel ricreare il pasto consumato nelromanzo scattando una semplice fo-tografia. Io, al contrario, trovo chel’operazione di Dinah Fried nella suasemplicità abbia una forte improntacreativa, non solo perché nessunoprima di lei aveva mai pensato aquanto i pasti descritti in alcuni deipiù famosi romanzi avessero unruolo cruciale, ma soprattutto è am-mirevole la sua volontà di ricrearescenari perfetti, immedesimandosiesattamente con l’autore. I “piatti letterari” contenuti nel libroFictitious dishes è un modo interes-sante per sposare lettura e cibo, atti-vità ugualmente nutrienti perl’anima e per il corpo, e grazie al la-voro di Dinah Fried, a noi è sem-brato di sedersi davvero allo stessotavolo, condividendo lo stessopasto, con Ernest Hemingway,James Joyce, Mark Twain, FranzKafka, Gustave Flaubert, ecc... In findei conti Fictitious dishes non è cheun bel regalo per la nostra fantasia.

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

land school of design, un progettoche doveva essere limitato neltempo, ma che fortunatamente pernoi è stato portato a termine, racco-gliendo le foto scattate all’interno di

un libro.“Fictitious dishes: an album of lite-rature’s most memorable meals”contiene 50 fotografie di piatti de-scritti in alcuni tra i più famosi ro-manzi degli ultimi tre secoli. Ognifoto è accompagnata dall’estratto delromanzo in cui si nomina la ricetta ealcune informazioni sull’autore,sull’opera e sul piatto. Le foto sonoscattate tutte dall’alto, proprio perpermettere al lettore di immedesi-marsi nel migliore dei modi con ipersonaggi del romanzo.

Mangiacome(cosa)leggi

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.com sabato 12 luglio 2014no84 PAG.18L’ULTIMA IMMAGINE

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San Jose, California, 1972

Siamo in uno studio fotografico per ritratti nellaparte di San Jose abitata in prevalenza da "chica-nos". Aperto direttamente sulla strada era specializ-zato in ritratti, dalle fototessere ai posters di variedimensioni. Su richiesta scattavano anche foto dimatrimonio e fornivano immagini ad un piccolo

giornalino locale della comunità. I servizi erano diqualità medio bassa ma l'ambiente era accoglientee simpatico. I prezzi erano adeguati al tipo di clien-tela ed i proprietari erano due giovani molto allamano. Mi sono sempre riproposto di tornare e faresu di loro un piccolo reportage. In realtà non non

ho mai trovato il tempo per farlo e mi dispiace. L'al-tra immagine, sempre scattata nello stesso quar-tiere mostra un altro tipo di "Fast food", il TacoBell, con piatti quasi esclusivamente messicani. Idue clienti sono degli studenti dell'Università diSanta Clara.

Dall’archivio di Maurizio Berlincioni