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1 Politecnico di Milano - Facoltà di Design degli Interni A.A. 2014/2015 Tesi di Laurea Magistrale Titolo: Necchi: factory & happening Studente: Gianluca Paso Matricola: 801742 Relatore: Luca Guerrini Co-relatore: Luca Bombassei

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Politecnico di Milano - Facoltà di Design degli Interni

A.A. 2014/2015Tesi di Laurea MagistraleTitolo: Necchi: factory & happening

Studente: Gianluca Pasotti Matricola: 801742Relatore: Luca GuerriniCo-relatore: Luca Bombassei

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Dedicato alla mia famiglia.

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INDICE

1 ABSTRACT

2 REALTÀ FABBRICA: ITALIA IN EVOLUZIONE

2.1 Industrialismo: Ford e gli USA

2.2 La fabbrica produce, la fabbrica compra

2.3 Da Confindustria alla Crisi del ‘20

2.4 La Crisi del ‘29: applicare Ford

3 LA FABBRICA GENERA DESIGN

3.1 Il “rischio” di essere Italiani

3.2 Póiesis e lusso italiani

4 LA MACCHINA PER CUCIRE

4.1 Dalla Francia con Thymonnier

4.2 Singer: dall’industria alla casa

4.3 Macchine e design: perchè la macchina per cucire

4.4 L’oggetto del desiderio

5 NECCHI

5.1 Vittorio Necchi: vivere la Necchi

5.2 Affrontare la storia

5.3 Le direzioni di produzione

5.4 Dopo gli anni ‘50: verso il declino

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5.5 I modelli e il design 5.6 Campagne pubblicitarie

6 PROGETTO

6.1 Pavia industriale

6.2 La Necchi oggi: Gianluigi Albergati

6.3 Entrare nella fabbrica

6.4 Happening

6.5 Da Kaprow a Ronconi: Infinities

6.6 Necchi: The factory happening

6.7 Luci e percorsi

6.8 Vivere la scena

6.9 Isole e contenuti

7 CONCLUSIONI

8 BIBLIOGRAFIA

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ABSTRACT

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Nel ricordo di chi ha superato la cinquantina, la Necchi è, del resto, Vittorio, è

Gastaldi, è Martinoli, è la ricchezza d ’ i m p e g n o, d i e n e r g i e e d i r i s o r s e

materiali e umane nata e cresciuta a

Pavia, è la straordinaria folla di biciclette con gli operai che sciamavano verso e dall’azienda

mattina e sera, e sono pure le battaglie sindacali: combattute da uomini che a Pavia si con-

sideravano, operando o venendo dalla Necchi, l’aristocrazia del lavoro. Di quel che seguì,

del lungo tramonto-segnato, a me pare, soprattutto da una dolorosa inadeguatezza im-

prenditoriale tutta pavese, sarà peraltro necessario, prima o poi, tornare a scrivere.

Giulio Guderzo“Compagni di viaggio”

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Il progetto NECCHI Factory & Happening nasce dalla volontà di riportare alla memo-ria quella che è stata una delle realtà ital-iane industriali più importanti della storia e che ormai abbiamo dimenticato.

“Am ricòrdi che a Paviaghera un gran stabiliment l’er la Nèchi, cla gaviva ben cinq mila dipéndént...”

Oggi, la vastissima area della celebre azien-da delle macchine da cucire si presenta come un immenso cimitero di capannoni e strutture dismesse in amianto.Da anni, sono stati stanziati progetti mai conclusisi per rigenerare questo affasci-nante luogo che si trova a pochi passi dal centro storico di Pavia.Necchi non fu solamente uno stabilimento, fu l’anima e il cuore dell’intera comunità pavese che riuscì a combattere la crisi che intercorse tra le due grandi guerre, tra le ventate provenienti dal continente ameri-cano per risanare l’economia.Dal produrre ghisa al generare design gra-zie a Vittorio Necchi, che dai primi anni ‘20 tenne le redini dell’azienda; uomo rivoluzi-onario, grande comunicatore , imprendi-tore sempre attento alle esigenze dei propri dipendenti.150 anni di storia, raccontati all’interno di un allestimento ambientato in uno degli spazi dell’ex stabilimento.

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Il progetto allestitivo occupa il capannone destinato inizialmente all’ebanisteria che chiuse precocemente a causa degli alti costi di produzione; il successivo impiego di questo spazio rimane a noi sconosciuto. I resti di alcuni documenti che il nuovo proprietario Gianluigi Albergati ipotizza, è legato alla fase di montaggio finale delle macchine da cucire.L’intervento progettuale cerca di sfruttare al meglio il fascino e la suggestione che la stessa fabbrica ancora oggi offre.Rimane inoltre uno dei pochi ancora vis-itabili e in buono stato, dato che è stato ripulito dall’ Alvi Food di Albergati, realtà che oggi occupa un terzo dell’intera area Necchi.L’allestimento è stato ideato per poi poter eventualmente essere riproposto in altri luoghi.La fabbrica diventerà “teatro” delle vicende dell’azienda ormai scomparsa.Come proiettato in una grande scenografia, il visitatore entrerà in contatto con la storia sommersa del marchio Necchi.L’intero progetto si basa sul concetto dell’happening teatrale; non si tratta quindi di un teatro statico e inflessibile nel quale si è semplicemente spettatori passivi, ma una vera e propria esperienza multisensoriale che il visitatore potrà costruire in modo del tutto personale.Il percorso sarà scaglionato da una serie di tappe che andranno ad approfondire differ-

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enti temi legati al marchio Necchi, partendo da un inquadramento storico della Pavia in-dustriale dei primi anni del XX secolo, fino ad arrivare al contributo e alle novità che Necchi impresse nella storia del design ital-iano, il rapporto con il mondo della comuni-cazione e del marketing, e l’emancipazione della figura femminile.

Pag.12 Primi modelli Necchi con i classici dettagli simili alle an-tenate Singers.Operai nella Ambrogio Necchi, colaggio della ghisa (primi ‘900).

Pag.13 Donne al lavoro nella Vittorio Necchi (anni ‘40).Operaia allo spaccio aziendale Necchi (anni’40).

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LA NECCHI E

NATA CON LE

M A CC HI NE

PER CUCIRE

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E CON LE

M A CC HI NE

PER CUCIRE

MORIRAVittorio Necchi

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FABBRICHE IN EVOLUZIONE

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C’è una regola per l’industriale

e cioè: Fai il miglior prodotto

possibile al minor costo

possibile, pagando i massimi

stipendi possibili.

Henry Ford

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INDUSTRIALISMO

FORD E GLI USA

Gli Stati Uniti tra il XIX e XX secolo sono una potenza a livello mondiale sia nel campo della produttività agricola che industriale.Vorrei soffermarmi proprio sulla realtà in-dustriale degli Stati Uniti, poichè sarà la stessa a movimentare l’intero sistema eco-nomico europeo.Con il termine industrialismo si indica |“l’opera di mobilitazione degli interessi e delle risorse per il potenziamento della capacità produttiva, nella persuasione che essa conduca diritto alla modernizzazione del paese. L’industria è dunque ben di più che una forma di produzione organizzata: appare in se stessa come una leva per la trasformazione della società, come una for-za in grado di drenare e orientare risorse, capacità e qualità in grado, una volta con-fluite in un impasto coerente, di operare in modo pressochè automatico per un ordine sociale migliore e più funzionale”.|Il mondo industriale europeo, e in partico-lar modo quello italiano, inizia a confron-tarsi con quello degli USA nel momento in cui gli imprenditori europei iniziano a con-oscere quello che viene definito Metodo Fordista.Henry Ford è stato un imprenditore sta-tunitense. Fu uno dei fondatori della Ford Motor Company, società produttrice di au-tomobili a Detroit.

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Il Metodo Fordista, utilizzato a partire dal 1913, può essere considerato una combin-azione di alcuni elementi: l’organizzazione produttiva taylorista, la meccanizzazione dei processi produt-tivi (in seguito all’introduzione della cat-ena di montaggio) la standardizzazione dei prodotti finali.Frederick W. Taylor (1856-1915) fondò il suo pensiero basato sul principio che la migliore produzione si determina quando a ogni lavoratore è affidato un compito specifico, da svolgere in un determinato tempo e in un determinato modo. Sopra i dipendenti, il manager deve dirigere i lavori, affidandoli in modo tale da sfruttare al meglio le capacità di ciascun lavoratore.Alla base vi è una netta separazione tra pro-gettazione ed esecuzione dei compiti, ossia la separazione tra coloro che organizzano l’attività produttiva (ingegneri ecc.) e coloro che la svolgono (manodopera semispecial-izzata ecc.).La maggior produzione permette all’azienda di premiare con delle maggiorazioni nel sal-ari i dipendenti meritevoli.Il mondo della standardizzazione va a scon-trarsi in modo piuttosto violento con il mondo del made in Italy. Di fatto, il prodot-to italiano è ancora supportato dall’idea di artigianalità, e di conseguenza non per-mette tempi di produzione così limitati. Louis Bonnefon Craponne, industriale di Torino successivamente in Confindustria,

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sente la necessità di un cambiamento radicale nell’oganizzazione delle indust-rie Italiane; l’idea di base sta nel fatto che i lavoratori debbano essere coinvolti al pari dell’imprenditore e collaborare con quest’ultimo per il bene della fabbrica.Un’intervista di Craponne a Giovanni Agnel-li, che fondò la FIAT nel 1899, dimostra come il Fordismo sia ancora lontano dalla mentalità italiana fatta di clienti che rich-iedono un livello molto alto di qualità del prodotto.|“Non si potrebbero introdurre in Europa i sistemi di fabbricazione americani?”.Agnelli evita di rispondere. Nei suoi occhi passa un lampo, subito offuscato, e il suo-viso, che osservo attentamente, rimane impassibile.|

Pag.19Ford’s Trafford Park plant, Manchester, 1911.

Pag.21 Vittorio Necchi con collaboratori e Gianni Agnelli, 1951.Operai sui torni parlalleli, 1949.

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LA FABBRICA PRODUCE

LA FABBRICA COMPRA

La continua innovazione tecnologica ha portato con sè un cambiamento radicale soprattutto per quanto riguarda il lavoro degli operai. Le macchine lavorano ormai per l’uomo che è diventato una sorta di servitore delle stesse. Parliamo della nas-cita della catena di montaggio, dove la ri-petitività delle azioni porta l’operaio degli inizi del ‘900 ad allontanarsi dal mondo dell’artigianalità, per produrre in serie.Uno dei reperti cinematografici più impor-tanti è rappresentato dal cortometraggio Hard Times (1936), dove un Charlie Chaplin operaio viene letteralmente divorato dalla forza dei macchinari con i quali lavora; una vera e propria sfida tra uomo e macchina.In parte potremmo definire questo fatto come una prima assimilazione del modello di Ford, anche se le differenze sono ancora molte a partire dalla presenza dei sindacati, che in America non esistono poichè ciascu-na azienda tutela i propri lavoratori.Nonostante ciò, l’aumento della produttiv-ità e il conseguente aumento dei salari, non solo rendono partecipe l’operaio nella real-izzazione del prodotto ma lo trasformano addirittura nel futuro compratore.Proprio per questo motivo si può dire che la fabbrica inizi a dettare delle nuove regole all’interno della società. Come è già stato detto, siamo lontani dagli

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schemi dettati dagli USA dove L’industria è intesa non solo come luogo di produzi-one, ma anche come luogo su cui innestare progetti politici di cambiamento sociale. In Europa ma soprattutto in Italia non es-iste niente di tutto questo. La convinzione ricorrente in materia di gestione aziendale è quella che l’imprenditore deve essere padrone in fabbrica. Il suo ruolo è unico e questo fissa un discrimine sociale verso i lavoratori.

Pag.23Hard Times, 1936.

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DA CONFINDUSTRIA

ALLA CRISI DEL 1920

Confindustria è la Confederazione italiana dell’Industria. Nasce il 5 maggio 1910 per coordinare a livello nazionale le iniziative degli imprenditori sia nei rapporti con il governo e le amministrazioni locali, sia verso le organizzazioni sindacali rappre-sentare e tutelare gli interessi del mondo industriale.Nacque a Torino dove venne creata la pri-ma sede, per poi spostarsi a Roma.Dante Ferraris, industriale piemontese, presidente di Confindustria tra il 1919 e il 1920 guida gli imprenditori ad una visione completamente nuova della società. La guerra accelera il progetto industrialista di Ferraris. Imprenditori, sindacalisti riform-isti e rappresentanti delle istituzioni collab-orano per la mobilitazione industriale.Ferraris riafferma |“come tra capitale e mano d’opera vi sia un’incrollabile comu-nanza di interessi immediati” e che occorre “una classe operaia in buone condizioni economiche più attiva al lavoro e (atta a) rendere di più, più disposta ad assecondare il miglioramento delle (...) aziende”.|Fra il 1916 e 1917 si inizia a progettare la politica del welfare e sarà proprio la nuova rappresentanza degli imprenditori, la Con-findustria guidata da Ferraris ad instaurare un inedito ordine economico e sociale. Vi-

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ene negato ogni individualismo egoistico a favore della ricerca di un indirizzo collet-tivo: inaugurare un nuovo corso all’insegna del produttivismo per legittimare le forze collettive necessarie ad allargare il proces-so di governo dell’economia. Ma nel 1920 il progetto decade; il sinda-cato, infatti, comincia a criticare il fatto che la fabbrica continui a essere soggetta al po-tere esclusivo dell’imprenditore. Nella primavera del 1920 il tema della par-tecipazione operaia diventa molto forte; si sentiva la necessità di una vera e propria ricostruzione del mondo industriale.Nel novembre 1919 Guido Soria, un ingeg-nere quarantenne, trasmette a Giovanni Agnelli, in qualità di presidente degli indus-triali metallurgici e meccanici di Torino, un memoriale in cui sono scritte sue proposte per una riforma della disciplina industriale.

Pag.24Manifestazione di protesta ”Associazione Nazionale Mu-tilati ed Invalidi di Guerra”, 1919.

1920: fabbriche presidiate dalle Guardie rosse.

Pag.25 Elezioni politiche 1919 Partito Socialista Italiano.

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LA CRISI DEL 1929

APPLICARE FORD

Il modello americano è continuamente pre-sente nella testa degli europei; si guarda all’America e al suo |modello industriale che è il più “alto trionfo della civiltà mec-canica”.|In Italia ci si domanda se seguire il modello americano, ovvero l’introduzione di mac-chine meccaniche, non rischia di intaccare la manodopera degli operai specializzati, conseguenza della standardizzazione del prodotto; inoltre, un problema non di poco conto, quello della sovrapproduzione.La ventata “americanista” colpise l’Italia durante la crisi del 1929 e il Fordismo di-venta sempre più forte.Riccardo Gualino, uno dei maggiori im-prenditori emersi dalla guerra, espone la propria opinione nel romanzo Uragani. Nel libro, il protagonista Samuel Rosen parla del Fordismo |”Ford! Che genio! Ha com-preso meglio d’ogni altro l’anima e le pos-sibilità americane. Fu il primo a intuire che la soluzione del problema sociale e umani-tario sta nell’accrescere la capacità di con-sumo e il benessere delle masse operaie, mediante progressivi aumenti di salario”.|L’idea di Gualino è di una politica di com-pleta liberalizzazione degli scambi su scala globale; lo stesso afferma:|”Quando non ci saranno frontiere per gli

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uomini e per le merci il mondo godrà un be-nessere, oggi neanche supponibile”.|Il romanzo di Gualino non ebbe un grande successo ma è da considerarsi un documen-to importante che testimonia la sua visione sulla rinascita economica. Gualino, ignaro del fatto che di lì a breve, con l’avvento del-la seconda guerra mondiale e la produzione delle armi si avrà un grande incremento, è convinto che, riprendendo il Fordismo, si avrà una crescita tecnologica e un nuovo benessere sociale.Il programma di Ford viene assimilato più che mai in questo periodo; Ford afferma:|”La gente che lavora 5 giorni per settima-na consumerà più merci di quella che lavora 6 giorni per settimana. La gente che ha più ore libere deve avere più vestiti, deve avere maggior varietà di cibo. Più facilità di tra-sporti. Più servizi di natura diversa”.|E come Ford, anche Agnelli appoggia ques-ta visione di necessità di benessere sociale, che porterà beneficio non solo ai lavoratori stessi, ma all’intera struttura aziendale.Agnelli dice: |ciò di cui c’è bisogno è di “ridurre le ore di lavoro, aumentando pro-porzionalmente il salario, eliminare la dis-occupazione (...). I 25 milioni di disoccupati ritornando al lavoro e al guadagno compre-ranno”.|Quindi, il risultato dell’applicazione del pensiero Fordista è duplice: il mondo op-eraio viene aiutato e spronato non per una semplice opera caritatevole, ma per otte-

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nere un incremento di benessere sociale; un mondo di nuovi consumatori.

Pag.28Ford e il simbolo della rivoluzione produttiva americana, il Modello T.

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LA FABBRICA GENERA DESIGN

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L’Apocalisse ci attende: è verso quella direzi-

one che ci sta portando l’uso strumentale

della tecnica, responsabile della rottura del

legame vitale con l’ordine della natura.

Oswald Spengler

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IL RISCHIO

DI ESSERE ITALIANI

Nel capitolo precedente, abbiamo defini-to un quadro generale di quello che può definirsi il panorama economico italiano a confronto con quello mondiale nei primi trent’anni del XX secolo.Uno dei caratteri che differiscono la pro-duzione italiana con il resto del mondo è le-gata all’artigianalità e alla cura del dettaglio di cui Agnelli tanto parlava.Un aspetto questo positivo da un lato, ma negativo sotto il punto di vista produttivo.Diciamo che, nonstante negli anni ‘30 si sia arrivati ad accettare il modello Fordista che porta con sè l’idea di standardizzare i prodotti, l’Italia non potrà mai paragonare la propria produttività con quella del paese d’oltreoceano.Una volta presa la strada della mass pro-duction non si possono correre rischi. L’idea di poter uscire da un procedimento produt-tivo standard non viene presa in considera-zione per non rallentare la produzione st-essa. L’Italia, come altri paesi europei segue una linea differente, dove le nuove idee vengono testate e sperimentate per miglio-rare di continuo la qualità dei prodotti. A tal proposito, il filosofo tedesco Oswald Spengler che nel 1931 in L’uomo e la tecnica scriveva: “L’Occidente ha venduto la propria anima; ha mandato in frantumi la propria identità

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e ha cancellato il valore della tradizione … L’Apocalisse ci attende: è verso quella di-rezione che ci sta portando l’uso strumen-tale della tecnica, responsabile della rottura del legame vitale con l’ordine della natura. (...) Questa democratizzazione della tecni-ca, che suscita in ognuno di noi un’illusione di conquista, in realtà inibisce la respon-sabilità decisionale, distruggendo immagini e simboli della cultura millenaria a cui ap-partiene.(Andiamo verso la creazione di) una civiltà planetaria che presenterà ovunque le st-esse caratteristiche: nessuna grande reli-gione, nessun grande pensiero filosofico, nessuna grande forma d’arte”.Spengler riprende il tema dell’uomo Faus-tiano di Goethe che ha conquistato la Tec-nica, ma ha perso la Bellezza apollinea, la Póiesis.Nonostante ciò, il design italiano, seppur colpito in parte dall’idea di mass produc-tion, ancora oggi continua a mantenere quel valore di arte e poesia che negli anni ha contraddistinto moltissimi iconici oggetti famosi in tutto il mondo.

Pag.32 Superleggera, Gio Ponti, 1957.

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POIESIS

E LUSSO ITALIANI

La tanto acclamata “bellezza” che differ-isce il design italiano non è una tipologia di bellezza standard e così esplicita. Non nasce dall’idea di creare oggetti che esteticamente rispecchino dei canoni pre-definiti; è una bellezza alla portata di tutti, si è fatta conoscere ed è cresciuta con il passare del tempo.Molti di noi credono di non possedere e non utilizzare oggetti di design nella loro vita, inconsapevoli del fatto che il design italiano si nasconda in forme con le quali entriamo in contatto ogni giorno.Siamo così lontani dall’idea di lusso per come ancora oggi gli USA lo intendono; siamo in una dimensione creativa dove ciascun oggetto nasconde un’affascinante storia.L’obiettivo del fordismo, grazie all’evoluzione della tecnica, era legato all’idea di produrre sempre di più e nel mi-nor tempo possibile. Come abbiamo visto, con l’aumento dei salari, ciascun lavoratore avrebbe potuto permettersi di comprare di più, di diventare perciò lo stesso consuma-tore del suo lavoro.In Italia i più famosi oggetti di design entra-no a far parte della vita di ciascun cittadino indipendentemente dalla classe sociale a cui appartiene. Il vero lusso del design italiano sta nella sua

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capacità di creare questo forte legame con la società che lo circonda.Si fa riferimento ovviamente a quella parte di prodotti italiani che presentano un forte ruolo funzionale; basti ricordare La Moka di Alfonso Bialetti (1933), o La Lettera 22 di Marcello Nizzoli per Olivetti (1950), oggetti che hanno lasciato un segno indelebile nel-la storia del design italiano e sono diventati un tutt’uno con gli italiani.In occasione del cinquantesimo anniver-sario del Salone del mobile di Milano, nel 2011 è stata allestita la mostra Le fabbriche dei sogni: uomini, idee imprese e paradossi delle fabbriche del design italiano, dove Al-berto Alessi espone l’dea di Lusso Italiano:“Il design è un lusso? (...)(...) (Luxus, us = eccesso, intemperanza,fasto, magnificenza) e poi nelle lingue con-temporanee (francese luxe, tedesco luxus, inglese luxe, italiano lusso...): (...) la parola racchiude il duplice significato di eccesso, fasto, licenziosità, esibizione, sfoggio.Un possibile connotato del lusso, oltre all’eccesso, è sempre stata la distinzione. Cioè per essere considerato di lusso un bene deve conferire a chi lo possiede un certo grado di distinzione tra i suoi simili. Un paradosso interessante è poi che a mano a mano che i nuovi beni di lusso han-no successo di pubblico, cioè si diffondono nella società, subiscono il rischio di diven-tare normali, accessibili a molti, e quindi non più efficaci elementi di

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distinzione”.Alessi afferma che quando possediamo un bene considerato di lusso, subiamo un up-grading sociale ovvero un riconoscimento economico all’interno della cerchia dei nostri consimili; in sostanza, siamo spinti dal desiderio di appartenere ad un certo gruppo sociale, desiderio soddisfatto dal possedimento di un determinato oggetto, prodotto in modo limitato e accessibile solo a pochi eletti.Può forse essere questo l’unico scopo del design italiano? Possono gli oggetti del design italiano essere considerati beni di lusso?Al rigurado Alessi afferma:“I prodotti delle Fabbriche del design ital-iano possono essere classificati come beni di lusso in quanto rispondono in modo di-retto a parecchie delle caratteristiche sopra elencate.Ci rendiamo però anche conto che i nos-tri prodotti sono per altri versi distanti dai tipici beni di lusso. Mi sembra per esempio che noi non siamo per il lusso classista, rigi-damente esclusivo, proprio di una visione antica e chiusa della società. Mi piace pen-sarci, memori degli ammonimenti degli au-tori del design italiano, come dei pionieri di un nuovo tipo di lusso, interclassista e inclu-sivo, più rivolto all’interno che all’esterno dell’individuo.Aperto ai fermenti e alle speranze di una società in rapido cambiamento che tutto

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sommato, anche se con molta fatica, cerca di diventare migliore. Un lusso che privi-legia l’upgrading socio-culturale del pub-blico piuttosto che far leva su promesse di upgrading socio-economico che hanno sul pubblico per lo più effetti psichicamente e socialmente regressivi.Che, anche con il nostro contributo, renda la società un po’ più felice e un po’ più ma-tura”.Ovviamente, si tratta di un discorso piut-tosto ampio e che coinvolge una larga scala di differenti prodotti. Quello che è particolarmente interessante in questo ragionamento, è il fatto che molto spesso l’oggetto di design italiano non richiama l’attenzione del fruitore invogli-andolo a entrare a far parte di un mondo esclusivo e d’elite; mi piace piuttosto im-maginare che l’oggetto stesso brami di en-trare a far parte della vita del consumatore italiano, lo catturi e lo obblighi quasi a vi-vere la propria dimensione.L’italia, un paese dove gli oggetti sono en-trati a far parte della vita di ciascun individ-uo indipendentemente dalla classe sociale alla quale lo stesso appartiene. Dai volti noti dela tv e dello spettacolo alle famiglie meno abbienti. Molto spesso eventi storici sociali hanno contribuito alla nascita di nuovi oggetti e ispirato grandi designer. Achille Castiglioni cercò di risolvere in

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modo intelligente uno dei “problemi” che le famiglie si trovavano ad affrontare nelle proprie case, utilizzando un’ironia unica tipica del designer; progettò il famoso Sella (1957), un vero e proprio sgabello per tele-fono, una seduta scomoda ma che durante lunghe telefonate fornisce un divertente sostegno temporaneo.

Pag.36L’attrice Sandra Mondaini alle prese con la celebre Moka Bialetti.

Pag.37Illustrazione dello sgabello Sella, Achille castiglioni,

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Perché non luccicapiù, né si celal’ago precipitedentro la tela?

Fermò la macchinale ruote, ond’era

tanto ciarliera(...),

Ma pur dal tumuloregge e conforta,dolce memoria,la nonna morta.

Essa alla macchinala giovinetta

nipote affretta.

Bianchi miracolid’orli e costure,alacre artefice,tenta ella pure.Come rallegrasitutta la stanzase l’ago danza!

Con gaio strepitola ruota vola;

qua e là continuapassa la spola;l’ago precipitedà le puntatede le gugliate.

(...)

“La macchina da cucire”

Guido Mazzoni

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LA MACCHINA PER CUCIRE

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Bisogna stare attenti agli ingegneri.

Cominciano con le macchine per cucire e

finiscono con la bomba atomica.

“Critica dei critici” Marcel Pagnol

1949

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DALLA FRANCIA

CON THYMONNIER

I primi tentativi ed esperimenti di cui ci resti testimonianza furono realizzati non prima del 1755: il 24 luglio di quell’anno, infatti, l’inglese Charles F. Weisental brevettava una macchina con un ago a doppia punta e una cruna a metà della sua lunghezza.La successiva macchina da cucire fu quella di Thomas Saint, anch’egli anglosassone, che ottenne un brevetto il 17 luglio 1790. La sua macchina possedeva un piano oriz-zontale per supportare la stoffa, un braccio sospeso alla cui estremità era collocato un ago a movimento verticale, e un trasporta-tore che procedeva automaticamente tra un punto e l’altro. Da quel momento in poi tali caratteristiche sarebbero state mante-nute nella costruzione di ogni macchina da cucire.Un passo fondamentale nella storia della macchina da cucire avvenne grazie al fran-cese Barthélemy Thimonnier.Sarto per mestiere, mentre lavorava col suo ago, chino sul suo tavolo da lavoro, ricurvo sulla sua stoffa, Thimonnier sentì il bisogno di cercare un modo per liberare sé stesso e gli altri dalla sua monotona e faticosa oc-cupazione. Da alcuni lavori all’uncinetto, rimase incuriosito dalla maniera in cui il punto veniva annodato, e ideò una mac-china che facesse altrettanto, senza le dita e sei volte più rapidamente. Scopriva così il

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punto formato dalle maglie di un filo con-tinuo, fatto passare attraverso il tessuto da un ago uncinato.Il 17 luglio 1830 Thimonnier otteneva un brevetto d’invenzione della durata di 15 anni, «per una macchina atta a re-alizzare i punti a catenella sui tessuti». Andò l’anno successivo a Parigi in cerca di fortuna dove iniziò a confezionare divise militari, grazie alla creazione di un labora-torio di 80 macchine. I sarti della città si ri-bellarono, perchè convinti che Thimonnier stesse rubando loro lavoro, assalirono il laboratorio e distrussero i macchinari.L’inventore fu così costretto alla fuga e, dopo lunghi anni vissuti in povertà, nel 1845 trovò un socio in affari ed aprì una fabbrica di macchine da cucire.Nel 1848 prese un nuovo brevetto per la “cuci-ricamatrice”, che permetteva di rica-mare e cucire tutti i generi di tessuto alla velocità di trecento punti al minuto. Ma gli avvenimenti politici vennero nuovamente a turbare i suoi progetti e, stanco di lottare, Thymonnier vendette il suo brevetto a una compagnia di Manchester, pur continuando in proprio ricerche ed esperimenti al fine di migliorare la trovata, cui aveva consacrato tutte le proprie forze. Ormai, però, lotte, lavoro e miseria lo avevano stremato anzi tempo, e così morì di stenti ad Amplepuis, cittadina situata a 60 chilomentri da Lione, il 5 agosto 1857.Questo personaggio influenzò in particolar

prototipo di Thimonnier 1829(modello perfezionato successivamente)

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modo gli ingegneri d’oltreoceano, tra cui Elias Howe, inventore americano, che nel 1846 depose il proprio brevetto.Si distinguono macchine a manovella e macchine a pedale. Entrambe sono mon-tate su una base in legno o in ferro fuso. Una manovella o un volantino guida un al-bero che a sua volta trasmette il movimen-to all’ago e al tendifilo recato dal braccio dell’apparecchio, e secondariamente alla navetta collocata sotto una piastra metal-lica.Inoltre si distinguono macchine a navetta tubolare vibrante, macchine rotative, mac-chine oscillanti, e macchine a bobina cen-trale.Le prime possiedono una navetta ed un porta-navetta montato su di un perno in modo da potersi muovere in avanti e indi-etro, ed eseguire dei punti di cucitura rego-lari ad una discreta velocità. Inoltre sono facilmente trasportabili.L’importanza di queste innovazioni tecno-logiche permise soprattutto al mondo della moda di migliorare le tecniche di produzi-one e confezionamento di abiti.

Macchina da cucire, Elias Howe 1846

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4.2 SINGER

DALL INDUSTRIA ALLA CASA

Isaac Merrit Singer (1811-1875), un tedes-co-americano dalla grande personalità, brevettò la sua prima macchina, brevet-tata il 12 agosto 1851 , possedeva un ago a movimento verticale, guidato da un albero sovrastante, e un trasportatore ruvido che scorreva attraverso una fessura del piano. Accanto all’ago un “piedino premistoffa” teneva pigiato il tessuto durante il lavoro di cucitura. Il movimento era conferito alla barra ago e alla spoletta da alcuni ingranag-gi. La macchina utilizzava due fili e realizza-va il punto di cucitura: ad ogni movimento verso il basso il cappio del filo dell’ago si allacciava al filo di una navetta con moto alternativo. Nel 1854, seppur con difficoltà, nacque il marchio I. M. Singer & Co.; da ricordare il servizio che questo offriva al consuma-tore, il quale poteva pagare ratealmente il prodotto.Le aziende Singer crebbero in numero fino all’avvento del nuovo secolo e coinvolsero migliaia di operai in gran parte degli Stati Uniti, Russia, Scozia, Germania.Inizialmente vennero create macchine da cucire per uso industriale (N.1,2,3 stan-dard), e bisognerà attendere il 1859 per vedere la nascita della prima macchina per uso famigliare.Nel 1865 fu immessa sul mercato la New

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Family, che ebbe larga e massiccia diffu-sione; più di quattro milioni di esemplari ne vennero venduti entro il 1882 e nel 1914.Tra il 1867 e il 1870 furono prodotte nuove varianti per favorire l’esecuzione di piccoli lavori di manifattura e per la cucitura di ma-teriali più pesanti.Grandi sviluppi tecnologici proseguirono fino al 1914; proprio in quest’Vanno sulla rivista Singer sewing machine l’articolo:“«nessuna invenzione meccanica ha mai raggiunto l’utilità della macchina da cucire nell’economia domestica. Tutte le donne dovrebbero acquisire familiarità con l’uso della macchina da cucire come strumento essenziale per l’economia domestica nella realizzazione di abiti, nel rammendo delle calze, della biancheria da tavola e da let-to, nel ricamo e nella realizzazione di una grande varietà di lavori di fantasia».E ancora, sarà proprio nei primi decenni del XX secolo che Singer inizierà a produrre una moltitudine di differenti modelli di macchi-ne per soddisfare le diverse aziende produt-tirci di guanti, tappeti, cravatte, sciarpe, abiti.

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4.3 MACCHINE E DESIGN: PERCHE LE MAC-CHINE PER CUCIRE.A partire dai primi anni del XX secolo, an-che l’Europa inizia a produrre macchine da cucire.Il marchio Singer produsse macchine molto sofisticate non solo dal punto di vista tec-nologico ma anche estetico. Esse presenta-vano decorazioni liberty dorate che ancora aggi le contraddistinguono come veri e pro-pri oggetti d’arte.Ma sarà grazie all’Italia che potremo parlare di un vero e proprio design legato a questo oggetto poichè, grazie anche all’avvento della televisione e degli spot, entrarà a far parte del mondo quotidiano della gente co-mune; un oggetto accattivante per il pub-blico soprattutto femminile.Nonostante la notorietà di questo oggetto e l’influenza che esso ebbe in Italia, pochi lo ricordano nell’elenco delle forme che nel mondo oggi rappresentano il Made in Italy.Ho deciso di lavorare su di essa per ripor-tarlo alla memoria e mostrare tutto ciò che si nasconde dietro, i retroscena e i grandi marchi che produssero questo sofisticatis-simo macchinario.Entrano così in gioco Necchi, Borletti, Vi-gorelli, aziende leader nella produzione delle macchine Italiane che troppo spesso abbiamo dimenticato. “L’utile in alcuni fortunati casi, è anche bel-lo: in una parola è design, e quello italiano, si sa, spesso ha fatto scuola nel mondo in-

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tero”. Vittorio Marchis “Le cose di casa”.

I modelli di macchine da cucire si raffinano non solo sotto il punto di vista tecnologico, ma iniziano a presentare design sempre più accattivanti.Importanti personalità del mondo del de-sign propongono nuove forme, Gio Ponti disegna la Visetta nel 1949, mentre il mod-ello 1102 della Borletti è opera di Marco Za-nuso che vinse il Compasso d’Oro nel 1956. Angelo mangiarotti nel 1957 disegna la macchina da cucire Salmoiraghi 44.Un oggetto che venne ripreso anche in campo artistico, a partire dai primi anni del XX secolo. Per le arti figurative ricor-diamo Edward Hopper con l’opera Girl at the sewing machine (1921), e più tardi nel ‘47 Le Cucitrici di Renato Guttutso che rap-presenta al meglio il lavoro femminile e l’emancipazione della donna; questo fu es-posto alla “Prima mostra del Fronte Nuovo delle Arti” a Milano nello stesso anno.Altra personalità da menzionare, Man Ray che nel 1920 celebrò la macchina da cuci-re in una celebre fotografia: The Enigma of Isidore Ducasse; si tratta appunto di una macchina coperta da un telo legato a sua volta da uno spago per nascondere l’oggetto con segretezza e senza rivelare all’osservatore di cosa si tratti.

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4.4 L’OGGETTO DEL DESIDERIO“Una delle poche cose utili che siano mai state inventate” Gandhi

Sull’ “Annuario scientifico ed industriale” del 1866 francese, troviamo un articolo bi-zzarro intitolato Influenza delle macchine dacucire sulla salute e sulla moralità delle operaie. |Fu il dottor Guibout che si occupò di tale argomento e fu lui che, in una me-moria, presentata testé alla Società medica degli ospedali di Parigi, dimstrava sentire come il lavoro protratto colle macchine da cucire esercita un’influenza nociva sulle op-eraie.È noto come queste macchine siano mosse da due pedali, uno per piede. L’impulso che viene loro trasmesso mediante un movimento rapido di abbassamento e di elevamento di ambedue gli arti inferiori, speciamente sulle coscie, imprime al corpo un’oscillazione dal dinanzi al di dietro con-tiuo e regolare; ovvero, per la costruzione diversa delle macchine, uno scuotimento generale, ripetuto, risultante dallo sfrega-mento rapido delle coscie una sull’altra. Questi diversi movimenti producono nelle giovani operaie un eccitamento considerev-ole degli organi sessuali, che le obbliga di sovente a sospendere il lavoro. Dalla fre-quenza di tali eccitamenti e dalla fatica dei movimenti ne risulterebbero per le operaie la leucorrea, la dispepsia, la emaciazione, la prostrazione delle forze. (...)|

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Proprio da questo racconto, prese spunto il regista tedesco Marc Rothemund per un episodio del film Pornorama del 2007 dove, alla presenza di una troupe molto attenta al soggetto, l’attrice italiana Valen-tina Lodovini viene ripresa al lavoro ad una macchina da cucire a pedali. E così, presa da un’irrefrenabile eccitazione, straccia la propria camicetta e mostra il seno nudo.Le donne diventano una figura fondamen-tale in questo periodo, poichè contempora-neamente produttrici e fruitrici del prodot-to che pian piano diventa parte integrante della quotidianità degli italiani.Negli anni ‘50, la macchina da cucire rap-presentava un oggetto di indipendenza e di forza lavoro femminile; situazione che è an-data via via scemando negli ultimi decenni del secolo.Simona Ortaggi Cammarosano, nel saggio Industrializzazione e condizione femminile tra Otto e Novecento, afferma:“anche nei settori nei quali imperava il lavoro a domicilio l’industrializzazione at-trasse in quei decenni (di fine ottocento) un gran numero di donne, grazie alla diffusio-ne di una macchina geniale e rivoluzionaria, la macchina da cucire”.L’industria dell’abbigliamento, ma a fianco di essa anche quella delle pelletterie, come conseguenza del macchinismo, non solo ampliarono i propri impianti ma fecero sorgere un indotto di lavoranti a domicilio che ricevevano in comodato la macchina

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per cucire.Al fine di sensibilizzare le attività sociali e produttive a favore delle donne, tra il 2004 e il 2006, la Fondazione Pangea On-lus ha sostenuto l’apertura e la gestione di tre “Centri Donna” a Kabul, garantendo un’istruzione di base e la formazione verso la professione alle donne, con lo scopo di aiutare le famiglie.La macchina da cucire rappresenterà si un oggetto legato al lavoro delle donne pro-posto dalle aziende attraverso camapagne pubblicitarie accattivanti.Un primo assaggio di spot si ha già all’inizio degli anni ‘30 grazie proprio all’industria Necchi.Primo Carnera, campione di pesi massimi, su un manifesto pubblicitario tiene tra le mani una macchina da cucire Necchi; il messaggio è chiaro “Solo la Necchi mi re-siste!”. Necchi non sarà l’unica azienda ad essere attratta dal mondo dello sport.Vigorelli, la seconda azienda italiana (con Borletti) produttrice di macchine da cucire inaugurerà nel 1935 il Velodromo Vigorelli dopo la distruzione del Velodromo Sempi-one nel 1928.Il vero e proprio boom nel campo della co-municazione si avrà tra gli anni ‘50 e ‘60, sui quotidiani prima e in tv poco dopo; da menzionare il programma Carosello che ha segnato la prima grande rivoluzione nel campo della comunicazione in Italia.Quindi, la macchina per cucire diventa un

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vero e proprio oggetto del desiderio per le donne, non solo Italiane, infatti altri produt-tori come Singer sperimentano la potenza della comunicazione.In uno spot la Signora Biraghi ci dice sorri-dendo: “Ho 75 anni e la mia vita è stata una vita laboriosa: la macchina Singer è stata la mia fedele compagna e su di essa ho fatto tutti i corredi per le mie figlie, da quelli da neonata a quelli da sposa...E poi sono venu-ti i nipotini...”.E ci mostra con orgloglio il vestito tutto pizzi e ricami per la nipotina.

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Già nel 1835 noi Necchi figuriamo nelle cronache pavesi legati a una azienda commer-ciale e artigiana di ferramenta.Questa azienda era del mio bisnonno Ambrogio , passata poi nel 1874 al nonno Giuseppe e poi a mio padre Ambrogio . Agli inizi del secolo la fabbrica era in corso Cairoli e oc-cupava 150 operai. Nel 1904 l’attività si trasferì nel nuovo stabilimento costruito dietro la stazione ferroviaria. Qui cominciò la produzione di radiatori per termosifoni che durerà quanto la vita dell’azienda. (...)Nel 1916 persi mio padre a soli 56 anni, e diciottenne, mi trovai con la mamma e con le mie sorelle Gigina e Nedda a dover gestire una difficile eredità. (...)Non presi mai parte alla vita politica attiva, ero di dichiarate simpatie monarchiche (...) avevo accettato il fascismo in quanto avallato da Casa Savoia.Le sorelle Nedda e Gigina già nel 1924 si erano iscritte al Fascio Femminile.Naturalmente, come fecero altri industriali del tempo, utilizzai i mezzi e le persone che il regime poteva offrire per lo sviluppo delle aziende.Il veicolo più efficace fu l’autarchia imposta dal governo : l’Italia doveva ridurre al mas-simo le importazioni. Quale occasione migliore per lanciare le macchine per cucire sul mercato italiano fino ad allora dominato dalle aziende americane e tedesche!Coniato lo slogan: “Il prodotto italiano ha nome italiano”, fu assai più facile conquistare i mercato. (...)Sostenuto anche da mia moglie Lina (...) libero da ogni necessità di discutere e di mediare con altri ogni mia decisione, potei così scatenare la mia voglia di fare. Riuscii a smentire i famigliari, non solo conquistando il mercato italiano ma sviluppando un’azienda di valore mondiale.

Giornale di Socrate al caffè Intervista di Sisto capra a Vittorio Necchi

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5. NECCHI

5.1 VITTORIO NECCHI: VIVERE LA NECCHI Ambrogio Necchi (1860-1916) gestiva la propria fabbrica in corso Cairoli 3 a Pa-via, realtà di 150 operai che producevano costruzioni meccaniche, macchine agricole e fondevano ghisa.Dal 1904 lo stabilimento si sposta vicino alla stazione, nonchè lo stesso stabilimento che diventerà poi la NECA, dove si iniziò la pro-duzione di termosifoni e vasche in ghisa.Vittorio, figlio di Ambrogio, perse il padre nel 1916 e, rimasto solo con la madre Emilia e le sorelle Gigina e Nedda, si trovò a dover gestire l’azienda di famiglia, subito dopo es-sere tornato dal fronte, dove conobbe per-sonalità appartenenti al mondo industriale dell’epoca come Olivetti, Cini, Marzotto, Pinin Farina.Tra le difficili responsabilità che Vittorio doveva sopportare, vi era anche quello di dover trovare moglie. Conobbe Lina Ferrari, figlia di una modesta famiglia parmense.E di nuovo, come molto spesso è successo nel mondo dell’arte e del design, sarà pro-prio Lei a dare una grande svolta alla vita di Vittorio quando nel 1925 gli suggerirà di separarsi dal cognato Angelo Campiglio col quale lavorava, per dedicarsi ad un nuovo e ambizioso progetto: la produzione di mac-chine da cucire.La nuova azienda Necchi crebbe notevol-mente sin dalla nascita; è il 1925 quando, sostenuto dalla moglie, arriva ad un com-promesso con la famiglia: alle sorelle e ad

"La Necchi e' nata con le macchine da cucire e con le macchine da cucire morira'!"

LA FÀBRICA

Am ricòrdi che a Pavia

ghera un gran stabiliment

l’er la Nèchi, cla gaviva

ben cinq mila dipéndént

La matina, dòpu i sèt,

l’era me una purtisiòn

parchè mila biciclètt

‘ndavan vèrs i capanòn.

La sirena la sunàva,

cumparivan tüt a un tràt,

cume un flauto ch’ja ciamàva

e i curivan tant me i ràt.

Sia uperàri che impiegà

gher nesüna diferensa,

al cartlin gher da timbrà

o pagà la penitensa...

L’er l’ašienda di paveš:

di famili chi in cità

e anca gent ad cent paeš,

che lì ‘ndav’n a laurà.

Adès lì a ghè pü gnènt,

tüt è andàt a monfurlòn,

an lasà a cà la gént...

ma un quaidün a fàt milion...

Han vendù ai j’indian

machinàri ed esperiensa,

e ai Spagnö e ai Brašilan

tüt al rèst: l’è un’indecensa!

Chi ind’la fabrica ha pasà

tanti àn giuventü

al pö nò dimenticà

quèl a cl’era e adès l’è pü.

‘dès, par vèd i purtision

tam me quèi di temp luntan

‘nduma a sera a la stasion:

riva i treni...da Milan

Agostino Faravelli

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Angelo, che non credevano nel nuovo pro-getto, sarebbero rimaste le fonderie di ghi-sa e le smalterie, a Lui la neonata azienda di macchine per cucire.Uomo alquanto distante dal mondo politi-co, Vittorio dovette raffrontarsi con esso in svariate occasioni.Non dobbiamo dimenticare che la nuova Necchi è nata in un periodo politico di grandi mutamenti e fermenti politici; ri-cordiamo nel 1938, l’incontro con Benito Mussolini e la moglie che vollero visitare gli stabilimenti.La Vittorio Necchi nasce a Pavia in un mo-mento di forte crisi economica.Probabilmente, il suo punto di forza sta nel fatto di aver affrontato questi avvenimenti con un progetto rivoluzionario e molto am-bizioso nel panorama industriale italiano.Ma quale fu l’approccio che Vittorio ebbe nei confronti della propria realtà aziendale?Come altri industriali, anche necchi fu som-merso dalla ventata americana Fordista e da quel modello di fabbrica di cui tanto si parlava da qualche anno ormai in Europa.Perciò la sua personalità e le sue idee dovettero scontrarsi con quelle della Con-findustria. Uno dei motivi che lo metteva più in disaccordo con il mondo degli indus-triali italiani è legato all’idea proveniente proprio dal pensiero americano, che vede l’operaio ben retribuito, come possibile fu-turo cliente dell’azienda per cui lavora.Vittorio Necchi dedicò grande attenzione al

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benessere dell’azienda, a partire dai propri dipendenti ai quali venivano dedicati servizi che all’epoca ben poche aziende offrivano.Ricordiamo il F.A.I. (fondo assistenza in-terno) che garantiva l’intera retribuzione in caso di malattia, assistenza medica, aiuti durante periodi di convalescenza.Istituì una borsa di studio riservata ai figli dei dipendenti, il premio Maestri del Lavoro dedicato ai più anziani e capaci operai, case ai dipendenti (villaggio Necchi), il G.E.N. (gruppo escursionisti necchi) per gli appas-sionati di sport , e tante altre istituzioni di intrattenimento.Ancora oggi, l’operato di Vittorio Necchi rappresenta una delle realtà aziendali meg-lio organizzate di tutta la storia italiana.Ne 1937 Vittorio aveva addirittura creato una scuola professionale con lo scopo di preparare futuri specialisti e tecnici d’officina; questa realtà permetteva ai di-pendenti di crescere ed aggiornarsi pro-fessionalmente e farne parte era un vero onore.Oltre ad essere estremamente attento al benessere dell’azienda, già a partire dagli anni ‘30, Vittorio creò una vera e propria rete propafgandistica del prodotto. Nel mondo esistevano circa 10000 punti ven-dita, e in Italia erano sorti Concessionari, produttori, negozi di vendita e di assisten-za; in ognuna di queste realtà commerciali si istituirono Corsi gratuiti di taglio, cucito e ricamo a scopo didattico e propagandistico.

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Così l’azienda Necchi aveva la possibilità di far conoscere le proprie creazioni e di far sorgere nel cuore delle casalinghe il desid-erio di far parte del proprio mondo.Venne a crearsi una vera e propria rete che includeva questo tipo di servizio unito ad un’assistenza tecnica impeccabile, in ogni punto vendita del mondo, poichè i tec-nici venivano istruiti a Pavia per garantire un’ottima qualità.

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1835 - INIZIO DELL’ATTIVITÀ CON LE FUSIO-NI IN GHISA.1905 - L’ATTIVITÀ DELLA FONDERIA SI ES-PANDE CON LA PRODUZIONE DIGHISA SPECIALE MALLEABILE.1915 - PRIMA AZIENDA ITALIANA A PRO-DURRE RACCORDI IN GHISAMALLEABILE.1919 - VITTORIO NECCHI COSTRUISCE LA PRIMA MACCHINA PER CUCIRE DOMES-TICA.1927 - REALIZZAZIONE DEL PRIMO MODEL-LO DI MACCHINA ARTIGIANOINDUSTRIALEA NAVETTA OSCILLANTE CON TENDIFILO RIGIDO NECCHI, MODELLO BF.1930 - INIZIO DELL’ESPORTAZIONE DELLE MACCHINE PER CUCIRE NECCHICHE SI ESPANDE IN 35 PAESI.1933 - LA GAMMA PRODUTTIVA si AMPLIA CON L’INTRODUZIONE DI MACCHINEPER CUCIRE ROTATIVE VELOCI A CUCITURA DIRITTA E ZIGZAG.1935 - L’ARCHITETTO ENTRA NEL DESIGN INDUSTRIALE DELLA MACCHINA PER CUCI-RE.● NECCHI RINNOVA LA FORMA DA “BOTTI-GLIA” A “SQUADRATA”.● SI ABBANDONA IL COLORE NERO PER IL GRIGIO.1938 - NASCITA DEL PRIMO MODELLO AL MONDO DI MACCHINA PER CUCIREDOMESTICA A CUCITURA ZIGZAG,1939 / 1945 LA PRODUZIONE NON SI AR-RESTA NEMMENO DURANTE LA GUERRA.

1964 - NASCE IL COMPRESSORE NECCHI MIDGET.1965 - PRIMO LANCIO DI ELETTRODOMES-TICI NECCHI (DESIGNER ZANUSO) .1974 - LA PRODUZIONE DI COMPRESSORI SALE A DUE MILIONI E MEZZO DI PEZZIL’ANNO.1975 - CON LA MORTE DEL TITOLARE LA FAMIGLIA NECCHI CEDE L’AZIENDA ESUBENTRA LA NUOVA PROPRIETÀ.● NASCE LA SERIE “NOVA” CON L’IMPIEGO DEL NUOVO RASAFILO.ANNO 1977 - CAMBIA LA STRATEGIA IN-DUSTRIALE, LA NUOVA PROPRIETÀ RILAN-CIA● L’AZIENDA CON MASSICCI INVESTIMENTI (120 MILIARDI IN CINQUE ANNI)E RIDUZIONE DEL PERSONALE.1982 - PRESENTAZIONE DELLA PRIMA MAC-CHINA PER CUCIRE ELETTRONICAITALIANA NECCHI LOGICA.1985 - LA NECCHI VIENE QUOTATA IN BOR-SA.● LANCIO DELLA “LINEA CASA” DI PICCOLI ELETTRODOMESTICI.● AMPLIAMENTO DELL’ATTIVITÀ INDUS-TRIALE CON L’ACQUISIZIONE E● INCORPORAZIONE DELLA FONDERIA CORNI S.p.A, DI MODENA.Successivamente avvenne il declino dell’azienda dovuto soprattutto alla concor-renza dei paesi orientali che producono a prezzi notevolmente inferiori; si arrivò così alla totale chiusura.

1949 - POSTO D’ONORE AL MUSEO DELLE ARTI DI DETROIT.1953 - NASCE LA PRIMA MACCHINA DO-MESTICA AUTOMATICA (SUPERNOVA).● IL DESIGNER ENTRA UFFICIALMENTE NEL-LA PROGETTAZIONE DELLAMACCHINA PER CUCIRE.● L’ARCHITETTO NlZZOLI PROPONE IL BICO-LORE, LE LUCI INCORPORATEE IL BRACCIO IN LEGA LEGGERA.ANNO 1954 - L’UNESCO UTILIZZA LA NEC-CHI COME SIMBOLO DEL PRODOTTOMACCHINA PER CUCIRE NEL MONDO.● COMPASSO D’ORO E SIGILLO “UNITED STATES TESTINO CO.”ANNO 1955 - INTRODUZIONE DELLA LINEA DI MONTAGGIO PER LA PRODUZIONE DISERIE (3 MACCHINE AL MINUTO).ANNO 1957 - NASCE LA MACCHINA PER CUCIRE PORTATILE TOTALMENTE IN LEGA DIALLUMINIO (DESIGNER NlZZOLl).● SECONDO COMPASSO D’ORO.● ESPOSIZIONE AL MUSEUM OF MODERN ART DI NEW YORK .1960 - NUOVA DIVERSIFICAZIONE : INIZIA LA PRODUZIONE DI COMPRESSORIERMETICI PER REFRIGERAZIONE SU LICEN-ZA KELVINATOR.1961 - NASCITA DELLA PRIMA UNITÀ AUTO-MATICA NECCHI PER LA CUCITURAINDUSTRIALE.1963 - INIZIO DELLA PRODUZIONE DI MO-TORI ELETTRICI PER COMPRESSORI.

TIMELINE!!!

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5.2 AFFRONTARE LA STORIALa storia e gli avvenimenti che intercorrono tra gli anni ‘30 e ‘40 spinsero Vittorio ad un pi-ano riorganizzativo e di gestione aziendale. In questo periodo in realtà, grazie all’aiuto degli ingegneri Emilio Cerri e Antonio Bec-calli, provenienti dal Lingotto Fiat, il settore tecnico era in mani più che sicure.Cerri riorganizzò il settore tecnico miglio-rando il processo di produzione e nel 1938 progettò e brevettò il sistema di cucitura a zig-zag, dove la barra ago e il gruppo ces-tello-gancio-navetta si potevano spostare in sincrono, consentendo possibilità di spe-ciali lavori di cucito per le macchine fami-glia. Nonostante ciò, l’azienda trascorreva un periodo di crisi finanziaria che riuscì a superare grazie alla figura di Gino Gastaldi, presidente della Banca del Monte di Pavia e anche direttore in Necchi.Un tranquillità economica questa che non durò a lungo. Nel 1940, con l’avvento della seconda guerra mondiale, la stessa produz-ione diventa un grosso problema.Da una parte, un maggior numero di mac-chinari era richiesto per poter confezionare divise militari, dall’altra le stesse dovevano essere nascoste poichè spesso requisite dai tedeschi e inviate in Germania per lo stesso scopo.La situazione si ristabilizzerà dopo il ‘45, quando l’azienda, come molte altre, rich-iese una riorganizzazione totale.Gino Martinoli, direttore generale tecnico,

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lavorò al fine di ricostruire una realtà azien-dale che funzionasse.Ci ricolleghiamo qui al tema della standard-izzazione americana di Ford. Uno dei nemici della standardizzazione è dato dal voler mettere in pratica nuove idee sia di carattere tecnico che estetico del prodotto.Come per Agnelli, anche in Necchi il design, il made in Italy che contraddistinguono il prodotto italiano non potevano essere trascurati; ne consegue un calo della pro-duzione.Proprio per questo motivo è fondamentale la figura dell’Ing. Martinoli che, attraverso la nascita del progetto ministeriale CISIM (commissione indagini e studi sull’industria meccanica italiana), riorganizzò l’azienda e triplicò il numero di macchine prodotte quotidianamente, il tutto agendo in tre di-rezioni differenti: innovazione del prodotto, rinnovamento dei processi produttivi e trasformazione organizzativa.Le personalità che collaborarono a questa rinascita sono moltissime.Tra questi l’Ing. Alessandro Pagni che ri-cordiamo per la creazione della macchina “Supernova automatica”; l’Ing. Gianfranco Clavello il quale introdusse il metodo amer-icano per il controllo qualità della Instru-ment Society of America, e molti altri.Nel ‘47, gli Stati Uniti proposero un piano per la rinascita Europea, si tratta del Piano Marshall.

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L’Europa è in questo periodo divisa tra la dittatura del proletariato ad est egemoniz-zata dall’Unione Sovietica, il libero mercato americano ad ovest.Quindi gli stati europei devono decidere da che parte schierarsi.L’Italia decide di appoggiare il piano che fu inutilmente contestato da alcuni dipenden-ti con uno sciopero senza considerare che successivamente ne avrebbero anch’essi tratto dei profitti.Non sono comunque momenti facili per i lavoratori che si riuniscono in accese ri-unioni sindacali per far valere i propri diritti.Carlo Dolcini nel libro “C’era una volta la Vittorio Necchi” racconta:|”Ho voluto scrivere queste righe sulle ri-unioni sindacali di base o di direttivi per in-formare i giovani sindacalisti e attivisti che allora si facevano le riunioni di sera o di do-menica perchè il sindacato non aveva soldi da dare per eventuali ore di lavoro perse. (...) ma eravamo contenti così”.|

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5.3 LE DIREZIONI DI PRODUZIONELa riorganizzazione aziendale di Martinoli prevedeva che venissero ben distinte quat-tro differenti direzioni di produzione.

DIMA: direzione macchine famigliaSi occupava della produzione della mac-chine tipo famiglia.A capo dell’Ing. Vittorio Scherillo, in DIMA si attuò la flow production ovvero, da una parte del capannone entravano i materialie dall’altra usciva il prodotto finito imbal-lato.Sette linee di montaggio dove, ogni 29 secondi, nasceva una macchina per cucire.Le macchine utilizzate per la produzione delle macchne da cucire vengono dette monoscopo poichè progettavano un solo pezzo.

DIMI: direzione macchine industrialiQui non troviamo macchine monoscopo ma un numero maggiore per poter lavorare famiglie di pezzi con caratteristiche affini.Sotto la guida dell’Ing. Luigi Bono, alla DIMI presero piede le macchine UAM (Unità Au-tomatiche Necchi), centri di lavoro ottenuti unendo le macchine per cucire industriali a speciali apparati elettronici che consentono di cucire autonomaticamente parti per l’industria delle confezioni in serie (colli, polsini, risvolti, tasche tagliati e cuciti senza l’intervento dell’operatore).In questi anni Necchi seguì progetti impor-tanti come la cotruzione di impianti comple-

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ti per la produzione di capi d’abbigliamento, in Italia e all’estero. Ricordiamo l’impianto per un’azienda russa produttrice di imper-meabili.

DIFO: direzione fonderiaGestita dall’Ing. Giuseppe Rossi, proveni-ente dalla FIAT. Vennero installate nuove linee di formatura, colata, distaffatura. Si arrivò a produrre 1200 tonnelate mensili di materiale, non solo per le macchine da cucire ma anche raccordi per condutture di acqua e gas.

DIMO: direzione mobiliDa tempo venivano prodotti anche i mobili (ex mobilificio Bonini) sui quali poggiava-no le macchine che erano azionate da un pedale, sostenuto da due spalle in ghisa, il piano era in legno lucido che poteva essere anche chiuso da antine fino a sembrare un mobiletto.L’Ing. Alessandro Valvassori studiò nuove tecnologie legate proprio al design di questi mobili, ormai veri e propri elementi di ar-redo.Per il trattamento di finitura esterna del mobile venne impiegato un film di polies-tere. Successivamente la DIMO scomparve per i costi troppo elevati; così la produzione dei mobili si spostò in Jugoslavia.

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5.4 DOPO GLI ANNI’50 VERSO IL DECLINOL’operato di Martinoli si concluse con le sue dimissioni nel 1956, quando tornò a Milano.Nel 1965 con un accordo con la multinazi-onale IBM, la Necchi costruì gruppi elettro-meccanici per calcolatori elettronici. Alla fine degli anni ‘50 l’azienda cominciò una collaborazione con l’estero (Sud Ameri-ca, Israele, Irlanda, Brasile, Jugoslavia, Mes-sico, Spagna) che prese parte delle attrez-zature non più necessarie per la produzione italiana; questo può essere un aspetto posi-tivo da una parte, ma negativo dall’altra, poichè questi paesi non richiedevano più l’importazione di macchine dall’Italia poi-chè ormai autosufficienti nella produzione.Anche in Italia il mercato si ridusse notevol-mente; la donna degli anni ‘50 che ormai lavora fuori casa ha sempre meno tempo da dedicare alle operazioni di cucitura.Inoltre, un altro aspetto, è legato proprio ai prodotti stessi che, essendo di altissima qualità, venivano tramandati da madre a figlia per generazioni.E così, la fiamma della Necchi andò via via spegnendosi.Oggi il marchio è stato venduto alla ditta Alpian Italia con sede ad Aricci (Roma) che fa produrre una macchina da cucire in Cina.Dal libro “Compagni di viaggio” il Professor Giulio Guderzo scrive:|“Nel ricordo di chi ha superato la cinquan-tina, la Necchi è, del resto, Vittorio, è Gastal-

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di, è Martinoli, è la ricchezza d’impegno, di energie e risorse materiali e umane nata e cresciuta a Pavia, è la straordinaria folla di biciclette con gli operai che scamavano verso e dall’azienda mattina e sera, e sono pure le battaglie sindacali: combattute da uomini che a Pavia si consideravano, oper-ando o venendo dalla Necchi, l’aristocrazia del lavoro. Di quel che seguì, del lungo tramonto-segnato, a me pare, soprattutto da una dolorosa inadeguatezza imprendito-riale tutta pavese-sarà peraltro necessario, prima o poi, tornare a scrivere”|

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5.5 I MODELLI E IL DESIGNAlla fine della prima guerra mondiale, in Italia, iniziano a sorgere piccole industrie artigiane dedicate alla produzione delle macchine da cucire; una di queste, l’IRI (Industrie Riunite Italiane) che produceva 4 o 5 macchine al giorno, diventerà poi nel 1925 la Necchi.Nel 1927 la Necchi introduce nel suo tipo BD (bobina domestica) la trasmissione del moto dall’albero superiore a quello inferiore, ottenendo così una rumorosità inferiore. Questo modello era azionato a mano : attraverso una manovella applicata al volano, con la mano destra si produce-va il movimento dell’ago, della spoletta, e l’avanzamento per trascinamento del tes-suto, mentre con la mano sinistra si control-lava la posizione e l’indirizzamento.Nel 1934 la Necchi si dedica ad un rinno-vamento nel design con la creazione della macchina BDA (bobina domestica articola-ta) , il cui braccio non è più a “bottiglia” ma “quadro a spigoli arrotondati”, e aumenta la velocità dei punti.Successivamente, con la BDU nasce la fa-mosa cucitura a “zig-zag” grazie alla possi-bilità di muovere la navetta e la barra ago contemporaneamente, inoltre viene illumi-nato il piano di lavoro e introdotto il motore elettrico.Oltre alle macchine domestiche, negli anni’30, grazie alla crescita nel settore dell’abbigliamento, si inizia la produzione di

SCHEMA GRAFICOLA REALTA PAVESE

ANNI 50 60 top della produzione italiana (1500/1600 macchine al gg)NECCHI ne produce max 1000 al ggALTRI MARCHI PAVESI -Vigorelli, Casati (Caser), Mariani, Simdac -Altre aziende fornivano parti per le prime: Calzati e Ghisolfi (piedini premistoffa), Ceriani (Cergil, navette) Rondi e Tognoli (navette e capsule porta spola).-Calzati costruì su progetto della Necchi macchine da cucire per bambine chiamate “Tipo infanzia”, che funzionavano veramente e aggiornate anche nel design con quelle da grandi.-Singer a Saronno-Borletti a Milano che produceva buone macchina fino all’arrivo nel 1953 della Supernova Automatica Necchi; essa era il top del periodo e eliminò in parte la concorrenza.-1950 con la camera di commercio e dell’Associazione degli Industriali di Pavia, ci fu la “Mostra Internazionale della Macchina per Cucire” nella quale Necchi ebbe un notevole successo.PAVIA= capitale della macchina per cucire!!!

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macchine per uso industriale.Il restailing più forte avviene però alla fine del secondo conflitto mondiale; vennero cambiati i colori ai modelli (da scuro a più chiaro) e arrotondate le forme, nasce così la BU Mira (1948); inoltre viene creato il modello BF (bobina famiglia) a pedale o con motore esterno.Ottenuti risultati accattivanti nelle forme delle macchine, ci si concentrò successi-vamente ad un’ulteriore crescita di ordine però tecnologico, quando, nel 1953 con l’avvento della BU Supernnova Automatica si potevano ottenere ricami a “zig-zag” gra-zie ad un intervento di automatizzazione.In Supernova anche il design viene comple-tamente rinnovato, così come i materiali impiegati non sono più quelli tradizionali.Il braccio infatti è in lega leggera pressofusa ed è carenato in modo da nascondere il motore per l’azionamento.L’impianto elettrico comprende, oltre all’illuminazione del campo di lavoro, il trasformatore e dispositivi contro disturbi radio e televisivi.Il 1957 è un anno importante per il design Necchi grazie alla presentazione alla XXXV Fiera di Milano del modello Mirella, dis-egnata da Marcello Nizzoli, una macchina portatile di soli 8 Kg, e dotata di gancio ro-tativo brevettato che consentiva valocità di cucitura mai ottenute fino ad allora da mac-chine di uso domestico.L’azienda si avviava così sempre di più nel

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campo dell’elettronica; a partire dalle unità taglia e cuci elettroniche “UAN Unità Auto-matiche Necchi”, fino ad arrivare alla pro-gettazione di una macchina per famiglie governata esclusivamente da un computer.Nacque infine la macchina Elettronica LOGICA (1962), che non ebbe un grande successo, sia per la preoccupazione delle acquirenti di approcciarsi ad un macchi-nario computerizzato, sia perchè nata in un oeriodo dove la macchina da cucire non faceva più parte dei sogni delle casalinghe.

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5.6 CAMPAGNE PUBBLICITARIE Il marchio Necchi è conosciuto in più di 100 paesi del mondo; tra i più importanti sicuramelnte quello statunitense che, pur essendo la partia mondiale della macchina da cucire, ricorda la Necchi nel Museo delle Arti di Detroit (1949); nel 1951 ottiene il marchio distintivo “Guaranteed by Good Housekeeping” concesso ai prodotti definiti “di fiducia”; nel 1954 ottiene il sigillo di ga-ranzia della “Unied States Testing Co.”; nel 1956 inizia il giro negli States della “SUPER-NOVA D’ORO”.L’Organizzazione inglese “Good Housekeep-ing” rilascia alla Necchi il marchio “Guaran-teed by Housekeeping”.In Italia ricordiamo l’assegnazione del Com-passo d’Oro nel 1954 e la Medaglia d’Oro della X Triennale di Milano nel 1955 che premiò la linea estetica del prodotto.Il marchio Necchi fu importante non solo per questi riconoscimenti, ma anche per l’azione comunicativa completamente riv-oluzionaria con la quale esso si fece conos-cere al pubblico.Abbiamo già menzionato l’operato di Vit-torio Necchi che istituì, già negli anni ‘30 corsi di taglio e cucito per promuovere i propri prodotti.Saranno però gli anni ‘50 e ‘60 a rivoluzion-are l’aspetto delle macchine da cucire.Nel 1956 fu organizzato un concorso de-nominato “La sposa d’Italia”, un program-ma televisivo simile a Miss Italia, la cui fi-

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nale fu trasmessa in tv e condotta da Mike Bongiorno; eano premiate le qualità non estetiche delle donne, ma domestiche, ed erano previsti premi in denaro e macchine per cucire.Mike Bongiorno è ricordato anche per un quiz radiofonico del 1956 dove lo stesso presentatore chiese al concorrente da casa che lavoro facesse. “Lavoro alla produzione di macchine per cucire alla Necchi”, al che, il pignolo Mike interruppe dicendo “Ma non si dice mac-chine da cucire? Io ho sempre sentito così”,il concorrente replicò “Si parla di macchine che servono per cucire, non che devono es-sere cucite!”.Nel 1986, la questione si ripropose allo stesso presentatore che, a distanza di trent’anni si ricordò: “Eh no eh, non si dice così: io ho avuto un concorrente che mi ha spiegato che si deve dire Macchine per cucire, capito?”.Necchi fu anche artefice di campagne pub-blicitarie provocatorie, come quella che iniziò alla fine delle elezioni del 1953 dove manifesti e propaganda politica venivano fatti senza regole.Così, l’azienda decise di attaccare manifesti ovunque “Necchi BU: e adesso votate per me!”.Ultima, ma sicuramente non meno impor-tante, tutta la campagna pubblicitaria le-gata a riviste, radio e spot pubblicitari che spesso si servivano di celebri personaggi

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del mondo dello spettacolo.Lo spot all’epoca era considerato un vero e proprio momento di intrattenimento. Carosello celebrò con uno spot la cucitura a zig-zag; qui, fantasia e precisione si incon-trano e si esplicano nelle raffinate e comp-lesse evoluzioni del filo che crea sempre nuove forme e disegni accompagnati da musica e suoni.Ecco così che il prodotto invadeva la quotid-ianità delle famiglie italiane, entrando nelle case per coinvolgere i sogni di ciascuno.Il maggior produttore di spot pubblicitari del periodo fu la Gamma Film, marchio di uno studio grafico italiano, particolarmente attivo negli anni sessanta.Fondato dai fratelli Gino e Roberto Gavioli nel 1953 a Milano, lo studio produsse una grande quantità di spot pubblicitari con la tecnica dell’animazione per Carosello, di-ventando un importante punto di crescita di molti giovani disegnatori e talenti italiani.Gli spot di Carosello erano principalmente di tre tipi: spot che introducevano celebri personaggi (tra cui il volto dell’attrice Sofia Loren) in grado di catturare ancor meglio l’attenzione dello spettatore, spot con dis-egni che spesso introducevano il prodotto raccontando una storia slegata dallo stesso ma coinvolgente, spot incentrati invece sulle caratteristiche vere e proprie del prodotto.Della prima categoria, ricordiamo uno dei più celebri del 1957, prodotto dall’Adriatica

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Film,che vede come protagonista l’attore Franco Scandurra che, dopo anni trascorsi sul palcoscenico, tra il 1959 e il 1962 ha partecipato ai caroselli pubblicitari televi-sivi; “La vita scende ma i prezzi degli abiti salgono” afferma l’attore con rara eleganza, raccontando la storia dell’abbigliamento con foto, disegni e bozzetti fino ad arrivare all’oggetto rivoluzionari della macchina per cucire.Per altri, invece, si scelse di lavorare con grafica e musica; questo il caso dello spot per la Supernova Automatica dove si con-centra l’attenzione sulle potenzialità del prodotto. La ripresa è fissa sulle infinite, o quasi, lavorazioni di cucitura che la mac-china può produrre;il prodotto si descrive in modo accattivante e nuovo unendo il proprio ritmo con quello di musica e suoni che semnrano descirvere le linee ora curve e ora spezzate delle cuciture.Il coinvolgimento del pubblico femminile è in alcuni casi molto evidente; da ricordare lo spot “Cosa fa Lei di importante per la donna?” dove nessun uomo sa soddisfare i desideri della propria come sa fare la Nec-chi!Dall’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa, centro di conservazione, valo-rizzazione e diffusione del patrimonio au-diovisivo prodotto dalle imprese italiane, è possibile recuperare un vero e proprio documentario di una ventina di minuti che, non solo presenta i prodotti Necchi, ma ci

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descrive la fabbrica, il lavoro dei dipendenti e le fasi di produzione.Diretto e prodotto da Luciano Emmer, im-portante figura che lavorò a molte delle realizzazioni di Carosello, il filmato inizia con una breve introduzione sulla storia della macchina da cucire. Il documentario descrive in dettaglio le fasi che portano alla realizzazione delle macchine da cucire: la fonderia dove si produce il piedistallo, lo scheletro della macchina da cucire, ma an-che le parti in ghisa malleabile per alcune aziende automobilistiche italiane, si passa poi al reparto dove si produce il braccio d’alluminio della macchina da cucire, segu-ono la foratura, la tornitura, la verniciatura e l’essiccazione del braccio. Di seguito viene illustrato il ciclo di produzione di alcune parti del meccanismo interno della macchi-na da cucire cui seguono i severi controlli. Successivamente ogni singolo pezzo viene messo nel forno per la tempera, i pezzi pas-sano poi nei bagni galvanici per la cromatu-ra e infine segue la fase del montaggio, del collaudo finale e quella dell’imballaggio. La Necchi produce inoltre i motorini elettrici che azionano le macchine per cucire auto-matiche, i mobili per le macchine per cucire e le macchine per cucire industriali. Il fil-mato si conclude con una panoramica sui negozi della Necchi dove vengono impartiti corsi di taglio e cucito. In particolare si por-ta l’attenzione su due modelli di macchine da cucire automatiche: la Necchi Superno-

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va ultra e la Mirella. con l’aiuto di grafiche accattivanti e di un ironica voce narrante, il tutto condito con un’ottima capacità di per-suasione nei confronti del pubblico.

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6. PROGETTO

6.1 PAVIA INDUSTRIALESin dalla metà del sec. XIX a Pavia si per-cepiva l’esigenza di una svolta quantitativa e qualitativa in campo industriale. La città presentava favorevoli condizioni ambien-tali: la morfologia del terreno, la presenza ‘copiosa’ di acque, l’esistenza di nuove e meno nuove infrastrutture, quali la ferrovia Mi-Ge e il Naviglio. Numerosi rimanevano gli ostacoli: dal liberoscambismo imperan-te, alle gravose imposte e ai severi regola-menti statali e municipali, dalla mancanza di istruzione tecnica, all’assenza di strutture di supporto e servizio alla produzione e all’impresa.Eppure, la presenza di un mercato ingran-dito dal processo di unificazione del Paese e favorito dall’incremento della spesa pub-blica, i processi avviati di trasformazione in-frastrutturale esterni al centro storico e alle mura rinascimentali e i più che abbordabili prezzi di acquisto dei suoli per l’impianto degli stabilimenti, se confrontati con la vicina realtà milanese favorirono la crescita industriale pavese. Solo negli anni ’80 e ’90 del XIX secolo si pervenne ad un consistente insediamento industriale oltre la cinta muraria, peraltro favorito dal capitale e dalle conoscenze tecniche di imprenditori esterni all’ambito locale, nella fattispecie tedeschi e milanesi.Agli inizi del nostro secolo risale la seconda fase dell’industrializzazione pavese: quella del consolidamento delle imprese esistenti

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e della nascita degli stabilimenti ‘storici’.Questa fase fu favorita da una serie di cir-costanze contingenti: il progressivo splatea-mento della cinta muraria, la sdemanializ-zazione e conseguente dismissione delle aree militari (ad es. la Piazza d’armi, ubicata a nord della città, che vide l’insediamento di numerosi stabilimenti industriali fra i quali la Necchi) e degli ex fondi fortilizi, il potenziamento della rete viaria esterna alle mura, la progressiva introduzione dell’energia elettrica, nuova fonte di ener-gia a basso costo, la presenza di una classe operaia organizzata.Tali aspetti favorevoli permisero l’insediamento di numerosi nuovi stabili-menti e il trasferimento o l’ingrandimento di altri: una ventina circa nel periodo 1900-1915, che si ubicarono in fregio alle princi-pali direttrici viarie esterne, a ovest, a nord e ad est del centro storico). In questo pan-orama, Ambrogio Necchi, pur mantenendo attivo il vecchio opificio di corso Cairoli, iniziò, nel 1903, una serie di occupazioni di aree esterne che condussero, in breve, alla creazione delle più rilevanti presenze produttive sul territorio.Durante la guerra, la produzione non mani-festò contrazioni, e cominciarono articolate vicende di cessione all’Amministrazione Municipale di Pavia, da parte dell’Autorità Militare, dei terreni dell’ex Piazza d’Armi e della successiva commercializzazione di parte degli stessi al Primo Sindacato Agrario

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di Milano e, nel 1915, alla Necchi.La Vittorio Necchi nacque proprio in quest’area, al termine del Primo Conflitto Mondiale.

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PIANTA PAVIA CON LUCDI!!!!!!!!!!!

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PIANTA PAVIA CON LUCDI!!!!!!!!!!!

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6.2 LA NECCHI OGGI: GIANLUIGI ALBERGATIQuando ho iniziato a ricercare informazioni sulla storia del mondo Necchi non avrei mai immaginato in un’impresa così ardua.La sensazione è paragonabile all’esplorazione di una nave sommersa e che contiene un tesoro nascosto, difficile da penetrare.Convinto di conoscere già abbastanza sulla famiglia, avendo visitato più volte la Villa in via Mozart a Milano , attualmente ges-tita dal FAI, stavo perdendo di vista la vera essenza dell’operato di questo importante nome, legato soprattutto alla figura di Vit-torio Necchi.Se mi avessero detto che a poche cen-tinaia di metri dal centro di Pavia si trova uno stabilimento Necchi grande quanto un paese non ci avrei creduto.E così, durante una giornata a Pavia in cerca di libri e informazioni, decisi di visitare lo stabilimento, o almeno quello che ancora oggi rimane.Durante il mio percorso, ho avuto il piacere di conoscere l’attuale proprietario di circa un terzo dello spazio dell’ex stabilimento Necchi. Gianluigi Albergati, proprietario della ditta Alvi Food di Pavia, mi racconta la storia di una delle fabbriche che hanno coinvolto e stravolto maggiormente la vita di una città che era, fino alla fine dell’800, una realtà prevalentemente contadina.

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“La Necchi occupa un’area vastissima, per quale motivo non è mai stato pensato di bonificarla e rivalutarla?”

Da anni si discute sulla riqualificazione di quest’area. Ne hanno proposti di progetti che, per un motivo o per l’altro non sono stati poi presi in considerazione. I due terzi rimanenti all’interno dell’area dovrebbero essere sottoposti ad una bonifica per la pre-senza d’amianto.

“Quindi i restanti due terzi non sono utiliz-zati attualmente?”

Noi comprammo quest’area della fab-brica nel 1998 quando gli altri spazi erano di proprietà di una ditta indiana. Nel 2003 decisero di trasportare tutti i macchinari in India per proseguire con la produzione di compressori; conosci la Necchi? Oltre alle macchine da cucire produceva compressori e alcuni di quei macchinari risalgono pro-prio alla ex fabbrica.

“Le strutture dismesse sono originali dell’epoca o hanno subito dei restauri?”

Tutte le strutture che oggi vedi risalgono al periodo che va dagli anni ‘20 agli anni ‘50; di fatto il nostro capannone è stato coperto con un involucro ma la struttura è molto vecchia. L’unico edificio che è rimasto in-tatto è quello degli uffici.

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Alcuni sono stati demoliti, a sud dell’area si trovano una caserma dei carabinieri e un centro sportivo, mentre ad est e a nord case popolari.

“Gli altri capannoni sono visitabili?”

L’area è visitabile anche se abbastanza peri-colosa. Gli unici capannoni in buono stato si trovano nella nostra area; non sono uti-lizzati dall’ Alvi Food, sono stati in parte sgomberati e ripuliti, ma all’interno è an-cora possibile trovare le tracce della vecchia azienda.

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6.3 ENTRARE NELLA FABBRICALa Necchi occupa uno spazio di 300.000 mq; essa confina ad est con Viale Repub-blica, ad ovest con i binari ferroviari, a sud con la caserma dei Carabinieri e un piccolo centro sportivo. Il suo confine è invalicabile. Un alto muro scorre tutt’attorno intervallato dall’entrata dell’Alvi Food sul lato del Viale e uno sboc-co sulla ferrovia che serviva per caricare le merci direttamente sui treni. Nello schema qui a lato, è rappresentata l’organizzazione dei vari capannoni durante gli anni ‘40.Lo spazio che ho potuto visitare venne ded-icato all’ebanisteria (P in fig.), quindi alla produzione di mobili per le macchine per cucire, successivamente convertito in sala di montaggio delle macchine poichè, come è già stato detto, la produzione dei mobili venne spostata all’esterno della Necchi visti i costi troppo elevati.Le dimensioni dei capannoni sono davvero notevoli; internamente sono spesso inter-vallati da muri divisori che suddividono le cintinaia di metri di colonne portanti.Ci troviamo in uno spazio altamente sug-gestivo, luminoso e con grandi potenzialità.Il capannone P è largo circa una sessantina di metri e lungo circa 200 suddiviso in tre grandi ambienti diversi; uno spazio decisa-mente esagerato per un progetto allesti-tivo. Ho deciso di concentrare la mia atten-zione su uno di questi.

Vi ale Repub bli ca

Alvi Food

Viale Repubblica

Alvi Food

area abbandonata

caserma

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Si tratta di un ambiente di 30x50 metri, sud-diviso da una fila di colonne centrale di 4 metri circa d’altezza.La luce non manca; infatti due dei quattro lati sono interamente occupati da grandi finestrature, oltre alle sei file di lucernai parallele alle colonne.Gli altri due lati invece presentano dei pas-saggi che conducono all’interno delle altre due grandi sale del capannone.L’obiettivo del mio progetto non prevede uno stravolgimento dello spazio, tantome-no una riqualificazione dello stesso.Si tratta di un mondo che è rimasto per troppo tempo sommerso da un cumulo di detriti, dimenticato e da riscoprire.Ed è proprio questo lo scopo principale del mio intervento. Il progetto, come anticipato dell’abstract, consiste in un allestimento temporaneo all’interno del capannone che rispolveri la storia del marchio Necchi e che porti il visitatore alla consapevolezza della forza e dell’importanza che esso ha avuto non solo nel campo del design, ma soprattutto a liv-ello sociale.

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6.4 HAPPENINGLa prima mia preoccupazione è stata quella che il visitatore dovesse percepire le mie st-esse emozioni entrando in contatto per la prima volta con lo spazio.Per fare ciò, è importante che l’intervento non vada a modificare in alcun modo la struttura originale, ma che vada ad esaltare e a sfruttare al meglio le sue caratteristiche.Ho cercato di immaginare la fabbrica come se diventasse il grande palcoscenico della sua stessa storia.Mettere in scena una storia per raccontare, informare un pubblico in una vera e propria fabbrica-teatro.Non faciamo riferimento ad un teatro stati-co, con un pubblico seduto, immobile e pas-sivo, ma piuttosto ad un pubblico dinamico e partecipativo, tipico dell’happening.Questa nuova forma d’arte venne creata da Allan Kaprow (1927-2006) che coniò la definizione:“L’happening è una forma di teatro in cui diversi elementi alogici, compresa l’azione scenica priva di matrice, sono montati de-liberatamente insieme e organizzati in una struttura a compartimenti”.Questa nuova forma d’arte portava con sè regole ben precise, prefissate dallo stesso Kaprow.Ciascun Happening avrebbe dovuto svolg-ersi in tre spazi diversi con atmosfere e il-luminazioni diverse:una luce bianca e blu nel primo ambiente,

A_Presidenza e Direzione GeneraleB_Direzioni Commerciali e AmministrativeC_Mensa AziendaleD_Officina ManutenzioniE_Servizio LavanderiaF_Costruzione macchine per cucire famigliaG_Costruzione macchine per cucire famiglia (attrezze-ria)H_Parco bicicletteI_Costruzione macchine per cucire ad uso industriale e artigiano-Progettazione-Ufficio tecnico generale As-sistenza tecnici clienti-Uffici addestramento e auleJ_Centrale di compressione e condizionamento ariaL_Direzione uffici fonderiaM_Fonderia e lavorazione leghe leggereN_Spogliatoi personale di fonderiaO_MagazzinoP_EbanisteriaQ_Decarburazione e sbavaturaR_Fonderia di ghisaS_Magazzino T_Magazzino prodotti finiti di fonderia U_MagazzinoV_ModelleriaX_Magazzino modelli per fonderiaZ_Sottostazione elettrica di alimentazione

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bianca e rossa nel secondo, blu nel terzo.Per ogni performance erano previste tra i 75 e i 100 invitati che avrebbero assistito ad uno spettacolo di 90 minuti al quale avreb-bero partecipato passivamente o venire coinvolti. Infine, ogni happening sarebbe dovuto avvenire in un luogo pubblico per sottolineare l’irruzione dell’arte nella quo-tidianità.Tra i suoi lavori più importanti “18 happen-ings in 6 parts” (1959), The courtyard hap-pening (1962), Yard (1961), Fluids (1967).Successicamente a Kaprow, molti altri artisti esplorarono la dimensione dell’happening e ne ridettarono le regole: Joseph Beuys, Wolf Vostell, Nam june Paik, Charlotte Mooreman, Dick Higgings, Emmett Wil-liams e molti altri.Perciò, parlare di happening non significa parlare di opera teatrale fine a sè stessa nel-la quale rappresentazione e pubblico si tro-vano su due livelli differenti; nell’happening parte della performance è sconosiuta an-che all’artista, poichè lo spettacolo diventa non solo quello che lui stesso rappresenta, ma tutto ciò unito allo spirito, la parteci-pazione e le eventuali reazioni del pubblico che vi assiste.Un happening si rapporta in modo partico-lare con lo spazio circostante. Crea un uni-cum tra il contenuto della performance, il pubblico e ciò che lo circonda.John Cage, compositore del XX secolo, scrisse un bizzarro spartito musicale com-

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posto solo da pause della durata totale di 4 minuti e 33 secondi. Da qui, il titolo 4’33” (1952), dove anche l’artista che seduto al pianoforte fa solo tre movimenti (tacet) per tutta la durata della performance, subisce per la prima volta il fascino di un evento che ha come protago-nista il silenzio, un silenzio sempre nuovo che muta in base a tutto quello che ruota attorno al pubblico e all’artista stesso. Così, anche solo il ruomore di una zanzara o il respiro del pubblico, diventano parte inte-grante alla performance.Cage prese spunto da un’esperienza che pochi anni prima ebbe all’interno della stanza enecoica (senza eco) all’univeristà di Harvard, dove Cage avrebbe dovuto per-cepire il silenzio totale; in realtà egli sentì per tutto il tempo un suono più acuto e uno più grave. Un ingegnere gli spiegò che quelli erano i suoni dell’apparato cardiocir-colatorio e nervoso. Il silenzio totale è pura utopia.

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“Lo spattatore fondamentalmente si trova

davanti a due scelte: o partecipa al gioco

che gli proponiamo, o si mette in disparte o

sta a guardare. E in questo casa si annierà,

perchè, ripeto, lo spettacolo va vissuto, non

certo visto e giudicato. Se, al contrario, lo

spettatore entra nel gioco, potrà immedi-

atamente essere parte viva, attiva di esso”.

Luca Ronconi

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6.5 DA KAPROW A RONCONI INFINITIESLuca Ronconi (1933-2015), attore teatrale e regista, nel 2002 decide di rappresentare un testo scritto dal cosmologo inglese Jhon Barrow. Infinities tratta il tema dell’infinito in modo del tutto rivoluzionario poichè lo stesso regista è riuscito a raccontarlo dis-taccandolo dal freddo e schematico mondo della matematica alla quale noi tutti siamo abituati ad associarlo.In un’intervista, Ronconi afferma che l’argomento scientifico contiene differenti tematiche; ciò significa che, parlando di in-finito, non si tratta solo di scienza biologica ma vengono toccati addirittura campi come la finanza e l’economia. Il suo intento è di trovare un nesso tra l’argomento scientifico e il mondo del teatro.Il tema dell’infinito è stato scelto da Ron-coni tra i tanti proposti da Barrow, poichè un tema che non condiziona troppo la resa teatrale, o meglio, un “tema che restasul terreno delle ipotesi, delle supposizioni, della forma logica”.Il tema è stato suggerito da Barrow sud-diviso in cinque differenti sequenze che danno al racconto una certa dinamicità e che lo distolgono dall’essere una semplice conferenza sull’infinito.L’intento dell’intera rappresentazione è quello di dare una struttura spazio-tempo-rale a questo tema.Lo spazio scelto è quello di un vecchio

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stabilimento che oggi non esiste più a causa di un incendio, probabilmente doloso, av-venuto pochi anni dopo lo spettacolo.Questo ambiente veniva utilizzato dal Teatro della Scala per depositarvi sceno-grafie e abiti teatrali.La situazione è molto simile a quella presa in considerazione dal mio progetto. Anche in questo caso lo spazio è talmente sugges-tivo che lo stesso Ronconi ha deciso di non modificarlo, ma piuttosto di integrarlo con degli elementi strutturali e dei supporti per poter raccontare al meglio la propria storia.“Questo spettacolo è un invito alla crisi e non alla costruzione di certezze, nel senso che deve far ragionare lo spettatore che osservando lo spettacolo ha vissuto un’esperienza temporale e un approccio con il tema dell’infinito” afferma Ronconi.Ma come è stato gestito il pubblico?Di fatto, lo spettacolo era preceduto da una rigida organizzazione che prevedeva la ro-tazione di gruppi di visitatori che passavano da un ambiente all’altro.Ogni gruppo era composto da una trentina di persone che assistevano a performance differenti: dialoghi tra personaggi, mono-loghi, semplici movimenti; di fatto Ronconi non vuole lasciar spazio a personaggi ben precisi, o meglio, il visitatore non deve dis-togliere la propria concentrazione su quello che è il tema dell’infinito e su ciò che sta vivendo in quel momento, l’happening di Infinities.

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Un dettaglio molto raffinato è costituito dal fatto che, ciascun visitatore al termine del percorso avrebbe potuto ripetere l’esperienza e riviverla all’infinito. Ogni gruppo di persone vive la propria in modo differente poichè inizia, procede e termina in mondo differente.Il materiale su questa vera e propria opera d’arte è purtroppo piuttosto limitato, ma è bastato per farlo diventare il caso studio di base per il mio allestimento.In conclusione, il lavoro di Ronconi è un vero e proprio esempio di happening teat-rale e sostiene quelli che sono i caratteri principali del happening, gli stessi di Cage e kaprow, ovvero l’unione indissolubile tra spettaore, lo spazio e la performance.

SPETTAORE

SPAZIOPERFORMANCE

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6.6 NECCHI THE FACTORY HAPPENINGNecchi è stata un’azienda che non solo si è insediata all’interno della realtà pavese, ma è riuscita a creare una vera e propria città nella città.Come un grande alveare, la Necchi ha sta-bilito nuovi ritmi e una vera e propria nuova tipologia di vita sociale tra i suoi lavoratori.Come in un grande teatro, è stata raccon-tata una storia. Il progetto che segue vuole riportare alla luce l’importanza di questa grande azienda.Il tutto verrà rappresentato da un allesti-mento temporaneo all’interno di uno degli spazi ormai abbandonati. Come già detto in precedenza, Alvifood è proprietaria di un terzo dei capannoni Nec-chi e purtroppo parte di essi sono stati ris-trutturati e hanno perso il loro fascino.Fortunatamente uno di essi, oggi utilizzato in parte come deposito, ha mantenuto la struttura originale.Si tratta dello spazio che un tempo era destinato all’ebanisteria della Necchi che, come sappiamo, ha prodotto per poco tem-po i mobili di supporto per le macchine per cucire.Il progetto allestitivo verrà concentrato all’interno di uno dei grandi stanzoni che suddividono lo spazio internamente.Ho scelto di utilizzare e concentrarmi su uno di questi spazi principalmente per due motivi: il primo per il fatto che rimane uno

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dei pochi spazi originali che sono stati ripu-liti dalla stessa Alvifood; inoltre si trova nei pressi dell’unica entrata che si incontra co-steggiando il lungo muro perimetrale della Necchi su Viale Repubblica, e questo facilita la progettazione soprattutto per quanto ri-guarda la gestione dei flussi di coloro che visiteranno lo spazio.L’intervento progettuale non vuole snatura-re in alcun modo l’ex fabbrica, un po’ quello che accade all’interno di ogni teatro dove una scenografia, una storia vengono racco-ntate e contenute dall’ambiente teatro che le ospita senzache esse vadano ad incidere sulla struttura dello stesso. Perciò, come accade per un qualsiasi spet-tacolo, l’happening verrà supportato da attrezzature e tecnologie appartenenti al mondo teatrale, facili da montare e smon-tare, supporti che hanno puramente una funzione pratica e non estetica.Il fascino dell’ambiente teatrale è legato ad una serie di elementi che compogono la scenografia (telai, quinte, sipari...), a sua volta esaltata da un determinato utilizzo delle apparecchiature tecniche (luci, su-oni,...), due realtà che dovranno fodersi con i protagonisti dello spettacolo (attori).Necchi: Factory Happening è stato pensato per essere vissuto durante le ore notturne; il buio e la luce saranno il filo conduttore del racconto che inizierà già all’esterno del-la fabbrica.Il fatto di illuminare una parte della Necchi

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vuole metaforicamente simboleggiare la volontà di riportarne alla luce la storia.I contenuti di questa non si soffermano su di un solo preciso argomento, non si vuole solo raccontare la nascita della macchina per cucire Necchi, ma si esplorerà il mondo che ruotava attorno a questa grande realtà e ciò che ha comportato a livello socio-cul-turale.L’area occupata dalla Necchi, pur essendo di dimensioni gigantesche, sembra ormai essere stata dimenticata persino dai chi vi abita attorno; l’alta muraglia che la circonda nasconde i chilometri di strade ormai de-serte al suo interno.Per cui ho deciso di iniziare il racconto del mio allestimento proprio da questa con-statazione. Come ridarne quindi visibilità?Ho pensato di studiare una vera e propria campagna pubblicitaria di sensibilizzazi-one che riportasse al pubblico la consape-volezza di questo mondo sommerso e per ricordare che quegli spazi non dovrebbero essere dimenticati e perchè no, addirittura rinascere per ospitare nuove funzioni.Questo progetto di comunicazione viene qui presentato per la città di Pavia, ma potrebbe benissimo collocarsi anche in al-tre città.Ho pensato di progettare una locandina che richiamasse attraverso una grafica molto semplice, le forme che hanno dettto la sto-ria dell’azienda; vi saranno differenti tipolo-gie di grafiche pubblicitarie, ognuna delle

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quali rappresenterà un modello differente di macchina per cucire (Mirella, Bu mira, Supernova...) la presenza di un codice QR mi permetterà di accedere al sito internet per ottenere maggiori informazioni.L’organizzazione e la gestione dei visitatori è fondamentale per questo happening.I flussi di visita saranno gestiti tramite prenotazione direttamente dal sito internet o eventualmente dal punto informazioni presente sulla location ma solamente du-rante il periodo di visite.Uno degli elementi che accomuna qualsiasi happening teatrale sta nel fatto che cias-cun individuo del pubblico venga personal-mente e intimamente coinvolto all’interno dello stesso.Il numero di persone coinvolte può variare ma deve essere comunque sempre pensato e calibrato per permettere che il messaggio arrivi a ciascun componente del gruppo.Necchi: The Factory Happening coinvolge un numero limitato di persone per volta.Parliamo di gruppi di dieci persone che, come è già stato specificato, avranno prec-edentemente prenotato.

CASI STUDIO:

-MIGLIORE SERVETTO (TOTEM PA-

VIA E TOTEL TORINO)

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6.7 LUCI E PERCORSI

Ricordiamo che l’intera performance è avvolta nel buio, per cui l’utilizzo dell’illuminazione diventa fondamentale; la luce sarà, come nel teatro, la protagonista ed andrà a strutturare fisicamente il per-corso.Ovviamente, tutta l’attrezzatura utilizzata proviene dal mondo teatrale. Ho avuto la possibilità di conoscere personalmente Cristian Zucaro e Lorenzo Giuggioli, due tecnici a contatto con le più importanti realtà teatrali milanesi quali Il teatro della Scala e il Teatro Franco Parenti, che mi han-no seguito e consigliato durante la proget-tazione. Di seguito, esploreremo le tappe principali dell’happening.Per marcare il punto di inizio del viaggio, verrà posizionato all’ingresso del percor-so un totem (l’ingresso scelto è lo stesso dell’azienda AlviFood); mi ricollego a un caso studio dai lavori di Migliore+Servetto di grande ispirazione (XX Olympic winter game, Torino 2006). Alta circa sei metri, la struttura verrà costru-ita utilizzando lamiera metallica piegata, elettrosaldata, successivamente dipinta di rosso, un colore molto utilizzato per le vec-chie locandine pubblicitarie, dove spesso, gli elementi risaltavano grazie ad un co-lore (prevalentemente rosso,blu) su sfondi monocromatici.L’elemento è suddiviso in tre componenti:

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una base a tronco di cono al quale viene saldato un palo rastremato per poi termin-are con il grande logo inciso su una piastra circolare saldata sulla cima.Per illuminare il totem, saranno fissate all’interno della base due differenti tipolo-gie di lampade:- PAR36 CP60 per illuminare la struttura in modo omogeneo;- PAR64 (ottica 8°) direzionato invece sul logo.Queste verranno semplicemente fissate alla base.Il totem è solo il primo degli elementi che sono stati aggiunti nello spazio esterno. Prima di proseguire nel nostro viaggio, vorrei introdurre gli altri componenti che andranno ad allestire l’area antistante alla fabbrica. Una volta superato il varco, dove verrà posizionato il totem, troviamo sulla nos-tra destra una vecchia cabina destinata probabilmente al custode e pochi metri più avanti, un grande spazio asfaltato de-cisamente dispersivo, chiuso sulla destra dall’Alvi Food, sulla sinistra dal capannone abbandonato preso in considerazione.L’entrata vera e propria della porzione di capannone che conterrà l’allestimento può essere raggiunta percorrendo in senso contrario il muro perimetrale della Necchi. (schema a lato).Le caratteristiche dello spazio richiedono perciò l’aggiunta di ulteriori elementi utili a

“IN TEATRO IL BUIO SI FA

CON LA LUCE”

vv

VALERIO TAMBONE attore del-

la compagnia di emma dante e

regista e direttore artistico del

banned theatre.

Dettagli tecnici:

PAR sta per parabola(indica la

forma dello strumento)

CP60 indica la tipologia di luce

utilizzata

Ottica invece indica la dimen-

sione del fascio che otterro, piu

i gradi sono bassi, piu il fascio

sara ristretto e intenso!!!

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direzionare i flussi di visitatori.Il muro perimetrale citato poco fa termina al punto di posizionamento del totem, ov-vero al cancello d’ingresso; in realtà ho confrontato lo stato di fatto con una vec-chia pianta degli anni ‘70, nel quale il muro proseguiva per un altra quindicina di metri; probabilmente, è stato abbattuto quando è subentrata la nuova azienda.Il percorso per direzionare il flusso di visi-tatori viene disegnato grazie al posizion-amento di due elementi verticali perpendi-colari l’uno all’altro; si tratta di due pareti autoportanti in tubolare metallico, rivestite da un sottile strato di lamiera nera opaca.Le pareti dovranno risaltare nello spazio e mantenere un distacco, creare contrasto con quella che è la struttura originale Nec-chi.Diciamo che questi componenti vanno a creare una sorta di introduzione a quello che sarà l’happening vero e proprio. Varcato l’ingresso, percorrendo il primo degli elementi aggiunti che ho appena ci-tato, i visitatori entrano in contatto con un’installazione che li direziona durante il percorso.Il caso studio preso in considerazione per quest’ultima fa parte dei lavori di Studio Az-zurro, Il segno della memoria (Imola, 2013).Con il supporto di tre videoproiettori, di due speaker audio, l’installazione consiste nella proiezione di forme geometriche che richiamano alla mente i ricami del cucito.

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Il videoproiettore sarà direzionato su una pedana in legno che occuperà la stasse lunghezza del muro aggiunto. In continuo movimento, i disegni proiettati saranno supportati da un audio che ripro-durrà il suono e il ritmo delle macchine per cucire, il tutto gestito da un computer prec-edentemente programmato.A questo proposito, mi ricollego ad un al-tro progetto di happening di Sara Conforti, 13600 hZ, Concerto per macchine da cucire che fondeva il ritmo dei movimenti del corpo con il suono prodotto dalle macchine per cucire.Il visitatore incontra poi il secondo elemen-to verticale che svolge diverse funzioni. La prima è di direzionare il pubblico evi-tando che si disperda nello spazio, le sec-onda quella di supportare il logo illuminato da una luce spot, ricreata grazie all’utilizzo di un proiettore a lente piano convessa (PC da 5° a 56°) fissata su uno degli spigoli del primo supposto verticale, infine quella di nascondere la struttura del punto in-formazioni e un bagno chimico idoneo an-che per diversamente abili. Il punto informazioni gestisce i flussi di visita e inoltre è possibile acquistare libri o post-ers inerenti ai contenuti dell’happening.

Studio azzurro, il segno della

memoria

concerto per macchina per cuci-

re, di sara conforti, 13600hZ,

genova 2015

dettaglio tecnico:

il sagomatore fa un disegno net-

to con contorni definiti, lo spot

PC invece ha i contorni sfuma-

ti!!!!!!!

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6.8 VIVERE LA SCENAMentre il percorso che conduce al punto informazioni non prevede un numero limi-tato di visitatori, la performance vera e propria, che avverrà nello spazio interno prevede, come è già stato detto gruppi di massimo 10 componenti.Questi dovranno procedere verso l’ingresso attraversando un corridoio luminoso che li condurrà alla porta d’ingresso.Il progetto prevede il posizionamento di 8 sagomatori ETC source four posizionati a pi-oggia, ovvero sulla testa del visitatore. I muri che delimitano lo spazio del mio cor-ridoio luminoso, ovvero il muro perimetrale e una della pareti del mio spazio interno, mi permettono di fissare i sagomatori su strutture metalliche che verranno fissate a questi.Il posizionamentoa a pioggia è fondamen-tale in questo caso, per evitare che si cre-ino delle ombre che potrebbero risultare fastidiose. A differenza del percorso luminoso d’ingresso, in questo caso la gestione delle luci avverrà grazie ad una console gestita all’interno del punto informazioni; addirit-tura la sequenza dell’accensione/spegni-mento di questi sagomatori, peraltro dim-merabili, potrebbe essere preimpostata e avviata solo nel momento in cui il gruppo si avvia verso l’ingresso. Una seconda alternativa sarebbe quella di utilizzare dei veri e propri sensori, molto

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spesso utilizzati nei lavori di Studio Azzurro, anche se in questo caso i costi aumentereb-bero notevolmente.Il fascio luminoso termina all’ingresso del capannone. Si tratta di un’apertura di notevoli dimen-sioni (250x400cm) che nel progetto verrà coibentata grazie all’utilizzo di una strut-tura di mdf dipinto di nero, una sorta di passaggio composto da due strati di tende posti ad una distanza di circa un metro l’uno dall’altro, quasi a voler richiamare gli ingressi dei teatri e dei vecchi cinema che sfruttavano questo metodo per meglio iso-lare lo spettacolo dal mondo esterno.Una volta all’interno, il pubblico si trova a comunicare con uno spazio completa-mente buio, nel quale quindi la percezione delle stesso risulta essere quasi assente.L’happening in questione vuole di fatto con-durre i visitatori ad un’esplorazione grad-uale dell’ambiente.Lo spazio, di circa 1000 mq, non subirà alcu-na modifica. L’allestimento è stato pensato per poter essere eventualmente riallestito in altre locations.L’intera scena che racconterà la storia al pubblico, sarà costituita da cinque differ-enti postazioni sparse nell’ambiente. Si tratta di vere e proprie isole indipendenti l’una dall’altra che comunicano contenuti diversi. Il posizionamento non è casuale, l’happening non è casuale, e non lo è mai stato nemmeno in passato.

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Un happening viene precedentemente studiato e calcolato; per questo motivo il pubblico verrà in un certo senso, obbli-gato ad esplorare e scoprire ciscuna delle isole, ognuna delle quali sarà delineata da un portale costituito da una grande cornice di americane standard (7Qx30) da sezione quadrata 30 cm di lunghezza 200 e 300 cm, autoportanti grazie all’aiuto di sei dadi cu-bici di uguale grandezza posizionati sui qut-tro angoli. Questo è un elemento largamente utilizza-to in ambito teatrale e molto spesso dialoga con altri due elementi altrettanto conosciu-ti; questi andranno a legarsi fisicamente al supposrto di americane. Frontalmente il portale verrà chiuso dallo specchio magico; si tratta di un materiale plastico sottile e leggero come un telo che perimetralmente presenterà una cinghia in polipropilene nero intervallata da occhielli per fondali in tessuto nei quali passeranno tensori elastici per permettere il fissaggio al perimetro della struttura.La caratteristica fondamentale di questo materiale sta nel fatto che possa sia riflet-tere che diventare completamente traspar-ente a seconda dell’utilizzo delle luci; con una luce direzionata frontalmente il telo magico si comporterà da specchio, al con-trario, se illuminato sul retro diventerà trasparente.L’altro lato del portale verrà invece coperto da un altro interessante materiale, il tulle

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scenografico.Per il progetto è stata scelta la trama tipo Gobelin (B40) bianco poichè permette di ottenere il miglior effetto di retroillumin-azione.Ancora una volta, il filo conduttore del nos-tro racconto verrà supportato dalla luce.Come si raccontano le postazioni e che dia-logo creano con il visitatore?Innanzitutto, l’intera performance sarà gestita da una console precedentemente programmata ed azionata all’interno dell’ambiente.Dal buio totale, il gruppo viene direzionato verso la prima isola.Un fascio di luce prodotta da un sagoma-tore ETC source four, ottica 50°, con inci-denza perpendicolare rispetto al suolo, in-dicherà la posizione da raggiungere.Entrando all’interno della sagoma di luce proiettata a terra, il gruppo si troverà di fronte al primo dei portali. Il fascio proiettato dal sagomatore creerà una luce abbastanza intensa per far sì che il pubblico si possa riflettere nello specchio magico. Trascorsi pochi secondi, la luce del sagoma-tore si affievolisce per lasciar spazio al rac-conto dell’isola. Una voce narrante onniscente esporrà il tema della postazione supportato da im-magini e schemi grafici che verranno video-proiettate sul secondo elemento verticale, ovvero il tulle scenografico.

Casi studio:

-micol assael

-three chairs di joseph kosuth

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La luce, che attraverserà lo stesso, colpendo lo specchio magico renderà quest’ultimo trasparente per trasmettere l’immagine al pubblico.Al termine del racconto, un video integrerà i contenuti narrati e verrà anch’esso retro-proiettato sul tulle.L’eplorazione terminerà con l’accensione di un scondo sagomatore posto sul retro del portale che illuminerà un oggetto fisi-co supportato da una o più didascalie ; il pubblico sarà così invitato a raggiungerlo e scoprirlo. Anche il secondo sagomatore diminuerà l’intensità luminosa per permetter il prose-guimento del percorso; quest’ultimo non si spegnerà totalmente, ma lascerà spazio all’accensione della seconda isola che co-municherà i propri contenuti con le stesse modalità; e così per tutte le altre.Ciascuna tratterrà il pubblico circa 5 minuti per una durata totale di una mezz’ora circa.Per risolvere il problema dei pali portanti all’interno dello spazio e che quindi pote-vano risultare d’intralcio durante gli sposta-menti, ho pensato di utilizzare della vernice fotoluminescente bianca, lo stesso per seg-nare le uscite di emergenza.Lo spegnimento dell’ultima isola decreta il termine della performance; a questo punto, dieci lampade industriali da interno a ioduri metallici illumineranno l’ambiente a giorno. Proprio in questo momento, il visitatore scoprirà finalmente lo spazio, lo

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potrà esplorare, vagando tra i portali che senza la luce non possono comunicare e tra gli oggetti, quasi come se si trovasse nel backstage di uno spettacolo teatrale.La macchina Necchi ha smesso di funzion-are e invita i visitatori ad uscire.

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6.9 ISOLE E CONTENUTIDescrivere al visitatore una storia ricca e complessa come quella dell’azienda Necchi rischia di diventare un semplice riassunto, o al contrario, un contenitore zolmo di in-formazioni che richiederebbe troppo tem-po per essere esplorato.La scelta dell’happeining teatrale è dovuta anche a questo, per potersi discostare da quella che sarebbe risultata una semplice visita museale. Lo scopo principale è proprio quello di guidare il visitatore senza lasciare che si distragga o che tralasci informazioni.Innanzitutto, la performance abolisce total-mente i supporti tipici (didascalie ecc..) per lasciar spazio all’informazione visiva che solitamente viene immagazzinata nel nos-tro cervello con maggior facilità.Come è già stato detto, il ritmo verrà scan-dito dalla luce e da una sequenza pre-impostata fissa; nonostante ciò, le isole potrebbero essere esplorate in modo ca-suale poichè trattano argomenti completa-mente differenti.Analizziamole ora di seguito.

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_Industrializzazione: uomini e macchineNella prima isola verranno raccontati quelli che sono stati i principali rapporti tra il fio-rente mondo americano di primi anni del ‘900 con quello invece Europeo. Si parlerà di lusso e di ricercatezza nella produzione italiana e di quanto questo con-cetto sia inteso in un modo del tutto differ-ente rispetto al continente d’oltreoceano. Il supporto video che è stato scelto per questa prima postazione è un breve pezzo tratto dal film Modern Hard Times (1936) nel quale, un giovane operaio interpre-tato dall’attore Charlie Chaplin viene let-teralmente risucchiato dal macchinario sul quale lavora; una vera e propria battaglia nella quale la macchina sembra essere la vincitrice. Al termine della proiezione, il secondo sagomatore dell’isola illuminerà l’oggetto retrostante. Si tratta di un tavolo composto da due cavalletti metallici sui quali poggia una base in legno alla quale verrà saldata una piastra metallica. Su di essa, otto martelli andranno a battere in modo alternato e continuo; il rumore e la ripetitività richiamano il mondo della cat-ena di montaggio e della meccanizzazione del corpo umano. I martelli verranno mossi da perni, a loro volta percossi da un albero camme posto sotto il piano del tavolo ed azionato da un motorino elettrico da 200W. Mi ricollego qui ad un caso studio, Proud to

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Protest: by Ruth Hogben and Gareth Pugh, cortometraggio dedicato ai diritti negati alla comunità LGBTI russa; una serie di met-ronomi (persone) batte ad un ritmo sempre più simile e costante, una sorta di sperson-alizzazione di livello globale.

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_1919: Vittorio e la a nuova NecchiIl 1919 è stato l’anno dei grandi cambia-menti per l’azienda; Vittorio crea la nuova sede ed inizia a costruire le macchine per cucire. Si parla di Pavia, una città nata con l’agricoltura e della scossa che la stessa ricevette grazie alla Necchi che non solo produsse macchine per cucire, ma rivoluzi-onò totalmente la società pavese e la vita dei suoi cittadini.Il video proiettato è stato estratto da un documentario del 1960 realizzato da Lu-ciano Emmer che racconta la grandezza e l’importanza dell’azienda.L’oggetto qui presentato sarà un modello in scala dei 200 mila metri quadri dell’azienda per far sì che il visitatore prenda coscienza dello spazio nel quale si trova.

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_La macchina per cucireNel cuore del nostro percorso viene racco-ntata la storia dell’oggetto che ha reso cele-bre la Necchi: La macchina per cucire. Si parte dalla nascita di questo affascinante macchinario, dai primi brevetti fino ad ar-rivare alla Vugorelli e ovviamente alla Nec-chi. Per questa postazione verranno proiettati due video differenti; il primo, un estratto da un documentario del 1954 per festeggiare il centenario della macchina per cucire, il sec-ondo, del 1953, riprende la presentazione del nuovo modello Vigorelli.Il visitatore entrarà in contatto con gli otto più famosi modelli di macchine Necchi dis-posti su un tavolo in due file sfalsate.BD, BDA, BDU, BF, BU mira, Supernova, Mirella, Logica. Ciascun modello presen-terà una targhetta con il nome e l’anno di creazione.

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_Donne e macchineSi tratta qui della figura femminile che, da semplice casalinga, inizia ad avere un nuovo ruolo sia dentro che fuori la vita domestica.Completamente rapita e condizionata da quelli che possiamo definire i primi tentativi di marketing pubblicitario, la nuova donna si sente parte della società, una lavoratrice con apparentemente gli stessi diritti e do-veri di un uomo.Siamo ancora lontani dal concetto odierno di emancipazione femminile, ma questo è probabilmente il primo passo.Se da una parte un video del 1954 tratto dal concorso La sposa d’Italia, uno dei primi programmi condotti da Mike Bongiorno, presenta l’immagine della donna perfetta, dall’altra l’orgasmo nel video estratto dal lungometraggio Pornorama (2007), dove Valentina Lodovini nelle veci di un’attrice per uno spot pubblicitario, proprio durante le riprese si eccita per lo sfregamento delle cosce durante l’utilizzo della macchina per cucire.Sul retro dell’isola verrà illuminata una struttura cilindrica composta da sette telai di legno ai quali verranno applicati pezzi di locandine pubblicitarie destinate al pub-blico femminile. Il pubblico sarà invitato ad entrare nel mezzo di questa sorta di arena, rinchiuso nel mondo delle casalinghe per-fette.

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_Il caroselloIl marketing pubblicitario cresce a dismi-sura con l’avvento della televisione. Si parlerà di Carosello e di come esso sia diventato parte della quotidianità degli ital-iani.Il pubblico si allarga; gli spot pubblicitari co-involgono non solo le casalinghe ma l’intero nucleo familiare.La sigla di Carosello è cambiata negli anni; ho scelto di proiettare quella del 1963 poi-chè coincide con il massimo successo del programma e parllelamente con il massimo successo della produzione Necchi.I visitatori entreranno in contatto poi con la parte fisica dell’isola. Dieci sgabelli li attenderanno, poichè un secondo video verrà proiettato sul tulle scenografico. Si tratterà di una sorta di video patchwork, nel quale si riassumeranno le caratteris-tiche principali della Necchi.Scene tratte da documentari e diversi Caro-sello chiuderanno l’esplorazione della quin-ta ed ultima isola.Al termine, il grande meccanismo si fer-merà. Come è già stato descritto, il pub-blico ora entrerà in contatto con tutti quelli che sono stati i protagonisti e i supporti dell’esperienza appena vissuta, e sarà invi-tato ad uscire.

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7. conclusioni

Raccontare in breve e concentrare in un unico spazio una storia così ampia non è un compito facile. In realtà, di questa grande azienda si po-teva raccontare molto di più, ma ciò avreb-be distolto l’attenzione su quelle poche tematiche che sono state esposte e che presentano una grande forza, soprattutto se scoperte ed esplorate in un luogo sug-gestivo e magico qual è la fabbrica Necchi.Durante il percorso progettuale l’attenzione si è spostata maggiormente su quello che è il funzionamento della performance, più che sulla progettazione di nuovi spazi. Volutamente, ho cercato di intervenire in modo poco invasivo all’interno dello spazio, pur utilizzando segni decisamente forti.Ho cercato di immedesimarmi il più pos-sibile nell’ipotetico visitatore che, come un ignaro esploratore, scopre per la prima volta con questo mondo.Durante il percorso, sono entrato in con-tatto con un mondo fino ad ora sconosiuto, quello dell’illuminotecnica; ne sono rimas-to talmente affascinato che ho pensato che il buio e la luce potessero divenire le mie linee guida e diventare i narratori di questa storia straordinaria.Purtroppo per molti, Necchi è solo la mac-china per cucire della nonna dimenticata in soffitta; un oggetto che forse, proprio perchè non lo conosciamo abbastanza, ab-biamo scordato di amare.

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FONTI IMMAGINI

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