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Seminario Tondelli, diciannovesima edizione, Correggio, Palazzo dei Principi, 14 dicembre 2019. Intervento di Lorenzo Pisaneschi: Di cosa parliamo quando parliamo di Altri libertini? Di cosa parliamo quando parliamo di Altri libertini? Di Lorenzo Pisaneschi Hey babe, take a walk on the wild side Lou Reed, Walk on the Wild Side È il 1980 quando sugli scaffali delle librerie italiane fa la sua comparsa Altri libertini, testo edito da Feltrinelli nella collana «I Narratori», che segna l'esordio dell'allora venticinquenne Pier Vittorio Tondelli. “Romanzo” è il termine che troviamo posto appena sotto il titolo dell'opera sulla copertina di questa prima edizione; dicitura che viene poi recuperata nell'edizione economica data alle stampe nel 1987 dove, in quarta di copertina, si parla dell'opera prima di Tondelli come di un romanzo assimilabile ad un vero e proprio ritratto generazionale. Se è certamente indubbia come meglio approfondiremo nel terzo paragrafo la vocazione generazionale dell'opera, desta sicuramente più perplessità l'etichetta di romanzo imposta al libro fin dalla sua prima pubblicazione. Si può infatti parlare di romanzo quando parliamo di Altri libertini? Nonostante i sei episodi di cui il libro è composto presentino tra loro vari punti di contatto (scenari ricorrenti, caratteri più o meno simili ed una certa malinconia di fondo), Altri libertini si configura come una raccolta di racconti. Se è vero che lo stesso Tondelli, probabilmente spinto da motivi di spendibilità commerciale piuttosto che da un vero e proprio disegno artistico, preferì parlare di romanzo a episodi 1 , è altrettanto vero che la forma stessa del racconto, con la sua scattante brevità 1 CARNERO 1998, p. 32.

Di cosa parliamo quando parliamo di Altri libertini

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Seminario Tondelli, diciannovesima edizione, Correggio, Palazzo dei Principi, 14 dicembre 2019.

Intervento di Lorenzo Pisaneschi: Di cosa parliamo quando parliamo di Altri libertini?

Di cosa parliamo quando parliamo di Altri libertini?

Di Lorenzo Pisaneschi

Hey babe, take a walk on the wild side

Lou Reed, Walk on the Wild Side

È il 1980 quando sugli scaffali delle librerie italiane fa la sua comparsa Altri libertini, testo

edito da Feltrinelli nella collana «I Narratori», che segna l'esordio dell'allora venticinquenne Pier

Vittorio Tondelli. “Romanzo” è il termine che troviamo posto appena sotto il titolo dell'opera sulla

copertina di questa prima edizione; dicitura che viene poi recuperata nell'edizione economica data

alle stampe nel 1987 dove, in quarta di copertina, si parla dell'opera prima di Tondelli come di un

romanzo assimilabile ad un vero e proprio ritratto generazionale. Se è certamente indubbia – come

meglio approfondiremo nel terzo paragrafo – la vocazione generazionale dell'opera, desta

sicuramente più perplessità l'etichetta di romanzo imposta al libro fin dalla sua prima pubblicazione.

Si può infatti parlare di romanzo quando parliamo di Altri libertini?

Nonostante i sei episodi di cui il libro è composto presentino tra loro vari punti di contatto (scenari

ricorrenti, caratteri più o meno simili ed una certa malinconia di fondo), Altri libertini si configura

come una raccolta di racconti. Se è vero che lo stesso Tondelli, probabilmente spinto da motivi di

spendibilità commerciale piuttosto che da un vero e proprio disegno artistico, preferì parlare di

romanzo a episodi1, è altrettanto vero che la forma stessa del racconto, con la sua scattante brevità

1CARNERO 1998, p. 32.

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(«Presto dentro. Presto fuori»2 direbbe un maestro della short story come Raymond Carver), ben si

presta a tratteggiare le vite al limite dei personaggi del libro. Perché dunque adoperare l'ormai

abusata definizione di romanzo (ad episodi o meno poco importa) per descrivere un'opera che fa

delle caratteristiche intrinseche del racconto breve uno dei suoi punti di forza?

Si è molto insistito, nel corso degli anni, sul carattere fondamentalmente unitario del libro

evidenziando come i racconti/episodi, pur costituendosi come unità a sé stanti, confluiscano in un

macrotesto che permette di leggerli come – appunto – una sorta di romanzo, che l'autore stesso

definisce «quello della mia terra e dei nostri miti generazionali»3. Secondo la definizione data da

Maria Corti, una raccolta – tanto di racconti quanto di poesie – può configurarsi come macrotesto

quando si verifica almeno una di queste condizioni:

I ) se esiste una combinatoria di elementi temici e/o formali che si attua nella organizzazione di tutti i testi e

produce l'unità della raccolta;

2 ) se vi è addirittura una progressione di discorso per cui ogni testo non può stare che al posto in cui si trova.

4

Non sbagliamo allora quando guardiamo ad Altri libertini come ad un'opera in cui «ogni racconto è

una microstruttura che si articola entro una macrostruttura»5: la prima condizione d'esistenza sopra

evidenziata è infatti ampiamente soddisfatta. I temi che Tondelli tratta nel suo libro d'esordio (la

droga, la libertà sessuale, l'emarginazione omosessuale, l'utopia6) sono infatti comuni a tutti i

2CARVER 1997, p.5. 3CARNERO 1998, p. 121. 4CORTI 1978, p. 186. 5Ivi, p. 185. 6PANZERI-PICONE 1994, p. 50.

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racconti che lo compongono così come le scelte stilistiche che l'autore adotta nella loro stesura. Si

va dunque dal desiderio di fuga (che si rivelerà quasi sempre inconcludente o più semplicemente

impossibile) che anima tutti i personaggi del libro al consumo ossessivo-compulsivo di sostanze

stupefacenti quali alcol e droga che si impongono come una presenza fissa ed insostituibile di ogni

vicenda narrata («il vino è farmaco dei mali e credete a me, questa è l'unica risposta al mondo che

c'è»7 arriva addirittura a dire il protagonista dell'ultimo racconto dell'opera), passando per il tema

del sesso, sempre presentato con toni tanto crudi e diretti da sfiorare, se paragonata allo standard

della produzione narrativa del tempo, quasi la pornografia. Gli anni Settanta sono terreno fertile per

questi temi che Tondelli sente come propri, indissolubilmente legati alla propria generazione: negli

stessi anni escono, infatti, libri quali Porci con le ali di Rocco e Antonia (all'anagrafe Marco

Lombardo Radice e Lidia Ravera) e, soprattutto, Boccalone di Enrico Palandri, nei quali è possibile

riscontrare i medesimi temi cari al pubblico giovanile che animano anche il libro d'esordio dello

scrittore correggese. Tutti i racconti che compongono la raccolta mettono in scena i medesimi

caratteri: giovani scapestrati, senza una reale percezione del mondo che li circonda, che macinano

avventure nella speranza (alquanto illusoria) di riuscire ad evadere dalla prigione provinciale in cui

sono costretti. È una realtà grigia ed opprimente quella da cui cercano di fuggire i “libertini” evocati

nel titolo del libro: un desiderio di fuga che si sostanzia tanto nei viaggi che alcuni dei personaggi

intraprendono nel corso della narrazione quanto nell'uso scriteriato delle sostanze stupefacenti,

avvertite come l'unico rimedio contro (per usare le parole del tosco-emiliano Francesco Guccini,

autore caro al giovane Tondelli) quel «tedio a morte del vivere in provincia»8 che si configura come

7TONDELLI 2000, p. 132. 8GUCCINI 1976.

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il male comune a tutti i personaggi del libro. La dipendenza – tanto dalle droghe quanto dal sesso –

sembra essere il minimo comune denominatore di una generazione, così come viene delineata in

Altri libertini, che sembra incapace di relazionarsi al mondo in cui si trova a vivere, preferendo alla

gretta realtà, la totale evasione offerta dagli effetti psicotropi prodotti dalle sostanze assunte senza

soluzione di continuità e dalle fughe che, con ogni mezzo a disposizione, vengono protratte il più

lontano possibile da casa.

Importante notare come, oltre ai già citati temi ricorrenti, Tondelli orchestri il suo primo libro

inserendo una serie di rimandi intertestuali che concorrono a rendere ancor più pronunciata

l'omogeneità di fondo dell'opera. È infatti la stazione di una non meglio identificata città emiliana e

più precisamente il suo posto ristoro, evocato nel titolo, il teatro della scena su cui si muovono i

personaggi del primo racconto: tossicodipendenti in cerca di una dose che, dopo le iniziali

difficoltà, riusciranno a trovare per poi consumare in un bagno a cui sembra far riferimento la Pia

(voce narrante del secondo racconto Mimi e istrioni) quando dirà «e sogno il non più mio Tony che

si fa un fix di Fernet nei cessi della stazione insieme alle checche sfrante che bazzicano colà»9.

Oltre al chiaro riferimento di luogo (il bagno della stazione) e di attività lì svolta (un fix, vale a dire

un'iniezione di eroina), nella frase pronunciata dalla protagonista del secondo racconto possiamo

anche notare la ripetizione della medesima espressione con cui Tondelli aveva descritto Liza,

personaggio secondario di Postoristoro il cui odore era assimilato proprio a quello di una «checca

sfranta»[T12]. Un'altra delle protagoniste di Mimi e istrioni, la Benny, una volta “svaporata” la

sbronza, è poi solita porre fine alle sue serate andando «in stazione a trovar le residuate dei viali che

son tutte amiche sue e così ne impara sempre di nuove seduta ai tavolacci del ristoro»[T29], il che

9TONDELLI 2000, p. 34.

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rappresenta certo il collegamento più esplicito tra i primi due racconti della raccolta. Le Splash,

questo il nome del gruppo formato dalle quattro ragazze di Mimmi e istrioni, vengono poi evocate

anche in un punto di Senso contrario in cui i protagonisti sfrecciano all'impazzata a bordo di una

Seicento inseguiti dalla Ford dei Vigilantes: i ragazzi riescono ad uscire indenni dall'incrocio

attraversato a tutta velocità nonostante il semaforo rosso provocando un tale confusione da arrestare

la corsa di «una Dyane rossa con quattro scalmanate sopra»[T24] che sembrano del tutto

assimilabili alle quattro «assatanate» del secondo racconto, rappresentate in più momenti proprio

alla guida di una Dyane. Inoltre, il Bowling in cui si apre Senso contrario potrebbe tranquillamente

essere il medesimo che «sovrasta questa zona della ferrovia»[T19] su cui si trovano il Giusy e

Salvino in attesa dell'arrivo del corriere che porterà finalmente la dose che il Bibo si inietterà nel

bagno del Posto Ristoro del primo omonimo racconto; collegamento, questo, rafforzato dalla scelta

grafica (con le lettere della parola tutte in maiuscolo) con cui Tondelli scrive BOWLING in

entrambi i racconti. L'elenco dei punti di contatto tra gli episodi – tanto al livello tematico quanto

stilistico – del libro è però ancora lungo: ci basti pensare alla figura del mantovano Mattia di cui si

innamora l'io narrante di Viaggio che sembra richiamare quella del brianzolo Andrea, anch'egli

amato dal narratore protagonista di Altri libertini (in entrambe le loro descrizioni fisiche Tondelli

ricorre infatti al medesimo neologismo: “biondazzurro”) o alle condizioni meteorologiche (troviamo

«A Correggio prende a nevicare»[T92] in Viaggio e «Prende a nevicare nei giorni seguenti»[T116]

in Altri libertini) in cui si consumano gli amori senza lieto fine di entrambi i racconti, che ci

spingono quasi a sovrapporre totalmente le figure dei due protagonisti e dei loro rispettivi amanti

nonostante i nomi mutati e di conseguenza anche le cittadine che fanno loro da sfondo che si

vengono dunque ad identificare in Correggio, città natale dello stesso Tondelli. Ma potremmo pure

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citare, a sostegno della presenza di questo filo di collegamento che, com'è evidente, attraversa tutto

il libro anche la mole di identiche espressioni che i narratori di turno adoperano per descrivere

situazioni simili: Bibo e Gigi, ad esempio, personaggi rispettivamente di Postoristoro e Viaggio,

vengono colti da una crisi d'astinenza e a «Il Bibo sbianca, si fa livido sempre di più»[T18] del

primo racconto fa eco «È sbiancato, s'è fatto livido»[T50] del terzo.

È sufficiente che un libro soddisfi una delle due condizioni evidenziate da Maria Corti per

configurarsi come macrotesto ed è dunque impossibile non adoperare tale dicitura riferendoci al

testo d'esordio di Tondelli che, come abbiamo visto, soddisfa la prima. Ogni racconto si fa infatti

veicolo dei medesimi temi, ogni vicenda racchiude un microcosmo di personaggi intercambiabili,

esponenti di una realtà in cui il consumo compulsivo di sostanze stupefacenti e l'estrema libertà con

cui vengono vissuti i rapporti – tanto etero quanto omosessuali – sono onnipresenti. Le scelte

stilistiche adottate da Tondelli inoltre tendono a rimanere sempre le stesse (numerose figure di

accumulo, sintassi mimetica del parlato, largo utilizzo di espressioni gergali ecc..). «Tondelli non è

uno scrittore selvaggio [...] Basti vedere la cura da castoro con cui manipola e ricicla materiali

lessicali attinti un po' ovunque»10

dirà, per l'appunto, Ernesto Ferrero sulle pagine della «Stampa»

all'uscita del libro. A tutto ciò consegue quell'omogeneità più volte menzionata che ci permette di

guardare ad Altri libertini non come ad un semplice insieme di testi ma ad un'opera di più ampio

respiro.

Maggiori perplessità suscita però l'applicazione ad Altri libertini della seconda condizione

d'esistenza secondo cui il libro preso in esame deve possedere una “progressione del discorso per

cui ogni testo non può stare che al posto in cui si trova”. Possiamo infatti evidenziare uno sviluppo

10Ivi, p. 1112.

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narrativo che partendo dal primo racconto si protragga sino all'ultimo? Nonostante l'autore abbia

disseminato i suoi racconti di elementi ricorrenti, sottili trait d'union che rimandano da un racconto

all'altro, «a sottolineare la struttura unitaria, pur nel frammento, del libro»11

, in Altri libertini non si

assiste mai ad una vera e propria narrazione lineare. Data la cura quasi maniacale riversata da

Tondelli nella stesura di quello che sarebbe diventato il suo primo libro («ho capito che fare lo

scrittore vuol dire (…) farsi il culo a scrivere e riscrivere e cambiare e montare»12

), viene da pensare

che la disposizione data dall'autore ai suoi racconti all'interno del libro non sia del tutto casuale ma,

anzi, pensata e ripensata come ogni singola frase di quei racconti «riscritti cinque-sei volte»13

.

L'ordine con cui gli episodi del libro si susseguono infatti, pur non mantenendo mai una linea

narrativa precisa, sono disposti in maniera tale da far percepire a chi legge un ampliamento

progressivo dello spazio in cui si svolgono le vicende man mano che ci si avvicina al racconto che

funge da snodo centrale, Viaggio. Quest'ultimo è il racconto più esteso della raccolta e presenta, nei

percorsi dei suoi protagonisti, un superamento dei confini non solo regionali ma addirittura

nazionali. Se infatti le vicende di Postoristoro, il racconto con cui si apre la raccolta, si svolgono

unicamente dalla zona malfamata della stazione di una cittadina emiliana mai nominata mentre le

scorribande delle protagoniste del racconto successivo, Mimi e istrioni, si snodano tra Reggio e

Bologna, Viaggio presenta un itinerario ben più ampio: dalla cittadina di Correggio, paese natale

dell'autore, la narrazione segue i due personaggi principali – l'io narrante e il Gigi – girovagare

attraverso l'Europa, non appena conclusi gli esami di maturità, per poi stabilirsi nuovamente in

Italia, l'uno a Bologna, l'altro a Milano. L'intreccio del racconto si conclude però là dove era

11CARNERO 1998, p. 32. 12TONDELLI 2000, p. 1110. 13Ibidem

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iniziato: tra i colli della campagna emiliana che vede il protagonista sfrecciare nella notte ormai

completamente disilluso e, una volta tornato al piccolo paese d'origine, di nuovo solo. Da questo

racconto in poi la prospettiva nella quale inquadrare le vicende torna a restringersi: in una non

meglio precisata città emiliana si svolge infatti il quarto racconto, Senso contrario, mentre quello

successivo, che dà il titolo all'opera, è anch'esso ambientato a Correggio. Assistiamo dunque,

leggendo i primi cinque episodi che compongono Altri libertini, ad una sorta di allargamento

prospettico che, una volta toccato lo snodo centrale del libro, torna a ripiegarsi su sé stesso sino a

sprofondare nuovamente nel cuore della provincia emiliana. Con questa scelta l'autore sembra quasi

voler suggerire l'impossibilità di un qualunque tipo di fuga che viene sempre rappresentata come

totalmente illusoria ed inconcludente. Viaggio si pone dunque come la prima svolta, seppur tradita,

del libro: superata la desolante immobilità di Postoristoro ed il provinciale libertinaggio delle

Splash di Mimi e istrioni, assistiamo infatti nel terzo racconto della raccolta al tentativo di un

ragazzo appena diciottenne di affrancarsi dal proprio paese d'origine girovagando per l'Europa in

cerca di sé stesso. La Bildung sognata e ricercata dal protagonista rimarrà però soltanto un tentativo

fallito, frustrato dalla propria incapacità di relazionarsi col mondo che lo circonda.

Esiste dunque nella progressione dei primi cinque racconti di Altri libertini, una sorta di

“fisarmonica” spaziale con la quale Tondelli intende sottolineare tutta la frustrazione per la mancata

riuscita – se non addirittura l'impossibilità – di evadere dal tedio (o dalla “scoglionatura” per usare

le parole dell'autore) nel quale sono costretti i suoi personaggi. Discorso a parte però merita il

racconto con cui la raccolta si conclude: Autobahn. Infatti, per quanto non ci si sia niente nell'ordine

con cui gli “episodi” del testo si susseguono che evidenzi in maniera netta quella progressione

narrativa indicata da Maria Corti come la seconda condizione d'esistenza di un macrotesto, un

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racconto come Autobahn non avrebbe potuto occupare nessun'altra posizione all'interno della

raccolta se non quella finale: se infatti tutte le altre vicende narrate nel libro si svolgono e si

chiudono entro i limiti della provincia emiliana14

, in Autobahn Tondelli tratteggia un protagonista

lanciato verso il nuovo, occupato in una peregrinazione che, nonostante l'assenza di una vera e

propria meta, mai sembra ripiegarsi su sé stessa. Il giovane narratore della vicenda si mette in

viaggio attirato «dall'odorino del nord»[T 133] lungo l'autostrada del Brennero che dal casello di

Carpi giunge sino al Nord Europa in un percorso che non ammette deviazioni ma che, al contrario,

procede spedito quanto la narrazione, mai, rispetto agli altri racconti di Altri libertini, tanto lineare

come in questo caso. Notiamo come la costante immobilità in cui sono intrappolati i personaggi

degli altri racconti si risolva in Autobahn in un grido di speranza verso un futuro che appare tanto

incerto quanto a portata di mano: «e allora via, alla faccia di tutti avanti! Col naso in aria fiutare il

vento, strapazzate le nubi all'orizzonte, forza, è ora di partire, forza tutti insieme incontro

all'avventuraaaaa!»[T 144] sono infatti le parole con cui si chiude il racconto e dunque anche

l'intero libro. Una volta superati i caselli dell'autostrada del Brennero, dunque, «il protagonista

riesce finalmente ad evadere dal circolo vizioso fuga-ritorno in cui restano prigionieri gli altri

personaggi della raccolta»15

, regalando al libro una conclusione tutto sommato positiva.

Se Autobahn si configura dunque come un finale appositamente pensato come tale, quasi fosse un

grido di speranza lanciato dall'autore stesso, all'epoca appena venticinquenne, i restanti cinque

racconti del libro non seguono però alcuna traccia narrativa precisa negando dunque non tanto

14

Si noti, a tal proposito, che anche Viaggio, racconto che fa degli spostamenti continui dei suoi protagonisti la sua

ragion d'essere, si apre e chiude a Correggio, quasi ad indicare l'impossibilità di oltrepassare definitivamente i confini

della propria terra d'origine. 15VITI 2010, p. 213.

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l'appurato statuto di macrotesto dell'opera – ricordiamo che la prima condizione d'esistenza era stata

soddisfatta – quanto la sua natura romanzesca. Quel che concorre a rendere tale un romanzo infatti

è, tra le altre cose, non tanto l'impossibilità di poter fruire di alcuni capitoli in maniera indipendente

quanto l'impossibilità – questa sì, effettiva – di poter invertirne l'ordine di lettura a nostro

piacimento, cosa che invece si potrebbe tranquillamente fare con i presunti capitoli di Altri libertini,

eccezion fatta per il già citato Autobahn, senza intaccarne minimamente l'effettiva omogeneità. La

dicitura di «romanzo a episodi» mi sembra dunque, per lo meno, forzata: sembra infatti

sottintendere che questi episodi non solo siano stati scritti (come è innegabile che sia) sotto

l'influsso della medesima spinta a voler raccontare una realtà provinciale fatta di drogati e perdenti

nati, di fughe sognate e inconcludenti, di anestetici a buon prezzo per lenire quell'inquietudine che

chi scrive, molto probabilmente, conosceva bene, ma che questi si debbano anche leggere l'uno

dopo l'altro, come si farebbe – appunto – con i capitoli di un romanzo, seguendo l'ordine imposto

dall'impaginazione del testo se non ci si vuol lasciar scappare il senso complessivo dell'opera, il che

è del tutto opinabile. Certamente a nessuno verrebbe in mente di leggere il capitolo dedicato al

processo a carico di Raskolnikov prima di quello relativo all'omicidio della vecchia usuraia e della

nipote ma Delitto e castigo è, per l'appunto, un romanzo e la linearità con cui procede la lettura di

questo genere narrativo non coincide in nessun modo con la grande libertà che viene offerta a noi

lettori da una raccolta di racconti, per quanto questi ultimi possano presentare caratteristiche comuni

tali da farli pensare come microtesti disseminati all'interno di organismo più grande: chi potrebbe

negare l'omogeneità di opere come i Dubliners o i Quarantanove racconti? Riferendoci alle più

note raccolte di Joyce ed Hemingway possiamo infatti parlare di ciò che Ingram chiama «a story

cycle», un ciclo di racconti. Sotto questa dicitura possiamo inserire tutte quelle raccolte i cui

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racconti sono collegati l'uno con l'altro in modo tale da conservare un equilibrio tra l'individualità di

ogni singolo racconto e la necessità di essere letti all'interno di un'unità più grande16

, il che mi

sembra rispecchiare perfettamente la struttura di un testo quale Altri libertini. Come già evidenziato,

i racconti di cui è composto possono tranquillamente essere antologizzati separatamente: ogni

episodio si pone infatti come una vicenda autoconclusiva che mantiene la propria individualità e,

dunque, leggibilità anche al di fuori della raccolta; allo stesso tempo però è presente nel libro un

substrato comune a tutti i racconti che, tanto a livello stilistico quanto tematico, permette di leggere

Altri libertini come un'opera composita. Se nei Dubliners Joyce orchestra, di racconto in racconto, il

deterioramento morale17

degli abitanti della capitale irlandese, Tondelli tratteggia nel suo primo

libro le illusioni della propria generazione sullo sfondo della provincia emiliana che, come la

Dublino di Joyce, si pone come scena comune a tutte le vicende narrate. Lo stesso Tondelli parlerà,

per l'appunto, di Altri libertini come il libro «della mia terra e dei nostri miti generazionali»,

sottolineando l'importanza rivestita dall'Emilia nelle vicende dei personaggi del libro (è proprio la

chiusura della provincia emiliana che spinge molti dei protagonisti a tentare le fughe e ad annullarsi

nell'abuso di droghe che, come abbiamo visto in precedenza, si configurano come due dei temi

principali della raccolta). In Altri libertini i racconti sono dunque organizzati «in un'unità coerente,

semplicemente per mezzo di rilevanza tematica, coerenza spaziale o contestuale»18

così come lo

sono quelli che compongono opere, pubblicate negli stessi anni, quali Palomar di Italo Calvino e

Narratori delle pianure di Gianni Celati (i cui corsi tenuti al DAMS di Bologna furono seguiti

proprio dal futuro autore di Altri libertini). Un ciclo di racconti dunque: più precisamente,

16INGRAM 1971, p. 15. 17Ivi, p. 30. 18VITI 2014, p. 112.

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Intervento di Lorenzo Pisaneschi: Di cosa parliamo quando parliamo di Altri libertini?

servendoci della terminologia introdotta da Helen Mustards, possiamo parlare di Altri libertini come

«an arranged story cycle»19

. Differentemente da quei cicli che la Mustards chiama “composed”, il

ciclo di racconti “disposti” è, per forza di cose, quello maggiormente libero; i criteri su cui si basa la

disposizione dei racconti all'interno della raccolta sono infatti vari: la ripetizione di un singolo tema,

la ricorrenza di un singolo protagonista o di un gruppo di personaggi, o addirittura il

raggruppamento di rappresentanti di una singola generazione20

. È certamente innegabile che i

racconti di Altri libertini mettano in scena tanto le medesime tematiche quanto una varietà di

personaggi che fanno della loro giovinezza il minimo comune denominatore; non è però la

ricorrenza dei luoghi né tanto meno di caratteri o situazioni la caratteristica con cui si identifica

propriamente il romanzo ma quella linearità con cui procede la lettura che ad un'opera come Altri

libertini, per suo statuto frammentaria, non può essere applicata in toto. È un dato di fatto che i

romanzi si vendano meglio delle raccolte di racconti21

ed è probabilmente su quest'inferenza che si

è basata la strategia editoriale che ha portato l'autore in persona a parlare di romanzo a episodi,

perdendo però di vista quello che è forse uno dei punti di forza del proprio libro d'esordio: ciò che

infatti rende, a mio giudizio, Altri libertini un libro così facilmente digeribile è proprio la facilità

con cui i suoi racconti si possano scambiare di posizione, rendendo l'opera, nel suo complesso, una

lettura aperta, in divenire, come spesso le raccolte di racconti sanno essere. Esemplari a riguardo le

parole di Manganelli: «il racconto si troverebbe non in un posto, in un punto della topografia

letteraria, ma lungo una strada, è sempre in divenire»22

.

19MUSTARDS, 1948. 20INGRAM 1971, p. 18. 21VITI 2010, p. 211. 22MANGANELLI 1994, p. 35.

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In fondo, voler a tutti i costi definire un qualunque libro che superi le cento pagine un romanzo mi

sembra celare, se non altro, una mera svalutazione della short story che merita invece tutt'altra

attenzione. Ma, come abbiamo già evidenziato, forse è stata solo una questione di spendibilità

commerciale. Lo stesso Tondelli infatti ha più volte insistito sul racconto come forma prediletta per

la sua scrittura, fatta tutta di periodi brevi e incisivi, accordati su quel «sound del linguaggio

parlato» modulato dalla lettura dell'Anonimo lombardo di Arbasino23

, di azioni accumulate

compulsivamente l'una dietro l'altra senza nemmeno ritagliarsi il tempo per una pagina di

riflessione, di vite veloci che nello «spazio monolitico del romanzo»[T 779] si esaurirebbero certo

nel giro di un paio di capitoli. Così, l'autore nel Mestiere dello scrittore:

Il testo diventa una questione di ritmo, si capisce subito: finché c'è swing dura, non finisce. Per questo il

racconto è il miglior tempo della narrazione emotiva, la quale finisce quando è ora finire: non una battuta in

più, non una riga.[T 781]

È dunque proprio la forma stessa del racconto breve a rispondere nel miglior modo alle esigenze di

un autore che si impone fin dal suo esordio di muoversi in quello che egli stesso definirà come «lo

spazio emozionale»[T 779]. Ed è questo lo spazio in cui non solo l'autore si trova a scrivere ma

anche quello in cui i suoi lettori si trovano a leggere. Tondelli, consapevole di essere immerso in un

mondo i cui ritmi vanno man mano accelerandosi ogni anno che passa, sembra infatti sottintendere

una mancanza di tempo da dedicare (in maniera tanto attiva quanto passiva) alla letteratura che

dunque deve adattarsi alla concentrazione, ai tagli; deve adattarsi, per usare le parole dell'autore, ad

essere «bevuta d'un fiato» se non vuole rischiare d'essere lasciata a impolverare su qualche scrivania

23TONDELLI 2001, p. 782.

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nell'attesa che qualcuno si decida ad immergervisi dentro.

Il lettore deve essere sempre tenuto sotto shock, deve bere il racconto tutto intero e d'un fiato; se si arresta è

come un Manhattan che, se si lascia lì dieci secondi, svapora e non sa più di un cazzo.

Il racconto, dunque, non il romanzo. Il romanzo è morto; il romanzo monolitico rompe il cazzo; il romanzo

monologico è farsi pippe per ore intere e non venire mai, accidenti! Non c'è più tempo per dedicare giorni e

giorni alla letteratura, bisogna che il testo sia digeribile in poco tempo: mezz'ora, un'ora, sull'autobus, in

metrò, in barca, al caffè, un racconto e via![T 781]

Appare dunque chiara la scelta di scrivere il suo libro d'esordio mettendo assieme non una lunga

storia di cui, per forza di cose, la maggior parte dei lettori avrebbe dovuto spezzare la lettura, ma

una serie di sei piccoli racconti della durata variabile ma comunque sempre digeribili in un'oretta al

massimo ciascuno. Spezzare la lettura, arrestarla, è chiaramente, nell'ottica del giovane Tondelli,

equiparabile a farle perdere l'aroma, il gusto che avrebbe potuto avere se solo si fosse riuscita ad

assimilare tutta intera. Da qui dunque l'idea di non lasciare ai lettori questa possibilità, facendosi

artefice egli stesso di una divisione ab origine che rendesse godibile ogni singolo racconto

indipendentemente dagli altri. Un'idea, questa, che viene da lontano: ci basti pensare che uno dei

grandi maestri del racconto breve, Edgar Allan Poe, «al quale si deve la prima riflessione forte e

specifica sul genere»24

ha sempre privilegiato per i propri racconti un tempo di lettura che si

protraesse massimo per un paio d'ore, in nome di quel «one sitting»25

che si pone come l'equivalente

del «tutto d'un fiato» postulato da Tondelli un centinaio d'anni dopo. Siamo allora quasi in grado di

carpire la risposta alla domanda posta all'inizio del paragrafo (di cosa parliamo quando parliamo di

24ZATTI 2010, p. 16. 25POE 1971, pp. 1307-1322.

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Altri libertini?) dalla bocca stessa del suo autore: «fate racconti brevi, ricordando che il racconto è il

miglior tempo della scrittura emotiva e parlata.»26

È con queste parole infatti che l'autore si rivolge

ai giovani scrittori desiderosi di farsi conoscere entrando a far parte di quel gruppo Under 25 ideato

dallo stesso Tondelli nel 1985 e reso noto nello stesso anno sulle pagine di «Linus»: un progetto

ambizioso ed originale scaturito «dall'esigenza di offrire a quanti scrivono uno strumento per

pubblicare e far leggere i propri lavori»27

. Sono passati ormai cinque anni da quando un

venticinquenne Tondelli esordiva con un libro di racconti brevi e sembra proprio che col passar del

tempo le sue posizioni riguardo le migliori forme narrative di cui servirsi per parlare da giovani ai

giovani non siano affatto cambiate: «fate racconti brevi» ripete. L'iniziativa fu un successo:

nell'arco di tre mesi dalla data d'avvio del progetto arrivano sotto gli occhi dei collaboratori di

Tondelli (Massimo Canalini, Giorgio Mangani ed Ennio Montanari) oltre quattrocento dattiloscritti

che, opportunamente selezionati e scremati, andranno a comporre la prima raccolta firmata Under

25 dal titolo Giovani Blues, a cui seguiranno negli anni successivi Belli e perversi e Papergang.

Unico comune denominatore tra i giovani esordienti antologizzati nelle suddette raccolte è l'utilizzo

della forma breve propagandata dal fondatore (e a suo tempo egli stesso “giovane scrittore”) del

gruppo. Appare dunque chiaro che Tondelli non solo preferisca cimentarsi nel racconto piuttosto

che in quella del romanzo ma che a farlo siano pure tutti quei ragazzi che nell'ottobre del 1985

decisero di prendere al volo quell'opportunità di visibilità offerta dallo scrittore correggese. I motivi

sono chiari: i racconti, prima di tutto, sono facilmente antologizzabili e la loro brevità permette di

racchiuderne un certo numero all'interno di un solo libro (per la prima raccolta Giovani Blues

26TONDELLI 1993, p. 364. 27TONDELLI 2001, p. 1076.

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saranno tredici quelli selezionati) ma quello che sembra più premere a Tondelli è far capire che per

essere più diretti possibile, parlando di se stessi e delle proprie esperienze senza perdersi in inutili

perifrasi, lo spazio dilatato del romanzo non è quello più adatto. La letteratura di Tondelli, così

come quella che propone a modello ai suoi ragazzi, è emotiva, quasi fosse un grido in faccia ai

lettori ed un grido non ha certo bisogno di mille pagine per farsi sentire.

E allora sarà opportuno chiederci: in cosa più precisamente si sostanzia questa scrittura emotiva di

cui Tondelli si fa portavoce indicando la forma del racconto breve come suo miglior tempo? Sembra

che con questo termine l'autore voglia indicare non tanto un particolare stile di scrittura quanto

un'irruenza verbale, un'emotività (appunto) che, sgorgando impetuosa e inarrestabile dalla pagina, il

lettore deve essere in grado percepire immediatamente. È una scrittura fatta di emozioni forti e non

di belle lettere quella di Tondelli, di avventure urlate, quasi vomitate, di drogati emarginati e di

studenti arrabbiati e non di «beghe esistenziali di contesse e marchesi»28

. Non c'è spazio per lo

scavo interiore: ogni cosa affiora dalla pagina e si imprime immediatamente nella memoria del

lettore così come viene presentata. Nessuna riflessione, nessuna giustificazione. Tutto accade

velocemente e velocemente si dimentica, in un vortice ossessivo di avventure che si susseguono

l'una dietro l'altra con una tale carica da far scordare tutto quel che si era potuto o che, al massimo,

si sarebbe potuto trarre ai fini di una qualche maturazione interiore da quella vissuta in precedenza.

Per questo il racconto è il miglior tempo di questo tipo di narrazione. Inutile perdersi in chiacchiere

e pensieri, filosofie spicciole o riflessioni sulla vita e l'esistenza tutta: quando qualcosa urge dal di

dentro, deve essere buttata fuori in fretta, sembra suggerire Tondelli tanto a se stesso quanto ai

ragazzi dell'Under 25:

28TONDELLI 1993, p. 373.

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Dopo due righe il lettore deve essere schiavizzato, incapace di liberarsi dalla pagina; deve trovarsi coinvolto

fino al parossismo, deve sudare e prendere cazzotti, e ridere, e guaire, e provare estremo godimento. Questa è

letteratura.29

A questo proposito mi sembra importante sottolineare che lo stesso Tondelli non parte subito da

queste posizioni circa la duttilità della forma breve come miglior contenitore della propria materia

letteraria, ma vi arriva guidato da mani ben più esperte. È infatti il 1978 quando si presenta alla

Feltrinelli con un volume di oltre quattrocento cartelle («quel primo testo – il dattiloscritto che ha

preceduto Altri libertini – molte pagine, un linguaggio ricercato, con anche delle pretese strutturali

notevoli»30

) per il quale spera un'immediata pubblicazione. L'itinerario dell'opera prima di Tondelli,

come sappiamo, sarà molto diverso e ben più travagliato ed è forse in queste iniziali difficoltà, se

così possiamo chiamarle, che possiamo ravvisare la chiave del successo commerciale del libro. È un

incontro innanzitutto quello che porta il giovane scrittore a rivedere il proprio usus scribendi

imparando la nobile arte del taglio e della riscrittura: quello con l'editore Aldo Tagliaferri, vero e

proprio mentore ed in parte artefice di quello stile che concorrerà a rendere Altri libertini il caso

letterario del 1980.

La prima cosa che ho imparato nell'apprendistato eseguito sotto la guida di Aldo Tagliaferri, redattore

editoriale e critico letterario, è stata quella di riscrivere. Quando mi presentai nel suo ufficio con un bel

volumone, frutto di un anno di lavoro, mi aspettavo un'immediata pubblicazione. Giuro che non mi passava

nemmeno per la testa il fatto che quelle quattrocento cartelle sarebbero state ridotte, strapazzate e infine

29TONDELLI 2001, p. 779. 30CARNERO 1998, p. 120.

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dimenticate per far posto a quello che sarebbe diventato il mio libro d'esordio.31

Notiamo dunque che se di romanzo si può parlare («si trattava di un romanzo, una cosa molto

grossa»32

dirà l'autore in una conversazione con Tino Pantaleoni), dobbiamo farlo solo ed

esclusivamente riferendoci a «quel dattiloscritto» che precedette Altri libertini e che, con l'aiuto di

un editor oculato, fu prima riscritto e poi rimpiazzato dal libro che oggi conosciamo: una raccolta di

episodi, per l'appunto, a metà tra «(pseudo)autobiografia e (pseudo)invenzione»33

che niente hanno

a che vedere con le molte pagine ed il linguaggio ricercato che l'autore stesso ha saputo riconoscere

come i limiti da superare per giungere ad uno stile più maturo e godibile.

In maniera non dissimile e nel medesimo periodo, oltreoceano, l'opera di Raymond Carver passava

sotto le mani del proprio editore Gordon Lish che, riducendo all'osso la le bozze dei racconti

proposte inizialmente dallo scrittore, fu in grado di creare e proporre al mercato editoriale quei

piccoli gioielli passati alla storia come espressioni più pure di quel minimalismo americano che, a

detta di molti, può essere visto come una vera e propria invenzione di Lish. I racconti di Che cosa

parliamo quando parliamo d'amore escono nel 1981 consacrandone l'autore a maestro della short

story: un titolo senz'altro da dividere con Gordon Lish, la cui mano (basti pensare che l'editor

arrivò addirittura a tagliare il cinquanta, se non addirittura il settanta percento di ogni testo nel suo

stato grezzo34

) fu, per il successo dell'opera, decisiva quanto quella dello stesso Carver. Se però lo

scrittore americano cercò di ribellarsi più volte, restando inascoltato35

, all'epurazione voluta da Lish,

31TONDELLI 1993 p. 354. 32TONDELLI 2000, p. 1109. 33CASADEI 2005, P. 132. 34POLSGROVE 1995, pp. 241-243. 35Ibidem

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Tondelli comprese che quei tagli, spostamenti e riscritture continue suggeritegli da Tagliaferri lo

avrebbero portato non tanto ad uno snaturamento del proprio lavoro quanto al raggiungimento di

una piena consapevolezza delle proprie possibilità espressive. Tagliaferri, a differenza del suo

corrispettivo d'oltreoceano, non prende in mano il volante al posto di Tondelli; più semplicemente

gli indica la strada da seguire. Non sarà infatti il volume portato in Feltrinelli nel 1978 a venire

pubblicato: il lavoro svolto da editore ed autore su quella prima ed acerba opera non la porterà,

come nel caso della raccolta di Carver, a nuova vita ma, più semplicemente, servirà a Tondelli da

lezione per i suoi scritti successivi nei quali, a partire proprio da Altri libertini, inizierà già

autonomamente una sorta di editing svolto parallelamente alla stesura dei racconti. Non è un

romanzo tagliato e risistemato l'opera prima dello scrittore correggese ma una raccolta di racconti

«scritti abbastanza in fretta»36

che, del metodo Tagliaferri, conservano quella spinta a tagliare il

superfluo per lasciare sulla pagina soltanto l'essenziale in grado di catturare il lettore.

Ci chiediamo dunque: se è addirittura stato necessario sfoltire e poi dimenticare un lavoro di circa

un anno, un'opera che con tutta probabilità, per usare le parole dello stesso Tondelli, avrebbe «rotto

il cazzo», per giungere all'asciuttezza dei racconti che compongono Altri libertini, siamo davvero

sicuri di voler ancora continuare a parlare dell'opera prima di Tondelli come di un romanzo?

Altri libertini è un'opera che va senz'altro inserita nella scia di tutte quelle raccolte di racconti che,

senza disdegnare collegamenti reali o presunti l'un con l'altro, si prestano ad una lettura

frammentaria ed estremamente libera. Nessun problema allora se si vuole incominciare da Viaggio

piuttosto che da Postoristoro o se si vuol leggere Mimi e istrioni una volta dopo essersi immersi

nelle scorribande notturne di Senso Contrario (Autobahn, come già evidenziato, rappresenta forse

36TONDELLI 2000, p. 1109.

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l'unica eccezione, imponendosi come il racconto migliore, dato il superamento dello stato

depressivo che aleggiava negli altri episodi, con cui concludere la lettura del libro). Si può

scomporre, anticipare o posticipare ed il libro non perderebbe niente di quell'omogeneità di base che

molti hanno usato come prova evidente del carattere romanzesco del libro, cosa che, se non del tutto

sbagliata, mi sembra alquanto opinabile. Sono racconti quelli che compongono Altri libertini, niente

di più, niente di meno: sei racconti in cui sei voci, eccezion fatta per Postoristoro, narrato in terza

persona, si passano il ruolo di protagonista-narratore, ogni volta inserito (quando non più

brutalmente invischiato) in situazioni tanto simili quanto diverse. Che sia indubbiamente vero che

l'io narrante sia da ascrivere ad un gruppo ben più ampio, ad una «vera e propria soggettività

plurale, un Noi narrativo»37

, non induce comunque a pensarlo come una declinazione continua del

medesimo personaggio: le voci che si susseguono appartengono, è vero, bene o male allo stesso

contesto sociale – di «ritratto generazionale» parla infatti la quarta di copertina dell'edizione del

libro in economica38

– ma pur sempre mantenendo tra loro sostanziali differenze che non

permettono di individuare, nell'opera, un unico protagonista.

Nella progressione in cui sono ordinati i racconti allora non solo non riusciamo a trovare una reale

traccia narrativa che dal primo si sviluppi sino all'ultimo ma nemmeno un personaggio ricorrente

che funga, con la sua sola presenza, da collante dell'intera opera. Tutti i racconti in cui si divide

Altri libertini infatti si configurano come storie autoconclusive che, pur mettendo in scena

dinamiche simili, ruotano attorno alle vicende di personaggi sempre diversi. Ogni racconto è

dunque portatore di un suo significato specifico perfettamente comprensibile anche al di fuori della

37TONDELLI 1987. 38CARNERO 1998, p. 39.

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raccolta: ciò evidenzia chiaramente la più smaccata differenza che intercorre tra gli episodi di Altri

libertini ed i capitoli di un romanzo che, per forza di cose, mantengono tra loro legami dettati dalla

trama e dai personaggi principali e che, dunque, non è possibile leggere separatamente dall'opera da

cui sono tratti. Nessuno mette in dubbio l'esistenza del romanzo corale (in fin dei conti, chi sarebbe

il protagonista di Guerra e pace?) ma non troviamo niente nella lettura di Altri libertini che ci porti

ad identificarlo come tale: i racconti, come detto, si susseguono senza un ordine narrativo preciso ed

i personaggi che si alternano di volta in volta nel ruolo di narratori e protagonisti delle vicende sono

tanti quanti gli stessi racconti di cui il libro si compone.

Ricapitoliamo: data l'unità tematica ed i numerosi rimandi intertestuali che l'autore ha disseminato

nei sei racconti dell'opera, possiamo senz'altro affermare che, seppur di statuto debole (in quanto,

ogni racconto è antologizzabile a sé stante), Altri libertini si possa configurare come macrotesto.

Allo stesso tempo però, l'evidente mancanza di una progressione narrativa e l'utilizzo di un

protagonista diverso per ogni episodio del libro (che si vanno dunque a delineare come short stories

chiuse, con un proprio inizio, svolgimento e conclusione) allontanano inevitabilmente Altri libertini

dalla definizione di “romanzo” con cui più volte, sin dalla sua prima edizione nel gennaio del 1980,

si è fatto riferimento al testo d'esordio dello scrittore correggese.

Per concludere, azzardando un parallelismo con la musica, campo da cui Tondelli attinge molto del

suo background culturale, possiamo dire che Altri libertini si avvicina più a New York39

che a

Berlin40

, più a Creuza de ma41

che a La Buona novella42

. Se infatti Berlin e La buona novella,

39REED 1973. 40REED 1989. 41DE ANDRÉ 1969. 42DE ANDRÉ 1984.

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concept album rispettivamente opera di Lou Reed e Fabrizio De André, presentano nell'ordine delle

tracce una progressione del discorso narrativo che dalla prima si conclude nell'ultima, gli altri due

dischi citati dei medesimi artisti si presentano come opere sicuramente omogenee – tanto dal punto

di vista strettamente musicale quanto da quello tematico – ma in cui tale progressione risulta

totalmente assente. Con Berlin Lou Reed mette in musica la storia di due sfortunati amanti nella

capitale tedesca di inizio anni Settanta: l'ordine con cui le dieci canzoni si susseguono è dunque

imposto dalla trama scritta e interpretata dall'ex leader dei Velvet Underground; con New York

invece l'autore si limita ad incidere uno dietro l'altro brani che fanno della vita nelle fredde strade

della Grande Mela il loro tema portante: similmente a quanto accade in Altri libertini, una lunga

serie di personaggi viene presentata sullo sfondo della medesima città, intrecciando tra loro temi

quali la violenza, la tossicodipendenza, l'amore frustrato e la rassegnazione. L'ordine dei brani non

presenta alcuna progressione imposta anche se l'unità tematica e sonora che permea l'intero album

ce lo presenta come un disco che può tranquillamente essere definito un (seppur multimediale)

macrotesto. Se allora le canzoni di Berlin, così come quelle della Buona novella (opera in cui De

Andrè rilegge in chiave laica la vicenda di Gesù Cristo, dall'infanzia di Maria sino alla Passione)

possono essere accostate ai capitoli di un romanzo, quelle di New York e di Creuza de Ma (disco

scritto e cantato interamente in genovese in cui il capoluogo ligure è l'assoluto protagonista della

scena) si avvicinano di più alle narrazioni di quei “cicli” di racconti quali i già citati Dubliners di

Joyce e, ovviamente, i Libertini di Tondelli. L'omogeneità dell'opera prima dello scrittore emiliano

non è dunque assolutamente messa in discussione: più semplicemente, si è voluto dimostrare che,

preferendo alla dicitura di romanzo, quella di ciclo di racconti, non facciamo alcun torto ad un libro,

quale sicuramente è Altri libertini, che, nonostante la compiutezza dei racconti che lo compongono,

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merita senza ombra di dubbio una lettura unitaria. Del resto, è certamente possibile leggere Viaggio

così come ascoltare Dirty Boulevard senza avere la minima idea di quali siano le opere che li

contengono; ma c'è davvero qualcuno che preferirebbe farlo?

Bibliografia

Opere di Pier Vittorio Tondelli

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