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1 10.10.2012 LA LIQUIDAZIONE NEL CONCORDATO CON CESSIONE DEI BENI: PIANO CONCORDATARIO E DECRETO DI OMOLOGA ALLA LUCE DELLA L. N. 134/2012 di Antonio Didone, Magistrato Sommario: 1. Premessa - 2. L’ordinanza interlocutoria della Prima Sezione - 3. Fattibilità del piano e convenienza - 4. Provvedimenti in caso di cessione di beni - 5. La c.d. “privatizzazione” del concordato e l’interpretazione sistematica dell’art. 182 l. fall. 1. Premessa Una recentissima pronuncia di un giudice del merito 1 ha enunciato alcuni principi in materia di concordato preventivo liquidatorio che riassumono le maggiori controversie, in dottrina e in giurisprudenza, in ordine alla procedura concordataria e a quel tipo particolare di concordato. Essa può essere sintetizzata con i seguenti enunciati: a) Se, dopo l'emanazione del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, deve ritenersi precluso al tribunale il sindacato sulla convenienza della proposta di concordato preventivo - valutazione che spetta esclusivamente ai creditori -, al tribunale compete invece la verifica delle condizioni di ammissibilità della procedura, ivi compresa la fattibilità del piano e la mancanza di gravi fatti fraudolenti i quali, anche in assenza di opposizione, ne possono comportare la revoca. Detti poteri di controllo possono essere esercitati in qualunque momento e quindi anche nella fase di omologa, con la precisazione che, per quanto riguarda i fatti indicati dall'articolo 173, l. fall. (condotte fraudolente, mancanza di condizioni di ammissibilità, ivi compresa la fattibilità), la cognitio causae del tribunale è di natura officiosa. b) Nella proposta di concordato preventivo deve ritenersi ammissibile la nomina del liquidatore da parte dell'imprenditore a condizione che il soggetto indicato sia in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 28, l. fall.. c) Gli atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del piano concordatario (artt. 182, ultimo comma, e 107, l. fall.) debbono essere effettuati tramite procedure competitive quando ciò sia compatibile con lo stesso piano concordatario. 1 Trib. Monza, 10 luglio 2012 - in ilcaso.it, I, 7702 - pubbl. 03/09/2012.

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10.10.2012

LA LIQUIDAZIONE NEL CONCORDATO CON CESSIONE DEI BENI: PIANO CONCORDATARIO E DECRETO DI OMOLOGA ALLA LUCE DELLA L. N. 134/2012

di Antonio Didone, Magistrato

Sommario: 1. Premessa - 2. L’ordinanza interlocutoria della Prima Sezione - 3. Fattibilità del piano

e convenienza - 4. Provvedimenti in caso di cessione di beni - 5. La c.d. “privatizzazione” del

concordato e l’interpretazione sistematica dell’art. 182 l. fall.

1. Premessa

Una recentissima pronuncia di un giudice del merito1 ha enunciato alcuni principi in

materia di concordato preventivo liquidatorio che riassumono le maggiori

controversie, in dottrina e in giurisprudenza, in ordine alla procedura concordataria

e a quel tipo particolare di concordato.

Essa può essere sintetizzata con i seguenti enunciati:

a) Se, dopo l'emanazione del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, deve ritenersi

precluso al tribunale il sindacato sulla convenienza della proposta di concordato

preventivo - valutazione che spetta esclusivamente ai creditori -, al tribunale

compete invece la verifica delle condizioni di ammissibilità della procedura, ivi

compresa la fattibilità del piano e la mancanza di gravi fatti fraudolenti i quali,

anche in assenza di opposizione, ne possono comportare la revoca. Detti poteri di

controllo possono essere esercitati in qualunque momento e quindi anche nella fase

di omologa, con la precisazione che, per quanto riguarda i fatti indicati dall'articolo

173, l. fall. (condotte fraudolente, mancanza di condizioni di ammissibilità, ivi

compresa la fattibilità), la cognitio causae del tribunale è di natura officiosa.

b) Nella proposta di concordato preventivo deve ritenersi ammissibile la nomina del

liquidatore da parte dell'imprenditore a condizione che il soggetto indicato sia in

possesso dei requisiti previsti dall'articolo 28, l. fall..

c) Gli atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del piano concordatario (artt.

182, ultimo comma, e 107, l. fall.) debbono essere effettuati tramite procedure

competitive quando ciò sia compatibile con lo stesso piano concordatario.

1 Trib. Monza, 10 luglio 2012 - in ilcaso.it, I, 7702 - pubbl. 03/09/2012.

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Nel caso deciso non era possibile effettuare la cessione dei rami di azienda tramite

procedure competitive, poiché non compatibili con il programma di liquidazione

previsto nel piano.

Inoltre, i commissari avevano accertato la congruità dei corrispettivi pattuiti con i

terzi per la cessione dei rami d'azienda e i creditori, tenuto conto anche di tale

elemento, avevano consapevolmente approvato il piano con tale forma di

liquidazione.

Nello stesso periodo altro giudice del merito2 ha affermato i seguenti altri principi:

a1) Tra i requisiti di ammissibilità di una proposta di concordato preventivo vi è la

prevedibilità del pagamento in percentuale non irrisoria dei creditori chirografari.

Ciò emerge dall'impianto della legge, la quale prevede la possibilità di falcidia delle

classi dei creditori ma non la loro pretermissione e rimanda l'approvazione del

concordato proprio al voto dei creditori chirografari.

b1) Al tribunale non compete il giudizio sulla fattibilità in concreto del concordato

preventivo, quel giudizio prognostico sull’effettiva capacità delle attività cedute a

far fronte al passivo; il giudice è, tuttavia, tenuto a verificare l’effettiva sussistenza

di tali dati e la loro idoneità a soddisfare almeno in minima parte i creditori

chirografari.

c1) Nel compiere la valutazione dell'effettiva capacità delle attività cedute a

soddisfare i creditori del concordato, il tribunale non può ignorare il rischio di

realizzo dei beni immobili derivante dalle attuali condizioni di crisi del mercato, le

quali fanno transitare l'alea da un profilo di fattibilità ad un profilo di ammissibilità,

posto che il rischio in questione costituisce un dato oggettivo.

Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto che buona parte del valore attribuito agli

immobili non fosse effettivamente realizzabile ed ha altresì sottolineato l'omissione,

nella proposta, delle poste attive ricavabili da azioni recuperatorie e revocatorie di

atti di cessione d’immobili e partecipazioni e ha, pertanto, negato l’omologazione.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, “nel concordato preventivo con cessione

dei beni, dopo la riforma fallimentare di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35 e successive

modificazioni, l'indicazione della percentuale di pagamento ai creditori e dell'epoca

di presumibile liquidazione corrisponde essenzialmente ad una funzione

informativa, idonea ad integrare la determinatezza e l'intelligibilità della proposta

stessa, ma non entra - almeno di regola e salvo diversa esplicitazione - in modo

diretto a far parte altresì degli obblighi assunti del debitore stesso, come sarebbe

nel concordato misto, in cui ai creditori viene garantita una data percentuale di

soddisfacimento; ne consegue che unico obbligo assunto dal debitore è quello di

porre a disposizione dei creditori i beni liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la

liquidazione ovvero ne alterino in modo sensibile il valore, spettando ai creditori,

che ne condividano la valutazione, accettare il rischio di un diverso esito della

liquidazione stessa, comparandone la complessiva convenienza sulla base delle

alternative praticabili”3.

2 Trib. Firenze, 27 luglio 2012, in ilcaso.it, I, 7820 - pubbl. 24/09/2012.

3 Cass., 23 giugno 2011 n. 13817.

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Anche la dottrina ha rilevato che “una proposta correttamente redatta non potrà

non indicare le prospettive, per quanto minime, di soddisfazione”4.

I temi affrontati dalle pronunce che si sono ricordate aprono ad una riflessione più

ampia, sulla questione, che si avvia ad essere esaminata dalle sezioni unite, dei

poteri del tribunale in sede di omologazione. Una questione che dev’essere riletta

anche alla luce delle novità della L. 7 agosto 2012, n. 134.

L’ordinanza della Prima sezione di rimessione alle sezioni unite muove dalla

considerazione secondo la quale l'orientamento prevalente della S.C. “appare

contrario alla sindacabilità del merito della proposta di concordato (sia preventivo

sia fallimentare) - e quindi della fattibilità del piano - tanto in sede di giudizio di

ammissione alla procedura quanto nella successiva fase del giudizio di

omologazione, salvo che, in quest'ultimo caso, un creditore a ciò legittimato abbia

proposto opposizione proprio al fine di sollecitare un siffatto giudizio di merito.

Secondo quell’ordinanza l’orientamento prevalente della S.C. “rinviene

nell'adesione espressa dall'adunanza del creditori il momento decisivo in cui si

possa e debba giudicare del merito della proposta, anche sotto il profilo della

fattibilità del piano, e limita perciò il compito del tribunale alla verifica della

regolarità della procedura, al fatto che i creditori chiamati ad esprimere il loro

consenso nell'adunanza siano stati compiutamente e correttamente informati ed

all'assenza di eventuali ragioni d'illiceità o comunque di nullità della proposta, come

tali non sanabili neppure mediante la prestazione del consenso dei creditori”.

Ma le pronunce richiamate5, come è stato acutamente evidenziato in dottrina6 e

dalla stessa ordinanza di rimessione, non sono in radicale contrasto fra di esse, le

prime due pronunce essendo relative al controllo del tribunale in sede di

valutazione dell’ammissibilità del concordato7 mentre le successive riguardavano i

poteri del tribunale in sede di revoca dell’ammissione ex art. 173 l. fall.8 ovvero in

sede di omologazione in assenza di opposizioni9.

Il diverso momento in relazione al quale si esercita il potere di controllo del

tribunale è rilevante in quanto, già dalle prime pronunce, la Cassazione aveva avuto

modo di avvertire che, se è vero che il potere di controllo del tribunale sulla

proposta e sulla documentazione allegata non poteva “sovrapporsi, nell'effettuare il

controllo dei presupposti di ammissibilità, alla valutazione di fattibilità contenuta

nella relazione del professionista”, nondimeno ciò era da ricollegare al potere di

svolgere accertamenti in ordine alla veridicità dei dati aziendali riservato dalla legge

al commissario giudiziale, prevedendosi quale reazione alla mancanza di veridicità,

4 Frascaroli Santi, Il diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, Padova, 2012, 520.

5 Cass., n. 21860/2010; Cass., n. 3586/2011; Cass., n. 3274/2011; Cass., n. 13817/2011; Cass., n. 18864/2011; Cass., n.

18987/2011 6 Salvato, Puntualizzazioni della corte di cassazione sul potere di controllo del tribunale nel concordato preventivo, in

Corr. Giur., 2012, 39 ss.. 7 Cass., n. 21860/2010; Cass., n. 3586/2011.

8 Cass., n. 13817/2011.

9 Cass., n. 18864/2011 e Cass., n. 18987/2011. Infine, Cass., n. 3274/2011 era relativa al concordato fallimentare. Esula

dall’oggetto delle presenti note.

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“su denunzia obbligatoria da parte del commissario giudiziale, la sanzione della

immediata revoca da parte del tribunale del concordato”10.

E’ questa, forse, la ragione per la quale la novella del 2012 ha introdotto l’art. 236-

bis l. fall. che, con la rubrica “falso in attestazioni e relazioni”, punisce penalmente il

professionista che “nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma,

lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni

false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti”.

Ulteriore conferma di ciò, che nella fase di ammissione la valutazione di fattibilità

del piano deve essere operata esclusivamente sulla base dell’attestazione del

professionista.

Ma solo in quella prima fase.

2. L’ordinanza interlocutoria della Prima Sezione

Ciò che rileva precipuamente ai fini di queste note è l’affermazione dell’ordinanza di

rimessione alle Sezioni unite secondo la quale la più recente sentenza (Cass., n.

18864/11) pur non ponendosi in diretto contrasto con le precedenti, avendo

fondato la propria decisione sul rilievo d'ufficio di una causa di nullità assoluta (per

impossibilità dell'oggetto) della proposta concordataria approvata dall'adunanza dei

creditori, “probabilmente sottende un'ulteriore ragione di distonia anche in ordine

alla rilevanza che, nell'economia della proposta concordataria (e della sua

fattibilità), oggi assume l'indicazione della percentuale dei creditori che si prevede

possano essere soddisfatti”.

La sentenza n. 18864/11, infine, poneva il quesito in merito alla misura in cui

l'eventuale non fattibilità del piano si traduca in un'impossibilità dell'oggetto del

concordato: il che finiva per riproporre in altra veste il medesimo problema dei

limiti entro cui il giudice è legittimato a sindacare il requisito della fattibilità.

L’ordinanza di rimessione discorre di “sindacabilità del merito della proposta di

concordato (sia preventivo sia fallimentare) - e quindi della fattibilità del piano”.

Ciò pone un’esigenza di chiarimento in ordine ai concetti evocati, anche alla luce

delle recenti modifiche introdotte alla disciplina del concordato preventivo.

E’ stato correttamente evidenziato11 che, a seguito delle modifiche introdotte con il

d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.

134, risulta più chiara la distinzione tra le nozioni di domanda, proposta e piano,

peraltro già analiticamente indagate dalla dottrina12.

Il contenuto di quest’ultimo, poi, ha ricevuto una specificazione opportuna ai fini

della sua predisposizione e del controllo successivo ad opera dei creditori e del

tribunale. 10

Cass., n. 21860/2010; Cass., n. 3586/2011. 11

Da Ambrosini, Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012, in ilcaso.it Sezione II – Dottrina e opinioni documento n. 306/2012. 12

Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, 172.

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Invero, il comma 6 dell’art. 161 l. fall., introdotto dalla novella, prevede che

l'imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato

unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la

proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo della

medesima disposizione entro un termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e

centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre

sessanta giorni.

Risulta avvalorata, dunque, la ricostruzione della dottrina secondo la quale con la

domanda (contenuta nel ricorso) “il debitore chiede che la crisi (o l'insolvenza) sia

regolata secondo la disciplina del concorso (in luogo della disciplina civilistica

dell'esecuzione forzata) e segnatamente, del concorso concordatario”, con la

proposta il debitore assume un impegno e questo impegno diviene vincolante una

volta omologato e la proposta stessa si fonda sulla base di un piano che costituisce

lo strumento operativo per formulare la proposta, “l'architettura operativa per far sì

che la proposta appaia ai creditori credibile”13 .

Distinzione “che ha il pregio di differenziare ciò che attiene al processo (la

domanda), ciò che attiene al contenuto negoziale (la proposta) e ciò che attiene al

modo in cui si pensa di rendere realizzabile la proposta (il piano)”14.

Sempre nella prospettiva di indagine del successivo controllo, va apprezzata la

precisazione contenuta nella lett. e) dell’art. 161 l. fall. - aggiunta con la novella -

secondo la quale il piano deve contenere “la descrizione analitica delle modalità15 e

dei tempi16 di adempimento della proposta”.

13

Fabiani, op. loc. cit.. 14

Fabiani, Vademecum per la domanda “prenotativa” di concordato preventivo, in Ilcaso.it, II, 313/2012. 15

V. Fabiani, Riflessioni precoci sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d’impresa (appunti sul d.l. 83/2012 e sulla legge di conversione), in Ilcaso.it, II, 303/2012, 9 ss., secondo il quale è da escludere che i fautori dell’obbligatorietà dell’indicazione della percentuale del pagamento nel caso di concordati non garantiti, trovino nuovi spunti nella lett. e) dell’art. 161. Ciò in quanto “pretendere che il debitore nella proposta debba specificare la misura del soddisfacimento dei creditori, in ogni modello di concordato preventivo, oltre che contraddire il dato di diritto positivo si pone in conflitto sia con il fatto che nella proposta ai creditori si possa offrire qualcosa di diverso da un pagamento, sia con un principio di efficienza economica. Se si pretende una precisazione di questo tipo, una volta che la legge ha eliminato una soglia minima, sarà difficile (come per il tempo di adempimento) immaginare che il debitore non sia assai cauto nella fissazione della percentuale e così non avremmo risolto nulla. Infatti, il giudizio di convenienza rimesso, comunque, solo all’iniziativa di parte avrà per oggetto quanto è verosimile si ricaverà dalla soluzione concordataria con quanto è verosimile si ricaverebbe dalla liquidazione concorsuale, certo nessuna comparazione potrà essere suggerita fra la misura oggetto di specifica proposta e una soluzione fallimentare che non può dare preventivamente alcuna certezza. Se la comparazione deve avvenire ciò impone che vi sia simmetria fra i dati da valutare”. Ma l’indicazione della percentuale influisce sulla valutazione della fattibilità e, ancora una volta, pare si confonda convenienza e fattibilità, mentre che la valutazione di convenienza non appartenga più al tribunale (salvo l’eccezione dell’opposizione) è pacifico e non rileva al fine di interpretare la nuova norma. V. ora, Fontana, Il c.d. decreto sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in Il civilista, 2012, § 4.1: “sembra qui evocata la necessità che sia indicata sempre la percentuale di soddisfacimento dei creditori”. 16

In argomento v. Fabiani, op. ult. loc. cit., secondo il quale il tempo di adempimento è “un’addizione che va presa con cautela nel senso che si tratta di capire se l’indicazione del tempo di adempimento divenga oggetto della proposta, nel qual caso all’evidenza, il mancato adempimento tempestivo si traduce in un inadempimento e dunque nel rischio della risoluzione del concordato, oppure se il tempo dell’adempimento debba essere indicato nel piano allo scopo di rendere fattibile e credibile la proposta. Questa seconda lettura mi sembrerebbe quella più ragionevole ma l’espressione lessicale adoperata sembra far propendere per la prima ipotesi; il che, verosimilmente, indurrà il debitore ad essere molto prudente nel fissare il tempo di adempimento”.

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La modifica legislativa fa dubitare che tuttora si possa sostenere, come per il

passato, che, essendo il programma di liquidazione disciplinato da una disposizione

non richiamata dall’art. 182 l. fall., sarebbe legittimo ritenere che l’invito alla

redazione del programma possa essere contenuto nel decreto di omologazione,

senza che ciò infirmi il principio dell’immodificabilità officiosa della proposta17.

Nell’ipotesi di concordato liquidatorio, dunque, il programma di liquidazione deve,

ora, essere contenuto nel piano.

Invero, a mente dell’art. 104-ter l. fall. il programma di liquidazione “costituisce

l’atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per

la realizzazione dell’attivo”, concetti equivalenti a modalità e tempi di

adempimento della proposta.

Ma non minore rilievo assumono altre modifiche della disciplina del concordato

contenute nella novella del 2012, perché all’art. 179 l. fall. è stato aggiunto un

secondo comma secondo cui “quando il commissario giudiziario rileva, dopo

l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano,

ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino

all'udienza di cui all'articolo 180 per modificare il voto”, così codificando

un’opinione espressa da una parte della dottrina18. Voto che è stato disciplinato -

quanto alle modalità di espressione - in modo in parte simile19 a quello del

concordato fallimentare, nel senso che i creditori che non hanno esercitato il voto

possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax

o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale e, in

mancanza, si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo

della maggioranza dei crediti.

Inoltre, il nuovo art. 180, comma 4, l. fall. prevede che non solo un creditore

appartenente ad una classe dissenziente ma anche, nell'ipotesi di mancata

formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento

dei crediti ammessi al voto, possano contestare la convenienza della proposta. In tal

caso il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa

17

Fabiani, La “programmazione” della liquidazione del concordato preventivo da parte del debitore e la natura delle vendite concordatarie, in Fallimento, 2012, 906 ss., nota 30, ove aderisce all’opinione manifestata da v., C. Cavallini-B. Armeli, sub art. 182, C. Cavallini-B. Armeli, sub art. 182, in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla l. fall., III, Milano, 2010, 776; L. Pica, Il concordato preventivo, in P. Celentano-E. Forgillo (a cura di), Fallimento e concordati, Torino, 2008, 1168. 18

Fabiani, La fattibilità nel concordato preventivo e' giudizio che spetta ai creditori, in Fallimento, 2011, 167 ss.: “ se la fattibilità assume per entrambe le parti, o anche per una sola di esse - ma con riconoscimento da parte dell'altra - valore determinante ai fini del "mantenimento" del vincolo contrattuale, la sua mancanza legittima l'esercizio del recesso dal vincolo negoziale, ciò che nel caso del procedimento di concordato si traduce nella possibilità di revocare il voto favorevole mediante proposizione di opposizione all'omologazione”. 19

Fabiani, Riflessioni, cit., 19: “Il sistema così delineato è misto in quanto in una prima fase si apre il voto per tutti allo scopo di conseguire una maggioranza che si sia espressa col voto favorevole esplicito, mentre se al termine della prima fase la maggioranza non si è formata ecco che entrano in gioco i creditori apatici che da creditori tendenzialmente ostili al concordato (in quanto non partecipando al voto non concorrono a formare la maggioranza) vengono ora irreggimentati nelle truppe dei creditori favorevoli ove non intendano mettere da parte la loro apatia ed esprimere formalmente un voto negativo”.

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risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative

concretamente praticabili.

3. Fattibilità del piano e convenienza

Fattibilità del piano e convenienza della proposta sono concetti diversi.

Si è affermato in dottrina che “grosso modo, per fattibilità può intendersi la

valutazione alla luce della quale può ritenersi, con un apprezzabile e sufficiente

grado di probabilità, che le previsioni e gli obiettivi contenuti nel piano saranno

integrati, coi tempi prospettati” e si è precisato che “la valutazione così operata

presuppone una verifica esterna di razionalità degli scenari contenuti nel piano,

intesa come congruenza fra la disponibilità delle risorse ipotizzate, le circostanze di

fatto previste, ed il conseguimento degli obiettivi”20.

Da altri, sulla scia della più recente pronuncia della Cassazione, si è rilevato che il

termine "fattibilità", contenuto nell'art. 163, comma 3, l. fall., è suscettibile di

essere inteso in un duplice significato: “per il primo, esprime la prognosi sulla

conseguibilità del risultato ipotizzato dall'imprenditore, favorevolmente attestata

dal professionista, alla luce dell'alea propria di ogni iniziativa economica,

riconducibile al merito e, appunto per questo, sottratta al controllo, d'ufficio, del

tribunale. Per il secondo, in riferimento al controllo del giudice nelle diverse fasi del

concordato preventivo, è suscettibile di indicare i presupposti necessari per la

formulazione della prognosi e l'attuabilità giuridica del piano, indipendentemente

dalla normale alea economica” e, inteso in tal modo il sostantivo, “il difetto di

veridicità dei dati, qualora risulti dagli atti e dalla relazione del commissario

giudiziale bene può essere rilevato dal tribunale (mantenendo ferma la distinzione

tra fattibilità e convenienza), poiché un siffatto sindacato non eccede dai confini del

sindacato di legittimità”21.

La fattibilità del piano assume un rilievo particolare nel concordato per cessione dei

beni.

La S.C., infatti, ha già evidenziato che “la cessione di beni e le altre operazioni,

anche di ingegneria imprenditoriale e societaria, contemplate dall'art. 160 l. fall,

costituiscono il mezzo e non il fine: onde, non possono essere disancorate dalla

promessa di un risultato utile conseguibile, precisato o implicito in una percentuale

di soddisfacimento, senza il quale la proposta del debitore diverrebbe aleatoria in

senso giuridico, pur a fronte dell'effetto esdebitativo certo della falcidia

concordataria”22.

20

Galletti, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, Giur. comm., 2009, 730 ss., § 2. 21

Salvato, op. loc. cit. In questo senso già Calandra Buonaura, Concordato preventivo, Enc. Dir., Annali, II-2, Milano, 2008, § 9, secondo il quale “per la revoca non è sufficiente una diversa valutazione prognostica da parte del commissario giudiziale, ma occorre quanto meno l'accertamento che, a seguito di fatti sopravvenuti o non considerati dalla relazione del professionista, sono venuti meno i presupposti sui quali la fattibilità del piano si fonda in modo tale da determinarne la sicura irrealizzabilità”. 22

Cass., n. 18864/2011, in motivazione.

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Sulla scia di tale pronuncia la dottrina ha tratto la conclusione che “la mancata

previsione della soddisfazione o pagamento di tutti i creditori, ivi compresi i

chirografari, questi ultimi in qualsiasi misura o modalità, determina l'inammissibilità

della proposta” mentre “non si rinviene tra i presupposti di ammissibilità della

proposta un qualche elemento che imponga al debitore un ulteriore obbligo: quello

di soddisfare i creditori in una percentuale predeterminata”23.

Convenienza per il creditore e fattibilità del piano rispondono a domande diverse.

Devi avere cento e ti propongo di ricevere sessanta mentre con il fallimento avresti

quaranta.

Domanda 1): è conveniente la proposta?

Qui rispondono i creditori (salvo opposizioni: art. 180 l. fall.).

Domanda 2): come intendi adempiere (modalità e dei tempi di adempimento)?

Con le operazioni previste dal piano e nei termini ivi previsti.

Domanda 3): E’ fattibile il piano?

Qui bisogna intendersi.

La fattibilità, in sede di ammissione alla procedura, è attestata dal professionista e

l’attendibilità dell’attestazione è sanzionata penalmente.

Ma la stessa fattibilità è condizione di ammissibilità della domanda e in sede di

omologa la verifica della persistenza di essa compete al tribunale.

Poi c’è la valutazione di convenienza di una proposta fattibile (o ritenuta tale,

magari alla luce di informazioni false o incomplete) da parte dei creditori e le

mutate condizioni di fattibilità del piano, rilevate dal commissario e comunicate ai

creditori, legittima questi ultimi, anche se inizialmente assenzienti, a costituirsi nel

giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'articolo 180 per modificare il

voto. Divenendo dissenzienti essi acquistano la legittimazione ad opporsi

all’omologazione contestando anche la convenienza (ciascuno, se appartenente a

classe dissenziente ovvero, nell'ipotesi di mancata formazione delle classi, se i

creditori dissenzienti rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto: v.

nuovo art. 180 l. fall.).

Ciò non toglie, però, la rilevanza che assume il mutamento delle condizioni di

fattibilità del piano e, trattandosi di concordato con cessione dei beni, dell’acclarata

impossibilità di effettuare pagamenti non irrisori a beneficio dei creditori

chirografari24.

23

Nardecchia, La proposta di concordato preventivo per cessione dei beni ed i poteri del tribunale nella fase di liquidazione, in Fallimento, 2012, 78 ss. e ivi la corretta precisazione che “l'indeterminatezza della percentuale assicurata ai creditori chirografari nel concordato per cessione dei beni è diretta conseguenza dell'incertezza del ricavato della cessione dei beni medesimi, intimamente collegata, a sua volta, alla perdita di disponibilità del patrimonio da parte del debitore. Ove tale indeterminatezza non vi sia ed il debitore proponga modalità di liquidazione vincolate, da lui stesso gestite, deve assumere un preciso e determinato impegno di pagamento in una certa percentuale”. 24

Ambrosini, Contenuti e fattibilità, cit., 7. In una diversa prospettiva cfr. Fabiani, La fattibilità nel concordato preventivo e' giudizio che spetta ai creditori, in Fallimento, 2011, 167 ss., secondo il quale, “una volta che la proposta è approvata, e si è dunque formato l'accordo, la verifica della tenuta dell'accordo appartiene alla fase dell'esecuzione del concordato”. Ma tale A. ammette che occorre “essere consapevoli che questa soluzione può risultare paradossale

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Il nuovo art. 186, ultimo comma, l. fall., in tema di concordato con continuità

aziendale, prevede che “se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del presente

articolo l’esercizio dell’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente dannoso

per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell’articolo 173. Resta salva la facoltà

del debitore di modificare la proposta di concordato”.

E’ possibile non attribuire alcuna importanza a tale ultima norma ai fini della

valutazione della fattibilità, soprattutto se si riflette - come ha giustamente

sottolineato la dottrina - che la continuità aziendale può non essere estranea al

concordato con cessione dell’azienda25?

In caso di opposizione di creditore dissenziente, solo se sussistono le condizioni di

cui all’art. 180, comma 4, l. fall., il tribunale valuta la convenienza della proposta in

relazione al diverso risultato ottenibile rispetto alle alternative concretamente

praticabili ma, quanto alla mancanza di fattibilità26, non può dire al creditore:

la proposta non è concretamente fattibile (perché ad es., l’unico capannone ceduto

è andato distrutto da un incendio e l’incendio non era coperto da polizza

assicurativa o perché l’assuntore del concordato è stato tratto in arresto per

bancarotta) ma la maggioranza dei creditori ritiene di sì, quindi devo omologare!

Né cambierà la prospettiva del Tribunale, a seconda che ci siano o meno

opposizioni, perché sempre il giudice dovrà porsi il problema della tutela di tutti

coloro che siano, a vario titolo, coinvolti dall’efficacia attribuita al concordato.

Conclusivamente: “se l'omologa è un giudizio, camerale e non contenzioso,

incentrato sulla proposta cui dovrà essere attribuita efficacia, il suo oggetto rimarrà

invariato nonostante la presenza delle opposizioni. Esse, infatti, non muteranno

l'oggetto dell'accertamento giurisdizionale (non porteranno all'attenzione del

giudice, cioè, i diritti degli opponenti), ma introdurranno questioni di fatto

(sull'esistenza dei crediti, sulla regolarità della votazione, sulla fattibilità della

proposta, e via dicendo) che il tribunale dovrà affrontare per decidere in ordine alla

soluzione della crisi: non a caso, perciò, nella versione anteriore al correttivo, le

opposizioni venivano definite “eccezioni “; perché servivano essenzialmente ad

introdurre fatti, non a modificare l'oggetto del giudizio: fatti che potevano indurre il

tribunale a mettere in discussione quel che era stato oggetto della votazione, non

quando nel corso del giudizio di omologazione appaia ormai evidente che il concordato non potrà essere eseguito, sì che posticipare alla fase esecutiva la valutazione di non fattibilità si risolverebbe in un pregiudizio per i creditori”. Talché ritiene legittimo un sindacato officioso da parte del tribunale soltanto nell’ipotesi in cui emerga che il piano non è fattibile e questo determini “l'impossibilità giuridica oggettiva di adempiere alla proposta”. Sul sindacato del tribunale circa “l'esistenza di motivi di nullità dell'accordo, particolarmente per ciò che riguarda la possibilità o meno del suo oggetto” v., già, Pagni, Il controllo del tribunale e la tutela dei creditori nel concordato preventivo, in Fallimento, 2008, 1091 ss.. 25

Ambrosini, op. ult. cit., 2. 26

In proposito osserva Fabiani, Riflessioni, cit., 19 ss.: “L’innesto del 2° comma nell’art. 179 l. fall. mi pare segni, definitivamente, per il futuro che solo i creditori, modificando il voto, possono incidere indirettamente sull’esito del giudizio di omologazione. E d’altra parte non si vede perché mai, se i creditori non si lamentano del peggioramento delle condizioni di fattibilità, debba essere il tribunale a negare l’omologazione”. Ma se il peggioramento giustifica la revoca del voto favorevole e, ricorrendone le condizioni quantitative, la revoca fa venir meno la stessa maggioranza, ciò vuol dire che il creditore ha già invocato, implicitamente, una valutazione sulla fattibilità, che resta condizione di ammissibilità del concordato.

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diversamente da quel che può fare il commissario giudiziale nel depositare il proprio

motivato parere, ex art. 180, secondo comma, o nel segnalare il venir meno delle

condizioni di ammissibilità del concordato, come gli impone l'art. 173 l. fall.”27.

Indipendentemente dalle opposizioni, dunque, il tribunale dovrà svolgere il proprio

compito, ed esaminare le circostanze che impediscano l’omologa e che vengano

portate all’attenzione del giudice dal commissario giudiziale.

4. Provvedimenti in caso di cessione di beni

L’art. 182 l. fall., recante la rubrica “Provvedimenti in caso di cessione di beni”, a

seguito della riforma non ha, inizialmente, subito modifiche - salvo la sostituzione

del termine “decreto” alla “sentenza” - quanto al primo comma, mentre con il

D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 sono stati aggiunti i commi dal secondo al quinto.

Il testo risultante dal c.d. decreto “correttivo” è il seguente:

“I. Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il

tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di

tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità

della liquidazione.

II. Si applicano ai liquidatori gli articoli 28, 29, 37, 38, 39 e 116 in quanto compatibili.

III. Si applicano al comitato dei creditori gli articoli 40 e 41 in quanto compatibili.

Alla sostituzione dei membri del comitato provvede in ogni caso il tribunale.

IV. Le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in

pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività dell’azienda e di beni o

rapporti giuridici individuali in blocco devono essere autorizzate dal comitato dei

creditori.

V. Si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in quanto compatibili”.

La Relazione al decreto correttivo n. 169/2007 spiega che “l’ampliamento dell’uso

degli strumenti negoziali e la maggiore scioltezza che caratterizzano la nuova

disciplina della liquidazione dell’attivo nel fallimento inducono ad estendere tale

disciplina alla fase liquidatoria del concordato preventivo la quale allo stato è

rimessa alla discrezionalità del liquidatore ed alle modalità non meglio individuate

27

Cfr. Pagni, op. loc. cit. In posizione non dissimile v. Jorio, Le soluzioni alternative al fallimento e la conservazione dell'impresa, in AA.VV., La riforma della l. fall. (a cura di Fortunato, Giannini, Guerrera, Perrino), Milano, Giuffrè, 2011, 9 ss.: “Il sistema delineato dalla riforma si configura pertanto nei seguenti termini. Nella fase di apertura della procedura il sindacato giurisdizionale riguarda la chiarezza, l'esaustività espositiva e la logicità del piano e delle attestazioni del professionista, e quindi anche l'adeguatezza dei dati aziendali esposti per confortare la fattibilità degli obiettivi perseguiti. Nel corso della procedura il commissario giudiziale può, ai sensi dell'art. 173, rappresentare al tribunale la propria valutazione sulla non fattibilità del piano, e ciò sia in ragione di una diversa valutazione dei dati già sottoposti al tribunale e da questo ritenuti compatibili con un giudizio di ammissibilità della proposta, sia sulla base di elementi ulteriormente acquisiti o sopravvenuti. Il giudizio negativo sulla fattibilità del piano indurrà il tribunale a disporre l'interruzione della procedura. Infine, in sede di omologazione il tribunale, valutate le eventuali opposizioni e tenuto conto del motivato parere del commissario giudiziale, si può pronunciare sulla fattibilità del piano. Il che significa riconoscere una forte valenza alle valutazioni del commissario giudiziale anche nell'ambito del giudizio di omologazione: l'art. 173, che la riforma non ha modificato, è destinato ad espandere naturalmente la propria efficacia anche in quella sede”.

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che dovrebbero essere stabilite dal tribunale ai sensi del primo comma dell’art.

182”, mentre “l’ampliamento dei poteri autorizzatori del comitato dei creditori è in

sintonia col nuovo regime degli organi del fallimento, a maggior ragione del ceto

creditorio”.

Per ciò che attiene alla nomina del liquidatore sia la dottrina che la giurisprudenza

di legittimità concordano nel senso che “l'art. 182 l. fall., nel testo risultante a

seguito delle modifiche di cui all'art. 16 del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, nel

prevedere, al primo comma, che il tribunale nomina i liquidatori e, al secondo

comma, che si applicano una serie di disposizioni relative al curatore fallimentare, in

quanto compatibili, palesa il carattere necessario e vincolante della nomina del

liquidatore e l'esigenza che egli possieda i requisiti previsti dall'art. 28 l. fall.:

pertanto, se non effettuata con la proposta di concordato, la nomina spetta al

tribunale con il decreto di omologazione, e tale potere sussiste anche nel caso in cui

il liquidatore sia stato nominato dall'imprenditore nella richiesta di concordato,

senza il rispetto dei requisiti di legge”28.

La dottrina ha spiegato che, “se, indicato dal debitore un certo professionista, il

tribunale ne nominasse un altro e questi risultasse inadempiente al proprio incarico,

si farebbe fatica ad imputare l’inadempimento del concordato al debitore”. Talché,

si ritiene “più che legittimo che possa il debitore indicare il nominativo del

liquidatore e che al tribunale non sia consentito non adeguarsi salvo il caso della

carenza di requisiti di forma”29.

Le innovazioni introdotte dal decreto correttivo, comunque, rendono evidente la

correttezza dell’opinione secondo la quale non è possibile la designazione come

liquidatore del commissario giudiziale, poiché a quest’ultimo la legge attribuisce

compiti di vigilanza che verrebbero altrimenti a sovrapporsi con quelli inerenti alla

liquidazione, né è condivisibile “nonostante il diffuso orientamento della

giurisprudenza in senso contrario, che alla carica venga preposto lo stesso

debitore”30. Invero, all’argomento fondato sul vantaggio derivante dalla riduzione

dei costi della procedura gravanti sulla massa è stato correttamente obiettato che la

soluzione affermativa contrasterebbe con quegli aspetti pubblicistici che sono

tutt’oggi presenti nel concordato e comporterebbe il “rischio, oggettivamente

maggiore, di atti in conflitto di interessi, che la vigilanza dei commissario giudiziale

potrebbe non essere sufficiente a scongiurare”31.

Altra parte della dottrina ha acutamente colto il logico sviluppo della soluzione data

alla nomina del liquidatore e alla connessione con le modalità di liquidazione,

evidenziando la necessità di stabilire se la disciplina dell’art. 182, commi 2-5, l. fall.

“sia derogabile o non dal privato o, sotto altro profilo, se i limiti dettati da tale

norma valgono soltanto per gli organi nominati dal tribunale e per le modalità di

28

Cass., 15 luglio 2011 n. 15699. 29

Fabiani, La “programmazione” della liquidazione del concordato preventivo da parte del debitore e la natura delle vendite concordatarie, in Fallimento, 2012, 906 ss., § 3.1. 30

Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Trattato di diritto commerciale - Vol. XI, Tomo I, Padova, CEDAM, 2008, 138. 31

Ambrosini, op. loc. cit..

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liquidazione dettate dall'organo giudiziario o siano vincolanti anche per la parte che

propone il concordato”32.

Secondo una prima opinione “l’art. 182 l. fall. trova applicazione per tutti i

concordati con cessione dei beni nei quali il proponente non ha chiesto un

pronunciamento dei creditori sul modo in cui attuare la liquidazione”33.

Gli argomenti che sorreggono tali conclusioni sono stati indicati

a) nella interpretazione sistematica valorizzante l’ideologia della riforma, quindi la

“forza” del contratto e dunque l’importanza di disciplinare la crisi secondo le regole

negoziali;

b) nella conseguenza che discenderebbe da una interpretazione fondata sulla

prevalenza dell’art. 182, la quale provocherebbe un trattamento asimmetrico fra le

diverse tipologie di proposte perché l’unica ad essere sottoposta a vincoli sarebbe

quella per cessione dei beni, quando invece l’art. 160 l. fall. non fa alcuna

differenza;

c) nella diversità di disciplina tra le vendite successive all’omologazione e quelle

precedenti autorizzate ex art. 167 l. fall., per le quali nessun vincolo è stabilito se

non l’autorizzazione del giudice delegato, da ritenere atto dovuto se l’atto

autorizzando è conforme al piano concordatario; Infine

d) l’adozione delle procedure competitive assolve ad un ben preciso significato in

assenza di accordi pre-concordatari; si vuole, cioè, che il liquidatore giudiziale prima

di procedere alla vendita sondi il mercato per verificare quale può essere il migliore

risultato conseguibile.

Nella stessa prospettiva si è affermato che il “potere del Tribunale è inversamente

proporzionale al contenuto del piano concordatario omologato, proprio in ragione

della funzione integrativa del piano attribuita dall’art. 182 l. fall. all’organo

giurisdizionale” e che “un piano di concordato che individui a priori gli acquirenti dei

beni oggetto di cessione e le relative modalità di alienazione, oltre che il soggetto

che dovrà attuarle, non necessita di integrazione alcuna da parte del Tribunale,

mentre in tutte le altre ipotesi l’intervento giurisdizionale sarà tanto più necessario

e complesso, tanto meno esaustive e predeterminate saranno le indicazioni del

piano omologato in merito ai beni da liquidare, al soggetto incaricato di tale

liquidazione ed alle modalità della liquidazione stessa”34.

Pertanto, si afferma, nulla esclude che il concordato possa prevedere diverse

modalità di liquidazione, stante il carattere dispositivo dell'art. 182 l. fall., ed è

quindi possibile che le vendite siano effettuate mediante negozi privatistici, anche

32

Bozza, La fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni, in Fallimento, 2012, 767 ss.. 33

Fabiani, La “programmazione” della liquidazione, cit.. 34

Pacchi-D'Orazio-Coppola, Il concordato preventivo in Le riforme della l. fall. a cura di A. Didone, Torino, 2009, II, 1890. Nella stessa prospettiva cfr. Lo Cascio, Natura della liquidazione concordataria, in Fallimento, 2011, 533 ss., il quale sostiene la natura “non tassativa delle modalità indicate nell'art. 182, nel senso che il tribunale possa disporle, quando non è diversamente previsto, non possa imporle necessariamente secondo lo schema legale di cui all'art. 182 ed abbia la facoltà di determinarne altre appropriate alle operazioni che devono essere compiute durante la liquidazione”. Opinione ribadita dall’A. anche di recente, ID, Percorsi virtuosi ed abusi nel concordato preventivo, in Fallimento, 2012, 891 ss..

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non richiedenti l'autorizzazione del comitato dei creditori, ma soggetti alla

sorveglianza del commissario giudiziale35.

Secondo un’altra prospettazione “ove il debitore ometta di determinare le modalità

della liquidazione non vi sono dubbi sul fatto che vi debba provvedere il tribunale

nel decreto di omologa, nel rispetto della disciplina legale dettata dall'art. 182 l.

fall.”, la quale “prevale anche nel caso in cui la proposta di concordato attribuisca

direttamente al liquidatore il potere di liberamente determinarsi nell'individuare le

modalità più idonee per l'esecuzione del concordato”36.

5. La c.d. “privatizzazione” del concordato e l’interpretazione sistematica dell’art.

182 l. fall.

E’ facile obiettare, quanto all’argomento sub a), che “la tanto sbandierata quanto

infelice formula della cd. privatizzazione della procedura” ha “alimentato un

approccio non di rado connotato da posizioni preconcette, dirette ad assecondare,

ovvero a contrastare questa idea, mediante soluzioni volte ad identificare i poteri

dell'autorità giudiziaria, enfatizzando la mens legis spesso oltre quanto consentito

dalla lettera delle norme”37. Obiezione sollevata a proposito della controversia sui

poteri del tribunale in merito alla fattibilità del concordato e che vale a richiamare

l’interprete all’applicazione della norma positiva come risultante dal testo della

disposizione e dalla ratio di essa.

35

Lenoci, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2010, 263, aderendo all’opinione di Ambrosini, Demarchi, Vitiello, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 268. Per una posizione “eclettica” v. Calandra Buonaura, Concordato preventivo, cit., § 11, secondo il quale “Considerata l'ampia libertà lasciata al debitore nella formulazione del contenuto della proposta, sembra ragionevole ritenere che la diversa disposizione possa riguardare la nomina del liquidatore, che potrebbe essere già prevista nella proposta di concordato, e le modalità della liquidazione, che potrebbero essere definite nel piano concordatario in deroga alle regole di cui agli art. 105-107 l. fall.; non le prescrizioni che attengono ai poteri del giudice delegato di cui all'art. 108 in quanto coinvolgono la tutela dei creditori e dei terzi interessati”. Peculiare la posizione di Pizzoli, La liquidazione nel concordato preventivo, in Trattato delle Procedure Concorsuali (a cura di Ghia, Severini e Piccininni), Torino, 2011, IV, 551: “il concordato preventivo con cessione dei beni rimette al debitore una ampia gamma di scelte che tutte debbono essere contenute nel progetto e nella proposta concordataria, laddove poi la esecuzione di esse, anche se configurata ed ispirata da strumenti di diritto privato, ritorna in un alveo più tipicamente pubblicistico e viene almeno parzialmente sottratta alla disponibilità delle parti originarie. La commistione che ne deriva conduce a ritenere che il concordato e la seguente liquidazione non possono essere predefiniti siccome deve in conclusione affermarsi che ogni concordato ha una sua peculiare ratio alla quale tutti gli organi debbono necessariamente armonizzarsi”. 36

Nardecchia, Cessione dei beni e liquidazione: la ricerca di un difficile equilibrio tra autonomia privata e controllo giurisdizionale, in Fallimento, 2012, 99 ss., conformemente a Di Cecco, Commento sub art. 182, in La l. fall. dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, M. Santoro, Torino, 2010, 2237. 37

Salvato, Puntualizzazioni della corte di cassazione sul potere di controllo del tribunale nel concordato preventivo , in Corr. Giur., 2012, 39 ss. In relazione all’art. 182 l. fall. v. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e nei concordati mediante cessione, in Giur. comm., 2009, 680 ss., § 13, secondo il quale occorre “sottrarsi alla magia dello slogan della privatizzazione; e coltivare un metodo di sintesi e combinazione fra prospettive privatistiche e concorsuali, quale via maestra per comprendere appieno il senso della nuova disciplina e per la stessa effettiva messa in opera dei nuovi istituti”.

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Dal nuovo testo dell’art. 182 l. fall., infatti, secondo le Sezioni unite38, si evince che è

“incontestabile l'accostamento delle funzioni del liquidatore concordatario a quelle

del curatore del fallimento e, quel che più conta, è espressamente prescritto che

alla vendita dei beni oggetto della cessione ai creditori debbano applicarsi (sia pure

con la clausola della compatibilità) le disposizioni della stessa l. fall., art. 105 e segg.,

ivi compreso l'art. 107, che ne disciplina le modalità attuative”. Ne esce perciò

rafforzata, secondo la S.C., la convinzione che la liquidazione concordataria sia,

proprio come quella fallimentare, disciplinata da rigorose disposizioni sul cui

rispetto gli organi della procedura sono chiamati a vigilare.

La conseguenza che è stata tratta dalle Sezioni unite da tali enunciazioni - e sul

punto non pare prevedibile un revirement, anche per l’ossequio già ad essa prestato

da successive pronunce39 - è la regola per la quale “è assoggettabile a ricorso per

cassazione, a norma dell'art. 111, comma 7, Cost., il provvedimento con cui il

tribunale accolga (o rigetti) il reclamo proposto contro un decreto emesso dal

giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore, nella fase esecutiva di un

concordato preventivo per cessione dei beni omologato dal medesimo tribunale

dovendosi estendere - sulla base di un'interpretazione sistematica

dell'ordinamento, imposta dalla necessità di rispettare il principio di uguaglianza - il

regime di ricorribilità applicabile, a norma degli artt. 617 e 618 c.p.c., per i

provvedimenti del giudice dell'esecuzione non altrimenti impugnabili”. Ciò in

quanto i menzionati provvedimenti del giudice delegato rientrano nel novero degli

atti di giurisdizione esecutiva, assolvendo ad una funzione corrispondente a quella

dei provvedimenti di analogo tenore emessi nell'ambito della liquidazione

fallimentare40.

Quanto all’argomento sub b), - che fa perno sul trattamento asimmetrico

(apparentemente inspiegabile) fra le diverse tipologie di proposte perché l’unica ad

essere sottoposta a vincoli sarebbe quella per cessione dei beni, pur non essendo

previste differenze dall’art. 160 l. fall. - è altrettanto facile replicare che la diversità

38

Cass., Sez. Un., 16 luglio 2008 n. 19506. 39

Cass., 14 marzo 2011 n. 5993: In tema di concordato preventivo, é assoggettabile a ricorso per cassazione, a norma dell'art. 111, comma 7, Cost., il provvedimento con cui il tribunale accolga (o, come nel caso, rigetti) il reclamo proposto contro un decreto emesso dal giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore, nella fase esecutiva di un concordato preventivo per cessione dei beni omologato dal medesimo tribunale, dovendosi estendere il regime di ricorribilità applicabile, a norma degli artt. 617 e 618 c.p.c., per i provvedimenti del giudice dell'esecuzione non altrimenti impugnabili; i suddetti provvedimenti del giudice delegato rientrano nel novero degli atti di giurisdizione esecutiva, assolvendo ad una funzione corrispondente a quella dei provvedimenti di analogo tenore emessi nell'ambito della liquidazione fallimentare ed hanno natura decisoria, allorché, ponendosi in contrasto con i dettami della sentenza di omologazione del concordato e le relative modalità di liquidazione, incidano sulla qualificazione dei crediti ex art. 168 l. fall. e violino l'art. 182 l. fall. (Principio enunciato dalla S.C. relativamente al decreto del giudice delegato che aveva autorizzato la vendita a trattativa privata di un complesso industriale, prevedendo che una parte del relativo prezzo fosse pagata con la compensazione del credito, privilegiato e chirografo ed in realtà oggetto di contestazione giudiziale, vantato verso il debitore concordatario dall'acquirente). 40

In argomento cfr. Perrino, op. loc. cit., il quale osserva che il nuovo art. 182, ultimo comma, l. fall., come modificato dal decreto correttivo, rende “sicuro ciò che forse poteva già prima affermarsi in via interpretativa, confermando - attraverso la prevista applicabilità alle alienazioni in sede di liquidazione concordataria del medesimo regime previsto per le vendite, anch'esse a forme eventualmente negoziali/privatistiche ma a sostanza coattiva, attuate in sede di liquidazione fallimentare - la natura forzata pure delle stesse alienazioni in sede di liquidazione concordataria”.

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di disciplina discende dalla diversità delle fattispecie e che lo stesso sostenitore

dell’opinione qui confutata riconosce la differenza tra il vero concordato con

cessione dei beni - caratterizzato dalla separazione del debitore dalla proprietà dei

beni e/o dalla disponibilità - e il concordato, in realtà con garanzia, proposto dal

debitore che offre in garanzia il patrimonio, ma assumendo l’obbligazione di

pagamento. Solo nel primo caso, si ammette, è applicabile l’art. 182 l. fall.41.

L’argomento sub c), nella parte in cui segnala la diversità di disciplina tra le vendite

successive all’omologazione e quelle precedenti autorizzate ex art. 167 l. fall., non

tiene conto di ciò, che tali ultimi atti sono posti in essere in pendenza di procedura e

sotto la mannaia costante dell’art. 173 l. fall. E ciò basta a giustificare la differenza

di disciplina.

L’argomento sub d), infine, appare tautologico nella parte in cui afferma che

l’adozione delle procedure competitive assolve ad un ben preciso significato in

assenza di accordi pre-concordatari, mentre, in realtà, nell’ipotesi di concordato per

cessione dei beni vero e proprio, caratterizzato dalla perdita di disponibilità dei beni

da parte del debitore e dall'incertezza in ordine all'effettivo ricavato della cessione,

la liquidazione non può che seguire la disciplina legale, altrimenti l'inapplicabilità

dell'art. 182 l. fall. rende legittimo ed anzi obbligatorio che la liquidazione avvenga

secondo le modalità indicate nel piano, senza alcun vincolo di sorta42.

In realtà, ove si rifletta che, come ha già riconosciuto la S.C.43, il tribunale ha un

potere conformativo allorquando il liquidatore designato dal debitore sia privo dei

requisiti di cui all’art. 28 l. fall., assegnandosi, in tal modo, natura imperativa a

questa parte dell’art. 182 l. fall., la semplice applicazione della logica aletica impone

di osservare lo stesso principio nell’ipotesi in cui le modalità della liquidazione

proposte dal debitore contrastino con le norme richiamate dal predetto art. 18244.

Se, infatti, la norma relativa ai requisiti del liquidatore è ritenuta inderogabile, tanto

da consentire l’esercizio del potere conformativo del tribunale, non si comprende

perché per le modalità della liquidazione non operi analoga inderogabilità dell’art.

182 l. fall., nei limiti della sancita compatibilità espressa. Compatibilità che non può

essere, dunque, riferita al piano, come ritenuto in dottrina45, per sostenere “la

41

Fabiani, op. cit., § 3. 42

Nardecchia, op. loc. cit.. 43

Cass., 15 luglio 2011 n. 15699, in motivazione: “Deve, quindi, conclusivamente ritenersi che la nomina del liquidatore sia comunque necessaria ai sensi della l. fall., art. 182 e che detta nomina, se non effettuata con la proposta di concordato, spetta al tribunale con il decreto di omologazione. Chiarito quanto sopra va comunque aggiunto che il potere di nomina del liquidatore da parte del tribunale sussiste anche nel caso in cui il liquidatore sia stato nominato da chi propone il concordato senza rispettare i requisiti di legge”. 44

Nello stesso senso cfr. Bozza, op. cit., § 4: “La libertà lasciata all'imprenditore di organizzare la crisi della sua impresa gli consente di spaziare tra le più varie soluzioni, senza essere ingabbiato in schemi rigidi prefissati, ma quando sceglie di ricorrere ad un concordato con cessione dei beni - tra i quali, si ripete perché questo dato è fonte di equivoci, non rientrano i concordati c.d. chiusi - egli è tenuto a rispettare le regole che il legislatore detta per la liquidazione, in quanto di interesse pubblicistico, e, quindi è tenuto a sottostare al controllo di legalità del tribunale”. 45

Mandrioli, La riforma organica delle procedure concorsuali, a cura di S. Bonfatti-L. Panzani, Milano, Ipsoa 2008, 729. Conf.: Monteleone, La liquidazione dei beni, in AA.VV., Le procedure concorsuali a cura di Caiafa, Padova, 2011, II, 1365. Per la natura imperativa cfr. Di Cecco, Commento sub Art. 182, in A. Nigro - M. Sandulli-V. Santoro (a cura di), La l. fall. dopo la riforma, Torino, 2010, 2233-2234; Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 314.

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derogabilità (almeno in parte qua) della disciplina legale e del ricorso alla stessa solo

per gli aspetti non regolati dal piano”46.

Da un lato è palese il contrasto con il principio di non contraddizione

dell’affermazione per la quale la disciplina dettata dall’art. 182 l. fall. avrebbe

carattere suppletivo e derogabile47, al punto che la domanda di concordato

potrebbe prevedere l’individuazione del liquidatore anche nella stessa persona del

debitore e, tuttavia, “purché in possesso dei requisiti di cui all’art. 28”48. Dall’altro

l’argomento principe dell’interpretazione sistematica, che si richiama alla

presunzione del legislatore coerente49, impedisce di attribuire alla riserva di

compatibilità prevista nell’art. 182 l. fall. un significato diverso da quello attribuito

da tutte le altre disposizioni delle l. fall. al medesimo enunciato.

L’interpretazione è sistematica, invero, anche quando pone l’attenzione sulla

“costanza terminologica” e trova la sua utilità allorquando occorra ricostruire il

significato di enunciazioni contenute nello stesso documento normativo.

Pertanto, nel ricostruire il significato (complessivo) della disposizione non si può

fare a meno di tenere conto del contesto linguistico specifico della disposizione (il

co-testo, vale a dire l’intero documento normativo, o la parte “pertinente” del

documento normativo al quale appartiene la disposizione da interpretare),

individuato secondo il “criterio della pertinenza”50.

Nell'ipotesi in cui il legislatore adotta la tecnica legislativa del rinvio la norma è

rinvenibile nel collegamento di due o più disposizioni51.

È noto che “il rinvio è proprio quando la sua presenza non costituisce innovazione

nel sistema e l'estensione della disciplina che esso propone si sarebbe egualmente

ed agevolmente desunta dall'interpretazione globale, o sistematica,

dell'ordinamento” mentre “è improprio quando la sua presenza costituisce una

innovazione nel sistema giuridico ed in realtà assume un ruolo normativo”52. In tal

caso “le norme e i principi richiamati dovranno essere letti ed interpretati alla luce

di una normativa e di una realtà concreta diverse da quelle richiamate”53 e ciò non

può non comportare una necessaria armonizzazione delle prime con le seconde.

46

Filocamo, Commento sub art. 182 l. fall., in Ferro M. (a cura di), La l. fall., Padova, 2011, 2089 ss., § 62. 47

Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale – Profili sostanziali, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e Bassi, vol. I, Padova, 2010, 533. 48

Racugno, op. cit., 534, nota 270. 49

E’ sistematica in senso stretto “quella interpretazione che previene le antinomie nell'ambito di un singolo testo normativo. In che modo? Evitando di ricavare da una data disposizione (poniamo l'art. x di una certa legge) una norma che sarebbe in conflitto con un'altra norma, previamente ricavata da un'altra disposizione del medesimo testo normativo (l'art. y della stessa legge). In altre parole, si fa interpretazione sistematica ogniqualvolta si esclude una certa attribuzione di significato che, se ammessa, renderebbe un testo normativo (la costituzione, una legge, un codice, ecc.) internamente incoerente. Questo modo di interpretare, è ovvio, si regge sull'assunto che la volontà del legislatore sia coerente: che, insomma, il legislatore non intenda contraddirsi (per lo meno, non nell'ambito di un singolo testo normativo)”: Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004, 172. 50

Chiassoni, Codici interpretativi. Progetto di voce per un vademecum giuridico, in Analisi e diritto 2002-2003 a cura di Comanducci e Guastini, Torino, Giappichelli, 60 ss.. 51

Perlingieri, Profili istituzionali del diritto civile, Napoli, 1986, (rist.), 112. 52

Perlingieri, op. cit., 113. 53

Perlingieri, op. loc. cit..

Page 17: Didone Concordato Cessione Beni

17

Il rinvio ad altre disposizioni contenuto nell'art. 182 l. fall. è chiaramente un rinvio

“improprio” alla disciplina del fallimento, posto che dalle norme regolatrici del

concordato preventivo e, in particolare, dall'interpretazione sistematica delle

stesse, non si potrebbe far discendere l'esistenza di un principio generale dal quale

desumere l'applicabilità delle norme richiamate nei commi introdotti dal D.lgs.

correttivo.

In tal senso va letta la riserva di compatibilità delle disposizioni richiamate

contenuta nell’art. 182 l. fall..

Una incompatibilità assoluta, ad esempio, va vista nell’art. 106 l. fall. nella parte in

cui consente la cessione delle azioni revocatorie concorsuali i cui giudizi siano già

pendenti54.

D’altra parte, neppure può essere attribuito rilievo decisivo all’inciso del primo

comma dell’art. 182, che fa salva la diversa previsione della proposta di concordato,

posto che, se così fosse, neppure il sesto comma dell’art. 182 l. fall., aggiunto

dall’art. 17, comma 1, lett. t) del c.d. decreto legge “Sviluppo bis”55, palesemente

imperativo, potrebbe non trovare applicazione.

Con la nuova norma, invero, è previsto che “all’articolo 182, dopo il quinto comma,

è aggiunto il seguente comma: “Si applica l’articolo 33, ultimo comma, primo,

secondo e terzo periodo56, sostituendo al curatore il liquidatore, che provvede con

periodicità semestrale dalla nomina. Quest’ultimo comunica a mezzo di posta

elettronica certificata altra copia del rapporto al commissario giudiziale, che a sua

volta lo comunica ai creditori a norma dell’articolo 171, secondo comma”.

Se fosse corretta l’impostazione qui confutata, la proposta potrebbe prevedere una

diversa cadenza (o non prevederla affatto) dell’obbligo di depositare la relazione

periodica ex art. 33 l. fall. ovvero prevedere una diversa forma di comunicazione, in

contrasto, però, con lo spirito delle nuove norme, tutte tese ad informatizzare le

procedure concorsuali.

54

Così esattamente Zanichelli, op. cit., 316, secondo il quale, peraltro, nulla osterebbe alla cessione delle azioni revocatorie ordinarie. 55

Applicabile dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto anche alle procedure di fallimento, di concordato preventivo, di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria pendenti, rispetto alle quali, alla stessa data, non è stata effettuata la comunicazione rispettivamente prevista dagli articoli 92, 171, 207 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e dall’articolo 22 D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, mentre per le procedure in cui, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sia stata effettuata la comunicazione di cui al comma 4, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 17 si applicano a decorrere dal 31 ottobre 2013. Il curatore, il commissario giudiziale, il commissario liquidatore e il commissario straordinario entro il 30 giugno 2013 comunicano ai creditori e ai terzi titolari di diritti sui beni il loro indirizzo di posta elettronica certificata e li invitano a comunicare, entro tre mesi, l’indirizzo di posta elettronica certificata al quale ricevere tutte le comunicazioni relative alla procedura, avvertendoli di rendere nota ogni successiva variazione e che in caso di omessa indicazione le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. 56

“Il curatore, ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione di cui al primo comma, redige altresì un rapporto riepilogativo delle attività svolte, con indicazione di tutte le informazioni raccolte dopo la prima relazione, accompagnato dal conto della sua gestione. Copia del rapporto è trasmessa al comitato dei creditori, unitamente agli estratti conto dei depositi postali o bancari relativi al periodo. Il comitato dei creditori o ciascuno dei suoi componenti possono formulare osservazioni scritte”.