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10.10.2012
LA LIQUIDAZIONE NEL CONCORDATO CON CESSIONE DEI BENI: PIANO CONCORDATARIO E DECRETO DI OMOLOGA ALLA LUCE DELLA L. N. 134/2012
di Antonio Didone, Magistrato
Sommario: 1. Premessa - 2. L’ordinanza interlocutoria della Prima Sezione - 3. Fattibilità del piano
e convenienza - 4. Provvedimenti in caso di cessione di beni - 5. La c.d. “privatizzazione” del
concordato e l’interpretazione sistematica dell’art. 182 l. fall.
1. Premessa
Una recentissima pronuncia di un giudice del merito1 ha enunciato alcuni principi in
materia di concordato preventivo liquidatorio che riassumono le maggiori
controversie, in dottrina e in giurisprudenza, in ordine alla procedura concordataria
e a quel tipo particolare di concordato.
Essa può essere sintetizzata con i seguenti enunciati:
a) Se, dopo l'emanazione del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, deve ritenersi
precluso al tribunale il sindacato sulla convenienza della proposta di concordato
preventivo - valutazione che spetta esclusivamente ai creditori -, al tribunale
compete invece la verifica delle condizioni di ammissibilità della procedura, ivi
compresa la fattibilità del piano e la mancanza di gravi fatti fraudolenti i quali,
anche in assenza di opposizione, ne possono comportare la revoca. Detti poteri di
controllo possono essere esercitati in qualunque momento e quindi anche nella fase
di omologa, con la precisazione che, per quanto riguarda i fatti indicati dall'articolo
173, l. fall. (condotte fraudolente, mancanza di condizioni di ammissibilità, ivi
compresa la fattibilità), la cognitio causae del tribunale è di natura officiosa.
b) Nella proposta di concordato preventivo deve ritenersi ammissibile la nomina del
liquidatore da parte dell'imprenditore a condizione che il soggetto indicato sia in
possesso dei requisiti previsti dall'articolo 28, l. fall..
c) Gli atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del piano concordatario (artt.
182, ultimo comma, e 107, l. fall.) debbono essere effettuati tramite procedure
competitive quando ciò sia compatibile con lo stesso piano concordatario.
1 Trib. Monza, 10 luglio 2012 - in ilcaso.it, I, 7702 - pubbl. 03/09/2012.
2
Nel caso deciso non era possibile effettuare la cessione dei rami di azienda tramite
procedure competitive, poiché non compatibili con il programma di liquidazione
previsto nel piano.
Inoltre, i commissari avevano accertato la congruità dei corrispettivi pattuiti con i
terzi per la cessione dei rami d'azienda e i creditori, tenuto conto anche di tale
elemento, avevano consapevolmente approvato il piano con tale forma di
liquidazione.
Nello stesso periodo altro giudice del merito2 ha affermato i seguenti altri principi:
a1) Tra i requisiti di ammissibilità di una proposta di concordato preventivo vi è la
prevedibilità del pagamento in percentuale non irrisoria dei creditori chirografari.
Ciò emerge dall'impianto della legge, la quale prevede la possibilità di falcidia delle
classi dei creditori ma non la loro pretermissione e rimanda l'approvazione del
concordato proprio al voto dei creditori chirografari.
b1) Al tribunale non compete il giudizio sulla fattibilità in concreto del concordato
preventivo, quel giudizio prognostico sull’effettiva capacità delle attività cedute a
far fronte al passivo; il giudice è, tuttavia, tenuto a verificare l’effettiva sussistenza
di tali dati e la loro idoneità a soddisfare almeno in minima parte i creditori
chirografari.
c1) Nel compiere la valutazione dell'effettiva capacità delle attività cedute a
soddisfare i creditori del concordato, il tribunale non può ignorare il rischio di
realizzo dei beni immobili derivante dalle attuali condizioni di crisi del mercato, le
quali fanno transitare l'alea da un profilo di fattibilità ad un profilo di ammissibilità,
posto che il rischio in questione costituisce un dato oggettivo.
Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto che buona parte del valore attribuito agli
immobili non fosse effettivamente realizzabile ed ha altresì sottolineato l'omissione,
nella proposta, delle poste attive ricavabili da azioni recuperatorie e revocatorie di
atti di cessione d’immobili e partecipazioni e ha, pertanto, negato l’omologazione.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, “nel concordato preventivo con cessione
dei beni, dopo la riforma fallimentare di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35 e successive
modificazioni, l'indicazione della percentuale di pagamento ai creditori e dell'epoca
di presumibile liquidazione corrisponde essenzialmente ad una funzione
informativa, idonea ad integrare la determinatezza e l'intelligibilità della proposta
stessa, ma non entra - almeno di regola e salvo diversa esplicitazione - in modo
diretto a far parte altresì degli obblighi assunti del debitore stesso, come sarebbe
nel concordato misto, in cui ai creditori viene garantita una data percentuale di
soddisfacimento; ne consegue che unico obbligo assunto dal debitore è quello di
porre a disposizione dei creditori i beni liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la
liquidazione ovvero ne alterino in modo sensibile il valore, spettando ai creditori,
che ne condividano la valutazione, accettare il rischio di un diverso esito della
liquidazione stessa, comparandone la complessiva convenienza sulla base delle
alternative praticabili”3.
2 Trib. Firenze, 27 luglio 2012, in ilcaso.it, I, 7820 - pubbl. 24/09/2012.
3 Cass., 23 giugno 2011 n. 13817.
3
Anche la dottrina ha rilevato che “una proposta correttamente redatta non potrà
non indicare le prospettive, per quanto minime, di soddisfazione”4.
I temi affrontati dalle pronunce che si sono ricordate aprono ad una riflessione più
ampia, sulla questione, che si avvia ad essere esaminata dalle sezioni unite, dei
poteri del tribunale in sede di omologazione. Una questione che dev’essere riletta
anche alla luce delle novità della L. 7 agosto 2012, n. 134.
L’ordinanza della Prima sezione di rimessione alle sezioni unite muove dalla
considerazione secondo la quale l'orientamento prevalente della S.C. “appare
contrario alla sindacabilità del merito della proposta di concordato (sia preventivo
sia fallimentare) - e quindi della fattibilità del piano - tanto in sede di giudizio di
ammissione alla procedura quanto nella successiva fase del giudizio di
omologazione, salvo che, in quest'ultimo caso, un creditore a ciò legittimato abbia
proposto opposizione proprio al fine di sollecitare un siffatto giudizio di merito.
Secondo quell’ordinanza l’orientamento prevalente della S.C. “rinviene
nell'adesione espressa dall'adunanza del creditori il momento decisivo in cui si
possa e debba giudicare del merito della proposta, anche sotto il profilo della
fattibilità del piano, e limita perciò il compito del tribunale alla verifica della
regolarità della procedura, al fatto che i creditori chiamati ad esprimere il loro
consenso nell'adunanza siano stati compiutamente e correttamente informati ed
all'assenza di eventuali ragioni d'illiceità o comunque di nullità della proposta, come
tali non sanabili neppure mediante la prestazione del consenso dei creditori”.
Ma le pronunce richiamate5, come è stato acutamente evidenziato in dottrina6 e
dalla stessa ordinanza di rimessione, non sono in radicale contrasto fra di esse, le
prime due pronunce essendo relative al controllo del tribunale in sede di
valutazione dell’ammissibilità del concordato7 mentre le successive riguardavano i
poteri del tribunale in sede di revoca dell’ammissione ex art. 173 l. fall.8 ovvero in
sede di omologazione in assenza di opposizioni9.
Il diverso momento in relazione al quale si esercita il potere di controllo del
tribunale è rilevante in quanto, già dalle prime pronunce, la Cassazione aveva avuto
modo di avvertire che, se è vero che il potere di controllo del tribunale sulla
proposta e sulla documentazione allegata non poteva “sovrapporsi, nell'effettuare il
controllo dei presupposti di ammissibilità, alla valutazione di fattibilità contenuta
nella relazione del professionista”, nondimeno ciò era da ricollegare al potere di
svolgere accertamenti in ordine alla veridicità dei dati aziendali riservato dalla legge
al commissario giudiziale, prevedendosi quale reazione alla mancanza di veridicità,
4 Frascaroli Santi, Il diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, Padova, 2012, 520.
5 Cass., n. 21860/2010; Cass., n. 3586/2011; Cass., n. 3274/2011; Cass., n. 13817/2011; Cass., n. 18864/2011; Cass., n.
18987/2011 6 Salvato, Puntualizzazioni della corte di cassazione sul potere di controllo del tribunale nel concordato preventivo, in
Corr. Giur., 2012, 39 ss.. 7 Cass., n. 21860/2010; Cass., n. 3586/2011.
8 Cass., n. 13817/2011.
9 Cass., n. 18864/2011 e Cass., n. 18987/2011. Infine, Cass., n. 3274/2011 era relativa al concordato fallimentare. Esula
dall’oggetto delle presenti note.
4
“su denunzia obbligatoria da parte del commissario giudiziale, la sanzione della
immediata revoca da parte del tribunale del concordato”10.
E’ questa, forse, la ragione per la quale la novella del 2012 ha introdotto l’art. 236-
bis l. fall. che, con la rubrica “falso in attestazioni e relazioni”, punisce penalmente il
professionista che “nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma,
lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni
false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti”.
Ulteriore conferma di ciò, che nella fase di ammissione la valutazione di fattibilità
del piano deve essere operata esclusivamente sulla base dell’attestazione del
professionista.
Ma solo in quella prima fase.
2. L’ordinanza interlocutoria della Prima Sezione
Ciò che rileva precipuamente ai fini di queste note è l’affermazione dell’ordinanza di
rimessione alle Sezioni unite secondo la quale la più recente sentenza (Cass., n.
18864/11) pur non ponendosi in diretto contrasto con le precedenti, avendo
fondato la propria decisione sul rilievo d'ufficio di una causa di nullità assoluta (per
impossibilità dell'oggetto) della proposta concordataria approvata dall'adunanza dei
creditori, “probabilmente sottende un'ulteriore ragione di distonia anche in ordine
alla rilevanza che, nell'economia della proposta concordataria (e della sua
fattibilità), oggi assume l'indicazione della percentuale dei creditori che si prevede
possano essere soddisfatti”.
La sentenza n. 18864/11, infine, poneva il quesito in merito alla misura in cui
l'eventuale non fattibilità del piano si traduca in un'impossibilità dell'oggetto del
concordato: il che finiva per riproporre in altra veste il medesimo problema dei
limiti entro cui il giudice è legittimato a sindacare il requisito della fattibilità.
L’ordinanza di rimessione discorre di “sindacabilità del merito della proposta di
concordato (sia preventivo sia fallimentare) - e quindi della fattibilità del piano”.
Ciò pone un’esigenza di chiarimento in ordine ai concetti evocati, anche alla luce
delle recenti modifiche introdotte alla disciplina del concordato preventivo.
E’ stato correttamente evidenziato11 che, a seguito delle modifiche introdotte con il
d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.
134, risulta più chiara la distinzione tra le nozioni di domanda, proposta e piano,
peraltro già analiticamente indagate dalla dottrina12.
Il contenuto di quest’ultimo, poi, ha ricevuto una specificazione opportuna ai fini
della sua predisposizione e del controllo successivo ad opera dei creditori e del
tribunale. 10
Cass., n. 21860/2010; Cass., n. 3586/2011. 11
Da Ambrosini, Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012, in ilcaso.it Sezione II – Dottrina e opinioni documento n. 306/2012. 12
Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, 172.
5
Invero, il comma 6 dell’art. 161 l. fall., introdotto dalla novella, prevede che
l'imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato
unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la
proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo della
medesima disposizione entro un termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e
centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre
sessanta giorni.
Risulta avvalorata, dunque, la ricostruzione della dottrina secondo la quale con la
domanda (contenuta nel ricorso) “il debitore chiede che la crisi (o l'insolvenza) sia
regolata secondo la disciplina del concorso (in luogo della disciplina civilistica
dell'esecuzione forzata) e segnatamente, del concorso concordatario”, con la
proposta il debitore assume un impegno e questo impegno diviene vincolante una
volta omologato e la proposta stessa si fonda sulla base di un piano che costituisce
lo strumento operativo per formulare la proposta, “l'architettura operativa per far sì
che la proposta appaia ai creditori credibile”13 .
Distinzione “che ha il pregio di differenziare ciò che attiene al processo (la
domanda), ciò che attiene al contenuto negoziale (la proposta) e ciò che attiene al
modo in cui si pensa di rendere realizzabile la proposta (il piano)”14.
Sempre nella prospettiva di indagine del successivo controllo, va apprezzata la
precisazione contenuta nella lett. e) dell’art. 161 l. fall. - aggiunta con la novella -
secondo la quale il piano deve contenere “la descrizione analitica delle modalità15 e
dei tempi16 di adempimento della proposta”.
13
Fabiani, op. loc. cit.. 14
Fabiani, Vademecum per la domanda “prenotativa” di concordato preventivo, in Ilcaso.it, II, 313/2012. 15
V. Fabiani, Riflessioni precoci sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d’impresa (appunti sul d.l. 83/2012 e sulla legge di conversione), in Ilcaso.it, II, 303/2012, 9 ss., secondo il quale è da escludere che i fautori dell’obbligatorietà dell’indicazione della percentuale del pagamento nel caso di concordati non garantiti, trovino nuovi spunti nella lett. e) dell’art. 161. Ciò in quanto “pretendere che il debitore nella proposta debba specificare la misura del soddisfacimento dei creditori, in ogni modello di concordato preventivo, oltre che contraddire il dato di diritto positivo si pone in conflitto sia con il fatto che nella proposta ai creditori si possa offrire qualcosa di diverso da un pagamento, sia con un principio di efficienza economica. Se si pretende una precisazione di questo tipo, una volta che la legge ha eliminato una soglia minima, sarà difficile (come per il tempo di adempimento) immaginare che il debitore non sia assai cauto nella fissazione della percentuale e così non avremmo risolto nulla. Infatti, il giudizio di convenienza rimesso, comunque, solo all’iniziativa di parte avrà per oggetto quanto è verosimile si ricaverà dalla soluzione concordataria con quanto è verosimile si ricaverebbe dalla liquidazione concorsuale, certo nessuna comparazione potrà essere suggerita fra la misura oggetto di specifica proposta e una soluzione fallimentare che non può dare preventivamente alcuna certezza. Se la comparazione deve avvenire ciò impone che vi sia simmetria fra i dati da valutare”. Ma l’indicazione della percentuale influisce sulla valutazione della fattibilità e, ancora una volta, pare si confonda convenienza e fattibilità, mentre che la valutazione di convenienza non appartenga più al tribunale (salvo l’eccezione dell’opposizione) è pacifico e non rileva al fine di interpretare la nuova norma. V. ora, Fontana, Il c.d. decreto sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in Il civilista, 2012, § 4.1: “sembra qui evocata la necessità che sia indicata sempre la percentuale di soddisfacimento dei creditori”. 16
In argomento v. Fabiani, op. ult. loc. cit., secondo il quale il tempo di adempimento è “un’addizione che va presa con cautela nel senso che si tratta di capire se l’indicazione del tempo di adempimento divenga oggetto della proposta, nel qual caso all’evidenza, il mancato adempimento tempestivo si traduce in un inadempimento e dunque nel rischio della risoluzione del concordato, oppure se il tempo dell’adempimento debba essere indicato nel piano allo scopo di rendere fattibile e credibile la proposta. Questa seconda lettura mi sembrerebbe quella più ragionevole ma l’espressione lessicale adoperata sembra far propendere per la prima ipotesi; il che, verosimilmente, indurrà il debitore ad essere molto prudente nel fissare il tempo di adempimento”.
6
La modifica legislativa fa dubitare che tuttora si possa sostenere, come per il
passato, che, essendo il programma di liquidazione disciplinato da una disposizione
non richiamata dall’art. 182 l. fall., sarebbe legittimo ritenere che l’invito alla
redazione del programma possa essere contenuto nel decreto di omologazione,
senza che ciò infirmi il principio dell’immodificabilità officiosa della proposta17.
Nell’ipotesi di concordato liquidatorio, dunque, il programma di liquidazione deve,
ora, essere contenuto nel piano.
Invero, a mente dell’art. 104-ter l. fall. il programma di liquidazione “costituisce
l’atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per
la realizzazione dell’attivo”, concetti equivalenti a modalità e tempi di
adempimento della proposta.
Ma non minore rilievo assumono altre modifiche della disciplina del concordato
contenute nella novella del 2012, perché all’art. 179 l. fall. è stato aggiunto un
secondo comma secondo cui “quando il commissario giudiziario rileva, dopo
l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano,
ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino
all'udienza di cui all'articolo 180 per modificare il voto”, così codificando
un’opinione espressa da una parte della dottrina18. Voto che è stato disciplinato -
quanto alle modalità di espressione - in modo in parte simile19 a quello del
concordato fallimentare, nel senso che i creditori che non hanno esercitato il voto
possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax
o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale e, in
mancanza, si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo
della maggioranza dei crediti.
Inoltre, il nuovo art. 180, comma 4, l. fall. prevede che non solo un creditore
appartenente ad una classe dissenziente ma anche, nell'ipotesi di mancata
formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento
dei crediti ammessi al voto, possano contestare la convenienza della proposta. In tal
caso il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa
17
Fabiani, La “programmazione” della liquidazione del concordato preventivo da parte del debitore e la natura delle vendite concordatarie, in Fallimento, 2012, 906 ss., nota 30, ove aderisce all’opinione manifestata da v., C. Cavallini-B. Armeli, sub art. 182, C. Cavallini-B. Armeli, sub art. 182, in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla l. fall., III, Milano, 2010, 776; L. Pica, Il concordato preventivo, in P. Celentano-E. Forgillo (a cura di), Fallimento e concordati, Torino, 2008, 1168. 18
Fabiani, La fattibilità nel concordato preventivo e' giudizio che spetta ai creditori, in Fallimento, 2011, 167 ss.: “ se la fattibilità assume per entrambe le parti, o anche per una sola di esse - ma con riconoscimento da parte dell'altra - valore determinante ai fini del "mantenimento" del vincolo contrattuale, la sua mancanza legittima l'esercizio del recesso dal vincolo negoziale, ciò che nel caso del procedimento di concordato si traduce nella possibilità di revocare il voto favorevole mediante proposizione di opposizione all'omologazione”. 19
Fabiani, Riflessioni, cit., 19: “Il sistema così delineato è misto in quanto in una prima fase si apre il voto per tutti allo scopo di conseguire una maggioranza che si sia espressa col voto favorevole esplicito, mentre se al termine della prima fase la maggioranza non si è formata ecco che entrano in gioco i creditori apatici che da creditori tendenzialmente ostili al concordato (in quanto non partecipando al voto non concorrono a formare la maggioranza) vengono ora irreggimentati nelle truppe dei creditori favorevoli ove non intendano mettere da parte la loro apatia ed esprimere formalmente un voto negativo”.
7
risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative
concretamente praticabili.
3. Fattibilità del piano e convenienza
Fattibilità del piano e convenienza della proposta sono concetti diversi.
Si è affermato in dottrina che “grosso modo, per fattibilità può intendersi la
valutazione alla luce della quale può ritenersi, con un apprezzabile e sufficiente
grado di probabilità, che le previsioni e gli obiettivi contenuti nel piano saranno
integrati, coi tempi prospettati” e si è precisato che “la valutazione così operata
presuppone una verifica esterna di razionalità degli scenari contenuti nel piano,
intesa come congruenza fra la disponibilità delle risorse ipotizzate, le circostanze di
fatto previste, ed il conseguimento degli obiettivi”20.
Da altri, sulla scia della più recente pronuncia della Cassazione, si è rilevato che il
termine "fattibilità", contenuto nell'art. 163, comma 3, l. fall., è suscettibile di
essere inteso in un duplice significato: “per il primo, esprime la prognosi sulla
conseguibilità del risultato ipotizzato dall'imprenditore, favorevolmente attestata
dal professionista, alla luce dell'alea propria di ogni iniziativa economica,
riconducibile al merito e, appunto per questo, sottratta al controllo, d'ufficio, del
tribunale. Per il secondo, in riferimento al controllo del giudice nelle diverse fasi del
concordato preventivo, è suscettibile di indicare i presupposti necessari per la
formulazione della prognosi e l'attuabilità giuridica del piano, indipendentemente
dalla normale alea economica” e, inteso in tal modo il sostantivo, “il difetto di
veridicità dei dati, qualora risulti dagli atti e dalla relazione del commissario
giudiziale bene può essere rilevato dal tribunale (mantenendo ferma la distinzione
tra fattibilità e convenienza), poiché un siffatto sindacato non eccede dai confini del
sindacato di legittimità”21.
La fattibilità del piano assume un rilievo particolare nel concordato per cessione dei
beni.
La S.C., infatti, ha già evidenziato che “la cessione di beni e le altre operazioni,
anche di ingegneria imprenditoriale e societaria, contemplate dall'art. 160 l. fall,
costituiscono il mezzo e non il fine: onde, non possono essere disancorate dalla
promessa di un risultato utile conseguibile, precisato o implicito in una percentuale
di soddisfacimento, senza il quale la proposta del debitore diverrebbe aleatoria in
senso giuridico, pur a fronte dell'effetto esdebitativo certo della falcidia
concordataria”22.
20
Galletti, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, Giur. comm., 2009, 730 ss., § 2. 21
Salvato, op. loc. cit. In questo senso già Calandra Buonaura, Concordato preventivo, Enc. Dir., Annali, II-2, Milano, 2008, § 9, secondo il quale “per la revoca non è sufficiente una diversa valutazione prognostica da parte del commissario giudiziale, ma occorre quanto meno l'accertamento che, a seguito di fatti sopravvenuti o non considerati dalla relazione del professionista, sono venuti meno i presupposti sui quali la fattibilità del piano si fonda in modo tale da determinarne la sicura irrealizzabilità”. 22
Cass., n. 18864/2011, in motivazione.
8
Sulla scia di tale pronuncia la dottrina ha tratto la conclusione che “la mancata
previsione della soddisfazione o pagamento di tutti i creditori, ivi compresi i
chirografari, questi ultimi in qualsiasi misura o modalità, determina l'inammissibilità
della proposta” mentre “non si rinviene tra i presupposti di ammissibilità della
proposta un qualche elemento che imponga al debitore un ulteriore obbligo: quello
di soddisfare i creditori in una percentuale predeterminata”23.
Convenienza per il creditore e fattibilità del piano rispondono a domande diverse.
Devi avere cento e ti propongo di ricevere sessanta mentre con il fallimento avresti
quaranta.
Domanda 1): è conveniente la proposta?
Qui rispondono i creditori (salvo opposizioni: art. 180 l. fall.).
Domanda 2): come intendi adempiere (modalità e dei tempi di adempimento)?
Con le operazioni previste dal piano e nei termini ivi previsti.
Domanda 3): E’ fattibile il piano?
Qui bisogna intendersi.
La fattibilità, in sede di ammissione alla procedura, è attestata dal professionista e
l’attendibilità dell’attestazione è sanzionata penalmente.
Ma la stessa fattibilità è condizione di ammissibilità della domanda e in sede di
omologa la verifica della persistenza di essa compete al tribunale.
Poi c’è la valutazione di convenienza di una proposta fattibile (o ritenuta tale,
magari alla luce di informazioni false o incomplete) da parte dei creditori e le
mutate condizioni di fattibilità del piano, rilevate dal commissario e comunicate ai
creditori, legittima questi ultimi, anche se inizialmente assenzienti, a costituirsi nel
giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'articolo 180 per modificare il
voto. Divenendo dissenzienti essi acquistano la legittimazione ad opporsi
all’omologazione contestando anche la convenienza (ciascuno, se appartenente a
classe dissenziente ovvero, nell'ipotesi di mancata formazione delle classi, se i
creditori dissenzienti rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto: v.
nuovo art. 180 l. fall.).
Ciò non toglie, però, la rilevanza che assume il mutamento delle condizioni di
fattibilità del piano e, trattandosi di concordato con cessione dei beni, dell’acclarata
impossibilità di effettuare pagamenti non irrisori a beneficio dei creditori
chirografari24.
23
Nardecchia, La proposta di concordato preventivo per cessione dei beni ed i poteri del tribunale nella fase di liquidazione, in Fallimento, 2012, 78 ss. e ivi la corretta precisazione che “l'indeterminatezza della percentuale assicurata ai creditori chirografari nel concordato per cessione dei beni è diretta conseguenza dell'incertezza del ricavato della cessione dei beni medesimi, intimamente collegata, a sua volta, alla perdita di disponibilità del patrimonio da parte del debitore. Ove tale indeterminatezza non vi sia ed il debitore proponga modalità di liquidazione vincolate, da lui stesso gestite, deve assumere un preciso e determinato impegno di pagamento in una certa percentuale”. 24
Ambrosini, Contenuti e fattibilità, cit., 7. In una diversa prospettiva cfr. Fabiani, La fattibilità nel concordato preventivo e' giudizio che spetta ai creditori, in Fallimento, 2011, 167 ss., secondo il quale, “una volta che la proposta è approvata, e si è dunque formato l'accordo, la verifica della tenuta dell'accordo appartiene alla fase dell'esecuzione del concordato”. Ma tale A. ammette che occorre “essere consapevoli che questa soluzione può risultare paradossale
9
Il nuovo art. 186, ultimo comma, l. fall., in tema di concordato con continuità
aziendale, prevede che “se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del presente
articolo l’esercizio dell’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente dannoso
per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell’articolo 173. Resta salva la facoltà
del debitore di modificare la proposta di concordato”.
E’ possibile non attribuire alcuna importanza a tale ultima norma ai fini della
valutazione della fattibilità, soprattutto se si riflette - come ha giustamente
sottolineato la dottrina - che la continuità aziendale può non essere estranea al
concordato con cessione dell’azienda25?
In caso di opposizione di creditore dissenziente, solo se sussistono le condizioni di
cui all’art. 180, comma 4, l. fall., il tribunale valuta la convenienza della proposta in
relazione al diverso risultato ottenibile rispetto alle alternative concretamente
praticabili ma, quanto alla mancanza di fattibilità26, non può dire al creditore:
la proposta non è concretamente fattibile (perché ad es., l’unico capannone ceduto
è andato distrutto da un incendio e l’incendio non era coperto da polizza
assicurativa o perché l’assuntore del concordato è stato tratto in arresto per
bancarotta) ma la maggioranza dei creditori ritiene di sì, quindi devo omologare!
Né cambierà la prospettiva del Tribunale, a seconda che ci siano o meno
opposizioni, perché sempre il giudice dovrà porsi il problema della tutela di tutti
coloro che siano, a vario titolo, coinvolti dall’efficacia attribuita al concordato.
Conclusivamente: “se l'omologa è un giudizio, camerale e non contenzioso,
incentrato sulla proposta cui dovrà essere attribuita efficacia, il suo oggetto rimarrà
invariato nonostante la presenza delle opposizioni. Esse, infatti, non muteranno
l'oggetto dell'accertamento giurisdizionale (non porteranno all'attenzione del
giudice, cioè, i diritti degli opponenti), ma introdurranno questioni di fatto
(sull'esistenza dei crediti, sulla regolarità della votazione, sulla fattibilità della
proposta, e via dicendo) che il tribunale dovrà affrontare per decidere in ordine alla
soluzione della crisi: non a caso, perciò, nella versione anteriore al correttivo, le
opposizioni venivano definite “eccezioni “; perché servivano essenzialmente ad
introdurre fatti, non a modificare l'oggetto del giudizio: fatti che potevano indurre il
tribunale a mettere in discussione quel che era stato oggetto della votazione, non
quando nel corso del giudizio di omologazione appaia ormai evidente che il concordato non potrà essere eseguito, sì che posticipare alla fase esecutiva la valutazione di non fattibilità si risolverebbe in un pregiudizio per i creditori”. Talché ritiene legittimo un sindacato officioso da parte del tribunale soltanto nell’ipotesi in cui emerga che il piano non è fattibile e questo determini “l'impossibilità giuridica oggettiva di adempiere alla proposta”. Sul sindacato del tribunale circa “l'esistenza di motivi di nullità dell'accordo, particolarmente per ciò che riguarda la possibilità o meno del suo oggetto” v., già, Pagni, Il controllo del tribunale e la tutela dei creditori nel concordato preventivo, in Fallimento, 2008, 1091 ss.. 25
Ambrosini, op. ult. cit., 2. 26
In proposito osserva Fabiani, Riflessioni, cit., 19 ss.: “L’innesto del 2° comma nell’art. 179 l. fall. mi pare segni, definitivamente, per il futuro che solo i creditori, modificando il voto, possono incidere indirettamente sull’esito del giudizio di omologazione. E d’altra parte non si vede perché mai, se i creditori non si lamentano del peggioramento delle condizioni di fattibilità, debba essere il tribunale a negare l’omologazione”. Ma se il peggioramento giustifica la revoca del voto favorevole e, ricorrendone le condizioni quantitative, la revoca fa venir meno la stessa maggioranza, ciò vuol dire che il creditore ha già invocato, implicitamente, una valutazione sulla fattibilità, che resta condizione di ammissibilità del concordato.
10
diversamente da quel che può fare il commissario giudiziale nel depositare il proprio
motivato parere, ex art. 180, secondo comma, o nel segnalare il venir meno delle
condizioni di ammissibilità del concordato, come gli impone l'art. 173 l. fall.”27.
Indipendentemente dalle opposizioni, dunque, il tribunale dovrà svolgere il proprio
compito, ed esaminare le circostanze che impediscano l’omologa e che vengano
portate all’attenzione del giudice dal commissario giudiziale.
4. Provvedimenti in caso di cessione di beni
L’art. 182 l. fall., recante la rubrica “Provvedimenti in caso di cessione di beni”, a
seguito della riforma non ha, inizialmente, subito modifiche - salvo la sostituzione
del termine “decreto” alla “sentenza” - quanto al primo comma, mentre con il
D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 sono stati aggiunti i commi dal secondo al quinto.
Il testo risultante dal c.d. decreto “correttivo” è il seguente:
“I. Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il
tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di
tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità
della liquidazione.
II. Si applicano ai liquidatori gli articoli 28, 29, 37, 38, 39 e 116 in quanto compatibili.
III. Si applicano al comitato dei creditori gli articoli 40 e 41 in quanto compatibili.
Alla sostituzione dei membri del comitato provvede in ogni caso il tribunale.
IV. Le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in
pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività dell’azienda e di beni o
rapporti giuridici individuali in blocco devono essere autorizzate dal comitato dei
creditori.
V. Si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in quanto compatibili”.
La Relazione al decreto correttivo n. 169/2007 spiega che “l’ampliamento dell’uso
degli strumenti negoziali e la maggiore scioltezza che caratterizzano la nuova
disciplina della liquidazione dell’attivo nel fallimento inducono ad estendere tale
disciplina alla fase liquidatoria del concordato preventivo la quale allo stato è
rimessa alla discrezionalità del liquidatore ed alle modalità non meglio individuate
27
Cfr. Pagni, op. loc. cit. In posizione non dissimile v. Jorio, Le soluzioni alternative al fallimento e la conservazione dell'impresa, in AA.VV., La riforma della l. fall. (a cura di Fortunato, Giannini, Guerrera, Perrino), Milano, Giuffrè, 2011, 9 ss.: “Il sistema delineato dalla riforma si configura pertanto nei seguenti termini. Nella fase di apertura della procedura il sindacato giurisdizionale riguarda la chiarezza, l'esaustività espositiva e la logicità del piano e delle attestazioni del professionista, e quindi anche l'adeguatezza dei dati aziendali esposti per confortare la fattibilità degli obiettivi perseguiti. Nel corso della procedura il commissario giudiziale può, ai sensi dell'art. 173, rappresentare al tribunale la propria valutazione sulla non fattibilità del piano, e ciò sia in ragione di una diversa valutazione dei dati già sottoposti al tribunale e da questo ritenuti compatibili con un giudizio di ammissibilità della proposta, sia sulla base di elementi ulteriormente acquisiti o sopravvenuti. Il giudizio negativo sulla fattibilità del piano indurrà il tribunale a disporre l'interruzione della procedura. Infine, in sede di omologazione il tribunale, valutate le eventuali opposizioni e tenuto conto del motivato parere del commissario giudiziale, si può pronunciare sulla fattibilità del piano. Il che significa riconoscere una forte valenza alle valutazioni del commissario giudiziale anche nell'ambito del giudizio di omologazione: l'art. 173, che la riforma non ha modificato, è destinato ad espandere naturalmente la propria efficacia anche in quella sede”.
11
che dovrebbero essere stabilite dal tribunale ai sensi del primo comma dell’art.
182”, mentre “l’ampliamento dei poteri autorizzatori del comitato dei creditori è in
sintonia col nuovo regime degli organi del fallimento, a maggior ragione del ceto
creditorio”.
Per ciò che attiene alla nomina del liquidatore sia la dottrina che la giurisprudenza
di legittimità concordano nel senso che “l'art. 182 l. fall., nel testo risultante a
seguito delle modifiche di cui all'art. 16 del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, nel
prevedere, al primo comma, che il tribunale nomina i liquidatori e, al secondo
comma, che si applicano una serie di disposizioni relative al curatore fallimentare, in
quanto compatibili, palesa il carattere necessario e vincolante della nomina del
liquidatore e l'esigenza che egli possieda i requisiti previsti dall'art. 28 l. fall.:
pertanto, se non effettuata con la proposta di concordato, la nomina spetta al
tribunale con il decreto di omologazione, e tale potere sussiste anche nel caso in cui
il liquidatore sia stato nominato dall'imprenditore nella richiesta di concordato,
senza il rispetto dei requisiti di legge”28.
La dottrina ha spiegato che, “se, indicato dal debitore un certo professionista, il
tribunale ne nominasse un altro e questi risultasse inadempiente al proprio incarico,
si farebbe fatica ad imputare l’inadempimento del concordato al debitore”. Talché,
si ritiene “più che legittimo che possa il debitore indicare il nominativo del
liquidatore e che al tribunale non sia consentito non adeguarsi salvo il caso della
carenza di requisiti di forma”29.
Le innovazioni introdotte dal decreto correttivo, comunque, rendono evidente la
correttezza dell’opinione secondo la quale non è possibile la designazione come
liquidatore del commissario giudiziale, poiché a quest’ultimo la legge attribuisce
compiti di vigilanza che verrebbero altrimenti a sovrapporsi con quelli inerenti alla
liquidazione, né è condivisibile “nonostante il diffuso orientamento della
giurisprudenza in senso contrario, che alla carica venga preposto lo stesso
debitore”30. Invero, all’argomento fondato sul vantaggio derivante dalla riduzione
dei costi della procedura gravanti sulla massa è stato correttamente obiettato che la
soluzione affermativa contrasterebbe con quegli aspetti pubblicistici che sono
tutt’oggi presenti nel concordato e comporterebbe il “rischio, oggettivamente
maggiore, di atti in conflitto di interessi, che la vigilanza dei commissario giudiziale
potrebbe non essere sufficiente a scongiurare”31.
Altra parte della dottrina ha acutamente colto il logico sviluppo della soluzione data
alla nomina del liquidatore e alla connessione con le modalità di liquidazione,
evidenziando la necessità di stabilire se la disciplina dell’art. 182, commi 2-5, l. fall.
“sia derogabile o non dal privato o, sotto altro profilo, se i limiti dettati da tale
norma valgono soltanto per gli organi nominati dal tribunale e per le modalità di
28
Cass., 15 luglio 2011 n. 15699. 29
Fabiani, La “programmazione” della liquidazione del concordato preventivo da parte del debitore e la natura delle vendite concordatarie, in Fallimento, 2012, 906 ss., § 3.1. 30
Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Trattato di diritto commerciale - Vol. XI, Tomo I, Padova, CEDAM, 2008, 138. 31
Ambrosini, op. loc. cit..
12
liquidazione dettate dall'organo giudiziario o siano vincolanti anche per la parte che
propone il concordato”32.
Secondo una prima opinione “l’art. 182 l. fall. trova applicazione per tutti i
concordati con cessione dei beni nei quali il proponente non ha chiesto un
pronunciamento dei creditori sul modo in cui attuare la liquidazione”33.
Gli argomenti che sorreggono tali conclusioni sono stati indicati
a) nella interpretazione sistematica valorizzante l’ideologia della riforma, quindi la
“forza” del contratto e dunque l’importanza di disciplinare la crisi secondo le regole
negoziali;
b) nella conseguenza che discenderebbe da una interpretazione fondata sulla
prevalenza dell’art. 182, la quale provocherebbe un trattamento asimmetrico fra le
diverse tipologie di proposte perché l’unica ad essere sottoposta a vincoli sarebbe
quella per cessione dei beni, quando invece l’art. 160 l. fall. non fa alcuna
differenza;
c) nella diversità di disciplina tra le vendite successive all’omologazione e quelle
precedenti autorizzate ex art. 167 l. fall., per le quali nessun vincolo è stabilito se
non l’autorizzazione del giudice delegato, da ritenere atto dovuto se l’atto
autorizzando è conforme al piano concordatario; Infine
d) l’adozione delle procedure competitive assolve ad un ben preciso significato in
assenza di accordi pre-concordatari; si vuole, cioè, che il liquidatore giudiziale prima
di procedere alla vendita sondi il mercato per verificare quale può essere il migliore
risultato conseguibile.
Nella stessa prospettiva si è affermato che il “potere del Tribunale è inversamente
proporzionale al contenuto del piano concordatario omologato, proprio in ragione
della funzione integrativa del piano attribuita dall’art. 182 l. fall. all’organo
giurisdizionale” e che “un piano di concordato che individui a priori gli acquirenti dei
beni oggetto di cessione e le relative modalità di alienazione, oltre che il soggetto
che dovrà attuarle, non necessita di integrazione alcuna da parte del Tribunale,
mentre in tutte le altre ipotesi l’intervento giurisdizionale sarà tanto più necessario
e complesso, tanto meno esaustive e predeterminate saranno le indicazioni del
piano omologato in merito ai beni da liquidare, al soggetto incaricato di tale
liquidazione ed alle modalità della liquidazione stessa”34.
Pertanto, si afferma, nulla esclude che il concordato possa prevedere diverse
modalità di liquidazione, stante il carattere dispositivo dell'art. 182 l. fall., ed è
quindi possibile che le vendite siano effettuate mediante negozi privatistici, anche
32
Bozza, La fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni, in Fallimento, 2012, 767 ss.. 33
Fabiani, La “programmazione” della liquidazione, cit.. 34
Pacchi-D'Orazio-Coppola, Il concordato preventivo in Le riforme della l. fall. a cura di A. Didone, Torino, 2009, II, 1890. Nella stessa prospettiva cfr. Lo Cascio, Natura della liquidazione concordataria, in Fallimento, 2011, 533 ss., il quale sostiene la natura “non tassativa delle modalità indicate nell'art. 182, nel senso che il tribunale possa disporle, quando non è diversamente previsto, non possa imporle necessariamente secondo lo schema legale di cui all'art. 182 ed abbia la facoltà di determinarne altre appropriate alle operazioni che devono essere compiute durante la liquidazione”. Opinione ribadita dall’A. anche di recente, ID, Percorsi virtuosi ed abusi nel concordato preventivo, in Fallimento, 2012, 891 ss..
13
non richiedenti l'autorizzazione del comitato dei creditori, ma soggetti alla
sorveglianza del commissario giudiziale35.
Secondo un’altra prospettazione “ove il debitore ometta di determinare le modalità
della liquidazione non vi sono dubbi sul fatto che vi debba provvedere il tribunale
nel decreto di omologa, nel rispetto della disciplina legale dettata dall'art. 182 l.
fall.”, la quale “prevale anche nel caso in cui la proposta di concordato attribuisca
direttamente al liquidatore il potere di liberamente determinarsi nell'individuare le
modalità più idonee per l'esecuzione del concordato”36.
5. La c.d. “privatizzazione” del concordato e l’interpretazione sistematica dell’art.
182 l. fall.
E’ facile obiettare, quanto all’argomento sub a), che “la tanto sbandierata quanto
infelice formula della cd. privatizzazione della procedura” ha “alimentato un
approccio non di rado connotato da posizioni preconcette, dirette ad assecondare,
ovvero a contrastare questa idea, mediante soluzioni volte ad identificare i poteri
dell'autorità giudiziaria, enfatizzando la mens legis spesso oltre quanto consentito
dalla lettera delle norme”37. Obiezione sollevata a proposito della controversia sui
poteri del tribunale in merito alla fattibilità del concordato e che vale a richiamare
l’interprete all’applicazione della norma positiva come risultante dal testo della
disposizione e dalla ratio di essa.
35
Lenoci, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2010, 263, aderendo all’opinione di Ambrosini, Demarchi, Vitiello, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 268. Per una posizione “eclettica” v. Calandra Buonaura, Concordato preventivo, cit., § 11, secondo il quale “Considerata l'ampia libertà lasciata al debitore nella formulazione del contenuto della proposta, sembra ragionevole ritenere che la diversa disposizione possa riguardare la nomina del liquidatore, che potrebbe essere già prevista nella proposta di concordato, e le modalità della liquidazione, che potrebbero essere definite nel piano concordatario in deroga alle regole di cui agli art. 105-107 l. fall.; non le prescrizioni che attengono ai poteri del giudice delegato di cui all'art. 108 in quanto coinvolgono la tutela dei creditori e dei terzi interessati”. Peculiare la posizione di Pizzoli, La liquidazione nel concordato preventivo, in Trattato delle Procedure Concorsuali (a cura di Ghia, Severini e Piccininni), Torino, 2011, IV, 551: “il concordato preventivo con cessione dei beni rimette al debitore una ampia gamma di scelte che tutte debbono essere contenute nel progetto e nella proposta concordataria, laddove poi la esecuzione di esse, anche se configurata ed ispirata da strumenti di diritto privato, ritorna in un alveo più tipicamente pubblicistico e viene almeno parzialmente sottratta alla disponibilità delle parti originarie. La commistione che ne deriva conduce a ritenere che il concordato e la seguente liquidazione non possono essere predefiniti siccome deve in conclusione affermarsi che ogni concordato ha una sua peculiare ratio alla quale tutti gli organi debbono necessariamente armonizzarsi”. 36
Nardecchia, Cessione dei beni e liquidazione: la ricerca di un difficile equilibrio tra autonomia privata e controllo giurisdizionale, in Fallimento, 2012, 99 ss., conformemente a Di Cecco, Commento sub art. 182, in La l. fall. dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, M. Santoro, Torino, 2010, 2237. 37
Salvato, Puntualizzazioni della corte di cassazione sul potere di controllo del tribunale nel concordato preventivo , in Corr. Giur., 2012, 39 ss. In relazione all’art. 182 l. fall. v. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e nei concordati mediante cessione, in Giur. comm., 2009, 680 ss., § 13, secondo il quale occorre “sottrarsi alla magia dello slogan della privatizzazione; e coltivare un metodo di sintesi e combinazione fra prospettive privatistiche e concorsuali, quale via maestra per comprendere appieno il senso della nuova disciplina e per la stessa effettiva messa in opera dei nuovi istituti”.
14
Dal nuovo testo dell’art. 182 l. fall., infatti, secondo le Sezioni unite38, si evince che è
“incontestabile l'accostamento delle funzioni del liquidatore concordatario a quelle
del curatore del fallimento e, quel che più conta, è espressamente prescritto che
alla vendita dei beni oggetto della cessione ai creditori debbano applicarsi (sia pure
con la clausola della compatibilità) le disposizioni della stessa l. fall., art. 105 e segg.,
ivi compreso l'art. 107, che ne disciplina le modalità attuative”. Ne esce perciò
rafforzata, secondo la S.C., la convinzione che la liquidazione concordataria sia,
proprio come quella fallimentare, disciplinata da rigorose disposizioni sul cui
rispetto gli organi della procedura sono chiamati a vigilare.
La conseguenza che è stata tratta dalle Sezioni unite da tali enunciazioni - e sul
punto non pare prevedibile un revirement, anche per l’ossequio già ad essa prestato
da successive pronunce39 - è la regola per la quale “è assoggettabile a ricorso per
cassazione, a norma dell'art. 111, comma 7, Cost., il provvedimento con cui il
tribunale accolga (o rigetti) il reclamo proposto contro un decreto emesso dal
giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore, nella fase esecutiva di un
concordato preventivo per cessione dei beni omologato dal medesimo tribunale
dovendosi estendere - sulla base di un'interpretazione sistematica
dell'ordinamento, imposta dalla necessità di rispettare il principio di uguaglianza - il
regime di ricorribilità applicabile, a norma degli artt. 617 e 618 c.p.c., per i
provvedimenti del giudice dell'esecuzione non altrimenti impugnabili”. Ciò in
quanto i menzionati provvedimenti del giudice delegato rientrano nel novero degli
atti di giurisdizione esecutiva, assolvendo ad una funzione corrispondente a quella
dei provvedimenti di analogo tenore emessi nell'ambito della liquidazione
fallimentare40.
Quanto all’argomento sub b), - che fa perno sul trattamento asimmetrico
(apparentemente inspiegabile) fra le diverse tipologie di proposte perché l’unica ad
essere sottoposta a vincoli sarebbe quella per cessione dei beni, pur non essendo
previste differenze dall’art. 160 l. fall. - è altrettanto facile replicare che la diversità
38
Cass., Sez. Un., 16 luglio 2008 n. 19506. 39
Cass., 14 marzo 2011 n. 5993: In tema di concordato preventivo, é assoggettabile a ricorso per cassazione, a norma dell'art. 111, comma 7, Cost., il provvedimento con cui il tribunale accolga (o, come nel caso, rigetti) il reclamo proposto contro un decreto emesso dal giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore, nella fase esecutiva di un concordato preventivo per cessione dei beni omologato dal medesimo tribunale, dovendosi estendere il regime di ricorribilità applicabile, a norma degli artt. 617 e 618 c.p.c., per i provvedimenti del giudice dell'esecuzione non altrimenti impugnabili; i suddetti provvedimenti del giudice delegato rientrano nel novero degli atti di giurisdizione esecutiva, assolvendo ad una funzione corrispondente a quella dei provvedimenti di analogo tenore emessi nell'ambito della liquidazione fallimentare ed hanno natura decisoria, allorché, ponendosi in contrasto con i dettami della sentenza di omologazione del concordato e le relative modalità di liquidazione, incidano sulla qualificazione dei crediti ex art. 168 l. fall. e violino l'art. 182 l. fall. (Principio enunciato dalla S.C. relativamente al decreto del giudice delegato che aveva autorizzato la vendita a trattativa privata di un complesso industriale, prevedendo che una parte del relativo prezzo fosse pagata con la compensazione del credito, privilegiato e chirografo ed in realtà oggetto di contestazione giudiziale, vantato verso il debitore concordatario dall'acquirente). 40
In argomento cfr. Perrino, op. loc. cit., il quale osserva che il nuovo art. 182, ultimo comma, l. fall., come modificato dal decreto correttivo, rende “sicuro ciò che forse poteva già prima affermarsi in via interpretativa, confermando - attraverso la prevista applicabilità alle alienazioni in sede di liquidazione concordataria del medesimo regime previsto per le vendite, anch'esse a forme eventualmente negoziali/privatistiche ma a sostanza coattiva, attuate in sede di liquidazione fallimentare - la natura forzata pure delle stesse alienazioni in sede di liquidazione concordataria”.
15
di disciplina discende dalla diversità delle fattispecie e che lo stesso sostenitore
dell’opinione qui confutata riconosce la differenza tra il vero concordato con
cessione dei beni - caratterizzato dalla separazione del debitore dalla proprietà dei
beni e/o dalla disponibilità - e il concordato, in realtà con garanzia, proposto dal
debitore che offre in garanzia il patrimonio, ma assumendo l’obbligazione di
pagamento. Solo nel primo caso, si ammette, è applicabile l’art. 182 l. fall.41.
L’argomento sub c), nella parte in cui segnala la diversità di disciplina tra le vendite
successive all’omologazione e quelle precedenti autorizzate ex art. 167 l. fall., non
tiene conto di ciò, che tali ultimi atti sono posti in essere in pendenza di procedura e
sotto la mannaia costante dell’art. 173 l. fall. E ciò basta a giustificare la differenza
di disciplina.
L’argomento sub d), infine, appare tautologico nella parte in cui afferma che
l’adozione delle procedure competitive assolve ad un ben preciso significato in
assenza di accordi pre-concordatari, mentre, in realtà, nell’ipotesi di concordato per
cessione dei beni vero e proprio, caratterizzato dalla perdita di disponibilità dei beni
da parte del debitore e dall'incertezza in ordine all'effettivo ricavato della cessione,
la liquidazione non può che seguire la disciplina legale, altrimenti l'inapplicabilità
dell'art. 182 l. fall. rende legittimo ed anzi obbligatorio che la liquidazione avvenga
secondo le modalità indicate nel piano, senza alcun vincolo di sorta42.
In realtà, ove si rifletta che, come ha già riconosciuto la S.C.43, il tribunale ha un
potere conformativo allorquando il liquidatore designato dal debitore sia privo dei
requisiti di cui all’art. 28 l. fall., assegnandosi, in tal modo, natura imperativa a
questa parte dell’art. 182 l. fall., la semplice applicazione della logica aletica impone
di osservare lo stesso principio nell’ipotesi in cui le modalità della liquidazione
proposte dal debitore contrastino con le norme richiamate dal predetto art. 18244.
Se, infatti, la norma relativa ai requisiti del liquidatore è ritenuta inderogabile, tanto
da consentire l’esercizio del potere conformativo del tribunale, non si comprende
perché per le modalità della liquidazione non operi analoga inderogabilità dell’art.
182 l. fall., nei limiti della sancita compatibilità espressa. Compatibilità che non può
essere, dunque, riferita al piano, come ritenuto in dottrina45, per sostenere “la
41
Fabiani, op. cit., § 3. 42
Nardecchia, op. loc. cit.. 43
Cass., 15 luglio 2011 n. 15699, in motivazione: “Deve, quindi, conclusivamente ritenersi che la nomina del liquidatore sia comunque necessaria ai sensi della l. fall., art. 182 e che detta nomina, se non effettuata con la proposta di concordato, spetta al tribunale con il decreto di omologazione. Chiarito quanto sopra va comunque aggiunto che il potere di nomina del liquidatore da parte del tribunale sussiste anche nel caso in cui il liquidatore sia stato nominato da chi propone il concordato senza rispettare i requisiti di legge”. 44
Nello stesso senso cfr. Bozza, op. cit., § 4: “La libertà lasciata all'imprenditore di organizzare la crisi della sua impresa gli consente di spaziare tra le più varie soluzioni, senza essere ingabbiato in schemi rigidi prefissati, ma quando sceglie di ricorrere ad un concordato con cessione dei beni - tra i quali, si ripete perché questo dato è fonte di equivoci, non rientrano i concordati c.d. chiusi - egli è tenuto a rispettare le regole che il legislatore detta per la liquidazione, in quanto di interesse pubblicistico, e, quindi è tenuto a sottostare al controllo di legalità del tribunale”. 45
Mandrioli, La riforma organica delle procedure concorsuali, a cura di S. Bonfatti-L. Panzani, Milano, Ipsoa 2008, 729. Conf.: Monteleone, La liquidazione dei beni, in AA.VV., Le procedure concorsuali a cura di Caiafa, Padova, 2011, II, 1365. Per la natura imperativa cfr. Di Cecco, Commento sub Art. 182, in A. Nigro - M. Sandulli-V. Santoro (a cura di), La l. fall. dopo la riforma, Torino, 2010, 2233-2234; Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 314.
16
derogabilità (almeno in parte qua) della disciplina legale e del ricorso alla stessa solo
per gli aspetti non regolati dal piano”46.
Da un lato è palese il contrasto con il principio di non contraddizione
dell’affermazione per la quale la disciplina dettata dall’art. 182 l. fall. avrebbe
carattere suppletivo e derogabile47, al punto che la domanda di concordato
potrebbe prevedere l’individuazione del liquidatore anche nella stessa persona del
debitore e, tuttavia, “purché in possesso dei requisiti di cui all’art. 28”48. Dall’altro
l’argomento principe dell’interpretazione sistematica, che si richiama alla
presunzione del legislatore coerente49, impedisce di attribuire alla riserva di
compatibilità prevista nell’art. 182 l. fall. un significato diverso da quello attribuito
da tutte le altre disposizioni delle l. fall. al medesimo enunciato.
L’interpretazione è sistematica, invero, anche quando pone l’attenzione sulla
“costanza terminologica” e trova la sua utilità allorquando occorra ricostruire il
significato di enunciazioni contenute nello stesso documento normativo.
Pertanto, nel ricostruire il significato (complessivo) della disposizione non si può
fare a meno di tenere conto del contesto linguistico specifico della disposizione (il
co-testo, vale a dire l’intero documento normativo, o la parte “pertinente” del
documento normativo al quale appartiene la disposizione da interpretare),
individuato secondo il “criterio della pertinenza”50.
Nell'ipotesi in cui il legislatore adotta la tecnica legislativa del rinvio la norma è
rinvenibile nel collegamento di due o più disposizioni51.
È noto che “il rinvio è proprio quando la sua presenza non costituisce innovazione
nel sistema e l'estensione della disciplina che esso propone si sarebbe egualmente
ed agevolmente desunta dall'interpretazione globale, o sistematica,
dell'ordinamento” mentre “è improprio quando la sua presenza costituisce una
innovazione nel sistema giuridico ed in realtà assume un ruolo normativo”52. In tal
caso “le norme e i principi richiamati dovranno essere letti ed interpretati alla luce
di una normativa e di una realtà concreta diverse da quelle richiamate”53 e ciò non
può non comportare una necessaria armonizzazione delle prime con le seconde.
46
Filocamo, Commento sub art. 182 l. fall., in Ferro M. (a cura di), La l. fall., Padova, 2011, 2089 ss., § 62. 47
Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale – Profili sostanziali, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e Bassi, vol. I, Padova, 2010, 533. 48
Racugno, op. cit., 534, nota 270. 49
E’ sistematica in senso stretto “quella interpretazione che previene le antinomie nell'ambito di un singolo testo normativo. In che modo? Evitando di ricavare da una data disposizione (poniamo l'art. x di una certa legge) una norma che sarebbe in conflitto con un'altra norma, previamente ricavata da un'altra disposizione del medesimo testo normativo (l'art. y della stessa legge). In altre parole, si fa interpretazione sistematica ogniqualvolta si esclude una certa attribuzione di significato che, se ammessa, renderebbe un testo normativo (la costituzione, una legge, un codice, ecc.) internamente incoerente. Questo modo di interpretare, è ovvio, si regge sull'assunto che la volontà del legislatore sia coerente: che, insomma, il legislatore non intenda contraddirsi (per lo meno, non nell'ambito di un singolo testo normativo)”: Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004, 172. 50
Chiassoni, Codici interpretativi. Progetto di voce per un vademecum giuridico, in Analisi e diritto 2002-2003 a cura di Comanducci e Guastini, Torino, Giappichelli, 60 ss.. 51
Perlingieri, Profili istituzionali del diritto civile, Napoli, 1986, (rist.), 112. 52
Perlingieri, op. cit., 113. 53
Perlingieri, op. loc. cit..
17
Il rinvio ad altre disposizioni contenuto nell'art. 182 l. fall. è chiaramente un rinvio
“improprio” alla disciplina del fallimento, posto che dalle norme regolatrici del
concordato preventivo e, in particolare, dall'interpretazione sistematica delle
stesse, non si potrebbe far discendere l'esistenza di un principio generale dal quale
desumere l'applicabilità delle norme richiamate nei commi introdotti dal D.lgs.
correttivo.
In tal senso va letta la riserva di compatibilità delle disposizioni richiamate
contenuta nell’art. 182 l. fall..
Una incompatibilità assoluta, ad esempio, va vista nell’art. 106 l. fall. nella parte in
cui consente la cessione delle azioni revocatorie concorsuali i cui giudizi siano già
pendenti54.
D’altra parte, neppure può essere attribuito rilievo decisivo all’inciso del primo
comma dell’art. 182, che fa salva la diversa previsione della proposta di concordato,
posto che, se così fosse, neppure il sesto comma dell’art. 182 l. fall., aggiunto
dall’art. 17, comma 1, lett. t) del c.d. decreto legge “Sviluppo bis”55, palesemente
imperativo, potrebbe non trovare applicazione.
Con la nuova norma, invero, è previsto che “all’articolo 182, dopo il quinto comma,
è aggiunto il seguente comma: “Si applica l’articolo 33, ultimo comma, primo,
secondo e terzo periodo56, sostituendo al curatore il liquidatore, che provvede con
periodicità semestrale dalla nomina. Quest’ultimo comunica a mezzo di posta
elettronica certificata altra copia del rapporto al commissario giudiziale, che a sua
volta lo comunica ai creditori a norma dell’articolo 171, secondo comma”.
Se fosse corretta l’impostazione qui confutata, la proposta potrebbe prevedere una
diversa cadenza (o non prevederla affatto) dell’obbligo di depositare la relazione
periodica ex art. 33 l. fall. ovvero prevedere una diversa forma di comunicazione, in
contrasto, però, con lo spirito delle nuove norme, tutte tese ad informatizzare le
procedure concorsuali.
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Così esattamente Zanichelli, op. cit., 316, secondo il quale, peraltro, nulla osterebbe alla cessione delle azioni revocatorie ordinarie. 55
Applicabile dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto anche alle procedure di fallimento, di concordato preventivo, di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria pendenti, rispetto alle quali, alla stessa data, non è stata effettuata la comunicazione rispettivamente prevista dagli articoli 92, 171, 207 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e dall’articolo 22 D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, mentre per le procedure in cui, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sia stata effettuata la comunicazione di cui al comma 4, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 17 si applicano a decorrere dal 31 ottobre 2013. Il curatore, il commissario giudiziale, il commissario liquidatore e il commissario straordinario entro il 30 giugno 2013 comunicano ai creditori e ai terzi titolari di diritti sui beni il loro indirizzo di posta elettronica certificata e li invitano a comunicare, entro tre mesi, l’indirizzo di posta elettronica certificata al quale ricevere tutte le comunicazioni relative alla procedura, avvertendoli di rendere nota ogni successiva variazione e che in caso di omessa indicazione le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. 56
“Il curatore, ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione di cui al primo comma, redige altresì un rapporto riepilogativo delle attività svolte, con indicazione di tutte le informazioni raccolte dopo la prima relazione, accompagnato dal conto della sua gestione. Copia del rapporto è trasmessa al comitato dei creditori, unitamente agli estratti conto dei depositi postali o bancari relativi al periodo. Il comitato dei creditori o ciascuno dei suoi componenti possono formulare osservazioni scritte”.