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E-book campione Liber LiberILIADE Tradotta da Vincenzo Monti 6 Libro Primo Cantami, o Diva, del Pelìde Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: IliadeAUTORE: Homerus (Omero)TRADUTTORE: Monti, VincenzoCURATORE:NOTE: la traduzione di Vincenzo Monti è stata rea-lizzata in occasione della quarta edizione, pubbli-cata nel 1825

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: [elaborazione da] "Homère. Huile sur toi-le, 1841" di Jean-Baptiste Auguste Leloir (1809–1892). - Musée du Louvre, Paris, France. -https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Auguste_Le-loir_-_Homère.jpg. - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: Iliade di Omero / [traduzione di] Vin-cenzo Monti ; introduzione e commento di MicheleMari. - 1. ed. - Milano : BUR Rizzoli, 1990. - 1056p. ; 18 cm. - (BUR Rizzoli. Classici).

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TITOLO: IliadeAUTORE: Homerus (Omero)TRADUTTORE: Monti, VincenzoCURATORE:NOTE: la traduzione di Vincenzo Monti è stata rea-lizzata in occasione della quarta edizione, pubbli-cata nel 1825

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: [elaborazione da] "Homère. Huile sur toi-le, 1841" di Jean-Baptiste Auguste Leloir (1809–1892). - Musée du Louvre, Paris, France. -https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Auguste_Le-loir_-_Homère.jpg. - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: Iliade di Omero / [traduzione di] Vin-cenzo Monti ; introduzione e commento di MicheleMari. - 1. ed. - Milano : BUR Rizzoli, 1990. - 1056p. ; 18 cm. - (BUR Rizzoli. Classici).

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CODICE ISBN FONTE: 978-88-17-12969-0

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 16 ottobre 1996

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:FIC004000 FICTION / Classici

DIGITALIZZAZIONE:Amedeo Marchini

REVISIONE:Amedeo Marchini

IMPAGINAZIONE:Marco Calvo, https://www.marcocalvo.it/

PUBBLICAZIONE:Marco Calvo, https://www.marcocalvo.it/

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CODICE ISBN FONTE: 978-88-17-12969-0

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 16 ottobre 1996

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:FIC004000 FICTION / Classici

DIGITALIZZAZIONE:Amedeo Marchini

REVISIONE:Amedeo Marchini

IMPAGINAZIONE:Marco Calvo, https://www.marcocalvo.it/

PUBBLICAZIONE:Marco Calvo, https://www.marcocalvo.it/

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Liber Liber

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: www.liberliber.it/online/aiuta.Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: www.liberliber.it.

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Indice generale

Liber Liber............................................................................. 4Libro Primo............................................................................ 8Libro Secondo...................................................................... 38Libro Terzo.......................................................................... 81Libro Quarto...................................................................... 103Libro Quinto...................................................................... 128Libro Sesto......................................................................... 172Libro Settimo..................................................................... 198Libro Ottavo...................................................................... 220Libro Nono........................................................................ 248Libro Decimo..................................................................... 281Libro Undecimo................................................................. 307Libro Duodecimo............................................................... 348Libro Decimoterzo............................................................. 370Libro Decimoquarto.......................................................... 409Libro Decimoquinto.......................................................... 432Libro Decimosesto............................................................. 466Libro Decimosettimo......................................................... 510Libro Decimottavo............................................................. 545Libro Decimonono............................................................. 576Libro Ventesimo................................................................ 592Libro Ventesimoprimo....................................................... 615Libro Ventesimosecondo................................................... 643Libro Ventesimoterzo........................................................ 668Libro Ventesimoquarto...................................................... 709

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Indice generale

Liber Liber............................................................................. 4Libro Primo............................................................................ 8Libro Secondo...................................................................... 38Libro Terzo.......................................................................... 81Libro Quarto...................................................................... 103Libro Quinto...................................................................... 128Libro Sesto......................................................................... 172Libro Settimo..................................................................... 198Libro Ottavo...................................................................... 220Libro Nono........................................................................ 248Libro Decimo..................................................................... 281Libro Undecimo................................................................. 307Libro Duodecimo............................................................... 348Libro Decimoterzo............................................................. 370Libro Decimoquarto.......................................................... 409Libro Decimoquinto.......................................................... 432Libro Decimosesto............................................................. 466Libro Decimosettimo......................................................... 510Libro Decimottavo............................................................. 545Libro Decimonono............................................................. 576Libro Ventesimo................................................................ 592Libro Ventesimoprimo....................................................... 615Libro Ventesimosecondo................................................... 643Libro Ventesimoterzo........................................................ 668Libro Ventesimoquarto...................................................... 709

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OMERO

ILIADETradotta da Vincenzo Monti

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OMERO

ILIADETradotta da Vincenzo Monti

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Libro Primo

Cantami, o Diva, del Pelìde Achillel'ira funesta che infiniti addusselutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orcogenerose travolse alme d'eroi,e di cani e d'augelli orrido pastolor salme abbandonò (così di Giovel'alto consiglio s'adempìa), da quandoprimamente disgiunse aspra contesail re de' prodi Atride e il divo Achille.E qual de' numi inimicolli? Il figliodi Latona e di Giove. Irato al Siredestò quel Dio nel campo un feral morbo,e la gente perìa: colpa d'Atrideche fece a Crise sacerdote oltraggio.Degli Achivi era Crise alle velociprore venuto a riscattar la figliacon molto prezzo. In man le bende avea,e l'aureo scettro dell'arciero Apollo:e agli Achei tutti supplicando, e in primaai due supremi condottieri Atridi:O Atridi, ei disse, o coturnati Achei,gl'immortali del cielo abitatoriconcedanvi espugnar la Prïameiacittade, e salvi al patrio suol tornarvi.

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Libro Primo

Cantami, o Diva, del Pelìde Achillel'ira funesta che infiniti addusselutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orcogenerose travolse alme d'eroi,e di cani e d'augelli orrido pastolor salme abbandonò (così di Giovel'alto consiglio s'adempìa), da quandoprimamente disgiunse aspra contesail re de' prodi Atride e il divo Achille.E qual de' numi inimicolli? Il figliodi Latona e di Giove. Irato al Siredestò quel Dio nel campo un feral morbo,e la gente perìa: colpa d'Atrideche fece a Crise sacerdote oltraggio.Degli Achivi era Crise alle velociprore venuto a riscattar la figliacon molto prezzo. In man le bende avea,e l'aureo scettro dell'arciero Apollo:e agli Achei tutti supplicando, e in primaai due supremi condottieri Atridi:O Atridi, ei disse, o coturnati Achei,gl'immortali del cielo abitatoriconcedanvi espugnar la Prïameiacittade, e salvi al patrio suol tornarvi.

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Deh mi sciogliete la diletta figlia,ricevetene il prezzo, e il saettantefiglio di Giove rispettate. - Al pregotutti acclamâr: doversi il sacerdoteriverire, e accettar le ricche offerte.Ma la proposta al cor d'Agamennónenon talentando, in guise aspre il superboaccommiatollo, e minaccioso aggiunse:Vecchio, non far che presso a queste navined or né poscia più ti colga io mai;ché forse nulla ti varrà lo scettroné l'infula del Dio. Franca non fiacostei, se lungi dalla patria, in Argo,nella nostra magion pria non la sfiorivecchiezza, all'opra delle spole intenta,e a parte assunta del regal mio letto.Or va, né m'irritar, se salvo ir brami.Impaurissi il vecchio, ed al comandoobbedì. Taciturno incamminossidel risonante mar lungo la riva;e in disparte venuto, al santo Apollodi Latona figliuol, fe' questo prego:Dio dall'arco d'argento, o tu che Crisaproteggi e l'alma Cilla, e sei di Tènedopossente imperador, Smintèo, deh m'odi.Se di serti devoti unqua il leggiadrotuo delubro adornai, se di giovenchie di caprette io t'arsi i fianchi opimi,

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Deh mi sciogliete la diletta figlia,ricevetene il prezzo, e il saettantefiglio di Giove rispettate. - Al pregotutti acclamâr: doversi il sacerdoteriverire, e accettar le ricche offerte.Ma la proposta al cor d'Agamennónenon talentando, in guise aspre il superboaccommiatollo, e minaccioso aggiunse:Vecchio, non far che presso a queste navined or né poscia più ti colga io mai;ché forse nulla ti varrà lo scettroné l'infula del Dio. Franca non fiacostei, se lungi dalla patria, in Argo,nella nostra magion pria non la sfiorivecchiezza, all'opra delle spole intenta,e a parte assunta del regal mio letto.Or va, né m'irritar, se salvo ir brami.Impaurissi il vecchio, ed al comandoobbedì. Taciturno incamminossidel risonante mar lungo la riva;e in disparte venuto, al santo Apollodi Latona figliuol, fe' questo prego:Dio dall'arco d'argento, o tu che Crisaproteggi e l'alma Cilla, e sei di Tènedopossente imperador, Smintèo, deh m'odi.Se di serti devoti unqua il leggiadrotuo delubro adornai, se di giovenchie di caprette io t'arsi i fianchi opimi,

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questo voto m'adempi; il pianto miopaghino i Greci per le tue saette.Sì disse orando. L'udì Febo, e scesedalle cime d'Olimpo in gran disdegnocoll'arco su le spalle, e la faretratutta chiusa. Mettean le frecce orrendosu gli omeri all'irato un tintinnìoal mutar de' gran passi; ed ei simìlea fosca notte giù venìa. Piantossidelle navi al cospetto: indi uno straleliberò dalla corda, ed un ronzìoterribile mandò l'arco d'argento.Prima i giumenti e i presti veltri assalse,poi le schiere a ferir prese, vibrandole mortifere punte; onde per tuttodegli esanimi corpi ardean le pire.Nove giorni volâr pel campo acheole divine quadrella. A parlamentonel decimo chiamò le turbe Achille;ché gli pose nel cor questo consiglioGiuno la diva dalle bianche braccia,de' moribondi Achei fatta pietosa.Come fur giunti e in un raccolti, in mezzolevossi Achille piè-veloce, e disse:Atride, or sì cred'io volta daremonuovamente errabondi al patrio lido,se pur morte fuggir ne fia concesso;ché guerra e peste ad un medesmo tempo

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questo voto m'adempi; il pianto miopaghino i Greci per le tue saette.Sì disse orando. L'udì Febo, e scesedalle cime d'Olimpo in gran disdegnocoll'arco su le spalle, e la faretratutta chiusa. Mettean le frecce orrendosu gli omeri all'irato un tintinnìoal mutar de' gran passi; ed ei simìlea fosca notte giù venìa. Piantossidelle navi al cospetto: indi uno straleliberò dalla corda, ed un ronzìoterribile mandò l'arco d'argento.Prima i giumenti e i presti veltri assalse,poi le schiere a ferir prese, vibrandole mortifere punte; onde per tuttodegli esanimi corpi ardean le pire.Nove giorni volâr pel campo acheole divine quadrella. A parlamentonel decimo chiamò le turbe Achille;ché gli pose nel cor questo consiglioGiuno la diva dalle bianche braccia,de' moribondi Achei fatta pietosa.Come fur giunti e in un raccolti, in mezzolevossi Achille piè-veloce, e disse:Atride, or sì cred'io volta daremonuovamente errabondi al patrio lido,se pur morte fuggir ne fia concesso;ché guerra e peste ad un medesmo tempo

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ne struggono. Ma via; qualche indovinointerroghiamo, o sacerdote, o pureinterprete di sogni (ché da Gioveanche il sogno procede), onde ne dicaperché tanta con noi d'Apollo è l'ira:se di preci o di vittime negletteil Dio n'incolpa, e se d'agnelli e sceltecapre accettando l'odoroso fumo,il crudel morbo allontanar gli piaccia.Così detto, s'assise. In piedi alloradi Testore il figliuol Calcante alzossi,de' veggenti il più saggio, a cui le coseeran conte che fur, sono e saranno;e per quella, che dono era d'Apollo,profetica virtù, de' Greci a Troiaavea scorte le navi. Ei dunque in mezzopien di senno parlò queste parole:Amor di Giove, generoso Achille,vuoi tu che dell'arcier sovrano Apolloti riveli lo sdegno? Io t'obbedisco.Ma del braccio l'aita e della vocea me tu pria, signor, prometti e giura:perché tal che qui grande ha su gli Argivitutti possanza, e a cui l'Acheo s'inchina,n'andrà, per mio pensar, molto sdegnoso.Quando il potente col minor s'adira,reprime ei sì del suo rancor la vampaper alcun tempo, ma nel cor la cova,

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ne struggono. Ma via; qualche indovinointerroghiamo, o sacerdote, o pureinterprete di sogni (ché da Gioveanche il sogno procede), onde ne dicaperché tanta con noi d'Apollo è l'ira:se di preci o di vittime negletteil Dio n'incolpa, e se d'agnelli e sceltecapre accettando l'odoroso fumo,il crudel morbo allontanar gli piaccia.Così detto, s'assise. In piedi alloradi Testore il figliuol Calcante alzossi,de' veggenti il più saggio, a cui le coseeran conte che fur, sono e saranno;e per quella, che dono era d'Apollo,profetica virtù, de' Greci a Troiaavea scorte le navi. Ei dunque in mezzopien di senno parlò queste parole:Amor di Giove, generoso Achille,vuoi tu che dell'arcier sovrano Apolloti riveli lo sdegno? Io t'obbedisco.Ma del braccio l'aita e della vocea me tu pria, signor, prometti e giura:perché tal che qui grande ha su gli Argivitutti possanza, e a cui l'Acheo s'inchina,n'andrà, per mio pensar, molto sdegnoso.Quando il potente col minor s'adira,reprime ei sì del suo rancor la vampaper alcun tempo, ma nel cor la cova,

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finché prorompa alla vendetta. Or dinnese salvo mi farai. - Parla securo,rispose Achille, e del tuo cor l'arcano,qual ch'ei si sia, di' franco. Per Apolloche pregato da te ti squarcia il velode' fati, e aperto tu li mostri a noi,per questo Apollo a Giove caro io giuro:nessun, finch'io m'avrò spirto e pupilla,con empia mano innanzi a queste navioserà vïolar la tua persona,nessuno degli Achei; no, s'anco parlid'Agamennón che sé medesmo or vantadell'esercito tutto il più possente.Allor fe' core il buon profeta, e disse:né d'obblïati sacrifici il Dioné di voti si duol, ma dell'oltraggioche al sacerdote fe' poc'anzi Atride,che francargli la figlia ed accettarneil riscatto negò. La colpa è questaonde cotante ne diè strette, ed altrel'arcier divino ne darà; né priaritrarrà dal castigo la man grave,che si rimandi la fatal donzellanon redenta né compra al padre amato,e si spedisca un'ecatombe a Crisa.Così forse avverrà che il Dio si plachi.Tacque, e s'assise. Allor l'Atride eroeil re supremo Agamennón levossi

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finché prorompa alla vendetta. Or dinnese salvo mi farai. - Parla securo,rispose Achille, e del tuo cor l'arcano,qual ch'ei si sia, di' franco. Per Apolloche pregato da te ti squarcia il velode' fati, e aperto tu li mostri a noi,per questo Apollo a Giove caro io giuro:nessun, finch'io m'avrò spirto e pupilla,con empia mano innanzi a queste navioserà vïolar la tua persona,nessuno degli Achei; no, s'anco parlid'Agamennón che sé medesmo or vantadell'esercito tutto il più possente.Allor fe' core il buon profeta, e disse:né d'obblïati sacrifici il Dioné di voti si duol, ma dell'oltraggioche al sacerdote fe' poc'anzi Atride,che francargli la figlia ed accettarneil riscatto negò. La colpa è questaonde cotante ne diè strette, ed altrel'arcier divino ne darà; né priaritrarrà dal castigo la man grave,che si rimandi la fatal donzellanon redenta né compra al padre amato,e si spedisca un'ecatombe a Crisa.Così forse avverrà che il Dio si plachi.Tacque, e s'assise. Allor l'Atride eroeil re supremo Agamennón levossi

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corruccioso. Offuscavagli la grandeira il cor gonfio, e come bragia rossifiammeggiavano gli occhi. E tale ei primasquadrò torvo Calcante, indi proruppe:Profeta di sciagure, unqua un accentonon uscì di tua bocca a me gradito.Al maligno tuo cor sempre fu dolcepredir disastri, e d'onor vote e nudeson l'opre tue del par che le parole.E fra gli Argivi profetando or cianciche delle frecce sue Febo gl'impiaga,sol perch'io ricusai della fanciullaCrisëide il riscatto. Ed io bramavacerto tenerla in signoria, tal sendoche a Clitennestra pur, da me conduttavergine sposa, io la prepongo, a cuidi persona costei punto non cede,né di care sembianze, né d'ingegnone' bei lavori di Minerva istrutto.Ma libera sia pur, se questo è il meglio;ché la salvezza io cerco, e non la mortedel popol mio. Ma voi mi preparatetosto il compenso, ché de' Greci io solorestarmi senza guiderdon non deggio;ed ingiusto ciò fôra, or che una tantapreda, il vedete, dalle man mi fugge.O d'avarizia al par che di grandezzafamoso Atride, gli rispose Achille,

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corruccioso. Offuscavagli la grandeira il cor gonfio, e come bragia rossifiammeggiavano gli occhi. E tale ei primasquadrò torvo Calcante, indi proruppe:Profeta di sciagure, unqua un accentonon uscì di tua bocca a me gradito.Al maligno tuo cor sempre fu dolcepredir disastri, e d'onor vote e nudeson l'opre tue del par che le parole.E fra gli Argivi profetando or cianciche delle frecce sue Febo gl'impiaga,sol perch'io ricusai della fanciullaCrisëide il riscatto. Ed io bramavacerto tenerla in signoria, tal sendoche a Clitennestra pur, da me conduttavergine sposa, io la prepongo, a cuidi persona costei punto non cede,né di care sembianze, né d'ingegnone' bei lavori di Minerva istrutto.Ma libera sia pur, se questo è il meglio;ché la salvezza io cerco, e non la mortedel popol mio. Ma voi mi preparatetosto il compenso, ché de' Greci io solorestarmi senza guiderdon non deggio;ed ingiusto ciò fôra, or che una tantapreda, il vedete, dalle man mi fugge.O d'avarizia al par che di grandezzafamoso Atride, gli rispose Achille,

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qual premio ti daranno, e per che modoi magnanimi Achei? Che molta in serbovi sia ricchezza non partita, ignoro:delle vinte città tutte divisene fur le spoglie, né diritto or tornaa nuove parti congregarle in una.Ma tu la prigioniera al Dio rimanda,ché più larga n'avrai tre volte e quattroricompensa da noi, se Giove un giornol'eccelsa Troia saccheggiar ne dia.E a lui l'Atride: Non tentar, quantunquene' detti accorto, d'ingannarmi: in questoné gabbo tu mi fai, divino Achille,né persuaso al tuo voler mi rechi.Dunque terrai tu la tua preda, ed iodella mia privo rimarrommi? E imponiche costei sia renduta? Il sia. Ma giusticoncedanmi gli Achivi altra captivache questa adegui e al mio desir risponda.Se non daranla, rapirolla io stesso,sia d'Aiace la schiava, o sia d'Ulisse,o ben anco la tua: e quegli indarnofremerà d'ira alle cui tende io vegna.Ma di ciò poscia parlerem. D'espertirematori fornita or si sospinganel pelago una nave, e vi s'imbarchicoll'ecatombe la rosata guanciadella figlia di Crise, e ne sia duce

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qual premio ti daranno, e per che modoi magnanimi Achei? Che molta in serbovi sia ricchezza non partita, ignoro:delle vinte città tutte divisene fur le spoglie, né diritto or tornaa nuove parti congregarle in una.Ma tu la prigioniera al Dio rimanda,ché più larga n'avrai tre volte e quattroricompensa da noi, se Giove un giornol'eccelsa Troia saccheggiar ne dia.E a lui l'Atride: Non tentar, quantunquene' detti accorto, d'ingannarmi: in questoné gabbo tu mi fai, divino Achille,né persuaso al tuo voler mi rechi.Dunque terrai tu la tua preda, ed iodella mia privo rimarrommi? E imponiche costei sia renduta? Il sia. Ma giusticoncedanmi gli Achivi altra captivache questa adegui e al mio desir risponda.Se non daranla, rapirolla io stesso,sia d'Aiace la schiava, o sia d'Ulisse,o ben anco la tua: e quegli indarnofremerà d'ira alle cui tende io vegna.Ma di ciò poscia parlerem. D'espertirematori fornita or si sospinganel pelago una nave, e vi s'imbarchicoll'ecatombe la rosata guanciadella figlia di Crise, e ne sia duce

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alcun de' primi, o Aiace, o Idomenèo,o il divo Ulisse, o tu medesmo pure,tremendissimo Achille, onde di tantosacrificante il grato ministeroil Dio ne plachi che da lunge impiaga.Lo guatò bieco Achille, e gli rispose:Anima invereconda, anima avara,chi fia tra i figli degli Achei sì vileche obbedisca al tuo cenno, o trar la spadain agguati convegna o in ria battaglia?Per odio de' Troiani io qua non vennia portar l'armi, io no; ché meco ei sonod'ogni colpa innocenti. Essi né mandrené destrier mi rapiro; essi le biadedella feconda popolosa Ftianon saccheggiâr; ché molti gioghi ombrosine son frapposti e il pelago sonoro.Ma sol per tuo profitto, o svergognato,e per l'onor di Menelao, pel tuo,pel tuo medesmo, o brutal ceffo, a Troiati seguitammo alla vendetta. Ed oggitu ne disprezzi ingrato, e ne calpesti,e a me medesmo di rapir minaccide' miei sudori bellicosi il frutto,l'unico premio che l'Acheo mi diede.Né pari al tuo d'averlo io già mi speroquel dì che i Greci l'opulenta Troiaconquisteran; ché mio dell'aspra guerra

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alcun de' primi, o Aiace, o Idomenèo,o il divo Ulisse, o tu medesmo pure,tremendissimo Achille, onde di tantosacrificante il grato ministeroil Dio ne plachi che da lunge impiaga.Lo guatò bieco Achille, e gli rispose:Anima invereconda, anima avara,chi fia tra i figli degli Achei sì vileche obbedisca al tuo cenno, o trar la spadain agguati convegna o in ria battaglia?Per odio de' Troiani io qua non vennia portar l'armi, io no; ché meco ei sonod'ogni colpa innocenti. Essi né mandrené destrier mi rapiro; essi le biadedella feconda popolosa Ftianon saccheggiâr; ché molti gioghi ombrosine son frapposti e il pelago sonoro.Ma sol per tuo profitto, o svergognato,e per l'onor di Menelao, pel tuo,pel tuo medesmo, o brutal ceffo, a Troiati seguitammo alla vendetta. Ed oggitu ne disprezzi ingrato, e ne calpesti,e a me medesmo di rapir minaccide' miei sudori bellicosi il frutto,l'unico premio che l'Acheo mi diede.Né pari al tuo d'averlo io già mi speroquel dì che i Greci l'opulenta Troiaconquisteran; ché mio dell'aspra guerra

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certo è il carco maggior; ma quando in mezzosi dividon le spoglie, è tua la prima,ed ultima la mia, di cui m'è forzatornar contento alla mia nave, e stancodi battaglia e di sangue. Or dunque a Ftia,a Ftia si rieda; ché d'assai fia meglioal paterno terren volger la prora,che vilipeso adunator qui starmidi ricchezze e d'onori a chi m'offende.Fuggi dunque, riprese Agamennóne,fuggi pur, se t'aggrada. Io non ti pregodi rimanerti. Al fianco mio si stannoben altri eroi, che a mia regal personaonor daranno, e il giusto Giove in prima.Di quanti ei nudre regnatori abborrote più ch'altri; sì, te che le contesesempre agogni e le zuffe e le battaglie.Se fortissimo sei, d'un Dio fu donola tua fortezza. Or va, sciogli le navi,fa co' tuoi prodi al patrio suol ritorno,ai Mirmìdoni impera; io non ti curo,e l'ire tue derido; anzi m'ascolta.Poiché Apollo Crisëide mi toglie,parta. D'un mio naviglio, e da' miei fidiio la rimando accompagnata, e cedo.Ma nel tuo padiglione ad involartiverrò la figlia di Brisèo, la bellatua prigioniera, io stesso; onde t'avvegga

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certo è il carco maggior; ma quando in mezzosi dividon le spoglie, è tua la prima,ed ultima la mia, di cui m'è forzatornar contento alla mia nave, e stancodi battaglia e di sangue. Or dunque a Ftia,a Ftia si rieda; ché d'assai fia meglioal paterno terren volger la prora,che vilipeso adunator qui starmidi ricchezze e d'onori a chi m'offende.Fuggi dunque, riprese Agamennóne,fuggi pur, se t'aggrada. Io non ti pregodi rimanerti. Al fianco mio si stannoben altri eroi, che a mia regal personaonor daranno, e il giusto Giove in prima.Di quanti ei nudre regnatori abborrote più ch'altri; sì, te che le contesesempre agogni e le zuffe e le battaglie.Se fortissimo sei, d'un Dio fu donola tua fortezza. Or va, sciogli le navi,fa co' tuoi prodi al patrio suol ritorno,ai Mirmìdoni impera; io non ti curo,e l'ire tue derido; anzi m'ascolta.Poiché Apollo Crisëide mi toglie,parta. D'un mio naviglio, e da' miei fidiio la rimando accompagnata, e cedo.Ma nel tuo padiglione ad involartiverrò la figlia di Brisèo, la bellatua prigioniera, io stesso; onde t'avvegga

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quant'io t'avanzo di possanza, e quindialtri meco uguagliarsi e cozzar tema.Di furore infiammâr l'alma d'Achillequeste parole. Due pensier gli fêroterribile tenzon nell'irto petto,se dal fianco tirando il ferro acutola via s'aprisse tra la calca, e in senol'immergesse all'Atride; o se domassel'ira, e chetasse il tempestoso core.Fra lo sdegno ondeggiando e la ragionel'agitato pensier, corse la manosovra la spada, e dalla gran vaginatraendo la venìa; quando velocedal ciel Minerva accorse, a lui speditadalla diva Giunon, che d'ambo i duciegual cura ed amor nudrìa nel petto.Gli venne a tergo, e per la bionda chiomaprese il fiero Pelìde, a tutti occulta,a lui sol manifesta. Stupefattosi scosse Achille, si rivolse, e tostoriconobbe la Diva a cui dagli occhiuscìan due fiamme di terribil luce,e la chiamò per nome, e in ratti accenti,Figlia, disse, di Giove, a che ne vieni?Forse d'Atride a veder l'onte? Apertoio tel protesto, e avran miei detti effetto:ei col suo superbir cerca la morte,e la morte si avrà. - Frena lo sdegno,

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quant'io t'avanzo di possanza, e quindialtri meco uguagliarsi e cozzar tema.Di furore infiammâr l'alma d'Achillequeste parole. Due pensier gli fêroterribile tenzon nell'irto petto,se dal fianco tirando il ferro acutola via s'aprisse tra la calca, e in senol'immergesse all'Atride; o se domassel'ira, e chetasse il tempestoso core.Fra lo sdegno ondeggiando e la ragionel'agitato pensier, corse la manosovra la spada, e dalla gran vaginatraendo la venìa; quando velocedal ciel Minerva accorse, a lui speditadalla diva Giunon, che d'ambo i duciegual cura ed amor nudrìa nel petto.Gli venne a tergo, e per la bionda chiomaprese il fiero Pelìde, a tutti occulta,a lui sol manifesta. Stupefattosi scosse Achille, si rivolse, e tostoriconobbe la Diva a cui dagli occhiuscìan due fiamme di terribil luce,e la chiamò per nome, e in ratti accenti,Figlia, disse, di Giove, a che ne vieni?Forse d'Atride a veder l'onte? Apertoio tel protesto, e avran miei detti effetto:ei col suo superbir cerca la morte,e la morte si avrà. - Frena lo sdegno,

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la Dea rispose dalle luci azzurre:io qui dal ciel discesi ad acchetarti,se obbedirmi vorrai. Giuno spedimmi,Giuno ch'entrambi vi difende ed ama.Or via, ti calma, né trar brando, e solodi parole contendi. Io tel predìco,e andrà pieno il mio detto: verrà tempoche tre volte maggior, per doni eletti,avrai riparo dell'ingiusta offesa.Tu reprimi la furia, ed obbedisci.E Achille a lei: Seguir m'è forza, o Diva,benché d'ira il cor arda, il tuo consiglio.Questo fia lo miglior. Ai numi è carochi de' numi al voler piega la fronte.Disse; e rattenne su l'argenteo pomola poderosa mano, e il grande acciaronel fodero respinse, alle paroledocile di Minerva. Ed ella intantoall'auree sedi dell'Egìoco padresul cielo risalì fra gli altri Eterni.Achille allora con acerbi dettirinfrescando la lite, assalse Atride:Ebbro! cane agli sguardi e cervo al core!Tu non osi giammai nelle battagliedar dentro colla turba; o negli agguatiperigliarti co' primi infra gli Achei,ché ogni rischio t'è morte. Assai per certomeglio ti torna di ciascun che franco

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la Dea rispose dalle luci azzurre:io qui dal ciel discesi ad acchetarti,se obbedirmi vorrai. Giuno spedimmi,Giuno ch'entrambi vi difende ed ama.Or via, ti calma, né trar brando, e solodi parole contendi. Io tel predìco,e andrà pieno il mio detto: verrà tempoche tre volte maggior, per doni eletti,avrai riparo dell'ingiusta offesa.Tu reprimi la furia, ed obbedisci.E Achille a lei: Seguir m'è forza, o Diva,benché d'ira il cor arda, il tuo consiglio.Questo fia lo miglior. Ai numi è carochi de' numi al voler piega la fronte.Disse; e rattenne su l'argenteo pomola poderosa mano, e il grande acciaronel fodero respinse, alle paroledocile di Minerva. Ed ella intantoall'auree sedi dell'Egìoco padresul cielo risalì fra gli altri Eterni.Achille allora con acerbi dettirinfrescando la lite, assalse Atride:Ebbro! cane agli sguardi e cervo al core!Tu non osi giammai nelle battagliedar dentro colla turba; o negli agguatiperigliarti co' primi infra gli Achei,ché ogni rischio t'è morte. Assai per certomeglio ti torna di ciascun che franco

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nella grand'oste achea contro ti dica,gli avuti doni in securtà rapire.Ma se questa non fosse, a cui comandi,spregiata gente e vil, tu non sarestidel popol tuo divorator tiranno,e l'ultimo de' torti avresti or fatto.Ma ben t'annunzio, ed altamente il giuroper questo scettro (che diviso un giornodal montano suo tronco unqua né ramoné fronda metterà, né mai virgultogermoglierà, poiché gli tolse il ferrocon la scorza le chiome, ed ora in pugnosel portano gli Achei che posti sonodel giusto a guardia e delle sante leggiricevute dal ciel), per questo io giuro,e invïolato sacramento il tieni:stagion verrà che negli Achei si sveglidesiderio d'Achille, e tu salvarlimisero! non potrai, quando la spadadell'omicida Ettòr farà vermiglidi larga strage i campi: e allor di rabbiail cor ti roderai, ché sì villanaal più forte de' Greci onta facesti.Disse; e gittò lo scettro a terra, adornod'aurei chiovi, e s'assise. Ardea l'Atridedi novello furor, quando nel mezzosurse de' Pilii l'orator, Nestorrefacondo sì, che di sua bocca uscièno

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nella grand'oste achea contro ti dica,gli avuti doni in securtà rapire.Ma se questa non fosse, a cui comandi,spregiata gente e vil, tu non sarestidel popol tuo divorator tiranno,e l'ultimo de' torti avresti or fatto.Ma ben t'annunzio, ed altamente il giuroper questo scettro (che diviso un giornodal montano suo tronco unqua né ramoné fronda metterà, né mai virgultogermoglierà, poiché gli tolse il ferrocon la scorza le chiome, ed ora in pugnosel portano gli Achei che posti sonodel giusto a guardia e delle sante leggiricevute dal ciel), per questo io giuro,e invïolato sacramento il tieni:stagion verrà che negli Achei si sveglidesiderio d'Achille, e tu salvarlimisero! non potrai, quando la spadadell'omicida Ettòr farà vermiglidi larga strage i campi: e allor di rabbiail cor ti roderai, ché sì villanaal più forte de' Greci onta facesti.Disse; e gittò lo scettro a terra, adornod'aurei chiovi, e s'assise. Ardea l'Atridedi novello furor, quando nel mezzosurse de' Pilii l'orator, Nestorrefacondo sì, che di sua bocca uscièno

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più che mel dolci d'eloquenza i rivi.Di parlanti con lui nati e cresciutinell'alma Pilo ei già trascorse aveadue vite, e nella terza allor regnava.Con prudenti parole il santo vegliocosì loro a dir prese: Eterni Dei!Quanto lutto alla Grecia, e quanta a Prìamogioia s'appresta ed a' suoi figli e a tuttala dardania città, quando fra lorodi voi s'intenda la fatal contesa,di voi che tutti di valor vincetee di senno gli Achei! Deh m'ascoltate,ché minor d'anni di me siete entrambi;ed io pur con eroi son visso un tempodi voi più prodi, e non fui loro a vile:ned altri tali io vidi unqua, né sperodi riveder più mai, quale un Drïantemoderator di genti, e Piritòo,Cèneo ed Essadio e Polifemo uom divo,e l'Egìde Teseo pari ad un nume.Alme più forti non nudrìa la terra,e forti essendo combattean co' forti,co' montani Centauri, e strage orrendane fean. Con questi, a lor preghiera, io spessopartendomi da Pilo e dal lontanoApio confine, a conversar venìa,e secondo mie forze anch'io pugnava.Ma di quanti mortali or crea la terra

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più che mel dolci d'eloquenza i rivi.Di parlanti con lui nati e cresciutinell'alma Pilo ei già trascorse aveadue vite, e nella terza allor regnava.Con prudenti parole il santo vegliocosì loro a dir prese: Eterni Dei!Quanto lutto alla Grecia, e quanta a Prìamogioia s'appresta ed a' suoi figli e a tuttala dardania città, quando fra lorodi voi s'intenda la fatal contesa,di voi che tutti di valor vincetee di senno gli Achei! Deh m'ascoltate,ché minor d'anni di me siete entrambi;ed io pur con eroi son visso un tempodi voi più prodi, e non fui loro a vile:ned altri tali io vidi unqua, né sperodi riveder più mai, quale un Drïantemoderator di genti, e Piritòo,Cèneo ed Essadio e Polifemo uom divo,e l'Egìde Teseo pari ad un nume.Alme più forti non nudrìa la terra,e forti essendo combattean co' forti,co' montani Centauri, e strage orrendane fean. Con questi, a lor preghiera, io spessopartendomi da Pilo e dal lontanoApio confine, a conversar venìa,e secondo mie forze anch'io pugnava.Ma di quanti mortali or crea la terra

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niun potrìa pareggiarli. E nondimenoda quei prestanti orecchio il mio consiglioed il mio detto obbedïenza ottenne.E voi pur anco m'obbedite adunque,ché l'obbedirmi or giova. Inclito Atride,deh non voler, sebben sì grande, a questitor la fanciulla; ma ch'ei s'abbia in paceda' Greci il dato guiderdon consenti:né tu cozzar con inimico pettocontra il rege, o Pelìde. Un re supremo,cui d'alta maestà Giove circonda,uguaglianza d'onore unqua non soffre.Se generato d'una diva madretu lui vinci di forza, ei vince, o figlio,te di poter, perché a più genti impera.Deh pon giù l'ira, Atride, e placherassipure Achille al mio prego, ei che de' Greciin sì ria guerra è principal sostegno.Tu rettissimo parli, o saggio antico,pronto riprese il regnatore Atride;ma costui tutti soverchiar presume,tutti a schiavi tener, dar legge a tutti,tutti gravar del suo comando. Ed iopotrei patirlo? Io no. Se il fêro i numiun invitto guerrier, forse pur ancodi tanto insolentir gli diero il dritto?Tagliò quel dire Achille, e gli rispose:Un pauroso, un vil certo sarei

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niun potrìa pareggiarli. E nondimenoda quei prestanti orecchio il mio consiglioed il mio detto obbedïenza ottenne.E voi pur anco m'obbedite adunque,ché l'obbedirmi or giova. Inclito Atride,deh non voler, sebben sì grande, a questitor la fanciulla; ma ch'ei s'abbia in paceda' Greci il dato guiderdon consenti:né tu cozzar con inimico pettocontra il rege, o Pelìde. Un re supremo,cui d'alta maestà Giove circonda,uguaglianza d'onore unqua non soffre.Se generato d'una diva madretu lui vinci di forza, ei vince, o figlio,te di poter, perché a più genti impera.Deh pon giù l'ira, Atride, e placherassipure Achille al mio prego, ei che de' Greciin sì ria guerra è principal sostegno.Tu rettissimo parli, o saggio antico,pronto riprese il regnatore Atride;ma costui tutti soverchiar presume,tutti a schiavi tener, dar legge a tutti,tutti gravar del suo comando. Ed iopotrei patirlo? Io no. Se il fêro i numiun invitto guerrier, forse pur ancodi tanto insolentir gli diero il dritto?Tagliò quel dire Achille, e gli rispose:Un pauroso, un vil certo sarei

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se d'ogni cenno tuo ligio foss'io.Altrui comanda, a me non già; ch'io tecosciolto di tutta obbedienza or sono.Questo solo vo' dirti, e tu nel mezzolo rinserra del cor. Per la fanciullaun dì donata, ingiustamente or tolta,né con te né con altri il brando miocombatterà. Ma di quant'altre spoglienella nave mi serbo, né pur una,s'io la niego, t'avrai. Vien, se nol credi,vieni alla prova; e il sangue tuo scorrentedalla mia lancia farà saggio altrui.Con questa di parole aspra tenzonelevârsi, e sciolto fu l'acheo consesso.Con Patroclo il Pelìde e co' suoi prodiriede a sue navi nelle tende; e Atridevarar fa tosto a venti remi elettiuna celere prora colla sacraecatombe. Di Crise egli medesmovi guida e posa l'avvenente figlia;duce v'ascende il saggio Ulisse, e tuttigià montati correan l'umide vie.Ciò fatto, indisse al campo Agamennóneuna sacra lavanda: e ognun devotopurificarsi, e via gittar nell'ondele sozzure, e del mar lungo la rivaoffrir di capri e di torelli intereecatombi ad Apollo. Al ciel salìa

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se d'ogni cenno tuo ligio foss'io.Altrui comanda, a me non già; ch'io tecosciolto di tutta obbedienza or sono.Questo solo vo' dirti, e tu nel mezzolo rinserra del cor. Per la fanciullaun dì donata, ingiustamente or tolta,né con te né con altri il brando miocombatterà. Ma di quant'altre spoglienella nave mi serbo, né pur una,s'io la niego, t'avrai. Vien, se nol credi,vieni alla prova; e il sangue tuo scorrentedalla mia lancia farà saggio altrui.Con questa di parole aspra tenzonelevârsi, e sciolto fu l'acheo consesso.Con Patroclo il Pelìde e co' suoi prodiriede a sue navi nelle tende; e Atridevarar fa tosto a venti remi elettiuna celere prora colla sacraecatombe. Di Crise egli medesmovi guida e posa l'avvenente figlia;duce v'ascende il saggio Ulisse, e tuttigià montati correan l'umide vie.Ciò fatto, indisse al campo Agamennóneuna sacra lavanda: e ognun devotopurificarsi, e via gittar nell'ondele sozzure, e del mar lungo la rivaoffrir di capri e di torelli intereecatombi ad Apollo. Al ciel salìa

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volubile col fumo il pingue odore.Seguìan nel campo questi riti. E fermonel suo dispetto e nella dianzi fattaria minaccia ad Achille, intanto AtrideEuribate e Taltibio a sé chiamando,fidi araldi e sergenti, Ite, lor disse,del Pelìde alla tenda, e m'adducetela bella figlia di Brisèo. Se il niega,io ne verrò con molta mano, io stesso,a gliela tôrre: e ciò gli fia più duro.Disse; e il cenno aggravando in via li pose.Del mar lunghesso l'infecondo lidogivan quelli a mal cuore, e pervenutide' Mirmidóni alla campal marinatrovâr l'eroe seduto appo le navidavanti al padiglion: né del vederlicerto Achille fu lieto. Ambo al cospettoregal fermârsi trepidanti e chini,né far motto fur osi né dimando.Ma tutto ei vide in suo pensiero, e disse:Messaggeri di Giove e delle genti,salvete, araldi, e v'appressate. In voiniuna è colpa con meco. Il solo Atride,ei solo è reo, che voi per la fanciullaBrisëide qui manda. Or va, fuor mena,generoso Patròclo, la donzella,e in man di questi guidator l'affida.Ma voi medesmi innanzi ai santi numi

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volubile col fumo il pingue odore.Seguìan nel campo questi riti. E fermonel suo dispetto e nella dianzi fattaria minaccia ad Achille, intanto AtrideEuribate e Taltibio a sé chiamando,fidi araldi e sergenti, Ite, lor disse,del Pelìde alla tenda, e m'adducetela bella figlia di Brisèo. Se il niega,io ne verrò con molta mano, io stesso,a gliela tôrre: e ciò gli fia più duro.Disse; e il cenno aggravando in via li pose.Del mar lunghesso l'infecondo lidogivan quelli a mal cuore, e pervenutide' Mirmidóni alla campal marinatrovâr l'eroe seduto appo le navidavanti al padiglion: né del vederlicerto Achille fu lieto. Ambo al cospettoregal fermârsi trepidanti e chini,né far motto fur osi né dimando.Ma tutto ei vide in suo pensiero, e disse:Messaggeri di Giove e delle genti,salvete, araldi, e v'appressate. In voiniuna è colpa con meco. Il solo Atride,ei solo è reo, che voi per la fanciullaBrisëide qui manda. Or va, fuor mena,generoso Patròclo, la donzella,e in man di questi guidator l'affida.Ma voi medesmi innanzi ai santi numi

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ed innanzi ai mortali e al re crudelesiatemi testimon, quando il dì splendache a scampar gli altri di rovina il miobraccio abbisogni. Perocché delirain suo danno costui, ned il presentevede, né il poi, né il come a sua difesasalvi alle navi pugneran gli Achei.Disse; e Patròclo del diletto amicoal comando obbedì. Fuor della tendaBrisëide menò, guancia gentile,ed agli araldi condottier la cesse.Mentre ei fanno alle navi achee ritorno,e ritrosa con lor partìa la donna,proruppe Achille in un subito pianto,e da' suoi scompagnato in su la rivadel grigio mar s'assise, e il mar guardandole man stese, e dolente alla dilettamadre pregando, Oh madre! è questo, disse,questo è l'onor che darmi il gran Tonantea conforto dovea del viver brevea cui mi partoristi? Ecco, ei mi lasciaspregiato in tutto: il re superbo AtrideAgamennón mi disonora; il megliode' miei premi rapisce, e sel possiede.Sì piangendo dicea. La venerandagenitrice l'udì, che ne' profondigorghi del mare si sedea dappressoal vecchio padre; udillo, e tosto emerse,

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ed innanzi ai mortali e al re crudelesiatemi testimon, quando il dì splendache a scampar gli altri di rovina il miobraccio abbisogni. Perocché delirain suo danno costui, ned il presentevede, né il poi, né il come a sua difesasalvi alle navi pugneran gli Achei.Disse; e Patròclo del diletto amicoal comando obbedì. Fuor della tendaBrisëide menò, guancia gentile,ed agli araldi condottier la cesse.Mentre ei fanno alle navi achee ritorno,e ritrosa con lor partìa la donna,proruppe Achille in un subito pianto,e da' suoi scompagnato in su la rivadel grigio mar s'assise, e il mar guardandole man stese, e dolente alla dilettamadre pregando, Oh madre! è questo, disse,questo è l'onor che darmi il gran Tonantea conforto dovea del viver brevea cui mi partoristi? Ecco, ei mi lasciaspregiato in tutto: il re superbo AtrideAgamennón mi disonora; il megliode' miei premi rapisce, e sel possiede.Sì piangendo dicea. La venerandagenitrice l'udì, che ne' profondigorghi del mare si sedea dappressoal vecchio padre; udillo, e tosto emerse,

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come nebbia, dall'onda: accanto al figlio,che lagrime spargea, dolce s'assise,e colla mano accarezzollo, e disse:Figlio, a che piangi? e qual t'opprime affanno?Di', non celarlo in cor, meco il dividi.Madre, tu il sai, rispose alto gemendoil piè-veloce eroe. Ridir che giovatutto il già conto? Nella sacra seded'Eezïon ne gimmo; la cittadeponemmo a sacco, e tutta a questo campofu condotta la preda. In giuste partila diviser gli Achivi, e la leggiadraCrisëide fu scelta al primo Atride.Crise d'Apollo sacerdote alloracon l'infula del nume e l'aureo scettrovenne alle navi a riscattar la figlia.Molti doni offerì, molte agli Achiviporse preghiere, ed agli Atridi in prima.Invan; ché preghi e doni e sacerdotee degli Achei l'assenso ebbe in dispregioAgamennón, che minaccioso e duroquel misero cacciò dal suo cospetto.Partì sdegnato il veglio; e Apollo, a cuidiletto capo egli era, il suo lamentoesaudì dall'Olimpo, e contra i Grecipestiferi vibrò dardi mortali.Perìa la gente a torme, e d'ogni partesibilanti del Dio pel campo tutto

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come nebbia, dall'onda: accanto al figlio,che lagrime spargea, dolce s'assise,e colla mano accarezzollo, e disse:Figlio, a che piangi? e qual t'opprime affanno?Di', non celarlo in cor, meco il dividi.Madre, tu il sai, rispose alto gemendoil piè-veloce eroe. Ridir che giovatutto il già conto? Nella sacra seded'Eezïon ne gimmo; la cittadeponemmo a sacco, e tutta a questo campofu condotta la preda. In giuste partila diviser gli Achivi, e la leggiadraCrisëide fu scelta al primo Atride.Crise d'Apollo sacerdote alloracon l'infula del nume e l'aureo scettrovenne alle navi a riscattar la figlia.Molti doni offerì, molte agli Achiviporse preghiere, ed agli Atridi in prima.Invan; ché preghi e doni e sacerdotee degli Achei l'assenso ebbe in dispregioAgamennón, che minaccioso e duroquel misero cacciò dal suo cospetto.Partì sdegnato il veglio; e Apollo, a cuidiletto capo egli era, il suo lamentoesaudì dall'Olimpo, e contra i Grecipestiferi vibrò dardi mortali.Perìa la gente a torme, e d'ogni partesibilanti del Dio pel campo tutto

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volavano gli strali. Alfine un saggioindovin ne fe' chiaro in assembleal'oracolo d'Apollo. Io tosto il primoesortai di placar l'ire divine.Sdegnossene l'Atride, e in piè levatouna minaccia mi fe' tal che pienocompimento sortì. Gli Achivi a Crisasovr'agil nave già la schiava adducononon senza doni a Febo; e dalla tendaa me pur dianzi tolsero gli araldi,e menâr seco di Brisèo la figlia,la fanciulla da' Greci a me donata.Ma tu che il puoi, tu al figlio tuo soccorri,vanne all'Olimpo, e porgi preghi a Giove,s'unqua Giove per te fu nel bisognoo d'opera aitato o di parole.Nel patrio tetto, io ben lo mi ricordo,spesso t'intesi glorïarti, e direche sola fra gli Dei da ria sciaguraGiove campasti adunator di nembi,il giorno che tentâr Giuno e Nettunnoe Pallade Minerva in un con gli altricongiurati del ciel porlo in catene;ma tu nell'uopo sopraggiunta, o Dea,l'involasti al periglio, all'alto Olimpoprestamente chiamando il gran Centìmano,che dagli Dei nomato è Brïarèo,da' mortali Egeóne, e di fortezza

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volavano gli strali. Alfine un saggioindovin ne fe' chiaro in assembleal'oracolo d'Apollo. Io tosto il primoesortai di placar l'ire divine.Sdegnossene l'Atride, e in piè levatouna minaccia mi fe' tal che pienocompimento sortì. Gli Achivi a Crisasovr'agil nave già la schiava adducononon senza doni a Febo; e dalla tendaa me pur dianzi tolsero gli araldi,e menâr seco di Brisèo la figlia,la fanciulla da' Greci a me donata.Ma tu che il puoi, tu al figlio tuo soccorri,vanne all'Olimpo, e porgi preghi a Giove,s'unqua Giove per te fu nel bisognoo d'opera aitato o di parole.Nel patrio tetto, io ben lo mi ricordo,spesso t'intesi glorïarti, e direche sola fra gli Dei da ria sciaguraGiove campasti adunator di nembi,il giorno che tentâr Giuno e Nettunnoe Pallade Minerva in un con gli altricongiurati del ciel porlo in catene;ma tu nell'uopo sopraggiunta, o Dea,l'involasti al periglio, all'alto Olimpoprestamente chiamando il gran Centìmano,che dagli Dei nomato è Brïarèo,da' mortali Egeóne, e di fortezza

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lo stesso genitor vincea d'assai.Fiero di tanto onore alto ei s'assisedi Giove al fianco, e n'ebber tema i numi,che poser di legarlo ogni pensiero.Or tu questo rammentagli, e al suo latosiedi, e gli abbraccia le ginocchia, e il pregadi dar soccorso ai Teucri, e far che tuttefino alle navi le falangi acheesien spinte e rotte e trucidate. Ognunolo si goda così questo tiranno;senta egli stesso il gran regnante Atridequal commise follìa quando superbofe' de' Greci al più forte un tanto oltraggio.E lagrimando a lui Teti rispose:Ahi figlio mio! se con sì reo destinoti partorii, perché allevarti, ahi lassa!Oh potessi ozioso a questa rivasenza pianto restarti e senza offese,ingannando la Parca che t'incalza,ed omai t'ha raggiunto! Ora i tuoi giornibrevi sono ad un tempo ed infelici,ché iniqua stella il dì ch'io ti produssii talami paterni illuminava.E nondimen d'Olimpo alle nevosevette n'andrò, ragionerò con Giovedel fulmine signore, e al tuo desirepiegarlo tenterò. Tu statti intantoalle navi; e nell'ozio del tuo brando

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lo stesso genitor vincea d'assai.Fiero di tanto onore alto ei s'assisedi Giove al fianco, e n'ebber tema i numi,che poser di legarlo ogni pensiero.Or tu questo rammentagli, e al suo latosiedi, e gli abbraccia le ginocchia, e il pregadi dar soccorso ai Teucri, e far che tuttefino alle navi le falangi acheesien spinte e rotte e trucidate. Ognunolo si goda così questo tiranno;senta egli stesso il gran regnante Atridequal commise follìa quando superbofe' de' Greci al più forte un tanto oltraggio.E lagrimando a lui Teti rispose:Ahi figlio mio! se con sì reo destinoti partorii, perché allevarti, ahi lassa!Oh potessi ozioso a questa rivasenza pianto restarti e senza offese,ingannando la Parca che t'incalza,ed omai t'ha raggiunto! Ora i tuoi giornibrevi sono ad un tempo ed infelici,ché iniqua stella il dì ch'io ti produssii talami paterni illuminava.E nondimen d'Olimpo alle nevosevette n'andrò, ragionerò con Giovedel fulmine signore, e al tuo desirepiegarlo tenterò. Tu statti intantoalle navi; e nell'ozio del tuo brando

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senta l'Achivo de' tuoi sdegni il peso.Perocché ieri in grembo all'Oceànofra gl'innocenti Etïopi disceseGiove a convito, e il seguîr tutti i numi.Dopo la luce dodicesma al cielotornerà. Recherommi allor di Gioveagli eterni palagi; al suo ginocchiomi gitterò, supplicherò, né vanad'espugnarne il voler speranza io porto.Partì, ciò detto; e lui quivi di bilemacerato lasciò per la fanciullasuo mal grado rapita. Intanto a Crisacolla sacra ecatombe Ulisse approda.Nel seno entrati del profondo porto,le vele ammaïnâr, le collocarodentro il bruno naviglio, e prestamentedechinâr colle gomone l'antenna,e l'adagiâr nella corsìa. Co' remiil naviglio accostâr quindi alla riva;e l'ancore gittate, e della poppaannodati i ritegni, ecco sul lidotutta smontar la gente, ecco schierarsil'ecatombe d'Apollo, e dalla navedell'onde vïatrice ultima uscireCrisëide. All'altar l'accompagnaval'accorto Ulisse, ed alla man del carogenitor la ponea con questi accenti:Crise, il re sommo Agamennón mi manda

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senta l'Achivo de' tuoi sdegni il peso.Perocché ieri in grembo all'Oceànofra gl'innocenti Etïopi disceseGiove a convito, e il seguîr tutti i numi.Dopo la luce dodicesma al cielotornerà. Recherommi allor di Gioveagli eterni palagi; al suo ginocchiomi gitterò, supplicherò, né vanad'espugnarne il voler speranza io porto.Partì, ciò detto; e lui quivi di bilemacerato lasciò per la fanciullasuo mal grado rapita. Intanto a Crisacolla sacra ecatombe Ulisse approda.Nel seno entrati del profondo porto,le vele ammaïnâr, le collocarodentro il bruno naviglio, e prestamentedechinâr colle gomone l'antenna,e l'adagiâr nella corsìa. Co' remiil naviglio accostâr quindi alla riva;e l'ancore gittate, e della poppaannodati i ritegni, ecco sul lidotutta smontar la gente, ecco schierarsil'ecatombe d'Apollo, e dalla navedell'onde vïatrice ultima uscireCrisëide. All'altar l'accompagnaval'accorto Ulisse, ed alla man del carogenitor la ponea con questi accenti:Crise, il re sommo Agamennón mi manda

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a ti render la figlia, e offrir solenneun'ecatombe a Febo, onde gli sdegniplacar del nume che gli Achei percossed'acerbissima piaga. - In questo direl'amata figlia in man gli cesse; e il vecchiola si raccolse giubilando al petto.Tosto dintorno al ben costrutto altarein ordinanza statuîr la bellaecatombe del Dio; lavâr le palme,presero il sacro farro, e Crise alzandocolla voce la man, fe' questo prego:Dio che godi trattar l'arco d'argento,tu che Crisa proteggi e la divinaCilla, signor di Tènedo possente,m'odi: se dianzi a mia preghiera il campoacheo gravasti di gran danno, e onoremi desti, or fammi di quest'altro votocontento appieno. La terribil lue,che i Dànai strugge, allontanar ti piaccia.Sì disse orando, ed esaudillo il nume.Quindi fin posto alle preghiere, e sparsoil salso farro, alzar fêr suso in primaalle vittime il collo, e le sgozzaro.tratto il cuoio, fasciâr le incise coscedi doppio omento, e le coprîr di crudibrani. Il buon vecchio su l'accese scheggele abbrustolava, e di purpureo vinospruzzando le venìa. Scelti garzoni

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a ti render la figlia, e offrir solenneun'ecatombe a Febo, onde gli sdegniplacar del nume che gli Achei percossed'acerbissima piaga. - In questo direl'amata figlia in man gli cesse; e il vecchiola si raccolse giubilando al petto.Tosto dintorno al ben costrutto altarein ordinanza statuîr la bellaecatombe del Dio; lavâr le palme,presero il sacro farro, e Crise alzandocolla voce la man, fe' questo prego:Dio che godi trattar l'arco d'argento,tu che Crisa proteggi e la divinaCilla, signor di Tènedo possente,m'odi: se dianzi a mia preghiera il campoacheo gravasti di gran danno, e onoremi desti, or fammi di quest'altro votocontento appieno. La terribil lue,che i Dànai strugge, allontanar ti piaccia.Sì disse orando, ed esaudillo il nume.Quindi fin posto alle preghiere, e sparsoil salso farro, alzar fêr suso in primaalle vittime il collo, e le sgozzaro.tratto il cuoio, fasciâr le incise coscedi doppio omento, e le coprîr di crudibrani. Il buon vecchio su l'accese scheggele abbrustolava, e di purpureo vinospruzzando le venìa. Scelti garzoni

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al suo fianco tenean gli spiedi in pugnodi cinque punte armati: e come fûrorosolate le coste, e fatto il saggiodelle viscere sacre, il resto in pezzinegli schidoni infissero, con moltoavvedimento l'arrostiro, e posciatolser tutto alle fiamme. Al fin dell'opra,poste le mense, a banchettar si diero,e del cibo egualmente ripartitosbramârsi tutti. Del cibarsi estintoe del bere il desìo, d'almo lïeocoronando il cratere, a tutti in girone porsero i donzelli, e fe' ciascuno,libagion colle tazze. E così tuttocantando il dì la gioventude argiva,e un allegro peàna alto intonando,laudi a Febo dicean, che nell'udirlesentìasi tocco di dolcezza il core.Fugato il sole dalla notte, ei diersipresso i poppesi della nave al sonno.Poi come il cielo colle rosee ditala bella figlia del mattino aperse,conversero la prora al campo argivo,e mandò loro in poppa il vento Apollo.Rizzâr l'antenna, e delle bianche veleil seno dispiegâr. L'aura secondale gonfiava per mezzo, e strepitoso,nel passar della nave, il flutto azzurro

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al suo fianco tenean gli spiedi in pugnodi cinque punte armati: e come fûrorosolate le coste, e fatto il saggiodelle viscere sacre, il resto in pezzinegli schidoni infissero, con moltoavvedimento l'arrostiro, e posciatolser tutto alle fiamme. Al fin dell'opra,poste le mense, a banchettar si diero,e del cibo egualmente ripartitosbramârsi tutti. Del cibarsi estintoe del bere il desìo, d'almo lïeocoronando il cratere, a tutti in girone porsero i donzelli, e fe' ciascuno,libagion colle tazze. E così tuttocantando il dì la gioventude argiva,e un allegro peàna alto intonando,laudi a Febo dicean, che nell'udirlesentìasi tocco di dolcezza il core.Fugato il sole dalla notte, ei diersipresso i poppesi della nave al sonno.Poi come il cielo colle rosee ditala bella figlia del mattino aperse,conversero la prora al campo argivo,e mandò loro in poppa il vento Apollo.Rizzâr l'antenna, e delle bianche veleil seno dispiegâr. L'aura secondale gonfiava per mezzo, e strepitoso,nel passar della nave, il flutto azzurro

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mormorava dintorno alla carena.Giunti agli argivi accampamenti, in seccotrasser la nave su la colma arena,e lunghe vi spiegâr travi di sottoacconciamente. Per le tende poisi dispersero tutti e pe' navili.Appo i suoi legni intanto il generosoPelìde Achille nel segreto pettodi sdegno si pascea, né al parlamento,scuola illustre d'eroi, né alle battagliepiù comparìa; ma il cor struggea di doglialungi dall'armi, e sol dell'armi il suonoe delle pugne il grido egli sospira.Rifulse alfin la dodicesma aurora,e tutti di conserva al ciel gli Eternifean ritorno, ed avanti iva il re Giove.Memore allor del figlio e del suo prego,Teti emerse dal mare, e mattutinain cielo al sommo dell'Olimpo alzossi.Sul più sublime de' suoi molti gioghiin disparte trovò seduto e solol'onniveggente Giove. Innanzi a luila Dea s'assise, colla manca strinsele divine ginocchia, e colla destramolcendo il mento, e supplicando disse:Giove padre, se d'opre e di parolegiovevole fra' numi unqua ti fui,un mio voto adempisci. Il figlio mio,

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mormorava dintorno alla carena.Giunti agli argivi accampamenti, in seccotrasser la nave su la colma arena,e lunghe vi spiegâr travi di sottoacconciamente. Per le tende poisi dispersero tutti e pe' navili.Appo i suoi legni intanto il generosoPelìde Achille nel segreto pettodi sdegno si pascea, né al parlamento,scuola illustre d'eroi, né alle battagliepiù comparìa; ma il cor struggea di doglialungi dall'armi, e sol dell'armi il suonoe delle pugne il grido egli sospira.Rifulse alfin la dodicesma aurora,e tutti di conserva al ciel gli Eternifean ritorno, ed avanti iva il re Giove.Memore allor del figlio e del suo prego,Teti emerse dal mare, e mattutinain cielo al sommo dell'Olimpo alzossi.Sul più sublime de' suoi molti gioghiin disparte trovò seduto e solol'onniveggente Giove. Innanzi a luila Dea s'assise, colla manca strinsele divine ginocchia, e colla destramolcendo il mento, e supplicando disse:Giove padre, se d'opre e di parolegiovevole fra' numi unqua ti fui,un mio voto adempisci. Il figlio mio,

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cui volge il fato la più corta vita,deh, m'onora il mio figlio a torto offesodal re supremo Agamennón, che a forzagli rapì la sua donna, e la si tiene.Onoralo, ti prego, olimpio Giove,sapientissimo Iddio; fa che vittricisien le spade troiane, infin che tuttoe doppio ancora dagli Achei pentitial mio figlio si renda il tolto onore.Disse; e nessuna le facea rispostail procelloso Iddio; ma lunga pezzamuto stette, e sedea. Teti il ginocchioteneagli stretto tuttavolta, e i preghiiterando venìa: Deh, parla alfine;dimmi aperto se nieghi, o se concedi;nulla hai tu che temer; fa ch'io mi sappiase fra le Dee son io la più spregiata.Profondamente allora sospirandol'adunator de' nembi le rispose:Opra chiedi odiosa che nemicofarammi a Giuno, e degli ontosi suoimotti bersaglio. Ardita ella mai semprepur dinanzi agli Dei vien meco a lite,e de' Troiani aiutator m'accusa.Ma tu sgombra di qua, ché non ti veggala sospettosa. Mio pensier fia posciache il desir tuo si cómpia, e a tuo confortoabbine il cenno del mio capo in pegno.

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cui volge il fato la più corta vita,deh, m'onora il mio figlio a torto offesodal re supremo Agamennón, che a forzagli rapì la sua donna, e la si tiene.Onoralo, ti prego, olimpio Giove,sapientissimo Iddio; fa che vittricisien le spade troiane, infin che tuttoe doppio ancora dagli Achei pentitial mio figlio si renda il tolto onore.Disse; e nessuna le facea rispostail procelloso Iddio; ma lunga pezzamuto stette, e sedea. Teti il ginocchioteneagli stretto tuttavolta, e i preghiiterando venìa: Deh, parla alfine;dimmi aperto se nieghi, o se concedi;nulla hai tu che temer; fa ch'io mi sappiase fra le Dee son io la più spregiata.Profondamente allora sospirandol'adunator de' nembi le rispose:Opra chiedi odiosa che nemicofarammi a Giuno, e degli ontosi suoimotti bersaglio. Ardita ella mai semprepur dinanzi agli Dei vien meco a lite,e de' Troiani aiutator m'accusa.Ma tu sgombra di qua, ché non ti veggala sospettosa. Mio pensier fia posciache il desir tuo si cómpia, e a tuo confortoabbine il cenno del mio capo in pegno.

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Questo fra' numi è il massimo mio giuro,né revocarsi, né fallir, né vanaesser può cosa che il mio capo accenna.Disse; e il gran figlio di Saturno i nerisopraccigli inchinò. Su l'immortalecapo del sire le divine chiomeondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo.Così fermo l'affar si dipartiro.Teti dal ciel spiccò nel mare un salto;Giove alla reggia s'avviò. Rizzârsitutti ad un tempo da' lor troni i numiverso il gran padre, né veruno ardissiaspettarne il venir fermo al suo seggio,ma mosser tutti ad incontrarlo. Ei gravesi compose sul trono. E già sapeaGiuno il fatto del Dio; ch'ella vedutoin segreti consigli avea con essola figlia di Nerèo, Teti la divadal bianco piede. Con parole acerbecosì dunque l'assalse: E qual de' numitenne or teco consulta, o ingannatore?Sempre t'è caro da me scevro ordiretenebrosi disegni, né ti piacquemai farmi manifesto un tuo pensiero.E degli uomini il padre e degli Deile rispose: Giunon, tutto che pensonon sperar di saperlo. Ardua ten fôral'intelligenza, benché moglie a Giove.

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Questo fra' numi è il massimo mio giuro,né revocarsi, né fallir, né vanaesser può cosa che il mio capo accenna.Disse; e il gran figlio di Saturno i nerisopraccigli inchinò. Su l'immortalecapo del sire le divine chiomeondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo.Così fermo l'affar si dipartiro.Teti dal ciel spiccò nel mare un salto;Giove alla reggia s'avviò. Rizzârsitutti ad un tempo da' lor troni i numiverso il gran padre, né veruno ardissiaspettarne il venir fermo al suo seggio,ma mosser tutti ad incontrarlo. Ei gravesi compose sul trono. E già sapeaGiuno il fatto del Dio; ch'ella vedutoin segreti consigli avea con essola figlia di Nerèo, Teti la divadal bianco piede. Con parole acerbecosì dunque l'assalse: E qual de' numitenne or teco consulta, o ingannatore?Sempre t'è caro da me scevro ordiretenebrosi disegni, né ti piacquemai farmi manifesto un tuo pensiero.E degli uomini il padre e degli Deile rispose: Giunon, tutto che pensonon sperar di saperlo. Ardua ten fôral'intelligenza, benché moglie a Giove.

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Ben qualunque dir cosa si convegna,nullo, prima di te, mortale o Diola si saprà. Ma quel che lungi io vogliodai Celesti ordinar nel mio segreto,non dimandarlo né scrutarlo, e cessa.Acerbissimo Giove, e che dicesti?Riprese allor la maestosa il guardoveneranda Giunon: gran tempo è pureche da te nulla cerco e nulla chieggo,e tu tranquillo adempi ogni tuo senno.Or grave un dubbio mi molesta il core,che Teti, del marin vecchio la figlia,non ti seduca; ch'io la vidi, io stessa,sul mattino arrivar, sederti accanto,abbracciarti i ginocchi; e certo a leidi molti Achivi tu giurasti il dannoappo le navi, per onor d'Achille.E a rincontro il signor delle tempeste:Sempre sospetti, né celarmi io posso,spirto maligno, agli occhi tuoi. Ma indarnola tua cura uscirà, ch'anzi più sempretu mi costringi a disamarti, e questoa peggio ti verrà. S'al ver t'apponi,che al ver t'apponga ho caro. Or siedi, e taci,e m'obbedisci; ché giovarti invanopotrìan quanti in Olimpo a tua difesaaccorresser Celesti, allor che postele invitte mani nelle chiome io t'abbia.

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Ben qualunque dir cosa si convegna,nullo, prima di te, mortale o Diola si saprà. Ma quel che lungi io vogliodai Celesti ordinar nel mio segreto,non dimandarlo né scrutarlo, e cessa.Acerbissimo Giove, e che dicesti?Riprese allor la maestosa il guardoveneranda Giunon: gran tempo è pureche da te nulla cerco e nulla chieggo,e tu tranquillo adempi ogni tuo senno.Or grave un dubbio mi molesta il core,che Teti, del marin vecchio la figlia,non ti seduca; ch'io la vidi, io stessa,sul mattino arrivar, sederti accanto,abbracciarti i ginocchi; e certo a leidi molti Achivi tu giurasti il dannoappo le navi, per onor d'Achille.E a rincontro il signor delle tempeste:Sempre sospetti, né celarmi io posso,spirto maligno, agli occhi tuoi. Ma indarnola tua cura uscirà, ch'anzi più sempretu mi costringi a disamarti, e questoa peggio ti verrà. S'al ver t'apponi,che al ver t'apponga ho caro. Or siedi, e taci,e m'obbedisci; ché giovarti invanopotrìan quanti in Olimpo a tua difesaaccorresser Celesti, allor che postele invitte mani nelle chiome io t'abbia.

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Disse; e chinò la veneranda Giunoi suoi grand'occhi paurosa e muta,e in cor premendo il suo livor s'assise.Di Giove in tutta la magion le frontisi contristâr de' numi, e in mezzo a lorogratificando alla diletta madreVulcan l'inclito fabbro a dir sì prese:Una malvagia intolleranda cosaquesta al certo sarà, se voi cotanto,de' mortali a cagion, piato movete,e suscitate fra gli Dei tumulto.De' banchetti la gioia ecco sbandita,se la vince il peggior. Madre, t'esorto,benché saggia per te; vinci di Giove,vinci del padre coll'ossequio l'ira,onde a lite non torni, e del convitone conturbi il piacer; ch'egli ne puote,del fulmine signore e dell'Olimpo,dai nostri seggi rovesciar, se il voglia;perocché sua possanza a tutte è sopra.Or tu con care parolette il molci,e tosto il placherai. - Surse, ciò detto,ed all'amata genitrice un tondogemino nappo fra le mani ei pose,bisbigliando all'orecchio: O madre mia,benché mesta a ragion, sopporta in pace,onde te con quest'occhi io qui non vegga,te, che cara mi sei, forte battuta;

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Disse; e chinò la veneranda Giunoi suoi grand'occhi paurosa e muta,e in cor premendo il suo livor s'assise.Di Giove in tutta la magion le frontisi contristâr de' numi, e in mezzo a lorogratificando alla diletta madreVulcan l'inclito fabbro a dir sì prese:Una malvagia intolleranda cosaquesta al certo sarà, se voi cotanto,de' mortali a cagion, piato movete,e suscitate fra gli Dei tumulto.De' banchetti la gioia ecco sbandita,se la vince il peggior. Madre, t'esorto,benché saggia per te; vinci di Giove,vinci del padre coll'ossequio l'ira,onde a lite non torni, e del convitone conturbi il piacer; ch'egli ne puote,del fulmine signore e dell'Olimpo,dai nostri seggi rovesciar, se il voglia;perocché sua possanza a tutte è sopra.Or tu con care parolette il molci,e tosto il placherai. - Surse, ciò detto,ed all'amata genitrice un tondogemino nappo fra le mani ei pose,bisbigliando all'orecchio: O madre mia,benché mesta a ragion, sopporta in pace,onde te con quest'occhi io qui non vegga,te, che cara mi sei, forte battuta;

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ché allor nessuna con dolor mio sommodarti aìta io potrei. Duro egli è troppocozzar con Giove. Altra fiata, il sai,volli in tuo scampo venturarmi. Il crudoafferrommi d'un piede, e mi scagliòdalle soglie celesti. Un giorno interorovinai per l'immenso, e rifinitoin Lenno caddi col cader del sole,dalli Sinzii raccolto a me pietosi.Disse; e la Diva dalle bianche bracciarise, e in quel riso dalla man del figlioprese il nappo. Ed ei poscia agli altri Eterni,incominciando a destra, e dal cratereil nèttare attignendo, a tutti in girolo mescea. Suscitossi infra' Beatiimmenso riso nel veder Vulcanoper la sala aggirarsi affaccendatoin quell'opra. Così, fino al tramonto,tutto il dì convitossi, ed egualmentedel banchetto ogni Dio partecipava.Né l'aurata mancò lira d'Apollo,né il dolce delle Muse alterno canto.Ratto, poi che del Sol la luminosalampa si spense, a' suoi riposi ognunone' palagi n'andò, che fabbricatia ciascheduno avea con ammirandoartifizio Vulcan l'inclito zoppo.E a' suoi talami anch'esso, ove qual volta

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ché allor nessuna con dolor mio sommodarti aìta io potrei. Duro egli è troppocozzar con Giove. Altra fiata, il sai,volli in tuo scampo venturarmi. Il crudoafferrommi d'un piede, e mi scagliòdalle soglie celesti. Un giorno interorovinai per l'immenso, e rifinitoin Lenno caddi col cader del sole,dalli Sinzii raccolto a me pietosi.Disse; e la Diva dalle bianche bracciarise, e in quel riso dalla man del figlioprese il nappo. Ed ei poscia agli altri Eterni,incominciando a destra, e dal cratereil nèttare attignendo, a tutti in girolo mescea. Suscitossi infra' Beatiimmenso riso nel veder Vulcanoper la sala aggirarsi affaccendatoin quell'opra. Così, fino al tramonto,tutto il dì convitossi, ed egualmentedel banchetto ogni Dio partecipava.Né l'aurata mancò lira d'Apollo,né il dolce delle Muse alterno canto.Ratto, poi che del Sol la luminosalampa si spense, a' suoi riposi ognunone' palagi n'andò, che fabbricatia ciascheduno avea con ammirandoartifizio Vulcan l'inclito zoppo.E a' suoi talami anch'esso, ove qual volta

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soave l'assalìa forza di sonno,corcar solea le membra, il fulminanteOlimpio s'avvïò. Quivi salitoaddormentossi il nume, ed al suo fiancogiacque l'alma Giunon che d'oro ha il trono.

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soave l'assalìa forza di sonno,corcar solea le membra, il fulminanteOlimpio s'avvïò. Quivi salitoaddormentossi il nume, ed al suo fiancogiacque l'alma Giunon che d'oro ha il trono.

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Libro Secondo

Tutti ancora dormìan per l'alta nottei guerrieri e gli Dei; ma il dolce sonnogià le pupille abbandonato aveadi Giove che pensoso in suo segretodivisando venìa come d'Achille,con molta strage delle vite argive,illustrar la vendetta. Alla divinamente alfin parve lo miglior consiglioinvïar all'Atride Agamennóneil malefico Sogno. A sé lo chiama,e con presto parlar, Scendi, gli dice,scendi, Sogno fallace, alle velociprore de' Greci, e nella tenda entratod'Agamennón, quant'io t'impongo, esponiesatto ambasciator. Digli che tuttein armi ei ponga degli Achei le squadre,che dell'iliaco muro oggi è decretasu nel ciel la caduta; che discordidegli eterni d'Olimpo abitatoripiù non sono le menti; che di Giunocessero tutti al supplicar; che in sommal'estremo giorno de' Troiani è giunto.Disse; ed il Sogno, il divin cenno udito,avvïossi e calossi in un baleno

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Libro Secondo

Tutti ancora dormìan per l'alta nottei guerrieri e gli Dei; ma il dolce sonnogià le pupille abbandonato aveadi Giove che pensoso in suo segretodivisando venìa come d'Achille,con molta strage delle vite argive,illustrar la vendetta. Alla divinamente alfin parve lo miglior consiglioinvïar all'Atride Agamennóneil malefico Sogno. A sé lo chiama,e con presto parlar, Scendi, gli dice,scendi, Sogno fallace, alle velociprore de' Greci, e nella tenda entratod'Agamennón, quant'io t'impongo, esponiesatto ambasciator. Digli che tuttein armi ei ponga degli Achei le squadre,che dell'iliaco muro oggi è decretasu nel ciel la caduta; che discordidegli eterni d'Olimpo abitatoripiù non sono le menti; che di Giunocessero tutti al supplicar; che in sommal'estremo giorno de' Troiani è giunto.Disse; ed il Sogno, il divin cenno udito,avvïossi e calossi in un baleno

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su l'argoliche navi. Entra d'Atridenel queto padiglione, e immerso il trovanella dolcezza di nettareo sonno.Di Nestore Nelìde il volto assume,di Nestore, cui sovra ogni altro duceAgamennóne riveriva, e in questeforme sul capo del gran re sospesa,così la diva visïon gli disse:Tu dormi, o figlio del guerriero Atrèo?Tutta dormir la notte ad uom sconviensidi supremo consiglio, a cui son tantegenti commesse e tante cure. Attentodunque m'ascolta. A te vengh'io celestenunzio di Giove, che lontano ancorasu te veglia pietoso. Egli precettoti fa di porre tutti quanti in armeprontamente gli Achei. Tempo è venutoche l'ampia Troia in tua man cada: i numiscesero tutti, intercedente Giuno,in un solo volere, e alla troianagente sovrasta l'infortunio estremopreparato da Giove. Or tu ben figgiquesto avviso nell'alma, e fa che seconon lo si porti, col partirsi, il sonno.Sparve ciò detto; e delle udite cose,di che contrario uscir dovea l'effetto,pensoso lo lasciò. Prender di Troiaquel dì stesso le mura egli sperossi,

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su l'argoliche navi. Entra d'Atridenel queto padiglione, e immerso il trovanella dolcezza di nettareo sonno.Di Nestore Nelìde il volto assume,di Nestore, cui sovra ogni altro duceAgamennóne riveriva, e in questeforme sul capo del gran re sospesa,così la diva visïon gli disse:Tu dormi, o figlio del guerriero Atrèo?Tutta dormir la notte ad uom sconviensidi supremo consiglio, a cui son tantegenti commesse e tante cure. Attentodunque m'ascolta. A te vengh'io celestenunzio di Giove, che lontano ancorasu te veglia pietoso. Egli precettoti fa di porre tutti quanti in armeprontamente gli Achei. Tempo è venutoche l'ampia Troia in tua man cada: i numiscesero tutti, intercedente Giuno,in un solo volere, e alla troianagente sovrasta l'infortunio estremopreparato da Giove. Or tu ben figgiquesto avviso nell'alma, e fa che seconon lo si porti, col partirsi, il sonno.Sparve ciò detto; e delle udite cose,di che contrario uscir dovea l'effetto,pensoso lo lasciò. Prender di Troiaquel dì stesso le mura egli sperossi,

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né di Giove sapea, stolto! i disegni,né qual aspro pugnar, né quanta il Diodi lagrime cagione e di sospiriai Troiani e agli Achivi apparecchiava.Si riscuote dal sonno, e la divinavoce dintorno gli susurra ancora.Sorge, e del letto su la sponda assisouna molle s'avvolge alla personatunica intatta, immacolata; gittasiil regal manto indosso; il piè costringene' bei calzari; il brando aspro e lucented'argentee borchie all'omero sospende,l'invïolato avito scettro impugna,ed alle navi degli Achei cammina.Già sul balzo d'Olimpo alta ascendeadi Titon la consorte, annunziatricedell'alma luce a Giove e agli altri Eterni;quando con chiara voce i banditoriper comando d'Atride a parlamentoconvocaro gli Achei, che frettolosiaccorsero e frequenti. Ma raccolsede' magnanimi duci Agamennóneprima il senato alla nestorea nave,e raccolti che fûro, in questi accentiil suo prudente consultar propose:M'udite, amici. Nella queta notteuna divina visïon m'apparve,che te, Nestore padre, alla statura,

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né di Giove sapea, stolto! i disegni,né qual aspro pugnar, né quanta il Diodi lagrime cagione e di sospiriai Troiani e agli Achivi apparecchiava.Si riscuote dal sonno, e la divinavoce dintorno gli susurra ancora.Sorge, e del letto su la sponda assisouna molle s'avvolge alla personatunica intatta, immacolata; gittasiil regal manto indosso; il piè costringene' bei calzari; il brando aspro e lucented'argentee borchie all'omero sospende,l'invïolato avito scettro impugna,ed alle navi degli Achei cammina.Già sul balzo d'Olimpo alta ascendeadi Titon la consorte, annunziatricedell'alma luce a Giove e agli altri Eterni;quando con chiara voce i banditoriper comando d'Atride a parlamentoconvocaro gli Achei, che frettolosiaccorsero e frequenti. Ma raccolsede' magnanimi duci Agamennóneprima il senato alla nestorea nave,e raccolti che fûro, in questi accentiil suo prudente consultar propose:M'udite, amici. Nella queta notteuna divina visïon m'apparve,che te, Nestore padre, alla statura,

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agli atti, al volto somigliava in tutto.Sul mio capo librossi, e così disse:Figlio d'Atrèo, tu dormi? A sommo ducecui di tanti guerrieri e tante curecommesso è il pondo, non s'addice il sonno.M'odi adunque: mandato a te son ioda Giove che dal ciel di te pensieroprende e pietate. Ei tutte ti comandaarmar le truppe de' chiomati Achei,ché di Troia il conquisto oggi è maturo;poiché di Giuno il supplicar composela discordia de' numi, e grave ai Teucridanno sovrasta per voler di Giove.Tu di Giove il comando in cor riponi.Sparve, ciò detto, e quel mio dolce sonnom'abbandonò. La guisa or noi di porregli Achivi in arme esaminiam. Ma priagiovi con finto favellar tentarne,fin dove lice, i sentimenti. Io dunquecomanderò che su le navi ognunosi disponga alla fuga, e sparsi ad artevoi l'impedite con opposti accenti.Così detto s'assise. In piè rizzossidell'arenosa Pilo il regnatoreNestore, e saggio ragionando disse:O amici, o degli Achei principi e duci,s'altro qualunque Argivo un cotal sognodetto n'avesse, un menzogner l'avremmo,

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agli atti, al volto somigliava in tutto.Sul mio capo librossi, e così disse:Figlio d'Atrèo, tu dormi? A sommo ducecui di tanti guerrieri e tante curecommesso è il pondo, non s'addice il sonno.M'odi adunque: mandato a te son ioda Giove che dal ciel di te pensieroprende e pietate. Ei tutte ti comandaarmar le truppe de' chiomati Achei,ché di Troia il conquisto oggi è maturo;poiché di Giuno il supplicar composela discordia de' numi, e grave ai Teucridanno sovrasta per voler di Giove.Tu di Giove il comando in cor riponi.Sparve, ciò detto, e quel mio dolce sonnom'abbandonò. La guisa or noi di porregli Achivi in arme esaminiam. Ma priagiovi con finto favellar tentarne,fin dove lice, i sentimenti. Io dunquecomanderò che su le navi ognunosi disponga alla fuga, e sparsi ad artevoi l'impedite con opposti accenti.Così detto s'assise. In piè rizzossidell'arenosa Pilo il regnatoreNestore, e saggio ragionando disse:O amici, o degli Achei principi e duci,s'altro qualunque Argivo un cotal sognodetto n'avesse, un menzogner l'avremmo,

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e spregeremmo: ma lo vide il sommocapo del campo. A risvegliar si corradunque l'acheo valore. - E sì dicendousciva il vecchio dal consiglio, e tuttisurti in piè lo seguìan gli altri scettratidel re supremo ossequiosi. Intantoil popolo accorrea. Quale dai foridi cava pietra numeroso sbucalo sciame delle pecchie, e succedendosempre alle prime le seconde, volanosui fior di aprile a gara, e vi fan grappoloaltre di qua affollate, altre di là;così fuor delle navi e delle tendecorrean per l'ampio lido a parlamentoaffollate le turbe, e le spronaval'ignea Fama, di Giove ambasciatrice.Si congregaro alfin. Tumultuosobrulicava il consesso, ed al sedersidi tante genti il suol gemea di sotto.Ben nove araldi d'acchetar fean provaquell'immenso frastuono, alto gridando:Date fine ai clamori, udite i regi,udite, Achivi, del gran Dio gli alunni.Sostârsi alfine: ne' suoi seggi ognunosi compose, e cessò l'alto fragore.Allor rizzossi Agamennón stringendolo scettro, esimia di Vulcan fatica.Diè pria Vulcano quello scettro a Giove,

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e spregeremmo: ma lo vide il sommocapo del campo. A risvegliar si corradunque l'acheo valore. - E sì dicendousciva il vecchio dal consiglio, e tuttisurti in piè lo seguìan gli altri scettratidel re supremo ossequiosi. Intantoil popolo accorrea. Quale dai foridi cava pietra numeroso sbucalo sciame delle pecchie, e succedendosempre alle prime le seconde, volanosui fior di aprile a gara, e vi fan grappoloaltre di qua affollate, altre di là;così fuor delle navi e delle tendecorrean per l'ampio lido a parlamentoaffollate le turbe, e le spronaval'ignea Fama, di Giove ambasciatrice.Si congregaro alfin. Tumultuosobrulicava il consesso, ed al sedersidi tante genti il suol gemea di sotto.Ben nove araldi d'acchetar fean provaquell'immenso frastuono, alto gridando:Date fine ai clamori, udite i regi,udite, Achivi, del gran Dio gli alunni.Sostârsi alfine: ne' suoi seggi ognunosi compose, e cessò l'alto fragore.Allor rizzossi Agamennón stringendolo scettro, esimia di Vulcan fatica.Diè pria Vulcano quello scettro a Giove,

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e Giove all'uccisor d'Argo Mercurio;questi a Pelope auriga, esso ad Atrèo;Atrèo morendo al possessor di pinguigreggi Tieste, e da Tieste alfinenella destra passò d'Agamennóne,che poi sovr'Argo lo distese, e sopraisole molte. A questo il grande Atrideappoggiato, sì disse: Amici eroi,Dànai, di Marte bellicosi figli,in una dura e perigliosa impresaGiove m'avvolse, Iddio crudel, che primami promise e giurò delle superbeiliache mura la conquista, e in Argoglorioso il ritorno. Or mi deludeindegnamente, e dopo tante in guerravite perdute, di tornar m'imponeinonorato alle paterne rive.Del prepotente Iddio questo è il talento,di lui che nell'immensa sua possanzagià di molte città l'eccelse rocchedistrusse, e molte struggeranne ancora.Ma qual onta per noi appo i futuriche contra minor oste un tale e tantoesercito di forti una sì lungaguerra guerreggi; e non la cómpia ancora?Certo se tutti convocati insiemesalda pace a giurar Teucri ed Achivi,e di questi e di quei levato il conto,

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e Giove all'uccisor d'Argo Mercurio;questi a Pelope auriga, esso ad Atrèo;Atrèo morendo al possessor di pinguigreggi Tieste, e da Tieste alfinenella destra passò d'Agamennóne,che poi sovr'Argo lo distese, e sopraisole molte. A questo il grande Atrideappoggiato, sì disse: Amici eroi,Dànai, di Marte bellicosi figli,in una dura e perigliosa impresaGiove m'avvolse, Iddio crudel, che primami promise e giurò delle superbeiliache mura la conquista, e in Argoglorioso il ritorno. Or mi deludeindegnamente, e dopo tante in guerravite perdute, di tornar m'imponeinonorato alle paterne rive.Del prepotente Iddio questo è il talento,di lui che nell'immensa sua possanzagià di molte città l'eccelse rocchedistrusse, e molte struggeranne ancora.Ma qual onta per noi appo i futuriche contra minor oste un tale e tantoesercito di forti una sì lungaguerra guerreggi; e non la cómpia ancora?Certo se tutti convocati insiemesalda pace a giurar Teucri ed Achivi,e di questi e di quei levato il conto,

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ad ogni dieci Achivi un Teucro solomescer dovesse di lïeo la spuma,molte decurie si vedrìan chiedenticon labbro asciutto il mescitor: cotantomaggior de' Teucri cittadini estimoil numero de' nostri. Ma li moltida diverse città raccolti e scesiin lor sussidio bellicosi amiciduro intoppo mi fanno, e a mio dispettomi vietano espugnar d'Ilio le mura.Già del gran Giove il nono anno si volgeda che giungemmo, e già marciti i fianchison delle navi, e logore le sarte;e le nostre consorti e i cari figlidesïando ne stanno e richiamandonelle vedove case. E noi l'impresache a queste sponde ne condusse, ancoraconsumar non sapemmo. Al vento adunque,diamo al vento le vele, io vel consiglio,alla dolce fuggiam terra natìadi concorde voler, ché disperatadelle mura troiane è la conquista.Mosse quel dire delle turbe i petti,e fremea l'adunanza, a quella guisache dell'icario mare i vasti fluttisi confondono allor che Noto ed Eurodella nube di Giove il fianco aprendoa sollevar li vanno impetuosi.

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ad ogni dieci Achivi un Teucro solomescer dovesse di lïeo la spuma,molte decurie si vedrìan chiedenticon labbro asciutto il mescitor: cotantomaggior de' Teucri cittadini estimoil numero de' nostri. Ma li moltida diverse città raccolti e scesiin lor sussidio bellicosi amiciduro intoppo mi fanno, e a mio dispettomi vietano espugnar d'Ilio le mura.Già del gran Giove il nono anno si volgeda che giungemmo, e già marciti i fianchison delle navi, e logore le sarte;e le nostre consorti e i cari figlidesïando ne stanno e richiamandonelle vedove case. E noi l'impresache a queste sponde ne condusse, ancoraconsumar non sapemmo. Al vento adunque,diamo al vento le vele, io vel consiglio,alla dolce fuggiam terra natìadi concorde voler, ché disperatadelle mura troiane è la conquista.Mosse quel dire delle turbe i petti,e fremea l'adunanza, a quella guisache dell'icario mare i vasti fluttisi confondono allor che Noto ed Eurodella nube di Giove il fianco aprendoa sollevar li vanno impetuosi.

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E come quando di Favonio il soffiodenso campo di biade urta, e passandoil capo inchina delle bionde spiche;tal si commosse il parlamento, e tuttialle navi correan precipitosicon fremito guerrier. Sotto i lor piedis'alza la polve, e al ciel si volve oscura.I navigli allestir, lanciarli in mare,espurgarne le fosse, ed i puntellisottrarre alle carene era di tuttila faccenda e la gara. Arde ogni pettodel sacro amore delle patrie mura,e tutto di clamori il cielo eccheggia.E degli Achei quel dì sarìa seguìto,contro il voler de' fati, il dipartire,se con questo parlar non si volgeaGiuno a Minerva: O dell'Egìoco Padreinvincibile figlia, così dunque,il mar coprendo di fuggenti vele,al patrio lido rediran gli Achivi?Ed a Priamo l'onore, ai Teucri il vantolasceran tutto dell'argiva Elènadopo tante per lei, lungi dal caronido natìo, qui spente anime greche?Deh scendi al campo acheo, scendi, ed adopralusinghiero parlar, molci i soldati,frena la fuga, né patir che un solode' remiganti pini in mar sia tratto.

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E come quando di Favonio il soffiodenso campo di biade urta, e passandoil capo inchina delle bionde spiche;tal si commosse il parlamento, e tuttialle navi correan precipitosicon fremito guerrier. Sotto i lor piedis'alza la polve, e al ciel si volve oscura.I navigli allestir, lanciarli in mare,espurgarne le fosse, ed i puntellisottrarre alle carene era di tuttila faccenda e la gara. Arde ogni pettodel sacro amore delle patrie mura,e tutto di clamori il cielo eccheggia.E degli Achei quel dì sarìa seguìto,contro il voler de' fati, il dipartire,se con questo parlar non si volgeaGiuno a Minerva: O dell'Egìoco Padreinvincibile figlia, così dunque,il mar coprendo di fuggenti vele,al patrio lido rediran gli Achivi?Ed a Priamo l'onore, ai Teucri il vantolasceran tutto dell'argiva Elènadopo tante per lei, lungi dal caronido natìo, qui spente anime greche?Deh scendi al campo acheo, scendi, ed adopralusinghiero parlar, molci i soldati,frena la fuga, né patir che un solode' remiganti pini in mar sia tratto.

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Obbediente la cerulea Divadalle cime d'Olimpo dispiccossivelocissima, e tosto fu sul lido.Ivi Ulisse trovò, senno di Giove,occupato non già del suo naviglio,ma del dolor che il preme, e immoto in piedi.Gli si fece davanti la divinaGlaucopide dicendo: O di Laertegeneroso figliuol, prudente Ulisse,così dunque n'andrete? E al patrio suolonavigherete, e lascerete a Priamodi vostra fuga il vanto, ed ai Troianid'Argo la donna, e invendicato il sanguedi tanti, che per lei qui lo versaro,bellicosi compagni? A che ti stai?T'appresenta agli Achei, rompi gl'indugi,dolci adopra parole e li trattieni,né consentir che antenna in mar si spinga.Così disse la Dea. Ne riconobbel'eroe la voce, e via gittato il manto,che dopo lui raccolse il banditoreEurìbate itacense, a correr diessi;e incontrato l'Atride Agamennóne,ratto ne prende il regal scettro, e volacon questo in pugno tra le navi achee;e quanti ei trova o duci o re, li fermacon parlar lusinghiero; e, Che fai, dice,valoroso campione? A te de' vili

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Obbediente la cerulea Divadalle cime d'Olimpo dispiccossivelocissima, e tosto fu sul lido.Ivi Ulisse trovò, senno di Giove,occupato non già del suo naviglio,ma del dolor che il preme, e immoto in piedi.Gli si fece davanti la divinaGlaucopide dicendo: O di Laertegeneroso figliuol, prudente Ulisse,così dunque n'andrete? E al patrio suolonavigherete, e lascerete a Priamodi vostra fuga il vanto, ed ai Troianid'Argo la donna, e invendicato il sanguedi tanti, che per lei qui lo versaro,bellicosi compagni? A che ti stai?T'appresenta agli Achei, rompi gl'indugi,dolci adopra parole e li trattieni,né consentir che antenna in mar si spinga.Così disse la Dea. Ne riconobbel'eroe la voce, e via gittato il manto,che dopo lui raccolse il banditoreEurìbate itacense, a correr diessi;e incontrato l'Atride Agamennóne,ratto ne prende il regal scettro, e volacon questo in pugno tra le navi achee;e quanti ei trova o duci o re, li fermacon parlar lusinghiero; e, Che fai, dice,valoroso campione? A te de' vili

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disconvien la paura. Or via, ti resta,pregoti, e gli altri fa restar. La menteben palese non t'è d'Agamennóne;egli tenta gli Achei, pronto a punirli.Non tutti han chiaro ciò che dianzi in chiusoconsesso ei disse. Deh badiam, che iratonon ne percuota d'improvvisa offesa.Di re supremo acerba è l'ira, e Giove,che al trono l'educò, l'onora ed ama.S'uom poi vedea del vulgo, e lo coglieavociferante, collo scettro il dossobatteagli; e, Taci, gli garrìa severo,taci tu tristo, e i più prestanti ascoltatu codardo, tu imbelle, e nei consiglinullo e nell'armi. La vogliam noi forsefar qui tutti da re? Pazzo fu semprede' molti il regno. Un sol comandi, e queglicui scettro e leggi affida il Dio, quei solone sia di tutti correttor supremo.Così l'impero adoperando Ulissefrena le turbe, e queste a parlamentodalle navi di nuovo e dalle tendecon fragore accorrean, pari a marinaonda che mugge e sferza il lido, ed altone rimbomba l'Egeo. Queto s'assideciascheduno al suo posto: il sol Tersitedi gracchiar non si resta, e fa tumultoparlator petulante. Avea costui

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disconvien la paura. Or via, ti resta,pregoti, e gli altri fa restar. La menteben palese non t'è d'Agamennóne;egli tenta gli Achei, pronto a punirli.Non tutti han chiaro ciò che dianzi in chiusoconsesso ei disse. Deh badiam, che iratonon ne percuota d'improvvisa offesa.Di re supremo acerba è l'ira, e Giove,che al trono l'educò, l'onora ed ama.S'uom poi vedea del vulgo, e lo coglieavociferante, collo scettro il dossobatteagli; e, Taci, gli garrìa severo,taci tu tristo, e i più prestanti ascoltatu codardo, tu imbelle, e nei consiglinullo e nell'armi. La vogliam noi forsefar qui tutti da re? Pazzo fu semprede' molti il regno. Un sol comandi, e queglicui scettro e leggi affida il Dio, quei solone sia di tutti correttor supremo.Così l'impero adoperando Ulissefrena le turbe, e queste a parlamentodalle navi di nuovo e dalle tendecon fragore accorrean, pari a marinaonda che mugge e sferza il lido, ed altone rimbomba l'Egeo. Queto s'assideciascheduno al suo posto: il sol Tersitedi gracchiar non si resta, e fa tumultoparlator petulante. Avea costui

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di scurrili indigeste dicerìepieno il cerèbro, e fuor di tempo, e senzao ritegno o pudor le vomitavacontro i re tutti; e quanto a destar risoinfra gli Achivi gli venìa sul labbro,tanto il protervo beffator dicea.Non venne a Troia di costui più bruttoceffo; era guercio e zoppo, e di contrattagran gobba al petto; aguzzo il capo, e sparsodi raro pelo. Capital nemicodel Pelìde e d'Ulisse, ei li soleamorder rabbioso: e schiamazzando alloracolla stridula voce laceravaanche il duce supremo Agamennóne,sì che tutti di sdegno e di corrucciofremean; ma il tristo ognor più forti alzavale rampogne e gridava: E di che dunqueti lagni, Atride? che ti manca? Hai pienidi bronzo i padiglioni e di donzelle,delle vinte città spoglie presceltee da noi date a te primiero. O forsepur d'auro hai fame, e qualche Teucro aspettiche d'Ilio uscito lo ti rechi al piede,prezzo del figlio da me preso in guerra,da me medesmo, o da qualch'altro Acheo?O cerchi schiava giovinetta a cuimescolarti in amore alla spartita?Eh via, che a sommo imperador non lice

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di scurrili indigeste dicerìepieno il cerèbro, e fuor di tempo, e senzao ritegno o pudor le vomitavacontro i re tutti; e quanto a destar risoinfra gli Achivi gli venìa sul labbro,tanto il protervo beffator dicea.Non venne a Troia di costui più bruttoceffo; era guercio e zoppo, e di contrattagran gobba al petto; aguzzo il capo, e sparsodi raro pelo. Capital nemicodel Pelìde e d'Ulisse, ei li soleamorder rabbioso: e schiamazzando alloracolla stridula voce laceravaanche il duce supremo Agamennóne,sì che tutti di sdegno e di corrucciofremean; ma il tristo ognor più forti alzavale rampogne e gridava: E di che dunqueti lagni, Atride? che ti manca? Hai pienidi bronzo i padiglioni e di donzelle,delle vinte città spoglie presceltee da noi date a te primiero. O forsepur d'auro hai fame, e qualche Teucro aspettiche d'Ilio uscito lo ti rechi al piede,prezzo del figlio da me preso in guerra,da me medesmo, o da qualch'altro Acheo?O cerchi schiava giovinetta a cuimescolarti in amore alla spartita?Eh via, che a sommo imperador non lice

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Page 48: E-book campione Liber LiberILIADE Tradotta da Vincenzo Monti 6 Libro Primo Cantami, o Diva, del Pelìde Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo

scandalo farsi de' minori. Oh vili,oh infami, oh Achive, non Achei! Facciamovela una volta; e qui costui si lasciqui lui solo a smaltir la sua ricchezza,onde a prova conosca se l'aitagli è buona o no delle nostr'armi. E dianzinol vedemmo pur noi questo superboad Achille, a un guerrier che sì l'avanzadi fortezza, for onta? E dell'offesonon si tien egli la rapita schiava?Ma se d'Achille il cor di generosabile avvampasse, e un indolente vilenon si fosse egli pur, questo sarìastato l'estremo de' tuoi torti, Atride.Così contra il supremo Agamennóneimpazzava Tersite. Gli fu soprarepente il figlio di Laerte, e torvoguatandolo gridò: Fine alle tuefaconde ingiurie, ciarlator Tersite.E tu sendo il peggior di quanti a Troiacon gli Atridi passâr, tu audace e solonon dar di cozzo ai re, né rimenarlisu quella lingua con villane aringhe,né del ritorno t'impacciar, ché il finedi queste cose al nostro sguardo è oscuro,né sappiam se felice o sventuratoquesto ritorno riuscir ne debba.Ma di tue contumelie al sommo Atride

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scandalo farsi de' minori. Oh vili,oh infami, oh Achive, non Achei! Facciamovela una volta; e qui costui si lasciqui lui solo a smaltir la sua ricchezza,onde a prova conosca se l'aitagli è buona o no delle nostr'armi. E dianzinol vedemmo pur noi questo superboad Achille, a un guerrier che sì l'avanzadi fortezza, for onta? E dell'offesonon si tien egli la rapita schiava?Ma se d'Achille il cor di generosabile avvampasse, e un indolente vilenon si fosse egli pur, questo sarìastato l'estremo de' tuoi torti, Atride.Così contra il supremo Agamennóneimpazzava Tersite. Gli fu soprarepente il figlio di Laerte, e torvoguatandolo gridò: Fine alle tuefaconde ingiurie, ciarlator Tersite.E tu sendo il peggior di quanti a Troiacon gli Atridi passâr, tu audace e solonon dar di cozzo ai re, né rimenarlisu quella lingua con villane aringhe,né del ritorno t'impacciar, ché il finedi queste cose al nostro sguardo è oscuro,né sappiam se felice o sventuratoquesto ritorno riuscir ne debba.Ma di tue contumelie al sommo Atride

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so ben io lo perché: donato il vedidi molti doni dagli achivi eroi,per ciò ti sbracci a maledirlo. Or iocosa dirotti che vedrai compiuta.Se com'oggi insanir più ti ritrovo,caschimi il capo dalle spalle, e dettodi Telemaco il padre io più non sia,mai più, se non t'afferro, e delle vestitutto nudo, da questo almo consessonon ti caccio malconcio e piangoloso.Sì dicendo, le terga gli percuotecon lo scettro e le spalle. Si contorcee lagrima dirotto il manigoldodell'aureo scettro al tempestar, che tuttagli fa la schiena rubiconda; ond'eglidi dolor macerato e di pauras'assise, e obbliquo riguardando intornocol dosso della man si terse il pianto.Rallegrò quella vista i mesti Achivi,e surse in mezzo alla tristezza il riso;e fu chi vòlto al suo vicin dicea:Molte in vero d'Ulisse opre vedemmoeccellenti e di guerra e di consiglio,ma questa volta fra gli Achei, per dio!fe' la più bella delle belle imprese,frenando l'abbaiar di questo canedileggiator. Che sì, che all'arrogantepassò la frega di dar morso ai regi!

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so ben io lo perché: donato il vedidi molti doni dagli achivi eroi,per ciò ti sbracci a maledirlo. Or iocosa dirotti che vedrai compiuta.Se com'oggi insanir più ti ritrovo,caschimi il capo dalle spalle, e dettodi Telemaco il padre io più non sia,mai più, se non t'afferro, e delle vestitutto nudo, da questo almo consessonon ti caccio malconcio e piangoloso.Sì dicendo, le terga gli percuotecon lo scettro e le spalle. Si contorcee lagrima dirotto il manigoldodell'aureo scettro al tempestar, che tuttagli fa la schiena rubiconda; ond'eglidi dolor macerato e di pauras'assise, e obbliquo riguardando intornocol dosso della man si terse il pianto.Rallegrò quella vista i mesti Achivi,e surse in mezzo alla tristezza il riso;e fu chi vòlto al suo vicin dicea:Molte in vero d'Ulisse opre vedemmoeccellenti e di guerra e di consiglio,ma questa volta fra gli Achei, per dio!fe' la più bella delle belle imprese,frenando l'abbaiar di questo canedileggiator. Che sì, che all'arrogantepassò la frega di dar morso ai regi!

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Mentre questo dicean, levossi in piedie collo scettro di parlar fe' cennol'espugnatore di cittadi Ulisse.In sembianza d'araldo accanto a luila fiera Diva dalle luci azzurresilenzio a tutti impose, onde gli estremidel par che i primi udirne le parolepotessero, ed in cor pesarne il senno.Allora il saggio diè principio: Atride,questi Achivi di te vonno far oggiil più infamato de' mortali. Han postole promesse in obblìo fatte al partirsid'Argo alla volta d'Ilïon, giurandodi non tornarsi che Ilïon caduto.Guardali: a guisa di fanciulli, a guisadi vedovelle sospirar li senti,e a vicenda plorar per lo desìodi riveder le patrie mura. E in verotal qui si pate traversìa, che scusail desiderio de' paterni tetti.Se a navigante da vernal procellaimpedito e sbattuto in mar che freme,pur di un mese è crudel la lontananzadalla consorte, che pensar di noiche già vedemmo del nono anno il girosu questo lido? Compatir m'è forzadunque agli Achivi, se a mal cor qui stanno.Ma dopo tanta dimoranza è turpe

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Mentre questo dicean, levossi in piedie collo scettro di parlar fe' cennol'espugnatore di cittadi Ulisse.In sembianza d'araldo accanto a luila fiera Diva dalle luci azzurresilenzio a tutti impose, onde gli estremidel par che i primi udirne le parolepotessero, ed in cor pesarne il senno.Allora il saggio diè principio: Atride,questi Achivi di te vonno far oggiil più infamato de' mortali. Han postole promesse in obblìo fatte al partirsid'Argo alla volta d'Ilïon, giurandodi non tornarsi che Ilïon caduto.Guardali: a guisa di fanciulli, a guisadi vedovelle sospirar li senti,e a vicenda plorar per lo desìodi riveder le patrie mura. E in verotal qui si pate traversìa, che scusail desiderio de' paterni tetti.Se a navigante da vernal procellaimpedito e sbattuto in mar che freme,pur di un mese è crudel la lontananzadalla consorte, che pensar di noiche già vedemmo del nono anno il girosu questo lido? Compatir m'è forzadunque agli Achivi, se a mal cor qui stanno.Ma dopo tanta dimoranza è turpe

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vôti di gloria ritornar. Deh voi,deh ancor per poco tollerate, amici,tanto indugiate almen, che si conoscase vero o falso profetò Calcante.In cuor riposte ne teniam noi tuttile divine parole, e voi ne fostetestimoni, voi sì quanti la Parcanon aveste crudel. Parmi ancor ieriquando le navi achee di lutto a Troiaapportatrici in Aulide raccolte,noi ci stavamo in cerchio ad una fontesagrificando sui devoti altarivittime elette ai Sempiterni, all'ombrad'un platano al cui piè nascea di purelinfe il zampillo. Un gran prodigio apparvesubitamente. Un drago di sanguignemacchie spruzzato le cerulee terga,orribile a vedersi, e dallo stessore d'Olimpo spedito, ecco repentesbucar dall'imo altare, e tortuosoal platano avvinghiarsi. Avean lor nidoin cima a quello i nati tenerellidi passera feconda, latitantisotto le foglie: otto eran elli, e nonala madre. Colassù l'angue salitogl'implumi divorò, miseramentepigolanti. Plorava i dolci figlila madre intanto, e svolazzava intorno

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vôti di gloria ritornar. Deh voi,deh ancor per poco tollerate, amici,tanto indugiate almen, che si conoscase vero o falso profetò Calcante.In cuor riposte ne teniam noi tuttile divine parole, e voi ne fostetestimoni, voi sì quanti la Parcanon aveste crudel. Parmi ancor ieriquando le navi achee di lutto a Troiaapportatrici in Aulide raccolte,noi ci stavamo in cerchio ad una fontesagrificando sui devoti altarivittime elette ai Sempiterni, all'ombrad'un platano al cui piè nascea di purelinfe il zampillo. Un gran prodigio apparvesubitamente. Un drago di sanguignemacchie spruzzato le cerulee terga,orribile a vedersi, e dallo stessore d'Olimpo spedito, ecco repentesbucar dall'imo altare, e tortuosoal platano avvinghiarsi. Avean lor nidoin cima a quello i nati tenerellidi passera feconda, latitantisotto le foglie: otto eran elli, e nonala madre. Colassù l'angue salitogl'implumi divorò, miseramentepigolanti. Plorava i dolci figlila madre intanto, e svolazzava intorno

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pietosamente; finché ratto il serpevibrandosi afferrò la meschinellaall'estremo dell'ala, e lei che l'aureempiea di stridi, nella strozza ascose.Divorata co' figli anco la madre,del vorator fe' il Dio che lo mandavanuovo prodigio; e lo converse in sasso.Stupidi e muti ne lasciò del fattola meraviglia, e a noi, che dell'orrendoportento fra gli altari intervenutoincerti ci stavamo e paventosi,Calcante profetò: Chiomati Achivi,perché muti così? Giove ne mandanel veduto prodigio un tardo segnodi tardo evento, ma d'eterno onore.Nove augelli ingoiò l'angue divino,nov'anni a Troia ingoierà la guerra,e la città nel decimo cadrà.Così disse il profeta, ed ecco omaitutto adempirsi il vaticinio. Or dunqueperseverate, generosi Achei,restatevi di Troia al giorno estremo.Levossi a questo dire un alto grido,a cui le navi con orribil ecorispondean, grido lodator del saggioparlamento d'Ulisse. Ed incalzandoquei detti il vecchio cavalier Nestorre,Oh vergogna, dicea; sul vostro labbro

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pietosamente; finché ratto il serpevibrandosi afferrò la meschinellaall'estremo dell'ala, e lei che l'aureempiea di stridi, nella strozza ascose.Divorata co' figli anco la madre,del vorator fe' il Dio che lo mandavanuovo prodigio; e lo converse in sasso.Stupidi e muti ne lasciò del fattola meraviglia, e a noi, che dell'orrendoportento fra gli altari intervenutoincerti ci stavamo e paventosi,Calcante profetò: Chiomati Achivi,perché muti così? Giove ne mandanel veduto prodigio un tardo segnodi tardo evento, ma d'eterno onore.Nove augelli ingoiò l'angue divino,nov'anni a Troia ingoierà la guerra,e la città nel decimo cadrà.Così disse il profeta, ed ecco omaitutto adempirsi il vaticinio. Or dunqueperseverate, generosi Achei,restatevi di Troia al giorno estremo.Levossi a questo dire un alto grido,a cui le navi con orribil ecorispondean, grido lodator del saggioparlamento d'Ulisse. Ed incalzandoquei detti il vecchio cavalier Nestorre,Oh vergogna, dicea; sul vostro labbro

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parole intesi di fanciulli a cuinulla cal della guerra. Ove n'andrannoi giuramenti, le promesse e i tanticonsigli de' più saggi e i tanti affanni,le libagioni degli Dei, la fededelle congiunte destre? Dissipatin'andran col fumo dell'altare? Achei,noi contendiamo di parole indarno,e in vane induge il tempo si consuma,che dar si debbe a salutar riparo.Tien fermo, Atride, il tuo coraggio, e fermosu gli Achei nelle pugne alza lo scettro:ed in proposte, che d'effetto votecadran mai sempre, marcir lascia i pochiche in disparte consultano se in Argoredir si debba, pria che falsa o verasi conosca di Giove la promessa.Io ti fo certo che il saturnio figlio,il giorno che di Troia alla ruïnasciolser gli Achivi le veloci antenne,non dubbio cenno di favor ne fecebalenando a diritta. Alcun non siadunque che parli del tornarsi in Argo,se prima in braccio di troiana sposanon vendica d'Elèna il ratto e i pianti.Se taluno pur v'ha che voglia a forzadi qua partirsi, di toccar si proviil suo naviglio, e troverà primiero

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parole intesi di fanciulli a cuinulla cal della guerra. Ove n'andrannoi giuramenti, le promesse e i tanticonsigli de' più saggi e i tanti affanni,le libagioni degli Dei, la fededelle congiunte destre? Dissipatin'andran col fumo dell'altare? Achei,noi contendiamo di parole indarno,e in vane induge il tempo si consuma,che dar si debbe a salutar riparo.Tien fermo, Atride, il tuo coraggio, e fermosu gli Achei nelle pugne alza lo scettro:ed in proposte, che d'effetto votecadran mai sempre, marcir lascia i pochiche in disparte consultano se in Argoredir si debba, pria che falsa o verasi conosca di Giove la promessa.Io ti fo certo che il saturnio figlio,il giorno che di Troia alla ruïnasciolser gli Achivi le veloci antenne,non dubbio cenno di favor ne fecebalenando a diritta. Alcun non siadunque che parli del tornarsi in Argo,se prima in braccio di troiana sposanon vendica d'Elèna il ratto e i pianti.Se taluno pur v'ha che voglia a forzadi qua partirsi, di toccar si proviil suo naviglio, e troverà primiero

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la meritata morte. Tu frattantopria ti consiglia con te stesso, o sire,indi cogli altri, né sprezzar l'avvisoch'io ti porgo. Dividi i tuoi guerrieriper curie e per tribù, sì che a vicendasi porga aita una tribù con l'altra,l'una con l'altra curia. A questa guisa,obbedendo agli Achei, ti fia palesede' capitani a un tempo e de' soldatiqual siasi il prode e quale il vil; ché ognunocon emula virtù pel suo fratellocombatterà. Conoscerai pur ancose nume avverso, o codardìa de' tuoi,o poca d'armi maestrìa ti tolgadelle dardanie mura la conquista.Saggio vegliardo, gli rispose Atride,in tutti della guerra i parlamentinanzi a tutti tu vai. Piacesse a Giove,a Minerva piacesse e al santo Apollo,ch'altri dieci io m'avessi infra gli Acheia te pari in consiglio; ed atterratacadrìa ben tosto la città troiana.Ma me l'Egìoco Giove in alti affannisommerse, e incauto mi sospinse in vanegare e contese. Di parole avemmogran lite Achille ed io d'una fanciulla,ed io fui primo all'ira. Ma se fiache in amistà si torni, un sol momento

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la meritata morte. Tu frattantopria ti consiglia con te stesso, o sire,indi cogli altri, né sprezzar l'avvisoch'io ti porgo. Dividi i tuoi guerrieriper curie e per tribù, sì che a vicendasi porga aita una tribù con l'altra,l'una con l'altra curia. A questa guisa,obbedendo agli Achei, ti fia palesede' capitani a un tempo e de' soldatiqual siasi il prode e quale il vil; ché ognunocon emula virtù pel suo fratellocombatterà. Conoscerai pur ancose nume avverso, o codardìa de' tuoi,o poca d'armi maestrìa ti tolgadelle dardanie mura la conquista.Saggio vegliardo, gli rispose Atride,in tutti della guerra i parlamentinanzi a tutti tu vai. Piacesse a Giove,a Minerva piacesse e al santo Apollo,ch'altri dieci io m'avessi infra gli Acheia te pari in consiglio; ed atterratacadrìa ben tosto la città troiana.Ma me l'Egìoco Giove in alti affannisommerse, e incauto mi sospinse in vanegare e contese. Di parole avemmogran lite Achille ed io d'una fanciulla,ed io fui primo all'ira. Ma se fiache in amistà si torni, un sol momento

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non tarderà di Troia il danno estremo.Or via, di cibo a ristorar le forzeitene tutti per la pugna. Ognunol'asta raffili, ognun lo scudo assetti,di copioso alimento ognun governii corridor veloci, e diligentevisiti il cocchio, e mediti il conflitto;onde questo sia giorno di battagliatutto e di sangue, e senza posa alcuna,finché la notte non estingua l'irede' combattenti. Di guerrier sudorebagnerassi la soga dello scudosui caldi petti, verrà manco il pugnosovra il calce dell'asta, e destrier mollitrarranno il cocchio con infranta lena.Qualunque io poscia scorgerò che lungidalla pugna si resti appo le navineghittoso, non fia chi salvo il mandidalla fame de' cani e degli augelli.Così disse, e al finir di sue parolemandâr gli Achivi un altissimo gridosomigliante al muggir d'onda spezzataall'alto lido ove il soffiar la cacciadi furioso Noto incontro ai fianchidi prominente scoglio, flagellatoda tutti i venti e da perpetue spume.Si levâr frettolosi, si disperseroper le navi, destâr per tutto il lido

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non tarderà di Troia il danno estremo.Or via, di cibo a ristorar le forzeitene tutti per la pugna. Ognunol'asta raffili, ognun lo scudo assetti,di copioso alimento ognun governii corridor veloci, e diligentevisiti il cocchio, e mediti il conflitto;onde questo sia giorno di battagliatutto e di sangue, e senza posa alcuna,finché la notte non estingua l'irede' combattenti. Di guerrier sudorebagnerassi la soga dello scudosui caldi petti, verrà manco il pugnosovra il calce dell'asta, e destrier mollitrarranno il cocchio con infranta lena.Qualunque io poscia scorgerò che lungidalla pugna si resti appo le navineghittoso, non fia chi salvo il mandidalla fame de' cani e degli augelli.Così disse, e al finir di sue parolemandâr gli Achivi un altissimo gridosomigliante al muggir d'onda spezzataall'alto lido ove il soffiar la cacciadi furioso Noto incontro ai fianchidi prominente scoglio, flagellatoda tutti i venti e da perpetue spume.Si levâr frettolosi, si disperseroper le navi, destâr per tutto il lido

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globi di fumo, ed imbandîr le mense.Chi a questo dio sacrifica, chi a quello,al suo ciascun si raccomanda, e il pregadi camparlo da morte nella pugna.Ma il re de' prodi Agamennóne un pinguetoro quinquenne al più possente numesagrifica, e convita i più prestanti:Nestore primamente e Idomenèo,quindi entrambi gli Aiaci, e di Tidèol'inclito figlio, e sesto il divo Ulisse.Spontaneo venne Menelao, cui notoera il travaglio del fratello. E questifêr di sé stessi una corona intornoalla vittima, e preso il salso farronel mezzo Agamennóne orando disse:Glorioso de' nembi adunatoreMassimo Giove abitator dell'etra,pria che il sole tramonti e l'aria imbruni,fa che fumanti al suol di Priamo io gettigli alti palagi, e d'ostil fiamma avvampile regie porte; fa che la mia lanciasquarci l'usbergo dell'ettòreo petto,e che dintorno a lui molti suoi fidiboccon distesi mordano la polve.Disse; ed il nume l'olocausto accolse,ma non il voto, e a lui più lutto ancorapreparando venìa. Finito il pregoe sparso il farro, ed incurvato all'ara

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globi di fumo, ed imbandîr le mense.Chi a questo dio sacrifica, chi a quello,al suo ciascun si raccomanda, e il pregadi camparlo da morte nella pugna.Ma il re de' prodi Agamennóne un pinguetoro quinquenne al più possente numesagrifica, e convita i più prestanti:Nestore primamente e Idomenèo,quindi entrambi gli Aiaci, e di Tidèol'inclito figlio, e sesto il divo Ulisse.Spontaneo venne Menelao, cui notoera il travaglio del fratello. E questifêr di sé stessi una corona intornoalla vittima, e preso il salso farronel mezzo Agamennóne orando disse:Glorioso de' nembi adunatoreMassimo Giove abitator dell'etra,pria che il sole tramonti e l'aria imbruni,fa che fumanti al suol di Priamo io gettigli alti palagi, e d'ostil fiamma avvampile regie porte; fa che la mia lanciasquarci l'usbergo dell'ettòreo petto,e che dintorno a lui molti suoi fidiboccon distesi mordano la polve.Disse; ed il nume l'olocausto accolse,ma non il voto, e a lui più lutto ancorapreparando venìa. Finito il pregoe sparso il farro, ed incurvato all'ara

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della vittima il collo, la scannaro,la discuoiaro, ne squartâr le cosce,le rivestîr di doppio zirbo, e sopraposervi i crudi brani. Indi la fiammad'aride schegge alimentando, a quellacocean gli entragni nello spiedo infissi.Adusti i fianchi, e fatto delle sacreviscere il saggio, lo restante in pezzinegli schidon confissero, ed acconcia--mente arrostito ne levaro il tutto.Finita l'opra, apparecchiâr le mense,e a suo talento vivandò ciascuno.Di cibo sazi e di bevanda, presea così dire il cavalier Nestorre:Re delle genti glorioso AtrideAgamennón, si tolga ogni dimoraall'impresa che in pugno il Dio ne pone.Degli araldi la voce alla rassegnachiami sul lido i loricati Achei,e noi scorriamo le raccolte squadre,e di Marte destiam l'ira e il desìo.Assentì pronto il sire, ed al suo cennol'acuto grido degli araldi diededella pugna agli Achivi il fiero invito.Corsero quelli frettolosi; e i regidi Giove alunni, che seguìan l'Atride,li ponean ratti in ordinanza. ErravaMinerva in mezzo, e le splendea sul petto

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della vittima il collo, la scannaro,la discuoiaro, ne squartâr le cosce,le rivestîr di doppio zirbo, e sopraposervi i crudi brani. Indi la fiammad'aride schegge alimentando, a quellacocean gli entragni nello spiedo infissi.Adusti i fianchi, e fatto delle sacreviscere il saggio, lo restante in pezzinegli schidon confissero, ed acconcia--mente arrostito ne levaro il tutto.Finita l'opra, apparecchiâr le mense,e a suo talento vivandò ciascuno.Di cibo sazi e di bevanda, presea così dire il cavalier Nestorre:Re delle genti glorioso AtrideAgamennón, si tolga ogni dimoraall'impresa che in pugno il Dio ne pone.Degli araldi la voce alla rassegnachiami sul lido i loricati Achei,e noi scorriamo le raccolte squadre,e di Marte destiam l'ira e il desìo.Assentì pronto il sire, ed al suo cennol'acuto grido degli araldi diededella pugna agli Achivi il fiero invito.Corsero quelli frettolosi; e i regidi Giove alunni, che seguìan l'Atride,li ponean ratti in ordinanza. ErravaMinerva in mezzo, e le splendea sul petto

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incorrotta, immortal la prezïosaEgida da cui cento eran sospesefrange conteste di finissim'oro,e valea cento tauri ogni gherone.In quest'arme la Diva folgorandoconcitava gli Achivi, ed accendeal'ardir ne' petti, e li facea gagliardia pugnar fieramente e senza posa.Allor la guerra si fe' dolce al corepiù che il volger le vele al patrio nido.Siccome quando la vorace vampasulla montagna una gran selva incende,sorge splendor che lungi si propaga;così al marciar delle falangi achivemandan l'armi un chiaror che tutto intornodi tremuli baleni il cielo infiamma.E qual d'oche o di gru volanti esercitiovver di cigni che snodati il tenuecollo van d'Asio ne' bei verdi a pascerelungo il Caïstro, e vagolando esultanosu le larghe ale, e nel calar s'incalzanocon tale un rombo che ne suona il prato;così le genti achee da navi e tendesi diffondono in frotte alla pianuradel divino Scamandro, e il suol rimbombasotto il piè de' guerrieri e de' cavalliterribilmente. Nelle verdi landedel fiume s'arrestâr gremìti e spessi

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incorrotta, immortal la prezïosaEgida da cui cento eran sospesefrange conteste di finissim'oro,e valea cento tauri ogni gherone.In quest'arme la Diva folgorandoconcitava gli Achivi, ed accendeal'ardir ne' petti, e li facea gagliardia pugnar fieramente e senza posa.Allor la guerra si fe' dolce al corepiù che il volger le vele al patrio nido.Siccome quando la vorace vampasulla montagna una gran selva incende,sorge splendor che lungi si propaga;così al marciar delle falangi achivemandan l'armi un chiaror che tutto intornodi tremuli baleni il cielo infiamma.E qual d'oche o di gru volanti esercitiovver di cigni che snodati il tenuecollo van d'Asio ne' bei verdi a pascerelungo il Caïstro, e vagolando esultanosu le larghe ale, e nel calar s'incalzanocon tale un rombo che ne suona il prato;così le genti achee da navi e tendesi diffondono in frotte alla pianuradel divino Scamandro, e il suol rimbombasotto il piè de' guerrieri e de' cavalliterribilmente. Nelle verdi landedel fiume s'arrestâr gremìti e spessi

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come le foglie e i fior di primavera.Conti lo sciame dell'impronte moscheche ronzano in april nella capanna,quando di latte sgorgano le secchie,chi contar degli Achei desìa le tormeanelanti de' Teucri alla rovina.Ma quale è de' caprai la maestrìanel divider le greggie, allor che il pascole confonde e le mesce, a questa guisain ordinate squadre i capitanischieravano gli Achivi alla battaglia.Agamennón qual tauro era nel mezzo,che nobile e sovrana alza la frontesovra tutto l'armento e lo conduce:e tal fra tanti eroi Giove gl'infondee garbo e maestà, che Marte al cinto,Nettunno al petto, e il Folgorante istessonegli sguardi somiglia e nella testa.Muse dell'alto Olimpo abitatrici,or voi ne dite (ché voi tutte, o Dive,riguardate le cose e le sapete:a noi nessuna è conta, e ne susurradi fuggitiva fama un'aura appena),dite voi degli Achivi i condottieri.Della turba infinita io né parolefarò né nome, ché bastanti a questonon dieci lingue mi sarìan né diecibocche, né voce pur di ferreo petto.

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come le foglie e i fior di primavera.Conti lo sciame dell'impronte moscheche ronzano in april nella capanna,quando di latte sgorgano le secchie,chi contar degli Achei desìa le tormeanelanti de' Teucri alla rovina.Ma quale è de' caprai la maestrìanel divider le greggie, allor che il pascole confonde e le mesce, a questa guisain ordinate squadre i capitanischieravano gli Achivi alla battaglia.Agamennón qual tauro era nel mezzo,che nobile e sovrana alza la frontesovra tutto l'armento e lo conduce:e tal fra tanti eroi Giove gl'infondee garbo e maestà, che Marte al cinto,Nettunno al petto, e il Folgorante istessonegli sguardi somiglia e nella testa.Muse dell'alto Olimpo abitatrici,or voi ne dite (ché voi tutte, o Dive,riguardate le cose e le sapete:a noi nessuna è conta, e ne susurradi fuggitiva fama un'aura appena),dite voi degli Achivi i condottieri.Della turba infinita io né parolefarò né nome, ché bastanti a questonon dieci lingue mi sarìan né diecibocche, né voce pur di ferreo petto.

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Di tutta l'oste ad Ilio navigatadivisar la memoria altri non puoteche l'alme figlie dell'Egìoco Giove.Sol dunque i duci, e sol le navi io canto.Erano de' Beozi i capitaniArcesilao, Leìto e Penelèoe Protenore e Clonio, e traean secod'Iria i coloni e d'Aulide petrosa,con quei di Scheno e Scolo, e quei dell'ertaEteono e di Tespia, e quei che mandala spazïosa Micalesso e Grea;e quei che d'Arma la contrada edùca,ed Ilesio ed Erìtre ed Eleonee Peteone ed Ila ed Ocalèa.Seguono i prodi della ben costruttaMedeone e di Cope, e gli abitantid'Eutresi e Tisbe di colombe altrice.Di Coronèa vien dopo e dell'erbosaAlïarto e di Glissa e di Platèae d'Ipotebe dalle salde murauna gran torma: ed altri abbandonarole sacrate a Nettunno inclite selved'Onchesto, e d'Arne i pampinosi colli;altri il pian di Midèa; altri di Nisagli almi boschetti, e gli ultimi confinid'Antèdone. Di questi eran cinquantale navi, e ognuna cento prodi e venti,fior di beozia gioventù, portava.

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Di tutta l'oste ad Ilio navigatadivisar la memoria altri non puoteche l'alme figlie dell'Egìoco Giove.Sol dunque i duci, e sol le navi io canto.Erano de' Beozi i capitaniArcesilao, Leìto e Penelèoe Protenore e Clonio, e traean secod'Iria i coloni e d'Aulide petrosa,con quei di Scheno e Scolo, e quei dell'ertaEteono e di Tespia, e quei che mandala spazïosa Micalesso e Grea;e quei che d'Arma la contrada edùca,ed Ilesio ed Erìtre ed Eleonee Peteone ed Ila ed Ocalèa.Seguono i prodi della ben costruttaMedeone e di Cope, e gli abitantid'Eutresi e Tisbe di colombe altrice.Di Coronèa vien dopo e dell'erbosaAlïarto e di Glissa e di Platèae d'Ipotebe dalle salde murauna gran torma: ed altri abbandonarole sacrate a Nettunno inclite selved'Onchesto, e d'Arne i pampinosi colli;altri il pian di Midèa; altri di Nisagli almi boschetti, e gli ultimi confinid'Antèdone. Di questi eran cinquantale navi, e ognuna cento prodi e venti,fior di beozia gioventù, portava.

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Dell'Orcomèno Minïèo gli eletti,misti a quei d'Aspledóne, hanno a lor duciAscalafo e Ialmeno, ambo di Marteegregia prole. Ne' secreti alberghid'Attore Azìde partorilli Astiochevereconda fanciulla, alle supernestanze salita, e al forte iddio commistain amplesso furtivo. Eran di questitrenta le navi che schierârsi al lido.Regge la squadra de' Focensi il cennodi Schedio e d'Epistròfo, incliti figlidel generoso Naubolìde Ifìto.Invìa questi guerrier la discoscesabalza di Pito, e Ciparisso e Crissa,gentil paese, e Daulide e Panope.D'Anemoria e di Jampoli van secogli abitatori, e quei che del Cefisobeon l'onde sacre, e quei che di Lilèadomano i gioghi alle cefisie fonti.Son quaranta le prore al mar fidateda questi prodi, e tutte in ordinanzade' Beozî disposte al manco lato.Di Locride guidava i valorosiAiace d'Oïlèo, veloce al corso.Di tutta la persona egli è minoredel Telamonio, né minor di poco;ma picciolo quantunque e non copertoche di lino torace, ei tutti avanza

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Dell'Orcomèno Minïèo gli eletti,misti a quei d'Aspledóne, hanno a lor duciAscalafo e Ialmeno, ambo di Marteegregia prole. Ne' secreti alberghid'Attore Azìde partorilli Astiochevereconda fanciulla, alle supernestanze salita, e al forte iddio commistain amplesso furtivo. Eran di questitrenta le navi che schierârsi al lido.Regge la squadra de' Focensi il cennodi Schedio e d'Epistròfo, incliti figlidel generoso Naubolìde Ifìto.Invìa questi guerrier la discoscesabalza di Pito, e Ciparisso e Crissa,gentil paese, e Daulide e Panope.D'Anemoria e di Jampoli van secogli abitatori, e quei che del Cefisobeon l'onde sacre, e quei che di Lilèadomano i gioghi alle cefisie fonti.Son quaranta le prore al mar fidateda questi prodi, e tutte in ordinanzade' Beozî disposte al manco lato.Di Locride guidava i valorosiAiace d'Oïlèo, veloce al corso.Di tutta la persona egli è minoredel Telamonio, né minor di poco;ma picciolo quantunque e non copertoche di lino torace, ei tutti avanza

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e Greci e Achivi nel vibrar dell'asta.Di Cino, di Callïaro e d'Opuntelo seguono i deletti, e quei di Bessa,e quei che i colti dell'amena Augèee di Scarfe lasciâr, misti di Tarfaai duri agresti, e quei di Tronio a cuiil Boagrio torrente i campi allaga.Venti e venti il seguìan preste carenedella locrese gioventù venutadi là dai fini della sacra Eubèa.Ma gl'incoli d'Eubèa gli arditi Abanti,Eretrïensi, Calcidensi, e quellidell'aprica vitifera Istïea,e di Cerinto e in una i marinari,e i montanari dell'alpestre Dio,e quei di Stira e di Caristo han duceil bellicoso Elefenòr, figliuolodi Calcodonte, e sir de' prodi Abanti.Snellissimi di piè portan costorofiocchi di chiome su la nuca, egregicombattitori, a maraviglia spertinell'abbassar la lancia, e sul nemicopetto smagliati fracassar gli usberghi.E quaranta di questi eran le vele.Della splendida Atene ecco gli eroi,popolo del magnanimo Erettèocui l'alma terra partorì. Nudrilloed in Atene il collocò Minerva

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e Greci e Achivi nel vibrar dell'asta.Di Cino, di Callïaro e d'Opuntelo seguono i deletti, e quei di Bessa,e quei che i colti dell'amena Augèee di Scarfe lasciâr, misti di Tarfaai duri agresti, e quei di Tronio a cuiil Boagrio torrente i campi allaga.Venti e venti il seguìan preste carenedella locrese gioventù venutadi là dai fini della sacra Eubèa.Ma gl'incoli d'Eubèa gli arditi Abanti,Eretrïensi, Calcidensi, e quellidell'aprica vitifera Istïea,e di Cerinto e in una i marinari,e i montanari dell'alpestre Dio,e quei di Stira e di Caristo han duceil bellicoso Elefenòr, figliuolodi Calcodonte, e sir de' prodi Abanti.Snellissimi di piè portan costorofiocchi di chiome su la nuca, egregicombattitori, a maraviglia spertinell'abbassar la lancia, e sul nemicopetto smagliati fracassar gli usberghi.E quaranta di questi eran le vele.Della splendida Atene ecco gli eroi,popolo del magnanimo Erettèocui l'alma terra partorì. Nudrilloed in Atene il collocò Minerva

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alla sant'ombra de' suoi pingui altari,ove l'attica gente a statuitogiro di soli con agnelli e tauriplaca la Diva. Guidator di questiera il Petìde Menestèo. Non vedepari il mondo a costui nella scïenzadi squadronar cavalli e fanti. Il soloNestor l'eguaglia, perché d'anni il vince.Cinquanta navi ha seco. Unîrsi a questesei altre e sei di Salamina uscite,al Telamonio Aiace obbedienti.Seguìa l'eletta de' guerrier, cui d'Argomandava la pianura e la superbad'ardue mura Tirinto e le di cupogolfo custodi Ermïone ed Asìne.Con essi di Trezene e della lietadi pampini Epidauro e d'Eïonevenìa la squadra; e dopo questa un fierodi giovani drappello che d'Eginalasciò gli scogli e di Masete. A questitre sono i duci, il marzio Dïomede,Stènelo dell'altero Capanèodiletta prole, e il somigliante a numeEurïalo figliuol di MecistèoTalaionide. Ma del corpo tuttocondottiero supremo è Dïomede.E sono ottanta di costor le antenne.Ma ben cento son quelle a cui comanda

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alla sant'ombra de' suoi pingui altari,ove l'attica gente a statuitogiro di soli con agnelli e tauriplaca la Diva. Guidator di questiera il Petìde Menestèo. Non vedepari il mondo a costui nella scïenzadi squadronar cavalli e fanti. Il soloNestor l'eguaglia, perché d'anni il vince.Cinquanta navi ha seco. Unîrsi a questesei altre e sei di Salamina uscite,al Telamonio Aiace obbedienti.Seguìa l'eletta de' guerrier, cui d'Argomandava la pianura e la superbad'ardue mura Tirinto e le di cupogolfo custodi Ermïone ed Asìne.Con essi di Trezene e della lietadi pampini Epidauro e d'Eïonevenìa la squadra; e dopo questa un fierodi giovani drappello che d'Eginalasciò gli scogli e di Masete. A questitre sono i duci, il marzio Dïomede,Stènelo dell'altero Capanèodiletta prole, e il somigliante a numeEurïalo figliuol di MecistèoTalaionide. Ma del corpo tuttocondottiero supremo è Dïomede.E sono ottanta di costor le antenne.Ma ben cento son quelle a cui comanda

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il regnatore Agamennóne Atride.Sua seguace è la gente che gl'invìala regale Micene e l'opulentaCorinto, e quella della ben costruttaCleone e quella che d'Ornee discende,e dall'amena Aretirèa. Né scarsafu de' suoi Sicïon, seggio primierod'Adrasto. Anco Iperesia, anco l'eccelsaGonoessa e Pellene ed Egio e tuttele marittime prode, e tutta intornod'Elice la campagna impoverîrsid'abitatori. E questa truppa è fioredi gagliardi, e la più di quante alloraschierârsi in campo. D'arme rilucentiiva il duce vestito, ed esultavain suo segreto del vedersi il primofra tanti eroi; e veramente egli erail maggior di que' regi, e conduceail maggior nerbo delle forze achive.Il concavo di balze incoronatolacedemonio suol Sparta e Brisèe,e Fari e Messa di colombe altrice,e Augìe la lieta e l'amiclèa contrada,Etila ed Elo al mar giacente e Laa,queste tutte spedîr sovra sessantaprore i lor figli; e Menelao li guidaaïtante guerrier. Disgiunta ei tienedalla fraterna la sua schiera, e forte

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il regnatore Agamennóne Atride.Sua seguace è la gente che gl'invìala regale Micene e l'opulentaCorinto, e quella della ben costruttaCleone e quella che d'Ornee discende,e dall'amena Aretirèa. Né scarsafu de' suoi Sicïon, seggio primierod'Adrasto. Anco Iperesia, anco l'eccelsaGonoessa e Pellene ed Egio e tuttele marittime prode, e tutta intornod'Elice la campagna impoverîrsid'abitatori. E questa truppa è fioredi gagliardi, e la più di quante alloraschierârsi in campo. D'arme rilucentiiva il duce vestito, ed esultavain suo segreto del vedersi il primofra tanti eroi; e veramente egli erail maggior di que' regi, e conduceail maggior nerbo delle forze achive.Il concavo di balze incoronatolacedemonio suol Sparta e Brisèe,e Fari e Messa di colombe altrice,e Augìe la lieta e l'amiclèa contrada,Etila ed Elo al mar giacente e Laa,queste tutte spedîr sovra sessantaprore i lor figli; e Menelao li guidaaïtante guerrier. Disgiunta ei tienedalla fraterna la sua schiera, e forte

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del suo proprio valor la sprona all'armi,di vendicar su i Teucri impazïentel'onta e i sospir della rapita Elèna.Di novanta navigli capitanoveniva il veglio cavalier Nestorre.Di Pilo ei guida e dell'aprica Arenegli abitanti e di Trio, guado d'Alfèo,e della ben fondata Epi, con quellia cui Ciparissente e Anfigenìasono stanza, e Ptelèo ed Elo e Dorio,Dorio famosa per l'acerbo scontroche col tracio Tamiri ebber le Museil giorno che d'Ecalia e dagli alberghidell'ecaliese Eurìto ei fea ritorno.Millantava costui che vinte avrìaal paragon del canto anco le Muse,le Muse figlie dell'Egìoco Giove.Adirate le dive al burbanzosotolser la luce e il dolce canto e l'artedelle corde dilette animatrice.Seguìa l'arcade schiera dalle faldedel Cillene discesa e dai contornidel tumulo d'Epìto, esperta gentenel ferir da vicino. Uscìa con essadi campestri garzoni una caterva,che del Fenèo li paschi e il pecorosoOrcomeno lasciâr. V'eran di Ripee di Strazia i coloni e di Tegèa,

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del suo proprio valor la sprona all'armi,di vendicar su i Teucri impazïentel'onta e i sospir della rapita Elèna.Di novanta navigli capitanoveniva il veglio cavalier Nestorre.Di Pilo ei guida e dell'aprica Arenegli abitanti e di Trio, guado d'Alfèo,e della ben fondata Epi, con quellia cui Ciparissente e Anfigenìasono stanza, e Ptelèo ed Elo e Dorio,Dorio famosa per l'acerbo scontroche col tracio Tamiri ebber le Museil giorno che d'Ecalia e dagli alberghidell'ecaliese Eurìto ei fea ritorno.Millantava costui che vinte avrìaal paragon del canto anco le Muse,le Muse figlie dell'Egìoco Giove.Adirate le dive al burbanzosotolser la luce e il dolce canto e l'artedelle corde dilette animatrice.Seguìa l'arcade schiera dalle faldedel Cillene discesa e dai contornidel tumulo d'Epìto, esperta gentenel ferir da vicino. Uscìa con essadi campestri garzoni una caterva,che del Fenèo li paschi e il pecorosoOrcomeno lasciâr. V'eran di Ripee di Strazia i coloni e di Tegèa,

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e quei d'Enispe tempestosa, e quellicui dell'amena Mantinèa nutriscel'opima gleba e la stinfalia vallee la parrasia selva. Avean costorospiegate al vento di cinquanta e diecinavi le vele, che a varcar le negreonde lor diè lo stesso rege AtrideAgamennóne; perocché di studimarinareschi all'Arcade non cale.D'intrepidi nell'arme e sperti pettiiva carca ciascuna, e la reggead'Ancèo figliuolo il rege Agapenorre.La squadra che consegue, e si dividequadripartita, ha quattro duci, e ognunoa dieci navi accenna. Le montaromolti Epèi valorosi, e gli abitantidi Buprasio e del sacro elèo paese,e di tutto il terren che tra il confinedi Mirsino ed Irmino si racchiude,e tra l'Olenia rupe e l'erto Alìsio.Di Cteato figliuol l'illustre Anfimacoguida il primo squadron, Talpio il secondoegregio seme dell'Eurìto Attòride;Dïore il terzo, generosa proled'Amarincèo. Del quarto è correttoreil simigliante a nume Polisseno,germe dell'Augeïade Agastene.Ai forti di Dulichio e delle sacre

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e quei d'Enispe tempestosa, e quellicui dell'amena Mantinèa nutriscel'opima gleba e la stinfalia vallee la parrasia selva. Avean costorospiegate al vento di cinquanta e diecinavi le vele, che a varcar le negreonde lor diè lo stesso rege AtrideAgamennóne; perocché di studimarinareschi all'Arcade non cale.D'intrepidi nell'arme e sperti pettiiva carca ciascuna, e la reggead'Ancèo figliuolo il rege Agapenorre.La squadra che consegue, e si dividequadripartita, ha quattro duci, e ognunoa dieci navi accenna. Le montaromolti Epèi valorosi, e gli abitantidi Buprasio e del sacro elèo paese,e di tutto il terren che tra il confinedi Mirsino ed Irmino si racchiude,e tra l'Olenia rupe e l'erto Alìsio.Di Cteato figliuol l'illustre Anfimacoguida il primo squadron, Talpio il secondoegregio seme dell'Eurìto Attòride;Dïore il terzo, generosa proled'Amarincèo. Del quarto è correttoreil simigliante a nume Polisseno,germe dell'Augeïade Agastene.Ai forti di Dulichio e delle sacre

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Echinadi isolette, che rimpettoalle contrade elèe rompon l'oppostopelago, a questi è condottier Megete,di sembiante guerrier pari a Gradivo.Il generò Filèo diletto a Giove,buon cavalier che dai paterni un giornoodii sospinto alla dulichia terramigrò fuggendo, e v'ebbe impero. Il figlioquaranta prore ad Ilïon guidava.Dei prodi Cefaleni, abitatorid'Itaca alpestre e di Nerito ombroso,di Crocilèa, di Samo e di Zacintoe dell'aspra Egelìpe e dell'oppostocontinente, di tutti è duce Ulissevero senno di Giove; e lo seguiènododici navi di vermiglio pinte.Ne spinge in mar quaranta il capitanodegli Etoli Toante, a cui fu padreAndrèmone; e traea seco le tormedi Pleurone, d'Oleno e di Pilene,quelle dell'aspra Calidone e quelledi Calcide. E raccolta era in Toantedegli Etòli la somma signorìada che la Parca i figli ebbe percossodel magnanimo Enèo, posto col biondoMeleagro infelice ei pur sotterra.Il gran mastro di lancia Idomenèoguida i Cretesi che di Gnosso usciro,

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Echinadi isolette, che rimpettoalle contrade elèe rompon l'oppostopelago, a questi è condottier Megete,di sembiante guerrier pari a Gradivo.Il generò Filèo diletto a Giove,buon cavalier che dai paterni un giornoodii sospinto alla dulichia terramigrò fuggendo, e v'ebbe impero. Il figlioquaranta prore ad Ilïon guidava.Dei prodi Cefaleni, abitatorid'Itaca alpestre e di Nerito ombroso,di Crocilèa, di Samo e di Zacintoe dell'aspra Egelìpe e dell'oppostocontinente, di tutti è duce Ulissevero senno di Giove; e lo seguiènododici navi di vermiglio pinte.Ne spinge in mar quaranta il capitanodegli Etoli Toante, a cui fu padreAndrèmone; e traea seco le tormedi Pleurone, d'Oleno e di Pilene,quelle dell'aspra Calidone e quelledi Calcide. E raccolta era in Toantedegli Etòli la somma signorìada che la Parca i figli ebbe percossodel magnanimo Enèo, posto col biondoMeleagro infelice ei pur sotterra.Il gran mastro di lancia Idomenèoguida i Cretesi che di Gnosso usciro,

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di Litto, di Mileto e della forteGortina e dalla candida Licastoe di Festo e di Rizio, inclite tuttepopolose contrade, ed altri moltidell'alma Creta abitator, di Cretache di cento città porta ghirlanda.Di questi tutti Idomenèo dividecol marzio Merïon la glorïosacapitananza; e ottanta navi han seco.Nove da Rodi ne varâr gli alteriRodïani per l'isola partitiin triplice tribù: Lindo, Jaliso,e il biancheggiante di terren Camiro.L'Eraclide Tlepòlemo è lor duce,grande e robusto battaglier che al forteErcole un giorno Astïochèa produsse,cui d'Efira e dal fiume Selleenteseco addusse l'eroe, poiché distruttov'ebbe molte cittadi e molta insiemegioventù generosa. Entro i paternifidi alberghi Tlepòlemo cresciutodi subitaneo colpo a morte miseLicinnio, al padre avuncolo diletto,e canuto guerrier. Ratto costrussealquante navi l'uccisore, e accoltimolti compagni, si fuggì per l'onde,l'ira vitando e il minacciar degli altrifigli e nipoti dell'erculeo seme.

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di Litto, di Mileto e della forteGortina e dalla candida Licastoe di Festo e di Rizio, inclite tuttepopolose contrade, ed altri moltidell'alma Creta abitator, di Cretache di cento città porta ghirlanda.Di questi tutti Idomenèo dividecol marzio Merïon la glorïosacapitananza; e ottanta navi han seco.Nove da Rodi ne varâr gli alteriRodïani per l'isola partitiin triplice tribù: Lindo, Jaliso,e il biancheggiante di terren Camiro.L'Eraclide Tlepòlemo è lor duce,grande e robusto battaglier che al forteErcole un giorno Astïochèa produsse,cui d'Efira e dal fiume Selleenteseco addusse l'eroe, poiché distruttov'ebbe molte cittadi e molta insiemegioventù generosa. Entro i paternifidi alberghi Tlepòlemo cresciutodi subitaneo colpo a morte miseLicinnio, al padre avuncolo diletto,e canuto guerrier. Ratto costrussealquante navi l'uccisore, e accoltimolti compagni, si fuggì per l'onde,l'ira vitando e il minacciar degli altrifigli e nipoti dell'erculeo seme.

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Dopo error molti e stenti i fuggitivitoccâr di Rodi il lido, e qui divisitutti in tre parti posero la stanza:e il gran re de' mortali e degli Deili dilesse, e su lor piovve la pienad'infinita mirabile ricchezza.Nirèo tre navi conducea da Sima,Nirèo d'Aglaia figlio e di Caropo,Nirèo di quanti navigaro a Troiail più vago, il più bel, dopo il Pelìdebeltà perfetta. Ma un imbelle egli era;e turba lo seguìa di pochi oscuri.Quei che tenean Nisiro e Caso e Cràpatoe Coo seggio d'Euripilo, e le prodedell'isole Calidne, il cenno regged'Antifo e di Fidippo, ambo figliuolidi Tessalo Eraclìde. E trenta naviaravano a costor l'onda marina.Ditene adesso, o Dive, i valorosid'Alo e d'Alope e del pelasgic'Argoe di Trachine; né di Ftia né d'Ellade,di bellissime donne educatrice,gli eroi tacete, Mirmidon chiamati,ed Elleni ed Achei. Sopra cinquantaprore a costoro è capitano Achille.Ma di guerra in que' cor tace il pensiero,ch'ei più non hanno chi a pugnar li guidi.Il divino Pelìde appo le navi

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Dopo error molti e stenti i fuggitivitoccâr di Rodi il lido, e qui divisitutti in tre parti posero la stanza:e il gran re de' mortali e degli Deili dilesse, e su lor piovve la pienad'infinita mirabile ricchezza.Nirèo tre navi conducea da Sima,Nirèo d'Aglaia figlio e di Caropo,Nirèo di quanti navigaro a Troiail più vago, il più bel, dopo il Pelìdebeltà perfetta. Ma un imbelle egli era;e turba lo seguìa di pochi oscuri.Quei che tenean Nisiro e Caso e Cràpatoe Coo seggio d'Euripilo, e le prodedell'isole Calidne, il cenno regged'Antifo e di Fidippo, ambo figliuolidi Tessalo Eraclìde. E trenta naviaravano a costor l'onda marina.Ditene adesso, o Dive, i valorosid'Alo e d'Alope e del pelasgic'Argoe di Trachine; né di Ftia né d'Ellade,di bellissime donne educatrice,gli eroi tacete, Mirmidon chiamati,ed Elleni ed Achei. Sopra cinquantaprore a costoro è capitano Achille.Ma di guerra in que' cor tace il pensiero,ch'ei più non hanno chi a pugnar li guidi.Il divino Pelìde appo le navi

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neghittoso si giace, e della toltaBriseide l'ira si smaltisce in petto,bella di belle chiome alma fanciullache in Lirnesso ei s'avea con molto affannoconquistata per mezzo alla ruïnadi Lirnesso e di Tebe, a morte spintidel bellicoso Eveno ambo i figliuoliEpistrofo e Minete. Per costeilanguìa nell'ozio il mesto eroe; ma il giornodel suo destarsi all'armi era vicino.Quei che Filàce e la fiorita Pìrraso,terra a Cerere sacra, e la fecondadi molto gregge Itóne, e quei che mandala marittima Antrone e di Ptelèol'erboso suol, reggea, mentre che visse,il marzïal Protesilao. Ma luila negra terra allor chiudea nel seno,e la moglie in Filàce derelittale belle gote lacerava, e tuttavedova del suo re piangea la casa.Primo ei balzossi dalle navi, e primotrafitto cadde dal dardanio ferro:ma senza duce non restò sua schiera,ché Podarce or la guida, esimio figliodel Filacide Ificlo, che di pinguilanose torme avea molta ricchezza.Del magnanimo ucciso era Podarceminor germano; ma perché quel grande

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neghittoso si giace, e della toltaBriseide l'ira si smaltisce in petto,bella di belle chiome alma fanciullache in Lirnesso ei s'avea con molto affannoconquistata per mezzo alla ruïnadi Lirnesso e di Tebe, a morte spintidel bellicoso Eveno ambo i figliuoliEpistrofo e Minete. Per costeilanguìa nell'ozio il mesto eroe; ma il giornodel suo destarsi all'armi era vicino.Quei che Filàce e la fiorita Pìrraso,terra a Cerere sacra, e la fecondadi molto gregge Itóne, e quei che mandala marittima Antrone e di Ptelèol'erboso suol, reggea, mentre che visse,il marzïal Protesilao. Ma luila negra terra allor chiudea nel seno,e la moglie in Filàce derelittale belle gote lacerava, e tuttavedova del suo re piangea la casa.Primo ei balzossi dalle navi, e primotrafitto cadde dal dardanio ferro:ma senza duce non restò sua schiera,ché Podarce or la guida, esimio figliodel Filacide Ificlo, che di pinguilanose torme avea molta ricchezza.Del magnanimo ucciso era Podarceminor germano; ma perché quel grande

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non pur d'anni il vincea, ma di prodezza,l'egregio estinto duce era pur sempredi sua schiera il desìo. Di questa squadrason quaranta le navi in ordinanza.Gli abitator di Fere, appo il bebèostagno, e quelli di Bebe e di Glafirae dell'alta Jaolco avean salpatocon undici navigli. Eumelo è duce,germe caro d'Admeto, e la divinain fra le donne Alcesti il partorìo,delle figlie di Pelia la più bella.Di Metone, Taumacia e Melibèae dell'aspra Olizone era venutocon sette prore un fier drappello, e carcadi cinquanta gagliardi era ciascuna,sperti di remo e d'arco e di battaglia.Famoso arciero li reggea da primaFilottete; ma questi egro d'acutispasmi ora giace nella sacra Lenno,ove da tetra di pestifer anguepiaga offeso gli Achei l'abbandonaro.Ma dell'afflitto eroe gl'ingrati Argiviricorderansi, e in breve. Intanto il fidosuo stuol si strugge del desìo di lui,ma non va senza duce. Lo governaMedon cui spurio figlio ad Oïlèoeversor di città Rena produsse.Que' poi che Tricca e la scoscesa Itome

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non pur d'anni il vincea, ma di prodezza,l'egregio estinto duce era pur sempredi sua schiera il desìo. Di questa squadrason quaranta le navi in ordinanza.Gli abitator di Fere, appo il bebèostagno, e quelli di Bebe e di Glafirae dell'alta Jaolco avean salpatocon undici navigli. Eumelo è duce,germe caro d'Admeto, e la divinain fra le donne Alcesti il partorìo,delle figlie di Pelia la più bella.Di Metone, Taumacia e Melibèae dell'aspra Olizone era venutocon sette prore un fier drappello, e carcadi cinquanta gagliardi era ciascuna,sperti di remo e d'arco e di battaglia.Famoso arciero li reggea da primaFilottete; ma questi egro d'acutispasmi ora giace nella sacra Lenno,ove da tetra di pestifer anguepiaga offeso gli Achei l'abbandonaro.Ma dell'afflitto eroe gl'ingrati Argiviricorderansi, e in breve. Intanto il fidosuo stuol si strugge del desìo di lui,ma non va senza duce. Lo governaMedon cui spurio figlio ad Oïlèoeversor di città Rena produsse.Que' poi che Tricca e la scoscesa Itome

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ed Ecalia tenean seggio d'Eurito,han capitani d'Esculapio i figli,della paterna medic'arte entrambisperti assai, Podalirio e Macaone.Fan trenta navi di costor la schiera.Ormenio, Asterio e l'iperèe fontane,e del Titano le candenti cimei lor prodi mandâr sotto il comandodel chiaro figlio d'Evemone Eurìpiloda quaranta carene accompagnato.D'Argissa e di Girton, d'Orte e d'Elonae della bianca Oloossona i figliprocedono suggetti al fermo e fortePolipete, figliuol di Piritòo,del sempiterno Giove inclito seme;e generollo a Piritòo l'illustreIppodamìa quel dì che dei bimembriirti Centauri ei fe' l'alta vendetta,e li cacciò dal Pelio, e agli Eticesili confinò. Né solo è Polipete,ma seco è Leontèo, marzio germogliodel Cenìde magnanimo Corone.e questa è squadra di quaranta antenne.Venti da Cifo e due Gunèo ne guidad'Enïeni onerose e di Perebi,franchi soldati, e di color che intornoalla fredda Dodona avean la stanza,e di quelli che solcano gli ameni

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ed Ecalia tenean seggio d'Eurito,han capitani d'Esculapio i figli,della paterna medic'arte entrambisperti assai, Podalirio e Macaone.Fan trenta navi di costor la schiera.Ormenio, Asterio e l'iperèe fontane,e del Titano le candenti cimei lor prodi mandâr sotto il comandodel chiaro figlio d'Evemone Eurìpiloda quaranta carene accompagnato.D'Argissa e di Girton, d'Orte e d'Elonae della bianca Oloossona i figliprocedono suggetti al fermo e fortePolipete, figliuol di Piritòo,del sempiterno Giove inclito seme;e generollo a Piritòo l'illustreIppodamìa quel dì che dei bimembriirti Centauri ei fe' l'alta vendetta,e li cacciò dal Pelio, e agli Eticesili confinò. Né solo è Polipete,ma seco è Leontèo, marzio germogliodel Cenìde magnanimo Corone.e questa è squadra di quaranta antenne.Venti da Cifo e due Gunèo ne guidad'Enïeni onerose e di Perebi,franchi soldati, e di color che intornoalla fredda Dodona avean la stanza,e di quelli che solcano gli ameni

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campi cui l'onda titaresia irriga,rivo gentil che nel Penèo devolvele sue bell'acque, né però le mescecon gli argenti penèi, ma vi galleggiacome liquida oliva; ché di Stige(giuramento tremendo) egli è ruscello.Ultimo vien di Tentredone il figlioil veloce Protòo, duce ai Magnetidal bel Penèo mandati e dal frondosoPelio. Il seguìan quaranta navi. E questifur dell'achiva armata i capitani.Dimmi or, Musa, chi fosse il più valentedi tanti duci e de' cavalli insiemeche gli Atridi seguîr. Prestanti assaieran le ferezïadi puledrech'Eumèlo maneggiava, agili e rattecome penna d'augello, ambe d'un pelo,d'età pari e di dosso a dritto filo.Il vibrator del curvo arco d'argentoFebo educolle ne' pïerii prati,e portavan di Marte la pauranelle battaglie. Degli eroi primieroera l'Aiace Telamonio, mentreperseverò nell'ira il grande Achille,il più forte di tutti; e innanzi a tuttiivan di pregio i corridor portantil'incomparabil Tessalo. Ma questinelle ricurve navi si giacea

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campi cui l'onda titaresia irriga,rivo gentil che nel Penèo devolvele sue bell'acque, né però le mescecon gli argenti penèi, ma vi galleggiacome liquida oliva; ché di Stige(giuramento tremendo) egli è ruscello.Ultimo vien di Tentredone il figlioil veloce Protòo, duce ai Magnetidal bel Penèo mandati e dal frondosoPelio. Il seguìan quaranta navi. E questifur dell'achiva armata i capitani.Dimmi or, Musa, chi fosse il più valentedi tanti duci e de' cavalli insiemeche gli Atridi seguîr. Prestanti assaieran le ferezïadi puledrech'Eumèlo maneggiava, agili e rattecome penna d'augello, ambe d'un pelo,d'età pari e di dosso a dritto filo.Il vibrator del curvo arco d'argentoFebo educolle ne' pïerii prati,e portavan di Marte la pauranelle battaglie. Degli eroi primieroera l'Aiace Telamonio, mentreperseverò nell'ira il grande Achille,il più forte di tutti; e innanzi a tuttiivan di pregio i corridor portantil'incomparabil Tessalo. Ma questinelle ricurve navi si giacea

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inoperoso, e sempre spirante iracontro l'Atride Agamennóne. Intantolunghesso il mare al disco, all'asta, all'arcoi suoi guerrieri si prendean diletto.Ozïosi i cavalli appo i lor cocchipasceano l'apio paludoso e il loto,e i cocchi si giacean coperti e mutinelle tende dei duci, e i duci istessi,del bellicoso eroe desiderosi,givan pel campo vagabondi e inerti.Movean le schiere intanto in vista egualia un mar di foco inondator, che tuttadivorasse la terra; ed alla pestade' trascorrenti piedi il suol s'udìarimbombar. Come quando il fulminanteirato Giove Inarime flagelladuro letto a Tifèo, siccome è grido;così de' passi al suon gemea la terra.Mentre il campo traversano velocigli Achei, col piè che i venti adegua, ai TeucriIri discese di feral novellaapportatrice, e la spedìa di Gioveun comando. Tenean questi consigliogiovani e vecchi, congregati tuttine' regali vestiboli. Mischiossitra lor la Diva, di Polìte assuntal'apparenza e la voce. Era Polìtedi Priamo un figlio che, del piè fidando

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inoperoso, e sempre spirante iracontro l'Atride Agamennóne. Intantolunghesso il mare al disco, all'asta, all'arcoi suoi guerrieri si prendean diletto.Ozïosi i cavalli appo i lor cocchipasceano l'apio paludoso e il loto,e i cocchi si giacean coperti e mutinelle tende dei duci, e i duci istessi,del bellicoso eroe desiderosi,givan pel campo vagabondi e inerti.Movean le schiere intanto in vista egualia un mar di foco inondator, che tuttadivorasse la terra; ed alla pestade' trascorrenti piedi il suol s'udìarimbombar. Come quando il fulminanteirato Giove Inarime flagelladuro letto a Tifèo, siccome è grido;così de' passi al suon gemea la terra.Mentre il campo traversano velocigli Achei, col piè che i venti adegua, ai TeucriIri discese di feral novellaapportatrice, e la spedìa di Gioveun comando. Tenean questi consigliogiovani e vecchi, congregati tuttine' regali vestiboli. Mischiossitra lor la Diva, di Polìte assuntal'apparenza e la voce. Era Polìtedi Priamo un figlio che, del piè fidando

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nella prestezza, stavasi de' Teucriesploratore al monumento in cimadell'antico Esïeta, e vi spïavadegli Achivi la mossa. In queste formetrasse innanzi la Diva, e al re conversa,Padre, disse, che fai? Sempre a te piaceil molto sermonar come ne' giornidella pace; né pensi alla ruinache ne sovrasta. Molte pugne io vidi,ma tali e tante non vid'io giammaiordinate falangi. Numeroseal pari delle foglie e dell'areneprocedono nel campo a dar battagliasotto Troia. Tu dunque primamente,Ettore, ascolta un mio consiglio, e il poniad effetto. Nel sen di questa grandecittà diversi di diverse lingueabbiam guerrieri di soccorso. Ognunode' lor duci si ponga alla lor testa,e tutti in punto di pugnar li metta.Conobbe Ettorre della Dea la voce,e di subito sciolse il parlamento.Corresi all'armi, si spalancan tuttele porte, e folti sboccano in tumultofanti e cavalli. Alla città rimpettosolitario nel piano ergesi un collea cui s'ascende d'ogni parte. È dettoda' mortai Batïèa, dagl'immortali

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nella prestezza, stavasi de' Teucriesploratore al monumento in cimadell'antico Esïeta, e vi spïavadegli Achivi la mossa. In queste formetrasse innanzi la Diva, e al re conversa,Padre, disse, che fai? Sempre a te piaceil molto sermonar come ne' giornidella pace; né pensi alla ruinache ne sovrasta. Molte pugne io vidi,ma tali e tante non vid'io giammaiordinate falangi. Numeroseal pari delle foglie e dell'areneprocedono nel campo a dar battagliasotto Troia. Tu dunque primamente,Ettore, ascolta un mio consiglio, e il poniad effetto. Nel sen di questa grandecittà diversi di diverse lingueabbiam guerrieri di soccorso. Ognunode' lor duci si ponga alla lor testa,e tutti in punto di pugnar li metta.Conobbe Ettorre della Dea la voce,e di subito sciolse il parlamento.Corresi all'armi, si spalancan tuttele porte, e folti sboccano in tumultofanti e cavalli. Alla città rimpettosolitario nel piano ergesi un collea cui s'ascende d'ogni parte. È dettoda' mortai Batïèa, dagl'immortali

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tomba dell'agilissima Mirinna;ivi i Teucri schierârsi e i collegati.Capitan de' Troiani è il grande Ettorre,d'eccelso elmetto agitator. Lo seguede' più forti guerrier schiera infinitacoll'aste in pugno di ferir bramose.Ai Dardani comanda il valorosofigliuol d'Anchise Enea cui la divinaVenere in Ida partorì, commistaDiva immortale ad un mortal; ned eglisolo comanda, ma ben anco i dueAntenòridi Archìloco e Acamantein tutte guise di battaglia esperti.Quei che dell'Ida alle radici estremehanno stanza in Zelèa ricchi Troianila profonda beventi acqua d'Asepo,Pandaro guida, licaonio figlio,cui fe' dono dell'arco Apollo istesso.Della città d'Apesio e d'Adrastèa,di Pitïèa la gente e dell'eccelsaferèa montagna han duci Adrasto ed Anfiocorazzato di lino, ambo rampollidi Merope Percosio. Era costuidivinator famoso, ed a' suoi figlinon consentìa l'andata all'omicidaguerra. Ma i figli non l'udir; ché neroa morir li traea fato crudele.Mandâr Percote e Prazio e Sesto e Abido

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tomba dell'agilissima Mirinna;ivi i Teucri schierârsi e i collegati.Capitan de' Troiani è il grande Ettorre,d'eccelso elmetto agitator. Lo seguede' più forti guerrier schiera infinitacoll'aste in pugno di ferir bramose.Ai Dardani comanda il valorosofigliuol d'Anchise Enea cui la divinaVenere in Ida partorì, commistaDiva immortale ad un mortal; ned eglisolo comanda, ma ben anco i dueAntenòridi Archìloco e Acamantein tutte guise di battaglia esperti.Quei che dell'Ida alle radici estremehanno stanza in Zelèa ricchi Troianila profonda beventi acqua d'Asepo,Pandaro guida, licaonio figlio,cui fe' dono dell'arco Apollo istesso.Della città d'Apesio e d'Adrastèa,di Pitïèa la gente e dell'eccelsaferèa montagna han duci Adrasto ed Anfiocorazzato di lino, ambo rampollidi Merope Percosio. Era costuidivinator famoso, ed a' suoi figlinon consentìa l'andata all'omicidaguerra. Ma i figli non l'udir; ché neroa morir li traea fato crudele.Mandâr Percote e Prazio e Sesto e Abido

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e la nobile Arisba i lor guerrieri,ed Asio li conduce, Asio figliuolod'Irtaco, e prence che d'Arisba venneda fervidi portato alti cavallialla riviera sellentèa nudriti.Dalla pingue Larissa i furibondilanciatori pelasghi Ippòtoo menacon Pilèo, bellicosi ambo germoglidel pelasgico Leto Teutamìde.Acamante e l'eroe duce Piròoi Traci conducean quanti ne serral'estuoso Ellesponto; ed i Cicònidel giavellotto vibratori, Eufemodel Ceade Trezeno alto nipote;poi Pirecme i Peòni a cui sul tergosuonan gli archi ricurvi, e gli spediscela rimota Amidone, e l'Assio, fiumedi larga correntìa, l'Assio di cuinon si spande ne' campi onda più bella.Dall'èneto paese ov'è la razzadell'indomite mule, conduceadi Pilemene l'animoso pettoi Paflagoni, di Citoro e Sèsamoe di splendide case abitatorilungo le rive del Partenio fiume,e d'Egiàlo e di Cromna e dell'eccelsebalze eritine. Li seguìa la squadradegli Alizoni d'Alibe discesi,

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e la nobile Arisba i lor guerrieri,ed Asio li conduce, Asio figliuolod'Irtaco, e prence che d'Arisba venneda fervidi portato alti cavallialla riviera sellentèa nudriti.Dalla pingue Larissa i furibondilanciatori pelasghi Ippòtoo menacon Pilèo, bellicosi ambo germoglidel pelasgico Leto Teutamìde.Acamante e l'eroe duce Piròoi Traci conducean quanti ne serral'estuoso Ellesponto; ed i Cicònidel giavellotto vibratori, Eufemodel Ceade Trezeno alto nipote;poi Pirecme i Peòni a cui sul tergosuonan gli archi ricurvi, e gli spediscela rimota Amidone, e l'Assio, fiumedi larga correntìa, l'Assio di cuinon si spande ne' campi onda più bella.Dall'èneto paese ov'è la razzadell'indomite mule, conduceadi Pilemene l'animoso pettoi Paflagoni, di Citoro e Sèsamoe di splendide case abitatorilungo le rive del Partenio fiume,e d'Egiàlo e di Cromna e dell'eccelsebalze eritine. Li seguìa la squadradegli Alizoni d'Alibe discesi,

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d'Alibe ricca dell'argentea vena.Duci a questi eran Hodio ed Epistròfo,e Cromi ai Misii e l'indovino Ennòmo.Ma con gli augurii il misero non seppeschivar la Parca. Sotto l'asta ei caddedel Pelìde, quel dì che di nemicastrage vermiglio lo Scamandro ei fece.Forci ed Ascanio dëiforme al campodall'Ascania traean le frigie tormedi commetter battaglia impazïenti.Di Pilemene i figli Antifo e Mestle,alla gigèa palude partoriti,ai Meonii eran duci, a quelli ancorache alla falda del Tmolo ebber la vita.Quindi i Carii di barbara favelladi Mileto abitanti e del frondosomonte de' Ftiri e del meandrio fiumee dell'erte di Mìcale pendici.Anfimaco a costor con Naste impera,figli di Nomïon, Naste un prudente,Anfimaco un insano. Iva alla pugnacarco d'oro costui come fanciulla:stolto! ché l'oro allontanar non seppel'atra morte che il giunse allo Scamandro.Ivi il ferro achilleo lo stese, e l'oropreda del forte vincitor rimase.Venìan di Licia alfine, e dai rimotigorghi del Xanto i Licii, e li guidava

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d'Alibe ricca dell'argentea vena.Duci a questi eran Hodio ed Epistròfo,e Cromi ai Misii e l'indovino Ennòmo.Ma con gli augurii il misero non seppeschivar la Parca. Sotto l'asta ei caddedel Pelìde, quel dì che di nemicastrage vermiglio lo Scamandro ei fece.Forci ed Ascanio dëiforme al campodall'Ascania traean le frigie tormedi commetter battaglia impazïenti.Di Pilemene i figli Antifo e Mestle,alla gigèa palude partoriti,ai Meonii eran duci, a quelli ancorache alla falda del Tmolo ebber la vita.Quindi i Carii di barbara favelladi Mileto abitanti e del frondosomonte de' Ftiri e del meandrio fiumee dell'erte di Mìcale pendici.Anfimaco a costor con Naste impera,figli di Nomïon, Naste un prudente,Anfimaco un insano. Iva alla pugnacarco d'oro costui come fanciulla:stolto! ché l'oro allontanar non seppel'atra morte che il giunse allo Scamandro.Ivi il ferro achilleo lo stese, e l'oropreda del forte vincitor rimase.Venìan di Licia alfine, e dai rimotigorghi del Xanto i Licii, e li guidava

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l'incolpabile Glauco e Sarpedonte.

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l'incolpabile Glauco e Sarpedonte.

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Libro Terzo

Poiché sotto i lor duci ambo schieratigli eserciti si fur, mosse il troianocome stormo d'augei, forte gridandoe schiamazzando, col romor che menalo squadron delle gru, quando del vernofuggendo i nembi l'oceàn sorvolacon acuti clangori, e guerra e morteporta al popol pigmeo. Ma taciturnie spiranti valor marcian gli Achivi,pronti a recarsi di conserto aita.Come talor del monte in su la cimadi Scirocco il soffiar spande la nebbiaal pastore odiosa, al ladro carapiù che la notte, né va lunge il guardopiù che tiro di pietra: a questa guisasi destava di polve una procellasotto il piè de' guerrieri che velocil'aperto campo trascorrean. Venutidi poco spazio l'un dell'altro a frontegli eserciti nemici, ecco Alessandronelle prime apparir file troianebello come un bel Dio. Portava indossouna pelle di pardo, ed il ricurvoarco e la spada; e due dardi guizzando

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Libro Terzo

Poiché sotto i lor duci ambo schieratigli eserciti si fur, mosse il troianocome stormo d'augei, forte gridandoe schiamazzando, col romor che menalo squadron delle gru, quando del vernofuggendo i nembi l'oceàn sorvolacon acuti clangori, e guerra e morteporta al popol pigmeo. Ma taciturnie spiranti valor marcian gli Achivi,pronti a recarsi di conserto aita.Come talor del monte in su la cimadi Scirocco il soffiar spande la nebbiaal pastore odiosa, al ladro carapiù che la notte, né va lunge il guardopiù che tiro di pietra: a questa guisasi destava di polve una procellasotto il piè de' guerrieri che velocil'aperto campo trascorrean. Venutidi poco spazio l'un dell'altro a frontegli eserciti nemici, ecco Alessandronelle prime apparir file troianebello come un bel Dio. Portava indossouna pelle di pardo, ed il ricurvoarco e la spada; e due dardi guizzando

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ben ferrati ed aguzzi, iva de' Grecisfidando i primi a singolar conflitto.Il vide Menelao dinanzi a tuttivenir superbo a lunghi passi; e qualeil cor s'allegra di lïon che vistoun cervo di gran corpo o caprïolo,spinto da fame a divorarlo intende,e il latrar de' molossi, e degli audacivillan robusti il minacciar non cura;tale alla vista del Troian leggiadroesultò Menelao. Piena sperandofar sopra il traditor la sua vendetta,balza armato dal cocchio: e lui scorgendovenir tra' primi, in cor turbossi il drudo,e della morte paventoso in salvosi ritrasse tra' suoi. Qual chi vedutoin montana foresta orrido serperisalta indietro, e per la balza fuggedi paura tremante e bianco in viso,tal fra le schiere de' superbi Teucri,l'ira temendo del figliuol d'Atreo,l'avvenente codardo retrocesse.Ettore il vide, e con ripiglio acerbogli fu sopra gridando: Ahi sciagurato!ahi profumato seduttor di donne,vile del pari che leggiadro! oh maimai non fossi tu nato, o morto fossianzi ch'esser marito, ché tal fôra

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ben ferrati ed aguzzi, iva de' Grecisfidando i primi a singolar conflitto.Il vide Menelao dinanzi a tuttivenir superbo a lunghi passi; e qualeil cor s'allegra di lïon che vistoun cervo di gran corpo o caprïolo,spinto da fame a divorarlo intende,e il latrar de' molossi, e degli audacivillan robusti il minacciar non cura;tale alla vista del Troian leggiadroesultò Menelao. Piena sperandofar sopra il traditor la sua vendetta,balza armato dal cocchio: e lui scorgendovenir tra' primi, in cor turbossi il drudo,e della morte paventoso in salvosi ritrasse tra' suoi. Qual chi vedutoin montana foresta orrido serperisalta indietro, e per la balza fuggedi paura tremante e bianco in viso,tal fra le schiere de' superbi Teucri,l'ira temendo del figliuol d'Atreo,l'avvenente codardo retrocesse.Ettore il vide, e con ripiglio acerbogli fu sopra gridando: Ahi sciagurato!ahi profumato seduttor di donne,vile del pari che leggiadro! oh maimai non fossi tu nato, o morto fossianzi ch'esser marito, ché tal fôra

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certo il mio voto, e per te stesso il meglio,più che carco d'infamia ir mostro a dito.Odi le risa de' chiomati Achei,che al garbo dell'aspetto un valorosoti suspicâr da prima, e or sanno a provache vile e fiacca in un bel corpo hai l'alma.E vigliacco qual sei tu il mar varcasticon eletti compagni? e visitandostraniere genti tu dall'apia terradonna d'alta beltà, moglie d'eroi,rapir potesti, e il padre e Troia e tutticacciar nelle sciagure, agl'inimicifarti bersaglio, ed infamar te stesso?Perché fuggi? perché di Menelaonon attendi lo scontro? Allor sapraidi qual prode guerrier t'usurpi e godila florida consorte: né la cetrati varrà né il favor di Citerea,né il vago aspetto né la molle chioma,quando cadrai riverso nella polve.Oh fosser meno paurosi i Teucri!ché tu n'andresti già, premio al mal fatto,d'un guarnello di sassi rivestito.Ed il vago a rincontro: Ettore, il veggo,a ragion mi rampogni, ed io t'escuso.Ma quel duro tuo cor scure somigliache ben tagliente una navale antennafende, vibrata da gagliardi polsi,

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certo il mio voto, e per te stesso il meglio,più che carco d'infamia ir mostro a dito.Odi le risa de' chiomati Achei,che al garbo dell'aspetto un valorosoti suspicâr da prima, e or sanno a provache vile e fiacca in un bel corpo hai l'alma.E vigliacco qual sei tu il mar varcasticon eletti compagni? e visitandostraniere genti tu dall'apia terradonna d'alta beltà, moglie d'eroi,rapir potesti, e il padre e Troia e tutticacciar nelle sciagure, agl'inimicifarti bersaglio, ed infamar te stesso?Perché fuggi? perché di Menelaonon attendi lo scontro? Allor sapraidi qual prode guerrier t'usurpi e godila florida consorte: né la cetrati varrà né il favor di Citerea,né il vago aspetto né la molle chioma,quando cadrai riverso nella polve.Oh fosser meno paurosi i Teucri!ché tu n'andresti già, premio al mal fatto,d'un guarnello di sassi rivestito.Ed il vago a rincontro: Ettore, il veggo,a ragion mi rampogni, ed io t'escuso.Ma quel duro tuo cor scure somigliache ben tagliente una navale antennafende, vibrata da gagliardi polsi,

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e nerbo e lena al fenditor raddoppia.Non rinfacciarmi di Ciprigna i doni,ché, qualunque pur sia, gradito e bellosempre è il dono d'un Dio; né il conseguirloè nel nostro volere. Or se t'aggradach'io scenda a duellar, fa che l'acheesquadre e le teucre seggansi tranquille,e me nel mezzo e Menelao metteted'Elena armati a terminar la lite,e di tutto il tesor di ch'ella è ricca.Qual si vinca di noi s'abbia la donnacon tutto insieme il suo regal corredo,e via la meni alle sue case; e tuttisu le percosse vittime giurandoamistà, voi di Troia abiteretel'alma terra securi, e quelli in Argofaran ritorno e nell'Acaia in braccioalle vaghe lor donne. - A questo direbrillò di gioia Ettorre, ed elevandol'asta brandita e procedendo in mezzo,di sostarsi fe' cenno alle sue schiere.Tutte fêr alto: ma gl'infesti Acheia saettar si diero alla sua mirae dardi e sassi, infin che forte alzandola voce Agamennón: Cessate, ei grida,cessate, Argivi; non vibrate, Achei,ch'egli par che parlarne il bellicosoEttore brami. - Riverenti tutti

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e nerbo e lena al fenditor raddoppia.Non rinfacciarmi di Ciprigna i doni,ché, qualunque pur sia, gradito e bellosempre è il dono d'un Dio; né il conseguirloè nel nostro volere. Or se t'aggradach'io scenda a duellar, fa che l'acheesquadre e le teucre seggansi tranquille,e me nel mezzo e Menelao metteted'Elena armati a terminar la lite,e di tutto il tesor di ch'ella è ricca.Qual si vinca di noi s'abbia la donnacon tutto insieme il suo regal corredo,e via la meni alle sue case; e tuttisu le percosse vittime giurandoamistà, voi di Troia abiteretel'alma terra securi, e quelli in Argofaran ritorno e nell'Acaia in braccioalle vaghe lor donne. - A questo direbrillò di gioia Ettorre, ed elevandol'asta brandita e procedendo in mezzo,di sostarsi fe' cenno alle sue schiere.Tutte fêr alto: ma gl'infesti Acheia saettar si diero alla sua mirae dardi e sassi, infin che forte alzandola voce Agamennón: Cessate, ei grida,cessate, Argivi; non vibrate, Achei,ch'egli par che parlarne il bellicosoEttore brami. - Riverenti tutti

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cessâr le offese, e si fur queti. Allorafra questo campo e quello Ettor sì disse:Troiani, Achivi, dal mio labbro uditeciò che parla Alessandro, esso per cuifra noi surta ed accesa è tanta guerra.Egli vuol che de' Teucri e degli Acheiquete stian l'armi, e sia da solo a solocol bellicoso Menelao decisad'Elena la querela, e in un di quantaricchezza le pertien. Quegli de' dueche rimarrassi vincitor, si prendala bella donna, e in sua magion l'adducacol tutto che possiede: e sia tra noicon saldi patti l'amistà giurata.Disse; e tutti ammutîr. Ma non già mutosi restò Menelao, che doloroso,Me pur, gridava, me me pure udite,ché il primo offeso mi son io. Fra' Grecibramo io pur diffinita e fra' Troianiquesta lite una volta e le soffertemolte sventure per la mia ragionee per l'oltraggio d'Alessandro. Or quelloperisca di noi due, che dalla Parcaè dannato a perire; e voi con pacevi separate. Una negr'agna adunquesvenate, o Teucri, all'alma Terra, e un agnodi bianco pelo al Sole: un terzo a Gioveoffrirassi da noi. Ma venga all'ara

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cessâr le offese, e si fur queti. Allorafra questo campo e quello Ettor sì disse:Troiani, Achivi, dal mio labbro uditeciò che parla Alessandro, esso per cuifra noi surta ed accesa è tanta guerra.Egli vuol che de' Teucri e degli Acheiquete stian l'armi, e sia da solo a solocol bellicoso Menelao decisad'Elena la querela, e in un di quantaricchezza le pertien. Quegli de' dueche rimarrassi vincitor, si prendala bella donna, e in sua magion l'adducacol tutto che possiede: e sia tra noicon saldi patti l'amistà giurata.Disse; e tutti ammutîr. Ma non già mutosi restò Menelao, che doloroso,Me pur, gridava, me me pure udite,ché il primo offeso mi son io. Fra' Grecibramo io pur diffinita e fra' Troianiquesta lite una volta e le soffertemolte sventure per la mia ragionee per l'oltraggio d'Alessandro. Or quelloperisca di noi due, che dalla Parcaè dannato a perire; e voi con pacevi separate. Una negr'agna adunquesvenate, o Teucri, all'alma Terra, e un agnodi bianco pelo al Sole: un terzo a Gioveoffrirassi da noi. Ma venga all'ara

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la maestà di Prïamo, e la pacegiuri egli stesso su le sacre fibre(ché spergiuri per prova e senza fedeio conosco i suoi figli), onde protervonessun di Giove i giuramenti infranga.Incostante, com'aura, è per naturade' giovani il pensier; ma dove il sennointervien de' canuti, a cui presentison le passate e le future cose,ivi è felice d'ambe parti il fine.Sì disse; e rallegrò Teucri ed Acheila dolce speme di finir la guerra.Schieraro i cocchi e ne smontâr: svestitiquindi dell'armi, le adagiâr su l'erba,l'une appresso dell'altre, e breve spazioseparava le schiere. Alla cittadedue banditori, a trarne i sacri agnellie a chiamar ratti il padre, Ettore invìa:invìa del pari il rege Agamennónealle navi Taltibio, onde la terzaostia n'adduca; e obbediente ei corse.Scese intanto dal cielo ambasciatriceIri ad Elèna dalle bianche braccia,della cognata Laodice assuntoil sembiante gentil, di Laodiceche pregiata del prence Elicaone,d'Antènore figliuolo, era consorte,e tra le figlie prïamee tenuta

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la maestà di Prïamo, e la pacegiuri egli stesso su le sacre fibre(ché spergiuri per prova e senza fedeio conosco i suoi figli), onde protervonessun di Giove i giuramenti infranga.Incostante, com'aura, è per naturade' giovani il pensier; ma dove il sennointervien de' canuti, a cui presentison le passate e le future cose,ivi è felice d'ambe parti il fine.Sì disse; e rallegrò Teucri ed Acheila dolce speme di finir la guerra.Schieraro i cocchi e ne smontâr: svestitiquindi dell'armi, le adagiâr su l'erba,l'une appresso dell'altre, e breve spazioseparava le schiere. Alla cittadedue banditori, a trarne i sacri agnellie a chiamar ratti il padre, Ettore invìa:invìa del pari il rege Agamennónealle navi Taltibio, onde la terzaostia n'adduca; e obbediente ei corse.Scese intanto dal cielo ambasciatriceIri ad Elèna dalle bianche braccia,della cognata Laodice assuntoil sembiante gentil, di Laodiceche pregiata del prence Elicaone,d'Antènore figliuolo, era consorte,e tra le figlie prïamee tenuta

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la più vaga. Trovolla che tesseaa doppia trama una splendente e largatela, e su quella istorïando andavale fatiche che molte a sua cagionesoffrìano i Teucri e i loricati Achei.La Diva innanzi le si fece, e disse:Sorgi, sposa diletta, a veder vienide' Troiani e de' Greci un ammirandospettacolo improvviso. Essi che dianzidi sangue ingordi lagrimosa guerrasi fean nel campo, or fatto han tregua, e quetiseggonsi e curvi su gli scudi in mezzoalle lunghe lor picche al suol confitte.Alessandro frattanto e Menelaoper te coll'asta in singolar certamecombatteranno, e tu verrai chiamatadel prode vincitor cara consorte.Con questo ragionar la Dea le miseun subito nel cor dolce desìodel primiero marito e della patriae de' parenti. Ond'ella in bianco veloprestamente ravvolta, e di segretetenere stille rugiadosa il ciglio,della stanza n'usciva; e non già sola,ma due donzelle la seguìan, Climeneper grand'occhi lodata, e di PitteoEtra la figlia. Delle porte Sceegiunser tosto alla torre, ove seduto

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la più vaga. Trovolla che tesseaa doppia trama una splendente e largatela, e su quella istorïando andavale fatiche che molte a sua cagionesoffrìano i Teucri e i loricati Achei.La Diva innanzi le si fece, e disse:Sorgi, sposa diletta, a veder vienide' Troiani e de' Greci un ammirandospettacolo improvviso. Essi che dianzidi sangue ingordi lagrimosa guerrasi fean nel campo, or fatto han tregua, e quetiseggonsi e curvi su gli scudi in mezzoalle lunghe lor picche al suol confitte.Alessandro frattanto e Menelaoper te coll'asta in singolar certamecombatteranno, e tu verrai chiamatadel prode vincitor cara consorte.Con questo ragionar la Dea le miseun subito nel cor dolce desìodel primiero marito e della patriae de' parenti. Ond'ella in bianco veloprestamente ravvolta, e di segretetenere stille rugiadosa il ciglio,della stanza n'usciva; e non già sola,ma due donzelle la seguìan, Climeneper grand'occhi lodata, e di PitteoEtra la figlia. Delle porte Sceegiunser tosto alla torre, ove seduto

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Priamo si stava, e con lui Lampo e Clizio,Pantòo, Timete, Icetaone e i duespegli di senno Ucalegonte e Antènore,del popol senïori, che dell'armiper vecchiezza deposto avean l'affanno,ma tutti egregi dicitor, sembiantialle cicade che agli arbusti appesedell'arguto lor canto empion la selva.Come vider venire alla lor voltala bellissima donna i vecchion gravialla torre seduti, con sommessavoce tra lor venìan dicendo: In verobiasmare i Teucri né gli Achei si dennose per costei sì dïuturne e duresopportano fatiche. Essa all'aspettoveracemente è Dea. Ma tale ancoravia per mar se ne torni, e in nostro dannopiù non si resti né de' nostri figli.Dissero; e il rege la chiamò per nome:Vieni, Elena, vien qua, figlia diletta,siedimi accanto, e mira il tuo primierosposo e i congiunti e i cari amici. Alcunanon hai colpa tu meco, ma gli Dei,che contra mi destâr le lagrimosearme de' Greci. Or drizza il guardo, e dimmichi sia quel grande e maestoso Acheodi sì bel portamento? Altri l'avanzaben di statura, ma non vidi al mondo

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Priamo si stava, e con lui Lampo e Clizio,Pantòo, Timete, Icetaone e i duespegli di senno Ucalegonte e Antènore,del popol senïori, che dell'armiper vecchiezza deposto avean l'affanno,ma tutti egregi dicitor, sembiantialle cicade che agli arbusti appesedell'arguto lor canto empion la selva.Come vider venire alla lor voltala bellissima donna i vecchion gravialla torre seduti, con sommessavoce tra lor venìan dicendo: In verobiasmare i Teucri né gli Achei si dennose per costei sì dïuturne e duresopportano fatiche. Essa all'aspettoveracemente è Dea. Ma tale ancoravia per mar se ne torni, e in nostro dannopiù non si resti né de' nostri figli.Dissero; e il rege la chiamò per nome:Vieni, Elena, vien qua, figlia diletta,siedimi accanto, e mira il tuo primierosposo e i congiunti e i cari amici. Alcunanon hai colpa tu meco, ma gli Dei,che contra mi destâr le lagrimosearme de' Greci. Or drizza il guardo, e dimmichi sia quel grande e maestoso Acheodi sì bel portamento? Altri l'avanzaben di statura, ma non vidi al mondo

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maggior decoro, né mortale io maidegno di tanta riverenza in vista:Re lo dice l'aspetto. - E la più belladelle donne così gli rispondea:Suocero amato, la presenza tuadi timor mi rïempie e di rispetto.Oh scelta una crudel morte m'avessi,pria che l'orme del tuo figlio seguire,il marital mio letto abbandonandoe i fratelli e la cara figliolettae le dolci compagne! Al ciel non piacque;e quindi è il pianto che mi strugge. Or iodi ciò che chiedi ti farò contento.Quegli è l'Atride Agamennón di moltevaste contrade correttor supremo,ottimo re, fortissimo guerriero,un dì cognato a me donna impudica,s'unqua fui degna che a me tale ei fosse.Disse; ed in lui maravigliando il vecchiofisse il guardo e sclamò: Beato Atride,cui nascente con fausti occhi mirarola Parca e la Fortuna, onde il comandodi fior tanto d'eroi ti fu sortito!Sovviemmi il giorno ch'io toccai stranierola vitifera Frigia. Un denso io vidipopolo di cavalli agitatoredell'inclito Migdon schiere e d'Otrèo,che poste del Sangario alla riviera

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maggior decoro, né mortale io maidegno di tanta riverenza in vista:Re lo dice l'aspetto. - E la più belladelle donne così gli rispondea:Suocero amato, la presenza tuadi timor mi rïempie e di rispetto.Oh scelta una crudel morte m'avessi,pria che l'orme del tuo figlio seguire,il marital mio letto abbandonandoe i fratelli e la cara figliolettae le dolci compagne! Al ciel non piacque;e quindi è il pianto che mi strugge. Or iodi ciò che chiedi ti farò contento.Quegli è l'Atride Agamennón di moltevaste contrade correttor supremo,ottimo re, fortissimo guerriero,un dì cognato a me donna impudica,s'unqua fui degna che a me tale ei fosse.Disse; ed in lui maravigliando il vecchiofisse il guardo e sclamò: Beato Atride,cui nascente con fausti occhi mirarola Parca e la Fortuna, onde il comandodi fior tanto d'eroi ti fu sortito!Sovviemmi il giorno ch'io toccai stranierola vitifera Frigia. Un denso io vidipopolo di cavalli agitatoredell'inclito Migdon schiere e d'Otrèo,che poste del Sangario alla riviera

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avean le tende, ed io co' miei m'aggiunsilor collegato, e fui del numer unoil dì che a pugna le virili Amàzzonidiscesero. Ma tante allor non fûrole frigie torme no quante or l'achee.Visto un secondo eroe, di nuovo il vecchiola donna interrogò: Dinne chi siaquell'altro, o figlia. Egli è di tutto il capominor del sommo Agamennón, ma parmie del petto più largo e della spalla.Gittate ha l'armi in grembo all'erba, ed eglicome arïète si ravvolve e scorretra le file de' prodi; e veramenteparmi di greggia guidator lanosoquando per mezzo a un branco si raggiradi candide belanti, e le conduce.Quegli è l'astuto laerziade Ulisse,la donna replicò, là nell'alpestresuol d'Itaca nudrito, uom che ripienodi molti ingegni ha il capo e di consigli.Donna, parlasti il ver, soggiunse il saggioAntènore. Spedito a dimandarticol forte Menelao qua venne un tempoambasciatore Ulisse, ed io fui lorolargo d'ospizio e d'accoglienze oneste,e d'ambo studïai l'indole e il raroaccorgimento. Ma venuto il giornodi presentarsi nel troian senato,

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avean le tende, ed io co' miei m'aggiunsilor collegato, e fui del numer unoil dì che a pugna le virili Amàzzonidiscesero. Ma tante allor non fûrole frigie torme no quante or l'achee.Visto un secondo eroe, di nuovo il vecchiola donna interrogò: Dinne chi siaquell'altro, o figlia. Egli è di tutto il capominor del sommo Agamennón, ma parmie del petto più largo e della spalla.Gittate ha l'armi in grembo all'erba, ed eglicome arïète si ravvolve e scorretra le file de' prodi; e veramenteparmi di greggia guidator lanosoquando per mezzo a un branco si raggiradi candide belanti, e le conduce.Quegli è l'astuto laerziade Ulisse,la donna replicò, là nell'alpestresuol d'Itaca nudrito, uom che ripienodi molti ingegni ha il capo e di consigli.Donna, parlasti il ver, soggiunse il saggioAntènore. Spedito a dimandarticol forte Menelao qua venne un tempoambasciatore Ulisse, ed io fui lorolargo d'ospizio e d'accoglienze oneste,e d'ambo studïai l'indole e il raroaccorgimento. Ma venuto il giornodi presentarsi nel troian senato,

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notai che, stanti l'uno e l'altro in piedi,il soprastava Menelao di spalla;ma seduti, apparìa più augusto Ulisse.Come poi la favella e de' pensierispiegâr la tela, ognor succinto e parcoma concettoso Menelao parlava;ch'uom di molto sermone egli non era,né verbo in fallo gli cadea dal labbro,benché d'anni minor. Quando poi sursel'itaco duce a ragionar, lo scaltrostavasi in piedi con lo sguardo chinoe confitto al terren, né or alto or bassomovea lo scettro, ma tenealo immotoin zotica sembianza, e un dispettosodetto l'avresti, un uom balzano e folle.Ma come alfin dal vasto petto emisela sua gran voce, e simili a dirottaneve invernal piovean l'alte parole,verun mortale non avrebbe alloracon Ulisse conteso; e noi ponemmola maraviglia di quel suo sembiante.Qui vide un terzo il re d'eccelso e vastocorpo, ed inchiese: Chi quell'altro fiache ha membra di gigante, e va sovranodegli omeri e del capo agli altri tutti? -Il grande Aiace, rispondea racchiusanel fluente suo vel la dìa Lacena,Aiace, rocca degli Achei. Quell'altro

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notai che, stanti l'uno e l'altro in piedi,il soprastava Menelao di spalla;ma seduti, apparìa più augusto Ulisse.Come poi la favella e de' pensierispiegâr la tela, ognor succinto e parcoma concettoso Menelao parlava;ch'uom di molto sermone egli non era,né verbo in fallo gli cadea dal labbro,benché d'anni minor. Quando poi sursel'itaco duce a ragionar, lo scaltrostavasi in piedi con lo sguardo chinoe confitto al terren, né or alto or bassomovea lo scettro, ma tenealo immotoin zotica sembianza, e un dispettosodetto l'avresti, un uom balzano e folle.Ma come alfin dal vasto petto emisela sua gran voce, e simili a dirottaneve invernal piovean l'alte parole,verun mortale non avrebbe alloracon Ulisse conteso; e noi ponemmola maraviglia di quel suo sembiante.Qui vide un terzo il re d'eccelso e vastocorpo, ed inchiese: Chi quell'altro fiache ha membra di gigante, e va sovranodegli omeri e del capo agli altri tutti? -Il grande Aiace, rispondea racchiusanel fluente suo vel la dìa Lacena,Aiace, rocca degli Achei. Quell'altro

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dall'altra banda è Idomenèo: lo vedi?ritto in piè fra' Cretensi un Dio somiglia,e de' Cretensi gli fan cerchio i duci.Spesso ad ospizio nelle nostre casel'accolse Menelao, ben lo ravviso,e ravviso con lui tutti del grecocampo i primi, e potrei di ciaschedunodir anco il nome: ma li due non veggomiei germani gemelli, incliti duci,Càstore di cavalli domatore,e il valoroso lottator Polluce.Forse di Sparta non son ei venuti;o venuti, di sé nelle battaglieniegan far mostra, del mio scorno ahi! forsevergognosi, e dell'onta che mi copre.Così parlava, né sapea che spentiil diletto di Sparta almo terrenolor patrio nido li chiudea nel grembo.Venìan recando i banditori intantodalla città le sacre ostie di pace,due trascelti agnelletti, e della terragiocondo frutto generoso vinochiuso in otre caprigno. Il messaggieroIdèo recava un fulgido cratereed aurati bicchier. Giunto al cospettodel re vegliardo sì l'invita e dice:Sorgi, figliuol laomedonteo; nel campoti chiamano de' Teucri e degli Achei

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dall'altra banda è Idomenèo: lo vedi?ritto in piè fra' Cretensi un Dio somiglia,e de' Cretensi gli fan cerchio i duci.Spesso ad ospizio nelle nostre casel'accolse Menelao, ben lo ravviso,e ravviso con lui tutti del grecocampo i primi, e potrei di ciaschedunodir anco il nome: ma li due non veggomiei germani gemelli, incliti duci,Càstore di cavalli domatore,e il valoroso lottator Polluce.Forse di Sparta non son ei venuti;o venuti, di sé nelle battaglieniegan far mostra, del mio scorno ahi! forsevergognosi, e dell'onta che mi copre.Così parlava, né sapea che spentiil diletto di Sparta almo terrenolor patrio nido li chiudea nel grembo.Venìan recando i banditori intantodalla città le sacre ostie di pace,due trascelti agnelletti, e della terragiocondo frutto generoso vinochiuso in otre caprigno. Il messaggieroIdèo recava un fulgido cratereed aurati bicchier. Giunto al cospettodel re vegliardo sì l'invita e dice:Sorgi, figliuol laomedonteo; nel campoti chiamano de' Teucri e degli Achei

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gli ottimati a giurar l'ostie percossed'un accordo. Alessandro e Menelaodisputeransi colle lunghe lanciel'acquisto della sposa; e questa e tuttesue dovizie daransi al vincitore.Noi patteggiando un'amistà fedeleIlio securi abiteremo, e in Argodaran volta gli Achei. Sì disse; e strinseil cor del vecchio la pietà del figlio.A' suoi sergenti nondimen comandad'aggiogargli i destrieri, e quelli al cennopronti obbediro. Montò Priamo, e indietrotratte le briglie, fe' su l'alto cocchiosalirsi al fianco Antènore. Drizzarofuor delle Scee nel campo i corridori.De' Troi giunti al cospetto e degli Acheiscesero a terra, e fra l'un campo e l'altroprocedean venerandi. Ad incontrarlitosto rizzossi Agamennón, rizzossil'accorto Ulisse; e i risplendenti aralditutto venìan frattanto apparecchiandodell'accordo il bisogno, e nel crateremescean le sacre spume. Indi de' regidieder l'acqua alle mani; e Agamennónetratto il coltello che alla gran vaginadella spada portar solea sospeso,de' consecrati agnei recise il ciuffo:e quinci in giro e quindi distributo

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gli ottimati a giurar l'ostie percossed'un accordo. Alessandro e Menelaodisputeransi colle lunghe lanciel'acquisto della sposa; e questa e tuttesue dovizie daransi al vincitore.Noi patteggiando un'amistà fedeleIlio securi abiteremo, e in Argodaran volta gli Achei. Sì disse; e strinseil cor del vecchio la pietà del figlio.A' suoi sergenti nondimen comandad'aggiogargli i destrieri, e quelli al cennopronti obbediro. Montò Priamo, e indietrotratte le briglie, fe' su l'alto cocchiosalirsi al fianco Antènore. Drizzarofuor delle Scee nel campo i corridori.De' Troi giunti al cospetto e degli Acheiscesero a terra, e fra l'un campo e l'altroprocedean venerandi. Ad incontrarlitosto rizzossi Agamennón, rizzossil'accorto Ulisse; e i risplendenti aralditutto venìan frattanto apparecchiandodell'accordo il bisogno, e nel crateremescean le sacre spume. Indi de' regidieder l'acqua alle mani; e Agamennónetratto il coltello che alla gran vaginadella spada portar solea sospeso,de' consecrati agnei recise il ciuffo:e quinci in giro e quindi distributo

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fu dagli araldi il sacro pelo ai duci,de' quai nel mezzo Agamennón, levandoe la voce e le man, supplice disse:Giove, d'Ida signor, massimo padre,e sovra ogni altro glorioso Iddio,Sole che tutto vedi e tutto ascolti,alma Tellure genitrice, e voifiumi, e voi che punite ogni spergiurolaggiù nel morto regno, inferni Dei,siate voi testimoni e in un custodidel patto che giuriam. Se a Menelaodarà morte Alessandro, egli in sua possaElena e tutto il suo tesor si tegna;e noi spedito promettiam ritornosu l'ondivaghe prore al patrio lido.Ma se avverrà che Menelao di vitaspogli Alessandro, i Teucri allor la donnane renderanno e l'aver suo con ella,pagando ammenda che convegna, e taleche ne passi il ricordo anco ai futuri.Se Priamo e i figli suoi, spento Alessandro,negheran di pagarla, io qui coll'armesosterrò mia ragione, e rimarrovvifinché punito il mancator ne sia.Disse; e col ferro degli agnelli incisele mansuete gole, e palpitantisul terren li depose e senza vita.Ciò fatto, il sacro di Lïeo licore

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fu dagli araldi il sacro pelo ai duci,de' quai nel mezzo Agamennón, levandoe la voce e le man, supplice disse:Giove, d'Ida signor, massimo padre,e sovra ogni altro glorioso Iddio,Sole che tutto vedi e tutto ascolti,alma Tellure genitrice, e voifiumi, e voi che punite ogni spergiurolaggiù nel morto regno, inferni Dei,siate voi testimoni e in un custodidel patto che giuriam. Se a Menelaodarà morte Alessandro, egli in sua possaElena e tutto il suo tesor si tegna;e noi spedito promettiam ritornosu l'ondivaghe prore al patrio lido.Ma se avverrà che Menelao di vitaspogli Alessandro, i Teucri allor la donnane renderanno e l'aver suo con ella,pagando ammenda che convegna, e taleche ne passi il ricordo anco ai futuri.Se Priamo e i figli suoi, spento Alessandro,negheran di pagarla, io qui coll'armesosterrò mia ragione, e rimarrovvifinché punito il mancator ne sia.Disse; e col ferro degli agnelli incisele mansuete gole, e palpitantisul terren li depose e senza vita.Ciò fatto, il sacro di Lïeo licore

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dal cratere attignendo, agl'Immortalifean colle tazze libagioni e voti;e qualche Teucro e qualche Acheo s'intesein questo mentre così dire: O sommoaugustissimo Giove, e voi del cieloDii tutti quanti, udite: A chi primierorompa l'accordo, sia Troiano o Greco,possa il cerèbro distillarsi, a luied a' suoi figli, al par di questo vino,e adultera la moglie ir d'altri in braccio.Così pregâr: ma chiuse a cotal votoGiove l'orecchio. Il re dardanio allora,Uditemi, dicea, Teucri ed Achei:alla cittade io riedo. A qual de' duetroncar debba la Parca il vital filosol Giove e gli altri Sempiterni il sanno.Ma contemplar del fiero Atride a fronteun amato figliuol, vista sì crudagli occhi d'un padre sostener non ponno.Sì dicendo, sul cocchio le sgozzatevittime pose il venerando veglio,e ascesovi egli stesso, e tratte al pettole pieghevoli briglie, al par con secofe' Antènore salire, e via con essoal ventoso Ilïon si ricondusse.Ettore allora primamente e Ulissemisurano la lizza. Indi le sortiscosser nell'elmo a chi primier dovesse

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dal cratere attignendo, agl'Immortalifean colle tazze libagioni e voti;e qualche Teucro e qualche Acheo s'intesein questo mentre così dire: O sommoaugustissimo Giove, e voi del cieloDii tutti quanti, udite: A chi primierorompa l'accordo, sia Troiano o Greco,possa il cerèbro distillarsi, a luied a' suoi figli, al par di questo vino,e adultera la moglie ir d'altri in braccio.Così pregâr: ma chiuse a cotal votoGiove l'orecchio. Il re dardanio allora,Uditemi, dicea, Teucri ed Achei:alla cittade io riedo. A qual de' duetroncar debba la Parca il vital filosol Giove e gli altri Sempiterni il sanno.Ma contemplar del fiero Atride a fronteun amato figliuol, vista sì crudagli occhi d'un padre sostener non ponno.Sì dicendo, sul cocchio le sgozzatevittime pose il venerando veglio,e ascesovi egli stesso, e tratte al pettole pieghevoli briglie, al par con secofe' Antènore salire, e via con essoal ventoso Ilïon si ricondusse.Ettore allora primamente e Ulissemisurano la lizza. Indi le sortiscosser nell'elmo a chi primier dovesse

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l'asta vibrar. L'un campo intanto e l'altrole mani alzando supplicava al cielo,e qualche labbro bisbigliar s'udìa:Giove padre, che grande e glorïosogodi in Ida regnar, quello de' due,che tra noi fu cagion di sì gran lite,fa che spento precipiti alla cupamagion di Pluto, ed una salda a noiamistà ne concedi e patti eterni.Fra questo supplicar l'elmo squassavaEttòr, guardando addietro: ed ecco usciredi Paride la sorte. Allor s'assiseal suo posto ciascun, vicino a' suoiscalpitanti destrieri e alle giacentiarmi diverse. Della ben chiomataElena intanto l'avvenente sposoAlessandro di fulgida armaturatutto si veste. E pria di bei schinieriche il morso costrignea d'argentea fibbia,cinse le tibie. Quindi una loricadel suo germano Licaon, che fattaal suo sesto parea, si pose al petto:all'omero sospese il brando, ornatod'argentei chiovi; un poderoso scudodi grand'orbe imbracciò; chiuse la frontenel ben temprato e lavorato elmetto,a cui d'equine chiome in su la cimaalta una cresta orribilmente ondeggia.

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l'asta vibrar. L'un campo intanto e l'altrole mani alzando supplicava al cielo,e qualche labbro bisbigliar s'udìa:Giove padre, che grande e glorïosogodi in Ida regnar, quello de' due,che tra noi fu cagion di sì gran lite,fa che spento precipiti alla cupamagion di Pluto, ed una salda a noiamistà ne concedi e patti eterni.Fra questo supplicar l'elmo squassavaEttòr, guardando addietro: ed ecco usciredi Paride la sorte. Allor s'assiseal suo posto ciascun, vicino a' suoiscalpitanti destrieri e alle giacentiarmi diverse. Della ben chiomataElena intanto l'avvenente sposoAlessandro di fulgida armaturatutto si veste. E pria di bei schinieriche il morso costrignea d'argentea fibbia,cinse le tibie. Quindi una loricadel suo germano Licaon, che fattaal suo sesto parea, si pose al petto:all'omero sospese il brando, ornatod'argentei chiovi; un poderoso scudodi grand'orbe imbracciò; chiuse la frontenel ben temprato e lavorato elmetto,a cui d'equine chiome in su la cimaalta una cresta orribilmente ondeggia.

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Ultima prese una robusta lanciache tutto empieagli il pugno. In questo mentredel par s'armava il bellicoso Atride.Di lor tutt'arme accinti i due guerrieris'appresentâr nel mezzo, e si guatarobiechi. Al vederli stupor prese e temai Dardani e gli Achei. L'un contra l'altrol'aste squassando al mezzo dell'arenas'avvicinâr sdegnosi; ed il Troianoprimier la lunga e grave asta vibrandola rotella colpì del suo nemico,ma non forolla, ché la buona targarintuzzonne la punta. Allor secondocoll'asta alzata Menelao si mossecosì pregando: Dammi, o padre Giove,sovra costui che m'oltraggiò primiero,dammi sovra il fellon piena vendetta.Tu sotto i colpi di mia destra il domasì che il postero tremi, e a non tradirel'ospite apprenda che l'accolse amico.Disse, e l'asta avventò, la conficcòdell'avversario nel rotondo scudo.Penetrò fulminando la ferratapunta il pavese rilucente, e tuttatrapassò la corazza, lacerandola tunica sul fianco a fior di pelle.Incurvossi il Troiano, ed il mortalecolpo schivò. L'irato Atride allora

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Ultima prese una robusta lanciache tutto empieagli il pugno. In questo mentredel par s'armava il bellicoso Atride.Di lor tutt'arme accinti i due guerrieris'appresentâr nel mezzo, e si guatarobiechi. Al vederli stupor prese e temai Dardani e gli Achei. L'un contra l'altrol'aste squassando al mezzo dell'arenas'avvicinâr sdegnosi; ed il Troianoprimier la lunga e grave asta vibrandola rotella colpì del suo nemico,ma non forolla, ché la buona targarintuzzonne la punta. Allor secondocoll'asta alzata Menelao si mossecosì pregando: Dammi, o padre Giove,sovra costui che m'oltraggiò primiero,dammi sovra il fellon piena vendetta.Tu sotto i colpi di mia destra il domasì che il postero tremi, e a non tradirel'ospite apprenda che l'accolse amico.Disse, e l'asta avventò, la conficcòdell'avversario nel rotondo scudo.Penetrò fulminando la ferratapunta il pavese rilucente, e tuttatrapassò la corazza, lacerandola tunica sul fianco a fior di pelle.Incurvossi il Troiano, ed il mortalecolpo schivò. L'irato Atride allora

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trasse la spada, ed erto un gran fendentegli calò ruïnoso in su l'elmetto.Non resse il brando, ché in più pezzi infrantogli lasciò la man nuda; ond'ei gemendoe gli occhi alzando dispettoso al cielo,Crudel Giove, gridava, il più crudeledi tutti i numi! Io mi sperai puniredi questo traditor l'oltraggio: ed eccoche in pugno, oh rabbia! mi si spezza il ferro,e gittai l'asta indarno e senza offesa.Così fremendo, addosso all'inimicocon furor si disserra: alla crinieradell'elmo il piglia, e tragge a tutta forzaverso gli Achivi quel meschino, a cuila delicata gola soffocavail trapunto guinzaglio che le barbeannodava dell'elmo sotto il mento.E l'avrìa strascinato, e a lui gran lodevenuta ne sarìa; ma del perigliofatta Venere accorta i nodi sciolsedel bovino guinzaglio, e il vôto elmettoseguì la mano del traente Atride.Aggirollo l'eroe, e fra le gambelo scagliò degli Achei, che festeggiantiil raccolsero. Allor di porlo a morterisoluto l'Atride, alto coll'astadi nuovo l'assalì. Di nuovo accorsalo scampò Citerea, che agevolmente

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trasse la spada, ed erto un gran fendentegli calò ruïnoso in su l'elmetto.Non resse il brando, ché in più pezzi infrantogli lasciò la man nuda; ond'ei gemendoe gli occhi alzando dispettoso al cielo,Crudel Giove, gridava, il più crudeledi tutti i numi! Io mi sperai puniredi questo traditor l'oltraggio: ed eccoche in pugno, oh rabbia! mi si spezza il ferro,e gittai l'asta indarno e senza offesa.Così fremendo, addosso all'inimicocon furor si disserra: alla crinieradell'elmo il piglia, e tragge a tutta forzaverso gli Achivi quel meschino, a cuila delicata gola soffocavail trapunto guinzaglio che le barbeannodava dell'elmo sotto il mento.E l'avrìa strascinato, e a lui gran lodevenuta ne sarìa; ma del perigliofatta Venere accorta i nodi sciolsedel bovino guinzaglio, e il vôto elmettoseguì la mano del traente Atride.Aggirollo l'eroe, e fra le gambelo scagliò degli Achei, che festeggiantiil raccolsero. Allor di porlo a morterisoluto l'Atride, alto coll'astadi nuovo l'assalì. Di nuovo accorsalo scampò Citerea, che agevolmente

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il poté come Diva: lo ravvolsedi molta nebbia, e fra il soave olezzodei profumati talami il depose.Ella stessa a chiamar quindi la figliacorse di Leda, e la trovò nell'altatorre in bel cerchio di dardanie spose.Prese il volto e le rughe d'un'anticafilatrice di lane, che sfiorarnead Elena solea di molte e bellenei paterni soggiorni, e sommo amoreposto le avea. Nella costei sembianzala Dea le scosse la nettarea veste,e, Vieni, le dicea, vieni; ti chiamaAlessandro che già negli odoratitalami stassi, e su i trapunti lettitutto risplende di beltà divinain sì gaio vestir, che lo direstiritornarsi non già dalla battaglia,ma invïarsi alla danza, o dalla danzariposarsi. Sì disse, e il cor nel senole commosse. Ma quando all'incarnatodel bellissimo collo, e all'amorosopetto, e degli occhi al tremolo balenoriconobbe la Dea, coglier sentissidi sacro orrore, e ritrovate alfinele parole, sclamò: Trista! e che sonoqueste malizie? Ad alcun'altra forsedi Meonia o di Frigia alta cittade

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il poté come Diva: lo ravvolsedi molta nebbia, e fra il soave olezzodei profumati talami il depose.Ella stessa a chiamar quindi la figliacorse di Leda, e la trovò nell'altatorre in bel cerchio di dardanie spose.Prese il volto e le rughe d'un'anticafilatrice di lane, che sfiorarnead Elena solea di molte e bellenei paterni soggiorni, e sommo amoreposto le avea. Nella costei sembianzala Dea le scosse la nettarea veste,e, Vieni, le dicea, vieni; ti chiamaAlessandro che già negli odoratitalami stassi, e su i trapunti lettitutto risplende di beltà divinain sì gaio vestir, che lo direstiritornarsi non già dalla battaglia,ma invïarsi alla danza, o dalla danzariposarsi. Sì disse, e il cor nel senole commosse. Ma quando all'incarnatodel bellissimo collo, e all'amorosopetto, e degli occhi al tremolo balenoriconobbe la Dea, coglier sentissidi sacro orrore, e ritrovate alfinele parole, sclamò: Trista! e che sonoqueste malizie? Ad alcun'altra forsedi Meonia o di Frigia alta cittade

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vuoi tu condurmi affascinata in bracciod'alcun altro tuo caro? Ed or che vintoil suo rival, me d'odio carca a Spartae perdonata Menelao radduce,sei tu venuta con novelli inganniad impedirlo? E ché non vai tu stessae goderti quel vile? Obblìa per luil'eterea sede, né calcar più maidell'Olimpo le vie: statti al suo fianco,soffri fedele ogni martello, e il covafinché t'alzi all'onor di moglie o ancella;ch'io tornar non vo' certo (e fôra indegno)a sprimacciar di quel codardo il letto,argomento di scherno alle troianespose, e a me stessa d'infinito affanno.E irata a lei la Dea: Non irritarmi,sciagurata! non far ch'io t'abbandoninel mio disdegno, e tanto io sia costrettaad abborrirti alfin quanto t'amai;e t'amai certo a dismisura. Or ionegli argolici petti e ne' troianimetterò, se mi tenti, odii sì fieri,che di mal fato perirai tu pure.L'alma figlia di Leda a questo diretremò, si chiuse nel suo bianco velo,e cheta cheta in via si pose, a tuttele Troadi celata, e precorrevaa' suoi passi la Dea. Poiché venute

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vuoi tu condurmi affascinata in bracciod'alcun altro tuo caro? Ed or che vintoil suo rival, me d'odio carca a Spartae perdonata Menelao radduce,sei tu venuta con novelli inganniad impedirlo? E ché non vai tu stessae goderti quel vile? Obblìa per luil'eterea sede, né calcar più maidell'Olimpo le vie: statti al suo fianco,soffri fedele ogni martello, e il covafinché t'alzi all'onor di moglie o ancella;ch'io tornar non vo' certo (e fôra indegno)a sprimacciar di quel codardo il letto,argomento di scherno alle troianespose, e a me stessa d'infinito affanno.E irata a lei la Dea: Non irritarmi,sciagurata! non far ch'io t'abbandoninel mio disdegno, e tanto io sia costrettaad abborrirti alfin quanto t'amai;e t'amai certo a dismisura. Or ionegli argolici petti e ne' troianimetterò, se mi tenti, odii sì fieri,che di mal fato perirai tu pure.L'alma figlia di Leda a questo diretremò, si chiuse nel suo bianco velo,e cheta cheta in via si pose, a tuttele Troadi celata, e precorrevaa' suoi passi la Dea. Poiché venute

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fur d'Alessandro alle splendenti soglie,corser di qua di là le scaltre ancelleai donneschi lavori, ed ella intantobellissima saliva e taciturnaai talami sublimi. Ivi l'amicadel riso Citerea le trasse innanzidi propria mano un seggio, e di rimpettoad Alessandro il collocò. S'assisela bella donna, e con amari accenti,garrì, senza mirarlo, il suo marito:E così riedi dalla pugna? Oh fossicolà rimasto per le mani ancisodi quel gagliardo un dì mio sposo! E puree di lancia e di spada e di fortezzati vantasti più volte esser migliore.Fa cor dunque, va, sfida il forte Atridealla seconda singolar tenzone.Ma t'esorto, meschino, a ti star queto,né nuovo ritentar d'armi perigliocol tuo rivale, se la vita hai cara.Non mi ferir con aspri detti, o donna,le rispose Alessandro. Fu Minervache vincitor fe' Menelao, sol essa.Ma lui del pari vincerò pur io,ch'io pure al fianco ho qualche Diva. Or viapace, o cara, e ne sia pegno un amplessosu queste piume; ché giammai sì forteper te le vene non scaldommi Amore,

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fur d'Alessandro alle splendenti soglie,corser di qua di là le scaltre ancelleai donneschi lavori, ed ella intantobellissima saliva e taciturnaai talami sublimi. Ivi l'amicadel riso Citerea le trasse innanzidi propria mano un seggio, e di rimpettoad Alessandro il collocò. S'assisela bella donna, e con amari accenti,garrì, senza mirarlo, il suo marito:E così riedi dalla pugna? Oh fossicolà rimasto per le mani ancisodi quel gagliardo un dì mio sposo! E puree di lancia e di spada e di fortezzati vantasti più volte esser migliore.Fa cor dunque, va, sfida il forte Atridealla seconda singolar tenzone.Ma t'esorto, meschino, a ti star queto,né nuovo ritentar d'armi perigliocol tuo rivale, se la vita hai cara.Non mi ferir con aspri detti, o donna,le rispose Alessandro. Fu Minervache vincitor fe' Menelao, sol essa.Ma lui del pari vincerò pur io,ch'io pure al fianco ho qualche Diva. Or viapace, o cara, e ne sia pegno un amplessosu queste piume; ché giammai sì forteper te le vene non scaldommi Amore,

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quel dì né pur che su veloci antenneio ti rapìa di Sparta, e tuo consortenell'isola Crenea ti giacqui in braccio.No, non t'amai quel dì quant'ora, e quantodi te m'invoglia il cor dolce desìo.Disse; ed al letto s'avvïaro, ei primo,ella seconda; e l'un dell'altro in grembosu i mollissimi strati si confuse.Come irato lïon l'Atride intantodi qua di là si ravvolgea cercandoil leggiadro rival; né lui fra tantaturba di Teucri e d'alleati alcunosignificar sapea, né lo sapendol'avrìa di certo per amor celato;ché come il negro ceffo della morteabborrito da tutti era costui.Fattosi innanzi allora Agamennóne,Teucri, Dardani, ei disse, e voi di Troiaalleati, m'udite. Vincitorefu, lo vedeste, Menelao. Voi dunqueElena ne rendete, e tutta insiemela sua ricchezza, e d'un'ammenda inoltrene rintegrate che convegna, e taleche memoria ne passi anco ai nepoti.Disse; e tutto gli plause il campo acheo.

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quel dì né pur che su veloci antenneio ti rapìa di Sparta, e tuo consortenell'isola Crenea ti giacqui in braccio.No, non t'amai quel dì quant'ora, e quantodi te m'invoglia il cor dolce desìo.Disse; ed al letto s'avvïaro, ei primo,ella seconda; e l'un dell'altro in grembosu i mollissimi strati si confuse.Come irato lïon l'Atride intantodi qua di là si ravvolgea cercandoil leggiadro rival; né lui fra tantaturba di Teucri e d'alleati alcunosignificar sapea, né lo sapendol'avrìa di certo per amor celato;ché come il negro ceffo della morteabborrito da tutti era costui.Fattosi innanzi allora Agamennóne,Teucri, Dardani, ei disse, e voi di Troiaalleati, m'udite. Vincitorefu, lo vedeste, Menelao. Voi dunqueElena ne rendete, e tutta insiemela sua ricchezza, e d'un'ammenda inoltrene rintegrate che convegna, e taleche memoria ne passi anco ai nepoti.Disse; e tutto gli plause il campo acheo.

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Libro Quarto

Nell'auree sale dell'Olimpo accoltiintorno a Giove si sedean gli Deia consulta. Fra lor la venerandaEbe versava le nettaree spume,e quelli a gara con alterni invitil'auree tazze vôtavano mirandola troiana città. Quand'ecco il sommoSaturnio, inteso ad irritar Giunone,con un obliquo paragon mordacecosì la punse: Due possenti Diveaiutatrici ha Menelao, l'ArgivaGiuno e Minerva Alalcomènia. E pureneghittose in disparte ambo si stannosol del vederlo dilettate. Intantofida al fianco di Paride l'amicadel riso Citerea lungi respingedal suo caro la Parca; e dianzi, in quellach'ei morto si tenea, servollo in vita.Rimasta è al forte Menelao la palma;ma l'alto affar non è compiuto, e a noitocca il condurlo, e statuir se guerrafra le due genti rinnovar si debba,od in pace comporle. Ove la pacetutti appaghi gli Dei, stia Troia, e in Argo

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Libro Quarto

Nell'auree sale dell'Olimpo accoltiintorno a Giove si sedean gli Deia consulta. Fra lor la venerandaEbe versava le nettaree spume,e quelli a gara con alterni invitil'auree tazze vôtavano mirandola troiana città. Quand'ecco il sommoSaturnio, inteso ad irritar Giunone,con un obliquo paragon mordacecosì la punse: Due possenti Diveaiutatrici ha Menelao, l'ArgivaGiuno e Minerva Alalcomènia. E pureneghittose in disparte ambo si stannosol del vederlo dilettate. Intantofida al fianco di Paride l'amicadel riso Citerea lungi respingedal suo caro la Parca; e dianzi, in quellach'ei morto si tenea, servollo in vita.Rimasta è al forte Menelao la palma;ma l'alto affar non è compiuto, e a noitocca il condurlo, e statuir se guerrafra le due genti rinnovar si debba,od in pace comporle. Ove la pacetutti appaghi gli Dei, stia Troia, e in Argo

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con la consorte Menelao ritorni.Strinser, fremendo a questo dir, le labbiaGiuno e Minerva, che vicin sedutevenìan de' Teucri macchinando il danno.Quantunque al padre fieramente iratatacque Minerva e non fiatò. Ma l'iranon contenne Giunone, e sì rispose:Acerbo Dio, che parli? A far di tantearmate genti accolta, alla ruïnadi Priamo e de' suoi figli, ho stanchi i mieiimmortali corsieri; e tu pretendifrustrar la mia fatica, ed involarmide' miei sudori il frutto? Eh ben t'appaga;ma di noi tutti non sperar l'assenso.Feroce Diva, replicò sdegnosol'adunator de' nembi, e che ti fêro,e Priamo e i Priamìdi, onde tu debbavoler sempre di Troia il giorno estremo?La tua rabbia non fia dunque satollase non atterri d'Ilïon le porte,e sull'infrante mura non ti bevidel re misero il sangue e de' suoi figlie di tutti i Troiani? Or su, fa comepiù ti talenta, onde fra noi sorgented'acerbe risse in avvenir non siaquesto dissidio: ma riponi in pettole mie parole. Se desìo me pureprenderà d'atterrar qualche a te cara

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con la consorte Menelao ritorni.Strinser, fremendo a questo dir, le labbiaGiuno e Minerva, che vicin sedutevenìan de' Teucri macchinando il danno.Quantunque al padre fieramente iratatacque Minerva e non fiatò. Ma l'iranon contenne Giunone, e sì rispose:Acerbo Dio, che parli? A far di tantearmate genti accolta, alla ruïnadi Priamo e de' suoi figli, ho stanchi i mieiimmortali corsieri; e tu pretendifrustrar la mia fatica, ed involarmide' miei sudori il frutto? Eh ben t'appaga;ma di noi tutti non sperar l'assenso.Feroce Diva, replicò sdegnosol'adunator de' nembi, e che ti fêro,e Priamo e i Priamìdi, onde tu debbavoler sempre di Troia il giorno estremo?La tua rabbia non fia dunque satollase non atterri d'Ilïon le porte,e sull'infrante mura non ti bevidel re misero il sangue e de' suoi figlie di tutti i Troiani? Or su, fa comepiù ti talenta, onde fra noi sorgented'acerbe risse in avvenir non siaquesto dissidio: ma riponi in pettole mie parole. Se desìo me pureprenderà d'atterrar qualche a te cara

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città, non porre a' miei disdegni inciampo,e liberi li lascia. A questo pattoTroia io pur t'abbandono, e di mal cuore;ché, di quante città contempla in terral'occhio del sole e dell'eteree stelle,niuna io m'aggio più cara ed onoratacome il sacro Ilïone e Priamo e tuttadi Priamo pur la bellicosa gente:perocché l'are mie per lor di sacreopìme dapi abbondano mai sempre,e di libami e di profumi, onoresolo alle dive qualità sortito.Compose a questo dir la venerandaGiuno gli sguardi maestosi, e disse:Tre cittadi sull'altre a me son careArgo, Sparta, Micene; e tu le struggise odiose ti sono. A lor difesané man né lingua moverò; ché quandopure impedir lo ti volessi, indarnoil tentarlo uscirìa, sendo d'assaitu più forte di me. Ma dritto or parmiche tu vano non renda il mio disegno,ch'io pur son nume, e a te comune io traggol'origine divina, io dell'astutoSaturno figlia, e in alto onor locata,perché nacqui sorella e perché moglieson del re degli Dei. Facciam noi dunquel'un dell'altro il volere, e il seguiranno

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città, non porre a' miei disdegni inciampo,e liberi li lascia. A questo pattoTroia io pur t'abbandono, e di mal cuore;ché, di quante città contempla in terral'occhio del sole e dell'eteree stelle,niuna io m'aggio più cara ed onoratacome il sacro Ilïone e Priamo e tuttadi Priamo pur la bellicosa gente:perocché l'are mie per lor di sacreopìme dapi abbondano mai sempre,e di libami e di profumi, onoresolo alle dive qualità sortito.Compose a questo dir la venerandaGiuno gli sguardi maestosi, e disse:Tre cittadi sull'altre a me son careArgo, Sparta, Micene; e tu le struggise odiose ti sono. A lor difesané man né lingua moverò; ché quandopure impedir lo ti volessi, indarnoil tentarlo uscirìa, sendo d'assaitu più forte di me. Ma dritto or parmiche tu vano non renda il mio disegno,ch'io pur son nume, e a te comune io traggol'origine divina, io dell'astutoSaturno figlia, e in alto onor locata,perché nacqui sorella e perché moglieson del re degli Dei. Facciam noi dunquel'un dell'altro il volere, e il seguiranno

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gli altri Eterni. Or tu ratto invìa Minervafra i due commossi eserciti, onde spingai Troiani ad offendere primieri,rotto l'accordo, i baldanzosi Achei.Assentì Giove al detto, ed a Minerva,Scendi, disse, veloce, e fa che i Teucriprimi offendan gli Achei, turbando il patto.A Minerva, per sé già desïosa,sprone aggiunse quel cenno. In un balenodall'Olimpo calò. Quale una stellacui portento a' nocchieri o a numeroseschiere d'armati scintillante e chiarainvìa talvolta di Saturno il figlio;tale in vista precipita dall'altoMinerva in terra, e piantasi nel mezzo.Stupîr Teucri ed Achivi all'improvvisavisïone, e talun disse al vicino:Arbitro della guerra oggi vuol Gioveper certo rinnovar fra un campo e l'altrol'acerba pugna, o confermar la pace.La Dea mischiossi tra la folta intantodelle turbe troiane, e la sembianzadi Laòdoco assunta (un valorosod'Antènore figliuol) si pose in tracciadel dëiforme Pandaro. Trovollostante in piedi nel mezzo al clipeatostuolo de' forti che l'avea seguìtodalle rive d'Esepo. Appropinquossi

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gli altri Eterni. Or tu ratto invìa Minervafra i due commossi eserciti, onde spingai Troiani ad offendere primieri,rotto l'accordo, i baldanzosi Achei.Assentì Giove al detto, ed a Minerva,Scendi, disse, veloce, e fa che i Teucriprimi offendan gli Achei, turbando il patto.A Minerva, per sé già desïosa,sprone aggiunse quel cenno. In un balenodall'Olimpo calò. Quale una stellacui portento a' nocchieri o a numeroseschiere d'armati scintillante e chiarainvìa talvolta di Saturno il figlio;tale in vista precipita dall'altoMinerva in terra, e piantasi nel mezzo.Stupîr Teucri ed Achivi all'improvvisavisïone, e talun disse al vicino:Arbitro della guerra oggi vuol Gioveper certo rinnovar fra un campo e l'altrol'acerba pugna, o confermar la pace.La Dea mischiossi tra la folta intantodelle turbe troiane, e la sembianzadi Laòdoco assunta (un valorosod'Antènore figliuol) si pose in tracciadel dëiforme Pandaro. Trovollostante in piedi nel mezzo al clipeatostuolo de' forti che l'avea seguìtodalle rive d'Esepo. Appropinquossi

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a lui la Diva, e disse: Inclito germedi Licaon, vuoi tu ascoltarmi? Ardisci,vibra nel petto a Menelao la puntad'un veloce quadrello. E grazia e lodete ne verrà dai Dardani e dal prenceParide in prima, che d'illustri donicolmeratti, vedendo il suo rivalemontar sul rogo, dal tuo stral trafitto.Su via dunque, dardeggia il burbanzosoAtride, e al licio saettante Apolloprometti che, tornato al patrio tettonella sacra Zelèa, darai di sceltiprimogeniti agnelli un'ecatombe.Così disse Minerva, e dello stoltopersuase il pensier. Diè mano ei tostoal bell'arco, già spoglia di lascivocapro agreste. L'aveva egli d'agguato,mentre dal cavo d'una rupe uscìa,colto nel petto, e su la rupe stesoresupino. Sorgevano alla belvalunghe sedici palmi su l'alterafronte le corna. Artefice peritole polì, le congiunse, e di lucentianelli d'oro ne fregiò le cime.Tese quest'arco, e dolcemente a terraPandaro l'adagiò. Dinanzi a luiprotendono le targhe i fidi amici,onde assalito dagli Achei non vegna,

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a lui la Diva, e disse: Inclito germedi Licaon, vuoi tu ascoltarmi? Ardisci,vibra nel petto a Menelao la puntad'un veloce quadrello. E grazia e lodete ne verrà dai Dardani e dal prenceParide in prima, che d'illustri donicolmeratti, vedendo il suo rivalemontar sul rogo, dal tuo stral trafitto.Su via dunque, dardeggia il burbanzosoAtride, e al licio saettante Apolloprometti che, tornato al patrio tettonella sacra Zelèa, darai di sceltiprimogeniti agnelli un'ecatombe.Così disse Minerva, e dello stoltopersuase il pensier. Diè mano ei tostoal bell'arco, già spoglia di lascivocapro agreste. L'aveva egli d'agguato,mentre dal cavo d'una rupe uscìa,colto nel petto, e su la rupe stesoresupino. Sorgevano alla belvalunghe sedici palmi su l'alterafronte le corna. Artefice peritole polì, le congiunse, e di lucentianelli d'oro ne fregiò le cime.Tese quest'arco, e dolcemente a terraPandaro l'adagiò. Dinanzi a luiprotendono le targhe i fidi amici,onde assalito dagli Achei non vegna,

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pria ch'egli il marzio Menelao percuota.Scoperchiò la faretra, ed un alatointatto strale ne cavò, sorgentedi lagrime infinite. Indi sul nervol'adattando promise al licio Apollodi primonati agnelli un'ecatomberitornato in Zelèa. Tirò di forzacolla cocca la corda, alla mammellaaccostò il nervo, all'arco il ferro, e fattodei tesi estremi un cerchio, all'improvvisol'arco e il nervo fischiar forte s'udiro,e lo strale fuggì desiderosodi volar fra le turbe. Ma non fûroimmemori di te, tradito Atride,in quel punto gli Dei. L'armipotentefiglia di Giove si parò davantial mortifero telo, e dal tuo corpolo devïò sollecita, siccometenera madre che dal caro voltodel bambino che dorme un dolce sonno,scaccia l'insetto che gli ronza intorno.Ella stessa la Dea drizzò lo straleove appunto il bel cinto era frenatodall'auree fibbie, e si stendea davantiqual secondo torace. Ivi l'acerboquadrello cadde, e traforando il cintonel panzeron s'infisse e nella piastrache dalle frecce il corpo gli schermìa.

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pria ch'egli il marzio Menelao percuota.Scoperchiò la faretra, ed un alatointatto strale ne cavò, sorgentedi lagrime infinite. Indi sul nervol'adattando promise al licio Apollodi primonati agnelli un'ecatomberitornato in Zelèa. Tirò di forzacolla cocca la corda, alla mammellaaccostò il nervo, all'arco il ferro, e fattodei tesi estremi un cerchio, all'improvvisol'arco e il nervo fischiar forte s'udiro,e lo strale fuggì desiderosodi volar fra le turbe. Ma non fûroimmemori di te, tradito Atride,in quel punto gli Dei. L'armipotentefiglia di Giove si parò davantial mortifero telo, e dal tuo corpolo devïò sollecita, siccometenera madre che dal caro voltodel bambino che dorme un dolce sonno,scaccia l'insetto che gli ronza intorno.Ella stessa la Dea drizzò lo straleove appunto il bel cinto era frenatodall'auree fibbie, e si stendea davantiqual secondo torace. Ivi l'acerboquadrello cadde, e traforando il cintonel panzeron s'infisse e nella piastrache dalle frecce il corpo gli schermìa.

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Questa gli valse allor d'assai, ma purepassolla il dardo, e ne sfiorò la pelle,sì che tosto diè sangue la ferita.Come quando meonia o caria donnatinge d'ostro un avorio, onde fregiarnedi superbo destriero le mascelle;molti d'averlo cavalieri han brama;ma in chiusa stanza ei serbasi bel donoa qualche sire, adornamento e pompadel cavallo ed in un del cavaliero:così di sangue imporporossi, Atride,la tua bell'anca, e per lo stinco all'imocalcagno corse la vermiglia riga.Raccapricciossi a questa vista il regeAgamennón, raccapricciò lo stessomarzïal Menelao; ma quando ei videfuor della polpa l'amo dello strale,gli tornò tosto il core, e si rïebbe.Per man tenealo intanto Agamennóne,ed altamente fra i dolenti amicisospirando dicea: Caro fratello,perché qui morto tu mi fossi, io dunquegiurai l'accordo, te mettendo soloper gli Achivi a pugnar contra i Troiani,contra i Troiani che l'accordo han rotto,e a tradimento ti ferîr? Ma vanonon andrà delle vittime il giuratosangue, né i puri libamenti ai numi,

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Questa gli valse allor d'assai, ma purepassolla il dardo, e ne sfiorò la pelle,sì che tosto diè sangue la ferita.Come quando meonia o caria donnatinge d'ostro un avorio, onde fregiarnedi superbo destriero le mascelle;molti d'averlo cavalieri han brama;ma in chiusa stanza ei serbasi bel donoa qualche sire, adornamento e pompadel cavallo ed in un del cavaliero:così di sangue imporporossi, Atride,la tua bell'anca, e per lo stinco all'imocalcagno corse la vermiglia riga.Raccapricciossi a questa vista il regeAgamennón, raccapricciò lo stessomarzïal Menelao; ma quando ei videfuor della polpa l'amo dello strale,gli tornò tosto il core, e si rïebbe.Per man tenealo intanto Agamennóne,ed altamente fra i dolenti amicisospirando dicea: Caro fratello,perché qui morto tu mi fossi, io dunquegiurai l'accordo, te mettendo soloper gli Achivi a pugnar contra i Troiani,contra i Troiani che l'accordo han rotto,e a tradimento ti ferîr? Ma vanonon andrà delle vittime il giuratosangue, né i puri libamenti ai numi,

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né la fé delle destre. Il giusto Giovepuò differire ei sì, ma non per certoobblïar la vendetta; e caro un giornocolle lor teste, colle mogli e i figline pagheranno gli spergiuri il fio.Tempo verrà (di questo ho certo il core)ch'Ilio e Priamo perisca, e tutta insiemela sua perfida gente. Dall'eccelsoetereo seggio scoterà sovr'essil'egida orrenda di Saturno il figliodi tanta frode irato; e non cadrannovôti i suoi sdegni. Ma d'immenso luttotu cagion mi sarai, dolce fratello,se morte tronca de' tuoi giorni il corso.Sorgerà negli Achei vivo il desìodel patrio suolo, e d'onta carco in Argoio tornerommi, e lasceremo ai Teucri,glorïoso trofeo, la tua consorte.Putride intanto nell'iliaca terral'ossa tue giaceran, senz'aver datofine all'impresa, e il tumulo del mioprode fratello un qualche Teucro alterocalpestando, dirà: Possa i suoi sdegnisatisfar così sempre Agamennóne,siccome or fece, senza pro guidandol'argoliche falangi a questo lido,d'onde scornato su le vote navialla patria tornò, qui derelitto

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né la fé delle destre. Il giusto Giovepuò differire ei sì, ma non per certoobblïar la vendetta; e caro un giornocolle lor teste, colle mogli e i figline pagheranno gli spergiuri il fio.Tempo verrà (di questo ho certo il core)ch'Ilio e Priamo perisca, e tutta insiemela sua perfida gente. Dall'eccelsoetereo seggio scoterà sovr'essil'egida orrenda di Saturno il figliodi tanta frode irato; e non cadrannovôti i suoi sdegni. Ma d'immenso luttotu cagion mi sarai, dolce fratello,se morte tronca de' tuoi giorni il corso.Sorgerà negli Achei vivo il desìodel patrio suolo, e d'onta carco in Argoio tornerommi, e lasceremo ai Teucri,glorïoso trofeo, la tua consorte.Putride intanto nell'iliaca terral'ossa tue giaceran, senz'aver datofine all'impresa, e il tumulo del mioprode fratello un qualche Teucro alterocalpestando, dirà: Possa i suoi sdegnisatisfar così sempre Agamennóne,siccome or fece, senza pro guidandol'argoliche falangi a questo lido,d'onde scornato su le vote navialla patria tornò, qui derelitto

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l'illustre Menelao. Sì fia ch'ei dica;e allor mi s'apra sotto i piè la terra.Ti conforta, rispose il biondo Atride,né co' lamenti spaventar gli Achivi.In mortal parte non ferì l'acutodardo: di sopra il ricamato cintomi difese, e di sotto la corazzae questa fascia che di ferrea lamabuon fabbro foderò. - Sì voglia il cielo,diletto Menelao, l'altro riprese.Intanto tratterà medica manola tua ferita, e farmaco porravviatto a lenire ogni dolor. - Si volseall'araldo, ciò detto, e, Va, soggiunse,vola, o Taltibio, e fa che ratto il figliod'Esculapio, divin medicatore,Macaon qua ne vegna, e degli Acheial forte duce Menelao soccorra,cui di freccia ferì qualche troianoo licio saettier che sé di gloria,noi di lutto coprì. - Disse, e l'araldotra le falangi achee corse velocein traccia dell'eroe. Ritto lo videfra lo stuolo de' prodi che da Triccaaltrice di corsier l'avea seguìto:appressossi, e con rapide parole,Vien, gli disse, t'affretta, o Macaone;Agamennón ti chiama: il valoroso

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l'illustre Menelao. Sì fia ch'ei dica;e allor mi s'apra sotto i piè la terra.Ti conforta, rispose il biondo Atride,né co' lamenti spaventar gli Achivi.In mortal parte non ferì l'acutodardo: di sopra il ricamato cintomi difese, e di sotto la corazzae questa fascia che di ferrea lamabuon fabbro foderò. - Sì voglia il cielo,diletto Menelao, l'altro riprese.Intanto tratterà medica manola tua ferita, e farmaco porravviatto a lenire ogni dolor. - Si volseall'araldo, ciò detto, e, Va, soggiunse,vola, o Taltibio, e fa che ratto il figliod'Esculapio, divin medicatore,Macaon qua ne vegna, e degli Acheial forte duce Menelao soccorra,cui di freccia ferì qualche troianoo licio saettier che sé di gloria,noi di lutto coprì. - Disse, e l'araldotra le falangi achee corse velocein traccia dell'eroe. Ritto lo videfra lo stuolo de' prodi che da Triccaaltrice di corsier l'avea seguìto:appressossi, e con rapide parole,Vien, gli disse, t'affretta, o Macaone;Agamennón ti chiama: il valoroso

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Menelao fu di stral colto da qualchelicio arciero o troiano che superbova del nostro dolor. Corri, e lo sana.Al tristo annunzio si commosse il figliod'Esculapio; e veloci attraversandoil largo campo acheo, fur tosto al locoove al ferito dëiforme Atridefacean cerchio i migliori. Incontanentedal balteo estrasse Macaon lo strale,di cui curvârsi nell'uscir gli acutiami: disciolse ei quindi il vergolatocinto e il torace colla ferrea fasciasovrapposta; e scoperta la ferita,succhionne il sangue, e destro la cosparsedei lenitivi farmaci che al padre,d'amor pegno, insegnati avea Chirone.Mentre questi alla cura intenti sonodel bellicoso Atride, ecco i Troianimarciar di nuovo con gli scudi al petto,e di nuovo gli Achei l'armi vestiredi battaglia bramosi. Allor vedevinon assonnarsi, non dubbiar, né pugnaschivar l'illustre Agamennón; ma rattovolar nel campo della gloria. Il carroe i fervidi destrier tratti in dispartelascia all'auriga Eurimedonte, figliodel Piraìde Tolomèo; gl'imponedi seguirlo vicin, mentre pel campo

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Menelao fu di stral colto da qualchelicio arciero o troiano che superbova del nostro dolor. Corri, e lo sana.Al tristo annunzio si commosse il figliod'Esculapio; e veloci attraversandoil largo campo acheo, fur tosto al locoove al ferito dëiforme Atridefacean cerchio i migliori. Incontanentedal balteo estrasse Macaon lo strale,di cui curvârsi nell'uscir gli acutiami: disciolse ei quindi il vergolatocinto e il torace colla ferrea fasciasovrapposta; e scoperta la ferita,succhionne il sangue, e destro la cosparsedei lenitivi farmaci che al padre,d'amor pegno, insegnati avea Chirone.Mentre questi alla cura intenti sonodel bellicoso Atride, ecco i Troianimarciar di nuovo con gli scudi al petto,e di nuovo gli Achei l'armi vestiredi battaglia bramosi. Allor vedevinon assonnarsi, non dubbiar, né pugnaschivar l'illustre Agamennón; ma rattovolar nel campo della gloria. Il carroe i fervidi destrier tratti in dispartelascia all'auriga Eurimedonte, figliodel Piraìde Tolomèo; gl'imponedi seguirlo vicin, mentre pel campo

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ordinando le turbe egli s'aggira,onde accorrergli pronto ove stanchezzagli occupasse le membra. Egli pedonescorre intanto le file, e quanti all'armiaffrettarsi ne vede, ei colla vocefortemente gl'incuora, e grida: Argivi,niun rallenti le forze: il giusto Giovebugiardi non aiuta: chi primierol'accordo vïolò, pasto vedrassidi voraci avoltoi, mentre captivele dilette lor mogli in un co' figlinoi nosco condurremo, Ilio distrutto.Quanti poi ne scorgea ritrosi e schividella battaglia, con irati accentili rabbuffando, O Argivi, egli dicea,o guerrier da balestra, o vitupèri!Non vi prende vergogna? A che vi stateistupiditi come zebe, a cui,dopo scorso un gran campo, la stanchezzaruba il piede e la lena? E voi del pariallibiti al pugnar vi sottraete.Aspettate voi forse che il nemicoalla spiaggia s'accosti ove ritrattestan sul secco le prore, onde si veggase Giove allor vi stenderà la mano?Così imperando trascorrea le schiere.Venne ai Cretesi; e li trovò che all'armidavan di piglio intorno al bellicoso

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ordinando le turbe egli s'aggira,onde accorrergli pronto ove stanchezzagli occupasse le membra. Egli pedonescorre intanto le file, e quanti all'armiaffrettarsi ne vede, ei colla vocefortemente gl'incuora, e grida: Argivi,niun rallenti le forze: il giusto Giovebugiardi non aiuta: chi primierol'accordo vïolò, pasto vedrassidi voraci avoltoi, mentre captivele dilette lor mogli in un co' figlinoi nosco condurremo, Ilio distrutto.Quanti poi ne scorgea ritrosi e schividella battaglia, con irati accentili rabbuffando, O Argivi, egli dicea,o guerrier da balestra, o vitupèri!Non vi prende vergogna? A che vi stateistupiditi come zebe, a cui,dopo scorso un gran campo, la stanchezzaruba il piede e la lena? E voi del pariallibiti al pugnar vi sottraete.Aspettate voi forse che il nemicoalla spiaggia s'accosti ove ritrattestan sul secco le prore, onde si veggase Giove allor vi stenderà la mano?Così imperando trascorrea le schiere.Venne ai Cretesi; e li trovò che all'armidavan di piglio intorno al bellicoso

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Idomenèo. Per vigorìa di forzepari a fiero cinghiale Idomenèoguidava l'antiguardia, e Merïonela retroguardia. Del vederli allegroil sir de' forti Atride al re cretesecon questo dolce favellar si volse:Idomenèo, te sopra i Dànai tutticavalieri veloci in pregio io tegno,sia nella guerra, sia nell'altre imprese,sia ne' conviti, allor che ne' craterid'almo antico lïeo versan la spumai supremi tra' Greci. Ove degli altrichiomati Achivi misurato è il nappo,il tuo del par che il mio sempre trabocca,quando ti prende di bombar la voglia.Or entra nella pugna, e tal ti mostraqual dianzi ti vantasti. - E de' Cretensia lui lo duce: Atride, io qual già priat'impromisi e giurai, fido compagnoper certo ti sarò. Ma tu rinfiammagli altri Achivi a pugnar senza dimora.Rupper l'accordo i Teucri, e perché primidel patto vïolâr la santitate,sul lor capo cadran morti e ruïne.Disse; e gioioso proseguì l'Atridefra le caterve la rivista, e vennedegli Aiaci alla squadra. In tutto puntometteansi questi, e li seguìa di fanti

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Idomenèo. Per vigorìa di forzepari a fiero cinghiale Idomenèoguidava l'antiguardia, e Merïonela retroguardia. Del vederli allegroil sir de' forti Atride al re cretesecon questo dolce favellar si volse:Idomenèo, te sopra i Dànai tutticavalieri veloci in pregio io tegno,sia nella guerra, sia nell'altre imprese,sia ne' conviti, allor che ne' craterid'almo antico lïeo versan la spumai supremi tra' Greci. Ove degli altrichiomati Achivi misurato è il nappo,il tuo del par che il mio sempre trabocca,quando ti prende di bombar la voglia.Or entra nella pugna, e tal ti mostraqual dianzi ti vantasti. - E de' Cretensia lui lo duce: Atride, io qual già priat'impromisi e giurai, fido compagnoper certo ti sarò. Ma tu rinfiammagli altri Achivi a pugnar senza dimora.Rupper l'accordo i Teucri, e perché primidel patto vïolâr la santitate,sul lor capo cadran morti e ruïne.Disse; e gioioso proseguì l'Atridefra le caterve la rivista, e vennedegli Aiaci alla squadra. In tutto puntometteansi questi, e li seguìa di fanti

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un nugolo. Siccome allor che scopred'alto loco il pastor nube che spintasu per l'onde da Cauro s'avvicina,e bruna più che pece il mar vïaggia,grave il seno di nembi; inorriditoei la guarda, ed affretta alla speloncale pecorelle; così negre ed orrideper gli scudi e per l'aste si moveanosotto gli Aiaci accolte le falangide' giovani veloci al rio conflitto.Allegrossi a tal vista Agamennóne,e a' lor duci converso in presti accenti,Aiaci, ei disse, condottieri egregide' loricati Achivi, io non v'esorto,(ciò fôra oltraggio) a inanimar le vostreschiere; già per voi stessi a fortementepugnar le stimolate. Al sommo Giovee a Pallade piacesse e al santo Apollo,che tal coraggio in ogni petto ardesse,e tosto presa ed adeguata al suoloper le man degli Achei Troia cadrebbe.Così detto lasciolli, e procedendoa Nestore arrivò, Nestore argutode' Pilii arringator, che in ordinanzai suoi prodi metteva, e alla battagliali concitava. Stavangli dintornoil grande Pelagonte ed Alastorre,e il prence Emone e Cromio, ed il pastore

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un nugolo. Siccome allor che scopred'alto loco il pastor nube che spintasu per l'onde da Cauro s'avvicina,e bruna più che pece il mar vïaggia,grave il seno di nembi; inorriditoei la guarda, ed affretta alla speloncale pecorelle; così negre ed orrideper gli scudi e per l'aste si moveanosotto gli Aiaci accolte le falangide' giovani veloci al rio conflitto.Allegrossi a tal vista Agamennóne,e a' lor duci converso in presti accenti,Aiaci, ei disse, condottieri egregide' loricati Achivi, io non v'esorto,(ciò fôra oltraggio) a inanimar le vostreschiere; già per voi stessi a fortementepugnar le stimolate. Al sommo Giovee a Pallade piacesse e al santo Apollo,che tal coraggio in ogni petto ardesse,e tosto presa ed adeguata al suoloper le man degli Achei Troia cadrebbe.Così detto lasciolli, e procedendoa Nestore arrivò, Nestore argutode' Pilii arringator, che in ordinanzai suoi prodi metteva, e alla battagliali concitava. Stavangli dintornoil grande Pelagonte ed Alastorre,e il prence Emone e Cromio, ed il pastore

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di popoli Biante. In prima ei posealla fronte coi carri e coi cavallii cavalieri, e al retroguardo i fanti,che molti essendo e valorosi, il valloformavano di guerra. Indi nel mezzoi codardi rinchiuse, onde forzarlilor mal grado a pugnar. Ma innanzi a tuttoporge ricordo ai combattenti equestridi frenar lor cavalli, e non mischiarsiconfusamente nella folla. - Alcunonon sia, soggiunse, che in suo cor fidandoe nell'equestre maestrìa, s'attentisolo i Teucri affrontar di schiera uscito:né sia chi retroceda; ché cedendosi sgagliarda il soldato. Ognun che scesodal proprio carro l'ostil carro assalga,coll'asta bassa investalo, ché megliosì pugnando gli torna. Con quest'arte,con questa mente e questo ardir nel pettole città rovesciâr gli antichi eroi.Il canuto così mastro di guerrale sue genti animava. In lui fissandogli occhi l'Atride, giubilonne, e tostoqueste parole gli drizzò: Buon veglio,oh t'avessi tu salde le ginocchiae saldi i polsi come hai saldo il core!La ria vecchiezza, che a null'uom perdona,ti logora le forze: ah perché d'altro

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di popoli Biante. In prima ei posealla fronte coi carri e coi cavallii cavalieri, e al retroguardo i fanti,che molti essendo e valorosi, il valloformavano di guerra. Indi nel mezzoi codardi rinchiuse, onde forzarlilor mal grado a pugnar. Ma innanzi a tuttoporge ricordo ai combattenti equestridi frenar lor cavalli, e non mischiarsiconfusamente nella folla. - Alcunonon sia, soggiunse, che in suo cor fidandoe nell'equestre maestrìa, s'attentisolo i Teucri affrontar di schiera uscito:né sia chi retroceda; ché cedendosi sgagliarda il soldato. Ognun che scesodal proprio carro l'ostil carro assalga,coll'asta bassa investalo, ché megliosì pugnando gli torna. Con quest'arte,con questa mente e questo ardir nel pettole città rovesciâr gli antichi eroi.Il canuto così mastro di guerrale sue genti animava. In lui fissandogli occhi l'Atride, giubilonne, e tostoqueste parole gli drizzò: Buon veglio,oh t'avessi tu salde le ginocchiae saldi i polsi come hai saldo il core!La ria vecchiezza, che a null'uom perdona,ti logora le forze: ah perché d'altro

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guerrier non grava la crudel le spalle!perché de' tuoi begli anni è morto il fiore!Ed il gerenio cavalier rispose:Atride, al certo bramerei pur ioquelle forze ch'io m'ebbi il dì che mortediedi all'illustre Ereutalion. Ma tuttitutto ad un tempo non comparte Giovei suoi doni al mortal. Rideami alloragioventude: or mi doma empia vecchiezza.Ma qual pur sono mi starò nel mezzode' cavalieri nella pugna, e gli altrigioverò di parole e di consiglio,ché questo è officio de' provetti. Dêssilasciar dell'aste il tiro ai giovinettidi me più destri e nel vigor securi.Disse; e lieto l'Atride oltrepassandovenne al Petìde Menestèo, peritodi cocchi guidator, ritto nel mezzode' suoi prodi Cecròpii. Eragli accantolo scaltro Ulisse colle forti schierede' Cefaleni, che non anco uditodi guerra il grido avean, poiché le teucree l'argive falangi allora alloracominciavan le mosse: e questi in posaaspettavan che stuolo altro d'Acheiimpeto fêsse ne' Troiani il primo,e ingaggiasse battaglia. In quello statoli sorprese l'Atride; e corruccioso

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guerrier non grava la crudel le spalle!perché de' tuoi begli anni è morto il fiore!Ed il gerenio cavalier rispose:Atride, al certo bramerei pur ioquelle forze ch'io m'ebbi il dì che mortediedi all'illustre Ereutalion. Ma tuttitutto ad un tempo non comparte Giovei suoi doni al mortal. Rideami alloragioventude: or mi doma empia vecchiezza.Ma qual pur sono mi starò nel mezzode' cavalieri nella pugna, e gli altrigioverò di parole e di consiglio,ché questo è officio de' provetti. Dêssilasciar dell'aste il tiro ai giovinettidi me più destri e nel vigor securi.Disse; e lieto l'Atride oltrepassandovenne al Petìde Menestèo, peritodi cocchi guidator, ritto nel mezzode' suoi prodi Cecròpii. Eragli accantolo scaltro Ulisse colle forti schierede' Cefaleni, che non anco uditodi guerra il grido avean, poiché le teucree l'argive falangi allora alloracominciavan le mosse: e questi in posaaspettavan che stuolo altro d'Acheiimpeto fêsse ne' Troiani il primo,e ingaggiasse battaglia. In quello statoli sorprese l'Atride; e corruccioso

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fe' dal labbro volar questa rampogna:Petìde Menestèo, figlio non degnod'un alunno di Giove, e tu d'inganniastuto fabbro, a che tremanti stategli altri aspettando, e separati? A voientrar conviensi nella mischia i primi,perché primi io vi chiamo anche ai convitich'ai primati imbandiscono gli Achei.Ivi il saìme saporar vi giovadelle carni arrostite, e a piena goladi soave lïeo cioncar le tazze.Or vi giova esser gli ultimi, e vi fôragrato il veder ben dieci squadre acheeinnanzi a voi scagliarsi entro il conflitto.Lo guatò bieco Ulisse, e gli rispose:Qual detto, Atride, ti fuggì di bocca?E come ardisci di chiamarne in guerraneghittosi? Allorché contra i Troianidaran principio al rio marte gli Achei,vedrai, se il brami e te ne cal, vedrainelle dardanie file antesignanedi Telemaco il padre. Or cianci al vento.Veduto il cruccio dell'eroe, sorrisel'Atride, e dolce ripigliò: Divinodi Laerte figliuol, sagace Ulisse,né sgridarti vogl'io, né comandartifuor di stagione, ch'io ben so che in pettovolgi pensieri generosi, e senti

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fe' dal labbro volar questa rampogna:Petìde Menestèo, figlio non degnod'un alunno di Giove, e tu d'inganniastuto fabbro, a che tremanti stategli altri aspettando, e separati? A voientrar conviensi nella mischia i primi,perché primi io vi chiamo anche ai convitich'ai primati imbandiscono gli Achei.Ivi il saìme saporar vi giovadelle carni arrostite, e a piena goladi soave lïeo cioncar le tazze.Or vi giova esser gli ultimi, e vi fôragrato il veder ben dieci squadre acheeinnanzi a voi scagliarsi entro il conflitto.Lo guatò bieco Ulisse, e gli rispose:Qual detto, Atride, ti fuggì di bocca?E come ardisci di chiamarne in guerraneghittosi? Allorché contra i Troianidaran principio al rio marte gli Achei,vedrai, se il brami e te ne cal, vedrainelle dardanie file antesignanedi Telemaco il padre. Or cianci al vento.Veduto il cruccio dell'eroe, sorrisel'Atride, e dolce ripigliò: Divinodi Laerte figliuol, sagace Ulisse,né sgridarti vogl'io, né comandartifuor di stagione, ch'io ben so che in pettovolgi pensieri generosi, e senti

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ciò ch'io pur sento. Or vanne, e pugna; e s'oradal labbro mi fuggì cosa mal detta,ripareremla in altro tempo. Intantone disperdano i numi ogni ricordo.Ciò detto, gli abbandona, e ad altri ei passa;e ritto in piedi sul lucente cocchioil magnanimo figlio di TidèoDiomede ritrova. Al fianco ha Stènelo,prole di Capanèo. Si volse il sireAgamennóne a Diomede, e rattocon questi accenti rampognollo: Ahi figliodel bellicoso cavalier Tidèo,di che paventi? Perché guardi intornole scampe della pugna? Ah! non soleacosì Tidèo tremar; ma precorrendod'assai gli amici, co' nemici ei primos'azzuffava. Ciascun che ne' guerrieritravagli il vide, lo racconta. In veroné compagno io gli fui né testimone,ma udii che ogni altro di valore ei vinse.Ben coll'illustre Polinice un temposenz'armati in Micene ospite ei venne,onde far gente che alle sacre murali seguisse di Tebe, a cui già mossaavean la guerra; e ne fêr ressa e preghiper ottenerne generosi aiuti;e volevam noi darli, e la domandatutta appagar; ma con infausti segni

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ciò ch'io pur sento. Or vanne, e pugna; e s'oradal labbro mi fuggì cosa mal detta,ripareremla in altro tempo. Intantone disperdano i numi ogni ricordo.Ciò detto, gli abbandona, e ad altri ei passa;e ritto in piedi sul lucente cocchioil magnanimo figlio di TidèoDiomede ritrova. Al fianco ha Stènelo,prole di Capanèo. Si volse il sireAgamennóne a Diomede, e rattocon questi accenti rampognollo: Ahi figliodel bellicoso cavalier Tidèo,di che paventi? Perché guardi intornole scampe della pugna? Ah! non soleacosì Tidèo tremar; ma precorrendod'assai gli amici, co' nemici ei primos'azzuffava. Ciascun che ne' guerrieritravagli il vide, lo racconta. In veroné compagno io gli fui né testimone,ma udii che ogni altro di valore ei vinse.Ben coll'illustre Polinice un temposenz'armati in Micene ospite ei venne,onde far gente che alle sacre murali seguisse di Tebe, a cui già mossaavean la guerra; e ne fêr ressa e preghiper ottenerne generosi aiuti;e volevam noi darli, e la domandatutta appagar; ma con infausti segni

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Giove da tanto ne distolse. Or comegli eroi si fûro dipartiti e giuntidopo molto cammino al verdeggiantegiuncoso Asopo, ambasciatore a Tebespedîr Tidèo gli Achivi. Andovvi, e moltibanchettanti Cadmei trovò del forteEteòcle alle mense. In mezzo a loro,quantunque estrano e solo, il cavalierosenza punto temer tutti sfidollial paragon dell'armi, e tutti ei vinse,col favor di Minerva. Irati i vintidi cinquanta guerrieri, al suo ritorno,gli posero un agguato. Eran lor ducil'Emonide Meone, uom d'almo aspetto,e d'Autofano il figlio Licofonte,intrepido campion. Tidèo gli uccisetutti, ed un solo per voler de' numi,il sol Meone rimandonne a Tebe.Tal fu l'etòlo eroe, padre di prolemiglior di lingua, ma minor di fatti.Non rispose all'acerbo il valorosoTidìde, e rispettò del venerandorege il rabbuffo; ma rispose il figliodel chiaro Capanèo, dicendo: Atride,non mentir quando t'è palese il vero.Migliori assai de' nostri padri a drittonoi ci vantiam. Noi Tebe e le sue setteporte espugnammo: e nondimen più scarsi

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Giove da tanto ne distolse. Or comegli eroi si fûro dipartiti e giuntidopo molto cammino al verdeggiantegiuncoso Asopo, ambasciatore a Tebespedîr Tidèo gli Achivi. Andovvi, e moltibanchettanti Cadmei trovò del forteEteòcle alle mense. In mezzo a loro,quantunque estrano e solo, il cavalierosenza punto temer tutti sfidollial paragon dell'armi, e tutti ei vinse,col favor di Minerva. Irati i vintidi cinquanta guerrieri, al suo ritorno,gli posero un agguato. Eran lor ducil'Emonide Meone, uom d'almo aspetto,e d'Autofano il figlio Licofonte,intrepido campion. Tidèo gli uccisetutti, ed un solo per voler de' numi,il sol Meone rimandonne a Tebe.Tal fu l'etòlo eroe, padre di prolemiglior di lingua, ma minor di fatti.Non rispose all'acerbo il valorosoTidìde, e rispettò del venerandorege il rabbuffo; ma rispose il figliodel chiaro Capanèo, dicendo: Atride,non mentir quando t'è palese il vero.Migliori assai de' nostri padri a drittonoi ci vantiam. Noi Tebe e le sue setteporte espugnammo: e nondimen più scarsi

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eran gli armati che guidammo al sacromuro di Marte, ne' divini auspìcifidando e in Giove. Per l'opposto quellipeccâr d'insano ardire e vi periro.Non pormi adunque in onor pari i padri.Gli volse un guardo di traverso il forteTidìde, e ripigliò: T'accheta, amico,ed obbedisci al mio parlar. Non io,se il re supremo Agamennóne istigaalla pugna gli Achei, non io lo biasmo.Fia sua la gloria, se, domati i Teucri,noi la sacra cittade espugneremo,e suo, se spenti noi cadremo, il lutto.Dunque a dar prove di valor si pensi.Disse, e armato balzò dal cocchio in terra.Orrendamente risonâr sul pettol'armi al re concitato, a tal che preson'avrìa spavento ogni più fermo core.Siccome quando al risonante lido,di Ponente al soffiar, l'uno sull'altrodel mar si spinge il flutto; e prima in altogonfiasi, e poscia su la sponda rottoorribilmente freme, e intorno agli ertiscogli s'arriccia, li sormonta, e in larghisprazzi diffonde la canuta spuma:incessanti così l'una su l'altramovon l'achee falangi alla battagliasotto il suo duce ognuna; e sì gran turba

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eran gli armati che guidammo al sacromuro di Marte, ne' divini auspìcifidando e in Giove. Per l'opposto quellipeccâr d'insano ardire e vi periro.Non pormi adunque in onor pari i padri.Gli volse un guardo di traverso il forteTidìde, e ripigliò: T'accheta, amico,ed obbedisci al mio parlar. Non io,se il re supremo Agamennóne istigaalla pugna gli Achei, non io lo biasmo.Fia sua la gloria, se, domati i Teucri,noi la sacra cittade espugneremo,e suo, se spenti noi cadremo, il lutto.Dunque a dar prove di valor si pensi.Disse, e armato balzò dal cocchio in terra.Orrendamente risonâr sul pettol'armi al re concitato, a tal che preson'avrìa spavento ogni più fermo core.Siccome quando al risonante lido,di Ponente al soffiar, l'uno sull'altrodel mar si spinge il flutto; e prima in altogonfiasi, e poscia su la sponda rottoorribilmente freme, e intorno agli ertiscogli s'arriccia, li sormonta, e in larghisprazzi diffonde la canuta spuma:incessanti così l'una su l'altramovon l'achee falangi alla battagliasotto il suo duce ognuna; e sì gran turba

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marcia sì cheta, che di voce privala diresti al vederla; e riverenzaera de' duci quel silenzio; e l'armidi varia guisa, di che gìan vestititutti in ischiera, li cingean di lampi.Ma simiglianti i Teucri a numerosogregge che dentro il pecoril di riccopadron, nell'ora che si spreme il latte,s'ammucchiano, e al belar de' cari agnellirispondono belando alla dirotta;così per l'ampio esercito un confusomettean schiamazzo i Teucri, ché non unoera di tutti il grido né la voce,ma di lingue un mistìo, sendo una genteda più parti raccolta. A questi Marte,a quei Minerva è sprone, e quinci e quindilo Spavento e la Fuga, e del crudeleMarte suora e compagna la Contesainsazïabilmente furibonda,che da principio piccola si leva,poi mette il capo tra le stelle, e immensapasseggia su la terra. Essa per mezzoalle turbe scorrendo, e de' mortaliaddoppiando gli affanni, in ambeduele bande sparse una rabbiosa lite.Poiché l'un campo e l'altro in un sol luogoconvenne, e si scontrâr l'aste e gli scudi,e il furor de' guerrieri, scintillanti

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marcia sì cheta, che di voce privala diresti al vederla; e riverenzaera de' duci quel silenzio; e l'armidi varia guisa, di che gìan vestititutti in ischiera, li cingean di lampi.Ma simiglianti i Teucri a numerosogregge che dentro il pecoril di riccopadron, nell'ora che si spreme il latte,s'ammucchiano, e al belar de' cari agnellirispondono belando alla dirotta;così per l'ampio esercito un confusomettean schiamazzo i Teucri, ché non unoera di tutti il grido né la voce,ma di lingue un mistìo, sendo una genteda più parti raccolta. A questi Marte,a quei Minerva è sprone, e quinci e quindilo Spavento e la Fuga, e del crudeleMarte suora e compagna la Contesainsazïabilmente furibonda,che da principio piccola si leva,poi mette il capo tra le stelle, e immensapasseggia su la terra. Essa per mezzoalle turbe scorrendo, e de' mortaliaddoppiando gli affanni, in ambeduele bande sparse una rabbiosa lite.Poiché l'un campo e l'altro in un sol luogoconvenne, e si scontrâr l'aste e gli scudi,e il furor de' guerrieri, scintillanti

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ne' risonanti usberghi, e delle colmetarghe già il cozzo si sentìa, levossiun orrendo tumulto. Iva confusocol gemer degli uccisi il vanto e il gridodegli uccisori, e il suol sangue correa.Qual due torrenti che di largo sboccodevolvonsi dai monti, e nella valleper lo concavo sen d'una voragoconfondono le gonfie onde veloci:n'ode il fragor da lungi in cima al balzol'atterrito pastor: tal dai commistieserciti sorgea fracasso e tema.Primo Antiloco uccise un valorosoTeucro, alle mani nelle prime file,il Taliside Echèpolo, il ferendonel cono del chiomato elmo: s'infissela ferrea punta nella fronte, e l'ossotrapanò: s'abbuiâr gli occhi al meschino,che strepitoso cadde come torre.Ghermì pe' piedi quel caduto il prencede' magnanimi Abanti Elefenorrefigliuol di Calcodonte, e desïosodi spogliarlo dell'armi, lo traeafuor della mischia: ma fallì la brama;ché mentre il morto ei dietro si strascina,Agenore il sorprende, e a lui che curvooffrìa nudati di pavese i fianchi,tale un colpo assestò, che gli disciolse

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ne' risonanti usberghi, e delle colmetarghe già il cozzo si sentìa, levossiun orrendo tumulto. Iva confusocol gemer degli uccisi il vanto e il gridodegli uccisori, e il suol sangue correa.Qual due torrenti che di largo sboccodevolvonsi dai monti, e nella valleper lo concavo sen d'una voragoconfondono le gonfie onde veloci:n'ode il fragor da lungi in cima al balzol'atterrito pastor: tal dai commistieserciti sorgea fracasso e tema.Primo Antiloco uccise un valorosoTeucro, alle mani nelle prime file,il Taliside Echèpolo, il ferendonel cono del chiomato elmo: s'infissela ferrea punta nella fronte, e l'ossotrapanò: s'abbuiâr gli occhi al meschino,che strepitoso cadde come torre.Ghermì pe' piedi quel caduto il prencede' magnanimi Abanti Elefenorrefigliuol di Calcodonte, e desïosodi spogliarlo dell'armi, lo traeafuor della mischia: ma fallì la brama;ché mentre il morto ei dietro si strascina,Agenore il sorprende, e a lui che curvooffrìa nudati di pavese i fianchi,tale un colpo assestò, che gli disciolse

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le forze, e l'alma abbandonollo. Alloratra i Troiani e gli Achei surse una fierazuffa sovr'esso: s'affrontâr quai lupi,e in mutua strage si metteano a morte.Qui fu che Aiace Telamonio il figliod'Antemion percosse il giovinettoSimoesio, cui scesa dall'Ideecime la madre partorì sul margodel Simoenta, un giorno ivi venutaco' genitori a visitar la greggia;e Simoesio lo nomâr dal fiume.Misero! Ché dei presi in educarlodolci pensieri ai genitor dilettirendere il merto non poteo: la lanciad'Aiace il colse, e il viver suo fe' breve.Al primo scontro lo colpì nel pettosu la destra mammella, e la ferratapunta pel tergo riuscir gli fece.Cadde il garzone nella polve a guisadi liscio pioppo su la sponda natod'acquidosa palude: a lui de' ramigià la pompa crescea, quando repentecolla fulgida scure lo reciseartefice di carri, e inaridirelungo la riva lo lasciò del fiume,onde poscia foggiarne di bel cocchiole volubili rote: così giacquel'Antemide trafitto Simoesio,

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le forze, e l'alma abbandonollo. Alloratra i Troiani e gli Achei surse una fierazuffa sovr'esso: s'affrontâr quai lupi,e in mutua strage si metteano a morte.Qui fu che Aiace Telamonio il figliod'Antemion percosse il giovinettoSimoesio, cui scesa dall'Ideecime la madre partorì sul margodel Simoenta, un giorno ivi venutaco' genitori a visitar la greggia;e Simoesio lo nomâr dal fiume.Misero! Ché dei presi in educarlodolci pensieri ai genitor dilettirendere il merto non poteo: la lanciad'Aiace il colse, e il viver suo fe' breve.Al primo scontro lo colpì nel pettosu la destra mammella, e la ferratapunta pel tergo riuscir gli fece.Cadde il garzone nella polve a guisadi liscio pioppo su la sponda natod'acquidosa palude: a lui de' ramigià la pompa crescea, quando repentecolla fulgida scure lo reciseartefice di carri, e inaridirelungo la riva lo lasciò del fiume,onde poscia foggiarne di bel cocchiole volubili rote: così giacquel'Antemide trafitto Simoesio,

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e tale dispogliollo il grande Aiace.Contro Aiace l'acuta asta diressed'infra le turbe allor di Priamo il figlioAntifo, e il colpo gli fallì; ma colsenell'inguine il fedel d'Ulisse amicoLeuco che già di Simoesio altrovetraea la salma; e accanto al corpo esangue,che di man gli cadea, cadde egli pure.Forte adirato dell'ucciso amicosi spinse Ulisse tra gl'innanzi, tuttoscintillante di ferro, e più dappressofacendosi, e dintorno il guardo attentorivolgendo, librò l'asta lucente.Si misero a quell'atto in guardia i Teucri,e lo cansâr; ma quegli il telo a vôtonon sospinse, e ferì Democoonte,Priamide bastardo che d'Abidocon veloci puledre era venuto.A costui fulminò l'irato Ulissenelle tempie la lancia; e trapassollela ferrea punta. Tenebrârsi i lumial trafitto che cadde fragoroso,e cupo gli tonâr l'armi sul petto.Rinculò de' Troiani, al suo cadere,la fronte, rinculò lo stesso Ettorre;dier gli Argivi alte grida, ed occupatii corpi uccisi, s'avanzâr di punta.Dalla rocca di Pergamo mirolli

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e tale dispogliollo il grande Aiace.Contro Aiace l'acuta asta diressed'infra le turbe allor di Priamo il figlioAntifo, e il colpo gli fallì; ma colsenell'inguine il fedel d'Ulisse amicoLeuco che già di Simoesio altrovetraea la salma; e accanto al corpo esangue,che di man gli cadea, cadde egli pure.Forte adirato dell'ucciso amicosi spinse Ulisse tra gl'innanzi, tuttoscintillante di ferro, e più dappressofacendosi, e dintorno il guardo attentorivolgendo, librò l'asta lucente.Si misero a quell'atto in guardia i Teucri,e lo cansâr; ma quegli il telo a vôtonon sospinse, e ferì Democoonte,Priamide bastardo che d'Abidocon veloci puledre era venuto.A costui fulminò l'irato Ulissenelle tempie la lancia; e trapassollela ferrea punta. Tenebrârsi i lumial trafitto che cadde fragoroso,e cupo gli tonâr l'armi sul petto.Rinculò de' Troiani, al suo cadere,la fronte, rinculò lo stesso Ettorre;dier gli Argivi alte grida, ed occupatii corpi uccisi, s'avanzâr di punta.Dalla rocca di Pergamo mirolli

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sdegnato Apollo, e rincorando i Teucricon gran voce gridò: Fermo tenete,valorosi Troiani, ed agli Acheinon cedete l'onor di questa pugna,ché né pietra né ferro è la lor pelleda rintuzzar delle vostr'armi il taglio.Non combatte qui, no, della leggiadraTétide il figlio: non temete; Achillestassi alle navi a digerir la bile.Così dall'alto della rocca il Dioterribile sclamò. Ma la ferocePalla, di Giove glorïosa figlia,discorrendo le file inanimavagli Achivi, ovunque li vedea rimessi.Qui la Parca allacciò l'AmarancìdeDïore. Un'aspra e quanto cape il pugnogrossa pietra il percosse alla dirittatibia presso il tallone, e feritorefu l'Imbraside Piro che de' Tracicondottiero dall'Eno era venuto.Franse ambidue li nervi e la caviglial'improbo sasso, ed ei cadde supinonella sabbia, e mal vivo ambo le maniai compagni stendea. Sopra gli corseil percussore, e l'asta in mezzo all'epagli cacciò. Si versâr tutte per terrale intestina, e mortale ombra il coperse.All'irruente Piro allor l'Etòlo

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sdegnato Apollo, e rincorando i Teucricon gran voce gridò: Fermo tenete,valorosi Troiani, ed agli Acheinon cedete l'onor di questa pugna,ché né pietra né ferro è la lor pelleda rintuzzar delle vostr'armi il taglio.Non combatte qui, no, della leggiadraTétide il figlio: non temete; Achillestassi alle navi a digerir la bile.Così dall'alto della rocca il Dioterribile sclamò. Ma la ferocePalla, di Giove glorïosa figlia,discorrendo le file inanimavagli Achivi, ovunque li vedea rimessi.Qui la Parca allacciò l'AmarancìdeDïore. Un'aspra e quanto cape il pugnogrossa pietra il percosse alla dirittatibia presso il tallone, e feritorefu l'Imbraside Piro che de' Tracicondottiero dall'Eno era venuto.Franse ambidue li nervi e la caviglial'improbo sasso, ed ei cadde supinonella sabbia, e mal vivo ambo le maniai compagni stendea. Sopra gli corseil percussore, e l'asta in mezzo all'epagli cacciò. Si versâr tutte per terrale intestina, e mortale ombra il coperse.All'irruente Piro allor l'Etòlo

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Toante si rivolge; e lui nel pettocon la lancia ferendo alla mammellanel polmon gliela ficca. Indi appressatogliela sconficca dalla piaga; e in pugnostretta l'acuta spada glie l'immersenella ventraia, e gli rapìo la vita;l'armi non già, ché intorno al morto Pirocolle lungh'aste in pugno irti di ciuffiaffollârsi i suoi Traci, e il chiaro Etòlo,benché grande e gagliardo, allontanarosì che a forza respinto si ritrasse.Così l'uno appo l'altro nella polvegiacquero i due campioni, il tracio duce,e il duce degli Epei. Dintorno a questimolt'altri prodi ritrovâr la morte.Chi da ferite illeso, e da Minervaper man guidato, e preservato il pettodal volar degli strali, avvolto in mezzoalla pugna si fosse, avrìa le fortiopre stupito degli eroi, ché moltie Troiani ed Achivi nella polvegiacquer proni e confusi in quel conflitto.

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Toante si rivolge; e lui nel pettocon la lancia ferendo alla mammellanel polmon gliela ficca. Indi appressatogliela sconficca dalla piaga; e in pugnostretta l'acuta spada glie l'immersenella ventraia, e gli rapìo la vita;l'armi non già, ché intorno al morto Pirocolle lungh'aste in pugno irti di ciuffiaffollârsi i suoi Traci, e il chiaro Etòlo,benché grande e gagliardo, allontanarosì che a forza respinto si ritrasse.Così l'uno appo l'altro nella polvegiacquero i due campioni, il tracio duce,e il duce degli Epei. Dintorno a questimolt'altri prodi ritrovâr la morte.Chi da ferite illeso, e da Minervaper man guidato, e preservato il pettodal volar degli strali, avvolto in mezzoalla pugna si fosse, avrìa le fortiopre stupito degli eroi, ché moltie Troiani ed Achivi nella polvegiacquer proni e confusi in quel conflitto.

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Libro Quinto

Allor Palla Minerva a Dïomedeforza infuse ed ardire, onde fra tuttigli Achei splendesse glorïoso e chiaro.Lampi gli uscìan dall'elmo e dallo scudod'inestinguibil fiamma, al tremolìosimigliante del vivo astro d'autunno,che lavato nel mar splende più bello.Tal mandava dal capo e dalle spalledivin foco l'eroe, quando la Divalo sospinse nel mezzo ove più densaferve la mischia. Era fra' Teucri un certoDarete, uom ricco e d'onoranza degno,di Vulcan sacerdote, e genitoredi due prodi figliuoi mastri di guerraFegèo nomati e Idèo. Precorsi agli altrisi fêr costoro incontro a Dïomede,essi sul cocchio, ed ei pedone: e a frontedivenuti così, scagliò primierola lung'asta Fegèo. L'asta al Tidìdelambì l'omero manco, e non l'offese.Col ferrato suo cerro allor secondomosse il Tidìde, né di mano indarnoil telo gli fuggì, ché tra le poppedel nemico s'infisse, e dalla biga

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Libro Quinto

Allor Palla Minerva a Dïomedeforza infuse ed ardire, onde fra tuttigli Achei splendesse glorïoso e chiaro.Lampi gli uscìan dall'elmo e dallo scudod'inestinguibil fiamma, al tremolìosimigliante del vivo astro d'autunno,che lavato nel mar splende più bello.Tal mandava dal capo e dalle spalledivin foco l'eroe, quando la Divalo sospinse nel mezzo ove più densaferve la mischia. Era fra' Teucri un certoDarete, uom ricco e d'onoranza degno,di Vulcan sacerdote, e genitoredi due prodi figliuoi mastri di guerraFegèo nomati e Idèo. Precorsi agli altrisi fêr costoro incontro a Dïomede,essi sul cocchio, ed ei pedone: e a frontedivenuti così, scagliò primierola lung'asta Fegèo. L'asta al Tidìdelambì l'omero manco, e non l'offese.Col ferrato suo cerro allor secondomosse il Tidìde, né di mano indarnoil telo gli fuggì, ché tra le poppedel nemico s'infisse, e dalla biga

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lo spiombò. Diede Idèo, visto quel colpo,un salto a terra, e in un col suo bel carrosmarrito abbandonò la pia difesadell'ucciso fratel. Né avrìa schivatoperciò la morte; ma Vulcan di nebbialo ricinse e servollo, onde non restiil vecchio padre desolato al tutto.Tolse i destrieri il vincitore, e trarlida' compagni li fece alle sue navi.Visti i due figli di Darete i Teucril'un freddo nella polve e l'altro in fuga,turbârsi; e la glaucopide Minervapreso per mano il fero Marte disse:O Marte, Marte, esizïoso Iddioche lordo ir godi d'uman sangue e al suoloadeguar le città, non lasceremonoi dunque battagliar soli tra loroTeucri ed Achei, qualunque sia la partecui dar la palma vorrà Giove? Or viaritiriamci, evitiam l'ira del nume.In questo favellar trasse la scaltral'impetuoso Dio fuor del conflitto,e su la riva riposar lo fecedell'erboso Scamandro. Allora i Dànaicacciâr li Teucri in fuga; e ognun de' duciun fuggitivo uccise. Agamennóneprimier riversa il vasto Hodio dal carro,degli Alizóni condottiero, e primo

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lo spiombò. Diede Idèo, visto quel colpo,un salto a terra, e in un col suo bel carrosmarrito abbandonò la pia difesadell'ucciso fratel. Né avrìa schivatoperciò la morte; ma Vulcan di nebbialo ricinse e servollo, onde non restiil vecchio padre desolato al tutto.Tolse i destrieri il vincitore, e trarlida' compagni li fece alle sue navi.Visti i due figli di Darete i Teucril'un freddo nella polve e l'altro in fuga,turbârsi; e la glaucopide Minervapreso per mano il fero Marte disse:O Marte, Marte, esizïoso Iddioche lordo ir godi d'uman sangue e al suoloadeguar le città, non lasceremonoi dunque battagliar soli tra loroTeucri ed Achei, qualunque sia la partecui dar la palma vorrà Giove? Or viaritiriamci, evitiam l'ira del nume.In questo favellar trasse la scaltral'impetuoso Dio fuor del conflitto,e su la riva riposar lo fecedell'erboso Scamandro. Allora i Dànaicacciâr li Teucri in fuga; e ognun de' duciun fuggitivo uccise. Agamennóneprimier riversa il vasto Hodio dal carro,degli Alizóni condottiero, e primo

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al fuggir. Gli piantò l'asta nel tergo,e fuor del petto uscir la fece. Ei cadderomoroso, e suonâr l'armi sovr'esso.Dalla glebosa Tarne era venutoFesto figliuol del Mèone Boro. Il colseIdomenèo coll'asta alla dirittaspalla nel punto che salìa sul carro.Cadde il meschin d'orrenda notte avvolto,e i servi lo spogliâr d'Idomenèo.L'Atride Menelao di Strofio il figlioScamandrio uccise, cacciator famosocui la stessa Dïana ammaestravale fere a saettar quante ne pascemontana selva. E nulla allor gli valsela Diva amica degli strali, e nullal'arte dell'arco. Menelao lo giunsementre innanzi gli fugge, e tra le spallel'asta gli spinse, e trapassòglì il petto.Boccon cadde il trafitto, e cupamentel'armi sovr'esso rimbombar s'udiro.Prole del fabbro Armònide, Ferecloda Merïon fu spento. Era costuiper tutte guise di lavori industrimaraviglioso, e a Pallade Minervacaramente diletto. Opra fur suadi Paride le navi, onde principioebbe il danno de' Teucri, e di lui stesso,perché i decreti degli Dei non seppe.

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al fuggir. Gli piantò l'asta nel tergo,e fuor del petto uscir la fece. Ei cadderomoroso, e suonâr l'armi sovr'esso.Dalla glebosa Tarne era venutoFesto figliuol del Mèone Boro. Il colseIdomenèo coll'asta alla dirittaspalla nel punto che salìa sul carro.Cadde il meschin d'orrenda notte avvolto,e i servi lo spogliâr d'Idomenèo.L'Atride Menelao di Strofio il figlioScamandrio uccise, cacciator famosocui la stessa Dïana ammaestravale fere a saettar quante ne pascemontana selva. E nulla allor gli valsela Diva amica degli strali, e nullal'arte dell'arco. Menelao lo giunsementre innanzi gli fugge, e tra le spallel'asta gli spinse, e trapassòglì il petto.Boccon cadde il trafitto, e cupamentel'armi sovr'esso rimbombar s'udiro.Prole del fabbro Armònide, Ferecloda Merïon fu spento. Era costuiper tutte guise di lavori industrimaraviglioso, e a Pallade Minervacaramente diletto. Opra fur suadi Paride le navi, onde principioebbe il danno de' Teucri, e di lui stesso,perché i decreti degli Dei non seppe.

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L'inseguì, lo raggiunse, lo percossenel destro clune Merïone, e sottol'osso vêr la vescica uscì la punta.Gli mancâr le ginocchia, e guaiolandoe cadendo il coprì di morte il velo.Mege uccise Pedèo, bastarda proled'Antènore, cui l'inclita Teano,gratificando al suo consorte, aveacon molta cura nutricato al parodei diletti suoi figli. Si fe' sopraa costui coll'acuta asta il FilìdeMege, e alla nuca lo ferì. Trascorsetra i denti il ferro, e gli tagliò la lingua.Così concio egli cadde, e nella sabbiafe' tenaglia co' denti al freddo acciaro.Ipsènore, figliuol del generosoDolopïon, scamandrio sacerdoteriverito qual Dio, fugge davantial chiaro germe d'Evemone Eurìpilo.Eurìpilo l'insegue, e via correndotal gli cala su l'omero un fendenteche il braccio gli recide. Sanguinosocasca il mozzo lacerto nella polve,e la purpurea morte e il violentofato le luci gli abbuiâr. Di questital nell'acerba pugna era il lavoro.Ma di qual parte fosse Dïomede,se troiano od acheo, mal tu sapresti

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L'inseguì, lo raggiunse, lo percossenel destro clune Merïone, e sottol'osso vêr la vescica uscì la punta.Gli mancâr le ginocchia, e guaiolandoe cadendo il coprì di morte il velo.Mege uccise Pedèo, bastarda proled'Antènore, cui l'inclita Teano,gratificando al suo consorte, aveacon molta cura nutricato al parodei diletti suoi figli. Si fe' sopraa costui coll'acuta asta il FilìdeMege, e alla nuca lo ferì. Trascorsetra i denti il ferro, e gli tagliò la lingua.Così concio egli cadde, e nella sabbiafe' tenaglia co' denti al freddo acciaro.Ipsènore, figliuol del generosoDolopïon, scamandrio sacerdoteriverito qual Dio, fugge davantial chiaro germe d'Evemone Eurìpilo.Eurìpilo l'insegue, e via correndotal gli cala su l'omero un fendenteche il braccio gli recide. Sanguinosocasca il mozzo lacerto nella polve,e la purpurea morte e il violentofato le luci gli abbuiâr. Di questital nell'acerba pugna era il lavoro.Ma di qual parte fosse Dïomede,se troiano od acheo, mal tu sapresti

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discernere, sì fervido ei trascorreil campo tutto; simile alla pienadi tumido torrente che cresciutodalle piogge di Giove, ed improvvisoprecipitando i saldi ponti abbattedebil freno alle fiere onde, e de' verdicampi i ripari rovesciando, ingoiacon fragor le speranze e le fatichede' gagliardi coloni: a questa guisasgominava il Tidìde e dissipavale caterve de' Troi, che sostenernenon potean, benché molti, la ruina.Come Pandaro il vide sì furentescorrere il campo, e tutte a sé dinanziscompigliar le falangi, alla sua miracurvò subito l'arco, e l'irruenteeroe percosse alla diritta spalla.Entrò pel cavo dell'usbergo il crudostrale, e forollo, e il sanguinò. Coraggio,forte allora gridò l'inclito figliodi Licaon, magnanimi Troiani,stimolate i cavalli, ritornatealla pugna. Ferito è degli Acheiil più forte guerrier, né credo ei possaa lungo tollerar l'acerbo colpo,se vano feritor non mi sospinsequa dalla Licia il re dell'arco Apollo.Così gridava il vantator. Ma domo

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discernere, sì fervido ei trascorreil campo tutto; simile alla pienadi tumido torrente che cresciutodalle piogge di Giove, ed improvvisoprecipitando i saldi ponti abbattedebil freno alle fiere onde, e de' verdicampi i ripari rovesciando, ingoiacon fragor le speranze e le fatichede' gagliardi coloni: a questa guisasgominava il Tidìde e dissipavale caterve de' Troi, che sostenernenon potean, benché molti, la ruina.Come Pandaro il vide sì furentescorrere il campo, e tutte a sé dinanziscompigliar le falangi, alla sua miracurvò subito l'arco, e l'irruenteeroe percosse alla diritta spalla.Entrò pel cavo dell'usbergo il crudostrale, e forollo, e il sanguinò. Coraggio,forte allora gridò l'inclito figliodi Licaon, magnanimi Troiani,stimolate i cavalli, ritornatealla pugna. Ferito è degli Acheiil più forte guerrier, né credo ei possaa lungo tollerar l'acerbo colpo,se vano feritor non mi sospinsequa dalla Licia il re dell'arco Apollo.Così gridava il vantator. Ma domo

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non restò da quel colpo Dïomede,che ritraendo il passo, e de' cavallicoprendosi e del cocchio, al suo fedeleCapaneìde si rivolse, e disse:Corri, Stènelo mio, scendi dal carro,e dall'omero tosto mi divelliquesto acerbo quadrel. - Diè un salto a terraStènelo e corse, e l'aspro stral gli svelsedall'omero trafitto. Per la magliadell'usbergo spicciava il caldo sangue,e imperturbato sì l'eroe pregava:Invitta figlia dell'Egìoco Giove,se nelle ardenti pugne unqua a me fostidel tuo favor cortese e al mio gran padre,odimi, o Dea Minerva, ed or di nuovom'assisti, e al tiro della lancia miamanda il mio feritor: dammi ch'io spegnaquesto ventoso nebulon che gridach'io del Sol non vedrò più l'aurea luce.Udì la Diva il prego, e a lui repentee mani e piedi e tutta la personaagile rese, e fattasi vicinae manifesta disse: Ti rinfrancaDïomede, e co' Troi pugna securo;ch'io del tuo grande genitor Tidèol'invitta gagliardìa ti pongo in petto,e la nube dagli occhi ecco ti sgombroche la vista mortal t'appanna e grava,

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non restò da quel colpo Dïomede,che ritraendo il passo, e de' cavallicoprendosi e del cocchio, al suo fedeleCapaneìde si rivolse, e disse:Corri, Stènelo mio, scendi dal carro,e dall'omero tosto mi divelliquesto acerbo quadrel. - Diè un salto a terraStènelo e corse, e l'aspro stral gli svelsedall'omero trafitto. Per la magliadell'usbergo spicciava il caldo sangue,e imperturbato sì l'eroe pregava:Invitta figlia dell'Egìoco Giove,se nelle ardenti pugne unqua a me fostidel tuo favor cortese e al mio gran padre,odimi, o Dea Minerva, ed or di nuovom'assisti, e al tiro della lancia miamanda il mio feritor: dammi ch'io spegnaquesto ventoso nebulon che gridach'io del Sol non vedrò più l'aurea luce.Udì la Diva il prego, e a lui repentee mani e piedi e tutta la personaagile rese, e fattasi vicinae manifesta disse: Ti rinfrancaDïomede, e co' Troi pugna securo;ch'io del tuo grande genitor Tidèol'invitta gagliardìa ti pongo in petto,e la nube dagli occhi ecco ti sgombroche la vista mortal t'appanna e grava,

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onde tu ben discerna le divinee l'umane sembianze. Ove alcun Dioqui ti venga a tentar, tu con gli Eterninon cimentarti, no; ma se in conflittovien la figlia di Giove Citerea,l'acuto ferro adopra, e la ferisci.Sparve, ciò detto, la cerulea Diva.Allor diè volta e si mischiò tra' primicombattenti il Tidìde, a pugnar prontopiù che prima d'assai; ché in quel momentotriplice in petto si sentì la forza.Come lïon che, mentre il gregge assalta,ferito dal pastor, ma non ucciso,vie più s'infuria, e superando tutteresistenze si slancia entro l'ovile:derelitte, tremanti ed affollatel'una addosso dell'altra si riversanole pecorelle, ed ei vi salta in mezzocon ingordo furor: tal dentro ai Teucridiede il forte Tidìde. A prima giuntaAstìnoo uccise ed Ipenòr: trafissel'uno coll'asta alla mammella; all'altrola paletta dell'omero percossecon tale un colpo della grande spada,che gli spiccò dal collo e dalla schienal'omero netto. Dopo questi addossoad Abante si spicca e a Poliido,figli del veglio interprete di sogni

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onde tu ben discerna le divinee l'umane sembianze. Ove alcun Dioqui ti venga a tentar, tu con gli Eterninon cimentarti, no; ma se in conflittovien la figlia di Giove Citerea,l'acuto ferro adopra, e la ferisci.Sparve, ciò detto, la cerulea Diva.Allor diè volta e si mischiò tra' primicombattenti il Tidìde, a pugnar prontopiù che prima d'assai; ché in quel momentotriplice in petto si sentì la forza.Come lïon che, mentre il gregge assalta,ferito dal pastor, ma non ucciso,vie più s'infuria, e superando tutteresistenze si slancia entro l'ovile:derelitte, tremanti ed affollatel'una addosso dell'altra si riversanole pecorelle, ed ei vi salta in mezzocon ingordo furor: tal dentro ai Teucridiede il forte Tidìde. A prima giuntaAstìnoo uccise ed Ipenòr: trafissel'uno coll'asta alla mammella; all'altrola paletta dell'omero percossecon tale un colpo della grande spada,che gli spiccò dal collo e dalla schienal'omero netto. Dopo questi addossoad Abante si spicca e a Poliido,figli del veglio interprete di sogni

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Euridamante; ma il meschin non seppenella lor dipartenza a questa voltadivinarne il destin, ch'ambi il Tidìdeli pose a morte e li spogliò. Drizzossiquindi a Xanto e Faon figli a Fenopo,ambo a lui nati nell'età canuta.In amara vecchiezza il derelittogenitor si struggea, ché d'altra prole,cui sua reda lasciar, lieto non era.Gli spense ambo il Tidìde, e lor togliendola cara vita, in aspre cure e in piantipose il misero padre, a cui negatofu il vederli tornar dalla battagliasalvi al suo seno; e di lui morto in luttoignoti eredi si partîr l'avere.Due Prïamidi, Cromio ed Echemóne,venìano entrambi in un sol cocchio. A questis'avventò Dïomede; e col furoredi lïon che una mandra al bosco assaltae di giovenca o bue frange la nuca;così mal conci entrambi il fier Tidìdeprecipitolli dalla biga, e toltel'arme de' vinti, a' suoi sergenti ei diennei destrieri onde trarli alla marina.Come de' Teucri sbarattar le filevidelo Enea, si mosse, e per la foltae fra il rombo dell'aste discorrendoa cercar diessi il valoroso e chiaro

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Euridamante; ma il meschin non seppenella lor dipartenza a questa voltadivinarne il destin, ch'ambi il Tidìdeli pose a morte e li spogliò. Drizzossiquindi a Xanto e Faon figli a Fenopo,ambo a lui nati nell'età canuta.In amara vecchiezza il derelittogenitor si struggea, ché d'altra prole,cui sua reda lasciar, lieto non era.Gli spense ambo il Tidìde, e lor togliendola cara vita, in aspre cure e in piantipose il misero padre, a cui negatofu il vederli tornar dalla battagliasalvi al suo seno; e di lui morto in luttoignoti eredi si partîr l'avere.Due Prïamidi, Cromio ed Echemóne,venìano entrambi in un sol cocchio. A questis'avventò Dïomede; e col furoredi lïon che una mandra al bosco assaltae di giovenca o bue frange la nuca;così mal conci entrambi il fier Tidìdeprecipitolli dalla biga, e toltel'arme de' vinti, a' suoi sergenti ei diennei destrieri onde trarli alla marina.Come de' Teucri sbarattar le filevidelo Enea, si mosse, e per la foltae fra il rombo dell'aste discorrendoa cercar diessi il valoroso e chiaro

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figlio di Licaon, Pandaro. Il trova,gli si appresenta e fa queste parole:Pandaro, dov'è l'arco? ove i velocituoi strali? ov'è la gloria in che qui nulloteco gareggia, né verun si vantalicio arcier superarti? Or su, ti sveglia,alza a Giove la mano, un dardo allentacontro costui, qualunque ei sia, che destacotanta strage, e sì malmena i Teucri,de' quai già molti e forti a giacer pose:se pur egli non fosse un qualche numeadirato con noi per obblïatisacrifizi: e de' numi acerba è l'ira.Così d'Anchise il figlio. E il figlio a luidi Licaone: O delle teucre gentiinclito duce Enea, se quello scudoe quell'elmo a tre coni e quei destrieriben riconosco, colui parmi in tuttoil forte Dïomede. E nondimenonegar non l'oso un immortal. Ma s'egliè il mortale ch'io dico, il bellicosofigliuolo di Tidèo, tanto furorenon è senza il favor d'un qualche iddio,che di nebbia i celesti omeri avvoltostagli al fianco, e dal petto gli disvìale veloci saette. Io gli scagliaidianzi un dardo, e lo colsi alla dirittaspalla nel cavo del torace, e certo

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figlio di Licaon, Pandaro. Il trova,gli si appresenta e fa queste parole:Pandaro, dov'è l'arco? ove i velocituoi strali? ov'è la gloria in che qui nulloteco gareggia, né verun si vantalicio arcier superarti? Or su, ti sveglia,alza a Giove la mano, un dardo allentacontro costui, qualunque ei sia, che destacotanta strage, e sì malmena i Teucri,de' quai già molti e forti a giacer pose:se pur egli non fosse un qualche numeadirato con noi per obblïatisacrifizi: e de' numi acerba è l'ira.Così d'Anchise il figlio. E il figlio a luidi Licaone: O delle teucre gentiinclito duce Enea, se quello scudoe quell'elmo a tre coni e quei destrieriben riconosco, colui parmi in tuttoil forte Dïomede. E nondimenonegar non l'oso un immortal. Ma s'egliè il mortale ch'io dico, il bellicosofigliuolo di Tidèo, tanto furorenon è senza il favor d'un qualche iddio,che di nebbia i celesti omeri avvoltostagli al fianco, e dal petto gli disvìale veloci saette. Io gli scagliaidianzi un dardo, e lo colsi alla dirittaspalla nel cavo del torace, e certo

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d'averlo mi credea sospinto a Pluto.Pur non lo spensi: e irato quindi io temoqualche nume. Non ho su cui salireor qui cocchio verun. Stolto! che in serboundici ne lasciai nel patrio tettodi fresco fatti e belli, e di cortinericoperti, con due d'orzo e di speldaben pasciuti cavalli a ciascheduno.E sì che il giorno ch'io partii, gli eccelsinostri palagi abbandonando, il veglioguerriero Licaon molti ne davaprudenti avvisi, e mi facea precettodi guidar sempre mai montato in cocchiole troiane coorti alla battaglia.Certo era meglio l'obbedir; ma, folle!nol feci, ed ebbi ai corridor riguardo,temendo che assueti a largo pastodi pasto non patissero difettoin racchiusa città. Lasciàili adunque,e pedon venni ad Ilio, ogni fidanzaposta nell'arco, che giovarmi posciadovea sì poco. Saettai con questodue de' primi, l'Atride ed il Tidìde,e ferii l'uno e l'altro, e il vivo sanguene trassi io sì, ma n'attizzai più l'ira.In mal punto spiccai dunque dal murogli archi ricurvi il dì che al grande Ettorecompiacendo qua mossi, e de' Troiani

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d'averlo mi credea sospinto a Pluto.Pur non lo spensi: e irato quindi io temoqualche nume. Non ho su cui salireor qui cocchio verun. Stolto! che in serboundici ne lasciai nel patrio tettodi fresco fatti e belli, e di cortinericoperti, con due d'orzo e di speldaben pasciuti cavalli a ciascheduno.E sì che il giorno ch'io partii, gli eccelsinostri palagi abbandonando, il veglioguerriero Licaon molti ne davaprudenti avvisi, e mi facea precettodi guidar sempre mai montato in cocchiole troiane coorti alla battaglia.Certo era meglio l'obbedir; ma, folle!nol feci, ed ebbi ai corridor riguardo,temendo che assueti a largo pastodi pasto non patissero difettoin racchiusa città. Lasciàili adunque,e pedon venni ad Ilio, ogni fidanzaposta nell'arco, che giovarmi posciadovea sì poco. Saettai con questodue de' primi, l'Atride ed il Tidìde,e ferii l'uno e l'altro, e il vivo sanguene trassi io sì, ma n'attizzai più l'ira.In mal punto spiccai dunque dal murogli archi ricurvi il dì che al grande Ettorecompiacendo qua mossi, e de' Troiani

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il comando accettai. Ma se redire,se con quest'occhi riveder m'è datola patria, la consorte e la sublimemia vasta reggia, mi recida ostileferro la testa, se di propria manonon infrango e non getto nell'accesevampe quest'arco inutile compagno.E al borïoso il duce Enea: Non dire,no, questi spregi. Della pugna il voltocangerà, se ambedue sopra un medesmococchio raccolti affronterem costui,e farem delle nostre armi periglio.Monta dunque il mio carro, e de' cavallidi Troe vedi la vaglia, e come in campoper ogni lato sappiano velociinseguire e fuggir. Questi (se avvegnache il Tonante di nuovo a Dïomededia dell'armi l'onor), questi trarrannosalvi noi pure alla cittade. Or viaprendi tu questa sferza e queste briglie,ch'io de' corsieri, per pugnar, ti cedoil governo; o costui tu stesso affronta,ché de' corsieri sarà mia la cura.Sì (riprese il figliuol di Licaone)tien tu le briglie, Enea, reggi tu stessoi tuoi cavalli, che la mano udendodel consueto auriga, il curvo carromeglio trarranno, se fuggir fia forza

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il comando accettai. Ma se redire,se con quest'occhi riveder m'è datola patria, la consorte e la sublimemia vasta reggia, mi recida ostileferro la testa, se di propria manonon infrango e non getto nell'accesevampe quest'arco inutile compagno.E al borïoso il duce Enea: Non dire,no, questi spregi. Della pugna il voltocangerà, se ambedue sopra un medesmococchio raccolti affronterem costui,e farem delle nostre armi periglio.Monta dunque il mio carro, e de' cavallidi Troe vedi la vaglia, e come in campoper ogni lato sappiano velociinseguire e fuggir. Questi (se avvegnache il Tonante di nuovo a Dïomededia dell'armi l'onor), questi trarrannosalvi noi pure alla cittade. Or viaprendi tu questa sferza e queste briglie,ch'io de' corsieri, per pugnar, ti cedoil governo; o costui tu stesso affronta,ché de' corsieri sarà mia la cura.Sì (riprese il figliuol di Licaone)tien tu le briglie, Enea, reggi tu stessoi tuoi cavalli, che la mano udendodel consueto auriga, il curvo carromeglio trarranno, se fuggir fia forza

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dal figlio di Tidèo. Se lor vien mancola tua voce, potrìan per caso istranospaventati adombrarsi, e senza leggeaggirarsi pel campo, e a trarne fuoridella pugna indugiar tanto che il feroDïomede n'assegua impetuoso,ed entrambi n'uccida, e via ne menii destrieri di Troe. Resta tu dunqueal timone e alle briglie, ché coll'astaio del nemico sosterrò l'assalto.Montâr, ciò detto, sull'adorno cocchio,e animosi drizzâr contra il Tidìdei veloci cavalli. Il chiaro figliodi Capanèo li vide, ed all'amicovòlto il presto parlar, Tidìde, ei disse,mio diletto Tidìde, a pugnar tecoveggo pronti venir due di gran nerbovalorosi guerrier, l'uno il famosoPandaro arciero che figliuol si vantadi Licaone, e l'altro Enea che prolevantasi ei pur di Venere e d'Anchise.Su, presto in cocchio; ritiriamci, e incautotu non istarmi a furiar tra i primicon sì gran rischio della dolce vita.Bieco guatollo il gran Tidìde, e disse:Non parlarmi di fuga. Indarno tentipersuadermi una viltà. Fuggiredal cimento e tremar, non lo consente

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dal figlio di Tidèo. Se lor vien mancola tua voce, potrìan per caso istranospaventati adombrarsi, e senza leggeaggirarsi pel campo, e a trarne fuoridella pugna indugiar tanto che il feroDïomede n'assegua impetuoso,ed entrambi n'uccida, e via ne menii destrieri di Troe. Resta tu dunqueal timone e alle briglie, ché coll'astaio del nemico sosterrò l'assalto.Montâr, ciò detto, sull'adorno cocchio,e animosi drizzâr contra il Tidìdei veloci cavalli. Il chiaro figliodi Capanèo li vide, ed all'amicovòlto il presto parlar, Tidìde, ei disse,mio diletto Tidìde, a pugnar tecoveggo pronti venir due di gran nerbovalorosi guerrier, l'uno il famosoPandaro arciero che figliuol si vantadi Licaone, e l'altro Enea che prolevantasi ei pur di Venere e d'Anchise.Su, presto in cocchio; ritiriamci, e incautotu non istarmi a furiar tra i primicon sì gran rischio della dolce vita.Bieco guatollo il gran Tidìde, e disse:Non parlarmi di fuga. Indarno tentipersuadermi una viltà. Fuggiredal cimento e tremar, non lo consente

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la mia natura: ho forze intégre, e sdegnode' cavalli il vantaggio. Andrò pedone,quale mi trovo, ad incontrar costoro;ché Pallade mi vieta ogni paura.Ma non essi ambedue salvi di manoci scapperan, dai rapidi sottrattilor corridori, ed avverrà che appenane scampi un solo. Un altro avviso ancoravo' dirti, e tu non l'obblïar. Se fiache l'alto onore d'atterrarli entrambila prudente Minerva mi conceda,tu per le briglie allora i miei cavallilega all'anse del cocchio, e ratto volaai cavalli d'Enea, e dai Troianivia te li mena fra gli Achei. Son essidella stirpe gentil di quei che Giove,prezzo del figlio Ganimede, un giornoa Troe donava; né miglior destrierivede l'occhio del Sole e dell'Aurora.Al re Laomedonte il prence Anchisela razza ne furò, sopposte ai padrisegretamente un dì le sue puledreche di tale imeneo sei generosicorsier gli partoriro. Egli n'impinguaquattro di questi a sé nel suo presepe,e due ne cesse al figlio Enea, superbicavalli da battaglia. Ove n'avvegnadi predarli, n'avremo immensa lode.

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la mia natura: ho forze intégre, e sdegnode' cavalli il vantaggio. Andrò pedone,quale mi trovo, ad incontrar costoro;ché Pallade mi vieta ogni paura.Ma non essi ambedue salvi di manoci scapperan, dai rapidi sottrattilor corridori, ed avverrà che appenane scampi un solo. Un altro avviso ancoravo' dirti, e tu non l'obblïar. Se fiache l'alto onore d'atterrarli entrambila prudente Minerva mi conceda,tu per le briglie allora i miei cavallilega all'anse del cocchio, e ratto volaai cavalli d'Enea, e dai Troianivia te li mena fra gli Achei. Son essidella stirpe gentil di quei che Giove,prezzo del figlio Ganimede, un giornoa Troe donava; né miglior destrierivede l'occhio del Sole e dell'Aurora.Al re Laomedonte il prence Anchisela razza ne furò, sopposte ai padrisegretamente un dì le sue puledreche di tale imeneo sei generosicorsier gli partoriro. Egli n'impinguaquattro di questi a sé nel suo presepe,e due ne cesse al figlio Enea, superbicavalli da battaglia. Ove n'avvegnadi predarli, n'avremo immensa lode.

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Mentre seguìan tra lor queste parole,quelli incitando i corridor velocitosto appressârsi, e Pandaro primierofavellò: Bellicoso ardito figliodell'illustre Tidèo, poiché l'acutomio stral non ti domò, vengo a far provas'io di lancia ferir meglio mi sappia.Così detto, la lunga asta vibrandofulminolla, e colpì di Dïomedelo scudo sì, che la ferrata puntatutto passollo, e ne sfiorò l'usbergo.Sei ferito nel fianco (alto allor gridal'illustre feritor), né a lungo, io spero,vivrai: la gloria che mi porti è somma.Errasti, o folle, il colpo (imperturbatogli rispose l'eroe); ben io m'avvisoch'uno almeno di voi, pria di ristarvida questa zuffa, nel suo sangue stesol'ira di Marte sazierà. Ciò detto,scagliò. Minerva ne diresse il telo,e a lui che curvo lo sfuggìa, cacciollotra il naso e il ciglio. Penetrò l'acutoferro tra' denti, ne tagliò l'estremalingua, e di sotto al mento uscì la punta.Piombò dal cocchio, gli tonâr sul pettol'armi lucenti, sbigottîr gli stessicavalli, e a lui si sciolsero per sempree le forze e la vita. Enea temendo

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Mentre seguìan tra lor queste parole,quelli incitando i corridor velocitosto appressârsi, e Pandaro primierofavellò: Bellicoso ardito figliodell'illustre Tidèo, poiché l'acutomio stral non ti domò, vengo a far provas'io di lancia ferir meglio mi sappia.Così detto, la lunga asta vibrandofulminolla, e colpì di Dïomedelo scudo sì, che la ferrata puntatutto passollo, e ne sfiorò l'usbergo.Sei ferito nel fianco (alto allor gridal'illustre feritor), né a lungo, io spero,vivrai: la gloria che mi porti è somma.Errasti, o folle, il colpo (imperturbatogli rispose l'eroe); ben io m'avvisoch'uno almeno di voi, pria di ristarvida questa zuffa, nel suo sangue stesol'ira di Marte sazierà. Ciò detto,scagliò. Minerva ne diresse il telo,e a lui che curvo lo sfuggìa, cacciollotra il naso e il ciglio. Penetrò l'acutoferro tra' denti, ne tagliò l'estremalingua, e di sotto al mento uscì la punta.Piombò dal cocchio, gli tonâr sul pettol'armi lucenti, sbigottîr gli stessicavalli, e a lui si sciolsero per sempree le forze e la vita. Enea temendo

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in man non caggia degli Achei l'ucciso,scese, e protesa a lui l'asta e lo scudogiravagli dintorno a simiglianzadi fier lïone in suo valor sicuro;e parato a ferir qual sia nemicoche gli si accosti, il difendea gridandoorribilmente. Diè di piglio alloraad un enorme sasso Dïomededi tal pondo, che due nol porterebberodegli uomini moderni; ed ei vibrandoloagevolmente, e solo e con grand'impetoscagliandolo, percosse Enea nell'ossoche alla coscia s'innesta ed è nomatociotola. Il fracassò l'aspro macignocon ambi i nervi, e ne stracciò la pelle.Diè del ginocchio al grave colpo in terral'eroe ferito, e colla man robustapuntellò la persona. Un negro velogli coperse le luci, e qui perìa,se di lui tosto non si fosse avvistal'alma figlia di Giove Citereache d'Anchise pastor l'avea concetto.Intorno al caro figlio ella diffusele bianche braccia, e del lucente peplogli antepose le falde, onde dall'armiripararlo, e impedir che ferro acheogli passi il petto e l'anima gl'involi.Mentre al fiero conflitto ella sottragge

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in man non caggia degli Achei l'ucciso,scese, e protesa a lui l'asta e lo scudogiravagli dintorno a simiglianzadi fier lïone in suo valor sicuro;e parato a ferir qual sia nemicoche gli si accosti, il difendea gridandoorribilmente. Diè di piglio alloraad un enorme sasso Dïomededi tal pondo, che due nol porterebberodegli uomini moderni; ed ei vibrandoloagevolmente, e solo e con grand'impetoscagliandolo, percosse Enea nell'ossoche alla coscia s'innesta ed è nomatociotola. Il fracassò l'aspro macignocon ambi i nervi, e ne stracciò la pelle.Diè del ginocchio al grave colpo in terral'eroe ferito, e colla man robustapuntellò la persona. Un negro velogli coperse le luci, e qui perìa,se di lui tosto non si fosse avvistal'alma figlia di Giove Citereache d'Anchise pastor l'avea concetto.Intorno al caro figlio ella diffusele bianche braccia, e del lucente peplogli antepose le falde, onde dall'armiripararlo, e impedir che ferro acheogli passi il petto e l'anima gl'involi.Mentre al fiero conflitto ella sottragge

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il diletto figliuol, Stènelo il cennomembrando dell'amico, ne sostienein disparte i cavalli, e prestamenteall'anse della biga avviluppatele redini, s'avventa ai ben chiomaticorridori d'Enea; di mezzo ai Teucriagli Achivi li spinge, ed alle navispedisceli fidati al dolce amicoDëipilo, cui sopra ogni altro eguale,perché d'alma conforme, in pregio ei tiene.Esso intanto l'eroe capaneìderimontato il suo cocchio, e in man ripresele riluccnti briglie, allegramentede' cavalli sonar l'ugna faceadietro il Tidìde che coll'empio ferrol'alma Venere insegue, la sapendonon una delle Dee che de' mortaligodon le guerre amministrar, siccomeMinerva e la di mura atterratricetorva Bellona, ma un'imbelle Diva.Poiché raggiunta per la folta ei l'ebbe,abbassò l'asta il fiero, e coll'acutoferro l'assalse, e della man gentilegli estremi le sfiorò verso il confinedella palma. Forò l'asta la cute,rotto il peplo odoroso a lei tessutodalle Grazie, e fluì dalla ferital'icòre della Dea, sangue immortale,

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il diletto figliuol, Stènelo il cennomembrando dell'amico, ne sostienein disparte i cavalli, e prestamenteall'anse della biga avviluppatele redini, s'avventa ai ben chiomaticorridori d'Enea; di mezzo ai Teucriagli Achivi li spinge, ed alle navispedisceli fidati al dolce amicoDëipilo, cui sopra ogni altro eguale,perché d'alma conforme, in pregio ei tiene.Esso intanto l'eroe capaneìderimontato il suo cocchio, e in man ripresele riluccnti briglie, allegramentede' cavalli sonar l'ugna faceadietro il Tidìde che coll'empio ferrol'alma Venere insegue, la sapendonon una delle Dee che de' mortaligodon le guerre amministrar, siccomeMinerva e la di mura atterratricetorva Bellona, ma un'imbelle Diva.Poiché raggiunta per la folta ei l'ebbe,abbassò l'asta il fiero, e coll'acutoferro l'assalse, e della man gentilegli estremi le sfiorò verso il confinedella palma. Forò l'asta la cute,rotto il peplo odoroso a lei tessutodalle Grazie, e fluì dalla ferital'icòre della Dea, sangue immortale,

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qual corre de' Beati entro le vene;ch'essi, né frutto cereal gustandoné rubicondo vino, esangui sono,e quindi han nome d'Immortali. Al colpodied'ella un forte grido, e dalle bracciadepose il figlio, a cui difesa Apollocorse tosto, e l'ascose entro una nube,onde camparlo dall'achee saette.Il bellicoso Dïomede intanto,Cedi, figlia di Giove, alto gridava,cedi il piè dalla pugna. E non ti bastasedur d'imbelli femminette il core?Se qui troppo t'avvolgi, io porto avvisoche tale desteratti orror la guerra,ch'anco il sol nome ti darà paura.Disse; ed ella turbata ed affannosapartiva. La veloce Iri per manola prese, la tirò fuor del tumultocarca di doglie e livida le nevidella morbida cute. Alla sinistradella pugna seduto il furibondoMarte trovò: la grande asta del Numee i veloci corsier cingea la nebbia.Gli abbracciò le ginocchia supplicandola sorella, e gridò: Caro fratello,miserere di me, dammi il tuo cocchioond'io salga all'Olimpo. Assai mi crucciauna ferita che mi feo la destra

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qual corre de' Beati entro le vene;ch'essi, né frutto cereal gustandoné rubicondo vino, esangui sono,e quindi han nome d'Immortali. Al colpodied'ella un forte grido, e dalle bracciadepose il figlio, a cui difesa Apollocorse tosto, e l'ascose entro una nube,onde camparlo dall'achee saette.Il bellicoso Dïomede intanto,Cedi, figlia di Giove, alto gridava,cedi il piè dalla pugna. E non ti bastasedur d'imbelli femminette il core?Se qui troppo t'avvolgi, io porto avvisoche tale desteratti orror la guerra,ch'anco il sol nome ti darà paura.Disse; ed ella turbata ed affannosapartiva. La veloce Iri per manola prese, la tirò fuor del tumultocarca di doglie e livida le nevidella morbida cute. Alla sinistradella pugna seduto il furibondoMarte trovò: la grande asta del Numee i veloci corsier cingea la nebbia.Gli abbracciò le ginocchia supplicandola sorella, e gridò: Caro fratello,miserere di me, dammi il tuo cocchioond'io salga all'Olimpo. Assai mi crucciauna ferita che mi feo la destra

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d'un ardito mortal, di Dïomede,che pur con Giove piglierìa contesa.Sì prega, e Marte i bei destrier le cede.Salì sul cocchio allor la dolorosa,salì al suo fianco la taumanzia figlia,e in man tolte le briglie, a tutto corsoi cavalli sferzò che desïosivolavano. Arrivâr tosto all'Olimpo,eccelsa sede degli Eterni. Quiviarrestò la veloce Iri i corsieri,li disciolse dal giogo, e ristorollid'immortal cibo. La divina intantoVenere al piede si gittò dell'almagenitrice Dïona, che la figliaraccogliendo al suo seno, e colla manola carezzando e interrogando, Oh! disse,oh! chi mai de' Celesti si permise,amata figlia, in te sì grave offesa,come rea di gran fallo alla scoperta?Il superbo Tidìde Dïomede,rispose Citerea, l'empio ferimmiperché il mio figlio, il mio sovra ogni cosadiletto Enea sottrassi dalla pugna,che pugna non è più di Teucri e Achivi,ma d'Achivi e di numi. - E a lei Dïonainclita Diva replicò: Sopportain pace, o figlia, il tuo dolor; ché moltidegl'Immortali con alterno danno

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d'un ardito mortal, di Dïomede,che pur con Giove piglierìa contesa.Sì prega, e Marte i bei destrier le cede.Salì sul cocchio allor la dolorosa,salì al suo fianco la taumanzia figlia,e in man tolte le briglie, a tutto corsoi cavalli sferzò che desïosivolavano. Arrivâr tosto all'Olimpo,eccelsa sede degli Eterni. Quiviarrestò la veloce Iri i corsieri,li disciolse dal giogo, e ristorollid'immortal cibo. La divina intantoVenere al piede si gittò dell'almagenitrice Dïona, che la figliaraccogliendo al suo seno, e colla manola carezzando e interrogando, Oh! disse,oh! chi mai de' Celesti si permise,amata figlia, in te sì grave offesa,come rea di gran fallo alla scoperta?Il superbo Tidìde Dïomede,rispose Citerea, l'empio ferimmiperché il mio figlio, il mio sovra ogni cosadiletto Enea sottrassi dalla pugna,che pugna non è più di Teucri e Achivi,ma d'Achivi e di numi. - E a lei Dïonainclita Diva replicò: Sopportain pace, o figlia, il tuo dolor; ché moltidegl'Immortali con alterno danno

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molte soffrimmo dai mortali offese.Le soffrì Marte il dì che gli AloìdiOto e il forte Efïalte l'annodarod'aspre catene. Un anno avvinto e un mesein carcere di ferro egli si stette,e forse vi perìa, se la leggiadramadrigna Eeribèa nol rivelavaal buon Mercurio che di là furtivolo sottrasse, già tutto per la lungae dolorosa prigionìa consunto.Le soffrì Giuno allor che il forte figliod'Anfitrïone con trisulco dardola destra poppa le piagò, sì ch'ellad'alto duol ne fu colta. Anco il gran Plutodal medesmo mortal figlio di Gioveaspro sofferse di saetta un colpolà su le porte dell'Inferno, e talelo conquise un dolor, che lamentosoe con lo stral ne' duri omeri infissoall'Olimpo sen venne, ove Peone,di lenitivi farmaci spargendola ferita, il sanò; ché sua naturamortal non era: ma ben era audacee scellerato il feritor che d'ogninefario fatto si fea beffe, osandofin gli abitanti saettar del cielo.Oggi contro te pur spinse Minervail figlio di Tidèo. Stolto! ché seco

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molte soffrimmo dai mortali offese.Le soffrì Marte il dì che gli AloìdiOto e il forte Efïalte l'annodarod'aspre catene. Un anno avvinto e un mesein carcere di ferro egli si stette,e forse vi perìa, se la leggiadramadrigna Eeribèa nol rivelavaal buon Mercurio che di là furtivolo sottrasse, già tutto per la lungae dolorosa prigionìa consunto.Le soffrì Giuno allor che il forte figliod'Anfitrïone con trisulco dardola destra poppa le piagò, sì ch'ellad'alto duol ne fu colta. Anco il gran Plutodal medesmo mortal figlio di Gioveaspro sofferse di saetta un colpolà su le porte dell'Inferno, e talelo conquise un dolor, che lamentosoe con lo stral ne' duri omeri infissoall'Olimpo sen venne, ove Peone,di lenitivi farmaci spargendola ferita, il sanò; ché sua naturamortal non era: ma ben era audacee scellerato il feritor che d'ogninefario fatto si fea beffe, osandofin gli abitanti saettar del cielo.Oggi contro te pur spinse Minervail figlio di Tidèo. Stolto! ché seco

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punto non pensa che son brevi i giornidi chi combatte con gli Dei: né babbolo chiameran tornato dalla pugnai figlioletti al suo ginocchio avvolti.Benché forte d'assai, badi il Tidìdech'un più forte di te seco non pugni;badi che l'Adrastina Egïalèa,di Dïomede generosa moglie,presto non debba risvegliar dal sonnoululando i famigli, e il forte Acheoplorar che colse il suo virgineo fiore.In questo dir con ambedue le palmela man le asterse dal rappreso icòre,e la man si sanò, queta ogni doglia.Riser Giuno e Minerva a quella vista,e con amaro motteggiar la Divadalle glauche pupille il genitorecosì prese a tentar. Padre, senz'iraun fiero caso udir vuoi tu? Ciprignaqualche leggiadra Achea sollecitandoa seguir seco i suoi Teucri diletti,nel carezzarla ed acconciarle il peplo,a un aurato ardiglione, ohimè! s'è puntala dilicata mano. - Il sommo padregrazïoso sorrise, e a sé chiamatal'aurea Venere, Figlia, le dicea,per te non sono della guerra i fieristudi, ma l'opre d'Imeneo soavi.

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punto non pensa che son brevi i giornidi chi combatte con gli Dei: né babbolo chiameran tornato dalla pugnai figlioletti al suo ginocchio avvolti.Benché forte d'assai, badi il Tidìdech'un più forte di te seco non pugni;badi che l'Adrastina Egïalèa,di Dïomede generosa moglie,presto non debba risvegliar dal sonnoululando i famigli, e il forte Acheoplorar che colse il suo virgineo fiore.In questo dir con ambedue le palmela man le asterse dal rappreso icòre,e la man si sanò, queta ogni doglia.Riser Giuno e Minerva a quella vista,e con amaro motteggiar la Divadalle glauche pupille il genitorecosì prese a tentar. Padre, senz'iraun fiero caso udir vuoi tu? Ciprignaqualche leggiadra Achea sollecitandoa seguir seco i suoi Teucri diletti,nel carezzarla ed acconciarle il peplo,a un aurato ardiglione, ohimè! s'è puntala dilicata mano. - Il sommo padregrazïoso sorrise, e a sé chiamatal'aurea Venere, Figlia, le dicea,per te non sono della guerra i fieristudi, ma l'opre d'Imeneo soavi.

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A queste intendi, ed il pensier dell'armitutto a Marte lo lascia ed a Minerva.Mentre in cielo seguìan queste favelle,contro il figlio d'Anchise il bellicosoDïomede si spinge, né l'arrestail saper che la man d'Apollo il copre.Desïoso di porre Enea sotterrae spogliarlo dell'armi peregrine,nulla ei rispetta un sì gran Dio. Tre voltea morte l'assalì, tre volte Apollogli scosse in faccia il luminoso scudo.Ma come il forte Calidonio al quartoimpeto venne, il saettante numeterribile gridò: Guarda che fai;via di qua, Dïomede; il paragonenon tentar degli Dei, ché de' Celestie de' terrestri è disugual la schiatta.Disse; e alquanto l'eroe ritrasse il piedel'ira evitando dell'arciero Apollo,che, fuor condutto della mischia Enea,nella sagrata Pergamo fra l'aredel suo delubro il pose. Ivi Latona,ivi l'amante dello stral Dïanalo curâr, l'onoraro. Intanto Apolloformò di tenue nebbia una figurain sembianza d'Enea; d'Enea le finsel'armi, e dintorno al vano simulacroTeucri ed Achei facean di targhe e scudi

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A queste intendi, ed il pensier dell'armitutto a Marte lo lascia ed a Minerva.Mentre in cielo seguìan queste favelle,contro il figlio d'Anchise il bellicosoDïomede si spinge, né l'arrestail saper che la man d'Apollo il copre.Desïoso di porre Enea sotterrae spogliarlo dell'armi peregrine,nulla ei rispetta un sì gran Dio. Tre voltea morte l'assalì, tre volte Apollogli scosse in faccia il luminoso scudo.Ma come il forte Calidonio al quartoimpeto venne, il saettante numeterribile gridò: Guarda che fai;via di qua, Dïomede; il paragonenon tentar degli Dei, ché de' Celestie de' terrestri è disugual la schiatta.Disse; e alquanto l'eroe ritrasse il piedel'ira evitando dell'arciero Apollo,che, fuor condutto della mischia Enea,nella sagrata Pergamo fra l'aredel suo delubro il pose. Ivi Latona,ivi l'amante dello stral Dïanalo curâr, l'onoraro. Intanto Apolloformò di tenue nebbia una figurain sembianza d'Enea; d'Enea le finsel'armi, e dintorno al vano simulacroTeucri ed Achei facean di targhe e scudi

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un alterno spezzar che intorno ai pettiorrendo risonava. Allor si volseal Dio dell'armi il Dio del giorno, e disse:Eversor di città, Marte omicida,che sol nel sangue esulti, e non andraiad aggredir tu dunque, a cacciar lungiquesto altiero mortal, questo Tidìdeche alle mani verrìa con Giove ancora?Egli assalse e ferì prima Ciprignaal carpo della mano; indi avventossia me medesmo coll'ardir d'un Dio.Sì dicendo, s'assise alto sul colmodella pergàmea rocca, e il rovinosoMarte sen corse a concitar de' Teucrile schiere, e preso d'Acamante il volto,d'Acamante de' Traci esimio duce,così prese a spronar di Priamo i figli:Illustri Prïamìdi, e sino a quandopermetterete della vostra genteper la man degli Achei sì rio macello?Sin tanto forse che la strage arrivialle porte di Troia? A terra è stesol'eroe che al pari del divino Ettorreonoravamo, Enea preclaro figliodel magnanimo Anchise. Andiam, si volialla difesa di cotanto amico.Destâr la forza e il cor d'ogni guerrieroqueste parole. Sarpedon con aspre

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un alterno spezzar che intorno ai pettiorrendo risonava. Allor si volseal Dio dell'armi il Dio del giorno, e disse:Eversor di città, Marte omicida,che sol nel sangue esulti, e non andraiad aggredir tu dunque, a cacciar lungiquesto altiero mortal, questo Tidìdeche alle mani verrìa con Giove ancora?Egli assalse e ferì prima Ciprignaal carpo della mano; indi avventossia me medesmo coll'ardir d'un Dio.Sì dicendo, s'assise alto sul colmodella pergàmea rocca, e il rovinosoMarte sen corse a concitar de' Teucrile schiere, e preso d'Acamante il volto,d'Acamante de' Traci esimio duce,così prese a spronar di Priamo i figli:Illustri Prïamìdi, e sino a quandopermetterete della vostra genteper la man degli Achei sì rio macello?Sin tanto forse che la strage arrivialle porte di Troia? A terra è stesol'eroe che al pari del divino Ettorreonoravamo, Enea preclaro figliodel magnanimo Anchise. Andiam, si volialla difesa di cotanto amico.Destâr la forza e il cor d'ogni guerrieroqueste parole. Sarpedon con aspre

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rampogne allora rabbuffando Ettorre,Dove andò, gli dicea, l'alto valoreche poc'anzi t'avevi? E pur t'udimmovantarti che tu sol senza l'aitade' collegati, e co' tuoi soli affinie co' fratei bastavi alla difesadella città. Ma niuno io qui ne veggo,niun ne ravviso di costor, ché tuttitrepidanti s'arretrano siccometimidi veltri intorno ad un leone:e qui frattanto combattiam noi soli,noi venuti in sussidio. Io che mi sonopur della lega, di lontana al certoparte mi mossi, dalla licia terra,dal vorticoso Xanto, ove la caramoglie ed un figlio pargoletto e moltilasciai di quegli averi a cui sospiral'uomo mai sempre bisognoso. E purealleato, qual sono, i miei guerrieriesorto alla battaglia, ed io medesmosto qui pronto a pugnar contra costui,benché qui nulla io m'abbia che il nemicorapir mi possa, né portarlo seco.E tu ozïoso ti ristai? né almenoagli altri accenni di far fronte, e in salvopor le consorti? Guàrdati, che presi,siccome in ragna che ogni cosa involve,non divenghiate del crudel nemico

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rampogne allora rabbuffando Ettorre,Dove andò, gli dicea, l'alto valoreche poc'anzi t'avevi? E pur t'udimmovantarti che tu sol senza l'aitade' collegati, e co' tuoi soli affinie co' fratei bastavi alla difesadella città. Ma niuno io qui ne veggo,niun ne ravviso di costor, ché tuttitrepidanti s'arretrano siccometimidi veltri intorno ad un leone:e qui frattanto combattiam noi soli,noi venuti in sussidio. Io che mi sonopur della lega, di lontana al certoparte mi mossi, dalla licia terra,dal vorticoso Xanto, ove la caramoglie ed un figlio pargoletto e moltilasciai di quegli averi a cui sospiral'uomo mai sempre bisognoso. E purealleato, qual sono, i miei guerrieriesorto alla battaglia, ed io medesmosto qui pronto a pugnar contra costui,benché qui nulla io m'abbia che il nemicorapir mi possa, né portarlo seco.E tu ozïoso ti ristai? né almenoagli altri accenni di far fronte, e in salvopor le consorti? Guàrdati, che presi,siccome in ragna che ogni cosa involve,non divenghiate del crudel nemico

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cattura e preda, e ch'ei tra poco al suolola vostr'alma cittade non adegui.A te tocca l'aver di ciò pensieroe giorno e notte, a te dell'alleanzai capitani supplicar, che fermiresistano al lor posto, e far che niunacagion più sorga di rampogne acerbe.D'Ettore al cor fu morso amaro il dettodi Sarpedonte, sì che tosto a terrasaltò dal cocchio in tutto punto, e l'astascotendo ad animar corse veloced'ogni parte i Troiani alla battaglia,e destò mischia dolorosa. Alloravoltâr la fronte i Teucri, e impetuosifêrsi incontro agli Achei, che stretti insiemegli aspettâr di piè fermo e senza tema.Come allor che di Zefiro lo spirodisperde per le sacre aie la pula,mentre la bionda Cerere la scevradal suo frutto gentil, che il buon villanovien ventilando; lo leggier spulezzotutta imbianca la parte ove del ventolo sospinge il soffiar: così gli Achiviinalbava la polve al cielo alzatadall'ugna de' cavalli entrati allorasotto la sferza degli aurighi in zuffa.Difilati portavano i Troianiil valor delle destre, e furïoso

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cattura e preda, e ch'ei tra poco al suolola vostr'alma cittade non adegui.A te tocca l'aver di ciò pensieroe giorno e notte, a te dell'alleanzai capitani supplicar, che fermiresistano al lor posto, e far che niunacagion più sorga di rampogne acerbe.D'Ettore al cor fu morso amaro il dettodi Sarpedonte, sì che tosto a terrasaltò dal cocchio in tutto punto, e l'astascotendo ad animar corse veloced'ogni parte i Troiani alla battaglia,e destò mischia dolorosa. Alloravoltâr la fronte i Teucri, e impetuosifêrsi incontro agli Achei, che stretti insiemegli aspettâr di piè fermo e senza tema.Come allor che di Zefiro lo spirodisperde per le sacre aie la pula,mentre la bionda Cerere la scevradal suo frutto gentil, che il buon villanovien ventilando; lo leggier spulezzotutta imbianca la parte ove del ventolo sospinge il soffiar: così gli Achiviinalbava la polve al cielo alzatadall'ugna de' cavalli entrati allorasotto la sferza degli aurighi in zuffa.Difilati portavano i Troianiil valor delle destre, e furïoso

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li soccorrea Gradivo discorrendoil campo tutto, e tutta di gran buiola battaglia coprendo. E sì di Feboi precetti adempìa, di Febo Apollod'aurea spada precinto, che comandodato gli avea d'accendere ne' Teucril'ardimento guerrier, vista partirel'aiutatrice degli Achei Minerva.Fuori intanto de' pingui aditi sacriEnea messo da Febo, e per lui tuttodi gagliardìa ripieno appresentossia' suoi compagni che gioîr, vedendovivo e salvo il guerriero e rintegratodelle pristine forze. Ma gravarlod'alcun dimando il fier nol consentìalavor dell'armi che dell'arco il divosire eccitava, e l'omicida Marte,e la Discordia ognor furente e pazza.D'altra parte gli Aiaci e Dïomedee il re dulìchio anch'essi alla battagliaraccendono gli Achei già per sé stessiné la furia tementi né le gridade' Dardani, ma fermi ad aspettarli.Quai nubi che de' monti in su la cimaimmote arresta di Saturno il figlioquando l'aria è tranquilla e il furor dormedegli Aquiloni o d'altro impetuosodi nubi fugator vento sonoro;

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li soccorrea Gradivo discorrendoil campo tutto, e tutta di gran buiola battaglia coprendo. E sì di Feboi precetti adempìa, di Febo Apollod'aurea spada precinto, che comandodato gli avea d'accendere ne' Teucril'ardimento guerrier, vista partirel'aiutatrice degli Achei Minerva.Fuori intanto de' pingui aditi sacriEnea messo da Febo, e per lui tuttodi gagliardìa ripieno appresentossia' suoi compagni che gioîr, vedendovivo e salvo il guerriero e rintegratodelle pristine forze. Ma gravarlod'alcun dimando il fier nol consentìalavor dell'armi che dell'arco il divosire eccitava, e l'omicida Marte,e la Discordia ognor furente e pazza.D'altra parte gli Aiaci e Dïomedee il re dulìchio anch'essi alla battagliaraccendono gli Achei già per sé stessiné la furia tementi né le gridade' Dardani, ma fermi ad aspettarli.Quai nubi che de' monti in su la cimaimmote arresta di Saturno il figlioquando l'aria è tranquilla e il furor dormedegli Aquiloni o d'altro impetuosodi nubi fugator vento sonoro;

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di piè fermo così senza verunopensier di fuga attendono gli Achivide' Troiani l'assalto. E Agamennóneper le file scorrendo, e molte cosed'ogni parte avvertendo, Amici, ei grida,uomini siate e di cor forte, e ognunonel calor della pugna il guardo temadel suo compagno. De' guerrier che infiammageneroso pudore, i salvi sonopiù che gli uccisi; chi rossor di fuganon sente, ha persa coll'onor la forza.Scagliò l'asta, ciò detto, ed un guerrieropercosse de' primai, commilitonedel magnanimo Enea, Dëicoonte,di Pèrgaso figliuol tenuto in pregiodai Teucri al paro che di Priamo i figli,perché presto a pugnar sempre tra' primi.Colpillo Atride nell'opposto scudoche difesa non fece. Trapassollotutto la lancia, e per lo cinto all'imoventre discese. Strepitoso ei cadde,e l'armi rimbombâr sovra il caduto.Enea diè morte di rincontro a duevalentissimi, Orsiloco e Cretone,figli a Dïòcle, della ben costruttacittà di Fere un ricco abitatore.Scendea costui dal fiume Alfeo che largola pilia terra di bell'acque inonda:

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di piè fermo così senza verunopensier di fuga attendono gli Achivide' Troiani l'assalto. E Agamennóneper le file scorrendo, e molte cosed'ogni parte avvertendo, Amici, ei grida,uomini siate e di cor forte, e ognunonel calor della pugna il guardo temadel suo compagno. De' guerrier che infiammageneroso pudore, i salvi sonopiù che gli uccisi; chi rossor di fuganon sente, ha persa coll'onor la forza.Scagliò l'asta, ciò detto, ed un guerrieropercosse de' primai, commilitonedel magnanimo Enea, Dëicoonte,di Pèrgaso figliuol tenuto in pregiodai Teucri al paro che di Priamo i figli,perché presto a pugnar sempre tra' primi.Colpillo Atride nell'opposto scudoche difesa non fece. Trapassollotutto la lancia, e per lo cinto all'imoventre discese. Strepitoso ei cadde,e l'armi rimbombâr sovra il caduto.Enea diè morte di rincontro a duevalentissimi, Orsiloco e Cretone,figli a Dïòcle, della ben costruttacittà di Fere un ricco abitatore.Scendea costui dal fiume Alfeo che largola pilia terra di bell'acque inonda:

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Alfèo produsse Orsiloco di moltegenti signore, Orsiloco Dïòcle,e Dïòcle costor, mastri di guerrad'un sol parto acquistati. Aveano entrambigià fatti adulti navigato a Troiaper onor degli Atridi, e qui la vitaentrambi terminâr. Quai due leoni,cui la madre sul monte entro i recessid'alto speco educò, fan ruba e guastodelle mandre, de' greggi e delle stalle,finché dal ferro de' pastor raggiunticaggiono anch'essi; e tali allor dall'astad'Enea percossi caddero costorocol fragor di recisi eccelsi abeti.Strinse pietà dei due caduti il pettodel prode Menelao, che tosto innanzisi spinse di lucenti armi vestitol'asta squassando. E Marte, che domarloper man d'Enea fa stima, il cor gli attizza.Del magnanimo Nestore il buon figlioAntiloco osservollo, e un qualche dannopaventando all'Atride, un qualche gravestorpio all'impresa degli Achei, processenell'antiguardo. Già s'aveano incontroabbassate le picche i due campionipronti a ferir, quando d'Atride al fiancoAntiloco comparve: e di due taliviste le forze in un congiunte, Enea,

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Alfèo produsse Orsiloco di moltegenti signore, Orsiloco Dïòcle,e Dïòcle costor, mastri di guerrad'un sol parto acquistati. Aveano entrambigià fatti adulti navigato a Troiaper onor degli Atridi, e qui la vitaentrambi terminâr. Quai due leoni,cui la madre sul monte entro i recessid'alto speco educò, fan ruba e guastodelle mandre, de' greggi e delle stalle,finché dal ferro de' pastor raggiunticaggiono anch'essi; e tali allor dall'astad'Enea percossi caddero costorocol fragor di recisi eccelsi abeti.Strinse pietà dei due caduti il pettodel prode Menelao, che tosto innanzisi spinse di lucenti armi vestitol'asta squassando. E Marte, che domarloper man d'Enea fa stima, il cor gli attizza.Del magnanimo Nestore il buon figlioAntiloco osservollo, e un qualche dannopaventando all'Atride, un qualche gravestorpio all'impresa degli Achei, processenell'antiguardo. Già s'aveano incontroabbassate le picche i due campionipronti a ferir, quando d'Atride al fiancoAntiloco comparve: e di due taliviste le forze in un congiunte, Enea,

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benché prode guerriero, retrocesse.Trassero questi tra gli Achei gli estintiOrsiloco e Cretone, e d'ambeduele miserande spoglie in man depostedegli amici, dier volta, e nella pugnanovellamente si mischiâr tra' primi.Fu morto il duce allor de' generosiscudati Paflagoni, il marzialePilemene. Il ferì d'asta alla spallal'Atride Menelao. Lo suo sergenteed auriga Midon, gagliardo figliod'Antimnio, cadde per la man d'Antiloco.Dava questo Midon, per via fuggirsi,la volta al cocchio. Antiloco nel pienodel cubito il ferì con tale un colpodi sasso, che gittògli al suol le belleeburnee briglie. Gli fu tosto soprail feritor col brando, e su la tempiad'un dritto l'attastò, che giù dal carrolo travolse, e ficcògli nella sabbiatesta e spalle. Anelante in quello statoei restossi gran pezza, ché profondoera il sabbion; finché i destrier del tuttolo riversâr calpesto nella polve.Diè lor di piglio Antiloco, e velocecol flagello li spinse al campo acheo.Com'Ettore di mezzo all'ordinanzevide lor prove, impetuoso mosse

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benché prode guerriero, retrocesse.Trassero questi tra gli Achei gli estintiOrsiloco e Cretone, e d'ambeduele miserande spoglie in man depostedegli amici, dier volta, e nella pugnanovellamente si mischiâr tra' primi.Fu morto il duce allor de' generosiscudati Paflagoni, il marzialePilemene. Il ferì d'asta alla spallal'Atride Menelao. Lo suo sergenteed auriga Midon, gagliardo figliod'Antimnio, cadde per la man d'Antiloco.Dava questo Midon, per via fuggirsi,la volta al cocchio. Antiloco nel pienodel cubito il ferì con tale un colpodi sasso, che gittògli al suol le belleeburnee briglie. Gli fu tosto soprail feritor col brando, e su la tempiad'un dritto l'attastò, che giù dal carrolo travolse, e ficcògli nella sabbiatesta e spalle. Anelante in quello statoei restossi gran pezza, ché profondoera il sabbion; finché i destrier del tuttolo riversâr calpesto nella polve.Diè lor di piglio Antiloco, e velocecol flagello li spinse al campo acheo.Com'Ettore di mezzo all'ordinanzevide lor prove, impetuoso mosse

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con alte grida ad investirli, e dietrode' Teucri si traea le forti squadrecui Marte è duce e la feral Bellona.Bellona in compagnìa vien dell'orrendotumulto della zuffa; e Marte in pugnopalleggia un'asta smisurata, e or dietroor davanti cammina al grande Ettorre.Turbossi a quella vista il bellicosoTidìde; e quale della strada ignarovïator che trascorsa un'ampia landagiunge a rapido fiume che mugghiantel'onda del mar devolve, e visto il fluttoche freme e spuma, di fuggir s'affrettal'orme sue ricalcando: a questa guisaretrocesse il Tidìde, e al suo drappellovolgendo le parole: Amici, ei disse,qual fia stupor se forte d'asta e audacecombattente si mostra il duce Ettorre?Sempre al fianco gli viene un qualche iddioche alla morte l'invola; ed or lo stessoMarte in sembianza d'un mortal l'assiste.Non vogliate attaccar dunque co' numiostinata contesa, e date addietro,ma col viso ognor vòlto all'inimico.Mentr'egli sì dicea, scagliârsi i Teucriaddosso alla sua schiera. E quivi Ettorrea morte mise due guerrier, nell'armiassai valenti e in un sol cocchio ascesi,

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con alte grida ad investirli, e dietrode' Teucri si traea le forti squadrecui Marte è duce e la feral Bellona.Bellona in compagnìa vien dell'orrendotumulto della zuffa; e Marte in pugnopalleggia un'asta smisurata, e or dietroor davanti cammina al grande Ettorre.Turbossi a quella vista il bellicosoTidìde; e quale della strada ignarovïator che trascorsa un'ampia landagiunge a rapido fiume che mugghiantel'onda del mar devolve, e visto il fluttoche freme e spuma, di fuggir s'affrettal'orme sue ricalcando: a questa guisaretrocesse il Tidìde, e al suo drappellovolgendo le parole: Amici, ei disse,qual fia stupor se forte d'asta e audacecombattente si mostra il duce Ettorre?Sempre al fianco gli viene un qualche iddioche alla morte l'invola; ed or lo stessoMarte in sembianza d'un mortal l'assiste.Non vogliate attaccar dunque co' numiostinata contesa, e date addietro,ma col viso ognor vòlto all'inimico.Mentr'egli sì dicea, scagliârsi i Teucriaddosso alla sua schiera. E quivi Ettorrea morte mise due guerrier, nell'armiassai valenti e in un sol cocchio ascesi,

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Anchïalo e Meneste. Ebbe di loropietade il grande Telamonio Aiace,e féssi avanti e stette, e la lucenteasta lanciando, Anfio colpì, che figliodi Selago tenea suo seggio in Pesoricco d'ampie campagne. Ma la neraParca ad Ilio il menò confederatodel re troiano e de' suoi figli. Il colsesul cinto il lungo telamonio ferro,e nell'imo del ventre si confisse.Diè cadendo un rimbombo, e a dispogliarlocorse l'illustre vincitor; ma un nemboi Troiani piovean di frecce acuteche d'irta selva gli coprîr lo scudo.Ben egli al morto avvicinossi, e il pettocalcandogli col piè, la fulgid'astane sferrò, ma dall'omero le bellearmi rapirgli non poteo: sì densala grandine il premea delle saette.E temendo l'eroe nol circuissede' Troiani la piena, che ristrettierano e molti e poderosi, e tutticon armi d'ogni guisa e d'ogni tiroad incalzarlo, a repulsarlo intesi,ei benché forte e di gran corpo e d'altoardir diè volta, e si ritrasse addietro.Mentre questi alle mani in questa partesi travaglian così, nemico fato

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Anchïalo e Meneste. Ebbe di loropietade il grande Telamonio Aiace,e féssi avanti e stette, e la lucenteasta lanciando, Anfio colpì, che figliodi Selago tenea suo seggio in Pesoricco d'ampie campagne. Ma la neraParca ad Ilio il menò confederatodel re troiano e de' suoi figli. Il colsesul cinto il lungo telamonio ferro,e nell'imo del ventre si confisse.Diè cadendo un rimbombo, e a dispogliarlocorse l'illustre vincitor; ma un nemboi Troiani piovean di frecce acuteche d'irta selva gli coprîr lo scudo.Ben egli al morto avvicinossi, e il pettocalcandogli col piè, la fulgid'astane sferrò, ma dall'omero le bellearmi rapirgli non poteo: sì densala grandine il premea delle saette.E temendo l'eroe nol circuissede' Troiani la piena, che ristrettierano e molti e poderosi, e tutticon armi d'ogni guisa e d'ogni tiroad incalzarlo, a repulsarlo intesi,ei benché forte e di gran corpo e d'altoardir diè volta, e si ritrasse addietro.Mentre questi alle mani in questa partesi travaglian così, nemico fato

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contra l'illustre Sarpedon sospinsel'Eraclide Tlepòlemo, guerrierodi gran persona e di gran possa. Or comea fronte si trovâr quinci il nepotee quindi il figlio del Tonante Iddio,Tlepòlemo primiero così disse:Duce de' Licii Sarpedon, qual uoporozzo in guerra a tremar qua ti condusse?È mentitor chi dell'Egìoco Giovegerme ti dice. Dal valor dei forti,che nell'andata età nacquer di lui,troppo lungi se' tu. Ben altro egli erail mio gran genitor, forza divina,cuor di leone. Qua venuto un giornoa via menar del re Laomedontei promessi destrieri, egli con solesei navi e pochi armati Ilio distrusse,e vedovate ne lasciò le vie.Tu sei codardo, tu a perir qui traggii tuoi soldati, tu veruna aita,col tuo venir di Licia, non daraialla dardania gente; e quando pureun gagliardo ti fossi, il braccio mioqui stenderatti e spingeratti a Pluto.E di rimando a lui de' Licii il duce:Tlepòlemo, le sacre iliache muraErcole, è ver, distrusse, e la scempiezzadel frigio sire il meritò, che ingrato

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contra l'illustre Sarpedon sospinsel'Eraclide Tlepòlemo, guerrierodi gran persona e di gran possa. Or comea fronte si trovâr quinci il nepotee quindi il figlio del Tonante Iddio,Tlepòlemo primiero così disse:Duce de' Licii Sarpedon, qual uoporozzo in guerra a tremar qua ti condusse?È mentitor chi dell'Egìoco Giovegerme ti dice. Dal valor dei forti,che nell'andata età nacquer di lui,troppo lungi se' tu. Ben altro egli erail mio gran genitor, forza divina,cuor di leone. Qua venuto un giornoa via menar del re Laomedontei promessi destrieri, egli con solesei navi e pochi armati Ilio distrusse,e vedovate ne lasciò le vie.Tu sei codardo, tu a perir qui traggii tuoi soldati, tu veruna aita,col tuo venir di Licia, non daraialla dardania gente; e quando pureun gagliardo ti fossi, il braccio mioqui stenderatti e spingeratti a Pluto.E di rimando a lui de' Licii il duce:Tlepòlemo, le sacre iliache muraErcole, è ver, distrusse, e la scempiezzadel frigio sire il meritò, che ingrato

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al beneficio con acerbi dettioltraggiollo; e i destrieri, alta cagionedi sua venuta, gli negò. Ma i vantipaterni non torran che la mia lanciaqui non ti prostri. Tu morrai: son ioche tel predìco, e a me l'onor qui tostodarai della vittoria, e l'alma a Pluto.Ciò detto appena, sollevaro in altoi ferrati lor cerri ambo i guerrieri,ed ambo a un tempo gli scagliâr. PercosseSarpedonte il nemico a mezzo il collo,sì che tutto il passò l'asta crudele,e a lui gli occhi coperse eterna notte.Ma il telo uscito nel medesmo istantedalla man di Tlepòlemo la mancacoscia ferì di Sarpedon. Passollainfino all'osso la fulminea punta,ma non diè morte, ché vietollo il padre.Accorsero gli amici, e dal tumultosottrassero l'eroe che del confittotelo di molto si dolea, né mentev'avea posto verun, né s'avvisavadi sconficcarlo dalla coscia offesa,onde espedirne il camminar: tant'eradel salvarlo la fretta e la faccenda.Dall'altra parte i coturnati Acheidi Tlepòlemo anch'essi dalla pugnaritraggono la salma. Al doloroso

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al beneficio con acerbi dettioltraggiollo; e i destrieri, alta cagionedi sua venuta, gli negò. Ma i vantipaterni non torran che la mia lanciaqui non ti prostri. Tu morrai: son ioche tel predìco, e a me l'onor qui tostodarai della vittoria, e l'alma a Pluto.Ciò detto appena, sollevaro in altoi ferrati lor cerri ambo i guerrieri,ed ambo a un tempo gli scagliâr. PercosseSarpedonte il nemico a mezzo il collo,sì che tutto il passò l'asta crudele,e a lui gli occhi coperse eterna notte.Ma il telo uscito nel medesmo istantedalla man di Tlepòlemo la mancacoscia ferì di Sarpedon. Passollainfino all'osso la fulminea punta,ma non diè morte, ché vietollo il padre.Accorsero gli amici, e dal tumultosottrassero l'eroe che del confittotelo di molto si dolea, né mentev'avea posto verun, né s'avvisavadi sconficcarlo dalla coscia offesa,onde espedirne il camminar: tant'eradel salvarlo la fretta e la faccenda.Dall'altra parte i coturnati Acheidi Tlepòlemo anch'essi dalla pugnaritraggono la salma. Al doloroso

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spettacolo la forte alma d'Ulissesi commosse altamente; e in suo pensierodivisando ne vien s'ei prima inseguadi Giove il figlio, o più gli torni il darsialla strage de' Licii. Alla sua lancianon concedean le Parche il porre a mortedel gran Tonante il valoroso seme.Scagliasi ei dunque da Minerva spintonella folta dei Licii, e quivi uccidel'un sovra l'altro Alastore, Cerano,Cromio, Pritani, Alcandro, e Noemoneed Alio: e più n'avrìa di lor prostratiil divino guerrier, se il grande Ettorredi lui non s'accorgea. Tra i primi ei dunqueprocesse di corrusche armi splendente,e portante il terror ne' petti argivi.Come il vide vicin fe' lieto il coreSarpedonte, e con voce lamentosa:Generoso Prïamide, dicea,non lasciarmi giacer preda al nemico:mi soccorri, e la vita m'abbandoninella vostra città, poiché m'è toltoil tornarmi al natìo dolce terreno,e d'allegrezza spargere la miadiletta moglie e il pargoletto figlio.Non rispose l'eroe; ma desïosodi vendicarlo e ricacciar gli Achivicolla strage di molti, oltre si spinse.

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spettacolo la forte alma d'Ulissesi commosse altamente; e in suo pensierodivisando ne vien s'ei prima inseguadi Giove il figlio, o più gli torni il darsialla strage de' Licii. Alla sua lancianon concedean le Parche il porre a mortedel gran Tonante il valoroso seme.Scagliasi ei dunque da Minerva spintonella folta dei Licii, e quivi uccidel'un sovra l'altro Alastore, Cerano,Cromio, Pritani, Alcandro, e Noemoneed Alio: e più n'avrìa di lor prostratiil divino guerrier, se il grande Ettorredi lui non s'accorgea. Tra i primi ei dunqueprocesse di corrusche armi splendente,e portante il terror ne' petti argivi.Come il vide vicin fe' lieto il coreSarpedonte, e con voce lamentosa:Generoso Prïamide, dicea,non lasciarmi giacer preda al nemico:mi soccorri, e la vita m'abbandoninella vostra città, poiché m'è toltoil tornarmi al natìo dolce terreno,e d'allegrezza spargere la miadiletta moglie e il pargoletto figlio.Non rispose l'eroe; ma desïosodi vendicarlo e ricacciar gli Achivicolla strage di molti, oltre si spinse.

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In questo mezzo la pietosa curade' compagni adagiò sotto un bel faggioa Giove sacro Sarpedonte, e il telodalla piaga gli svelse il valorosodiletto amico Pelagon. Nell'oprasvenne il ferito, e s'annebbiò la vista;ma l'aura boreal, che fresca intornoventavagli, tornò ne' primi ufficidella vita gli spirti; e nell'anelopetto affannoso ricreògli il core.Da Marte intanto e dall'ardente Ettorreassaliti gli Achei né paurosiverso le navi si fuggìan, né arditifarsi innanzi sapean. Ma quando il gridocorse tra lor che Marte era co' Teucri,indietro si piegâr sempre cedendo.Or chi prima, chi poi fu l'abbattutodal ferreo Marte e dall'audace Ettorre?Teutrante che sembianza avea d'un Dio,l'agitatore di cavalli Oreste,il vibrator di lancia Etolio Treco,e l'Enopide Elèno, ed Enomào,e d'armi adorno di color diversoOresbio che a far d'oro alte conserveposto il pensier, tenea suo seggio in Ilaappo il lago Cefisio ov'altri assaiopulenti Beozi avean soggiorno.Tale e tanta d'Achivi occisïone

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In questo mezzo la pietosa curade' compagni adagiò sotto un bel faggioa Giove sacro Sarpedonte, e il telodalla piaga gli svelse il valorosodiletto amico Pelagon. Nell'oprasvenne il ferito, e s'annebbiò la vista;ma l'aura boreal, che fresca intornoventavagli, tornò ne' primi ufficidella vita gli spirti; e nell'anelopetto affannoso ricreògli il core.Da Marte intanto e dall'ardente Ettorreassaliti gli Achei né paurosiverso le navi si fuggìan, né arditifarsi innanzi sapean. Ma quando il gridocorse tra lor che Marte era co' Teucri,indietro si piegâr sempre cedendo.Or chi prima, chi poi fu l'abbattutodal ferreo Marte e dall'audace Ettorre?Teutrante che sembianza avea d'un Dio,l'agitatore di cavalli Oreste,il vibrator di lancia Etolio Treco,e l'Enopide Elèno, ed Enomào,e d'armi adorno di color diversoOresbio che a far d'oro alte conserveposto il pensier, tenea suo seggio in Ilaappo il lago Cefisio ov'altri assaiopulenti Beozi avean soggiorno.Tale e tanta d'Achivi occisïone

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Giuno mirando, a Pallade si volse,e con preste parole: Ohimè! le disse,invitta figlia dell'Egìoco Giove,se libera lasciam dell'omicidaMarte la furia, indarno a Menelaonoi promettemmo dell'iliache torrila caduta, e felice il suo ritorno.Or via, scendiamo, e di valor noi purefacciam prova laggiù. Disse, e Minervatenne l'invito. Allor la venerandaSaturnia Giuno ad allestir velocecorse i d'oro bardati almi destrieri.Immantinente al cocchio Ebe le curveruote innesta. Un ventaglio apre ciascunad'otto raggi di bronzo, e si rivolvesovra l'asse di ferro. Il giro è tuttod'incorruttibil oro, ma di bronzole salde lame de' lor cerchi estremi.Maraviglia a veder! Son puro argentoi rotondi lor mozzi, e vergolated'argento e d'ôr del cocchio anco le cinghiecon ambedue dell'orbe i semicerchi,a cui sospese consegnar le guide.Si dispicca da questo e scorre avantipur d'argento il timone, in cima a cuiEbe attacca il bel giogo e le leggiadrepettiere; e queste parimenti e quellod'auro sono contesti. Desïosa

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Giuno mirando, a Pallade si volse,e con preste parole: Ohimè! le disse,invitta figlia dell'Egìoco Giove,se libera lasciam dell'omicidaMarte la furia, indarno a Menelaonoi promettemmo dell'iliache torrila caduta, e felice il suo ritorno.Or via, scendiamo, e di valor noi purefacciam prova laggiù. Disse, e Minervatenne l'invito. Allor la venerandaSaturnia Giuno ad allestir velocecorse i d'oro bardati almi destrieri.Immantinente al cocchio Ebe le curveruote innesta. Un ventaglio apre ciascunad'otto raggi di bronzo, e si rivolvesovra l'asse di ferro. Il giro è tuttod'incorruttibil oro, ma di bronzole salde lame de' lor cerchi estremi.Maraviglia a veder! Son puro argentoi rotondi lor mozzi, e vergolated'argento e d'ôr del cocchio anco le cinghiecon ambedue dell'orbe i semicerchi,a cui sospese consegnar le guide.Si dispicca da questo e scorre avantipur d'argento il timone, in cima a cuiEbe attacca il bel giogo e le leggiadrepettiere; e queste parimenti e quellod'auro sono contesti. Desïosa

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Giuno di zuffe e del rumor di guerra,gli alipedi veloci al giogo adduce.Né Minerva s'indugia. Ella diffusoil suo peplo immortal sul pavimentodelle sale paterne, effigïatopeplo, stupendo di sua man lavoro,e vestita di Giove la corazza,di tutto punto al lagrimoso balloarmasi. Intorno agli omeri divinipon la ricca di fiocchi Egida orrenda,che il Terror d'ogn'intorno incoronava.Ivi era la Contesa, ivi la Forza,ivi l'atroce Inseguimento, e il diroGorgonio capo, orribile prodigiodell'Egìoco signore. Indi alla frontel'aurea celata impone irta di quattroeccelsi coni, a ricoprir bastanteeserciti e città. Tale la Divamonta il fulgido cocchio, e l'asta impugnapesante, immensa, poderosa, ond'ellaintere degli eroi le squadre atterrairata figlia di potente iddio.Giuno, al governo delle briglie, affrettacol flagello i corsieri. Cigolandoper sé stesse s'aprîr l'eteree portecustodite dall'Ore a cui commessadel gran cielo è la cura e dell'Olimpo,onde serrare e disserrar la densa

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Giuno di zuffe e del rumor di guerra,gli alipedi veloci al giogo adduce.Né Minerva s'indugia. Ella diffusoil suo peplo immortal sul pavimentodelle sale paterne, effigïatopeplo, stupendo di sua man lavoro,e vestita di Giove la corazza,di tutto punto al lagrimoso balloarmasi. Intorno agli omeri divinipon la ricca di fiocchi Egida orrenda,che il Terror d'ogn'intorno incoronava.Ivi era la Contesa, ivi la Forza,ivi l'atroce Inseguimento, e il diroGorgonio capo, orribile prodigiodell'Egìoco signore. Indi alla frontel'aurea celata impone irta di quattroeccelsi coni, a ricoprir bastanteeserciti e città. Tale la Divamonta il fulgido cocchio, e l'asta impugnapesante, immensa, poderosa, ond'ellaintere degli eroi le squadre atterrairata figlia di potente iddio.Giuno, al governo delle briglie, affrettacol flagello i corsieri. Cigolandoper sé stesse s'aprîr l'eteree portecustodite dall'Ore a cui commessadel gran cielo è la cura e dell'Olimpo,onde serrare e disserrar la densa

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nube che asconde degli Dei la sede.Per queste porte dirizzâr le Divei docili cavalli, e ritrovaroscevro dagli altri Sempiterni e solosu l'alta vetta dell'Olimpo assisodi Saturno il gran figlio. Ivi i destrierisostò la Diva dalle bianche braccia,e il supremo de' numi interrogando:Giove padre, gli disse, e non ti prendesdegno de' fatti di Gradivo atroci?Non vedi quanta e quale il furibondostrage non giusta degli Achei commette?Io ne son dolorosa: e queti intantosi letiziano Apollo e Citerea,essi che questo d'ogni legge schivoforsennato aizzâr. Padre, s'io scendoa rintuzzar l'audace, a discacciarlodalla pugna, n'andrai tu meco in ira?Va, le rispose delle nubi il sire,spingi contra costui la predatriceMinerva, a farlo assai dolente usata.Di ciò lieta la Dea fe' su le groppede' corsieri sonar la sferza; e quelliinfra la terra e lo stellato cielodesïosi volaro; e quanto veded'aereo spazio un uom che in alto assisostende il guardo sul mar, tanto d'un saltone varcâr delle Dive i tempestosi

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nube che asconde degli Dei la sede.Per queste porte dirizzâr le Divei docili cavalli, e ritrovaroscevro dagli altri Sempiterni e solosu l'alta vetta dell'Olimpo assisodi Saturno il gran figlio. Ivi i destrierisostò la Diva dalle bianche braccia,e il supremo de' numi interrogando:Giove padre, gli disse, e non ti prendesdegno de' fatti di Gradivo atroci?Non vedi quanta e quale il furibondostrage non giusta degli Achei commette?Io ne son dolorosa: e queti intantosi letiziano Apollo e Citerea,essi che questo d'ogni legge schivoforsennato aizzâr. Padre, s'io scendoa rintuzzar l'audace, a discacciarlodalla pugna, n'andrai tu meco in ira?Va, le rispose delle nubi il sire,spingi contra costui la predatriceMinerva, a farlo assai dolente usata.Di ciò lieta la Dea fe' su le groppede' corsieri sonar la sferza; e quelliinfra la terra e lo stellato cielodesïosi volaro; e quanto veded'aereo spazio un uom che in alto assisostende il guardo sul mar, tanto d'un saltone varcâr delle Dive i tempestosi

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destrier. Là giunte dove l'onde amicheconfondono davanti all'alta TroiaSimoenta e Scamandro, ivi rattenneGiuno i cavalli, gli staccò dal cocchio,e di nebbia li cinse. Il Simoentaloro un pasco fornì d'ambrosie erbette.Tacite allora, e col leggiero incessodi timide colombe ambe le Diveappropinquârsi al campo acheo, bramosedi dar soccorso a' combattenti. E quandoarrivâr dove molti e valorosi,come stuol di cinghiali o di lïoni,si stavano ristretti intorno al fortefigliuolo di Tidèo, presa la formadi Stèntore che voce avea di ferro,e pareggiava di cinquanta il grido,Giuno sclamò: Vituperati Argivi,mere apparenze di valor, vergogna!Finché mostrossi in campo la divinafronte d'Achille, non fur osi i Teucriscostarsi mai dalle dardanie porte;cotanto di sua lancia era il terrore.Or lungi dalle mura insino al marevengono audaci a cimentar la pugna.Sì dicendo svegliò di ciaschedunoe la forza e l'ardir. Sorgiunse in questala cerula Minerva a Dïomedech'appo il carro la piaga, onde l'offese

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destrier. Là giunte dove l'onde amicheconfondono davanti all'alta TroiaSimoenta e Scamandro, ivi rattenneGiuno i cavalli, gli staccò dal cocchio,e di nebbia li cinse. Il Simoentaloro un pasco fornì d'ambrosie erbette.Tacite allora, e col leggiero incessodi timide colombe ambe le Diveappropinquârsi al campo acheo, bramosedi dar soccorso a' combattenti. E quandoarrivâr dove molti e valorosi,come stuol di cinghiali o di lïoni,si stavano ristretti intorno al fortefigliuolo di Tidèo, presa la formadi Stèntore che voce avea di ferro,e pareggiava di cinquanta il grido,Giuno sclamò: Vituperati Argivi,mere apparenze di valor, vergogna!Finché mostrossi in campo la divinafronte d'Achille, non fur osi i Teucriscostarsi mai dalle dardanie porte;cotanto di sua lancia era il terrore.Or lungi dalle mura insino al marevengono audaci a cimentar la pugna.Sì dicendo svegliò di ciaschedunoe la forza e l'ardir. Sorgiunse in questala cerula Minerva a Dïomedech'appo il carro la piaga, onde l'offese

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di Pandaro lo stral, refrigerava;e colla stanca destra sollevandodello scudo la soga tutta molledi molesto sudor, tergea del negrosangue la tabe. Colla man posatasul giogo de' corsier la Dea sì disse:Tidèo per certo generossi un figlioche poco lo somiglia. Era Tidèopicciol di corpo, ma guerriero; e quandoio gli vietava di pugnar, fremea.E quando senza compagnìa venutoambasciatore a Tebe io co' Tebanine' regii alberghi a banchettar l'astrinsi,non depose egli, no, la bellicosaalma di prima, ma sfidando il fiorede' giovani Cadmei, tutti li vinseagevolmente col mio nume al fianco.E al tuo fianco del pari io qui ne vegno,e ti guardo e t'esorto e ti comandodi pugnar co' Troiani arditamente.Ma te per certo o la fatica oppresse,o qualche tema agghiaccia, e tu non seipiù, no, la prole del pugnace Enìde.Ti riconosco, o Dea (tosto risposeil valoroso eroe), ti riconosco,figlia di Giove, e di buon grado e nettamia ragione dirò. Né vil timorené ignavia mi rattien, ma il tuo comando.

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di Pandaro lo stral, refrigerava;e colla stanca destra sollevandodello scudo la soga tutta molledi molesto sudor, tergea del negrosangue la tabe. Colla man posatasul giogo de' corsier la Dea sì disse:Tidèo per certo generossi un figlioche poco lo somiglia. Era Tidèopicciol di corpo, ma guerriero; e quandoio gli vietava di pugnar, fremea.E quando senza compagnìa venutoambasciatore a Tebe io co' Tebanine' regii alberghi a banchettar l'astrinsi,non depose egli, no, la bellicosaalma di prima, ma sfidando il fiorede' giovani Cadmei, tutti li vinseagevolmente col mio nume al fianco.E al tuo fianco del pari io qui ne vegno,e ti guardo e t'esorto e ti comandodi pugnar co' Troiani arditamente.Ma te per certo o la fatica oppresse,o qualche tema agghiaccia, e tu non seipiù, no, la prole del pugnace Enìde.Ti riconosco, o Dea (tosto risposeil valoroso eroe), ti riconosco,figlia di Giove, e di buon grado e nettamia ragione dirò. Né vil timorené ignavia mi rattien, ma il tuo comando.

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Non se' tu quella che pugnar poc'anzimi vietasti co' numi? E se la figliadi Giove Citerea nel campo entrava,non mi dicesti di ferirla? Il feci.Ed or recedo, e agli altri Achivi imposid'accogliersi qui tutti, ora che Marte,ben lo conosco, de' Troiani è il duce.E a lui la Diva dalle luci azzurre:Diletto Dïomede, alcuna temadi questo Marte non aver, né d'altroqualunque iddio, se tua difesa io sono.Sorgi, e drizza in costui gl'impetuosituoi corridori, e stringilo e il percuoti,né riguardo t'arresti né rispettodi questo insano ad ogni mal paratoe ad ogni parteggiar, che a me pur dianzie a Giuno promettea che contra i Teucria pro de' Greci avrìa pugnato; ed oraimmemore de' Greci i Teucri aiuta.Sì dicendo afferrò colla possentedestra il figliuol di Capanèo, dal carrotraendolo; né quegli a dar fu tardoun salto a terra; ed ella stessa ascesesovra il cocchio da canto a Dïomedeinfiammata di sdegno. Orrendamentel'asse al gran pondo cigolò, ché carcod'una gran Diva egli era e d'un gran prode.Al sonoro flagello ed alle briglie

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Non se' tu quella che pugnar poc'anzimi vietasti co' numi? E se la figliadi Giove Citerea nel campo entrava,non mi dicesti di ferirla? Il feci.Ed or recedo, e agli altri Achivi imposid'accogliersi qui tutti, ora che Marte,ben lo conosco, de' Troiani è il duce.E a lui la Diva dalle luci azzurre:Diletto Dïomede, alcuna temadi questo Marte non aver, né d'altroqualunque iddio, se tua difesa io sono.Sorgi, e drizza in costui gl'impetuosituoi corridori, e stringilo e il percuoti,né riguardo t'arresti né rispettodi questo insano ad ogni mal paratoe ad ogni parteggiar, che a me pur dianzie a Giuno promettea che contra i Teucria pro de' Greci avrìa pugnato; ed oraimmemore de' Greci i Teucri aiuta.Sì dicendo afferrò colla possentedestra il figliuol di Capanèo, dal carrotraendolo; né quegli a dar fu tardoun salto a terra; ed ella stessa ascesesovra il cocchio da canto a Dïomedeinfiammata di sdegno. Orrendamentel'asse al gran pondo cigolò, ché carcod'una gran Diva egli era e d'un gran prode.Al sonoro flagello ed alle briglie

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diè di piglio Minerva, e senza indugiocontra Marte sospinse i generosicornipedi. Lo giunse appunto in quellache atterrato l'enorme Perifante(un fortissimo Etòlo, egregio figliod'Ochesio), il Dio crudel lordo di sanguelo trucidava. In arrivar si poseMinerva di Pluton l'elmo alla fronte,onde celarsi di quel fero al guardo.Come il nume omicida ebbe vedutol'illustre Dïomede, al suol distesolasciò l'immenso Perifante, e drittoad investir si spinse il cavaliero.E tosto giunti l'un dell'altro a fronte,Marte il primo scagliò l'asta di sopraal giogo de' corsier lungo le briglie,di rapirgli la vita desïoso:ma prese colla man l'asta volantela Dea Minerva e la stornò dal carro,e vano il colpo riuscì. Secondospinse l'asta il Tidìde a tutta forza.La diresse Minerva, e al Dio l'infissesotto il cinto nell'epa, e vulnerollo,e lacerata la divina cutel'asta ritrasse. Mugolò il feritonume, e ruppe in un tuon pari di noveo dieci mila combattenti al gridoquando appiccan la zuffa. I Troi l'udiro,

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diè di piglio Minerva, e senza indugiocontra Marte sospinse i generosicornipedi. Lo giunse appunto in quellache atterrato l'enorme Perifante(un fortissimo Etòlo, egregio figliod'Ochesio), il Dio crudel lordo di sanguelo trucidava. In arrivar si poseMinerva di Pluton l'elmo alla fronte,onde celarsi di quel fero al guardo.Come il nume omicida ebbe vedutol'illustre Dïomede, al suol distesolasciò l'immenso Perifante, e drittoad investir si spinse il cavaliero.E tosto giunti l'un dell'altro a fronte,Marte il primo scagliò l'asta di sopraal giogo de' corsier lungo le briglie,di rapirgli la vita desïoso:ma prese colla man l'asta volantela Dea Minerva e la stornò dal carro,e vano il colpo riuscì. Secondospinse l'asta il Tidìde a tutta forza.La diresse Minerva, e al Dio l'infissesotto il cinto nell'epa, e vulnerollo,e lacerata la divina cutel'asta ritrasse. Mugolò il feritonume, e ruppe in un tuon pari di noveo dieci mila combattenti al gridoquando appiccan la zuffa. I Troi l'udiro,

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l'udîr gli Achivi, e ne tremâr: sì fortefu di Marte il muggito. E quale pel gravevento che spira dalla calda terra.si fa di nubi tenebroso il cielo;tal parve il ferreo Marte a Dïomede,mentre avvolto di nugoli alle sferedolorando salìa. Giunto alla sededegli Dei su l'Olimpo, accanto a Giovemesto s'assise, discoperse il sangueimmortal che scorrea dalla ferita,e in suono di lamento: O padre, ei disse,e non t'adiri a cotal vista, a fattisì nequitosi? Esizïosa semprea noi Divi tornò la mutua garadi gratuir l'umana stirpe; e intantodi nostre liti la cagion tu sei,tu che una figlia generasti insana,e di sterminii e di malvage impreseinvaghita mai sempre. Obbedïentihai quanti alberga Sempiterni il cielo;tutti inchiniamo a te. Sola costeiné con fatti frenar né con paroletu sai per anco, connivente padredi pestifera furia. Ella pur dianzistimolò di Tidèo l'audace figlioa pazzamente guerreggiar co' numi;ella a ferir Ciprigna; ella a scagliarsicontra me stesso, e pareggiarsi a un Dio.

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l'udîr gli Achivi, e ne tremâr: sì fortefu di Marte il muggito. E quale pel gravevento che spira dalla calda terra.si fa di nubi tenebroso il cielo;tal parve il ferreo Marte a Dïomede,mentre avvolto di nugoli alle sferedolorando salìa. Giunto alla sededegli Dei su l'Olimpo, accanto a Giovemesto s'assise, discoperse il sangueimmortal che scorrea dalla ferita,e in suono di lamento: O padre, ei disse,e non t'adiri a cotal vista, a fattisì nequitosi? Esizïosa semprea noi Divi tornò la mutua garadi gratuir l'umana stirpe; e intantodi nostre liti la cagion tu sei,tu che una figlia generasti insana,e di sterminii e di malvage impreseinvaghita mai sempre. Obbedïentihai quanti alberga Sempiterni il cielo;tutti inchiniamo a te. Sola costeiné con fatti frenar né con paroletu sai per anco, connivente padredi pestifera furia. Ella pur dianzistimolò di Tidèo l'audace figlioa pazzamente guerreggiar co' numi;ella a ferir Ciprigna; ella a scagliarsicontra me stesso, e pareggiarsi a un Dio.

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E se più tardo il piè fuggìa, sareisteso rimasto fra quei tanti uccisiin lunghe pene, né morir potendom'avrìa de' colpi infranto la tempesta.Bieco il guatò l'adunator de' nembiGiove, e rispose: Querimonie e lainon mi far qui seduto al fianco mio,fazïoso incostante, e a me fra tuttii Celesti odïoso. E risse e zuffee discordie e battaglie, ecco le caretue delizie. Trasfuso in te conoscodi tua madre Giunon l'intollerandoinflessibile spirto, a cui mal possopur colle dolci riparar; né certod'altronde io penso che il tuo danno or scenda,che dal suo torto consigliar. Non iovo' per questo patir che tu sostegnapiù lungo duolo: mi sei figlio, e carola Dea tua madre a me ti partorìa.Se malvagio, qual sei, d'altro qualunquenume nascevi, da gran tempo avrestisorte incorsa peggior degli Uranìdi.Così detto, a Peon comando ei fecedi risanarlo. La ferita ei sparsedi lenitivo medicame, e toltoogni dolore, il tornò sano al tutto,ché mortale ei non era. E come il latteper lo gaglio sbattuto si rappiglia,

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E se più tardo il piè fuggìa, sareisteso rimasto fra quei tanti uccisiin lunghe pene, né morir potendom'avrìa de' colpi infranto la tempesta.Bieco il guatò l'adunator de' nembiGiove, e rispose: Querimonie e lainon mi far qui seduto al fianco mio,fazïoso incostante, e a me fra tuttii Celesti odïoso. E risse e zuffee discordie e battaglie, ecco le caretue delizie. Trasfuso in te conoscodi tua madre Giunon l'intollerandoinflessibile spirto, a cui mal possopur colle dolci riparar; né certod'altronde io penso che il tuo danno or scenda,che dal suo torto consigliar. Non iovo' per questo patir che tu sostegnapiù lungo duolo: mi sei figlio, e carola Dea tua madre a me ti partorìa.Se malvagio, qual sei, d'altro qualunquenume nascevi, da gran tempo avrestisorte incorsa peggior degli Uranìdi.Così detto, a Peon comando ei fecedi risanarlo. La ferita ei sparsedi lenitivo medicame, e toltoogni dolore, il tornò sano al tutto,ché mortale ei non era. E come il latteper lo gaglio sbattuto si rappiglia,

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e perde il suo fluir sotto la manodel presto mescitor; presta del parila peonia virtù Marte guarìa.Ebe poscia lavollo, e di leggiadrevesti l'avvolse; ed egli accanto a Giovedell'alto onor superbo si ripose.Repressa del crudel Marte la strage,tornâr contente alla magion del padreGiuno Argiva e Minerva Alalcomènia.

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e perde il suo fluir sotto la manodel presto mescitor; presta del parila peonia virtù Marte guarìa.Ebe poscia lavollo, e di leggiadrevesti l'avvolse; ed egli accanto a Giovedell'alto onor superbo si ripose.Repressa del crudel Marte la strage,tornâr contente alla magion del padreGiuno Argiva e Minerva Alalcomènia.

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Libro Sesto

Soli senz'alcun Dio Teucri ed Acheicosì restaro a battagliar. Più voltetra il Simoenta e il Xanto impetuosisi assaliro; più volte or da quel latoed or da questo con incerte pennela Vittoria volò. Ruppe di Troiprimo una squadra il Telamonio Aiace,presidio degli Achivi, e il primo raggioportò di speme a' suoi, ferendo un Tracefortissimo guerriero e di gran mole,Acamante d'Eussòro. Il colse in frontenel cono dell'elmetto irto d'equinechiome, e nell'osso gli piantò la puntasì che i lumi gli chiuse il buio eterno.Tolse la vita al Teutranìde Assiloil marzio Dïomede. Era d'Arisbebella contrada Assilo abitatore,uom di molta ricchezza, a tutti amico,ché tutti in sua magion, posta lunghessola via frequente, ricevea cortese.Ma degli ospiti ahi! niuno accorse allora,niun da morte il campò. Solo il suo fidoservo Calesio, che reggeagli il cocchio,morto ei pur dal Tidìde, al fianco cadde

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Libro Sesto

Soli senz'alcun Dio Teucri ed Acheicosì restaro a battagliar. Più voltetra il Simoenta e il Xanto impetuosisi assaliro; più volte or da quel latoed or da questo con incerte pennela Vittoria volò. Ruppe di Troiprimo una squadra il Telamonio Aiace,presidio degli Achivi, e il primo raggioportò di speme a' suoi, ferendo un Tracefortissimo guerriero e di gran mole,Acamante d'Eussòro. Il colse in frontenel cono dell'elmetto irto d'equinechiome, e nell'osso gli piantò la puntasì che i lumi gli chiuse il buio eterno.Tolse la vita al Teutranìde Assiloil marzio Dïomede. Era d'Arisbebella contrada Assilo abitatore,uom di molta ricchezza, a tutti amico,ché tutti in sua magion, posta lunghessola via frequente, ricevea cortese.Ma degli ospiti ahi! niuno accorse allora,niun da morte il campò. Solo il suo fidoservo Calesio, che reggeagli il cocchio,morto ei pur dal Tidìde, al fianco cadde

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del suo signore, e con lui scese a Pluto.Eurìalo abbatte Ofelzio e Dreso; e posciaEsepo assalta e Pedaso gemelli,che al buon Bucolïone un dì produssela Naiade gentile Abarbarèa.Bucolïon del re Laomedonteprimogenito figlio, ma di nozzefurtive acquisto, conducea la greggiaquando alla ninfa in amoroso amplessomischiossi, e di costor madre la feo.Ma quivi tolse ad ambedue la vitae la bella persona e l'armi il figliodi Mecistèo. Fur morti a un tempo istessoAstïalo dal forte Polipete;il percosso Pidìte dall'acutaasta d'Ulisse; Aretaon da Teucro.D'Antiloco la lancia Ablero atterra,Èlato quella del maggiore Atride,Èlato che sua stanza avea nell'altaPedaso in riva dell'ameno fiumeSatnioente. Euripilo prosteseMelanzio; e l'asta dell'eroe Leìtoil fuggitivo Fìlaco trafisse.Ma l'Atride minor, strenuo guerriero,vivo Adrasto pigliò. Repente ombrandoli costui corridori, e via pel campopaventosi fuggendo in un tenacecespo implicârsi di mirica, e quivi

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del suo signore, e con lui scese a Pluto.Eurìalo abbatte Ofelzio e Dreso; e posciaEsepo assalta e Pedaso gemelli,che al buon Bucolïone un dì produssela Naiade gentile Abarbarèa.Bucolïon del re Laomedonteprimogenito figlio, ma di nozzefurtive acquisto, conducea la greggiaquando alla ninfa in amoroso amplessomischiossi, e di costor madre la feo.Ma quivi tolse ad ambedue la vitae la bella persona e l'armi il figliodi Mecistèo. Fur morti a un tempo istessoAstïalo dal forte Polipete;il percosso Pidìte dall'acutaasta d'Ulisse; Aretaon da Teucro.D'Antiloco la lancia Ablero atterra,Èlato quella del maggiore Atride,Èlato che sua stanza avea nell'altaPedaso in riva dell'ameno fiumeSatnioente. Euripilo prosteseMelanzio; e l'asta dell'eroe Leìtoil fuggitivo Fìlaco trafisse.Ma l'Atride minor, strenuo guerriero,vivo Adrasto pigliò. Repente ombrandoli costui corridori, e via pel campopaventosi fuggendo in un tenacecespo implicârsi di mirica, e quivi

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al piede del timon spezzato il carrovolâr con altri spaventati in fugaverso le mura. Prono nella polvesdrucciolò dalla biga appo la ruotaquell'infelice. Colla lunga lanciaMenelao gli fu sopra; e Adrasto a luiabbracciando i ginocchi e supplicando:Pigliami vivo, Atride; e largo prezzodel mio riscatto avrai. Figlio son iodi ricco padre, e gran conserva ei tiened'auro, di rame e di foggiato ferro.Di questi largiratti il padre miomolti doni, se vivo egli mi sappianelle argoliche navi. - A questo pregogià dell'Atride il cor si raddolcìa,già fidavalo al servo, onde alle navil'adducesse; quand'ecco Agamennòneche a lui ne corre minaccioso e grida:Debole Menelao! e qual ti prendede' Troiani pietà? Certo per lorola tua casa è felice! Or su; nessunode' perfidi risparmi il nostro ferro,né pur l'infante nel materno seno:perano tutti in un con Ilio, tuttisenza onor di sepolcro e senza nome.Cangiò di Menelao la mente il fieroma non torto parlar, sì ch'ei respinseda sé con mano il supplicante, e lui

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al piede del timon spezzato il carrovolâr con altri spaventati in fugaverso le mura. Prono nella polvesdrucciolò dalla biga appo la ruotaquell'infelice. Colla lunga lanciaMenelao gli fu sopra; e Adrasto a luiabbracciando i ginocchi e supplicando:Pigliami vivo, Atride; e largo prezzodel mio riscatto avrai. Figlio son iodi ricco padre, e gran conserva ei tiened'auro, di rame e di foggiato ferro.Di questi largiratti il padre miomolti doni, se vivo egli mi sappianelle argoliche navi. - A questo pregogià dell'Atride il cor si raddolcìa,già fidavalo al servo, onde alle navil'adducesse; quand'ecco Agamennòneche a lui ne corre minaccioso e grida:Debole Menelao! e qual ti prendede' Troiani pietà? Certo per lorola tua casa è felice! Or su; nessunode' perfidi risparmi il nostro ferro,né pur l'infante nel materno seno:perano tutti in un con Ilio, tuttisenza onor di sepolcro e senza nome.Cangiò di Menelao la mente il fieroma non torto parlar, sì ch'ei respinseda sé con mano il supplicante, e lui

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ferì tosto nel fianco Agamennòne,e supino lo stese. Indi col piedecalcato il petto ne ritrasse il telo.Nestore intanto in altra parte accendel'acheo valor, gridando: Amici eroi,Dànai di Marte alunni, alcun non siach'ora badi alle spoglie, e per tornarnecarco alle navi si rimanga indietro.Non badiam che ad uccidere, e gli uccisipoi nel campo a bell'agio ispoglieremo.Fatti animosi a questo dir gli Acheipiombâr su i Teucri, che scorati e domidi nuovo in Ilio si sarìan racchiusi,se il prestante indovino Eleno, figliodel re troiano, non volgea per tempoad Ettore e ad Enea queste parole:Poiché tutta si folce in voi la spemede' Troiani e de' Licii, e che voi sietei miglior nella pugna e nel consiglio,voi, Ettore ed Enea, qui state, e i nostrialle porte fuggenti rattenete,pria che, con riso del nemico, in bracciosi salvin delle mogli. E come tutteben rincorate le falangi avrete,noi di piè fermo, benché lassi e in duranecessitade, qui farem coll'armibuon ripicco agli Achei. Ciò fatto, a Troiatu, Ettore, ten vola, ed alla madre

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ferì tosto nel fianco Agamennòne,e supino lo stese. Indi col piedecalcato il petto ne ritrasse il telo.Nestore intanto in altra parte accendel'acheo valor, gridando: Amici eroi,Dànai di Marte alunni, alcun non siach'ora badi alle spoglie, e per tornarnecarco alle navi si rimanga indietro.Non badiam che ad uccidere, e gli uccisipoi nel campo a bell'agio ispoglieremo.Fatti animosi a questo dir gli Acheipiombâr su i Teucri, che scorati e domidi nuovo in Ilio si sarìan racchiusi,se il prestante indovino Eleno, figliodel re troiano, non volgea per tempoad Ettore e ad Enea queste parole:Poiché tutta si folce in voi la spemede' Troiani e de' Licii, e che voi sietei miglior nella pugna e nel consiglio,voi, Ettore ed Enea, qui state, e i nostrialle porte fuggenti rattenete,pria che, con riso del nemico, in bracciosi salvin delle mogli. E come tutteben rincorate le falangi avrete,noi di piè fermo, benché lassi e in duranecessitade, qui farem coll'armibuon ripicco agli Achei. Ciò fatto, a Troiatu, Ettore, ten vola, ed alla madre

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di' che salga la rocca, e del delubroa Minerva sacrato apra le porte,e vi raccolga le matrone, e il peploil più grande, il più bello, e a lei più carodi quanti in serbo ne' regali alberghiella ne tien, deponga umilementesu le ginocchia della Diva, e dodicigiovenche le prometta ancor non dome,se la nostra città commiserandoe le consorti e i figli, ella dal sacroIlio allontana il fiero Dïomedecombattente crudele, e vïolentoartefice di fuga, e per mio sennoil più gagliardo degli Achei. Né certonoi tremammo giammai tanto il Pelìde,benché figlio a una Dea, quanto costuiche fuor di modo inferocisce, e nullovien di forze con esso a paragone.Disse: e al cenno fraterno obbedïenteEttore armato si lanciò dal carrocon due dardi alla mano; e via scorrendoper lo campo e animando ogni guerriero,rinfrescò la battaglia: e tosto i Teucrivoltâr la faccia, e coraggiosi incontrofersi al nemico. S'arretrâr gli Achivi,e la strage cessò; ch'essi mirandosì audaci i Teucri convertir le fronti,stimâr disceso in lor soccorso un Dio.

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di' che salga la rocca, e del delubroa Minerva sacrato apra le porte,e vi raccolga le matrone, e il peploil più grande, il più bello, e a lei più carodi quanti in serbo ne' regali alberghiella ne tien, deponga umilementesu le ginocchia della Diva, e dodicigiovenche le prometta ancor non dome,se la nostra città commiserandoe le consorti e i figli, ella dal sacroIlio allontana il fiero Dïomedecombattente crudele, e vïolentoartefice di fuga, e per mio sennoil più gagliardo degli Achei. Né certonoi tremammo giammai tanto il Pelìde,benché figlio a una Dea, quanto costuiche fuor di modo inferocisce, e nullovien di forze con esso a paragone.Disse: e al cenno fraterno obbedïenteEttore armato si lanciò dal carrocon due dardi alla mano; e via scorrendoper lo campo e animando ogni guerriero,rinfrescò la battaglia: e tosto i Teucrivoltâr la faccia, e coraggiosi incontrofersi al nemico. S'arretrâr gli Achivi,e la strage cessò; ch'essi mirandosì audaci i Teucri convertir le fronti,stimâr disceso in lor soccorso un Dio.

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E tuttavia le sue genti Ettorreconfortando, gridava ad alta voce:Magnanimi Troiani, e voi di Troiagenerosi alleati, ah siate, amici,siatemi prodi, e fuor mettete interala vostra gagliardìa, mentr'io per pocomen volo in Ilio ad intimar de' padrie delle mogli i preghi e le votiveecatombi agli Dei. - Parte, ciò detto.Ondeggiano all'eroe, mentre cammina,l'alte creste dell'elmo; e il negro cuoio,che gli orli attorna dell'immenso scudo,la cervice gli batte ed il tallone.Di duellar bramosi allor nel mezzodell'un campo e dell'altro appresentârsiGlauco, prole d'Ippoloco, e il Tidìde.Come al tratto dell'armi ambo fur giunti,primo il Tidìde favellò: Guerriero,chi se' tu? Non ti vidi unqua ne' campidella gloria finor. Ma tu d'ardireogni altro avanzi se aspettar non temila mia lancia. È figliuol d'un infelicechi fassi incontro al mio valor. Se poitu se' qualche Immortal, non io per certoco' numi pugnerò; ché lunghi giorniné pur non visse di Drïante il fortefiglio Licurgo che agli Dei fe' guerra.Su pel sacro Nisseio egli di Bacco

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E tuttavia le sue genti Ettorreconfortando, gridava ad alta voce:Magnanimi Troiani, e voi di Troiagenerosi alleati, ah siate, amici,siatemi prodi, e fuor mettete interala vostra gagliardìa, mentr'io per pocomen volo in Ilio ad intimar de' padrie delle mogli i preghi e le votiveecatombi agli Dei. - Parte, ciò detto.Ondeggiano all'eroe, mentre cammina,l'alte creste dell'elmo; e il negro cuoio,che gli orli attorna dell'immenso scudo,la cervice gli batte ed il tallone.Di duellar bramosi allor nel mezzodell'un campo e dell'altro appresentârsiGlauco, prole d'Ippoloco, e il Tidìde.Come al tratto dell'armi ambo fur giunti,primo il Tidìde favellò: Guerriero,chi se' tu? Non ti vidi unqua ne' campidella gloria finor. Ma tu d'ardireogni altro avanzi se aspettar non temila mia lancia. È figliuol d'un infelicechi fassi incontro al mio valor. Se poitu se' qualche Immortal, non io per certoco' numi pugnerò; ché lunghi giorniné pur non visse di Drïante il fortefiglio Licurgo che agli Dei fe' guerra.Su pel sacro Nisseio egli di Bacco

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le nudrici inseguìa. Dal rio percossecon pungolo crudel gittaro i tirsitutte insieme, e fuggîr: fuggì lo stessoBacco, e nel mar s'ascose, ove del ferominacciar di Licurgo paventosoTeti l'accolse. Ma sdegnârsi i numicon quel superbo. Della luce il caroraggio gli tolse di Saturno il figlio,e detestato dagli Eterni tuttibreve vita egli visse. All'armi io dunquenon verrò con gli Dei. Ma se terrenocibo ti nutre, accòstati; e più prestoqui della morte toccherai le mete.E d'Ippoloco a lui l'inclito figlio:Magnanimo Tidìde, a che dimandiil mio lignaggio? Quale delle foglie,tale è la stirpe degli umani. Il ventobrumal le sparge a terra, e le ricreala germogliante selva a primavera.Così l'uom nasce, così muor. Ma s'oltrebrami saper di mia prosapia, a moltiben manifesta, ti farò contento.Siede nel fondo del paese argivoEfira, una città, natìa contradadi Sisifo che ognun vincea nel senno.Dall'Eolide Sisifo fu natoGlauco; da Glauco il buon Bellerofonte,cui largiro gli Dei somma beltade,

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le nudrici inseguìa. Dal rio percossecon pungolo crudel gittaro i tirsitutte insieme, e fuggîr: fuggì lo stessoBacco, e nel mar s'ascose, ove del ferominacciar di Licurgo paventosoTeti l'accolse. Ma sdegnârsi i numicon quel superbo. Della luce il caroraggio gli tolse di Saturno il figlio,e detestato dagli Eterni tuttibreve vita egli visse. All'armi io dunquenon verrò con gli Dei. Ma se terrenocibo ti nutre, accòstati; e più prestoqui della morte toccherai le mete.E d'Ippoloco a lui l'inclito figlio:Magnanimo Tidìde, a che dimandiil mio lignaggio? Quale delle foglie,tale è la stirpe degli umani. Il ventobrumal le sparge a terra, e le ricreala germogliante selva a primavera.Così l'uom nasce, così muor. Ma s'oltrebrami saper di mia prosapia, a moltiben manifesta, ti farò contento.Siede nel fondo del paese argivoEfira, una città, natìa contradadi Sisifo che ognun vincea nel senno.Dall'Eolide Sisifo fu natoGlauco; da Glauco il buon Bellerofonte,cui largiro gli Dei somma beltade,

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e quel dolce valor che i cuori acquista.Ma Preto macchinò la sua ruina,e potente signor d'Argo che Giovesottomessa gli avea, d'Argo l'espulseper cagione d'Antèa sposa al tiranno.Furïosa costei ne desïavasegretamente l'amoroso amplesso;ma non valse a crollar del saggio e castoBellerofonte la virtù. Sdegnosadel magnanimo niego l'impudicavolse l'ingegno alla calunnia, e disseal marito così: Bellerofontemeco in amor tentò meschiarsi a forza:muori dunque, o l'uccidi. Arse di sdegnoPreto a questo parlar, ma non l'uccise,di sacro orror compreso. In quella vecespedillo in Licia apportator di chiusefuneste cifre al re suocero, ond'egliperir lo fêsse. Dagli Dei scortatopartì Bellerofonte, al Xanto giunse,al re de' Licii appresentossi, e lietan'ebbe accoglienza ed ospital banchetto.Nove giorni fumò su l'are amichedi nove tauri il sangue. E quando apparvedella decima aurora il roseo lumeinterrogollo il sire, e a lui la tèsseradel genero chiedea. Viste le crudenote di Preto, comandògli in prima

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e quel dolce valor che i cuori acquista.Ma Preto macchinò la sua ruina,e potente signor d'Argo che Giovesottomessa gli avea, d'Argo l'espulseper cagione d'Antèa sposa al tiranno.Furïosa costei ne desïavasegretamente l'amoroso amplesso;ma non valse a crollar del saggio e castoBellerofonte la virtù. Sdegnosadel magnanimo niego l'impudicavolse l'ingegno alla calunnia, e disseal marito così: Bellerofontemeco in amor tentò meschiarsi a forza:muori dunque, o l'uccidi. Arse di sdegnoPreto a questo parlar, ma non l'uccise,di sacro orror compreso. In quella vecespedillo in Licia apportator di chiusefuneste cifre al re suocero, ond'egliperir lo fêsse. Dagli Dei scortatopartì Bellerofonte, al Xanto giunse,al re de' Licii appresentossi, e lietan'ebbe accoglienza ed ospital banchetto.Nove giorni fumò su l'are amichedi nove tauri il sangue. E quando apparvedella decima aurora il roseo lumeinterrogollo il sire, e a lui la tèsseradel genero chiedea. Viste le crudenote di Preto, comandògli in prima

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di dar morte all'indomita Chimera.Era il mostro d'origine divinalïon la testa, il petto capra, e dragola coda; e dalla bocca orrende vampevomitava di foco. E nondimenocol favor degli Dei l'eroe la spense.Pugnò poscia co' Sòlimi, e fu questa,per lo stesso suo dir, la più ferocedi sue pugne. Domò per terza impresale Amazzoni virili. Al suo ritornoil re gli tese un altro inganno, e sceltidella Licia i più forti, in fosco agguatoli collocò; ma non redinne un solo:tutti gli uccise l'innocente. Allorachiaro veggendo che d'un qualche iddioillustre seme egli era, a sé lo tenne,e diegli a sposa la sua figlia, e mezzala regal potestade. Ad esso inoltrecostituiro i Licii un separatoed ameno tenér, di tutti il meglio,d'alme viti fecondo e d'auree messi,ond'egli a suo piacer lo si coltivi.Partorì poi la moglie al virtuosoBellerofonte tre figliuoli, Isandroe Ippoloco, ed alfin Laodamìache al gran Giove soggiacque, e padre il fecedel bellicoso Sarpedon. Ma quandovenne in odio agli Dei Bellerofonte,

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di dar morte all'indomita Chimera.Era il mostro d'origine divinalïon la testa, il petto capra, e dragola coda; e dalla bocca orrende vampevomitava di foco. E nondimenocol favor degli Dei l'eroe la spense.Pugnò poscia co' Sòlimi, e fu questa,per lo stesso suo dir, la più ferocedi sue pugne. Domò per terza impresale Amazzoni virili. Al suo ritornoil re gli tese un altro inganno, e sceltidella Licia i più forti, in fosco agguatoli collocò; ma non redinne un solo:tutti gli uccise l'innocente. Allorachiaro veggendo che d'un qualche iddioillustre seme egli era, a sé lo tenne,e diegli a sposa la sua figlia, e mezzala regal potestade. Ad esso inoltrecostituiro i Licii un separatoed ameno tenér, di tutti il meglio,d'alme viti fecondo e d'auree messi,ond'egli a suo piacer lo si coltivi.Partorì poi la moglie al virtuosoBellerofonte tre figliuoli, Isandroe Ippoloco, ed alfin Laodamìache al gran Giove soggiacque, e padre il fecedel bellicoso Sarpedon. Ma quandovenne in odio agli Dei Bellerofonte,

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solo e consunto da tristezza erravapel campo Aleio l'infelice, e l'ormede' viventi fuggìa. Da Marte uccisocadde Isandro co' Sòlimi pugnando;Laodamìa perì sotto gli stralidell'irata Diana; e a me la vitaIppoloco donò, di cui m'è dolcedirmi disceso. Il padre alle troianemura spedimmi, e generosi spronim'aggiunse di lanciarmi innanzi a tuttinelle vie del valore, onde de' mieipadri la stirpe non macchiar, che fûrod'Efira e delle licie ampie contradei più famosi. Ecco la schiatta e il sanguedi che nato mi vanto, o Dïomede.Allegrossi di Glauco alle paroleil marzïal Tidìde, e l'asta in terraconficcando, all'eroe dolce rispose:Un antico paterno ospite mio,Glauco, in te riconosco. Enèo, già tempo,ne' suoi palagi accolse il valorosoBellerofonte, e lui ben venti interigiorni ritenne, e di bei doni entrambisi presentaro. Una purpurea cintaEnèo donò, Bellerofonte un nappodi doppio seno e d'ôr, che in serbo io posinel mio partir: ma di Tidèo non possofarmi ricordo, ché bambino io m'era

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solo e consunto da tristezza erravapel campo Aleio l'infelice, e l'ormede' viventi fuggìa. Da Marte uccisocadde Isandro co' Sòlimi pugnando;Laodamìa perì sotto gli stralidell'irata Diana; e a me la vitaIppoloco donò, di cui m'è dolcedirmi disceso. Il padre alle troianemura spedimmi, e generosi spronim'aggiunse di lanciarmi innanzi a tuttinelle vie del valore, onde de' mieipadri la stirpe non macchiar, che fûrod'Efira e delle licie ampie contradei più famosi. Ecco la schiatta e il sanguedi che nato mi vanto, o Dïomede.Allegrossi di Glauco alle paroleil marzïal Tidìde, e l'asta in terraconficcando, all'eroe dolce rispose:Un antico paterno ospite mio,Glauco, in te riconosco. Enèo, già tempo,ne' suoi palagi accolse il valorosoBellerofonte, e lui ben venti interigiorni ritenne, e di bei doni entrambisi presentaro. Una purpurea cintaEnèo donò, Bellerofonte un nappodi doppio seno e d'ôr, che in serbo io posinel mio partir: ma di Tidèo non possofarmi ricordo, ché bambino io m'era

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quando ei lasciommi per seguire a Tebegli Achei che rotti vi periro. Io dunquesarotti in Argo ed ospite ed amico,tu in Licia a me, se nella Licia avvegnach'io mai porti i miei passi. Or nella pugnaevitiamci l'un l'altro. Assai mi restadi Teucri e d'alleati, a cui dar morte,quanti a' miei teli n'offriranno i numi,od il mio piè ne giungerà. Tu puretroverai fra gli Achivi in chi far provadi tua prodezza. Di nostr'armi il cambiomostri intanto a costor, che l'uno e l'altrosiam ospiti paterni. Così detto,dal cocchio entrambi dismontâr d'un salto,strinser le destre, e si dier mutua fede.Ma nel cambio dell'armi a Glauco tolseGiove lo senno. Aveale Glauco d'oro,Dïomede di bronzo: eran di quellecento tauri il valor, nove di queste.Al faggio intanto delle porte SceeEttore giunge. Gli si fanno intornole troiane consorti e le fanciulleper saper de' figliuoli e de' maritie de' fratelli e degli amici; ed egli,Ite, risponde, a supplicar gli Deiin devota ordinanza, itene tutte,ch'oggi a molte sovrasta alta sciagura.De' regali palagi indi s'avvìa

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quando ei lasciommi per seguire a Tebegli Achei che rotti vi periro. Io dunquesarotti in Argo ed ospite ed amico,tu in Licia a me, se nella Licia avvegnach'io mai porti i miei passi. Or nella pugnaevitiamci l'un l'altro. Assai mi restadi Teucri e d'alleati, a cui dar morte,quanti a' miei teli n'offriranno i numi,od il mio piè ne giungerà. Tu puretroverai fra gli Achivi in chi far provadi tua prodezza. Di nostr'armi il cambiomostri intanto a costor, che l'uno e l'altrosiam ospiti paterni. Così detto,dal cocchio entrambi dismontâr d'un salto,strinser le destre, e si dier mutua fede.Ma nel cambio dell'armi a Glauco tolseGiove lo senno. Aveale Glauco d'oro,Dïomede di bronzo: eran di quellecento tauri il valor, nove di queste.Al faggio intanto delle porte SceeEttore giunge. Gli si fanno intornole troiane consorti e le fanciulleper saper de' figliuoli e de' maritie de' fratelli e degli amici; ed egli,Ite, risponde, a supplicar gli Deiin devota ordinanza, itene tutte,ch'oggi a molte sovrasta alta sciagura.De' regali palagi indi s'avvìa

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ai portici superbi. Avea cinquantatalami la gran reggia edificatil'un presso all'altro, e di polita pietrasplendidi tutti. Accanto alle consortidormono in questi i Priamìdi. A frontedodici altri ne serra il gran cortileper le regie donzelle, al par de' primidi bel marmo lucenti, e posti in fila.Di Priamo in questi dormono gl'illustrigeneri al fianco delle caste spose.Qui giunto Ettore, ad incontrarlo corsel'inclita madre che a trovar sen gìaLaodice, la più delle sue figlieavvenente e gentil. Chiamollo a nome,e strettolo per mano: O figlio, disse,perché, lasciato il guerreggiar, qua vieni?Ohimè! per certo i detestati Acheison già sotto alle mura, e te qui spingereligioso zelo ad innalzarelà su la rocca le pie mani a Giove.Ma deh! rimanti alquanto, ond'io d'un dolcevino la spuma da libar ti rechiprimamente al gran Giove e agli altri Eterni,indi a rifar le tue, se ne berai,esauste forze. Di guerrier già stancorinfranca Bacco il core, e te pugnanteper la tua patria la fatica oppresse.No, non recarmi, veneranda madre,

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ai portici superbi. Avea cinquantatalami la gran reggia edificatil'un presso all'altro, e di polita pietrasplendidi tutti. Accanto alle consortidormono in questi i Priamìdi. A frontedodici altri ne serra il gran cortileper le regie donzelle, al par de' primidi bel marmo lucenti, e posti in fila.Di Priamo in questi dormono gl'illustrigeneri al fianco delle caste spose.Qui giunto Ettore, ad incontrarlo corsel'inclita madre che a trovar sen gìaLaodice, la più delle sue figlieavvenente e gentil. Chiamollo a nome,e strettolo per mano: O figlio, disse,perché, lasciato il guerreggiar, qua vieni?Ohimè! per certo i detestati Acheison già sotto alle mura, e te qui spingereligioso zelo ad innalzarelà su la rocca le pie mani a Giove.Ma deh! rimanti alquanto, ond'io d'un dolcevino la spuma da libar ti rechiprimamente al gran Giove e agli altri Eterni,indi a rifar le tue, se ne berai,esauste forze. Di guerrier già stancorinfranca Bacco il core, e te pugnanteper la tua patria la fatica oppresse.No, non recarmi, veneranda madre,

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dolce vino verun, rispose Ettorre,ch'egli scemar potrìa mie forze, e in pettoaddormentarmi la natìa virtude.Aggiungi che libar non oso a Giovepria che di divo fiume onda mi lavi;né certo lice colle man di polvelorde e di sangue offerir voti al sommode' nembi adunator. Ma tu di Pallapredatrice t'invìa deh! tosto al tempio,e rècavi i profumi accompagnatadalle auguste matrone, e qual nell'arcapeplo ti serbi più leggiadro e caro,prendilo, e umìle della Diva il ponisu le sacre ginocchia, e sei le vótagiovenche e sei di collo ancor non toccose la cittade e le consorti e i figlicommiserando, dall'iliache muraallontana il feroce Dïomede,artefice di fuga e di spavento.Corri dunque a placarla. Io ratto intantoa Paride ne vado, onde svegliarlodal suo letargo, se darammi orecchio.Oh gli s'aprisse il suolo, ed ingoiassequesta del mio buon padre e di noi tuttiinvïata da Giove alta sciagura.Né penso che dal cor mi fia mai toltadi sì spiacenti guai la rimembranza,se pria non veggo costui spinto a Pluto.

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dolce vino verun, rispose Ettorre,ch'egli scemar potrìa mie forze, e in pettoaddormentarmi la natìa virtude.Aggiungi che libar non oso a Giovepria che di divo fiume onda mi lavi;né certo lice colle man di polvelorde e di sangue offerir voti al sommode' nembi adunator. Ma tu di Pallapredatrice t'invìa deh! tosto al tempio,e rècavi i profumi accompagnatadalle auguste matrone, e qual nell'arcapeplo ti serbi più leggiadro e caro,prendilo, e umìle della Diva il ponisu le sacre ginocchia, e sei le vótagiovenche e sei di collo ancor non toccose la cittade e le consorti e i figlicommiserando, dall'iliache muraallontana il feroce Dïomede,artefice di fuga e di spavento.Corri dunque a placarla. Io ratto intantoa Paride ne vado, onde svegliarlodal suo letargo, se darammi orecchio.Oh gli s'aprisse il suolo, ed ingoiassequesta del mio buon padre e di noi tuttiinvïata da Giove alta sciagura.Né penso che dal cor mi fia mai toltadi sì spiacenti guai la rimembranza,se pria non veggo costui spinto a Pluto.

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Disse; e ne' regii alberghi Ecuba entratachiama le ancelle, e a ragunar le mandaper la cittade le matrone. Ed ellanell'odorato talamo discende,ove di pepli istorïati un serbotenea, lavor delle fenicie donneche Paride, solcando il vasto mare,da Sidon conducea quando la figliadi Tindaro rapìo. Di questi Ecùbaun ne toglie il più grande, il più riposto,fulgido come stella, ed a Minervaofferta lo destina. Indi s'avvìadalle gravi matrone accompagnata.Al tempio giunte di Minerva in vettaall'ardua rocca, aperse loro i sacriclaustri la figlia di Cissèo, la bellad'alme guance Teano, che lodatad'Antènore consorte i giusti Teucridi Minerva nomâr sacerdotessa.Tutte allora levâr con alti piantia Pallade le palme, e preso il peplo,su le ginocchia della Diva il posela modesta Teano: indi di Giovealla gran figlia orò con questi accenti:Veneranda Minerva, inclita Dea,delle città custode, ah tu del fieroTidìde l'asta infrangi, e di tua manostendilo anciso su le porte Scee,

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Disse; e ne' regii alberghi Ecuba entratachiama le ancelle, e a ragunar le mandaper la cittade le matrone. Ed ellanell'odorato talamo discende,ove di pepli istorïati un serbotenea, lavor delle fenicie donneche Paride, solcando il vasto mare,da Sidon conducea quando la figliadi Tindaro rapìo. Di questi Ecùbaun ne toglie il più grande, il più riposto,fulgido come stella, ed a Minervaofferta lo destina. Indi s'avvìadalle gravi matrone accompagnata.Al tempio giunte di Minerva in vettaall'ardua rocca, aperse loro i sacriclaustri la figlia di Cissèo, la bellad'alme guance Teano, che lodatad'Antènore consorte i giusti Teucridi Minerva nomâr sacerdotessa.Tutte allora levâr con alti piantia Pallade le palme, e preso il peplo,su le ginocchia della Diva il posela modesta Teano: indi di Giovealla gran figlia orò con questi accenti:Veneranda Minerva, inclita Dea,delle città custode, ah tu del fieroTidìde l'asta infrangi, e di tua manostendilo anciso su le porte Scee,

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che noi tosto su l'are a te faremodi dodici giovenche ancor non domescorrere il sangue, se di queste murae delle teucre spose, e de' lor carifigli innocenti sentirai pietade.Così pregâr: ma non udìa la Divadelle misere i voti. Ettore intantodi Paride cammina alle leggiadrecase, di che egli stesso il prence aveadivisato il disegno, al magisterode' più sperti di Troia architettorifidandone l'effetto. E questi a luie stanza ed atrio e corte edificarosul sommo della rocca, appo i regalidi Priamo stesso e del maggior fratellorisplendenti soggiorni. Entrovvi Ettorre,nelle mani la lunga asta tenendodi ben undici cubiti. La puntadi terso ferro colla ghiera d'oroal mutar de' gran passi scintillava.Nel talamo il trovò che le sue bellearmi assettava, i curvi archi e lo scudoe l'usbergo. L'argiva Elena, in mezzoall'ancelle seduta, i bei lavorine dirigea. Com'ebbe in lui gli sguardifisso il grande guerrier, con detti acerbicosì l'invase: Sciagurato! il coreira ti rode, il so; ma non è bello

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che noi tosto su l'are a te faremodi dodici giovenche ancor non domescorrere il sangue, se di queste murae delle teucre spose, e de' lor carifigli innocenti sentirai pietade.Così pregâr: ma non udìa la Divadelle misere i voti. Ettore intantodi Paride cammina alle leggiadrecase, di che egli stesso il prence aveadivisato il disegno, al magisterode' più sperti di Troia architettorifidandone l'effetto. E questi a luie stanza ed atrio e corte edificarosul sommo della rocca, appo i regalidi Priamo stesso e del maggior fratellorisplendenti soggiorni. Entrovvi Ettorre,nelle mani la lunga asta tenendodi ben undici cubiti. La puntadi terso ferro colla ghiera d'oroal mutar de' gran passi scintillava.Nel talamo il trovò che le sue bellearmi assettava, i curvi archi e lo scudoe l'usbergo. L'argiva Elena, in mezzoall'ancelle seduta, i bei lavorine dirigea. Com'ebbe in lui gli sguardifisso il grande guerrier, con detti acerbicosì l'invase: Sciagurato! il coreira ti rode, il so; ma non è bello

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il coltivarla. Intorno all'alte muracadono combattendo i cittadini,e tanta strage e tanto affar di guerraper te solo s'accende; e tu sei taleche altrui vedendo abbandonar la pugnarampognarlo oseresti. Or su, ti scuoti,esci di qua pria che da' Greci accesavenga a snidarti d'Ilïon la fiamma.Bello, siccome un Dio, Paride alloracosì rispose: Tu mi fai, fratello,giusti rimprocci, e giusto al par mi sembrach'io ti risponda, e tu mi porga ascolto.Né sdegno né rancor contra i Troianinel talamo regal mi rattenea,ma desir solo di distrarre un miodolor segreto. E in questo punto istessocon tenere parole anco la mogliem'esortava a tornar nella battaglia,e il cor mio stesso mi dicea che questoera lo meglio; perocché nel campole palme alterna la vittoria. Or dunqueattendi che dell'armi io mi rivesta,o mi precorri, ch'io ti seguo, e tostoraggiungerti mi spero. - Così disseParide: e nulla gli rispose Ettorre;a cui molli volgendo le paroleElena soggiugnea: Dolce cognato,cognato a me proterva, a me primiero

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il coltivarla. Intorno all'alte muracadono combattendo i cittadini,e tanta strage e tanto affar di guerraper te solo s'accende; e tu sei taleche altrui vedendo abbandonar la pugnarampognarlo oseresti. Or su, ti scuoti,esci di qua pria che da' Greci accesavenga a snidarti d'Ilïon la fiamma.Bello, siccome un Dio, Paride alloracosì rispose: Tu mi fai, fratello,giusti rimprocci, e giusto al par mi sembrach'io ti risponda, e tu mi porga ascolto.Né sdegno né rancor contra i Troianinel talamo regal mi rattenea,ma desir solo di distrarre un miodolor segreto. E in questo punto istessocon tenere parole anco la mogliem'esortava a tornar nella battaglia,e il cor mio stesso mi dicea che questoera lo meglio; perocché nel campole palme alterna la vittoria. Or dunqueattendi che dell'armi io mi rivesta,o mi precorri, ch'io ti seguo, e tostoraggiungerti mi spero. - Così disseParide: e nulla gli rispose Ettorre;a cui molli volgendo le paroleElena soggiugnea: Dolce cognato,cognato a me proterva, a me primiero

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de' vostri mali detestando fonte,oh m'avesse il dì stesso in che la madremi partoriva, un turbine diveltadalle sue braccia, ed alle rupi infranta,o del mar nell'irate onde sommersapria del bieco mio fallo! E poiché talee tanto danno statuîr gli Dei,stata almeno foss'io consorte ad uomopiù valoroso, e che nel cor più addentroi dispregi sentisse e le rampogne.Ma di presente a costui manca il fermocarattere dell'alma, e non ho spemech'ei lo s'acquisti in avvenir. M'avvisoquindi che presto pagheranne il fio.Ma tu vien oltre, amato Ettorre, e siedisu questo seggio, e il cor stanco ricreadal rio travaglio che per me sostieni,per me d'obbrobrio carca, e per la colpadel tuo fratello. Ahi lassa! un duro fatoGiove n'impose e tal ch'anco ai futuridarem materia di canzon famosa.Cortese donna, le rispose Ettorre,non rattenermi. Il core, impazïentedi dar soccorso a' miei che me lontanorichiamano, fa vano il dolce invito.Ma tu di cotestui sprona il coraggio,onde s'affretti ei pure, e mi raggiungaanzi ch'io m'esca di città. Veloce

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de' vostri mali detestando fonte,oh m'avesse il dì stesso in che la madremi partoriva, un turbine diveltadalle sue braccia, ed alle rupi infranta,o del mar nell'irate onde sommersapria del bieco mio fallo! E poiché talee tanto danno statuîr gli Dei,stata almeno foss'io consorte ad uomopiù valoroso, e che nel cor più addentroi dispregi sentisse e le rampogne.Ma di presente a costui manca il fermocarattere dell'alma, e non ho spemech'ei lo s'acquisti in avvenir. M'avvisoquindi che presto pagheranne il fio.Ma tu vien oltre, amato Ettorre, e siedisu questo seggio, e il cor stanco ricreadal rio travaglio che per me sostieni,per me d'obbrobrio carca, e per la colpadel tuo fratello. Ahi lassa! un duro fatoGiove n'impose e tal ch'anco ai futuridarem materia di canzon famosa.Cortese donna, le rispose Ettorre,non rattenermi. Il core, impazïentedi dar soccorso a' miei che me lontanorichiamano, fa vano il dolce invito.Ma tu di cotestui sprona il coraggio,onde s'affretti ei pure, e mi raggiungaanzi ch'io m'esca di città. Veloce

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corro intanto a' miei lari a veder l'uopodi mia famiglia, e la diletta mogliee il pargoletto mio, non mi sapendose alle lor braccia tornerò più mai,o s'oggi è il dì che decretâr gli Eternisotto le destre achee la mia caduta.Parte, ciò detto, e giunge in un balenoalla eccelsa magion; ma non vi trovala sua dal bianco seno alma consorte;ch'ella col caro figlio e coll'ancellain elegante peplo tutta chiusasu l'alto della torre era salita:e là si stava in pianti ed in sospiri.Come deserta Ettòr vide la stanza,arrestossi alla soglia, ed all'ancellevòlto il parlar: Porgete il vero, ei disse;Andromaca dov'è? Forse alle casedi qualcheduna delle sue congiunte,o di Palla recossi ai santi altaria placar colle troïche matronela terribile Dea? - No, gli risposela guardïana, e poiché brami il vero,il vero parlerò. Né alle cognateella n'andò, né di Minerva all'are,ma d'Ilio alla gran torre. Udito avendodell'inimico un furïoso assaltoe de' Teucri la rotta, la meschinacorre verso le mura a simiglianza

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corro intanto a' miei lari a veder l'uopodi mia famiglia, e la diletta mogliee il pargoletto mio, non mi sapendose alle lor braccia tornerò più mai,o s'oggi è il dì che decretâr gli Eternisotto le destre achee la mia caduta.Parte, ciò detto, e giunge in un balenoalla eccelsa magion; ma non vi trovala sua dal bianco seno alma consorte;ch'ella col caro figlio e coll'ancellain elegante peplo tutta chiusasu l'alto della torre era salita:e là si stava in pianti ed in sospiri.Come deserta Ettòr vide la stanza,arrestossi alla soglia, ed all'ancellevòlto il parlar: Porgete il vero, ei disse;Andromaca dov'è? Forse alle casedi qualcheduna delle sue congiunte,o di Palla recossi ai santi altaria placar colle troïche matronela terribile Dea? - No, gli risposela guardïana, e poiché brami il vero,il vero parlerò. Né alle cognateella n'andò, né di Minerva all'are,ma d'Ilio alla gran torre. Udito avendodell'inimico un furïoso assaltoe de' Teucri la rotta, la meschinacorre verso le mura a simiglianza

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di forsennata, e la fedel nutricecol pargoletto in braccio l'acccompagna.Finito non avea queste parolela guardïana, che veloce Ettorredalle soglie si spicca, e ripetendoil già corso sentier, fende dirittodel grand'Ilio le piazze: ed alle Scee,onde al campo è l'uscita, ecco d'incontroAndromaca venirgli, illustre germed'Eezïone, abitator dell'altaIpoplaco selvosa, e de' Cilìcidominator nell'ipoplacia Tebe.Ei ricca di gran dote al grande Ettorrediede a sposa costei ch'ivi allor corsead incontrarlo; e seco iva l'ancellatra le braccia portando il pargolettounico figlio dell'eroe troiano,bambin leggiadro come stella. Il padreScamandrio lo nomava, il vulgo tuttoAstïanatte, perché il padre ei soloera dell'alta Troia il difensore.Sorrise Ettorre nel vederlo, e tacque.Ma di gran pianto Andromaca bagnataaccostossi al marito, e per la manostrignendolo, e per nome in dolce suonochiamandolo, proruppe: Oh troppo ardito!il tuo valor ti perderà: nessunapietà del figlio né di me tu senti,

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di forsennata, e la fedel nutricecol pargoletto in braccio l'acccompagna.Finito non avea queste parolela guardïana, che veloce Ettorredalle soglie si spicca, e ripetendoil già corso sentier, fende dirittodel grand'Ilio le piazze: ed alle Scee,onde al campo è l'uscita, ecco d'incontroAndromaca venirgli, illustre germed'Eezïone, abitator dell'altaIpoplaco selvosa, e de' Cilìcidominator nell'ipoplacia Tebe.Ei ricca di gran dote al grande Ettorrediede a sposa costei ch'ivi allor corsead incontrarlo; e seco iva l'ancellatra le braccia portando il pargolettounico figlio dell'eroe troiano,bambin leggiadro come stella. Il padreScamandrio lo nomava, il vulgo tuttoAstïanatte, perché il padre ei soloera dell'alta Troia il difensore.Sorrise Ettorre nel vederlo, e tacque.Ma di gran pianto Andromaca bagnataaccostossi al marito, e per la manostrignendolo, e per nome in dolce suonochiamandolo, proruppe: Oh troppo ardito!il tuo valor ti perderà: nessunapietà del figlio né di me tu senti,

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crudel, di me che vedova infelicerimarrommi tra poco, perché tuttidi conserto gli Achei contro te solosi scaglieranno a trucidarti intesi;e a me fia meglio allor, se mi sei tolto,l'andar sotterra. Di te priva, ahi lassa!ch'altro mi resta che perpetuo pianto?Orba del padre io sono e della madre.M'uccise il padre lo spietato Achilleil dì che de' Cilìci egli l'eccelsapopolosa città Tebe distrusse:m'uccise, io dico, Eezïon quel crudo;ma dispogliarlo non osò, compresoda divino terror. Quindi con tuttel'armi sul rogo il corpo ne compose,e un tumulo gli alzò cui di frondosiolmi le figlie dell'Egìoco Giovel'Oreadi pietose incoronaro.Di ben sette fratelli iva superbala mia casa. Di questi in un sol giornolo stesso figlio della Dea sospinsel'anime a Pluto, e li trafisse in mezzoalle mugghianti mandre ed alle gregge.Della boscosa Ipoplaco reinami rimanea la madre. Il vincitorecoll'altre prede qua l'addusse, e posciaper largo prezzo in libertà la pose.Ma questa pure, ahimè! nelle paterne

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crudel, di me che vedova infelicerimarrommi tra poco, perché tuttidi conserto gli Achei contro te solosi scaglieranno a trucidarti intesi;e a me fia meglio allor, se mi sei tolto,l'andar sotterra. Di te priva, ahi lassa!ch'altro mi resta che perpetuo pianto?Orba del padre io sono e della madre.M'uccise il padre lo spietato Achilleil dì che de' Cilìci egli l'eccelsapopolosa città Tebe distrusse:m'uccise, io dico, Eezïon quel crudo;ma dispogliarlo non osò, compresoda divino terror. Quindi con tuttel'armi sul rogo il corpo ne compose,e un tumulo gli alzò cui di frondosiolmi le figlie dell'Egìoco Giovel'Oreadi pietose incoronaro.Di ben sette fratelli iva superbala mia casa. Di questi in un sol giornolo stesso figlio della Dea sospinsel'anime a Pluto, e li trafisse in mezzoalle mugghianti mandre ed alle gregge.Della boscosa Ipoplaco reinami rimanea la madre. Il vincitorecoll'altre prede qua l'addusse, e posciaper largo prezzo in libertà la pose.Ma questa pure, ahimè! nelle paterne

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stanze lo stral d'Artèmide trafisse.Or mi resti tu solo, Ettore caro,tu padre mio, tu madre, tu fratello,tu florido marito. Abbi deh! dunquedi me pietade, e qui rimanti mecoa questa torre, né voler che siavedova la consorte, orfano il figlio.Al caprifico i tuoi guerrieri aduna,ove il nemico alla città scopersepiù agevole salita e più speditolo scalar delle mura. O che agli Acheiabbia mostro quel varco un indovino,o che spinti ve gli abbia il proprio ardire,questo ti basti che i più forti quivigià fêr tre volte di valor periglio,ambo gli Aiaci, ambo gli Atridi, e il chiarosire di Creta ed il fatal Tidìde.Dolce consorte, le rispose Ettorre,ciò tutto che dicesti a me pur ancoange il pensier; ma de' Troiani io temofortemente lo spregio, e dell'altereTroiane donne, se guerrier codardomi tenessi in disparte, e della pugnaevitassi i cimenti. Ah nol consente,no, questo cor. Da lungo tempo appresiad esser forte, ed a volar tra' priminegli acerbi conflitti alla tuteladella paterna gloria e della mia.

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stanze lo stral d'Artèmide trafisse.Or mi resti tu solo, Ettore caro,tu padre mio, tu madre, tu fratello,tu florido marito. Abbi deh! dunquedi me pietade, e qui rimanti mecoa questa torre, né voler che siavedova la consorte, orfano il figlio.Al caprifico i tuoi guerrieri aduna,ove il nemico alla città scopersepiù agevole salita e più speditolo scalar delle mura. O che agli Acheiabbia mostro quel varco un indovino,o che spinti ve gli abbia il proprio ardire,questo ti basti che i più forti quivigià fêr tre volte di valor periglio,ambo gli Aiaci, ambo gli Atridi, e il chiarosire di Creta ed il fatal Tidìde.Dolce consorte, le rispose Ettorre,ciò tutto che dicesti a me pur ancoange il pensier; ma de' Troiani io temofortemente lo spregio, e dell'altereTroiane donne, se guerrier codardomi tenessi in disparte, e della pugnaevitassi i cimenti. Ah nol consente,no, questo cor. Da lungo tempo appresiad esser forte, ed a volar tra' priminegli acerbi conflitti alla tuteladella paterna gloria e della mia.

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Giorno verrà, presago il cor mel dice,verrà giorno che il sacro iliaco muroe Priamo e tutta la sua gente cada.Ma né de' Teucri il rio dolor, né quellod'Ecuba stessa, né del padre antico,né de' fratei, che molti e valorosisotto il ferro nemico nella polvecadran distesi, non mi accora, o donna,sì di questi il dolor, quanto il crudeletuo destino, se fia che qualche Acheo,del sangue ancor de' tuoi lordo l'usbergo,lagrimosa ti tragga in servitude.Misera! in Argo all'insolente cennod'una straniera tesserai le tele.Dal fonte di Messìde o d'Iperèa,(ben repugnante, ma dal fato astretta)alla superba recherai le linfe;e vedendo talun piovere il piantodal tuo ciglio, dirà: Quella è d'Ettorrel'alta consorte, di quel prode Ettorreche fra' troiani eroi di generosicavalli agitatori era il primiero,quando intorno a Ilïon si combattea.Così dirassi da qualcuno; e alloratu di nuovo dolor l'alma trafittapiù viva in petto sentirai la bramadi tal marito a scior le tue catene.Ma pria morto la terra mi ricopra,

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Giorno verrà, presago il cor mel dice,verrà giorno che il sacro iliaco muroe Priamo e tutta la sua gente cada.Ma né de' Teucri il rio dolor, né quellod'Ecuba stessa, né del padre antico,né de' fratei, che molti e valorosisotto il ferro nemico nella polvecadran distesi, non mi accora, o donna,sì di questi il dolor, quanto il crudeletuo destino, se fia che qualche Acheo,del sangue ancor de' tuoi lordo l'usbergo,lagrimosa ti tragga in servitude.Misera! in Argo all'insolente cennod'una straniera tesserai le tele.Dal fonte di Messìde o d'Iperèa,(ben repugnante, ma dal fato astretta)alla superba recherai le linfe;e vedendo talun piovere il piantodal tuo ciglio, dirà: Quella è d'Ettorrel'alta consorte, di quel prode Ettorreche fra' troiani eroi di generosicavalli agitatori era il primiero,quando intorno a Ilïon si combattea.Così dirassi da qualcuno; e alloratu di nuovo dolor l'alma trafittapiù viva in petto sentirai la bramadi tal marito a scior le tue catene.Ma pria morto la terra mi ricopra,

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ch'io di te schiava i lai pietosi intenda.Così detto, distese al caro figliol'aperte braccia. Acuto mise un gridoil bambinello, e declinato il volto,tutto il nascose alla nudrice in seno,dalle fiere atterrito armi paterne,e dal cimiero che di chiome equinealto su l'elmo orribilmente ondeggia.Sorrise il genitor, sorrise anch'ellala veneranda madre; e dalla frontel'intenerito eroe tosto si tolsel'elmo, e raggiante sul terren lo pose.Indi baciato con immenso affetto,e dolcemente tra le mani alquantopalleggiato l'infante, alzollo al cielo,e supplice sclamò: Giove pietosoe voi tutti, o Celesti, ah concedeteche di me degno un dì questo mio figliosia splendor della patria, e de' Troianiforte e possente regnator. Deh fateche il veggendo tornar dalla battagliadell'armi onusto de' nemici uccisi,dica talun: Non fu sì forte il padre:E il cor materno nell'udirlo esulti.Così dicendo, in braccio alla dilettasposa egli cesse il pargoletto; ed ellacon un misto di pianti almo sorrisolo si raccolse all'odoroso seno.

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ch'io di te schiava i lai pietosi intenda.Così detto, distese al caro figliol'aperte braccia. Acuto mise un gridoil bambinello, e declinato il volto,tutto il nascose alla nudrice in seno,dalle fiere atterrito armi paterne,e dal cimiero che di chiome equinealto su l'elmo orribilmente ondeggia.Sorrise il genitor, sorrise anch'ellala veneranda madre; e dalla frontel'intenerito eroe tosto si tolsel'elmo, e raggiante sul terren lo pose.Indi baciato con immenso affetto,e dolcemente tra le mani alquantopalleggiato l'infante, alzollo al cielo,e supplice sclamò: Giove pietosoe voi tutti, o Celesti, ah concedeteche di me degno un dì questo mio figliosia splendor della patria, e de' Troianiforte e possente regnator. Deh fateche il veggendo tornar dalla battagliadell'armi onusto de' nemici uccisi,dica talun: Non fu sì forte il padre:E il cor materno nell'udirlo esulti.Così dicendo, in braccio alla dilettasposa egli cesse il pargoletto; ed ellacon un misto di pianti almo sorrisolo si raccolse all'odoroso seno.

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Di secreta pietà l'alma percossoriguardolla il marito, e colla manoaccarezzando la dolente: Oh! disse,diletta mia, ti prego; oltre misuranon attristarti a mia cagion. Nessuno,se il mio punto fatal non giunse ancora,spingerammi a Pluton: ma nullo al mondo,sia vil, sia forte, si sottragge al fato.Or ti rincasa, e a' tuoi lavori intendi,alla spola, al pennecchio, e delle ancelleveglia su l'opre; e a noi, quanti nascemmofra le dardanie mura, a me primierolascia i doveri dell'acerba guerra.Raccolse al terminar di questi accentil'elmo dal suolo il generoso Ettorre,e muta alla magion la via ripresel'amata donna, riguardando indietro,e amaramente lagrimando. Giuntaagli ettorei palagi, ivi raccoltetrovò le ancelle, e le commosse al pianto.Ploravan tutte l'ancor vivo Ettorrenella casa d'Ettòr le dolorose,rivederlo più mai non si sperandoreduce dalla pugna, e dalle fieremani scampato de' robusti Achei.Non producea gl'indugi in questo mezzodentro l'alte sue soglie il PrïamìdeParide: e già di tutte rivestito

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Di secreta pietà l'alma percossoriguardolla il marito, e colla manoaccarezzando la dolente: Oh! disse,diletta mia, ti prego; oltre misuranon attristarti a mia cagion. Nessuno,se il mio punto fatal non giunse ancora,spingerammi a Pluton: ma nullo al mondo,sia vil, sia forte, si sottragge al fato.Or ti rincasa, e a' tuoi lavori intendi,alla spola, al pennecchio, e delle ancelleveglia su l'opre; e a noi, quanti nascemmofra le dardanie mura, a me primierolascia i doveri dell'acerba guerra.Raccolse al terminar di questi accentil'elmo dal suolo il generoso Ettorre,e muta alla magion la via ripresel'amata donna, riguardando indietro,e amaramente lagrimando. Giuntaagli ettorei palagi, ivi raccoltetrovò le ancelle, e le commosse al pianto.Ploravan tutte l'ancor vivo Ettorrenella casa d'Ettòr le dolorose,rivederlo più mai non si sperandoreduce dalla pugna, e dalle fieremani scampato de' robusti Achei.Non producea gl'indugi in questo mezzodentro l'alte sue soglie il PrïamìdeParide: e già di tutte rivestito

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le sue bell'armi, d'Ilio folgorandotraversava le vie con presto piede.Come destriero che di largo cibone' presepi pasciuto, ed a lavarsidel fiume avvezzo alla bell'onda, alfinerotti i legami per l'aperto correstampando con sonante ugna il terreno:scherzan sul dosso i crini, alta s'estollela superba cervice, ed esultandodi sua bellezza, ai noti paschi ei volaove amor d'erbe o di puledre il tira;tale di Priamo il figlio dalla roccadi Pergamo scendea tutto nell'armiesultante e corrusco come sole.Sì ratti i piedi lo portâr, ch'ei tostoil germano raggiunse appunto in quellache dal tristo parlar si dipartìadella consorte. Favellò primieroParide, e disse: Alla tua giusta frettafui di lungo aspettar forse cagione,venerando fratello, e non ti giunsisollecito, tem'io, come imponesti.Generoso timor! rispose Ettorre;null'uom, che l'opre drittamente estimi,darà biasmo alle tue nel gloriosomestier dell'armi; ché tu pur se' prode.Ma, colpa del voler, spesso s'allentala tua virtude, e inoperosa giace.

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le sue bell'armi, d'Ilio folgorandotraversava le vie con presto piede.Come destriero che di largo cibone' presepi pasciuto, ed a lavarsidel fiume avvezzo alla bell'onda, alfinerotti i legami per l'aperto correstampando con sonante ugna il terreno:scherzan sul dosso i crini, alta s'estollela superba cervice, ed esultandodi sua bellezza, ai noti paschi ei volaove amor d'erbe o di puledre il tira;tale di Priamo il figlio dalla roccadi Pergamo scendea tutto nell'armiesultante e corrusco come sole.Sì ratti i piedi lo portâr, ch'ei tostoil germano raggiunse appunto in quellache dal tristo parlar si dipartìadella consorte. Favellò primieroParide, e disse: Alla tua giusta frettafui di lungo aspettar forse cagione,venerando fratello, e non ti giunsisollecito, tem'io, come imponesti.Generoso timor! rispose Ettorre;null'uom, che l'opre drittamente estimi,darà biasmo alle tue nel gloriosomestier dell'armi; ché tu pur se' prode.Ma, colpa del voler, spesso s'allentala tua virtude, e inoperosa giace.

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Quindi è l'alto mio duol quando de' Teucriper te solo infelici odo in tuo dannole contumelie. Ma partiam, ché posciacomporremo tra noi questa contesa,se grazia ne farà Giove benignodi poter lieti nelle nostre caseai Celesti immortali offrir la coppadell'alma libertà, vinti gli Achei.

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Quindi è l'alto mio duol quando de' Teucriper te solo infelici odo in tuo dannole contumelie. Ma partiam, ché posciacomporremo tra noi questa contesa,se grazia ne farà Giove benignodi poter lieti nelle nostre caseai Celesti immortali offrir la coppadell'alma libertà, vinti gli Achei.

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Libro Settimo

Così dicendo, dalle porte eruppeseguìto dal fratello il grande Ettorre.Ardono entrambi di far pugna: e qualei naviganti allegra amico ventoche un Dio lor manda allor che stanchi ei sonod'agitar le spumanti onde co' remi,e cascano le membra di fatica;tali al desìo de' Teucri essi appariro.A prima giunta Paride stramazzaMenestio d'Arna abitatore, e figliodel portator di clava Arëitòo,a cui lo partorìa Filomedusaper grand'occhi lodata. Ettore attastaEïoneo di lancia alla cervicesotto l'elmetto, e morto lo distende.Glauco, duce de' Licii, a un tempo istessod'un colpo di zagaglia ad Ifinòo,prole di Dèssio, l'omero trafiggeappunto in quella che salìa sul cocchio,e dal cocchio al terren morto il trabocca.Vista la strage degli Achei, Minervadall'Olimpo calossi impetuosaverso il sacro Ilïon. La vide Apollodalla pergàmea rocca, e vincitori

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Libro Settimo

Così dicendo, dalle porte eruppeseguìto dal fratello il grande Ettorre.Ardono entrambi di far pugna: e qualei naviganti allegra amico ventoche un Dio lor manda allor che stanchi ei sonod'agitar le spumanti onde co' remi,e cascano le membra di fatica;tali al desìo de' Teucri essi appariro.A prima giunta Paride stramazzaMenestio d'Arna abitatore, e figliodel portator di clava Arëitòo,a cui lo partorìa Filomedusaper grand'occhi lodata. Ettore attastaEïoneo di lancia alla cervicesotto l'elmetto, e morto lo distende.Glauco, duce de' Licii, a un tempo istessod'un colpo di zagaglia ad Ifinòo,prole di Dèssio, l'omero trafiggeappunto in quella che salìa sul cocchio,e dal cocchio al terren morto il trabocca.Vista la strage degli Achei, Minervadall'Olimpo calossi impetuosaverso il sacro Ilïon. La vide Apollodalla pergàmea rocca, e vincitori

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bramando i Teucri, le si fece incontrovicino al faggio, e favellò primiero:Figlia di Giove, e quale il cor t'invadefuria novella? E qual sì grande affettodall'Olimpo ti spinge? a portar forsedella pugna agli Achei la dubbia palma,poiché niuna ti tocca il cor pietadedello strazio de' Teucri? Or su, m'ascolta,e fia lo meglio. Si sospenda in questogiorno la zuffa, e alla novella aurorasi ripigli e s'incalzi infin che Troiacada: da che la sua caduta a voipossenti Dive il cor cotanto invoglia.Sia così, Palla gli rispose: io scesifra i Troiani e gli Achei con questa mente.Ma come avvisi di quetar la pugna?Suscitiam, replicava il saettantefiglio di Giove, suscitiam la fortealma d'Ettorre a provocar qualcunode' prodi Achivi a singolar tenzone:e indignati gli Achivi un valorosospingano anch'essi a cimentarsi in campoda solo a solo col troian guerriero.Disse, e Minerva acconsentìa. Conobbede' consultanti iddii tosto il disegnoil Prïamide Elèno in suo pensiero,e ad Ettore venuto: Ettore, ei disse,pari a quello d'un nume è il tuo consiglio;

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bramando i Teucri, le si fece incontrovicino al faggio, e favellò primiero:Figlia di Giove, e quale il cor t'invadefuria novella? E qual sì grande affettodall'Olimpo ti spinge? a portar forsedella pugna agli Achei la dubbia palma,poiché niuna ti tocca il cor pietadedello strazio de' Teucri? Or su, m'ascolta,e fia lo meglio. Si sospenda in questogiorno la zuffa, e alla novella aurorasi ripigli e s'incalzi infin che Troiacada: da che la sua caduta a voipossenti Dive il cor cotanto invoglia.Sia così, Palla gli rispose: io scesifra i Troiani e gli Achei con questa mente.Ma come avvisi di quetar la pugna?Suscitiam, replicava il saettantefiglio di Giove, suscitiam la fortealma d'Ettorre a provocar qualcunode' prodi Achivi a singolar tenzone:e indignati gli Achivi un valorosospingano anch'essi a cimentarsi in campoda solo a solo col troian guerriero.Disse, e Minerva acconsentìa. Conobbede' consultanti iddii tosto il disegnoil Prïamide Elèno in suo pensiero,e ad Ettore venuto: Ettore, ei disse,pari a quello d'un nume è il tuo consiglio;

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ma udir vuoi tu del tuo fratello il senno?Fa dall'armi cessar Teucri ed Achei,e degli Achei tu sfida il più valentea singolar certame. Io ti fo certoche il tuo giorno fatal non giunse ancora;così mi dice degli Dei la voce.Esultò di letizia all'alto invitoil valoroso: e presa per lo mezzola sua gran lancia, e tra l'un campo e l'altroprocedendo, fe' alto alle troianefalangi; ed elle soffermârsi tutte.Soffermârsi del pari al riveritocenno d'Atride i coturnati Achivi,e in forma d'avoltoi Minerva e Febosull'alto faggio s'arrestâr di Giove,con diletto mirando de' guerrieriquinci e quindi seder dense le filed'elmi orrende e di scudi e d'aste erette.Quale è l'orror che di Favonio il soffionel suo primo spirar spande sul mare,che destato s'arruffa e l'onde imbruna:tale de' Teucri e degli Achei nel vastocampo sedute comparìan le file.Trasse Ettorre nel mezzo, e così disse:Udite, o Teucri, udite attenti, o Achivi,ciò che nel petto mi ragiona il core.Ratificar non piacque all'alto Giovei nostri giuramenti, e in suo segreto

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ma udir vuoi tu del tuo fratello il senno?Fa dall'armi cessar Teucri ed Achei,e degli Achei tu sfida il più valentea singolar certame. Io ti fo certoche il tuo giorno fatal non giunse ancora;così mi dice degli Dei la voce.Esultò di letizia all'alto invitoil valoroso: e presa per lo mezzola sua gran lancia, e tra l'un campo e l'altroprocedendo, fe' alto alle troianefalangi; ed elle soffermârsi tutte.Soffermârsi del pari al riveritocenno d'Atride i coturnati Achivi,e in forma d'avoltoi Minerva e Febosull'alto faggio s'arrestâr di Giove,con diletto mirando de' guerrieriquinci e quindi seder dense le filed'elmi orrende e di scudi e d'aste erette.Quale è l'orror che di Favonio il soffionel suo primo spirar spande sul mare,che destato s'arruffa e l'onde imbruna:tale de' Teucri e degli Achei nel vastocampo sedute comparìan le file.Trasse Ettorre nel mezzo, e così disse:Udite, o Teucri, udite attenti, o Achivi,ciò che nel petto mi ragiona il core.Ratificar non piacque all'alto Giovei nostri giuramenti, e in suo segreto

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agli uni e agli altri macchinar ne sembragrandi infortunii, finché l'ora arrivich'Ilio per voi s'atterri, o che voi stessiatterrati restiate appo le navi.Or quando il vostro campo il fior racchiudedegli achivi guerrieri, esca a duellochi cuor si sente: lo disfida Ettorre.Eccovi i patti del certame, e Giovetestimonio ne sia. Se il mio nemicom'ucciderà, dell'armi ei mi dispogli,e le si porti; ma il mio corpo renda,onde i Troiani e le troiane sposem'onorino del rogo. Ov'io lui spegna,ed Apollo la palma a me conceda,porteronne le tolte armi nel sacroIlio, e del nume appenderolle al tempio:ma l'intatto cadavere alle navivi sarà rimandato, onde d'esequiel'orni l'achea pietade e di sepolcrosu l'Ellesponto. Lo vedrà de' posterinaviganti qualcuno, e fia che dica:Ecco la tomba d'un antico prodeche combattendo coll'illustre Ettorreglorïoso perì. Questo fia detto,ed eterno vivrassi il nome mio.All'audace disfida ammutolirogli Achei, tementi d'accettarla, e insiemedi recusarla vergognosi. Alfine

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agli uni e agli altri macchinar ne sembragrandi infortunii, finché l'ora arrivich'Ilio per voi s'atterri, o che voi stessiatterrati restiate appo le navi.Or quando il vostro campo il fior racchiudedegli achivi guerrieri, esca a duellochi cuor si sente: lo disfida Ettorre.Eccovi i patti del certame, e Giovetestimonio ne sia. Se il mio nemicom'ucciderà, dell'armi ei mi dispogli,e le si porti; ma il mio corpo renda,onde i Troiani e le troiane sposem'onorino del rogo. Ov'io lui spegna,ed Apollo la palma a me conceda,porteronne le tolte armi nel sacroIlio, e del nume appenderolle al tempio:ma l'intatto cadavere alle navivi sarà rimandato, onde d'esequiel'orni l'achea pietade e di sepolcrosu l'Ellesponto. Lo vedrà de' posterinaviganti qualcuno, e fia che dica:Ecco la tomba d'un antico prodeche combattendo coll'illustre Ettorreglorïoso perì. Questo fia detto,ed eterno vivrassi il nome mio.All'audace disfida ammutolirogli Achei, tementi d'accettarla, e insiemedi recusarla vergognosi. Alfine

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in piè rizzossi Menelao, nell'imodel cor gemendo, ed in acerbi dettiprorompendo gridò: Vili superbi,Achive, non Achei! Fia questo il colmodell'ignominia, se tra voi non trovaquell'audace Troian chi gli risponda.Oh possiate voi tutti in nebbia e polveresoluti sparir, voi che vi statequi senza core immoti e senza onore.Ma io medesmo, io sì, contra costuiscenderò nell'arena. In man de' numidella vittoria i termini son posti.Ciò detto, l'armi indossa. E certo alloraper le mani d'Ettorre, o Menelao,trovato avresti di tua vita il fine,(ch'egli di forza ti vincea d'assai)se subito in piè surti i prenci achivinon rattenean tua foga. Egli medesmoil regnatore Atride Agamennónel'afferrò per la mano, e, Tu deliri,disse, e il delirio non ti giova. Or via,fa senno, e premi il tuo dolor, né spintoda bellicosa gara avventurarticon un più prode di cui tutti han tema,col Prïamide Ettorre. Anco il Pelìde,sì più forte di te, lo scontro temedi quella lancia nel conflitto. Or dunqueritorna alla tua schiera, e statti in posa.

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in piè rizzossi Menelao, nell'imodel cor gemendo, ed in acerbi dettiprorompendo gridò: Vili superbi,Achive, non Achei! Fia questo il colmodell'ignominia, se tra voi non trovaquell'audace Troian chi gli risponda.Oh possiate voi tutti in nebbia e polveresoluti sparir, voi che vi statequi senza core immoti e senza onore.Ma io medesmo, io sì, contra costuiscenderò nell'arena. In man de' numidella vittoria i termini son posti.Ciò detto, l'armi indossa. E certo alloraper le mani d'Ettorre, o Menelao,trovato avresti di tua vita il fine,(ch'egli di forza ti vincea d'assai)se subito in piè surti i prenci achivinon rattenean tua foga. Egli medesmoil regnatore Atride Agamennónel'afferrò per la mano, e, Tu deliri,disse, e il delirio non ti giova. Or via,fa senno, e premi il tuo dolor, né spintoda bellicosa gara avventurarticon un più prode di cui tutti han tema,col Prïamide Ettorre. Anco il Pelìde,sì più forte di te, lo scontro temedi quella lancia nel conflitto. Or dunqueritorna alla tua schiera, e statti in posa.

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Gli desteranno incontra altro più fermoduellator gli Achivi, e tal ch'Ettorre,intrepido quantunque ed indefesso,metterà volentier, se dritto io veggo,le ginocchia in riposo, ove pur siache netto egli esca dalla gran tenzone.Svolge il saggio parlar del sommo Atridedel fratello il pensier, che obbedïentequetossi, e lieti gli levâr di dossole bell'arme i sergenti. Allor nel mezzosurse Nestore, e disse: Eterni Dei!Oh di che lutto ricoprirsi io veggiola casa degli eroi, l'achea contrada!Oh quanto in cor ne gemerà l'anticodi cocchi agitator Pelèo, di linguafra' Mirmidon sì chiaro e di consiglio;egli che in sua magion solea di tuttigli Achei le schiatte dimandarmi e i figli,e giubilava nell'udirli! Ed orase per Ettorre ei tutti li sapessedi terror costernati, oh come al cieloalzerebbe le mani, e pregherebbedi scendere dolente anima a Pluto!O Giove padre, o Pallade, o divinodi Latona figliuol! ché non son ionel fior degli anni, come quando in rivapugnâr del ratto Celadonte i Piliicon la sperta di lancia arcade gente

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Gli desteranno incontra altro più fermoduellator gli Achivi, e tal ch'Ettorre,intrepido quantunque ed indefesso,metterà volentier, se dritto io veggo,le ginocchia in riposo, ove pur siache netto egli esca dalla gran tenzone.Svolge il saggio parlar del sommo Atridedel fratello il pensier, che obbedïentequetossi, e lieti gli levâr di dossole bell'arme i sergenti. Allor nel mezzosurse Nestore, e disse: Eterni Dei!Oh di che lutto ricoprirsi io veggiola casa degli eroi, l'achea contrada!Oh quanto in cor ne gemerà l'anticodi cocchi agitator Pelèo, di linguafra' Mirmidon sì chiaro e di consiglio;egli che in sua magion solea di tuttigli Achei le schiatte dimandarmi e i figli,e giubilava nell'udirli! Ed orase per Ettorre ei tutti li sapessedi terror costernati, oh come al cieloalzerebbe le mani, e pregherebbedi scendere dolente anima a Pluto!O Giove padre, o Pallade, o divinodi Latona figliuol! ché non son ionel fior degli anni, come quando in rivapugnâr del ratto Celadonte i Piliicon la sperta di lancia arcade gente

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sotto il muro di Fea verso le chiaredel Jàrdano correnti? Alla lor testaEreutalion venìa, che pari a numel'armatura regal d'Arëitòoindosso avea, del divo Arëitòoche gli uomini tutti e le ben cinte donneclavigero nomâr; perché non d'arconé di lunga asta armato ei combattea,ma con clava di ferro poderosarompea le schiere. A lui diè morte poscia,pel valore non già, ma per ingannoLicurgo al varco d'un angusto calle,ove il rotar della ferrata clavaal suo scampo non valse; ché Licurgoprevenendone il colpo traforòglil'epa coll'asta, e stramazzollo; e l'armicosì gli tolse che da Marte egli ebbe,armi che poscia l'uccisor portavane' fervidi conflitti; insin che, fattoper vecchiezza impotente, al suo dilettoprode scudiero Ereutalion le cesse.Di queste dunque altero iva costuidisfidando i più forti, ed atterritin'eran sì tutti, che nessun si mosse.Ma io mi mossi audace core, e d'anniminor di tutti m'azzuffai con esso,e col favor di Pallade lo spensi:forte eccelso campion che in molta arena

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sotto il muro di Fea verso le chiaredel Jàrdano correnti? Alla lor testaEreutalion venìa, che pari a numel'armatura regal d'Arëitòoindosso avea, del divo Arëitòoche gli uomini tutti e le ben cinte donneclavigero nomâr; perché non d'arconé di lunga asta armato ei combattea,ma con clava di ferro poderosarompea le schiere. A lui diè morte poscia,pel valore non già, ma per ingannoLicurgo al varco d'un angusto calle,ove il rotar della ferrata clavaal suo scampo non valse; ché Licurgoprevenendone il colpo traforòglil'epa coll'asta, e stramazzollo; e l'armicosì gli tolse che da Marte egli ebbe,armi che poscia l'uccisor portavane' fervidi conflitti; insin che, fattoper vecchiezza impotente, al suo dilettoprode scudiero Ereutalion le cesse.Di queste dunque altero iva costuidisfidando i più forti, ed atterritin'eran sì tutti, che nessun si mosse.Ma io mi mossi audace core, e d'anniminor di tutti m'azzuffai con esso,e col favor di Pallade lo spensi:forte eccelso campion che in molta arena

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giaceami steso al piede. Oh mi fiorisseor quell'etade e la mia forza intégra!Per certo Ettorre troverìa qui tostochi gli risponda. E voi del campo acheoi più forti, i più degni, ad incontrarlovoi non andrete con allegro petto?Tacque: e rizzârsi subitani in piedinove guerrieri. Si rizzò primieroil re de' prodi Agamennón; rizzossidopo lui Dïomede, indi ambeduegl'impetuosi Aiaci; indi, col fidoMerïon bellicoso, Idomenèo;e poscia d'Evemon l'inclito figlioEurìpilo, e Toante Andremonìde,e il saggio Ulisse finalmente. Ognunochiese il certame coll'eroe troiano.Disse allora il buon veglio: Arbitra siadella scelta la sorta, e sia l'eletto,salvo tornando dall'ardente agone,degli Achei la salute e di sé stesso.Segna a quel detto ognun sua sorte: e dentrol'elmo la gitta del maggior Atride.La turba intanto supplicante ai numisollevava le palme; e con gli sguardifissi nel cielo udìasi dire: O Giove,fa che la sorte il Telamònio Aiacenomi, o il Tidìde, o di Micene il sire.Così pregava; e il cavalier Nestorre

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giaceami steso al piede. Oh mi fiorisseor quell'etade e la mia forza intégra!Per certo Ettorre troverìa qui tostochi gli risponda. E voi del campo acheoi più forti, i più degni, ad incontrarlovoi non andrete con allegro petto?Tacque: e rizzârsi subitani in piedinove guerrieri. Si rizzò primieroil re de' prodi Agamennón; rizzossidopo lui Dïomede, indi ambeduegl'impetuosi Aiaci; indi, col fidoMerïon bellicoso, Idomenèo;e poscia d'Evemon l'inclito figlioEurìpilo, e Toante Andremonìde,e il saggio Ulisse finalmente. Ognunochiese il certame coll'eroe troiano.Disse allora il buon veglio: Arbitra siadella scelta la sorta, e sia l'eletto,salvo tornando dall'ardente agone,degli Achei la salute e di sé stesso.Segna a quel detto ognun sua sorte: e dentrol'elmo la gitta del maggior Atride.La turba intanto supplicante ai numisollevava le palme; e con gli sguardifissi nel cielo udìasi dire: O Giove,fa che la sorte il Telamònio Aiacenomi, o il Tidìde, o di Micene il sire.Così pregava; e il cavalier Nestorre

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agitava le sorti: ed ecco uscirnequella che tutti desïâr. La prese,e a dritta e a manca ai prenci achivi in girola mostrava l'araldo, e nullo ancorala conoscea per sua. Ma come, andandodall'uno all'altro, il banditor pervenneal Telamònio Aiace e gliela porse,riconobbe l'eroe lieto il suo segno,e gittatolo in mezzo, Amici, è mia,gridò, la sorte, e ne gioisce il core,che su l'illustre Ettòr spera la palma.Voi, mentre l'arma io vesto, al sommo Giovesupplicate in silenzio, onde non siadai teucri orecchi il vostro prego udito;o supplicate ad alta voce ancora,se sì vi piace, ché nessuno io temo,né guerriero v'avrà che mio malgradodi me trionfi, né per fallo mio.Sì rozzo in guerra non lasciommi, io spero,la marzïal palestra in Salamina,né il chiaro sangue di che nato io sono.Disse; e gli Achivi alzâr gli sguardi al cielo,e a Giove supplicâr con questi accenti:Saturnio padre, che dall'Ida imperimassimo, augusto! vincitor deh rendie glorioso Aiace; o se pur ancot'è caro Ettorre e lo proteggi, almenoforza ad entrambi e gloria ugual concedi.

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agitava le sorti: ed ecco uscirnequella che tutti desïâr. La prese,e a dritta e a manca ai prenci achivi in girola mostrava l'araldo, e nullo ancorala conoscea per sua. Ma come, andandodall'uno all'altro, il banditor pervenneal Telamònio Aiace e gliela porse,riconobbe l'eroe lieto il suo segno,e gittatolo in mezzo, Amici, è mia,gridò, la sorte, e ne gioisce il core,che su l'illustre Ettòr spera la palma.Voi, mentre l'arma io vesto, al sommo Giovesupplicate in silenzio, onde non siadai teucri orecchi il vostro prego udito;o supplicate ad alta voce ancora,se sì vi piace, ché nessuno io temo,né guerriero v'avrà che mio malgradodi me trionfi, né per fallo mio.Sì rozzo in guerra non lasciommi, io spero,la marzïal palestra in Salamina,né il chiaro sangue di che nato io sono.Disse; e gli Achivi alzâr gli sguardi al cielo,e a Giove supplicâr con questi accenti:Saturnio padre, che dall'Ida imperimassimo, augusto! vincitor deh rendie glorioso Aiace; o se pur ancot'è caro Ettorre e lo proteggi, almenoforza ad entrambi e gloria ugual concedi.

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Di splendid'armi frettoloso intantoAiace si vestiva: e poiché tuttel'ebbe assunte dintorno alla persona,concitato avvïossi, a camminavaquale incede il gran Marte allor che scendetra fiere genti stimolate all'armidallo sdegno di Giove, e dall'insanaroditrice dell'alme émpia Contesa.Tale si mosse degli Achei trincieralo smisurato Aiace, sorridendocon terribile piglio, e misuravaa vasti passi il suol, l'asta crollandoche lunga sul terren l'ombra spandea.Di letizia esultavano gli Achivia riguardarlo; ma per l'ossa ai Teucricorse subito un gelo. Palpitonnelo stesso Ettòr; ma né schivar per temail fier cimento, né tra' suoi ritrarsipiù non gli lice, ché fu sua la sfida.E già gli è sopra Aiace coll'immensopavese che parea mobile torre;opra di Tichio, d'Ila abitatore,prestantissimo fabbro, che di settecostruito l'avea ben salde e grossecuoia di tauro, e indóttavi di soprauna falda d'acciar. Con questo al pettoenorme scudo il Telamònio eroeféssi avanti al Troiano, e minaccioso

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Di splendid'armi frettoloso intantoAiace si vestiva: e poiché tuttel'ebbe assunte dintorno alla persona,concitato avvïossi, a camminavaquale incede il gran Marte allor che scendetra fiere genti stimolate all'armidallo sdegno di Giove, e dall'insanaroditrice dell'alme émpia Contesa.Tale si mosse degli Achei trincieralo smisurato Aiace, sorridendocon terribile piglio, e misuravaa vasti passi il suol, l'asta crollandoche lunga sul terren l'ombra spandea.Di letizia esultavano gli Achivia riguardarlo; ma per l'ossa ai Teucricorse subito un gelo. Palpitonnelo stesso Ettòr; ma né schivar per temail fier cimento, né tra' suoi ritrarsipiù non gli lice, ché fu sua la sfida.E già gli è sopra Aiace coll'immensopavese che parea mobile torre;opra di Tichio, d'Ila abitatore,prestantissimo fabbro, che di settecostruito l'avea ben salde e grossecuoia di tauro, e indóttavi di soprauna falda d'acciar. Con questo al pettoenorme scudo il Telamònio eroeféssi avanti al Troiano, e minaccioso

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mosse queste parole: Ettore, or chiarosaprai da solo a sol quai prodi ancorarimangono agli Achei dopo il Pelìdecuor di lïone e rompitor di schiere.Irato coll'Atride egli alle navineghittoso si sta; ma noi siam tali,che non temiamo lo tuo scontro, e molti.Comincia or tu la pugna, e tira il primo.Nobile prence Telamònio Aiace,rispose Ettorre, a che mi tenti, e parlicome a imbelle fanciullo o femminettacui dell'armi il mestiero è pellegrino?E anch'io trattar so il ferro e dar la morte,e a dritta e a manca anch'io girar lo scudo,e infaticato sostener l'attacco,e a piè fermo danzar nel sanguinosoballo di Marte, o d'un salto sul cocchiolanciarmi, e concitar nella battagliai veloci destrier. Né già vogl'ioun tuo pari ferire insidïoso,ma discoperto, se arrivar ti posso.Ciò detto, bilanciò colla man fortela lunga lancia, e saettò d'Aiaceil settemplice scudo. Furïosala punta trapassò la ferrea faldache di fuor lo copriva, e via scorrendosquarciò sei giri del bovin tessuto,e al settimo fermossi. Allor secondo

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mosse queste parole: Ettore, or chiarosaprai da solo a sol quai prodi ancorarimangono agli Achei dopo il Pelìdecuor di lïone e rompitor di schiere.Irato coll'Atride egli alle navineghittoso si sta; ma noi siam tali,che non temiamo lo tuo scontro, e molti.Comincia or tu la pugna, e tira il primo.Nobile prence Telamònio Aiace,rispose Ettorre, a che mi tenti, e parlicome a imbelle fanciullo o femminettacui dell'armi il mestiero è pellegrino?E anch'io trattar so il ferro e dar la morte,e a dritta e a manca anch'io girar lo scudo,e infaticato sostener l'attacco,e a piè fermo danzar nel sanguinosoballo di Marte, o d'un salto sul cocchiolanciarmi, e concitar nella battagliai veloci destrier. Né già vogl'ioun tuo pari ferire insidïoso,ma discoperto, se arrivar ti posso.Ciò detto, bilanciò colla man fortela lunga lancia, e saettò d'Aiaceil settemplice scudo. Furïosala punta trapassò la ferrea faldache di fuor lo copriva, e via scorrendosquarciò sei giri del bovin tessuto,e al settimo fermossi. Allor secondo

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trasse Aiace, e colpì di Priamo il figlionella rotonda targa. Traforollail frassino veloce, e nell'usbergosì addentro si ficcò, che presso al lombolacerògli la tunica. PiegossiEttore a tempo, ed evitò la morte.Ricovrò l'uno e l'altro il proprio telo,e all'assalto tornâr come per famefieri leoni, o per vigor tremendiarruffati cinghiali alla montagna.Di nuovo Ettorre coll'acuto cerrocolpì, lo scudo ostil, ma senza offesa,ch'ivi la punta si curvò: di nuovotrasse Aiace il suo telo, ed alla pennadello scudo ferendo, a parte a partelo trapassò, gli punse il collo, e vivosangue spiccionne. Né per ciò l'attaccolasciò l'audace Ettorre. Era nel campoun negro ed aspro enorme sasso: a questodiè di piglio il Troiano, e contra il Grecolo fulminò. Percosse il duro scoglioil colmo dello scudo, e orribilmentene rimbombò la ferrea piastra intorno.Seguì l'esempio il gran Telamonìde,ed afferrato e sollevato ei pureun altro più d'assai rude macigno,con forza immensa lo rotò, lo spinsecontra il nemico. Il molar sasso infranse

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trasse Aiace, e colpì di Priamo il figlionella rotonda targa. Traforollail frassino veloce, e nell'usbergosì addentro si ficcò, che presso al lombolacerògli la tunica. PiegossiEttore a tempo, ed evitò la morte.Ricovrò l'uno e l'altro il proprio telo,e all'assalto tornâr come per famefieri leoni, o per vigor tremendiarruffati cinghiali alla montagna.Di nuovo Ettorre coll'acuto cerrocolpì, lo scudo ostil, ma senza offesa,ch'ivi la punta si curvò: di nuovotrasse Aiace il suo telo, ed alla pennadello scudo ferendo, a parte a partelo trapassò, gli punse il collo, e vivosangue spiccionne. Né per ciò l'attaccolasciò l'audace Ettorre. Era nel campoun negro ed aspro enorme sasso: a questodiè di piglio il Troiano, e contra il Grecolo fulminò. Percosse il duro scoglioil colmo dello scudo, e orribilmentene rimbombò la ferrea piastra intorno.Seguì l'esempio il gran Telamonìde,ed afferrato e sollevato ei pureun altro più d'assai rude macigno,con forza immensa lo rotò, lo spinsecontra il nemico. Il molar sasso infranse

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l'ettoreo scudo, e di tal colpo offeselui nel ginocchio, che riverso ei caddecon lo scudo sul petto: ma rizzolloimmantinente di Latona il figlio.E qui tratte le spade i due campionipiù da vicino si ferìan, se ratti,messaggieri di Giove e de' mortali,non accorrean gli araldi, il teucro Idèo,e l'achivo Taltìbio, ambo lodatidi prudente consiglio. Entrâr costorocon securtade in mezzo ai combattenti,ed interposto fra le nude spadeil pacifico scettro, il saggio Idèocosì primiero favellò: Cessate,diletti figli, la battaglia. Entrambisiete cari al gran Giove, entrambi (e chiaroognun sel vede) acerrimi guerrieri:ma la notte discende, e giova, o figli,alla notte obbedir. - Dimandi Ettorrequesta tregua, rispose il fiero Aiace:primo ei tutti sfidonne, e primo ei chiegga.Ritirerommi, se l'esempio ei porga.E l'illustre rival tosto riprese:Aiace, i numi ti largîr cortesipari alla forza ed al valore il senno,e nel valor tu vinci ogni altro Acheo.Abbian riposo le nostr'armi, e cessila tenzon. Pugneremo altra fïata

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l'ettoreo scudo, e di tal colpo offeselui nel ginocchio, che riverso ei caddecon lo scudo sul petto: ma rizzolloimmantinente di Latona il figlio.E qui tratte le spade i due campionipiù da vicino si ferìan, se ratti,messaggieri di Giove e de' mortali,non accorrean gli araldi, il teucro Idèo,e l'achivo Taltìbio, ambo lodatidi prudente consiglio. Entrâr costorocon securtade in mezzo ai combattenti,ed interposto fra le nude spadeil pacifico scettro, il saggio Idèocosì primiero favellò: Cessate,diletti figli, la battaglia. Entrambisiete cari al gran Giove, entrambi (e chiaroognun sel vede) acerrimi guerrieri:ma la notte discende, e giova, o figli,alla notte obbedir. - Dimandi Ettorrequesta tregua, rispose il fiero Aiace:primo ei tutti sfidonne, e primo ei chiegga.Ritirerommi, se l'esempio ei porga.E l'illustre rival tosto riprese:Aiace, i numi ti largîr cortesipari alla forza ed al valore il senno,e nel valor tu vinci ogni altro Acheo.Abbian riposo le nostr'armi, e cessila tenzon. Pugneremo altra fïata

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finché la Parca ne divida, e interaall'uno o all'altro la vittoria doni.Or la notte già cade, e della notteromper non dêssi la ragion. Tu riedidunque alle navi a rallegrar gli Achivi,i congiunti, gli amici. Io nella sacracittà rïentro a serenar de' Teucrile meste fronti e le dardanie donne,che in lunghi pepli avvolte appiè dell'areper me si stanno a supplicar. Ma priadi dipartirci, un mutuo dono attestila nostra stima: e gli Achei poscia e i Teucridiran: Costoro duellâr coll'iradi fier nemici, e separârsi amici.Così dicendo, la sua propria spadagli presentò d'argentei chiovi adornacon fulgida vagina ed un pendagliodi leggiadro lavoro; Aiace a luiil risplendente suo purpureo cinto.Così divisi, agli Achei l'uno, ai Teucril'altro avvïossi. Esilarârsi i Teucri,vivo il lor duce ritornar veggendodalla forza scampato e dall'invittemani d'Aiace; e trepidanti ancoradel passato periglio alla cittadel'accompagnaro. Dall'opposta partedella palma superbo il lor campioneguidâr gli Achivi al padiglion d'Atride,

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finché la Parca ne divida, e interaall'uno o all'altro la vittoria doni.Or la notte già cade, e della notteromper non dêssi la ragion. Tu riedidunque alle navi a rallegrar gli Achivi,i congiunti, gli amici. Io nella sacracittà rïentro a serenar de' Teucrile meste fronti e le dardanie donne,che in lunghi pepli avvolte appiè dell'areper me si stanno a supplicar. Ma priadi dipartirci, un mutuo dono attestila nostra stima: e gli Achei poscia e i Teucridiran: Costoro duellâr coll'iradi fier nemici, e separârsi amici.Così dicendo, la sua propria spadagli presentò d'argentei chiovi adornacon fulgida vagina ed un pendagliodi leggiadro lavoro; Aiace a luiil risplendente suo purpureo cinto.Così divisi, agli Achei l'uno, ai Teucril'altro avvïossi. Esilarârsi i Teucri,vivo il lor duce ritornar veggendodalla forza scampato e dall'invittemani d'Aiace; e trepidanti ancoradel passato periglio alla cittadel'accompagnaro. Dall'opposta partedella palma superbo il lor campioneguidâr gli Achivi al padiglion d'Atride,

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che per tutti onorar tosto al Tonanteun bue quinquenne in sacrificio offerse.Lo scuoiâr, lo spaccâr, lo fêro in braniacconciamente, e negli spiedi infissol'abbrustolâr con molta cura, e toltoil tutto al foco, l'apprestâr sul desco,e banchettando ne cibò ciascunoa pien talento. Ma l'immenso tergodel sacro bue donollo Agamennóned'onore in segno al vincitor guerriero.Del cibarsi e del ber spento il desìo,il buon veglio Nestorre, di cui sempreottimo uscìa l'avviso, in questo diresvolse il suo senno: Atride e duci achei,questo giorno fatal la vita estinsedi molti prodi, del cui sangue rossafe' l'aspro Marte la scamandria riva,e all'Orco ne passâr l'ombre insepolte.Al nuovo sole le nostr'armi adunquesi restino tranquille, e noi sul campoconvenendo, imporrem le salme esanguisu le carrette, e muli oprando e buoi,qui ne faremo il pio trasporto, e al rogole darem lungi dalle navi alquanto,onde al nostro tornar nel patrio suolole ceneri portarne ai mesti figli.E dintorno alla pira una comunetomba ergeremo, e di muraglia e d'alte

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che per tutti onorar tosto al Tonanteun bue quinquenne in sacrificio offerse.Lo scuoiâr, lo spaccâr, lo fêro in braniacconciamente, e negli spiedi infissol'abbrustolâr con molta cura, e toltoil tutto al foco, l'apprestâr sul desco,e banchettando ne cibò ciascunoa pien talento. Ma l'immenso tergodel sacro bue donollo Agamennóned'onore in segno al vincitor guerriero.Del cibarsi e del ber spento il desìo,il buon veglio Nestorre, di cui sempreottimo uscìa l'avviso, in questo diresvolse il suo senno: Atride e duci achei,questo giorno fatal la vita estinsedi molti prodi, del cui sangue rossafe' l'aspro Marte la scamandria riva,e all'Orco ne passâr l'ombre insepolte.Al nuovo sole le nostr'armi adunquesi restino tranquille, e noi sul campoconvenendo, imporrem le salme esanguisu le carrette, e muli oprando e buoi,qui ne faremo il pio trasporto, e al rogole darem lungi dalle navi alquanto,onde al nostro tornar nel patrio suolole ceneri portarne ai mesti figli.E dintorno alla pira una comunetomba ergeremo, e di muraglia e d'alte

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torri, a difesa delle navi e nostra,con rapido lavor la cingeremo,e salde vi apriremo e larghe porteper l'egresso de' cocchi. Indi un'esternaprofonda fossa scaverem che tuttacircondi la muraglia, e de' cavallil'impeto affreni e de' pedon, se maide' Teucri irrompa l'orgoglioso ardire.Disse, e tutti annuiro i prenci achei.Di Prïamo alle soglie in questo mentresu l'alta iliaca rocca i Teucri anch'essitenean confusa e trepida consulta.Primo il saggio Antenòr sì prese a dire:Dardanidi, Troiani, e voi venutiin sussidio di Troia, i sensi uditeche il cor mi porge. Rendasi agli Atridicon tutto il suo tesor l'argiva Elèna.Vïolammo noi soli il giuramento,e quindi inique le nostr'armi sono.Se non si rende, non avrem che danno.Così detto, s'assise. E surto in piediil bel marito della bella Argivacosì Pari rispose: Al cor m'è grave,Antenore, il tuo detto, e so che portiuna miglior sentenza in tuo segreto.Ché se parli davver, davvero i numiti han tolto il senno. Ma ben io qui schiettii miei sensi aprirò. La donna io mai

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torri, a difesa delle navi e nostra,con rapido lavor la cingeremo,e salde vi apriremo e larghe porteper l'egresso de' cocchi. Indi un'esternaprofonda fossa scaverem che tuttacircondi la muraglia, e de' cavallil'impeto affreni e de' pedon, se maide' Teucri irrompa l'orgoglioso ardire.Disse, e tutti annuiro i prenci achei.Di Prïamo alle soglie in questo mentresu l'alta iliaca rocca i Teucri anch'essitenean confusa e trepida consulta.Primo il saggio Antenòr sì prese a dire:Dardanidi, Troiani, e voi venutiin sussidio di Troia, i sensi uditeche il cor mi porge. Rendasi agli Atridicon tutto il suo tesor l'argiva Elèna.Vïolammo noi soli il giuramento,e quindi inique le nostr'armi sono.Se non si rende, non avrem che danno.Così detto, s'assise. E surto in piediil bel marito della bella Argivacosì Pari rispose: Al cor m'è grave,Antenore, il tuo detto, e so che portiuna miglior sentenza in tuo segreto.Ché se parli davver, davvero i numiti han tolto il senno. Ma ben io qui schiettii miei sensi aprirò. La donna io mai

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non renderò, giammai. Quanto alle ricchespoglie che d'Argo a queste rive addussi,tutte render le voglio, ed altre ancoraaggiungeronne di mio proprio dritto.Tacque, e sul seggio si raccolse. Allorain sembianza d'un Dio levossi in mezzoil Dardanide Prïamo, ed, Udite,Teucri, ei disse, e alleati, il mio pensiero,quale il cor lo significa. Pel campodel consueto cibo si ristauriognuno, e attenda alla sua scolta, e vegli.Col nuovo sole alle nemiche naviIdèo sen vada, e ad ambedue gli Atrididi Paride, cagion della contesa,riferisca la mente, e una discretaproposta aggiunga di cessar la guerra,finché il rogo consunte abbia le mortesalme de' nostri, per pugnar di poifinché la Parca ne spartisca, e agli uniconceda o agli altri la vittoria intégra.Tutti assentiro riverenti al detto:indi pel campo procurâr le cenein divisi drappelli. Il dì novelloalle navi s'avvìa l'araldo Idèo,e raccolti ritrova a parlamentoi bellicosi Achei davanti all'altaagamennònia poppa. Appresentossitosto il canoro banditore, e disse:

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non renderò, giammai. Quanto alle ricchespoglie che d'Argo a queste rive addussi,tutte render le voglio, ed altre ancoraaggiungeronne di mio proprio dritto.Tacque, e sul seggio si raccolse. Allorain sembianza d'un Dio levossi in mezzoil Dardanide Prïamo, ed, Udite,Teucri, ei disse, e alleati, il mio pensiero,quale il cor lo significa. Pel campodel consueto cibo si ristauriognuno, e attenda alla sua scolta, e vegli.Col nuovo sole alle nemiche naviIdèo sen vada, e ad ambedue gli Atrididi Paride, cagion della contesa,riferisca la mente, e una discretaproposta aggiunga di cessar la guerra,finché il rogo consunte abbia le mortesalme de' nostri, per pugnar di poifinché la Parca ne spartisca, e agli uniconceda o agli altri la vittoria intégra.Tutti assentiro riverenti al detto:indi pel campo procurâr le cenein divisi drappelli. Il dì novelloalle navi s'avvìa l'araldo Idèo,e raccolti ritrova a parlamentoi bellicosi Achei davanti all'altaagamennònia poppa. Appresentossitosto il canoro banditore, e disse:

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Atridi e duci achei, mi diè comandoPriamo e di Troia gli ottimati insiemedi sporvi, se vi fia grato l'udirla,di Paride, cagion di questa guerra,una proferta. Le ricchezze tuttech'ei d'Argo addusse (oh pria perito ei fosse!)ei tutte le vi rende, ed altre ancoradi sua ragion n'aggiungerà. Ma quantoalla gentil tua donna, o Menelao,di questa ei niega il rendimento, e indarnol'esortano i Troiani. E un'altra io recodi lor proposta: Se quetar vi piacciadella guerra il furor, finché de' mortile care spoglie il foco abbia combuste,per indi razzuffarci infin che pienatra noi decida la vittoria il fato.Disse, e tutti ammutîr. Sciolse il Tidìdealfin la voce; e, Niun di Pari, ei grida,l'offerta accetti, né la stessa purerapita donna. Ai Dardani sovrasta,un fanciullo il vedrìa, l'esizio estremo.Plausero tutti al suo parlar gli Achivicon alte grida, e n'ammiraro il senno.Indi vòlto all'araldo il grande Atride:Idèo, diss'egli, per te stesso udistidegli Achei la risposta, e in un la mia.Quanto agli estinti, di buon grado assentoche siano incesi; ché non dêssi avaro

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Atridi e duci achei, mi diè comandoPriamo e di Troia gli ottimati insiemedi sporvi, se vi fia grato l'udirla,di Paride, cagion di questa guerra,una proferta. Le ricchezze tuttech'ei d'Argo addusse (oh pria perito ei fosse!)ei tutte le vi rende, ed altre ancoradi sua ragion n'aggiungerà. Ma quantoalla gentil tua donna, o Menelao,di questa ei niega il rendimento, e indarnol'esortano i Troiani. E un'altra io recodi lor proposta: Se quetar vi piacciadella guerra il furor, finché de' mortile care spoglie il foco abbia combuste,per indi razzuffarci infin che pienatra noi decida la vittoria il fato.Disse, e tutti ammutîr. Sciolse il Tidìdealfin la voce; e, Niun di Pari, ei grida,l'offerta accetti, né la stessa purerapita donna. Ai Dardani sovrasta,un fanciullo il vedrìa, l'esizio estremo.Plausero tutti al suo parlar gli Achivicon alte grida, e n'ammiraro il senno.Indi vòlto all'araldo il grande Atride:Idèo, diss'egli, per te stesso udistidegli Achei la risposta, e in un la mia.Quanto agli estinti, di buon grado assentoche siano incesi; ché non dêssi avaro

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esser di rogo a chi di vita è privo,né porre indugio a consolarne l'ombracoll'officio pietoso. Il fulminantesposo di Giuno il nostro giuro ascolti.Così dicendo alzò lo scettro al cielo,e l'araldo tornossi entro la sacracittade ai Teucri, già del suo ritornoimpazïenti e in pien consesso accolti.Giunse, e intromesso la risposta espose.Si sparsero allor ratti, altri al carreggiode' cadaveri intenti, altri al funèbretaglio de' boschi. Dall'opposta parteun cuor medesmo, una medesma curaoccupava gli Achivi. E già dal quetogrembo del mare al ciel montando il soleco' rugiadosi lucidi suoi stralile campagne ferìa, quando nell'atrapianura si scontrâr Teucri ed Acheiognuno in cerca de' suoi morti, a taledal sangue sfigurati e dalla polve,che mal se ne potea, senza lavarli,ravvisar le sembianze. Alfin trovatie conosciuti li ponean su i mestiplaustri piangendo. Ma di Priamo il sennonon consentìa del pianto a' suoi lo sfogo:quindi afflitti, ma muti, al rogo i Teucridiero a mucchi le salme; ed arse tutte,col cuor serrato alla città tornaro.

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esser di rogo a chi di vita è privo,né porre indugio a consolarne l'ombracoll'officio pietoso. Il fulminantesposo di Giuno il nostro giuro ascolti.Così dicendo alzò lo scettro al cielo,e l'araldo tornossi entro la sacracittade ai Teucri, già del suo ritornoimpazïenti e in pien consesso accolti.Giunse, e intromesso la risposta espose.Si sparsero allor ratti, altri al carreggiode' cadaveri intenti, altri al funèbretaglio de' boschi. Dall'opposta parteun cuor medesmo, una medesma curaoccupava gli Achivi. E già dal quetogrembo del mare al ciel montando il soleco' rugiadosi lucidi suoi stralile campagne ferìa, quando nell'atrapianura si scontrâr Teucri ed Acheiognuno in cerca de' suoi morti, a taledal sangue sfigurati e dalla polve,che mal se ne potea, senza lavarli,ravvisar le sembianze. Alfin trovatie conosciuti li ponean su i mestiplaustri piangendo. Ma di Priamo il sennonon consentìa del pianto a' suoi lo sfogo:quindi afflitti, ma muti, al rogo i Teucridiero a mucchi le salme; ed arse tutte,col cuor serrato alla città tornaro.

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D'un medesmo dolor rotti gli Acheii lor morti ammassâr sovra la pira,e come gli ebbe la funerea fiammaconsumati, del mar preser la via.Non biancheggiava ancor l'alba novella,ma il barlume soltanto antelucano,quando d'Achei dintorno all'alto rogoscelto stuolo affollossi. E primamentealzâr dappresso a quello una comunetomba agli estinti, ed alla tomba accantouna muraglia a edificar si dierod'alti torrazzi ghirlandata, a schermodelle navi e di sé: porte vi fêrodi salda imposta, e di gran varco al volode' bellicosi cocchi: indi lunghessol'esterno muro una profonda e vastafossa scavâr di pali irta e gremita.Degli Achei la stupenda opra tal era.La contemplâr maravigliando i numiseduti intorno al Dio de' tuoni, e iratosì prese a dir l'Enosigèo Nettunno:Giove padre, chi fia più tra' mortali,che gl'Immortali in avvenir consulti,e n'implori il favor? Vedi tu qualee quanto muro gli orgogliosi Acheiinnanti alle lor navi abbian costruttoe circondato d'un'immensa fossasenza offerir solenni ostie agli Dei?

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D'un medesmo dolor rotti gli Acheii lor morti ammassâr sovra la pira,e come gli ebbe la funerea fiammaconsumati, del mar preser la via.Non biancheggiava ancor l'alba novella,ma il barlume soltanto antelucano,quando d'Achei dintorno all'alto rogoscelto stuolo affollossi. E primamentealzâr dappresso a quello una comunetomba agli estinti, ed alla tomba accantouna muraglia a edificar si dierod'alti torrazzi ghirlandata, a schermodelle navi e di sé: porte vi fêrodi salda imposta, e di gran varco al volode' bellicosi cocchi: indi lunghessol'esterno muro una profonda e vastafossa scavâr di pali irta e gremita.Degli Achei la stupenda opra tal era.La contemplâr maravigliando i numiseduti intorno al Dio de' tuoni, e iratosì prese a dir l'Enosigèo Nettunno:Giove padre, chi fia più tra' mortali,che gl'Immortali in avvenir consulti,e n'implori il favor? Vedi tu qualee quanto muro gli orgogliosi Acheiinnanti alle lor navi abbian costruttoe circondato d'un'immensa fossasenza offerir solenni ostie agli Dei?

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Di cotant'opra andrà certo la famaovunque giunge la divina luce,e il grido morirà delle sacratemura che al re Laomedonte un tempointorno ad Ilïone Apollo ed ioedificammo con assai fatica.Che dicesti? sdegnoso gli risposel'adunator de' numbi: altro qualunqueIddio di forza a te minor potrebbedi questo paventar. Ma del possenteEnosigèo la gloria al par dell'almoraggio del sole splenderà per tutto.Or ben: sì tosto che gli Achei farannoveleggiando ritorno al patrio lido,e tu quel muro abbatti e tutto quantosprofondalo nel mare, e d'alta arenacoprilo sì che ogni orma ne svanisca.In questo favellar l'astro s'estinsedel giorno, e l'opra degli Achei fu piena.Della sera allestite indi le menseper le tende, cibâr le opime carnidi scannati giovenchi, e ristorârsidel vino che recato avean di Lennomolti navigli; e li spediva Eunèod'Issipile figliuolo e di Giasone.Mille sestieri in amichevol donoEunèo ne manda ad ambedue gli Atridi;compra il resto l'armata, altri con bronzo,

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Di cotant'opra andrà certo la famaovunque giunge la divina luce,e il grido morirà delle sacratemura che al re Laomedonte un tempointorno ad Ilïone Apollo ed ioedificammo con assai fatica.Che dicesti? sdegnoso gli risposel'adunator de' numbi: altro qualunqueIddio di forza a te minor potrebbedi questo paventar. Ma del possenteEnosigèo la gloria al par dell'almoraggio del sole splenderà per tutto.Or ben: sì tosto che gli Achei farannoveleggiando ritorno al patrio lido,e tu quel muro abbatti e tutto quantosprofondalo nel mare, e d'alta arenacoprilo sì che ogni orma ne svanisca.In questo favellar l'astro s'estinsedel giorno, e l'opra degli Achei fu piena.Della sera allestite indi le menseper le tende, cibâr le opime carnidi scannati giovenchi, e ristorârsidel vino che recato avean di Lennomolti navigli; e li spediva Eunèod'Issipile figliuolo e di Giasone.Mille sestieri in amichevol donoEunèo ne manda ad ambedue gli Atridi;compra il resto l'armata, altri con bronzo,

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altri con lame di lucente ferro;qual con pelli bovine, e qual col corpodel bue medesmo, o di robusto schiavo.Lieto adunque imbandîr pronto convitogli Achivi, e tutta banchettâr la notte.Banchettava del par nella cittadecon gli alleati la dardania gente.Ma tutta notte di Saturno il figliocon terribili tuoni annunzïavaalte sventure nel suo senno ordite.Di pallido terror tutti compresidalle tazze spargean le spume a terradevotamente, né veruno ardìaappressarvi le labbra, se libatopria non avesse al prepotente Giove.Corcârsi alfine, e su lor scese il sonno.

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altri con lame di lucente ferro;qual con pelli bovine, e qual col corpodel bue medesmo, o di robusto schiavo.Lieto adunque imbandîr pronto convitogli Achivi, e tutta banchettâr la notte.Banchettava del par nella cittadecon gli alleati la dardania gente.Ma tutta notte di Saturno il figliocon terribili tuoni annunzïavaalte sventure nel suo senno ordite.Di pallido terror tutti compresidalle tazze spargean le spume a terradevotamente, né veruno ardìaappressarvi le labbra, se libatopria non avesse al prepotente Giove.Corcârsi alfine, e su lor scese il sonno.

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Libro Ottavo

Già spiegava l'aurora il croceo velosul volto della terra, e co' Celestisu l'alto Olimpo il folgorante Giovetenea consiglio. Ei parla, e riverentistansi gli Eterni ad ascoltar: M'uditetutti, ed abbiate il mio voler palese;e nessuno di voi né Dio né Divadi frangere s'ardisca il mio decreto,ma tutti insieme il secondate, ond'iol'opra, che penso, a presto fin conduca.Qualunque degli Dei vedrò furtivopartir dal cielo, e scendere a soccorsode' Troiani o de' Greci, egli all'Olimpodi turpe piaga tornerassi offeso;o l'afferrando di mia mano io stesso,nel Tartaro remoto e tenebrosolo gitterò, voragine profondache di bronzo ha la soglia e ferree porte,e tanto in giù nell'Orco s'inabissa,quanto va lungi dalla terra il cielo.Allor saprà che degli Dei son ioil più possente. E vuolsene la prova?D'oro al cielo appendete una catena,e tutti a questa v'attaccate, o Divi

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Libro Ottavo

Già spiegava l'aurora il croceo velosul volto della terra, e co' Celestisu l'alto Olimpo il folgorante Giovetenea consiglio. Ei parla, e riverentistansi gli Eterni ad ascoltar: M'uditetutti, ed abbiate il mio voler palese;e nessuno di voi né Dio né Divadi frangere s'ardisca il mio decreto,ma tutti insieme il secondate, ond'iol'opra, che penso, a presto fin conduca.Qualunque degli Dei vedrò furtivopartir dal cielo, e scendere a soccorsode' Troiani o de' Greci, egli all'Olimpodi turpe piaga tornerassi offeso;o l'afferrando di mia mano io stesso,nel Tartaro remoto e tenebrosolo gitterò, voragine profondache di bronzo ha la soglia e ferree porte,e tanto in giù nell'Orco s'inabissa,quanto va lungi dalla terra il cielo.Allor saprà che degli Dei son ioil più possente. E vuolsene la prova?D'oro al cielo appendete una catena,e tutti a questa v'attaccate, o Divi

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e voi Dive, e traete. E non per questodal ciel trarrete in terra il sommo Giove,supremo senno, né pur tutte oprandole vostre posse. Ma ben io, se il voglio,la trarrò colla terra e il mar sospeso:indi alla vetta dell'immoto Olimpoannoderò la gran catena, ed altotutte da quella penderan le cose.Cotanto il mio poter vince de' numile forze e de' mortai. - Qui tacque, e tuttidal minaccioso ragionar percossiammutolîr gli Dei. Ruppe Minervafinalmente il silenzio, e così disse:Padre e re de' Celesti, e noi pur ancosappiam che invitta è la tua gran possanza.Ma nondimen de' bellicosi Acheipietà ne prende, che di fato iniquoson vicini a perir. Noi dalla pugna,se tu il comandi, ci terrem lontani;ma non vietar che di consiglio almenosien giovati gli Achivi, onde non tutticadan nell'ira tua disfatti e morti.Con un sorriso le rispose il sommode' nembi adunator: Conforta il core,diletta figlia; favellai severo,ma vo' teco esser mite. - E così detto,gli orocriniti eripedi cavallicome vento veloci al carro aggioga:

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e voi Dive, e traete. E non per questodal ciel trarrete in terra il sommo Giove,supremo senno, né pur tutte oprandole vostre posse. Ma ben io, se il voglio,la trarrò colla terra e il mar sospeso:indi alla vetta dell'immoto Olimpoannoderò la gran catena, ed altotutte da quella penderan le cose.Cotanto il mio poter vince de' numile forze e de' mortai. - Qui tacque, e tuttidal minaccioso ragionar percossiammutolîr gli Dei. Ruppe Minervafinalmente il silenzio, e così disse:Padre e re de' Celesti, e noi pur ancosappiam che invitta è la tua gran possanza.Ma nondimen de' bellicosi Acheipietà ne prende, che di fato iniquoson vicini a perir. Noi dalla pugna,se tu il comandi, ci terrem lontani;ma non vietar che di consiglio almenosien giovati gli Achivi, onde non tutticadan nell'ira tua disfatti e morti.Con un sorriso le rispose il sommode' nembi adunator: Conforta il core,diletta figlia; favellai severo,ma vo' teco esser mite. - E così detto,gli orocriniti eripedi cavallicome vento veloci al carro aggioga:

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al divin corpo induce una loricatutta d'auro, e alla man data una sferzapur d'auro intesta e di gentil lavoro,monta il cocchio, e flagella a tutto corsoi corridori che volâr bramosiinfra la terra e lo stellato Olimpo.Tosto all'Ida, di belve e di rigosifonti altrice, arrivò su l'ardua cimadel Gargaro, ove sacro a lui frondeggiaun bosco, e fuma un odorato altare.Qui degli uomini il padre e degli Deirattenne e dal timon sciolse i cavalli,e di nebbia gli avvolse. Indi s'assiseesultante di gloria in su la vettadi là lo sguardo a Troia rivolgendoed alle navi degli Achei, che presoper le tende alla presta un parco ciboarmavansi. Ed all'armi anch'essi i Teucriper la città correan; né gli sgomentail numero minor, ché per le sposee pe' figli a pugnar pronti li rendenecessità. Spalancansi le porte:erompono pedoni e cavaliericon immenso tumulto, e giunti a fronte,scudi a scudi, aste ad aste e petti a pettioppongono, e di targhe odi e d'usberghiun fiero cozzo, ed un fragor di pugnache rinforza più sempre. De' cadenti

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al divin corpo induce una loricatutta d'auro, e alla man data una sferzapur d'auro intesta e di gentil lavoro,monta il cocchio, e flagella a tutto corsoi corridori che volâr bramosiinfra la terra e lo stellato Olimpo.Tosto all'Ida, di belve e di rigosifonti altrice, arrivò su l'ardua cimadel Gargaro, ove sacro a lui frondeggiaun bosco, e fuma un odorato altare.Qui degli uomini il padre e degli Deirattenne e dal timon sciolse i cavalli,e di nebbia gli avvolse. Indi s'assiseesultante di gloria in su la vettadi là lo sguardo a Troia rivolgendoed alle navi degli Achei, che presoper le tende alla presta un parco ciboarmavansi. Ed all'armi anch'essi i Teucriper la città correan; né gli sgomentail numero minor, ché per le sposee pe' figli a pugnar pronti li rendenecessità. Spalancansi le porte:erompono pedoni e cavaliericon immenso tumulto, e giunti a fronte,scudi a scudi, aste ad aste e petti a pettioppongono, e di targhe odi e d'usberghiun fiero cozzo, ed un fragor di pugnache rinforza più sempre. De' cadenti

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l'urlo si mesce coll'orribil vantode' vincitori, e il suol sangue correa.Dall'ora che le porte apre al mattinofino al merigge, d'ambedue le partidurò la strage con egual fortuna.Ma quando ascese a mezzo cielo il sole,alto spiegò l'onnipossente Iddiol'auree bilance, e due diversi fatidi sonnifera morte entro vi pose,il troiano e l'acheo. Le prese in mezzo,le librò, sollevolle, e degli Achiviil fato dechinò, che traboccandopercosse in terra, e balzò l'altro al cielo.Tonò tremendo allor Giove dall'Ida,e un infocato fulmine nel campoavventò degli Achei, che stupefattia quella vista impallidîr di tema.Né Idomenèo né il grande Agamennóne,né gli Aiaci, ambedue lampi di Marte,fermi al lor posto rimaner fur osi.Solo il Gerenio, degli Achei tutela,Nestore vi restò, ma suo mal gradoché un destrier l'impedìa, cui di saettad'Elena bella l'avvenente drudonella fronte ferì laddove spuntanel teschio de' cavalli il primo crine,ed è letale il loco alle ferite.Inalberossi il corridor trafitto,

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l'urlo si mesce coll'orribil vantode' vincitori, e il suol sangue correa.Dall'ora che le porte apre al mattinofino al merigge, d'ambedue le partidurò la strage con egual fortuna.Ma quando ascese a mezzo cielo il sole,alto spiegò l'onnipossente Iddiol'auree bilance, e due diversi fatidi sonnifera morte entro vi pose,il troiano e l'acheo. Le prese in mezzo,le librò, sollevolle, e degli Achiviil fato dechinò, che traboccandopercosse in terra, e balzò l'altro al cielo.Tonò tremendo allor Giove dall'Ida,e un infocato fulmine nel campoavventò degli Achei, che stupefattia quella vista impallidîr di tema.Né Idomenèo né il grande Agamennóne,né gli Aiaci, ambedue lampi di Marte,fermi al lor posto rimaner fur osi.Solo il Gerenio, degli Achei tutela,Nestore vi restò, ma suo mal gradoché un destrier l'impedìa, cui di saettad'Elena bella l'avvenente drudonella fronte ferì laddove spuntanel teschio de' cavalli il primo crine,ed è letale il loco alle ferite.Inalberossi il corridor trafitto,

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ché nel cerèbro entrata era la freccia,e dintorno alla rota per l'acutodolor si voltolando, in iscompigliomettea gli altri cavalli. Or mentre il vecchiogli si fa sopra colla daga, e tentatagliarne le tirelle, ecco velocifra la calca e il ferir de' combattentisopraggiungere d'Ettore i destrieri,superbi di portar sì grande auriga.E qui perduta il veglio avrìa la vita,se del rischio di lui non s'accorgeal'invitto Dïomede. Un grido orrendodi pugna eccitator mise l'eroealla volta d'Ulisse: Ah dove immemoredi tua stirpe divina, dove fuggi,astuto figlio di Laerte, e volgi,come un codardo della turba, il tergo?Bada che alcun le fuggitive spallenon ti giunga coll'asta. Agl'inimicivolta la fronte, ed a salvar vien mecodal furor di quel fiero il vecchio amico.Quelle grida non ode, e ratto in salvofugge Ulisse alle navi. Allor rimastosolo il Tidìde, si sospinse in mezzoai guerrier della fronte, avanti al cocchiodi Nestore piantossi, e lui chiamandoveloci gli drizzò queste parole:Troppo feroce gioventù nemica

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ché nel cerèbro entrata era la freccia,e dintorno alla rota per l'acutodolor si voltolando, in iscompigliomettea gli altri cavalli. Or mentre il vecchiogli si fa sopra colla daga, e tentatagliarne le tirelle, ecco velocifra la calca e il ferir de' combattentisopraggiungere d'Ettore i destrieri,superbi di portar sì grande auriga.E qui perduta il veglio avrìa la vita,se del rischio di lui non s'accorgeal'invitto Dïomede. Un grido orrendodi pugna eccitator mise l'eroealla volta d'Ulisse: Ah dove immemoredi tua stirpe divina, dove fuggi,astuto figlio di Laerte, e volgi,come un codardo della turba, il tergo?Bada che alcun le fuggitive spallenon ti giunga coll'asta. Agl'inimicivolta la fronte, ed a salvar vien mecodal furor di quel fiero il vecchio amico.Quelle grida non ode, e ratto in salvofugge Ulisse alle navi. Allor rimastosolo il Tidìde, si sospinse in mezzoai guerrier della fronte, avanti al cocchiodi Nestore piantossi, e lui chiamandoveloci gli drizzò queste parole:Troppo feroce gioventù nemica

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ti sta contra, o buon vecchio, e infermi tropposono i tuoi polsi: hai grave d'anni il dorso,hai debole l'auriga e i corridori.Monta il mio cocchio, e la virtù vedraidei cavalli di Troe, che dianzi io tolsid'Anchise al figlio, a maraviglia spertia fuggir ratti in campo e ad inseguire.Lascia cotesti agli scudieri in cura,drizziam questi ne' Teucri, e vegga Ettorres'anco in mia man la lancia è furibonda.Disse: né il veglio ricusò l'invito.Di Stènelo e del buon Eurimedonte,valorosi scudieri, egli al governocesse le sue puledre, e tosto il cocchiodel Tidìde salito, in man si tolsele bellissime briglie, e col flagelloi corsieri percosse. In un balenogiunser d'Ettore a fronte, che dirittolor d'incontro venìa con gran tempesta.Trasse la lancia Dïomede, e il colpoerrò; ma su le poppe in mezzo al pettocolpì l'auriga Enïopèo, figliuolodell'inclito Tebèo. Cade il trafittogiù tra le rote colle briglie in pugno:s'arretrano i destrieri, e in quello statoperde ogni forza l'infelice, e spira.Del morto auriga addolorossi Ettorre,e mesto di lasciar quivi il compagno

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ti sta contra, o buon vecchio, e infermi tropposono i tuoi polsi: hai grave d'anni il dorso,hai debole l'auriga e i corridori.Monta il mio cocchio, e la virtù vedraidei cavalli di Troe, che dianzi io tolsid'Anchise al figlio, a maraviglia spertia fuggir ratti in campo e ad inseguire.Lascia cotesti agli scudieri in cura,drizziam questi ne' Teucri, e vegga Ettorres'anco in mia man la lancia è furibonda.Disse: né il veglio ricusò l'invito.Di Stènelo e del buon Eurimedonte,valorosi scudieri, egli al governocesse le sue puledre, e tosto il cocchiodel Tidìde salito, in man si tolsele bellissime briglie, e col flagelloi corsieri percosse. In un balenogiunser d'Ettore a fronte, che dirittolor d'incontro venìa con gran tempesta.Trasse la lancia Dïomede, e il colpoerrò; ma su le poppe in mezzo al pettocolpì l'auriga Enïopèo, figliuolodell'inclito Tebèo. Cade il trafittogiù tra le rote colle briglie in pugno:s'arretrano i destrieri, e in quello statoperde ogni forza l'infelice, e spira.Del morto auriga addolorossi Ettorre,e mesto di lasciar quivi il compagno

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nella polve disteso, un altro audacealla guida del carro iva cercando:né di rettor gran tempo ebber bisognoi suoi destrieri, ché gli occorse all'uopol'animoso Archepòlemo d'Ifito,cui sul carro montar fa senza indugio,e gli abbandona nella man le briglie.Immensa strage allora e fatti orrendifôran d'arme seguìti, e come agnellistati in Ilio sarìan racchiusi i Teucri,se de' Celesti il padre e de' mortalitosto di ciò non s'accorgea. Tonandocon gran fragore un fulmine roventevibrò nel campo il nume, e il fece in terraguizzar di Dïomede innanzi al cocchio:e subita n'uscìa d'ardente zolfouna terribil vampa. Spaventaticosternansi i destrier, scappan di manoa Nestore le briglie; onde al Tidìderivoltosi tremante; Ah piega, ei grida,piega indietro i cavalli, o Dïomede,fuggiam: nol vedi? contro noi combatteGiove irato, e a costui tutto dar vuoledi presente l'onor della battaglia.Darallo, se gli piace, un'altra voltaa noi pur: ma di Giove oltrapossenteil supremo voler forza non pate.Tutto ben parli, o vecchio, gli rispose

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nella polve disteso, un altro audacealla guida del carro iva cercando:né di rettor gran tempo ebber bisognoi suoi destrieri, ché gli occorse all'uopol'animoso Archepòlemo d'Ifito,cui sul carro montar fa senza indugio,e gli abbandona nella man le briglie.Immensa strage allora e fatti orrendifôran d'arme seguìti, e come agnellistati in Ilio sarìan racchiusi i Teucri,se de' Celesti il padre e de' mortalitosto di ciò non s'accorgea. Tonandocon gran fragore un fulmine roventevibrò nel campo il nume, e il fece in terraguizzar di Dïomede innanzi al cocchio:e subita n'uscìa d'ardente zolfouna terribil vampa. Spaventaticosternansi i destrier, scappan di manoa Nestore le briglie; onde al Tidìderivoltosi tremante; Ah piega, ei grida,piega indietro i cavalli, o Dïomede,fuggiam: nol vedi? contro noi combatteGiove irato, e a costui tutto dar vuoledi presente l'onor della battaglia.Darallo, se gli piace, un'altra voltaa noi pur: ma di Giove oltrapossenteil supremo voler forza non pate.Tutto ben parli, o vecchio, gli rispose

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l'imperturbato eroe; ma il cor mi cruciala dolorosa idea ch'Ettore un giornofra' Troiani dirà gonfio d'orgoglio:Io fugai Dïomede, io lo costrinsia scampar nelle navi. - Ei questo vantomenerà certo, e a me si fenda allorasotto i piedi la terra, e mi divori.E Nestore ripiglia: Ah che dicesti,valoroso Tidìde? E quando avvegnache un codardo, un imbelle Ettor ti chiami,i Troiani non già sel crederanno,né le troiane spose, a cui nell'atrapolve stendesti i floridi mariti.Disse; e addietro girò tosto i cavallitra la calca fuggendo. Ettore e i Teucricon urli orrendi li seguiro, e un nembopiovean su lor d'acerbi strali, ed altogridar s'udiva de' Troiani il duce:I cavalieri argivi, o Dïomede,e di seggio e di tazze e di vivandete finora onorâr su gli altri a mensa;ma deriso or n'andrai, che un cor palesidi femminetta. Via di qua, fanciulla;non salirai tu, no, fin ch'io respiro,d'Ilio le torri, né trarrai cattivele nostre mogli nelle navi, e mortoper la mia destra giacerai tu pria.Stettesi in forse a quel parlar l'eroe

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l'imperturbato eroe; ma il cor mi cruciala dolorosa idea ch'Ettore un giornofra' Troiani dirà gonfio d'orgoglio:Io fugai Dïomede, io lo costrinsia scampar nelle navi. - Ei questo vantomenerà certo, e a me si fenda allorasotto i piedi la terra, e mi divori.E Nestore ripiglia: Ah che dicesti,valoroso Tidìde? E quando avvegnache un codardo, un imbelle Ettor ti chiami,i Troiani non già sel crederanno,né le troiane spose, a cui nell'atrapolve stendesti i floridi mariti.Disse; e addietro girò tosto i cavallitra la calca fuggendo. Ettore e i Teucricon urli orrendi li seguiro, e un nembopiovean su lor d'acerbi strali, ed altogridar s'udiva de' Troiani il duce:I cavalieri argivi, o Dïomede,e di seggio e di tazze e di vivandete finora onorâr su gli altri a mensa;ma deriso or n'andrai, che un cor palesidi femminetta. Via di qua, fanciulla;non salirai tu, no, fin ch'io respiro,d'Ilio le torri, né trarrai cattivele nostre mogli nelle navi, e mortoper la mia destra giacerai tu pria.Stettesi in forse a quel parlar l'eroe

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di dar volta ai cavalli, e d'affrontarlo.Ben tre volte nel core e nella mentegliene corse il desìo, tre volte Gioverimormorò dall'Ida, e fe' securidella vittoria con quel segno i Teucri.Con orribile grido Ettore alloraanimando le schiere: O Licii, o Dardani,o Troiani, dicea, prodi compagni,mostratevi valenti, e fuor mettetele generose forze. Io non m'inganno,Giove è propizio; di vittoria a noie d'esizio a' nemici ei diede il segno.Stolti! che questo alzâr debile muro,troppo al nostro valor frale ritegno.Quella lor fossa varcheran d'un saltoi miei cavalli; e quando emerso a vistaio sarò delle navi, allor le faciministrarmi qualcun si risovvegna,ond'io que' legni incenda, e fra le vampesbalorditi dal fumo i Greci uccida.Poi conforta i destrieri, e sì lor parla:Xanto, Podargo, Etón, Lampo divino,mercé del largo cibo or mi rendete,che dell'illustre Eezïon la figliaAndromaca vi porge, il dolce io dicofrumento, e l'alma di Lïeo bevanda,ch'ella a voi mesce desïosi, a voipria che a me stesso che pur suo mi vanto

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di dar volta ai cavalli, e d'affrontarlo.Ben tre volte nel core e nella mentegliene corse il desìo, tre volte Gioverimormorò dall'Ida, e fe' securidella vittoria con quel segno i Teucri.Con orribile grido Ettore alloraanimando le schiere: O Licii, o Dardani,o Troiani, dicea, prodi compagni,mostratevi valenti, e fuor mettetele generose forze. Io non m'inganno,Giove è propizio; di vittoria a noie d'esizio a' nemici ei diede il segno.Stolti! che questo alzâr debile muro,troppo al nostro valor frale ritegno.Quella lor fossa varcheran d'un saltoi miei cavalli; e quando emerso a vistaio sarò delle navi, allor le faciministrarmi qualcun si risovvegna,ond'io que' legni incenda, e fra le vampesbalorditi dal fumo i Greci uccida.Poi conforta i destrieri, e sì lor parla:Xanto, Podargo, Etón, Lampo divino,mercé del largo cibo or mi rendete,che dell'illustre Eezïon la figliaAndromaca vi porge, il dolce io dicofrumento, e l'alma di Lïeo bevanda,ch'ella a voi mesce desïosi, a voipria che a me stesso che pur suo mi vanto

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giovine sposo. Or via, volate; andiamoalla conquista del nestòreo scudodi cui va il grido al cielo, e tutto il diced'auro perfetto, e d'auro anco la guiggia.Poi di dosso trarremo a Dïomedel'usbergo, esimia di Vulcan fatica.Se cotal preda ne riesce, io speroche ratti i Greci su le navi in questanotte medesma salperan dal lido.Del superbo parlar forte sdegnossil'augusta Giuno, e s'agitò sul tronosì che scosso tremonne il vasto Olimpo.Quindi rivolte le parole al grandedio Nettunno, sì disse: E sarà vero,possente Enosigèo, che degli Argivia pietà non ti mova la ruina!Pur son essi che in Elice ed in Egerècanti offerte graziose e molte.E perché dunque non vorrai tu lorola vittoria bramar? Certo se quantisiam difensori degli Achivi in cielovorrem de' Teucri rintuzzar l'orgoglioe al Tonante far forza, egli solettoe sconsolato sederà su l'Ida.Oh! che mai parli, temeraria Giuno?le rispose sdegnoso il re Nettunno:non sia, no mai, che col saturnio Giovea cozzar ne sospinga il nostro ardire;

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giovine sposo. Or via, volate; andiamoalla conquista del nestòreo scudodi cui va il grido al cielo, e tutto il diced'auro perfetto, e d'auro anco la guiggia.Poi di dosso trarremo a Dïomedel'usbergo, esimia di Vulcan fatica.Se cotal preda ne riesce, io speroche ratti i Greci su le navi in questanotte medesma salperan dal lido.Del superbo parlar forte sdegnossil'augusta Giuno, e s'agitò sul tronosì che scosso tremonne il vasto Olimpo.Quindi rivolte le parole al grandedio Nettunno, sì disse: E sarà vero,possente Enosigèo, che degli Argivia pietà non ti mova la ruina!Pur son essi che in Elice ed in Egerècanti offerte graziose e molte.E perché dunque non vorrai tu lorola vittoria bramar? Certo se quantisiam difensori degli Achivi in cielovorrem de' Teucri rintuzzar l'orgoglioe al Tonante far forza, egli solettoe sconsolato sederà su l'Ida.Oh! che mai parli, temeraria Giuno?le rispose sdegnoso il re Nettunno:non sia, no mai, che col saturnio Giovea cozzar ne sospinga il nostro ardire;

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rammenta ch'egli è onnipossente, e taci.Mentre seguìan tra lor queste parole,quanto intervallo dalle navi al murola fossa comprendea, tutto era densodi cavalli, di cocchi e di guerrieriivi dal fiero Ettòr serrati e chiusi,che simigliante al rapido Gradivoinfuriava col favor di Giove.E ben le navi avrìa messe in faville,se l'alma Giuno in cor d'Agamennóneil pensier non ponea di girne attornoratto egli stesso a incoraggiar gli Achivi.Per le tende egli dunque e per le navisollecito correa, raccolto il grandepurpureo manto nel robusto pugno:e cotal su la negra capitanad'Ulisse si fermò, che vasta il mezzodell'armata tenea, donde distintad'ogni parte mandar potea la vocefin d'Aiace e d'Achille al padiglione,che l'eguali lor prore ai lati estremi,nel valor delle braccia ambo securi,avean dedotte all'arenoso lido.Di là fec'egli rimbombar sul campoquest'alto grido: Svergognati Achivi,vitupèri nell'opre e sol d'aspettomaravigliosi! dove dunque andarogli alteri vanti che menammo un giorno

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rammenta ch'egli è onnipossente, e taci.Mentre seguìan tra lor queste parole,quanto intervallo dalle navi al murola fossa comprendea, tutto era densodi cavalli, di cocchi e di guerrieriivi dal fiero Ettòr serrati e chiusi,che simigliante al rapido Gradivoinfuriava col favor di Giove.E ben le navi avrìa messe in faville,se l'alma Giuno in cor d'Agamennóneil pensier non ponea di girne attornoratto egli stesso a incoraggiar gli Achivi.Per le tende egli dunque e per le navisollecito correa, raccolto il grandepurpureo manto nel robusto pugno:e cotal su la negra capitanad'Ulisse si fermò, che vasta il mezzodell'armata tenea, donde distintad'ogni parte mandar potea la vocefin d'Aiace e d'Achille al padiglione,che l'eguali lor prore ai lati estremi,nel valor delle braccia ambo securi,avean dedotte all'arenoso lido.Di là fec'egli rimbombar sul campoquest'alto grido: Svergognati Achivi,vitupèri nell'opre e sol d'aspettomaravigliosi! dove dunque andarogli alteri vanti che menammo un giorno

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di prodezza e di forza? In Lenno questefur le vostre burbanze allor che l'epav'empiean le polpe de' giovenchi uccisi,e le ricolme tazze inghirlandatesi venìan tracannando, e si diceache un sol per cento e per dugento Teucri,un sol Greco valea nella battaglia.Ed or tutti ne fuga un solo Ettorre,che ben tosto farà di queste navicenere e fumo. O Giove padre, e qualealtro mai re di tanti danni afflitto,di tanto disonor carco volesti?Pur io so ben, che quando a questo lidoil perverso destin mi conducea,giammai veruno de' tuoi santi altarinavigando lasciai sprezzato indietro;ma l'adipe a te sempre e i miglior fianchide' giovenchi abbruciai sovra ciascuno,bramoso d'atterrar l'iliache mura.Deh almen n'adempi questo voto, almenodanne, o Giove, uno scampo colla fuga,né per le mani del crudel Troianoconsentir degli Achivi un tanto scempio.Così dicea piangendo. Ebbe pietadedi sue lagrime il nume, e ad accennargliche non tutto il suo campo andrìa disfatto,il più sicuro de' volanti augurioun'aquila spedì che negli unghioni

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di prodezza e di forza? In Lenno questefur le vostre burbanze allor che l'epav'empiean le polpe de' giovenchi uccisi,e le ricolme tazze inghirlandatesi venìan tracannando, e si diceache un sol per cento e per dugento Teucri,un sol Greco valea nella battaglia.Ed or tutti ne fuga un solo Ettorre,che ben tosto farà di queste navicenere e fumo. O Giove padre, e qualealtro mai re di tanti danni afflitto,di tanto disonor carco volesti?Pur io so ben, che quando a questo lidoil perverso destin mi conducea,giammai veruno de' tuoi santi altarinavigando lasciai sprezzato indietro;ma l'adipe a te sempre e i miglior fianchide' giovenchi abbruciai sovra ciascuno,bramoso d'atterrar l'iliache mura.Deh almen n'adempi questo voto, almenodanne, o Giove, uno scampo colla fuga,né per le mani del crudel Troianoconsentir degli Achivi un tanto scempio.Così dicea piangendo. Ebbe pietadedi sue lagrime il nume, e ad accennargliche non tutto il suo campo andrìa disfatto,il più sicuro de' volanti augurioun'aquila spedì che negli unghioni

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tolto al covil della veloce madreun cerbiatto stringendo, accanto all'ara,ove l'ostie svenar solean gli Achivial fatidico Giove, dall'artigliocader lasciò la palpitante preda.Gli Achei veduto il sacro augel, cui spintoconobbero da Giove, ad affrontarsipiù coraggiosi ritornâr co' Teucri,e rinfrescâr la pugna. Allor nessunopria del Tidìde fra cotanti Argivivanto si diede d'agitar pel campoi veloci corsieri, ed oltre il fossocacciarli ed azzuffarsi. Egli primieroanzi a tutti si spinse, e a prima giuntaAgelao di Fradmon tolse di mezzouom troiano. Costui piegàti in fugai suoi destrieri avea. Coll'asta il tergogli raggiunse il Tidìde, gliela fissetra gli omeri, e passar la fece al petto.Cadde Agelao dal carro, e cupamentel'armi sovr'esso rintonâr. SecondoAgamennón si mosse, indi il fratello,indi gli Aiaci impetuosi, e poiIdomenèo con esso il suo scudieroMerïon che di Marte avea l'aspetto;poi d'Evemon l'illustre figlio Eurìpilo,ed ultimo giungea Teucro del curvoelastic'arco tenditor famoso.

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tolto al covil della veloce madreun cerbiatto stringendo, accanto all'ara,ove l'ostie svenar solean gli Achivial fatidico Giove, dall'artigliocader lasciò la palpitante preda.Gli Achei veduto il sacro augel, cui spintoconobbero da Giove, ad affrontarsipiù coraggiosi ritornâr co' Teucri,e rinfrescâr la pugna. Allor nessunopria del Tidìde fra cotanti Argivivanto si diede d'agitar pel campoi veloci corsieri, ed oltre il fossocacciarli ed azzuffarsi. Egli primieroanzi a tutti si spinse, e a prima giuntaAgelao di Fradmon tolse di mezzouom troiano. Costui piegàti in fugai suoi destrieri avea. Coll'asta il tergogli raggiunse il Tidìde, gliela fissetra gli omeri, e passar la fece al petto.Cadde Agelao dal carro, e cupamentel'armi sovr'esso rintonâr. SecondoAgamennón si mosse, indi il fratello,indi gli Aiaci impetuosi, e poiIdomenèo con esso il suo scudieroMerïon che di Marte avea l'aspetto;poi d'Evemon l'illustre figlio Eurìpilo,ed ultimo giungea Teucro del curvoelastic'arco tenditor famoso.

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D'Aiace Telamònio egli locossidietro lo scudo, e dello scudo Aiacegli antepose la mole. Ivi securol'eroe guatava intorno, e quando aveasaettato nel denso un inimico,quegli cadendo perdea l'alma, e questi,come fanciullo della madre al manto,ricovrava al fratel che alla grand'ombradello splendido scudo il proteggea.Or dall'egregio arcier chi de' Troianifu primo ucciso? Primamente Orsìloco,indi Ormeno e Ofeleste: a questi aggiunseDetore e Cromio, e per divin sembianteLicofonte lodato, e AmopaonePoliemonìde, e Melanippo, tuttil'un dopo l'altro nella polve stesi.Gioiva il re de' regi Agamennónemirandolo dall'arco vigorosolanciar la morte fra' nemici, e a luivicin venuto soffermossi, e disse:Diletto capo Telamònio Teucro,siegui l'arco a scoccar, porta, se puoi,a' Dànai un raggio di salute, e onorail tuo buon padre Telamon che un giornoti raccolse fanciullo, e benché fruttodi non giusto imeneo, pur con pietosotenero affetto in sua magion ti crebbe.Or tu fa ch'egli salga in alta fama,

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D'Aiace Telamònio egli locossidietro lo scudo, e dello scudo Aiacegli antepose la mole. Ivi securol'eroe guatava intorno, e quando aveasaettato nel denso un inimico,quegli cadendo perdea l'alma, e questi,come fanciullo della madre al manto,ricovrava al fratel che alla grand'ombradello splendido scudo il proteggea.Or dall'egregio arcier chi de' Troianifu primo ucciso? Primamente Orsìloco,indi Ormeno e Ofeleste: a questi aggiunseDetore e Cromio, e per divin sembianteLicofonte lodato, e AmopaonePoliemonìde, e Melanippo, tuttil'un dopo l'altro nella polve stesi.Gioiva il re de' regi Agamennónemirandolo dall'arco vigorosolanciar la morte fra' nemici, e a luivicin venuto soffermossi, e disse:Diletto capo Telamònio Teucro,siegui l'arco a scoccar, porta, se puoi,a' Dànai un raggio di salute, e onorail tuo buon padre Telamon che un giornoti raccolse fanciullo, e benché fruttodi non giusto imeneo, pur con pietosotenero affetto in sua magion ti crebbe.Or tu fa ch'egli salga in alta fama,

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sebben lontano. Ti prometto io poi(e sacra tieni la promessa mia)che se Giove e Minerva mi darannod'Ilio il conquisto, tu primier t'avraiil premio, dopo me, de' forti onore,ed in tua man porrollo io stesso, un tripode,o due cavalli ad un bel cocchio aggiunti,o di vaghe sembianze una fanciullache teco il letto e l'amor tuo divida.E Teucro gli rispose: Illustre Atride,a che mi sproni, per me stesso assaigià fervido e corrente? Io non rimangodi far qui tutto il mio poter. Dal puntoche verso la città li respingemmo,mi sto coll'arco ad aspettar costoro,e li trafiggo. E già ben otto acutidardi dal nervo liberai, che tuttiprofondamente si ficcâr nel corpodi giovani guerrieri, e non ancoraferir m'è dato questo can rabbioso.Disse; e di nuovo fe' volar dall'arcocontr'Ettore uno strale. Al colpo tuttaei l'anima diresse, e nondimenofallì la freccia, ché l'accolse in pettodi Prïamo un valente esimio figlioGorgizïon, cui d'Esima condottapartorì la gentil Castïanira,che una Diva parea nella persona.

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sebben lontano. Ti prometto io poi(e sacra tieni la promessa mia)che se Giove e Minerva mi darannod'Ilio il conquisto, tu primier t'avraiil premio, dopo me, de' forti onore,ed in tua man porrollo io stesso, un tripode,o due cavalli ad un bel cocchio aggiunti,o di vaghe sembianze una fanciullache teco il letto e l'amor tuo divida.E Teucro gli rispose: Illustre Atride,a che mi sproni, per me stesso assaigià fervido e corrente? Io non rimangodi far qui tutto il mio poter. Dal puntoche verso la città li respingemmo,mi sto coll'arco ad aspettar costoro,e li trafiggo. E già ben otto acutidardi dal nervo liberai, che tuttiprofondamente si ficcâr nel corpodi giovani guerrieri, e non ancoraferir m'è dato questo can rabbioso.Disse; e di nuovo fe' volar dall'arcocontr'Ettore uno strale. Al colpo tuttaei l'anima diresse, e nondimenofallì la freccia, ché l'accolse in pettodi Prïamo un valente esimio figlioGorgizïon, cui d'Esima condottapartorì la gentil Castïanira,che una Diva parea nella persona.

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Come carco talor del proprio frutto,e di troppa rugiada a primaverail papaver nell'orto il capo abbassa,così la testa dell'elmo gravatasu la spalla chinò quell'infelice.E Teucro dalla corda ecco sprigionaalla volta d'Ettorre altra saetta,più che mai del suo sangue sitibondo.E pur di nuovo uscì lo strale in fallo,ché Apollo il devïò, ma colse al pettod'Ettòr l'audace bellicoso aurigaArchepòlemo presso alla mammella.Cadde ei rovescio giù dal cocchio, addietrosi piegaro i cavalli, e quivi a luiil cor ghiacciossi, e l'anima si sciolse.Di quella morte gravemente afflittoil teucro duce, e di lasciar costretto,mal suo grado, l'amico, a Cebrïonedi lui fratello che il seguìa, fe' cennodi dar mano alle briglie. Ad obbedirloCebrïon non fu lento; ed ei d'un saltodallo splendido cocchio al suol discesocon terribile grido un sasso afferra,a Teucro s'addirizza, e di ferirlol'infiammava il desìo. Teucro in quel puntotraeva un altro doloroso telodalla faretra, e lo ponea sul nervo.Mentre alla spalla lo ritragge in fretta,

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Come carco talor del proprio frutto,e di troppa rugiada a primaverail papaver nell'orto il capo abbassa,così la testa dell'elmo gravatasu la spalla chinò quell'infelice.E Teucro dalla corda ecco sprigionaalla volta d'Ettorre altra saetta,più che mai del suo sangue sitibondo.E pur di nuovo uscì lo strale in fallo,ché Apollo il devïò, ma colse al pettod'Ettòr l'audace bellicoso aurigaArchepòlemo presso alla mammella.Cadde ei rovescio giù dal cocchio, addietrosi piegaro i cavalli, e quivi a luiil cor ghiacciossi, e l'anima si sciolse.Di quella morte gravemente afflittoil teucro duce, e di lasciar costretto,mal suo grado, l'amico, a Cebrïonedi lui fratello che il seguìa, fe' cennodi dar mano alle briglie. Ad obbedirloCebrïon non fu lento; ed ei d'un saltodallo splendido cocchio al suol discesocon terribile grido un sasso afferra,a Teucro s'addirizza, e di ferirlol'infiammava il desìo. Teucro in quel puntotraeva un altro doloroso telodalla faretra, e lo ponea sul nervo.Mentre alla spalla lo ritragge in fretta,

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e l'inimico adocchia, il sopraggiungecrollando l'elmo Ettorre, e dove il collos'innesta al petto ed è letale il sito,coll'aspro sasso il coglie, e rotto il nervogl'intorpidisce il braccio. Dalle dital'arco gli fugge, e sul ginocchio ei casca.Il caduto fratello in abbandonoAiace non lasciò, ma ratto accorse,e col proteso scudo il ricoprìa,finché lo si recâr sovra le spalledue suoi cari compagni, Mecistèod'Echìo figliuolo, e il nobile Alastorre,e alle navi il portâr che gravementesospirava e gemea. Ne' Teucri alloradi nuovo suscitò l'Olimpio Giovetal forza e lena, che al profondo fossodirittamente ricacciâr gli Achei.Iva Ettorre alla testa, e dalle trucisue pupille mettea lampi e paura.Qual fiero alano che ne' presti piediconfidando, un cinghial da tergo assalta,od un lïone, e al suo voltarsi attentoor le cluni gli addenta, ora la coscia;così gli Achivi insegue Ettorre, e sempreuccidendo il postremo li disperde.Ma poiché l'alto fosso ed il palizzoebber varcato i fuggitivi, e moltiil troiano valor n'avea già spenti,

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e l'inimico adocchia, il sopraggiungecrollando l'elmo Ettorre, e dove il collos'innesta al petto ed è letale il sito,coll'aspro sasso il coglie, e rotto il nervogl'intorpidisce il braccio. Dalle dital'arco gli fugge, e sul ginocchio ei casca.Il caduto fratello in abbandonoAiace non lasciò, ma ratto accorse,e col proteso scudo il ricoprìa,finché lo si recâr sovra le spalledue suoi cari compagni, Mecistèod'Echìo figliuolo, e il nobile Alastorre,e alle navi il portâr che gravementesospirava e gemea. Ne' Teucri alloradi nuovo suscitò l'Olimpio Giovetal forza e lena, che al profondo fossodirittamente ricacciâr gli Achei.Iva Ettorre alla testa, e dalle trucisue pupille mettea lampi e paura.Qual fiero alano che ne' presti piediconfidando, un cinghial da tergo assalta,od un lïone, e al suo voltarsi attentoor le cluni gli addenta, ora la coscia;così gli Achivi insegue Ettorre, e sempreuccidendo il postremo li disperde.Ma poiché l'alto fosso ed il palizzoebber varcato i fuggitivi, e moltiil troiano valor n'avea già spenti,

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giunti alle navi si fermaro, e insiememettendosi coraggio, e a tutti i numisollevando le man spingea ciascunocon alta voce le preghiere al cielo.Signor del campo d'ogni parte intantoagitava i destrieri il grande Ettorredi bel crine superbi, e rotar biecole luci si vedea come il Gorgóne,o come Marte che nel sangue esulta.Impietosita degli Achei la biancaGiuno a Minerva si rivolse, e disse:Invitta figlia dell'Egìoco Giove,dunque, ohimè! non vorremo aver più nullopensier de' Greci già cadenti, almenonell'estremo lor punto? Eccoli tuttil'empio lor fato a consumar viciniper l'impeto d'un sol, del fiero Ettorreche in suo furore intollerando omaipassa ogni modo, e ne fa troppe offese!A cui la Diva dalle glauche luciMinerva rispondea: Certo perdutaavrìa costui la furia e l'alma ancora,a giacer posto nella patria terradal valor degli Achei; ma quel mio padredi sdegnosi pensier calda ha la mente,sempre avverso, e de' miei forti disegniacerbo correttor; né si rimembraquante volte servar gli seppi il figlio

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giunti alle navi si fermaro, e insiememettendosi coraggio, e a tutti i numisollevando le man spingea ciascunocon alta voce le preghiere al cielo.Signor del campo d'ogni parte intantoagitava i destrieri il grande Ettorredi bel crine superbi, e rotar biecole luci si vedea come il Gorgóne,o come Marte che nel sangue esulta.Impietosita degli Achei la biancaGiuno a Minerva si rivolse, e disse:Invitta figlia dell'Egìoco Giove,dunque, ohimè! non vorremo aver più nullopensier de' Greci già cadenti, almenonell'estremo lor punto? Eccoli tuttil'empio lor fato a consumar viciniper l'impeto d'un sol, del fiero Ettorreche in suo furore intollerando omaipassa ogni modo, e ne fa troppe offese!A cui la Diva dalle glauche luciMinerva rispondea: Certo perdutaavrìa costui la furia e l'alma ancora,a giacer posto nella patria terradal valor degli Achei; ma quel mio padredi sdegnosi pensier calda ha la mente,sempre avverso, e de' miei forti disegniacerbo correttor; né si rimembraquante volte servar gli seppi il figlio

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dai duri d'Euristèo comandi oppresso.Ei lagrimava lamentoso al cielo,e me dal cielo allora ad aïtarloGiove spediva. Ma se il cor prudentedetto m'avesse le presenti cose,quando alle ferree porte il suo tirannol'invïò dell'Averno a trar dal negroErebo il can dell'abborrito Pluto,ei, no, scampato non avrìa di Stigela profonda fiumana. Or m'odia il padre,e di Teti adempir cerca le brame,che lusinghiera gli baciò il ginocchio,e accarezzògli colla destra il mento,d'onorar supplicandolo il Pelìdedelle cittadi atterrator. Ma tempo,sì, verrà tempo che la sua dilettaGlaucòpide a chiamarmi egli ritorni.Or tu vanne, ed il carro m'apparecchiaco' veloci cornipedi, ché tostoio ne vo dentro alle paterne stanze,e dell'armi mi vesto per la pugna.Vedrem se questo Ettòr, che sì superbocrolla il cimiero, riderà quand'ionel folto apparirò della battaglia.Qualcun per certo de' Troiani ancorapresso le navi achee satolli e pinguidi sue polpe farà cani ed augelli.Disse; né Giuno ricusò, ma corse

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dai duri d'Euristèo comandi oppresso.Ei lagrimava lamentoso al cielo,e me dal cielo allora ad aïtarloGiove spediva. Ma se il cor prudentedetto m'avesse le presenti cose,quando alle ferree porte il suo tirannol'invïò dell'Averno a trar dal negroErebo il can dell'abborrito Pluto,ei, no, scampato non avrìa di Stigela profonda fiumana. Or m'odia il padre,e di Teti adempir cerca le brame,che lusinghiera gli baciò il ginocchio,e accarezzògli colla destra il mento,d'onorar supplicandolo il Pelìdedelle cittadi atterrator. Ma tempo,sì, verrà tempo che la sua dilettaGlaucòpide a chiamarmi egli ritorni.Or tu vanne, ed il carro m'apparecchiaco' veloci cornipedi, ché tostoio ne vo dentro alle paterne stanze,e dell'armi mi vesto per la pugna.Vedrem se questo Ettòr, che sì superbocrolla il cimiero, riderà quand'ionel folto apparirò della battaglia.Qualcun per certo de' Troiani ancorapresso le navi achee satolli e pinguidi sue polpe farà cani ed augelli.Disse; né Giuno ricusò, ma corse

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ai divini cavalli, e d'auree bardein fretta li guarnìa, Giuno la figliadel gran Saturno, veneranda Diva.D'altra parte Minerva il rabescatosuo bellissimo peplo, delle stesseimmortali sue dita opra stupenda,sul pavimento dell'Egìoco padrelasciò cader diffuso; ed indossandodel nimbifero Giove il grande usbergo,tutta s'armava a lagrimosa pugna.Sul rilucente cocchio indi salitaimpugnò la pesante e poderosagran lancia, ond'ella, allor che monta in ira,di forte genitor figlia tremenda,le schiere degli eroi rovescia e doma.Stimolava Giunon velocementecolla sferza i destrieri, e tosto fûroalle celesti soglie, a cui custodivegliano l'Ore che il maggior de' cielihanno in cura e l'Olimpo, onde sgombrarloo circondarlo della sacra nube.Cigolando s'aprîr per sé medesmel'eteree porte, e docili al flagellospinser per queste i corridor le Dive.Come Giove dal Gàrgaro le vide,forte sdegnossi, ed Iri a sé chiamandoali-dorata Dea, Vola, le disse,Iri veloce, le rivolgi indietro,

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ai divini cavalli, e d'auree bardein fretta li guarnìa, Giuno la figliadel gran Saturno, veneranda Diva.D'altra parte Minerva il rabescatosuo bellissimo peplo, delle stesseimmortali sue dita opra stupenda,sul pavimento dell'Egìoco padrelasciò cader diffuso; ed indossandodel nimbifero Giove il grande usbergo,tutta s'armava a lagrimosa pugna.Sul rilucente cocchio indi salitaimpugnò la pesante e poderosagran lancia, ond'ella, allor che monta in ira,di forte genitor figlia tremenda,le schiere degli eroi rovescia e doma.Stimolava Giunon velocementecolla sferza i destrieri, e tosto fûroalle celesti soglie, a cui custodivegliano l'Ore che il maggior de' cielihanno in cura e l'Olimpo, onde sgombrarloo circondarlo della sacra nube.Cigolando s'aprîr per sé medesmel'eteree porte, e docili al flagellospinser per queste i corridor le Dive.Come Giove dal Gàrgaro le vide,forte sdegnossi, ed Iri a sé chiamandoali-dorata Dea, Vola, le disse,Iri veloce, le rivolgi indietro,

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e lor divieta il venir oltre mecoad inegual cimento. Io lo protesto,e il fatto seguirà le mie parole,io loro fiaccherò sotto la bigai corridori, e dall'infranto cocchiobalzerò le superbe, e delle piagheche loro impresse lascerà il mio telo,né pur due lustri salderanno il solco.Saprà Minerva allor qual sia stoltezzail cimentarsi col suo padre in guerra.Quanto a Giunon, m'è forza esser con ellameno irato: gli è questo il suo costumedi sempre attraversarmi ogni disegno.Disse; ed Iri a portar l'alto messaggiomosse veloce al par delle procelle;ed ascesa dall'Ida al grande Olimpodi molti gioghi altero, e su le soglieincontrate le Dee, sì le rattenne,e lor di Giove le parole espose:Dove correte? Che furore è questo?Sostate il piè, ché il dar soccorso ai Grecinol vi consente Giove. Le minaccedell'alto figlio di Saturno udite,che fian messe ad effetto. Ei sotto il carrostorpieravvi i destrieri, e dall'infrantocarro voi stesse balzerà, né diecianni le piaghe salderan che impresselasceravvi il suo telo; e tu, Minerva,

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e lor divieta il venir oltre mecoad inegual cimento. Io lo protesto,e il fatto seguirà le mie parole,io loro fiaccherò sotto la bigai corridori, e dall'infranto cocchiobalzerò le superbe, e delle piagheche loro impresse lascerà il mio telo,né pur due lustri salderanno il solco.Saprà Minerva allor qual sia stoltezzail cimentarsi col suo padre in guerra.Quanto a Giunon, m'è forza esser con ellameno irato: gli è questo il suo costumedi sempre attraversarmi ogni disegno.Disse; ed Iri a portar l'alto messaggiomosse veloce al par delle procelle;ed ascesa dall'Ida al grande Olimpodi molti gioghi altero, e su le soglieincontrate le Dee, sì le rattenne,e lor di Giove le parole espose:Dove correte? Che furore è questo?Sostate il piè, ché il dar soccorso ai Grecinol vi consente Giove. Le minaccedell'alto figlio di Saturno udite,che fian messe ad effetto. Ei sotto il carrostorpieravvi i destrieri, e dall'infrantocarro voi stesse balzerà, né diecianni le piaghe salderan che impresselasceravvi il suo telo; e tu, Minerva,

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allor saprai qual sia demenza il fartial tuo padre nemica. Né con Giuno,sempre usata a turbargli ogni disegno,tanto s'adira, ei no, quanto con teco,invereconda audace Dea, che ardiscicontra il Tonante sollevar la lancia.Disse, e ratta sparì la messaggiera.Ed a Minerva allor con questi accentiGiuno si volse: Ohimè! più non si parli,figlia di Giove, di pugnar con essoper cagion de' mortali: io nol consento.Di loro altri si muoia, altri si viva,come piace alla sorte; e Giove intanto,come dispon suo senno e sua giustizia,fra i Troiani e gli Achei tempri il destino.Sì dicendo la Dea ritorse indietroi criniti destrieri, e l'Ore ancelleli distaccâr dal giogo, e li legaroai nettarei presepi, ed il bel cocchioappoggiaro alla lucida parete.Si raccolser le Dive in aureo seggiocon gli altri Dei confuse; e Giove intantodal Gàrgaro all'Olimpo i corridorie le fulgide ruote alto spingea.Giunto alle case de' Celesti, a luisciolse i corsieri l'inclito Nettunno,rimesse il cocchio, e lo coprì d'un velo.Giove sul trono si compose e tutto

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allor saprai qual sia demenza il fartial tuo padre nemica. Né con Giuno,sempre usata a turbargli ogni disegno,tanto s'adira, ei no, quanto con teco,invereconda audace Dea, che ardiscicontra il Tonante sollevar la lancia.Disse, e ratta sparì la messaggiera.Ed a Minerva allor con questi accentiGiuno si volse: Ohimè! più non si parli,figlia di Giove, di pugnar con essoper cagion de' mortali: io nol consento.Di loro altri si muoia, altri si viva,come piace alla sorte; e Giove intanto,come dispon suo senno e sua giustizia,fra i Troiani e gli Achei tempri il destino.Sì dicendo la Dea ritorse indietroi criniti destrieri, e l'Ore ancelleli distaccâr dal giogo, e li legaroai nettarei presepi, ed il bel cocchioappoggiaro alla lucida parete.Si raccolser le Dive in aureo seggiocon gli altri Dei confuse; e Giove intantodal Gàrgaro all'Olimpo i corridorie le fulgide ruote alto spingea.Giunto alle case de' Celesti, a luisciolse i corsieri l'inclito Nettunno,rimesse il cocchio, e lo coprì d'un velo.Giove sul trono si compose e tutto

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tremò sotto il suo piè l'immenso Olimpo.Ma Minerva e Giunon sole in dispartesedean, né motto né dimanda a Gioveardìan veruna indirizzar. S'avvidede' lor pensieri il nume, e così disse:Perché sì meste, o voi Minerva e Giuno?e' non si par che molto affaticatev'abbia finor la glorïosa pugnain esizio de' Teucri, a cui sì graveodio poneste. E v'è di mente uscitoche invitto è il braccio mio? che quanti ha numiil ciel, cangiare il mio voler non ponno?A voi bensì le delicate membraprese un freddo tremor pria che la guerrapur contemplaste, e della guerra i duriesperimenti. Io vel dichiaro (e fôragià seguìto l'effetto) che percossedalla folgore mia, no, non v'avrebbeil vostro cocchio ricondotte al cielo,albergo degli Eterni. - Il Dio sì disse,e in secreto fremean Minerva e Giunosedendosi vicino, ed ai Troianimeditando nel cor alte sciagure.Stette muta Minerva, e contra il padrel'acerbo che l'ardea sdegno represse;ma sciolto all'ira il fren Giuno rispose:Tremendissimo Giove, e che dicesti?Ben anco a noi la tua possanza invitta

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tremò sotto il suo piè l'immenso Olimpo.Ma Minerva e Giunon sole in dispartesedean, né motto né dimanda a Gioveardìan veruna indirizzar. S'avvidede' lor pensieri il nume, e così disse:Perché sì meste, o voi Minerva e Giuno?e' non si par che molto affaticatev'abbia finor la glorïosa pugnain esizio de' Teucri, a cui sì graveodio poneste. E v'è di mente uscitoche invitto è il braccio mio? che quanti ha numiil ciel, cangiare il mio voler non ponno?A voi bensì le delicate membraprese un freddo tremor pria che la guerrapur contemplaste, e della guerra i duriesperimenti. Io vel dichiaro (e fôragià seguìto l'effetto) che percossedalla folgore mia, no, non v'avrebbeil vostro cocchio ricondotte al cielo,albergo degli Eterni. - Il Dio sì disse,e in secreto fremean Minerva e Giunosedendosi vicino, ed ai Troianimeditando nel cor alte sciagure.Stette muta Minerva, e contra il padrel'acerbo che l'ardea sdegno represse;ma sciolto all'ira il fren Giuno rispose:Tremendissimo Giove, e che dicesti?Ben anco a noi la tua possanza invitta

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è manifesta; ma pietà ne prendedei dannati a perir miseri Achei.Noi certo l'armi lascerem, se questoè il tuo strano voler; ma nondimenoqualche ai Greci daremo util consiglio,onde non tutti il tuo furor li spegna.E Giove replicò: Più fiero ancoravedrai dimani, se t'aggrada, o moglie,l'onnipotente di Saturno figliodell'esercito achèo struggere il fiore.Perocché dalla pugna il forte Ettorrenon pria desisterà, che finalmentel'ozïosa si svegli ira d'Achilleil dì che in gran periglio appo le navicombatterassi per Patròclo ucciso.Tal de' fati è il voler, né de' tuoi sdegnisollecito son io, no, s'anco ai mutidella terra e del mar confini estremiandar ti piaccia, nel rimoto esigliodi Giapeto e Saturno, che nel cupoTartaro chiusi né il superno raggiodel Sole, né di vento aura ricrea;no, se tant'oltre pure il tuo dispettovagabonda ti porti, io non ti curo,poiché d'ogni pudor possasti il segno.Tacque; né Giuno osò pure d'un dettofargli risposta. In grembo al mar frattantola splendida cadea lampa del Sole

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è manifesta; ma pietà ne prendedei dannati a perir miseri Achei.Noi certo l'armi lascerem, se questoè il tuo strano voler; ma nondimenoqualche ai Greci daremo util consiglio,onde non tutti il tuo furor li spegna.E Giove replicò: Più fiero ancoravedrai dimani, se t'aggrada, o moglie,l'onnipotente di Saturno figliodell'esercito achèo struggere il fiore.Perocché dalla pugna il forte Ettorrenon pria desisterà, che finalmentel'ozïosa si svegli ira d'Achilleil dì che in gran periglio appo le navicombatterassi per Patròclo ucciso.Tal de' fati è il voler, né de' tuoi sdegnisollecito son io, no, s'anco ai mutidella terra e del mar confini estremiandar ti piaccia, nel rimoto esigliodi Giapeto e Saturno, che nel cupoTartaro chiusi né il superno raggiodel Sole, né di vento aura ricrea;no, se tant'oltre pure il tuo dispettovagabonda ti porti, io non ti curo,poiché d'ogni pudor possasti il segno.Tacque; né Giuno osò pure d'un dettofargli risposta. In grembo al mar frattantola splendida cadea lampa del Sole

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l'atra notte traendo su la terra.Della luce l'occaso i Teucri afflisse,ma pregata più volte e sospiratasovraggiunse agli Achei l'ombra notturna.Fuor del campo navale Ettore allorai Troiani ritrasse in su la rivadel rapido Scamandro, ed in pianurada' cadaveri sgombra a parlamentochiamolli; ed essi dismontâr dai cocchi,e affollati dintorno al gran guerrierocura di Giove, a sue parole attentiporgean gli orecchi. Una grand'asta in pugnodi ben undici cubiti sostiene:tutta di bronzo folgora la punta,e d'oro un cerchio le discorre intorno.Appoggiato su questa, così disse:Dardani, Teucri, Collegati, udite:io poc'anzi sperai ch'arse le navie distrutti gli Argivi a Troia avremmofatto ritorno. Ma sì bella spemene rapîr le tenèbre invidiose,che inopportune sul cruento lidosalvâr le navi e i paurosi Achei.Obbediamo alle negre ombre nemiche,apparecchiam le cene. Ognun dal temosciolga i cavalli, e liberal sia lorodi largo cibo. Di voi parte intantoalla città si affretti, e pingui agnelle

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l'atra notte traendo su la terra.Della luce l'occaso i Teucri afflisse,ma pregata più volte e sospiratasovraggiunse agli Achei l'ombra notturna.Fuor del campo navale Ettore allorai Troiani ritrasse in su la rivadel rapido Scamandro, ed in pianurada' cadaveri sgombra a parlamentochiamolli; ed essi dismontâr dai cocchi,e affollati dintorno al gran guerrierocura di Giove, a sue parole attentiporgean gli orecchi. Una grand'asta in pugnodi ben undici cubiti sostiene:tutta di bronzo folgora la punta,e d'oro un cerchio le discorre intorno.Appoggiato su questa, così disse:Dardani, Teucri, Collegati, udite:io poc'anzi sperai ch'arse le navie distrutti gli Argivi a Troia avremmofatto ritorno. Ma sì bella spemene rapîr le tenèbre invidiose,che inopportune sul cruento lidosalvâr le navi e i paurosi Achei.Obbediamo alle negre ombre nemiche,apparecchiam le cene. Ognun dal temosciolga i cavalli, e liberal sia lorodi largo cibo. Di voi parte intantoalla città si affretti, e pingui agnelle

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e giovenchi n'adduca, e di Lïeoe di Cerere il frutto almo e gradito.Sian di secche boscaglie anco raccolteabbondanti cataste, e si cosparga,finché regna la notte e l'alba arriva,tutto di fuochi il campo e il ciel di luce,onde dell'ombre nel silenzio i Grecinon prendano del mar su l'ampio dorsotaciturni la fuga; o i legni almenonon salgano tranquilli, e la partenzasenza terror non sia; ma nell'imbarcoo di lancia piagato o di saettavada più d'uno alle paterne casea curar la ferita, e rechi ai figlil'orror de' Teucri, e così loro insegnia non tentarli con funesta guerra.Voi cari a Giove diligenti araldi,per la città frattanto ite, e banditeche i canuti vegliardi, e i giovinettia cui le guance il primo pelo infiora,custodiscan le mura in su gli spaldidagli Dei fabbricati. Entro le caseallumino gran fuoco anco le donne,e stazïon vi sia di sentinelle,onde, sendo noi lungi, ostile insidianell'inerme città non s'introduca.Quanto or dico s'adémpia, e non fia vano,magnanimi compagni, il mio consiglio.

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e giovenchi n'adduca, e di Lïeoe di Cerere il frutto almo e gradito.Sian di secche boscaglie anco raccolteabbondanti cataste, e si cosparga,finché regna la notte e l'alba arriva,tutto di fuochi il campo e il ciel di luce,onde dell'ombre nel silenzio i Grecinon prendano del mar su l'ampio dorsotaciturni la fuga; o i legni almenonon salgano tranquilli, e la partenzasenza terror non sia; ma nell'imbarcoo di lancia piagato o di saettavada più d'uno alle paterne casea curar la ferita, e rechi ai figlil'orror de' Teucri, e così loro insegnia non tentarli con funesta guerra.Voi cari a Giove diligenti araldi,per la città frattanto ite, e banditeche i canuti vegliardi, e i giovinettia cui le guance il primo pelo infiora,custodiscan le mura in su gli spaldidagli Dei fabbricati. Entro le caseallumino gran fuoco anco le donne,e stazïon vi sia di sentinelle,onde, sendo noi lungi, ostile insidianell'inerme città non s'introduca.Quanto or dico s'adémpia, e non fia vano,magnanimi compagni, il mio consiglio.

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Dirò dimani ciò che far ne resta.Spero ben io, se Giove e gli altri Eterniavrem propizi, di cacciarne lungicotesti cani da funesto fatoqua su le prore addutti. Or per la nottecustodiamo noi stessi. Al primo raggiodel nuovo giorno in tutto punto armatidesteremo sul lido acre conflitto;vedrem se Dïomede, questo fortefigliuolo di Tidèo, respingerammidalle navi alle mura, o s'io coll'astasaprò passargli il fianco, e via portarnele sanguinose spoglie. Egli dimanimanifesto farà se sua prodezzatal sia che possa di mia lancia il duroassalto sostener. Ma se fallacenon è mia speme, ei giacerà tra' primispento con molti de' compagni intorno,ei sì, dimani, all'apparir del Sole.Così immortal foss'io, né mai vecchiezzavïolasse i miei giorni, ed onoratofoss'io del par che Pallade ed Apollo,come fatale ai Greci è il dì futuro.Tal fu d'Ettorre il favellar superbo,e gli fêr plauso i Teucri. Immantinentesciolsero dal timone i polverosidestrier sudati, e colle briglie al carrogli annodò ciascheduno. Indi menaro

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Dirò dimani ciò che far ne resta.Spero ben io, se Giove e gli altri Eterniavrem propizi, di cacciarne lungicotesti cani da funesto fatoqua su le prore addutti. Or per la nottecustodiamo noi stessi. Al primo raggiodel nuovo giorno in tutto punto armatidesteremo sul lido acre conflitto;vedrem se Dïomede, questo fortefigliuolo di Tidèo, respingerammidalle navi alle mura, o s'io coll'astasaprò passargli il fianco, e via portarnele sanguinose spoglie. Egli dimanimanifesto farà se sua prodezzatal sia che possa di mia lancia il duroassalto sostener. Ma se fallacenon è mia speme, ei giacerà tra' primispento con molti de' compagni intorno,ei sì, dimani, all'apparir del Sole.Così immortal foss'io, né mai vecchiezzavïolasse i miei giorni, ed onoratofoss'io del par che Pallade ed Apollo,come fatale ai Greci è il dì futuro.Tal fu d'Ettorre il favellar superbo,e gli fêr plauso i Teucri. Immantinentesciolsero dal timone i polverosidestrier sudati, e colle briglie al carrogli annodò ciascheduno. Indi menaro

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pecore e buoi dalla cittade in fretta.Altri vien carco di nettareo vino,altri di cibo cereale; ed altricataste aduna di virgulti e tronchi.Rapìan l'odor delle vivande i ventida tutto il campo, e lo spargeano al cielo.Ed essi gonfi di baldanza, e in tormebelliche assisi dispendean la notte,tutta empiendo di fuochi la campagna.Siccome quando in ciel tersa è la Luna,e tremole e vezzose a lei dintornosfavillano le stelle, allor che l'ariaè senza vento, ed allo sguardo tuttesi scuoprono le torri e le forestee le cime de' monti; immenso e purol'etra si spande, gli astri tutti il voltorivelano ridenti, e in cor ne godel'attonito pastor: tali al vederli,e altrettanti apparìan de' Teucri i fuochitra le navi e del Xanto le correntisotto il muro di Troia. Erano milleche di gran fiamma interrompeano il campo,e cinquanta guerrieri a ciaschedunosedeansi al lume delle vampe ardenti.Presso i carri frattanto orzo ed avenai cavalli pascevano, aspettandoche dal bel trono suo l'Alba sorgesse.

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pecore e buoi dalla cittade in fretta.Altri vien carco di nettareo vino,altri di cibo cereale; ed altricataste aduna di virgulti e tronchi.Rapìan l'odor delle vivande i ventida tutto il campo, e lo spargeano al cielo.Ed essi gonfi di baldanza, e in tormebelliche assisi dispendean la notte,tutta empiendo di fuochi la campagna.Siccome quando in ciel tersa è la Luna,e tremole e vezzose a lei dintornosfavillano le stelle, allor che l'ariaè senza vento, ed allo sguardo tuttesi scuoprono le torri e le forestee le cime de' monti; immenso e purol'etra si spande, gli astri tutti il voltorivelano ridenti, e in cor ne godel'attonito pastor: tali al vederli,e altrettanti apparìan de' Teucri i fuochitra le navi e del Xanto le correntisotto il muro di Troia. Erano milleche di gran fiamma interrompeano il campo,e cinquanta guerrieri a ciaschedunosedeansi al lume delle vampe ardenti.Presso i carri frattanto orzo ed avenai cavalli pascevano, aspettandoche dal bel trono suo l'Alba sorgesse.

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Libro Nono

Queste de' Teucri eran le veglie. Intantodel gelido Terror negra compagnala Fuga, dagli Dei ne' petti infusa,l'achivo campo possedea. Percossoda profonda tristezza era di tuttii più forti lo spirto; e in quella guisache il pescoso Oceàno si rabbuffa,quando improvviso dalla tracia tanadi Ponente sorgiunge e d'Aquilonel'impetuoso soffio; alto s'estollel'onda, e si sparge di molt'alga il lido:tale è l'interna degli Achei tempesta.Sovra ogni altro l'Atride addoloratodi qua, di là s'aggira, ed agli araldicomanda di chiamar tutti in segretoad uno ad uno i duci a parlamento.Come fûro adunati, e mesti in voltos'assisero, levossi Agamennóne.Lagrimava simìle a cupo fonteche tenebrosi da scoscesa rupeversa i suoi rivi; e dal profondo senomesso un sospiro, cominciò: Dilettiprincipi Argivi, in una ria sciaguraGiove m'avvolse. Dispietato! ei prima

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Libro Nono

Queste de' Teucri eran le veglie. Intantodel gelido Terror negra compagnala Fuga, dagli Dei ne' petti infusa,l'achivo campo possedea. Percossoda profonda tristezza era di tuttii più forti lo spirto; e in quella guisache il pescoso Oceàno si rabbuffa,quando improvviso dalla tracia tanadi Ponente sorgiunge e d'Aquilonel'impetuoso soffio; alto s'estollel'onda, e si sparge di molt'alga il lido:tale è l'interna degli Achei tempesta.Sovra ogni altro l'Atride addoloratodi qua, di là s'aggira, ed agli araldicomanda di chiamar tutti in segretoad uno ad uno i duci a parlamento.Come fûro adunati, e mesti in voltos'assisero, levossi Agamennóne.Lagrimava simìle a cupo fonteche tenebrosi da scoscesa rupeversa i suoi rivi; e dal profondo senomesso un sospiro, cominciò: Dilettiprincipi Argivi, in una ria sciaguraGiove m'avvolse. Dispietato! ei prima

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mi promise e giurò che al suol prostrated'Ilio le mura, glorïoso in Argoavrei fatto ritorno; ed or mi frodaindegnamente, e dopo tante in guerraestinte vite, di partir m'imponeinonorato. Il piacimento è questodel prepotente nume, che già moltespianò cittadi eccelse, e molte ancorane spianerà, ché immenso è il suo potere.Dunque al mio detto obbediam tutti, al ventodiam le vele, fuggiamo alla dilettapaterna terra, ché dell'alta Troialo sperato conquisto è vana impresa.Ammutîr tutti a queste voci, e in cupolungo silenzio si restâr dolentii figli degli Achei. Lo ruppe alfineil bellicoso Dïomede, e disse:Atride, al torto tuo parlar col verolibero dir, che in libero consessolice ad ognun, risponderò. Tu m'odisenza disdegno. Osasti, e fosti il primo,alla presenza degli Achei pur dianzivituperarmi, e imbelle dirmi, e privod'ogni coraggio, e l'udîr tutti. Or iodico a te di rimando, che se Giovel'un ti diè de' suoi doni, l'onor sommodello scettro su noi, non ti concessel'altro più grande che lo scettro, il core.

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mi promise e giurò che al suol prostrated'Ilio le mura, glorïoso in Argoavrei fatto ritorno; ed or mi frodaindegnamente, e dopo tante in guerraestinte vite, di partir m'imponeinonorato. Il piacimento è questodel prepotente nume, che già moltespianò cittadi eccelse, e molte ancorane spianerà, ché immenso è il suo potere.Dunque al mio detto obbediam tutti, al ventodiam le vele, fuggiamo alla dilettapaterna terra, ché dell'alta Troialo sperato conquisto è vana impresa.Ammutîr tutti a queste voci, e in cupolungo silenzio si restâr dolentii figli degli Achei. Lo ruppe alfineil bellicoso Dïomede, e disse:Atride, al torto tuo parlar col verolibero dir, che in libero consessolice ad ognun, risponderò. Tu m'odisenza disdegno. Osasti, e fosti il primo,alla presenza degli Achei pur dianzivituperarmi, e imbelle dirmi, e privod'ogni coraggio, e l'udîr tutti. Or iodico a te di rimando, che se Giovel'un ti diè de' suoi doni, l'onor sommodello scettro su noi, non ti concessel'altro più grande che lo scettro, il core.

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Misero! e speri sì codardi e fiacchi,come pur cianci, della Grecia i figli?Se il cor ti sprona alla partenza, parti;sono aperte le vie; le numerosenavi, che d'Argo ti seguîr, son pronte:ma gli altri Achivi rimarran qui fermiall'eccidio di Troia; e se pur essifuggiran sulle prore al patrio lido,noi resteremo a guerreggiar; noi dueStènelo e Dïomede, insin che giungail dì supremo d'Ilion; ché noiqua ne venimmo col favor d'un Dio.Tacque; e tutti mandâr di plauso un grido,del Tidìde ammirando i generosisensi; e di Pilo il venerabil vegliosurto in piedi dicea: Nelle battaglieforte ti mostri, o Dïomede, e vincidi senno insieme i coetani eroi.Né biasmar né impugnar le tue parolepotrà qui nullo degli Achei: ma pure,benché retti e prudenti e di noi degni,non ferîr giusto i tuoi discorsi il segno.Giovinetto se' tu, sì che il minoreesser potresti de' miei figli. Io dunqueche di te più d'assai vecchio mi vanto,dironne il resto, né il mio dir verunobiasmerà, non lo stesso Agamennóne.È senza patria, senza leggi e senza

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Misero! e speri sì codardi e fiacchi,come pur cianci, della Grecia i figli?Se il cor ti sprona alla partenza, parti;sono aperte le vie; le numerosenavi, che d'Argo ti seguîr, son pronte:ma gli altri Achivi rimarran qui fermiall'eccidio di Troia; e se pur essifuggiran sulle prore al patrio lido,noi resteremo a guerreggiar; noi dueStènelo e Dïomede, insin che giungail dì supremo d'Ilion; ché noiqua ne venimmo col favor d'un Dio.Tacque; e tutti mandâr di plauso un grido,del Tidìde ammirando i generosisensi; e di Pilo il venerabil vegliosurto in piedi dicea: Nelle battaglieforte ti mostri, o Dïomede, e vincidi senno insieme i coetani eroi.Né biasmar né impugnar le tue parolepotrà qui nullo degli Achei: ma pure,benché retti e prudenti e di noi degni,non ferîr giusto i tuoi discorsi il segno.Giovinetto se' tu, sì che il minoreesser potresti de' miei figli. Io dunqueche di te più d'assai vecchio mi vanto,dironne il resto, né il mio dir verunobiasmerà, non lo stesso Agamennóne.È senza patria, senza leggi e senza

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lari chi la civile orrenda guerradesidera. Ma giovi or della foscadiva dell'ombre rispettar l'impero.S'apprestino le cene, ed ogni scoltavegli al fosso del muro, e questo siade' giovani il pensier. Tu, sommo Atride,come a capo s'addice, accogli a mensai più provetti; e ben lo puoi, ché pienele tende hai tu del buon lïeo che ognorapel vasto mar ti recano velocil'achive prore dalle tracie viti.Nulla all'uopo ti manca, ed al tuo cennotutto obbedisce. Congregati i duci,apra ognun la sua mente, e tu secondail consiglio miglior, ché di consiglioutile e saggio or fa mestier davvero.Imminente alle navi è l'inimico,pien di fuochi il suo campo. E chi mirarlipuò senza tema? Questa fia la notteche l'esercito perda, o lo conservi.Disse, e tutti obbediro. Immantinenteuscîr di rilucenti armi vestitele sentinelle. N'eran sette i duci;il Nestoride prence Trasimede,di Marte i figli Ascàlafo e Jalmeno,Merïon, Dëipìro ed Afarèocon Licomede di Creonte; e centogiovani prodi conducea ciascuno

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lari chi la civile orrenda guerradesidera. Ma giovi or della foscadiva dell'ombre rispettar l'impero.S'apprestino le cene, ed ogni scoltavegli al fosso del muro, e questo siade' giovani il pensier. Tu, sommo Atride,come a capo s'addice, accogli a mensai più provetti; e ben lo puoi, ché pienele tende hai tu del buon lïeo che ognorapel vasto mar ti recano velocil'achive prore dalle tracie viti.Nulla all'uopo ti manca, ed al tuo cennotutto obbedisce. Congregati i duci,apra ognun la sua mente, e tu secondail consiglio miglior, ché di consiglioutile e saggio or fa mestier davvero.Imminente alle navi è l'inimico,pien di fuochi il suo campo. E chi mirarlipuò senza tema? Questa fia la notteche l'esercito perda, o lo conservi.Disse, e tutti obbediro. Immantinenteuscîr di rilucenti armi vestitele sentinelle. N'eran sette i duci;il Nestoride prence Trasimede,di Marte i figli Ascàlafo e Jalmeno,Merïon, Dëipìro ed Afarèocon Licomede di Creonte; e centogiovani prodi conducea ciascuno

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di lunghe picche armati. In ordinanzasi difilâr tra il fosso e il muro, e quividestaro i fuochi, e apposero le cene.Nella tenda regal l'Atride intantoconvita i duci, di vivande grateli ristaura; e sì tosto che de' cibie del bere in ciascun tacque il desìo,il buon Nestorre, di cui sempre uscìaottimo il detto, cominciò primieroa svolgere dal petto un suo consiglio,e in questo saggio ragionar l'espose:Agamennóne glorïoso Atride,da te principio prenderan le mieparole, e in te si finiranno, in tedi molte genti imperador, cui Giove,per la salute de' suggetti, il carcodelle leggi commise e dello scettro.Principalmente quindi a te conviensidir tua sentenza, ed ascoltar l'altrui,e la porre ad effetto, ove da puracoscïenza proceda, e il ben ne frutti;ché il buon consiglio, da qualunque ei vegna,tuo lo farai coll'eseguirlo. Io dunqueciò che acconcio a me par, dirò palese,né verun penserà miglior pensierodi quel ch'io penso e mi pensai dal puntoche dalla tenda dell'irato Achillevia menasti, o gran re, la giovinetta

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di lunghe picche armati. In ordinanzasi difilâr tra il fosso e il muro, e quividestaro i fuochi, e apposero le cene.Nella tenda regal l'Atride intantoconvita i duci, di vivande grateli ristaura; e sì tosto che de' cibie del bere in ciascun tacque il desìo,il buon Nestorre, di cui sempre uscìaottimo il detto, cominciò primieroa svolgere dal petto un suo consiglio,e in questo saggio ragionar l'espose:Agamennóne glorïoso Atride,da te principio prenderan le mieparole, e in te si finiranno, in tedi molte genti imperador, cui Giove,per la salute de' suggetti, il carcodelle leggi commise e dello scettro.Principalmente quindi a te conviensidir tua sentenza, ed ascoltar l'altrui,e la porre ad effetto, ove da puracoscïenza proceda, e il ben ne frutti;ché il buon consiglio, da qualunque ei vegna,tuo lo farai coll'eseguirlo. Io dunqueciò che acconcio a me par, dirò palese,né verun penserà miglior pensierodi quel ch'io penso e mi pensai dal puntoche dalla tenda dell'irato Achillevia menasti, o gran re, la giovinetta

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Brisëide, sprezzato il nostro avviso.Ben io, lo sai, con molti e caldi preghiti sconfortai dall'opra: ma tu spintodall'altero tuo cor onta facestial fortissimo eroe, dagl'Immortalistessi onorato, e il premio gli rapistide' suoi sudori, e ancor lo ti ritieni.Or tempo egli è di consultar le guisedi blandirlo e piegarlo, o con elettidoni o col dolce favellar che tocca.Tu parli il vero, Agamennón rispose,parli il vero pur troppo, enumerandoi miei torti, o buon vecchio. Errai, nol nego:val molte squadre un valoroso in cuiponga Giove il suo cor, siccome in questoper lo cui solo onor doma gli Achei.Ma se ascoltando un mal desìo l'offesi,or vo' placarlo, e il presentar di moltionorevoli doni, e a voi qui tuttili dirò: sette tripodi, non ancotocchi dal foco; dieci aurei talenti;due volte tanti splendidi lebeti;dodici velocissimi destrieriusi nel corso a riportarmi i primipremii, e di tanti già mi fêr l'acquisto,che povero per certo e di ricchezzedesideroso non sarìa chi tuttili possedesse. Donerogli in oltre

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Brisëide, sprezzato il nostro avviso.Ben io, lo sai, con molti e caldi preghiti sconfortai dall'opra: ma tu spintodall'altero tuo cor onta facestial fortissimo eroe, dagl'Immortalistessi onorato, e il premio gli rapistide' suoi sudori, e ancor lo ti ritieni.Or tempo egli è di consultar le guisedi blandirlo e piegarlo, o con elettidoni o col dolce favellar che tocca.Tu parli il vero, Agamennón rispose,parli il vero pur troppo, enumerandoi miei torti, o buon vecchio. Errai, nol nego:val molte squadre un valoroso in cuiponga Giove il suo cor, siccome in questoper lo cui solo onor doma gli Achei.Ma se ascoltando un mal desìo l'offesi,or vo' placarlo, e il presentar di moltionorevoli doni, e a voi qui tuttili dirò: sette tripodi, non ancotocchi dal foco; dieci aurei talenti;due volte tanti splendidi lebeti;dodici velocissimi destrieriusi nel corso a riportarmi i primipremii, e di tanti già mi fêr l'acquisto,che povero per certo e di ricchezzedesideroso non sarìa chi tuttili possedesse. Donerogli in oltre

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di suprema beltà sette captivelesbie donzelle a meraviglia spertenell'opre di Minerva, e da me stessotrascelte il dì che Lesbo ei prese. A questeaggiungo la rapita a lui poc'anziBrisëide, e farò giuro solennech'unqua il suo letto non calcai. Ciò tuttosenza indugio fia pronto. Ove gli Deine concedano poscia il porre al fondola troiana città, primiero ei vada,nel partir delle spoglie, a ricolmarsid'oro e bronzo le navi, e si trascelgaventi bei corpi di dardanie donnedopo l'argiva Elèna le più belle.Di più: se d'Argo riveder n'è datole care sponde, ei genero sarammionorato e diletto al par d'Oreste,ch'unico germe a me del miglior sessoivi s'edùca alle dovizie in seno.Ho di tre figlie nella reggia il fiore,Crisotemi, Laòdice, Ifianassa.Qual più d'esse il talenta a sposa ei prendasenza dotarla, ed a Pelèo la meni.Doterolla io medesmo, e di tal dotequal non s'ebbe giammai altra donzella:sette città, Cardàmile ed Enòpe,le liete di bei prati Ira ed Antèa,l'inclita Fere, Epèa la bella, e Pèdaso

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di suprema beltà sette captivelesbie donzelle a meraviglia spertenell'opre di Minerva, e da me stessotrascelte il dì che Lesbo ei prese. A questeaggiungo la rapita a lui poc'anziBrisëide, e farò giuro solennech'unqua il suo letto non calcai. Ciò tuttosenza indugio fia pronto. Ove gli Deine concedano poscia il porre al fondola troiana città, primiero ei vada,nel partir delle spoglie, a ricolmarsid'oro e bronzo le navi, e si trascelgaventi bei corpi di dardanie donnedopo l'argiva Elèna le più belle.Di più: se d'Argo riveder n'è datole care sponde, ei genero sarammionorato e diletto al par d'Oreste,ch'unico germe a me del miglior sessoivi s'edùca alle dovizie in seno.Ho di tre figlie nella reggia il fiore,Crisotemi, Laòdice, Ifianassa.Qual più d'esse il talenta a sposa ei prendasenza dotarla, ed a Pelèo la meni.Doterolla io medesmo, e di tal dotequal non s'ebbe giammai altra donzella:sette città, Cardàmile ed Enòpe,le liete di bei prati Ira ed Antèa,l'inclita Fere, Epèa la bella, e Pèdaso

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d'alme viti feconda: elle son postetutte quante sul mar verso il confinedell'arenosa Pilo, e dense tuttedi cittadini che di greggi e mandrericchissimi, co' doni al par d'un Diol'onoreranno, e di tributi opimifaran bello il suo scettro. Ecco di quantogli farò dono se depor vuol l'ira.Placar si lasci: inesorato è il soloPluto, e per questo il più abborrito iddio.Rammenti ancora che di grado e d'anniio gli vo sopra; lo rammenti, e ceda.Potentissimo Atride Agamennóne,riprese il veglio cavalier, pregiatisono i doni che appresti al re Pelìde.Senza dunque indugiar alla sua tendasi mandino i legati. Io stesso, o sire,li nomerò, né alcun mi fia ritroso:primamente Fenice, al sommo Giovecarissimo mortale, e capo ei siadell'imbasciata. Il seguirà col grandeAiace il divo Ulisse, e degli araldin'andran Hodio ed Eurìbate. Frattantodate l'acqua alle mani, e comandatealto silenzio, acciò che salga a Giovela nostra prece, e la pietà ne svegli.Disse; e a tutti fu caro il suo consiglio.Dier le linfe alle mani i banditori;

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d'alme viti feconda: elle son postetutte quante sul mar verso il confinedell'arenosa Pilo, e dense tuttedi cittadini che di greggi e mandrericchissimi, co' doni al par d'un Diol'onoreranno, e di tributi opimifaran bello il suo scettro. Ecco di quantogli farò dono se depor vuol l'ira.Placar si lasci: inesorato è il soloPluto, e per questo il più abborrito iddio.Rammenti ancora che di grado e d'anniio gli vo sopra; lo rammenti, e ceda.Potentissimo Atride Agamennóne,riprese il veglio cavalier, pregiatisono i doni che appresti al re Pelìde.Senza dunque indugiar alla sua tendasi mandino i legati. Io stesso, o sire,li nomerò, né alcun mi fia ritroso:primamente Fenice, al sommo Giovecarissimo mortale, e capo ei siadell'imbasciata. Il seguirà col grandeAiace il divo Ulisse, e degli araldin'andran Hodio ed Eurìbate. Frattantodate l'acqua alle mani, e comandatealto silenzio, acciò che salga a Giovela nostra prece, e la pietà ne svegli.Disse; e a tutti fu caro il suo consiglio.Dier le linfe alle mani i banditori;

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lesti i donzelli coronâr di lietespume le tazze, e le portaro in giro:e libato e gustato a pien talentoil devoto licore, uscîr velocidalla tenda regal gli ambasciadori;e molti avvisi porgea lor per viail buon veglio, girando a ciascheduno,principalmente di Laerte al figlio,le parlanti pupille, e a tentar tuttele vie gli esorta d'ammansar quel fiero.Del risonante mar lungo la rivaavviârsi i legati, supplicandodall'imo cor l'Enosigèo Nettunnoperché d'Achille la grand'alma ei pieghi.Alle tende venuti ed alle navide' Mirmidóni, ritrovâr l'eroeche ricreava colla cetra il core,cetra arguta e gentil, che la traversaavea d'argento, e spoglia era del saccodella città d'Eezïon distrutta.Su questa degli eroi le glorïosegeste cantando raddolcìa le cure:Solo a rincontro gli sedea Patròcloaspettando la fin del bellicosocanto in silenzio riverente. Ed eccodall'Itaco precessi all'improvvisoavanzarsi i legati, e al suo cospettorispettosi sostar. Alzasi Achille

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lesti i donzelli coronâr di lietespume le tazze, e le portaro in giro:e libato e gustato a pien talentoil devoto licore, uscîr velocidalla tenda regal gli ambasciadori;e molti avvisi porgea lor per viail buon veglio, girando a ciascheduno,principalmente di Laerte al figlio,le parlanti pupille, e a tentar tuttele vie gli esorta d'ammansar quel fiero.Del risonante mar lungo la rivaavviârsi i legati, supplicandodall'imo cor l'Enosigèo Nettunnoperché d'Achille la grand'alma ei pieghi.Alle tende venuti ed alle navide' Mirmidóni, ritrovâr l'eroeche ricreava colla cetra il core,cetra arguta e gentil, che la traversaavea d'argento, e spoglia era del saccodella città d'Eezïon distrutta.Su questa degli eroi le glorïosegeste cantando raddolcìa le cure:Solo a rincontro gli sedea Patròcloaspettando la fin del bellicosocanto in silenzio riverente. Ed eccodall'Itaco precessi all'improvvisoavanzarsi i legati, e al suo cospettorispettosi sostar. Alzasi Achille

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del vederli stupito, ed abbandonacolla cetra lo seggio; alzasi ei puredi Menèzio il buon figlio, e lor porgendoil Pelìde la man, Salvete, ei dice,voi mi giungete assai graditi: al certovi trae grand'uopo: benché irato, io v'amosovra tutti gli Achei. - Così dicendo,dentro la tenda interïor li guida,in alti scanni fa sederli sopraporporini tappeti, ed a Patròcloche accanto gli venìa, Recami, disse,o mio diletto, il mio maggior cratere,e mesci del più puro, ed apparecchiail suo nappo a ciascun: sotto il mio tettooggi entrâr generose anime care.Disse; e Patròclo del suo dolce amicoalla voce obbedì. Su l'ignee vampeconcavo bronzo di gran seno ei pose,e dentro vi tuffò di pecorellae di scelta capretta i lombi opimicon esso il pingue saporoso tergodi saginato porco. Inteneritecosì le carni, Automedonte in altole sollevava; e con forbito acciaroacconciamente le incidea lo stessodivino Achille, e le infiggea ne' spiedi.Destava intanto un grande foco il figliodi Menèzio, e conversi in viva bragia

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del vederli stupito, ed abbandonacolla cetra lo seggio; alzasi ei puredi Menèzio il buon figlio, e lor porgendoil Pelìde la man, Salvete, ei dice,voi mi giungete assai graditi: al certovi trae grand'uopo: benché irato, io v'amosovra tutti gli Achei. - Così dicendo,dentro la tenda interïor li guida,in alti scanni fa sederli sopraporporini tappeti, ed a Patròcloche accanto gli venìa, Recami, disse,o mio diletto, il mio maggior cratere,e mesci del più puro, ed apparecchiail suo nappo a ciascun: sotto il mio tettooggi entrâr generose anime care.Disse; e Patròclo del suo dolce amicoalla voce obbedì. Su l'ignee vampeconcavo bronzo di gran seno ei pose,e dentro vi tuffò di pecorellae di scelta capretta i lombi opimicon esso il pingue saporoso tergodi saginato porco. Inteneritecosì le carni, Automedonte in altole sollevava; e con forbito acciaroacconciamente le incidea lo stessodivino Achille, e le infiggea ne' spiedi.Destava intanto un grande foco il figliodi Menèzio, e conversi in viva bragia

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i crepitanti rami, e già del tuttoqueta la fiamma, delle brage ei feceardente un letto, e gli schidion vi stese;del sacro sal gli asperse, e tolte alfinedagli alari le carni abbrustolatesul desco le posò; prese di paniun nitido canestro, e su la mensadistribuilli; ma le apposte dapispartìa lo stesso Achille, assiso in facciaad Ulisse col tergo alla parete.Ciò fatto, ingiunse al suo diletto amicole sacre offerte ai numi; e quei nel focole primizie gettò. Stesero tuttiallor le mani all'imbandito cibo.Come fur sazi, fe' degli occhi Aiaceal buon Fenice un cotal cenno: il videlo scaltro Ulisse, e ricolmato il nappo,al grande Achille propinollo, e disse:Salve, Achille; poc'anzi entro la tendad'Atride, ed ora nella tua di lietocibo noi certo ritroviam dovizia;ma chi di cibo può sentir dilettomentre sul capo ci veggiam pendenteun'orrenda sciagura, e sul perigliodelle navi si trema? E periranno,se tu, sangue divin, non ti rivestidi tua fortezza, e non ne rechi aita.Gli orgogliosi Troiani e gli alleati

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i crepitanti rami, e già del tuttoqueta la fiamma, delle brage ei feceardente un letto, e gli schidion vi stese;del sacro sal gli asperse, e tolte alfinedagli alari le carni abbrustolatesul desco le posò; prese di paniun nitido canestro, e su la mensadistribuilli; ma le apposte dapispartìa lo stesso Achille, assiso in facciaad Ulisse col tergo alla parete.Ciò fatto, ingiunse al suo diletto amicole sacre offerte ai numi; e quei nel focole primizie gettò. Stesero tuttiallor le mani all'imbandito cibo.Come fur sazi, fe' degli occhi Aiaceal buon Fenice un cotal cenno: il videlo scaltro Ulisse, e ricolmato il nappo,al grande Achille propinollo, e disse:Salve, Achille; poc'anzi entro la tendad'Atride, ed ora nella tua di lietocibo noi certo ritroviam dovizia;ma chi di cibo può sentir dilettomentre sul capo ci veggiam pendenteun'orrenda sciagura, e sul perigliodelle navi si trema? E periranno,se tu, sangue divin, non ti rivestidi tua fortezza, e non ne rechi aita.Gli orgogliosi Troiani e gli alleati

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imminente all'armata e al nostro murohan posto il campo, e mille fuochi accesi,e fan minaccia d'avanzarsi arditi,e le navi assalir. Giove co' lampidel suo favor gli affida; Ettore i truciocchi volgendo d'ogni parte, e moltodelle sue forze altero e del suo Giove,terribilmente infuria, e non rispettané mortali né Dei (tanto gl'invadefuror la mente), e della nuova auroragià le tardanze accusa, e freme, e giuradi venirne a schiantar di propria manodelle navi gli aplustri, ed a scagliarvidentro le fiamme, e incenerirle tutte,e tutti tra le vampe istupiditiancidere gli Achivi. Or io di fortetimor la mente contristar mi sento,che le costui minacce avversi numinon mandino ad effetto, e che non siadelle Parche decreto il dover noilungi d'Argo perir su queste rive.Ma tu deh! sorgi, e benché tardi, accorria preservar dall'inimico assaltoi desolati Achei. Se gli abbandoni,alto cordoglio un dì n'avrai, né al dannotroverai più riparo. A tempo adunquel'antivieni prudente, ed allontanadall'argolica gente il giorno estremo.

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imminente all'armata e al nostro murohan posto il campo, e mille fuochi accesi,e fan minaccia d'avanzarsi arditi,e le navi assalir. Giove co' lampidel suo favor gli affida; Ettore i truciocchi volgendo d'ogni parte, e moltodelle sue forze altero e del suo Giove,terribilmente infuria, e non rispettané mortali né Dei (tanto gl'invadefuror la mente), e della nuova auroragià le tardanze accusa, e freme, e giuradi venirne a schiantar di propria manodelle navi gli aplustri, ed a scagliarvidentro le fiamme, e incenerirle tutte,e tutti tra le vampe istupiditiancidere gli Achivi. Or io di fortetimor la mente contristar mi sento,che le costui minacce avversi numinon mandino ad effetto, e che non siadelle Parche decreto il dover noilungi d'Argo perir su queste rive.Ma tu deh! sorgi, e benché tardi, accorria preservar dall'inimico assaltoi desolati Achei. Se gli abbandoni,alto cordoglio un dì n'avrai, né al dannotroverai più riparo. A tempo adunquel'antivieni prudente, ed allontanadall'argolica gente il giorno estremo.

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Ricòrdati, mio caro, i saggi avvisidel tuo padre Pelèo, quando di Ftiainvïotti all'Atride. Amato figlio,(il buon vecchio dicea) Minerva e Giuno,se fia lor grado, ti daran fortezza;ma tu nel petto il cor superbo affrena,ché cor più bello è il mansueto; e tienti(onde più sempre e giovani e canutit'onorino gli Achei), tienti remotodalla feconda d'ogni mal Contesa.Questi del veglio i bei ricordi fûro:tu gli obblïasti. Ten sovvenga adesso,e la trista una volta ira deponi.Ti sarà, se lo fai, largo di caridoni l'Atride. Nella tenda ei dianzil'impromessa ne fece: odili tutti.Sette tripodi intatti, e dieci d'orotalenti, e venti splendidi lebeti;dodici velocissimi destrieriusi nel corso a riportarne i primipremii, e già tanti n'acquistâr, che bramapiù di ricchezze non avrìa chi tuttili possedesse. Ti largisce inoltresette d'alma beltà lesbie donzelled'ago esperte e di spola, e da lui stessoper lor suprema leggiadrìa trascelteil dì che Lesbo tu espugnavi. A questela figlia aggiunge di Brisèo, giurando

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Ricòrdati, mio caro, i saggi avvisidel tuo padre Pelèo, quando di Ftiainvïotti all'Atride. Amato figlio,(il buon vecchio dicea) Minerva e Giuno,se fia lor grado, ti daran fortezza;ma tu nel petto il cor superbo affrena,ché cor più bello è il mansueto; e tienti(onde più sempre e giovani e canutit'onorino gli Achei), tienti remotodalla feconda d'ogni mal Contesa.Questi del veglio i bei ricordi fûro:tu gli obblïasti. Ten sovvenga adesso,e la trista una volta ira deponi.Ti sarà, se lo fai, largo di caridoni l'Atride. Nella tenda ei dianzil'impromessa ne fece: odili tutti.Sette tripodi intatti, e dieci d'orotalenti, e venti splendidi lebeti;dodici velocissimi destrieriusi nel corso a riportarne i primipremii, e già tanti n'acquistâr, che bramapiù di ricchezze non avrìa chi tuttili possedesse. Ti largisce inoltresette d'alma beltà lesbie donzelled'ago esperte e di spola, e da lui stessoper lor suprema leggiadrìa trascelteil dì che Lesbo tu espugnavi. A questela figlia aggiunge di Brisèo, giurando

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che intatta, o prence, la ti rende. E tuttepronte son queste cose. Ove poi Troiane sia dato atterrar, tu primo andrai,nel partir della preda, a ricolmartid'oro e di bronzo i tuoi navigli, e diecicaptive e dieci ti scerrai tenutedopo l'Argiva Elèna le più belle.Di più: se d'Argo rivedrem le rive,tu genero sarai del grande Atride,e in onoranza e nella copia accoltod'ogni cara dovizia al par del suounico Oreste. Delle tre che il fannobeato genitor alme fanciulle,Crisotemi, Laòdice, Ifianassa,prendi quale vorrai senza dotarla.Doteralla lo stesso Agamennónedi tanta dote e tal, ch'altra giammairegal donzella la simìl non s'ebbe;sette città, Cardamile ed Enòpe,Ira, Pedaso, Antèa, Fere ed Epèa,tutte belle marittime contradeverso il pilio confin, tutte frequentid'abitatori, a cui di molte mandres'alza il muggito, e che di bei tributit'onoreranno al par d'un Dio. Ciò tuttodaratti Atride, se lo sdegno acqueti.Ché se lui sempre e i suoi presenti abborri,abbi almeno pietà degli altri Achei

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che intatta, o prence, la ti rende. E tuttepronte son queste cose. Ove poi Troiane sia dato atterrar, tu primo andrai,nel partir della preda, a ricolmartid'oro e di bronzo i tuoi navigli, e diecicaptive e dieci ti scerrai tenutedopo l'Argiva Elèna le più belle.Di più: se d'Argo rivedrem le rive,tu genero sarai del grande Atride,e in onoranza e nella copia accoltod'ogni cara dovizia al par del suounico Oreste. Delle tre che il fannobeato genitor alme fanciulle,Crisotemi, Laòdice, Ifianassa,prendi quale vorrai senza dotarla.Doteralla lo stesso Agamennónedi tanta dote e tal, ch'altra giammairegal donzella la simìl non s'ebbe;sette città, Cardamile ed Enòpe,Ira, Pedaso, Antèa, Fere ed Epèa,tutte belle marittime contradeverso il pilio confin, tutte frequentid'abitatori, a cui di molte mandres'alza il muggito, e che di bei tributit'onoreranno al par d'un Dio. Ciò tuttodaratti Atride, se lo sdegno acqueti.Ché se lui sempre e i suoi presenti abborri,abbi almeno pietà degli altri Achei

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là nelle tende costernati e chiusi,che t'avranno qual nume, ed alle stellela tua gloria alzeran. Vien dunque, e spegniquesto Ettòr che furente a te si para,e vanta che nessun di quanti Achiviqua navigaro, di valor l'eguaglia.Divino senno, Laerzìade Ulisse,rispose Achille, senza velo, e qualiil cor li detta e proveralli il fatto,m'è d'uopo palesar dell'alma i sensi,onde cessiate di garrirmi intorno.Odio al par della porte atre di Plutocolui ch'altro ha sul labbro, altro nel core:ma ben io dirò netto il mio pensiero.Né il grande Atride Agamennón, né alcunome degli Achivi piegherà. Qual prezzo,qual ricompensa delle assidue pugne?Di chi poltrisce e di chi suda in guerraqui s'uguaglia la sorte: il vile usurpal'onor del prode, e una medesma tombal'infingardo riceve e l'operoso.Ed io che tanto travagliai, che a tantirischi di Marte la mia vita esposi,che guadagni, per dio, che guiderdonesu gli altri ottenni? In vero il meschinelloaugel son io, che d'esca i suoi provvedepiccioli implumi, e sé medesmo obblìa.Quante, senza dar sonno alle palpèbre,

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là nelle tende costernati e chiusi,che t'avranno qual nume, ed alle stellela tua gloria alzeran. Vien dunque, e spegniquesto Ettòr che furente a te si para,e vanta che nessun di quanti Achiviqua navigaro, di valor l'eguaglia.Divino senno, Laerzìade Ulisse,rispose Achille, senza velo, e qualiil cor li detta e proveralli il fatto,m'è d'uopo palesar dell'alma i sensi,onde cessiate di garrirmi intorno.Odio al par della porte atre di Plutocolui ch'altro ha sul labbro, altro nel core:ma ben io dirò netto il mio pensiero.Né il grande Atride Agamennón, né alcunome degli Achivi piegherà. Qual prezzo,qual ricompensa delle assidue pugne?Di chi poltrisce e di chi suda in guerraqui s'uguaglia la sorte: il vile usurpal'onor del prode, e una medesma tombal'infingardo riceve e l'operoso.Ed io che tanto travagliai, che a tantirischi di Marte la mia vita esposi,che guadagni, per dio, che guiderdonesu gli altri ottenni? In vero il meschinelloaugel son io, che d'esca i suoi provvedepiccioli implumi, e sé medesmo obblìa.Quante, senza dar sonno alle palpèbre,

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trascorse notti! quanti giorni avvoltoin sanguinose pugne ho combattutoper le ree mogli di costor! Conquisiguerreggiando sul mar dodici alterecittadi; ne conquisi undici a piededintorno ai campi d'Ilïon; da tuttemolte asportai pregiate spoglie, e tutteall'Atride le cessi, a lui che inerterimasto indietro, nell'avare navile ricevea superbo, e dividendoaltrui lo peggio riserbossi il meglio;o s'alcun dono agli altri duci ei fenne,nol si ritolse almeno. Io sol del miopremio fui spoglio, io solo; egli la donnadel mio cor si ritiene, e ne gioisce.A che mai questa degli Achei co' Teucricotanta guerra? a che raccolse Atridequi tant'armi? Non forse per la bellaElena? Ma l'amor delle consortitocca egli forse il cor de' soli Atridi?Ogni buono, ogni saggio ama la sua,e tienla in pregio, siccom'io costeicarissima al mio cor, quantunque ancella.Or ch'egli dalle man la mi rapìocon fatto iniquo, di piegar non tentime da sue frodi ammaestrato assai.Teco, Ulisse, e co' suoi re tanti ei dunqueconsulti il modo di sottrar l'armata

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trascorse notti! quanti giorni avvoltoin sanguinose pugne ho combattutoper le ree mogli di costor! Conquisiguerreggiando sul mar dodici alterecittadi; ne conquisi undici a piededintorno ai campi d'Ilïon; da tuttemolte asportai pregiate spoglie, e tutteall'Atride le cessi, a lui che inerterimasto indietro, nell'avare navile ricevea superbo, e dividendoaltrui lo peggio riserbossi il meglio;o s'alcun dono agli altri duci ei fenne,nol si ritolse almeno. Io sol del miopremio fui spoglio, io solo; egli la donnadel mio cor si ritiene, e ne gioisce.A che mai questa degli Achei co' Teucricotanta guerra? a che raccolse Atridequi tant'armi? Non forse per la bellaElena? Ma l'amor delle consortitocca egli forse il cor de' soli Atridi?Ogni buono, ogni saggio ama la sua,e tienla in pregio, siccom'io costeicarissima al mio cor, quantunque ancella.Or ch'egli dalle man la mi rapìocon fatto iniquo, di piegar non tentime da sue frodi ammaestrato assai.Teco, Ulisse, e co' suoi re tanti ei dunqueconsulti il modo di sottrar l'armata

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alle fiamme nemiche. E quale ha d'uopoei del mio braccio? Senza me già fecedi gran cose. Innalzato ha un alto muro,lungo il muro ha scavato un largo e cupofosso, e nel fosso un gran palizzo infisse.Mirabil opra! che dal fiero Ettorrenol fa sicuro ancor, da quell'Ettorreche, mentre io parvi fra gli Achei, scostarsinon ardìa dalle mura, o non giugneache sino al faggio delle porte Scee.Sola una volta ei là m'attese, e a stentopoté sottrarsi all'asta mia. Ma nullopiù conflitto vogl'io con quel guerriero,nullo: e offerti dimani al sommo Giovee agli altri numi i sacrifici, e trattetutte nel mare le mie carche navi,sì, dimani vedrai, se te ne cale,coll'aurora spiegar sull'Ellespontoi miei legni le vele, ed esultantitutte di lieti remator le sponde.Se di prospero corso il buon Nettunnocortese mi sarà, la terza lucedi Ftia porrammi su la dolce riva.Ivi molta lasciai propria ricchezzaqua venendo in mal punto, ivi molt'altrane reco in oro, e in fulvo rame, e in tersosplendido ferro e in eleganti donne,tutto tesoro a me sortito. Il solo

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alle fiamme nemiche. E quale ha d'uopoei del mio braccio? Senza me già fecedi gran cose. Innalzato ha un alto muro,lungo il muro ha scavato un largo e cupofosso, e nel fosso un gran palizzo infisse.Mirabil opra! che dal fiero Ettorrenol fa sicuro ancor, da quell'Ettorreche, mentre io parvi fra gli Achei, scostarsinon ardìa dalle mura, o non giugneache sino al faggio delle porte Scee.Sola una volta ei là m'attese, e a stentopoté sottrarsi all'asta mia. Ma nullopiù conflitto vogl'io con quel guerriero,nullo: e offerti dimani al sommo Giovee agli altri numi i sacrifici, e trattetutte nel mare le mie carche navi,sì, dimani vedrai, se te ne cale,coll'aurora spiegar sull'Ellespontoi miei legni le vele, ed esultantitutte di lieti remator le sponde.Se di prospero corso il buon Nettunnocortese mi sarà, la terza lucedi Ftia porrammi su la dolce riva.Ivi molta lasciai propria ricchezzaqua venendo in mal punto, ivi molt'altrane reco in oro, e in fulvo rame, e in tersosplendido ferro e in eleganti donne,tutto tesoro a me sortito. Il solo

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premio ne manca che mi diè l'Atride,e re villano mel ritolse ei poscia.Torna dunque all'ingrato, e gli riportatutto che dico, e a tutti in faccia, ond'anconegli altri Achei si svegli una giust'irae un avvisato diffidar dell'artidi quel franco impudente, che pur talenon ardirebbe di mirarmi in fronte.Digli che a parte non verrò giammainé di fatto con lui né di consiglio;che mi deluse; che mi fece oltraggio;che gli basti l'aver tanto potutosola una volta, e che mal fonda in vaneciance la speme d'un secondo inganno.Digli che senza più turbarmi corraalla ruina a cui l'incalza Gioveche di senno il privò: digli che abborrosuoi doni, e spregio come vil mancipioil donator. Né s'egli e dieci e ventivolte gli addoppii, né se tutto ei m'offraciò ch'or possiede, e ciò ch'un dì venirglipotrìa d'altronde, e quante entran ricchezzein Orcomèno e nell'egizia Tebeper le cento sue porte e li dugentoaurighi co' lor carri a ciascheduna;mi fosse ei largo di tant'oro alfinequanto di sabbia e polve si calpesta,né così pur si speri Agamennóne

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premio ne manca che mi diè l'Atride,e re villano mel ritolse ei poscia.Torna dunque all'ingrato, e gli riportatutto che dico, e a tutti in faccia, ond'anconegli altri Achei si svegli una giust'irae un avvisato diffidar dell'artidi quel franco impudente, che pur talenon ardirebbe di mirarmi in fronte.Digli che a parte non verrò giammainé di fatto con lui né di consiglio;che mi deluse; che mi fece oltraggio;che gli basti l'aver tanto potutosola una volta, e che mal fonda in vaneciance la speme d'un secondo inganno.Digli che senza più turbarmi corraalla ruina a cui l'incalza Gioveche di senno il privò: digli che abborrosuoi doni, e spregio come vil mancipioil donator. Né s'egli e dieci e ventivolte gli addoppii, né se tutto ei m'offraciò ch'or possiede, e ciò ch'un dì venirglipotrìa d'altronde, e quante entran ricchezzein Orcomèno e nell'egizia Tebeper le cento sue porte e li dugentoaurighi co' lor carri a ciascheduna;mi fosse ei largo di tant'oro alfinequanto di sabbia e polve si calpesta,né così pur si speri Agamennóne

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la mia mente inchinar prima che tuttopagato ei m'abbia dell'offesa il fio.Non vo' la figlia di costui. Foss'ellapari a Minerva nell'ingegno, e il vantodi beltà contendesse a Citerea,non prenderolla in mia consorte io mai.Serbila ad altro Acheo che al grand'Atridepiù di grado s'adegui e di possanza.A me, se salvo raddurranmi i numial patrio tetto, a me scerrà lo stessoPelèo lo sposa. Han molte Ellade e Ftiafiglie di regi assai possenti: e qualedi lor vorrò, legittima e dilettamoglie farolla, e mi godrò con essanella pace, a cui stanco il cor sospira,il paterno retaggio. E parmi in veroche di mia vita non pareggi il prezzoné tutta l'opulenza in Ilio accoltapria della giunta degli Achei, né quantotesor si chiude nel marmoreo templodel saettante Apollo in sul petrosobalzo di Pito. Racquistar si ponnoe tripodi e cavalli e armenti e greggi;ma l'alma, che passò del labbro il varco,chi la racquista? chi del freddo pettola riconduce a ravvivar la fiamma?Meco io porto (la Dea madre mel dice)doppio fato di morte. Se qui resto

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la mia mente inchinar prima che tuttopagato ei m'abbia dell'offesa il fio.Non vo' la figlia di costui. Foss'ellapari a Minerva nell'ingegno, e il vantodi beltà contendesse a Citerea,non prenderolla in mia consorte io mai.Serbila ad altro Acheo che al grand'Atridepiù di grado s'adegui e di possanza.A me, se salvo raddurranmi i numial patrio tetto, a me scerrà lo stessoPelèo lo sposa. Han molte Ellade e Ftiafiglie di regi assai possenti: e qualedi lor vorrò, legittima e dilettamoglie farolla, e mi godrò con essanella pace, a cui stanco il cor sospira,il paterno retaggio. E parmi in veroche di mia vita non pareggi il prezzoné tutta l'opulenza in Ilio accoltapria della giunta degli Achei, né quantotesor si chiude nel marmoreo templodel saettante Apollo in sul petrosobalzo di Pito. Racquistar si ponnoe tripodi e cavalli e armenti e greggi;ma l'alma, che passò del labbro il varco,chi la racquista? chi del freddo pettola riconduce a ravvivar la fiamma?Meco io porto (la Dea madre mel dice)doppio fato di morte. Se qui resto

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a pugnar sotto Troia, al patrio lidom'è tolto il ritornar, ma d'immortalegloria l'acquisto mi farò. Se riedoal dolce suol natìo, perdo la bellagloria, ma il fiore de' miei dì non fiatronco da morte innanzi tempo, ed iolieta godrommi e dïuturna vita.Questa m'eleggo, e gli altri tutti esortoa rimbarcarsi e abbandonar di Troial'impossibil conquista. Il Dio de' tuonisu lei stese la mano, e rincorârsii suoi guerrieri. Itene adunque, e comedi legati è dover, le mie risposteai prenci achivi riferendo, diteche a preservar le navi e il campo argivolor fa mestiero ruminar novellomiglior partito, ché il già preso è vano.Inesorata è l'ira mia. Fenicequi rimanga e riposi: al nuovo giornoseguirammi, se il vuole, alla dilettapatria. Di forza nol trarrò giammai.Disse: e l'alto parlare e l'aspro niegotutti li fece sbalorditi e muti.Ruppe alfin quel silenzio il cavalieroveglio Fenice, e sul destin tremandodelle argoliche navi, ed ai sospirimescendo i pianti, così prese a dire:Se in tuo pensiero è fissa, inclito Achille,

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a pugnar sotto Troia, al patrio lidom'è tolto il ritornar, ma d'immortalegloria l'acquisto mi farò. Se riedoal dolce suol natìo, perdo la bellagloria, ma il fiore de' miei dì non fiatronco da morte innanzi tempo, ed iolieta godrommi e dïuturna vita.Questa m'eleggo, e gli altri tutti esortoa rimbarcarsi e abbandonar di Troial'impossibil conquista. Il Dio de' tuonisu lei stese la mano, e rincorârsii suoi guerrieri. Itene adunque, e comedi legati è dover, le mie risposteai prenci achivi riferendo, diteche a preservar le navi e il campo argivolor fa mestiero ruminar novellomiglior partito, ché il già preso è vano.Inesorata è l'ira mia. Fenicequi rimanga e riposi: al nuovo giornoseguirammi, se il vuole, alla dilettapatria. Di forza nol trarrò giammai.Disse: e l'alto parlare e l'aspro niegotutti li fece sbalorditi e muti.Ruppe alfin quel silenzio il cavalieroveglio Fenice, e sul destin tremandodelle argoliche navi, ed ai sospirimescendo i pianti, così prese a dire:Se in tuo pensiero è fissa, inclito Achille,

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la tua partenza, se nell'ira immotodi niuna guisa allontanar non vuoigli ostili incendii dalla classe achea,come, ahi come poss'io, diletto figlio,qui restar senza te? Teco mandommiil tuo canuto genitor Pelèoquel giorno che all'Atride Agamennóneinvïotti da Ftia, fanciullo ancoradell'arte ignaro dell'acerba guerra,e dell'arte del dir che fama acquista.Quindi ei teco spedimmi, onde di questistudi erudirti, e farmi a te nell'opredella lingua maestro e della mano.A niun conto vorrei dunque, mio caro,dispiccarmi da te, no, s'anco un Dio,rasa la mia vecchiezza, mi promettarinverdir le mie membra, e ritornarmigiovinetto qual era allor che il suolod'Ellade abbandonai, l'ira fuggendoe un atroce imprecar del padre mioAmintore d'Orméno. Era di questaira cagione un'avvenente drudach'egli, sprezzata la consorte, amavafollemente. Abbracciò le mie ginocchiala tradita mia madre, e supplicommidi mischiarmi in amor colla rivale,e porle in odio il vecchio amante. Il feci.Reso accorto di questo il genitore,

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la tua partenza, se nell'ira immotodi niuna guisa allontanar non vuoigli ostili incendii dalla classe achea,come, ahi come poss'io, diletto figlio,qui restar senza te? Teco mandommiil tuo canuto genitor Pelèoquel giorno che all'Atride Agamennóneinvïotti da Ftia, fanciullo ancoradell'arte ignaro dell'acerba guerra,e dell'arte del dir che fama acquista.Quindi ei teco spedimmi, onde di questistudi erudirti, e farmi a te nell'opredella lingua maestro e della mano.A niun conto vorrei dunque, mio caro,dispiccarmi da te, no, s'anco un Dio,rasa la mia vecchiezza, mi promettarinverdir le mie membra, e ritornarmigiovinetto qual era allor che il suolod'Ellade abbandonai, l'ira fuggendoe un atroce imprecar del padre mioAmintore d'Orméno. Era di questaira cagione un'avvenente drudach'egli, sprezzata la consorte, amavafollemente. Abbracciò le mie ginocchiala tradita mia madre, e supplicommidi mischiarmi in amor colla rivale,e porle in odio il vecchio amante. Il feci.Reso accorto di questo il genitore,

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mi maledisse, ed invocò sul miocapo l'orrendi Eumenidi, pregandoche mai concesso non mi fosse il porresul suo ginocchio un figlio mio. L'udiroil sotterraneo Giove e la spietataProserpina, e il feral voto fu pieno.Carco allor della sacra ira del padre,non mi sofferse il cor di più restarminelle case paterne. E servi e amicie congiunti mi fean con caldi preghidolce ritegno, ed in allegre mensestornar volendo il mio pensier, si dieroa far macco d'agnelle e di torelli,a rosolar sul foco i saginatilombi suìni, a tracannar del vegliol'anfore in serbo. Nove notti al fiancomi fur essi così con veglie alternee con perpetui fuochi, un sotto il porticodel ben chiuso cortil, l'altro alle sogliedella mia stanza nell'andron. Ma quandodella decima notte il buio venne,l'uscio sconfissi, e della stanza evasovarcai d'un salto della corte il muro,né de' custodi alcun né dell'ancelledi mia fuga s'avvide. Errai gran pezzaper l'ellade contrada, e giunto ai campidella feconda pecorosa Ftia,trassi al cospetto di Pelèo. M'accolse

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mi maledisse, ed invocò sul miocapo l'orrendi Eumenidi, pregandoche mai concesso non mi fosse il porresul suo ginocchio un figlio mio. L'udiroil sotterraneo Giove e la spietataProserpina, e il feral voto fu pieno.Carco allor della sacra ira del padre,non mi sofferse il cor di più restarminelle case paterne. E servi e amicie congiunti mi fean con caldi preghidolce ritegno, ed in allegre mensestornar volendo il mio pensier, si dieroa far macco d'agnelle e di torelli,a rosolar sul foco i saginatilombi suìni, a tracannar del vegliol'anfore in serbo. Nove notti al fiancomi fur essi così con veglie alternee con perpetui fuochi, un sotto il porticodel ben chiuso cortil, l'altro alle sogliedella mia stanza nell'andron. Ma quandodella decima notte il buio venne,l'uscio sconfissi, e della stanza evasovarcai d'un salto della corte il muro,né de' custodi alcun né dell'ancelledi mia fuga s'avvide. Errai gran pezzaper l'ellade contrada, e giunto ai campidella feconda pecorosa Ftia,trassi al cospetto di Pelèo. M'accolse

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lietamente il buon sire, e mi dilessecome un padre il figliuol ch'unico in largoaver gli nasca nell'età canuta:e di popolo molto e di molt'orofattomi ricco, l'ultimo confinedi Ftia mi diede ad abitar, commessode' Dolopi il governo alla mia cura.Son io, divino Achille, io mi son quegliche ti crebbi qual sei, che caramentet'amai; né tu volevi bambinelloir con altri alla mensa, né vivandadomestica gustar, ov'io non priaadagiato t'avessi e carezzatosu' miei ginocchi, minuzzando il cibo,e porgendo la beva che dal labbroinfantil traboccando a me soventeirrigava sul petto il vestimento.Così molto soffersi a tua cagione,e consolava le mie pene il dolcepensier che, i numi a me negando un figliogenerato da me, tu mi sarestital per amore divenuto, e talem'avresti salvo un dì da ria sciagura.Doma dunque, cor mio, doma l'alterotuo spirto: disconviene una spietataanima a te che rassomigli i numi:ché i numi stessi, sì di noi più grandid'onor, di forza, di virtù, son miti;

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lietamente il buon sire, e mi dilessecome un padre il figliuol ch'unico in largoaver gli nasca nell'età canuta:e di popolo molto e di molt'orofattomi ricco, l'ultimo confinedi Ftia mi diede ad abitar, commessode' Dolopi il governo alla mia cura.Son io, divino Achille, io mi son quegliche ti crebbi qual sei, che caramentet'amai; né tu volevi bambinelloir con altri alla mensa, né vivandadomestica gustar, ov'io non priaadagiato t'avessi e carezzatosu' miei ginocchi, minuzzando il cibo,e porgendo la beva che dal labbroinfantil traboccando a me soventeirrigava sul petto il vestimento.Così molto soffersi a tua cagione,e consolava le mie pene il dolcepensier che, i numi a me negando un figliogenerato da me, tu mi sarestital per amore divenuto, e talem'avresti salvo un dì da ria sciagura.Doma dunque, cor mio, doma l'alterotuo spirto: disconviene una spietataanima a te che rassomigli i numi:ché i numi stessi, sì di noi più grandid'onor, di forza, di virtù, son miti;

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e con vittime e voti e libamentie odorosi olocausti il supplicantemortal li placa nell'error caduto.Perocché del gran Giove alme figliuoleson le Preghiere che dal pianto fatterugose e losche con incerto passovan dietro ad Ate ad emendarla intese.Vigorosa di piè questa nocenteforte Dea le precorre, e discorrendola terra tutta l'uman germe offende.Esse van dopo, e degli offesi han cura.Chi dispettoso queste Dee riceve,ne va colmo di beni ed esaudito;chi pertinace le respinge indietro,ne spermenta lo sdegno. Esse del padresi presentano al trono, e gli fan pregoch'Ate ratta inseguisca, e al fio suggettil'inesorato che al pregar fu sordo.Trovin dunque di Giove oggi le figlieappo te quell'onor ch'anco de' fortipiega le menti. Se al tuo piè di moltidoni l'offerta non mettesse Atridecoll'impromessa di molt'altri poscia,e persistesse in suo rancor, non iot'esorterei di por giù l'ira, e all'uopodegli Achivi volar, comunque afflitti;ma molti di presente egli ne porge,ed altri poi ne profferisce, e i duci

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e con vittime e voti e libamentie odorosi olocausti il supplicantemortal li placa nell'error caduto.Perocché del gran Giove alme figliuoleson le Preghiere che dal pianto fatterugose e losche con incerto passovan dietro ad Ate ad emendarla intese.Vigorosa di piè questa nocenteforte Dea le precorre, e discorrendola terra tutta l'uman germe offende.Esse van dopo, e degli offesi han cura.Chi dispettoso queste Dee riceve,ne va colmo di beni ed esaudito;chi pertinace le respinge indietro,ne spermenta lo sdegno. Esse del padresi presentano al trono, e gli fan pregoch'Ate ratta inseguisca, e al fio suggettil'inesorato che al pregar fu sordo.Trovin dunque di Giove oggi le figlieappo te quell'onor ch'anco de' fortipiega le menti. Se al tuo piè di moltidoni l'offerta non mettesse Atridecoll'impromessa di molt'altri poscia,e persistesse in suo rancor, non iot'esorterei di por giù l'ira, e all'uopodegli Achivi volar, comunque afflitti;ma molti di presente egli ne porge,ed altri poi ne profferisce, e i duci

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miglior trascelti tra gli Achei t'invìa,e a te stesso i più cari a supplicarti.Non disprezzarne la venuta e i preghi,onde l'ira, che pria giusta pur era,non torni ingiusta. Degli andati eroisomma laude fu questa, allor che graveli possedea corruccio, alle preghiereplacarsi, né sdegnar supplici doni.Opportuno sovviemmi un fatto antico,che quale avvenne io qui fra tutti amicinarrerò. Combattean ferocementecon gli Etòli i Cureti anzi alle muradi Calidone, ad espugnarla questi,a difenderla quelli; e gli uni e gli altri,gente d'alto valor, con mutue stragisi distruggean. Commossa avea tal guerradi Dïana uno sdegno, e del suo sdegnofu la cagione Enèo che, de' suoi campiterminata la messe, e offerti ai numii consueti sacrifici, sola(fosse spregio od obblìo) lasciato aveasenza offerte la Diva. Ella di questoaltamente adirata un fero spinsecinghial d'Enèo ne' campi, che tremendotutte atterrava col fulmineo dentele fruttifere piante. Il forte EnìdeMeleagro alla fin, dalle propinquecittà raccolto molto nerbo avendo

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miglior trascelti tra gli Achei t'invìa,e a te stesso i più cari a supplicarti.Non disprezzarne la venuta e i preghi,onde l'ira, che pria giusta pur era,non torni ingiusta. Degli andati eroisomma laude fu questa, allor che graveli possedea corruccio, alle preghiereplacarsi, né sdegnar supplici doni.Opportuno sovviemmi un fatto antico,che quale avvenne io qui fra tutti amicinarrerò. Combattean ferocementecon gli Etòli i Cureti anzi alle muradi Calidone, ad espugnarla questi,a difenderla quelli; e gli uni e gli altri,gente d'alto valor, con mutue stragisi distruggean. Commossa avea tal guerradi Dïana uno sdegno, e del suo sdegnofu la cagione Enèo che, de' suoi campiterminata la messe, e offerti ai numii consueti sacrifici, sola(fosse spregio od obblìo) lasciato aveasenza offerte la Diva. Ella di questoaltamente adirata un fero spinsecinghial d'Enèo ne' campi, che tremendotutte atterrava col fulmineo dentele fruttifere piante. Il forte EnìdeMeleagro alla fin, dalle propinquecittà raccolto molto nerbo avendo

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di cacciatori e cani, a morte il mise;né minor forza si chiedea: tant'erasmisurata la belva, e tanti al rogon'avea sospinti. Ma la Dea pel teschioe per la pelle dell'irsuta feratra i Cureti e gli Etòli una gran litesuscitò. Finché in campo il bellicosoMeleagro comparve, andâr disfatti,benché molti, i Cureti, e approssimarseunqua alle mura non potean. Ma l'ira,che anche i più saggi invade, il petto accesedi Meleagro, e la destò la madreAltèa che, forte pe' fratelli uccisicrucciosa, il figlio maledisse, e il suolocolle man percotendo inginocchiatae forsennata con orrendi preghidi gran pianto confusi il negro Plutosupplicava e la rigida moglieradi dar morte all'eroe: né dal profondoorco fu sorda l'implacata Erinni.Del materno furor sdegnato il figliolungi dall'armi si ritrasse in braccioalla bella consorte Cleopatra,di Marpissa Evenina e del possenteIda figliuola, di quell'Ida io dicoche tra' guerrieri de' suoi tempi il gridodi fortissimo avea, tanto che contralo stesso Apollo per la tolta ninfa

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di cacciatori e cani, a morte il mise;né minor forza si chiedea: tant'erasmisurata la belva, e tanti al rogon'avea sospinti. Ma la Dea pel teschioe per la pelle dell'irsuta feratra i Cureti e gli Etòli una gran litesuscitò. Finché in campo il bellicosoMeleagro comparve, andâr disfatti,benché molti, i Cureti, e approssimarseunqua alle mura non potean. Ma l'ira,che anche i più saggi invade, il petto accesedi Meleagro, e la destò la madreAltèa che, forte pe' fratelli uccisicrucciosa, il figlio maledisse, e il suolocolle man percotendo inginocchiatae forsennata con orrendi preghidi gran pianto confusi il negro Plutosupplicava e la rigida moglieradi dar morte all'eroe: né dal profondoorco fu sorda l'implacata Erinni.Del materno furor sdegnato il figliolungi dall'armi si ritrasse in braccioalla bella consorte Cleopatra,di Marpissa Evenina e del possenteIda figliuola, di quell'Ida io dicoche tra' guerrieri de' suoi tempi il gridodi fortissimo avea, tanto che contralo stesso Apollo per la tolta ninfa

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ardì l'arco impugnar. Mutato posciadi Cleopatra il nome, i genitorila chiamaro Alcïon, perché simìlealla mesta Alcïon gemea la madrequando rapilla il saettante Iddio.Con gran furore intanto eran le portedi Calidone e le turrite muracombattute e percosse. Eletta schieradi venerandi vegli e sacerdotia Meleagro deputati il pregadi venir, di respingere il nemico,a sua scelta offerendo di cinquantaiugeri il dono, del miglior terrenodi tutto il caledonio almo paese,parte alle viti acconcio e parte al solco.Molto egli pure il genitor lo prega,dell'adirato figlio alle sublimisoglie traendo il senil fianco, e in vocesupplicante del talamo picchiandoalle sbarrate porte. Anche le suore,anche la madre già pentita orandochiedean mercede; ed ei più fermo ognorala ricusava. Accorsero gli amicii più cari e diletti; e su quel corenulla poteva degli amici il prego:finché le porte da sonori e spessicolpi battute, lo fêr certo alfineche scalate i Cureti avean le mura,

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ardì l'arco impugnar. Mutato posciadi Cleopatra il nome, i genitorila chiamaro Alcïon, perché simìlealla mesta Alcïon gemea la madrequando rapilla il saettante Iddio.Con gran furore intanto eran le portedi Calidone e le turrite muracombattute e percosse. Eletta schieradi venerandi vegli e sacerdotia Meleagro deputati il pregadi venir, di respingere il nemico,a sua scelta offerendo di cinquantaiugeri il dono, del miglior terrenodi tutto il caledonio almo paese,parte alle viti acconcio e parte al solco.Molto egli pure il genitor lo prega,dell'adirato figlio alle sublimisoglie traendo il senil fianco, e in vocesupplicante del talamo picchiandoalle sbarrate porte. Anche le suore,anche la madre già pentita orandochiedean mercede; ed ei più fermo ognorala ricusava. Accorsero gli amicii più cari e diletti; e su quel corenulla poteva degli amici il prego:finché le porte da sonori e spessicolpi battute, lo fêr certo alfineche scalate i Cureti avean le mura,

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e messo il foco alla città. Piangentela sua bella consorte allor si fecea deprecarlo, ed alla mente tuttid'una presa città gli orrendi maligli dipinse: trafitti i cittadini,arse le case, ed in catene i figlistrascinati e le spose. Si commosseall'atroce pensier l'alma superba,prese l'armi, volò, vinse, e gli Etòlisalvò; ma solo dal suo cor sospinto.Quindi alcun dono non ottenne, e il tardobeneficio rimase inonorato.Non imitar cotesto esempio, o figlio,né vi ti spinga demone maligno:ché il soccorso indugiar, finché le navis'incendano, maggior onta sarìa.Vieni, imita gli Dei, gli offerti doninon disdegnar. Se li dispregi, e posciavolontario combatti, egual non fia,benché ritorni vincitor, l'onore.Qui tacque il veglio, e brevemente Achillein questi detti replicò: Fenice,caro alunno di Giove, ed a me caropadre, di questo onor non ho bisogno.L'onor ch'io cerco mi verrà da Giove,e qui pure davanti a queste antennel'avrò fin che vitale aura mi spiri,fin che il piè mi sorregga. Altra or vo' dirti

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e messo il foco alla città. Piangentela sua bella consorte allor si fecea deprecarlo, ed alla mente tuttid'una presa città gli orrendi maligli dipinse: trafitti i cittadini,arse le case, ed in catene i figlistrascinati e le spose. Si commosseall'atroce pensier l'alma superba,prese l'armi, volò, vinse, e gli Etòlisalvò; ma solo dal suo cor sospinto.Quindi alcun dono non ottenne, e il tardobeneficio rimase inonorato.Non imitar cotesto esempio, o figlio,né vi ti spinga demone maligno:ché il soccorso indugiar, finché le navis'incendano, maggior onta sarìa.Vieni, imita gli Dei, gli offerti doninon disdegnar. Se li dispregi, e posciavolontario combatti, egual non fia,benché ritorni vincitor, l'onore.Qui tacque il veglio, e brevemente Achillein questi detti replicò: Fenice,caro alunno di Giove, ed a me caropadre, di questo onor non ho bisogno.L'onor ch'io cerco mi verrà da Giove,e qui pure davanti a queste antennel'avrò fin che vitale aura mi spiri,fin che il piè mi sorregga. Altra or vo' dirti

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cosa che in mente riporrai. Per fartigrato all'Atride non venir con piantiné con lagni a turbarmi il cor più mai.Non amar contra il giusto il mio nemico,se l'amor mio t'è caro, e meco offendichi m'offende, ché questo ti sta meglio.Del mio regno partecipa, e divisosia teco ogni onor mio. Riporterannoquesti le mie risposte, e tu qui dormisovra morbido letto. Al nuovo soleconsulterem se starci, o andar si debba.Disse; e a Patròclo fe' degli occhi un cennod'allestire al buon veglio un colmo letto,onde gli altri a lasciar tosto la tendavolgessero il pensiero. In questo mezzovòlto ad Ulisse il gran Telamonìde,Partiam, diss'egli, ché per questa viaparmi che vano il ragionar rïesca.Benché ingrata, n'è forza il recar prontila risposta agli Achei, che impazïenti,e forse ancora in assemblea sedutil'attendono. Feroce alma superbachiude Achille nel petto: indegnamentel'amistà de' compagni egli calpesta,né ricorda l'onor che gli rendemmosu gli altri tutti. Dispietato! Il prezzoqualcuno accetta dell'ucciso figlio,o del fratello; e l'uccisor, pagata

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cosa che in mente riporrai. Per fartigrato all'Atride non venir con piantiné con lagni a turbarmi il cor più mai.Non amar contra il giusto il mio nemico,se l'amor mio t'è caro, e meco offendichi m'offende, ché questo ti sta meglio.Del mio regno partecipa, e divisosia teco ogni onor mio. Riporterannoquesti le mie risposte, e tu qui dormisovra morbido letto. Al nuovo soleconsulterem se starci, o andar si debba.Disse; e a Patròclo fe' degli occhi un cennod'allestire al buon veglio un colmo letto,onde gli altri a lasciar tosto la tendavolgessero il pensiero. In questo mezzovòlto ad Ulisse il gran Telamonìde,Partiam, diss'egli, ché per questa viaparmi che vano il ragionar rïesca.Benché ingrata, n'è forza il recar prontila risposta agli Achei, che impazïenti,e forse ancora in assemblea sedutil'attendono. Feroce alma superbachiude Achille nel petto: indegnamentel'amistà de' compagni egli calpesta,né ricorda l'onor che gli rendemmosu gli altri tutti. Dispietato! Il prezzoqualcuno accetta dell'ucciso figlio,o del fratello; e l'uccisor, pagata

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del suo fallo la pena, in una stessacittà dimora col placato offeso.Ma inesorata ed indomata è l'irache a te pose nel petto un dio nemico;per chi? per una donzelletta! e settenoi te n'offriamo a maraviglia belle,e molt'altre più cose. Or via, rivesticor benigno una volta. Abbi rispettoai santi dritti dell'ospizio almeno,ch'ospiti tuoi noi siamo, e dal consessodegli Achei ne venimmo, a te fra tuttii più cari ed amici. - Illustre figliodi Telamone, gli rispose Achille,ottimo io sento il tuo parlar; ma l'irami rigonfia qualor penso a coluiche in mezzo degli Achei mi vilipesecome un vil vagabondo. Andate, e nettala risposta ridite. Alcun pensieronon tenterammi di pugnar, se primail Prïamìde bellicoso Ettorrefino al quartier de' Mirmidoni il focoe la strage non porti. Ov'egli ardiscaassalir questa tenda e questa nave,saprò la furia rintuzzarne, io spero.Sì disse; e quegli, alzato il nappo e fattala libagion, partîrsi; e taciturnoli precedeva di Laerte il figlio.A' suoi sergenti intanto ed all'ancelle

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del suo fallo la pena, in una stessacittà dimora col placato offeso.Ma inesorata ed indomata è l'irache a te pose nel petto un dio nemico;per chi? per una donzelletta! e settenoi te n'offriamo a maraviglia belle,e molt'altre più cose. Or via, rivesticor benigno una volta. Abbi rispettoai santi dritti dell'ospizio almeno,ch'ospiti tuoi noi siamo, e dal consessodegli Achei ne venimmo, a te fra tuttii più cari ed amici. - Illustre figliodi Telamone, gli rispose Achille,ottimo io sento il tuo parlar; ma l'irami rigonfia qualor penso a coluiche in mezzo degli Achei mi vilipesecome un vil vagabondo. Andate, e nettala risposta ridite. Alcun pensieronon tenterammi di pugnar, se primail Prïamìde bellicoso Ettorrefino al quartier de' Mirmidoni il focoe la strage non porti. Ov'egli ardiscaassalir questa tenda e questa nave,saprò la furia rintuzzarne, io spero.Sì disse; e quegli, alzato il nappo e fattala libagion, partîrsi; e taciturnoli precedeva di Laerte il figlio.A' suoi sergenti intanto ed all'ancelle

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Patroclo impone d'apprestar velocisoffice letto al buon Fenice; e prontequelle obbedendo steser d'agnellinepelli uno strato, vi spiegâr di sopradi finissimo lino una sottilecandida tela, e su la tela un'ampiapurpurea coltre; e qui ravvolto il vecchioaspettando l'aurora si riposa.Nel chiuso fondo della tenda ei pureritirossi il Pelìde, ed al suo fiancolesbia fanciulla di Forbante figliasi corcò la gentil Dïomedea.Dormì Patròclo in altra parte, e a latoIfi gli giacque, un'elegante schiavache il Pelìde donògli il dì che l'altaSciro egli prese d'Enïeo cittade.Giunti i legati al padiglion d'Atride,sursero tutti e con aurate tazzee affollate dimande i prenci achivigli accolsero. Primiero interrogolliil re de' forti Agamennón: Preclarodella Grecia splendor, inclito Ulisse,parla: vuol egli dalle fiamme ostiliservar l'armata? o d'ira ancor ripienoil cor superbo, di venir ricusa?Glorïoso signor, rispose il saggiodi Laerte figliuol, non che gli sdegniammorzar, li raccende egli più sempre,

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Patroclo impone d'apprestar velocisoffice letto al buon Fenice; e prontequelle obbedendo steser d'agnellinepelli uno strato, vi spiegâr di sopradi finissimo lino una sottilecandida tela, e su la tela un'ampiapurpurea coltre; e qui ravvolto il vecchioaspettando l'aurora si riposa.Nel chiuso fondo della tenda ei pureritirossi il Pelìde, ed al suo fiancolesbia fanciulla di Forbante figliasi corcò la gentil Dïomedea.Dormì Patròclo in altra parte, e a latoIfi gli giacque, un'elegante schiavache il Pelìde donògli il dì che l'altaSciro egli prese d'Enïeo cittade.Giunti i legati al padiglion d'Atride,sursero tutti e con aurate tazzee affollate dimande i prenci achivigli accolsero. Primiero interrogolliil re de' forti Agamennón: Preclarodella Grecia splendor, inclito Ulisse,parla: vuol egli dalle fiamme ostiliservar l'armata? o d'ira ancor ripienoil cor superbo, di venir ricusa?Glorïoso signor, rispose il saggiodi Laerte figliuol, non che gli sdegniammorzar, li raccende egli più sempre,

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e te dispregia e i tuoi presenti, e diceche del come salvar le navi e il campoco' duci achivi ti consulti. Aggiunsepoi la minaccia, che il novello solevarar vedrallo le sue navi; e gli altria rimbarcarsi esorta, ché dell'altoIlio l'occaso non vedrem, dic'egli,giammai: la mano del Tonante il copre,e rincorârsi i Teucri. Ecco i suoi sensi,che questi a me consorti, il grande Aiacee i saggi araldi confermar ti ponno.Il vegliardo Fenice è là rimastoper suo cenno a dormir, onde dimaniseguitarlo, se il vuole, al patrio lido:non farà forza al suo voler, se il niega.D'alto stupor percossi alla ferocerisposta, tutti ammutoliro i duci,e lunga pezza taciturni e mestisi restâr. Finalmente in questi dettiproruppe il fiero Dïomede: Eccelsosire de' prodi, glorïoso Atride,non avessi tu mai né supplicatoné fatta offerta di cotanti doniall'altero Pelìde. Era superboegli già per se stesso; or tu n'hai fattomontar l'orgoglio più d'assai. Ma vada,o rimanga, di lui non più parole.Lasciam che il proprio genio, o qualche iddio

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e te dispregia e i tuoi presenti, e diceche del come salvar le navi e il campoco' duci achivi ti consulti. Aggiunsepoi la minaccia, che il novello solevarar vedrallo le sue navi; e gli altria rimbarcarsi esorta, ché dell'altoIlio l'occaso non vedrem, dic'egli,giammai: la mano del Tonante il copre,e rincorârsi i Teucri. Ecco i suoi sensi,che questi a me consorti, il grande Aiacee i saggi araldi confermar ti ponno.Il vegliardo Fenice è là rimastoper suo cenno a dormir, onde dimaniseguitarlo, se il vuole, al patrio lido:non farà forza al suo voler, se il niega.D'alto stupor percossi alla ferocerisposta, tutti ammutoliro i duci,e lunga pezza taciturni e mestisi restâr. Finalmente in questi dettiproruppe il fiero Dïomede: Eccelsosire de' prodi, glorïoso Atride,non avessi tu mai né supplicatoné fatta offerta di cotanti doniall'altero Pelìde. Era superboegli già per se stesso; or tu n'hai fattomontar l'orgoglio più d'assai. Ma vada,o rimanga, di lui non più parole.Lasciam che il proprio genio, o qualche iddio

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lo ridesti alla pugna. Or secondiamotutti il mio dir. Di cibo e di lïeo,fonte d'ogni vigor, vi ristorate,e nel sonno immergete ogni pensiero.Tosto che schiuda del mattin le porteil roseo dito della bella Aurora,metti in punto, o gran re, fanti e cavallinanzi alle navi, e a ben pugnar gl'istiga,e combatti tu stesso alla lor testa.Disse, e tutti applaudîr lodando a cielol'alto parlar di Dïomede i regi;e fatti i libamenti, alla sua tendas'incamminò ciascuno. Ivi le stanchemembra accolser del sonno il dolce dono.

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lo ridesti alla pugna. Or secondiamotutti il mio dir. Di cibo e di lïeo,fonte d'ogni vigor, vi ristorate,e nel sonno immergete ogni pensiero.Tosto che schiuda del mattin le porteil roseo dito della bella Aurora,metti in punto, o gran re, fanti e cavallinanzi alle navi, e a ben pugnar gl'istiga,e combatti tu stesso alla lor testa.Disse, e tutti applaudîr lodando a cielol'alto parlar di Dïomede i regi;e fatti i libamenti, alla sua tendas'incamminò ciascuno. Ivi le stanchemembra accolser del sonno il dolce dono.

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Libro Decimo

Tutti per l'alta notte i duci acheidormìan sul lido in sopor molle avvinti;ma non l'Atride Agamennón, cui moltitoglieano il dolce sonno aspri pensieri.Quale il marito di Giunon lampeggiaquando prepara una gran piova o grandine,o folta neve ad inalbare i campi,o fracasso di guerra voratrice;spessi così dal sen d'Agamennónerompevano i sospiri, e il cor tremava.Volge lo sguardo alle troiane tende,e stupisce mirando i molti fuochich'ardon dinanzi ad Ilio, e non ascoltache di tibie la voce e di sampognee festivo fragor. Ma quando il campoacheo contempla ed il tacente lido,svellesi il crine, al ciel si lagna, ed altogeme il cor generoso. Alfin gli parvequesto il miglior consiglio, ir del NelìdeNestore in traccia a consultarne il senno,onde qualcuna divisar con essovia di salute alla fortuna achea.Alzasi in questa mente, intorno al pettola tunica s'avvolge, ed imprigiona

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Libro Decimo

Tutti per l'alta notte i duci acheidormìan sul lido in sopor molle avvinti;ma non l'Atride Agamennón, cui moltitoglieano il dolce sonno aspri pensieri.Quale il marito di Giunon lampeggiaquando prepara una gran piova o grandine,o folta neve ad inalbare i campi,o fracasso di guerra voratrice;spessi così dal sen d'Agamennónerompevano i sospiri, e il cor tremava.Volge lo sguardo alle troiane tende,e stupisce mirando i molti fuochich'ardon dinanzi ad Ilio, e non ascoltache di tibie la voce e di sampognee festivo fragor. Ma quando il campoacheo contempla ed il tacente lido,svellesi il crine, al ciel si lagna, ed altogeme il cor generoso. Alfin gli parvequesto il miglior consiglio, ir del NelìdeNestore in traccia a consultarne il senno,onde qualcuna divisar con essovia di salute alla fortuna achea.Alzasi in questa mente, intorno al pettola tunica s'avvolge, ed imprigiona

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ne' bei calzari il piede. Indi una fulvapelle s'indossa di leon, che largagli discende al calcagno, e l'asta impugna.Né di minor sgomento a Menelaopalpita il petto; e fura agli occhi il sonnol'egro pensier de' periglianti Achivi,che a sua cagione avean per tanto mareportato ad Ilio temeraria guerra.Sul largo dosso gittasi veloceuna di pardo maculata pelle,ponsi l'elmo alla fronte, e via branditoil giavellotto, a risvegliar s'affrettal'onorato, qual nume, e dagli Argivitutti obbedito imperador germano;ed alla poppa della nave il trovache le bell'armi in fretta si vestìa.Grato ei n'ebbe l'arrivo: e Menelaoa lui primiero, Perché t'armi, disse,venerando fratello? Alcun vuoi forsemandar de' nostri esplorator notturnoal campo de' Troiani? Assai tem'ioche alcuno imprenda d'arrischiarsi soloper lo buio a spïar l'oste nemica,ché molta vuolsi audacia a tanta impresa.Rispose Agamennón: Fratello, è d'uopodi prudenza ad entrambi e di consiglioche gli Argivi ne scampi e queste navi,or che di Giove si voltò la mente,

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ne' bei calzari il piede. Indi una fulvapelle s'indossa di leon, che largagli discende al calcagno, e l'asta impugna.Né di minor sgomento a Menelaopalpita il petto; e fura agli occhi il sonnol'egro pensier de' periglianti Achivi,che a sua cagione avean per tanto mareportato ad Ilio temeraria guerra.Sul largo dosso gittasi veloceuna di pardo maculata pelle,ponsi l'elmo alla fronte, e via branditoil giavellotto, a risvegliar s'affrettal'onorato, qual nume, e dagli Argivitutti obbedito imperador germano;ed alla poppa della nave il trovache le bell'armi in fretta si vestìa.Grato ei n'ebbe l'arrivo: e Menelaoa lui primiero, Perché t'armi, disse,venerando fratello? Alcun vuoi forsemandar de' nostri esplorator notturnoal campo de' Troiani? Assai tem'ioche alcuno imprenda d'arrischiarsi soloper lo buio a spïar l'oste nemica,ché molta vuolsi audacia a tanta impresa.Rispose Agamennón: Fratello, è d'uopodi prudenza ad entrambi e di consiglioche gli Argivi ne scampi e queste navi,or che di Giove si voltò la mente,

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e d'Ettore ha preferti i sacrifici:ch'io né vidi giammai né d'altri intesi,che un solo in un sol dì tanti potesseforti fatti operar quanti il valoredi questo Ettorre a nostro danno; e a luinon fu madre una Dea, né padre un Dio:e temo io ben che lungamente afflittidi tanto strazio piangeran gli Achivi.Or tu vanne, e d'Aiace e Idomenèoratto vola alle navi, e li risveglia,ché a Nestore io ne vado ad esortarlodi tosto alzarsi e di seguirmi al sacrostuol delle guardie, e comandarle. A luipresteran più che ad altri obbedïenza:perocché delle guardie è capitanoTrasimède suo figlio, e Merïoned'Idomenèo l'amico, a' quai commessoè delle scolte il principal pensiero.E che poi mi prescrive il tuo comando?(replicò Menelao). Degg'io con essirestarmi ad aspettar la tua venuta?O, fatta l'imbasciata, a te velocetornar? - Rimanti, Agamennón ripiglia,tu rimanti colà, ché disvïarcinell'andar ne potrìan le molte stradeonde il campo è interrotto. Ovunque intantot'avvegna di passar leva la voce,raccomanda le veglie, ognun col nome

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e d'Ettore ha preferti i sacrifici:ch'io né vidi giammai né d'altri intesi,che un solo in un sol dì tanti potesseforti fatti operar quanti il valoredi questo Ettorre a nostro danno; e a luinon fu madre una Dea, né padre un Dio:e temo io ben che lungamente afflittidi tanto strazio piangeran gli Achivi.Or tu vanne, e d'Aiace e Idomenèoratto vola alle navi, e li risveglia,ché a Nestore io ne vado ad esortarlodi tosto alzarsi e di seguirmi al sacrostuol delle guardie, e comandarle. A luipresteran più che ad altri obbedïenza:perocché delle guardie è capitanoTrasimède suo figlio, e Merïoned'Idomenèo l'amico, a' quai commessoè delle scolte il principal pensiero.E che poi mi prescrive il tuo comando?(replicò Menelao). Degg'io con essirestarmi ad aspettar la tua venuta?O, fatta l'imbasciata, a te velocetornar? - Rimanti, Agamennón ripiglia,tu rimanti colà, ché disvïarcinell'andar ne potrìan le molte stradeonde il campo è interrotto. Ovunque intantot'avvegna di passar leva la voce,raccomanda le veglie, ognun col nome

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chiama del padre e della stirpe, a tuttilargo ti mostra d'onoranze, e ponil'alterezza in obblìo. Prendiam con gli altriparte noi stessi alla comun fatica,perché Giove noi pur fin dalla cuna,benché regi, gravò d'alte sventure.Così dicendo, in via mise il fratellodi tutto l'uopo ammaestrato; ed essoa Nestore avvïossi. Ritrovollodavanti alla sua nave entro la tendacorco in morbido letto. A sé vicinearmi diverse avea, lo scudo e duelung'aste e il lucid'elmo; e non lontanagiacea di vario lavorìo la cinta,di che il buon veglio si fasciava il fiancoquando a battaglie sanguinose armatole sue schiere movea; ché non ancoraalla triste vecchiezza egli perdona.All'apparir d'Atride erto ei rizzossisul cubito, e levata alto la fronte,l'interrogò dicendo: E chi sei tuche pel campo ne vieni a queste navicosì soletto per la notte oscura,mentre gli altri mortali han tregua e sonno?Forse alcun de' veglianti o de' compagnivai rintracciando? Parla, e taciturnonon appressarti: che ricerchi? - E a luiil regnatore Atride: Oh degli Achei

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chiama del padre e della stirpe, a tuttilargo ti mostra d'onoranze, e ponil'alterezza in obblìo. Prendiam con gli altriparte noi stessi alla comun fatica,perché Giove noi pur fin dalla cuna,benché regi, gravò d'alte sventure.Così dicendo, in via mise il fratellodi tutto l'uopo ammaestrato; ed essoa Nestore avvïossi. Ritrovollodavanti alla sua nave entro la tendacorco in morbido letto. A sé vicinearmi diverse avea, lo scudo e duelung'aste e il lucid'elmo; e non lontanagiacea di vario lavorìo la cinta,di che il buon veglio si fasciava il fiancoquando a battaglie sanguinose armatole sue schiere movea; ché non ancoraalla triste vecchiezza egli perdona.All'apparir d'Atride erto ei rizzossisul cubito, e levata alto la fronte,l'interrogò dicendo: E chi sei tuche pel campo ne vieni a queste navicosì soletto per la notte oscura,mentre gli altri mortali han tregua e sonno?Forse alcun de' veglianti o de' compagnivai rintracciando? Parla, e taciturnonon appressarti: che ricerchi? - E a luiil regnatore Atride: Oh degli Achei

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inclita luce, Nestore Nelìde,Agamennón son io, cui Giove opprimed'infinito travaglio, e fia che durifinché avrà spirto il petto e moto il piede.Vagabondo ne vo poiché dal cigliofuggemi il sonno, e il rio pensier mi gravadi questa guerra e della clade achea.De' Danai il rischio mi spaventa: infermastupidisce la mente, il cor mi fuggeda' suoi ripari, e tremebondo è il piede.Tu se cosa ne mediti che giovi(quando il sonno s'invola anco a' tuoi lumi),sorgi, e alle guardie discendiam. Veggiamose da veglia stancate e da faticasiensi date al dormir, posta in obblìola vigilanza. Del nemico il camponon è lontano, né sappiam s'ei vogliapur di notte tentar qualche conflitto.Disse; e il gerenio cavalier rispose:Agamennóne glorïoso Atride,non tutti adempirà Giove pietosoi disegni d'Ettore e le speranze.Ben più vero cred'io che molti affannisudar d'ambascia gli faran la frontese desterassi Achille, e la tenaceira funesta scuoterà dal petto.Or io volonteroso ecco ti seguo:andianne, risvegliam dal sonno i duci

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inclita luce, Nestore Nelìde,Agamennón son io, cui Giove opprimed'infinito travaglio, e fia che durifinché avrà spirto il petto e moto il piede.Vagabondo ne vo poiché dal cigliofuggemi il sonno, e il rio pensier mi gravadi questa guerra e della clade achea.De' Danai il rischio mi spaventa: infermastupidisce la mente, il cor mi fuggeda' suoi ripari, e tremebondo è il piede.Tu se cosa ne mediti che giovi(quando il sonno s'invola anco a' tuoi lumi),sorgi, e alle guardie discendiam. Veggiamose da veglia stancate e da faticasiensi date al dormir, posta in obblìola vigilanza. Del nemico il camponon è lontano, né sappiam s'ei vogliapur di notte tentar qualche conflitto.Disse; e il gerenio cavalier rispose:Agamennóne glorïoso Atride,non tutti adempirà Giove pietosoi disegni d'Ettore e le speranze.Ben più vero cred'io che molti affannisudar d'ambascia gli faran la frontese desterassi Achille, e la tenaceira funesta scuoterà dal petto.Or io volonteroso ecco ti seguo:andianne, risvegliam dal sonno i duci

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Dïomede ed Ulisse, ed il veloceAiace d'Oilèo, e di Filèoil forte figlio; e si spedisca intantoalcun di tutta fretta a richiamarnepur l'altro Aiace e Idomenèo che lungiagli estremi del campo hanno le navi.Ma quanto a Menelao, benché ne siad'onor degno ed amico, io non terrommidi rampognarlo (ancor che debba il francomio parlare adirarti), e vergognarlofarò del suo poltrir, tutte lasciandoa te le cure, or ch'è mestier di ressacon tutti i duci e d'ogni umìl preghiera,come crudel necessità dimanda.Ben altra volta (Agamennón rispose)ti pregai d'ammonirlo, o saggio antico,ché spesso ei posa, e di fatica è schivo;per pigrezza non già, né per difettod'accorta mente, ma perché miei cennimeglio aspettar che antivenirli ei crede.Pur questa volta mi precorse, e innanzimi comparve improvviso, ed io l'ho spintoa chiamarne i guerrieri che tu cerchi.Andiam, ché tutti fra le guardie, avantialle porte del vallo congregatili troverem; ché tale è il mio comando.E Nèstore a rincontro: Or degli Acheiniun ritroso a lui fia né disdegnoso,

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Dïomede ed Ulisse, ed il veloceAiace d'Oilèo, e di Filèoil forte figlio; e si spedisca intantoalcun di tutta fretta a richiamarnepur l'altro Aiace e Idomenèo che lungiagli estremi del campo hanno le navi.Ma quanto a Menelao, benché ne siad'onor degno ed amico, io non terrommidi rampognarlo (ancor che debba il francomio parlare adirarti), e vergognarlofarò del suo poltrir, tutte lasciandoa te le cure, or ch'è mestier di ressacon tutti i duci e d'ogni umìl preghiera,come crudel necessità dimanda.Ben altra volta (Agamennón rispose)ti pregai d'ammonirlo, o saggio antico,ché spesso ei posa, e di fatica è schivo;per pigrezza non già, né per difettod'accorta mente, ma perché miei cennimeglio aspettar che antivenirli ei crede.Pur questa volta mi precorse, e innanzimi comparve improvviso, ed io l'ho spintoa chiamarne i guerrieri che tu cerchi.Andiam, ché tutti fra le guardie, avantialle porte del vallo congregatili troverem; ché tale è il mio comando.E Nèstore a rincontro: Or degli Acheiniun ritroso a lui fia né disdegnoso,

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o comandi od esorti. - In questo direla tunica s'avvolse intorno al petto;al terso piede i bei calzari annoda;quindi un'ampia s'affibbia e porporinaclamide doppia, in cui fiorìa la felpa.Poi recossi alla man l'acuta e saldalancia, e verso le navi incamminosside' loricati Achivi. E primamentesvegliò dal sonno il sapïente Ulisseelevando la voce: e a lui quel gridoferì l'orecchio appena, che velocedella tenda n'uscì con questi accenti:Chi siete che soletti errando andatepresso le navi per la dolce notte?Qual vi spinge bisogno? - O di Laertemagnanimo figliuol, prudente Ulisse,(gli rispose di Pilo il cavaliero)non isdegnarti, e del dolor ti cagliade' travagliati Achei: vieni, che un altrosvegliarne è d'uopo, e consultar con essoo la fuga o la pugna. - A questo dettorïentrò l'Itacense nella tenda,sul tergo si gittò lo scudo, e venne.Proseguiro il cammin quindi alla voltadi Dïomede, e lo trovâr di tuttel'armi vestito, e fuor del padiglione.Gli dormìano dintorno i suoi guerrieriprofondamente, e degli scudi al capo

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o comandi od esorti. - In questo direla tunica s'avvolse intorno al petto;al terso piede i bei calzari annoda;quindi un'ampia s'affibbia e porporinaclamide doppia, in cui fiorìa la felpa.Poi recossi alla man l'acuta e saldalancia, e verso le navi incamminosside' loricati Achivi. E primamentesvegliò dal sonno il sapïente Ulisseelevando la voce: e a lui quel gridoferì l'orecchio appena, che velocedella tenda n'uscì con questi accenti:Chi siete che soletti errando andatepresso le navi per la dolce notte?Qual vi spinge bisogno? - O di Laertemagnanimo figliuol, prudente Ulisse,(gli rispose di Pilo il cavaliero)non isdegnarti, e del dolor ti cagliade' travagliati Achei: vieni, che un altrosvegliarne è d'uopo, e consultar con essoo la fuga o la pugna. - A questo dettorïentrò l'Itacense nella tenda,sul tergo si gittò lo scudo, e venne.Proseguiro il cammin quindi alla voltadi Dïomede, e lo trovâr di tuttel'armi vestito, e fuor del padiglione.Gli dormìano dintorno i suoi guerrieriprofondamente, e degli scudi al capo

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s'avean fatto origlier. Fitto nel suolostassi il calce dell'aste, e il ferro in cimamette splendor da lungi, a simiglianzadel baleno di Giove. Esso l'eroedi bue selvaggio sulla dura pelledormìa disteso, ma purpureo e riccosotto il capo regale era un tappeto.Giuntogli sopra, il cavalier toccollocolla punta del piè, lo spinse, e fortegarrendo lo destò. Sorgi, Tidìde;perché ne sfiori tutta notte il sonno?Non odi che i Troiani in campo stannosovra il colle propinquo, e che disgiuntidi poco spazio dalle navi ei sono?Disse; e quei si destò balzando in piediveloce come lampo, e a lui rivoltocon questi accenti rispondea: Sei troppodelle fatiche tollerante, o veglio,né ozïoso giammai. A risvegliarnedi quest'ora i re duci inopia forsev'ha di giovani achei pronti alla ronda?Ma tu sei veglio infaticato e strano.E Nestore di nuovo: Illustre amico,tu verace parlasti e generoso.Padre io mi son d'egregi figli, e ducedi molti prodi che potrìan le vecipur d'araldo adempir. Ma grande or premenecessità gli Achivi, e morte e vita

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s'avean fatto origlier. Fitto nel suolostassi il calce dell'aste, e il ferro in cimamette splendor da lungi, a simiglianzadel baleno di Giove. Esso l'eroedi bue selvaggio sulla dura pelledormìa disteso, ma purpureo e riccosotto il capo regale era un tappeto.Giuntogli sopra, il cavalier toccollocolla punta del piè, lo spinse, e fortegarrendo lo destò. Sorgi, Tidìde;perché ne sfiori tutta notte il sonno?Non odi che i Troiani in campo stannosovra il colle propinquo, e che disgiuntidi poco spazio dalle navi ei sono?Disse; e quei si destò balzando in piediveloce come lampo, e a lui rivoltocon questi accenti rispondea: Sei troppodelle fatiche tollerante, o veglio,né ozïoso giammai. A risvegliarnedi quest'ora i re duci inopia forsev'ha di giovani achei pronti alla ronda?Ma tu sei veglio infaticato e strano.E Nestore di nuovo: Illustre amico,tu verace parlasti e generoso.Padre io mi son d'egregi figli, e ducedi molti prodi che potrìan le vecipur d'araldo adempir. Ma grande or premenecessità gli Achivi, e morte e vita

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stanno sul taglio della spada. Or vannetu che giovine sei, vanne, e il velocechiamami Aiace e di Filèo la prole,se pietà senti del mio tardo piede.Così parla il vegliardo. E Dïomedesull'omero si getta una rossicciacapace pelle di lïon, cadentefino al tallone ed una picca impugna.Andò l'eroe, volò, dal sonno entrambili destò, li condusse; e tutti in gruppos'avvïar delle guardie alle caterve:né delle guardie abbandonato al sonnoduce alcuno trovâr, ma vigilantitutti ed armati e in compagnia seduti.Come i fidi molossi al pecorilefan travagliosa sentinella udendocalar dal monte una feroce belvae stormir le boscaglie: un gran tumultos'alza sovr'essa di latrati e gridi,e si rompe ogni sonno: così questirotto il dolce sopor su le palpebre,notte vegliano amara, ognor del pianoalla parte conversi, ove s'udissenemico calpestìo. Gioinne il veglio,e confortolli e disse: Vigilatecosì sempre, o miei figli, e non si lasciniun dal sonno allacciar, onde il Troianodi noi non rida. Così detto, il varco

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stanno sul taglio della spada. Or vannetu che giovine sei, vanne, e il velocechiamami Aiace e di Filèo la prole,se pietà senti del mio tardo piede.Così parla il vegliardo. E Dïomedesull'omero si getta una rossicciacapace pelle di lïon, cadentefino al tallone ed una picca impugna.Andò l'eroe, volò, dal sonno entrambili destò, li condusse; e tutti in gruppos'avvïar delle guardie alle caterve:né delle guardie abbandonato al sonnoduce alcuno trovâr, ma vigilantitutti ed armati e in compagnia seduti.Come i fidi molossi al pecorilefan travagliosa sentinella udendocalar dal monte una feroce belvae stormir le boscaglie: un gran tumultos'alza sovr'essa di latrati e gridi,e si rompe ogni sonno: così questirotto il dolce sopor su le palpebre,notte vegliano amara, ognor del pianoalla parte conversi, ove s'udissenemico calpestìo. Gioinne il veglio,e confortolli e disse: Vigilatecosì sempre, o miei figli, e non si lasciniun dal sonno allacciar, onde il Troianodi noi non rida. Così detto, il varco

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passò del fosso, e lo seguièno i regia consiglio chiamati. A lor s'aggiunsecompagno Merïone, e di Nestorrel'inclito figlio, convocati anch'essialla consulta. Valicato il fosso,fermârsi in loco dalla strage intatto,in quel loco medesmo ove sorgiuntoEttore dalla notte alla crudeleuccisïone degli Achei fin pose.Quivi seduti cominciâr la sommaa parlar delle cose; e in questi dettiNestore aperse il parlamento: Amici,havvi alcuna tra voi anima arditae in sé sicura, che furtiva ir vogliade' fier Troiani al campo, onde qualcunode' nemici vaganti alle trincierefar prigioniero? o tanto andar vicino,che alcun discorso de' Troiani ascolti,e ne scopra il pensier? se sia lor mentequi rimanersi ad assediar le navi,o alla città tornarsi, or che domatahan l'achiva possanza? Ei forse tuttepotrìa raccor tai cose, e ritornarnesalvo ed illeso. D'alta fama al mondofarebbe acquisto, e n'otterrìa bel dono.Quanti son delle navi i capitanigli daranno una negra pecorellacoll'agnello alla poppa; e guiderdone

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passò del fosso, e lo seguièno i regia consiglio chiamati. A lor s'aggiunsecompagno Merïone, e di Nestorrel'inclito figlio, convocati anch'essialla consulta. Valicato il fosso,fermârsi in loco dalla strage intatto,in quel loco medesmo ove sorgiuntoEttore dalla notte alla crudeleuccisïone degli Achei fin pose.Quivi seduti cominciâr la sommaa parlar delle cose; e in questi dettiNestore aperse il parlamento: Amici,havvi alcuna tra voi anima arditae in sé sicura, che furtiva ir vogliade' fier Troiani al campo, onde qualcunode' nemici vaganti alle trincierefar prigioniero? o tanto andar vicino,che alcun discorso de' Troiani ascolti,e ne scopra il pensier? se sia lor mentequi rimanersi ad assediar le navi,o alla città tornarsi, or che domatahan l'achiva possanza? Ei forse tuttepotrìa raccor tai cose, e ritornarnesalvo ed illeso. D'alta fama al mondofarebbe acquisto, e n'otterrìa bel dono.Quanti son delle navi i capitanigli daranno una negra pecorellacoll'agnello alla poppa; e guiderdone

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alcun altro non v'ha che questo adegui.Poi ne' conviti e ne' banchetti ei fiasempre onorato, desïato e caro.Disse; e tutti restâr pensosi e muti.Ruppe l'alto silenzio il bellicosoDïomede e parlò: Saggio Nelìde,quell'audace son io: me la fidanza,me l'ardir persuade al gran perigliod'insinuarmi nel dardanio campo.Ma se meco verranne altro guerriero,securtà crescerammi ed ardimento.Se due ne vanno di conserva, l'unofa l'altro accorto del miglior partito.Ma d'un solo, sebben veggente e prode,tardo è il coraggio e debole il consiglio.Disse: e molti volean di Dïomedeir compagni: il volean ambo gli Aiaci,il volea Merïon: più ch'altri il figliodi Nestore il volea: chiedealo anch'essol'Atride Menelao: chiedea del paripenetrar ne' troiani accampamentiil forte Ulisse: perocché nel pettosempre il cor gli volgea le ardite imprese.Mosse allor le parole il grande Atride.Diletto Dïomede, a tuo talentoun compagno ti scegli a sì grand'uopo,qual ti sembra il miglior. Molti ne vedipresti a seguirti; né verun rispetto

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alcun altro non v'ha che questo adegui.Poi ne' conviti e ne' banchetti ei fiasempre onorato, desïato e caro.Disse; e tutti restâr pensosi e muti.Ruppe l'alto silenzio il bellicosoDïomede e parlò: Saggio Nelìde,quell'audace son io: me la fidanza,me l'ardir persuade al gran perigliod'insinuarmi nel dardanio campo.Ma se meco verranne altro guerriero,securtà crescerammi ed ardimento.Se due ne vanno di conserva, l'unofa l'altro accorto del miglior partito.Ma d'un solo, sebben veggente e prode,tardo è il coraggio e debole il consiglio.Disse: e molti volean di Dïomedeir compagni: il volean ambo gli Aiaci,il volea Merïon: più ch'altri il figliodi Nestore il volea: chiedealo anch'essol'Atride Menelao: chiedea del paripenetrar ne' troiani accampamentiil forte Ulisse: perocché nel pettosempre il cor gli volgea le ardite imprese.Mosse allor le parole il grande Atride.Diletto Dïomede, a tuo talentoun compagno ti scegli a sì grand'uopo,qual ti sembra il miglior. Molti ne vedipresti a seguirti; né verun rispetto

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la tua scelta governi, onde non siache lasciato il miglior, pigli il peggiore;né ti freni pudor, né riverenzadi lignaggio, né s'altri è re più grande.Così parlava, del fratello amatopaventando il periglio: e fea rispostaDïomede così: Se d'un compagnomi comandate a senno mio l'eletta,come scordarmi del divino Ulisse,di cui provato è il cor, l'alma costantenelle fatiche, e che di Palla è amore?S'ei meco ne verrà, di mezzo ancoraalle fiamme uscirem; cotanto è saggio.Non mi lodar né mi biasmar, Tidìde,soverchiamente (gli rispose Ulisse),ché tu parli nel mezzo ai consci Argivi.Partiam: la notte se ne va veloce,delle stelle il languir l'alba n'avvisa,né dell'ombre riman che il terzo appena.D'armi orrende, ciò detto, si vestiro.A Dïomede, che il suo brando aveaobblïato alle navi, altro ne diededi doppio taglio, ed il suo proprio scudoil forte Trasimede. Indi alla fronteuna celata gli adattò di cuoiotaurin compatta, senza cono e cresta,che barbuta si noma, e copre il capode' giovinetti. Merïone a gara

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la tua scelta governi, onde non siache lasciato il miglior, pigli il peggiore;né ti freni pudor, né riverenzadi lignaggio, né s'altri è re più grande.Così parlava, del fratello amatopaventando il periglio: e fea rispostaDïomede così: Se d'un compagnomi comandate a senno mio l'eletta,come scordarmi del divino Ulisse,di cui provato è il cor, l'alma costantenelle fatiche, e che di Palla è amore?S'ei meco ne verrà, di mezzo ancoraalle fiamme uscirem; cotanto è saggio.Non mi lodar né mi biasmar, Tidìde,soverchiamente (gli rispose Ulisse),ché tu parli nel mezzo ai consci Argivi.Partiam: la notte se ne va veloce,delle stelle il languir l'alba n'avvisa,né dell'ombre riman che il terzo appena.D'armi orrende, ciò detto, si vestiro.A Dïomede, che il suo brando aveaobblïato alle navi, altro ne diededi doppio taglio, ed il suo proprio scudoil forte Trasimede. Indi alla fronteuna celata gli adattò di cuoiotaurin compatta, senza cono e cresta,che barbuta si noma, e copre il capode' giovinetti. Merïone a gara

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d'una spada, d'un arco e d'un turcassoad Ulisse fe' dono, e su la testaun morïon gli pose aspro di pelle,da molte lasse nell'interno tuttosaldamente frenato, e nel di fuoredi bianchissimi denti rivestitodi zannuto cinghial, tutti in ghirlandacon vago lavorìo disposti e folti.Grosso feltro il cucuzzolo guarnìa.L'avea furato in Eleona un giornoAutolico ad Amìntore d'Ormeno,della casa rompendo i saldi muri;quindi il ladro in Scandea diello al CitèrioAmfidamante; Amfidamante a Moloospital donamento, e questi posciaal figlio Merïon, che su la frontealfin lo pose dell'astuto Ulisse.Racchiusi nelle orrende arme gli eroipartîr, lasciando in quel recesso i duci.E da man destra intanto su la viaspedì loro Minerva un aïrone.Né già questi il vedean, ché agli occhi il vietala cieca notte, ma n'udìan lo strido.Di quell'augurio l'Itacense allegroa Minerva drizzò questa preghiera:Odimi, o figlia dell'Egìoco Giove,che l'opre mie del tuo nume proteggi,né t'è veruno de' miei passi occulto.

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d'una spada, d'un arco e d'un turcassoad Ulisse fe' dono, e su la testaun morïon gli pose aspro di pelle,da molte lasse nell'interno tuttosaldamente frenato, e nel di fuoredi bianchissimi denti rivestitodi zannuto cinghial, tutti in ghirlandacon vago lavorìo disposti e folti.Grosso feltro il cucuzzolo guarnìa.L'avea furato in Eleona un giornoAutolico ad Amìntore d'Ormeno,della casa rompendo i saldi muri;quindi il ladro in Scandea diello al CitèrioAmfidamante; Amfidamante a Moloospital donamento, e questi posciaal figlio Merïon, che su la frontealfin lo pose dell'astuto Ulisse.Racchiusi nelle orrende arme gli eroipartîr, lasciando in quel recesso i duci.E da man destra intanto su la viaspedì loro Minerva un aïrone.Né già questi il vedean, ché agli occhi il vietala cieca notte, ma n'udìan lo strido.Di quell'augurio l'Itacense allegroa Minerva drizzò questa preghiera:Odimi, o figlia dell'Egìoco Giove,che l'opre mie del tuo nume proteggi,né t'è veruno de' miei passi occulto.

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Or tu benigna più che prima, o Dea,dell'amor tuo m'affida, e ne concediglorïoso ritorno e un forte fatto,tale che renda dolorosi i Teucri.Pregò secondo Dïomede, e disse:Di Giove invitta armipotente figlia,odi adesso me pur: fausta mi seguisiccome allor che seguitasti a Tebeil mio divino genitor Tidèo,de' loricati Achivi ambasciadoreattendati d'Asopo alla riviera.Di placido messaggio egli a' Tebanifu portator; ma fieri fatti ei fecenel suo ritorno col favor tuo solo,ché nume amico gli venivi al fianco.E tu propizia a me pur vieni, o Dea,e salvami. Sull'ara una giovencati ferirò d'un anno, ampia la fronte,ancor non doma, ancor del giogo intatta.Questa darotti, e avrà dorato il corno.Così pregaro, e gli esaudìa la Diva.Implorata di Giove la possentefiglia Minerva, proseguîr la viaquai due lïoni, per la notte oscura,per la strage, per l'armi e pe' cadaverisparsi in morta di sangue atra laguna.Né d'altra parte ai forti Teucri Ettorrepermette il sonno; ma de' prenci e duci

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Or tu benigna più che prima, o Dea,dell'amor tuo m'affida, e ne concediglorïoso ritorno e un forte fatto,tale che renda dolorosi i Teucri.Pregò secondo Dïomede, e disse:Di Giove invitta armipotente figlia,odi adesso me pur: fausta mi seguisiccome allor che seguitasti a Tebeil mio divino genitor Tidèo,de' loricati Achivi ambasciadoreattendati d'Asopo alla riviera.Di placido messaggio egli a' Tebanifu portator; ma fieri fatti ei fecenel suo ritorno col favor tuo solo,ché nume amico gli venivi al fianco.E tu propizia a me pur vieni, o Dea,e salvami. Sull'ara una giovencati ferirò d'un anno, ampia la fronte,ancor non doma, ancor del giogo intatta.Questa darotti, e avrà dorato il corno.Così pregaro, e gli esaudìa la Diva.Implorata di Giove la possentefiglia Minerva, proseguîr la viaquai due lïoni, per la notte oscura,per la strage, per l'armi e pe' cadaverisparsi in morta di sangue atra laguna.Né d'altra parte ai forti Teucri Ettorrepermette il sonno; ma de' prenci e duci

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chiama tutti i migliori a parlamento;e raccolti, lor apre il suo consiglio.Chi di voi mi promette un'alta impresaper grande premio che il farà contento?Darogli un cocchio, e di cervice alteradue corsieri, i miglior dell'oste achea(taccio la fama che n'avrà nel mondo).Questo dono otterrà chiunque ardiscaappressarsi alle navi, e cauto esplorise sian, qual pria, guardate, o pur se domoda nostre forze l'inimico or seggaa consulta di fuga, e le notturneveglie trascuri affaticato e stanco.Disse, e il silenzio li fe' tutti muti.Era un certo Dolone infra' Troiani,uom che di bronzo e d'oro era possente,figlio d'Eumede banditor famoso,deforme il volto, ma veloce il piede,e fra cinque sirocchie unico e solo.Si trasse innanzi il tristo, e così disse:Ettore, questo cor l'incarco assumed'avvicinarsi a quelle navi, e tuttoscoprir. Lo scettro mi solleva e giurache l'èneo cocchio e i corridori istessidel gran Pelìde mi darai: né vanoesploratore io ti sarò: né vôtafia la tua speme. Nell'acheo steccatopenetrerò, mi spingerò fin dentro

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chiama tutti i migliori a parlamento;e raccolti, lor apre il suo consiglio.Chi di voi mi promette un'alta impresaper grande premio che il farà contento?Darogli un cocchio, e di cervice alteradue corsieri, i miglior dell'oste achea(taccio la fama che n'avrà nel mondo).Questo dono otterrà chiunque ardiscaappressarsi alle navi, e cauto esplorise sian, qual pria, guardate, o pur se domoda nostre forze l'inimico or seggaa consulta di fuga, e le notturneveglie trascuri affaticato e stanco.Disse, e il silenzio li fe' tutti muti.Era un certo Dolone infra' Troiani,uom che di bronzo e d'oro era possente,figlio d'Eumede banditor famoso,deforme il volto, ma veloce il piede,e fra cinque sirocchie unico e solo.Si trasse innanzi il tristo, e così disse:Ettore, questo cor l'incarco assumed'avvicinarsi a quelle navi, e tuttoscoprir. Lo scettro mi solleva e giurache l'èneo cocchio e i corridori istessidel gran Pelìde mi darai: né vanoesploratore io ti sarò: né vôtafia la tua speme. Nell'acheo steccatopenetrerò, mi spingerò fin dentro

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l'agamennònia nave, ove a consultaforse i duci si stan di pugna o fuga.Sì disse, e l'altro sollevò lo scettro,e giurò: Testimon Giove mi sia,Giove il tonante di Giunon marito,che da que' bei corsieri altri tiratonon verrà de' Troiani, e che tu sologlorïoso n'andrai. - Fu questo il giuro,ma sperso all'aura; e da quel giuro intantoincitato Dolone in su le spalletosto l'arco gittossi, e la personadella pelle vestì di bigio lupo:poi chiuse il brutto capo entro un elmettoche d'ispida faìna era munito.Impugnò un dardo acuto, ed alle navi,per non più ritornarne apportatoredi novelle ad Ettorre, incamminossi.Lasciata de' cavalli e de' pedonila compagnia, Dolon spedito e snellobattea la strada. Se n'accorse Ulissealla pesta de' piedi, e a Dïomedesommesso favellò: Sento qualcunovenir dal campo, né so dir se spiadi nostre navi, o spogliator di morti.Lasciam che via trapassi, e gli saremoratti alle spalle, e il piglierem. Se avvegnach'ei di corso ne vinca, tu coll'astaindefesso l'incalza, e verso il lido

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l'agamennònia nave, ove a consultaforse i duci si stan di pugna o fuga.Sì disse, e l'altro sollevò lo scettro,e giurò: Testimon Giove mi sia,Giove il tonante di Giunon marito,che da que' bei corsieri altri tiratonon verrà de' Troiani, e che tu sologlorïoso n'andrai. - Fu questo il giuro,ma sperso all'aura; e da quel giuro intantoincitato Dolone in su le spalletosto l'arco gittossi, e la personadella pelle vestì di bigio lupo:poi chiuse il brutto capo entro un elmettoche d'ispida faìna era munito.Impugnò un dardo acuto, ed alle navi,per non più ritornarne apportatoredi novelle ad Ettorre, incamminossi.Lasciata de' cavalli e de' pedonila compagnia, Dolon spedito e snellobattea la strada. Se n'accorse Ulissealla pesta de' piedi, e a Dïomedesommesso favellò: Sento qualcunovenir dal campo, né so dir se spiadi nostre navi, o spogliator di morti.Lasciam che via trapassi, e gli saremoratti alle spalle, e il piglierem. Se avvegnach'ei di corso ne vinca, tu coll'astaindefesso l'incalza, e verso il lido

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serralo sì, che alla città non fugga.Uscîr di via, ciò detto, e s'appiattarotra' morti corpi; ed egli incauto e celereoltrepassò. Ma lontanato appena,quanto è un solco di mule (che de' buoitraggono meglio il ben connesso aratronel profondo maggese), gli fur sopra:ed egli, udito il calpestìo, ristette,qualcun sperando che de' suoi venisseper comando d'Ettorre a richiamarlo.Ma giunti d'asta al tiro e ancor più presso,li conobbe nemici. Allor dier lestil'uno alla fuga il piè, gli altri alla caccia.Quai due d'aguzzo dente esperti bracchio lepre o caprïol pel bosco incalzanosenza dar posa, ed ei precorre e bela;tali Ulisse e il Tidìde all'infelicesi stringono inseguendo, e precidendosempre ogni scampo. E già nel suo fuggireverso le navi sul momento egli eradi mischiarsi alle guardie, allor che lenacrebbe Minerva e forza a Dïomede,onde niun degli Achei vanto si dessedi ferirlo primiero, egli secondo.Alza l'asta l'eroe, Ferma, gridando,o ch'io di lancia ti raggiungo e uccido.Vibra il telo in ciò dir, ma vibra in falloa bello studio: gli strisciò la punta

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serralo sì, che alla città non fugga.Uscîr di via, ciò detto, e s'appiattarotra' morti corpi; ed egli incauto e celereoltrepassò. Ma lontanato appena,quanto è un solco di mule (che de' buoitraggono meglio il ben connesso aratronel profondo maggese), gli fur sopra:ed egli, udito il calpestìo, ristette,qualcun sperando che de' suoi venisseper comando d'Ettorre a richiamarlo.Ma giunti d'asta al tiro e ancor più presso,li conobbe nemici. Allor dier lestil'uno alla fuga il piè, gli altri alla caccia.Quai due d'aguzzo dente esperti bracchio lepre o caprïol pel bosco incalzanosenza dar posa, ed ei precorre e bela;tali Ulisse e il Tidìde all'infelicesi stringono inseguendo, e precidendosempre ogni scampo. E già nel suo fuggireverso le navi sul momento egli eradi mischiarsi alle guardie, allor che lenacrebbe Minerva e forza a Dïomede,onde niun degli Achei vanto si dessedi ferirlo primiero, egli secondo.Alza l'asta l'eroe, Ferma, gridando,o ch'io di lancia ti raggiungo e uccido.Vibra il telo in ciò dir, ma vibra in falloa bello studio: gli strisciò la punta

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l'omero destro e conficcossi in terra.Ristette il fuggitivo, e di paurasmorto tremando, della bocca uscìastridor di denti che batteano insieme.L'aggiungono anelanti i due guerrieri,l'afferrano alle mani, ed ei piangendogrida: Salvate questa vita, ed ioriscatterolla. Ho gran ricchezza in casad'oro, di rame e lavorato ferro.Di questi il padre mio, se nelle navivivo mi sappia degli Achei, faravviper la mia libertà dono infinito.Via, fa cor, rispondea lo scaltro Ulisse,né veruno di morte abbi sospetto,ma dinne, e sii verace: Ed a qual finedal campo te ne vai verso le navitutto solingo pel notturno buiomentre ogni altro mortal nel sonno ha posa?A spogliar forse estinti corpi? o forseEttor ti manda ad ispïar de' Grecii navili, i pensieri, i portamenti?O tuo genio ti mena e tuo diletto?E a lui tremante di terror Dolone:Misero! mi travolse Ettore il senno,e in gran disastro mi cacciò, giurandoche in don m'avrebbe del famoso Achilledato il cocchio e i destrieri a questo patto,ch'io di notte traessi all'inimico

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l'omero destro e conficcossi in terra.Ristette il fuggitivo, e di paurasmorto tremando, della bocca uscìastridor di denti che batteano insieme.L'aggiungono anelanti i due guerrieri,l'afferrano alle mani, ed ei piangendogrida: Salvate questa vita, ed ioriscatterolla. Ho gran ricchezza in casad'oro, di rame e lavorato ferro.Di questi il padre mio, se nelle navivivo mi sappia degli Achei, faravviper la mia libertà dono infinito.Via, fa cor, rispondea lo scaltro Ulisse,né veruno di morte abbi sospetto,ma dinne, e sii verace: Ed a qual finedal campo te ne vai verso le navitutto solingo pel notturno buiomentre ogni altro mortal nel sonno ha posa?A spogliar forse estinti corpi? o forseEttor ti manda ad ispïar de' Grecii navili, i pensieri, i portamenti?O tuo genio ti mena e tuo diletto?E a lui tremante di terror Dolone:Misero! mi travolse Ettore il senno,e in gran disastro mi cacciò, giurandoche in don m'avrebbe del famoso Achilledato il cocchio e i destrieri a questo patto,ch'io di notte traessi all'inimico

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ad esplorar se, come pria, guardatesien le navi, o se voi dal nostro ferrodomi teniate del fuggir consiglio,schivi di veglie, e di fatica oppressi.Sorrise Ulisse, e replicò: Gran donocerto ambiva il tuo cor, del grande Achillei destrier. Ma domarli e cavalcarliuom mortale non può, tranne il Pelìdecui fu madre una Dea. Ma questo ancoracontami, e non mentire: Ove lasciasti,qua venendoti, Ettorre? ove si stannoi suoi guerrieri arnesi? ove i cavalli?quai son de' Teucri le vigilie e i sonni?quai le consulte? Bloccheran le navi?O in Ilio torneran, vinto il nemico?Gli rispose Dolon: Nulla del veroti tacerò. Co' suoi più saggi Ettorrein parte da rumor scevra e sicurasiede a consiglio al monumento d'Ilo.Ma le guardie, o signor, di che mi chiedi,nulla del campo alla custodia è fissa.Ché quanti in Ilio han focolar, costrettison cotesti alla veglia, e a far la scoltas'esortano a vicenda: ma nel sonnotutti giacccion sommersi i collegati,che da diverse regïon raccolti,né figli avendo né consorte al fianco,lasciano ai Teucri delle guardie il peso.

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ad esplorar se, come pria, guardatesien le navi, o se voi dal nostro ferrodomi teniate del fuggir consiglio,schivi di veglie, e di fatica oppressi.Sorrise Ulisse, e replicò: Gran donocerto ambiva il tuo cor, del grande Achillei destrier. Ma domarli e cavalcarliuom mortale non può, tranne il Pelìdecui fu madre una Dea. Ma questo ancoracontami, e non mentire: Ove lasciasti,qua venendoti, Ettorre? ove si stannoi suoi guerrieri arnesi? ove i cavalli?quai son de' Teucri le vigilie e i sonni?quai le consulte? Bloccheran le navi?O in Ilio torneran, vinto il nemico?Gli rispose Dolon: Nulla del veroti tacerò. Co' suoi più saggi Ettorrein parte da rumor scevra e sicurasiede a consiglio al monumento d'Ilo.Ma le guardie, o signor, di che mi chiedi,nulla del campo alla custodia è fissa.Ché quanti in Ilio han focolar, costrettison cotesti alla veglia, e a far la scoltas'esortano a vicenda: ma nel sonnotutti giacccion sommersi i collegati,che da diverse regïon raccolti,né figli avendo né consorte al fianco,lasciano ai Teucri delle guardie il peso.

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Ma dormon essi co' Troian confusi(ripiglia Ulisse), o segregati? Parla,ch'io vo' saperlo. - E a lui d'Eumede il figlio:Ciò pure ti sporrò schietto e sincero.Quei della Caria, ed i Peonii arcieri,i Lelegi, i Caucóni ed i Pelasghitutto il piano occupâr che al mare inchina;ma il pian di Timbra i Licii e i Misii alterie i frigii cavalieri, e con gli equestrilor drappelli i Meonii. Ma dimandetante perché? Se penetrar vi giovanel nostro campo, ecco il quartier de' Tracialleati novelli, che divisistansi ed estremi. Han duce Reso, il figliod'Eïonèo, e a lui vid'io destrieridi gran corpo ammirandi e di bellezza,una neve in candor, nel corso un vento.Monta un cocchio costui tutto commessod'oro e d'argento, e smisurata e d'oro(maraviglia a vedersi!) è l'armatura,di mortale non già ma di celestepetto sol degna. Che più dir? Traetemiprigioniero alle navi, o in saldi nodiqui lasciatemi avvinto infin che purevi ritorniate, e siavi chiaro a provase fu verace il labbro o menzognero.Lo guatò bieco Dïomede, e disse:Da che ti spinse in poter nostro il fato,

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Ma dormon essi co' Troian confusi(ripiglia Ulisse), o segregati? Parla,ch'io vo' saperlo. - E a lui d'Eumede il figlio:Ciò pure ti sporrò schietto e sincero.Quei della Caria, ed i Peonii arcieri,i Lelegi, i Caucóni ed i Pelasghitutto il piano occupâr che al mare inchina;ma il pian di Timbra i Licii e i Misii alterie i frigii cavalieri, e con gli equestrilor drappelli i Meonii. Ma dimandetante perché? Se penetrar vi giovanel nostro campo, ecco il quartier de' Tracialleati novelli, che divisistansi ed estremi. Han duce Reso, il figliod'Eïonèo, e a lui vid'io destrieridi gran corpo ammirandi e di bellezza,una neve in candor, nel corso un vento.Monta un cocchio costui tutto commessod'oro e d'argento, e smisurata e d'oro(maraviglia a vedersi!) è l'armatura,di mortale non già ma di celestepetto sol degna. Che più dir? Traetemiprigioniero alle navi, o in saldi nodiqui lasciatemi avvinto infin che purevi ritorniate, e siavi chiaro a provase fu verace il labbro o menzognero.Lo guatò bieco Dïomede, e disse:Da che ti spinse in poter nostro il fato,

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Dolon, di scampo non aver lusinga,benché tu n'abbia rivelato il vero.Se per riscatto o per pietà discioltoti mandiam, tu per certo ancor di nuovoalle navi verresti esploratore,o inimico palese in campo aperto.Ma se qui perdi per mia man la vita,più d'Argo ai figli non sarai nocente.Disse; e il meschino già la man stendeasupplice al mento; ma calò di forzaquegli il brando sul collo, e ne reciseambe le corde. La parlante testarotolò nella polve. Allor dal capogli tolsero l'elmetto, e l'arco e l'astae la lupina pelle. In man sollevale tolte spoglie Ulisse, e a te, Minervapredatrice, sacrandole, sì prega:Godi di queste, o Dea, ché te primierade' Celesti in Olimpo invocheremo;ma di nuovo propizia ai padiglionior tu de' traci cavalier ne guida.Disse, e le spoglie su la cima imposed'un tamarisco, e canne e ramoscellisterpando intorno, e di lor fatto un fascio,segnal lo mette che per l'ombra incertanel loro ritornar lo sguardo avvisi.Quindi inoltrâr pestando sangue ed armi,e fur tosto de' Traci allo squadrone.

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Dolon, di scampo non aver lusinga,benché tu n'abbia rivelato il vero.Se per riscatto o per pietà discioltoti mandiam, tu per certo ancor di nuovoalle navi verresti esploratore,o inimico palese in campo aperto.Ma se qui perdi per mia man la vita,più d'Argo ai figli non sarai nocente.Disse; e il meschino già la man stendeasupplice al mento; ma calò di forzaquegli il brando sul collo, e ne reciseambe le corde. La parlante testarotolò nella polve. Allor dal capogli tolsero l'elmetto, e l'arco e l'astae la lupina pelle. In man sollevale tolte spoglie Ulisse, e a te, Minervapredatrice, sacrandole, sì prega:Godi di queste, o Dea, ché te primierade' Celesti in Olimpo invocheremo;ma di nuovo propizia ai padiglionior tu de' traci cavalier ne guida.Disse, e le spoglie su la cima imposed'un tamarisco, e canne e ramoscellisterpando intorno, e di lor fatto un fascio,segnal lo mette che per l'ombra incertanel loro ritornar lo sguardo avvisi.Quindi inoltrâr pestando sangue ed armi,e fur tosto de' Traci allo squadrone.

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Dormìano infranti di fatica, e stesiin tre file, coll'armi al suol giacentia canto a ciascheduno. Ognun de' ducitiensi dappresso due destrier da giogo:dorme Reso nel mezzo; e a lui vicinostansi i cavalli colle briglie avvintiall'estremo del cocchio. Avvisto il primosi fu di Reso Ulisse, e a Dïomedel'additò: Dïomede, ecco il guerriero,ecco i destrier che dianzi n'avvisavaquel Dolon che uccidemmo. Or tu fuor mettil'usata gagliardìa, che qui passarlaneghittoso ed armato onta sarebbe.Sciogli tu quei cavalli, o a morte menacostor, ché de' cavalli è mia la cura.Disse, e spirò Minerva a Dïomederobustezza divina. A dritta, a mancafora, taglia ed uccide, e degli uccisiil gemito la muta aria ferìa.Corre sangue il terren: come lïonesopravvenendo al non guardato greggescagliarsi, e capre e agnelle empio diserta;tal nel mezzo de' Traci è Dïomede.Già dodici n'avea trafitti; e quanticolla spada ne miete il valoroso,tanti n'afferra dopo lui d'un piedelo scaltro Ulisse, e fuor di via li tira,nettando il passo a' bei destrieri, ond'elli

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Dormìano infranti di fatica, e stesiin tre file, coll'armi al suol giacentia canto a ciascheduno. Ognun de' ducitiensi dappresso due destrier da giogo:dorme Reso nel mezzo; e a lui vicinostansi i cavalli colle briglie avvintiall'estremo del cocchio. Avvisto il primosi fu di Reso Ulisse, e a Dïomedel'additò: Dïomede, ecco il guerriero,ecco i destrier che dianzi n'avvisavaquel Dolon che uccidemmo. Or tu fuor mettil'usata gagliardìa, che qui passarlaneghittoso ed armato onta sarebbe.Sciogli tu quei cavalli, o a morte menacostor, ché de' cavalli è mia la cura.Disse, e spirò Minerva a Dïomederobustezza divina. A dritta, a mancafora, taglia ed uccide, e degli uccisiil gemito la muta aria ferìa.Corre sangue il terren: come lïonesopravvenendo al non guardato greggescagliarsi, e capre e agnelle empio diserta;tal nel mezzo de' Traci è Dïomede.Già dodici n'avea trafitti; e quanticolla spada ne miete il valoroso,tanti n'afferra dopo lui d'un piedelo scaltro Ulisse, e fuor di via li tira,nettando il passo a' bei destrieri, ond'elli

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alla strage non usi in cor non tremino,le morte salme calpestando. Intantopiomba su Reso il fier Tidìde, e privalui tredicesmo della dolce vita.Sospirante lo colse ed affannosoperché per opra di Minerva apparsoappunto in quella gli pendea sul capo,tremenda visïon, d'Enide il figlio.Scioglie Ulisse i destrieri, e colle briglieaccoppiati, di mezzo a quella tormavia li mena, e coll'arco li percuote(ché tor dal cocchio non pensò la sferza),e d'un fischio fa cenno a Dïomede.Ma questi in mente discorrea più arditifatti, e dubbiava se dar mano al cocchiod'armi ingombro si debba, e pel timonetrarlo; o se imposto alle gagliarde spallevia sel porti di peso; o se proseguad'altri più Traci a consumar le vite.In questo dubbio gli si fece appressoMinerva, e disse: Al partir pensa, o figliodell'invitto Tidèo, riedi alle navi,se tornarvi non vuoi cacciato in fuga,e che svegli i Troiani un Dio nemico.Udì l'eroe la Diva, e ratto ascesesu l'uno de' corsier, su l'altro Ulisseche via coll'arco li tempesta, e quellialle navi volavano veloci.

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alla strage non usi in cor non tremino,le morte salme calpestando. Intantopiomba su Reso il fier Tidìde, e privalui tredicesmo della dolce vita.Sospirante lo colse ed affannosoperché per opra di Minerva apparsoappunto in quella gli pendea sul capo,tremenda visïon, d'Enide il figlio.Scioglie Ulisse i destrieri, e colle briglieaccoppiati, di mezzo a quella tormavia li mena, e coll'arco li percuote(ché tor dal cocchio non pensò la sferza),e d'un fischio fa cenno a Dïomede.Ma questi in mente discorrea più arditifatti, e dubbiava se dar mano al cocchiod'armi ingombro si debba, e pel timonetrarlo; o se imposto alle gagliarde spallevia sel porti di peso; o se proseguad'altri più Traci a consumar le vite.In questo dubbio gli si fece appressoMinerva, e disse: Al partir pensa, o figliodell'invitto Tidèo, riedi alle navi,se tornarvi non vuoi cacciato in fuga,e che svegli i Troiani un Dio nemico.Udì l'eroe la Diva, e ratto ascesesu l'uno de' corsier, su l'altro Ulisseche via coll'arco li tempesta, e quellialle navi volavano veloci.

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Il signor del sonante arco d'argentostavasi Apollo alla vedetta, e vistaseguir Minerva del Tidìde i passi,adirato alla Dea, mischiossi in mezzoalle turbe troiane, e Ipocoontesvegliò, de' Traci consigliero, e prodeconsobrino di Reso. Ed ei balzandodal sonno, e de' cavalli abbandonatoil quartiero mirando, e palpitantinella morte i compagni, e lordo tuttodi sangue il loco, urlò di doglia, e fortechiamò per nome il suo diletto amico;e un trambusto levossi e un alto gridodegli accorrenti Troi, che l'arduo fattodei due fuggenti contemplâr stupiti.Giungean questi frattanto ove d'Ettorreavean l'incauto esploratore ucciso.Qui ferma Ulisse de' corsieri il volo:balza il Tidìde a terra, e nelle manidell'itaco guerrier le sanguinosespoglie deposte, rapido rimontae flagella i corsier che verso il maredivorano la via volonterosi.Primo udinne il romor Nestore, e disse:O amici, o degli Achei principi e duci,non so se falso il cor mi parli o vero;pur dirò: mi ferisce un calpestìodi correnti cavalli. Oh fosse Ulisse!

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Il signor del sonante arco d'argentostavasi Apollo alla vedetta, e vistaseguir Minerva del Tidìde i passi,adirato alla Dea, mischiossi in mezzoalle turbe troiane, e Ipocoontesvegliò, de' Traci consigliero, e prodeconsobrino di Reso. Ed ei balzandodal sonno, e de' cavalli abbandonatoil quartiero mirando, e palpitantinella morte i compagni, e lordo tuttodi sangue il loco, urlò di doglia, e fortechiamò per nome il suo diletto amico;e un trambusto levossi e un alto gridodegli accorrenti Troi, che l'arduo fattodei due fuggenti contemplâr stupiti.Giungean questi frattanto ove d'Ettorreavean l'incauto esploratore ucciso.Qui ferma Ulisse de' corsieri il volo:balza il Tidìde a terra, e nelle manidell'itaco guerrier le sanguinosespoglie deposte, rapido rimontae flagella i corsier che verso il maredivorano la via volonterosi.Primo udinne il romor Nestore, e disse:O amici, o degli Achei principi e duci,non so se falso il cor mi parli o vero;pur dirò: mi ferisce un calpestìodi correnti cavalli. Oh fosse Ulisse!

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Oh fosse Dïomede, che velocigli adducessero a noi tolti a' Troiani!Ma mi turba timor che a questi prodinon avvegna fra' Teucri un qualche danno.Finite non avea queste parole,che i campioni arrivâr. Balzaro a terra;e con voci di plauso e con allegrotoccar di mani gli accogliean gli amici.Nestore il primo interrogolli: O sommodegli Achivi splendore, inclito Ulisse,che destrieri son questi? ove rapiti?nel campo forse de' Troiani? o diellifattosi a voi d'incontro un qualche iddio?Sono ai raggi del Sol pari in candoremirabilmente; ed io che sempre in mezzoa' Troiani m'avvolgo, e, benché veglioguerrier, restarmi neghittoso abborro,io né questi né pari altri corsieriunqua vidi né seppi. Onde per viaqualcun mi penso degli Dei v'apparve,e ven fe' dono; perocché voi carisiete al gran Giove adunator di nembi,e alla figlia di Giove alma Minerva.Nestore, gloria degli Achei, risposel'accorto Ulisse, agevolmente un Diopotrìa darli, volendo, anco migliori,ché gli Dei ponno più d'assai. Ma questi,di che chiedi, son traci e qua di poco

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Oh fosse Dïomede, che velocigli adducessero a noi tolti a' Troiani!Ma mi turba timor che a questi prodinon avvegna fra' Teucri un qualche danno.Finite non avea queste parole,che i campioni arrivâr. Balzaro a terra;e con voci di plauso e con allegrotoccar di mani gli accogliean gli amici.Nestore il primo interrogolli: O sommodegli Achivi splendore, inclito Ulisse,che destrieri son questi? ove rapiti?nel campo forse de' Troiani? o diellifattosi a voi d'incontro un qualche iddio?Sono ai raggi del Sol pari in candoremirabilmente; ed io che sempre in mezzoa' Troiani m'avvolgo, e, benché veglioguerrier, restarmi neghittoso abborro,io né questi né pari altri corsieriunqua vidi né seppi. Onde per viaqualcun mi penso degli Dei v'apparve,e ven fe' dono; perocché voi carisiete al gran Giove adunator di nembi,e alla figlia di Giove alma Minerva.Nestore, gloria degli Achei, risposel'accorto Ulisse, agevolmente un Diopotrìa darli, volendo, anco migliori,ché gli Dei ponno più d'assai. Ma questi,di che chiedi, son traci e qua di poco

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giunti: al re loro e a dodici de' primisuoi compagni diè morte Dïomede,e tredicesmo un altro n'uccidemmodai teucri duci esplorator speditodel nostro campo. - Così detto, spinsegiubilando oltre il fosso i corridori,e festeggianti lo seguîr gli Achivi.Giunto al suo regio padigion, legollicon salda briglia alle medesme greppieove dolci pascen biade i corsieriDïomedèi. Ulisse all'alta poppale spoglie di Dolon sospende, e a Pallaprepararsi comanda un sacrificio.Tersero quindi entrambi alla marinal'abbondante sudor, gambe lavandoe collo e fianchi. Riforbito il corpoe ricreato il cor, si ripurgaronei nitidi lavacri. Indi odorosidi pingue oliva si sedeano a mensapieni i nappi votando, ed a Minervalibando di Lïèo l'almo licore.

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giunti: al re loro e a dodici de' primisuoi compagni diè morte Dïomede,e tredicesmo un altro n'uccidemmodai teucri duci esplorator speditodel nostro campo. - Così detto, spinsegiubilando oltre il fosso i corridori,e festeggianti lo seguîr gli Achivi.Giunto al suo regio padigion, legollicon salda briglia alle medesme greppieove dolci pascen biade i corsieriDïomedèi. Ulisse all'alta poppale spoglie di Dolon sospende, e a Pallaprepararsi comanda un sacrificio.Tersero quindi entrambi alla marinal'abbondante sudor, gambe lavandoe collo e fianchi. Riforbito il corpoe ricreato il cor, si ripurgaronei nitidi lavacri. Indi odorosidi pingue oliva si sedeano a mensapieni i nappi votando, ed a Minervalibando di Lïèo l'almo licore.

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Libro Undecimo

Dal croceo letto di Titon l'Aurorasorgea, la terra illuminando e il cielo,e vêr le navi achee Giove spedìala Discordia feral. Scotea di guerral'orrida insegna nella man la Dira,e tal d'Ulisse s'arrestò su l'altacapitana che posta era nel mezzo,donde intorno mandar potea la vocefin d'Aiace e d'Achille al padiglione,che nella forza e nel gran cor securisottratte ai lati estremi avean le prore.Qui ferma d'un acuto orrendo gridoempì l'achive orecchie, e tal ne' pettiun vigor suscitò, tale un desìodi pugnar, d'azzuffarsi e di ferire,che sonava nel cor dolce la guerrapiù che il ritorno al caro patrio lido.Alza Atride la voce, e a tutti imponedi porsi in tutto punto; e d'armi ei purefolgoranti si veste. E pria circondadi calzari le gambe ornati e strettid'argentee fibbie. Una lorica al pettoquindi si pon che Cinira gli aveaun dì mandata in ospital presente.

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Libro Undecimo

Dal croceo letto di Titon l'Aurorasorgea, la terra illuminando e il cielo,e vêr le navi achee Giove spedìala Discordia feral. Scotea di guerral'orrida insegna nella man la Dira,e tal d'Ulisse s'arrestò su l'altacapitana che posta era nel mezzo,donde intorno mandar potea la vocefin d'Aiace e d'Achille al padiglione,che nella forza e nel gran cor securisottratte ai lati estremi avean le prore.Qui ferma d'un acuto orrendo gridoempì l'achive orecchie, e tal ne' pettiun vigor suscitò, tale un desìodi pugnar, d'azzuffarsi e di ferire,che sonava nel cor dolce la guerrapiù che il ritorno al caro patrio lido.Alza Atride la voce, e a tutti imponedi porsi in tutto punto; e d'armi ei purefolgoranti si veste. E pria circondadi calzari le gambe ornati e strettid'argentee fibbie. Una lorica al pettoquindi si pon che Cinira gli aveaun dì mandata in ospital presente.

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Perocché quando strepitosa in Ciprocorse la fama che l'achiva armataverso Troia spiegar dovea le vele,gratificar di quell'usbergo ei vollel'amico Agamennón. Di bruno acciarodieci strisce il cingean, dodici d'oro,venti di stagno. Lubrici sul collostendon le spire tre cerulei draghisimiglianti alle pinte iri che Giovesuol nelle nubi colorar, portentoai parlanti mortali. Indi la spadaagli omeri sospende rilucented'aurate bolle, e la vestìa d'argentolarga vagina col pendaglio d'oro.Poi lo scudo imbracciò che vario e belloe di facil maneggio tutto cuopreil combattente. Ha dieci fasce intornodi bronzo, e venti di forbito stagnocandidissimi colmi, e un altro in mezzodi bruno acciar. Su questo era scolpitaterribile gli sguardi la Gorgonecol Terrore da lato e con la Fuga,rilievo orrendo. Dallo scudo posciauna gran lassa dipendea d'argento,lungo la quale azzurro e sinuososerpe un drago a tre teste, che ritorted'una sola cervice eran germoglio.Quindi al capo diè l'elmo adorno tutto

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Perocché quando strepitosa in Ciprocorse la fama che l'achiva armataverso Troia spiegar dovea le vele,gratificar di quell'usbergo ei vollel'amico Agamennón. Di bruno acciarodieci strisce il cingean, dodici d'oro,venti di stagno. Lubrici sul collostendon le spire tre cerulei draghisimiglianti alle pinte iri che Giovesuol nelle nubi colorar, portentoai parlanti mortali. Indi la spadaagli omeri sospende rilucented'aurate bolle, e la vestìa d'argentolarga vagina col pendaglio d'oro.Poi lo scudo imbracciò che vario e belloe di facil maneggio tutto cuopreil combattente. Ha dieci fasce intornodi bronzo, e venti di forbito stagnocandidissimi colmi, e un altro in mezzodi bruno acciar. Su questo era scolpitaterribile gli sguardi la Gorgonecol Terrore da lato e con la Fuga,rilievo orrendo. Dallo scudo posciauna gran lassa dipendea d'argento,lungo la quale azzurro e sinuososerpe un drago a tre teste, che ritorted'una sola cervice eran germoglio.Quindi al capo diè l'elmo adorno tutto

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di lucenti chiavelli, irto di quattroconi e d'equine setole con unasuperba cresta che di sopra ondeggiaterribilmente. Alfin due lance impugnamassicce, acute, le cui ferree puntemettean baleni di lontano. IntantoGiuno e Palla onorando il grande Atridedier di sua mossa con fragore il segno.All'auriga ciascuno allor comandache parati in bell'ordine sostegnaalla fossa i destrier, mentre a gran passichiuse nell'armi le pedestri schiereprocedono al nemico. Ancor non vedispuntar l'aurora, e d'ogni parte immensoromor già senti. Come tutto giunsel'esercito alla fossa, immantinentefur cavalli e pedoni in ordinanza,questi primieri e quei secondi. IntantoGiove dall'alto romoreggia, e piovedi sangue una rugiada, annunziatricedelle molte che all'Orco in quel conflittoanime generose avrìa sospinto.D'altra parte i Troiani in su l'altezzasi schierano del poggio. In mezzo a loros'affaccendano i duci; il grande Ettorre,d'Anchise il figlio che venìa qual numeda' Troiani onorato, il giusto e pioPolidamante, e i tre antenòrei figli,

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di lucenti chiavelli, irto di quattroconi e d'equine setole con unasuperba cresta che di sopra ondeggiaterribilmente. Alfin due lance impugnamassicce, acute, le cui ferree puntemettean baleni di lontano. IntantoGiuno e Palla onorando il grande Atridedier di sua mossa con fragore il segno.All'auriga ciascuno allor comandache parati in bell'ordine sostegnaalla fossa i destrier, mentre a gran passichiuse nell'armi le pedestri schiereprocedono al nemico. Ancor non vedispuntar l'aurora, e d'ogni parte immensoromor già senti. Come tutto giunsel'esercito alla fossa, immantinentefur cavalli e pedoni in ordinanza,questi primieri e quei secondi. IntantoGiove dall'alto romoreggia, e piovedi sangue una rugiada, annunziatricedelle molte che all'Orco in quel conflittoanime generose avrìa sospinto.D'altra parte i Troiani in su l'altezzasi schierano del poggio. In mezzo a loros'affaccendano i duci; il grande Ettorre,d'Anchise il figlio che venìa qual numeda' Troiani onorato, il giusto e pioPolidamante, e i tre antenòrei figli,

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Polibo, io dico, ed il preclaro Agènore,ed Acamante, giovinetto a cuidi celeste beltà fiorìa la guancia.Maestoso fra tutti Ettor si volvecoll'egual d'ogni parte ampio pavese.E qual di Sirio la funesta stellaor senza vel fiammeggia ed or rientranel buio delle nubi, a tal sembianzaor nelle prime file or nell'estremeEttore comparìa dando per tuttoprovvidenza e comandi, e tutta d'armerilucea la persona, e folgoravacome il baleno dell'Egìoco Giove.Qual di ricco padron nel campo vannoi mietitori con opposte frontifalciando l'orzo od il frumento; in lungaserie recise cadono le biondefiglie de' solchi, e in un momento ingombradi manipoli tutta è la campagna;così Teucri ed Achei gli uni su gli altriirruendo si mietono col ferroin mutua strage. Immemore ciascunodi vil fuga, e guerrier contra guerrieropugnan tutti del pari, e si van contracoll'impeto de' lupi. A riguardarlista la Discordia, e della strage esultaa cui sola de' numi era presente.Sedeansi gli altri taciturni in cielo

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Polibo, io dico, ed il preclaro Agènore,ed Acamante, giovinetto a cuidi celeste beltà fiorìa la guancia.Maestoso fra tutti Ettor si volvecoll'egual d'ogni parte ampio pavese.E qual di Sirio la funesta stellaor senza vel fiammeggia ed or rientranel buio delle nubi, a tal sembianzaor nelle prime file or nell'estremeEttore comparìa dando per tuttoprovvidenza e comandi, e tutta d'armerilucea la persona, e folgoravacome il baleno dell'Egìoco Giove.Qual di ricco padron nel campo vannoi mietitori con opposte frontifalciando l'orzo od il frumento; in lungaserie recise cadono le biondefiglie de' solchi, e in un momento ingombradi manipoli tutta è la campagna;così Teucri ed Achei gli uni su gli altriirruendo si mietono col ferroin mutua strage. Immemore ciascunodi vil fuga, e guerrier contra guerrieropugnan tutti del pari, e si van contracoll'impeto de' lupi. A riguardarlista la Discordia, e della strage esultaa cui sola de' numi era presente.Sedeansi gli altri taciturni in cielo

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in sua magion ciascuno, edificatasu gli ardui gioghi del sereno Olimpo.Ivi ognuno in suo cor fremea di sdegnocontro l'alto de' nembi addensatore,che dar vittoria a' Troi volea; ma nullopensier si prende di quell'ira il padreche in sua gloria esultante e tutto soloin disparte sedea, Troia mirandoe l'achee navi, e il folgorar dell'armi,e il ferire e il morir de' combattenti.Finché il mattin processe, e crebbe il sacroraggio del giorno, d'ambe parti egualesi mantenne la strage. Ma nell'orache in montana foresta il legnaiuolopon mano al parco desinar, sentendodall'assiduo tagliar cerri ed abetistanche le braccia e fastidito il core,e dolce per la mente e per le membraserpe del cibo il natural desìo,prevalse la virtù de' forti Argivi,che animando lor file e compagniesbaragliâr le nemiche. Agamennónesaltò primier nel mezzo, e Bïanorre,pastor di genti, uccise, indi Oilèo,suo compagno ed auriga. Era dal carrocostui sceso d'un salto, e gli venìadirittamente contro. A mezza frontecoll'acuta asta lo colpì l'Atride.

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in sua magion ciascuno, edificatasu gli ardui gioghi del sereno Olimpo.Ivi ognuno in suo cor fremea di sdegnocontro l'alto de' nembi addensatore,che dar vittoria a' Troi volea; ma nullopensier si prende di quell'ira il padreche in sua gloria esultante e tutto soloin disparte sedea, Troia mirandoe l'achee navi, e il folgorar dell'armi,e il ferire e il morir de' combattenti.Finché il mattin processe, e crebbe il sacroraggio del giorno, d'ambe parti egualesi mantenne la strage. Ma nell'orache in montana foresta il legnaiuolopon mano al parco desinar, sentendodall'assiduo tagliar cerri ed abetistanche le braccia e fastidito il core,e dolce per la mente e per le membraserpe del cibo il natural desìo,prevalse la virtù de' forti Argivi,che animando lor file e compagniesbaragliâr le nemiche. Agamennónesaltò primier nel mezzo, e Bïanorre,pastor di genti, uccise, indi Oilèo,suo compagno ed auriga. Era dal carrocostui sceso d'un salto, e gli venìadirittamente contro. A mezza frontecoll'acuta asta lo colpì l'Atride.

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Non resse al colpo la celata; il ferropenetrò l'elmo e l'osso, e tutto interna-mente di sangue gli allagò il cerèbro.Così l'audace assalitor fu domo.Rapì d'ambo le spoglie Agamennóne,e nudi il petto li lasciò supini.Andò poscia diretto ad assaliredue di Priamo figliuoli, Iso ed Antifo,l'un frutto d'Imeneo, l'altro d'Amore.Venìano entrambi sul medesmo cocchioi fratelli: reggeva Iso i destrieri,Antifo combattea. Sul balzo d'Idaaveali un giorno sopraggiunti Achille,mentre pascean le gregge, e di pieghevolivermene avvinti, e poi disciolti a prezzo.Ed or l'Atride Agamennón coll'astaspalanca ad Iso tra le mamme il petto,fiede di brando Antifo nella tempia,e lo spiomba dal cocchio. Immantinentedelle bell'armi li dispoglia entrambi,che ben li conoscea dal dì che Achilledai boschi d'Ida prigionier li trasseseco alle navi, ed ei notonne i volti.Come quando un lïon nel covo entratod'agil cerva, ne sbrana agevolmentei pargoli portati, e li maciullaco' forti denti mormorando e sperdel'anime tenerelle; la vicina

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Non resse al colpo la celata; il ferropenetrò l'elmo e l'osso, e tutto interna-mente di sangue gli allagò il cerèbro.Così l'audace assalitor fu domo.Rapì d'ambo le spoglie Agamennóne,e nudi il petto li lasciò supini.Andò poscia diretto ad assaliredue di Priamo figliuoli, Iso ed Antifo,l'un frutto d'Imeneo, l'altro d'Amore.Venìano entrambi sul medesmo cocchioi fratelli: reggeva Iso i destrieri,Antifo combattea. Sul balzo d'Idaaveali un giorno sopraggiunti Achille,mentre pascean le gregge, e di pieghevolivermene avvinti, e poi disciolti a prezzo.Ed or l'Atride Agamennón coll'astaspalanca ad Iso tra le mamme il petto,fiede di brando Antifo nella tempia,e lo spiomba dal cocchio. Immantinentedelle bell'armi li dispoglia entrambi,che ben li conoscea dal dì che Achilledai boschi d'Ida prigionier li trasseseco alle navi, ed ei notonne i volti.Come quando un lïon nel covo entratod'agil cerva, ne sbrana agevolmentei pargoli portati, e li maciullaco' forti denti mormorando e sperdel'anime tenerelle; la vicina

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misera madre, non che dar soccorso,compresa di terror fugge veloceper le dense boscaglie, e trafelandosuda al pensier della possente belva:così nullo de' Troi poteo da mortesalvar que' due: ma tutti anzi le spalleconversero agli Achivi. Assalse ei dopoIppòloco e Pisandro, ambo figliuolidel bellicoso Antìmaco, di quelloche da Paride compro per molt'oroe ricchi doni, d'Elena impedìail rimando al marito. I figli adunquedi costui colse al varco Agamennónesovra un medesmo carro ambo volanti,e turbati e smarriti; ché pel camposfrenaronsi i destrieri, e dalla manole scorrevoli briglie eran cadute.Come lïon fu loro addosso, e quellis'inginocchiâr, dal carro supplicando:Lasciane vivi, Atride, e di riscattogran pezzo n'otterrai. Molta risplendenella magion d'Antìmaco ricchezza,d'oro, di bronzo e lavorato ferro.Di questo il padre ti darà gran pondoper la nostra riscossa, ov'egli intendavivi i suoi figli nelle navi achee.Così piangendo supplicâr con dolcimodi, ma dolce non rispose Atride.

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misera madre, non che dar soccorso,compresa di terror fugge veloceper le dense boscaglie, e trafelandosuda al pensier della possente belva:così nullo de' Troi poteo da mortesalvar que' due: ma tutti anzi le spalleconversero agli Achivi. Assalse ei dopoIppòloco e Pisandro, ambo figliuolidel bellicoso Antìmaco, di quelloche da Paride compro per molt'oroe ricchi doni, d'Elena impedìail rimando al marito. I figli adunquedi costui colse al varco Agamennónesovra un medesmo carro ambo volanti,e turbati e smarriti; ché pel camposfrenaronsi i destrieri, e dalla manole scorrevoli briglie eran cadute.Come lïon fu loro addosso, e quellis'inginocchiâr, dal carro supplicando:Lasciane vivi, Atride, e di riscattogran pezzo n'otterrai. Molta risplendenella magion d'Antìmaco ricchezza,d'oro, di bronzo e lavorato ferro.Di questo il padre ti darà gran pondoper la nostra riscossa, ov'egli intendavivi i suoi figli nelle navi achee.Così piangendo supplicâr con dolcimodi, ma dolce non rispose Atride.

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Voi d'Antìmaco figli? di coluiche nel troiano parlamento osavad'Ulisse e Menelao, venuti a Troiaambasciatori, consigliar la morte?Pagherete voi dunque ora del padrel'indegna offesa. - Sì dicendo, immergel'asta in petto a Pisandro, e giù dal carrosupin lo stende sul terren. Ciò visto,balza Ippoloco al suolo, e lui secondospaccia l'Atride; coll'acciar gli potaambe le mani, e poi la testa, e lungicome palèo la scaglia a rotolarsifra la turba. Lasciati ivi costoro,fulminando si spinge nel più caldotumulto della pugna, e l'accompagnamolta mano d'Achei. Fan strage i fantide' fanti fuggitivi, i cavalieride' cavalier. Si volve al ciel la polvedalle sonanti zampe sollevatade' fervidi corsieri, e Agamennónesempre insegue ed uccide, e gli altri accende.Come quando s'appiglia a denso boscoincendio struggitor, cui gruppo aggiradi fiero vento e d'ogni parte il gitta:cadono i rami dall'invitta fiammaatterrati e combusti; a questo modosotto l'Atride Agamennón le testecadean de' Teucri fuggitivi; e molti

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Voi d'Antìmaco figli? di coluiche nel troiano parlamento osavad'Ulisse e Menelao, venuti a Troiaambasciatori, consigliar la morte?Pagherete voi dunque ora del padrel'indegna offesa. - Sì dicendo, immergel'asta in petto a Pisandro, e giù dal carrosupin lo stende sul terren. Ciò visto,balza Ippoloco al suolo, e lui secondospaccia l'Atride; coll'acciar gli potaambe le mani, e poi la testa, e lungicome palèo la scaglia a rotolarsifra la turba. Lasciati ivi costoro,fulminando si spinge nel più caldotumulto della pugna, e l'accompagnamolta mano d'Achei. Fan strage i fantide' fanti fuggitivi, i cavalieride' cavalier. Si volve al ciel la polvedalle sonanti zampe sollevatade' fervidi corsieri, e Agamennónesempre insegue ed uccide, e gli altri accende.Come quando s'appiglia a denso boscoincendio struggitor, cui gruppo aggiradi fiero vento e d'ogni parte il gitta:cadono i rami dall'invitta fiammaatterrati e combusti; a questo modosotto l'Atride Agamennón le testecadean de' Teucri fuggitivi; e molti

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colle chiome sul collo fluttuantidestrier traean pel campo i vôti carri,sgominando le file, ed il governodesiderando de' lor primi aurighi:ma quei giacean già spenti, agli avoltoigradita vista, alle consorti orrenda.Fuori intanto dell'armi e della polve,delle stragi, del sangue e del tumultocondusse Giove Ettòr. Ma gl'inseguitiTeucri dritto al sepolcro del vetustoDardanid'Ilo verso il caprificola piena fuga dirigean, bramosidi ripararsi alla cittade; e sempregl'incalza Atride, e orrendo grida, e lordadi polveroso sangue il braccio invitto.Giunti alfine alle Scee quivi sostârsivicino al faggio, ed aspettâr l'arrivode' compagni pel campo ancor fuggenti,e simiglianti a torma d'atterritegiovenche che lïon di notte assalta.Alla prima che abbranca ei figge i duridenti nel collo, e avidamente il sanguesucchiatone, n'incanna i palpitantivisceri: e tale gl'inseguìa l'Atridesempre il postremo atterrando, e quei semprespaventati fuggendo: e giù dal cocchioaltri cadea boccone, altri supinosotto i colpi del re che innanzi a tutti

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colle chiome sul collo fluttuantidestrier traean pel campo i vôti carri,sgominando le file, ed il governodesiderando de' lor primi aurighi:ma quei giacean già spenti, agli avoltoigradita vista, alle consorti orrenda.Fuori intanto dell'armi e della polve,delle stragi, del sangue e del tumultocondusse Giove Ettòr. Ma gl'inseguitiTeucri dritto al sepolcro del vetustoDardanid'Ilo verso il caprificola piena fuga dirigean, bramosidi ripararsi alla cittade; e sempregl'incalza Atride, e orrendo grida, e lordadi polveroso sangue il braccio invitto.Giunti alfine alle Scee quivi sostârsivicino al faggio, ed aspettâr l'arrivode' compagni pel campo ancor fuggenti,e simiglianti a torma d'atterritegiovenche che lïon di notte assalta.Alla prima che abbranca ei figge i duridenti nel collo, e avidamente il sanguesucchiatone, n'incanna i palpitantivisceri: e tale gl'inseguìa l'Atridesempre il postremo atterrando, e quei semprespaventati fuggendo: e giù dal cocchioaltri cadea boccone, altri supinosotto i colpi del re che innanzi a tutti

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oltre modo coll'asta infurïava.E già in cospetto gli venìan dell'altoIlio le mura, e vi giungea; quand'eccodegli uomini il gran padre e degli Deiscender dal cielo, e maestoso in cimasedersi dell'acquosa Ida, stringendola folgore nel pugno. Iri a sé chiamal'ali-dorata messaggiera, e, Vannevola, le disse, Iri veloce, e ad Ettoreporta queste parole. Infin ch'ei veggatra' primi combattenti Agamennóneromper le file furibondo, ei cautostìasi in disparte, e d'animar sia pagogli altri a far testa, e oprar le mani. Appenao di lancia percosso o di saettal'Atride il cocchio monterà, si spingaei ratto nella mischia. Io porgeroglialla strage la forza, infin che giungavincitore alle navi, e al dì cadutodella notte succeda il sacro orrore.Disse; e veloce la veloce Divadal gioco idèo discende al campo, e trovastante in piè sul suo carro il bellicosoPrïamide: e appressata, O tu, gli disse,che il consiglio d'un Dio porti nel core,Ettore, le parole odi che Gioveper me ti manda. Infin che Agamennónevedrai tra' primi infurïar rompendo

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oltre modo coll'asta infurïava.E già in cospetto gli venìan dell'altoIlio le mura, e vi giungea; quand'eccodegli uomini il gran padre e degli Deiscender dal cielo, e maestoso in cimasedersi dell'acquosa Ida, stringendola folgore nel pugno. Iri a sé chiamal'ali-dorata messaggiera, e, Vannevola, le disse, Iri veloce, e ad Ettoreporta queste parole. Infin ch'ei veggatra' primi combattenti Agamennóneromper le file furibondo, ei cautostìasi in disparte, e d'animar sia pagogli altri a far testa, e oprar le mani. Appenao di lancia percosso o di saettal'Atride il cocchio monterà, si spingaei ratto nella mischia. Io porgeroglialla strage la forza, infin che giungavincitore alle navi, e al dì cadutodella notte succeda il sacro orrore.Disse; e veloce la veloce Divadal gioco idèo discende al campo, e trovastante in piè sul suo carro il bellicosoPrïamide: e appressata, O tu, gli disse,che il consiglio d'un Dio porti nel core,Ettore, le parole odi che Gioveper me ti manda. Infin che Agamennónevedrai tra' primi infurïar rompendo

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de' guerrieri le file, il piè ritiratu dal conflitto, e fa che col nemicopugni il resto de' tuoi. Ma quando ei d'astao di strale ferito darà voltasopra il suo cocchio, allor t'avanza. Avraital da Giove un vigor ch'anco alle navila strage spingerai, finché la sacraombra si stenda su la morta luce.Disse, e sparve. L'eroe balza dal cocchiorisonante nell'armi, e nella manopalleggiando la lancia il campo scorre,e raccende la pugna. Allor destossigrande conflitto. Rivoltaro i Teucriagli Achivi la faccia, e di rincontrole lor falangi rinforzâr gli Achivi.Venuti a fronte, rinnovossi il cozzo,e primiero si mosse Agamennóneinnanzi a tutti di pugnar bramoso.Muse dell'alto Olimpo abitatrici,or voi ne dite chi primier si spinseo troiano guerriero od alleatocontro il supremo Atride. Ifidamante,d'Antenore figliuolo, un giovinettod'altere forme e di gran cor, nudritonell'opima di greggi odrisia terra.L'educò bambinetto in propria casadella bella Teano il genitoreCissèo l'avo materno, e maturati

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de' guerrieri le file, il piè ritiratu dal conflitto, e fa che col nemicopugni il resto de' tuoi. Ma quando ei d'astao di strale ferito darà voltasopra il suo cocchio, allor t'avanza. Avraital da Giove un vigor ch'anco alle navila strage spingerai, finché la sacraombra si stenda su la morta luce.Disse, e sparve. L'eroe balza dal cocchiorisonante nell'armi, e nella manopalleggiando la lancia il campo scorre,e raccende la pugna. Allor destossigrande conflitto. Rivoltaro i Teucriagli Achivi la faccia, e di rincontrole lor falangi rinforzâr gli Achivi.Venuti a fronte, rinnovossi il cozzo,e primiero si mosse Agamennóneinnanzi a tutti di pugnar bramoso.Muse dell'alto Olimpo abitatrici,or voi ne dite chi primier si spinseo troiano guerriero od alleatocontro il supremo Atride. Ifidamante,d'Antenore figliuolo, un giovinettod'altere forme e di gran cor, nudritonell'opima di greggi odrisia terra.L'educò bambinetto in propria casadella bella Teano il genitoreCissèo l'avo materno, e maturati

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di glorïosa pubertate i giornisposo alla figlia il diè. Ma colta appenad'Imen la rosa, al talamo strappolloda dodici navigli accompagnatodella venuta degli Achei la fama.Quindi lasciate alla percopia rivale sue navi, pedone ad Ilio ei venne,e primo si piantò contro l'Atride.Giunti al tiro dell'asta, Agamennónevibrò la sua, ma in fallo. Ifidamanteappuntò l'avversario alla cinturasotto il torace, e colla man robustadi tutta forza l'asta sospingea;ma non valse a forarne il ben tessutocinto, e spuntossi nell'argentea lamal'acuta punta, come piombo fosse.A due mani l'afferra allor l'Atridecon ira di lïone, a sé la tira,gliela svelle dal pugno; e tratto il brando,lo percuote alla nuca, e lo distende.Sì cadde, e chiuse in ferreo sonno i lumi.Miserando garzon! venne a difesadel patrio suolo e vi trovò la morte:né gli compose i rai la giovinettaconsorte, né di lei frutto lasciavache il ravvivasse; e sì l'avea con moltidoni acquistata: perocché da primadi cento buoi dotolla, e mille in oltre

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di glorïosa pubertate i giornisposo alla figlia il diè. Ma colta appenad'Imen la rosa, al talamo strappolloda dodici navigli accompagnatodella venuta degli Achei la fama.Quindi lasciate alla percopia rivale sue navi, pedone ad Ilio ei venne,e primo si piantò contro l'Atride.Giunti al tiro dell'asta, Agamennónevibrò la sua, ma in fallo. Ifidamanteappuntò l'avversario alla cinturasotto il torace, e colla man robustadi tutta forza l'asta sospingea;ma non valse a forarne il ben tessutocinto, e spuntossi nell'argentea lamal'acuta punta, come piombo fosse.A due mani l'afferra allor l'Atridecon ira di lïone, a sé la tira,gliela svelle dal pugno; e tratto il brando,lo percuote alla nuca, e lo distende.Sì cadde, e chiuse in ferreo sonno i lumi.Miserando garzon! venne a difesadel patrio suolo e vi trovò la morte:né gli compose i rai la giovinettaconsorte, né di lei frutto lasciavache il ravvivasse; e sì l'avea con moltidoni acquistata: perocché da primadi cento buoi dotolla, e mille in oltre

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madri promise di lanute tormeche numerose gli pasceva il prato.Spoglia Atride l'ucciso, e le bell'armine porta ovante fra le turbe achee.Come vide Coon morto il fratello,(d'Antenore era questi il maggior figlioe guerriero di grido), una gran nubedi dolor gl'ingombrò la mente e gli occhi.Ponsi in agguato con un dardo in manoal re di costa, e vibra. A mezzo il braccioconficcossi la punta sotto il cubito,e trapassollo. Inorridì del colpol'Atride regnator; ma non per questoabbandona la pugna; anzi più fierocolla salda dagli Euri asta nudritaavventossi a Coon che frettolosodell'amato fratello Ifidamanted'un piè traea la salma, alto chiedendode' più forti l'aita. Lo raggiungein quell'atto l'Atride, e sotto il colmodello scudo gli caccia impetuosola zagaglia, e l'atterra. Indi sul corpod'Ifidamante il capo gli recide.Così n'andâr, compiuto il fato, all'Orcoper man d'Atride gli antenòrei figli.Finché fu calda la ferita, il sirecoll'asta, colla spada e con enormiciotti la pugna seguitò; ma come

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madri promise di lanute tormeche numerose gli pasceva il prato.Spoglia Atride l'ucciso, e le bell'armine porta ovante fra le turbe achee.Come vide Coon morto il fratello,(d'Antenore era questi il maggior figlioe guerriero di grido), una gran nubedi dolor gl'ingombrò la mente e gli occhi.Ponsi in agguato con un dardo in manoal re di costa, e vibra. A mezzo il braccioconficcossi la punta sotto il cubito,e trapassollo. Inorridì del colpol'Atride regnator; ma non per questoabbandona la pugna; anzi più fierocolla salda dagli Euri asta nudritaavventossi a Coon che frettolosodell'amato fratello Ifidamanted'un piè traea la salma, alto chiedendode' più forti l'aita. Lo raggiungein quell'atto l'Atride, e sotto il colmodello scudo gli caccia impetuosola zagaglia, e l'atterra. Indi sul corpod'Ifidamante il capo gli recide.Così n'andâr, compiuto il fato, all'Orcoper man d'Atride gli antenòrei figli.Finché fu calda la ferita, il sirecoll'asta, colla spada e con enormiciotti la pugna seguitò; ma come

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stagnossi il sangue, e s'aggelò la piaga,d'acerbe doglie saettar sentissi.Qual trafigge la donna, al partorire,l'acuto strale del dolor, vibratodalle figlie di Giuno alme Ilitìe,d'amare fitte apportatrici; e talieran le punte che ferìan l'Atride.Salì dunque sul carro, ed all'aurigacomandò di dar volta alla marina,e cruccioso elevando alto la voce,Prenci, amici, gridava, e voi valenticapitani de' Greci, allontanatedalle navi il conflitto, or che di Giovenon consente il voler ch'io qui compisca,combattendo co' Teucri, il giorno intero.Disse, e l'auriga flagellò i destrieriverso le navi; e quei volâr spargendole belle chiome all'aura; e il petto aspersid'alta spuma e di polve in un balenofuor del campo ebber tratto il re ferito.Come dall'armi ritirarsi il vide,diè un alto grido Ettorre, e rincorandoTroiani e Licii e Dardani tonava:Uomini siate, amici, e richiamatel'antica gagliardìa: lasciato ha il campoquel fortissimo duce, e a me promettel'Olimpio Giove la vittoria. Or viagli animosi cornipedi spingete

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stagnossi il sangue, e s'aggelò la piaga,d'acerbe doglie saettar sentissi.Qual trafigge la donna, al partorire,l'acuto strale del dolor, vibratodalle figlie di Giuno alme Ilitìe,d'amare fitte apportatrici; e talieran le punte che ferìan l'Atride.Salì dunque sul carro, ed all'aurigacomandò di dar volta alla marina,e cruccioso elevando alto la voce,Prenci, amici, gridava, e voi valenticapitani de' Greci, allontanatedalle navi il conflitto, or che di Giovenon consente il voler ch'io qui compisca,combattendo co' Teucri, il giorno intero.Disse, e l'auriga flagellò i destrieriverso le navi; e quei volâr spargendole belle chiome all'aura; e il petto aspersid'alta spuma e di polve in un balenofuor del campo ebber tratto il re ferito.Come dall'armi ritirarsi il vide,diè un alto grido Ettorre, e rincorandoTroiani e Licii e Dardani tonava:Uomini siate, amici, e richiamatel'antica gagliardìa: lasciato ha il campoquel fortissimo duce, e a me promettel'Olimpio Giove la vittoria. Or viagli animosi cornipedi spingete

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dirittamente addosso ai forti Achivi,e acquisto fate d'immortal corona.Disse, e in tutti destò la forza e il core.Come buon cacciator contra un lïoneo silvestre cignale il morso aizzade' fier molossi, così l'ira instigade' magnanimi Troi contro gli Achiviil Prïamide Marte: ed ei tra' primiintrepido si volve, e nel più foltodella mischia coll'impeto si spingedi sonante procella che dall'altopiomba e solleva il ferrugineo flutto.Allor chi pria, chi poi fu messo a mortedal Prïamide eroe, quando a lui Giovefu di gloria cortese? Assèo da prima,Autònoo, Opìte, e Dòlope di Clito,Ofeltio ed Agelao, Esimno, ed Oroe il bellicoso Ippònoo. Fur questii dànai duci che il Troiano uccise:dopo lor, molta plebe. Come quandodi Ponente il soffiar l'umide figliedi Noto aggira, e con rapido vorticele sbatte irato: il mar gonfiati e crebrivolve i flutti, e dal turbo in larghi sprazzisollevata diffondesi la spuma:tal Ettore cader confuse e spessefa le teste plebee. Disfatta interaallor sarìa seguìta, e colla strage

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dirittamente addosso ai forti Achivi,e acquisto fate d'immortal corona.Disse, e in tutti destò la forza e il core.Come buon cacciator contra un lïoneo silvestre cignale il morso aizzade' fier molossi, così l'ira instigade' magnanimi Troi contro gli Achiviil Prïamide Marte: ed ei tra' primiintrepido si volve, e nel più foltodella mischia coll'impeto si spingedi sonante procella che dall'altopiomba e solleva il ferrugineo flutto.Allor chi pria, chi poi fu messo a mortedal Prïamide eroe, quando a lui Giovefu di gloria cortese? Assèo da prima,Autònoo, Opìte, e Dòlope di Clito,Ofeltio ed Agelao, Esimno, ed Oroe il bellicoso Ippònoo. Fur questii dànai duci che il Troiano uccise:dopo lor, molta plebe. Come quandodi Ponente il soffiar l'umide figliedi Noto aggira, e con rapido vorticele sbatte irato: il mar gonfiati e crebrivolve i flutti, e dal turbo in larghi sprazzisollevata diffondesi la spuma:tal Ettore cader confuse e spessefa le teste plebee. Disfatta interaallor sarìa seguìta, e colla strage

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de' fuggitivi ineluttabil danno,se con questo parlar l'accorto Ulissenon destava il valor di Dïomede.Magnanimo Tidìde, e qual disdettadella nostra virtù ci toglie adessola ricordanza? Or su; ti metti, amico,al mio fianco, e tien fermo: onta sarebbelasciar che piombi su le navi Ettorre.E Dïomede di rincontro: Io certorimarrò, pugnerò; ma vano il nostrosforzo sarà, ché la vittoria ai Teucridar vuole, non a noi, Giove nemico.Disse; e coll'asta alla sinistra poppaTimbrèo percosse, e il riversò dal carro.Ulisse uccise Molïon, guerrierod'apparenza divina, e valorosodel re Timbrèo scudiero. E spenti questi,si cacciâr nella turba, simigliantia due cinghiali di gran cor, che il cerchiosbarattano de' veltri; e impetuosivoltando faccia sgominaro i Teucri,sì che fuggenti dall'ettòreo ferropreser conforto e respirâr gli Achivi.Combattean fra le turbe alti sul carrofortissimi campioni i due figliuolidi Merope Percòsio. Il genitore,celebrato indovino, avea dell'armiil funesto mestier loro interdetto.

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de' fuggitivi ineluttabil danno,se con questo parlar l'accorto Ulissenon destava il valor di Dïomede.Magnanimo Tidìde, e qual disdettadella nostra virtù ci toglie adessola ricordanza? Or su; ti metti, amico,al mio fianco, e tien fermo: onta sarebbelasciar che piombi su le navi Ettorre.E Dïomede di rincontro: Io certorimarrò, pugnerò; ma vano il nostrosforzo sarà, ché la vittoria ai Teucridar vuole, non a noi, Giove nemico.Disse; e coll'asta alla sinistra poppaTimbrèo percosse, e il riversò dal carro.Ulisse uccise Molïon, guerrierod'apparenza divina, e valorosodel re Timbrèo scudiero. E spenti questi,si cacciâr nella turba, simigliantia due cinghiali di gran cor, che il cerchiosbarattano de' veltri; e impetuosivoltando faccia sgominaro i Teucri,sì che fuggenti dall'ettòreo ferropreser conforto e respirâr gli Achivi.Combattean fra le turbe alti sul carrofortissimi campioni i due figliuolidi Merope Percòsio. Il genitore,celebrato indovino, avea dell'armiil funesto mestier loro interdetto.

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Non l'obbediro i figli, e la possanzaseguîr del fato che traeali a morte.Coll'asta in guerra sì famosa entrambigl'investì Dïomede, e colla vitadell'armi li spogliò, mentre per manocadean d'Ulisse Ippòdamo e Ipiròco.Contemplava dall'Ida i combattentidi Saturno il gran figlio, e nel suo sennoequilibrava tuttavia la pugna,e l'orror della strage. Infurïavapedon tra' primi battaglianti il figliodi Peone Agastròfo, e non aveal'incauto eroe dappresso i suoi corsieri,onde all'uopo salvarsi; ché in dispartelo scudier li tenea. Mirollo, e rattol'assalse Dïomede, e all'anguinaglialo ferì di tal colpo che l'uccise.Cader lo vide Ettorre, e tra le filesi spinse alto gridando, e lo seguiènole troiane falangi. Al suo venireturbossi il forte Dïomede, e vòltoad Ulisse, dicea: Ci piomba addossodel furibondo Ettorre la ruina.Stiam saldi, amico, e sosteniam lo scontro.Disse, e drizzando alla nemica testala mira, fulminò l'asta vibrata,e colse al sommo del cimier; ma il ferrofu respinto dal ferro, e non offese

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Non l'obbediro i figli, e la possanzaseguîr del fato che traeali a morte.Coll'asta in guerra sì famosa entrambigl'investì Dïomede, e colla vitadell'armi li spogliò, mentre per manocadean d'Ulisse Ippòdamo e Ipiròco.Contemplava dall'Ida i combattentidi Saturno il gran figlio, e nel suo sennoequilibrava tuttavia la pugna,e l'orror della strage. Infurïavapedon tra' primi battaglianti il figliodi Peone Agastròfo, e non aveal'incauto eroe dappresso i suoi corsieri,onde all'uopo salvarsi; ché in dispartelo scudier li tenea. Mirollo, e rattol'assalse Dïomede, e all'anguinaglialo ferì di tal colpo che l'uccise.Cader lo vide Ettorre, e tra le filesi spinse alto gridando, e lo seguiènole troiane falangi. Al suo venireturbossi il forte Dïomede, e vòltoad Ulisse, dicea: Ci piomba addossodel furibondo Ettorre la ruina.Stiam saldi, amico, e sosteniam lo scontro.Disse, e drizzando alla nemica testala mira, fulminò l'asta vibrata,e colse al sommo del cimier; ma il ferrofu respinto dal ferro, e non offese

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la bella fronte dell'eroe, ché il lungotriplice elmetto l'impedì, fatatodono d'Apollo. Sbalordì del colpoEttore, e lungi riparò tra' suoi.Qui cadde su i ginocchi, puntellandocontro il suol la gran palma, e tenebrososu le pupille gli si stese un velo.Ma mentre corre a ricovrar Tidìdela fitta nella sabbia asta possente,si rïebbe il caduto, e sopra il carrobalzando, nella turba si confusenovellamente, ed ischivò la morte.Perocché il figlio di Tidèo coll'astaun'altra volta l'assalìa gridando:Cane troian, di nuovo tu la scappidalla Parca che già t'avea raggiunto.Gli è Febo che ti salva, a cui, dell'armientrando nel fragor, ti raccomandi.Ma se verrai per anco al paragone,ti spaccerò, s'io pure ho qualche Dio.Qualunque intanto mi verrà ghermitosconterà la tua fuga. - E sì dicendo,l'ucciso figlio di Peon spogliava.Ma della ben chiomata Elena il drudoAlessandro tenea contro il Tidìdelo strale in cocca, standosi nascosodiretro al cippo sepolcral che al santoDardanid'Ilo, antico padre, eresse

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la bella fronte dell'eroe, ché il lungotriplice elmetto l'impedì, fatatodono d'Apollo. Sbalordì del colpoEttore, e lungi riparò tra' suoi.Qui cadde su i ginocchi, puntellandocontro il suol la gran palma, e tenebrososu le pupille gli si stese un velo.Ma mentre corre a ricovrar Tidìdela fitta nella sabbia asta possente,si rïebbe il caduto, e sopra il carrobalzando, nella turba si confusenovellamente, ed ischivò la morte.Perocché il figlio di Tidèo coll'astaun'altra volta l'assalìa gridando:Cane troian, di nuovo tu la scappidalla Parca che già t'avea raggiunto.Gli è Febo che ti salva, a cui, dell'armientrando nel fragor, ti raccomandi.Ma se verrai per anco al paragone,ti spaccerò, s'io pure ho qualche Dio.Qualunque intanto mi verrà ghermitosconterà la tua fuga. - E sì dicendo,l'ucciso figlio di Peon spogliava.Ma della ben chiomata Elena il drudoAlessandro tenea contro il Tidìdelo strale in cocca, standosi nascosodiretro al cippo sepolcral che al santoDardanid'Ilo, antico padre, eresse

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de' Teucri la pietà. Curvo l'eroedi dosso al morto Agàstrofo traeail varïato usbergo, ed il brocchieroed il pesante elmetto, allor che l'altrolentò la corda, e non invan. Veloceil quadrello volò, nell'ima partedel destro piè s'infisse, e trapassandoconficcossi nel suolo. Uscì d'agguatosghignazzando il fellone, e, Sei ferito,glorïoso gridò: Ve' s'io t'ho côltopur finalmente! Oh t'avess'io trafittapiù vital fibra, e tolta l'alma! Avrebbedall'affanno dell'armi respiratoil popolo troiano a cui se' orrendocome il leone alle belanti agnelle.Villan, cirrato arciero, e di fanciullevagheggiator codardo (gli risposenulla atterrito Dïomede), vieniin aperta tenzon, vieni e vedraia che l'arco ti giova, e la di stralipiena faretra. Mi graffiasti un piede,e sì gran vampo meni? Io de' tuoi colpiprendo il timor che mi darebbe il fusodi femminetta, o di fanciul lo stecco;ché non fa piaga degl'imbelli il dardo.Ma ben altro è il ferir di questa mano.Ogni puntura del mio telo è mortedel mio nemico, e pianto de' suoi figli

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de' Teucri la pietà. Curvo l'eroedi dosso al morto Agàstrofo traeail varïato usbergo, ed il brocchieroed il pesante elmetto, allor che l'altrolentò la corda, e non invan. Veloceil quadrello volò, nell'ima partedel destro piè s'infisse, e trapassandoconficcossi nel suolo. Uscì d'agguatosghignazzando il fellone, e, Sei ferito,glorïoso gridò: Ve' s'io t'ho côltopur finalmente! Oh t'avess'io trafittapiù vital fibra, e tolta l'alma! Avrebbedall'affanno dell'armi respiratoil popolo troiano a cui se' orrendocome il leone alle belanti agnelle.Villan, cirrato arciero, e di fanciullevagheggiator codardo (gli risposenulla atterrito Dïomede), vieniin aperta tenzon, vieni e vedraia che l'arco ti giova, e la di stralipiena faretra. Mi graffiasti un piede,e sì gran vampo meni? Io de' tuoi colpiprendo il timor che mi darebbe il fusodi femminetta, o di fanciul lo stecco;ché non fa piaga degl'imbelli il dardo.Ma ben altro è il ferir di questa mano.Ogni puntura del mio telo è mortedel mio nemico, e pianto de' suoi figli

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e della sposa che le gote oltraggia;mentre di sangue il suol quegli arrossandoimputridisce, e intorno gli s'accoglie,più che di donne, d'avoltoi corona.Così parlava. Accorso intanto Ulissedi sé gli fea riparo: ed ei sedutodell'amico alle spalle il dardo acutosconficcossi dal piede. Allor gli venneper tutto il corpo un dolor grave e tanto,che angosciato nell'alma e impazïentemontò sul cocchio, ed all'auriga imposedi portarlo volando alle sue tende.Solo rimase di Laerte il figlio,ché la paura avea tutti sbandatigli Argivi; ond'egli addolorato e mestoseco nel chiuso del gran cor dicea:Misero, che farò? Male, se in fugami volgo per timor: peggio, se soloqui mi coglie il nemico ora che Giovegli altri Achei sgominò. Ma quai pensierimi ragiona la mente? Ignoro io forseche nell'armi il vil fugge, e resta il prodea ferire o a morir morte onorata?Mentre in cor queste cose egli discorre,di scutati Troiani ecco venirneuna gran torma che l'accerchia. Stolti!che il proprio danno si chiudean nel mezzo.Come stuol di molossi e di fiorenti

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e della sposa che le gote oltraggia;mentre di sangue il suol quegli arrossandoimputridisce, e intorno gli s'accoglie,più che di donne, d'avoltoi corona.Così parlava. Accorso intanto Ulissedi sé gli fea riparo: ed ei sedutodell'amico alle spalle il dardo acutosconficcossi dal piede. Allor gli venneper tutto il corpo un dolor grave e tanto,che angosciato nell'alma e impazïentemontò sul cocchio, ed all'auriga imposedi portarlo volando alle sue tende.Solo rimase di Laerte il figlio,ché la paura avea tutti sbandatigli Argivi; ond'egli addolorato e mestoseco nel chiuso del gran cor dicea:Misero, che farò? Male, se in fugami volgo per timor: peggio, se soloqui mi coglie il nemico ora che Giovegli altri Achei sgominò. Ma quai pensierimi ragiona la mente? Ignoro io forseche nell'armi il vil fugge, e resta il prodea ferire o a morir morte onorata?Mentre in cor queste cose egli discorre,di scutati Troiani ecco venirneuna gran torma che l'accerchia. Stolti!che il proprio danno si chiudean nel mezzo.Come stuol di molossi e di fiorenti

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giovani intorno ad un cinghial s'addensaper investirlo, ed ei da folto vepresbocca aguzzando le fulminee sannetra le curve mascelle; d'ogni parteimpeto fassi, e suon di denti ascolti,e della belva si sostien l'assalto,benché tremenda irrompa e spaventosa:tali intorno ad Ulisse furïosis'aggruppano i Troiani. Alto ei sull'astainsorge, e primo all'omero ferisceil buon Deïopìte; indi Toonemette a morte ed Ennomo, e dopo questiChersidamante nel saltar che feadal cocchio a terra. Gli cacciò la piccasotto il rotondo scudo all'umbilico,e quei riverso nella polve strinsecolla palma la sabbia. Abbandonaticostor, coll'asta avventasi a Caropo,d'Ippaso figlio, e dell'illustre Socofratel germano; e lo ferisce. Accorreil dëiforme Soco in sua difesa,e all'Itacense fattosi vicinofermasi, e parla: Artefice di frodifamoso, e sempre infatigato Ulisse,oggi, o palma otterrai d'entrambi i figlid'Ippaso, e, spenti, n'avrai l'armi; o coltotu dal mio telo perderai la vita.Vibrò, ciò detto, e lo colpì nel mezzo

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giovani intorno ad un cinghial s'addensaper investirlo, ed ei da folto vepresbocca aguzzando le fulminee sannetra le curve mascelle; d'ogni parteimpeto fassi, e suon di denti ascolti,e della belva si sostien l'assalto,benché tremenda irrompa e spaventosa:tali intorno ad Ulisse furïosis'aggruppano i Troiani. Alto ei sull'astainsorge, e primo all'omero ferisceil buon Deïopìte; indi Toonemette a morte ed Ennomo, e dopo questiChersidamante nel saltar che feadal cocchio a terra. Gli cacciò la piccasotto il rotondo scudo all'umbilico,e quei riverso nella polve strinsecolla palma la sabbia. Abbandonaticostor, coll'asta avventasi a Caropo,d'Ippaso figlio, e dell'illustre Socofratel germano; e lo ferisce. Accorreil dëiforme Soco in sua difesa,e all'Itacense fattosi vicinofermasi, e parla: Artefice di frodifamoso, e sempre infatigato Ulisse,oggi, o palma otterrai d'entrambi i figlid'Ippaso, e, spenti, n'avrai l'armi; o coltotu dal mio telo perderai la vita.Vibrò, ciò detto, e lo colpì nel mezzo

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della salda rotella. Il vïolentodardo lo scudo traforò, ficcossinella corazza, e gli stracciò sul fiancotutta la pelle: non permise al ferrol'addentrarsi di più Palla Minerva.Conobbe tosto che letal non erail colpo Ulisse; e retrocesso alquanto,Sciagurato, rispose al suo nemico,or sì che morte al varco ti raggiunse.Mi togliesti, egli è vero, il poter oltrepugnar co' Teucri, ma ben io t'affermoche questa di tua vita è l'ultim'ora,e che tu dalla mia lancia qui domo,la palma a me darai, lo spirto a Pluto.Disse, e l'altro fuggiva. Al fuggitivoscaglia Ulisse il suo cerro, e a mezzo il tergosì glielo pianta che gli passa al petto.Diè d'armi un suono nel cadere, e il divovincitor l'insultò: Soco, del forteIppaso cavaliero audace figlio,morte t'ha giunto innanzi tempo, e vanafu la tua fuga. Misero! né il padregli occhi tuoi chiuderà né la pietosamadre, ma densi a te gli scaverannogli avoltoi dibattendo le grandi alisu la tua fronte; e me spento di tombaonoreranno i generosi Achei.Detto ciò, dalla pelle e dal ricolmo

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della salda rotella. Il vïolentodardo lo scudo traforò, ficcossinella corazza, e gli stracciò sul fiancotutta la pelle: non permise al ferrol'addentrarsi di più Palla Minerva.Conobbe tosto che letal non erail colpo Ulisse; e retrocesso alquanto,Sciagurato, rispose al suo nemico,or sì che morte al varco ti raggiunse.Mi togliesti, egli è vero, il poter oltrepugnar co' Teucri, ma ben io t'affermoche questa di tua vita è l'ultim'ora,e che tu dalla mia lancia qui domo,la palma a me darai, lo spirto a Pluto.Disse, e l'altro fuggiva. Al fuggitivoscaglia Ulisse il suo cerro, e a mezzo il tergosì glielo pianta che gli passa al petto.Diè d'armi un suono nel cadere, e il divovincitor l'insultò: Soco, del forteIppaso cavaliero audace figlio,morte t'ha giunto innanzi tempo, e vanafu la tua fuga. Misero! né il padregli occhi tuoi chiuderà né la pietosamadre, ma densi a te gli scaverannogli avoltoi dibattendo le grandi alisu la tua fronte; e me spento di tombaonoreranno i generosi Achei.Detto ciò, dalla pelle e dal ricolmo

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brocchier si svelse del possente Socoil duro giavellotto, e nel cavarlodiè sangue, e forte dolorossi il fianco.Visto il sangue d'Ulisse, i coraggiosiTeucri l'un l'altro inanimando mosseroper assalirlo: ma l'accorto indietrosi ritrasse, e i compagni ad alta vocechiamò. Tre volte a tutta gola ei grida,tre volte il marzio Menelao l'intese,e ad Aiace converso, Aiace, ei disse,Telamònio regal seme divino,sento all'orecchio risonarmi il gridodel sofferente Ulisse, e tal mi sembraqual se, solo rimasto, ei sia da' Teucrinel forte della mischia oppresso e chiuso.Corriam, ché giusto è l'aitarlo: solofra nemici potrebbe il valorosograve danno patirne, e costerìala sua morte agli Achei molti sospiri.Si mise in via, ciò detto, e lo seguivaquel magnanimo, tale al portamentoche un Dio detto l'avresti: e il caro a GioveUlisse ritrovâr da densa tormaaccerchiato di Teucri. A quella guisache affamate s'attruppano le lincidintorno a cervo di gran corna, a cuifisse lo strale il cacciator nel fianco,e il ferito fuggì dal feritore

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brocchier si svelse del possente Socoil duro giavellotto, e nel cavarlodiè sangue, e forte dolorossi il fianco.Visto il sangue d'Ulisse, i coraggiosiTeucri l'un l'altro inanimando mosseroper assalirlo: ma l'accorto indietrosi ritrasse, e i compagni ad alta vocechiamò. Tre volte a tutta gola ei grida,tre volte il marzio Menelao l'intese,e ad Aiace converso, Aiace, ei disse,Telamònio regal seme divino,sento all'orecchio risonarmi il gridodel sofferente Ulisse, e tal mi sembraqual se, solo rimasto, ei sia da' Teucrinel forte della mischia oppresso e chiuso.Corriam, ché giusto è l'aitarlo: solofra nemici potrebbe il valorosograve danno patirne, e costerìala sua morte agli Achei molti sospiri.Si mise in via, ciò detto, e lo seguivaquel magnanimo, tale al portamentoche un Dio detto l'avresti: e il caro a GioveUlisse ritrovâr da densa tormaaccerchiato di Teucri. A quella guisache affamate s'attruppano le lincidintorno a cervo di gran corna, a cuifisse lo strale il cacciator nel fianco,e il ferito fuggì dal feritore

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finché fu caldo il sangue e lesto il piede;ma domo alfine dallo stral nel boscolo dismembran le linci; allor, se guidacolà fortuna un fier lïon, dispersesfrattano quelle, ed ei fa sua la preda:molta turba così di valorosiTeucri intorno al pugnace astuto Ulisseaggirasi; ma l'asta dimenandol'eroe tien lungi la fatal sua sera.E comparir tremendo ecco d'Aiaceil torreggiante scudo, eccolo fermodinanzi a quell'oppresso, e scombuiarsichi qua chi là per lo spavento i Teucri.Per man lo prende allora il generosominor Atride, e fuor dell'armi il traggefinché l'auriga i corridor gli adduca.Ma il Telamònio eroe contra i Troianiirrompendo, il Prïamide bastardoDoriclo uccide; e poi Pandoco, e poiLisandro fiede e Piraso e Pilarte.E come quando ruinoso un fiume,cui crebbe l'invernal pioggia di Giove,si devolve dal monte alla pianura,e molte aride querce e molti pinirotando spinge una gran torba al mare:tal cavalli tagliando e cavalieril'illustre Aiace furïoso insegueper lo campo i Troiani; e non per anco

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finché fu caldo il sangue e lesto il piede;ma domo alfine dallo stral nel boscolo dismembran le linci; allor, se guidacolà fortuna un fier lïon, dispersesfrattano quelle, ed ei fa sua la preda:molta turba così di valorosiTeucri intorno al pugnace astuto Ulisseaggirasi; ma l'asta dimenandol'eroe tien lungi la fatal sua sera.E comparir tremendo ecco d'Aiaceil torreggiante scudo, eccolo fermodinanzi a quell'oppresso, e scombuiarsichi qua chi là per lo spavento i Teucri.Per man lo prende allora il generosominor Atride, e fuor dell'armi il traggefinché l'auriga i corridor gli adduca.Ma il Telamònio eroe contra i Troianiirrompendo, il Prïamide bastardoDoriclo uccide; e poi Pandoco, e poiLisandro fiede e Piraso e Pilarte.E come quando ruinoso un fiume,cui crebbe l'invernal pioggia di Giove,si devolve dal monte alla pianura,e molte aride querce e molti pinirotando spinge una gran torba al mare:tal cavalli tagliando e cavalieril'illustre Aiace furïoso insegueper lo campo i Troiani; e non per anco

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n'aveva Ettorre udita la ruina,ch'ei della zuffa sul sinistro cornopugnava in riva allo Scamandro, doveil cader delle teste era più spesso,e infinito il clamor dintorno al grandeNestore e al marzio Idomenèo. Qui stavaEttore, e oprava orrende cose, e densacolla lancia e col carro distruggevala gioventude achea. Né ancor per tantoavrian gli Argivi abbandonato il campo,se il bel marito della bella ElènaAlessandro ritrar non fea dall'armiil bellicoso Macaon, ferendol'illustre duce all'omero dirittocon trisulca saetta. Di quel colpotremâr gli Achivi, e si scorâr, temendoche, inclinata di Marte la fortuna,non vi restasse il buon guerriero ucciso.Onde a Nestore vòlto Idomenèo:Eroe Nelìde, ei disse, alto splendoredegli Achivi, t'affretta, il carro ascendie Macaone vi raccogli, e rattosferza i cavalli al mar, salva quel prode,ch'egli val molte vite, e non ha parinel cavar dardi dalle piaghe, e spargerledi balsamiche stille. - A questo diremontò l'antico cavaliero il cocchiosubitamente, vi raccolse il figlio

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n'aveva Ettorre udita la ruina,ch'ei della zuffa sul sinistro cornopugnava in riva allo Scamandro, doveil cader delle teste era più spesso,e infinito il clamor dintorno al grandeNestore e al marzio Idomenèo. Qui stavaEttore, e oprava orrende cose, e densacolla lancia e col carro distruggevala gioventude achea. Né ancor per tantoavrian gli Argivi abbandonato il campo,se il bel marito della bella ElènaAlessandro ritrar non fea dall'armiil bellicoso Macaon, ferendol'illustre duce all'omero dirittocon trisulca saetta. Di quel colpotremâr gli Achivi, e si scorâr, temendoche, inclinata di Marte la fortuna,non vi restasse il buon guerriero ucciso.Onde a Nestore vòlto Idomenèo:Eroe Nelìde, ei disse, alto splendoredegli Achivi, t'affretta, il carro ascendie Macaone vi raccogli, e rattosferza i cavalli al mar, salva quel prode,ch'egli val molte vite, e non ha parinel cavar dardi dalle piaghe, e spargerledi balsamiche stille. - A questo diremontò l'antico cavaliero il cocchiosubitamente, vi raccolse il figlio

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d'Esculapio divin medicatore,sferzò i destrieri, e quei volaro al lidovolonterosi e dal desìo chiamati.Vide in questa de' Teucri lo scompiglioCebrïon che d'Ettorre al fianco stava,e rivolto a quel duce: Ettorre, ei disse,noi di Dànai qui stiamo a far macellonel corno estremo dell'orrenda mischia,e gli altri Teucri intanto in fuga vannocavalli e battaglier cacciati e rottidal Telamònio Aiace: io ben lo scernoall'ampio scudo che gli copre il petto.Drizziamo il carro a quella volta, ch'ivipiù feroce de' fanti e cavalieriè la zuffa, e più forti odo le grida.Così dicendo, col flagel sonoroi ben chiomati corridor percosse,che sentita la sferza a tutto corsofra i Troiani e gli Achei traean la biga,cadaveri pestando ed elmi e scudi.Era tutto di sangue orrido e lordol'asse di sotto e l'àmbito del cocchio,cui l'ugna de' corsieri e la veloceruota spargean di larghi sprazzi. Anelail teucro duce di sfondar la turba,e spezzarla d'assalto. In un momentogli Achivi sgominò, sempre coll'astafulminando; e scorrendo entro le file,

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d'Esculapio divin medicatore,sferzò i destrieri, e quei volaro al lidovolonterosi e dal desìo chiamati.Vide in questa de' Teucri lo scompiglioCebrïon che d'Ettorre al fianco stava,e rivolto a quel duce: Ettorre, ei disse,noi di Dànai qui stiamo a far macellonel corno estremo dell'orrenda mischia,e gli altri Teucri intanto in fuga vannocavalli e battaglier cacciati e rottidal Telamònio Aiace: io ben lo scernoall'ampio scudo che gli copre il petto.Drizziamo il carro a quella volta, ch'ivipiù feroce de' fanti e cavalieriè la zuffa, e più forti odo le grida.Così dicendo, col flagel sonoroi ben chiomati corridor percosse,che sentita la sferza a tutto corsofra i Troiani e gli Achei traean la biga,cadaveri pestando ed elmi e scudi.Era tutto di sangue orrido e lordol'asse di sotto e l'àmbito del cocchio,cui l'ugna de' corsieri e la veloceruota spargean di larghi sprazzi. Anelail teucro duce di sfondar la turba,e spezzarla d'assalto. In un momentogli Achivi sgominò, sempre coll'astafulminando; e scorrendo entro le file,

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colla lancia, col brando e con enormimacigni le rompea. Solo d'Aiaceevitava lo scontro. Ma l'Eternoalto-sedente al cor d'Aiace incussetale un terror che attonito ristette,e paventoso si gittò sul tergola settemplice pelle, e nel dar voltacome una fiera si guatava intornonel mezzo della turba, e tardi e lentialternando i ginocchi, all'inimicoad or ad ora convertìa la fronte.Come fulvo leon che dall'ovilevien da' cani cacciato e da' pastoriche de' buoi gli frastornano la pinguepreda, la notte vigilando intera:famelico di carne ei nondimenodritto si scaglia, e in van; ché dall'arditedestre gli piove di saette un nemboe di tizzi e di faci, onde il feroceatterrito rifugge, e in sul mattinomesto i campi traversa e si rinselva:tale Aiace da' Teucri in suo cor tristoe di mal grado assai si dipartìadelle navi temendo. E quale intornoad un pigro somier, che nella messesi ficcò, s'arrabattano i fanciullimolte verghe rompendogli sul tergo,ed ei pur segue a cimar l'alta biada,

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colla lancia, col brando e con enormimacigni le rompea. Solo d'Aiaceevitava lo scontro. Ma l'Eternoalto-sedente al cor d'Aiace incussetale un terror che attonito ristette,e paventoso si gittò sul tergola settemplice pelle, e nel dar voltacome una fiera si guatava intornonel mezzo della turba, e tardi e lentialternando i ginocchi, all'inimicoad or ad ora convertìa la fronte.Come fulvo leon che dall'ovilevien da' cani cacciato e da' pastoriche de' buoi gli frastornano la pinguepreda, la notte vigilando intera:famelico di carne ei nondimenodritto si scaglia, e in van; ché dall'arditedestre gli piove di saette un nemboe di tizzi e di faci, onde il feroceatterrito rifugge, e in sul mattinomesto i campi traversa e si rinselva:tale Aiace da' Teucri in suo cor tristoe di mal grado assai si dipartìadelle navi temendo. E quale intornoad un pigro somier, che nella messesi ficcò, s'arrabattano i fanciullimolte verghe rompendogli sul tergo,ed ei pur segue a cimar l'alta biada,

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né de' lor colpi cura la tempesta,ché la forza è bambina, e appena il ponnoallontanar poiché satolla ha l'epa;non altrimenti i Teucri e le coorticollegate inseguìan senza riposoil gran Telamonìde, e colle basselance nel mezzo gli ferìan lo scudo.Ma memore l'eroe di sua virtudeor rivolta la faccia, e le falangirespinge de' nemici, or lento i passimove alla fuga: e sì potette ei soloche di sboccarsi al mar tutti rattenne.Ritto in mezzo ai Troiani ed agli Achiviinfurïava, e sostenea di straliuna gran selva sull'immenso scudo,e molti a mezzo spazio e senza forza,pria che il corpo gustar, perdeano il volodesïosi di sangue. In questo statolo mirò d'Evemon l'inclito figlioEuripilo, ed a lui, che sotto il nembodegli strali languìa, fatto dappresso,a vibrar cominciò l'asta lucente,e il duce Apisaon, di Fausia figlio,nell'epate percosse, e gli disciolsede' ginocchi il vigor. Sovra il cadutoEuripilo avventossi, e le bell'armidi dosso gli traea. Ma come il videParide, il drudo di beltà divina,

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né de' lor colpi cura la tempesta,ché la forza è bambina, e appena il ponnoallontanar poiché satolla ha l'epa;non altrimenti i Teucri e le coorticollegate inseguìan senza riposoil gran Telamonìde, e colle basselance nel mezzo gli ferìan lo scudo.Ma memore l'eroe di sua virtudeor rivolta la faccia, e le falangirespinge de' nemici, or lento i passimove alla fuga: e sì potette ei soloche di sboccarsi al mar tutti rattenne.Ritto in mezzo ai Troiani ed agli Achiviinfurïava, e sostenea di straliuna gran selva sull'immenso scudo,e molti a mezzo spazio e senza forza,pria che il corpo gustar, perdeano il volodesïosi di sangue. In questo statolo mirò d'Evemon l'inclito figlioEuripilo, ed a lui, che sotto il nembodegli strali languìa, fatto dappresso,a vibrar cominciò l'asta lucente,e il duce Apisaon, di Fausia figlio,nell'epate percosse, e gli disciolsede' ginocchi il vigor. Sovra il cadutoEuripilo avventossi, e le bell'armidi dosso gli traea. Ma come il videParide, il drudo di beltà divina,

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del morto Apisaon l'armi rapire,mise in cocca lo strale, e d'aspra puntala destra coscia gli ferì. Si franseil calamo pennuto, e tal nell'ancaspasmo destò, che ad ischivar la mortegli fu mestieri ripararsi a' suoi,alto gridando, O amici, o prenci achivi,volgetevi, sostate, liberateda morte Aiace; egli è da' teli oppresso,sì ch'io pavento, ohimè! che più non abbiascampo l'eroe: correte, circondatede' vostri petti il Telamònio figlio.Così disse il ferito: e quelli a garastretti inclinando agli omeri gli scudi,e l'aste sollevando, al grande Aiacesi fêr dappresso; ed ei venuto in salvotra' suoi, di nuovo la terribil facciaconverse all'inimico. In cotal guisa,come fiamma, tra questi ardea la zuffa.Di sudor molli intanto e polverosele cavalle nelèe fuor della pugnatraean col duce Macaon Nestorre.Lo vide il divo Achille e lo conobbe,mentre ritto si stava in su la poppadella sua grande capitana, e il fierolavor di Marte, e degli Achei miravala lagrimosa fuga. Incontanentemise un grido, e chiamò dall'alta nave

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del morto Apisaon l'armi rapire,mise in cocca lo strale, e d'aspra puntala destra coscia gli ferì. Si franseil calamo pennuto, e tal nell'ancaspasmo destò, che ad ischivar la mortegli fu mestieri ripararsi a' suoi,alto gridando, O amici, o prenci achivi,volgetevi, sostate, liberateda morte Aiace; egli è da' teli oppresso,sì ch'io pavento, ohimè! che più non abbiascampo l'eroe: correte, circondatede' vostri petti il Telamònio figlio.Così disse il ferito: e quelli a garastretti inclinando agli omeri gli scudi,e l'aste sollevando, al grande Aiacesi fêr dappresso; ed ei venuto in salvotra' suoi, di nuovo la terribil facciaconverse all'inimico. In cotal guisa,come fiamma, tra questi ardea la zuffa.Di sudor molli intanto e polverosele cavalle nelèe fuor della pugnatraean col duce Macaon Nestorre.Lo vide il divo Achille e lo conobbe,mentre ritto si stava in su la poppadella sua grande capitana, e il fierolavor di Marte, e degli Achei miravala lagrimosa fuga. Incontanentemise un grido, e chiamò dall'alta nave

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il compagno Patròclo: e questi appenadalla tenda l'udì, che fuori apparvein marzïal sembianza; e dal quel puntoebbe inizio fatal la sua sventura.Parlò primiero di Menèzio il figlio:A che mi chiami, a che mi brami, Achille?O mio diletto nobile Patròclo,gli rispose il Pelìde, or sì che sperosupplicanti e prostesi a' miei ginocchiveder gli Achivi, ché suprema e duranecessità li preme. Or vanne, o caro,vanne e chiedi a Nestòr chi quel feritosia, ch'ei ritragge dalla pugna. Il vidiben io da tergo, e Macaon mi parve,d'Esculapio il figliuol; ma del guerrieronon vidi il volto, ché veloci innanzimi passâr le cavalle, e via spariro.Disse; e Patròclo obbedïente al cennodell'amico diletto già correatra le navi e le tende. E quelli intantodel buon Nelìde al padiglion venutidismontaro, e l'auriga Eurimedontesciolse dal carro le nelèe puledre,mentr'essi al vento asciugano sul lidole tuniche sudate, e delle membrarinfrescano la vampa: indi raccoltidietro la tenda s'adagiâr su i seggi.Apparecchiava intanto una bevanda

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il compagno Patròclo: e questi appenadalla tenda l'udì, che fuori apparvein marzïal sembianza; e dal quel puntoebbe inizio fatal la sua sventura.Parlò primiero di Menèzio il figlio:A che mi chiami, a che mi brami, Achille?O mio diletto nobile Patròclo,gli rispose il Pelìde, or sì che sperosupplicanti e prostesi a' miei ginocchiveder gli Achivi, ché suprema e duranecessità li preme. Or vanne, o caro,vanne e chiedi a Nestòr chi quel feritosia, ch'ei ritragge dalla pugna. Il vidiben io da tergo, e Macaon mi parve,d'Esculapio il figliuol; ma del guerrieronon vidi il volto, ché veloci innanzimi passâr le cavalle, e via spariro.Disse; e Patròclo obbedïente al cennodell'amico diletto già correatra le navi e le tende. E quelli intantodel buon Nelìde al padiglion venutidismontaro, e l'auriga Eurimedontesciolse dal carro le nelèe puledre,mentr'essi al vento asciugano sul lidole tuniche sudate, e delle membrarinfrescano la vampa: indi raccoltidietro la tenda s'adagiâr su i seggi.Apparecchiava intanto una bevanda

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la ricciuta Ecamède. Era costeidel magnanimo Arsìnoo una figliuolache il buon vecchio da Tenedo condottaavea quel dì che la distrusse Achille,e a lui, perché vincea gli altri di senno,fra cento eletta la donâr gli Achivi.Trass'ella innanzi a lor prima un bel descosu piè sorretto d'un color che imbruna,sovra il desco un taglier pose di rame,e fresco miel sovresso, e la cipolladel largo bere irritatrice, e il fioredi sacra polve cereal. V'aggiunseun bellissimo nappo, che recatoaveasi il veglio dal paterno tetto,d'aurei chiovi trapunto, a doppio fondo,con quattro orecchie, e intorno a ciaschedunadue beventi colombe, auree pur esse.Altri a stento l'avrìa colmo rimosso;l'alzava il veglio agevolmente. In questola simile alle Dee presta donzellapramnio vino versava; indi tritandosu le spume caprin latte rappreso,e spargendovi sovra un leggier nembodi candida farina, una bevandauscir ne fece di cotal mistura,che apprestata e libata, ai due guerrierila sete estinse e rinfrancò le forze.Diersi, ciò fatto, a ricrear parlando

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la ricciuta Ecamède. Era costeidel magnanimo Arsìnoo una figliuolache il buon vecchio da Tenedo condottaavea quel dì che la distrusse Achille,e a lui, perché vincea gli altri di senno,fra cento eletta la donâr gli Achivi.Trass'ella innanzi a lor prima un bel descosu piè sorretto d'un color che imbruna,sovra il desco un taglier pose di rame,e fresco miel sovresso, e la cipolladel largo bere irritatrice, e il fioredi sacra polve cereal. V'aggiunseun bellissimo nappo, che recatoaveasi il veglio dal paterno tetto,d'aurei chiovi trapunto, a doppio fondo,con quattro orecchie, e intorno a ciaschedunadue beventi colombe, auree pur esse.Altri a stento l'avrìa colmo rimosso;l'alzava il veglio agevolmente. In questola simile alle Dee presta donzellapramnio vino versava; indi tritandosu le spume caprin latte rappreso,e spargendovi sovra un leggier nembodi candida farina, una bevandauscir ne fece di cotal mistura,che apprestata e libata, ai due guerrierila sete estinse e rinfrancò le forze.Diersi, ciò fatto, a ricrear parlando

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gli affaticati spirti; e sulla sogliaecco apparir Patròclo, e soffermarsiin sembianza di nume il giovinetto.Nel vederlo levossi il vecchio in piedidal suo lucido seggio, e l'introdussepresol per mano, e di seder pregollo.Egli all'invito resistea, dicendo:Di seder non m'è tempo, egregio veglio,né obbedirti poss'io. Tremendo, irosoè colui che mi manda a interrogartidel guerrier che ferito hai qui condotto.Or io mel so per me medesmo, e in luiravviso il duce Macaon. Ritornodunque ad Achille relator di tutto.Sai quanto, augusto veglio, ei sia stizzosoe a colpar pronto l'innocente ancora.Disse, e il gerenio cavalier rispose:E donde avvien che de' feriti Achivisente Achille pietà? Né ancor sa quantapel campo s'innalzò nube di lutto.Piagati altri da lungi, altri da pressonelle navi languiscono i più prodi.Di saetta ferito è Dïomede,d'asta l'inclito Ulisse e Agamennóne,Euripilo di strale nella coscia,e di strale egli pur questo che vedida me condotto. Il prode Achille intantoniuna si prende né pietà né cura

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gli affaticati spirti; e sulla sogliaecco apparir Patròclo, e soffermarsiin sembianza di nume il giovinetto.Nel vederlo levossi il vecchio in piedidal suo lucido seggio, e l'introdussepresol per mano, e di seder pregollo.Egli all'invito resistea, dicendo:Di seder non m'è tempo, egregio veglio,né obbedirti poss'io. Tremendo, irosoè colui che mi manda a interrogartidel guerrier che ferito hai qui condotto.Or io mel so per me medesmo, e in luiravviso il duce Macaon. Ritornodunque ad Achille relator di tutto.Sai quanto, augusto veglio, ei sia stizzosoe a colpar pronto l'innocente ancora.Disse, e il gerenio cavalier rispose:E donde avvien che de' feriti Achivisente Achille pietà? Né ancor sa quantapel campo s'innalzò nube di lutto.Piagati altri da lungi, altri da pressonelle navi languiscono i più prodi.Di saetta ferito è Dïomede,d'asta l'inclito Ulisse e Agamennóne,Euripilo di strale nella coscia,e di strale egli pur questo che vedida me condotto. Il prode Achille intantoniuna si prende né pietà né cura

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degl'infelici Achivi. Aspetta ei forseche mal grado di noi la fiamma ostilearda al lido le navi, e che noi tuttil'un su l'altro cadiam trafitti e spenti?Ahi che la possa mia non è più quellach'agili un tempo mi facea le membra!Oh quel fior m'avess'io d'anni e di forza,ch'io m'ebbi allor che per rapiti armentitra noi surse e gli Elèi fiera contesa!Io predai con ardita rappresagliadel nemico le mandre, e l'elïeseIpirochìde Itimonèo distesi.Combattea de' suoi tauri alla difesal'uom forte, e un dardo di mia mano uscitolui tra' primi percosse, e al suo caderel'agreste torma si disperse in fuga.Noi molta preda n'adducemmo e ricca:di buoi cinquanta armenti, ed altrettantedi porcelli, d'agnelle e di caprette,distinte mandre, e cento oltre cinquantafulve cavalle, tutte madri, e moltecol poledro alla poppa. Ecco la predache noi di notte ne menammo in Pilo.Gioì Nelèo vedendo il giovinettofiglio guerrier di tante spoglie opimo.Venuto il giorno, la sonora vocede' banditor chiamò tutti cui fossequalche compenso dagli Elèi dovuto.

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degl'infelici Achivi. Aspetta ei forseche mal grado di noi la fiamma ostilearda al lido le navi, e che noi tuttil'un su l'altro cadiam trafitti e spenti?Ahi che la possa mia non è più quellach'agili un tempo mi facea le membra!Oh quel fior m'avess'io d'anni e di forza,ch'io m'ebbi allor che per rapiti armentitra noi surse e gli Elèi fiera contesa!Io predai con ardita rappresagliadel nemico le mandre, e l'elïeseIpirochìde Itimonèo distesi.Combattea de' suoi tauri alla difesal'uom forte, e un dardo di mia mano uscitolui tra' primi percosse, e al suo caderel'agreste torma si disperse in fuga.Noi molta preda n'adducemmo e ricca:di buoi cinquanta armenti, ed altrettantedi porcelli, d'agnelle e di caprette,distinte mandre, e cento oltre cinquantafulve cavalle, tutte madri, e moltecol poledro alla poppa. Ecco la predache noi di notte ne menammo in Pilo.Gioì Nelèo vedendo il giovinettofiglio guerrier di tante spoglie opimo.Venuto il giorno, la sonora vocede' banditor chiamò tutti cui fossequalche compenso dagli Elèi dovuto.

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Di Pilo i capi congregârsi, e grandesendo il dovere degli Elèi, fu tuttascompartita la preda, e rintegratel'antiche offese. Perciocché la forzad'Ercole avendo desolata un giornola nostra terra, e i più prestanti uccisi,e di dodici figli di Nelèoprodi guerrier rimasto io solo in Pilocon altri pochi oppressi, i baldanzosiElèi di nostre disventure alterin'insultâr, ne fêr danno. Or dunque in serbotenne il vecchio per sé di tauri interoun armento trascelto, e un'ampia greggiadi ben trecento pecorelle, insiemeco' mandriani; giusta ricompensadi quattro egregi corridor, mandatiin un col carro a conquistargli un tripodenell'olimpica polve, e dall'elèorege rapiti, rimandando spogliode' bei corsieri il doloroso auriga.Di questi oltraggi il vecchio padre iratolarga preda si tolse, e al popol diede,giusta il dovuto, a ripartirsi il resto.Mentre intenti ne stiamo a queste cose,e offriam per tutta la città solennisacrifici agli Eterni, ecco nel terzogiorno gli Elèi con tutte de' lor fantie cavalli le forze in campo uscire,

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Di Pilo i capi congregârsi, e grandesendo il dovere degli Elèi, fu tuttascompartita la preda, e rintegratel'antiche offese. Perciocché la forzad'Ercole avendo desolata un giornola nostra terra, e i più prestanti uccisi,e di dodici figli di Nelèoprodi guerrier rimasto io solo in Pilocon altri pochi oppressi, i baldanzosiElèi di nostre disventure alterin'insultâr, ne fêr danno. Or dunque in serbotenne il vecchio per sé di tauri interoun armento trascelto, e un'ampia greggiadi ben trecento pecorelle, insiemeco' mandriani; giusta ricompensadi quattro egregi corridor, mandatiin un col carro a conquistargli un tripodenell'olimpica polve, e dall'elèorege rapiti, rimandando spogliode' bei corsieri il doloroso auriga.Di questi oltraggi il vecchio padre iratolarga preda si tolse, e al popol diede,giusta il dovuto, a ripartirsi il resto.Mentre intenti ne stiamo a queste cose,e offriam per tutta la città solennisacrifici agli Eterni, ecco nel terzogiorno gli Elèi con tutte de' lor fantie cavalli le forze in campo uscire,

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ed ambedue con essi i Molïoni,giovinetti ancor sori ed inespertinegl'impeti di Marte. Su l'Alfèoin arduo colle assisa è una cittadeTrïoessa nomata, ultima terradell'arenosa Pilo. Desïosidi porla al fondo la cingean d'assedio.Ma come tutto superaro il campo,frettolosa e notturna a noi discesedall'Olimpo Minerva, ad avvisarnedi pigliar l'armi; e congregò le turbeper la cittade, non già lente e schive,ma tutte accese del desìo di guerra.Non mi assentiva il genitor Nelèol'uscir con gli altri armato; e perché destronel fiero Marte ancor non mi credea,occultommi i destrieri. Ed io pedonev'andai scorto da Pallade, e tra' nostricavalier mi distinsi in quella pugna.Sul fiume Minïèo che presso Arenasi devolve nel mar, noi squadra equestreposammo ad aspettar l'alba divina,finché n'avesse la pedestre aggiunti.Riunito l'esercito, movemmoben armati ed accinti, e sul merigged'Alfèo giungemmo all'onde sacre. Quivipropizïammo con opime offertel'onnipossente Giove; al fiume un toro

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ed ambedue con essi i Molïoni,giovinetti ancor sori ed inespertinegl'impeti di Marte. Su l'Alfèoin arduo colle assisa è una cittadeTrïoessa nomata, ultima terradell'arenosa Pilo. Desïosidi porla al fondo la cingean d'assedio.Ma come tutto superaro il campo,frettolosa e notturna a noi discesedall'Olimpo Minerva, ad avvisarnedi pigliar l'armi; e congregò le turbeper la cittade, non già lente e schive,ma tutte accese del desìo di guerra.Non mi assentiva il genitor Nelèol'uscir con gli altri armato; e perché destronel fiero Marte ancor non mi credea,occultommi i destrieri. Ed io pedonev'andai scorto da Pallade, e tra' nostricavalier mi distinsi in quella pugna.Sul fiume Minïèo che presso Arenasi devolve nel mar, noi squadra equestreposammo ad aspettar l'alba divina,finché n'avesse la pedestre aggiunti.Riunito l'esercito, movemmoben armati ed accinti, e sul merigged'Alfèo giungemmo all'onde sacre. Quivipropizïammo con opime offertel'onnipossente Giove; al fiume un toro

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svenammo, un altro al gran Nettunno, e intattaa Palla una giovenca. Indi pel campopreso a drappelli della sera il cibo,tutti ne demmo, ognun coll'armi indosso,lungo il fiume a dormir. Stringean frattantod'assedio la cittade i forti Elèid'espugnarla bramosi. Ma di Marteebber tosto davanti una grand'opra.Brillò sul volto della terra il sole,e noi Minerva supplicando e Gioveappiccammo la zuffa. Aspro fu il cozzodelle due genti, ed io primiero uccisi(e i corsieri gli tolsi) il bellicosoMulio, gener d'Augìa, del quale in mogliela maggior figlia possedea, la biondaAgamède, cui nota era, di quantel'almo sen della terra erbe produce,la medica virtù. Questo io trafissicoll'asta, e lo distesi, e, dell'uccisosalito il cocchio, mi cacciai tra' primi.Visto il duce cader de' cavalieriche gli altri tutti di valor vincea,si sgomentaro i generosi Elèi,e fuggîr d'ogni parte. Io come turbomi serrai loro addosso, e di cinquantacarri fei preda, e intorno a ciaschedunomordean la polve dal mio ferro ancisidue combattenti. E messi a morte avrei

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svenammo, un altro al gran Nettunno, e intattaa Palla una giovenca. Indi pel campopreso a drappelli della sera il cibo,tutti ne demmo, ognun coll'armi indosso,lungo il fiume a dormir. Stringean frattantod'assedio la cittade i forti Elèid'espugnarla bramosi. Ma di Marteebber tosto davanti una grand'opra.Brillò sul volto della terra il sole,e noi Minerva supplicando e Gioveappiccammo la zuffa. Aspro fu il cozzodelle due genti, ed io primiero uccisi(e i corsieri gli tolsi) il bellicosoMulio, gener d'Augìa, del quale in mogliela maggior figlia possedea, la biondaAgamède, cui nota era, di quantel'almo sen della terra erbe produce,la medica virtù. Questo io trafissicoll'asta, e lo distesi, e, dell'uccisosalito il cocchio, mi cacciai tra' primi.Visto il duce cader de' cavalieriche gli altri tutti di valor vincea,si sgomentaro i generosi Elèi,e fuggîr d'ogni parte. Io come turbomi serrai loro addosso, e di cinquantacarri fei preda, e intorno a ciaschedunomordean la polve dal mio ferro ancisidue combattenti. E messi a morte avrei

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gli Attòridi pur anco, i due medesmiMolïoni, se fuor della battaglianon li traea, coprendoli di nebbia,il gran rege Nettunno. Al nostro ardirealta vittoria allor Giove concesse.Perocché per lo campo, tutto sparsodi scudi e di cadaveri, tant'oltregl'inseguimmo uccidendo, e raccogliendole bell'armi nemiche, che spingemmofino ai buprasii solchi i corridori,fin all'olenio sasso, ed alla rivad'Alèsio, al luogo che Calon si noma.Qui fêr alto per cenno di Minervai vincitori, e qui l'estremo io spensi.Da Buprasio frattanto i nostri prodiriconduceano a Pilo i polverosicarri, e dar laude si sentìa da tuttia Giove in cielo, ed a Nestorre in terra.Tal nelle pugne apparve il valor mio.Ma del valor d'Achille il solo Achillegodrassi, e quando consumati ahi! tuttivedrà gli Achivi, piangerà, ma indarno.Caro Patròclo, nel pensier richiamadi Menèzio i precetti, onde il buon vegliot'accompagnava il giorno che da Ftiati spediva all'Atride Agamennóne.Fummo presenti, e gli ascoltammo interiil divo Ulisse ed io Nestorre, entrambi

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gli Attòridi pur anco, i due medesmiMolïoni, se fuor della battaglianon li traea, coprendoli di nebbia,il gran rege Nettunno. Al nostro ardirealta vittoria allor Giove concesse.Perocché per lo campo, tutto sparsodi scudi e di cadaveri, tant'oltregl'inseguimmo uccidendo, e raccogliendole bell'armi nemiche, che spingemmofino ai buprasii solchi i corridori,fin all'olenio sasso, ed alla rivad'Alèsio, al luogo che Calon si noma.Qui fêr alto per cenno di Minervai vincitori, e qui l'estremo io spensi.Da Buprasio frattanto i nostri prodiriconduceano a Pilo i polverosicarri, e dar laude si sentìa da tuttia Giove in cielo, ed a Nestorre in terra.Tal nelle pugne apparve il valor mio.Ma del valor d'Achille il solo Achillegodrassi, e quando consumati ahi! tuttivedrà gli Achivi, piangerà, ma indarno.Caro Patròclo, nel pensier richiamadi Menèzio i precetti, onde il buon vegliot'accompagnava il giorno che da Ftiati spediva all'Atride Agamennóne.Fummo presenti, e gli ascoltammo interiil divo Ulisse ed io Nestorre, entrambi

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al regal tetto di Pelèo venutia far eletta di guerrieri achei.Ivi l'eroe Menèzio e te vedemmod'Achille al fianco. Il cavalier Pelèo,venerando vegliardo, entro il cortileal fulminante Giove ardea le pinguicosce d'un tauro, e sull'ardenti fibrenegro vino da nappo aureo versava.Voi vi stavate preparando entrambile sacre carni, e noi giungemmo in quellasul limitar. Stupì, levossi Achille,per man ne prese, e n'introdusse, in seggione collocò, ne pose innanzi i doniche il santo dritto dell'ospizio chiede.Ristorati di cibo e di bevanda,io parlai primamente, e v'esortaval'uno e l'altro a seguirne; e il bramavatevoi fortemente. E quai de' due canutifûro allora i conforti? Al figlio Achilleraccomandò Pelèo l'oprar mai sempreda prode, e a tutti di valor star sopra.Ma volto a te l'Attòride Menèzio,Figlio, il vecchio dicea, ti vince Achilledi sangue, e tu lui d'anni; egli di forza,tu di consiglio. Con prudenti avvisidunque il governa e l'ammonisci, e all'uopot'obbedirà. Tal era il suo precetto;tu l'obblïasti. Or via, l'adempi adesso,

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al regal tetto di Pelèo venutia far eletta di guerrieri achei.Ivi l'eroe Menèzio e te vedemmod'Achille al fianco. Il cavalier Pelèo,venerando vegliardo, entro il cortileal fulminante Giove ardea le pinguicosce d'un tauro, e sull'ardenti fibrenegro vino da nappo aureo versava.Voi vi stavate preparando entrambile sacre carni, e noi giungemmo in quellasul limitar. Stupì, levossi Achille,per man ne prese, e n'introdusse, in seggione collocò, ne pose innanzi i doniche il santo dritto dell'ospizio chiede.Ristorati di cibo e di bevanda,io parlai primamente, e v'esortaval'uno e l'altro a seguirne; e il bramavatevoi fortemente. E quai de' due canutifûro allora i conforti? Al figlio Achilleraccomandò Pelèo l'oprar mai sempreda prode, e a tutti di valor star sopra.Ma volto a te l'Attòride Menèzio,Figlio, il vecchio dicea, ti vince Achilledi sangue, e tu lui d'anni; egli di forza,tu di consiglio. Con prudenti avvisidunque il governa e l'ammonisci, e all'uopot'obbedirà. Tal era il suo precetto;tu l'obblïasti. Or via, l'adempi adesso,

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parla all'amico bellicoso, e tentasüaderlo. Chi sa? Qualche buon Dioanimerà le tue parole, e l'almatoccherà di quel fiero. Al cor va semprel'ammonimento d'un diletto amico.Ché s'ei paventa in suo segreto un qualchevaticinio, se alcuno a lui da Giovela madre ne recò, te mandi almenoco' Mirmidóni a confortar gli Achivinella battaglia, e l'armi sue ti ceda.Forse ingannati dall'aspetto i Teucriti crederan lui stesso, e fuggiranno,e gli egri Achei respireranno: è spessodi gran momento in guerra un sol respiro.E voi freschi guerrieri agevolmenterespingerete lo stanco nemicodalle tende e dal mare alla cittade.Sì disse il saggio, e tutto si commosseil cor nel petto di Patròclo. Ei corselungo il lido ad Achille, e giunto all'altacapitana d'Ulisse, ove nel mezzoai santi altari si tenea ragionee parlamento, d'Evemone il figlioEurìpilo scontrò, che di saettaferito nella coscia e vacillantedalla pugna partìa. Largo il sudoregli discorrea dal capo e dalle spalle,e molto sangue dalla ria ferita,

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parla all'amico bellicoso, e tentasüaderlo. Chi sa? Qualche buon Dioanimerà le tue parole, e l'almatoccherà di quel fiero. Al cor va semprel'ammonimento d'un diletto amico.Ché s'ei paventa in suo segreto un qualchevaticinio, se alcuno a lui da Giovela madre ne recò, te mandi almenoco' Mirmidóni a confortar gli Achivinella battaglia, e l'armi sue ti ceda.Forse ingannati dall'aspetto i Teucriti crederan lui stesso, e fuggiranno,e gli egri Achei respireranno: è spessodi gran momento in guerra un sol respiro.E voi freschi guerrieri agevolmenterespingerete lo stanco nemicodalle tende e dal mare alla cittade.Sì disse il saggio, e tutto si commosseil cor nel petto di Patròclo. Ei corselungo il lido ad Achille, e giunto all'altacapitana d'Ulisse, ove nel mezzoai santi altari si tenea ragionee parlamento, d'Evemone il figlioEurìpilo scontrò, che di saettaferito nella coscia e vacillantedalla pugna partìa. Largo il sudoregli discorrea dal capo e dalle spalle,e molto sangue dalla ria ferita,

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ma intrepida era l'alma. Il vide e n'ebbepietade il forte Menezìade, e a luilagrimando si volse: Oh sventuratiduci Achei! così dunque, ohimè! lontanidai cari amici e dalla patria terrade' vostri corpi sazïar di Troiadovevate le belve? Eroe divinoEurìpilo, rispondi: Sosterrannogli Achei la possa dell'immane Ettorre,o cadran spenti dal suo ferro? - Oh divastirpe, Patròclo, (Eurìpilo rispose)nullo è più scampo per gli Achei, se scamponon ne danno le navi. I più gagliarditutti giaccion feriti, e ognor più montade' Troiani la forza. Or tu corteseconservami la vita. Alla mia naveguidami, e svelli dalla coscia il dardo,con tepid'onda lavane la piagae su vi spargi i farmaci salubride' quali è grido che imparata hai l'artedal Pelìde, e il Pelìde da Chironede' Centauri il più giusto. Or tu m'aita,ché Podalirio e Macaon son lungi;questi, credo, in sua tenda, anch'ei piagatoè di medica man necessitoso;l'altro co' Teucri in campo si travaglia.Qual fia dunque la fin di tanti affanni?soggiunse di Menèzio il forte figlio,

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ma intrepida era l'alma. Il vide e n'ebbepietade il forte Menezìade, e a luilagrimando si volse: Oh sventuratiduci Achei! così dunque, ohimè! lontanidai cari amici e dalla patria terrade' vostri corpi sazïar di Troiadovevate le belve? Eroe divinoEurìpilo, rispondi: Sosterrannogli Achei la possa dell'immane Ettorre,o cadran spenti dal suo ferro? - Oh divastirpe, Patròclo, (Eurìpilo rispose)nullo è più scampo per gli Achei, se scamponon ne danno le navi. I più gagliarditutti giaccion feriti, e ognor più montade' Troiani la forza. Or tu corteseconservami la vita. Alla mia naveguidami, e svelli dalla coscia il dardo,con tepid'onda lavane la piagae su vi spargi i farmaci salubride' quali è grido che imparata hai l'artedal Pelìde, e il Pelìde da Chironede' Centauri il più giusto. Or tu m'aita,ché Podalirio e Macaon son lungi;questi, credo, in sua tenda, anch'ei piagatoè di medica man necessitoso;l'altro co' Teucri in campo si travaglia.Qual fia dunque la fin di tanti affanni?soggiunse di Menèzio il forte figlio,

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e che faremo, Eurìpilo? Gran frettami sospinge ad Achille a riportarglidel guardïano degli Achei Nestorreuna risposta: ma pietà non vuoleche in questo stato io t'abbandoni. - Il cinsecolle braccia, ciò detto, e nella tendail menò, l'adagiò sopra bovinepelli dal servo acconciamente stese,indi col ferro dispiccò dall'ancal'acerbissimo strale, e con tepentilinfe la tabe ne lavò. Vi spressepoi colle palme il lenïente sugod'un'amara radice. Incontanentecalmossi il duolo, ristagnossi il sangue,ed asciutta si chiuse la ferita.

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e che faremo, Eurìpilo? Gran frettami sospinge ad Achille a riportarglidel guardïano degli Achei Nestorreuna risposta: ma pietà non vuoleche in questo stato io t'abbandoni. - Il cinsecolle braccia, ciò detto, e nella tendail menò, l'adagiò sopra bovinepelli dal servo acconciamente stese,indi col ferro dispiccò dall'ancal'acerbissimo strale, e con tepentilinfe la tabe ne lavò. Vi spressepoi colle palme il lenïente sugod'un'amara radice. Incontanentecalmossi il duolo, ristagnossi il sangue,ed asciutta si chiuse la ferita.

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Libro Duodecimo

Così dentro alle tende medicavad'Eurìpilo la piaga il valorosoMenezìade. Frattanto alla rinfusapugnan Teucri ed Achei; né scampo a questiè più la fossa omai, né l'ampio muroche l'armata cingea. L'avean gli Achivisenza vittime eretto a custodirei navigli e le prede. Edificatodunque malgrado degli Dei, gran temponon durò. Finché vivo Ettore fue,e irato Achille, e Troia in piedi, il murosaldo si stette; ma de' Teucri estintel'alme più prodi, e degli Achei pur molte,e al decim'anno Ilio distrutto, e il restodegli Argivi tornato al patrio lido,decretâr del gran muro la cadutaNettunno e Apollo, l'impeto sfrenandodi quanti fiumi dalle cime idèesi devolvono al mar, Reso, Granìco,Rodio, Careso, Eptàporo ed Esèpoe il divino Scamandro e Simoentache volge sotto l'onde agglomeratitanti scudi, tant'elmi e tanti eroi.Di questi rivoltò Febo le bocche

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Libro Duodecimo

Così dentro alle tende medicavad'Eurìpilo la piaga il valorosoMenezìade. Frattanto alla rinfusapugnan Teucri ed Achei; né scampo a questiè più la fossa omai, né l'ampio muroche l'armata cingea. L'avean gli Achivisenza vittime eretto a custodirei navigli e le prede. Edificatodunque malgrado degli Dei, gran temponon durò. Finché vivo Ettore fue,e irato Achille, e Troia in piedi, il murosaldo si stette; ma de' Teucri estintel'alme più prodi, e degli Achei pur molte,e al decim'anno Ilio distrutto, e il restodegli Argivi tornato al patrio lido,decretâr del gran muro la cadutaNettunno e Apollo, l'impeto sfrenandodi quanti fiumi dalle cime idèesi devolvono al mar, Reso, Granìco,Rodio, Careso, Eptàporo ed Esèpoe il divino Scamandro e Simoentache volge sotto l'onde agglomeratitanti scudi, tant'elmi e tanti eroi.Di questi rivoltò Febo le bocche

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contro l'alta muraglia, e vi sospinsenove giorni la piena. Intanto Giove,perché più ratto l'ingoiasse il mare,incessante piovea. Nettunno istessoprecorrea le fiumane, e col tridentee coll'onda atterrò le fondamentache di travi e di sassi v'avean postoi travagliosi Achivi; infin che tuttaal piano l'adeguò lungo la rivadell'Ellesponto. Smantellato il muro,fe' di quel tratto un arenoso lido,e tornò le bell'acque al letto antico.Di Nettunno quest'era e in un d'Apollol'opra futura. Ma la pugna intornoa quel valido muro or ferve e mugge.Cigolar delle torri odi percossele compàgi, e gli Achei dentro le navichiudonsi domi dal flagel di Giove,e paventosi dell'ettoreo braccio,impetuoso artefice di fuga;perocché pari a turbine l'eroesempre combatte. E qual cinghiale o biecoleon cui fanno cacciatori e canidensa corona, di sue forze alterovolve dintorno i truci occhi, né temela tempesta de' dardi né la morte,ma generoso si rigira e guardadove slanciarsi fra gli armati, e ovunque

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contro l'alta muraglia, e vi sospinsenove giorni la piena. Intanto Giove,perché più ratto l'ingoiasse il mare,incessante piovea. Nettunno istessoprecorrea le fiumane, e col tridentee coll'onda atterrò le fondamentache di travi e di sassi v'avean postoi travagliosi Achivi; infin che tuttaal piano l'adeguò lungo la rivadell'Ellesponto. Smantellato il muro,fe' di quel tratto un arenoso lido,e tornò le bell'acque al letto antico.Di Nettunno quest'era e in un d'Apollol'opra futura. Ma la pugna intornoa quel valido muro or ferve e mugge.Cigolar delle torri odi percossele compàgi, e gli Achei dentro le navichiudonsi domi dal flagel di Giove,e paventosi dell'ettoreo braccio,impetuoso artefice di fuga;perocché pari a turbine l'eroesempre combatte. E qual cinghiale o biecoleon cui fanno cacciatori e canidensa corona, di sue forze alterovolve dintorno i truci occhi, né temela tempesta de' dardi né la morte,ma generoso si rigira e guardadove slanciarsi fra gli armati, e ovunque

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urta, s'arretra degli armati il cerchio;tal fra l'armi s'avvolge il teucro duce,i suoi spronando a valicar la fossa.Ma non l'ardìan gli ardenti corridoriche mettean fermi all'orlo alti nitriti,dal varco spaventati arduo a saltarsie a tragittarsi: perocché dintornos'aprìan profondi precipizi, e il sommomargo d'acuti pali era munito,di che folto v'avean contro il nemicoconfitto un bosco gli operosi Achei,tal che passarvi non potean le rotedi volubile cocchio. Ma bramosiardean d'entrarvi e superarlo i fanti.Fattosi innanzi allor Polidamantead Ettore sì disse: Ettore, e voiduci troiani e collegati, udite.Stolto ardire è il cacciar dentro la fossagli animosi cavalli. E non vedeteil difficile passo e la forestad'acute travi, che circonda il muro?Di niuna guisa ai cavalier non licecalarsi in quelle strette a far conflitto,senza periglio di mortal ferita.Se il Tonante in suo sdegno ha risolutadegli Achei la ruina e il nostro scampo,ben io vorrei che questo intervenissequi tosto, e che dal caro Argo lontani

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urta, s'arretra degli armati il cerchio;tal fra l'armi s'avvolge il teucro duce,i suoi spronando a valicar la fossa.Ma non l'ardìan gli ardenti corridoriche mettean fermi all'orlo alti nitriti,dal varco spaventati arduo a saltarsie a tragittarsi: perocché dintornos'aprìan profondi precipizi, e il sommomargo d'acuti pali era munito,di che folto v'avean contro il nemicoconfitto un bosco gli operosi Achei,tal che passarvi non potean le rotedi volubile cocchio. Ma bramosiardean d'entrarvi e superarlo i fanti.Fattosi innanzi allor Polidamantead Ettore sì disse: Ettore, e voiduci troiani e collegati, udite.Stolto ardire è il cacciar dentro la fossagli animosi cavalli. E non vedeteil difficile passo e la forestad'acute travi, che circonda il muro?Di niuna guisa ai cavalier non licecalarsi in quelle strette a far conflitto,senza periglio di mortal ferita.Se il Tonante in suo sdegno ha risolutadegli Achei la ruina e il nostro scampo,ben io vorrei che questo intervenissequi tosto, e che dal caro Argo lontani

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perdesser tutti coll'onor la vita.Ma se voltano fronte, e dalle navierompendo con impeto, nel fondone stringono del fosso, allor, cred'io,niuno in Troia di noi nunzio ritornasalvo dal ferro de' conversi Achei.Diam dunque effetto a un mio pensier. Sul fossoogni auriga rattenga i corridori,e noi pedoni, corazzati e densitutti in punto seguiam l'orme d'Ettorre.Non sosterranno il nostro urto gli Achivi,se l'ora estrema del lor fato è giunta.Disse; e ad Ettore piacque il saggio avviso.Balzò dunque dal carro incontanentetutto nell'armi, e balzâr gli altri a gara,visto l'esempio di quel divo. Ognunofe' precetto all'auriga di sostarsico' destrieri alla fossa in ordinanza;ed essi in cinque battaglion divisiseguiro i duci. Andò la prima squadracon Ettore e col buon Polidamante,ed era questa il fiore e il maggior nerbode' combattenti, desïosi tuttidi spezzar l'alto muro, e su le naviportar la pugna: terzo condottieroli seguìa Cebrïon, messo in sua vecealla custodia dell'ettoreo carroaltro men prode auriga. Erano i duci

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perdesser tutti coll'onor la vita.Ma se voltano fronte, e dalle navierompendo con impeto, nel fondone stringono del fosso, allor, cred'io,niuno in Troia di noi nunzio ritornasalvo dal ferro de' conversi Achei.Diam dunque effetto a un mio pensier. Sul fossoogni auriga rattenga i corridori,e noi pedoni, corazzati e densitutti in punto seguiam l'orme d'Ettorre.Non sosterranno il nostro urto gli Achivi,se l'ora estrema del lor fato è giunta.Disse; e ad Ettore piacque il saggio avviso.Balzò dunque dal carro incontanentetutto nell'armi, e balzâr gli altri a gara,visto l'esempio di quel divo. Ognunofe' precetto all'auriga di sostarsico' destrieri alla fossa in ordinanza;ed essi in cinque battaglion divisiseguiro i duci. Andò la prima squadracon Ettore e col buon Polidamante,ed era questa il fiore e il maggior nerbode' combattenti, desïosi tuttidi spezzar l'alto muro, e su le naviportar la pugna: terzo condottieroli seguìa Cebrïon, messo in sua vecealla custodia dell'ettoreo carroaltro men prode auriga. Erano i duci

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della seconda Paride, Alcatòoed Agenorre. Della terza il divoDëifobo ed Elèno ed Asio, il proded'Irtaco figlio, cui d'Arisba a Troiaportarono e dall'onda Selleentedue destrier di gran corpo e biondo pelo.Capitan della quarta era d'Anchisel'egregia prole, Enea, co' due d'Antènorepugnaci figli Archìloco e Acamante.Degl'incliti alleati è condottieroSarpedonte, con Glauco e Asteropèo,da lui compagni del comando assunticome i più forti dopo sé, tenutoil più forte di tutti. In ordinanzaposti i cinque drappelli, e di taurinetarghe coperti, mossero animosicontro gli Achei, sperando entro le naviprecipitarsi alfin senza ritegno.Mentre tutti e Troiani ed alleatial consiglio obbedìan dell'incolpatoPolidamante, il duce Asio sol essolasciar né auriga né corsier non volle,ma vêr le navi li sospinse. Insano!Que' corsieri, quel cocchio, ond'egli esulta,nol torranno alla morte, e dalle naviin Ilio no nol torneran. La neraParca già il copre, e all'asta lo consacradel chiaro Deucalìde Idomenèo.

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della seconda Paride, Alcatòoed Agenorre. Della terza il divoDëifobo ed Elèno ed Asio, il proded'Irtaco figlio, cui d'Arisba a Troiaportarono e dall'onda Selleentedue destrier di gran corpo e biondo pelo.Capitan della quarta era d'Anchisel'egregia prole, Enea, co' due d'Antènorepugnaci figli Archìloco e Acamante.Degl'incliti alleati è condottieroSarpedonte, con Glauco e Asteropèo,da lui compagni del comando assunticome i più forti dopo sé, tenutoil più forte di tutti. In ordinanzaposti i cinque drappelli, e di taurinetarghe coperti, mossero animosicontro gli Achei, sperando entro le naviprecipitarsi alfin senza ritegno.Mentre tutti e Troiani ed alleatial consiglio obbedìan dell'incolpatoPolidamante, il duce Asio sol essolasciar né auriga né corsier non volle,ma vêr le navi li sospinse. Insano!Que' corsieri, quel cocchio, ond'egli esulta,nol torranno alla morte, e dalle naviin Ilio no nol torneran. La neraParca già il copre, e all'asta lo consacradel chiaro Deucalìde Idomenèo.

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Alla sinistra del naval recintoove carri e cavalli in gran tumultovenìan cacciando i fuggitivi Achei,spins'egli i suoi corsier verso la porta,non già di sbarre assicurata e chiusa,ma spalancata e da guerrier difesaa scampo de' fuggenti. Il coraggiosoflagellò drittamente i corridoria quella volta, e con acute gridaaltri il seguìan, sperandosi che rotti,senza far testa, nelle navi in salvoprecipitosi fuggirìan gli Achivi.Stolta speranza! Custodìan la portadue fortissimi eroi, germi animoside' guerrieri Lapiti. Era l'un d'essiPolipète, figliuol di Piritòo,l'altro il feroce Leontèo. Sublimistavan quivi costor, sembianti a dueeccelse querce in cima alla montagna,che ferme e colle lunghe ampie radiciabbracciando la terra, eternamentesostengono la piova e le procelle;così fidati nelle man robuste,ben lungi dal voltar per tema il tergo,voltan anzi la fronte i due guerrieri,d'Asio aspettando la gran furia. Ed essocoll'Asiade Acamante, e con Orestee Jameno e Toone ed Enomào

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Alla sinistra del naval recintoove carri e cavalli in gran tumultovenìan cacciando i fuggitivi Achei,spins'egli i suoi corsier verso la porta,non già di sbarre assicurata e chiusa,ma spalancata e da guerrier difesaa scampo de' fuggenti. Il coraggiosoflagellò drittamente i corridoria quella volta, e con acute gridaaltri il seguìan, sperandosi che rotti,senza far testa, nelle navi in salvoprecipitosi fuggirìan gli Achivi.Stolta speranza! Custodìan la portadue fortissimi eroi, germi animoside' guerrieri Lapiti. Era l'un d'essiPolipète, figliuol di Piritòo,l'altro il feroce Leontèo. Sublimistavan quivi costor, sembianti a dueeccelse querce in cima alla montagna,che ferme e colle lunghe ampie radiciabbracciando la terra, eternamentesostengono la piova e le procelle;così fidati nelle man robuste,ben lungi dal voltar per tema il tergo,voltan anzi la fronte i due guerrieri,d'Asio aspettando la gran furia. Ed essocoll'Asiade Acamante, e con Orestee Jameno e Toone ed Enomào

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sollevando gli scudi, il forte murovan con fracasso ad assalir. Ma fermisull'ingresso i due prodi altrui fan corealla difesa delle navi. Alfinevisti i Teucri avventarsi alla muragliad'ogni parte, e fuggir con alto gridodi spavento gli Achivi, impeto fecel'ardita coppia: e fiero anzi le porteun conflitto attaccâr, come silvestriverri ch'odon sul monte avvicinarsiil fragor della caccia: impetuosifulminando a traverso, a sé dintornorompon la selva, schiantano la rostadalle radici, e sentir fanno il suonodel terribile dente, infine che coltid'acuto strale perdono la vita;di questi due così sopra i percossipetti sonava il luminoso acciaro,e così combattean, nelle gagliardedestre fidando, e nel valor di quelliche di sopra dai merli e dalle torripiovean nembi di sassi alla difesadelle tende, dei legni e di se stessi.Cadean spesse le pietre come spessala grandine cui vento impetuosodi negre nubi agitator riversasull'alma terra; né piovean gli stralisol dalle mani achive, ma ben anco

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sollevando gli scudi, il forte murovan con fracasso ad assalir. Ma fermisull'ingresso i due prodi altrui fan corealla difesa delle navi. Alfinevisti i Teucri avventarsi alla muragliad'ogni parte, e fuggir con alto gridodi spavento gli Achivi, impeto fecel'ardita coppia: e fiero anzi le porteun conflitto attaccâr, come silvestriverri ch'odon sul monte avvicinarsiil fragor della caccia: impetuosifulminando a traverso, a sé dintornorompon la selva, schiantano la rostadalle radici, e sentir fanno il suonodel terribile dente, infine che coltid'acuto strale perdono la vita;di questi due così sopra i percossipetti sonava il luminoso acciaro,e così combattean, nelle gagliardedestre fidando, e nel valor di quelliche di sopra dai merli e dalle torripiovean nembi di sassi alla difesadelle tende, dei legni e di se stessi.Cadean spesse le pietre come spessala grandine cui vento impetuosodi negre nubi agitator riversasull'alma terra; né piovean gli stralisol dalle mani achive, ma ben anco

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dalle troiane, e al grandinar de' sassismisurati mettean roco un rimbombogli elmi percossi e i risonanti scudi.Fremendo allor si batté l'anca il figliod'Irtaco, e disse disdegnoso: O Giovee tu pur ti se' fatto ora l'amicodella menzogna? Chi pensar poteacontro il nerbo di nostre invitte manital resistenza dagli Achei? Ma vélliche come vespe maculose in ertinidi nascoste, a chi dà lor la caccias'avventano feroci, e per le cavecase e pe' figli battagliar le vedi:così costor, benché due soli, addietrodar non vonno che morti o prigionieri.Così parlava, né perciò di Giovesi mutava il pensier, che al solo Ettorredar la palma volea. Aspro degli altriall'altre porte intanto era il conflitto.Ma dura impresa mi sarìa dir tutte,come la lingua degli Dei, le cose.Perocché quanto è lungo il saldo murotutto è vampo di Marte. Alta costringenecessità, quantunque egri, gli Acheia pugnar per le navi; e degli Acheitutti eran mesti in cielo i numi amici.Qui cominciâr la pugna i due Lapiti.Vibrò la lancia il forte Polipète,

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dalle troiane, e al grandinar de' sassismisurati mettean roco un rimbombogli elmi percossi e i risonanti scudi.Fremendo allor si batté l'anca il figliod'Irtaco, e disse disdegnoso: O Giovee tu pur ti se' fatto ora l'amicodella menzogna? Chi pensar poteacontro il nerbo di nostre invitte manital resistenza dagli Achei? Ma vélliche come vespe maculose in ertinidi nascoste, a chi dà lor la caccias'avventano feroci, e per le cavecase e pe' figli battagliar le vedi:così costor, benché due soli, addietrodar non vonno che morti o prigionieri.Così parlava, né perciò di Giovesi mutava il pensier, che al solo Ettorredar la palma volea. Aspro degli altriall'altre porte intanto era il conflitto.Ma dura impresa mi sarìa dir tutte,come la lingua degli Dei, le cose.Perocché quanto è lungo il saldo murotutto è vampo di Marte. Alta costringenecessità, quantunque egri, gli Acheia pugnar per le navi; e degli Acheitutti eran mesti in cielo i numi amici.Qui cominciâr la pugna i due Lapiti.Vibrò la lancia il forte Polipète,

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e Damaso colpì tra le ferrateguance dell'elmo. L'elmo non sostennela furïosa punta che, spezzatii temporali, gli allagò di sanguetutto il cerèbro, e morto lo distese:indi all'Orco Pilon spinse ed Ormeno.Né la strage è minor di Leontèo,d'Antìmaco figliuolo anzi di Marte.Sul confin della cintola ei percoteIppomaco coll'asta: indi cavatadal fodero la daga, per lo mezzodella turba si scaglia, e pria d'un colpotasta Antifonte che supin stramazza;poi rovescia Menon, Jameno, Oreste,tutti l'un sovra l'altro nella polve.Mentre che Polipète e Leontèodelle bell'armi spogliano gli uccisi,la numerosa e di gran core armatatroiana gioventude, impazïentedi spezzar la muraglia, arder le navi,Polidamante ed Ettore seguìa,i quai repente all'orlo della fossairresoluti s'arrestâr dubbiandodi passar oltre: perocché sublimeun'aquila comparve, che sospesotenne il campo a sinistra. Il fero augellostretto portava negli artigli un dragoinsanguinato, smisurato e vivo,

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e Damaso colpì tra le ferrateguance dell'elmo. L'elmo non sostennela furïosa punta che, spezzatii temporali, gli allagò di sanguetutto il cerèbro, e morto lo distese:indi all'Orco Pilon spinse ed Ormeno.Né la strage è minor di Leontèo,d'Antìmaco figliuolo anzi di Marte.Sul confin della cintola ei percoteIppomaco coll'asta: indi cavatadal fodero la daga, per lo mezzodella turba si scaglia, e pria d'un colpotasta Antifonte che supin stramazza;poi rovescia Menon, Jameno, Oreste,tutti l'un sovra l'altro nella polve.Mentre che Polipète e Leontèodelle bell'armi spogliano gli uccisi,la numerosa e di gran core armatatroiana gioventude, impazïentedi spezzar la muraglia, arder le navi,Polidamante ed Ettore seguìa,i quai repente all'orlo della fossairresoluti s'arrestâr dubbiandodi passar oltre: perocché sublimeun'aquila comparve, che sospesotenne il campo a sinistra. Il fero augellostretto portava negli artigli un dragoinsanguinato, smisurato e vivo,

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ancor guizzante, e ancor pronto all'offese;sì che volto a colei che lo ghermìa,lubrico le vibrò tra il petto e il collouna ferita. Allor la volatrice,aperta l'ugna per dolor, lasciollocader dall'alto fra le turbe, e fortestridendo sparve per le vie de' venti.Visto in terra giacente il maculatoserpe, prodigio dell'Egìoco Giove,inorridiro i Teucri, e fatto avantiall'intrepido Ettòr Polidamantesì prese a dir: Tu sempre, ancorché io portiottimi avvisi in parlamento, o duce,hai pronta contro me qualche rampogna,né pensi che non lice a cittadinoné in assemblea tradir né in mezzo all'armila verità, servendo all'augumentodi tua possanza. Dirò franco adunqueciò che il meglio or mi sembra. Non si vadacoll'armi ad assalir le navi achee.Il certo evento che n'attende è scrittonell'augurio comparso alla sinistradell'esercito nostro, appunto in quellache si volea travalicar la fossa,dico il volo dell'aquila portantenell'ugna un drago sanguinoso, immanee vivo ancor. Com'ella cader tostolasciò la preda, pria che al caro nido

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ancor guizzante, e ancor pronto all'offese;sì che volto a colei che lo ghermìa,lubrico le vibrò tra il petto e il collouna ferita. Allor la volatrice,aperta l'ugna per dolor, lasciollocader dall'alto fra le turbe, e fortestridendo sparve per le vie de' venti.Visto in terra giacente il maculatoserpe, prodigio dell'Egìoco Giove,inorridiro i Teucri, e fatto avantiall'intrepido Ettòr Polidamantesì prese a dir: Tu sempre, ancorché io portiottimi avvisi in parlamento, o duce,hai pronta contro me qualche rampogna,né pensi che non lice a cittadinoné in assemblea tradir né in mezzo all'armila verità, servendo all'augumentodi tua possanza. Dirò franco adunqueciò che il meglio or mi sembra. Non si vadacoll'armi ad assalir le navi achee.Il certo evento che n'attende è scrittonell'augurio comparso alla sinistradell'esercito nostro, appunto in quellache si volea travalicar la fossa,dico il volo dell'aquila portantenell'ugna un drago sanguinoso, immanee vivo ancor. Com'ella cader tostolasciò la preda, pria che al caro nido

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giungesse, e pasto la recasse a' suoidolci nati; così, quando n'accadapur de' Greci atterrar le porte e il muroe farne strage, non pensar per questodi ritornarne con onor; ché indietromolti Troiani lasceremo ancisidall'argolico ferro, combattenteper la tutela delle navi. Ognuno,che ben la lingua de' prodigi intendae da' profani riverenza ottegna,questo verace interpretar farìa.Lo guatò bieco Ettorre, e gli rispose:Polidamante, il tuo parlar non viemmigrato all'orecchio, e una miglior sentenzaor dal tuo labbro m'attendea. Se parlipersuaso e davvero, io ti fo certoche l'ira degli Dei ti tolse il senno,poiché m'esorti ad obblïar di Giovele giurate promesse, e all'ale errantidegli augelli obbedir; de' quai non curo,se volino alla dritta ove il Sol nasce,o alla sinistra dove muor. Ben calmidel gran Giove seguir l'alto consiglio,ch'ei de' mortali e degli Eterni è il sommoimperadore. Augurio ottimo e soloè il pugnar per la patria. Perché tremitu dei perigli della pugna? Ov'ancocadiam noi tutti tra le navi ancisi,

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giungesse, e pasto la recasse a' suoidolci nati; così, quando n'accadapur de' Greci atterrar le porte e il muroe farne strage, non pensar per questodi ritornarne con onor; ché indietromolti Troiani lasceremo ancisidall'argolico ferro, combattenteper la tutela delle navi. Ognuno,che ben la lingua de' prodigi intendae da' profani riverenza ottegna,questo verace interpretar farìa.Lo guatò bieco Ettorre, e gli rispose:Polidamante, il tuo parlar non viemmigrato all'orecchio, e una miglior sentenzaor dal tuo labbro m'attendea. Se parlipersuaso e davvero, io ti fo certoche l'ira degli Dei ti tolse il senno,poiché m'esorti ad obblïar di Giovele giurate promesse, e all'ale errantidegli augelli obbedir; de' quai non curo,se volino alla dritta ove il Sol nasce,o alla sinistra dove muor. Ben calmidel gran Giove seguir l'alto consiglio,ch'ei de' mortali e degli Eterni è il sommoimperadore. Augurio ottimo e soloè il pugnar per la patria. Perché tremitu dei perigli della pugna? Ov'ancocadiam noi tutti tra le navi ancisi,

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temer di morte tu non dei, ché cuoretu non hai d'aspettar l'urto nemico,né di pugnar. Se poi ti rimanendolontano dal conflitto, esorteraicon codarde parole altri a seguirela tua viltà, per dio! che tu percossoda questa lancia perderai la vita.Si spinse avanti così detto, e gli altricon alte grida lo seguiéno. Allorail Folgorante dall'idèa montagnaun turbine destò, che drittamenteverso le navi sospingea la polve,e agli Achivi rapìa gli occhi e l'ardire,ad Ettorre il crescendo ed a' Troianiche nel prodigio e nelle proprie forzeconfidati assalîr l'alta muragliaper diroccarla. E già divelti i merlidelle torri cadean, già le berteschesi sfasciano, e le leve alto sollevanogli sporgenti pilastri, eccelso e primofondamento alle torri. Intorno a questitravagliansi i Troiani, ampia sperandoaprir la breccia. Né perciò d'un passos'arretrano gli Achei, ma di taurinetarghe schermo facendo alle bastite,ferìan da quelle chi venìa di sotto.Animosi dall'una all'altra torrel'acheo valor svegliando ambo frattanto

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temer di morte tu non dei, ché cuoretu non hai d'aspettar l'urto nemico,né di pugnar. Se poi ti rimanendolontano dal conflitto, esorteraicon codarde parole altri a seguirela tua viltà, per dio! che tu percossoda questa lancia perderai la vita.Si spinse avanti così detto, e gli altricon alte grida lo seguiéno. Allorail Folgorante dall'idèa montagnaun turbine destò, che drittamenteverso le navi sospingea la polve,e agli Achivi rapìa gli occhi e l'ardire,ad Ettorre il crescendo ed a' Troianiche nel prodigio e nelle proprie forzeconfidati assalîr l'alta muragliaper diroccarla. E già divelti i merlidelle torri cadean, già le berteschesi sfasciano, e le leve alto sollevanogli sporgenti pilastri, eccelso e primofondamento alle torri. Intorno a questitravagliansi i Troiani, ampia sperandoaprir la breccia. Né perciò d'un passos'arretrano gli Achei, ma di taurinetarghe schermo facendo alle bastite,ferìan da quelle chi venìa di sotto.Animosi dall'una all'altra torrel'acheo valor svegliando ambo frattanto

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scorrean gli Aiaci, e con parole or dureor blande rampognando i neghittosi,O compagni, dicean, quanti qui siamoprimi, secondi ed infimi (ché tuttinon siamo eguali nel pugnar, ma tuttinecessari), or gli è tempo, e lo vedete,d'oprar le mani. Non vi sia chi pieghidunque alle navi per timor di vanaminaccia ostil, ma procedete avanti,e l'un l'altro incoratevi, e mertateche l'Olimpio Tonante vi concedadi risospinger l'inimico, e rottoinseguirlo fin dentro alle sue mura.Sì sgridando, animâr l'acheo certame.Come cadono spessi ai dì vernalii fiocchi della neve, allorché Gioveversa incessante, addormentati i venti,i suoi candidi nembi, e l'alte cimedelle montagne inalba e i campi erbosi,e i pingui seminati e i porti e i lidi:l'onda sola del mar non soffre il velodelle fioccanti falde onde il celestenembo ricopre delle cose il volto;tale allor densa di volanti sassila tempesta piovea quinci da' Teucriscagliata e quindi dagli Achivi; e immensosorgea rumor per tutto il lungo muro.Ma né i Troiani né l'illustre Ettorre

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scorrean gli Aiaci, e con parole or dureor blande rampognando i neghittosi,O compagni, dicean, quanti qui siamoprimi, secondi ed infimi (ché tuttinon siamo eguali nel pugnar, ma tuttinecessari), or gli è tempo, e lo vedete,d'oprar le mani. Non vi sia chi pieghidunque alle navi per timor di vanaminaccia ostil, ma procedete avanti,e l'un l'altro incoratevi, e mertateche l'Olimpio Tonante vi concedadi risospinger l'inimico, e rottoinseguirlo fin dentro alle sue mura.Sì sgridando, animâr l'acheo certame.Come cadono spessi ai dì vernalii fiocchi della neve, allorché Gioveversa incessante, addormentati i venti,i suoi candidi nembi, e l'alte cimedelle montagne inalba e i campi erbosi,e i pingui seminati e i porti e i lidi:l'onda sola del mar non soffre il velodelle fioccanti falde onde il celestenembo ricopre delle cose il volto;tale allor densa di volanti sassila tempesta piovea quinci da' Teucriscagliata e quindi dagli Achivi; e immensosorgea rumor per tutto il lungo muro.Ma né i Troiani né l'illustre Ettorre

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n'avrìan le porte spezzato e le sbarre,se alfin contro gli Achei non incitavaGiove l'ardir del figlio Sarpedonte,quale in mandra di buoi fiero lïone.Imbracciossi l'eroe subitamenteil bel rotondo scudo, ricopertodi ben condotto sottil bronzo, e dentrov'avea l'industre artefice cucitocuoi taurini a più doppi, e orlato intornod'aurea verga perenne il cerchio intero.Con questo innanzi al petto, e nella destradue lanciotti vibrando, incamminossiqual montano lïon che, stimolatoda lunga fame e dal gran cor, l'assaltotenta di pieno ben munito ovile;e quantunque da' cani e da' pastoritutti sull'armi custodito il trovi,senza prova non soffre esser respintodal pecorile, ma vi salta in mezzoe vi fa preda, o da veloce telodi man pronta riceve aspra ferita:tale il divino Sarpedon dal fortesuo cor quel muro ad assalir fu spintoe a spezzarne i ripari. E volto a Glaucod'Ippoloco figliuol, Glauco, gli disse,perché siam noi di seggio, e di vivandee di ricolme tazze innanzi a tuttinella Licia onorati ed ammirati

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n'avrìan le porte spezzato e le sbarre,se alfin contro gli Achei non incitavaGiove l'ardir del figlio Sarpedonte,quale in mandra di buoi fiero lïone.Imbracciossi l'eroe subitamenteil bel rotondo scudo, ricopertodi ben condotto sottil bronzo, e dentrov'avea l'industre artefice cucitocuoi taurini a più doppi, e orlato intornod'aurea verga perenne il cerchio intero.Con questo innanzi al petto, e nella destradue lanciotti vibrando, incamminossiqual montano lïon che, stimolatoda lunga fame e dal gran cor, l'assaltotenta di pieno ben munito ovile;e quantunque da' cani e da' pastoritutti sull'armi custodito il trovi,senza prova non soffre esser respintodal pecorile, ma vi salta in mezzoe vi fa preda, o da veloce telodi man pronta riceve aspra ferita:tale il divino Sarpedon dal fortesuo cor quel muro ad assalir fu spintoe a spezzarne i ripari. E volto a Glaucod'Ippoloco figliuol, Glauco, gli disse,perché siam noi di seggio, e di vivandee di ricolme tazze innanzi a tuttinella Licia onorati ed ammirati

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pur come numi? Ond'è che lungo il Xantouna gran terra possediam d'amenosito, e di biade fertili e di viti?Certo acciocché primieri andiam tra' Liciinelle calde battaglie, onde alcun d'essigridar s'intenda: Glorïosi e degnison del comando i nostri re: squisitaè lor vivanda, e dolce ambrosia il vino,ma grande il core, e nella pugna i primi.Se il fuggir dal conflitto, o caro amico,ne partorisse eterna giovinezza,non io certo vorrei primo di Martei perigli affrontar, ned invitartia cercar gloria ne' guerrieri affanni.Ma mille essendo del morir le vie,né scansar nullo le potendo, andiamo:noi darem gloria ad altri, od altri a noi.Disse, né Glauco si ritrasse indietro,né ritroso il seguì. Con molta manodunque di Licii s'avviâr. Li viderovinosi e diritti alla sua torreaffilarsi il Petìde Menestèo,e sgomentossi. Girò gli occhi intornofra gli Achivi spïando un qualche duceche lui soccorra e i suoi compagni insieme.Scorge gli Aiaci che indefessi e fermisostenean la battaglia, e avean dappressoTeucro pur dianzi della tenda uscito.

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pur come numi? Ond'è che lungo il Xantouna gran terra possediam d'amenosito, e di biade fertili e di viti?Certo acciocché primieri andiam tra' Liciinelle calde battaglie, onde alcun d'essigridar s'intenda: Glorïosi e degnison del comando i nostri re: squisitaè lor vivanda, e dolce ambrosia il vino,ma grande il core, e nella pugna i primi.Se il fuggir dal conflitto, o caro amico,ne partorisse eterna giovinezza,non io certo vorrei primo di Martei perigli affrontar, ned invitartia cercar gloria ne' guerrieri affanni.Ma mille essendo del morir le vie,né scansar nullo le potendo, andiamo:noi darem gloria ad altri, od altri a noi.Disse, né Glauco si ritrasse indietro,né ritroso il seguì. Con molta manodunque di Licii s'avviâr. Li viderovinosi e diritti alla sua torreaffilarsi il Petìde Menestèo,e sgomentossi. Girò gli occhi intornofra gli Achivi spïando un qualche duceche lui soccorra e i suoi compagni insieme.Scorge gli Aiaci che indefessi e fermisostenean la battaglia, e avean dappressoTeucro pur dianzi della tenda uscito.

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Ma non potea far loro a verun modole sue grida sentir, tanto è il fragoredi che l'aria rimbomba alle percossedegli scudi, degli elmi e delle portetutte a un tempo assalite, onde spezzarlee spalancarle. Immantinente ei dunquemanda ad Aiace il banditor Toota,e, Va, gli dice, illustre araldo, vola,chiama gli Aiaci, chiamali ambedue,ché questo è il meglio in sì grand'uopo. Un'altastrage qui veggo già imminente. I ducidel licio stuol con tutta la lor possaqua piombano, e mostrâr già in altro incontroch'elli son nelle zuffe impetuosi.S'ambo gli eroi ch'io chiedo, in gran travagliosi trovano di guerra, almen ne vegnail forte Aiace Telamònio, e il seguaTeucro coll'arco di ferir maestro.Corse l'araldo obbediente, e rattoper la lunga muraglia traversandole file degli Achei, giunse agli Aiaci,e con preste parole, Aiaci, ei disse,incliti duci degli Argivi, il caronobile figlio di Petèo vi pregad'accorrere veloci, ed aitarloalcun poco nel rischio in che si trova.Prègavi entrambi per lo meglio. Un'altastrage gli è sopra: perocché di tutta

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Ma non potea far loro a verun modole sue grida sentir, tanto è il fragoredi che l'aria rimbomba alle percossedegli scudi, degli elmi e delle portetutte a un tempo assalite, onde spezzarlee spalancarle. Immantinente ei dunquemanda ad Aiace il banditor Toota,e, Va, gli dice, illustre araldo, vola,chiama gli Aiaci, chiamali ambedue,ché questo è il meglio in sì grand'uopo. Un'altastrage qui veggo già imminente. I ducidel licio stuol con tutta la lor possaqua piombano, e mostrâr già in altro incontroch'elli son nelle zuffe impetuosi.S'ambo gli eroi ch'io chiedo, in gran travagliosi trovano di guerra, almen ne vegnail forte Aiace Telamònio, e il seguaTeucro coll'arco di ferir maestro.Corse l'araldo obbediente, e rattoper la lunga muraglia traversandole file degli Achei, giunse agli Aiaci,e con preste parole, Aiaci, ei disse,incliti duci degli Argivi, il caronobile figlio di Petèo vi pregad'accorrere veloci, ed aitarloalcun poco nel rischio in che si trova.Prègavi entrambi per lo meglio. Un'altastrage gli è sopra: perocché di tutta

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forza si vanno a rovesciar sovr'essoi licii capitani, e di costorol'impeto è noto nel pugnar. Se voisiete in gran briga voi medesmi, almenovien tu, forte figliuol di Telamone,e tu, Teucro, signor d'arco tremendo.Tacque, ed il grande Telamònio figlioal figlio d'Oilèo si volse e disse:Tu, Aiace, e tu forte Licomedequi restatevi entrambi, ed infiammatel'acheo coraggio alla battaglia. Io volocolà allo scontro del nemico, e datala chiesta aita, subito ritorno.Partì l'eroe, ciò detto, ed il germanoTeucro il seguiva, e Pandïon portantel'arco di Teucro. Costeggiando il muroalla torre arrivâr di Menestèo:ed entrâr nella zuffa, appunto in quellache a negro turbo simiglianti i ducianimosi de' Licii avean de' merligià vinto il sommo. Si scontrâr gli eroifronte a fronte, e levossi alto clamore.Primo l'Aiace Telamònio ucciseil magnanimo Epìcle, un caro amicodi Sarpedon. Giacea sull'ardua cimadella muraglia un aspro enorme sasso,tal che niun de' presenti, anco sul fioredelle forze, il potrebbe agevolmente

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forza si vanno a rovesciar sovr'essoi licii capitani, e di costorol'impeto è noto nel pugnar. Se voisiete in gran briga voi medesmi, almenovien tu, forte figliuol di Telamone,e tu, Teucro, signor d'arco tremendo.Tacque, ed il grande Telamònio figlioal figlio d'Oilèo si volse e disse:Tu, Aiace, e tu forte Licomedequi restatevi entrambi, ed infiammatel'acheo coraggio alla battaglia. Io volocolà allo scontro del nemico, e datala chiesta aita, subito ritorno.Partì l'eroe, ciò detto, ed il germanoTeucro il seguiva, e Pandïon portantel'arco di Teucro. Costeggiando il muroalla torre arrivâr di Menestèo:ed entrâr nella zuffa, appunto in quellache a negro turbo simiglianti i ducianimosi de' Licii avean de' merligià vinto il sommo. Si scontrâr gli eroifronte a fronte, e levossi alto clamore.Primo l'Aiace Telamònio ucciseil magnanimo Epìcle, un caro amicodi Sarpedon. Giacea sull'ardua cimadella muraglia un aspro enorme sasso,tal che niun de' presenti, anco sul fioredelle forze, il potrebbe agevolmente

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a due man sollevar. Ma lieve in altolevollo Aiace, e lo scagliò. L'orrendocolpo diruppe il bacinetto, e tuttel'ossa del capo sfracellò. Dall'altatorre il percosso a notator simìlecadde, e l'alma fuggì. Teucro di poidi strale a Glauco il nudo braccio impiagamentre il muro assalisce, e lo costrignela pugna abbandonar. Glauco d'un saltogiù dagli spaldi gittasi furtivo,onde nessuno degli Achei s'avveggadi sua ferita, e villanìa gli dica.Ben se n'accorse Sarpedonte, ed altadell'amico al partir doglia il trafisse.Ma non lentossi dalla pugna, e giuntocolla lancia il Testòride Alcmeone,gliela ficca nel petto, e a sé la tira.Segue il trafitto l'asta infissa, e cadeboccone, e l'armi risonâr sovr'esso.Colla man forte quindi il licio duceun merlo afferra, a sé lo tragge, e tuttolo dirocca. Snudossi al suo caderela superna muraglia, e larga a moltifece la strada. Allor ristretti insiememossero contra Sarpedonte i dueTelamonìdi, e Teucro d'uno straleal petto il saettò. Raccolse il colpoil lucente fermaglio dell'immenso

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a due man sollevar. Ma lieve in altolevollo Aiace, e lo scagliò. L'orrendocolpo diruppe il bacinetto, e tuttel'ossa del capo sfracellò. Dall'altatorre il percosso a notator simìlecadde, e l'alma fuggì. Teucro di poidi strale a Glauco il nudo braccio impiagamentre il muro assalisce, e lo costrignela pugna abbandonar. Glauco d'un saltogiù dagli spaldi gittasi furtivo,onde nessuno degli Achei s'avveggadi sua ferita, e villanìa gli dica.Ben se n'accorse Sarpedonte, ed altadell'amico al partir doglia il trafisse.Ma non lentossi dalla pugna, e giuntocolla lancia il Testòride Alcmeone,gliela ficca nel petto, e a sé la tira.Segue il trafitto l'asta infissa, e cadeboccone, e l'armi risonâr sovr'esso.Colla man forte quindi il licio duceun merlo afferra, a sé lo tragge, e tuttolo dirocca. Snudossi al suo caderela superna muraglia, e larga a moltifece la strada. Allor ristretti insiememossero contra Sarpedonte i dueTelamonìdi, e Teucro d'uno straleal petto il saettò. Raccolse il colpoil lucente fermaglio dell'immenso

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scudo, ché Giove dal suo figlio alloraallontanò la Parca, e non permiseche davanti alle navi egli cadesse.L'assalse Aiace ad un medesmo tempo,e allo scudo il ferì. Tutto passollola fiera punta, ed aspramente il caldoguerrier represse. Dagli spaldi adunquerecede alquanto ei sì, ma non del tutto,ché il cor pur anco gli porgea speranzadella vittoria, e al suo fedel drappellorivoltosi, gridò: Licii guerrieri,perché l'impeto vostro si rallenta?Benché forte io mi sia, solo poss'ioatterrar questo muro, ed alle naviaprir la strada? A me v'unite or dunque,ché forza unita tutto vince. - Ei disse,e vergognosi rispettando i Liciile regali rampogne, s'addensarodintorno al saggio condottier. Dall'altrolato gli Argivi nell'interno murorinforzan le falangi, e d'ambe particresce il travaglio della dura impresa.Perocché né il valor degli animosiLicii a traverso dell'infranto muroalle navi potea farsi la strada,né i saettanti Achei dall'occupatamuraglia i Licii discacciar: ma qualein poder che comune abbia il confine,

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scudo, ché Giove dal suo figlio alloraallontanò la Parca, e non permiseche davanti alle navi egli cadesse.L'assalse Aiace ad un medesmo tempo,e allo scudo il ferì. Tutto passollola fiera punta, ed aspramente il caldoguerrier represse. Dagli spaldi adunquerecede alquanto ei sì, ma non del tutto,ché il cor pur anco gli porgea speranzadella vittoria, e al suo fedel drappellorivoltosi, gridò: Licii guerrieri,perché l'impeto vostro si rallenta?Benché forte io mi sia, solo poss'ioatterrar questo muro, ed alle naviaprir la strada? A me v'unite or dunque,ché forza unita tutto vince. - Ei disse,e vergognosi rispettando i Liciile regali rampogne, s'addensarodintorno al saggio condottier. Dall'altrolato gli Argivi nell'interno murorinforzan le falangi, e d'ambe particresce il travaglio della dura impresa.Perocché né il valor degli animosiLicii a traverso dell'infranto muroalle navi potea farsi la strada,né i saettanti Achei dall'occupatamuraglia i Licii discacciar: ma qualein poder che comune abbia il confine,

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fan due villan, la pertica alla mano,del limite baruffa, e poca listadi terra è tutto della lite il campo:così dei merli combattean costoro,e sovra i merli contrastati un fierospezzar si fea di scudi e di brocchierisu gli anelanti petti; e molti intornocadean gli uccisi; altri dal crudo acciaronel voltarsi trafitti il tergo ignudo;altri, ed erano i più, da parte a partetrapassati le targhe. Da per tuttotorri e spaldi rosseggiano di sanguee troiano ed acheo; né fra gli Acheinullo ancor segno si vedea di fuga.Siccome onesta femminetta, a cuiprocaccia il vitto la conocchia, in manotien la bilancia, e vi sospende e pesacon rigorosa trutina la lana,onde i suoi figli sostentar di scarsoalimento; così de' combattentiequilibrata si tenea la pugna,finché l'ora pur venne in che doveaspinto da Giove superar primieroEttore la muraglia. Alza ei repentela terribile voce, ed, Accorrete,grida, o forti Troiani, urtate il muro,spezzatelo, gittate alfin le fiammevendicatrici nella classe achea.

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fan due villan, la pertica alla mano,del limite baruffa, e poca listadi terra è tutto della lite il campo:così dei merli combattean costoro,e sovra i merli contrastati un fierospezzar si fea di scudi e di brocchierisu gli anelanti petti; e molti intornocadean gli uccisi; altri dal crudo acciaronel voltarsi trafitti il tergo ignudo;altri, ed erano i più, da parte a partetrapassati le targhe. Da per tuttotorri e spaldi rosseggiano di sanguee troiano ed acheo; né fra gli Acheinullo ancor segno si vedea di fuga.Siccome onesta femminetta, a cuiprocaccia il vitto la conocchia, in manotien la bilancia, e vi sospende e pesacon rigorosa trutina la lana,onde i suoi figli sostentar di scarsoalimento; così de' combattentiequilibrata si tenea la pugna,finché l'ora pur venne in che doveaspinto da Giove superar primieroEttore la muraglia. Alza ei repentela terribile voce, ed, Accorrete,grida, o forti Troiani, urtate il muro,spezzatelo, gittate alfin le fiammevendicatrici nella classe achea.

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L'udiro i Teucri, ed incitati e densiavventârsi ai ripari, e sovra il muromontâr coll'aste in pugno. Appo le porteun immane giacea macigno acuto:non l'avrìan mosso agevolmente duede' presenti mortali anche robustiper carreggiarlo. A questo diè di piglioEttore; ed alto sollevollo, e solosenza fatica l'agitò; ché Giovein man del duce lo rendea leggiero.E come nella manca il mandrïanolieve sostien d'un arïète il vello,insensibile peso; a questa guisaEttore porta sollevato in altol'enorme sasso, e va dirittamentecontro l'assito che compatto e grossodelle porte munìa la doppia imposta,da due forti sbarrata internamentespranghe traverse, ed uno era il serrame.Fattosi appresso, ed allargate e fermesaldamente le gambe, onde con forzail colpo liberar, percosse il mezzo.Al fulmine del sasso sgangherârsii cardini dirotti; orrendamentemuggîr le porte, si spezzâr le sbarre,si sfracellò l'assito, e d'ogni partele schegge ne volâr; tale fu il pondoe l'impeto del sasso che di dentro

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L'udiro i Teucri, ed incitati e densiavventârsi ai ripari, e sovra il muromontâr coll'aste in pugno. Appo le porteun immane giacea macigno acuto:non l'avrìan mosso agevolmente duede' presenti mortali anche robustiper carreggiarlo. A questo diè di piglioEttore; ed alto sollevollo, e solosenza fatica l'agitò; ché Giovein man del duce lo rendea leggiero.E come nella manca il mandrïanolieve sostien d'un arïète il vello,insensibile peso; a questa guisaEttore porta sollevato in altol'enorme sasso, e va dirittamentecontro l'assito che compatto e grossodelle porte munìa la doppia imposta,da due forti sbarrata internamentespranghe traverse, ed uno era il serrame.Fattosi appresso, ed allargate e fermesaldamente le gambe, onde con forzail colpo liberar, percosse il mezzo.Al fulmine del sasso sgangherârsii cardini dirotti; orrendamentemuggîr le porte, si spezzâr le sbarre,si sfracellò l'assito, e d'ogni partele schegge ne volâr; tale fu il pondoe l'impeto del sasso che di dentro

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cadde e posò. Pel varco aperto Ettorresi spinse innanzi simigliante a scuraruinosa procella. Folgoravatutto nell'armi di terribil luce;scotea due lance nelle man; gli sguardimettean lampi e faville, e non l'avrìa,quando ei fiero saltò dentro le porte,rattenuto verun che Dio non fosse.Alle sue schiere allor si volse, e a tuttecomandò di varcar l'achea trinciera.Obbediro i Troiani; immantinentealtri il muro salîr, altri innondarole spalancate porte. Al mar gli Achivifuggono, e immenso ne seguìa tumulto.

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cadde e posò. Pel varco aperto Ettorresi spinse innanzi simigliante a scuraruinosa procella. Folgoravatutto nell'armi di terribil luce;scotea due lance nelle man; gli sguardimettean lampi e faville, e non l'avrìa,quando ei fiero saltò dentro le porte,rattenuto verun che Dio non fosse.Alle sue schiere allor si volse, e a tuttecomandò di varcar l'achea trinciera.Obbediro i Troiani; immantinentealtri il muro salîr, altri innondarole spalancate porte. Al mar gli Achivifuggono, e immenso ne seguìa tumulto.

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Libro Decimoterzo

Poiché Giove appressati ebbe alle navicon Ettore i Troiani, ivi in travaglioincessante lasciolli: e volti indietroi fulgid'occhi a riguardar si posedel Trace di cavalli agitatorela contrada e de' Misii a stretta pugnavalorosi guerrieri e de' famosiIppomolghi, giustissimi mortaliche di latte nudriti a lunga etadeproducono i lor dì: né più di Troiadava un guardo alle mura, in sé pensandoche nessun Dio discendere de' Teucrio de' Greci in aita oso sarebbe.Né invan si stava alla vedetta intantoil re Nettunno che su l'alte assisoselvose cime della tracia Samocontemplava di là l'aspro conflitto;e tutto l'Ida e Troia e degli Acheile folte antenne si vedea davanti.Ivi uscito dell'onde egli sedea,e del cader de' Greci impietositocontro Giove fremea d'alto disdegno.Ratto spiccossi dall'alpestre vettae discese. Tremâr le selve e i monti

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Libro Decimoterzo

Poiché Giove appressati ebbe alle navicon Ettore i Troiani, ivi in travaglioincessante lasciolli: e volti indietroi fulgid'occhi a riguardar si posedel Trace di cavalli agitatorela contrada e de' Misii a stretta pugnavalorosi guerrieri e de' famosiIppomolghi, giustissimi mortaliche di latte nudriti a lunga etadeproducono i lor dì: né più di Troiadava un guardo alle mura, in sé pensandoche nessun Dio discendere de' Teucrio de' Greci in aita oso sarebbe.Né invan si stava alla vedetta intantoil re Nettunno che su l'alte assisoselvose cime della tracia Samocontemplava di là l'aspro conflitto;e tutto l'Ida e Troia e degli Acheile folte antenne si vedea davanti.Ivi uscito dell'onde egli sedea,e del cader de' Greci impietositocontro Giove fremea d'alto disdegno.Ratto spiccossi dall'alpestre vettae discese. Tremâr le selve e i monti

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sotto il piede immortal dell'incedenteirato Enosigèo. Tre passi ei fece,e al quarto giunse alla sua meta in Ege,ove d'auro corruschi in fondo al maresorgono eccelsi i suoi palagi eterni.Qui venuto i veloci oro-crinitieripedi cavalli al cocchio aggioga.In aurea vesta si ravvolge tuttala divina persona, ed impugnatol'aureo flagello di gentil lavoromonta il carro, e leggier vola su l'onda.Dagl'imi gorghi uscite a lui dintorno,conoscendo il re lor, l'ampie baleneesultano, e per gioia il mar si spiana.Così rapide volano le roteche dell'asse né pur si bagna il bronzo;e gli agili cavalli a tutto corsoverso le navi achee portano il Dio.Fra Tènedo e fra l'aspra Imbro nell'imos'apre dell'alto sale ampia spelonca.Qui giunto il nume i corridor sostenne,e dal temo gli sciolse, e ristoratid'ambrosio cibo, gli allacciò di saldeauree pastoie d'insolubil nodo,onde attendean lì fermi il rediturore lor che al campo degli Achei s'indrizza.Una fiamma sembianti o una procella,affollati, indefessi, e d'alte grida

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sotto il piede immortal dell'incedenteirato Enosigèo. Tre passi ei fece,e al quarto giunse alla sua meta in Ege,ove d'auro corruschi in fondo al maresorgono eccelsi i suoi palagi eterni.Qui venuto i veloci oro-crinitieripedi cavalli al cocchio aggioga.In aurea vesta si ravvolge tuttala divina persona, ed impugnatol'aureo flagello di gentil lavoromonta il carro, e leggier vola su l'onda.Dagl'imi gorghi uscite a lui dintorno,conoscendo il re lor, l'ampie baleneesultano, e per gioia il mar si spiana.Così rapide volano le roteche dell'asse né pur si bagna il bronzo;e gli agili cavalli a tutto corsoverso le navi achee portano il Dio.Fra Tènedo e fra l'aspra Imbro nell'imos'apre dell'alto sale ampia spelonca.Qui giunto il nume i corridor sostenne,e dal temo gli sciolse, e ristoratid'ambrosio cibo, gli allacciò di saldeauree pastoie d'insolubil nodo,onde attendean lì fermi il rediturore lor che al campo degli Achei s'indrizza.Una fiamma sembianti o una procella,affollati, indefessi, e d'alte grida

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l'aria empiendo i Troiani e furïandoseguon d'Ettore i passi, il cor ripienidella speranza d'occupar le navi,e tra le navi sterminar gli Achei.Ma di Calcante presa la sembianzae la gran voce, raccendea Nettunnogli argolici guerrieri; e pria rivoltoagli Aiaci gridava: Ah vi ricordiche il campo achivo col valor si salva,non col freddo timor. Non io de' Teucri,che in folla superâr l'alta muraglia,le ardite mani agli altri posti or temo,ove a tutti terran fronte gli Achei;ma qui tem'io d'assai qualche sinistro,qui dove questo inviperito Ettorre,che del gran Giove si millanta figlio,guida i Teucri, e s'avventa come fiamma.Ma se in mente a voi pone un qualche iddiodi contrastargli, e di dar core altrui,certo mi fo che lungi dalle navirespingerete il suo furor, foss'ancolo stesso Giove che gl'infonde ardire.Così parla Nettunno, e collo scettrotoccandoli ambidue, per le lor membrauna divina vigorìa diffuse,che tutta alleggerendo la personaalle man polso aggiunse, ed ali al piede;e ciò fatto, sparì colla prestezza

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l'aria empiendo i Troiani e furïandoseguon d'Ettore i passi, il cor ripienidella speranza d'occupar le navi,e tra le navi sterminar gli Achei.Ma di Calcante presa la sembianzae la gran voce, raccendea Nettunnogli argolici guerrieri; e pria rivoltoagli Aiaci gridava: Ah vi ricordiche il campo achivo col valor si salva,non col freddo timor. Non io de' Teucri,che in folla superâr l'alta muraglia,le ardite mani agli altri posti or temo,ove a tutti terran fronte gli Achei;ma qui tem'io d'assai qualche sinistro,qui dove questo inviperito Ettorre,che del gran Giove si millanta figlio,guida i Teucri, e s'avventa come fiamma.Ma se in mente a voi pone un qualche iddiodi contrastargli, e di dar core altrui,certo mi fo che lungi dalle navirespingerete il suo furor, foss'ancolo stesso Giove che gl'infonde ardire.Così parla Nettunno, e collo scettrotoccandoli ambidue, per le lor membrauna divina vigorìa diffuse,che tutta alleggerendo la personaalle man polso aggiunse, ed ali al piede;e ciò fatto, sparì colla prestezza

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di veloce sparvier, che nella vallevisto un augello, da scoscesa rupesi precipita a piombo su la preda.Aiace d'Oilèo s'accorse il primodel portento; e al figliuol di Telamonedi subito converso, Amico, ei disse,colui che ne parlò non egli al certoè l'indovino augurator Calcante,ma qualche dell'Olimpo abitatoreche ne prese le forme, e ne comandadi pugnar per le navi. Agevolmentesi riconosce un nume, ed io da tergolui conobbi all'incesso appunto in quellache si partiva, e me l'avvisa il coreche di battaglia più che mai bramosomi ferve in petto sì, che mani e piedibrillar mi sento del desìo di pugna.E a me, risponde il gran Telamonìde,a me pur brilla intorno a questa lancial'audace destra, e il cor mi cresce in seno,e l'impulso de' piè sento di sottosì, che pur solo d'azzuffarmi anelocoll'indomito Ettorre. - Era di questitale il discorso, e tal dell'armi il caldodesir che in petto avea lor posto il nume.Nettunno intanto degli Achei ridestal'ultime file, che scorate e stanchedal marzïal travaglio appo i navigli

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di veloce sparvier, che nella vallevisto un augello, da scoscesa rupesi precipita a piombo su la preda.Aiace d'Oilèo s'accorse il primodel portento; e al figliuol di Telamonedi subito converso, Amico, ei disse,colui che ne parlò non egli al certoè l'indovino augurator Calcante,ma qualche dell'Olimpo abitatoreche ne prese le forme, e ne comandadi pugnar per le navi. Agevolmentesi riconosce un nume, ed io da tergolui conobbi all'incesso appunto in quellache si partiva, e me l'avvisa il coreche di battaglia più che mai bramosomi ferve in petto sì, che mani e piedibrillar mi sento del desìo di pugna.E a me, risponde il gran Telamonìde,a me pur brilla intorno a questa lancial'audace destra, e il cor mi cresce in seno,e l'impulso de' piè sento di sottosì, che pur solo d'azzuffarmi anelocoll'indomito Ettorre. - Era di questitale il discorso, e tal dell'armi il caldodesir che in petto avea lor posto il nume.Nettunno intanto degli Achei ridestal'ultime file, che scorate e stanchedal marzïal travaglio appo i navigli

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prendean respiro, e di gran duol cagioneera loro il veder che l'alto muroavean varcato con tumulto i Teucri.Piovea lor dalle ciglia a quella vistaun largo pianto, di scampar perdutaogni speranza. Ma col pronto arrivole ravvivò Nettunno; e pria Leìtoe Teucro e Dëipìro e Penelèoe Merïone e Antìloco e Toante,tutti eroi bellicosi, inanimando,Oh vergogna! esclamò, così combatteor dell'argiva gioventude il fiore?nel valor delle vostre armi io speravasalve le navi: ma se voi la fierapugna cessate, il dì supremo è questodella nostra caduta. Oh cielo! oh indegnospettacolo ch'io veggo, e ch'io non maipossibile credea! fino alle naviirrompere i Troiani, essi che dianzinon eran osi né un momento purefar fronte ai Greci, e ne fuggìan la possacome timide cerve, che vagantiper la foresta, e imbelli e senza coreson di linci, di lupi e leopardil'ingorde canne a satollar serbate.Or ecco che lontan dalla cittadefino alle navi la battaglia spingonocolpa del duce Atride e noncuranza

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prendean respiro, e di gran duol cagioneera loro il veder che l'alto muroavean varcato con tumulto i Teucri.Piovea lor dalle ciglia a quella vistaun largo pianto, di scampar perdutaogni speranza. Ma col pronto arrivole ravvivò Nettunno; e pria Leìtoe Teucro e Dëipìro e Penelèoe Merïone e Antìloco e Toante,tutti eroi bellicosi, inanimando,Oh vergogna! esclamò, così combatteor dell'argiva gioventude il fiore?nel valor delle vostre armi io speravasalve le navi: ma se voi la fierapugna cessate, il dì supremo è questodella nostra caduta. Oh cielo! oh indegnospettacolo ch'io veggo, e ch'io non maipossibile credea! fino alle naviirrompere i Troiani, essi che dianzinon eran osi né un momento purefar fronte ai Greci, e ne fuggìan la possacome timide cerve, che vagantiper la foresta, e imbelli e senza coreson di linci, di lupi e leopardil'ingorde canne a satollar serbate.Or ecco che lontan dalla cittadefino alle navi la battaglia spingonocolpa del duce Atride e noncuranza

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de' guerrier che con esso incolloriti,anzi che a scampo delle navi armarsi,trucidar vi si fanno. E nondimenobenché l'Atride eroe veracementesia di ciò tutto la cagion, per l'ontach'egli fece al Pelìde, a noi non licea verun patto abbandonar la pugna.Via, s'emendi l'error: le generosealme i lor falli a riparar son preste;né voi, sendo i più forti, onestamenteil valor vostro rallentar potete;ned io col vile che pugnar ricusaso corrucciarmi, ma con voi mi sdegnoaltamente, con voi che fatti or mollied ignavi e codardi un maggior dannovi preparate. In sé ciascuno adunqueil pudor svegli e del disnor la tema.Grande è il certame che s'accese: il prodeEttore è quegli che le navi assalta,e le porte già ruppe e l'alta sbarra.Da questi di Nettunno acri confortiincoraggiate le falangi acheesi strinsero agli Aiaci in sì bel cerchio,che stupito n'avrìa Marte e la stessaMinerva de' guerrieri eccitatrice.Questo fior di gagliardi il duro assaltode' Troiani e d'Ettòr fermo attendea,come siepe stipando ed appoggiando

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de' guerrier che con esso incolloriti,anzi che a scampo delle navi armarsi,trucidar vi si fanno. E nondimenobenché l'Atride eroe veracementesia di ciò tutto la cagion, per l'ontach'egli fece al Pelìde, a noi non licea verun patto abbandonar la pugna.Via, s'emendi l'error: le generosealme i lor falli a riparar son preste;né voi, sendo i più forti, onestamenteil valor vostro rallentar potete;ned io col vile che pugnar ricusaso corrucciarmi, ma con voi mi sdegnoaltamente, con voi che fatti or mollied ignavi e codardi un maggior dannovi preparate. In sé ciascuno adunqueil pudor svegli e del disnor la tema.Grande è il certame che s'accese: il prodeEttore è quegli che le navi assalta,e le porte già ruppe e l'alta sbarra.Da questi di Nettunno acri confortiincoraggiate le falangi acheesi strinsero agli Aiaci in sì bel cerchio,che stupito n'avrìa Marte e la stessaMinerva de' guerrieri eccitatrice.Questo fior di gagliardi il duro assaltode' Troiani e d'Ettòr fermo attendea,come siepe stipando ed appoggiando

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scudo a scudo, asta ad asta, ed elmo ad elmoe guerriero a guerrier; sì che gli eccelsicimier su i coni rilucenti insiemeconfondean l'onda delle chiome equine.Così densati procedean di puntacontra il nemico questi forti, ognunonella robusta mano arditamentebilanciando il suo telo, e di dar dentrotutti vogliosi. Fur primieri i Teucristretti insieme a far impeto precorsidall'intrepido Ettòr, pari a velocerovinoso macigno che torrenteper gran pioggia cresciuto da petrosarupe divelse e spinse al basso; ei volaprecipite a gran salti, e si fa sottola selva risonar; né il corso allentafinché giunto alla valle ivi si quetaimmobile. Così pel campo Ettorreseminando la strage, infino al marepenetrar minacciava, e senza intoppofra le navi cacciarsi e fra le tende.Ma come a fronte ei giunse della densafalange s'arrestò, vano vedendodi spezzarla ogni mezzo: e di rincontrol'appuntâr colle lance e colle spadesì fieri i figli degli Achei, che a forzal'allontanâr. Respinto ei diede addietro,ed alto a' suoi gridò: Troiani, e Licii

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scudo a scudo, asta ad asta, ed elmo ad elmoe guerriero a guerrier; sì che gli eccelsicimier su i coni rilucenti insiemeconfondean l'onda delle chiome equine.Così densati procedean di puntacontra il nemico questi forti, ognunonella robusta mano arditamentebilanciando il suo telo, e di dar dentrotutti vogliosi. Fur primieri i Teucristretti insieme a far impeto precorsidall'intrepido Ettòr, pari a velocerovinoso macigno che torrenteper gran pioggia cresciuto da petrosarupe divelse e spinse al basso; ei volaprecipite a gran salti, e si fa sottola selva risonar; né il corso allentafinché giunto alla valle ivi si quetaimmobile. Così pel campo Ettorreseminando la strage, infino al marepenetrar minacciava, e senza intoppofra le navi cacciarsi e fra le tende.Ma come a fronte ei giunse della densafalange s'arrestò, vano vedendodi spezzarla ogni mezzo: e di rincontrol'appuntâr colle lance e colle spadesì fieri i figli degli Achei, che a forzal'allontanâr. Respinto ei diede addietro,ed alto a' suoi gridò: Troiani, e Licii

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e Dardani, deh voi fermo tenete;ché, benché denso, lo squadron nemiconon sosterrammi a lungo, e all'urto io sperodella mia lancia piegherà, se invanonon eccitommi il più possente Iddio,l'altitonante di Giunon marito.Di ciascuno destâr la lena e il corequeste parole. Allor di Priamo il figliocon grande ardir Dëìfobo si mosse,e davanti portandosi lo scudoche tutto il ricopriva, a lento passos'avanzò. Merïon di mira il presecolla fulgida lancia, e in pieno il colsenello scudo taurin, ma di forarlonon gli successe, ché alla prima faldal'asta si franse. Paventando il telodel bellicoso Merïon, dal pettodiscostossi Dëìfobo il brocchiero,e l'argolico eroe vista spezzarsila lancia, e tolta la vittoria, iratosi ritrasse fra' suoi, quindi lunghessole navi ei corse alla sua tenda in cercad'un riposto lancion. La pugna intantocresce, ed immenso si solleva il grido.Il Telamònio Teucro innanzi a tuttiImbrio distese, acerrimo guerriero,cui Mentore di ricche equestri razzepossessor generò. Tenea costui

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e Dardani, deh voi fermo tenete;ché, benché denso, lo squadron nemiconon sosterrammi a lungo, e all'urto io sperodella mia lancia piegherà, se invanonon eccitommi il più possente Iddio,l'altitonante di Giunon marito.Di ciascuno destâr la lena e il corequeste parole. Allor di Priamo il figliocon grande ardir Dëìfobo si mosse,e davanti portandosi lo scudoche tutto il ricopriva, a lento passos'avanzò. Merïon di mira il presecolla fulgida lancia, e in pieno il colsenello scudo taurin, ma di forarlonon gli successe, ché alla prima faldal'asta si franse. Paventando il telodel bellicoso Merïon, dal pettodiscostossi Dëìfobo il brocchiero,e l'argolico eroe vista spezzarsila lancia, e tolta la vittoria, iratosi ritrasse fra' suoi, quindi lunghessole navi ei corse alla sua tenda in cercad'un riposto lancion. La pugna intantocresce, ed immenso si solleva il grido.Il Telamònio Teucro innanzi a tuttiImbrio distese, acerrimo guerriero,cui Mentore di ricche equestri razzepossessor generò. Tenea costui

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pria dell'arrivo degli Achei suo seggioin Pedèo, disposata la leggiadraMedesicaste, del troiano Sirespuria figliuola. Ma venuti i Grecirivenne ad Ilio ei pure, e fra' Troianidistinto di valor nelle regalicase abitava, e il re tenealo in pregiodel par che i figli. A costui l'asta infissesotto l'orecchio il buon Telamonìde,e tosto ne la svelse. Imbrio cadéoa frassino simìl, che su la cimad'una montagna da lontan vedutareciso dalla scure al suolo abbassale sue tenere chiome; così cadderiverso, e l'armi gli sonâr dintorno.Di rapirle bramoso immantinenteTeucro accorse: ma pronto in lui diressela fulgid'asta Ettòr. L'altro che a tempodel colpo s'avvisò, scansollo alquanto,ed in sua vece lo raccolse in pettoil figliuol dell'Attoride CteatoAmfimaco, che appunto in quel momentoentrava nella mischia. Strepitosoei cadde, e sopra gli tonò l'usbergo.A levar del magnanimo cadutodalla fronte il bell'elmo Ettore vola,ma d'Aiace l'aggiunse il fulminatosplendido telo, che l'ettoreo petto

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pria dell'arrivo degli Achei suo seggioin Pedèo, disposata la leggiadraMedesicaste, del troiano Sirespuria figliuola. Ma venuti i Grecirivenne ad Ilio ei pure, e fra' Troianidistinto di valor nelle regalicase abitava, e il re tenealo in pregiodel par che i figli. A costui l'asta infissesotto l'orecchio il buon Telamonìde,e tosto ne la svelse. Imbrio cadéoa frassino simìl, che su la cimad'una montagna da lontan vedutareciso dalla scure al suolo abbassale sue tenere chiome; così cadderiverso, e l'armi gli sonâr dintorno.Di rapirle bramoso immantinenteTeucro accorse: ma pronto in lui diressela fulgid'asta Ettòr. L'altro che a tempodel colpo s'avvisò, scansollo alquanto,ed in sua vece lo raccolse in pettoil figliuol dell'Attoride CteatoAmfimaco, che appunto in quel momentoentrava nella mischia. Strepitosoei cadde, e sopra gli tonò l'usbergo.A levar del magnanimo cadutodalla fronte il bell'elmo Ettore vola,ma d'Aiace l'aggiunse il fulminatosplendido telo, che l'ettoreo petto

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non offese egli, no (ché tutto quantoera nel ferro orribilmente chiuso),ma di tal forza gli percosse il colmodello scudo, che pur lo risospinse,sì che scostarsi fu mestier dall'unocadavere e dall'altro, ed agli Achiviabbandonarli. Amfimaco fra' suoifu ritratto da Stichio e MenestèoAtenèi condottieri; Imbrio da' fortiAiaci, simiglianti a due leoniche tolta al dente di gagliardi caniuna capra talor, fra i densi arbustila portano del bosco alta da terranell'orrende mascelle. A questa guisasublime fra le braccia i due guerrierid'Imbrio la salma ne portaro, e a lui,trattegli l'armi, il figlio d'Oilèo,della morte d'Amfimaco sdegnoso,mozza la testa fe' volar dal busto;indi fra i Teucri la gittò rotatacome lubrico globo, e al piè d'Ettorrela travolse sanguigna nella polve.Non fu senz'alto di Nettun disdegnod'Amfimaco la morte al Dio nipote.Risoluto in suo cor de' Teucri il danno,fra le navi e le tende il corrucciosonume avvïossi ad animar gli Achivi.Scontrollo Idomenèo, che appunto in quella

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non offese egli, no (ché tutto quantoera nel ferro orribilmente chiuso),ma di tal forza gli percosse il colmodello scudo, che pur lo risospinse,sì che scostarsi fu mestier dall'unocadavere e dall'altro, ed agli Achiviabbandonarli. Amfimaco fra' suoifu ritratto da Stichio e MenestèoAtenèi condottieri; Imbrio da' fortiAiaci, simiglianti a due leoniche tolta al dente di gagliardi caniuna capra talor, fra i densi arbustila portano del bosco alta da terranell'orrende mascelle. A questa guisasublime fra le braccia i due guerrierid'Imbrio la salma ne portaro, e a lui,trattegli l'armi, il figlio d'Oilèo,della morte d'Amfimaco sdegnoso,mozza la testa fe' volar dal busto;indi fra i Teucri la gittò rotatacome lubrico globo, e al piè d'Ettorrela travolse sanguigna nella polve.Non fu senz'alto di Nettun disdegnod'Amfimaco la morte al Dio nipote.Risoluto in suo cor de' Teucri il danno,fra le navi e le tende il corrucciosonume avvïossi ad animar gli Achivi.Scontrollo Idomenèo, che appunto in quella

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un amico lasciava a lui poc'anzifuor della pugna dai compagni adduttoe ferito al ginocchio. Ai medicanticommessane la cura il re creteseda quella tenda si partìa, pur sempredesideroso di battaglia. Ed ecco(preso il volto e la voce di Toanted'Andremone figliuol, che di Pleuronee dell'eccelsa Calidon signoreagli Etoli imperava, e al par d'un numelo riverìa la gente), ecco Nettunnofarglisi innanzi, e dire: Idomenèoconsiglier de' Cretesi, ove n'andarole minacciate ai Teucri alte minacceda' figli degli Achei? - Nullo qui mancaal suo dover, rispose il gnossio duce,nullo, per mio sentire, e sappiam tuttipugnar. Nessun da vil tema è preso,nessun fiaccato da desidia fuggel'affanno marzïal. Ma del possenteGiove quest'è la fantasia, che lungidalla patria perire inonoratiqui debbano gli Achei. Ma tu che fostisempre un forte, o Toante, e altrui se' usodestar coraggio, se allentar lo vedi,segui a farlo, e rinfranca ogni guerriero.Possa da Troia, replicò Nettunno,non si far più ritorno, e qui de' cani

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un amico lasciava a lui poc'anzifuor della pugna dai compagni adduttoe ferito al ginocchio. Ai medicanticommessane la cura il re creteseda quella tenda si partìa, pur sempredesideroso di battaglia. Ed ecco(preso il volto e la voce di Toanted'Andremone figliuol, che di Pleuronee dell'eccelsa Calidon signoreagli Etoli imperava, e al par d'un numelo riverìa la gente), ecco Nettunnofarglisi innanzi, e dire: Idomenèoconsiglier de' Cretesi, ove n'andarole minacciate ai Teucri alte minacceda' figli degli Achei? - Nullo qui mancaal suo dover, rispose il gnossio duce,nullo, per mio sentire, e sappiam tuttipugnar. Nessun da vil tema è preso,nessun fiaccato da desidia fuggel'affanno marzïal. Ma del possenteGiove quest'è la fantasia, che lungidalla patria perire inonoratiqui debbano gli Achei. Ma tu che fostisempre un forte, o Toante, e altrui se' usodestar coraggio, se allentar lo vedi,segui a farlo, e rinfranca ogni guerriero.Possa da Troia, replicò Nettunno,non si far più ritorno, e qui de' cani

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rimanersi sollazzo, ognun che cerchiin questo giorno abbandonar la pugna.Va, ti rïarma, e vieni, e tenteremo,benché due soli, di far tale un fattoch'utile torni. La congiunta forzapur degl'imbelli è di momento, e noiancor co' prodi guerreggiar sappiamo.Disse, e mischiossi il Dio nel travagliosomortal conflitto. Rïentrò velocenella sua tenda Idomenèo, di bellearmi vestissi tutto quanto, e toltedue lance s'avvïò, simile in vistaalla corrusca folgore che Giovevibra dall'alto a sgomentar le genti,e di lucidi solchi il ciel lampeggia;così splendea l'acciaro intorno al pettodel frettoloso eroe. Lungi di pocodalla tenda scontrollo il suo fedeleMerïon, che venìa d'altr'asta in cerca.Figlio di Molo, Idomenèo gli disse,ove corri sì ratto? e perché lasci,diletto amico Merïon, la pugna?Se' tu forse ferito, e qualche puntati tormenta di strale? od a recarmiqualche avviso ne vieni? Andiam, ch'io stessonon di riposi, ma di pugna ho brama.Vengo, rispose Merïon, d'un'astaa provedermi, Idomenèo, se alcuna

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rimanersi sollazzo, ognun che cerchiin questo giorno abbandonar la pugna.Va, ti rïarma, e vieni, e tenteremo,benché due soli, di far tale un fattoch'utile torni. La congiunta forzapur degl'imbelli è di momento, e noiancor co' prodi guerreggiar sappiamo.Disse, e mischiossi il Dio nel travagliosomortal conflitto. Rïentrò velocenella sua tenda Idomenèo, di bellearmi vestissi tutto quanto, e toltedue lance s'avvïò, simile in vistaalla corrusca folgore che Giovevibra dall'alto a sgomentar le genti,e di lucidi solchi il ciel lampeggia;così splendea l'acciaro intorno al pettodel frettoloso eroe. Lungi di pocodalla tenda scontrollo il suo fedeleMerïon, che venìa d'altr'asta in cerca.Figlio di Molo, Idomenèo gli disse,ove corri sì ratto? e perché lasci,diletto amico Merïon, la pugna?Se' tu forse ferito, e qualche puntati tormenta di strale? od a recarmiqualche avviso ne vieni? Andiam, ch'io stessonon di riposi, ma di pugna ho brama.Vengo, rispose Merïon, d'un'astaa provedermi, Idomenèo, se alcuna

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te ne rimase al padiglion. La miaalla scudo la ruppi del feroceDëìfobo. - Non una, il re riprese,ma venti, se le brami, alla paretene troverai poggiate entro la tenda,tutte belle e troiane e da me toltead uccisi nemici. Io li combattosempre dappresso, e così d'aste io fecie d'elmetti e di scudi ombelicatie di lucidi usberghi un tanto acquisto.Ed io pur nella tenda e nella naveho molte spoglie de' Troiani in serbo,soggiunse Merïon; ma lungi or sono.E neppur io mi spero in obblïanzaaver posto il valor; ché anch'io ne' campidella gloria so starmi in mezzo ai primi,quando di Marte la tenzon si desta.Forse al più degli Achei mal noto in guerraè il mio valor, ma tu il conosci, io spero.Sì, lo conosco, Idomenèo riprese,ma che ridirlo or tu? L'agguato è il campoove in sua chiarità splende il coraggio,e dal codardo si discerne il prode.Color cangia il codardo, e il cor mal fermonon gli permette di tenersi immotoun solo istante; mancagli il ginocchio,sul calcagno s'accascia, e immaginandovicino il suo morir, l'alma nel seno

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te ne rimase al padiglion. La miaalla scudo la ruppi del feroceDëìfobo. - Non una, il re riprese,ma venti, se le brami, alla paretene troverai poggiate entro la tenda,tutte belle e troiane e da me toltead uccisi nemici. Io li combattosempre dappresso, e così d'aste io fecie d'elmetti e di scudi ombelicatie di lucidi usberghi un tanto acquisto.Ed io pur nella tenda e nella naveho molte spoglie de' Troiani in serbo,soggiunse Merïon; ma lungi or sono.E neppur io mi spero in obblïanzaaver posto il valor; ché anch'io ne' campidella gloria so starmi in mezzo ai primi,quando di Marte la tenzon si desta.Forse al più degli Achei mal noto in guerraè il mio valor, ma tu il conosci, io spero.Sì, lo conosco, Idomenèo riprese,ma che ridirlo or tu? L'agguato è il campoove in sua chiarità splende il coraggio,e dal codardo si discerne il prode.Color cangia il codardo, e il cor mal fermonon gli permette di tenersi immotoun solo istante; mancagli il ginocchio,sul calcagno s'accascia, e immaginandovicino il suo morir, l'alma nel seno

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palpita e trema dibattendo i denti.Ma collocato nell'insidia il fortené cor cangia né volto, e della zuffail momento sospira. E a noi tenutitra' più gagliardi, se l'andar ne tocchid'un agguato al periglio, a noi pur ancoe del tuo braccio e del tuo cor palesesi farìa la virtù. Se nella pugnafia che ti colga un qualche telo, al certoil tergo no ma piagheratti il petto,e diritto corrente all'inimico,e tra' primieri avvolto, e nel più densodella battaglia. Ma non più parole;onde a caso qualcun sopravvenendodi vanitosi cianciatori a drittonon ci getti rampogna. Orsù, t'affrettanella tenda, e una forte asta ti piglia.Disse, e l'altro volò, prese veloceuna ferrata lancia, e la battagliaanelando, raggiunse Idomenèo.Qual s'avanza al conflitto il sanguinosonume dell'armi, e suo diletto figliol'accompagna il Terror che audace e forteanco i più fermi fa tremar; l'orrendacoppia lasciati della Tracia i lidiva degli Efìri a guerreggiar le gentio i magnanimi Flegii, e non ascoltapiù quei che questi, ancor dubbiando a cui

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palpita e trema dibattendo i denti.Ma collocato nell'insidia il fortené cor cangia né volto, e della zuffail momento sospira. E a noi tenutitra' più gagliardi, se l'andar ne tocchid'un agguato al periglio, a noi pur ancoe del tuo braccio e del tuo cor palesesi farìa la virtù. Se nella pugnafia che ti colga un qualche telo, al certoil tergo no ma piagheratti il petto,e diritto corrente all'inimico,e tra' primieri avvolto, e nel più densodella battaglia. Ma non più parole;onde a caso qualcun sopravvenendodi vanitosi cianciatori a drittonon ci getti rampogna. Orsù, t'affrettanella tenda, e una forte asta ti piglia.Disse, e l'altro volò, prese veloceuna ferrata lancia, e la battagliaanelando, raggiunse Idomenèo.Qual s'avanza al conflitto il sanguinosonume dell'armi, e suo diletto figliol'accompagna il Terror che audace e forteanco i più fermi fa tremar; l'orrendacoppia lasciati della Tracia i lidiva degli Efìri a guerreggiar le gentio i magnanimi Flegii, e non ascoltapiù quei che questi, ancor dubbiando a cui

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la vittoria invïar; tali nel ferrolampeggianti procedono alla pugna,condottieri di prodi, Idomenèoe Merïone, che primier dicea:Da qual parte in battaglia entrar t'aggrada,o Deucalìde valoroso? a destrao pur nel centro? o sosterrem più tostola sinistra? Gli è quivi, a mio parere,che di soccorso ai nostri è più mestiero.Il centro ha buoni difensor, risposeil re di Creta, ha l'uno e l'altro Aiacee il più prestante saettier de' GreciTeucro, gagliardo combattente insiemea piè fermo. Daran questi ad Ettorre,per audace ch'ei sia, molto travaglionella fervida mischia, e costar carogli faranno il tentar di superarnel'invitta forza, e i minacciati legnicolle fiamme assalir, se pur lo stessoGiove non scenda colle proprie mania gittarvi gl'incendii. A mortal uomoche sia di frutto cereal nudrito,e cui possa del ferro o delle pietreil colpo vïolar, non fia che maiil grande Aiace Telamònio ceda,non allo stesso violento Achilleche di corso bensì, ma fior nol vincenel pugnar di piè fermo. Or noi del campo

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la vittoria invïar; tali nel ferrolampeggianti procedono alla pugna,condottieri di prodi, Idomenèoe Merïone, che primier dicea:Da qual parte in battaglia entrar t'aggrada,o Deucalìde valoroso? a destrao pur nel centro? o sosterrem più tostola sinistra? Gli è quivi, a mio parere,che di soccorso ai nostri è più mestiero.Il centro ha buoni difensor, risposeil re di Creta, ha l'uno e l'altro Aiacee il più prestante saettier de' GreciTeucro, gagliardo combattente insiemea piè fermo. Daran questi ad Ettorre,per audace ch'ei sia, molto travaglionella fervida mischia, e costar carogli faranno il tentar di superarnel'invitta forza, e i minacciati legnicolle fiamme assalir, se pur lo stessoGiove non scenda colle proprie mania gittarvi gl'incendii. A mortal uomoche sia di frutto cereal nudrito,e cui possa del ferro o delle pietreil colpo vïolar, non fia che maiil grande Aiace Telamònio ceda,non allo stesso violento Achilleche di corso bensì, ma fior nol vincenel pugnar di piè fermo. Or noi del campo

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rivolgiamci alla manca, e vediam tostose darem gloria ad altri, od altri a noi.Volâr, ciò detto, alla prefissa meta.I Troiani, veduto Idomenèocome vampa di foco alla lor voltacol suo scudier venirne, orrendo ei puredi scintillanti arnesi, inanimandosé medesmi a vicenda, ad incontrarlimossero tutti di conserto. Allorasurse avanti alle poppe aspro conflitto.A quella guisa che ne' caldi giorni,quando copre le vie la molta polve,s'alza turbo di vento che sollevasibilando di sabbia una gran nube;tali ardendo nel cor di porsi a morteco' ferri acuti, s'attaccâr le schiere.Irto era tutto il campo (orrida vista!)di lunghe aste impugnate, e il ferreo lampodegli usberghi, degli elmi e degli scuditutti in confuso folgoranti e tersifacea barbaglio agli occhi; e stato ei fôraben audace quel cor che vista avessetranquillo e lieto la crudel contesa.Così divisi di favor li duepossenti figli di Saturno, acerbeordìan gravezze ai combattenti eroi.Di qua Giove ai Troiani e al forte Ettorrela vittoria desìa; non ch'egli intero

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rivolgiamci alla manca, e vediam tostose darem gloria ad altri, od altri a noi.Volâr, ciò detto, alla prefissa meta.I Troiani, veduto Idomenèocome vampa di foco alla lor voltacol suo scudier venirne, orrendo ei puredi scintillanti arnesi, inanimandosé medesmi a vicenda, ad incontrarlimossero tutti di conserto. Allorasurse avanti alle poppe aspro conflitto.A quella guisa che ne' caldi giorni,quando copre le vie la molta polve,s'alza turbo di vento che sollevasibilando di sabbia una gran nube;tali ardendo nel cor di porsi a morteco' ferri acuti, s'attaccâr le schiere.Irto era tutto il campo (orrida vista!)di lunghe aste impugnate, e il ferreo lampodegli usberghi, degli elmi e degli scuditutti in confuso folgoranti e tersifacea barbaglio agli occhi; e stato ei fôraben audace quel cor che vista avessetranquillo e lieto la crudel contesa.Così divisi di favor li duepossenti figli di Saturno, acerbeordìan gravezze ai combattenti eroi.Di qua Giove ai Troiani e al forte Ettorrela vittoria desìa; non ch'egli intero

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voglia lo scempio della gente achea,ma sol quanto a innalzar del grande Achillebasti la gloria ed onorar la madre:di là furtivo da' suoi gorghi uscitoNettunno infiamma colla dìa presenzadegli Argivi il coraggio, e del vederlidomi dai Teucri doloroso fremecontro Giove di sdegno. Una è d'entrambil'origine divina e il nascimento:ma nacque Giove il primo, e più sapea.Quindi il minor fratello alla scopertaoso non era d'aitarli, e solocelatamente ed in sembianza umanainfondea loro ardire. A questo modol'un nume e l'altro agli uni e agli altri iniquad'aspre discordie ordiro una catenache né spezzare si potea né sciorre,e che stese di molti al suol la forza.Quantunque sparso di canizie il crine,con vigor fresco allora Idomenèo,fatto ai Greci coraggio, i Teucri assalse,e sbaragliolli, ucciso Otrïonèo.Di Càbeso poc'anzi era costuivenuto al grido della guerra, e a sposala più bella chiedea, senza dotarla,delle fanciulle prïamèe, Cassandra;e l'alta impresa di scacciar da Troialor malgrado gli Achivi impromettea.

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voglia lo scempio della gente achea,ma sol quanto a innalzar del grande Achillebasti la gloria ed onorar la madre:di là furtivo da' suoi gorghi uscitoNettunno infiamma colla dìa presenzadegli Argivi il coraggio, e del vederlidomi dai Teucri doloroso fremecontro Giove di sdegno. Una è d'entrambil'origine divina e il nascimento:ma nacque Giove il primo, e più sapea.Quindi il minor fratello alla scopertaoso non era d'aitarli, e solocelatamente ed in sembianza umanainfondea loro ardire. A questo modol'un nume e l'altro agli uni e agli altri iniquad'aspre discordie ordiro una catenache né spezzare si potea né sciorre,e che stese di molti al suol la forza.Quantunque sparso di canizie il crine,con vigor fresco allora Idomenèo,fatto ai Greci coraggio, i Teucri assalse,e sbaragliolli, ucciso Otrïonèo.Di Càbeso poc'anzi era costuivenuto al grido della guerra, e a sposala più bella chiedea, senza dotarla,delle fanciulle prïamèe, Cassandra;e l'alta impresa di scacciar da Troialor malgrado gli Achivi impromettea.

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Gli avea di questo intenzïon già datail re vecchio e l'assenso, ed animatodalle promesse il vantator pugnavaarditamente, ed incedea superbo.Colla fulgida lancia Idomenèol'adocchiò, lo colpì, gl'infisse il teloin mezzo all'epa dalle piastre invanodel torace difesa. Alto fragorediè cadendo il guerriero, e l'insultandoil vincitor sì disse: Otrïonèo,se tutte che tu festi al re troianoalte promesse adempirai, su tuttii mortali pur io terrotti in pregio.Priamo la figlia ti promise, e noialtra sposa t'offriam, la più leggiadradelle figlie d'Atride, e lei qui tostofarem d'Argo venir, a questo pattoche tu di Troia ad espugnar n'aitila superba città. Dunque ne segui,onde alle navi contrattar le nozze,e suoceri n'avrai larghi e cortesi.Sì dicendo, per mezzo alla battagliastrascinollo d'un piede. A vendicarloavanzossi pedon nanzi al suo carroAsio, e anelanti al tergo gli guidavail fido auriga i corridor. Mentr'eglia ferir d'un bel colpo Idomenèotutto intende il suo cor, questi il prevenne

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Gli avea di questo intenzïon già datail re vecchio e l'assenso, ed animatodalle promesse il vantator pugnavaarditamente, ed incedea superbo.Colla fulgida lancia Idomenèol'adocchiò, lo colpì, gl'infisse il teloin mezzo all'epa dalle piastre invanodel torace difesa. Alto fragorediè cadendo il guerriero, e l'insultandoil vincitor sì disse: Otrïonèo,se tutte che tu festi al re troianoalte promesse adempirai, su tuttii mortali pur io terrotti in pregio.Priamo la figlia ti promise, e noialtra sposa t'offriam, la più leggiadradelle figlie d'Atride, e lei qui tostofarem d'Argo venir, a questo pattoche tu di Troia ad espugnar n'aitila superba città. Dunque ne segui,onde alle navi contrattar le nozze,e suoceri n'avrai larghi e cortesi.Sì dicendo, per mezzo alla battagliastrascinollo d'un piede. A vendicarloavanzossi pedon nanzi al suo carroAsio, e anelanti al tergo gli guidavail fido auriga i corridor. Mentr'eglia ferir d'un bel colpo Idomenèotutto intende il suo cor, questi il prevenne

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e la lancia gli spinse nella golasotto il mento, e passolla. Asio cadéosiccome quercia o pioppo od alto pinocui sul monte tagliâr con raffilatebipenni i fabbri a nautic'uso. Ei giacquelungo a terra disteso innanzi al cocchio,e digrignava i denti, e colle manistrignea rabbioso la cruenta polve.Smarrì l'auriga il cor, né per sottrarsialla man de' nemici addietro osavadar volta al cocchio. Il giunse in quello statoAntìloco coll'asta, e in mezzo al ventrelo trivellò, che nulla lo difesel'interzata lorica. Ei dal bel carroriversossi anelante, ed ai cavallidato di piglio il vincitor, dai Teucrili sospinse agli Achei. D'Asio cadutoDëìfobo dolente colla piccasi strinse addosso al re di Creta, e trasse.Previde il colpo, e curvo Idomenèosotto il grand'orbe si raccolse tuttodello scudo taurin che di fulgenteferro il contorno e doppia avea la guiggia.Riparato da questo egli la puntaschivò dell'asta ostil che sorvolandoveloce delibò nel suo trascorsolo scudo, e secco risonar lo fece.Né indarno uscì dalla man forte il telo,

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e la lancia gli spinse nella golasotto il mento, e passolla. Asio cadéosiccome quercia o pioppo od alto pinocui sul monte tagliâr con raffilatebipenni i fabbri a nautic'uso. Ei giacquelungo a terra disteso innanzi al cocchio,e digrignava i denti, e colle manistrignea rabbioso la cruenta polve.Smarrì l'auriga il cor, né per sottrarsialla man de' nemici addietro osavadar volta al cocchio. Il giunse in quello statoAntìloco coll'asta, e in mezzo al ventrelo trivellò, che nulla lo difesel'interzata lorica. Ei dal bel carroriversossi anelante, ed ai cavallidato di piglio il vincitor, dai Teucrili sospinse agli Achei. D'Asio cadutoDëìfobo dolente colla piccasi strinse addosso al re di Creta, e trasse.Previde il colpo, e curvo Idomenèosotto il grand'orbe si raccolse tuttodello scudo taurin che di fulgenteferro il contorno e doppia avea la guiggia.Riparato da questo egli la puntaschivò dell'asta ostil che sorvolandoveloce delibò nel suo trascorsolo scudo, e secco risonar lo fece.Né indarno uscì dalla man forte il telo,

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ma l'Ippaside Ipsènore percossesotto i precordi, e l'atterrò. Gran vantosi diè sul morto l'uccisor, gridando:Asio non giace inulto, e alle tremendeporte scendendo di Pluton mi sperofia del compagno, ch'io gli do, contento.Contristò degli Achei quel vanto i petti,d'Antìloco su gli altri il bellicosocor ne fu tocco; né lasciò per questoin abbandon l'amico, anzi accorrendolo coprì dello scudo, e lo protessesì che Alastorre e Mecistèo, due caridall'estinto compagni, in su le spallerecarselo potero ed alle navitrasportarlo, mettendo alti lamenti.Non rallentava Idomenèo frattantoil magnanimo core, e vie più semprel'infiammava la brama o di coprirequalche Troiano dell'eterna notte,o far di sua caduta egli medesmorisonante il terren, sol che de' Greciallontani l'eccidio. Era fra' Teucriun caro figlio d'Esïèta, il prodeAlcatòo, già consorte alla maggioredelle figlie d'Anchise Ippodamìa,che al genitor carissima e alla madreonoranda matrona, ogni compagnavincea di volto e di prudenza, esperta

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ma l'Ippaside Ipsènore percossesotto i precordi, e l'atterrò. Gran vantosi diè sul morto l'uccisor, gridando:Asio non giace inulto, e alle tremendeporte scendendo di Pluton mi sperofia del compagno, ch'io gli do, contento.Contristò degli Achei quel vanto i petti,d'Antìloco su gli altri il bellicosocor ne fu tocco; né lasciò per questoin abbandon l'amico, anzi accorrendolo coprì dello scudo, e lo protessesì che Alastorre e Mecistèo, due caridall'estinto compagni, in su le spallerecarselo potero ed alle navitrasportarlo, mettendo alti lamenti.Non rallentava Idomenèo frattantoil magnanimo core, e vie più semprel'infiammava la brama o di coprirequalche Troiano dell'eterna notte,o far di sua caduta egli medesmorisonante il terren, sol che de' Greciallontani l'eccidio. Era fra' Teucriun caro figlio d'Esïèta, il prodeAlcatòo, già consorte alla maggioredelle figlie d'Anchise Ippodamìa,che al genitor carissima e alla madreonoranda matrona, ogni compagnavincea di volto e di prudenza, esperta

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in tutte l'arti di Minerva; ond'ellad'un de' più chiari fra gli eroi fu sposadi quanti Ilio n'avea nel suo gran seno.Ma sotto la cretense asta domolloNettunno; e prima gli annebbiò le luci,poi per le belle membra gli diffusetale un torpor, che né fuggirsi addietroné scansarsi potea, ma immoto e rittocome colonna o pianta alto chiomatastavasi; e tale lo colpì nel pettod'Idomenèo la lancia, e la lorica,della persona inutile difesa,gli traforò. Diè un rauco e sordo suonoil lacerato usbergo; strepitosoAlcatòo cadde, e il battere del corefe' la cima tremar dell'asta infissa,ch'ivi alfin tutta si quetò. Superbodel glorïoso colpo Idomenèoalto sclamò: Dëìfobo, e' ti sembrache ben s'adegui con tre morti il contod'un solo? Inane fu il tuo vanto, o folle.Viemmi a fronte e vedrai qual io mi vegnaqui rampollo di Giove. Ei primo ceppoMinosse generò giusto di Cretaconservator, Minosse il generosoDeucalïone, e questi me nell'ampiaCreta di molto popolo signore;ed ora a Troia mi portâr le navi

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in tutte l'arti di Minerva; ond'ellad'un de' più chiari fra gli eroi fu sposadi quanti Ilio n'avea nel suo gran seno.Ma sotto la cretense asta domolloNettunno; e prima gli annebbiò le luci,poi per le belle membra gli diffusetale un torpor, che né fuggirsi addietroné scansarsi potea, ma immoto e rittocome colonna o pianta alto chiomatastavasi; e tale lo colpì nel pettod'Idomenèo la lancia, e la lorica,della persona inutile difesa,gli traforò. Diè un rauco e sordo suonoil lacerato usbergo; strepitosoAlcatòo cadde, e il battere del corefe' la cima tremar dell'asta infissa,ch'ivi alfin tutta si quetò. Superbodel glorïoso colpo Idomenèoalto sclamò: Dëìfobo, e' ti sembrache ben s'adegui con tre morti il contod'un solo? Inane fu il tuo vanto, o folle.Viemmi a fronte e vedrai qual io mi vegnaqui rampollo di Giove. Ei primo ceppoMinosse generò giusto di Cretaconservator, Minosse il generosoDeucalïone, e questi me nell'ampiaCreta di molto popolo signore;ed ora a Troia mi portâr le navi

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a te fatale e al padre e a tutti i Teucri.Stette all'acre parlar fra due sospesoDëìfobo, se in cerca retrocedad'un valoroso che l'aiuti, o s'eglisi cimenti pur solo. In tal pensieroir d'Anchise al figliuol gli parve il meglio,e negli estremi lo trovò del campostante e il cor roso di perpetuo cruccio,perché lui, che tra' prodi avea gran fama,inonorato il re troian lasciava.Venne a lui dunque, e così disse: Eneachiaro de' Teucri capitan: se curade' congiunti ti tocca, il tuo cognatoesanime soccorri. Andiam, la mortevendichiam d'Alcatòo che un dì maritodi tua sorella t'educò bambino,e ch'or d'Idomenèo l'asta ti spense.Si commosse l'eroe racceso il pettodel desìo della pugna, ed alla voltad'Idomenèo volò. Né già si volsecome fanciullo in fuga il re cretese,ma fermo stette ad aspettarlo. E qualecinghial che sente le sue forze, aspettain solitario loco alla montagnade' cacciator la turba: alto sul dossoarriccia il pelo, e una terribil lucelampeggiando dagli occhi i denti arruota,di sbaragliar le torme impazïente

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a te fatale e al padre e a tutti i Teucri.Stette all'acre parlar fra due sospesoDëìfobo, se in cerca retrocedad'un valoroso che l'aiuti, o s'eglisi cimenti pur solo. In tal pensieroir d'Anchise al figliuol gli parve il meglio,e negli estremi lo trovò del campostante e il cor roso di perpetuo cruccio,perché lui, che tra' prodi avea gran fama,inonorato il re troian lasciava.Venne a lui dunque, e così disse: Eneachiaro de' Teucri capitan: se curade' congiunti ti tocca, il tuo cognatoesanime soccorri. Andiam, la mortevendichiam d'Alcatòo che un dì maritodi tua sorella t'educò bambino,e ch'or d'Idomenèo l'asta ti spense.Si commosse l'eroe racceso il pettodel desìo della pugna, ed alla voltad'Idomenèo volò. Né già si volsecome fanciullo in fuga il re cretese,ma fermo stette ad aspettarlo. E qualecinghial che sente le sue forze, aspettain solitario loco alla montagnade' cacciator la turba: alto sul dossoarriccia il pelo, e una terribil lucelampeggiando dagli occhi i denti arruota,di sbaragliar le torme impazïente

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degli uomini e de' cani: in tal sembianzafermo si stava Idomenèo, l'assaltoaspettando d'Enea. Pur volto a' suoi,Ascàlafo chiamonne ed Afarèoe Dëipìro e Merïone e Antìlocomastri di guerra, e gl'incitò con questeratte parole: Amici, a darmi assaltocorre il figlio d'Anchise: egli è di stragioperator gagliardo, e ciò che formail maggior nerbo, ha pur degli anni il fiore.Io son qui solo, né del par la frescagioventù mi sorride. Ove ciò fosse,con questo cor qui tosto glorïosoo lui mia morte, o me la sua farebbe.Disse, e tutti gli fur concordi al fiancocon gl'inclinati scudi. Enea dall'altraparte eccitando i suoi compagni appellaDëìfobo a soccorso e Pari e il divoAgènore, che tutti eran con essocondottieri de' Teucri, e li seguìamolta man di guerrieri, a simiglianzadi pecorelle che dal prato al fontevan su la traccia del lanoso duce,e ne gode il pastor; tale d'Eneapel seguace squadron l'alma gioisce.Colle lungh'aste intorno ad Alcatòos'azzuffâr questi e quelli. Intorno ai pettiorribilmente risonava il ferro

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degli uomini e de' cani: in tal sembianzafermo si stava Idomenèo, l'assaltoaspettando d'Enea. Pur volto a' suoi,Ascàlafo chiamonne ed Afarèoe Dëipìro e Merïone e Antìlocomastri di guerra, e gl'incitò con questeratte parole: Amici, a darmi assaltocorre il figlio d'Anchise: egli è di stragioperator gagliardo, e ciò che formail maggior nerbo, ha pur degli anni il fiore.Io son qui solo, né del par la frescagioventù mi sorride. Ove ciò fosse,con questo cor qui tosto glorïosoo lui mia morte, o me la sua farebbe.Disse, e tutti gli fur concordi al fiancocon gl'inclinati scudi. Enea dall'altraparte eccitando i suoi compagni appellaDëìfobo a soccorso e Pari e il divoAgènore, che tutti eran con essocondottieri de' Teucri, e li seguìamolta man di guerrieri, a simiglianzadi pecorelle che dal prato al fontevan su la traccia del lanoso duce,e ne gode il pastor; tale d'Eneapel seguace squadron l'alma gioisce.Colle lungh'aste intorno ad Alcatòos'azzuffâr questi e quelli. Intorno ai pettiorribilmente risonava il ferro

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de' combattenti, e due guerrier famosid'Anchise il figlio e il regnator di Cretapari a Marte ambedue con dispietatoferro a vicenda di ferirsi han brama.Trasse primiero Enea, ma visto il colpo,l'avversario schivollo, e tremolanteal suol s'infisse la dardania puntainvan fuggita dalla man robusta.Idomenèo percosse a mezzo il ventreEnòmao. Spezzò l'asta l'incavodella corazza, e gl'intestini incise,sì ch'egli cadde nella polve, e strinsecolle pugna il sabbion. Svelse dal mortola lancia il vincitor, ma le bell'armirapirgli non poteo, ché degli stralil'opprimea la tempesta, e non aveasalde al correr le gambe e al ripigliarsil'asta scagliata, ed a schivar l'ostile.Quindi a piè fermo ei ben sapea per ancola morte allontanar, ma dal conflittomal nel bisogno sottraealo il piede.Dëìfobo che caldo il cor di rabbiasempre in lui mira, vistolo ritrarsia lenti passi, gli avventò, ma indarnopur questa volta, il telo che velocevia trasvolando Ascàlafo raggiunseprole di Marte, e all'omero il trafisse.Ei cadde, e steso brancicò la polve:

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de' combattenti, e due guerrier famosid'Anchise il figlio e il regnator di Cretapari a Marte ambedue con dispietatoferro a vicenda di ferirsi han brama.Trasse primiero Enea, ma visto il colpo,l'avversario schivollo, e tremolanteal suol s'infisse la dardania puntainvan fuggita dalla man robusta.Idomenèo percosse a mezzo il ventreEnòmao. Spezzò l'asta l'incavodella corazza, e gl'intestini incise,sì ch'egli cadde nella polve, e strinsecolle pugna il sabbion. Svelse dal mortola lancia il vincitor, ma le bell'armirapirgli non poteo, ché degli stralil'opprimea la tempesta, e non aveasalde al correr le gambe e al ripigliarsil'asta scagliata, ed a schivar l'ostile.Quindi a piè fermo ei ben sapea per ancola morte allontanar, ma dal conflittomal nel bisogno sottraealo il piede.Dëìfobo che caldo il cor di rabbiasempre in lui mira, vistolo ritrarsia lenti passi, gli avventò, ma indarnopur questa volta, il telo che velocevia trasvolando Ascàlafo raggiunseprole di Marte, e all'omero il trafisse.Ei cadde, e steso brancicò la polve:

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né del caduto figlio allor verunaebbe notizia il vïolento Iddio,che dal comando di Giove impeditostava in quel punto su le vette assisodell'Olimpo, e il coprìa d'oro una nubemisto agli altri Immortali a cui vietatoera dell'armi il sanguinoso ludo.Una pugna crudel sul corpo intantod'Ascàlafo incomincia. Al morto involaDëìfobo il bell'elmo; e Merïonetale sul braccio al rapitor disserradi lancia un colpo, che di man gli sbalzarisonante al terren l'aguzzo elmetto.E qui di nuovo Merïon scagliossicome fiero avoltoio, e dal nemicobraccio sconfitta dell'astil la puntasi ritrasse tra' suoi. Corse al feritoil suo german Polìte, e per traversol'abbracciando il cavò dal rio conflitto,ed in parte venuto ove l'aurigalungi dall'armi co' cavalli il cocchioin pronto gli tenea, questi il portarogemente, afflitto e per la fresca piagatutto sangue la mano alla cittade.Cresce intanto la pugna e al ciel ne vannoimmense grida. Enea d'asta colpiscenella gola Afarèo Caletorìdeche l'investìa di fronte. Riversossi

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né del caduto figlio allor verunaebbe notizia il vïolento Iddio,che dal comando di Giove impeditostava in quel punto su le vette assisodell'Olimpo, e il coprìa d'oro una nubemisto agli altri Immortali a cui vietatoera dell'armi il sanguinoso ludo.Una pugna crudel sul corpo intantod'Ascàlafo incomincia. Al morto involaDëìfobo il bell'elmo; e Merïonetale sul braccio al rapitor disserradi lancia un colpo, che di man gli sbalzarisonante al terren l'aguzzo elmetto.E qui di nuovo Merïon scagliossicome fiero avoltoio, e dal nemicobraccio sconfitta dell'astil la puntasi ritrasse tra' suoi. Corse al feritoil suo german Polìte, e per traversol'abbracciando il cavò dal rio conflitto,ed in parte venuto ove l'aurigalungi dall'armi co' cavalli il cocchioin pronto gli tenea, questi il portarogemente, afflitto e per la fresca piagatutto sangue la mano alla cittade.Cresce intanto la pugna e al ciel ne vannoimmense grida. Enea d'asta colpiscenella gola Afarèo Caletorìdeche l'investìa di fronte. Riversossi

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dall'altra parte il capo, e n'andâr secol'elmo e lo scudo, e lui la morte avvolse.Visto Toone che volgea le terga,Antìloco l'assalta, e al fuggitivonetta incide la vena che pel dossoquanto è lungo scorrendo al collo arriva,netta l'incide, e resupino ei cascanella sabbia, stendendo a' suoi compagniambe le mani. Gli fu ratto addossoAntìloco, e dell'armi il dispogliandogli occhi ai Teucri tenea, che d'ogni parteserrandolo, il lucente ampio pavesegli tempestan di dardi, e mai verunodi tanti teli disfiorar del figliodi Nestore il gentil corpo potea,ché da tutti il guardava attentamentel'Enosigèo Nettunno. Ed il guerriero,non che ritrarsi dai nemici, semprecoll'asta in moto s'avvolgea fra loropronto a ferir da lungi e da vicino.Mentre in cor volge nuovi danni, il vedel'Asïade Adamante, e in lui repenteimpeto fatto colla lancia il ferea mezza targa. Preservò del Grecola vita il nume dalle chiome azzurre,e spezzò le nemica asta che mezzarimase infissa nello scudo a guisad'adusto palo, e mezza giacque a terra.

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dall'altra parte il capo, e n'andâr secol'elmo e lo scudo, e lui la morte avvolse.Visto Toone che volgea le terga,Antìloco l'assalta, e al fuggitivonetta incide la vena che pel dossoquanto è lungo scorrendo al collo arriva,netta l'incide, e resupino ei cascanella sabbia, stendendo a' suoi compagniambe le mani. Gli fu ratto addossoAntìloco, e dell'armi il dispogliandogli occhi ai Teucri tenea, che d'ogni parteserrandolo, il lucente ampio pavesegli tempestan di dardi, e mai verunodi tanti teli disfiorar del figliodi Nestore il gentil corpo potea,ché da tutti il guardava attentamentel'Enosigèo Nettunno. Ed il guerriero,non che ritrarsi dai nemici, semprecoll'asta in moto s'avvolgea fra loropronto a ferir da lungi e da vicino.Mentre in cor volge nuovi danni, il vedel'Asïade Adamante, e in lui repenteimpeto fatto colla lancia il ferea mezza targa. Preservò del Grecola vita il nume dalle chiome azzurre,e spezzò le nemica asta che mezzarimase infissa nello scudo a guisad'adusto palo, e mezza giacque a terra.

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Diede addietro a tal vista il feritoresalvandosi fra' suoi. Ma Merïonespinse l'asta nel ventre al fuggitivofra l'umbilico e il pube, ove del ferroè mortal la ferita, e lo confisse.Cadde il confitto su la lancia, e tuttosi contorcea qual bue, cui di ritortefuni annodato su pel monte a forzastrascinano i bifolchi, e tale anch'eglisi dibattea; ma il suo penar fu breve:ché tosto accorse Merïone, e sveltal'asta dal corpo, l'acchetò per sempre.Grande e battuta su le tracie incudialza Eleno la spada, ed alla tempiaDëìpiro fendendo gli dirompel'elmo, e dal capo glielo sbalza in terra.Ruzzolò risonante la celatafra le gambe agli Achivi, e fu chi tostola raccolse: ma negra eterna notteDëìpiro coperse. Addoloratodel morto amico il buon minore Atride,contro il regale eroe che a morte il mise,minaccioso avanzossi, alto squassandol'acuta lancia; ed Eleno a rincontrol'arco tese. Affrontârsi ambo i guerrieri,bramosi di vibrar quegli la picca,questi lo strale. Saettò primierodi Priamo il figlio, e colpì l'altro al petto

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Diede addietro a tal vista il feritoresalvandosi fra' suoi. Ma Merïonespinse l'asta nel ventre al fuggitivofra l'umbilico e il pube, ove del ferroè mortal la ferita, e lo confisse.Cadde il confitto su la lancia, e tuttosi contorcea qual bue, cui di ritortefuni annodato su pel monte a forzastrascinano i bifolchi, e tale anch'eglisi dibattea; ma il suo penar fu breve:ché tosto accorse Merïone, e sveltal'asta dal corpo, l'acchetò per sempre.Grande e battuta su le tracie incudialza Eleno la spada, ed alla tempiaDëìpiro fendendo gli dirompel'elmo, e dal capo glielo sbalza in terra.Ruzzolò risonante la celatafra le gambe agli Achivi, e fu chi tostola raccolse: ma negra eterna notteDëìpiro coperse. Addoloratodel morto amico il buon minore Atride,contro il regale eroe che a morte il mise,minaccioso avanzossi, alto squassandol'acuta lancia; ed Eleno a rincontrol'arco tese. Affrontârsi ambo i guerrieri,bramosi di vibrar quegli la picca,questi lo strale. Saettò primierodi Priamo il figlio, e colpì l'altro al petto

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nel cavo del torace. Il rio quadrellovia volò di risalto, e a quella guisache per l'aia agitato in largo vaglioal soffiar dell'auretta ed alle scossedel vagliator sussulta della brunafava o del cece l'arido legume;dall'usbergo così di Menelaoresultò risospinto il dardo acerbo.Di risposta l'Atride al suo nemicoferì la man che il liscio arco strignea,e all'arco stesso la confisse. In salvoretrocesse fra' suoi tosto il ferito,cui penzolava dalla man l'infissofrassìneo telo. Glielo svelse alfineil generoso Agènore, e la piagadestramente fasciò d'una lanosafionda che pronta il suo scudier gli avea.Al trïonfante Atride si conversePisandro allor di punta, e negro fatoa cader lo spigneva in rio certamesotto i tuoi colpi, o Menelao. Venutiambo all'assalto, gittò l'asta in falloil figliuolo d'Atrèo. Colse Pisandrolo scudo ostil, ma non passollo il telodalla targa respinto e nell'estremaparte spezzato; nondimen gioinnecolui nel core, e vincitor si tenne.Tratto il fulgido brando, allor l'Atride

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nel cavo del torace. Il rio quadrellovia volò di risalto, e a quella guisache per l'aia agitato in largo vaglioal soffiar dell'auretta ed alle scossedel vagliator sussulta della brunafava o del cece l'arido legume;dall'usbergo così di Menelaoresultò risospinto il dardo acerbo.Di risposta l'Atride al suo nemicoferì la man che il liscio arco strignea,e all'arco stesso la confisse. In salvoretrocesse fra' suoi tosto il ferito,cui penzolava dalla man l'infissofrassìneo telo. Glielo svelse alfineil generoso Agènore, e la piagadestramente fasciò d'una lanosafionda che pronta il suo scudier gli avea.Al trïonfante Atride si conversePisandro allor di punta, e negro fatoa cader lo spigneva in rio certamesotto i tuoi colpi, o Menelao. Venutiambo all'assalto, gittò l'asta in falloil figliuolo d'Atrèo. Colse Pisandrolo scudo ostil, ma non passollo il telodalla targa respinto e nell'estremaparte spezzato; nondimen gioinnecolui nel core, e vincitor si tenne.Tratto il fulgido brando, allor l'Atride

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avventossi al nemico, e questi all'ombradello scudo impugnò ferrata e bellauna bipenne, nel polito e lungomanico inserta di silvestre olivo.Mossero entrambi ad un medesmo tempo.Al cono dell'elmetto irto d'equinechiome sotto il cimier Pisandro indarnola scure dechinò; l'altro lui colsenella fronte, e del naso alla radice.Crepitò l'osso infranto, e sanguinosigli cascâr gli occhi nella polve al piede.Incurvossi cadendo, e Menelaod'un piè calcato dell'ucciso il petto,l'armi n'invola, e glorïoso esclama:Ecco la via per cui de' bellicosiDànai le navi lascerete alfine,perfidi Teucri ognor di sangue ingordi.Vi fu poco l'aver, malvagi cani,con altra fellonia, con altre offesevïolati i miei lari, e del tonanteGiove ospital sprezzata la tremendaira che un giorno svellerà dal fondol'alta vostra città; poco il rapirmiuna giovine sposa e assai ricchezzada nulla ingiuria offesi, anzi a corteseospizio accolti e accarezzati. Or ancodesìo vi strugge di gittar nel mezzodelle navi le fiamme, e degli achivi

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avventossi al nemico, e questi all'ombradello scudo impugnò ferrata e bellauna bipenne, nel polito e lungomanico inserta di silvestre olivo.Mossero entrambi ad un medesmo tempo.Al cono dell'elmetto irto d'equinechiome sotto il cimier Pisandro indarnola scure dechinò; l'altro lui colsenella fronte, e del naso alla radice.Crepitò l'osso infranto, e sanguinosigli cascâr gli occhi nella polve al piede.Incurvossi cadendo, e Menelaod'un piè calcato dell'ucciso il petto,l'armi n'invola, e glorïoso esclama:Ecco la via per cui de' bellicosiDànai le navi lascerete alfine,perfidi Teucri ognor di sangue ingordi.Vi fu poco l'aver, malvagi cani,con altra fellonia, con altre offesevïolati i miei lari, e del tonanteGiove ospital sprezzata la tremendaira che un giorno svellerà dal fondol'alta vostra città; poco il rapirmiuna giovine sposa e assai ricchezzada nulla ingiuria offesi, anzi a corteseospizio accolti e accarezzati. Or ancodesìo vi strugge di gittar nel mezzodelle navi le fiamme, e degli achivi

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eroi far scempio. Ma verrà chi pongavostro malgrado a furor tanto il freno.Giove padre, per certo uomini e Deidi saggezza tu vinci, e nondimenoda te vien tutto sì nefando eccesso,da te de' Teucri difensor, di questasempre d'oltraggi e d'ingiustizie amicarazza iniqua che mai delle rie zuffedi Marte non si sbrama. Il cor di tuttecose alfin sente sazietà, del sonno,della danza, del canto e dell'amore,piacer più cari che la guerra; e maisazi di guerra non saranno i Teucri?Tolse l'armi, ciò detto, a quell'estintodi sangue asperse; e come in man rimessel'ebbe dei suoi, di nuovo all'inimicovolse la faccia nelle prime file.Fiero l'assalse allor di Pilimèneil figlio Arpalïon, che il suo dilettopadre alla guerra accompagnò di Troiaper non mai più redire al patrio lido.S'avanzò, fulminò l'asta nel colmodello scudo d'Atride; e senza effettovisto il suo colpo, s'arretrò salvandofra' suoi la vita, e d'ogni parte attentoguatando che nol giunga asta nemica.Ed ecco dalla man di Merïoneuna freccia volar che al destro clune

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eroi far scempio. Ma verrà chi pongavostro malgrado a furor tanto il freno.Giove padre, per certo uomini e Deidi saggezza tu vinci, e nondimenoda te vien tutto sì nefando eccesso,da te de' Teucri difensor, di questasempre d'oltraggi e d'ingiustizie amicarazza iniqua che mai delle rie zuffedi Marte non si sbrama. Il cor di tuttecose alfin sente sazietà, del sonno,della danza, del canto e dell'amore,piacer più cari che la guerra; e maisazi di guerra non saranno i Teucri?Tolse l'armi, ciò detto, a quell'estintodi sangue asperse; e come in man rimessel'ebbe dei suoi, di nuovo all'inimicovolse la faccia nelle prime file.Fiero l'assalse allor di Pilimèneil figlio Arpalïon, che il suo dilettopadre alla guerra accompagnò di Troiaper non mai più redire al patrio lido.S'avanzò, fulminò l'asta nel colmodello scudo d'Atride; e senza effettovisto il suo colpo, s'arretrò salvandofra' suoi la vita, e d'ogni parte attentoguatando che nol giunga asta nemica.Ed ecco dalla man di Merïoneuna freccia volar che al destro clune

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colse il fuggente, e sotto l'osso accantoalla vescica penetrò diritto.Caduto sul ginocchio egli nel mezzode' cari amici spirando giaceasteso al suol come verme, e in larga venail sangue sul terren facea ruscello.Gli fur dintorno con pietosa curai generosi Paflagoni, e luicollocato sul carro alla cittadeconducean dolorando. Iva con essitutto in lagrime il padre, e dell'uccisofiglio nessuna il consolò vendetta.Pel morto Arpalïon forte crucciossiParide, che cortese ospite l'ebbefra' Paflagoni un tempo, e dalla coccasfrenò di ferrea punta una saetta.Era un certo Euchenòr, dell'indovinoPoliìde figliuol, uom prode e riccoe di Corinto abitator, che appienodel reo suo fato istrutto, avea di Troiaveleggiato alle rive. A lui soventedetto aveva il buon veglio Poliìdeche d'atro morbo nel paterno tetto,o di ferro troiano egli morrebbefra le argoliche navi: e più che morte,di tetra infermità l'aspro martìree degli Achei lo spregio egli temette.Di Paride lo stral colse costui

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colse il fuggente, e sotto l'osso accantoalla vescica penetrò diritto.Caduto sul ginocchio egli nel mezzode' cari amici spirando giaceasteso al suol come verme, e in larga venail sangue sul terren facea ruscello.Gli fur dintorno con pietosa curai generosi Paflagoni, e luicollocato sul carro alla cittadeconducean dolorando. Iva con essitutto in lagrime il padre, e dell'uccisofiglio nessuna il consolò vendetta.Pel morto Arpalïon forte crucciossiParide, che cortese ospite l'ebbefra' Paflagoni un tempo, e dalla coccasfrenò di ferrea punta una saetta.Era un certo Euchenòr, dell'indovinoPoliìde figliuol, uom prode e riccoe di Corinto abitator, che appienodel reo suo fato istrutto, avea di Troiaveleggiato alle rive. A lui soventedetto aveva il buon veglio Poliìdeche d'atro morbo nel paterno tetto,o di ferro troiano egli morrebbefra le argoliche navi: e più che morte,di tetra infermità l'aspro martìree degli Achei lo spregio egli temette.Di Paride lo stral colse costui

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sotto l'orecchio alla mascella, e tostol'abbandonò la vita, ed un orrendoperpetuo buio gli coprì le luci.In questa guisa ardea la pugna, e ancorail diletto di Giove alto guerrieroEttore intesa non avea la strageche di sue genti segue alla sinistradella battaglia, e che omai piega il volola vittoria agli Achei; tale è l'impulso,tale il nerbo e l'ardir di che furtivoli soccorre Nettunno. A quella partestavasi Ettorre, ov'egli avea da primale porte a forza superato e il muro,e rotte degli Achei le dense file.Ivi d'Aiace e di Protesilaocoronavan le navi al secco il lido;e perché da quel lato era più bassoedificato il muro, ivi più fortede' cavalli e de' fanti era la pugna.Ftii, Beozi, Locresi, e colle lunghelor tuniche gl'Ionii e i chiari Epeiivi eran tutti, e tutti a tener lungidalle navi d'Ettorre la rovinaopravano le mani; e tanti insiemea rintuzzar dell'infiammato eroenon bastano la furia. Il fior d'Atenestassi alle prime file, ed il PetìdeMenestèo li conduce, aiutatori

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sotto l'orecchio alla mascella, e tostol'abbandonò la vita, ed un orrendoperpetuo buio gli coprì le luci.In questa guisa ardea la pugna, e ancorail diletto di Giove alto guerrieroEttore intesa non avea la strageche di sue genti segue alla sinistradella battaglia, e che omai piega il volola vittoria agli Achei; tale è l'impulso,tale il nerbo e l'ardir di che furtivoli soccorre Nettunno. A quella partestavasi Ettorre, ov'egli avea da primale porte a forza superato e il muro,e rotte degli Achei le dense file.Ivi d'Aiace e di Protesilaocoronavan le navi al secco il lido;e perché da quel lato era più bassoedificato il muro, ivi più fortede' cavalli e de' fanti era la pugna.Ftii, Beozi, Locresi, e colle lunghelor tuniche gl'Ionii e i chiari Epeiivi eran tutti, e tutti a tener lungidalle navi d'Ettorre la rovinaopravano le mani; e tanti insiemea rintuzzar dell'infiammato eroenon bastano la furia. Il fior d'Atenestassi alle prime file, ed il PetìdeMenestèo li conduce, aiutatori

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Stichio, Fida e Bïante. È degli Epeiduce Megete e Dracio ed Amfïone;de' Ftii Medonte e il pugnator Podarce,Podarce nato del Filàcio Ificlo,Medonte d'Oilèo bastarda prolee d'Aiace fratel, che dal paternosuolo esulando in Fìlace abitava,messo a morte il german della matrignaErïopide d'Oilèo mogliera.Degli eletti di Ftia questi alla testagiunti ai Beozi difendean le navi.Aiace d'Oilèo mai sempre al fiancodel Telamònio combattea. Siccomedue negri buoi d'una medesma voglianella dura maggese il forte aratrotraggono, e al ceppo delle corna intornolargo rompe il sudor, mentre dal sologiogo divisi per lo solco egualistampano i passi, e dietro loro il senosi squarcia della terra; a questa immagopugnavano congiunti i duo guerrieri.Molta e gagliarda gioventù seguivail Telamònio; e quando la faticae il sudor lo fiaccava, i suoi compagniil grave scudo ne prendean. Ma i Locri,a cui poco durar solea l'ardirenella pugna a piè fermo, d'Oilèol'audace figlio non seguìan. Costoro

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Stichio, Fida e Bïante. È degli Epeiduce Megete e Dracio ed Amfïone;de' Ftii Medonte e il pugnator Podarce,Podarce nato del Filàcio Ificlo,Medonte d'Oilèo bastarda prolee d'Aiace fratel, che dal paternosuolo esulando in Fìlace abitava,messo a morte il german della matrignaErïopide d'Oilèo mogliera.Degli eletti di Ftia questi alla testagiunti ai Beozi difendean le navi.Aiace d'Oilèo mai sempre al fiancodel Telamònio combattea. Siccomedue negri buoi d'una medesma voglianella dura maggese il forte aratrotraggono, e al ceppo delle corna intornolargo rompe il sudor, mentre dal sologiogo divisi per lo solco egualistampano i passi, e dietro loro il senosi squarcia della terra; a questa immagopugnavano congiunti i duo guerrieri.Molta e gagliarda gioventù seguivail Telamònio; e quando la faticae il sudor lo fiaccava, i suoi compagniil grave scudo ne prendean. Ma i Locri,a cui poco durar solea l'ardirenella pugna a piè fermo, d'Oilèol'audace figlio non seguìan. Costoro

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non elmi avean d'equino crine ondanti,né tondi scudi, né frassìnee lance,ma d'archi solo armati e di ben tortelanose fionde ad Ilio il seguitaro,e da quest'archi e queste fionde in camposcagliavano la morte, e de' Troianile falangi rompean. Per questo modo,mentre gli Aiaci nella prima frontedi bell'arme precinti alla ruinadel fiero Ettòr fann'argine, al lor tergonascosti i Locri saettando sempree frombolando, le ordinanze tutteturban de' Teucri omai smarriti e rotti.D'alta strage percossi allora i Troida navi e tende si sarìan ritrattial ventoso Ilïon, se non volgeaall'animoso Ettòr queste parolePolidamante: Ettorre, ai saggi avvisitu mal presti l'orecchio. E perché Giovealto ti diede militar favore,vuoi tu forse per questo agli altri ir sopradi prudenza e consiglio? Ad un sol tempotutto aver tu non puoi. Di Giove il sennolargisce a questi la virtù guerriera,l'arte a quei della danza, ad altri il suonoe il canto delle muse, ad altri in pettopon la saggezza che i mortai governae le città conserva; e sànne il prezzo

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non elmi avean d'equino crine ondanti,né tondi scudi, né frassìnee lance,ma d'archi solo armati e di ben tortelanose fionde ad Ilio il seguitaro,e da quest'archi e queste fionde in camposcagliavano la morte, e de' Troianile falangi rompean. Per questo modo,mentre gli Aiaci nella prima frontedi bell'arme precinti alla ruinadel fiero Ettòr fann'argine, al lor tergonascosti i Locri saettando sempree frombolando, le ordinanze tutteturban de' Teucri omai smarriti e rotti.D'alta strage percossi allora i Troida navi e tende si sarìan ritrattial ventoso Ilïon, se non volgeaall'animoso Ettòr queste parolePolidamante: Ettorre, ai saggi avvisitu mal presti l'orecchio. E perché Giovealto ti diede militar favore,vuoi tu forse per questo agli altri ir sopradi prudenza e consiglio? Ad un sol tempotutto aver tu non puoi. Di Giove il sennolargisce a questi la virtù guerriera,l'arte a quei della danza, ad altri il suonoe il canto delle muse, ad altri in pettopon la saggezza che i mortai governae le città conserva; e sànne il prezzo

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chi la possiede. Or io dirò l'avvisoche mi sembra il miglior. Per tutto, il vedi,ti cinge il fuoco della guerra. I Teucri,con magnanimo ardir passato il muro,parte coll'armi già dan volta, e partepugnano ancor, ma pochi incontro a molti,e spersi tutti fra le navi. Or dunquetu ti ritraggi alquanto, e tutti adunaqui del campo i migliori, e delle coseconsultata la somma, si decidase delle navi ritentar si debbal'assalto, ove pur voglia un qualche iddiodarne alfin la vittoria, o se più tornil'abbandonarle illesi. Il cor mi turbaun timor che non paghi oggi il nemicoil debito di ieri. In quelle naviposa un guerrier terribile, che all'armiper mia credenza desterassi in breve.Piacque ad Ettorre il salutar consiglio,e d'un salto gittandosi dal carrogridò: Polidamante, i più gagliarditu qui dunque rattien, ch'io là ne vadoa raddrizzar la pugna, e dato ai nostribuon ordine, farò pronto ritorno.Disse, e ratto partì con elevatocapo, sembiante ad un'eccelsa rupe,e volando chiamava alto de' Teucrie delle schiere collegate i duci,

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chi la possiede. Or io dirò l'avvisoche mi sembra il miglior. Per tutto, il vedi,ti cinge il fuoco della guerra. I Teucri,con magnanimo ardir passato il muro,parte coll'armi già dan volta, e partepugnano ancor, ma pochi incontro a molti,e spersi tutti fra le navi. Or dunquetu ti ritraggi alquanto, e tutti adunaqui del campo i migliori, e delle coseconsultata la somma, si decidase delle navi ritentar si debbal'assalto, ove pur voglia un qualche iddiodarne alfin la vittoria, o se più tornil'abbandonarle illesi. Il cor mi turbaun timor che non paghi oggi il nemicoil debito di ieri. In quelle naviposa un guerrier terribile, che all'armiper mia credenza desterassi in breve.Piacque ad Ettorre il salutar consiglio,e d'un salto gittandosi dal carrogridò: Polidamante, i più gagliarditu qui dunque rattien, ch'io là ne vadoa raddrizzar la pugna, e dato ai nostribuon ordine, farò pronto ritorno.Disse, e ratto partì con elevatocapo, sembiante ad un'eccelsa rupe,e volando chiamava alto de' Teucrie delle schiere collegate i duci,

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che tosto, udita dell'eroe la voce,alla volta correan del PantoìdePolidamante del valore amico.Di Dëìfobo intanto e del regaleEleno e dell'Asïade Adamantee dell'Irtacid'Asio iva per tuttoqua e là tra i primi combattenti Ettorredimandando e cercando. Alfin gli avvennedi ritrovarli, ma non tutti illesiné tutti in vita, ché domati alcunidal ferro acheo giacean nanti alle poppecadaveri deformi, altri tra il murolanguìan feriti di diverso colpo.Dell'orrendo conflitto alla sinistravide egli poscia della bella Argivalo sposo rapitor che i suoi compagniconfortava alla pugna. Gli fu sopra,e acerbe gli tonò queste parole:Ahi funesto di donne ingannatore,che di bello non porti altro che il viso,Dëìfobo dov'è? dove son l'armid'Eleno, d'Asio, d'Adamante? doveOtrïonèo? Dal sommo ecco già tuttoil grand'Ilio precipita, e te purel'ultimo danno, o sciagurato, aspetta.E il bel drudo a rincontro: Ettore, a tortotu mi rampogni. In altri tempi io forseun trascurato mi mostrai, non oggi.

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che tosto, udita dell'eroe la voce,alla volta correan del PantoìdePolidamante del valore amico.Di Dëìfobo intanto e del regaleEleno e dell'Asïade Adamantee dell'Irtacid'Asio iva per tuttoqua e là tra i primi combattenti Ettorredimandando e cercando. Alfin gli avvennedi ritrovarli, ma non tutti illesiné tutti in vita, ché domati alcunidal ferro acheo giacean nanti alle poppecadaveri deformi, altri tra il murolanguìan feriti di diverso colpo.Dell'orrendo conflitto alla sinistravide egli poscia della bella Argivalo sposo rapitor che i suoi compagniconfortava alla pugna. Gli fu sopra,e acerbe gli tonò queste parole:Ahi funesto di donne ingannatore,che di bello non porti altro che il viso,Dëìfobo dov'è? dove son l'armid'Eleno, d'Asio, d'Adamante? doveOtrïonèo? Dal sommo ecco già tuttoil grand'Ilio precipita, e te purel'ultimo danno, o sciagurato, aspetta.E il bel drudo a rincontro: Ettore, a tortotu mi rampogni. In altri tempi io forseun trascurato mi mostrai, non oggi.

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La madre un vile non mi fe'. Dal puntoche il conflitto attaccasti appo le navi,da quel punto qui fermo e senza posacon gli Achei mi travaglio. I valorosidi che tu chiedi, caddero. Due soliDëìfobo ed Elèno ambi alla manoferiti si partîr, sottratti a mortecerto da Giove. Or dove il cor ti dice,guidami: io pronto seguirotti, e quantopotran mie forze, ti farò, mi spero,il mio valor palese. Oltre sua possa,benché abbondi il voler, nessuno è forte.Piegâr quei detti del fratello il core,e di conserva entrambi ove più fervela mischia s'avvïâr. Pugnano quivie Cebrïone e il buon Polidamantee il divin Polifète e Falce e Ortèo,e i tre d'Ippozïon gagliardi figliPalmi, Mori ed Ascanio, dal glebososuol d'Ascania venuti il dì precesso,e spinti all'armi dal voler de' numi.Come di venti impetuosi un turbodal tuon di Giove generato piombasu la campagna, e con fracasso orrendosovra il mar si diffonde: immensi e spessibollono i flutti di canuta spuma,e con fiero mugghiar l'un l'altro incalzaal risonante lido: a questa guisa

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La madre un vile non mi fe'. Dal puntoche il conflitto attaccasti appo le navi,da quel punto qui fermo e senza posacon gli Achei mi travaglio. I valorosidi che tu chiedi, caddero. Due soliDëìfobo ed Elèno ambi alla manoferiti si partîr, sottratti a mortecerto da Giove. Or dove il cor ti dice,guidami: io pronto seguirotti, e quantopotran mie forze, ti farò, mi spero,il mio valor palese. Oltre sua possa,benché abbondi il voler, nessuno è forte.Piegâr quei detti del fratello il core,e di conserva entrambi ove più fervela mischia s'avvïâr. Pugnano quivie Cebrïone e il buon Polidamantee il divin Polifète e Falce e Ortèo,e i tre d'Ippozïon gagliardi figliPalmi, Mori ed Ascanio, dal glebososuol d'Ascania venuti il dì precesso,e spinti all'armi dal voler de' numi.Come di venti impetuosi un turbodal tuon di Giove generato piombasu la campagna, e con fracasso orrendosovra il mar si diffonde: immensi e spessibollono i flutti di canuta spuma,e con fiero mugghiar l'un l'altro incalzaal risonante lido: a questa guisa

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in ristretti drappelli, e gli uni agli altrisuccedenti i Troiani e scintillantitutti nell'armi ne venìan su l'ormede' condottieri, e precorreali Ettorrenon minor del terribile Gradivo.Un tessuto di cuoi tondo brocchierodi molte piastre rinforzato il prodetiensi davanti, ed alle tempie intornotutto lampeggia l'agitato elmetto.Sicuro all'ombra del suo gran pavesepasso passo ei s'avanza, e d'ogni parteforar si studia le nemiche file,e sgominarle. Ma de' petti acheinon si turba il coraggio, e mossi Aiacei larghi passi a provocarlo il primo:Accòstati, gli disse: e che pretenditu fier spavaldo? sgomentar gli Achivi?Non siam nell'arte marzïal fanciulli,e chi ne doma non se' tu, ma Giovecon funesto flagello. Se le navistrugger ti speri, a rintuzzarti prontee noi pur anco abbiam le mani, e tuttastruggeremo noi pria la tua superbacittade. A te predìco io poi che l'oranon è lontana, che tu stesso in fugamanderai preghi a Giove e a tutti i Diviche sian di penna di sparvier più rattii corridori, che, diffuse al vento

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in ristretti drappelli, e gli uni agli altrisuccedenti i Troiani e scintillantitutti nell'armi ne venìan su l'ormede' condottieri, e precorreali Ettorrenon minor del terribile Gradivo.Un tessuto di cuoi tondo brocchierodi molte piastre rinforzato il prodetiensi davanti, ed alle tempie intornotutto lampeggia l'agitato elmetto.Sicuro all'ombra del suo gran pavesepasso passo ei s'avanza, e d'ogni parteforar si studia le nemiche file,e sgominarle. Ma de' petti acheinon si turba il coraggio, e mossi Aiacei larghi passi a provocarlo il primo:Accòstati, gli disse: e che pretenditu fier spavaldo? sgomentar gli Achivi?Non siam nell'arte marzïal fanciulli,e chi ne doma non se' tu, ma Giovecon funesto flagello. Se le navistrugger ti speri, a rintuzzarti prontee noi pur anco abbiam le mani, e tuttastruggeremo noi pria la tua superbacittade. A te predìco io poi che l'oranon è lontana, che tu stesso in fugamanderai preghi a Giove e a tutti i Diviche sian di penna di sparvier più rattii corridori, che, diffuse al vento

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le belle chiome, porteranti a Troiaentro un nembo di polve. - Avea quel fierociò detto appena, che alla dritta in altoun'aquila comparve. Alzâr le gridafatti più franchi a quell'augurio i Greci,ma non fu tardo alla risposta Ettorre:Stupida massa di carname, Aiacemillantator, che parli? Eterno figliocosì foss'io di Giove e dell'augustaGiuno, e onorato al par di Palla e Febo,come m'accerto che funesto a tuttivi sarà questo giorno: e tu fra' mortitu medesmo cadrai, se di mia lanciaavrai l'ardire d'aspettar lo scontro.Rotto da questa e qui disteso il tuovizzo corpaccio di sua pingue polpagli augei di Troia farà sazi e i cani.Così detto, s'avanza, e con immensourlo animosi gli van dopo i Teucri.Dall'altro lato memori gli Achividella virtù guerriera, e del più sceltofiore di Troia intrepidi all'assalto,misero anch'essi un alto grido; e d'ambigli eserciti il clamor ferìa le stellee i raggianti di Giove almi soggiorni.

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le belle chiome, porteranti a Troiaentro un nembo di polve. - Avea quel fierociò detto appena, che alla dritta in altoun'aquila comparve. Alzâr le gridafatti più franchi a quell'augurio i Greci,ma non fu tardo alla risposta Ettorre:Stupida massa di carname, Aiacemillantator, che parli? Eterno figliocosì foss'io di Giove e dell'augustaGiuno, e onorato al par di Palla e Febo,come m'accerto che funesto a tuttivi sarà questo giorno: e tu fra' mortitu medesmo cadrai, se di mia lanciaavrai l'ardire d'aspettar lo scontro.Rotto da questa e qui disteso il tuovizzo corpaccio di sua pingue polpagli augei di Troia farà sazi e i cani.Così detto, s'avanza, e con immensourlo animosi gli van dopo i Teucri.Dall'altro lato memori gli Achividella virtù guerriera, e del più sceltofiore di Troia intrepidi all'assalto,misero anch'essi un alto grido; e d'ambigli eserciti il clamor ferìa le stellee i raggianti di Giove almi soggiorni.

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Libro Decimoquarto

De' combattenti udì l'alto fracassoNestore in quella che una colma tazzaaccostava alle labbra; e d'Esculapiorivolto al figlio: Oh, che mai fia, diss'egli,divino Macaon? Presso alle navidell'usato maggiori odo le gridade' giovani guerrieri. Alla vedettavado a saperne la cagion. Tu siediintanto, e bevi il rubicondo vino,mentre i caldi lavacri t'apparecchiala mia bionda Ecamède, onde del sangue,di che vai sozzo, dilavar la gruma.Del suo figliuol si tolse in questo direil brocchier che giacea dentro la tenda,il fulgido brocchier di Trasimèdeche il paterno portava. Indi una saldaasta d'acuta cuspide impugnatafuor della tenda si sofferma, e vedemiserando spettacolo: cacciatiin fuga i Greci, e alle lor spalle i Teucriinseguenti e furenti, e la muragliadegli Achei rovesciata. Come quandoil vasto mar s'imbruna, e presentendode' rauchi venti il turbine vicino,

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Libro Decimoquarto

De' combattenti udì l'alto fracassoNestore in quella che una colma tazzaaccostava alle labbra; e d'Esculapiorivolto al figlio: Oh, che mai fia, diss'egli,divino Macaon? Presso alle navidell'usato maggiori odo le gridade' giovani guerrieri. Alla vedettavado a saperne la cagion. Tu siediintanto, e bevi il rubicondo vino,mentre i caldi lavacri t'apparecchiala mia bionda Ecamède, onde del sangue,di che vai sozzo, dilavar la gruma.Del suo figliuol si tolse in questo direil brocchier che giacea dentro la tenda,il fulgido brocchier di Trasimèdeche il paterno portava. Indi una saldaasta d'acuta cuspide impugnatafuor della tenda si sofferma, e vedemiserando spettacolo: cacciatiin fuga i Greci, e alle lor spalle i Teucriinseguenti e furenti, e la muragliadegli Achei rovesciata. Come quandoil vasto mar s'imbruna, e presentendode' rauchi venti il turbine vicino,

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tace l'onda atterrita, ed in nessunaparte si volve, finché d'alto scendala procella di Giove; in due pensiericosì del veglio il cor pendea diviso,se fra i rapidi carri de' fuggentiDànai si getti, o se alla volta ei corradel duce Atride Agamennón. Lo meglioquesto gli parve, e s'avvïò. Seguìala mutua strage intanto, e intorno al pettode' combattenti risonava il ferrodalle lance spezzato e dalle spade.Fuor delle navi gli si fêro incontroi re feriti Ulisse e Dïomedee Agamennón. Di questi a fior di lidostavan lungi dall'armi le carene.L'altre, che prime lo toccâr, dedottepiù dentro alla pianura, eran le navia cui dintorno fu costrutto il muro;perocché il lido, benché largo, tuttenon potea contenerle, ed acervatestavan le schiere. Statuiti adunquel'uno appo l'altro, come scala, i legnitutto empieano del lido il lungo senoquanto del mare ne chiudean le gole.Scossi al trambusto, che s'udìa, que' duci,e di saper lo stato impazïentidella battaglia, ne venìan conserti,alle lance appoggiati, e gravi il petto

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tace l'onda atterrita, ed in nessunaparte si volve, finché d'alto scendala procella di Giove; in due pensiericosì del veglio il cor pendea diviso,se fra i rapidi carri de' fuggentiDànai si getti, o se alla volta ei corradel duce Atride Agamennón. Lo meglioquesto gli parve, e s'avvïò. Seguìala mutua strage intanto, e intorno al pettode' combattenti risonava il ferrodalle lance spezzato e dalle spade.Fuor delle navi gli si fêro incontroi re feriti Ulisse e Dïomedee Agamennón. Di questi a fior di lidostavan lungi dall'armi le carene.L'altre, che prime lo toccâr, dedottepiù dentro alla pianura, eran le navia cui dintorno fu costrutto il muro;perocché il lido, benché largo, tuttenon potea contenerle, ed acervatestavan le schiere. Statuiti adunquel'uno appo l'altro, come scala, i legnitutto empieano del lido il lungo senoquanto del mare ne chiudean le gole.Scossi al trambusto, che s'udìa, que' duci,e di saper lo stato impazïentidella battaglia, ne venìan conserti,alle lance appoggiati, e gravi il petto

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d'alta tristezza. Terror loro accrebbedel veglio la comparsa, e Agamennóneelevando la voce: O degli Acheiinclita luce, Nestore Nelìde,perché lasci la pugna, e qui ne vieni?Temo, ohimè! che d'Ettòr non si compiscala minacciata nel troian consessofiera parola di non far ritornonella città, se pria spenti noi tutti,tutte in faville non mettea le navi.Ecco il detto adempirsi. Eterni Dei!Dunque in ira son io, come ad Achille,a tutto il campo acheo, sì che non vogliapiù pugnar dell'armata alla difesa?Ahi! pur troppo l'evento è manifesto,Nestor rispose, né disfare il fattolo stesso tonator Giove potrebbe.Il muro, che de' legni e di noi stessiriparo invitto speravam, quel murocadde, il nemico ne combatte intornocon ostinato ardire e senza posa:né, come che tu l'occhio attento volga,più ti sapresti da qual parte il dannodegli Achivi è maggior, tanto son essialla rinfusa uccisi, e tanti i grididi che l'aria risuona. Or noi qui tosto,se verun più ne resta util consiglio,consultiamo il da farsi. Entrar nel forte

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d'alta tristezza. Terror loro accrebbedel veglio la comparsa, e Agamennóneelevando la voce: O degli Acheiinclita luce, Nestore Nelìde,perché lasci la pugna, e qui ne vieni?Temo, ohimè! che d'Ettòr non si compiscala minacciata nel troian consessofiera parola di non far ritornonella città, se pria spenti noi tutti,tutte in faville non mettea le navi.Ecco il detto adempirsi. Eterni Dei!Dunque in ira son io, come ad Achille,a tutto il campo acheo, sì che non vogliapiù pugnar dell'armata alla difesa?Ahi! pur troppo l'evento è manifesto,Nestor rispose, né disfare il fattolo stesso tonator Giove potrebbe.Il muro, che de' legni e di noi stessiriparo invitto speravam, quel murocadde, il nemico ne combatte intornocon ostinato ardire e senza posa:né, come che tu l'occhio attento volga,più ti sapresti da qual parte il dannodegli Achivi è maggior, tanto son essialla rinfusa uccisi, e tanti i grididi che l'aria risuona. Or noi qui tosto,se verun più ne resta util consiglio,consultiamo il da farsi. Entrar nel forte

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della mischia non io però v'esorto,ché mal combatte il battaglier ferito.Saggio vegliardo, replicò l'Atride,poiché fino alle tende hanno i nemicispinta la pugna, e più non giova il valloné della fossa né dell'alto muro,a cui tanto sudammo, e invïolatoschermo il tenemmo delle navi e nostro,chiaro ne par che al prepossente Giovecaro è il nostro perir su questa rivalungi d'Argo, infamati. Il vidi un tempoproteggere gli Achei; lui veggo adessoi Troiani onorar quanto gli stessibeati Eterni, e incatenar le nostreforze e l'ardir. Mia voce adunque udite.Le navi, che ne stanno in secco al primolembo del lido, si sospingan tuttenel vasto mare, e tutte sieno in altosull'àncora fermate insin che fittagiunga la notte, dal cui velo ascosivarar potremo il resto, ove pur siache ne dian tregua dalla pugna i Teucri.Non è biasmo fuggir di notte ancorail proprio danno, ed è pur sempre il meglioscampar fuggendo, che restar captivo.Lo guatò bieco Ulisse, e gli rispose:Atride, e quale ti fuggì dal labbrorovinosa parola? Imperadore

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della mischia non io però v'esorto,ché mal combatte il battaglier ferito.Saggio vegliardo, replicò l'Atride,poiché fino alle tende hanno i nemicispinta la pugna, e più non giova il valloné della fossa né dell'alto muro,a cui tanto sudammo, e invïolatoschermo il tenemmo delle navi e nostro,chiaro ne par che al prepossente Giovecaro è il nostro perir su questa rivalungi d'Argo, infamati. Il vidi un tempoproteggere gli Achei; lui veggo adessoi Troiani onorar quanto gli stessibeati Eterni, e incatenar le nostreforze e l'ardir. Mia voce adunque udite.Le navi, che ne stanno in secco al primolembo del lido, si sospingan tuttenel vasto mare, e tutte sieno in altosull'àncora fermate insin che fittagiunga la notte, dal cui velo ascosivarar potremo il resto, ove pur siache ne dian tregua dalla pugna i Teucri.Non è biasmo fuggir di notte ancorail proprio danno, ed è pur sempre il meglioscampar fuggendo, che restar captivo.Lo guatò bieco Ulisse, e gli rispose:Atride, e quale ti fuggì dal labbrorovinosa parola? Imperadore

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fossi oh! tu di vigliacchi, e non di noi,di noi che Giove dalla verde etadeinfino alla canuta agli ardui fattidella guerra incitò, finché ciascunovi perisca onorato. E così dunquepuoi tu de' Teucri abbandonar l'alteracittà che tanti già ne costa affanni?Per dio! nol dire, dagli Achei non s'odaquesto sermone, della bocca indegnod'uom di senno e scettrato, e, qual tu sei,di tante schiere capitano. Io primoil tuo parer condanno. Arde la pugna,e tu comandi che nel mar lanciatesien le navi? Ciò fôra un far più certode' Troiani il vantaggio, e più sicuroil nostro eccidio: perocché gli Achiviin quell'opra assaliti, anzi che fermisostener l'inimico, al mar terrannorivolto il viso, a' Teucri il tergo: e alloravedrai funesto, o duce, il tuo consiglio.Rispose Agamennón: La tua pungenterampogna, Ulisse, mi ferì nel core.Ma mia mente non è che lor malgradotraggan le navi in mar gli Achivi; e s'oraaltri sa darne più pensato avviso,sia giovine, sia veglio, io l'avrò caro.Chi darallo n'è presso (il bellicosoTidìde ripigliò), né fia mestieri

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fossi oh! tu di vigliacchi, e non di noi,di noi che Giove dalla verde etadeinfino alla canuta agli ardui fattidella guerra incitò, finché ciascunovi perisca onorato. E così dunquepuoi tu de' Teucri abbandonar l'alteracittà che tanti già ne costa affanni?Per dio! nol dire, dagli Achei non s'odaquesto sermone, della bocca indegnod'uom di senno e scettrato, e, qual tu sei,di tante schiere capitano. Io primoil tuo parer condanno. Arde la pugna,e tu comandi che nel mar lanciatesien le navi? Ciò fôra un far più certode' Troiani il vantaggio, e più sicuroil nostro eccidio: perocché gli Achiviin quell'opra assaliti, anzi che fermisostener l'inimico, al mar terrannorivolto il viso, a' Teucri il tergo: e alloravedrai funesto, o duce, il tuo consiglio.Rispose Agamennón: La tua pungenterampogna, Ulisse, mi ferì nel core.Ma mia mente non è che lor malgradotraggan le navi in mar gli Achivi; e s'oraaltri sa darne più pensato avviso,sia giovine, sia veglio, io l'avrò caro.Chi darallo n'è presso (il bellicosoTidìde ripigliò), né fia mestieri

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cercarlo a lungo, se ascoltar vorrete,né, perché d'anni inferïor vi sono,con disdegno spregiarmi. Anch'io mi vantofiglio d'illustre genitor, del prodeTidèo, di Cadmo nel terren sepolto.Portèo tre figli generò dell'altaCalidone abitanti e di Pleurone,Agrio, Mela ed Enèo, tutti d'egregiovalor, ma tutti li vincea di moltoil cavaliero Enèo padre al mio padre.Ivi egli visse; ma da' numi astrettoa gir vagando il padre mio, sua stanzapose in Argo, e d'Adrasto a moglie tolseuna figlia; e signor di ricchi alberghie di campi frugiferi per moltefile di piante ombrosi, e di fecondocopioso gregge, a tutti ancor gli Argiviei sovrastava nel vibrar dell'asta.Conte vi sono queste cose, io penso,tutte vere; e sapendomi voi quindinato di sangue generoso, a vilenon terrete il mio retto e franco avviso.Orsù, crudel necessità ne spinge.Al campo adunque, tuttoché feriti;e perché piaga a piaga non s'aggiunga,fuor di tiro si resti, ma propinquisì, che possiamo gl'indolenti almenoincitar coll'aspetto e colla voce.

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cercarlo a lungo, se ascoltar vorrete,né, perché d'anni inferïor vi sono,con disdegno spregiarmi. Anch'io mi vantofiglio d'illustre genitor, del prodeTidèo, di Cadmo nel terren sepolto.Portèo tre figli generò dell'altaCalidone abitanti e di Pleurone,Agrio, Mela ed Enèo, tutti d'egregiovalor, ma tutti li vincea di moltoil cavaliero Enèo padre al mio padre.Ivi egli visse; ma da' numi astrettoa gir vagando il padre mio, sua stanzapose in Argo, e d'Adrasto a moglie tolseuna figlia; e signor di ricchi alberghie di campi frugiferi per moltefile di piante ombrosi, e di fecondocopioso gregge, a tutti ancor gli Argiviei sovrastava nel vibrar dell'asta.Conte vi sono queste cose, io penso,tutte vere; e sapendomi voi quindinato di sangue generoso, a vilenon terrete il mio retto e franco avviso.Orsù, crudel necessità ne spinge.Al campo adunque, tuttoché feriti;e perché piaga a piaga non s'aggiunga,fuor di tiro si resti, ma propinquisì, che possiamo gl'indolenti almenoincitar coll'aspetto e colla voce.

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Piacque il consiglio, e s'avvïâr precorsidal re supremo Agamennón. Li videNettunno, e tolte di guerrier canutole sembianze, e per mano preso l'Atride,fe' dal labbro volar queste parole:Atride, or sì che degli Achei la stragee la fuga gioir fa la crudelealma d'Achille, poiché tutto l'iragli tolse il senno. Oh possa egli in mal puntoperire, e d'onta ricoprirlo un Dio!Ma tutti a te non sono irati i numi,e de' Teucri vedrai di nuovo i duciempir di polve il piano, e dalle tendee dalle navi alla città fuggirsi.Disse, e corse, e gridò quanto di noveo dieci mila combattenti alzarsepotrìa, nell'atto d'azzuffarsi, il grido:tanto fu l'urlo che dal vasto pettol'Enosigèo mandò. Risurse in senodegli Achei la fortezza a quella voce,e il desìo di pugnar senza riposo.Su le vette d'Olimpo in aureo tronosedea Giuno, e di là visto il divinosuo cognato e fratel che in gran faccendaper la pugna scorrea, gioinne in core.Sovra il giogo maggior scòrse ella posciadell'irrigua di fonti Ida sedutol'abborrito consorte; e in suo pensiero

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Piacque il consiglio, e s'avvïâr precorsidal re supremo Agamennón. Li videNettunno, e tolte di guerrier canutole sembianze, e per mano preso l'Atride,fe' dal labbro volar queste parole:Atride, or sì che degli Achei la stragee la fuga gioir fa la crudelealma d'Achille, poiché tutto l'iragli tolse il senno. Oh possa egli in mal puntoperire, e d'onta ricoprirlo un Dio!Ma tutti a te non sono irati i numi,e de' Teucri vedrai di nuovo i duciempir di polve il piano, e dalle tendee dalle navi alla città fuggirsi.Disse, e corse, e gridò quanto di noveo dieci mila combattenti alzarsepotrìa, nell'atto d'azzuffarsi, il grido:tanto fu l'urlo che dal vasto pettol'Enosigèo mandò. Risurse in senodegli Achei la fortezza a quella voce,e il desìo di pugnar senza riposo.Su le vette d'Olimpo in aureo tronosedea Giuno, e di là visto il divinosuo cognato e fratel che in gran faccendaper la pugna scorrea, gioinne in core.Sovra il giogo maggior scòrse ella posciadell'irrigua di fonti Ida sedutol'abborrito consorte; e in suo pensiero

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l'augusta Diva a ruminar si mised'ingannarlo una via. Calarsi all'Idain tutto il vezzo della sua persona,infiammarlo d'amor, trarlo rapitodi sua beltà nelle sue braccia, e dolcenelle palpebre e nell'accorta menteinsinuargli il sonno, ecco il partitoche le parve il miglior. Tosto al regalesuo talamo s'avvìa, che a lei l'amatofiglio Vulcano fabbricato aveacon salde porte, e un tal serrame arcanoche aperto non l'avrebbe iddio veruno.Entrovvi: e chiusa la lucente soglia,con ambrosio licor tutto si tersepria l'amabile corpo, e d'oleosaessenza l'irrigò, divina essenzafragrante sì che negli eterni alberghidel Tonante agitata e cielo e terrad'almo profumo rïempìa. Ciò fatto,le belle chiome al pettine commise,e di sua mano intorno all'immortaleaugusto capo le compose in vaghiondeggianti cincinni. Indi il divinopeplo s'indusse, che Minerva aveacon grand'arte intessuto, e con auratefulgide fibbie assicurollo al petto.Poscia i bei fianchi d'un cintiglio a moltefrange ricinse, e ai ben forati orecchi

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l'augusta Diva a ruminar si mised'ingannarlo una via. Calarsi all'Idain tutto il vezzo della sua persona,infiammarlo d'amor, trarlo rapitodi sua beltà nelle sue braccia, e dolcenelle palpebre e nell'accorta menteinsinuargli il sonno, ecco il partitoche le parve il miglior. Tosto al regalesuo talamo s'avvìa, che a lei l'amatofiglio Vulcano fabbricato aveacon salde porte, e un tal serrame arcanoche aperto non l'avrebbe iddio veruno.Entrovvi: e chiusa la lucente soglia,con ambrosio licor tutto si tersepria l'amabile corpo, e d'oleosaessenza l'irrigò, divina essenzafragrante sì che negli eterni alberghidel Tonante agitata e cielo e terrad'almo profumo rïempìa. Ciò fatto,le belle chiome al pettine commise,e di sua mano intorno all'immortaleaugusto capo le compose in vaghiondeggianti cincinni. Indi il divinopeplo s'indusse, che Minerva aveacon grand'arte intessuto, e con auratefulgide fibbie assicurollo al petto.Poscia i bei fianchi d'un cintiglio a moltefrange ricinse, e ai ben forati orecchi

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i gemmati sospese e rilucentisuoi ciondoli a tre gocce. Una leggiadrae chiara come sole intatta bendadopo questo la Diva delle Divesi ravvolse alla fronte. Al piè gentilealfin legossi i bei coturni, e tutteabbigliate le membra uscì pomposa,ed in disparte Venere chiamata,così le disse: Mi sarai tu, cara,d'una grazia cortese? o meco irata,perch'io gli Achivi, e tu li Teucri aiti,negarmela vorrai? - Parla, risposel'alma figlia di Giove: il tuo desiremanifestami intero, o venerandaSaturnia Giuno. Mi comanda il coredi far tutto (se il posso, e se pur lice)il tuo voler, qual sia. - Dammi, ripresela scaltra Giuno, l'amoroso incantoche tutti al dolce tuo poter suggettai mortali e gli Dei. Dell'alma terraai fini estremi a visitar men vadol'antica Teti e l'Oceàn de' numigenerator, che présami da Rea,quando sotto la terra e le profondevoragini del mar di Giove il tuonoprecipitò Saturno, mi nudrirone' lor soggiorni, e m'educâr con moltacura ed affetto. A questi io vado, e solo

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i gemmati sospese e rilucentisuoi ciondoli a tre gocce. Una leggiadrae chiara come sole intatta bendadopo questo la Diva delle Divesi ravvolse alla fronte. Al piè gentilealfin legossi i bei coturni, e tutteabbigliate le membra uscì pomposa,ed in disparte Venere chiamata,così le disse: Mi sarai tu, cara,d'una grazia cortese? o meco irata,perch'io gli Achivi, e tu li Teucri aiti,negarmela vorrai? - Parla, risposel'alma figlia di Giove: il tuo desiremanifestami intero, o venerandaSaturnia Giuno. Mi comanda il coredi far tutto (se il posso, e se pur lice)il tuo voler, qual sia. - Dammi, ripresela scaltra Giuno, l'amoroso incantoche tutti al dolce tuo poter suggettai mortali e gli Dei. Dell'alma terraai fini estremi a visitar men vadol'antica Teti e l'Oceàn de' numigenerator, che présami da Rea,quando sotto la terra e le profondevoragini del mar di Giove il tuonoprecipitò Saturno, mi nudrirone' lor soggiorni, e m'educâr con moltacura ed affetto. A questi io vado, e solo

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per ricomporne una difficil liteond'ei da molto a gravi sdegni in predae di letto e d'amor stansi divisi.Se con parole ad acchetarli arrivoe a rannodarne i cuori, io mi son certache sempre avranmi e veneranda e cara.E l'amica del riso Citerèa,Non lice, replicò, né dêssi a quellache del tonante Iddio dorme sul petto,far di quanto ella vuol niego veruno.Disse; e dal seno il ben trapunto e vagocinto si sciolse, in che raccolte e chiuseerano tutte le lusinghe. V'erad'amor la voluttà, v'era il desiree degli amanti il favellìo segreto,quel dolce favellìo ch'anco de' saggiruba la mente. In man gliel pose, e disse:Prendi questo mio cinto in che si chiudeogni dolcezza, prendilo, e nel senolo ti nascondi, e tornerai, lo spero,tutte ottenute del tuo cor le brame.L'alma Giuno sorrise, e di contentolampeggiando i grand'occhi in quel sorriso,lo si ripose in seno. Alle paternestanze Ciprigna incamminossi: e Giunofrettolosa lasciò l'olimpie cime,e la Pïeria sorvolando e i lietiemazii campi, le nevose vette

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per ricomporne una difficil liteond'ei da molto a gravi sdegni in predae di letto e d'amor stansi divisi.Se con parole ad acchetarli arrivoe a rannodarne i cuori, io mi son certache sempre avranmi e veneranda e cara.E l'amica del riso Citerèa,Non lice, replicò, né dêssi a quellache del tonante Iddio dorme sul petto,far di quanto ella vuol niego veruno.Disse; e dal seno il ben trapunto e vagocinto si sciolse, in che raccolte e chiuseerano tutte le lusinghe. V'erad'amor la voluttà, v'era il desiree degli amanti il favellìo segreto,quel dolce favellìo ch'anco de' saggiruba la mente. In man gliel pose, e disse:Prendi questo mio cinto in che si chiudeogni dolcezza, prendilo, e nel senolo ti nascondi, e tornerai, lo spero,tutte ottenute del tuo cor le brame.L'alma Giuno sorrise, e di contentolampeggiando i grand'occhi in quel sorriso,lo si ripose in seno. Alle paternestanze Ciprigna incamminossi: e Giunofrettolosa lasciò l'olimpie cime,e la Pïeria sorvolando e i lietiemazii campi, le nevose vette

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varcò de' tracii monti, e non toccavacol piè santo la terra. Indi dell'Atosuperate le rupi, all'estuosoPonto discese, e nella sacra Lenno,di Toante città, rattenne il volo.Ivi al fratello della Morte, al Sonnon'andò, lo strinse per la mano, e disse:Sonno, re de' mortali e degli Dei,s'unqua mi festi d'un desìo contenta,or n'è d'uopo, e saprotti eterno grado.Tosto ch'io l'abbia fra mie braccia avvinto,m'addormenta di Giove, amico Dio,le fulgide pupille: ed io d'un seggiod'auro incorrotto ti farò bel dono,che lavoro sarà maravigliosodel mio figlio Vulcan, col suo sgabellosu cui si posi a mensa il tuo bel piede.Saturnia Giuno, veneranda Dea,rispose il Sonno, agevolmente io possoogni altro iddio sopir, ben anche i fluttidel gran fiume Oceàn di tutte cosegeneratore; ma il Saturnio Giovené il toccherò né il sopirò, se tantonon comanda egli stesso. I tuoi medesmicenni di questo m'assennâr quel giornoch'Ercole il suo gran figlio, Ilio distrutto,navigava da Troia. Io su la mentedolce mi sparsi dell'Egìoco Giove,

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varcò de' tracii monti, e non toccavacol piè santo la terra. Indi dell'Atosuperate le rupi, all'estuosoPonto discese, e nella sacra Lenno,di Toante città, rattenne il volo.Ivi al fratello della Morte, al Sonnon'andò, lo strinse per la mano, e disse:Sonno, re de' mortali e degli Dei,s'unqua mi festi d'un desìo contenta,or n'è d'uopo, e saprotti eterno grado.Tosto ch'io l'abbia fra mie braccia avvinto,m'addormenta di Giove, amico Dio,le fulgide pupille: ed io d'un seggiod'auro incorrotto ti farò bel dono,che lavoro sarà maravigliosodel mio figlio Vulcan, col suo sgabellosu cui si posi a mensa il tuo bel piede.Saturnia Giuno, veneranda Dea,rispose il Sonno, agevolmente io possoogni altro iddio sopir, ben anche i fluttidel gran fiume Oceàn di tutte cosegeneratore; ma il Saturnio Giovené il toccherò né il sopirò, se tantonon comanda egli stesso. I tuoi medesmicenni di questo m'assennâr quel giornoch'Ercole il suo gran figlio, Ilio distrutto,navigava da Troia. Io su la mentedolce mi sparsi dell'Egìoco Giove,

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e l'assopii. Tu intanto in tuo segretomacchinando al suo figlio una ruina,di fieri venti sollevasti in mareuna negra procella, e lui svïandodal suo cammin, spingesti a Coo, da tuttii suoi cari lontano. Arse di sdegnodestatosi il Tonante, e per l'Olimposcompigliando i Celesti, in cerca andavadi me fra tutti, e avrìa dal ciel travoltome meschino nel mar, se l'alma Notte,de' numi domatrice e de' mortali,non mi campava fuggitivo. Ei posciaper lo rispetto della bruna Divaplacossi. E salvo da quel rischio appenavuoi che con esso a perigliarmi io torni?Di periglio che parli? e di che temi?gli rispose Giunon; forse t'avvisiche al par del figlio, per cui sdegno il prese,Giove i Teucri protegga? Or via, mi segui,ch'io la minore delle Grazie in moglieti darò, la vezzosa Pasitèa,di cui so che sei vago e sempre amante.Giuralo per la sacra onda di Stige,tutto in gran giubilìo ripiglia il Sonno;e l'alma terra d'una man, coll'altratocca del mar la superficie, e quantistansi intorno a Saturno inferni Deitestimoni ne sian, che mia consorte

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e l'assopii. Tu intanto in tuo segretomacchinando al suo figlio una ruina,di fieri venti sollevasti in mareuna negra procella, e lui svïandodal suo cammin, spingesti a Coo, da tuttii suoi cari lontano. Arse di sdegnodestatosi il Tonante, e per l'Olimposcompigliando i Celesti, in cerca andavadi me fra tutti, e avrìa dal ciel travoltome meschino nel mar, se l'alma Notte,de' numi domatrice e de' mortali,non mi campava fuggitivo. Ei posciaper lo rispetto della bruna Divaplacossi. E salvo da quel rischio appenavuoi che con esso a perigliarmi io torni?Di periglio che parli? e di che temi?gli rispose Giunon; forse t'avvisiche al par del figlio, per cui sdegno il prese,Giove i Teucri protegga? Or via, mi segui,ch'io la minore delle Grazie in moglieti darò, la vezzosa Pasitèa,di cui so che sei vago e sempre amante.Giuralo per la sacra onda di Stige,tutto in gran giubilìo ripiglia il Sonno;e l'alma terra d'una man, coll'altratocca del mar la superficie, e quantistansi intorno a Saturno inferni Deitestimoni ne sian, che mia consorte

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delle Grazie farai la più fanciulla,la gentil Pasitèa cui sempre adoro.Disse; e conforme a quel desir giuravala bianca Diva, e i sotterranei numitutti invocava che Titani han nome.Fatto il gran sacramento, abbandonarod'Imbro e di Lenno le cittadi, e cintidi densa nebbia divorâr la via.D'Ida altrice di belve e di ruscelligiunti alla falda, uscîr della marinaalla punta Lettèa. Preser leggieridel monte la salita, e della selvasotto i lor passi si scotea la cima.Ivi il Sonno arrestossi, e per celarsidi Giove agli occhi un alto abete ascese,che sovrana innalzava al ciel la cima.Quivi s'ascose tra le spesse frondein sembianza d'arguto augel montanoche noi Cimindi, e noman Calci i numi.Con sollecito piede intanto Giunoil Gàrgaro salìa. La vide il sommodelle tempeste adunatore, e prontaal cor gli corse l'amorosa fiamma,siccome il dì che de' parenti al guardosottrattisi gustâr commisti insiemela furtiva d'amor prima dolcezza.Si fece incontro alla consorte, e disse:Giuno, a che vieni dall'Olimpo, e senza

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delle Grazie farai la più fanciulla,la gentil Pasitèa cui sempre adoro.Disse; e conforme a quel desir giuravala bianca Diva, e i sotterranei numitutti invocava che Titani han nome.Fatto il gran sacramento, abbandonarod'Imbro e di Lenno le cittadi, e cintidi densa nebbia divorâr la via.D'Ida altrice di belve e di ruscelligiunti alla falda, uscîr della marinaalla punta Lettèa. Preser leggieridel monte la salita, e della selvasotto i lor passi si scotea la cima.Ivi il Sonno arrestossi, e per celarsidi Giove agli occhi un alto abete ascese,che sovrana innalzava al ciel la cima.Quivi s'ascose tra le spesse frondein sembianza d'arguto augel montanoche noi Cimindi, e noman Calci i numi.Con sollecito piede intanto Giunoil Gàrgaro salìa. La vide il sommodelle tempeste adunatore, e prontaal cor gli corse l'amorosa fiamma,siccome il dì che de' parenti al guardosottrattisi gustâr commisti insiemela furtiva d'amor prima dolcezza.Si fece incontro alla consorte, e disse:Giuno, a che vieni dall'Olimpo, e senza

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cocchio e destrieri? - E a lui la scaltra: Io vadodell'alma terra agli ultimi confinia visitar de' numi il genitoreOceano e Teti, che ne' loro alberghicon grande cura m'educâr fanciulla.Vado a comporne la discordia: ei sonoe di letto e d'amor per ire acerbeda gran tempo divisi. Alle radicid'Ida lasciati ho i miei destrier che rattasu la terra e sul mar mi porteranno.Or qui vengo per te, ché meco irartinon dovessi tu poi se taciturnadel vecchio iddio n'andassi alla magione.Altra volta v'andrai, Giove rispose:Or si gioisca in amoroso amplesso;ché né per donna né per Dea giammaimi si diffuse in cor fiamma sì viva:non quando per la sposa Issïonèa,che Piritòo, divin senno, produsse,arsi d'amor, non quando alla gentilefiglia d'Acrisio generai Persèo,prestantissimo eroe, né quando Europadel divin Radamanto e di Minossepadre mi fece. Né le due di Tebebeltà famose Sèmele ed Alcmena,d'Ercole questa genitrice, e quelladi Bacco dei mortali allegratore;né Cerere la bionda, né Latona,

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cocchio e destrieri? - E a lui la scaltra: Io vadodell'alma terra agli ultimi confinia visitar de' numi il genitoreOceano e Teti, che ne' loro alberghicon grande cura m'educâr fanciulla.Vado a comporne la discordia: ei sonoe di letto e d'amor per ire acerbeda gran tempo divisi. Alle radicid'Ida lasciati ho i miei destrier che rattasu la terra e sul mar mi porteranno.Or qui vengo per te, ché meco irartinon dovessi tu poi se taciturnadel vecchio iddio n'andassi alla magione.Altra volta v'andrai, Giove rispose:Or si gioisca in amoroso amplesso;ché né per donna né per Dea giammaimi si diffuse in cor fiamma sì viva:non quando per la sposa Issïonèa,che Piritòo, divin senno, produsse,arsi d'amor, non quando alla gentilefiglia d'Acrisio generai Persèo,prestantissimo eroe, né quando Europadel divin Radamanto e di Minossepadre mi fece. Né le due di Tebebeltà famose Sèmele ed Alcmena,d'Ercole questa genitrice, e quelladi Bacco dei mortali allegratore;né Cerere la bionda, né Latona,

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né tu stessa giammai, siccome adesso,mi destasti d'amor tanto disìo.E l'ingannevol Diva: Oh che mai parli,importuno! Ascoltar vuoi tu d'amorele fantasie qui d'Ida in su le vettedove tutto si scorge? E se qualcunodegli Dei ne mirasse, e agli altri Eterniconto lo fêsse, rïentrar nel cielocon che fronte ardirei? Ciò fôra indegno.Pur se vera d'amor brama ti punge,al talamo n'andiam, che il tuo dilettofiglio Vulcan ti fabbricò di saldeporte; e quivi di me fa il tuo volere.Né d'uom mortale né d'iddio verunolo sguardo ne vedrà, Giove riprese.Diffonderotti intorno un'aurea nubetal che per essa né del Sol pur ancola vista passerà quantunque acuta.Disse, ed in grembo alla consorte il figliodi Saturno s'infuse: e l'alma terradi sotto germogliò novelle erbettee il rugiadoso loto e il fior di crocoe il giacinto, che in alto li reggeasoffice e folto. Qui corcârsi, e densali ricopriva una dorata nubeche lucida piovea dolce rugiada.Sul Gargaro così queto dormìaGiove in braccio alla Dea, preda d'amore

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né tu stessa giammai, siccome adesso,mi destasti d'amor tanto disìo.E l'ingannevol Diva: Oh che mai parli,importuno! Ascoltar vuoi tu d'amorele fantasie qui d'Ida in su le vettedove tutto si scorge? E se qualcunodegli Dei ne mirasse, e agli altri Eterniconto lo fêsse, rïentrar nel cielocon che fronte ardirei? Ciò fôra indegno.Pur se vera d'amor brama ti punge,al talamo n'andiam, che il tuo dilettofiglio Vulcan ti fabbricò di saldeporte; e quivi di me fa il tuo volere.Né d'uom mortale né d'iddio verunolo sguardo ne vedrà, Giove riprese.Diffonderotti intorno un'aurea nubetal che per essa né del Sol pur ancola vista passerà quantunque acuta.Disse, ed in grembo alla consorte il figliodi Saturno s'infuse: e l'alma terradi sotto germogliò novelle erbettee il rugiadoso loto e il fior di crocoe il giacinto, che in alto li reggeasoffice e folto. Qui corcârsi, e densali ricopriva una dorata nubeche lucida piovea dolce rugiada.Sul Gargaro così queto dormìaGiove in braccio alla Dea, preda d'amore

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e del soave Sonno che velocecorse alle navi ad avvisarne il numescotitor della Terra; e a lui venuto,con presto favellar, T'affretta, ei disse,a soccorrer gli Achivi, o re Nettunno,e almen per poco vincitor li rendifinché Giove si dorme. Io lo ricinsid'un tener sopor mentre ingannatodalla consorte in seno le riposa.Sparve il Sonno, ciò detto, e de' mortalisu l'altere città l'ali distese.Allor Nettunno d'aitar bramosopiù che prima gli Achei, diessi nel mezzoalle file di fronte, alto gridando:Achivi, lascerem di Priamo al figlionoi dunque il vanto di novel trïonfo,e la gloria d'averne arse le navi?Ei certo lo si crede, e vampo mena,perché d'Achille neghittosa è l'ira.Ma d'Achille non fia molto il bisogno,se noi far opra delle man sapremo,e alternarci gli aiuti. Or su, concordiseguiam tutti il mio detto. I più sicurie grandi scudi, che nel campo sièno,imbracciamo, e copriam de' più lucentielmi le teste, e le più lunghe picchestrette in pugno, marciam: io vi precedo,né per forte ch'ei sia l'audace Ettorre,

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e del soave Sonno che velocecorse alle navi ad avvisarne il numescotitor della Terra; e a lui venuto,con presto favellar, T'affretta, ei disse,a soccorrer gli Achivi, o re Nettunno,e almen per poco vincitor li rendifinché Giove si dorme. Io lo ricinsid'un tener sopor mentre ingannatodalla consorte in seno le riposa.Sparve il Sonno, ciò detto, e de' mortalisu l'altere città l'ali distese.Allor Nettunno d'aitar bramosopiù che prima gli Achei, diessi nel mezzoalle file di fronte, alto gridando:Achivi, lascerem di Priamo al figlionoi dunque il vanto di novel trïonfo,e la gloria d'averne arse le navi?Ei certo lo si crede, e vampo mena,perché d'Achille neghittosa è l'ira.Ma d'Achille non fia molto il bisogno,se noi far opra delle man sapremo,e alternarci gli aiuti. Or su, concordiseguiam tutti il mio detto. I più sicurie grandi scudi, che nel campo sièno,imbracciamo, e copriam de' più lucentielmi le teste, e le più lunghe picchestrette in pugno, marciam: io vi precedo,né per forte ch'ei sia l'audace Ettorre,

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l'impeto nostro sosterrà. Chïunqueè guerrier valoroso, e di leggieroscudo si copre, al men valente il ceda,e allo scudo maggior sottentri ei stesso.Obbedîr tutti al cenno. I re medesmiTidìde, Ulisse e Agamennón, sprezzatele lor ferite, in ordinanza a garaponean le schiere, e via dell'armi il cambioper le file facean; le forti al forte,al peggior le peggiori. E poiché tuttidi lucido metallo la personaebber coverta, s'avvïâr. Nettunnoli precorrea, nella robusta manosguäinata portandosi una lungaorrenda spada che parea di Giovela folgore, e mettea nel cor paura.Misero quegli che la scontra in guerra!Dall'altra parte il troian duce i suoipone ei pure in procinto, e senza indugiol'illustre Ettorre ed il ceruleo Dio,l'uno i Greci incorando e l'altro i Teucriuna fiera attaccâr pugna crudele.Gonfiasi il mare, e i padiglioni innondae gli argivi navigli, e con immensoclamor si viene delle schiere al cozzo.Non così la marina onda rimuggedal tracio soffio flagellata al lido;non così freme il foco alla montagna

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l'impeto nostro sosterrà. Chïunqueè guerrier valoroso, e di leggieroscudo si copre, al men valente il ceda,e allo scudo maggior sottentri ei stesso.Obbedîr tutti al cenno. I re medesmiTidìde, Ulisse e Agamennón, sprezzatele lor ferite, in ordinanza a garaponean le schiere, e via dell'armi il cambioper le file facean; le forti al forte,al peggior le peggiori. E poiché tuttidi lucido metallo la personaebber coverta, s'avvïâr. Nettunnoli precorrea, nella robusta manosguäinata portandosi una lungaorrenda spada che parea di Giovela folgore, e mettea nel cor paura.Misero quegli che la scontra in guerra!Dall'altra parte il troian duce i suoipone ei pure in procinto, e senza indugiol'illustre Ettorre ed il ceruleo Dio,l'uno i Greci incorando e l'altro i Teucriuna fiera attaccâr pugna crudele.Gonfiasi il mare, e i padiglioni innondae gli argivi navigli, e con immensoclamor si viene delle schiere al cozzo.Non così la marina onda rimuggedal tracio soffio flagellata al lido;non così freme il foco alla montagna

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quando va furibondo a divorarsil'arida selva; né d'eccelsa querciarugge sì fiero fra le chiome il vento,come orrende de' Teucri e degli Acheinell'assalirsi si sentìan le grida.Contro Aiace, che voltagli la fronte,scaglia Ettorre la lancia, e lo colpisceove del brando e dello scudo il doppiobalteo sul petto si distende; e questodal colpo lo salvò. Visto uscir vanoEttore il telo, di rabbia fremendoin securo fra' suoi si ritraea.Mentr'ei recede, il gran Telamonìdead un sasso, de' molti che ritegnodelle navi giacean sparsi pel campode' combattenti al piè, dato di piglio,l'avventò, lo rotò come palèo,e sul girone dello scudo al pettol'avversario ferì. Con quel fragoreche dal foco di Giove fulminatagiù ruina una quercia, e grave intornodel grave zolfo si diffonde il puzzo:l'arator, che cadersi accanto vedela folgore tremenda, imbianca e trema:così stramazza Ettòr; l'asta abbandonala man, ma dietro gli va scudo ed elmo,e rimbombano l'armi sul caduto.V'accorsero con alti urli gli Achei,

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quando va furibondo a divorarsil'arida selva; né d'eccelsa querciarugge sì fiero fra le chiome il vento,come orrende de' Teucri e degli Acheinell'assalirsi si sentìan le grida.Contro Aiace, che voltagli la fronte,scaglia Ettorre la lancia, e lo colpisceove del brando e dello scudo il doppiobalteo sul petto si distende; e questodal colpo lo salvò. Visto uscir vanoEttore il telo, di rabbia fremendoin securo fra' suoi si ritraea.Mentr'ei recede, il gran Telamonìdead un sasso, de' molti che ritegnodelle navi giacean sparsi pel campode' combattenti al piè, dato di piglio,l'avventò, lo rotò come palèo,e sul girone dello scudo al pettol'avversario ferì. Con quel fragoreche dal foco di Giove fulminatagiù ruina una quercia, e grave intornodel grave zolfo si diffonde il puzzo:l'arator, che cadersi accanto vedela folgore tremenda, imbianca e trema:così stramazza Ettòr; l'asta abbandonala man, ma dietro gli va scudo ed elmo,e rimbombano l'armi sul caduto.V'accorsero con alti urli gli Achei,

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strascinarlo sperandosi, e di stralilo tempestando; ma nessun ferirlopotéo, ché ratti gli fêr serra intornoi più valenti, Enea, Polidamante,Agènore, e de' Licii il condottieroSarpedonte con Glauco, e nulla in sommade' suoi l'abbandonò, ch'altri gli scudigli anteposero, e lunge altri dall'armil'asportâr su le braccia a' suoi velocidestrier che fuori della pugna a luitenea pronti col cocchio il fido auriga.Volâr questi, e portâr l'eroe gementeverso l'alta città; ma giunti al guadodel vorticoso Xanto, ameno fiumegenerato da Giove, ivi dal carroposârlo a terra, gli spruzzâr di frescaonda la fronte, ed ei rinvenne, e apertegirò le luci intorno, e sui ginocchisuffulto vomitò sangue dal petto.Ma di nuovo all'indietro in sul terrenoriversossi; e coll'alma ancor dal colpodoma oscurârsi all'infelice i lumi.Gli Achei, veduto uscir dal campo Ettorre,si fêr più baldi addosso all'inimico,e primo Aiace d'Oilèo d'assaltoSatnio ferì, che Naïde gentilead Enopo pastor lungo il bel fiumeSatnïoente partorito avea.

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strascinarlo sperandosi, e di stralilo tempestando; ma nessun ferirlopotéo, ché ratti gli fêr serra intornoi più valenti, Enea, Polidamante,Agènore, e de' Licii il condottieroSarpedonte con Glauco, e nulla in sommade' suoi l'abbandonò, ch'altri gli scudigli anteposero, e lunge altri dall'armil'asportâr su le braccia a' suoi velocidestrier che fuori della pugna a luitenea pronti col cocchio il fido auriga.Volâr questi, e portâr l'eroe gementeverso l'alta città; ma giunti al guadodel vorticoso Xanto, ameno fiumegenerato da Giove, ivi dal carroposârlo a terra, gli spruzzâr di frescaonda la fronte, ed ei rinvenne, e apertegirò le luci intorno, e sui ginocchisuffulto vomitò sangue dal petto.Ma di nuovo all'indietro in sul terrenoriversossi; e coll'alma ancor dal colpodoma oscurârsi all'infelice i lumi.Gli Achei, veduto uscir dal campo Ettorre,si fêr più baldi addosso all'inimico,e primo Aiace d'Oilèo d'assaltoSatnio ferì, che Naïde gentilead Enopo pastor lungo il bel fiumeSatnïoente partorito avea.

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Lo colpì coll'acuta asta il veloceOilìde nel lombo; ei resupinosi versò nella polve, e intorno a luipiù che mai fiera si scaldò la zuffa.A vendicar l'estinto oltre si spingePolidamante, e tale a Protenorre,figliuol d'Arëilìco, un colpo libra,che tutto la gagliarda asta gli passal'omero destro. Ei cadde, e il suol sanguignocolla palma ghermì. Sovra il cadutomenò gran vanto il vincitor, gridando:Dalla man del magnanimo Pantìdenon uscì, parmi, indarno il telo, e certolo raccolse nel corpo un qualche Acheoche appoggiato a quell'asta or scende a Pluto.Ferì gli Achivi di dolor quel vanto;più che tutti ferì l'alma del grandeTelamonìde, al cui fianco cadutoera quel prode. E tosto al borïoso,che indietro si traea, la folgoranteasta scagliò. Polidamante a temposchivò la morte con un salto obliquo;e ricevella (degli Dei tal eral'aspro decreto) l'antenòreo figlioArchìloco. Lo colse il fatal ferroalla vertebra estrema, ove nel collos'innesta il capo, e ne precise il doppiotendine. Ei cadde, e del meschin la testa,

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Lo colpì coll'acuta asta il veloceOilìde nel lombo; ei resupinosi versò nella polve, e intorno a luipiù che mai fiera si scaldò la zuffa.A vendicar l'estinto oltre si spingePolidamante, e tale a Protenorre,figliuol d'Arëilìco, un colpo libra,che tutto la gagliarda asta gli passal'omero destro. Ei cadde, e il suol sanguignocolla palma ghermì. Sovra il cadutomenò gran vanto il vincitor, gridando:Dalla man del magnanimo Pantìdenon uscì, parmi, indarno il telo, e certolo raccolse nel corpo un qualche Acheoche appoggiato a quell'asta or scende a Pluto.Ferì gli Achivi di dolor quel vanto;più che tutti ferì l'alma del grandeTelamonìde, al cui fianco cadutoera quel prode. E tosto al borïoso,che indietro si traea, la folgoranteasta scagliò. Polidamante a temposchivò la morte con un salto obliquo;e ricevella (degli Dei tal eral'aspro decreto) l'antenòreo figlioArchìloco. Lo colse il fatal ferroalla vertebra estrema, ove nel collos'innesta il capo, e ne precise il doppiotendine. Ei cadde, e del meschin la testa,

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colla bocca davanti e le narici,prima a terra n'andò, che la persona.Alto allora a quel colpo Aiace esclama:Polidamante, oh! guarda, e dinne il vero,non val egli Protènore quest'altroch'io qui posi a giacer? Ned ei mi sembramica de' vili, né d'ignobil seme,ma d'Antènore un figlio, o suo germano;sì n'ha l'impronta della razza in viso.Così parlava infinto, conoscendoben ei l'ucciso. Addolorârsi i Teucri;ma del fratello vindice Acamantea Pròmaco beòzio, che l'estintotraea pe' piedi, fulminò di lanciatale un sùbito colpo, che lo stese.Alto allor grida l'uccisor superbo:O voi guerrieri da balestra, e fortisol di minacce! e voi pur anco, Argivi,morderete la polve, e non saremonoi soli al lutto. Dalla mia man domomirate di che sonno or dorme il vostroPròmaco, e paga del fratello miotosto lo sconto! Perciò preghi ognunodi lasciar dopo sé vendicatoredi sua morte un fratel nel patrio tetto.Destò quel vanto negli Achei lo sdegno:sovra ogni altro crucciossi il bellicosoPenelèo. Si scagliò questi con ira

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colla bocca davanti e le narici,prima a terra n'andò, che la persona.Alto allora a quel colpo Aiace esclama:Polidamante, oh! guarda, e dinne il vero,non val egli Protènore quest'altroch'io qui posi a giacer? Ned ei mi sembramica de' vili, né d'ignobil seme,ma d'Antènore un figlio, o suo germano;sì n'ha l'impronta della razza in viso.Così parlava infinto, conoscendoben ei l'ucciso. Addolorârsi i Teucri;ma del fratello vindice Acamantea Pròmaco beòzio, che l'estintotraea pe' piedi, fulminò di lanciatale un sùbito colpo, che lo stese.Alto allor grida l'uccisor superbo:O voi guerrieri da balestra, e fortisol di minacce! e voi pur anco, Argivi,morderete la polve, e non saremonoi soli al lutto. Dalla mia man domomirate di che sonno or dorme il vostroPròmaco, e paga del fratello miotosto lo sconto! Perciò preghi ognunodi lasciar dopo sé vendicatoredi sua morte un fratel nel patrio tetto.Destò quel vanto negli Achei lo sdegno:sovra ogni altro crucciossi il bellicosoPenelèo. Si scagliò questi con ira

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contro Acamante che del re l'assaltonon attese; ed il colpo a lui direttoIlïonèo percosse, unica proledi Forbante che ricco era di moltogregge; e Mercurio, che d'assai l'amava,di dovizie fra' Troi l'avea cresciuto.Il colse Penelèo sotto le cigliadell'occhio alla radice, e la pupillaschizzandone passar l'asta gli fecevia per l'occhio alla nuca. Ilïonèoassiso cadde colle man distese:ma stretta Penelèo l'acuta spada,gli recise le canne, e il mozzo capo,coll'elmo e l'asta ancor nell'occhio infissa,gli mandò nella polve. Indi l'alzandolanguente in cima alla picca e cadentecome lasso papavero, ai nemicilo mostra, e altero esclama: In nome miodite, o Teucri, del chiaro Ilïonèoai genitor, che per la casa innalzinoil funebre ulular, da che né puredi Pròmaco, figliuol d'Alegenorre,la consorte potrà del caro aspettodel marito gioir quando da Troiafarem ritorno alle paterne rive.Sì disse, e tutti impallidîr di tema,e col guardo ciascun giva cercandodi salvarsi una via. Celesti Muse,

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contro Acamante che del re l'assaltonon attese; ed il colpo a lui direttoIlïonèo percosse, unica proledi Forbante che ricco era di moltogregge; e Mercurio, che d'assai l'amava,di dovizie fra' Troi l'avea cresciuto.Il colse Penelèo sotto le cigliadell'occhio alla radice, e la pupillaschizzandone passar l'asta gli fecevia per l'occhio alla nuca. Ilïonèoassiso cadde colle man distese:ma stretta Penelèo l'acuta spada,gli recise le canne, e il mozzo capo,coll'elmo e l'asta ancor nell'occhio infissa,gli mandò nella polve. Indi l'alzandolanguente in cima alla picca e cadentecome lasso papavero, ai nemicilo mostra, e altero esclama: In nome miodite, o Teucri, del chiaro Ilïonèoai genitor, che per la casa innalzinoil funebre ulular, da che né puredi Pròmaco, figliuol d'Alegenorre,la consorte potrà del caro aspettodel marito gioir quando da Troiafarem ritorno alle paterne rive.Sì disse, e tutti impallidîr di tema,e col guardo ciascun giva cercandodi salvarsi una via. Celesti Muse,

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or voi ne dite chi primier le spogliecruente riportò, poi che agli Achivife' piegar la vittoria il re Nettunno.Primiero Aiace Telamònio uccisede' forti Misii il duce Irzio Girtìde;Antìloco spogliò Falce e Mermèro:da Merïon fu spento Ippozïonecon Mori: a Protoone e PerifeteTeucro diè morte: Menelao nel ventreIperènore colse, e dalla piagatutte ad un tempo uscîr le lacerateintestina e la vita. Altri più moltine spense Aiace d'Oilèo; ché nulloratto al paro di lui gli spaventatifuggitivi inseguìa, quando ne' pettidella fuga il terror Giove mettea.

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or voi ne dite chi primier le spogliecruente riportò, poi che agli Achivife' piegar la vittoria il re Nettunno.Primiero Aiace Telamònio uccisede' forti Misii il duce Irzio Girtìde;Antìloco spogliò Falce e Mermèro:da Merïon fu spento Ippozïonecon Mori: a Protoone e PerifeteTeucro diè morte: Menelao nel ventreIperènore colse, e dalla piagatutte ad un tempo uscîr le lacerateintestina e la vita. Altri più moltine spense Aiace d'Oilèo; ché nulloratto al paro di lui gli spaventatifuggitivi inseguìa, quando ne' pettidella fuga il terror Giove mettea.

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Libro Decimoquinto

Ma poiché il vallo superaro e il fosso,con molta di lor strage, i fuggitivinel viso smorti di terror fermârsiai vôti cocchi; e Giove in quel momentosull'Ida risvegliossi accanto a Giuno.Surse, stette, e gli Achei vide e i Troiani,questi incalzati, e quei coll'aste a tergoincalzanti, e tra loro il re Nettunno.Vide altrove prostrato Ettore, e intornostargli i compagni addolorati, ed essodel sentimento uscito, e dall'anelopetto a gran pena traendo il respironero sangue sboccar; ché non l'aveacerto il più fiacco degli Achei percosso.Pietà sentinne nel vederlo il padrede' mortali e de' numi, e con obliquoterribil occhio guatò Giuno, e disse:Scaltra malvagia, la sottil tua frodedalla pugna cessar fe' il divo Ettorre,e i Troiani fuggir. Non so perch'ioor non t'afferri, e col flagel non facciaa te prima saggiar del dolo il frutto.E non rammenti il dì ch'ambe le manid'aureo nodo infrangibile t'avvinsi,

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Libro Decimoquinto

Ma poiché il vallo superaro e il fosso,con molta di lor strage, i fuggitivinel viso smorti di terror fermârsiai vôti cocchi; e Giove in quel momentosull'Ida risvegliossi accanto a Giuno.Surse, stette, e gli Achei vide e i Troiani,questi incalzati, e quei coll'aste a tergoincalzanti, e tra loro il re Nettunno.Vide altrove prostrato Ettore, e intornostargli i compagni addolorati, ed essodel sentimento uscito, e dall'anelopetto a gran pena traendo il respironero sangue sboccar; ché non l'aveacerto il più fiacco degli Achei percosso.Pietà sentinne nel vederlo il padrede' mortali e de' numi, e con obliquoterribil occhio guatò Giuno, e disse:Scaltra malvagia, la sottil tua frodedalla pugna cessar fe' il divo Ettorre,e i Troiani fuggir. Non so perch'ioor non t'afferri, e col flagel non facciaa te prima saggiar del dolo il frutto.E non rammenti il dì ch'ambe le manid'aureo nodo infrangibile t'avvinsi,

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e alla celeste volta con due graviincudi al piede penzolon t'appesi?Fra l'atre nubi nell'immenso vôtotu pendola ondeggiavi, e per l'eccelsoOlimpo ne fremean di rabbia i Numi,ma sciorti non potean; ché qual di loroafferrato io m'avessi, giù dal cielol'avrei travolto semivivo in terra.Né ciò tutto quetava ancor la bileche mi bollìa nel cor, quando, commossed'Ercole a danno le procelle e i venti,tu pel mar l'agitasti, e macchinandola sua rovina lo svïasti a Coo,donde io salvo poi trassi il travagliatofiglio, e in Argo il raddussi. Ora di questecose ben io farò che ti sovvegna,onde svezzarti dagl'inganni, e tuttoil pro mostrarti de' tuoi falsi amplessi.Raccapricciò d'orror la venerandaGiuno a que' detti; e, Il ciel, la terra attesto(diessi a gridare) e il sotterraneo Stige,che degli Eterni è il più tremendo giuro,ed il sacro tuo capo, e l'illibatod'ogni spergiuro marital mio letto:se agli Achivi soccorse e nocque ai Teucriil re Nettunno, non fu mio consiglio,ma del suo cor spontaneo moto, e piètade' mal condotti Argivi. Esorterollo

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e alla celeste volta con due graviincudi al piede penzolon t'appesi?Fra l'atre nubi nell'immenso vôtotu pendola ondeggiavi, e per l'eccelsoOlimpo ne fremean di rabbia i Numi,ma sciorti non potean; ché qual di loroafferrato io m'avessi, giù dal cielol'avrei travolto semivivo in terra.Né ciò tutto quetava ancor la bileche mi bollìa nel cor, quando, commossed'Ercole a danno le procelle e i venti,tu pel mar l'agitasti, e macchinandola sua rovina lo svïasti a Coo,donde io salvo poi trassi il travagliatofiglio, e in Argo il raddussi. Ora di questecose ben io farò che ti sovvegna,onde svezzarti dagl'inganni, e tuttoil pro mostrarti de' tuoi falsi amplessi.Raccapricciò d'orror la venerandaGiuno a que' detti; e, Il ciel, la terra attesto(diessi a gridare) e il sotterraneo Stige,che degli Eterni è il più tremendo giuro,ed il sacro tuo capo, e l'illibatod'ogni spergiuro marital mio letto:se agli Achivi soccorse e nocque ai Teucriil re Nettunno, non fu mio consiglio,ma del suo cor spontaneo moto, e piètade' mal condotti Argivi. Esorterollo

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anzi io stessa a recarsi, ovunque il chiami,terribile mio sire, il tuo comando.Sorrise Giove, e replicò: Se meconel senato de' numi, augusta Giuno,in un solo voler consentirai,consentiravvi (e sia diversa purela sua mente) ben tosto anco Nettunno.Or tu, se brami che per prova io veggasincero il tuo parlar, rimonta in cielo,e qua m'invìa sull'Ida Iri ed Apollo.Iri nel campo degli Achei discesaa Nettunno farà l'alto precettod'abbandonar la pugna, e di tornarsiai marini soggiorni. Apollo all'armiEttore desterà, novello in pettospirandogli vigor, sì che sanatod'ogni dolore fra gli Achei di nuovosparga la vile paurosa fuga,e gl'incalzi così che fra le navicadan, fuggendo, del Pelìde Achille.Questi allor nella pugna il suo dilettoPatroclo manderà, che morta in campomolta nemica gioventù col divomio figlio Sarpedon, morto egli stessocadrà, prostrato dall'ettòrea lancia.Dell'ucciso compagno irato Achillespegnerà l'uccisore, e da quel puntofarò che sempre sian respinti i Teucri,

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anzi io stessa a recarsi, ovunque il chiami,terribile mio sire, il tuo comando.Sorrise Giove, e replicò: Se meconel senato de' numi, augusta Giuno,in un solo voler consentirai,consentiravvi (e sia diversa purela sua mente) ben tosto anco Nettunno.Or tu, se brami che per prova io veggasincero il tuo parlar, rimonta in cielo,e qua m'invìa sull'Ida Iri ed Apollo.Iri nel campo degli Achei discesaa Nettunno farà l'alto precettod'abbandonar la pugna, e di tornarsiai marini soggiorni. Apollo all'armiEttore desterà, novello in pettospirandogli vigor, sì che sanatod'ogni dolore fra gli Achei di nuovosparga la vile paurosa fuga,e gl'incalzi così che fra le navicadan, fuggendo, del Pelìde Achille.Questi allor nella pugna il suo dilettoPatroclo manderà, che morta in campomolta nemica gioventù col divomio figlio Sarpedon, morto egli stessocadrà, prostrato dall'ettòrea lancia.Dell'ucciso compagno irato Achillespegnerà l'uccisore, e da quel puntofarò che sempre sian respinti i Teucri,

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finché per la divina arte di Pallail superbo Ilïon prendan gli Achei.Né l'ire io deporrò, né che verunodegli Dei qui l'argive armi soccorrasosterrò, se d'Achille in pria non veggoadempirsi il desìo. Così promisi,e le promesse confermai col cennodel mio capo quel dì che i miei ginocchiTeti abbracciando, d'onorar pregommicoll'eccidio de' Greci il suo gran figlio.Disse, e la Diva dalle bianche bracciaobbedïente dall'idèa montagnaall'Olimpo salì. Colla prestezzacon che vola il pensier del vïatore,che scorse molte terre le rïandain suo secreto, e dice: Io quella riva,io quell'altra toccai: colla medesmarattezza allor la veneranda Giunovolò dall'Ida sull'eccelso Olimpo,e sopravvenne agl'Immortali, accoltinelle stanze di Giove. Alzârsi i numitutti al vederla, e coll'ambrosie tazzel'accolsero festosi. Ella, neglettaogni altra offerta, la man porse al nappoappresentato dalla bella Temiche primiera a incontrar corse la Dea,così dicendo: Perché riedi, o Giuno?Tu ne sembri atterrita. Il tuo consorte

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finché per la divina arte di Pallail superbo Ilïon prendan gli Achei.Né l'ire io deporrò, né che verunodegli Dei qui l'argive armi soccorrasosterrò, se d'Achille in pria non veggoadempirsi il desìo. Così promisi,e le promesse confermai col cennodel mio capo quel dì che i miei ginocchiTeti abbracciando, d'onorar pregommicoll'eccidio de' Greci il suo gran figlio.Disse, e la Diva dalle bianche bracciaobbedïente dall'idèa montagnaall'Olimpo salì. Colla prestezzacon che vola il pensier del vïatore,che scorse molte terre le rïandain suo secreto, e dice: Io quella riva,io quell'altra toccai: colla medesmarattezza allor la veneranda Giunovolò dall'Ida sull'eccelso Olimpo,e sopravvenne agl'Immortali, accoltinelle stanze di Giove. Alzârsi i numitutti al vederla, e coll'ambrosie tazzel'accolsero festosi. Ella, neglettaogni altra offerta, la man porse al nappoappresentato dalla bella Temiche primiera a incontrar corse la Dea,così dicendo: Perché riedi, o Giuno?Tu ne sembri atterrita. Il tuo consorte

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n'è forse la cagion? - Non dimandarlo,Giuno rispose. Quell'altero e crudosuo cor tu stessa già conosci, o Diva.Presiedi ai nostri almi convivii, e tostoqui con tutti i Celesti udrai di Giovegli aspri comandi che per mio parerede' mortali fra poco e degli Deile liete mense cangeranno in lutto.Tacque, e s'assise. Contristârsi in cieloi Sempiterni; e Giuno un cotal risoa fior di labbro aprì, ma su le nereciglia la fronte non tornò serena.Ruppe alfin disdegnosa in questi detti:Oh, noi dementi! Inetta è la nostr'iracontra Giove, o Celesti, e il faticarcicon parole a frenarlo o colla forzaè vana impresa. Assiso egli sull'Idané gli cale di noi né si rimovedal suo proposto, ché gli Eterni tuttidi fortezza ei si vanta e di possanzaimmensamente superar. Soffritequindi in pace ogni mal che più gli piacciainviarvi a ciascuno. E a Marte, io credo,il suo già tocca: Ascàlafo, il più carod'ogni mortale al poderoso iddioche proprio sangue lo confessa, è spento.Si batté colle palme la robustaanca Gradivo, e in suon d'alto dolore

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n'è forse la cagion? - Non dimandarlo,Giuno rispose. Quell'altero e crudosuo cor tu stessa già conosci, o Diva.Presiedi ai nostri almi convivii, e tostoqui con tutti i Celesti udrai di Giovegli aspri comandi che per mio parerede' mortali fra poco e degli Deile liete mense cangeranno in lutto.Tacque, e s'assise. Contristârsi in cieloi Sempiterni; e Giuno un cotal risoa fior di labbro aprì, ma su le nereciglia la fronte non tornò serena.Ruppe alfin disdegnosa in questi detti:Oh, noi dementi! Inetta è la nostr'iracontra Giove, o Celesti, e il faticarcicon parole a frenarlo o colla forzaè vana impresa. Assiso egli sull'Idané gli cale di noi né si rimovedal suo proposto, ché gli Eterni tuttidi fortezza ei si vanta e di possanzaimmensamente superar. Soffritequindi in pace ogni mal che più gli piacciainviarvi a ciascuno. E a Marte, io credo,il suo già tocca: Ascàlafo, il più carod'ogni mortale al poderoso iddioche proprio sangue lo confessa, è spento.Si batté colle palme la robustaanca Gradivo, e in suon d'alto dolore

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gridò: Del cielo cittadini eterni,non mi vogliate condannar, s'io scendol'ucciso figlio a vendicar, dovessesteso fra' morti il fulmine di Giovelà tra il sangue gittarmi e tra la polve.Disse; e alla Fuga impose e allo Spaventod'aggiogargli i destrieri; e di fiammantiarmi egli stesso si vestiva. E alloradi ben altro furor contro gli Deidi Giove acceso si sarebbe il core,se per tutti i Celesti impauritanon si spiccava dal suo trono, e rattafuor delle soglie non correa Minervaa strappargli di fronte il rilucenteelmo, e lo scudo dalle spalle: e a forzatoltagli l'asta dalla man gagliarda,la ripose, e il garrì: Cieco furente,tu se' perduto. Per udir non haitu più dunque gli orecchi, e in te col sennospento è pure il pudor? Dell'alma Giuno,ch'or vien da Giove, non intendi i detti?Vuoi tu forse, insensato, esser costrettoa ritornarti doloroso al cielo,fatto di molti mali un rio guadagno,e creata a noi tutta alta sciagura?Perciocché, de' Troiani e degli Acheiabbandonate le contese, ei tostorisalendo all'Olimpo, in iscompiglio

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gridò: Del cielo cittadini eterni,non mi vogliate condannar, s'io scendol'ucciso figlio a vendicar, dovessesteso fra' morti il fulmine di Giovelà tra il sangue gittarmi e tra la polve.Disse; e alla Fuga impose e allo Spaventod'aggiogargli i destrieri; e di fiammantiarmi egli stesso si vestiva. E alloradi ben altro furor contro gli Deidi Giove acceso si sarebbe il core,se per tutti i Celesti impauritanon si spiccava dal suo trono, e rattafuor delle soglie non correa Minervaa strappargli di fronte il rilucenteelmo, e lo scudo dalle spalle: e a forzatoltagli l'asta dalla man gagliarda,la ripose, e il garrì: Cieco furente,tu se' perduto. Per udir non haitu più dunque gli orecchi, e in te col sennospento è pure il pudor? Dell'alma Giuno,ch'or vien da Giove, non intendi i detti?Vuoi tu forse, insensato, esser costrettoa ritornarti doloroso al cielo,fatto di molti mali un rio guadagno,e creata a noi tutta alta sciagura?Perciocché, de' Troiani e degli Acheiabbandonate le contese, ei tostorisalendo all'Olimpo, in iscompiglio

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metterà gl'Immortali, ed afferrandol'un dopo l'altro, od innocenti o rei,noi tutti punirà. Del figlio adunquela vendetta abbandona, io tel comando:ch'altri di lui più prodi o già periroo periranno. Involar tutta a mortede' mortali la schiatta è dura impresa.Sì dicendo, al suo seggio il vïolentoDio ricondusse. Fuor dell'auree soglieGiuno intanto a sé chiama Apollo ed Irila messaggiera, e lor presta sì parla:Ite, Giove l'impon, veloci all'Ida;arrivati colà fissate il guardoin quel volto, e ne fate ogni volere.Ciò detto, indietro ritornò l'augustaGiuno, e di nuovo si compose in trono.Quei mossero volando, e su l'altricedi fontane e di belve Ida discesi,di Saturno trovâr l'onniveggentefiglio sull'erto Gàrgaro seduto;e circonfusa intorno il coronavaun'odorosa nube. Essi del grandedi nembi adunator giunti al cospetto,fermârsi: e satisfatto egli del prontoloro obbedir della consorte ai detti,ad Iri in prima il favellar rivolto,Va, disse, Iri veloce, e al re Nettunnonunzia verace il mio comando esponi.

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metterà gl'Immortali, ed afferrandol'un dopo l'altro, od innocenti o rei,noi tutti punirà. Del figlio adunquela vendetta abbandona, io tel comando:ch'altri di lui più prodi o già periroo periranno. Involar tutta a mortede' mortali la schiatta è dura impresa.Sì dicendo, al suo seggio il vïolentoDio ricondusse. Fuor dell'auree soglieGiuno intanto a sé chiama Apollo ed Irila messaggiera, e lor presta sì parla:Ite, Giove l'impon, veloci all'Ida;arrivati colà fissate il guardoin quel volto, e ne fate ogni volere.Ciò detto, indietro ritornò l'augustaGiuno, e di nuovo si compose in trono.Quei mossero volando, e su l'altricedi fontane e di belve Ida discesi,di Saturno trovâr l'onniveggentefiglio sull'erto Gàrgaro seduto;e circonfusa intorno il coronavaun'odorosa nube. Essi del grandedi nembi adunator giunti al cospetto,fermârsi: e satisfatto egli del prontoloro obbedir della consorte ai detti,ad Iri in prima il favellar rivolto,Va, disse, Iri veloce, e al re Nettunnonunzia verace il mio comando esponi.

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Digli che il campo ei lasci e la battaglia,e al ciel si torni o al mar. Se il cenno mioribelle sprezzerà, pensi ben secose, benché forte, s'avrà cor che bastia sostener l'assalto mio: ricordiche primo io nacqui, e che di forza il vinco,quantunque egli osi a me vantarsi eguale,a me che tutti fo tremar gli Dei.Obbedì la veloce Iri, e discesedalle montagne idèe. Come sospintada fiato d'aquilon serenatoredalle nubi talor vola la neveo la gelida grandine: a tal guisad'Ilio sui campi con rapido voloIri calossi, e al divo Enosigèofattasi innanzi, così prese a dire:Ceruleo Nume, messaggiera io vegnodell'Egìoco signore. Ei ti comandad'abbandonar la pugna, e di far tostoo agli alberghi celesti o al mar ritorno.Se sprezzi il cenno, ed obbedir ricusi,minaccia di venirne egli medesmoteco a battaglia. Ti consiglia quindid'evitar le sue mani; e ti ricordach'ei d'etade è maggiore e di fortezza,quantunque egual vantarti oso tu siaa lui che mette agli altri Dei terrore.Arse d'ira Nettunno, e le rispose:

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Digli che il campo ei lasci e la battaglia,e al ciel si torni o al mar. Se il cenno mioribelle sprezzerà, pensi ben secose, benché forte, s'avrà cor che bastia sostener l'assalto mio: ricordiche primo io nacqui, e che di forza il vinco,quantunque egli osi a me vantarsi eguale,a me che tutti fo tremar gli Dei.Obbedì la veloce Iri, e discesedalle montagne idèe. Come sospintada fiato d'aquilon serenatoredalle nubi talor vola la neveo la gelida grandine: a tal guisad'Ilio sui campi con rapido voloIri calossi, e al divo Enosigèofattasi innanzi, così prese a dire:Ceruleo Nume, messaggiera io vegnodell'Egìoco signore. Ei ti comandad'abbandonar la pugna, e di far tostoo agli alberghi celesti o al mar ritorno.Se sprezzi il cenno, ed obbedir ricusi,minaccia di venirne egli medesmoteco a battaglia. Ti consiglia quindid'evitar le sue mani; e ti ricordach'ei d'etade è maggiore e di fortezza,quantunque egual vantarti oso tu siaa lui che mette agli altri Dei terrore.Arse d'ira Nettunno, e le rispose:

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Ch'ei sia possente il so; ma sue parolesono superbe, se forzar pretendeme suo pari in onor. Figli a Saturnotre germani siam noi da Rea produtti,primo Giove, io secondo, e terzo il siredell'Inferno Pluton. Tutte divisefur le cose in tre parti, e a ciaschedunoil suo regno sortì. Diede la sortel'imperio a me del mar, dell'ombre a Pluto,del cielo a Giove negli aerei campisoggiorno delle nubi. Olimpo e Terrane rimaser comuni, e il sono ancora.Non farò dunque il suo voler; si godapur la sua forza, ma si resti chetonel suo regno, né tenti or colla destracome un vile atterrirmi. Alle fanciulle,ai bamboli suoi figli il terror portidi sue minacce, e meglio fia. Tra questialmen si avrà chi a forza l'obbedisca.Dio del mar, la veloce Iri soggiunse,questa dunque vuoi tu che a Giove io rechidura e forte risposta? E raddolcirlain parte almeno non vorrai? De' buonipieghevole è la mente; e chi primieronacque ha ministre, tu lo sai, l'Erinni.Tu parli, o Diva, il ver, l'altro riprese:e gran ventura è messaggier che avvisaciò che più monta. Ma di sdegno avvampa

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Ch'ei sia possente il so; ma sue parolesono superbe, se forzar pretendeme suo pari in onor. Figli a Saturnotre germani siam noi da Rea produtti,primo Giove, io secondo, e terzo il siredell'Inferno Pluton. Tutte divisefur le cose in tre parti, e a ciaschedunoil suo regno sortì. Diede la sortel'imperio a me del mar, dell'ombre a Pluto,del cielo a Giove negli aerei campisoggiorno delle nubi. Olimpo e Terrane rimaser comuni, e il sono ancora.Non farò dunque il suo voler; si godapur la sua forza, ma si resti chetonel suo regno, né tenti or colla destracome un vile atterrirmi. Alle fanciulle,ai bamboli suoi figli il terror portidi sue minacce, e meglio fia. Tra questialmen si avrà chi a forza l'obbedisca.Dio del mar, la veloce Iri soggiunse,questa dunque vuoi tu che a Giove io rechidura e forte risposta? E raddolcirlain parte almeno non vorrai? De' buonipieghevole è la mente; e chi primieronacque ha ministre, tu lo sai, l'Erinni.Tu parli, o Diva, il ver, l'altro riprese:e gran ventura è messaggier che avvisaciò che più monta. Ma di sdegno avvampa

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il cor quand'egli minaccioso oltraggiame suo pari di grado e di destino.Pur questa volta porrò freno all'ira,e cederò. Ma ben vo' dirti io pure(e dal cor parte la minaccia mia),se Giove, a mio dispetto e di Minervae di Giuno e d'Ermete e di Vulcano,risparmierà dell'alto Ilio le torri,né atterrarle vorrà, né darne interala vittoria agli Achei, sappia che questofia tra noi seme di perpetua guerra.Lasciò, ciò detto, il campo e in mar s'ascose,e ne sentiro la partenza in pettoi combattenti Achei. Si volse alloraGiove ad Apollo, e disse: Or vanne, o caro,al bellicoso Ettòr. Lo scotitoredella terra evitando il nostro sdegnofe' ritorno nel mar. Se ciò non era,della pugna il rimbombo avrìa feritoanche l'orecchio degl'inferni Deistanti intorno a Saturno. Ad ambedueme' però torna che schivato egli abbia,fatto più senno, di mie mani il peso;perché senza sudor la non sarìacerto finita. Or tu la fimbrïataEgida imbraccia, e forte la percoti,e spaventa gli Achei. Cura ti prenda,o Saettante, dell'illustre Ettorre,

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il cor quand'egli minaccioso oltraggiame suo pari di grado e di destino.Pur questa volta porrò freno all'ira,e cederò. Ma ben vo' dirti io pure(e dal cor parte la minaccia mia),se Giove, a mio dispetto e di Minervae di Giuno e d'Ermete e di Vulcano,risparmierà dell'alto Ilio le torri,né atterrarle vorrà, né darne interala vittoria agli Achei, sappia che questofia tra noi seme di perpetua guerra.Lasciò, ciò detto, il campo e in mar s'ascose,e ne sentiro la partenza in pettoi combattenti Achei. Si volse alloraGiove ad Apollo, e disse: Or vanne, o caro,al bellicoso Ettòr. Lo scotitoredella terra evitando il nostro sdegnofe' ritorno nel mar. Se ciò non era,della pugna il rimbombo avrìa feritoanche l'orecchio degl'inferni Deistanti intorno a Saturno. Ad ambedueme' però torna che schivato egli abbia,fatto più senno, di mie mani il peso;perché senza sudor la non sarìacerto finita. Or tu la fimbrïataEgida imbraccia, e forte la percoti,e spaventa gli Achei. Cura ti prenda,o Saettante, dell'illustre Ettorre,

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e tal ne' polsi valentìa gli metti,ch'egli fino alle navi e all'Ellespontocacci in fuga gli Achivi. Allor la viatroverò che i fuggenti abbian respiro.Obbedì pronto Apollo, e dall'idèacima disceso, simile a velocedi colombi uccisor forte sparvierode' volanti il più ratto, al generosoPrïamide n'andò. Dal suol già surtoe risensato il nobile guerrierosedea, ripresa degli astanti amicila conoscenza: perocché, dal puntoche in lui di Giove s'arrestò la mente,l'anelito cessato era e il sudore.Stettegli innanzi il Saettante, e disse:Perché lungi dagli altri e sì spossato,Ettore siedi? e che dolor ti opprime?E a lui con fioca e languida favelladi Priamo il figlio: Chi se' tu che vieni,ottimo nume, a interrogarmi? Ignoriche il forte Aiace, mentre che de' suoialle navi io facea strage, mi colsed'un sasso al petto, e tolsemi le forze?Già l'alma errava su le labbra; e certodi veder mi credetti in questo giornol'ombre de' morti e la magion di Pluto.Fa cor, riprese il Dio: Giove ti mandasoccorritore ed assistente il sire

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e tal ne' polsi valentìa gli metti,ch'egli fino alle navi e all'Ellespontocacci in fuga gli Achivi. Allor la viatroverò che i fuggenti abbian respiro.Obbedì pronto Apollo, e dall'idèacima disceso, simile a velocedi colombi uccisor forte sparvierode' volanti il più ratto, al generosoPrïamide n'andò. Dal suol già surtoe risensato il nobile guerrierosedea, ripresa degli astanti amicila conoscenza: perocché, dal puntoche in lui di Giove s'arrestò la mente,l'anelito cessato era e il sudore.Stettegli innanzi il Saettante, e disse:Perché lungi dagli altri e sì spossato,Ettore siedi? e che dolor ti opprime?E a lui con fioca e languida favelladi Priamo il figlio: Chi se' tu che vieni,ottimo nume, a interrogarmi? Ignoriche il forte Aiace, mentre che de' suoialle navi io facea strage, mi colsed'un sasso al petto, e tolsemi le forze?Già l'alma errava su le labbra; e certodi veder mi credetti in questo giornol'ombre de' morti e la magion di Pluto.Fa cor, riprese il Dio: Giove ti mandasoccorritore ed assistente il sire

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dell'aurea spada, Apolline. Son ioche te finor protessi e queste mura.Or via, sveglia il valor de' numerosisquadroni equestri, ed a spronar gli esortaverso le navi i corridori. Io posciali precedendo spianerò lor tuttala strada, e fugherò gli achivi eroi.Disse, ed al duce una gran forza infuse.Come destrier di molto orzo in riposoalle greppie pasciuto, e nella bellauso a lavarsi correntìa del fiume,rotti i legami, per l'aperto correinsuperbito, e con sonante piedebatte il terren; sul collo agita il crine,alta estolle la testa, e baldanzosodi sua bellezza, al pasco usato ei volaove amor d'erbe il chiama e di puledre:tale, udita del Dio la voce, Ettorremove rapidi i passi, inanimandoi cavalieri. Ma gli Achei, siccomeveltri e villani che un cornuto cervoinseguono, o una damma a cui fa schermoalto dirupo o densa ombra di bosco,poiché lor vieta di pigliarla il fato;se a lor grida s'affaccia in su la viaun barbuto leon colle sbarratemascelle orrende, incontanente tutti,benché animosi, volgono le terga:

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dell'aurea spada, Apolline. Son ioche te finor protessi e queste mura.Or via, sveglia il valor de' numerosisquadroni equestri, ed a spronar gli esortaverso le navi i corridori. Io posciali precedendo spianerò lor tuttala strada, e fugherò gli achivi eroi.Disse, ed al duce una gran forza infuse.Come destrier di molto orzo in riposoalle greppie pasciuto, e nella bellauso a lavarsi correntìa del fiume,rotti i legami, per l'aperto correinsuperbito, e con sonante piedebatte il terren; sul collo agita il crine,alta estolle la testa, e baldanzosodi sua bellezza, al pasco usato ei volaove amor d'erbe il chiama e di puledre:tale, udita del Dio la voce, Ettorremove rapidi i passi, inanimandoi cavalieri. Ma gli Achei, siccomeveltri e villani che un cornuto cervoinseguono, o una damma a cui fa schermoalto dirupo o densa ombra di bosco,poiché lor vieta di pigliarla il fato;se a lor grida s'affaccia in su la viaun barbuto leon colle sbarratemascelle orrende, incontanente tutti,benché animosi, volgono le terga:

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così agli Achei, che stretti infino allorasenza posa inseguito aveano i Teucricolle lance ferendo e colle spade,visto aggirarsi tra le file Ettorre,cadde a tutti il coraggio. Allor si mosseToante Andremonìde, il più gagliardodegli etòli guerrieri. Era costuidi saetta del par che di battagliaa piè fermo perito, e degli Achivipochi in arringhe lo vincean, se garafra giovani nascea nella bell'artedel diserto parlar. - Numi! qual veggogran prodigio? (dicea questo Toante)Dalla Parca scampato, e di bel nuovorisurto Ettorre! E speravam noi tuttiche per le man d'Aiace egli giacesse.Certo qualcuno de' Celesti i giornipreservò di costui, che molti al suolodegli Achivi già stese, e molti ancorane stenderà, mi credo; ché non senzal'altitonante Giove egli sì francoalla testa de' Teucri è ricomparso.Tutti adunque seguiamo il mio consiglio.La turba ai legni si raccosti; e noi,quanti del campo achivo i più valentici vantiamo, stiam fermi e coll'alzateaste vediam di repulsarlo. Io speroche quantunque animoso, ei nella calca

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così agli Achei, che stretti infino allorasenza posa inseguito aveano i Teucricolle lance ferendo e colle spade,visto aggirarsi tra le file Ettorre,cadde a tutti il coraggio. Allor si mosseToante Andremonìde, il più gagliardodegli etòli guerrieri. Era costuidi saetta del par che di battagliaa piè fermo perito, e degli Achivipochi in arringhe lo vincean, se garafra giovani nascea nella bell'artedel diserto parlar. - Numi! qual veggogran prodigio? (dicea questo Toante)Dalla Parca scampato, e di bel nuovorisurto Ettorre! E speravam noi tuttiche per le man d'Aiace egli giacesse.Certo qualcuno de' Celesti i giornipreservò di costui, che molti al suolodegli Achivi già stese, e molti ancorane stenderà, mi credo; ché non senzal'altitonante Giove egli sì francoalla testa de' Teucri è ricomparso.Tutti adunque seguiamo il mio consiglio.La turba ai legni si raccosti; e noi,quanti del campo achivo i più valentici vantiamo, stiam fermi e coll'alzateaste vediam di repulsarlo. Io speroche quantunque animoso, ei nella calca

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entrar non ardirà di scelti eroi.Disse, e tutti obbedîr volonterosi.Ambo gli Aiaci e Teucro e Idomenèoe Merïone e il marzïal Megèteconvocando i migliori, in ordinanzacontro i Teucri ed Ettòr poser la pugna.Verso le navi intanto s'avvïavade' men forti la turba. Allor primierie serrati fêr impeto i Troiani.Li precede a gran passi camminandol'eccelso Ettorre, e lui precede Apollo,che di nebbia i divini omeri avvoltol'irta di fiocchi, orrenda, impetuosaegida tiene, di Vulcano a Gioveammirabile dono, onde tonandoi mortali atterrir. Con questa al braccioguidava i Teucri il Dio contro gli Acheiche stretti insieme n'attendean lo scontro.Surse allor d'ambe parti un alto grido.Dai nervi le saette, e dalle manivedi l'aste volar, altre nel corpode' giovani guerrieri, altre nel mezzo,pria che il corpo saggiar, piantarsi in terradi sangue sitibonde. Infin che immotatenne l'egida Apollo, egual fu d'ambeparti il ferire ed il cader. Ma comedritto guardando l'agitò con fortegrido sul volto degli Achei, gelossi

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entrar non ardirà di scelti eroi.Disse, e tutti obbedîr volonterosi.Ambo gli Aiaci e Teucro e Idomenèoe Merïone e il marzïal Megèteconvocando i migliori, in ordinanzacontro i Teucri ed Ettòr poser la pugna.Verso le navi intanto s'avvïavade' men forti la turba. Allor primierie serrati fêr impeto i Troiani.Li precede a gran passi camminandol'eccelso Ettorre, e lui precede Apollo,che di nebbia i divini omeri avvoltol'irta di fiocchi, orrenda, impetuosaegida tiene, di Vulcano a Gioveammirabile dono, onde tonandoi mortali atterrir. Con questa al braccioguidava i Teucri il Dio contro gli Acheiche stretti insieme n'attendean lo scontro.Surse allor d'ambe parti un alto grido.Dai nervi le saette, e dalle manivedi l'aste volar, altre nel corpode' giovani guerrieri, altre nel mezzo,pria che il corpo saggiar, piantarsi in terradi sangue sitibonde. Infin che immotatenne l'egida Apollo, egual fu d'ambeparti il ferire ed il cader. Ma comedritto guardando l'agitò con fortegrido sul volto degli Achei, gelossi

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ne' lor petti l'ardire e la fortezza.Qual di bovi un armento o un pieno ovileincustodito, all'improvviso arrivodi due belve notturne si scompiglia;così gli Achivi costernârsi; e Apollofra lor spargeva lo spavento, i Teucriesaltando ed Ettorre. Allor turbatal'ordinanza, seguìa strage confusa.Ettore Stichio uccide e Arcesilao,questi a' Beozi capitano, e quegliun compagno fedel del generosoMenestèo. Per le man poscia d'EneaJaso cade e Medonte. Era Medontedel divino Oilèo bastardo figlioe d'Aiace fratel: ma morto avendoun diletto german della matrignaErïopìde d'Oilèo mogliera,dalla paterna terra allontanatoin Filace abitava. Attico duceera Jaso, e figliuol detto venìadel Bucolide Sfelo. A MecistèoPolidamante nelle prime filetolse la vita; ad Echïon Polìte,ed Agenore a Clònio. A Dëijòco,tra quei di fronte in fuga volto, al tergovibra Paride l'asta e lo trafigge.Mentre l'armi rapìan questi agli uccisi,giù nell'irto di pali orrendo fosso

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ne' lor petti l'ardire e la fortezza.Qual di bovi un armento o un pieno ovileincustodito, all'improvviso arrivodi due belve notturne si scompiglia;così gli Achivi costernârsi; e Apollofra lor spargeva lo spavento, i Teucriesaltando ed Ettorre. Allor turbatal'ordinanza, seguìa strage confusa.Ettore Stichio uccide e Arcesilao,questi a' Beozi capitano, e quegliun compagno fedel del generosoMenestèo. Per le man poscia d'EneaJaso cade e Medonte. Era Medontedel divino Oilèo bastardo figlioe d'Aiace fratel: ma morto avendoun diletto german della matrignaErïopìde d'Oilèo mogliera,dalla paterna terra allontanatoin Filace abitava. Attico duceera Jaso, e figliuol detto venìadel Bucolide Sfelo. A MecistèoPolidamante nelle prime filetolse la vita; ad Echïon Polìte,ed Agenore a Clònio. A Dëijòco,tra quei di fronte in fuga volto, al tergovibra Paride l'asta e lo trafigge.Mentre l'armi rapìan questi agli uccisi,giù nell'irto di pali orrendo fosso

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precipitando i fuggitivi Acheid'ogni parte correan, dalla crudelenecessità sospinti, entro il riparodella muraglia: ed alto alle sue schieregridava Ettorre di lasciar le spogliesanguinolente, e sul navile a gittopiombar: Qualunque scorgerò ristarsidalle navi lontan, di propria manol'ucciderò, né morto il metterannosu la pira i fratei né le sorelle,ma innanzi ad Ilio strazieranlo i cani.Sì dicendo, sonar fe' su le groppede' cavalli il flagello e li sospinseper le file, animando ogni guerriero.Dietro al lor duce minacciosi i Teucricon immenso clamor drizzaro i cocchi.Iva Apollo davanti, e col leggierourto del piede lo ciglion del cupofosso abbattendo il riversò nel mezzo,e ad immago di ponte un'ampia stradaspianovvi, e larga come d'asta il tiro,quando a far di sue forze esperimentoun lanciator la scaglia. Essi a falangisu questa via versavansi, ed Apollosempre alla testa, sollevando in altol'egida orrenda, degli Achivi il muroatterrava con quella agevolezzache un fanciullo talor lungo la riva

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precipitando i fuggitivi Acheid'ogni parte correan, dalla crudelenecessità sospinti, entro il riparodella muraglia: ed alto alle sue schieregridava Ettorre di lasciar le spogliesanguinolente, e sul navile a gittopiombar: Qualunque scorgerò ristarsidalle navi lontan, di propria manol'ucciderò, né morto il metterannosu la pira i fratei né le sorelle,ma innanzi ad Ilio strazieranlo i cani.Sì dicendo, sonar fe' su le groppede' cavalli il flagello e li sospinseper le file, animando ogni guerriero.Dietro al lor duce minacciosi i Teucricon immenso clamor drizzaro i cocchi.Iva Apollo davanti, e col leggierourto del piede lo ciglion del cupofosso abbattendo il riversò nel mezzo,e ad immago di ponte un'ampia stradaspianovvi, e larga come d'asta il tiro,quando a far di sue forze esperimentoun lanciator la scaglia. Essi a falangisu questa via versavansi, ed Apollosempre alla testa, sollevando in altol'egida orrenda, degli Achivi il muroatterrava con quella agevolezzache un fanciullo talor lungo la riva

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del mar per giuoco edifica l'arena,e per giuoco co' piedi e colle manipoco poi la rovescia e la rimesce.Tale fu, Febo arcier, l'opra in che tantosudâr gli Achivi, dispergesti, e lorodel gelo della fuga empiesti il petto.Così spinti fermârsi appo le navi,e a vicenda incuorandosi, e le maniai numi alzando, ognun porgea gran voti.Ma più che tutti, degli Achei custode,il Gerènio Nestorre allo stellatocielo le palme sollevando orava:Giove padre, se mai nelle fecondepiagge argive o di tauri o d'agnellettesacrifici offerendo ti pregammodi felice ritorno, e tu promessane festi e cenno, or deh! il ricorda, e lungi,dio pietoso, ne tieni il giorno estremo,né voler sì da' Troi domi gli Achivi.Così pregava. L'udì Giove, e fortetuonò. Ma i Teucri dell'Egìoco Sireudito il segno si scagliâr più fiericontro gli Achivi, ed incalzâr la pugna.Come del mar turbato un vasto fluttoda furia boreal cresciuto e spintorugge e sormonta della nave i fianchi;tali i Teucri con alti urli salirola muraglia, e, cacciati entro i cavalli,

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del mar per giuoco edifica l'arena,e per giuoco co' piedi e colle manipoco poi la rovescia e la rimesce.Tale fu, Febo arcier, l'opra in che tantosudâr gli Achivi, dispergesti, e lorodel gelo della fuga empiesti il petto.Così spinti fermârsi appo le navi,e a vicenda incuorandosi, e le maniai numi alzando, ognun porgea gran voti.Ma più che tutti, degli Achei custode,il Gerènio Nestorre allo stellatocielo le palme sollevando orava:Giove padre, se mai nelle fecondepiagge argive o di tauri o d'agnellettesacrifici offerendo ti pregammodi felice ritorno, e tu promessane festi e cenno, or deh! il ricorda, e lungi,dio pietoso, ne tieni il giorno estremo,né voler sì da' Troi domi gli Achivi.Così pregava. L'udì Giove, e fortetuonò. Ma i Teucri dell'Egìoco Sireudito il segno si scagliâr più fiericontro gli Achivi, ed incalzâr la pugna.Come del mar turbato un vasto fluttoda furia boreal cresciuto e spintorugge e sormonta della nave i fianchi;tali i Teucri con alti urli salirola muraglia, e, cacciati entro i cavalli,

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coll'aste incominciâr sotto le poppeun conflitto crudel, questi su i cocchi,quei sul bordo de' legni colle lunghe,che dentro vi giacean, stanghe commesse,ed al bisogno di naval battagliaaccomodate colle ferree teste.Finché fuor del navile intorno al muroarse de' Teucri e degli Achei la pugna,del valoroso Eurìpilo si stettePatroclo nella tenda, e ragionandoil ricreava, e sull'acerba piagadell'amico, a placarne ogni dolore,obblivïosi farmaci spargea.Ma tosto che mirò su l'arduo murosaliti a furia i Teucri, e l'urlo sursedegli Achivi e la fuga, in lai proruppe,e battendosi l'anca, Ohimè! diss'egliin suono di lamento, una ferocemischia là veggo. Non mi lice, Eurìpilo,all'uopo che pur n'hai, teco indugiarmipiù lungamente: assisteratti il servo;io ne volo ad Achille onde eccitarloalla pugna. Chi sa? forse un propizionume darammi che mia voce il tocchi;degli amici il pregar va dolce al core.Così detto, volò. Gli Achivi intantofermi de' Teucri sostenean l'assalto;ma dalle navi non sapean, quantunque

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coll'aste incominciâr sotto le poppeun conflitto crudel, questi su i cocchi,quei sul bordo de' legni colle lunghe,che dentro vi giacean, stanghe commesse,ed al bisogno di naval battagliaaccomodate colle ferree teste.Finché fuor del navile intorno al muroarse de' Teucri e degli Achei la pugna,del valoroso Eurìpilo si stettePatroclo nella tenda, e ragionandoil ricreava, e sull'acerba piagadell'amico, a placarne ogni dolore,obblivïosi farmaci spargea.Ma tosto che mirò su l'arduo murosaliti a furia i Teucri, e l'urlo sursedegli Achivi e la fuga, in lai proruppe,e battendosi l'anca, Ohimè! diss'egliin suono di lamento, una ferocemischia là veggo. Non mi lice, Eurìpilo,all'uopo che pur n'hai, teco indugiarmipiù lungamente: assisteratti il servo;io ne volo ad Achille onde eccitarloalla pugna. Chi sa? forse un propizionume darammi che mia voce il tocchi;degli amici il pregar va dolce al core.Così detto, volò. Gli Achivi intantofermi de' Teucri sostenean l'assalto;ma dalle navi non sapean, quantunque

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di numero minori, allontanarli;né i Troiani potean romper de' Grecile stipate falangi, e insinuarsitra le navi e le tende. E a quella guisache in man di fabbro da Minerva istrutto,il rigo una naval trave pareggia;così de' Teucri egual si diffondeae degli Achei la pugna; ed altri a questanave attacca la zuffa, ed altri a quella.Ma contro Aiace dispiccato Ettorre,intorno ad un sol legno ambo gli eroitravagliansi, né questi era possentea fugar quello e il combattuto pinoincendere, né quegli a tener lungequesto, ché un nume ve l'avea condotto.Colpì coll'asta il Telamònio alloraCaletore di Clìzio in mezzo al petto,mentre alle navi già venìa col foco.Rimbombò nel cadere, e dalla manocascògli il tizzo. Come vide Ettorreriverso nella polve anzi alla poppail consobrino, alzò la voce, e i suoianimando gridò: Licii, Troiani,Dardani bellicosi, ah dalla pugnanon ritraete in questo stremo il piede!Deh non patite che di Clìzio il figlio,da valoroso nel pugnar caduto,sia dell'armi dispoglio. - E sì dicendo,

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di numero minori, allontanarli;né i Troiani potean romper de' Grecile stipate falangi, e insinuarsitra le navi e le tende. E a quella guisache in man di fabbro da Minerva istrutto,il rigo una naval trave pareggia;così de' Teucri egual si diffondeae degli Achei la pugna; ed altri a questanave attacca la zuffa, ed altri a quella.Ma contro Aiace dispiccato Ettorre,intorno ad un sol legno ambo gli eroitravagliansi, né questi era possentea fugar quello e il combattuto pinoincendere, né quegli a tener lungequesto, ché un nume ve l'avea condotto.Colpì coll'asta il Telamònio alloraCaletore di Clìzio in mezzo al petto,mentre alle navi già venìa col foco.Rimbombò nel cadere, e dalla manocascògli il tizzo. Come vide Ettorreriverso nella polve anzi alla poppail consobrino, alzò la voce, e i suoianimando gridò: Licii, Troiani,Dardani bellicosi, ah dalla pugnanon ritraete in questo stremo il piede!Deh non patite che di Clìzio il figlio,da valoroso nel pugnar caduto,sia dell'armi dispoglio. - E sì dicendo,

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Aiace saettò colla fulgentelancia, ma in fallo; e Licofron percossedi Mastore figliuol che reo di sanguedalla sacra Citera esule venneal Telamònio, e v'ebbe asilo, e posciasuo scudiero il seguì. Lo giunse il ferronella testa, da presso al suo signore,sul confin dell'orecchia: e dalla popparesupino il travolse nella polve.Raccapriccionne Aiace, e a Teucro disse:Caro fratel, n'è spento il fido amicoMastoride che noi ne' nostri tettida Citera ramingo in pregio avemmoquanto i diletti genitor: l'ucciseEttore. Dove or son le tue mortalifrecce, e quell'arco tuo, dono d'Apollo?L'udì Teucro, e veloce a lui ne vennecoll'arco e la faretra, e via ne' Troidardeggiando ferì di PisenorreClito illustre figliuol, caro al PantìdePolidamante a cui de' corridorireggea le briglie. Or, mentre che bramosodi mertarsi d'Ettorre e de' Troianie la grazia e la lode, ove dell'armilo scompiglio è maggior spinge i cavalli,malgrado il presto suo girarsi il giunsel'inevitabil suo destin; ché il dardolagrimoso gli entrò dentro la nuca.

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Aiace saettò colla fulgentelancia, ma in fallo; e Licofron percossedi Mastore figliuol che reo di sanguedalla sacra Citera esule venneal Telamònio, e v'ebbe asilo, e posciasuo scudiero il seguì. Lo giunse il ferronella testa, da presso al suo signore,sul confin dell'orecchia: e dalla popparesupino il travolse nella polve.Raccapriccionne Aiace, e a Teucro disse:Caro fratel, n'è spento il fido amicoMastoride che noi ne' nostri tettida Citera ramingo in pregio avemmoquanto i diletti genitor: l'ucciseEttore. Dove or son le tue mortalifrecce, e quell'arco tuo, dono d'Apollo?L'udì Teucro, e veloce a lui ne vennecoll'arco e la faretra, e via ne' Troidardeggiando ferì di PisenorreClito illustre figliuol, caro al PantìdePolidamante a cui de' corridorireggea le briglie. Or, mentre che bramosodi mertarsi d'Ettorre e de' Troianie la grazia e la lode, ove dell'armilo scompiglio è maggior spinge i cavalli,malgrado il presto suo girarsi il giunsel'inevitabil suo destin; ché il dardolagrimoso gli entrò dentro la nuca.

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Cadde il trafitto; s'arretrâr turbatii destrieri scotendo il vôto cocchioorrendamente. Ma v'accorse prontodi Panto il figlio, che parossi innanziai frementi corsieri; e ad Astinòodi Protaon fidandoli, con moltoraccomandar lo prega averli in curae seguirlo vicin. Ciò fatto, il proderiede alla zuffa, e tra i primier si mesce.Pose allor Teucro un altro dardo in coccaalla mira d'Ettorre: e qui finitatutta alle navi si sarìa la pugna,se al fortissimo eroe togliea l'acerboquadrel la vita. Ma lo vide il guardodella mente di Giove, che d'Ettorrecustodìa la persona, e privo fecedi quella gloria il Telamònio Teucro:ché il Dio, nell'atto del tirar, gli ruppedel bell'arco la corda, onde svïossiil ferreo strale, e l'arco di man cadde.Inorridito si rivolse Teucroal suo fratello, e disse: Ohimè! precisedella nostra battaglia un Dio per certotutta la speme, un Dio che dalla manol'arco mi scosse, e il nervo ne diruppepur contorto di fresco, e ch'io medesmogli adattai questa mane, onde il frequentescoccar de' dardi sostener potesse.

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Cadde il trafitto; s'arretrâr turbatii destrieri scotendo il vôto cocchioorrendamente. Ma v'accorse prontodi Panto il figlio, che parossi innanziai frementi corsieri; e ad Astinòodi Protaon fidandoli, con moltoraccomandar lo prega averli in curae seguirlo vicin. Ciò fatto, il proderiede alla zuffa, e tra i primier si mesce.Pose allor Teucro un altro dardo in coccaalla mira d'Ettorre: e qui finitatutta alle navi si sarìa la pugna,se al fortissimo eroe togliea l'acerboquadrel la vita. Ma lo vide il guardodella mente di Giove, che d'Ettorrecustodìa la persona, e privo fecedi quella gloria il Telamònio Teucro:ché il Dio, nell'atto del tirar, gli ruppedel bell'arco la corda, onde svïossiil ferreo strale, e l'arco di man cadde.Inorridito si rivolse Teucroal suo fratello, e disse: Ohimè! precisedella nostra battaglia un Dio per certotutta la speme, un Dio che dalla manol'arco mi scosse, e il nervo ne diruppepur contorto di fresco, e ch'io medesmogli adattai questa mane, onde il frequentescoccar de' dardi sostener potesse.

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O mio diletto, gli rispose Aiace,poiché l'arco ti franse un Dio, nemicodell'onor degli Achivi, al suolo il lasciacon esso le saette; e l'asta impugnae lo scudo, e co' Teucri entra in battaglia,ed agli altri fa core; onde, se preseesser denno le navi, almen non siasenza fatica la vittoria. Ad altronon pensiam dunque che a pugnar da forti.Corse Teucro alla tenda, e vi riposel'arco, e preso un brocchier che avea di quattrofalde il tessuto, un elmo irto d'equinechiome al capo si pose; e orribilmenten'ondeggiava la cresta. Indi una saldalancia impugnata, a cui d'acuto ferrosplendea la punta, s'avvïò veloce,e raggiunse il fratello. Intanto Ettorre,viste cader di Teucro le saette,le sue schiere incuorando, alto gridava:Teucri, Dardani, Licii, ecco il momentod'esser prodi, e mostrar fra queste naviil valor vostro, amici. Infrante ha Gioved'un gran nemico (con quest'occhi il vidi)le funeste quadrella. Agevolmentesi palesa del Dio l'alta possanza,sia ch'esalti il mortal, sia che gli piacciaabbassarne l'orgoglio, e l'abbandoni:siccome appunto degli Achivi or doma

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O mio diletto, gli rispose Aiace,poiché l'arco ti franse un Dio, nemicodell'onor degli Achivi, al suolo il lasciacon esso le saette; e l'asta impugnae lo scudo, e co' Teucri entra in battaglia,ed agli altri fa core; onde, se preseesser denno le navi, almen non siasenza fatica la vittoria. Ad altronon pensiam dunque che a pugnar da forti.Corse Teucro alla tenda, e vi riposel'arco, e preso un brocchier che avea di quattrofalde il tessuto, un elmo irto d'equinechiome al capo si pose; e orribilmenten'ondeggiava la cresta. Indi una saldalancia impugnata, a cui d'acuto ferrosplendea la punta, s'avvïò veloce,e raggiunse il fratello. Intanto Ettorre,viste cader di Teucro le saette,le sue schiere incuorando, alto gridava:Teucri, Dardani, Licii, ecco il momentod'esser prodi, e mostrar fra queste naviil valor vostro, amici. Infrante ha Gioved'un gran nemico (con quest'occhi il vidi)le funeste quadrella. Agevolmentesi palesa del Dio l'alta possanza,sia ch'esalti il mortal, sia che gli piacciaabbassarne l'orgoglio, e l'abbandoni:siccome appunto degli Achivi or doma

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la baldanza, e le nostre armi protegge.Pugnate adunque fortemente, e strettiquelle navi assalite. Ognun che coltoo di lancia o di stral trovi la morte,del suo morir s'allegri. È dolce e bellomorir pugnando per la patria, e salvilasciarne dopo sé la sposa, i figlie la casa e l'aver, quando gli Acheitorneran navigando al patrio lido.Fur quei detti una fiamma ad ogni core.Dall'una parte i suoi conforta anch'essoAiace, e grida: Argivi, o qui morire,o le navi salvar. Se fia che alfineil nemico le pigli, a piè tornarviforse sperate alla natìa contrada?E non udite di che modo Ettorred'incenerirle tutte impazïentei suoi guerrieri istiga? Egli per certonon alla tresca, ma di Marte al fieroballo gl'invita. Né partito adunquené consiglio sicuro altro che questo,menar le mani, e di gran cor. Gli è megliopure una volta aver salute o morte,che a poco a poco in lungo aspro conflittoqui consumarci invendicati e domiper mano, oh scorno! di peggior nemico.Rincorossi ciascuno, e allor la straged'ambe le parti si confuse. Ettorre

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la baldanza, e le nostre armi protegge.Pugnate adunque fortemente, e strettiquelle navi assalite. Ognun che coltoo di lancia o di stral trovi la morte,del suo morir s'allegri. È dolce e bellomorir pugnando per la patria, e salvilasciarne dopo sé la sposa, i figlie la casa e l'aver, quando gli Acheitorneran navigando al patrio lido.Fur quei detti una fiamma ad ogni core.Dall'una parte i suoi conforta anch'essoAiace, e grida: Argivi, o qui morire,o le navi salvar. Se fia che alfineil nemico le pigli, a piè tornarviforse sperate alla natìa contrada?E non udite di che modo Ettorred'incenerirle tutte impazïentei suoi guerrieri istiga? Egli per certonon alla tresca, ma di Marte al fieroballo gl'invita. Né partito adunquené consiglio sicuro altro che questo,menar le mani, e di gran cor. Gli è megliopure una volta aver salute o morte,che a poco a poco in lungo aspro conflittoqui consumarci invendicati e domiper mano, oh scorno! di peggior nemico.Rincorossi ciascuno, e allor la straged'ambe le parti si confuse. Ettorre

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Schedio uccide, figliuol di Perimede,condottier de' Focensi. Uccide AiaceLaodamante, generosa proled'Antenore, e di fanti capitano.Polidamante al suol stende il cillènioOto, compagno di Megète, e ducede' magnanimi Epei. Visto Megètecader l'amico, scagliasi dirittosu l'uccisor; ma questi obliquamentechinando il fianco andar fe' vôto il colpo,ché in quella zuffa non permise Apollodel figliuolo di Panto la caduta,e l'asta di Megète in mezzo al pettodi Cresmo si piantò, che orrendamenterimbombò nel cader. Corse a spogliarlodell'armi il vincitor; ma gli si spinsecontra il gagliardo vibrator di piccaDolope che di Lampo era germoglio,di Lampo prestantissimo guerrieroLaomedontìde. Impetuoso ei corsesopra Megète, e lo ferì nel mezzodello scudo; ma il cavo e grosso usbergol'asta sostenne, quell'usbergo istessoche d'Efira di là dal Selleenteun dì Fileo portò, dono d'Eufete,ospite suo. Con questo egli più voltecampò se stesso nelle pugne, ed oracon questo a morte si sottrasse il figlio

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Schedio uccide, figliuol di Perimede,condottier de' Focensi. Uccide AiaceLaodamante, generosa proled'Antenore, e di fanti capitano.Polidamante al suol stende il cillènioOto, compagno di Megète, e ducede' magnanimi Epei. Visto Megètecader l'amico, scagliasi dirittosu l'uccisor; ma questi obliquamentechinando il fianco andar fe' vôto il colpo,ché in quella zuffa non permise Apollodel figliuolo di Panto la caduta,e l'asta di Megète in mezzo al pettodi Cresmo si piantò, che orrendamenterimbombò nel cader. Corse a spogliarlodell'armi il vincitor; ma gli si spinsecontra il gagliardo vibrator di piccaDolope che di Lampo era germoglio,di Lampo prestantissimo guerrieroLaomedontìde. Impetuoso ei corsesopra Megète, e lo ferì nel mezzodello scudo; ma il cavo e grosso usbergol'asta sostenne, quell'usbergo istessoche d'Efira di là dal Selleenteun dì Fileo portò, dono d'Eufete,ospite suo. Con questo egli più voltecampò se stesso nelle pugne, ed oracon questo a morte si sottrasse il figlio

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che non fu tardo alle risposte. Al sommodel ferrato e chiomato elmo ei percossel'assalitor coll'asta, e dispicconnel'equina cresta, che così com'eradi purpureo color fulgida e frescatutta gli cadde nella polve. Or mentreei qui stassi con Dolope alle strette,e vittoria ne spera, ecco venirnea rapirgli la palma il bellicosominore Atride, che furtivo al fiancodi Dolope s'accosta, e via nel tergol'asta gli caccia. Trapassògli il pettola furïosa punta oltre anelando:boccon cadde il trafitto, e gli fur sopratosto que' due per dispogliarlo. Allorail teucro duce incoraggiando tuttii congiunti, si volse a Melanippod'Icetaon. Pasceva egli in Percote,pria dell'arrivo degli Achei, le mandre.Ma giunti questi ad Ilio, ei pur vi venne,e risplendea fra' Teucri, ed abitavacol re medesmo che l'avea per figlio.Lo punse Ettorre, e disse: E così dunqueci starem neghittosi, o Melanippo?E non ti senti il cor commosso al dirocaso del morto consobrin? Non vedilo studio che color dansi dintornoa Dolope per l'armi? Orsù mi segui:

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che non fu tardo alle risposte. Al sommodel ferrato e chiomato elmo ei percossel'assalitor coll'asta, e dispicconnel'equina cresta, che così com'eradi purpureo color fulgida e frescatutta gli cadde nella polve. Or mentreei qui stassi con Dolope alle strette,e vittoria ne spera, ecco venirnea rapirgli la palma il bellicosominore Atride, che furtivo al fiancodi Dolope s'accosta, e via nel tergol'asta gli caccia. Trapassògli il pettola furïosa punta oltre anelando:boccon cadde il trafitto, e gli fur sopratosto que' due per dispogliarlo. Allorail teucro duce incoraggiando tuttii congiunti, si volse a Melanippod'Icetaon. Pasceva egli in Percote,pria dell'arrivo degli Achei, le mandre.Ma giunti questi ad Ilio, ei pur vi venne,e risplendea fra' Teucri, ed abitavacol re medesmo che l'avea per figlio.Lo punse Ettorre, e disse: E così dunqueci starem neghittosi, o Melanippo?E non ti senti il cor commosso al dirocaso del morto consobrin? Non vedilo studio che color dansi dintornoa Dolope per l'armi? Orsù mi segui:

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non è più tempo di pugnar da lungicon questi Argivi. Sterminarli è d'uopo,o veder Troia al fondo, ed allagateper lor di sangue cittadin le vie.Così detto, il precede, e l'altro il seguein sembianza d'un Dio. Ma volto a' suoiil gran Telamonìde, Amici, ei grida,siate valenti, in cor v'entri la fiammadella vergogna, e l'un dell'altro abbiatetema e rispetto nella forte mischia.De' prodi erubescenti i salvi sonopiù che gli uccisi. Chi si volge in fuga,corre all'infamia insieme ed alla morte.Sì disse, e tutti per sé pur già prontialla difesa, si stampâr nel coreque' detti, e fêr dell'armi un ferreo muroalle navi; ma Giove era co' Teucri.Prese allor Menelao con questi accentid'Antìloco a spronar la gagliardia:Antìloco, tu se' del nostro campoil più giovin guerriero e il più veloce,e niun t'avanza di valor. Trascorridunque, e di sangue ostil tingi il tuo ferro.Così l'accese e si ritrasse; e queglifuor di schiera balzando, e d'ogn'intornoguatandosi vibrò l'asta lucente.Visto quell'atto, si scansaro i Teucri,ma il colpo in fallo non andò, ché colse

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non è più tempo di pugnar da lungicon questi Argivi. Sterminarli è d'uopo,o veder Troia al fondo, ed allagateper lor di sangue cittadin le vie.Così detto, il precede, e l'altro il seguein sembianza d'un Dio. Ma volto a' suoiil gran Telamonìde, Amici, ei grida,siate valenti, in cor v'entri la fiammadella vergogna, e l'un dell'altro abbiatetema e rispetto nella forte mischia.De' prodi erubescenti i salvi sonopiù che gli uccisi. Chi si volge in fuga,corre all'infamia insieme ed alla morte.Sì disse, e tutti per sé pur già prontialla difesa, si stampâr nel coreque' detti, e fêr dell'armi un ferreo muroalle navi; ma Giove era co' Teucri.Prese allor Menelao con questi accentid'Antìloco a spronar la gagliardia:Antìloco, tu se' del nostro campoil più giovin guerriero e il più veloce,e niun t'avanza di valor. Trascorridunque, e di sangue ostil tingi il tuo ferro.Così l'accese e si ritrasse; e queglifuor di schiera balzando, e d'ogn'intornoguatandosi vibrò l'asta lucente.Visto quell'atto, si scansaro i Teucri,ma il colpo in fallo non andò, ché colse

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Melanippo nel petto alla mammella,mentre animoso s'avanzava. Ei cadderisonando nell'armi, e ratto a luiAntìloco avventossi. A quella guisache il veltro corre al caprïol ferito,cui, mentre uscìa dal covo, il cacciatoredi stral raggiunse, e sciolsegli le forze:così sovra il tuo corpo, o Melanippo,a spogliarti dell'armi il bellicosoAntìloco si spinse. Il vide Ettorre,e volò per la mischia ad assalirlo.Non ardì l'altro, benché pro' guerriero,aspettarne lo scontro, e si fuggìosiccome lupo misfattor, che uccisopresso l'armento il cane od il bifolco,si rinselva fuggendo anzi che densalo circuisca dei villan la turba;così diè volta sbigottito il figliodi Nestore per mezzo alle saetteche alle sue spalle con immenso stridoi Troiani piovevano ed Ettorre;né diè sosta al fuggir, né si converseche giunto fra' compagni a salvamento.Qui fu che i Teucri un furïoso assaltodiero alle navi, ed adempîr di Gioveil supremo voler, che vie più semprelor forza accresce, ed agli Achei la scema;togliendo a questi la vittoria, e quelli

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Melanippo nel petto alla mammella,mentre animoso s'avanzava. Ei cadderisonando nell'armi, e ratto a luiAntìloco avventossi. A quella guisache il veltro corre al caprïol ferito,cui, mentre uscìa dal covo, il cacciatoredi stral raggiunse, e sciolsegli le forze:così sovra il tuo corpo, o Melanippo,a spogliarti dell'armi il bellicosoAntìloco si spinse. Il vide Ettorre,e volò per la mischia ad assalirlo.Non ardì l'altro, benché pro' guerriero,aspettarne lo scontro, e si fuggìosiccome lupo misfattor, che uccisopresso l'armento il cane od il bifolco,si rinselva fuggendo anzi che densalo circuisca dei villan la turba;così diè volta sbigottito il figliodi Nestore per mezzo alle saetteche alle sue spalle con immenso stridoi Troiani piovevano ed Ettorre;né diè sosta al fuggir, né si converseche giunto fra' compagni a salvamento.Qui fu che i Teucri un furïoso assaltodiero alle navi, ed adempîr di Gioveil supremo voler, che vie più semprelor forza accresce, ed agli Achei la scema;togliendo a questi la vittoria, e quelli

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incoraggiando, perché tutto s'abbiaEttor l'onore di gittar ne' curvilegni le fiamme, e tutto sia di Tetiadempito il desìo. Quindi il veggentenume il momento ad aspettar si stavache il guardo gli ferisse alfin di qualcheincesa nave lo splendor, perch'eglida quel punto volea che de' Troianicominciasse la fuga, e degli Acheil'alta vittoria. In questa mente il Diosproni aggiungeva al cor d'Ettorre, e questifurïando parea Marte che crollala grand'asta in battaglia, o di voracefuoco la vampa che ruggendo involveuna folta foresta alla montagna.Manda spume la bocca, e sotto il torvociglio lampeggia la pupilla: ai motidel pugnar, la celata orrendamentesi squassa intorno alle sue tempie, e Gioveil proteggea dall'alto, e di lui solotra tanti eroi volea far chiaro il nomea ricompensa di sua corta vita.Perocché già Minerva il dì supremo,che domar lo dovea sotto il Pelìde,gl'incalzava alle spalle. Ove più denseegli vede le file, e de' più fortifolgoreggiano l'armi, oltre si spignedi sbaragliarle impazïente, e tutte

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incoraggiando, perché tutto s'abbiaEttor l'onore di gittar ne' curvilegni le fiamme, e tutto sia di Tetiadempito il desìo. Quindi il veggentenume il momento ad aspettar si stavache il guardo gli ferisse alfin di qualcheincesa nave lo splendor, perch'eglida quel punto volea che de' Troianicominciasse la fuga, e degli Acheil'alta vittoria. In questa mente il Diosproni aggiungeva al cor d'Ettorre, e questifurïando parea Marte che crollala grand'asta in battaglia, o di voracefuoco la vampa che ruggendo involveuna folta foresta alla montagna.Manda spume la bocca, e sotto il torvociglio lampeggia la pupilla: ai motidel pugnar, la celata orrendamentesi squassa intorno alle sue tempie, e Gioveil proteggea dall'alto, e di lui solotra tanti eroi volea far chiaro il nomea ricompensa di sua corta vita.Perocché già Minerva il dì supremo,che domar lo dovea sotto il Pelìde,gl'incalzava alle spalle. Ove più denseegli vede le file, e de' più fortifolgoreggiano l'armi, oltre si spignedi sbaragliarle impazïente, e tutte

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ne ritenta le vie; ma tuttavoltagli esce vano il desìo, ché stretti insiemeresistono gli Achei siccome apricoimmane scoglio che nel mar si sporge,e de' venti sostiene e del giganteflutto la furia che si spezza e mugge:tali a piè fermo sostenean gli Acheil'urto de' Teucri. Finalmente Ettorrescintillante di foco nella foltaprecipitossi. Come quando un'ondagonfia dal vento assale impetuosaun veloce naviglio, e tutto il mandaricoperto di spuma: il vento ruggeorribilmente nelle vele, e tremaai naviganti il cor, ché dalla mortenon son divisi che d'un punto solo:così tremava degli Achivi il petto;ed Ettore parea crudo lïoneche in prato da palude ampia nudritoun pingue assalta numeroso armento.Ben egli il suo pastor vorrìa da mortele giovenche campar; ma non espertoa guerreggiar col mostro, or tra le primes'aggira ed or tra l'ultime; alfin l'empiovi salta in mezzo, ed una ne divora,e ne van l'altre impaurite in fuga:così davanti ad Ettore ed a Giovefuggìan percossi da divin terrore

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ne ritenta le vie; ma tuttavoltagli esce vano il desìo, ché stretti insiemeresistono gli Achei siccome apricoimmane scoglio che nel mar si sporge,e de' venti sostiene e del giganteflutto la furia che si spezza e mugge:tali a piè fermo sostenean gli Acheil'urto de' Teucri. Finalmente Ettorrescintillante di foco nella foltaprecipitossi. Come quando un'ondagonfia dal vento assale impetuosaun veloce naviglio, e tutto il mandaricoperto di spuma: il vento ruggeorribilmente nelle vele, e tremaai naviganti il cor, ché dalla mortenon son divisi che d'un punto solo:così tremava degli Achivi il petto;ed Ettore parea crudo lïoneche in prato da palude ampia nudritoun pingue assalta numeroso armento.Ben egli il suo pastor vorrìa da mortele giovenche campar; ma non espertoa guerreggiar col mostro, or tra le primes'aggira ed or tra l'ultime; alfin l'empiovi salta in mezzo, ed una ne divora,e ne van l'altre impaurite in fuga:così davanti ad Ettore ed a Giovefuggìan percossi da divin terrore

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tutti allora gli Achei. Restovvi il soloMicenèo Perifète, amata proledi quel Coprèo che un giorno al grande Alcidevenne dei duri d'Euristèo comandiapportatore. Di malvagio padreillustre figlio risplendea di tuttevirtù fornito Perifète, ed erae nel corso e nell'armi e ne' consiglitra' Micenèi pregiato e de' primieri.Ed or qui diede di sua morte il vantoalla lancia d'Ettòr. Ché mentre indietrosi volta nel fuggir, nell'orlo inciampadello scudo, che lungo insino al piededalle saette il difendea. Da questoimpedito il guerrier cadde supino,e dintorno alle tempie in suono orrendola celata squillò. V'accorse Ettorre,e l'asta in petto gli piantò, né alcunoaitarlo potea de' mesti amici,del teucro duce paurosi anch'essi.Abbandonato delle navi il primoordin gli Achivi, come ria gli sforzanecessitade e l'incalzante ferrode' Troiani, riparansi al secondoalla marina più propinquo; e quivinanzi alle tende s'arrestâr serratisenza sbandarsi (ché vergogna e temali ratteneano) e alzando un incessante

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tutti allora gli Achei. Restovvi il soloMicenèo Perifète, amata proledi quel Coprèo che un giorno al grande Alcidevenne dei duri d'Euristèo comandiapportatore. Di malvagio padreillustre figlio risplendea di tuttevirtù fornito Perifète, ed erae nel corso e nell'armi e ne' consiglitra' Micenèi pregiato e de' primieri.Ed or qui diede di sua morte il vantoalla lancia d'Ettòr. Ché mentre indietrosi volta nel fuggir, nell'orlo inciampadello scudo, che lungo insino al piededalle saette il difendea. Da questoimpedito il guerrier cadde supino,e dintorno alle tempie in suono orrendola celata squillò. V'accorse Ettorre,e l'asta in petto gli piantò, né alcunoaitarlo potea de' mesti amici,del teucro duce paurosi anch'essi.Abbandonato delle navi il primoordin gli Achivi, come ria gli sforzanecessitade e l'incalzante ferrode' Troiani, riparansi al secondoalla marina più propinquo; e quivinanzi alle tende s'arrestâr serratisenza sbandarsi (ché vergogna e temali ratteneano) e alzando un incessante

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grido a vicenda si mettean coraggio.Anzi a tutti il buon Nestore, l'anticoguardïan degli Achivi, ad uno ad unope' genitor li supplica: Deh siate,siate forti, o miei cari, e di pudoreil cor v'infiammi la presenza altrui.Della sua donna ognuno e de' suoi figlie del suo tetto si rammenti; ognunosi proponga de' padri, o spenti o vivi,i bei fatti al pensiero: io qui per essiche son lungi vi parlo, e vi scongiurodi tener fermo e non voltarvi in fuga.Rincorârsi a que' detti: allor repentesgombrò Minerva la divina nube,che il lor guardo abbuiava, e una gran lucedintorno balenò. Vider le navi,videro il campo e la battaglia e il prodeEttore e tutti i suoi guerrier, sì quelliche in riserbo tenea, sì quei che fannopugna alle navi. Non soffrì d'Aiaceil magnanimo cor di rimanersicon gli altri Achivi indietro, ed impugnatauna gran trave da naval conflittocon caviglie connessa, e ventiduecubiti lunga, la scotea, per l'altede' navigii corsìe lesto balzandoa lunghi passi, simigliante a spertoequestre saltator che giunti insieme

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grido a vicenda si mettean coraggio.Anzi a tutti il buon Nestore, l'anticoguardïan degli Achivi, ad uno ad unope' genitor li supplica: Deh siate,siate forti, o miei cari, e di pudoreil cor v'infiammi la presenza altrui.Della sua donna ognuno e de' suoi figlie del suo tetto si rammenti; ognunosi proponga de' padri, o spenti o vivi,i bei fatti al pensiero: io qui per essiche son lungi vi parlo, e vi scongiurodi tener fermo e non voltarvi in fuga.Rincorârsi a que' detti: allor repentesgombrò Minerva la divina nube,che il lor guardo abbuiava, e una gran lucedintorno balenò. Vider le navi,videro il campo e la battaglia e il prodeEttore e tutti i suoi guerrier, sì quelliche in riserbo tenea, sì quei che fannopugna alle navi. Non soffrì d'Aiaceil magnanimo cor di rimanersicon gli altri Achivi indietro, ed impugnatauna gran trave da naval conflittocon caviglie connessa, e ventiduecubiti lunga, la scotea, per l'altede' navigii corsìe lesto balzandoa lunghi passi, simigliante a spertoequestre saltator che giunti insieme

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quattro scelti destrier gli sferza e spigneper le pubbliche vie: maravigliandostassi la turba, ed ei sicuro e rittodall'un passando all'altro il salto alternasui volanti cavalli; a tal sembianzaalternava l'eroe gl'immensi passiper le coperte delle navi, e al cielola sua voce giugnea sempre gridandoterribilmente, e confortando i suoidelle tende e de' legni alla difesa.E né pur esso di rincontro Ettorretra' Teucri in turba si riman; ma qualeaquila falba che uno stormo invadeo di cigni o di gru che lungo il fiumevan pascolando; a questa guisa il prodedi schiera uscito avventasi di puntacontra una nave di cerulea prora.Lo stesso Giove colla man possenteil sospinge da tergo, e gli altri incita,e un novello vi desta aspro certame.Detto avresti che fresca allora alloras'attaccava la mischia, e che indefesseeran le braccia: l'impeto è cotantode' combattenti con opposti affetti.Nella credenza di perirvi tuttipugnavano gli Achei; nella lusingadi sterminarli i Teucri, ed in favillemandar le navi. Ed in cotal pensiero

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quattro scelti destrier gli sferza e spigneper le pubbliche vie: maravigliandostassi la turba, ed ei sicuro e rittodall'un passando all'altro il salto alternasui volanti cavalli; a tal sembianzaalternava l'eroe gl'immensi passiper le coperte delle navi, e al cielola sua voce giugnea sempre gridandoterribilmente, e confortando i suoidelle tende e de' legni alla difesa.E né pur esso di rincontro Ettorretra' Teucri in turba si riman; ma qualeaquila falba che uno stormo invadeo di cigni o di gru che lungo il fiumevan pascolando; a questa guisa il prodedi schiera uscito avventasi di puntacontra una nave di cerulea prora.Lo stesso Giove colla man possenteil sospinge da tergo, e gli altri incita,e un novello vi desta aspro certame.Detto avresti che fresca allora alloras'attaccava la mischia, e che indefesseeran le braccia: l'impeto è cotantode' combattenti con opposti affetti.Nella credenza di perirvi tuttipugnavano gli Achei; nella lusingadi sterminarli i Teucri, ed in favillemandar le navi. Ed in cotal pensiero

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gli uni e gli altri mescean la zuffa e l'ire.Ettore intanto colla destra afferrad'una nave la poppa. Era la bellaveloce nave che di Troia al lidoProtesilao guidò senza ritorno.Per questa si facea di Teucri e Acheiun orrido macello, e questi e quellid'un cor medesmo, non con archi e dardifan pugna da lontan, ma con acutemannaie a corpo a corpo, e con bipennie con brandi e con aste a doppio taglio,e con tersi coltelli di forbitoebano indutti e di gran pomo; ed altrine cadean dalle spalle, altri dal pugnode' guerrieri, e scorrea sangue la terra.Dell'afferrata poppa Ettor tenendoforte il timone colle man, gridava:Foco, o Teucri, accorrete, e combattete;ecco il dì che di tutti il conto adegua,il dì che Giove nelle man ci mettequeste navi, a Ilïon contra il volerevenute degli Dei, queste che tantine recâr danni per codardi avviside' nostri padri che mi fean divietodi portar qui la guerra. Ma se Gioveconfuse allor le nostre menti, or egli,egli stesso n'incalza all'alta impresa.Disse, e i Teucri maggior contro gli Argivi

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gli uni e gli altri mescean la zuffa e l'ire.Ettore intanto colla destra afferrad'una nave la poppa. Era la bellaveloce nave che di Troia al lidoProtesilao guidò senza ritorno.Per questa si facea di Teucri e Acheiun orrido macello, e questi e quellid'un cor medesmo, non con archi e dardifan pugna da lontan, ma con acutemannaie a corpo a corpo, e con bipennie con brandi e con aste a doppio taglio,e con tersi coltelli di forbitoebano indutti e di gran pomo; ed altrine cadean dalle spalle, altri dal pugnode' guerrieri, e scorrea sangue la terra.Dell'afferrata poppa Ettor tenendoforte il timone colle man, gridava:Foco, o Teucri, accorrete, e combattete;ecco il dì che di tutti il conto adegua,il dì che Giove nelle man ci mettequeste navi, a Ilïon contra il volerevenute degli Dei, queste che tantine recâr danni per codardi avviside' nostri padri che mi fean divietodi portar qui la guerra. Ma se Gioveconfuse allor le nostre menti, or egli,egli stesso n'incalza all'alta impresa.Disse, e i Teucri maggior contro gli Argivi

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impeto fêro. Degli strali allorapiù non sostenne Aiace la ruina,ma giunta del morir l'ora credendo,lasciò la sponda del naviglio, e indietroretrocesse alcun poco ad uno scannosette piè di lunghezza. E qui piantatoosservava il nemico, e sempre oprandol'asta, i Troiani, che di faci ardentigià s'avanzano armati, allontanava,e sempre alzava la terribil voce:Dànai di Marte alunni, amici eroi,non ponete in obblìo vostra prodezza.Sperate forse di trovarvi a tergochi ne soccorra, od un più saldo muroche ne difenda? Non abbiam vicinacittà munita che ne salvi, e nuovefalangi ne fornisca. In mezzo a fieriinimici noi siam, chiusi dal mare,lungi dal patrio suol. Nell'armi adunque,non nella fuga, ogni salute è posta.Così dicendo, colla lunga lanciafurïoso inseguìa qualunque osavada Ettore sospinto avvicinarsicolle fiamme alle navi. E di costorododici dall'acuta asta trafittipose a giacer davanti alle carene.

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impeto fêro. Degli strali allorapiù non sostenne Aiace la ruina,ma giunta del morir l'ora credendo,lasciò la sponda del naviglio, e indietroretrocesse alcun poco ad uno scannosette piè di lunghezza. E qui piantatoosservava il nemico, e sempre oprandol'asta, i Troiani, che di faci ardentigià s'avanzano armati, allontanava,e sempre alzava la terribil voce:Dànai di Marte alunni, amici eroi,non ponete in obblìo vostra prodezza.Sperate forse di trovarvi a tergochi ne soccorra, od un più saldo muroche ne difenda? Non abbiam vicinacittà munita che ne salvi, e nuovefalangi ne fornisca. In mezzo a fieriinimici noi siam, chiusi dal mare,lungi dal patrio suol. Nell'armi adunque,non nella fuga, ogni salute è posta.Così dicendo, colla lunga lanciafurïoso inseguìa qualunque osavada Ettore sospinto avvicinarsicolle fiamme alle navi. E di costorododici dall'acuta asta trafittipose a giacer davanti alle carene.

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Libro Decimosesto

E così questi combattean la nave.Presentossi davanti al fiero AchillePatroclo intanto un caldo rio versandodi lagrime, siccome onda di cupofonte che in brune polle si devolveda rupe alpestre. Riguardollo, e n'ebbepietà il guerriero piè-veloce, e disse:Perché piangi, Patròclo? Bambolettasembri che dietro alla madre correndotorla in braccio la prega, e la rattieneattaccata alla gonna, ed i suoi passiimpedendo piangente la riguardafinch'ella al petto la raccolga. Or dondequesto imbelle tuo pianto? Ai Mirmidónio a me medesmo d'una ria novellasei forse annunziator? Forse di Ftiala ti giunse segreta? E pur la famavivo ne dice ancor Menèzio, e vivotra i Mirmidón l'Eàcide Pelèo,d'ambo i quali d'assai grave a noi fôracerto la morte. O per gli Achei tu forsele tue lagrime versi, e li compiagnilà tra le fiamme delle navi ancisi,e dell'onta puniti che mi fêro?

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Libro Decimosesto

E così questi combattean la nave.Presentossi davanti al fiero AchillePatroclo intanto un caldo rio versandodi lagrime, siccome onda di cupofonte che in brune polle si devolveda rupe alpestre. Riguardollo, e n'ebbepietà il guerriero piè-veloce, e disse:Perché piangi, Patròclo? Bambolettasembri che dietro alla madre correndotorla in braccio la prega, e la rattieneattaccata alla gonna, ed i suoi passiimpedendo piangente la riguardafinch'ella al petto la raccolga. Or dondequesto imbelle tuo pianto? Ai Mirmidónio a me medesmo d'una ria novellasei forse annunziator? Forse di Ftiala ti giunse segreta? E pur la famavivo ne dice ancor Menèzio, e vivotra i Mirmidón l'Eàcide Pelèo,d'ambo i quali d'assai grave a noi fôracerto la morte. O per gli Achei tu forsele tue lagrime versi, e li compiagnilà tra le fiamme delle navi ancisi,e dell'onta puniti che mi fêro?

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Parla, m'apri il tuo duol, meco il dividi.E tu dal cor rompendo alto un sospirocosì, Patròclo, rispondesti: O Achille,o degli Achei fortissimo Pelìde,non ti sdegnar del mio pianto. Lo chiededegli Achei l'empio fato. Oimè, che quantieran dianzi i miglior, tutti alle navigiaccion feriti, quale di saetta,qual di fendente. Di saetta il forteTidìde Dïomede, e di fendentel'inclito Ulisse e Agamennón; trafittaei pur di freccia Eurìpilo ha la coscia.Intorno a lor di farmaci molt'oprafan le mediche mani, e le feriteristorando ne vanno. E tu resistiinesorato ancora? O Achille! oh mainon mi s'appigli al cor, pari alla tua,l'ira, o funesto valoroso! E s'oggisottrar nieghi gli Achivi a morte indegna,chi fia che poscia da te speri aita?Crudel! né padre a te Pelèo, né madreTetide fu: te il negro mare o il fiancopartorì delle rupi, e tu rinserricuor di rupe nel sen. Se dolorosoti turba un qualche oracolo la mente;se di Giove alcun cenno a te la madreveneranda recò, me tosto almenoinvìa nel campo; e al mio comando i forti

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Parla, m'apri il tuo duol, meco il dividi.E tu dal cor rompendo alto un sospirocosì, Patròclo, rispondesti: O Achille,o degli Achei fortissimo Pelìde,non ti sdegnar del mio pianto. Lo chiededegli Achei l'empio fato. Oimè, che quantieran dianzi i miglior, tutti alle navigiaccion feriti, quale di saetta,qual di fendente. Di saetta il forteTidìde Dïomede, e di fendentel'inclito Ulisse e Agamennón; trafittaei pur di freccia Eurìpilo ha la coscia.Intorno a lor di farmaci molt'oprafan le mediche mani, e le feriteristorando ne vanno. E tu resistiinesorato ancora? O Achille! oh mainon mi s'appigli al cor, pari alla tua,l'ira, o funesto valoroso! E s'oggisottrar nieghi gli Achivi a morte indegna,chi fia che poscia da te speri aita?Crudel! né padre a te Pelèo, né madreTetide fu: te il negro mare o il fiancopartorì delle rupi, e tu rinserricuor di rupe nel sen. Se dolorosoti turba un qualche oracolo la mente;se di Giove alcun cenno a te la madreveneranda recò, me tosto almenoinvìa nel campo; e al mio comando i forti

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Mirmidoni concedi, ond'io, se puossi,qualche raggio di speme ai travagliaticompagni apporti. E questo ancor mi assenti,ch'io, delle tue coperto armi le spalle,m'appresenti al nemico, onde ingannatodalla sembianza, in me comparso ei credalo stesso Achille, e fugga, e l'abbattutoAcheo respiri. Nella pugna è spessouna via di salute un sol respiro;e noi di forze intégri agevolmentericaccerem la stanca oste alle muradalle navi respinta e dalle tende.Così l'eroe pregò. Folle! ché morteperorava a se stesso e reo destino.E a lui gemendo di corruccio Achille:Che dicesti, o Patròclo? In questo pettoterror d'udite profezie non passa,né di Giove alcun cenno a me la divamadre recò. Ma il cor mi rode acerbadoglia in pensando che rapirmi il mioun mio pari s'ardisce, e del concessopremio spogliarmi prepotente. È questo,questo il tormento, il dispetto, la rabbiaonde l'alma è angosciata. Una donzelladi valor ricompensa, a me presceltada tutto il campo, e da me pria coll'astaconquistata per mezzo alla ruinadi munita città, questa alle mie

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Mirmidoni concedi, ond'io, se puossi,qualche raggio di speme ai travagliaticompagni apporti. E questo ancor mi assenti,ch'io, delle tue coperto armi le spalle,m'appresenti al nemico, onde ingannatodalla sembianza, in me comparso ei credalo stesso Achille, e fugga, e l'abbattutoAcheo respiri. Nella pugna è spessouna via di salute un sol respiro;e noi di forze intégri agevolmentericaccerem la stanca oste alle muradalle navi respinta e dalle tende.Così l'eroe pregò. Folle! ché morteperorava a se stesso e reo destino.E a lui gemendo di corruccio Achille:Che dicesti, o Patròclo? In questo pettoterror d'udite profezie non passa,né di Giove alcun cenno a me la divamadre recò. Ma il cor mi rode acerbadoglia in pensando che rapirmi il mioun mio pari s'ardisce, e del concessopremio spogliarmi prepotente. È questo,questo il tormento, il dispetto, la rabbiaonde l'alma è angosciata. Una donzelladi valor ricompensa, a me presceltada tutto il campo, e da me pria coll'astaconquistata per mezzo alla ruinadi munita città, questa alle mie

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mani ha ritolta l'orgoglioso Atride,come a vil vagabondo. Ma le andatecose sien poste nell'obblìo; ché l'iraviver non debbe eterna. Io certo aveafatto un severo nel mio cor decretodi non porla, se prima non giugnessealle mie navi de' pugnanti il gridoe la pugna. Ma tu le mie ti vestiarmi temute, e alla battaglia guidai bellicosi Tessali; ché foscodi Teucri e fiero un nugolo vegg'iocircondar già le navi, e al lido stringersiin poco spazio i Greci, e su lor tuttaTroia versarsi, audace fatta e baldaperché vicino balenar non vededell'elmo mio la fronte. Oh fosse mecostato re giusto Agamennón! Ben iot'affermo che costoro avrìan fuggendode' lor corpi ricolme allor le fosse.Or ecco che n'han chiuso essi d'assedio:perocché nella man di Dïomede,a tener lunge dagli Achei la morte,l'asta più non infuria, né d'Atridela voce ascolto io più dall'abborritabocca scoppiante; ma sol quella intornodell'omicida Ettorre mi rimbombaanimante i Troiani. E questi alzandoliete grida guerriere il campo tutto

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mani ha ritolta l'orgoglioso Atride,come a vil vagabondo. Ma le andatecose sien poste nell'obblìo; ché l'iraviver non debbe eterna. Io certo aveafatto un severo nel mio cor decretodi non porla, se prima non giugnessealle mie navi de' pugnanti il gridoe la pugna. Ma tu le mie ti vestiarmi temute, e alla battaglia guidai bellicosi Tessali; ché foscodi Teucri e fiero un nugolo vegg'iocircondar già le navi, e al lido stringersiin poco spazio i Greci, e su lor tuttaTroia versarsi, audace fatta e baldaperché vicino balenar non vededell'elmo mio la fronte. Oh fosse mecostato re giusto Agamennón! Ben iot'affermo che costoro avrìan fuggendode' lor corpi ricolme allor le fosse.Or ecco che n'han chiuso essi d'assedio:perocché nella man di Dïomede,a tener lunge dagli Achei la morte,l'asta più non infuria, né d'Atridela voce ascolto io più dall'abborritabocca scoppiante; ma sol quella intornodell'omicida Ettorre mi rimbombaanimante i Troiani. E questi alzandoliete grida guerriere il campo tutto

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tengon già vincitori. E nondimenova, ti scaglia animoso, e dalle naviquella peste allontana, né patireche le si strugga il fuoco, e ne sia toltadel desïato ritornar la via.Ma, quale in mente la ti pongo, avvertide' miei detti alla somma, e m'obbedisci,se vuoi che gloria me ne torni, e grandedai Greci onore, e che la bella schiavacon doni eletti alfin mi sia renduta.Cacciati i Teucri, fa ritorno: e s'ancol'altitonante di Giunon maritoti prometta vittoria, incauta bramadi pugnar senza me con quei gagliardinon ti seduca, né voler ch'io colgadi ciò vergogna e disonor: né spintodall'ardor della pugna alle fatalidardanie mura avvicinar le schieredella strage de' Teucri insuperbito;onde non scenda dall'Olimpo un qualcheImmortale a tuo danno. Essi son cari,non obblïarlo, al saettante Apollo.Posti in salvo i navili, immantinentedunque dà volta, e lascia ambo a vicendastruggersi i campi. Oh Giove padre! oh Pallade!e tu di Delo arciero Iddio, deh fateche nessun possa né Troian né Grecoschivar morte, nessuno; onde del sacro

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tengon già vincitori. E nondimenova, ti scaglia animoso, e dalle naviquella peste allontana, né patireche le si strugga il fuoco, e ne sia toltadel desïato ritornar la via.Ma, quale in mente la ti pongo, avvertide' miei detti alla somma, e m'obbedisci,se vuoi che gloria me ne torni, e grandedai Greci onore, e che la bella schiavacon doni eletti alfin mi sia renduta.Cacciati i Teucri, fa ritorno: e s'ancol'altitonante di Giunon maritoti prometta vittoria, incauta bramadi pugnar senza me con quei gagliardinon ti seduca, né voler ch'io colgadi ciò vergogna e disonor: né spintodall'ardor della pugna alle fatalidardanie mura avvicinar le schieredella strage de' Teucri insuperbito;onde non scenda dall'Olimpo un qualcheImmortale a tuo danno. Essi son cari,non obblïarlo, al saettante Apollo.Posti in salvo i navili, immantinentedunque dà volta, e lascia ambo a vicendastruggersi i campi. Oh Giove padre! oh Pallade!e tu di Delo arciero Iddio, deh fateche nessun possa né Troian né Grecoschivar morte, nessuno; onde del sacro

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ilïaco muro la caduta siadi noi due soli preservati il vanto.Mentre seguìan tra lor queste paroleAiace omai cedea l'arena oppressoda gran selva di strali. Rintuzzavale sue forze il voler di Giove e il nembodelle teucre saette. Il rilucenteelmo percosso un suon mettea che orrendogl'intronava le tempie, ed incessantesovra i chiavelli il martellar cadea.Langue spossata la sinistra spalladall'assiduo maneggio affaticatadel versatile scudo. E tuttavoltané la calca premente, né de' colpila tempesta il potea mover di loco.Scuotegli i fianchi più affannato e spessol'anelito: il sudor discorre a riviper le membra, né puote a niuna guisapigliar respiro il valoroso. Intantod'ogni parte l'orror cresce e il periglio.Muse dell'alto Olimpo abitatrici,or voi ne dite per che modo il primofuoco alle navi degli Achei s'apprese.Di frassino una grave asta scoteaAiace. A questa avvicinato Ettorretal trasse un colpo della grande spadache netta la tagliò là dove al troncosi commette la punta. Invan vibrava

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ilïaco muro la caduta siadi noi due soli preservati il vanto.Mentre seguìan tra lor queste paroleAiace omai cedea l'arena oppressoda gran selva di strali. Rintuzzavale sue forze il voler di Giove e il nembodelle teucre saette. Il rilucenteelmo percosso un suon mettea che orrendogl'intronava le tempie, ed incessantesovra i chiavelli il martellar cadea.Langue spossata la sinistra spalladall'assiduo maneggio affaticatadel versatile scudo. E tuttavoltané la calca premente, né de' colpila tempesta il potea mover di loco.Scuotegli i fianchi più affannato e spessol'anelito: il sudor discorre a riviper le membra, né puote a niuna guisapigliar respiro il valoroso. Intantod'ogni parte l'orror cresce e il periglio.Muse dell'alto Olimpo abitatrici,or voi ne dite per che modo il primofuoco alle navi degli Achei s'apprese.Di frassino una grave asta scoteaAiace. A questa avvicinato Ettorretal trasse un colpo della grande spadache netta la tagliò là dove al troncosi commette la punta. Invan vibrava

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il Telamònio eroe l'asta privatadella sua cima, che lontan cadendorisonò sul terren. Raccapricciossiil magnanimo, e vide ivi d'un numemanifesta la man; vide che avversol'Altitonante del pugnar le vietutte gli avea precise, e decretatade' Teucri all'armi la vittoria. Ei dunquelunge dai dardi si ritrasse; e rattoi Troi gittaro nella nave il foco,che tosto le si apprese, e d'ogni latol'inestinguibil fiamma si diffuse.Si batté l'anca per dolore Achille,vista la vampa divorante; e, Sorgi,mio Patroclo, gridò: sorgi. Alle navil'impeto io veggo della fiamma ostile.Deh che il nemico non le prenda, e tuttine precluda gli scampi: su via, tostoarmati; ché i miei forti io ti raduno.Disse: e Patròclo si vestìa dell'armifolgoranti. Alle gambe primamentei bei schinieri si ravvolse adornid'argentee fibbie. La corazza al pettoposcia si mise del veloce Achillescrezïata di stelle. Indi la spadadi bei chiovi d'argento aspra e lucentedall'omero sospese. Indi lo scudosaldo e grande imbracciò: la valorosa

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il Telamònio eroe l'asta privatadella sua cima, che lontan cadendorisonò sul terren. Raccapricciossiil magnanimo, e vide ivi d'un numemanifesta la man; vide che avversol'Altitonante del pugnar le vietutte gli avea precise, e decretatade' Teucri all'armi la vittoria. Ei dunquelunge dai dardi si ritrasse; e rattoi Troi gittaro nella nave il foco,che tosto le si apprese, e d'ogni latol'inestinguibil fiamma si diffuse.Si batté l'anca per dolore Achille,vista la vampa divorante; e, Sorgi,mio Patroclo, gridò: sorgi. Alle navil'impeto io veggo della fiamma ostile.Deh che il nemico non le prenda, e tuttine precluda gli scampi: su via, tostoarmati; ché i miei forti io ti raduno.Disse: e Patròclo si vestìa dell'armifolgoranti. Alle gambe primamentei bei schinieri si ravvolse adornid'argentee fibbie. La corazza al pettoposcia si mise del veloce Achillescrezïata di stelle. Indi la spadadi bei chiovi d'argento aspra e lucentedall'omero sospese. Indi lo scudosaldo e grande imbracciò: la valorosa

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fronte nell'elmo imprigionò, su cuid'equine chiome orrendamente ondeggiauna cresta. Alfin prese, atte al suo pugno,valide lance; ed unica d'Achillel'asta non prese, immensa, grave e saldacui nullo palleggiar Greco potea,tranne il braccio achillèo: massiccia antennasulle cime del Pèlio un dì recisadal buon Chirone, ed a Pelèo donata,perché fosse in sua man strage d'eroi.Comanda ei quindi che i cavalli al cocchiosubito aggioghi Automedon, guerrierocui dopo Achille rompitor di squadresovra ogni altro ei pregiava: ed in battaglianel sostener gl'impetuosi assaltidel nemico, ad Achille era il più fido.Rotti adunque gl'indugi, Automedontei veloci corsieri al giogo addusseBalio e Xanto che un vento eran nel corso,e partoriti a Zefiro gli aveal'Arpia Podarge un dì ch'ella pascendoiva nel prato lungo la correntedell'Oceàn. Dall'una banda ei posciaPedaso aggiunse, corridor gentile,cui seco Achille un dì dalla disfattacittà d'Eezïon s'avea condotto;e quantunque mortale iva del paroco' destrieri immortali. Intanto Achille

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fronte nell'elmo imprigionò, su cuid'equine chiome orrendamente ondeggiauna cresta. Alfin prese, atte al suo pugno,valide lance; ed unica d'Achillel'asta non prese, immensa, grave e saldacui nullo palleggiar Greco potea,tranne il braccio achillèo: massiccia antennasulle cime del Pèlio un dì recisadal buon Chirone, ed a Pelèo donata,perché fosse in sua man strage d'eroi.Comanda ei quindi che i cavalli al cocchiosubito aggioghi Automedon, guerrierocui dopo Achille rompitor di squadresovra ogni altro ei pregiava: ed in battaglianel sostener gl'impetuosi assaltidel nemico, ad Achille era il più fido.Rotti adunque gl'indugi, Automedontei veloci corsieri al giogo addusseBalio e Xanto che un vento eran nel corso,e partoriti a Zefiro gli aveal'Arpia Podarge un dì ch'ella pascendoiva nel prato lungo la correntedell'Oceàn. Dall'una banda ei posciaPedaso aggiunse, corridor gentile,cui seco Achille un dì dalla disfattacittà d'Eezïon s'avea condotto;e quantunque mortale iva del paroco' destrieri immortali. Intanto Achille

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su e giù scorrendo per le tende, tuttidi tutto punto i Mirmidóni armava.Quai crudivori lupi il cor ripienidi molta gagliardia, prostrato avendosul monte un cervo di gran corpo e corna,sel trangugiano a brani, e sozze a tuttirosseggiano di sangue le mascelle:quindi calano in branco ad una brunafonte a lambir colle minute lingueil nereggiante umor, carne ruttandomista col sangue: il cor ne' petti audacis'allegra, e il ventre ne va gonfio e teso:tali dintorno al bellicoso amicodel gran Pelìde intrepidi si affollanoi mirmidonii capitani; e in mezzoa lor s'aggira il marzïale Achillei cavalli animando e i battaglieri.Cinquanta eran le prore che velociavea condotte a Troia il caro a GioveTessalo prence, e carca iva ciascunadi cinquanta guerrieri. A cinque ducin'avea dato il comando, ed ei la sommapotestà ne tenea. Guida la primasquadra Menèstio, scintillante il pettodi varïato usbergo. Era costuiprole di Sperchio, fiume che da Giovel'origine vantava; e di Pelèola bella figlia Polidora a Sperchio

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su e giù scorrendo per le tende, tuttidi tutto punto i Mirmidóni armava.Quai crudivori lupi il cor ripienidi molta gagliardia, prostrato avendosul monte un cervo di gran corpo e corna,sel trangugiano a brani, e sozze a tuttirosseggiano di sangue le mascelle:quindi calano in branco ad una brunafonte a lambir colle minute lingueil nereggiante umor, carne ruttandomista col sangue: il cor ne' petti audacis'allegra, e il ventre ne va gonfio e teso:tali dintorno al bellicoso amicodel gran Pelìde intrepidi si affollanoi mirmidonii capitani; e in mezzoa lor s'aggira il marzïale Achillei cavalli animando e i battaglieri.Cinquanta eran le prore che velociavea condotte a Troia il caro a GioveTessalo prence, e carca iva ciascunadi cinquanta guerrieri. A cinque ducin'avea dato il comando, ed ei la sommapotestà ne tenea. Guida la primasquadra Menèstio, scintillante il pettodi varïato usbergo. Era costuiprole di Sperchio, fiume che da Giovel'origine vantava; e di Pelèola bella figlia Polidora a Sperchio

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partorito l'avea, donna mortalecommista con un Dio. Ma lui la famanel popolo dicea prole di Boro,di Perierèo figliuol, che tolta in mogliel'avea solenne e di gran dote ornata.Guidava la seconda il marzio Eudorogenerato di furto, a cui fu madrela figlia di Filante Polimela,danzatrice leggiadra. Innamorossiin lei Mercurio un dì che alle cantatedanze la vide della Dea che godedel romor delle cacce e d'aureo strale;la vide, e della casa alle supernestanze salito giacquesi furtivoil pacifico Iddio colla fanciulla,e lei fe' madre d'un illustre figlio,d'Eudoro, egregio nella pugna al pariche rapido nel corso. E poiché trattofuor l'ebbe dal materno alvo Ilitìacuratrice de' parti, e l'almo ei videraggio del Sol, la genitrice al prodeAttòride Echeclèo passò consorte,di largo dono nuzïal dotata.Nudrì poscia il fanciullo ed allevollol'avo Filante con paterna cura,e di figlio diletto in loco il tenne.Capitan della terza era il valenteMemalide Pisandro, il più perito

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partorito l'avea, donna mortalecommista con un Dio. Ma lui la famanel popolo dicea prole di Boro,di Perierèo figliuol, che tolta in mogliel'avea solenne e di gran dote ornata.Guidava la seconda il marzio Eudorogenerato di furto, a cui fu madrela figlia di Filante Polimela,danzatrice leggiadra. Innamorossiin lei Mercurio un dì che alle cantatedanze la vide della Dea che godedel romor delle cacce e d'aureo strale;la vide, e della casa alle supernestanze salito giacquesi furtivoil pacifico Iddio colla fanciulla,e lei fe' madre d'un illustre figlio,d'Eudoro, egregio nella pugna al pariche rapido nel corso. E poiché trattofuor l'ebbe dal materno alvo Ilitìacuratrice de' parti, e l'almo ei videraggio del Sol, la genitrice al prodeAttòride Echeclèo passò consorte,di largo dono nuzïal dotata.Nudrì poscia il fanciullo ed allevollol'avo Filante con paterna cura,e di figlio diletto in loco il tenne.Capitan della terza era il valenteMemalide Pisandro, il più perito

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de' Mirmidóni nel vibrar dell'astadopo il compagno del Pelìde Achille.La quarta il veglio cavalier Fenice,e conducea la quinta Alcimedonte,di Laerce buon figlio. Or poiché tuttigli ebbe schierati co' lor duci Achille,gravi ed alte parlò queste parole:Mirmidoni, di voi nullo mi pongale minacce in obblìo, che, mentre immotisu le navi la mia ira vi tenne,fêste a' Troiani, me accusando tutti,e dicendo: Implacabile Pelìde,certo di bile ti nudrìo la madre:crudel, che tieni a lor dispetto inertinelle navi i tuoi prodi. A Ftia deh almenoredir ne lascia su le nostre prore,da che nel cor ti cadde una tant'ira.Questi biasmi in accolta a me soventemormoraste, o guerrieri. Or ecco è giuntodel gran conflitto che bramaste il giorno.All'armi adunque; e chi cuor forte in pettosi chiude, a danno de' Troiani il mostri.Sì dicendo, destò d'ogni guerrieroe la forza e l'ardir. Strinser più densatosto le schiere l'ordinanza, uditidel lor sire gli accenti. E in quella guisache industre architettor l'una su l'altrale pietre ammassa, e insieme le commette

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de' Mirmidóni nel vibrar dell'astadopo il compagno del Pelìde Achille.La quarta il veglio cavalier Fenice,e conducea la quinta Alcimedonte,di Laerce buon figlio. Or poiché tuttigli ebbe schierati co' lor duci Achille,gravi ed alte parlò queste parole:Mirmidoni, di voi nullo mi pongale minacce in obblìo, che, mentre immotisu le navi la mia ira vi tenne,fêste a' Troiani, me accusando tutti,e dicendo: Implacabile Pelìde,certo di bile ti nudrìo la madre:crudel, che tieni a lor dispetto inertinelle navi i tuoi prodi. A Ftia deh almenoredir ne lascia su le nostre prore,da che nel cor ti cadde una tant'ira.Questi biasmi in accolta a me soventemormoraste, o guerrieri. Or ecco è giuntodel gran conflitto che bramaste il giorno.All'armi adunque; e chi cuor forte in pettosi chiude, a danno de' Troiani il mostri.Sì dicendo, destò d'ogni guerrieroe la forza e l'ardir. Strinser più densatosto le schiere l'ordinanza, uditidel lor sire gli accenti. E in quella guisache industre architettor l'una su l'altrale pietre ammassa, e insieme le commette

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acconciamente a costruir d'eccelsopalagio la muraglia all'urto invittadel furente aquilon: non altramenteaddensati venìan gli elmi e gli scudi.Scudo a scudo, elmo ad elmo, e uomo ad uomos'appoggia; e al moto delle teste vedil'un coll'altro toccarsi i rilucenticimieri e l'onda delle chiome equine:sì de' guerrier serrate eran le file.Iva il paro d'eroi dinanzi a tuttiPatroclo e Automedonte, ambo d'un coree d'una brama di dar dentro ei primi.Con altra cura intanto alla sua tendaavvïossi il Pelìde, ed un forziereaprì di vago lavorìo, cui Tetigli avea riposto nella nave e colmodi tuniche e di clamidi del ventoriparatrici, e di vellosi strati.Quivi una tazza in serbo egli teneadi pregiato artificio, a cui null'altrolabbro mai non attinse il rubicondoumor del tralcio, e fuor che a Giove, ei stessonon libava con questa ad altro iddio.Fuor la trasse dell'arca, e con lo zolfola purgò primamente: indi alla schiettacorrente la lavò. Lavossi ei purele mani, e il vino rosseggiante attinse.Ritto poscia nel mezzo al suo recinto

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acconciamente a costruir d'eccelsopalagio la muraglia all'urto invittadel furente aquilon: non altramenteaddensati venìan gli elmi e gli scudi.Scudo a scudo, elmo ad elmo, e uomo ad uomos'appoggia; e al moto delle teste vedil'un coll'altro toccarsi i rilucenticimieri e l'onda delle chiome equine:sì de' guerrier serrate eran le file.Iva il paro d'eroi dinanzi a tuttiPatroclo e Automedonte, ambo d'un coree d'una brama di dar dentro ei primi.Con altra cura intanto alla sua tendaavvïossi il Pelìde, ed un forziereaprì di vago lavorìo, cui Tetigli avea riposto nella nave e colmodi tuniche e di clamidi del ventoriparatrici, e di vellosi strati.Quivi una tazza in serbo egli teneadi pregiato artificio, a cui null'altrolabbro mai non attinse il rubicondoumor del tralcio, e fuor che a Giove, ei stessonon libava con questa ad altro iddio.Fuor la trasse dell'arca, e con lo zolfola purgò primamente: indi alla schiettacorrente la lavò. Lavossi ei purele mani, e il vino rosseggiante attinse.Ritto poscia nel mezzo al suo recinto

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libando, e gli occhi sollevando al cielo,a Giove, che il vedea, fe' questo prego:Dio che lungi fra' tuoni hai posto il trono,Giove Pelasgo, regnator dell'altaagghiacciata Dodona, ove gli austeriSelli che han l'are a te sacrate in cura,d'ogni lavacro schivi al fianco lettofan del nudo terreno, i voti mieigià tu benigno un'altra volta udisti,e dalle piaghe degli Achei vendettadell'onor mio prendesti. Or tu pur questafïata, o padre, le mie preci adempi.Io qui fermo mi resto appo le navi;ma in mia vece alla pugna ecco spediscocon molti prodi il mio diletto amico.Deh vittoria gl'invìa, tonante Iddio,l'ardir gli afforza in petto, onde s'avveggaEttore se pugnar sappia pur soloil mio compagno, o allor soltanto invittala sua destra infierir, quando al tremendolavor di Marte lo conduce Achille.Ma dalle navi achee lungi rimossol'ostil furore, a me deh tosto il tornacon tutte l'armi e co' suoi forti illeso.Sì disse orando, e il sapiente Gioveparte del prego udì, parte ne sperse.Udì che dalle navi alfin respintafosse la pugna, e non udì che salvo

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libando, e gli occhi sollevando al cielo,a Giove, che il vedea, fe' questo prego:Dio che lungi fra' tuoni hai posto il trono,Giove Pelasgo, regnator dell'altaagghiacciata Dodona, ove gli austeriSelli che han l'are a te sacrate in cura,d'ogni lavacro schivi al fianco lettofan del nudo terreno, i voti mieigià tu benigno un'altra volta udisti,e dalle piaghe degli Achei vendettadell'onor mio prendesti. Or tu pur questafïata, o padre, le mie preci adempi.Io qui fermo mi resto appo le navi;ma in mia vece alla pugna ecco spediscocon molti prodi il mio diletto amico.Deh vittoria gl'invìa, tonante Iddio,l'ardir gli afforza in petto, onde s'avveggaEttore se pugnar sappia pur soloil mio compagno, o allor soltanto invittala sua destra infierir, quando al tremendolavor di Marte lo conduce Achille.Ma dalle navi achee lungi rimossol'ostil furore, a me deh tosto il tornacon tutte l'armi e co' suoi forti illeso.Sì disse orando, e il sapiente Gioveparte del prego udì, parte ne sperse.Udì che dalle navi alfin respintafosse la pugna, e non udì che salvo

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dalla pugna tornasse il caro amico.Libato a Giove e supplicato, Achillerïentrò, rinserrò nell'arca il sacronappo: e di nuovo della tenda uscitoritto all'ingresso si fermò bramosodi mirar de' Troiani e degli Acheila terribile mischia. E questi al cennodell'ardito Patròclo in ordinatisquadroni, e tutti di gran cor precintigià piombano su i Teucri, e si dispiccanocome rabide vespe, entro i lor nidilungo la strada stimolate all'irada procaci fanciulli, a cui dilettatravagliarle incessanti a loro usanza.Stolti! ché a sé fan danno ed all'ignaropasseggiero innocente. Le sdegnoseche ne' piccioli petti han grande il core,sbucano in frotta, e alla difesa volanode' cari parti. Coll'ardir di questesi versâr dalle navi i Mirmidóni.N'era immenso il fracasso, e di Menèzioconfortandoli il figlio alto gridava:Commilitoni del Pelìde Achille,siate valenti; della vostra possaricordatevi, amici, e combattiamoper la gloria di lui, forti campionidel più forte de' Greci. Il suo fallirevegga il superbo Atride, e dell'oltraggio

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dalla pugna tornasse il caro amico.Libato a Giove e supplicato, Achillerïentrò, rinserrò nell'arca il sacronappo: e di nuovo della tenda uscitoritto all'ingresso si fermò bramosodi mirar de' Troiani e degli Acheila terribile mischia. E questi al cennodell'ardito Patròclo in ordinatisquadroni, e tutti di gran cor precintigià piombano su i Teucri, e si dispiccanocome rabide vespe, entro i lor nidilungo la strada stimolate all'irada procaci fanciulli, a cui dilettatravagliarle incessanti a loro usanza.Stolti! ché a sé fan danno ed all'ignaropasseggiero innocente. Le sdegnoseche ne' piccioli petti han grande il core,sbucano in frotta, e alla difesa volanode' cari parti. Coll'ardir di questesi versâr dalle navi i Mirmidóni.N'era immenso il fracasso, e di Menèzioconfortandoli il figlio alto gridava:Commilitoni del Pelìde Achille,siate valenti; della vostra possaricordatevi, amici, e combattiamoper la gloria di lui, forti campionidel più forte de' Greci. Il suo fallirevegga il superbo Atride, e dell'oltraggio

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fatto al maggiore degli eroi si penta.Sprone alle forze e al cor di ciaschedunofur le parole. Si serrâr, scagliârsisul nemico ad un punto; e si sentivaterribilmente rimbombar le navial gridar degli Achei. Ma come i Teucridi Menèzio mirâr l'inclito figlioesso e l'auriga Automedonte al fiancofolgoranti nell'armi, a tutti il coretremò: le schiere scompigliârsi, ognunanella credenza che il Pelìde avessedeposta l'ira, e l'amistà ripresa.Studia ognuno la fuga, ognun procacciala sua salvezza. Allor Patròclo il primola fulgida vibrò lancia nel mezzodove più densa intorno all'alta poppadel buon Protesilao ferve la calca:e Pirecmo ferì, che dalle vasterive dell'Assio e d'Amidone aveaseco i peonii cavalier condutti.Gli mise il colpo alla diritta spalla,e quei riverso e gemebondo caddenella polve. Si volse al suo cadereil peonio drappello in presta fuga,e tutto si sbandò, morto il suo duceprestantissimo in guerra. Repulsatii nemici, l'eroe spense le vampe;ma il naviglio restò mezz'arso e monco.

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fatto al maggiore degli eroi si penta.Sprone alle forze e al cor di ciaschedunofur le parole. Si serrâr, scagliârsisul nemico ad un punto; e si sentivaterribilmente rimbombar le navial gridar degli Achei. Ma come i Teucridi Menèzio mirâr l'inclito figlioesso e l'auriga Automedonte al fiancofolgoranti nell'armi, a tutti il coretremò: le schiere scompigliârsi, ognunanella credenza che il Pelìde avessedeposta l'ira, e l'amistà ripresa.Studia ognuno la fuga, ognun procacciala sua salvezza. Allor Patròclo il primola fulgida vibrò lancia nel mezzodove più densa intorno all'alta poppadel buon Protesilao ferve la calca:e Pirecmo ferì, che dalle vasterive dell'Assio e d'Amidone aveaseco i peonii cavalier condutti.Gli mise il colpo alla diritta spalla,e quei riverso e gemebondo caddenella polve. Si volse al suo cadereil peonio drappello in presta fuga,e tutto si sbandò, morto il suo duceprestantissimo in guerra. Repulsatii nemici, l'eroe spense le vampe;ma il naviglio restò mezz'arso e monco.

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E qui fuggire e sgominarsi i Teucri,e gli Achivi inseguirli, e via pe' banchidelle navi cacciarli in gran tumulto.Siccome allor che dall'eccelsa vettadi gran monte le nubi atre disgombrail balenante Giove, appaion tuttesubitamente le vedette e gli altigioghi e le selve, e immenso s'apre il cielo:così respinta l'ostil fiamma, aprisside' Dànai il core e respirò. Ma treguanon si fece alla zuffa; ancor non tuttidavan le spalle agl'incalzanti Acheigli ostinati Troiani: e tuttavoltaresistendo, cedean forzati e lentigli occupati navigli. Allor diffusain maggior spazio la battaglia, ognunode' dànai duci un inimico uccise.Fu Patroclo il primier che con acutocerro percosse Arëilìco al fianconel voltarsi che fea. Lo passa il ferro,frange l'osso; e boccon cade il meschino.Trafisse Menelao Toante al pettoscoperto dello scudo, e freddo il fece.Il figliuol di Filèo, visto a rincontrovenirsi Anficlo d'assaltarlo in atto,il previen, lo colpisce ove più ingrossadella gamba la polpa. Infrange i nervila ferrea punta, e a lui le luci abbuia.

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E qui fuggire e sgominarsi i Teucri,e gli Achivi inseguirli, e via pe' banchidelle navi cacciarli in gran tumulto.Siccome allor che dall'eccelsa vettadi gran monte le nubi atre disgombrail balenante Giove, appaion tuttesubitamente le vedette e gli altigioghi e le selve, e immenso s'apre il cielo:così respinta l'ostil fiamma, aprisside' Dànai il core e respirò. Ma treguanon si fece alla zuffa; ancor non tuttidavan le spalle agl'incalzanti Acheigli ostinati Troiani: e tuttavoltaresistendo, cedean forzati e lentigli occupati navigli. Allor diffusain maggior spazio la battaglia, ognunode' dànai duci un inimico uccise.Fu Patroclo il primier che con acutocerro percosse Arëilìco al fianconel voltarsi che fea. Lo passa il ferro,frange l'osso; e boccon cade il meschino.Trafisse Menelao Toante al pettoscoperto dello scudo, e freddo il fece.Il figliuol di Filèo, visto a rincontrovenirsi Anficlo d'assaltarlo in atto,il previen, lo colpisce ove più ingrossadella gamba la polpa. Infrange i nervila ferrea punta, e a lui le luci abbuia.

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E voi l'armi d'ostil sangue non vileAntìloco tingeste e Trasimèdevalorosi Nestoridi. Coll'astaAntìloco passò d'Antìmio il fianco,e il distese boccon. Màride iratoper l'ucciso fratello innanzi al carocadavere si pianta, e contra Antìlocola picca abbassa. Ma di lui più rattoTrasimède il prevenne, e non indarnovolò la punta. All'omero lo giunse,i muscoli segò del braccio estremo,e netto l'osso ne recise. Ei caddefragoroso, e l'avvolse eterna notte.Da due germani i due germani uccisicosì n'andaro a Dite, ambo valentidi Sarpedon compagni, ambo famosilanciatori, figliuoi d'Amisodaroche la Chimera, insuperabil mostrodi molte genti esizio, un dì nudriva.Aiace d'Oilèo sovra Cleòbolocorrendo impetuoso il piglia vivonella calca impacciato, e via sul collol'enorme daga calando lo scanna.Si tepefece per lo sangue il ferro;e la purpurea morte e il vïolentofato le luci gli occupò per sempre.S'azzuffâr Lico e Penelèo: ma in fallotrasser ambo le lance. Allor più fieri

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E voi l'armi d'ostil sangue non vileAntìloco tingeste e Trasimèdevalorosi Nestoridi. Coll'astaAntìloco passò d'Antìmio il fianco,e il distese boccon. Màride iratoper l'ucciso fratello innanzi al carocadavere si pianta, e contra Antìlocola picca abbassa. Ma di lui più rattoTrasimède il prevenne, e non indarnovolò la punta. All'omero lo giunse,i muscoli segò del braccio estremo,e netto l'osso ne recise. Ei caddefragoroso, e l'avvolse eterna notte.Da due germani i due germani uccisicosì n'andaro a Dite, ambo valentidi Sarpedon compagni, ambo famosilanciatori, figliuoi d'Amisodaroche la Chimera, insuperabil mostrodi molte genti esizio, un dì nudriva.Aiace d'Oilèo sovra Cleòbolocorrendo impetuoso il piglia vivonella calca impacciato, e via sul collol'enorme daga calando lo scanna.Si tepefece per lo sangue il ferro;e la purpurea morte e il vïolentofato le luci gli occupò per sempre.S'azzuffâr Lico e Penelèo: ma in fallotrasser ambo le lance. Allor più fieri

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dier mano al brando. Del chiomato elmettoLico il cono percosse: ma la spadasi franse all'elsa. All'avversario il ferroassestò Penelèo sotto l'orecchio,e tutto ve l'immerse. Penzolavain giù la testa dispiccata, e solatenea la pelle. Così cadde e giacque.Merïon velocissimo correndoAcamante raggiunse appunto in quellache il cocchio ei monta, e al destro omero il fere.Ruinò quel percosso dalla biga,e morte gli tirò su gli occhi il velo.Idomenèo la lancia nella boccad'Erimanto cacciò. La ferrea cimaapertasi la via sotto il cerèbrorïuscì per la nuca, spezzò l'ossodel gorgozzule, e sgangherògli i denti;talché di sangue s'empîr gli occhi, e sanguesoffiò dal naso e dalle fauci aperte.Così concio il coprì l'ombra di morte.E questi fûro i condottieri acheiche spensero ciascuno un inimico.Qual su capri ed agnelle i lupi piombanosterminatori, allor che per inospitabalza neglette dal pastor si sbrancano;appena le adocchiâr, che ratti avventansialle misere imbelli e ne fan strazio:non altrimenti si vedeva i Dànai

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dier mano al brando. Del chiomato elmettoLico il cono percosse: ma la spadasi franse all'elsa. All'avversario il ferroassestò Penelèo sotto l'orecchio,e tutto ve l'immerse. Penzolavain giù la testa dispiccata, e solatenea la pelle. Così cadde e giacque.Merïon velocissimo correndoAcamante raggiunse appunto in quellache il cocchio ei monta, e al destro omero il fere.Ruinò quel percosso dalla biga,e morte gli tirò su gli occhi il velo.Idomenèo la lancia nella boccad'Erimanto cacciò. La ferrea cimaapertasi la via sotto il cerèbrorïuscì per la nuca, spezzò l'ossodel gorgozzule, e sgangherògli i denti;talché di sangue s'empîr gli occhi, e sanguesoffiò dal naso e dalle fauci aperte.Così concio il coprì l'ombra di morte.E questi fûro i condottieri acheiche spensero ciascuno un inimico.Qual su capri ed agnelle i lupi piombanosterminatori, allor che per inospitabalza neglette dal pastor si sbrancano;appena le adocchiâr, che ratti avventansialle misere imbelli e ne fan strazio:non altrimenti si vedeva i Dànai

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dar sopra i Teucri che del core immemoricon orribile strepito fuggivano.Nel folto della mischia il grande Aiacesempre ad Ettòr volgea l'asta e la mira.Ma quel mastro di guerra ricopertoil largo petto di taurino scudoall'acuto stridor delle saettee al sibilo dell'aste attento bada,ben s'accorgendo alla contraria partegià piegar la vittoria: e tuttavoltateneasi saldo alla salvezza intentodegli amati compagni. Alfin, siccomeper l'etere sereno al cielo ascendesu dal monte una nube allor che Giovetenebrosa solleva la tempesta:non altrimenti dalle navi i Teucridier volta urlando, e non avea ritegnoil ritrarsi e il fuggir. Lo stesso Ettorre,via coll'armi dai rapidi destrieritrasportato in mal punto, la difesaabbandona de' suoi che la profondafossa accalca e impedisce. Ivi sossopramolti destrier precipitando spezzanoe timoni e tirelle, e conquassatilascian là dentro co' lor duci i carri.E Patroclo gl'incalza, ed incitandofieramente i compagni, alla supremaruina anela de' Troiani. E questi

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dar sopra i Teucri che del core immemoricon orribile strepito fuggivano.Nel folto della mischia il grande Aiacesempre ad Ettòr volgea l'asta e la mira.Ma quel mastro di guerra ricopertoil largo petto di taurino scudoall'acuto stridor delle saettee al sibilo dell'aste attento bada,ben s'accorgendo alla contraria partegià piegar la vittoria: e tuttavoltateneasi saldo alla salvezza intentodegli amati compagni. Alfin, siccomeper l'etere sereno al cielo ascendesu dal monte una nube allor che Giovetenebrosa solleva la tempesta:non altrimenti dalle navi i Teucridier volta urlando, e non avea ritegnoil ritrarsi e il fuggir. Lo stesso Ettorre,via coll'armi dai rapidi destrieritrasportato in mal punto, la difesaabbandona de' suoi che la profondafossa accalca e impedisce. Ivi sossopramolti destrier precipitando spezzanoe timoni e tirelle, e conquassatilascian là dentro co' lor duci i carri.E Patroclo gl'incalza, ed incitandofieramente i compagni, alla supremaruina anela de' Troiani. E questi

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d'alte grida e di fuga empion già tuttesbaragliati le vie. Saliva al cielovorticosa di polve una procella:spaventati i cavalli a tutta brigliacorrean dal mare alla cittade; e dovemaggior vede l'eroe turba e scompigliominaccioso gridando a quella voltadrizza la biga. Traboccar dai cocchivedi sotto le ruote i fuggitivi,e i vôti cocchi sobbalzando volanorisonanti. Varcâr d'un salto il fossogl'immortali destrieri oltre anelando,i destrier che a Pelèo diero gli Deipreclaro dono. E tuttavia l'eroecontra Ettòr li flagella, desïosopur d'arrivarlo e di ferir. Ma luitraean già lunge i corridor veloci.Come d'autunno procelloso nembotutta inonda la terra, allor che Giovedensissime dal ciel versa le pioggequando contra i mortali arma il suo sdegno,i quai, cacciata la giustizia in bandoe la vendetta degli Dei schernita,vïolente nel fòro e nequitoseproferiscon sentenze: allor furentisboccan ne' campi i fiumi; giù dal monteprecipitando le sonanti pienesquarcian le ripe, e nel purpureo mare

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d'alte grida e di fuga empion già tuttesbaragliati le vie. Saliva al cielovorticosa di polve una procella:spaventati i cavalli a tutta brigliacorrean dal mare alla cittade; e dovemaggior vede l'eroe turba e scompigliominaccioso gridando a quella voltadrizza la biga. Traboccar dai cocchivedi sotto le ruote i fuggitivi,e i vôti cocchi sobbalzando volanorisonanti. Varcâr d'un salto il fossogl'immortali destrieri oltre anelando,i destrier che a Pelèo diero gli Deipreclaro dono. E tuttavia l'eroecontra Ettòr li flagella, desïosopur d'arrivarlo e di ferir. Ma luitraean già lunge i corridor veloci.Come d'autunno procelloso nembotutta inonda la terra, allor che Giovedensissime dal ciel versa le pioggequando contra i mortali arma il suo sdegno,i quai, cacciata la giustizia in bandoe la vendetta degli Dei schernita,vïolente nel fòro e nequitoseproferiscon sentenze: allor furentisboccan ne' campi i fiumi; giù dal monteprecipitando le sonanti pienesquarcian le ripe, e nel purpureo mare

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devolvonsi mugghiando, e dal cultorecorrompono la speme e la fatica:così gementi corrono e sbuffantii troiani cavalli. Intanto rottele prime schiere, di Menèzio il figliole ricaccia, le stringe alla marina,lor tagliando il ritorno al desïatoIlio; e tra il mare e il Xanto e l'alto muroincalzava, uccideva e vendicavamolte morti d'eroi. E primamenteferì d'asta Pronòo che mal di scudocoprìasi il petto. Lo trafisse; e quegligiù cadendo, nell'armi risonò.Poi d'Enòpo il figliuol Tèstore assalseimpetuosamente. Iva costuisovra elegante cocchio, la personacurvo ed in atto di raccor le briglie,che smarrito nel cor s'avea lasciatodalle mani fuggir. Gli si fe' sopral'eroe coll'asta, e tal gli spinse un colposu la destra mascella, che la siepesprofondògli dei denti. A questo modoinfilzato nell'asta sollevollodalla conca del cocchio, e il trasse a terra.Quale il buon pescator sovra sporgentescoglio seduto colla lenza, armatadi fulgid'amo, fuor dell'onda estraggeenorme pesce; a cotal guisa il Greco

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devolvonsi mugghiando, e dal cultorecorrompono la speme e la fatica:così gementi corrono e sbuffantii troiani cavalli. Intanto rottele prime schiere, di Menèzio il figliole ricaccia, le stringe alla marina,lor tagliando il ritorno al desïatoIlio; e tra il mare e il Xanto e l'alto muroincalzava, uccideva e vendicavamolte morti d'eroi. E primamenteferì d'asta Pronòo che mal di scudocoprìasi il petto. Lo trafisse; e quegligiù cadendo, nell'armi risonò.Poi d'Enòpo il figliuol Tèstore assalseimpetuosamente. Iva costuisovra elegante cocchio, la personacurvo ed in atto di raccor le briglie,che smarrito nel cor s'avea lasciatodalle mani fuggir. Gli si fe' sopral'eroe coll'asta, e tal gli spinse un colposu la destra mascella, che la siepesprofondògli dei denti. A questo modoinfilzato nell'asta sollevollodalla conca del cocchio, e il trasse a terra.Quale il buon pescator sovra sporgentescoglio seduto colla lenza, armatadi fulgid'amo, fuor dell'onda estraggeenorme pesce; a cotal guisa il Greco

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fuor del cocchio tirò colla lucenteasta il confitto boccheggiante, e poscialo scrollò dalla picca, e lungi al suololo gittò sanguinoso e senza vita.Quindi Erìalo, che contro gli venìa,giunge d'un sasso al mezzo della fronte,e in due, chiusa nel forte elmo, la spacca.Boccon versossi nella sabbia, e mortelo si recinse e gli rapìo la vita.Indi Erimante, Anfòtero ed Epaltee il figliuol di Damàstore Tlepòlemo,l'Argèade Polimèlo ed Echio e Piroe con Evippo Ifèo tutti in un mucchiorovesciò, rassegnò morti alla terra.Ma Sarpedonte visto de' compagniper le man di Patròclo un tale e tantoscempio, i suoi Licii rincorando, e insiemerampognando, Oh vergogna! o Licii, ei grida,dove, o Licii, fuggite? Ah per gli Deirivolate alla pugna! Io di costuicorro allo scontro, per saper chi siaquesto fiero campion che vi diserta,che sì nuoce ai Troiani, e già di moltiforti disciolse le ginocchia. - Disse,e via d'un salto a terra in tutto puntosi lanciò dalla biga. Ed a rincontrocome Patroclo il vide, ei pur nell'armisi spiccò dalla sua. Qual due grifagni

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fuor del cocchio tirò colla lucenteasta il confitto boccheggiante, e poscialo scrollò dalla picca, e lungi al suololo gittò sanguinoso e senza vita.Quindi Erìalo, che contro gli venìa,giunge d'un sasso al mezzo della fronte,e in due, chiusa nel forte elmo, la spacca.Boccon versossi nella sabbia, e mortelo si recinse e gli rapìo la vita.Indi Erimante, Anfòtero ed Epaltee il figliuol di Damàstore Tlepòlemo,l'Argèade Polimèlo ed Echio e Piroe con Evippo Ifèo tutti in un mucchiorovesciò, rassegnò morti alla terra.Ma Sarpedonte visto de' compagniper le man di Patròclo un tale e tantoscempio, i suoi Licii rincorando, e insiemerampognando, Oh vergogna! o Licii, ei grida,dove, o Licii, fuggite? Ah per gli Deirivolate alla pugna! Io di costuicorro allo scontro, per saper chi siaquesto fiero campion che vi diserta,che sì nuoce ai Troiani, e già di moltiforti disciolse le ginocchia. - Disse,e via d'un salto a terra in tutto puntosi lanciò dalla biga. Ed a rincontrocome Patroclo il vide, ei pur nell'armisi spiccò dalla sua. Qual due grifagni

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ben unghiati avoltoi forte stridendosovra un erto dirupo si rabbuffano,tal vennero quei due gridando a zuffa.Li vide, e tocco di pietade il figliodell'astuto Saturno, in questi dettia Giunon si rivolse: Ohimè, dilettasorella e sposa! Sarpedon, ch'io m'aggiode' mortali il più caro, è sacro a mortepel ferro di Patròclo. Irresolutafra due pensieri la mia mente ondeggia,se vivo il debba liberar da questolagrimoso conflitto, e a' suoi tornarlonell'opulenta Licia; o consentireche qui lo domi la tessalic'asta.E a lui grave i divini occhi girandol'alma Giuno così: Che parli, o Giove?che pretendi? Un mortale, un destinatoda gran tempo alla Parca, or della negradiva ritorlo alla ragion? Fa pure,fa pur tuo senno: ma degli altri Eterninon isperar l'assenso. Anzi ti aggiungo,e tu poni nel cor le mie parole:se vivo e salvo alle paterne caserenderai Sarpedon, bada che posciadel par non voglia più d'un altro iddioalla pugna sottrarre il proprio figlio;ché molti sotto alle dardanie murastan nell'armi a sudar figli di numi,

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ben unghiati avoltoi forte stridendosovra un erto dirupo si rabbuffano,tal vennero quei due gridando a zuffa.Li vide, e tocco di pietade il figliodell'astuto Saturno, in questi dettia Giunon si rivolse: Ohimè, dilettasorella e sposa! Sarpedon, ch'io m'aggiode' mortali il più caro, è sacro a mortepel ferro di Patròclo. Irresolutafra due pensieri la mia mente ondeggia,se vivo il debba liberar da questolagrimoso conflitto, e a' suoi tornarlonell'opulenta Licia; o consentireche qui lo domi la tessalic'asta.E a lui grave i divini occhi girandol'alma Giuno così: Che parli, o Giove?che pretendi? Un mortale, un destinatoda gran tempo alla Parca, or della negradiva ritorlo alla ragion? Fa pure,fa pur tuo senno: ma degli altri Eterninon isperar l'assenso. Anzi ti aggiungo,e tu poni nel cor le mie parole:se vivo e salvo alle paterne caserenderai Sarpedon, bada che posciadel par non voglia più d'un altro iddioalla pugna sottrarre il proprio figlio;ché molti sotto alle dardanie murastan nell'armi a sudar figli di numi,

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a cui porresti una grand'ira in seno.Ché s'ei t'è caro e lo compiagni, il lascianella mischia perir domo dall'astadel figliuol di Menèzio: ma desertodall'alma il corpo, al dolce Sonno imponied alla Morte, che alla licia genteil portino. I fratelli ivi e gli amicil'onoreranno di funereo ritoe di tomba e di cippo, alle defunteanime forti onor supremo e caro.Disse; e al consiglio di Giunon s'attennedegli uomini il gran padre e degli Dei,e sangue piovve per onor del carofiglio cui lungi dalle patrie arenene' frigii campi avrìa Patroclo ucciso.Già l'uno all'altro si fa sotto e sonoalle prese. Patròclo a Trasimèlo,di Sarpedonte valoroso auriga,trapassò l'anguinaglia, e lo distese.Mosse secondo Sarpedonte, e in fallola grand'asta vibrò, che trasvolandola destra spalla a Pèdaso trafisse.Si riversò sbuffando in su l'arenail trafitto cavallo, e dal ferinopetto l'alma si sciolse gemebonda.Visto il compagno corridor distesogli altri due costernârsi, e a calci, a saltidiersi; il timone cigolò; confuse

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a cui porresti una grand'ira in seno.Ché s'ei t'è caro e lo compiagni, il lascianella mischia perir domo dall'astadel figliuol di Menèzio: ma desertodall'alma il corpo, al dolce Sonno imponied alla Morte, che alla licia genteil portino. I fratelli ivi e gli amicil'onoreranno di funereo ritoe di tomba e di cippo, alle defunteanime forti onor supremo e caro.Disse; e al consiglio di Giunon s'attennedegli uomini il gran padre e degli Dei,e sangue piovve per onor del carofiglio cui lungi dalle patrie arenene' frigii campi avrìa Patroclo ucciso.Già l'uno all'altro si fa sotto e sonoalle prese. Patròclo a Trasimèlo,di Sarpedonte valoroso auriga,trapassò l'anguinaglia, e lo distese.Mosse secondo Sarpedonte, e in fallola grand'asta vibrò, che trasvolandola destra spalla a Pèdaso trafisse.Si riversò sbuffando in su l'arenail trafitto cavallo, e dal ferinopetto l'alma si sciolse gemebonda.Visto il compagno corridor distesogli altri due costernârsi, e a calci, a saltidiersi; il timone cigolò; confuse

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implicârsi le briglie. Ma riparol'intrepido vi mise Automedonte,che rapido insorgendo, e via dal fiancosguäinata la lunga acuta spadatagliò netto al giacente le tirelle,e fu l'opra d'un punto. Entrambi allorarassettârsi i corsieri, e raddrizzârsial cenno della briglia obbedïenti.E qui di nuovo alla crudel tenzonesi spinsero i campioni, e pur di nuovoerrò dell'asta Sarpedonte il tiro,che via sovresso l'omero sinistrodi Patroclo trascorse e non l'offese.Gli fe' risposta il Tessalo, né vanoil suo telo volò, ché dove è cintoda' suoi ripari il cor gli aperse il petto.Qual rovina una quercia o pioppo o pinocui sul monte tagliò con affilatabipenne il fabbro a nautico bisogno,tal Sarpedonte rovinò. Giaceasteso innanzi alla biga, e colle manighermìa la polve del suo sangue rossa,e fremendo gemea pari a superbotauro, onor dell'armento e d'aureo pelo,che da lïon, che il giunge alla sprovvista,sbranato cade, e sotto la mascelladel vincitore mugolando spira.Tale del licio condottier prostrato

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implicârsi le briglie. Ma riparol'intrepido vi mise Automedonte,che rapido insorgendo, e via dal fiancosguäinata la lunga acuta spadatagliò netto al giacente le tirelle,e fu l'opra d'un punto. Entrambi allorarassettârsi i corsieri, e raddrizzârsial cenno della briglia obbedïenti.E qui di nuovo alla crudel tenzonesi spinsero i campioni, e pur di nuovoerrò dell'asta Sarpedonte il tiro,che via sovresso l'omero sinistrodi Patroclo trascorse e non l'offese.Gli fe' risposta il Tessalo, né vanoil suo telo volò, ché dove è cintoda' suoi ripari il cor gli aperse il petto.Qual rovina una quercia o pioppo o pinocui sul monte tagliò con affilatabipenne il fabbro a nautico bisogno,tal Sarpedonte rovinò. Giaceasteso innanzi alla biga, e colle manighermìa la polve del suo sangue rossa,e fremendo gemea pari a superbotauro, onor dell'armento e d'aureo pelo,che da lïon, che il giunge alla sprovvista,sbranato cade, e sotto la mascelladel vincitore mugolando spira.Tale del licio condottier prostrato

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dal tessalico ferro in sul morireera il gemito e l'ira. E Glauco il suodolce amico per nome a sé chiamato,Caro Glauco, gli disse, or t'è mestieribuon guerriero mostrarti, e oprar le maniaudacemente. Tu dell'aspra pugnase magnanimo sei, l'incarco assumi:corri, vola, e de' Licii i capitanialla difesa del mio corpo accendi.Difendilo tu stesso, e per l'amicocombatti: infamia ti deriva eternase me dell'armi mie spoglia il nemico,me pel certame delle navi ucciso;tien saldo adunque e pugna, e di coraggiotutte infiamma le squadre. - In questo direle narici affilò, travolse i lumi,e la morte il coprì. Col piede il pettocalcògli il vincitor, l'asta ne trasse,e il polmon la seguìa, sì che dal senoil ferro a un tempo gli fu svelto e l'alma.A' suoi sbuffanti corridori intantoscioltisi e in atto di fuggir, lasciandodel lor signore il cocchio, i Mirmidoniparârsi innanzi, e gli arrestâr. Ma Glaucodell'amico alla voce il cor compuntodi profondo dolor sospira e geme,ché mal può dargli la richiesta aita.L'impedisce la piaga al braccio infissa

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dal tessalico ferro in sul morireera il gemito e l'ira. E Glauco il suodolce amico per nome a sé chiamato,Caro Glauco, gli disse, or t'è mestieribuon guerriero mostrarti, e oprar le maniaudacemente. Tu dell'aspra pugnase magnanimo sei, l'incarco assumi:corri, vola, e de' Licii i capitanialla difesa del mio corpo accendi.Difendilo tu stesso, e per l'amicocombatti: infamia ti deriva eternase me dell'armi mie spoglia il nemico,me pel certame delle navi ucciso;tien saldo adunque e pugna, e di coraggiotutte infiamma le squadre. - In questo direle narici affilò, travolse i lumi,e la morte il coprì. Col piede il pettocalcògli il vincitor, l'asta ne trasse,e il polmon la seguìa, sì che dal senoil ferro a un tempo gli fu svelto e l'alma.A' suoi sbuffanti corridori intantoscioltisi e in atto di fuggir, lasciandodel lor signore il cocchio, i Mirmidoniparârsi innanzi, e gli arrestâr. Ma Glaucodell'amico alla voce il cor compuntodi profondo dolor sospira e geme,ché mal può dargli la richiesta aita.L'impedisce la piaga al braccio infissa

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dallo strale di Teucro allor che Glauco,de' suoi volando alla difesa, assalsel'alta muraglia degli Achei. Compressosi tenea colla manca il braccio offesol'infelice, ed orando al saettantenume di Delo, O re divino, ei disse,o che di Licia, o che di Troia or bèitua presenza le rive, odi il mio prego;ché dovunque tu sia puoi d'un dolentequal, lasso! mi son io, la voce udire.Di che grave ferita e di che dogliatrafitto io porti questo braccio il vedi;né il sangue ancor mi si ristagna, e taleincessante m'opprime una gravezzal'omero tutto, che dell'asta al pesomal reggo, e mal poss'io coll'inimicoavventurarmi alla battaglia. Intantodi Giove il figlio Sarpedonte giacefortissimo guerriero, e l'abbandonaahi! pure il padre. Ma tu, Dio pietoso,quest'acerba mia piaga or mi risana:deh! placane il dolor, forza m'aggiungi,sì che i Licii compagni inanimando,io gli sproni al conflitto, e a me medesmopugnar sia dato per l'estinto amico.Sì disse orando, ed esaudillo il nume:della piaga sedò tosto il tormento,stagnonne il sangue, e gagliardia gli crebbe.

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dallo strale di Teucro allor che Glauco,de' suoi volando alla difesa, assalsel'alta muraglia degli Achei. Compressosi tenea colla manca il braccio offesol'infelice, ed orando al saettantenume di Delo, O re divino, ei disse,o che di Licia, o che di Troia or bèitua presenza le rive, odi il mio prego;ché dovunque tu sia puoi d'un dolentequal, lasso! mi son io, la voce udire.Di che grave ferita e di che dogliatrafitto io porti questo braccio il vedi;né il sangue ancor mi si ristagna, e taleincessante m'opprime una gravezzal'omero tutto, che dell'asta al pesomal reggo, e mal poss'io coll'inimicoavventurarmi alla battaglia. Intantodi Giove il figlio Sarpedonte giacefortissimo guerriero, e l'abbandonaahi! pure il padre. Ma tu, Dio pietoso,quest'acerba mia piaga or mi risana:deh! placane il dolor, forza m'aggiungi,sì che i Licii compagni inanimando,io gli sproni al conflitto, e a me medesmopugnar sia dato per l'estinto amico.Sì disse orando, ed esaudillo il nume:della piaga sedò tosto il tormento,stagnonne il sangue, e gagliardia gli crebbe.

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Sentì del Dio la man, fe' lieto il corel'esaudito guerrier: de' Licii in primaa incitar corre d'ogni parte i ducialla difesa dell'estinto: movequindi a gran passi fra' Troiani, e chiamaPolidamante e Agènore, ed Eneaanco ed Ettorre, e in rapide parolelor fattosi davanti, Ettore, ei grida,tu dimentichi i prodi che per tedalla patria lontani e dagli amicispendono l'alma, e tu lor nieghi aita.Giace de' Licii il condottiero, il giustoforte lor prence Sarpedon. Gradivosotto Patròclo l'atterrò: correte,v'infiammi, amici, una giust'ira il petto;non patite, per dio! che i Mirmidónilo spoglino dell'armi, e villaniafacciano al morto vendicando i Dànaida noi spenti. - Sì disse, e ricopersedolor profondo le dardanie fronti;ché un gran sostegno, benché stranio, egli erad'Ilio, e molta seguìa gagliarda gentelui fortissimo in guerra. Difilatimosser dunque e serrati i teucri ducicontra il nemico, ed Ettore, frementedel morto Sarpedon, li precorrea.D'altra parte Patròclo, anima ardita,sprona l'acheo valor. Gli Aiaci in prima,

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Sentì del Dio la man, fe' lieto il corel'esaudito guerrier: de' Licii in primaa incitar corre d'ogni parte i ducialla difesa dell'estinto: movequindi a gran passi fra' Troiani, e chiamaPolidamante e Agènore, ed Eneaanco ed Ettorre, e in rapide parolelor fattosi davanti, Ettore, ei grida,tu dimentichi i prodi che per tedalla patria lontani e dagli amicispendono l'alma, e tu lor nieghi aita.Giace de' Licii il condottiero, il giustoforte lor prence Sarpedon. Gradivosotto Patròclo l'atterrò: correte,v'infiammi, amici, una giust'ira il petto;non patite, per dio! che i Mirmidónilo spoglino dell'armi, e villaniafacciano al morto vendicando i Dànaida noi spenti. - Sì disse, e ricopersedolor profondo le dardanie fronti;ché un gran sostegno, benché stranio, egli erad'Ilio, e molta seguìa gagliarda gentelui fortissimo in guerra. Difilatimosser dunque e serrati i teucri ducicontra il nemico, ed Ettore, frementedel morto Sarpedon, li precorrea.D'altra parte Patròclo, anima ardita,sprona l'acheo valor. Gli Aiaci in prima,

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già per sé caldi di coraggio, infiammacon questi detti: Aiaci, ora vi cagliadi far testa a costoro, e vi mostratequali un tempo già foste, anzi migliori.Il campion che primiero la bastitasaltò de' Greci, Sarpedonte è steso.Oh se fargli pur onta e strascinarloe spogliarlo dell'armi ne si desse!E stramazzargli accanto un qualchedunode' suoi compagni a disputarlo accinti!Disse, e diè nel desìo de' due guerrieri.Quinci e quindi le schiere inanimateTroiani e Licii, Mirmidóni e Acheisovra l'estinto s'azzuffâr mettendoorrende grida; e con fragore immensorisonavano l'armi. Un fiero buiosu l'aspra pugna allor Giove diffuse,onde costasse molta strage il corpodell'amato figliuol. Primi i Troianirespinsero gli Achei, spento Epigèo.Del magnanimo Agàcle era costuiillustre figlio, e fra gli audaci Tessaliaudacissimo. A lui di Budio un giornol'alma terra obbedìa. Ma spento avendoun suo valente consobrino, ei supplicea Pelèo rifuggissi ed alla divaconsorte: e questi a guerreggiar co' Teucrid'Ilio ne' campi lo spedîr compagno

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già per sé caldi di coraggio, infiammacon questi detti: Aiaci, ora vi cagliadi far testa a costoro, e vi mostratequali un tempo già foste, anzi migliori.Il campion che primiero la bastitasaltò de' Greci, Sarpedonte è steso.Oh se fargli pur onta e strascinarloe spogliarlo dell'armi ne si desse!E stramazzargli accanto un qualchedunode' suoi compagni a disputarlo accinti!Disse, e diè nel desìo de' due guerrieri.Quinci e quindi le schiere inanimateTroiani e Licii, Mirmidóni e Acheisovra l'estinto s'azzuffâr mettendoorrende grida; e con fragore immensorisonavano l'armi. Un fiero buiosu l'aspra pugna allor Giove diffuse,onde costasse molta strage il corpodell'amato figliuol. Primi i Troianirespinsero gli Achei, spento Epigèo.Del magnanimo Agàcle era costuiillustre figlio, e fra gli audaci Tessaliaudacissimo. A lui di Budio un giornol'alma terra obbedìa. Ma spento avendoun suo valente consobrino, ei supplicea Pelèo rifuggissi ed alla divaconsorte: e questi a guerreggiar co' Teucrid'Ilio ne' campi lo spedîr compagno

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dell'omicida Achille. Or qui costuigià l'animose mani al combattutocadavere mettea, quando d'un sassoEttore il giunse nella fronte, e tuttain due gliela spezzò dentro l'elmetto.Cadde prono sul morto l'infelice,e chiuse i lumi nell'eterna notte.Addolorato dell'ucciso amicodritto tra' primi pugnator scagliossidi Menèzio il buon figlio: e qual velocesparvier che gracci paventosi e stornisparpaglia per lo cielo e li persegue;tal nel denso de' Licii e de' Troianiirrompesti, o Patròclo, alla vendettadel caduto compagno. A Stenelao,caro figliuol d'Itemenèo, percossed'un rude sasso la cervice, e i nervine lacerò. Piegâr, ciò visto, addietroi combattenti della fronte: ei purepiegò l'illustre Ettorre; e quanto è il trattodi stral che in giostra o in omicida pugnavibra un buon gittator, tanto i Troianidier volta addietro dall'Acheo repulsi.Il primo che converse ardito il visofu de' Licii scudati il capitanoGlauco; e a Batìcle, di Calcon dilettomagnanimo figliuol, tolse la vita.In Grecia egli era possessor di molte

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dell'omicida Achille. Or qui costuigià l'animose mani al combattutocadavere mettea, quando d'un sassoEttore il giunse nella fronte, e tuttain due gliela spezzò dentro l'elmetto.Cadde prono sul morto l'infelice,e chiuse i lumi nell'eterna notte.Addolorato dell'ucciso amicodritto tra' primi pugnator scagliossidi Menèzio il buon figlio: e qual velocesparvier che gracci paventosi e stornisparpaglia per lo cielo e li persegue;tal nel denso de' Licii e de' Troianiirrompesti, o Patròclo, alla vendettadel caduto compagno. A Stenelao,caro figliuol d'Itemenèo, percossed'un rude sasso la cervice, e i nervine lacerò. Piegâr, ciò visto, addietroi combattenti della fronte: ei purepiegò l'illustre Ettorre; e quanto è il trattodi stral che in giostra o in omicida pugnavibra un buon gittator, tanto i Troianidier volta addietro dall'Acheo repulsi.Il primo che converse ardito il visofu de' Licii scudati il capitanoGlauco; e a Batìcle, di Calcon dilettomagnanimo figliuol, tolse la vita.In Grecia egli era possessor di molte

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splendide case, e per dovizia il primofra i Tessali tenuto. A lui si volseil Licio all'improvvista, e il giavellottogli ficcò nelle coste appunto in quellache costui l'inseguiva ed era in attogià d'afferrarlo. Ei cadde, e un fragor cupodieder l'armi sovr'esso. Alla cadutadell'egregio guerriero alto doloregli Achei comprese ed alta gioia i Teucri,che stretti a Glauco s'avanzâr più baldi.Né si smarrîr gli Achivi, ma di puntasi spinsero allo scontro. E MerïoneLaogono prostese, audace figliod'Enètore che in Ida era di Giovesacerdote, e qual nume il popol tuttolo riveriva. Merïon lo colsetra il confin dell'orecchio e della gota,e tosto l'alma uscì dal corpo, e luiun'orrenda ravvolse ombra di morte.Incontro all'uccisor la ferrea lanciaEnea diresse, e a lui che sotto l'orbedel gran pavese procedea securo,assestarla sperò. Ma quei del colpoavvistosi, e piegata la personal'asta schivò che sibilante e lungaandò di retro a conficcarsi in terra.Ne tremolò la coda, e quivi tuttaperdé l'impeto e l'ira che la spinse.

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splendide case, e per dovizia il primofra i Tessali tenuto. A lui si volseil Licio all'improvvista, e il giavellottogli ficcò nelle coste appunto in quellache costui l'inseguiva ed era in attogià d'afferrarlo. Ei cadde, e un fragor cupodieder l'armi sovr'esso. Alla cadutadell'egregio guerriero alto doloregli Achei comprese ed alta gioia i Teucri,che stretti a Glauco s'avanzâr più baldi.Né si smarrîr gli Achivi, ma di puntasi spinsero allo scontro. E MerïoneLaogono prostese, audace figliod'Enètore che in Ida era di Giovesacerdote, e qual nume il popol tuttolo riveriva. Merïon lo colsetra il confin dell'orecchio e della gota,e tosto l'alma uscì dal corpo, e luiun'orrenda ravvolse ombra di morte.Incontro all'uccisor la ferrea lanciaEnea diresse, e a lui che sotto l'orbedel gran pavese procedea securo,assestarla sperò. Ma quei del colpoavvistosi, e piegata la personal'asta schivò che sibilante e lungaandò di retro a conficcarsi in terra.Ne tremolò la coda, e quivi tuttaperdé l'impeto e l'ira che la spinse.

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Come fitto nel suolo, e indarno uscitoEnea si vide dalla mano il telo;Per certo, o Merïon, disse rabbioso,un assai destro saltator tu sei:ma questa lancia mia, se t'aggiungea,t'avrìa ferme le gambe eternamente.E Merïone di rimando: Enea,forte sei, ma ti fia duro la possaprostrar d'ognuno che al tuo scontro vegna,ché mortal se' tu pure: e s'io con questain pieno ti corrò, con tutto il nerbodelle tue mani e la tua gran baldanzala palma a me darai, lo spirto a Pluto.Disse: e Patròclo con rampogna acerbagarrendolo: Perché cianci sì vanotu che sei valoroso, o Merïone?Per contumelie, amico, unqua non fiache l'inimico quell'esangue ceda,ma col far che più d'un morda il terreno.Orsù, lingua in consiglio, e braccio in guerra,tregua alle ciance, e mano al ferro. - E dettequeste cose, s'avanza, e l'altro il segue.Quale è il romor che fanno i legnaiuoliin montana foresta, e lunge il suonova gli orecchi a ferir, tale il rimbomboper la vasta pianura si sollevadi celate, di scudi e di loriche,altre di duro cuoio, altre di ferro,

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Come fitto nel suolo, e indarno uscitoEnea si vide dalla mano il telo;Per certo, o Merïon, disse rabbioso,un assai destro saltator tu sei:ma questa lancia mia, se t'aggiungea,t'avrìa ferme le gambe eternamente.E Merïone di rimando: Enea,forte sei, ma ti fia duro la possaprostrar d'ognuno che al tuo scontro vegna,ché mortal se' tu pure: e s'io con questain pieno ti corrò, con tutto il nerbodelle tue mani e la tua gran baldanzala palma a me darai, lo spirto a Pluto.Disse: e Patròclo con rampogna acerbagarrendolo: Perché cianci sì vanotu che sei valoroso, o Merïone?Per contumelie, amico, unqua non fiache l'inimico quell'esangue ceda,ma col far che più d'un morda il terreno.Orsù, lingua in consiglio, e braccio in guerra,tregua alle ciance, e mano al ferro. - E dettequeste cose, s'avanza, e l'altro il segue.Quale è il romor che fanno i legnaiuoliin montana foresta, e lunge il suonova gli orecchi a ferir, tale il rimbomboper la vasta pianura si sollevadi celate, di scudi e di loriche,altre di duro cuoio, altre di ferro,

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ripercosse dall'aste e dalle spade:ned occhio il più scernente affiguratoavrìa l'illustre Sarpedon: tant'eranegli strali, nel sangue e nella polvesepolto tutto dalla fronte al piede.Senza mai requie al freddo corpo intornofacean tutti baruffa: e quale è il zonzocon che soglion le mosche a primaveraassalir susurrando entro il presepei vasi pastorali, allor che pienisgorgan di latte; di costor tal erala giravolta intorno a quell'estinto.Fissi intanto tenea nell'aspra pugnaGiove gli sguardi lampeggianti, e secosul fato di Patròclo omai maturoseveramente nell'eterno sennoconsultando venìa, se il grande Ettorrelà sul giacente Sarpedon l'uccida,e dell'armi lo spogli; o se precedaal suo morire di molt'altri il fato.E questo parve lo miglior pensiero,che del Pelìde Achille il bellicososcudier ricacci col lor duce i Teucrialla cittade, e molte vite estingua.Però d'Ettore al cor tale egli miseuna vil tema, che montato il cocchioratto in fuga si volse, ed alla fugai Troiani esortò, chiaro scorgendo

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ripercosse dall'aste e dalle spade:ned occhio il più scernente affiguratoavrìa l'illustre Sarpedon: tant'eranegli strali, nel sangue e nella polvesepolto tutto dalla fronte al piede.Senza mai requie al freddo corpo intornofacean tutti baruffa: e quale è il zonzocon che soglion le mosche a primaveraassalir susurrando entro il presepei vasi pastorali, allor che pienisgorgan di latte; di costor tal erala giravolta intorno a quell'estinto.Fissi intanto tenea nell'aspra pugnaGiove gli sguardi lampeggianti, e secosul fato di Patròclo omai maturoseveramente nell'eterno sennoconsultando venìa, se il grande Ettorrelà sul giacente Sarpedon l'uccida,e dell'armi lo spogli; o se precedaal suo morire di molt'altri il fato.E questo parve lo miglior pensiero,che del Pelìde Achille il bellicososcudier ricacci col lor duce i Teucrialla cittade, e molte vite estingua.Però d'Ettore al cor tale egli miseuna vil tema, che montato il cocchioratto in fuga si volse, ed alla fugai Troiani esortò, chiaro scorgendo

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inclinarsi di Giove a suo perigliole fatali bilance. Allor piè fermoneppur de' Licii lo squadron non tenne,ma tutti si fuggîr visto il trafittore lor giacente sotto monte orrendodi cadaveri: tante su lui cadderoanime forti quando della pugnaa Giove piacque esasperar gli sdegni.Così le corruscanti arme gli Achivitrasser di dosso a Sarpedonte, e alteroalle navi invïolle il vincitore.Allor l'eterno adunator de' nembiad Apollo così: Scendi veloce,Febo diletto, e da quell'alto ingombrod'armi sottraggi Sarpedonte, e tersodall'atro sangue altrove il porta, e il lavaalla corrente, e lui d'ambrosia sparsod'immortal veste avvolgi: indi alla Morteed al Sonno gemelli fa precettoche all'opime di Licia alme contradeil portino veloci, ove di tombae di colonna, onor de' morti, egli abbiada' fratelli conforto e dagli amici.Disse: e al paterno cenno obbedïentecalossi Apollo dall'idèa montagnasul campo sanguinoso, e in un balenodi sotto ai dardi Sarpedon levando,e lontano il recando alla corrente

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inclinarsi di Giove a suo perigliole fatali bilance. Allor piè fermoneppur de' Licii lo squadron non tenne,ma tutti si fuggîr visto il trafittore lor giacente sotto monte orrendodi cadaveri: tante su lui cadderoanime forti quando della pugnaa Giove piacque esasperar gli sdegni.Così le corruscanti arme gli Achivitrasser di dosso a Sarpedonte, e alteroalle navi invïolle il vincitore.Allor l'eterno adunator de' nembiad Apollo così: Scendi veloce,Febo diletto, e da quell'alto ingombrod'armi sottraggi Sarpedonte, e tersodall'atro sangue altrove il porta, e il lavaalla corrente, e lui d'ambrosia sparsod'immortal veste avvolgi: indi alla Morteed al Sonno gemelli fa precettoche all'opime di Licia alme contradeil portino veloci, ove di tombae di colonna, onor de' morti, egli abbiada' fratelli conforto e dagli amici.Disse: e al paterno cenno obbedïentecalossi Apollo dall'idèa montagnasul campo sanguinoso, e in un balenodi sotto ai dardi Sarpedon levando,e lontano il recando alla corrente

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tutto lavollo, e l'irrigò d'ambrosia,e di stola immortal lo ricoperse;quindi al Sonno comanda ed alla Morted'indossarlo e portarselo veloci:e quei subitamente ebber depostonella licia contrada il sacro incarco.In questo mentre di Menèzio il figlioi cavalli e l'auriga inanimandoai Licii dava e ai Dardani la caccia.Stolto! ché in danno gli tornò dassezzo.Se d'Achille obbedìa saggio al comando,schivato ei certo della Parca avrebbeil decreto fatal: ma più possentee di Giove il voler, che de' mortali.Arbitro della tema ei mette in fugai più forti a suo senno, e allor pur ancoch'egli medesmo a battagliar li sprona,lor toglie la vittoria; e questo ei feced'audacia empiendo di Patròclo il petto.Or qual prima, qual poi spingesti a Pluto,quando alla morte ti chiamâr gli Dei,magnanimo guerrier? Fur primi Adresto,Autònoo, Echeclo, ed Epistorre e Pèrimoprole di Mega, e Melanippo; quindiElaso e Mulio con Pilarte; e comestese questi al terren, gli altri non fûrolenti alla fuga. E per Patròclo allora(ch'ei dirotto nell'ira innanzi a tutti

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tutto lavollo, e l'irrigò d'ambrosia,e di stola immortal lo ricoperse;quindi al Sonno comanda ed alla Morted'indossarlo e portarselo veloci:e quei subitamente ebber depostonella licia contrada il sacro incarco.In questo mentre di Menèzio il figlioi cavalli e l'auriga inanimandoai Licii dava e ai Dardani la caccia.Stolto! ché in danno gli tornò dassezzo.Se d'Achille obbedìa saggio al comando,schivato ei certo della Parca avrebbeil decreto fatal: ma più possentee di Giove il voler, che de' mortali.Arbitro della tema ei mette in fugai più forti a suo senno, e allor pur ancoch'egli medesmo a battagliar li sprona,lor toglie la vittoria; e questo ei feced'audacia empiendo di Patròclo il petto.Or qual prima, qual poi spingesti a Pluto,quando alla morte ti chiamâr gli Dei,magnanimo guerrier? Fur primi Adresto,Autònoo, Echeclo, ed Epistorre e Pèrimoprole di Mega, e Melanippo; quindiElaso e Mulio con Pilarte; e comestese questi al terren, gli altri non fûrolenti alla fuga. E per Patròclo allora(ch'ei dirotto nell'ira innanzi a tutti

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furïava coll'asta) avrìan di Troiaconsumato gli Achei l'alto conquisto;ma Febo Apollo lo vietò calatosu l'erta d'una torre, alto disastromeditando al guerriero, e scampo ai Teucri.Tre volte il cavalier dell'arduo murosu gli sproni montò; tre volte il numecolla destra immortal lo risospinse,forte picchiando sul lucente scudo.Ma come più feroce al quarto assaltol'eroe spiccossi, minacciollo iratocon fiera voce il saettante iddio:Addietro, illustre baldanzoso, addietro:alla tua lancia non concede il fatoespugnar la città de' generosiTeucri, né a quella pur del grande Achillesì più forte di te. - Questo sol disse:ed il guerriero retrocesse e l'iraschivò del nume che da lungi impiaga.Avea frattanto su le porte Sceede' suoi fuggenti corridori Ettorrerattenuta la foga, e in cor dubbiavase spronarli dovesse entro la mischianovellamente, e rinfrescar la pugnao chiamando a raccolta entro le mural'esercito ridurre. A lui nel mezzodi questo dubbio appresentossi Apollo,tolte d'Asio le forme. Era d'Ettorre

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furïava coll'asta) avrìan di Troiaconsumato gli Achei l'alto conquisto;ma Febo Apollo lo vietò calatosu l'erta d'una torre, alto disastromeditando al guerriero, e scampo ai Teucri.Tre volte il cavalier dell'arduo murosu gli sproni montò; tre volte il numecolla destra immortal lo risospinse,forte picchiando sul lucente scudo.Ma come più feroce al quarto assaltol'eroe spiccossi, minacciollo iratocon fiera voce il saettante iddio:Addietro, illustre baldanzoso, addietro:alla tua lancia non concede il fatoespugnar la città de' generosiTeucri, né a quella pur del grande Achillesì più forte di te. - Questo sol disse:ed il guerriero retrocesse e l'iraschivò del nume che da lungi impiaga.Avea frattanto su le porte Sceede' suoi fuggenti corridori Ettorrerattenuta la foga, e in cor dubbiavase spronarli dovesse entro la mischianovellamente, e rinfrescar la pugnao chiamando a raccolta entro le mural'esercito ridurre. A lui nel mezzodi questo dubbio appresentossi Apollo,tolte d'Asio le forme. Era d'Ettorre

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zio cotest'Asio ad Ecuba germano,e nondimeno ancor di giovinezzafresco e di forze, di Dimante figlio,che del frigio Sangario in su le rivetenea suo seggio. La costui sembianzapresa, il nume sì disse: Ettor, perchécessi dall'armi? È d'un tuo pari indegnaquesta desidia. Di vigor vincessiio te quanto tu me! ben io pentirtifarei del tuo riposo. Orsù, converticontra Patròclo que' destrieri, e trovad'atterrarlo una via: fa che l'onoredi questa morte Apollo ti conceda.Disse; e di nuovo il Dio nel travagliosoconflitto si confuse. In sé riscossoEttore al franco Cebrïon fe' cennodi sferzargli i destrieri alla battaglia:ed Apollo per mezzo ai combattentiscorrendo occulto seminava intantotra gli Achei lo scompiglio e la paura,e fea vincenti col lor duce i Teucri.Sdegnoso Ettorre di ferir sul volgode' nemici, spingea solo in Patròcloi gagliardi cavalli, e ad incontrarlodiè il Tessalo dal cocchio un salto in terracoll'asta nella manca, e colla drittaun macigno afferrò aspro che tuttoempiagli il pugno, e lo scagliò di forza.

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zio cotest'Asio ad Ecuba germano,e nondimeno ancor di giovinezzafresco e di forze, di Dimante figlio,che del frigio Sangario in su le rivetenea suo seggio. La costui sembianzapresa, il nume sì disse: Ettor, perchécessi dall'armi? È d'un tuo pari indegnaquesta desidia. Di vigor vincessiio te quanto tu me! ben io pentirtifarei del tuo riposo. Orsù, converticontra Patròclo que' destrieri, e trovad'atterrarlo una via: fa che l'onoredi questa morte Apollo ti conceda.Disse; e di nuovo il Dio nel travagliosoconflitto si confuse. In sé riscossoEttore al franco Cebrïon fe' cennodi sferzargli i destrieri alla battaglia:ed Apollo per mezzo ai combattentiscorrendo occulto seminava intantotra gli Achei lo scompiglio e la paura,e fea vincenti col lor duce i Teucri.Sdegnoso Ettorre di ferir sul volgode' nemici, spingea solo in Patròcloi gagliardi cavalli, e ad incontrarlodiè il Tessalo dal cocchio un salto in terracoll'asta nella manca, e colla drittaun macigno afferrò aspro che tuttoempiagli il pugno, e lo scagliò di forza.

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Fallì la mira il colpo, ma d'un pelo;né però vano uscì, ché nella frontel'ettòreo auriga Cebrïon percosse,tutto al governo delle briglie intento,Cebrïon che nascea del re troianovaloroso bastardo. Il sasso acutol'un ciglio e l'altro sgretolò, né l'ossosostenerlo poteo. Divelti al piedegli schizzâr gli occhi nella sabbia, ed esso,qual suole il notator, fece cadendodal carro un tòmo, e l'agghiacciò la morte.E tu, Patròclo, con amari accentilo schernisti così: Davvero è snelloquesto Troiano: ve' ve' come ei tombolacon leggiadria! Se in pelago pescosocapitasse costui, certo saprebbesaltando in mar, foss'anche in gran fortuna,dallo scoglio spiccar conchiglie e riccida saziarne molte epe: sì lestosaltò pur or dal carro a capo in giuso.Oh gli eccellenti notator che ha Troia!Sì dicendo, avventossi a Cebrïonecome fiero lïon che disertandouna greggia, piagar si sente il petto,e dal proprio valor morte riceve.Ma ratto contra a quel furor si slanciaEttore dalla biga; e i due superbiincomincian col ferro a disputarsi

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Fallì la mira il colpo, ma d'un pelo;né però vano uscì, ché nella frontel'ettòreo auriga Cebrïon percosse,tutto al governo delle briglie intento,Cebrïon che nascea del re troianovaloroso bastardo. Il sasso acutol'un ciglio e l'altro sgretolò, né l'ossosostenerlo poteo. Divelti al piedegli schizzâr gli occhi nella sabbia, ed esso,qual suole il notator, fece cadendodal carro un tòmo, e l'agghiacciò la morte.E tu, Patròclo, con amari accentilo schernisti così: Davvero è snelloquesto Troiano: ve' ve' come ei tombolacon leggiadria! Se in pelago pescosocapitasse costui, certo saprebbesaltando in mar, foss'anche in gran fortuna,dallo scoglio spiccar conchiglie e riccida saziarne molte epe: sì lestosaltò pur or dal carro a capo in giuso.Oh gli eccellenti notator che ha Troia!Sì dicendo, avventossi a Cebrïonecome fiero lïon che disertandouna greggia, piagar si sente il petto,e dal proprio valor morte riceve.Ma ratto contra a quel furor si slanciaEttore dalla biga; e i due superbiincomincian col ferro a disputarsi

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l'esangue Cebrïon. Qual due lïoniche per gran fame e per gran cor ferocis'azzuffano d'un monte in su la cimaper la contesa d'una cerva uccisa;non altrimenti i due mastri di guerra,l'intrepido Patròclo e il grande Ettorre,ardono entrambi del crudel desìodi trucidarsi. Il teucro eroe la testadel cadavere afferra, e lo ghermisceil Tessalo d'un piede, e la sua presané quei né questi di lasciar fa stima.Allor Troiani e Achivi una battagliaappiccâr disperata: e qual gareggianod'Euro e di Noto i forti fiati a svellerenelle selve montane il faggio e il frassinoed il ruvido cornio; e questi all'aeredibattendo le lunghe e larghe bracciacon immenso ruggito le confondono,finché li vedi fracassarsi, e opprimerefragorosi la valle: a questa immaginel'un su l'altro scagliandosi combattonoTroiani e Dànai del fuggir dimentichi.Dintorno a Cebrïon folta conficcasiuna selva d'acute aste e d'aligeridardi guizzanti dalle cocche; assiduad'enormi sassi una tempesta crepitasu gli ammaccati scudi; ed ei nel vorticedella polve giacea grande cadavere

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l'esangue Cebrïon. Qual due lïoniche per gran fame e per gran cor ferocis'azzuffano d'un monte in su la cimaper la contesa d'una cerva uccisa;non altrimenti i due mastri di guerra,l'intrepido Patròclo e il grande Ettorre,ardono entrambi del crudel desìodi trucidarsi. Il teucro eroe la testadel cadavere afferra, e lo ghermisceil Tessalo d'un piede, e la sua presané quei né questi di lasciar fa stima.Allor Troiani e Achivi una battagliaappiccâr disperata: e qual gareggianod'Euro e di Noto i forti fiati a svellerenelle selve montane il faggio e il frassinoed il ruvido cornio; e questi all'aeredibattendo le lunghe e larghe bracciacon immenso ruggito le confondono,finché li vedi fracassarsi, e opprimerefragorosi la valle: a questa immaginel'un su l'altro scagliandosi combattonoTroiani e Dànai del fuggir dimentichi.Dintorno a Cebrïon folta conficcasiuna selva d'acute aste e d'aligeridardi guizzanti dalle cocche; assiduad'enormi sassi una tempesta crepitasu gli ammaccati scudi; ed ei nel vorticedella polve giacea grande cadavere

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in grande spazio, eternamente, ahi misero!dei cari in vita equestri studi immemore.Finché del sole ascesero le roteverso il mezzo del ciel, d'ambe le partiuscìano i colpi con egual ruina,e la gente cadea. Ma quando il giornosu le vie dechinò dell'occidente,prevalse il fato degli Achei che alfinedall'acervo dei teli, e dalla serrade' Troiani involâr di Cebrïonela salma, e l'armi gli rapîr di dosso.Qui fu che pieno di crudel talentourtò Patròclo i Troi. Tre volte il fierocon gridi orrendi gli assalì, tre voltespense nove guerrier; ma come il quartoimpeto fece, e parve un Dio, la Parcadel viver tuo raccolse il filo estremo,miserando garzon, ché ad incontrartivenìa tremendo nella mischia Apollo:né camminar tra l'armi alla sua voltal'eroe lo vide, ché una folta nebbiale divine sembianze ricoprìa.Vennegli a tergo il nume, e colla gravepalma sul dosso tra le late spallegli dechinò sì forte una percossa,che abbacinossi al misero la vistae girò l'intelletto. Indi dal capovia saltar gli fe' l'elmo il Dio nemico,

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in grande spazio, eternamente, ahi misero!dei cari in vita equestri studi immemore.Finché del sole ascesero le roteverso il mezzo del ciel, d'ambe le partiuscìano i colpi con egual ruina,e la gente cadea. Ma quando il giornosu le vie dechinò dell'occidente,prevalse il fato degli Achei che alfinedall'acervo dei teli, e dalla serrade' Troiani involâr di Cebrïonela salma, e l'armi gli rapîr di dosso.Qui fu che pieno di crudel talentourtò Patròclo i Troi. Tre volte il fierocon gridi orrendi gli assalì, tre voltespense nove guerrier; ma come il quartoimpeto fece, e parve un Dio, la Parcadel viver tuo raccolse il filo estremo,miserando garzon, ché ad incontrartivenìa tremendo nella mischia Apollo:né camminar tra l'armi alla sua voltal'eroe lo vide, ché una folta nebbiale divine sembianze ricoprìa.Vennegli a tergo il nume, e colla gravepalma sul dosso tra le late spallegli dechinò sì forte una percossa,che abbacinossi al misero la vistae girò l'intelletto. Indi dal capovia saltar gli fe' l'elmo il Dio nemico,

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e l'elmo al suolo rotolando fecesotto il piè de' corsieri un tintinnìo,e si bruttaro del cimier le crestedi sangue e polve; né di polve in priainsozzar quel cimiero era concessoquando l'intatto capo e la leggiadrafronte copriva del divino Achille.Ma in quel giorno fatal Giove permiseche d'Ettore passasse in su le chiomevicino anch'esso al fato estremo. Alloratutta a Patròclo nella man si fransela ferrea, lunga, ponderosa e saldasmisurata sua lancia, e sul terrenodalla manca gli cadde il gran paveserotto il guinzaglio. Di sua man l'usbergosciolsegli alfine di Latona il figlio,e l'infelice allor del tutto uscìodi sentimento; gli tremaro i polsi,ristette immoto, sbalordito, e in quellatra l'una spalla e l'altra lo percossecoll'asta da vicin di Panto il figliol'audace Euforbo, un Dardano che al corsoe in trattar lancia e maneggiar destrierila pari gioventù vincea d'assai.La prima volta che sublime ei parvesu la biga a imparar dell'armi il duromestier, venti guerrieri al paragoneriversò da' lor cocchi; ed or fu il primo

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e l'elmo al suolo rotolando fecesotto il piè de' corsieri un tintinnìo,e si bruttaro del cimier le crestedi sangue e polve; né di polve in priainsozzar quel cimiero era concessoquando l'intatto capo e la leggiadrafronte copriva del divino Achille.Ma in quel giorno fatal Giove permiseche d'Ettore passasse in su le chiomevicino anch'esso al fato estremo. Alloratutta a Patròclo nella man si fransela ferrea, lunga, ponderosa e saldasmisurata sua lancia, e sul terrenodalla manca gli cadde il gran paveserotto il guinzaglio. Di sua man l'usbergosciolsegli alfine di Latona il figlio,e l'infelice allor del tutto uscìodi sentimento; gli tremaro i polsi,ristette immoto, sbalordito, e in quellatra l'una spalla e l'altra lo percossecoll'asta da vicin di Panto il figliol'audace Euforbo, un Dardano che al corsoe in trattar lancia e maneggiar destrierila pari gioventù vincea d'assai.La prima volta che sublime ei parvesu la biga a imparar dell'armi il duromestier, venti guerrieri al paragoneriversò da' lor cocchi; ed or fu il primo

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che ti ferì, Patròclo, e non t'uccise.Anzi dal corpo ricovrando il ferrosi fuggì pauroso, e nella turbasi confuse il fellon, che di Patròclobenché piagato e già dell'armi ignudonon sostenne la vista. Da quel colpoe più dall'urto dell'avverso Dioabbattuto l'eroe si ritiravafra' suoi compagni ad ischivar la morte.Ed Ettore, veduto il suo nemicoretrocedente e già di piaga offeso,tra le file vicino gli si strinse,nell'imo cassò immerse l'asta e tuttadall'altra parte rïuscir la fece.Risonò nel cadere, ed un gran luttoper l'esercito achivo si diffuse.Come quando un lïone alla montagnacinghial di forze smisurate assalta,e l'uno e l'altro di gran cor fan lited'una povera fonte, al cui zampillovenìano entrambi ad ammorzar la sete;alfin la belva dai robusti artiglistende anelo il nemico in su l'arena:tal di Menèzio al generoso figliode' Teucri struggitor tolse la vitail troian duce, e al moribondo eroeorgoglioso insultando, Ecco, dicea,ecco, o Patròclo, la città che dianzi

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che ti ferì, Patròclo, e non t'uccise.Anzi dal corpo ricovrando il ferrosi fuggì pauroso, e nella turbasi confuse il fellon, che di Patròclobenché piagato e già dell'armi ignudonon sostenne la vista. Da quel colpoe più dall'urto dell'avverso Dioabbattuto l'eroe si ritiravafra' suoi compagni ad ischivar la morte.Ed Ettore, veduto il suo nemicoretrocedente e già di piaga offeso,tra le file vicino gli si strinse,nell'imo cassò immerse l'asta e tuttadall'altra parte rïuscir la fece.Risonò nel cadere, ed un gran luttoper l'esercito achivo si diffuse.Come quando un lïone alla montagnacinghial di forze smisurate assalta,e l'uno e l'altro di gran cor fan lited'una povera fonte, al cui zampillovenìano entrambi ad ammorzar la sete;alfin la belva dai robusti artiglistende anelo il nemico in su l'arena:tal di Menèzio al generoso figliode' Teucri struggitor tolse la vitail troian duce, e al moribondo eroeorgoglioso insultando, Ecco, dicea,ecco, o Patròclo, la città che dianzi

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atterrar ti credesti, ecco le donneche ti sperasti di condur captivealla paterna Ftia. Folle! e non saiche a difesa di queste anco i cavallid'Ettòr son pronti a guerreggiar co' piedi?E che fra' Teucri bellicosi io stessonon vil guerriero maneggiar so l'asta,e preservarli da servil catena?Tu frattanto qui statti orrido pastod'avoltoi. Che ti valse, o sventurato,quel tuo sì forte Achille? Ei molti avvisiti diè certo al partire: O cavalierocaro Patròclo, non mi far ritornoalle navi se pria dell'omicidaEttòr sul petto non avrai spezzatoil sanguinoso usbergo... Ei certo il disse,e a te, stolto che fosti! il persuase.E a lui così l'eroe languente: Or puoimenar gran vampo, Ettorre, or che ti dierodi mia morte la palma Apollo e Giove.Essi, non tu, m'han domo; essi m'han trattol'armi di dosso. Se pur venti a frontetuoi pari in campo mi venìan, qui tuttiquesto braccio gli avrìa prostrati e spenti.Ma me per rio destin qui Febo uccidefra gl'Immortali, e tra' mortali Euforbo,tu terzo mi dispogli. Or io vo' dirticosa che in mente collocar ben devi:

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atterrar ti credesti, ecco le donneche ti sperasti di condur captivealla paterna Ftia. Folle! e non saiche a difesa di queste anco i cavallid'Ettòr son pronti a guerreggiar co' piedi?E che fra' Teucri bellicosi io stessonon vil guerriero maneggiar so l'asta,e preservarli da servil catena?Tu frattanto qui statti orrido pastod'avoltoi. Che ti valse, o sventurato,quel tuo sì forte Achille? Ei molti avvisiti diè certo al partire: O cavalierocaro Patròclo, non mi far ritornoalle navi se pria dell'omicidaEttòr sul petto non avrai spezzatoil sanguinoso usbergo... Ei certo il disse,e a te, stolto che fosti! il persuase.E a lui così l'eroe languente: Or puoimenar gran vampo, Ettorre, or che ti dierodi mia morte la palma Apollo e Giove.Essi, non tu, m'han domo; essi m'han trattol'armi di dosso. Se pur venti a frontetuoi pari in campo mi venìan, qui tuttiquesto braccio gli avrìa prostrati e spenti.Ma me per rio destin qui Febo uccidefra gl'Immortali, e tra' mortali Euforbo,tu terzo mi dispogli. Or io vo' dirticosa che in mente collocar ben devi:

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breve corso a te pur resta di vita:già t'incalza la Parca, e tu cadraisotto la destra dell'invitto Achille.Disse e spirò. Disciolta dalle membrascese l'alma a Pluton la sua piangendosorte infelice e la perduta insiemefortezza e gioventù. Sovra l'estintoarrestatosi Ettorre, A che mi vaiprofetando, dicea, morte funesta?Chi sa che questo della bella Tetivantato figlio, questo Achille a Ditecolto dall'asta mia non mi preceda?Così dicendo, lo calcò d'un piede,gli svelse il telo dalla piaga, e lungilui supino gittò. Poi ratto addossoall'auriga d'Achille si disserra,di ferirlo bramoso. Invan; ché altrovegl'immortali sel portano corsieri,che in bel dono a Pelèo diero gli Dei.

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breve corso a te pur resta di vita:già t'incalza la Parca, e tu cadraisotto la destra dell'invitto Achille.Disse e spirò. Disciolta dalle membrascese l'alma a Pluton la sua piangendosorte infelice e la perduta insiemefortezza e gioventù. Sovra l'estintoarrestatosi Ettorre, A che mi vaiprofetando, dicea, morte funesta?Chi sa che questo della bella Tetivantato figlio, questo Achille a Ditecolto dall'asta mia non mi preceda?Così dicendo, lo calcò d'un piede,gli svelse il telo dalla piaga, e lungilui supino gittò. Poi ratto addossoall'auriga d'Achille si disserra,di ferirlo bramoso. Invan; ché altrovegl'immortali sel portano corsieri,che in bel dono a Pelèo diero gli Dei.

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Libro Decimosettimo

Visto in campo cader dai Teucri uccisoPatròclo, s'avanzò d'armi splendenteil bellicoso Menelao. Si posedel morto alla difesa, e il circuivaqual suole mugolando errar dintornoalla tenera prole una giovencacui di madre sentir fe' il dolce affettodel primo parto la fatica. Il fortedavanti gli sporgea l'asta e lo scudo,pronto a ferir qual osi avvicinarsi.Ma sul caduto eroe di Panto il figliorivolò, si fe' presso, e baldanzosoall'Atride gridò: Duce di genti,di Giove alunno Menelao, recedi;quell'estinto abbandona, e a me le spogliesanguinose ne lascia, a me che primotra tutti e Teucri ed alleati in asprapugna il percossi. Non vietarmi adunquequest'alta gloria fra' Troiani; o ch'iocol ferro ti trarrò l'alma dal petto.Eterno Giove, gli rispose iratoil biondo Menelao, dove s'intesepiù sconcio millantar? Né di panterané di lïon fu mai né di robusto

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Libro Decimosettimo

Visto in campo cader dai Teucri uccisoPatròclo, s'avanzò d'armi splendenteil bellicoso Menelao. Si posedel morto alla difesa, e il circuivaqual suole mugolando errar dintornoalla tenera prole una giovencacui di madre sentir fe' il dolce affettodel primo parto la fatica. Il fortedavanti gli sporgea l'asta e lo scudo,pronto a ferir qual osi avvicinarsi.Ma sul caduto eroe di Panto il figliorivolò, si fe' presso, e baldanzosoall'Atride gridò: Duce di genti,di Giove alunno Menelao, recedi;quell'estinto abbandona, e a me le spogliesanguinose ne lascia, a me che primotra tutti e Teucri ed alleati in asprapugna il percossi. Non vietarmi adunquequest'alta gloria fra' Troiani; o ch'iocol ferro ti trarrò l'alma dal petto.Eterno Giove, gli rispose iratoil biondo Menelao, dove s'intesepiù sconcio millantar? Né di panterané di lïon fu mai né di robusto

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truculento cinghial tanto l'ardirequanta spiran ferocia i Pantoìdi.E pur che valse il fior di gioventudea quel tuo di cavalli agitatorefratello Iperenòr, quando chiamarmiil più codardo de' guerrieri achei,e aspettarmi s'ardì? Ma nol tornaroi propri piedi alla magion, mi credo,di molta festa obbietto ai venerandisuoi genitori e alla diletta sposa.Farò di te, se innoltri, ora lo stesso.Ma t'esorto a ritrarti, e pria che qualchedanno ti colga, dilungarti. Il fattorende accorto, ma tardi, anche lo stolto.Disse; e fermo in suo cor l'altro riprese.Pagami or dunque, o Menelao, del mortomio fratello la pena e del tuo vanto.D'una giovine sposa, è ver, tu festivedovo il letto, e d'ineffabil luttofosti cagione ai genitor; ma dolcefarò ben io di quei meschini il pianto,se carco del tuo capo e di tue spogliein man di Panto e della dìa Frontìdele deporrò. Non più parole. Il ferroprovi qui tosto chi sia prode o vile.Ferì, ciò detto, nel rotondo scudo,ma nol passò, ché nella salda targasi ritorse la punta. Impeto fece,

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truculento cinghial tanto l'ardirequanta spiran ferocia i Pantoìdi.E pur che valse il fior di gioventudea quel tuo di cavalli agitatorefratello Iperenòr, quando chiamarmiil più codardo de' guerrieri achei,e aspettarmi s'ardì? Ma nol tornaroi propri piedi alla magion, mi credo,di molta festa obbietto ai venerandisuoi genitori e alla diletta sposa.Farò di te, se innoltri, ora lo stesso.Ma t'esorto a ritrarti, e pria che qualchedanno ti colga, dilungarti. Il fattorende accorto, ma tardi, anche lo stolto.Disse; e fermo in suo cor l'altro riprese.Pagami or dunque, o Menelao, del mortomio fratello la pena e del tuo vanto.D'una giovine sposa, è ver, tu festivedovo il letto, e d'ineffabil luttofosti cagione ai genitor; ma dolcefarò ben io di quei meschini il pianto,se carco del tuo capo e di tue spogliein man di Panto e della dìa Frontìdele deporrò. Non più parole. Il ferroprovi qui tosto chi sia prode o vile.Ferì, ciò detto, nel rotondo scudo,ma nol passò, ché nella salda targasi ritorse la punta. Impeto fece,

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Giove invocando, dopo lui l'Atride,e al nemico, che in guardia si traea,nell'imo gorgozzul spinta la picca,ve l'immerge di forza, e gli traforail delicato collo. Ei cadde, e sopragli tonâr l'armi; e della chioma, a quelladelle Grazie simìl, le vaghe anellad'auro avvinte e d'argento insanguinârsi.Qual d'olivo gentil pianta nudritain lieto d'acque solitario locobella sorge e frondosa: il molle fiatol'accarezza dell'aure, e mentre tuttadel suo candido fiore si riveste,un improvviso turbine la schiantadall'ime barbe, e la distende a terra;tal l'Atride prostese il valorosofigliuol di Panto Euforbo, e a dispogliarlocorse dell'armi. Come quando un fortelïon montano una giovenca afferrafior dell'armento, co' robusti dentiprima il collo le frange, indi sbranatale sanguinose viscere n'ingozza:alto di cani intorno e di pastoriromor si leva, ma nïun s'accosta,ché affrontarlo non osano compresidi pallido timor: così nessunoardìa de' Teucri al baldanzoso Atridefarsi addosso; e all'ucciso ei tolte l'armi

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Giove invocando, dopo lui l'Atride,e al nemico, che in guardia si traea,nell'imo gorgozzul spinta la picca,ve l'immerge di forza, e gli traforail delicato collo. Ei cadde, e sopragli tonâr l'armi; e della chioma, a quelladelle Grazie simìl, le vaghe anellad'auro avvinte e d'argento insanguinârsi.Qual d'olivo gentil pianta nudritain lieto d'acque solitario locobella sorge e frondosa: il molle fiatol'accarezza dell'aure, e mentre tuttadel suo candido fiore si riveste,un improvviso turbine la schiantadall'ime barbe, e la distende a terra;tal l'Atride prostese il valorosofigliuol di Panto Euforbo, e a dispogliarlocorse dell'armi. Come quando un fortelïon montano una giovenca afferrafior dell'armento, co' robusti dentiprima il collo le frange, indi sbranatale sanguinose viscere n'ingozza:alto di cani intorno e di pastoriromor si leva, ma nïun s'accosta,ché affrontarlo non osano compresidi pallido timor: così nessunoardìa de' Teucri al baldanzoso Atridefarsi addosso; e all'ucciso ei tolte l'armi

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agevolmente avrìa, se questa lodegl'invidiando Apollo, incontro a luinon incitava il marzïale Ettorre.Di Menta, duce de' Ciconi, ei presele sembianze e gridò queste parole:Ettore, a che del bellicoso Achille,senza speranza d'arrivarli, inseguigl'immortali corsieri? Umana destramal li doma, e guidarli altri non puoteche Achille, germe d'una Diva. Intantoil forte Atride Menelao la salmadi Patroclo salvando, a morte ha messoun illustre Troian, di Panto il figlio,e ne spense il valor. - Ciò detto, il Dioritornò nella mischia. Alto dolorel'ettòreo petto circondò: rivolsel'eroe lo sguardo per le file in giro,e tosto dell'esimie armi vedutoil rapitore, e l'altro al suol giacentein un lago di sangue, oltre si spinsescintillante nel ferro come linguadel vivo fuoco di Vulcano, e miseacuto un grido. Udillo, e sospirandonel segreto suo cor disse l'Atride:Misero che farò? Se queste bellearmi abbandono e di Menèzio il figlioper onor mio qui steso, alla mia fugagli Achei per certo insulteran; se solo,

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agevolmente avrìa, se questa lodegl'invidiando Apollo, incontro a luinon incitava il marzïale Ettorre.Di Menta, duce de' Ciconi, ei presele sembianze e gridò queste parole:Ettore, a che del bellicoso Achille,senza speranza d'arrivarli, inseguigl'immortali corsieri? Umana destramal li doma, e guidarli altri non puoteche Achille, germe d'una Diva. Intantoil forte Atride Menelao la salmadi Patroclo salvando, a morte ha messoun illustre Troian, di Panto il figlio,e ne spense il valor. - Ciò detto, il Dioritornò nella mischia. Alto dolorel'ettòreo petto circondò: rivolsel'eroe lo sguardo per le file in giro,e tosto dell'esimie armi vedutoil rapitore, e l'altro al suol giacentein un lago di sangue, oltre si spinsescintillante nel ferro come linguadel vivo fuoco di Vulcano, e miseacuto un grido. Udillo, e sospirandonel segreto suo cor disse l'Atride:Misero che farò? Se queste bellearmi abbandono e di Menèzio il figlioper onor mio qui steso, alla mia fugagli Achei per certo insulteran; se solo,

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da pudor vinto, con Ettòr mi provoe co' suoi forti, io sol da molti oppressocadrò, ché tutti il condottier troianoseco i Teucri ne mena a questa volta.Ma che dubbia il mio cor? Chi con avversinumi un guerrier, che sia lor caro, affronta,corre alla sua ruina. Alcun non fiadunque de' Greci che con me s'adirise davanti ad Ettorre, a lui che pugnaper comando d'un nume, io mi ritraggo.Pur se avverrà che in qualche parte io troviil magnanimo Aiace, entrambi all'armiritorneremo allor, pur contra un Dio,e a sollievo de' mali opra faremodi trar salvo ad Achille il morto amico.Mentre tai cose gli ragiona il core,da Ettore precorse ecco de' Teucrisopravvenir le schiere. Allora ei cesse,e il morto abbandonò, gli occhi volgendotratto tratto all'indietro, a simiglianzadi giubbato lïon cui da' presepicaccian cani e pastor con dardi ed urli.Freme la belva in suo gran core, e partemal suo grado dal chiuso: a tal sembianzada Patroclo partissi il biondo Atride.Giunto ai compagni, s'arrestò, si volsecercando in giro collo sguardo il grandefigliuol di Telamone, e alla sinistra

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da pudor vinto, con Ettòr mi provoe co' suoi forti, io sol da molti oppressocadrò, ché tutti il condottier troianoseco i Teucri ne mena a questa volta.Ma che dubbia il mio cor? Chi con avversinumi un guerrier, che sia lor caro, affronta,corre alla sua ruina. Alcun non fiadunque de' Greci che con me s'adirise davanti ad Ettorre, a lui che pugnaper comando d'un nume, io mi ritraggo.Pur se avverrà che in qualche parte io troviil magnanimo Aiace, entrambi all'armiritorneremo allor, pur contra un Dio,e a sollievo de' mali opra faremodi trar salvo ad Achille il morto amico.Mentre tai cose gli ragiona il core,da Ettore precorse ecco de' Teucrisopravvenir le schiere. Allora ei cesse,e il morto abbandonò, gli occhi volgendotratto tratto all'indietro, a simiglianzadi giubbato lïon cui da' presepicaccian cani e pastor con dardi ed urli.Freme la belva in suo gran core, e partemal suo grado dal chiuso: a tal sembianzada Patroclo partissi il biondo Atride.Giunto ai compagni, s'arrestò, si volsecercando in giro collo sguardo il grandefigliuol di Telamone, e alla sinistra

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della pugna il mirò, che alla battagliaanimava i suoi prodi a cui poc'anziFebo avea messo nelle vene il gelod'un divino terror. Corse, e veloceraggiuntolo gridò: Qua tosto, Aiace,vola, amico, affrettiamci alla difesadi Patroclo; serbiamne al divo Achilleil nudo corpo almen, poiché dell'armigià si fece signor l'altero Ettorre.Turbâr la generosa alma d'Aiacequeste parole: s'avvïò, si spinsetra i guerrieri davanti, in compagniadi Menelao. Per l'atra polve intantostrascinava di Pàtroclo la nudasalma il duce troiano, onde troncarnedagli omeri la testa, e far del rottocorpo ai cani di Troia orrido pasto.Ma gli fu sopra col turrito scudoil Telamònio: retrocesse Ettorrenella torma de' suoi, d'un salto asceseil cocchio, e le rapite armi famosedielle ai Teucri a portar nella cittade,d'alta sua gloria monumento. Alloracoll'ampio scudo ricoprendo il figliodi Menèzio, fermossi il grande Aiace,come lïon, cui, mentre al bosco menai leoncini, sopravvien la turbade' cacciatori: si raggira il fiero,

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della pugna il mirò, che alla battagliaanimava i suoi prodi a cui poc'anziFebo avea messo nelle vene il gelod'un divino terror. Corse, e veloceraggiuntolo gridò: Qua tosto, Aiace,vola, amico, affrettiamci alla difesadi Patroclo; serbiamne al divo Achilleil nudo corpo almen, poiché dell'armigià si fece signor l'altero Ettorre.Turbâr la generosa alma d'Aiacequeste parole: s'avvïò, si spinsetra i guerrieri davanti, in compagniadi Menelao. Per l'atra polve intantostrascinava di Pàtroclo la nudasalma il duce troiano, onde troncarnedagli omeri la testa, e far del rottocorpo ai cani di Troia orrido pasto.Ma gli fu sopra col turrito scudoil Telamònio: retrocesse Ettorrenella torma de' suoi, d'un salto asceseil cocchio, e le rapite armi famosedielle ai Teucri a portar nella cittade,d'alta sua gloria monumento. Alloracoll'ampio scudo ricoprendo il figliodi Menèzio, fermossi il grande Aiace,come lïon, cui, mentre al bosco menai leoncini, sopravvien la turbade' cacciatori: si raggira il fiero,

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che sente la sua forza, intorno ai figli,e i truci occhi rivolve, e tutto abbassail sopracciglio che gli copre il lampodelle pupille: a questo modo Aiacecircuisce e protegge il morto eroe.Dall'altro lato è Menelao cui l'altadoglia del petto tuttavia ricresce.De' Licii il condottier Glauco, buon figliod'Ippòloco, ad Ettòr volgendo allorabieco il guardo, con detti aspri il garrisce:O di viso sol prode, e non di fatto,Ettore! a torto te la fama estolle,te sì pronto al fuggir. Pensa alla guisadi salvar la cittade e le sue rocchequindi innanzi tu sol colla tua gente,ché nessuno de' Licii alla salvezzad'Ilio co' Greci pugnerà, nessuno,da che teco nessun merto s'acquistacol sempre battagliar contro il nemico.Sciaurato! e qual dunque avrai tu curade' minori guerrier, tu che lasciastipreda agli Argivi Sarpedon, che mentrevisse, a Troia fu scudo ed a te stesso?E ti sofferse il cor d'abbandonarloallo strazio de' cani? Or se a mio sennofaranno i Licii, partiremci, e tosto;e d'Ilio apparirà l'alta ruina.Oh! s'or fosse ne' Troi quella fort'alma,

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che sente la sua forza, intorno ai figli,e i truci occhi rivolve, e tutto abbassail sopracciglio che gli copre il lampodelle pupille: a questo modo Aiacecircuisce e protegge il morto eroe.Dall'altro lato è Menelao cui l'altadoglia del petto tuttavia ricresce.De' Licii il condottier Glauco, buon figliod'Ippòloco, ad Ettòr volgendo allorabieco il guardo, con detti aspri il garrisce:O di viso sol prode, e non di fatto,Ettore! a torto te la fama estolle,te sì pronto al fuggir. Pensa alla guisadi salvar la cittade e le sue rocchequindi innanzi tu sol colla tua gente,ché nessuno de' Licii alla salvezzad'Ilio co' Greci pugnerà, nessuno,da che teco nessun merto s'acquistacol sempre battagliar contro il nemico.Sciaurato! e qual dunque avrai tu curade' minori guerrier, tu che lasciastipreda agli Argivi Sarpedon, che mentrevisse, a Troia fu scudo ed a te stesso?E ti sofferse il cor d'abbandonarloallo strazio de' cani? Or se a mio sennofaranno i Licii, partiremci, e tosto;e d'Ilio apparirà l'alta ruina.Oh! s'or fosse ne' Troi quella fort'alma,

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quell'intrepido ardir che ne' conflittiscalda gli amici della patria veri,noi dentr'Ilio trarremmo immantinentedi Patroclo la salma. Ove un cotantomorto, sottratto dalla calda pugna,strascinato di Prïamo ne fossedentro le mura, renderìan gli Acheidi Sarpedonte le bell'armi e il corpopronti a tal prezzo. Perocché l'uccisodi quel forte è l'amico che di possatutti avanza gli Argivi, e schiera il seguedi bellicosi. Ma del fiero Aiacetu non osasti sostener lo scontroné lo sguardo fra l'armi, e via fuggisti,perché minore di valor ti senti.Con bieco piglio fe' risposta Ettorre:Perché tale qual sei, Glauco, favellicosì superbo? Io ti credea per sennomiglior di quanti la feconda glebadella Licia nudrisce. Or veggo a provache tu se' stolto, se affermar t'attentiche d'Aiace lo scontro io non sostenni.Né la pugna io, no mai, né il calpestìode' cavalli pavento, ma di Giovel'alto consiglio che ogni forza eccede.Egli in fuga ne mette a suo talentoanche i più prodi, e ne' conflitti or toglieor dona la vittoria. Orsù, vien meco,

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quell'intrepido ardir che ne' conflittiscalda gli amici della patria veri,noi dentr'Ilio trarremmo immantinentedi Patroclo la salma. Ove un cotantomorto, sottratto dalla calda pugna,strascinato di Prïamo ne fossedentro le mura, renderìan gli Acheidi Sarpedonte le bell'armi e il corpopronti a tal prezzo. Perocché l'uccisodi quel forte è l'amico che di possatutti avanza gli Argivi, e schiera il seguedi bellicosi. Ma del fiero Aiacetu non osasti sostener lo scontroné lo sguardo fra l'armi, e via fuggisti,perché minore di valor ti senti.Con bieco piglio fe' risposta Ettorre:Perché tale qual sei, Glauco, favellicosì superbo? Io ti credea per sennomiglior di quanti la feconda glebadella Licia nudrisce. Or veggo a provache tu se' stolto, se affermar t'attentiche d'Aiace lo scontro io non sostenni.Né la pugna io, no mai, né il calpestìode' cavalli pavento, ma di Giovel'alto consiglio che ogni forza eccede.Egli in fuga ne mette a suo talentoanche i più prodi, e ne' conflitti or toglieor dona la vittoria. Orsù, vien meco,

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statti, amico, al mio fianco, e vedi al fattose quel vile sarò tutto quest'oggiche tu dicesti, o se saprò l'ardiredi qualunque domar gagliardo Acheoche del morto s'innoltri alla difesa.Quindi le schiere inanimando grida:Teucri, Dardani, Licii, or vi mostrateuomini, e il petto vi conforti, amici,dell'antico valor la rimembranza,mentre l'armi d'Achille, da me tolteall'ucciso Patroclo, io mi rivesto.Disse, e corse e raggiunse in un balenodelle bell'arme i portatori, e datea recarsi nel sacro Ilio le sue,fuor del conflitto ed a' suoi prodi in mezzole immortali si cinse armi d'Achille,dono de' numi al genitor Pelèo,che poi vecchio le cesse al suo gran figlio:ma il figlio in quelle ad invecchiar non venne.Come il sommo de' nembi adunatoredel Pelìde indossarsi le divinearmi lo vide, crollò il capo, e seconel suo cor favellò: Misero! al fiancoti sta la morte, e tu nol pensi, e l'armiti vesti dell'eroe che de' guerrieritutti è il terrore, a cui tu il forte hai spentomansueto compagno, armi d'eternatempra a lui tolte con oltraggio. Or io

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statti, amico, al mio fianco, e vedi al fattose quel vile sarò tutto quest'oggiche tu dicesti, o se saprò l'ardiredi qualunque domar gagliardo Acheoche del morto s'innoltri alla difesa.Quindi le schiere inanimando grida:Teucri, Dardani, Licii, or vi mostrateuomini, e il petto vi conforti, amici,dell'antico valor la rimembranza,mentre l'armi d'Achille, da me tolteall'ucciso Patroclo, io mi rivesto.Disse, e corse e raggiunse in un balenodelle bell'arme i portatori, e datea recarsi nel sacro Ilio le sue,fuor del conflitto ed a' suoi prodi in mezzole immortali si cinse armi d'Achille,dono de' numi al genitor Pelèo,che poi vecchio le cesse al suo gran figlio:ma il figlio in quelle ad invecchiar non venne.Come il sommo de' nembi adunatoredel Pelìde indossarsi le divinearmi lo vide, crollò il capo, e seconel suo cor favellò: Misero! al fiancoti sta la morte, e tu nol pensi, e l'armiti vesti dell'eroe che de' guerrieritutti è il terrore, a cui tu il forte hai spentomansueto compagno, armi d'eternatempra a lui tolte con oltraggio. Or io

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d'alta vittoria ti farò superbo,e compenso sarà del non dovertiAndromaca, al tornar dalla battaglia,scioglier l'usbergo del Pelìde Achille.Disse; e l'arco de' negri sopraccigliabbassando, d'Ettorre alla personaadattò l'armatura. Al suo contattoinfiammossi l'eroe d'un bellicosoorribile furor, tutte di forzasentì inondarsi e di valor le vene.Degl'incliti alleati, alto gridando,quindi avvïossi alle caterve, e a tuttiveder sembrava folgorar nell'armidel magnanimo Achille Achille istesso.E d'ogni parte ognun riconfortando,Mestle, Glauco, Tersìloco, Medonte,Asteropèo, Disènore, Ippotòo,e Cròmio, e Forci, e l'indovino Ennòmo,con questi accenti li raccese: Udite,collegati: non io dalle vicinecittadi ad Ilio ragunai le vostrenumerose coorti onde di gentefar molta mano, ché mestier non m'era;ma perché meco da' feroci Acheile teucre spose ne servaste e i figlicon pronti petti. Di tributi io gravoin questo intendimento il popol mioper satollarvi. Dover vostro è dunque

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d'alta vittoria ti farò superbo,e compenso sarà del non dovertiAndromaca, al tornar dalla battaglia,scioglier l'usbergo del Pelìde Achille.Disse; e l'arco de' negri sopraccigliabbassando, d'Ettorre alla personaadattò l'armatura. Al suo contattoinfiammossi l'eroe d'un bellicosoorribile furor, tutte di forzasentì inondarsi e di valor le vene.Degl'incliti alleati, alto gridando,quindi avvïossi alle caterve, e a tuttiveder sembrava folgorar nell'armidel magnanimo Achille Achille istesso.E d'ogni parte ognun riconfortando,Mestle, Glauco, Tersìloco, Medonte,Asteropèo, Disènore, Ippotòo,e Cròmio, e Forci, e l'indovino Ennòmo,con questi accenti li raccese: Udite,collegati: non io dalle vicinecittadi ad Ilio ragunai le vostrenumerose coorti onde di gentefar molta mano, ché mestier non m'era;ma perché meco da' feroci Acheile teucre spose ne servaste e i figlicon pronti petti. Di tributi io gravoin questo intendimento il popol mioper satollarvi. Dover vostro è dunque

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voltar dritta la fronte all'inimico,e o salvarsi o perir, ché della guerraquesto è il commercio. A chi di voi costringaAiace in fuga, e de' Troiani al campotragga il morto Patròclo, a questi io cedola metà delle spoglie, e andrà divisaegual con esso la mia gloria ancora.Al fin delle parole alzâr le lancetutti, e al nemico s'addrizzâr di puntacon grande in core di strappar speranzadalle mani del gran Telamonìdeil morto: folli! ché sul morto istessoquell'invitto dovea farne macello.Allor rivolto Aice al battaglieroMenelao, così disse: Illustre Atride,caro alunno di Giove, assai paventoch'or salvi usciamo dell'acerba pugna.Né sì tem'io per Patroclo, che parmidel suo corpo farà tosto di Troiasazi i cani e gli augei, quanto pel mioe pel tuo capo un qualche sconcio: vediquella nube di guerra che già tuttoricopre il campo? D'Ettore son quellele falangi, e su noi pende una gravemanifesta rovina. Orsù de' Greci,se udir ti ponno, i più valenti appella.Non fe' niego il guerriero, e a tutta golagridava: Amici, capitani achei,

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voltar dritta la fronte all'inimico,e o salvarsi o perir, ché della guerraquesto è il commercio. A chi di voi costringaAiace in fuga, e de' Troiani al campotragga il morto Patròclo, a questi io cedola metà delle spoglie, e andrà divisaegual con esso la mia gloria ancora.Al fin delle parole alzâr le lancetutti, e al nemico s'addrizzâr di puntacon grande in core di strappar speranzadalle mani del gran Telamonìdeil morto: folli! ché sul morto istessoquell'invitto dovea farne macello.Allor rivolto Aice al battaglieroMenelao, così disse: Illustre Atride,caro alunno di Giove, assai paventoch'or salvi usciamo dell'acerba pugna.Né sì tem'io per Patroclo, che parmidel suo corpo farà tosto di Troiasazi i cani e gli augei, quanto pel mioe pel tuo capo un qualche sconcio: vediquella nube di guerra che già tuttoricopre il campo? D'Ettore son quellele falangi, e su noi pende una gravemanifesta rovina. Orsù de' Greci,se udir ti ponno, i più valenti appella.Non fe' niego il guerriero, e a tutta golagridava: Amici, capitani achei,

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quanti alle mense degli Atridi in giropropinate le tazze, ed onoratidal sommo Giove i popoli reggete;nell'ardor della zuffa il guardo mionon vi distingue, ma chiunque ascoltadeh corra, e sdegno il prenda che Patròcloludibrio resti delle frigie belve.Aiace, d'Oilèo veloce figlio,udillo, e primo per la mischia accorse;Idomenèo dop'esso e Merïonein sembianza di Marte. E chi di tutti,che poi la pugna rintegrâr, potrìadire i nomi al pensier? Primieri i Teucristretti insieme fêr impeto, precorsidal grande Ettorre. Come quando all'altafoce d'un fiume che da Giove è sceso,freme ritroso alla corrente il fluttoeruttato dal mar: mugghian con vastorimbombo i lidi: simigliante a questofu de' Teucri il clamor. Dall'altro latotutti d'un cor con assiepati scudigli Achei fêr cerchio di Menèzio al figlio,e il Saturnio dintorno ai rilucentielmi un'atra caligine spandea,ché d'Achille l'amico il Dio dilesse,mentre fu vivo, e ch'egli or sia di fiereorrido cibo sofferir non puote.A pugnar quindi per la sua difesa

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quanti alle mense degli Atridi in giropropinate le tazze, ed onoratidal sommo Giove i popoli reggete;nell'ardor della zuffa il guardo mionon vi distingue, ma chiunque ascoltadeh corra, e sdegno il prenda che Patròcloludibrio resti delle frigie belve.Aiace, d'Oilèo veloce figlio,udillo, e primo per la mischia accorse;Idomenèo dop'esso e Merïonein sembianza di Marte. E chi di tutti,che poi la pugna rintegrâr, potrìadire i nomi al pensier? Primieri i Teucristretti insieme fêr impeto, precorsidal grande Ettorre. Come quando all'altafoce d'un fiume che da Giove è sceso,freme ritroso alla corrente il fluttoeruttato dal mar: mugghian con vastorimbombo i lidi: simigliante a questofu de' Teucri il clamor. Dall'altro latotutti d'un cor con assiepati scudigli Achei fêr cerchio di Menèzio al figlio,e il Saturnio dintorno ai rilucentielmi un'atra caligine spandea,ché d'Achille l'amico il Dio dilesse,mentre fu vivo, e ch'egli or sia di fiereorrido cibo sofferir non puote.A pugnar quindi per la sua difesa

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i compagni eccitò. Nel primo cozzoi Troiani respinsero gli Achiviche sbigottiti abbandonâr l'estinto;né i Troiani però, benché bramosi,dieder morte a verun, solo badandoa predar il cadavere; ma prestosi raccostâr gli Achei, ché il grande Aiace,e d'aspetto e di forze il più prestantesovra tutti gli Achei dopo il Pelìde,tostamente voltar fronte li fece.Tra gl'innanzi l'eroe quindi si spinse,pari ad ispido verro alla montagna,che con sùbita furia si convertefra le roste, e sbaraglia de' gagliardicacciatori la turba e de' molossi:così di Telamon l'esimio figliode' Troiani disperde le falangiche a Patroclo fan calca, e strascinarlosi studiano in trïonfo entro le mura.Illustre germe del Pelasgo Leto,Ippòtoo gli avea d'un saldo cuoioai nervi del tallon l'un piede avvinto,e di mezzo al ferir de' combattentiper la sabbia il traea, grato sperandofarsi ad Ettorre ed ai Troiani; ed eccogiungergli un danno che nessun, quantunquedesideroso, allontanar gli seppe.Fra la turba avventossi, e su le guance

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i compagni eccitò. Nel primo cozzoi Troiani respinsero gli Achiviche sbigottiti abbandonâr l'estinto;né i Troiani però, benché bramosi,dieder morte a verun, solo badandoa predar il cadavere; ma prestosi raccostâr gli Achei, ché il grande Aiace,e d'aspetto e di forze il più prestantesovra tutti gli Achei dopo il Pelìde,tostamente voltar fronte li fece.Tra gl'innanzi l'eroe quindi si spinse,pari ad ispido verro alla montagna,che con sùbita furia si convertefra le roste, e sbaraglia de' gagliardicacciatori la turba e de' molossi:così di Telamon l'esimio figliode' Troiani disperde le falangiche a Patroclo fan calca, e strascinarlosi studiano in trïonfo entro le mura.Illustre germe del Pelasgo Leto,Ippòtoo gli avea d'un saldo cuoioai nervi del tallon l'un piede avvinto,e di mezzo al ferir de' combattentiper la sabbia il traea, grato sperandofarsi ad Ettorre ed ai Troiani; ed eccogiungergli un danno che nessun, quantunquedesideroso, allontanar gli seppe.Fra la turba avventossi, e su le guance

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dell'elmo Aiace disserrògli un colpoche tutto lo spezzò: tanto dell'astafu il picchio e tanto della mano il pondo.Schizzâr per l'aria le cervella e il sanguedall'aperta ferita, e tosto a luiquetârsi i polsi; dalle man gli caddedel morto il piede, e sovra il morto ei pureboccon cadde e spirò lungi dai campidi Larissa fecondi: né poteodell'averlo educato ai genitorirendere il premio, perocché d'Aiacela gran lancia fe' brevi i giorni suoi.Contro Aiace l'acuta asta allor trasseEttore; e l'altro, visto l'atto, alquantodechinossi, e schivolla. Era di costaSchedio, d'Ifito generoso figlio,fortissimo Focense che sua stanza,di molta gente correttor, teneanell'inclita Panòpe. A mezza golacolpillo, e tutta al sommo della spallala ferrea punta gli passò la strozza.Cadde il trafitto con fragore, e cupos'udì dell'armi il tuon sopra il suo petto.Aiace di rincontro in mezzo all'epadi Fenòpo il figliuol Forci percosse,forte guerrier che messo alla difesad'Ippòtoo s'era. Il furioso ferroruppe l'incavo del torace, ed alto

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dell'elmo Aiace disserrògli un colpoche tutto lo spezzò: tanto dell'astafu il picchio e tanto della mano il pondo.Schizzâr per l'aria le cervella e il sanguedall'aperta ferita, e tosto a luiquetârsi i polsi; dalle man gli caddedel morto il piede, e sovra il morto ei pureboccon cadde e spirò lungi dai campidi Larissa fecondi: né poteodell'averlo educato ai genitorirendere il premio, perocché d'Aiacela gran lancia fe' brevi i giorni suoi.Contro Aiace l'acuta asta allor trasseEttore; e l'altro, visto l'atto, alquantodechinossi, e schivolla. Era di costaSchedio, d'Ifito generoso figlio,fortissimo Focense che sua stanza,di molta gente correttor, teneanell'inclita Panòpe. A mezza golacolpillo, e tutta al sommo della spallala ferrea punta gli passò la strozza.Cadde il trafitto con fragore, e cupos'udì dell'armi il tuon sopra il suo petto.Aiace di rincontro in mezzo all'epadi Fenòpo il figliuol Forci percosse,forte guerrier che messo alla difesad'Ippòtoo s'era. Il furioso ferroruppe l'incavo del torace, ed alto

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ne squarciò gl'intestini. Ei cadde, e strinsecolla palma il terren. Dier piega allorai primi in zuffa, ripiegossi ei purel'illustre Ettorre, e con orrende gridad'Ippòtoo e Forci strascinâr gli Argivile morte salme, e le spogliâr. Compresidi viltade i Troiani, e dalle grechelance incalzati allor verso le rocchesarìan d'Ilio fuggiti, e avrìan gli Argivicontro il decreto del tonante Iddioin lor solo valor vinta la pugna,se Apollo a tempo la virtù d'Eneanon ridestava. Le sembianze ei presedell'Epitide araldo Perifante,che in tale officio a molta età venutodel vecchio Anchise nelle case, istruttadi fedeli consigli avea la mente.Così cangiato, a lui disse il divinofiglio di Giove: Enea, l'eccelsa Troiacontro il volere degli Dei periglia.Ché non la cerchi di salvar? l'esemploché non imiti degli eroi ch'io vidid'ogni cimento trïonfar, fidàtinel valor, nell'ardir, nella fortezzadel proprio petto e delle molte schiereche li seguìano, invitte alla paura?Più che agli Achivi, a noi Giove per certoconsente la vittoria; ma chi fugge

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ne squarciò gl'intestini. Ei cadde, e strinsecolla palma il terren. Dier piega allorai primi in zuffa, ripiegossi ei purel'illustre Ettorre, e con orrende gridad'Ippòtoo e Forci strascinâr gli Argivile morte salme, e le spogliâr. Compresidi viltade i Troiani, e dalle grechelance incalzati allor verso le rocchesarìan d'Ilio fuggiti, e avrìan gli Argivicontro il decreto del tonante Iddioin lor solo valor vinta la pugna,se Apollo a tempo la virtù d'Eneanon ridestava. Le sembianze ei presedell'Epitide araldo Perifante,che in tale officio a molta età venutodel vecchio Anchise nelle case, istruttadi fedeli consigli avea la mente.Così cangiato, a lui disse il divinofiglio di Giove: Enea, l'eccelsa Troiacontro il volere degli Dei periglia.Ché non la cerchi di salvar? l'esemploché non imiti degli eroi ch'io vidid'ogni cimento trïonfar, fidàtinel valor, nell'ardir, nella fortezzadel proprio petto e delle molte schiereche li seguìano, invitte alla paura?Più che agli Achivi, a noi Giove per certoconsente la vittoria; ma chi fugge

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trepido e schiva di pugnar, la perde.Fisse a tai detti Enea lo sguardo in visoal saettante nume, e lo conobbe;e d'Ettore alla volta alzando il grido,Ettore, ei disse, e voi degli alleaticapitani e de' Teucri, oh qual vergognas'or per nostra viltà domi dal ferrode' bellicosi Achei risaliremod'Ilio le mura! Un Dio m'apparve, e disseche l'arbitro dell'armi eterno Giovene difende. Corriam dunque dirittoall'inimico, e almen non sia che il mortoPatroclo ei seco ne trasporti in pace.Al fin delle parole innanzi a tuttala prima fronte si sospinse, e stette.Si conversero i Teucri, ed agli Acheimostrâr la faccia arditamente. Alloracoll'asta Enea Leòcrito figliuolod'Arisbante ferì, forte compagnodi Licomede che al caduto amicopietoso accorse, e fattosi vicinofermossi, e la fulgente asta vibrandod'Ippaso il figlio Apisaon percossenell'èpate di sotto alla corata,e l'atterrò. Venuto era costuidalla fertil Peònia; ed era in guerrail più valente dopo Asteropèo.Sentì pietade del caduto il forte

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trepido e schiva di pugnar, la perde.Fisse a tai detti Enea lo sguardo in visoal saettante nume, e lo conobbe;e d'Ettore alla volta alzando il grido,Ettore, ei disse, e voi degli alleaticapitani e de' Teucri, oh qual vergognas'or per nostra viltà domi dal ferrode' bellicosi Achei risaliremod'Ilio le mura! Un Dio m'apparve, e disseche l'arbitro dell'armi eterno Giovene difende. Corriam dunque dirittoall'inimico, e almen non sia che il mortoPatroclo ei seco ne trasporti in pace.Al fin delle parole innanzi a tuttala prima fronte si sospinse, e stette.Si conversero i Teucri, ed agli Acheimostrâr la faccia arditamente. Alloracoll'asta Enea Leòcrito figliuolod'Arisbante ferì, forte compagnodi Licomede che al caduto amicopietoso accorse, e fattosi vicinofermossi, e la fulgente asta vibrandod'Ippaso il figlio Apisaon percossenell'èpate di sotto alla corata,e l'atterrò. Venuto era costuidalla fertil Peònia; ed era in guerrail più valente dopo Asteropèo.Sentì pietade del caduto il forte

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Asteròpeo; e di zuffa desïososi scagliò tra gli Achei. Ma degli scudie dell'aste protese ei non potearompere il cerchio che Patròclo serra.E Aiace intorno s'avvolgendo, a tuttimolti dava comandi, e non patìache alcun dal morto allontanasse il piede,o fuor di fila ad azzuffarsi uscisse;ma fea precetto a ciaschedun di starsisaldi al suo fianco, e battagliar dappresso.Tal dell'enorme Aiace era il volere,e tutta in rosso si tingea la terra.Teucri, Argivi, alleati alla rinfusacadon trafitti: ché neppur gli Argivisenza sangue combattono, ma n'esceminor la strage, perocché l'un l'altronel travaglio fatal si porge aita.Così qual vasto incendio arde il conflitto;e del Sol detto avresti e della Lunaspento il chiaror; cotanta era sul campol'atra caligo che dintorno al mortoPatroclo il fiore de' guerrier coprìa,mentre l'un'oste e l'altra a ciel serenolibera altrove combattea. Su questipuro si spande della luce il fiume:nessuna nube al pian, nessuna al monte.Così la pugna ha i suoi riposi, e moltospazio correndo tra i pugnanti, ognuno

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Asteròpeo; e di zuffa desïososi scagliò tra gli Achei. Ma degli scudie dell'aste protese ei non potearompere il cerchio che Patròclo serra.E Aiace intorno s'avvolgendo, a tuttimolti dava comandi, e non patìache alcun dal morto allontanasse il piede,o fuor di fila ad azzuffarsi uscisse;ma fea precetto a ciaschedun di starsisaldi al suo fianco, e battagliar dappresso.Tal dell'enorme Aiace era il volere,e tutta in rosso si tingea la terra.Teucri, Argivi, alleati alla rinfusacadon trafitti: ché neppur gli Argivisenza sangue combattono, ma n'esceminor la strage, perocché l'un l'altronel travaglio fatal si porge aita.Così qual vasto incendio arde il conflitto;e del Sol detto avresti e della Lunaspento il chiaror; cotanta era sul campol'atra caligo che dintorno al mortoPatroclo il fiore de' guerrier coprìa,mentre l'un'oste e l'altra a ciel serenolibera altrove combattea. Su questipuro si spande della luce il fiume:nessuna nube al pian, nessuna al monte.Così la pugna ha i suoi riposi, e moltospazio correndo tra i pugnanti, ognuno

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dalle mutue si scherma aspre saette.Ma cotesti di mezzo hanno travagliodall'armi a un tempo e dalla nebbia, e il ferroi più prestanti crudelmente offende.Sol due guerrieri non avean per ancodel buon Patròclo la ria morte udita,due guerrier glorïosi, Trasimèdee Antìloco: ma vivo e tuttavoltaalle mani il credean co' Teucri al centrodella battaglia. E intanto essi la stragede' compagni veduta e la paura,pugnavano in disparte, e come impostofu lor dal padre, dalle negre navitenean lontano le nemiche offese.Ma il conflitto maggior ferve dintornoal valoroso del Pelìde amico,terribile conflitto, e senza posafino al tramonto della luce. A tuttidissolve la stanchezza e gambe e piedie ginocchia; il sudore a tutti insozzae le mani e la faccia; e quale, allorache a robusti garzoni il coreggiaiola pingue pelle a rammollir commettedi gran tauro; disposti essi in coronala stirano di forza; immantinentel'umidor ne distilla, e l'adipososucco le fibre ne penètra, e tuttoa quel molto tirar si stende il cuoio:

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dalle mutue si scherma aspre saette.Ma cotesti di mezzo hanno travagliodall'armi a un tempo e dalla nebbia, e il ferroi più prestanti crudelmente offende.Sol due guerrieri non avean per ancodel buon Patròclo la ria morte udita,due guerrier glorïosi, Trasimèdee Antìloco: ma vivo e tuttavoltaalle mani il credean co' Teucri al centrodella battaglia. E intanto essi la stragede' compagni veduta e la paura,pugnavano in disparte, e come impostofu lor dal padre, dalle negre navitenean lontano le nemiche offese.Ma il conflitto maggior ferve dintornoal valoroso del Pelìde amico,terribile conflitto, e senza posafino al tramonto della luce. A tuttidissolve la stanchezza e gambe e piedie ginocchia; il sudore a tutti insozzae le mani e la faccia; e quale, allorache a robusti garzoni il coreggiaiola pingue pelle a rammollir commettedi gran tauro; disposti essi in coronala stirano di forza; immantinentel'umidor ne distilla, e l'adipososucco le fibre ne penètra, e tuttoa quel molto tirar si stende il cuoio:

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tale in piccolo spazio i combattentigareggiando traean da opposti latiil cadavere, questi nella spemedi strascinarlo entro le mura, e quellialle concave navi. Ognor più fierasull'estinto sorgea quindi la zuffa,tal che Marte dell'armi eccitatorenel vederla e Minerva anche nell'iracommendata l'avrìa. Tanta in quel giornodi cavalli e d'eroi Giove diffusesul corpo di Patròclo aspra contesa.Né ancor del morto amico al divo Achillegiunt'era il grido: perocché di moltodalle navi lontana ardea la pugnasotto il muro troian; né in suo pensierodi tal danno cadea pure il sospetto.Spera egli anzi che dopo aver trascorsofino alle porte, ei torni illeso indietro:né ch'ei possa atterrar d'Ilio le murasenza sé né con sé punto s'avvisa,ché del contrario l'alma genitricefatto certo l'avea quando in segretoa lui di Giove riferìa la mente;e il fiero caso occorso, la cadutadel suo diletto amico ora gli tacque.In questo d'abbassate aste lucentie di cozzi e di stragi alto trambustosu quell'esangue, dalla parte achea

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tale in piccolo spazio i combattentigareggiando traean da opposti latiil cadavere, questi nella spemedi strascinarlo entro le mura, e quellialle concave navi. Ognor più fierasull'estinto sorgea quindi la zuffa,tal che Marte dell'armi eccitatorenel vederla e Minerva anche nell'iracommendata l'avrìa. Tanta in quel giornodi cavalli e d'eroi Giove diffusesul corpo di Patròclo aspra contesa.Né ancor del morto amico al divo Achillegiunt'era il grido: perocché di moltodalle navi lontana ardea la pugnasotto il muro troian; né in suo pensierodi tal danno cadea pure il sospetto.Spera egli anzi che dopo aver trascorsofino alle porte, ei torni illeso indietro:né ch'ei possa atterrar d'Ilio le murasenza sé né con sé punto s'avvisa,ché del contrario l'alma genitricefatto certo l'avea quando in segretoa lui di Giove riferìa la mente;e il fiero caso occorso, la cadutadel suo diletto amico ora gli tacque.In questo d'abbassate aste lucentie di cozzi e di stragi alto trambustosu quell'esangue, dalla parte achea

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gridar s'udìa: Compagni, è perso il nostroonor se indietro si ritorna. A tuttis'apra piuttosto qui la terra; è meglioir nell'abisso, che ai Troiani il vantolasciar di trarre in Ilio una tal preda.E di rincontro i Troi: Saldi, o fratelli,niun s'arretri, per dio! dovesse il fatoqui su l'estinto sterminarci tutti.Così d'ambe le parti ognuno infiammail vicino, e combatte. Il suon de' ferripe' deserti dell'aria iva alle stelle.D'Achille intanto i corridor, vedutoil loro auriga dall'ettòrea lancianella polve disteso, allontanatidalla pugna piangean. Di Dïorèoil forte figlio Automedonte invanoor con presto flagello, ora con blandeparole, ed ora con minacce al corsogli stimola. Ostinati essi né vonnoalla riva piegar dell'Ellesponto,né rïentrar nella battaglia. Immoticome colonna sul sepolcro rittadi matrona o d'eroe, starsi li vedigiunti al bel carro colle teste inchine,e dolorosi del perduto aurigacalde stille versar dalle palpebre.Per lo giogo diffusa al suol cadeala bella chioma, e s'imbrattava. Il pianto

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gridar s'udìa: Compagni, è perso il nostroonor se indietro si ritorna. A tuttis'apra piuttosto qui la terra; è meglioir nell'abisso, che ai Troiani il vantolasciar di trarre in Ilio una tal preda.E di rincontro i Troi: Saldi, o fratelli,niun s'arretri, per dio! dovesse il fatoqui su l'estinto sterminarci tutti.Così d'ambe le parti ognuno infiammail vicino, e combatte. Il suon de' ferripe' deserti dell'aria iva alle stelle.D'Achille intanto i corridor, vedutoil loro auriga dall'ettòrea lancianella polve disteso, allontanatidalla pugna piangean. Di Dïorèoil forte figlio Automedonte invanoor con presto flagello, ora con blandeparole, ed ora con minacce al corsogli stimola. Ostinati essi né vonnoalla riva piegar dell'Ellesponto,né rïentrar nella battaglia. Immoticome colonna sul sepolcro rittadi matrona o d'eroe, starsi li vedigiunti al bel carro colle teste inchine,e dolorosi del perduto aurigacalde stille versar dalle palpebre.Per lo giogo diffusa al suol cadeala bella chioma, e s'imbrattava. Il pianto

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ne vide il figlio di Saturno, e toccodi pietà scosse il capo, e così disse:O sventurati! perché mai vi demmoad un mortale, al re Pelèo, non sendovoi né a morte soggetti né a vecchiezza?Forse perché partecipi de' malifoste dell'uomo di cui nulla al mondo,di quanto in terra ha spiro e moto, eguaglial'alta miseria? Ma non fia per certoche da voi sia portato e da quel cocchioil Prïâmide Ettorre: io nol consento.E non basta che l'armi ei ne possegga,e gran vampo ne meni? Or io nel pettometterovvi e ne' piè forza novella,onde fuor della mischia a salvamentoadduciate alle navi Automedonte.Ch'io son fermo di far vittorïosiper anco i Teucri insin che fino ai legnispingan la strage, e il Sol tramonti, e il sacrovelo dell'ombre le sembianze asconda.Così detto, spirò tale un vigorene' divini corsier, che dalle chiomescossa la polve, in un balen portarofra i Teucri il cocchio e fra gli Achei. Sublimecombatteva su questo Automedonte,benché dolente del compagno; e a guisad'avoltoio fra timidi volantistimolava i cavalli. Ed or lo vedi

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ne vide il figlio di Saturno, e toccodi pietà scosse il capo, e così disse:O sventurati! perché mai vi demmoad un mortale, al re Pelèo, non sendovoi né a morte soggetti né a vecchiezza?Forse perché partecipi de' malifoste dell'uomo di cui nulla al mondo,di quanto in terra ha spiro e moto, eguaglial'alta miseria? Ma non fia per certoche da voi sia portato e da quel cocchioil Prïâmide Ettorre: io nol consento.E non basta che l'armi ei ne possegga,e gran vampo ne meni? Or io nel pettometterovvi e ne' piè forza novella,onde fuor della mischia a salvamentoadduciate alle navi Automedonte.Ch'io son fermo di far vittorïosiper anco i Teucri insin che fino ai legnispingan la strage, e il Sol tramonti, e il sacrovelo dell'ombre le sembianze asconda.Così detto, spirò tale un vigorene' divini corsier, che dalle chiomescossa la polve, in un balen portarofra i Teucri il cocchio e fra gli Achei. Sublimecombatteva su questo Automedonte,benché dolente del compagno; e a guisad'avoltoio fra timidi volantistimolava i cavalli. Ed or lo vedi

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ratto involarsi dai nemici, ed oraimpetuoso ricacciarsi in mezzo,e le turbe inseguir: ma di lor nullonel suo corso uccidea, ché solo in cocchioassalir colla lancia e de' cavallireggere a un tempo non potea le briglie.Videlo alfine un suo compagno, il figliodell'Emònio Laerce Alcimedonte,che dietro al cocchio si lanciò gridando:Automedonte, e qual de' numi il sennoti tolse, e il vano t'ispirò consigliod'assalir solo de' Troian la fronte?Il tuo compagno è spento, e l'esultanteEttore l'armi del Pelìde indossa.E a lui di Dïorèo l'inclita prole:Alcimedonte, l'indole di questisempiterni corsieri, e di domarlil'arte, chi meglio tra gli Achei l'intendedi te dopo Patròclo in sin che visse?Or che questo de' numi emulo giace,tu prenditi la sferza e le lucentibriglie, ch'io scendo a guerreggiar pedone.Spiccò sul cocchio un salto a questo invitoAlcimedonte, ed alla man diè tostoil flagello e le guide, e l'altro scese.Avvisossene Ettorre, ed al propinquoEnea rivolto, I destrier scorgo, ei disse,del Pelìde tornar nella battaglia

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ratto involarsi dai nemici, ed oraimpetuoso ricacciarsi in mezzo,e le turbe inseguir: ma di lor nullonel suo corso uccidea, ché solo in cocchioassalir colla lancia e de' cavallireggere a un tempo non potea le briglie.Videlo alfine un suo compagno, il figliodell'Emònio Laerce Alcimedonte,che dietro al cocchio si lanciò gridando:Automedonte, e qual de' numi il sennoti tolse, e il vano t'ispirò consigliod'assalir solo de' Troian la fronte?Il tuo compagno è spento, e l'esultanteEttore l'armi del Pelìde indossa.E a lui di Dïorèo l'inclita prole:Alcimedonte, l'indole di questisempiterni corsieri, e di domarlil'arte, chi meglio tra gli Achei l'intendedi te dopo Patròclo in sin che visse?Or che questo de' numi emulo giace,tu prenditi la sferza e le lucentibriglie, ch'io scendo a guerreggiar pedone.Spiccò sul cocchio un salto a questo invitoAlcimedonte, ed alla man diè tostoil flagello e le guide, e l'altro scese.Avvisossene Ettorre, ed al propinquoEnea rivolto, I destrier scorgo, ei disse,del Pelìde tornar nella battaglia

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con fiacchi aurighi. Enea, se mi secondicol tuo coraggio, que' destrier son presi.Non sosterran costoro il nostro assalto,né di far fronte s'ardiran. - Sì disse,né all'invito fu lento il valorosogerme d'Anchise. S'avvïâr direttie rinchiusi ambiduo nelle taurinearide targhe che di molto ferrosplendean coperte. Mossero con essiCròmio ed Arèto di beltà divina,con grande entrambi di predar speranzaque' superbi corsieri, e al suol trafittilasciarne i reggitor. Stolti! ché l'astad'Automedonte sanguinosa avrìalor preciso il ritorno. Egli, invocatoGiove, nell'imo si sentì del pettocorrer la forza e l'ardimento. Quindiall'amico drizzò queste parole:Alcimedonte, non tener lontanidal mio fianco i destrier: fa ch'io ne sental'anelito alle spalle. Al suo furoreEttore modo non porrà, mi penso,se pria d'Achille in suo poter non mettei chiomati destrier, noi due trafitti,e sbaragliate degli Achei le file;o se tra' primi ei pur freddo non cade.Agli Aiaci, ciò detto, e a Menelaoei grida: Aiaci, Menelao, lasciate

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con fiacchi aurighi. Enea, se mi secondicol tuo coraggio, que' destrier son presi.Non sosterran costoro il nostro assalto,né di far fronte s'ardiran. - Sì disse,né all'invito fu lento il valorosogerme d'Anchise. S'avvïâr direttie rinchiusi ambiduo nelle taurinearide targhe che di molto ferrosplendean coperte. Mossero con essiCròmio ed Arèto di beltà divina,con grande entrambi di predar speranzaque' superbi corsieri, e al suol trafittilasciarne i reggitor. Stolti! ché l'astad'Automedonte sanguinosa avrìalor preciso il ritorno. Egli, invocatoGiove, nell'imo si sentì del pettocorrer la forza e l'ardimento. Quindiall'amico drizzò queste parole:Alcimedonte, non tener lontanidal mio fianco i destrier: fa ch'io ne sental'anelito alle spalle. Al suo furoreEttore modo non porrà, mi penso,se pria d'Achille in suo poter non mettei chiomati destrier, noi due trafitti,e sbaragliate degli Achei le file;o se tra' primi ei pur freddo non cade.Agli Aiaci, ciò detto, e a Menelaoei grida: Aiaci, Menelao, lasciate

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ai più prodi del morto la difesa,e il rintuzzar gli ostili assalti; e voiqua correte a salvar noi vivi ancora.I due più forti eroi troiani, Ettorreed Enea, furibondi a lagrimosapugna vêr noi discendono. L'eventosu le ginocchia degli Dei s'asside.Sia qual vuolsi, farò di lancia un colpoio pur: del resto avrà Giove il pensiero.Sì dicendo, e la lunga asta vibrando,ferì d'Arèto nel rotondo scudo,cui tutto trapassò speditamentele ferrea punta, e traforato il cinto,l'imo ventre gli aperse. A quella guisache robusto garzon, levata in altola tagliente bipenne, fra le cornadi bue selvaggio la dechina, e tuttotronco il nervo, la belva morta cade:tal, dato un salto, supin cadde Arèto,e tra le rotte viscere l'acutaasta tremando gli rapì la vita.Fe' contra Automedonte Ettore allorala sua lancia volar; ma visto il colpo,quegli curvossi, e la schivò. Gli rasele terga il telo, e al suol piantossi; il fustotremonne, e quivi ogn'impeto consunto,la valid'asta s'acchetò. Qui trattele fiere spade a più serrato assalto

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ai più prodi del morto la difesa,e il rintuzzar gli ostili assalti; e voiqua correte a salvar noi vivi ancora.I due più forti eroi troiani, Ettorreed Enea, furibondi a lagrimosapugna vêr noi discendono. L'eventosu le ginocchia degli Dei s'asside.Sia qual vuolsi, farò di lancia un colpoio pur: del resto avrà Giove il pensiero.Sì dicendo, e la lunga asta vibrando,ferì d'Arèto nel rotondo scudo,cui tutto trapassò speditamentele ferrea punta, e traforato il cinto,l'imo ventre gli aperse. A quella guisache robusto garzon, levata in altola tagliente bipenne, fra le cornadi bue selvaggio la dechina, e tuttotronco il nervo, la belva morta cade:tal, dato un salto, supin cadde Arèto,e tra le rotte viscere l'acutaasta tremando gli rapì la vita.Fe' contra Automedonte Ettore allorala sua lancia volar; ma visto il colpo,quegli curvossi, e la schivò. Gli rasele terga il telo, e al suol piantossi; il fustotremonne, e quivi ogn'impeto consunto,la valid'asta s'acchetò. Qui trattele fiere spade a più serrato assalto

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i due prodi venìan, se quegli ardentispirti repente non spartìan gli Aiacid'Automedonte accorsi alla chiamata.Venir li vide fra la turba Ettorre,e con Cròmio di nuovo e con Eneapaventoso arretrossi, il laceratogiacente Arèto abbandonando. Corsesull'esangue il veloce Automedonte,dispogliollo dell'armi, e glorïandogridò: Non vale costui certo il figliodi Menèzio; ma pur del morto eroequesto ucciso mi tempra alquanto il lutto.Sì dicendo, gittò le sanguinosespoglie sul carro, e tutto sangue ei puremani e piè, vi salìa pari a lïoneche, divorato un toro, si rinselva.Affannosa, arrabbiata e lagrimosasovra la salma di Patròclo intantosi rinforza la pugna, e la raccendePalla Minerva, ad animar gli Achividall'Olimpo discesa; e la spedìacangiato di pensiero il suo gran padre.Come quando dal ciel Giove ai mortalidell'Iride dispiega il porporinoarco, di guerra indizio o di tempesta,che tosto de' villani alla campagnarompe i lavori, e gli animai contrista:tal di purpureo nembo avviluppata

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i due prodi venìan, se quegli ardentispirti repente non spartìan gli Aiacid'Automedonte accorsi alla chiamata.Venir li vide fra la turba Ettorre,e con Cròmio di nuovo e con Eneapaventoso arretrossi, il laceratogiacente Arèto abbandonando. Corsesull'esangue il veloce Automedonte,dispogliollo dell'armi, e glorïandogridò: Non vale costui certo il figliodi Menèzio; ma pur del morto eroequesto ucciso mi tempra alquanto il lutto.Sì dicendo, gittò le sanguinosespoglie sul carro, e tutto sangue ei puremani e piè, vi salìa pari a lïoneche, divorato un toro, si rinselva.Affannosa, arrabbiata e lagrimosasovra la salma di Patròclo intantosi rinforza la pugna, e la raccendePalla Minerva, ad animar gli Achividall'Olimpo discesa; e la spedìacangiato di pensiero il suo gran padre.Come quando dal ciel Giove ai mortalidell'Iride dispiega il porporinoarco, di guerra indizio o di tempesta,che tosto de' villani alla campagnarompe i lavori, e gli animai contrista:tal di purpureo nembo avviluppata

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insinuossi fra gli Achei la Divaeccitando ogni cor. Prima il vicinominore Atride a confortar si diede,e la voce sonora e la sembianzadi Fenice prendendo, così disse:Se sotto Troia sbraneranno i canidell'illustre Pelìde il fido amico,tua per certo fia l'onta, o Menelao,e tuo lo scorno. Orsù tien forte, e tuttia ben le mani oprar sprona gli Achei.Veglio padre Fenice, gli risposel'egregio Atride, a Pallade piacessedarmi forza novella, e dagli stralipreservarmi; e farei per la tuteladi Patroclo ogni prova. Il cor mi toccala sua caduta: ma l'ardente orrendaforza d'Ettor n'è contra; ei dalla stragemai non rimansi, e d'onor Giove il copre.Gioì Minerva dell'udirsi, priad'ogni altro iddio, pregata; ed alla destrapolso gli aggiunse e al piede, e dentro il pettol'ardir gli mise dell'impronta moscache, ognor cacciata, ognor ritorna e mordeghiotta di sangue. Di cotal baldanzapieno il torbido cor, ratto a Patròcloappressossi, e scagliò la fulgid'asta.Era fra' Teucri un certo Pode, un riccod'Eezïone valoroso figlio

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insinuossi fra gli Achei la Divaeccitando ogni cor. Prima il vicinominore Atride a confortar si diede,e la voce sonora e la sembianzadi Fenice prendendo, così disse:Se sotto Troia sbraneranno i canidell'illustre Pelìde il fido amico,tua per certo fia l'onta, o Menelao,e tuo lo scorno. Orsù tien forte, e tuttia ben le mani oprar sprona gli Achei.Veglio padre Fenice, gli risposel'egregio Atride, a Pallade piacessedarmi forza novella, e dagli stralipreservarmi; e farei per la tuteladi Patroclo ogni prova. Il cor mi toccala sua caduta: ma l'ardente orrendaforza d'Ettor n'è contra; ei dalla stragemai non rimansi, e d'onor Giove il copre.Gioì Minerva dell'udirsi, priad'ogni altro iddio, pregata; ed alla destrapolso gli aggiunse e al piede, e dentro il pettol'ardir gli mise dell'impronta moscache, ognor cacciata, ognor ritorna e mordeghiotta di sangue. Di cotal baldanzapieno il torbido cor, ratto a Patròcloappressossi, e scagliò la fulgid'asta.Era fra' Teucri un certo Pode, un riccod'Eezïone valoroso figlio

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in alto onor per Ettore tenuto,e suo diletto commensal. Lo colseil biondo Atride nella cinta in quellach'ei la fuga prendea. Passollo il ferroda parte a parte, e con fragor lo stese.Mentre vola sul morto, e a' suoi lo traggel'altero vincitor, calossi Apollod'Ettore al fianco, ed il sembiante assuntodell'Asìade Fenòpo a lui dilettoospite un tempo, e abitator d'Abido,questa rampogna gli drizzò: Chi fiache tra gli Achivi in avvenir ti tema,se un Menelao ti fuga e ti spaventa,un Menelao finor tenuto in contodi debile guerriero, e ch'or da solodi mezzo ai Teucri via si porta il fidotuo compagno da lui tra i primi ucciso,Pode io dico figliuol d'Eezïone?Un negro di dolor velo copersea quell'annunzio dell'eroe la fronte.Corse ei tosto a cacciossi innanzi a tuttifolgorante nell'armi. Allor di nubitutta fasciando la montagna idèa,Giove in man la fiammante egida prese,la scosse, e fra baleni orrendamentetonando, ai Teucri di vittoria il segnodiè tosto, e sparse fra gli Achei la fuga.Primo a fuggir fu de' Beoti il duce

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in alto onor per Ettore tenuto,e suo diletto commensal. Lo colseil biondo Atride nella cinta in quellach'ei la fuga prendea. Passollo il ferroda parte a parte, e con fragor lo stese.Mentre vola sul morto, e a' suoi lo traggel'altero vincitor, calossi Apollod'Ettore al fianco, ed il sembiante assuntodell'Asìade Fenòpo a lui dilettoospite un tempo, e abitator d'Abido,questa rampogna gli drizzò: Chi fiache tra gli Achivi in avvenir ti tema,se un Menelao ti fuga e ti spaventa,un Menelao finor tenuto in contodi debile guerriero, e ch'or da solodi mezzo ai Teucri via si porta il fidotuo compagno da lui tra i primi ucciso,Pode io dico figliuol d'Eezïone?Un negro di dolor velo copersea quell'annunzio dell'eroe la fronte.Corse ei tosto a cacciossi innanzi a tuttifolgorante nell'armi. Allor di nubitutta fasciando la montagna idèa,Giove in man la fiammante egida prese,la scosse, e fra baleni orrendamentetonando, ai Teucri di vittoria il segnodiè tosto, e sparse fra gli Achei la fuga.Primo a fuggir fu de' Beoti il duce

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Penelèo, di leggier colpo di lanciaferito al sommo della spalla, mentretenea volta la fronte; il ferro acutolo graffiò fino all'osso, e il colpo vennedalla man di Polìdama che sottogli si fece improvviso. Ettore posciaal carpo della man colse Leìtogerme del prode Alettrïone, e il fecedalla pugna cessar. Si volse in fugaguatandosi dintorno sbigottitoil piagato guerrier, né più speravapoter col telo nella destra infissocombattere co' Troi. Mentre si scagliacontra Leìto il feritor, gli spingeIdomenèo dappresso alla mammellanell'usbergo la picca: ma si fransealla giuntura della ferrea puntail frassino, e n'urlâr di gioia i Teucri.Rispose al colpo Ettorre, e il Deucalìdestante sul carro saettò. D'un pelolo fallì; ma Ceran, scudiero e aurigadi Merïon, colpìo. Venuto egli eradalla splendida Litto in compagniadi Merïone che di questa guerraal cominciar, sue navi abbandonando,venne ad Ilio pedone, e di sua morteavrìa qui fatto glorïosi i Teucri,se co' pronti destrieri in suo soccorso

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Penelèo, di leggier colpo di lanciaferito al sommo della spalla, mentretenea volta la fronte; il ferro acutolo graffiò fino all'osso, e il colpo vennedalla man di Polìdama che sottogli si fece improvviso. Ettore posciaal carpo della man colse Leìtogerme del prode Alettrïone, e il fecedalla pugna cessar. Si volse in fugaguatandosi dintorno sbigottitoil piagato guerrier, né più speravapoter col telo nella destra infissocombattere co' Troi. Mentre si scagliacontra Leìto il feritor, gli spingeIdomenèo dappresso alla mammellanell'usbergo la picca: ma si fransealla giuntura della ferrea puntail frassino, e n'urlâr di gioia i Teucri.Rispose al colpo Ettorre, e il Deucalìdestante sul carro saettò. D'un pelolo fallì; ma Ceran, scudiero e aurigadi Merïon, colpìo. Venuto egli eradalla splendida Litto in compagniadi Merïone che di questa guerraal cominciar, sue navi abbandonando,venne ad Ilio pedone, e di sua morteavrìa qui fatto glorïosi i Teucri,se co' pronti destrieri in suo soccorso

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non accorrea Cerano. Ei del suo ducecampò la vita, ma la propria perseper le mani d'Ettòr. L'asta al confinedella gota lo giunse e dell'orecchia,e conquassògli le mascelle, e mezzala lingua gli tagliò. Cadde dal carroquell'infelice: abbandonate al suolosi diffuser le briglie, che velocecurvo da terra Merïon raccolse,e volto a Idomenèo: Sferza, gli grida,sferza, amico, i cavalli, e al mar ti salva,ché per noi persa, il vedi, è la battaglia.Sì disse, e l'altro costernato ei pureverso le navi flagellò le groppede' chiomati destrier. Scorsero anch'essiil magnanimo Aiace e Menelao,che Giove ai Teucri concedea l'onoredell'alterna vittoria; onde proruppein questi accenti il gran Telamonìde:Anche uno stolto, per mia fé, vedrìache pe' Teucri sta Giove: ogni lor strale,sia vil, sia forte il braccio che lo spinge,porta ferite, e il Dio li drizza. I nostrivan tutti a vôto. Nondimen si pensiqualche sano partito, un qualche mododi salvar quell'estinto, e di tornarcisalvi noi stessi a rallegrar gli amici,che con gli sguardi qua rivolti e mesti

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non accorrea Cerano. Ei del suo ducecampò la vita, ma la propria perseper le mani d'Ettòr. L'asta al confinedella gota lo giunse e dell'orecchia,e conquassògli le mascelle, e mezzala lingua gli tagliò. Cadde dal carroquell'infelice: abbandonate al suolosi diffuser le briglie, che velocecurvo da terra Merïon raccolse,e volto a Idomenèo: Sferza, gli grida,sferza, amico, i cavalli, e al mar ti salva,ché per noi persa, il vedi, è la battaglia.Sì disse, e l'altro costernato ei pureverso le navi flagellò le groppede' chiomati destrier. Scorsero anch'essiil magnanimo Aiace e Menelao,che Giove ai Teucri concedea l'onoredell'alterna vittoria; onde proruppein questi accenti il gran Telamonìde:Anche uno stolto, per mia fé, vedrìache pe' Teucri sta Giove: ogni lor strale,sia vil, sia forte il braccio che lo spinge,porta ferite, e il Dio li drizza. I nostrivan tutti a vôto. Nondimen si pensiqualche sano partito, un qualche mododi salvar quell'estinto, e di tornarcisalvi noi stessi a rallegrar gli amici,che con gli sguardi qua rivolti e mesti

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stiman che lungi dal poter le invittemani d'Ettorre sostener, noi tutticadrem morti alle navi. Oh fosse alcunoqui che ratto portasse al grande Achilledel periglio l'avviso! A lui, cred'io,ancor non giunse dell'ucciso amicola funesta novella; e tra gli Acheiancor non veggo al doloroso officioacconcio ambasciator, tanta nascondecaligine i cavalli e i combattenti.Giove padre, deh togli a questo buioi figli degli Achei, spandi il sereno,rendi agli occhi il vedere, e poiché spentine vuoi, ci spegni nella luce almeno.Così pregava. Udillo il padre, e vistoil pianto dell'eroe, si fe' pietoso,e, rimossa la nebbia, in un balenoil buio dissipò. Rifulse il Sole,e tutta apparve la battaglia. Aiacedisse allora all'Atride: Or guarda intorno,diletto Menelao, vedi se trovidi Nestore ancor vivo il forte figlioAntìloco, e di volo al grande Achillenunzio del fato del suo caro il manda.Mosse pronto a quei detti il generosoAtride, e s'avvïò come lïoneche il bovile abbandona lasso e stancod'azzuffarsi co' veltri e co' pastori

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stiman che lungi dal poter le invittemani d'Ettorre sostener, noi tutticadrem morti alle navi. Oh fosse alcunoqui che ratto portasse al grande Achilledel periglio l'avviso! A lui, cred'io,ancor non giunse dell'ucciso amicola funesta novella; e tra gli Acheiancor non veggo al doloroso officioacconcio ambasciator, tanta nascondecaligine i cavalli e i combattenti.Giove padre, deh togli a questo buioi figli degli Achei, spandi il sereno,rendi agli occhi il vedere, e poiché spentine vuoi, ci spegni nella luce almeno.Così pregava. Udillo il padre, e vistoil pianto dell'eroe, si fe' pietoso,e, rimossa la nebbia, in un balenoil buio dissipò. Rifulse il Sole,e tutta apparve la battaglia. Aiacedisse allora all'Atride: Or guarda intorno,diletto Menelao, vedi se trovidi Nestore ancor vivo il forte figlioAntìloco, e di volo al grande Achillenunzio del fato del suo caro il manda.Mosse pronto a quei detti il generosoAtride, e s'avvïò come lïoneche il bovile abbandona lasso e stancod'azzuffarsi co' veltri e co' pastori

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tutta la notte vigilanti, e il pinguelombo de' tori a contrastargli intesi.Avido delle carni egli di frontetuttavolta si slancia, e nulla acquista;ché dalle ardite mani una ruinagli vien di strali addosso e di facelle,dal cui lustro atterrito egli rifugge,benché furente, finché mesto alfinesul mattin si rimbosca. A questa guisadi mal cuore da Pàtroclo si parteil bellicoso Menelao, la temaseco portando che gli Achei, compresidi soverchio terror, preda al nemiconol lascino fuggendo. Onde con moltipreghi agli Aiaci e a Merïon rivolto:Duci argivi, dicea, deh vi sovvengaquanto fu bello il cor dell'infelicePàtroclo, e come mansueto ei visse:ahi! visse; e in braccio alla ria Parca or giace.Partì, ciò detto, riguardando intornocom'aquila che sopra ogni volanteaver acuta la pupilla è grido,e che dall'alte nubi infra le spessechiome de' cespi discoperta avendola presta lepre, su lei piomba, e rattola ghermisce e l'uccide. E tu del pari,o da Giove educato illustre Atride,d'ogni parte volgevi i fulgid'occhi

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tutta la notte vigilanti, e il pinguelombo de' tori a contrastargli intesi.Avido delle carni egli di frontetuttavolta si slancia, e nulla acquista;ché dalle ardite mani una ruinagli vien di strali addosso e di facelle,dal cui lustro atterrito egli rifugge,benché furente, finché mesto alfinesul mattin si rimbosca. A questa guisadi mal cuore da Pàtroclo si parteil bellicoso Menelao, la temaseco portando che gli Achei, compresidi soverchio terror, preda al nemiconol lascino fuggendo. Onde con moltipreghi agli Aiaci e a Merïon rivolto:Duci argivi, dicea, deh vi sovvengaquanto fu bello il cor dell'infelicePàtroclo, e come mansueto ei visse:ahi! visse; e in braccio alla ria Parca or giace.Partì, ciò detto, riguardando intornocom'aquila che sopra ogni volanteaver acuta la pupilla è grido,e che dall'alte nubi infra le spessechiome de' cespi discoperta avendola presta lepre, su lei piomba, e rattola ghermisce e l'uccide. E tu del pari,o da Giove educato illustre Atride,d'ogni parte volgevi i fulgid'occhi

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fra le turbe de' tuoi, vivo spïandodi Nestore il buon figlio. Alla sinistraalfin lo vide della pugna in attodi far cuore ai compagni e rinfiammarlialla battaglia. Gli si fece appresso,e con ratto parlar: Vieni, gli disse,vieni, Antìloco mio: t'annunzio un fierodoloroso accidente, e oh! mai non fosseintervenuto. Un Dio, tu stesso il senti,i Dànai strugge, e i Teucri esalta: è mortoun fortissimo Acheo ch'alto ne lasciadesiderio di sé, morto è Patròclo.Corri, avvisa il Pelìde, e fa che volia trarne in salvo il nudo corpo: l'armigià venute in balìa sono d'Ettorre.All'annunzio crudel muto d'orroreAntìloco restò: di pianto un fiumegli affogò le parole, e nondimeno,l'armi in fretta rimesse al suo compagnoLaòdoco che fido a lui dappressoi destrier gli reggea, corse d'Atrideil cenno ad eseguir. Piangea dirotto,e volava l'eroe fuor della pugnanunzio ad Achille della rea novella.Del dipartir d'Antìloco dolentie bramose di lui le pilie schierein periglio restâr; né tu potendodar loro aita, o Menelao, mettesti

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fra le turbe de' tuoi, vivo spïandodi Nestore il buon figlio. Alla sinistraalfin lo vide della pugna in attodi far cuore ai compagni e rinfiammarlialla battaglia. Gli si fece appresso,e con ratto parlar: Vieni, gli disse,vieni, Antìloco mio: t'annunzio un fierodoloroso accidente, e oh! mai non fosseintervenuto. Un Dio, tu stesso il senti,i Dànai strugge, e i Teucri esalta: è mortoun fortissimo Acheo ch'alto ne lasciadesiderio di sé, morto è Patròclo.Corri, avvisa il Pelìde, e fa che volia trarne in salvo il nudo corpo: l'armigià venute in balìa sono d'Ettorre.All'annunzio crudel muto d'orroreAntìloco restò: di pianto un fiumegli affogò le parole, e nondimeno,l'armi in fretta rimesse al suo compagnoLaòdoco che fido a lui dappressoi destrier gli reggea, corse d'Atrideil cenno ad eseguir. Piangea dirotto,e volava l'eroe fuor della pugnanunzio ad Achille della rea novella.Del dipartir d'Antìloco dolentie bramose di lui le pilie schierein periglio restâr; né tu potendodar loro aita, o Menelao, mettesti

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alla lor testa il generoso duceTrasimède, e di nuovo alla difesadel morto eroe tornasti; e degli Aiacigiunto al cospetto, sostenesti il piede,e dicesti: Alle navi io l'ho speditoverso il Pelìde: ma ch'ei pronto or vegna,benché crucciato con Ettòr, nol credo;ché per conto verun non fia ch'ei vogliapugnar co' Teucri disarmato. Or dunquela miglior guisa risolviam noi stessidi sottrarre al furor dell'inimicoquell'estinto, e campar le proprie vite.Saggio parlasti, o Menelao, risposeil grande Aiace Telamònio. Or tostotu dunque e Merïon sotto all'esanguemettetevi, e sul dosso alto il portatefuor del tumulto: frenerem da tergonoi de' Troiani e d'Ettore l'assalto,noi che pari di nome e d'ardimentola pugna uniti a sostener siam usi.Disse; e quelli da terra alto levaroil morto tra le braccia. A cotal vistaurlò la troica turba, e difilossifuribonda, di cani a simiglianzache precorrendo i cacciator s'avventanoa ferito cinghial, desiderosidi farlo in brani: ma se quei repentedi sua forza securo in lor converte

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alla lor testa il generoso duceTrasimède, e di nuovo alla difesadel morto eroe tornasti; e degli Aiacigiunto al cospetto, sostenesti il piede,e dicesti: Alle navi io l'ho speditoverso il Pelìde: ma ch'ei pronto or vegna,benché crucciato con Ettòr, nol credo;ché per conto verun non fia ch'ei vogliapugnar co' Teucri disarmato. Or dunquela miglior guisa risolviam noi stessidi sottrarre al furor dell'inimicoquell'estinto, e campar le proprie vite.Saggio parlasti, o Menelao, risposeil grande Aiace Telamònio. Or tostotu dunque e Merïon sotto all'esanguemettetevi, e sul dosso alto il portatefuor del tumulto: frenerem da tergonoi de' Troiani e d'Ettore l'assalto,noi che pari di nome e d'ardimentola pugna uniti a sostener siam usi.Disse; e quelli da terra alto levaroil morto tra le braccia. A cotal vistaurlò la troica turba, e difilossifuribonda, di cani a simiglianzache precorrendo i cacciator s'avventanoa ferito cinghial, desiderosidi farlo in brani: ma se quei repentedi sua forza securo in lor converte

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l'orrido grifo, immantinente tuttidan volta e per terror piglian la fugachi qua spersi, chi là: tali i Troianiinseguono attruppati il fuggitivostuol, coll'aste il pungendo e colle spade.Ma come rivolgean fermi sul piedegli Aiaci il viso, di color cangiaval'inseguente caterva, e non ardìaniun farsi avanti, e disputar l'estinto,che di mezzo al conflitto audacementevenìa portato da quei forti al lido,benché fiera su lor cresca la zuffa.Come fuoco che involve all'improvvisopopolosa cittade, e ruinosisparir fa i tetti nella vasta fiamma,che dal vento agitata esulta e rugge;tale alle spalle dell'acheo drappellode' guerrieri incalzanti e de' cavallirimbombava il tumulto. E a quella guisache per aspero calle giù dal montetraggon due muli di robusta lenao trave o antenna da volar sull'onda,e di sudore infranti e di faticastudian la via: del par que' due gagliardiportavano affannati il tristo incarcodifesi a tergo dagli Aiaci. E qualesteso in larga pianura argin selvosode' fiumi affrena il vïolento corso,

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l'orrido grifo, immantinente tuttidan volta e per terror piglian la fugachi qua spersi, chi là: tali i Troianiinseguono attruppati il fuggitivostuol, coll'aste il pungendo e colle spade.Ma come rivolgean fermi sul piedegli Aiaci il viso, di color cangiaval'inseguente caterva, e non ardìaniun farsi avanti, e disputar l'estinto,che di mezzo al conflitto audacementevenìa portato da quei forti al lido,benché fiera su lor cresca la zuffa.Come fuoco che involve all'improvvisopopolosa cittade, e ruinosisparir fa i tetti nella vasta fiamma,che dal vento agitata esulta e rugge;tale alle spalle dell'acheo drappellode' guerrieri incalzanti e de' cavallirimbombava il tumulto. E a quella guisache per aspero calle giù dal montetraggon due muli di robusta lenao trave o antenna da volar sull'onda,e di sudore infranti e di faticastudian la via: del par que' due gagliardiportavano affannati il tristo incarcodifesi a tergo dagli Aiaci. E qualesteso in larga pianura argin selvosode' fiumi affrena il vïolento corso,

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e respinta devolve per lo chinol'onda furente che spezzar nol puote;così gli Aiaci l'irruente pienarispingono de' Troi che tuttavoltagl'inseguono ristretti, Enea tra questiprincipalmente e il non mai stanco Ettorre.Con quell'alto stridor che di mulacchiefugge una nube o di stornei vedendovenirsi incontro lo sparvier che stragefa del minuto volatìo; con taliacute grida innanzi alla ruinade' due troiani eroi fuggìa dispersala turba degli Achei, posto di pugnaogni pensier. Di belle armi, caduteai fuggitivi, ingombra era la fossae della fossa il margo; e il faticosolavor di Marte non avea respiro.

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e respinta devolve per lo chinol'onda furente che spezzar nol puote;così gli Aiaci l'irruente pienarispingono de' Troi che tuttavoltagl'inseguono ristretti, Enea tra questiprincipalmente e il non mai stanco Ettorre.Con quell'alto stridor che di mulacchiefugge una nube o di stornei vedendovenirsi incontro lo sparvier che stragefa del minuto volatìo; con taliacute grida innanzi alla ruinade' due troiani eroi fuggìa dispersala turba degli Achei, posto di pugnaogni pensier. Di belle armi, caduteai fuggitivi, ingombra era la fossae della fossa il margo; e il faticosolavor di Marte non avea respiro.

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Libro Decimottavo

Tutta così qual fiamma arde la pugna.Veloce messaggier correa frattantoAntìloco ad Achille. Anzi all'eccelsesue navi il trova, che nel cor già volgel'accaduto disastro, e nel segretodella grand'alma sospirando, dice:Perché di nuovo, ohimè! verso le navifuggon gli Achivi con tumulto, e vannospaventati pel campo? Ah! non mi cómpial'ira de' numi la crudel sventurache un dì la madre profetò, narrandoche, me vivente ancor, de' Mirmidóniil più prode guerrier dai Teucri uccisodel Sol la luce abbandonato avrìa.Ah! certo di Menèzio il forte figliomorì. Infelice! E pur gl'imposi io stessoche risospinta la nemica fiammaritornasse alle navi, e con Ettorrecimentarsi in battaglia oso non fosse.In questo rio pensier l'aggiunse il figliodi Nestore piangendo, e, Ohimè! gli disse,magnanimo Pelìde; una novellatristissima ti reco, e che nol fosseoh piacesse agli Dei! Giace Patròclo;

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Libro Decimottavo

Tutta così qual fiamma arde la pugna.Veloce messaggier correa frattantoAntìloco ad Achille. Anzi all'eccelsesue navi il trova, che nel cor già volgel'accaduto disastro, e nel segretodella grand'alma sospirando, dice:Perché di nuovo, ohimè! verso le navifuggon gli Achivi con tumulto, e vannospaventati pel campo? Ah! non mi cómpial'ira de' numi la crudel sventurache un dì la madre profetò, narrandoche, me vivente ancor, de' Mirmidóniil più prode guerrier dai Teucri uccisodel Sol la luce abbandonato avrìa.Ah! certo di Menèzio il forte figliomorì. Infelice! E pur gl'imposi io stessoche risospinta la nemica fiammaritornasse alle navi, e con Ettorrecimentarsi in battaglia oso non fosse.In questo rio pensier l'aggiunse il figliodi Nestore piangendo, e, Ohimè! gli disse,magnanimo Pelìde; una novellatristissima ti reco, e che nol fosseoh piacesse agli Dei! Giace Patròclo;

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sul cadavere nudo si combatte;nudo; ché l'armi n'ha rapito Ettorre.Una negra a que' detti il ricopersenube di duol; con ambedue le pugnala cenere afferrò, giù per la testala sparse, e tutto ne bruttò il bel voltoe la veste odorosa. Ei col gran corpoin grande spazio nella polve stesogiacea turbando colle man le chiomee stracciandole a ciocche. Al suo lamentoaccorsero d'Achille e di Patròclol'addolorate ancelle, e con alti urlisi fêr dintorno al bellicoso eroepercotendosi il seno, e ciaschedunasentìa mancarsi le ginocchia e il core.Dall'altra parte Antìloco pietosolagrimando dirotto, e di cordogliospezzato il petto rattenea d'Achillele terribili mani, onde col ferronon si squarciasse per furor la gola.Udì del figlio l'ululato orrendola veneranda Teti che del maresedea ne' gorghi al vecchio padre accanto.Mise un gemito, e tutte a lei dintornosi raccolser le Dee, quante ne serrail mar profondo, di Nerèo figliuoleGlauce, Talìa, Cimòdoce, Neseae Spio vezzosa e Toe ed Alie bella

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sul cadavere nudo si combatte;nudo; ché l'armi n'ha rapito Ettorre.Una negra a que' detti il ricopersenube di duol; con ambedue le pugnala cenere afferrò, giù per la testala sparse, e tutto ne bruttò il bel voltoe la veste odorosa. Ei col gran corpoin grande spazio nella polve stesogiacea turbando colle man le chiomee stracciandole a ciocche. Al suo lamentoaccorsero d'Achille e di Patròclol'addolorate ancelle, e con alti urlisi fêr dintorno al bellicoso eroepercotendosi il seno, e ciaschedunasentìa mancarsi le ginocchia e il core.Dall'altra parte Antìloco pietosolagrimando dirotto, e di cordogliospezzato il petto rattenea d'Achillele terribili mani, onde col ferronon si squarciasse per furor la gola.Udì del figlio l'ululato orrendola veneranda Teti che del maresedea ne' gorghi al vecchio padre accanto.Mise un gemito, e tutte a lei dintornosi raccolser le Dee, quante ne serrail mar profondo, di Nerèo figliuoleGlauce, Talìa, Cimòdoce, Neseae Spio vezzosa e Toe ed Alie bella

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per bovine pupille, e la gentileCimòtoe ed Attea: quindi Melìtee Limnòria e Anfitòe, Jera ed Agave,Doto, Proto, Ferusa e Dinamenae Desamena ed Amfinòma e secoCallïanìra e Dori e Panopea,e sovra tutte Galatea famosa;v'era Apseude e Nemerte e con JaniraCallïanassa ed Ïanassa; alfinel'alma Climene, e Mera ed Oritìaed Amatea dall'auree trecce, ed altreNerëidi dell'onda abitatrici.Tutto di lor fu pieno in un momentoil cristallino speco, e tutte insiemebatteansi il petto, allorché Teti in mezzotal diè principio al lamentar: Sorelle,m'udite, e quanto è il mio dolor vedete.Ohimè misera! ohimè madre infelicedi fortissima prole! Io generaiun valoroso incomparabil figlio,il più prestante degli eroi: lo crebbi,lo coltivai siccome pianta elettain fertile terren: poscia ne' campid'Ilio lo spinsi su le navi io stessaa pugnar co' Troiani. Ahi che m'è toltol'abbracciarlo tornato alla paternareggia! e finch'egli all'amor mio pur vive,fin che gli è dato di fruir la luce,

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per bovine pupille, e la gentileCimòtoe ed Attea: quindi Melìtee Limnòria e Anfitòe, Jera ed Agave,Doto, Proto, Ferusa e Dinamenae Desamena ed Amfinòma e secoCallïanìra e Dori e Panopea,e sovra tutte Galatea famosa;v'era Apseude e Nemerte e con JaniraCallïanassa ed Ïanassa; alfinel'alma Climene, e Mera ed Oritìaed Amatea dall'auree trecce, ed altreNerëidi dell'onda abitatrici.Tutto di lor fu pieno in un momentoil cristallino speco, e tutte insiemebatteansi il petto, allorché Teti in mezzotal diè principio al lamentar: Sorelle,m'udite, e quanto è il mio dolor vedete.Ohimè misera! ohimè madre infelicedi fortissima prole! Io generaiun valoroso incomparabil figlio,il più prestante degli eroi: lo crebbi,lo coltivai siccome pianta elettain fertile terren: poscia ne' campid'Ilio lo spinsi su le navi io stessaa pugnar co' Troiani. Ahi che m'è toltol'abbracciarlo tornato alla paternareggia! e finch'egli all'amor mio pur vive,fin che gli è dato di fruir la luce,

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di tristezza si pasce; ed io, comunquea lui mi rechi, sovvenir nol posso.Nondimeno v'andrò, del caro figliovedrò l'aspetto, e intenderò qual duolodalla guerra lontano il cor gl'ingombra.Uscì, ciò detto, dallo speco, e quellepiangendo la seguîr: l' onda ai lor passiriverente s'aprìa. Come di Troiaattinsero le rive, in lunga filaemersero sul lido ove frequentile mirmidònie antenne in ordinanzafacean selva e corona al grande Achille.A lui che in gravi si struggea sospirila diva madre s'appressò, proruppein acuti ululati, ed abbracciandol'amato capo, e lagrimando, disse:Figlio, che piangi? Che dolore è questo?Nol mi celar, deh parla. A compimentomandò pur Giove il tuo pregar: gli Achivison pur, siccome supplicasti, astrettiripararsi alle navi, e del tuo braccioaver mestiero, di sciagure oppressi.Con un forte sospir rispose Achille:O madre mia, ben Giove a me compiacqueogni preghiera: ma di ciò qual dolceme ne procede, se il diletto amico,se Pàtroclo è già spento? Io lo pregiavasovra tutti i compagni; io di me stesso

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di tristezza si pasce; ed io, comunquea lui mi rechi, sovvenir nol posso.Nondimeno v'andrò, del caro figliovedrò l'aspetto, e intenderò qual duolodalla guerra lontano il cor gl'ingombra.Uscì, ciò detto, dallo speco, e quellepiangendo la seguîr: l' onda ai lor passiriverente s'aprìa. Come di Troiaattinsero le rive, in lunga filaemersero sul lido ove frequentile mirmidònie antenne in ordinanzafacean selva e corona al grande Achille.A lui che in gravi si struggea sospirila diva madre s'appressò, proruppein acuti ululati, ed abbracciandol'amato capo, e lagrimando, disse:Figlio, che piangi? Che dolore è questo?Nol mi celar, deh parla. A compimentomandò pur Giove il tuo pregar: gli Achivison pur, siccome supplicasti, astrettiripararsi alle navi, e del tuo braccioaver mestiero, di sciagure oppressi.Con un forte sospir rispose Achille:O madre mia, ben Giove a me compiacqueogni preghiera: ma di ciò qual dolceme ne procede, se il diletto amico,se Pàtroclo è già spento? Io lo pregiavasovra tutti i compagni; io di me stesso

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al par l'amava, ahi lasso! e l'ho perduto.L'uccise Ettorre, e lo spogliò dell'armi,di quelle grandi e belle armi, a vedersimaravigliose, che gli eterni Dei,dono illustre, a Pelèo diero quel giornoche te nel letto d'un mortal locaro.Oh fossi tu dell'Oceàn rimastafra le divine abitatrici, e strettoPelèo si fosse a una mortal consorte!Ché d'infinita angoscia il cor trafittoor non avresti pel morir d'un figlioche alle tue braccia nel paterno tettonon tornerà più mai, poiché il dolorené la vita né d'uom più mi consentela presenza soffrir, se prima Ettorredalla mia lancia non cade trafitto,e di Patròclo non mi paga il fio.Figlio, nol dir (riprese lagrimandola Dea), non dirlo, ché tua morte affretti:dopo quello d'Ettòr pronto è il tuo fato.Lo sia (con forte gemito interruppel'addolorato eroe), si muoia, e tosto,se giovar mi fu tolto il morto amico.Ahi che lontano dalla patria terrail misero perì, desiderosodel mio soccorso nella sua sciagura.Or poiché il fato riveder mi vietadi Ftia le care arene, ed io crudele

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al par l'amava, ahi lasso! e l'ho perduto.L'uccise Ettorre, e lo spogliò dell'armi,di quelle grandi e belle armi, a vedersimaravigliose, che gli eterni Dei,dono illustre, a Pelèo diero quel giornoche te nel letto d'un mortal locaro.Oh fossi tu dell'Oceàn rimastafra le divine abitatrici, e strettoPelèo si fosse a una mortal consorte!Ché d'infinita angoscia il cor trafittoor non avresti pel morir d'un figlioche alle tue braccia nel paterno tettonon tornerà più mai, poiché il dolorené la vita né d'uom più mi consentela presenza soffrir, se prima Ettorredalla mia lancia non cade trafitto,e di Patròclo non mi paga il fio.Figlio, nol dir (riprese lagrimandola Dea), non dirlo, ché tua morte affretti:dopo quello d'Ettòr pronto è il tuo fato.Lo sia (con forte gemito interruppel'addolorato eroe), si muoia, e tosto,se giovar mi fu tolto il morto amico.Ahi che lontano dalla patria terrail misero perì, desiderosodel mio soccorso nella sua sciagura.Or poiché il fato riveder mi vietadi Ftia le care arene, ed io crudele

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né Pàtroclo aitai né gli altri amicide' quai molti domò l'ettòrea lancia,ma qui presso le navi inutil pesodella terra mi seggo, io fra gli Acheinel travaglio dell'armi il più possente,benché me di parole altri pur vinca,pera nel cor de' numi e de' mortalila discordia fatal, pera lo sdegnoch'anco il più saggio a inferocir costrigne,che dolce più che miel le valoroseanime investe come fumo e cresce.Tal si fu l'ira che da te mi venne,Agamennón. Ma su l'andate cose,benché ne frema il cor, l'obblìo si sparga,e l'alme in sen necessità ne domi.Del caro capo l'uccisore Ettorreor si corra a trovar; poi quando a Giovee agli altri Eterni piacerà mia morte,venga pur, ch'io l'accetto. Il forte Alcide,dilettissimo a Giove e suo gran figlio,Alcide stesso vi soggiacque, domodalla Parca e dall'aspra ira di Giuno.Così pur io, se fato ugual m'aspetta,estinto giacerò. Questo frattantotempo è di gloria. Sforzerò qualcunadelle spose di Dardano e di Troead asciugar con ambedue le manigiù per le guance delicate il pianto,

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né Pàtroclo aitai né gli altri amicide' quai molti domò l'ettòrea lancia,ma qui presso le navi inutil pesodella terra mi seggo, io fra gli Acheinel travaglio dell'armi il più possente,benché me di parole altri pur vinca,pera nel cor de' numi e de' mortalila discordia fatal, pera lo sdegnoch'anco il più saggio a inferocir costrigne,che dolce più che miel le valoroseanime investe come fumo e cresce.Tal si fu l'ira che da te mi venne,Agamennón. Ma su l'andate cose,benché ne frema il cor, l'obblìo si sparga,e l'alme in sen necessità ne domi.Del caro capo l'uccisore Ettorreor si corra a trovar; poi quando a Giovee agli altri Eterni piacerà mia morte,venga pur, ch'io l'accetto. Il forte Alcide,dilettissimo a Giove e suo gran figlio,Alcide stesso vi soggiacque, domodalla Parca e dall'aspra ira di Giuno.Così pur io, se fato ugual m'aspetta,estinto giacerò. Questo frattantotempo è di gloria. Sforzerò qualcunadelle spose di Dardano e di Troead asciugar con ambedue le manigiù per le guance delicate il pianto,

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e a trar dal largo petto alti sospiri.Sappiano alfin che il braccio mio dall'armiabbastanza cessò; né dalla pugnatu, madre, mi svïar, ché indarno il tenti.E a lui la Diva dall'argenteo piede:Giusta, o figlio, è l'impresa e d'onor degna,campar da scempio i travagliati amici.Ma le tue scintillanti armi divineson fra' Troiani, ed Ettore, quel fierodell'elmo crollator, sen fregia il dosso,e dell'incarco esulta. Ma fia breve,lo spero, il suo gioir, ché negra al fiancogià l'incalza la Parca. Or tu di Marteper anco non entrar nel rio tumulto,se tu qua pria venir non mi riveggia.Verrò dimani al raggio mattutino,e recherotti io stessa una forbitabella armatura di Vulcan lavoro.Così detto, dal figlio alle sorelleripiegò la persona, e, Voi, soggiunse,rïentrate del mar nell'ampio grembo,e del marino genitor canutorendetevi alle case, e tutto diteche vedeste ed udiste. Al grande Olimpoio salgo a ritrovar l'inclito fabbroVulcano, e il pregherò che luminosearmi stupende al figlio mio conceda.Disse; e quelle del mar tosto nell'onde

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e a trar dal largo petto alti sospiri.Sappiano alfin che il braccio mio dall'armiabbastanza cessò; né dalla pugnatu, madre, mi svïar, ché indarno il tenti.E a lui la Diva dall'argenteo piede:Giusta, o figlio, è l'impresa e d'onor degna,campar da scempio i travagliati amici.Ma le tue scintillanti armi divineson fra' Troiani, ed Ettore, quel fierodell'elmo crollator, sen fregia il dosso,e dell'incarco esulta. Ma fia breve,lo spero, il suo gioir, ché negra al fiancogià l'incalza la Parca. Or tu di Marteper anco non entrar nel rio tumulto,se tu qua pria venir non mi riveggia.Verrò dimani al raggio mattutino,e recherotti io stessa una forbitabella armatura di Vulcan lavoro.Così detto, dal figlio alle sorelleripiegò la persona, e, Voi, soggiunse,rïentrate del mar nell'ampio grembo,e del marino genitor canutorendetevi alle case, e tutto diteche vedeste ed udiste. Al grande Olimpoio salgo a ritrovar l'inclito fabbroVulcano, e il pregherò che luminosearmi stupende al figlio mio conceda.Disse; e quelle del mar tosto nell'onde

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discesero, e la Dea dal piè d'argentoavvïossi all'Olimpo a procacciarneal diletto figliuolo armi divine.Mentr'ella al ciel salìa, con urlo immensodal sanguinoso Ettòr cacciati in fugagiunser gli Achivi delle navi al valloe al mugghiante Ellesponto. E non ancoradel compagno achillèo la morta spogliaal nembo degli strali avean sottrattagli argolici guerrieri. Un'altra voltafiero assalto le dava una gran serradi cavalli e di fanti, e innanzi a tuttidi Prìamo il figlio, l'indefesso Ettorreche una fiamma parea. Tre volte il prodeper gli piedi il cadavere afferrandoprovò di trarlo, e con orrenda vocei Troiani chiamò: tre volte i dueimpetuosi e vigorosi Aiacirespinserlo dal morto. E nondimenosaldo e securo in sua fortezza or dentronella turba ei s'avventa, ed or s'arresta,e con gran voce tuttavia pur grida,né d'un passo s'arretra. E qual di nottevigilanti pastori alla campagnada preso tauro allontanar non ponnoaffamato lïon; così de' fortiAiaci la virtù da quell'esanguedispiccar non potea l'ardito Ettorre.

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discesero, e la Dea dal piè d'argentoavvïossi all'Olimpo a procacciarneal diletto figliuolo armi divine.Mentr'ella al ciel salìa, con urlo immensodal sanguinoso Ettòr cacciati in fugagiunser gli Achivi delle navi al valloe al mugghiante Ellesponto. E non ancoradel compagno achillèo la morta spogliaal nembo degli strali avean sottrattagli argolici guerrieri. Un'altra voltafiero assalto le dava una gran serradi cavalli e di fanti, e innanzi a tuttidi Prìamo il figlio, l'indefesso Ettorreche una fiamma parea. Tre volte il prodeper gli piedi il cadavere afferrandoprovò di trarlo, e con orrenda vocei Troiani chiamò: tre volte i dueimpetuosi e vigorosi Aiacirespinserlo dal morto. E nondimenosaldo e securo in sua fortezza or dentronella turba ei s'avventa, ed or s'arresta,e con gran voce tuttavia pur grida,né d'un passo s'arretra. E qual di nottevigilanti pastori alla campagnada preso tauro allontanar non ponnoaffamato lïon; così de' fortiAiaci la virtù da quell'esanguedispiccar non potea l'ardito Ettorre.

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E l'avrìa tratto alfine e conseguitaimmensa gloria, s'Iride veloce,a Giove occulta e a ogni altro iddio, dall'altoOlimpo non correa col vento al piedemessaggiera ad Achille; e la spedìa,per eccitarlo alla battaglia, il cennodell'augusta Giunon. Gli parve al fiancoimprovvisa la Diva, e questi accentife' dal labbro volar: Sorgi, Pelìdeterribile guerriero, e di Patròcloil cadavere salva. Intorno a luiferve avanti alle navi orrida pugnacon mutue stragi. In sua difesa i Grecifan che puossi: per trarlo in Ilio i Teucris'avventano di punta. Il fiero Ettorreinnanzi a tutti di rapirlo agogna,bramoso di mozzar dal dilicatocollo il bel capo, e d'un infame troncoconficcarlo alla cima. Alzati, e pigropiù non giacer. Ti tocchi il cor vergognache de' cani di Troia il tuo dilettodebba le sanne trastullar. Se offesane riceve la salma, è tuo lo smacco.Rispose Achille: E quale a me de' numiti manda ambasciatrice, Iri divina?Mi manda, replicò la Dea veloce,Giunon, di Giove glorïosa moglie,né Giove il sa, né verun altro iddio

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E l'avrìa tratto alfine e conseguitaimmensa gloria, s'Iride veloce,a Giove occulta e a ogni altro iddio, dall'altoOlimpo non correa col vento al piedemessaggiera ad Achille; e la spedìa,per eccitarlo alla battaglia, il cennodell'augusta Giunon. Gli parve al fiancoimprovvisa la Diva, e questi accentife' dal labbro volar: Sorgi, Pelìdeterribile guerriero, e di Patròcloil cadavere salva. Intorno a luiferve avanti alle navi orrida pugnacon mutue stragi. In sua difesa i Grecifan che puossi: per trarlo in Ilio i Teucris'avventano di punta. Il fiero Ettorreinnanzi a tutti di rapirlo agogna,bramoso di mozzar dal dilicatocollo il bel capo, e d'un infame troncoconficcarlo alla cima. Alzati, e pigropiù non giacer. Ti tocchi il cor vergognache de' cani di Troia il tuo dilettodebba le sanne trastullar. Se offesane riceve la salma, è tuo lo smacco.Rispose Achille: E quale a me de' numiti manda ambasciatrice, Iri divina?Mi manda, replicò la Dea veloce,Giunon, di Giove glorïosa moglie,né Giove il sa, né verun altro iddio

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de' sereni d'Olimpo abitatore.Come al campo n'andrò, soggiunse Achille,se in mano di color venner le miearmi: e che d'armi or io mi cinga il vietala cara madre, se lei pria non veggioda Vulcano tornar, come promise,di leggiadra armatura apportatrice?Di qual altra famosa or mi vestireal bisogno non so, tranne lo scudodell'egregio figliuol di Telamone.Ma pur egli, mi spero, in questo puntosta combattendo pel mio spento amico.E a lui di nuovo la taumànzia figlia:Noto è ben anco a noi che le tue bellearmi or sono d'altrui. Ma su la fossaanco inerme ti mostra all'inimico.Lascerà spaventato la battagliasolo al vederti, e respirar potrannoi travagliati Achei. Salute è spessonel calor della pugna un sol respiro.Così disse, e disparve. In piedi allorarizzossi Achille amor di Giove, e tuttocoll'egida Minerva il ricoperse.D'un'aurea nube gli fasciò la fronte,ed una fiamma dalla nube uscìa,che dintorno accendea l'aria di luce.Siccome quando al ciel s'innalza il fumod'isolana città, cui d'aspro assedio

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de' sereni d'Olimpo abitatore.Come al campo n'andrò, soggiunse Achille,se in mano di color venner le miearmi: e che d'armi or io mi cinga il vietala cara madre, se lei pria non veggioda Vulcano tornar, come promise,di leggiadra armatura apportatrice?Di qual altra famosa or mi vestireal bisogno non so, tranne lo scudodell'egregio figliuol di Telamone.Ma pur egli, mi spero, in questo puntosta combattendo pel mio spento amico.E a lui di nuovo la taumànzia figlia:Noto è ben anco a noi che le tue bellearmi or sono d'altrui. Ma su la fossaanco inerme ti mostra all'inimico.Lascerà spaventato la battagliasolo al vederti, e respirar potrannoi travagliati Achei. Salute è spessonel calor della pugna un sol respiro.Così disse, e disparve. In piedi allorarizzossi Achille amor di Giove, e tuttocoll'egida Minerva il ricoperse.D'un'aurea nube gli fasciò la fronte,ed una fiamma dalla nube uscìa,che dintorno accendea l'aria di luce.Siccome quando al ciel s'innalza il fumod'isolana città, cui d'aspro assedio

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cinge il nemico: con orrendo martecombattono dal muro i cittadinifinché gli alluma il Sol; poi quando annotta,destan fuochi frequenti alle vedette,e al ciel ne sbalza uno splendor che mandaai convicini del periglio il segno,se per sorte venir con pronte antennevolessero in aita: a questo mododalla testa d'Achille alta alle stellequella fiamma salìa. Varcato il muro,sul primo margo s'arrestò del fosso,né mischiossi agli Achei, ché della madreal precetto obbedìa. Lì stando, un gridomise, e d'un altro da lontan gli feceeco Minerva, ed un terror ne' Teucriimmenso suscitò. Come sonorod'una tuba talor s'ode lo squillo,quando d'assedio una città serrandoarmi grida terribile il nemico,così chiara d'Achille era la voce.N'udiro i Teucri il ferreo suono, e a tuttitremaro i petti; si rizzâr sul colloai destrieri le chiome, e d'alto affannopresaghi addietro rivolgean le bighe.Gli aurighi sbigottîr, vista la fiammache da Minerva di repente accesaorrenda e lunga su la fronte ardeadel magnanimo eroe. Tre volte Achille

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cinge il nemico: con orrendo martecombattono dal muro i cittadinifinché gli alluma il Sol; poi quando annotta,destan fuochi frequenti alle vedette,e al ciel ne sbalza uno splendor che mandaai convicini del periglio il segno,se per sorte venir con pronte antennevolessero in aita: a questo mododalla testa d'Achille alta alle stellequella fiamma salìa. Varcato il muro,sul primo margo s'arrestò del fosso,né mischiossi agli Achei, ché della madreal precetto obbedìa. Lì stando, un gridomise, e d'un altro da lontan gli feceeco Minerva, ed un terror ne' Teucriimmenso suscitò. Come sonorod'una tuba talor s'ode lo squillo,quando d'assedio una città serrandoarmi grida terribile il nemico,così chiara d'Achille era la voce.N'udiro i Teucri il ferreo suono, e a tuttitremaro i petti; si rizzâr sul colloai destrieri le chiome, e d'alto affannopresaghi addietro rivolgean le bighe.Gli aurighi sbigottîr, vista la fiammache da Minerva di repente accesaorrenda e lunga su la fronte ardeadel magnanimo eroe. Tre volte Achille

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dalla fossa gridò: tre volte i Teucrie i collegati sgominârsi, e dodicide' più prestanti fra i riversi cocchitrafitti vi perîr dal proprio ferro.Pronti intanto gli Achei di sotto ai densistrali sottratto di Menèzio il figlio,il locâr nella bara, e gli fêr cerchiolagrimando i compagni. Anch'ei velocev'accorse Achille, e si disciolse in piantonel feretro mirando il fido amicod'acuta lancia trapassato il petto.Egli stesso con carri, armi e destrieril'avea spedito alla battaglia, e freddolo rïebbe al ritorno e sanguinoso.Costrinse allor la veneranda Giunosuo malgrado a calar nelle correntidell'Oceàno l'instancabil Sole.Ei si sommerse, e dal crudel conflittoebber tregua gli Achei. Dier posa all'armidi rincontro i Troiani; i corridorisciolser dai cocchi, e pria che a cibo alcunovolger la mente, convocâr consiglio.Ritti in piedi aprîr essi il parlamento;né verun di sedersi ebbe fidanza,perché d'Achille la comparsa orrendafacea loro tremar le vene e i polsi,ché da lunga stagion ne' lagrimosicampi di Marte non l'avean veduto.

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dalla fossa gridò: tre volte i Teucrie i collegati sgominârsi, e dodicide' più prestanti fra i riversi cocchitrafitti vi perîr dal proprio ferro.Pronti intanto gli Achei di sotto ai densistrali sottratto di Menèzio il figlio,il locâr nella bara, e gli fêr cerchiolagrimando i compagni. Anch'ei velocev'accorse Achille, e si disciolse in piantonel feretro mirando il fido amicod'acuta lancia trapassato il petto.Egli stesso con carri, armi e destrieril'avea spedito alla battaglia, e freddolo rïebbe al ritorno e sanguinoso.Costrinse allor la veneranda Giunosuo malgrado a calar nelle correntidell'Oceàno l'instancabil Sole.Ei si sommerse, e dal crudel conflittoebber tregua gli Achei. Dier posa all'armidi rincontro i Troiani; i corridorisciolser dai cocchi, e pria che a cibo alcunovolger la mente, convocâr consiglio.Ritti in piedi aprîr essi il parlamento;né verun di sedersi ebbe fidanza,perché d'Achille la comparsa orrendafacea loro tremar le vene e i polsi,ché da lunga stagion ne' lagrimosicampi di Marte non l'avean veduto.

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Prese tra lor Polidamante il primoa ragionar. Di Panto era costuiprudente figlio, e de' Troiani il soloche le passate e le future coseal guardo avea presenti. Egli d'Ettorreera compagno, e una medesma notteli produsse ambedue, l'un di parole,l'altro d'asta valente. Ei dunque in mezzocon saggio avviso così tolse a dire:Librate, amici, la bisogna; ir dentroalla cittade, e tosto, è mio consiglio,senz'aspettar davanti a queste navil'alma luce del dì. Troppo siam lungiqui dalle mura. Finché l'ira in pettoarse a questo guerrier contra l'Atride,più lieve er'anco il debellar gli Achivi,ed io pure vegliar godea le nottipresso le navi, nella dolce spemed'occuparle. Or tremar fammi il Pelìde.L'ardor che il mena non vorrà ristrettocontenersi nel campo ove l'acheocol troiano valore in generoseprove la gloria marzïal divise:ma per Ilio a pugnar e per le mogline sforzerà. Nella cittade adunqueripariamo, e si segua il mio sentire,ché le cose avverran com'io v'assenno.L'alma notte or sopito in dolce calma

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Prese tra lor Polidamante il primoa ragionar. Di Panto era costuiprudente figlio, e de' Troiani il soloche le passate e le future coseal guardo avea presenti. Egli d'Ettorreera compagno, e una medesma notteli produsse ambedue, l'un di parole,l'altro d'asta valente. Ei dunque in mezzocon saggio avviso così tolse a dire:Librate, amici, la bisogna; ir dentroalla cittade, e tosto, è mio consiglio,senz'aspettar davanti a queste navil'alma luce del dì. Troppo siam lungiqui dalle mura. Finché l'ira in pettoarse a questo guerrier contra l'Atride,più lieve er'anco il debellar gli Achivi,ed io pure vegliar godea le nottipresso le navi, nella dolce spemed'occuparle. Or tremar fammi il Pelìde.L'ardor che il mena non vorrà ristrettocontenersi nel campo ove l'acheocol troiano valore in generoseprove la gloria marzïal divise:ma per Ilio a pugnar e per le mogline sforzerà. Nella cittade adunqueripariamo, e si segua il mio sentire,ché le cose avverran com'io v'assenno.L'alma notte or sopito in dolce calma

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tien d'Achille il furor: ma se dimaniall'assalto prorompe, e qui ne trova,certo talun conoscerallo, e quantidar potranno le spalle, e dentro il sacroIlio camparsi, si terran beati;ma pria ben molti rimarran pasturadi voraci avoltoi. Deh ch'io non odasì rio caso giammai! Se al mio ricordo,benché non grato, obbedirem, la nottespenderem ne' rinforzi e ne' consigli.E le torri e le porte e i contraffortide' ben commessi tavolati intantofaran sicura la città. Poi tuttid'arme orrendi domani al nuovo Solestarem su i merli. E s'ei lasciato il lidoverrà nosco a pugnar sotto le mura,duro affar troveravvi, e poiché stancain vane giravolte avrà la fogade' suoi superbi corridor, gli fiaforza alle navi ritornar confuso;né di scagliarsi dentro alla cittadedaragli il cuore, e pria che porla al fondo,ei farà sazii del suo corpo i cani.Qui tacque; e bieco gli rispose Ettorre:Tu non mi fai gradevole proposta,Polidamante, no, quando n'esortia serrarci di nuovo entro le mura.E non vi noia ancor di quelle torri

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tien d'Achille il furor: ma se dimaniall'assalto prorompe, e qui ne trova,certo talun conoscerallo, e quantidar potranno le spalle, e dentro il sacroIlio camparsi, si terran beati;ma pria ben molti rimarran pasturadi voraci avoltoi. Deh ch'io non odasì rio caso giammai! Se al mio ricordo,benché non grato, obbedirem, la nottespenderem ne' rinforzi e ne' consigli.E le torri e le porte e i contraffortide' ben commessi tavolati intantofaran sicura la città. Poi tuttid'arme orrendi domani al nuovo Solestarem su i merli. E s'ei lasciato il lidoverrà nosco a pugnar sotto le mura,duro affar troveravvi, e poiché stancain vane giravolte avrà la fogade' suoi superbi corridor, gli fiaforza alle navi ritornar confuso;né di scagliarsi dentro alla cittadedaragli il cuore, e pria che porla al fondo,ei farà sazii del suo corpo i cani.Qui tacque; e bieco gli rispose Ettorre:Tu non mi fai gradevole proposta,Polidamante, no, quando n'esortia serrarci di nuovo entro le mura.E non vi noia ancor di quelle torri

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la prigionia? Fu tempo in cui le gentidi vario favellar tutte a una vocedicean ricca di molto auro e di bronzola città prïameia. Or dalle casedileguârsi i tesori. Alle contradedell'amena Meonia e della Frigiamolta ricchezza ne passò vendutada che l'ira di Giove i Teucri oppresse.Ed or che Giove innanzi a questi legnid'alta vittoria mi fe' lieto, e diemmiche al mar chiudessi le falangi achee,non far palese, o stolto, ai cittadiniquesto consiglio, ché nessuno avraifra i Troiani sì vil che lo secondi,né patirollo io mai. Teucri, obbediamotutti al mio detto. Ristorate i corpial suo posto ciascuno, e vi sovvegnadelle scolte per tutto e delle ronde.Qualunque de' Troiani in pensier stassidi sue ricchezze, le raguni, e poscialargo ai soldati le spartisca. E meglioche alcun nostro ne goda, e non l'Acheo.Sull'aurora dimani in tutto puntoassalirem le navi: e se il divinoAchille all'armi si svegliò davvero,gli fia la pugna, se la vuol, funesta.Non fuggirollo io, no, nell'affannosoballo di Marte, ma starogli a fronte

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la prigionia? Fu tempo in cui le gentidi vario favellar tutte a una vocedicean ricca di molto auro e di bronzola città prïameia. Or dalle casedileguârsi i tesori. Alle contradedell'amena Meonia e della Frigiamolta ricchezza ne passò vendutada che l'ira di Giove i Teucri oppresse.Ed or che Giove innanzi a questi legnid'alta vittoria mi fe' lieto, e diemmiche al mar chiudessi le falangi achee,non far palese, o stolto, ai cittadiniquesto consiglio, ché nessuno avraifra i Troiani sì vil che lo secondi,né patirollo io mai. Teucri, obbediamotutti al mio detto. Ristorate i corpial suo posto ciascuno, e vi sovvegnadelle scolte per tutto e delle ronde.Qualunque de' Troiani in pensier stassidi sue ricchezze, le raguni, e poscialargo ai soldati le spartisca. E meglioche alcun nostro ne goda, e non l'Acheo.Sull'aurora dimani in tutto puntoassalirem le navi: e se il divinoAchille all'armi si svegliò davvero,gli fia la pugna, se la vuol, funesta.Non fuggirollo io, no, nell'affannosoballo di Marte, ma starogli a fronte

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con intrepido petto. Uno de' dued'un'illustre vittoria andrà superbo;il cimento è comune, ed avvien spessoche morte incontra chi di darla ha speme.Disse, e i Teucri levâr d'applauso un grido.Stolti! ché Palla avea lor tolto il senno.Tutti assentîr d'Ettorre al pazzo avviso,nessuno al saggio del figliuol di Panto.Mentre col cibo a rivocar le forzeintendono i Troiani, in alti lail'intera notte dispendean gli Achivisovra il morto Patròclo, e prorompeafra loro in pianti sospirosi Achille,la man tremenda sul gelato pettodell'amico ponendo, e cupi e spessii gemiti mettea, come talvoltaben chiomato lïone a cui rapìoil cacciator nel bosco i lïoncini.Crucciato il fiero del suo tardo arrivo,tutta scorre la valle, e l'orme esploradel predator, se mai di ritrovarloin qualche lato gli rïesca; e orrendagli divampa nel cor la rabbia e l'ira:tal si cruccia il Pelìde, e con profondisospiri in mezzo ai Mirmidóni esclama:Oh mie vane parole il dì ch'io diedia Menèzio il conforto, e la promessache in Opunta gli avrei carco di gloria

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con intrepido petto. Uno de' dued'un'illustre vittoria andrà superbo;il cimento è comune, ed avvien spessoche morte incontra chi di darla ha speme.Disse, e i Teucri levâr d'applauso un grido.Stolti! ché Palla avea lor tolto il senno.Tutti assentîr d'Ettorre al pazzo avviso,nessuno al saggio del figliuol di Panto.Mentre col cibo a rivocar le forzeintendono i Troiani, in alti lail'intera notte dispendean gli Achivisovra il morto Patròclo, e prorompeafra loro in pianti sospirosi Achille,la man tremenda sul gelato pettodell'amico ponendo, e cupi e spessii gemiti mettea, come talvoltaben chiomato lïone a cui rapìoil cacciator nel bosco i lïoncini.Crucciato il fiero del suo tardo arrivo,tutta scorre la valle, e l'orme esploradel predator, se mai di ritrovarloin qualche lato gli rïesca; e orrendagli divampa nel cor la rabbia e l'ira:tal si cruccia il Pelìde, e con profondisospiri in mezzo ai Mirmidóni esclama:Oh mie vane parole il dì ch'io diedia Menèzio il conforto, e la promessache in Opunta gli avrei carco di gloria

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e di gran preda ricondotto il figliodall'atterrata Troia! Ahi che non tuttiGiove i disegni de' mortali adempie!Sotto Troia il destino ambo ne dannaa far vermiglia una medesma terra,ché me neppure abbraccerà tornatoil buon vecchio Pelèo nel patrio tetto,né Teti genitrice; ma sepolcromi darà questo lido. Or poi che deggiodopo te, mio fedel, scender sotterra,tu, no, sul rogo non andrai, lo giuro,se non t'arreco in prima io qui d'Ettorre,del tuo crudo uccisor l'armi e la testa;e dodici d'illustri iliaci figlitroncheronne davanti alla tua pira.Giaci intanto così, caro compagno,qui presso alle mie navi; e le troianee le dardanie ancelle il largo senotutte discinte intorno al tuo ferètronotte e dì faran pianto, e ploreranno.Esse ne fur comun fatica e predaquando noi colla forza e colle lungheaste domando le nemiche gentil'opime n'atterrammo ampie cittadi.Ciò detto, comandò l'almo Pelìdeche dai compagni al fuoco si ponessesul tripode un gran vaso, onde velocidi Pàtroclo lavar la sanguinosa

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e di gran preda ricondotto il figliodall'atterrata Troia! Ahi che non tuttiGiove i disegni de' mortali adempie!Sotto Troia il destino ambo ne dannaa far vermiglia una medesma terra,ché me neppure abbraccerà tornatoil buon vecchio Pelèo nel patrio tetto,né Teti genitrice; ma sepolcromi darà questo lido. Or poi che deggiodopo te, mio fedel, scender sotterra,tu, no, sul rogo non andrai, lo giuro,se non t'arreco in prima io qui d'Ettorre,del tuo crudo uccisor l'armi e la testa;e dodici d'illustri iliaci figlitroncheronne davanti alla tua pira.Giaci intanto così, caro compagno,qui presso alle mie navi; e le troianee le dardanie ancelle il largo senotutte discinte intorno al tuo ferètronotte e dì faran pianto, e ploreranno.Esse ne fur comun fatica e predaquando noi colla forza e colle lungheaste domando le nemiche gentil'opime n'atterrammo ampie cittadi.Ciò detto, comandò l'almo Pelìdeche dai compagni al fuoco si ponessesul tripode un gran vaso, onde velocidi Pàtroclo lavar la sanguinosa

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tabe. E quelli sul fuoco in un balenoatto ai lavacri collocaro un bronzo,e v'infusero l'onda, e di stecchitirami di sotto alimentâr la fiamma.Abbracciavan le vampe mormorandodel vaso il ventre, e rotto in sottil fumoscaldavasi l'umor. Poiché nel cavorame la linfa al suo bollor pervenne,diersi il corpo a lavar: l'unser di pinguefelice oliva, e le ferite empierodi balsamo novenne. Indi al funèbreletto renduto, dalla fronte al piedein sottil lino avvolserlo, e supernoun bianco panno vi spiegâr. Ciò fatto,tornaro ai pianti, e intorno al mesto Achilletutta in lamenti consumâr la notte.Giove in questo alla sua moglie e sorellasi volse e disse: Veneranda Giuno,ecco pieni alla fine i tuoi desiri;ecco all'armi tornato il grande Achille.Di te nacque, cred'io, (cotanto l'ami)l'argiva gente. - E Giuno a lui: Che parli,tremendo figlio di Saturno? All'uomopovero d'alma e di consigli è datoil dannaggio tramar del suo simile;ed io che incedo degli Dei reina,perché saturnia prole e perché sposason dell'alto de' numi imperadore,

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tabe. E quelli sul fuoco in un balenoatto ai lavacri collocaro un bronzo,e v'infusero l'onda, e di stecchitirami di sotto alimentâr la fiamma.Abbracciavan le vampe mormorandodel vaso il ventre, e rotto in sottil fumoscaldavasi l'umor. Poiché nel cavorame la linfa al suo bollor pervenne,diersi il corpo a lavar: l'unser di pinguefelice oliva, e le ferite empierodi balsamo novenne. Indi al funèbreletto renduto, dalla fronte al piedein sottil lino avvolserlo, e supernoun bianco panno vi spiegâr. Ciò fatto,tornaro ai pianti, e intorno al mesto Achilletutta in lamenti consumâr la notte.Giove in questo alla sua moglie e sorellasi volse e disse: Veneranda Giuno,ecco pieni alla fine i tuoi desiri;ecco all'armi tornato il grande Achille.Di te nacque, cred'io, (cotanto l'ami)l'argiva gente. - E Giuno a lui: Che parli,tremendo figlio di Saturno? All'uomopovero d'alma e di consigli è datoil dannaggio tramar del suo simile;ed io che incedo degli Dei reina,perché saturnia prole e perché sposason dell'alto de' numi imperadore,

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contra i Troiani co' Troiani iratamacchinar qualche offesa io non dovea?Mentre seguìan tra lor queste contese,Teti agli alberghi di Vulcan pervenne;stellati eterni rilucenti alberghi,fra i celesti i più belli, e dallo stessoVulcan costrutti di massiccio bronzo.Tutto in sudor trovollo affaccendatode' mantici al lavoro. Avea per manodieci tripodi e dieci, adornamentodi palagio regal. Sopposte a tuttid'oro avea le rotelle, onde ne gisseda sé ciascuno all'assemblea de' numi,e da sé ne tornasse onde si tolse:maraviglia a vederli! Omai compiutol'ammirando lavor, solo restavach'ei v'adattasse le polite orecchie,e appunto all'uopo n'aguzzava i chiovi.Mentre venìa tai cose elaborandocon egregio artificio, entro la soglial'alma Teti mettea l'argenteo piede.La vide, e le si fe' Càrite incontroornata il capo d'eleganti bende,dell'inclito Vulcan moglie vezzosa:per man la strinse, e il roseo labbro aprendo,Qual, le disse, cagione, o bella Teti,ti guida inaspettata a queste case?Rado suoli onorarle, e nondimeno

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contra i Troiani co' Troiani iratamacchinar qualche offesa io non dovea?Mentre seguìan tra lor queste contese,Teti agli alberghi di Vulcan pervenne;stellati eterni rilucenti alberghi,fra i celesti i più belli, e dallo stessoVulcan costrutti di massiccio bronzo.Tutto in sudor trovollo affaccendatode' mantici al lavoro. Avea per manodieci tripodi e dieci, adornamentodi palagio regal. Sopposte a tuttid'oro avea le rotelle, onde ne gisseda sé ciascuno all'assemblea de' numi,e da sé ne tornasse onde si tolse:maraviglia a vederli! Omai compiutol'ammirando lavor, solo restavach'ei v'adattasse le polite orecchie,e appunto all'uopo n'aguzzava i chiovi.Mentre venìa tai cose elaborandocon egregio artificio, entro la soglial'alma Teti mettea l'argenteo piede.La vide, e le si fe' Càrite incontroornata il capo d'eleganti bende,dell'inclito Vulcan moglie vezzosa:per man la strinse, e il roseo labbro aprendo,Qual, le disse, cagione, o bella Teti,ti guida inaspettata a queste case?Rado suoli onorarle, e nondimeno

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sempre cara vi giungi e riverita.Inóltrati, perch'io pronta t'apprestile vivande ospitali. - E sì dicendo,la bellissima Dea l'altra introdusse,e in un bel seggio collocolla, ornatod'argentee borchie a lavorìo gentilecol suo sgabello al piede. Indi a chiamarnecorse l'esimio fabbro, e sì gli disse:Vieni, Vulcan, ché ti vuol Teti. - Ed egli:Venerevole Diva e d'onor degnanella casa mi venne. Ella malconcioe afflitto mi salvò quando dal cielomi feo gittar l'invereconda madre,che il distorto mio piè volea celato;e mille allor m'avrei doglie soffertose me del mar non raccogliean nel grembodel rifluente Ocèano la figliaEurìnome e la Dea Teti. Di questequasi due lustri in compagnia mi vissi,e di molte vi feci opre d'ingegno,fibbie ed armille tortuose e vezzie bei monili, in cavo antro nascosoa cui spumante intorno ed infinitad'Oceàn la corrente mormorava;né verun di mia stanza avea contezza,né mortale né Dio, tranne le bellemie servatrici. Or poiché Teti è giuntaalla nostra magion, piena le voglio

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sempre cara vi giungi e riverita.Inóltrati, perch'io pronta t'apprestile vivande ospitali. - E sì dicendo,la bellissima Dea l'altra introdusse,e in un bel seggio collocolla, ornatod'argentee borchie a lavorìo gentilecol suo sgabello al piede. Indi a chiamarnecorse l'esimio fabbro, e sì gli disse:Vieni, Vulcan, ché ti vuol Teti. - Ed egli:Venerevole Diva e d'onor degnanella casa mi venne. Ella malconcioe afflitto mi salvò quando dal cielomi feo gittar l'invereconda madre,che il distorto mio piè volea celato;e mille allor m'avrei doglie soffertose me del mar non raccogliean nel grembodel rifluente Ocèano la figliaEurìnome e la Dea Teti. Di questequasi due lustri in compagnia mi vissi,e di molte vi feci opre d'ingegno,fibbie ed armille tortuose e vezzie bei monili, in cavo antro nascosoa cui spumante intorno ed infinitad'Oceàn la corrente mormorava;né verun di mia stanza avea contezza,né mortale né Dio, tranne le bellemie servatrici. Or poiché Teti è giuntaalla nostra magion, piena le voglio

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render mercé del benefizio antico.Tu dinanzi sollecita le poniil banchetto ospital, mentr'io velocequesti mantici assetto e gli altri arnesi.Disse, e dal ceppo dell'incude il mostroabbronzato levossi zoppicando.Moveansi sotto a gran stento le fiacchegambe sottili. Allontanò dal fuocoi mantici ventosi: ogni fabbrileistrumento raccolse, e dentro un'arcali ripose d'argento. Indi con mollespugna ben tutto stropicciossi il voltoaffumicato ed ambedue le manie il duro collo ed il peloso petto.Poi la tunica mise; ed il pesantescettro impugnato, tentennando uscìo.Seguìan l'orrido rege, e a dritta e a mancail passo ne reggean forme e figuredi vaghe ancelle, tutte d'oro, e a vivegiovinette simìli, entro il cui senoavea messo il gran fabbro e voce e vitae vigor d'intelletto e delle carearti insegnate dai Celesti il senno.Queste al fianco del Dio spedite e snellecamminavano; ed egli a tardo passoavvicinato a Teti, in un lucentetrono s'assise, e la sua man ponendonella man della Dea, così le disse:

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render mercé del benefizio antico.Tu dinanzi sollecita le poniil banchetto ospital, mentr'io velocequesti mantici assetto e gli altri arnesi.Disse, e dal ceppo dell'incude il mostroabbronzato levossi zoppicando.Moveansi sotto a gran stento le fiacchegambe sottili. Allontanò dal fuocoi mantici ventosi: ogni fabbrileistrumento raccolse, e dentro un'arcali ripose d'argento. Indi con mollespugna ben tutto stropicciossi il voltoaffumicato ed ambedue le manie il duro collo ed il peloso petto.Poi la tunica mise; ed il pesantescettro impugnato, tentennando uscìo.Seguìan l'orrido rege, e a dritta e a mancail passo ne reggean forme e figuredi vaghe ancelle, tutte d'oro, e a vivegiovinette simìli, entro il cui senoavea messo il gran fabbro e voce e vitae vigor d'intelletto e delle carearti insegnate dai Celesti il senno.Queste al fianco del Dio spedite e snellecamminavano; ed egli a tardo passoavvicinato a Teti, in un lucentetrono s'assise, e la sua man ponendonella man della Dea, così le disse:

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Qual mai sorte t'adduce a queste soglie,o sempre cara e veneranda Teti,in quell'ampio tuo peplo ancor più bella?Troppo rado ne fai di tua presenzacontenti e lieti. Or parla, e il tuo desirelibera esponi. A soddisfarlo il gratocor mi sospinge, se pur farlo io possa,e il farlo mi s'addica. - E a lui suffusadi lagrime i bei rai Teti rispose:Delle Dive d'Olimpo e qual soffersetanti, o Vulcano, tormentosi affanniquanti in me Giove n'adunò? Me solafra le Dive del mar suggetta ei fecead un mortale, al re Pelèo. Ritrosane sostenni gli amplessi; ed egli or giacelogro dagli anni nel regal suo tetto.Né il tenor qui restò di mie sventure.Mi nacque un figlio. Io l'educai gelosa,e come pianta ei crebbe, e mi divenneil maggior degli eroi. Questo germogliodi fertile terren, questo dilettounico figlio su le navi io stessaspedii di Troia alle funeste rivea guerreggiar co' Teucri. Avverso fatogli dinega il ritorno; ed io non deggionella pelèa magion madre infeliceabbracciarlo più mai. Né questo è tutto.Fin ch'ei mi vive, e la ria Parca il raggio

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Qual mai sorte t'adduce a queste soglie,o sempre cara e veneranda Teti,in quell'ampio tuo peplo ancor più bella?Troppo rado ne fai di tua presenzacontenti e lieti. Or parla, e il tuo desirelibera esponi. A soddisfarlo il gratocor mi sospinge, se pur farlo io possa,e il farlo mi s'addica. - E a lui suffusadi lagrime i bei rai Teti rispose:Delle Dive d'Olimpo e qual soffersetanti, o Vulcano, tormentosi affanniquanti in me Giove n'adunò? Me solafra le Dive del mar suggetta ei fecead un mortale, al re Pelèo. Ritrosane sostenni gli amplessi; ed egli or giacelogro dagli anni nel regal suo tetto.Né il tenor qui restò di mie sventure.Mi nacque un figlio. Io l'educai gelosa,e come pianta ei crebbe, e mi divenneil maggior degli eroi. Questo germogliodi fertile terren, questo dilettounico figlio su le navi io stessaspedii di Troia alle funeste rivea guerreggiar co' Teucri. Avverso fatogli dinega il ritorno; ed io non deggionella pelèa magion madre infeliceabbracciarlo più mai. Né questo è tutto.Fin ch'ei mi vive, e la ria Parca il raggio

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gli prolunga del Sole, ei lo consumanella tristezza, né giovarlo io posso.Dagli Achivi ottenuta egli s'aveapremio di sue fatiche una fanciulla.Agamennón gliela ritolse; ed essodell'onta irato, e nel dolor sepoltosi ritrasse dall'armi. I Teucri intantoalle navi rinchiusero gli Achei,né permettean l'uscita. Umìli allorai duci argivi gli mandâr preghieree d'orrevoli doni ampie profferte.Egli fermo negò la chiesta aita:ma cinse di sue stesse armi l'amicoPàtroclo, e al campo l'invïò seguìtoda molti prodi. Su le porte Sceetutto un giorno durò l'aspro conflitto.E il dì stesso Ilïon sarìa caduto,s'alta strage menar visto il gagliardodi Menèzio figliuol, non l'uccideatra i combattenti della fronte Apollo,esaltandone Ettorre. Or io pel figliovengo supplice madre al tuo ginocchio,onde a conforto di sua corta vitadi scudo e d'elmo provveder tu il voglia,e di forte lorica e di schiniericon leggiadro fermaglio. A lui perduteha tutte l'armi dai Troiani uccisoil suo fedel compagno, ed egli or giace

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gli prolunga del Sole, ei lo consumanella tristezza, né giovarlo io posso.Dagli Achivi ottenuta egli s'aveapremio di sue fatiche una fanciulla.Agamennón gliela ritolse; ed essodell'onta irato, e nel dolor sepoltosi ritrasse dall'armi. I Teucri intantoalle navi rinchiusero gli Achei,né permettean l'uscita. Umìli allorai duci argivi gli mandâr preghieree d'orrevoli doni ampie profferte.Egli fermo negò la chiesta aita:ma cinse di sue stesse armi l'amicoPàtroclo, e al campo l'invïò seguìtoda molti prodi. Su le porte Sceetutto un giorno durò l'aspro conflitto.E il dì stesso Ilïon sarìa caduto,s'alta strage menar visto il gagliardodi Menèzio figliuol, non l'uccideatra i combattenti della fronte Apollo,esaltandone Ettorre. Or io pel figliovengo supplice madre al tuo ginocchio,onde a conforto di sua corta vitadi scudo e d'elmo provveder tu il voglia,e di forte lorica e di schiniericon leggiadro fermaglio. A lui perduteha tutte l'armi dai Troiani uccisoil suo fedel compagno, ed egli or giace

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gittato a terra, e dal dolore oppresso.Tacque; e il mal fermo Dio così rispose:Ti riconforta, o Teti, e questa curanon ti gravi il pensier. Così potessialla morte il celar quando la Parcasul capo gli starà, com'io di bellearmi fornito manderollo, e taliche al vederle ogni sguardo ne stupisca.Lasciò la Dea, ciò detto, e impazïenteai mantici tornò, li volse al fuoco,e comandò suo moto a ciascheduno.Eran venti che dentro la fornaceper venti bocche ne venìan soffiando,e al fiato, che mettean dal cavo seno,or gagliardo or leggier, come il bisognochiedea dell'opra e di Vulcano il senno,sibilando prendea spirto la fiamma.In un commisti allor gittò nel fuocoargento ed auro prezïoso e stagnoed indomito rame. Indi sul toppolocò la dura risonante incude,di pesante martello armò la dritta,di tanaglie la manca; e primamenteun saldo ei fece smisurato scudodi dèdalo rilievo, e d'auro intornotre ben fulgidi cerchi vi condusse,poi d'argento al di fuor mise la soga.Cinque dell'ampio scudo eran le zone,

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gittato a terra, e dal dolore oppresso.Tacque; e il mal fermo Dio così rispose:Ti riconforta, o Teti, e questa curanon ti gravi il pensier. Così potessialla morte il celar quando la Parcasul capo gli starà, com'io di bellearmi fornito manderollo, e taliche al vederle ogni sguardo ne stupisca.Lasciò la Dea, ciò detto, e impazïenteai mantici tornò, li volse al fuoco,e comandò suo moto a ciascheduno.Eran venti che dentro la fornaceper venti bocche ne venìan soffiando,e al fiato, che mettean dal cavo seno,or gagliardo or leggier, come il bisognochiedea dell'opra e di Vulcano il senno,sibilando prendea spirto la fiamma.In un commisti allor gittò nel fuocoargento ed auro prezïoso e stagnoed indomito rame. Indi sul toppolocò la dura risonante incude,di pesante martello armò la dritta,di tanaglie la manca; e primamenteun saldo ei fece smisurato scudodi dèdalo rilievo, e d'auro intornotre ben fulgidi cerchi vi condusse,poi d'argento al di fuor mise la soga.Cinque dell'ampio scudo eran le zone,

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e gl'intervalli, con divin sapere,d'ammiranda scultura avea ripieni.Ivi ei fece la terra, il mare, il cieloe il Sole infaticabile, e la tondaLuna, e gli astri diversi onde sfavillaincoronata la celeste volta,e le Pleiadi, e l'Iadi, e la stellad'Orïon tempestosa, e la grand'Orsache pur Plaustro si noma. Intorno al poloella si gira ed Orïon riguarda,dai lavacri del mar sola divisa.Ivi inoltre scolpite avea due bellepopolose città. Vedi nell'unaconviti e nozze. Delle tede al chiaroper le contrade ne venìan condottedal talamo le spose, e Imene, Imenecon molti s'intonava inni festivi.Menan carole i giovinetti in girodai flauti accompagnate e dalle cetre,mentre le donne sulla soglia rittestan la pompa a guardar maravigliose.D'altra parte nel fôro una gran turbaconvenir si vedea. Quivi contesaera insorta fra due che d'un uccisopiativano la multa. Un la mercedegià pagata asserìa; l'altro negava.Finir davanti a un arbitro la litechiedeano entrambi, e i testimon produrre.

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e gl'intervalli, con divin sapere,d'ammiranda scultura avea ripieni.Ivi ei fece la terra, il mare, il cieloe il Sole infaticabile, e la tondaLuna, e gli astri diversi onde sfavillaincoronata la celeste volta,e le Pleiadi, e l'Iadi, e la stellad'Orïon tempestosa, e la grand'Orsache pur Plaustro si noma. Intorno al poloella si gira ed Orïon riguarda,dai lavacri del mar sola divisa.Ivi inoltre scolpite avea due bellepopolose città. Vedi nell'unaconviti e nozze. Delle tede al chiaroper le contrade ne venìan condottedal talamo le spose, e Imene, Imenecon molti s'intonava inni festivi.Menan carole i giovinetti in girodai flauti accompagnate e dalle cetre,mentre le donne sulla soglia rittestan la pompa a guardar maravigliose.D'altra parte nel fôro una gran turbaconvenir si vedea. Quivi contesaera insorta fra due che d'un uccisopiativano la multa. Un la mercedegià pagata asserìa; l'altro negava.Finir davanti a un arbitro la litechiedeano entrambi, e i testimon produrre.

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In due parti diviso era il favoredel popolo fremente, e i banditorisedavano il tumulto. In sacro circosedeansi i padri su polite pietre,e dalla mano degli araldi presoil suo scettro ciascun, con questo in pugnosorgeano, e l'uno dopo l'altro in piedilor sentenza dicean. Doppio talentod'auro è nel mezzo da largirsi a quelloche più diritta sua ragion dimostri.Era l'altra città dalle fulgentiarmi ristretta di due campi in dueparer divisi, o di spianar del tuttol'opulento castello, o che di quanteson là dentro ricchezze in due partitosia l'ammasso. I rinchiusi alla chiamatanon obbedìan per anco, e ad un agguatoarmavansi di cheto. In su le murale care spose, i fanciulletti e i veglifan custodia e corona; e quelli intantotaciturni s'avanzano. Minervali precorre e Gradivo entrambi d'oro,e la veste han pur d'oro, ed alte e bellele divine stature, e d'ogni partevisibili: più bassa iva la torma.Come in loco all'insidie atto fur giuntipresso un fiume, ove tutti a dissetarsevenìan gli armenti, s'appiattâr que' prodi

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In due parti diviso era il favoredel popolo fremente, e i banditorisedavano il tumulto. In sacro circosedeansi i padri su polite pietre,e dalla mano degli araldi presoil suo scettro ciascun, con questo in pugnosorgeano, e l'uno dopo l'altro in piedilor sentenza dicean. Doppio talentod'auro è nel mezzo da largirsi a quelloche più diritta sua ragion dimostri.Era l'altra città dalle fulgentiarmi ristretta di due campi in dueparer divisi, o di spianar del tuttol'opulento castello, o che di quanteson là dentro ricchezze in due partitosia l'ammasso. I rinchiusi alla chiamatanon obbedìan per anco, e ad un agguatoarmavansi di cheto. In su le murale care spose, i fanciulletti e i veglifan custodia e corona; e quelli intantotaciturni s'avanzano. Minervali precorre e Gradivo entrambi d'oro,e la veste han pur d'oro, ed alte e bellele divine stature, e d'ogni partevisibili: più bassa iva la torma.Come in loco all'insidie atto fur giuntipresso un fiume, ove tutti a dissetarsevenìan gli armenti, s'appiattâr que' prodi

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chiusi nel ferro, collocati in priadue di loro in disparte, che de' buoispïassero la giunta e delle gregge.Ed eccole arrivar con due pastoriche, nulla insidia suspicando, al suonodelle zampogne si prendean diletto.L'insidiator drappello alla sprovvistagli assalìa, ne predava in un momentode' buoi le mandre e delle bianche agnelle,ed uccidea crudele anco i pastori.Scossa all'alto rumor l'assediatriceoste a consiglio tuttavia seduta,de' veloci corsier subitamentemonta le groppe, i predatori insegue,e li raggiunge. Allor si ferma, e fierasul fiume appicca la battaglia. Entrambesi ferìan coll'acute aste le schiere.Scorrea nel mezzo la Discordia, e secoera il Tumulto e la terribil Parcache un vivo già ferito e un altro illesoartiglia colla dritta, e un morto afferrane' piè coll'altra, e per la strage il tira.Manto di sangue tutto sozzo e rottole ricopre le spalle: i combattentiparean vivi, e traean de' loro uccisii cadaveri in salvo alternamente.Vi sculse poscia un morbido maggesespazïoso, ubertoso e che tre volte

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chiusi nel ferro, collocati in priadue di loro in disparte, che de' buoispïassero la giunta e delle gregge.Ed eccole arrivar con due pastoriche, nulla insidia suspicando, al suonodelle zampogne si prendean diletto.L'insidiator drappello alla sprovvistagli assalìa, ne predava in un momentode' buoi le mandre e delle bianche agnelle,ed uccidea crudele anco i pastori.Scossa all'alto rumor l'assediatriceoste a consiglio tuttavia seduta,de' veloci corsier subitamentemonta le groppe, i predatori insegue,e li raggiunge. Allor si ferma, e fierasul fiume appicca la battaglia. Entrambesi ferìan coll'acute aste le schiere.Scorrea nel mezzo la Discordia, e secoera il Tumulto e la terribil Parcache un vivo già ferito e un altro illesoartiglia colla dritta, e un morto afferrane' piè coll'altra, e per la strage il tira.Manto di sangue tutto sozzo e rottole ricopre le spalle: i combattentiparean vivi, e traean de' loro uccisii cadaveri in salvo alternamente.Vi sculse poscia un morbido maggesespazïoso, ubertoso e che tre volte

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del vomero la piaga avea sentito.Molti aratori lo venìan solcando,e sotto il giogo in questa parte e in quellastimolando i giovenchi. E come al capogiungean del solco, un uom che giva in volta,lor ponea nelle man spumante un nappodi dolcissimo bacco; e quei tornandoristorati al lavor, l'almo terrenofendean, bramosi di finirlo tutto.Dietro nereggia la sconvolta gleba:vero arato sembrava, e nondimenotutta era d'òr. Mirabile fattura!Altrove un campo effigïato avead'alta messe già biondo. Ivi le destred'acuta falce armati i segatorimietean le spighe; e le recise mannealtre in terra cadean tra solco e solco,altre con vinchi le venìan stringendotre legator da tergo, a cui festositra le braccia recandole i fanciullisenza posa porgean le tronche ariste.In mezzo a tutti colla verga in pugnosovra un solco sedea del campo il sire,tacito e lieto della molta messe.Sotto una quercia i suoi sergenti intantoimbandiscon la mensa, e i lombi curanod'un immolato bue, mentre le donneintente a mescolar bianche farine,

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del vomero la piaga avea sentito.Molti aratori lo venìan solcando,e sotto il giogo in questa parte e in quellastimolando i giovenchi. E come al capogiungean del solco, un uom che giva in volta,lor ponea nelle man spumante un nappodi dolcissimo bacco; e quei tornandoristorati al lavor, l'almo terrenofendean, bramosi di finirlo tutto.Dietro nereggia la sconvolta gleba:vero arato sembrava, e nondimenotutta era d'òr. Mirabile fattura!Altrove un campo effigïato avead'alta messe già biondo. Ivi le destred'acuta falce armati i segatorimietean le spighe; e le recise mannealtre in terra cadean tra solco e solco,altre con vinchi le venìan stringendotre legator da tergo, a cui festositra le braccia recandole i fanciullisenza posa porgean le tronche ariste.In mezzo a tutti colla verga in pugnosovra un solco sedea del campo il sire,tacito e lieto della molta messe.Sotto una quercia i suoi sergenti intantoimbandiscon la mensa, e i lombi curanod'un immolato bue, mentre le donneintente a mescolar bianche farine,

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van preparando ai mietitor la cena.Seguìa quindi un vigneto oppresso e curvosotto il carco dell'uva. Il tralcio è d'oro,nero il racemo, ed un filar prolissod'argentei pali sostenea le viti.Lo circondava una cerulea fossae di stagno una siepe. Un sentier soloal vendemmiante ne schiudea l'ingresso.Allegri giovinetti e verginelleportano ne' canestri il dolce frutto,e fra loro un garzon tocca la cetrasoavemente. La percossa cordacon sottil voce rispondeagli, e quellicon tripudio di piedi sufolandoe canticchiando ne seguìano il suono.Di giovenche una mandra anco vi posecon erette cervici. Erano scultein oro e stagno, e dal bovile usciènomugolando e correndo alla pasturalungo le rive d'un sonante fiumeche tra giunchi volgea l'onda veloce.Quattro pastori, tutti d'oro, in filagìan coll'armento, e li seguìan fedelinove bianchi mastini. Ed ecco usciredue tremendi lïoni, ed avventarsitra le prime giovenche ad un gran tauro,che abbrancato, ferito e strascinatolamentosi mandava alti muggiti.

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van preparando ai mietitor la cena.Seguìa quindi un vigneto oppresso e curvosotto il carco dell'uva. Il tralcio è d'oro,nero il racemo, ed un filar prolissod'argentei pali sostenea le viti.Lo circondava una cerulea fossae di stagno una siepe. Un sentier soloal vendemmiante ne schiudea l'ingresso.Allegri giovinetti e verginelleportano ne' canestri il dolce frutto,e fra loro un garzon tocca la cetrasoavemente. La percossa cordacon sottil voce rispondeagli, e quellicon tripudio di piedi sufolandoe canticchiando ne seguìano il suono.Di giovenche una mandra anco vi posecon erette cervici. Erano scultein oro e stagno, e dal bovile usciènomugolando e correndo alla pasturalungo le rive d'un sonante fiumeche tra giunchi volgea l'onda veloce.Quattro pastori, tutti d'oro, in filagìan coll'armento, e li seguìan fedelinove bianchi mastini. Ed ecco usciredue tremendi lïoni, ed avventarsitra le prime giovenche ad un gran tauro,che abbrancato, ferito e strascinatolamentosi mandava alti muggiti.

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Per rïaverlo i cani ed i pastoripronti accorrean: ma le superbe fieredel tauro avendo già squarciato il fianco,ne mettean dentro alle bramose cannele palpitanti viscere ed il sangue.Gl'inseguivano indarno i mandrïaniaizzando i mastini. Essi co' morsiattaccar non osando i due feroci,latravan loro addosso, e si schermivano.Fecevi ancora il mastro ignipotentein amena convalle una pasturatutta di greggi biancheggiante, e sparsadi capanne, di chiusi e pecorili.Poi vi sculse una danza a quella egualeche ad Arïanna dalle belle treccenell'ampia Creta Dedalo compose.V'erano garzoncelli e verginettedi bellissimo corpo, che saltandoteneansi al carpo delle palme avvinti.Queste un velo sottil, quelli un farsettoben tessuto vestìa, soavementelustro qual bacca di palladia fronda.Portano queste al crin belle ghirlande,quelli aurato trafiere al fianco appesoda cintola d'argento. Ed or leggieridanzano in tondo con maestri passi,come rapida ruota che sedutoal mobil torno il vasellier rivolve,

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Per rïaverlo i cani ed i pastoripronti accorrean: ma le superbe fieredel tauro avendo già squarciato il fianco,ne mettean dentro alle bramose cannele palpitanti viscere ed il sangue.Gl'inseguivano indarno i mandrïaniaizzando i mastini. Essi co' morsiattaccar non osando i due feroci,latravan loro addosso, e si schermivano.Fecevi ancora il mastro ignipotentein amena convalle una pasturatutta di greggi biancheggiante, e sparsadi capanne, di chiusi e pecorili.Poi vi sculse una danza a quella egualeche ad Arïanna dalle belle treccenell'ampia Creta Dedalo compose.V'erano garzoncelli e verginettedi bellissimo corpo, che saltandoteneansi al carpo delle palme avvinti.Queste un velo sottil, quelli un farsettoben tessuto vestìa, soavementelustro qual bacca di palladia fronda.Portano queste al crin belle ghirlande,quelli aurato trafiere al fianco appesoda cintola d'argento. Ed or leggieridanzano in tondo con maestri passi,come rapida ruota che sedutoal mobil torno il vasellier rivolve,

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or si spiegano in file. Numerosastava la turba a riguardar le bellecarole, e in cor godea. Finìan la danzatre saltator che in varii caracollirotavansi, intonando una canzona.Il gran fiume Oceàn l'orlo chiudeadell'ammirando scudo. A fin condottoquesto lavoro, una lorica ei feceche della fiamma lo splendor vincea;poi di raro artificio un saldo e vagoelmo alle tempie ben acconcio, e soprad'auro tessuta v'innestò la cresta.Fur l'ultima fatica i bei schinieridi pieghevole stagno. E terminatel'armi tutte, il gran fabbro alto levolle,e al piè di Teti le depose. Ed ella,co' bei doni del Dio, come sparvieroratta calossi dal nevoso Olimpo.

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or si spiegano in file. Numerosastava la turba a riguardar le bellecarole, e in cor godea. Finìan la danzatre saltator che in varii caracollirotavansi, intonando una canzona.Il gran fiume Oceàn l'orlo chiudeadell'ammirando scudo. A fin condottoquesto lavoro, una lorica ei feceche della fiamma lo splendor vincea;poi di raro artificio un saldo e vagoelmo alle tempie ben acconcio, e soprad'auro tessuta v'innestò la cresta.Fur l'ultima fatica i bei schinieridi pieghevole stagno. E terminatel'armi tutte, il gran fabbro alto levolle,e al piè di Teti le depose. Ed ella,co' bei doni del Dio, come sparvieroratta calossi dal nevoso Olimpo.

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Libro Decimonono

Uscìa del mar l'Aurora in croceo velo,alla terra ed al ciel nunzia di luce,e co' doni del Dio Teti giungea.Singhiozzante da canto al morto amicotrovò l'amato figlio a cui dintornoploravano i compagni. Apparve in mezzol'augusta Diva, e strettolo per mano,Figlio, disse, poiché piacque agli Deila sua morte, lasciam, benché dolenti,che questi qui si giaccia; e tu le bellearmi ti prendi di Vulcan, che maimortal non indossò. - Così dicendo,le depose al suo piè. Dier quelle un suonoche terror mise ai Mirmidóni: il guardonon le sostenne, e si fuggîr. Ma comele vide Achille, maggior surse l'ira,e sotto le palpèbre orrendamentegli occhi qual fiamma balenâr. Godeatrattarle, vagheggiarle; e dilettatodel mirando lavor, si volse, e disse:Madre, son degne del divino fabbroquest'armi, né può tanto arte terrena.Or le mi vesto; ma timor mi gravache nelle piaghe di Patròclo intanto

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Libro Decimonono

Uscìa del mar l'Aurora in croceo velo,alla terra ed al ciel nunzia di luce,e co' doni del Dio Teti giungea.Singhiozzante da canto al morto amicotrovò l'amato figlio a cui dintornoploravano i compagni. Apparve in mezzol'augusta Diva, e strettolo per mano,Figlio, disse, poiché piacque agli Deila sua morte, lasciam, benché dolenti,che questi qui si giaccia; e tu le bellearmi ti prendi di Vulcan, che maimortal non indossò. - Così dicendo,le depose al suo piè. Dier quelle un suonoche terror mise ai Mirmidóni: il guardonon le sostenne, e si fuggîr. Ma comele vide Achille, maggior surse l'ira,e sotto le palpèbre orrendamentegli occhi qual fiamma balenâr. Godeatrattarle, vagheggiarle; e dilettatodel mirando lavor, si volse, e disse:Madre, son degne del divino fabbroquest'armi, né può tanto arte terrena.Or le mi vesto; ma timor mi gravache nelle piaghe di Patròclo intanto

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vile insetto non entri, che di vermigenerator la salma (ahi! senza vita!)ne guasti sì che tutta imputridisca.Pensier di questo non ti prenda, o figlio,gli rispose la Dea: l'infesto sciamedivoratore de' guerrieri uccisiio ne terrò lontano. Ov'anco ei giacciaintero un anno, farò sì che il corpoincorrotto ne resti, e ancor più bello.Or tu raccogli in assemblea gli Achivi,e, placato all'Atride, àrmati rattoper la battaglia, e di valor ti cingi.Disse, e spirto audacissimo gl'infuse.Indi ambrosia all'estinto, e rubicondonèttare, a farlo d'ogni tabe illeso,nelle nari stillò. Lunghesso il lidol'orrenda voce intanto alza il Pelìde;né soli i prenci achei, ma tutte accorronole sparse schiere per le navi, e quantidi navi han cura, remator, pilotie vivandieri e dispensier, van tuttia parlamento, di veder bramosidopo un lungo cessar l'apparso Achille.Barcollanti v'andaro anche i due prodiDïomede ed Ulisse, per le gravipiaghe all'asta appoggiati, e ne' primieriseggi adagiârsi. Ultimo giunse il sommoAtride, in forte mischia ei pur dal telo

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vile insetto non entri, che di vermigenerator la salma (ahi! senza vita!)ne guasti sì che tutta imputridisca.Pensier di questo non ti prenda, o figlio,gli rispose la Dea: l'infesto sciamedivoratore de' guerrieri uccisiio ne terrò lontano. Ov'anco ei giacciaintero un anno, farò sì che il corpoincorrotto ne resti, e ancor più bello.Or tu raccogli in assemblea gli Achivi,e, placato all'Atride, àrmati rattoper la battaglia, e di valor ti cingi.Disse, e spirto audacissimo gl'infuse.Indi ambrosia all'estinto, e rubicondonèttare, a farlo d'ogni tabe illeso,nelle nari stillò. Lunghesso il lidol'orrenda voce intanto alza il Pelìde;né soli i prenci achei, ma tutte accorronole sparse schiere per le navi, e quantidi navi han cura, remator, pilotie vivandieri e dispensier, van tuttia parlamento, di veder bramosidopo un lungo cessar l'apparso Achille.Barcollanti v'andaro anche i due prodiDïomede ed Ulisse, per le gravipiaghe all'asta appoggiati, e ne' primieriseggi adagiârsi. Ultimo giunse il sommoAtride, in forte mischia ei pur dal telo

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di Coon Antenòride ferito.Tutti adunati, Achille surse e disse:Atride, a te del par che a me sarìameglio tornato che tra noi non fussemai surta la fatal lite che il coresì ne róse a cagion d'una fanciulla.Dovea Dïana saettarla il giornoch'io saccheggiai Lirnesso, e mia la feci,ché tanti non avrìan trafitti Achivi,mentre l'ira io covai, morso il terreno.Ettore e i Teucri ne gioîr, ma lungarimarrà tra gli Achei, credo, ed amarade' nostri piati la memoria. Or copraobblìo le andate cose, e il cor nel pettonecessità ne domi. Io qui depongol'ira, né giusto è ch'io la serbi eterna.Tu ridesta le schiere alla battaglia.Vedrò se i Teucri al mio venir vorrannopresso le navi pernottar. Di gambe,spero, fia lesto volentier chïunquepotrà sottrarsi in campo alla mia lancia.Disse: e gli Achivi giubilâr vedendoalfin placato il generoso Achille.Surse allora l'Atride, e dal suo seggio,senza avanzarsi, favellò: M'udite,eroi di Grecia, bellicosi amici,né turbate il mio dir, ché lo frastuonoanche il più sperto dicitor confonde.

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di Coon Antenòride ferito.Tutti adunati, Achille surse e disse:Atride, a te del par che a me sarìameglio tornato che tra noi non fussemai surta la fatal lite che il coresì ne róse a cagion d'una fanciulla.Dovea Dïana saettarla il giornoch'io saccheggiai Lirnesso, e mia la feci,ché tanti non avrìan trafitti Achivi,mentre l'ira io covai, morso il terreno.Ettore e i Teucri ne gioîr, ma lungarimarrà tra gli Achei, credo, ed amarade' nostri piati la memoria. Or copraobblìo le andate cose, e il cor nel pettonecessità ne domi. Io qui depongol'ira, né giusto è ch'io la serbi eterna.Tu ridesta le schiere alla battaglia.Vedrò se i Teucri al mio venir vorrannopresso le navi pernottar. Di gambe,spero, fia lesto volentier chïunquepotrà sottrarsi in campo alla mia lancia.Disse: e gli Achivi giubilâr vedendoalfin placato il generoso Achille.Surse allora l'Atride, e dal suo seggio,senza avanzarsi, favellò: M'udite,eroi di Grecia, bellicosi amici,né turbate il mio dir, ché lo frastuonoanche il più sperto dicitor confonde.

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E chi far mente, chi parlar potrebbein cotanto tumulto, ove la vocela più sonora verrìa meno? Io volgole parole ad Achille, e voi porgeteattento orecchio. Con rimprocci ed ontespesso gli Achivi m'accusâr d'un fallocui Giove e il Fato e la notturna Erinnicommisero, non io. Essi in consiglioquel dì la mente m'offuscâr, che il premioad Achille rapii. Che farmi? Un Diocosì dispose, la funesta a tuttiAte, tremenda del Saturnio figlia.Lieve ed alta dal suolo ella sul capode' mortali cammina, e lo perturba,e a ben altri pur nocque. Anche allo stessodegli uomini e de' numi arbitro Giovefu nocente costei quando ingannollol'augusta Giuno il dì che in Tebe Alcmenal'erculea forza partorir dovea.Detto ai Celesti avea Giove per vanto:Divi e Dive, ascoltate; io vo' del pettorivelarvi un segreto: oggi Ilitìacuratrice de' parti in luce un uomodel mio sangue trarrà, che su le tuttevicine genti stenderà lo scettro.Mentirai, né atterrai la tua parola,Giuno riprese meditando un frodo.Giura, o Giove, il gran giuro, che nel vero

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E chi far mente, chi parlar potrebbein cotanto tumulto, ove la vocela più sonora verrìa meno? Io volgole parole ad Achille, e voi porgeteattento orecchio. Con rimprocci ed ontespesso gli Achivi m'accusâr d'un fallocui Giove e il Fato e la notturna Erinnicommisero, non io. Essi in consiglioquel dì la mente m'offuscâr, che il premioad Achille rapii. Che farmi? Un Diocosì dispose, la funesta a tuttiAte, tremenda del Saturnio figlia.Lieve ed alta dal suolo ella sul capode' mortali cammina, e lo perturba,e a ben altri pur nocque. Anche allo stessodegli uomini e de' numi arbitro Giovefu nocente costei quando ingannollol'augusta Giuno il dì che in Tebe Alcmenal'erculea forza partorir dovea.Detto ai Celesti avea Giove per vanto:Divi e Dive, ascoltate; io vo' del pettorivelarvi un segreto: oggi Ilitìacuratrice de' parti in luce un uomodel mio sangue trarrà, che su le tuttevicine genti stenderà lo scettro.Mentirai, né atterrai la tua parola,Giuno riprese meditando un frodo.Giura, o Giove, il gran giuro, che nel vero

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fia de' vicini regnator l'uom ch'oggidi tua stirpe cadrà fra le ginocchiad'una madre mortal. Giurollo il numesenza sospetto, e ne fu poi pentito.Ché Giuno dal ciel ratta in Argo scesadel Perseìde Stènelo all'illustremoglie sen venne. Avea grav'ella il senod'un caro figlio settimestre. A questo,benché immaturo, accelerò la luceGiuno, e d'Alcmena prolungando il parto,ne represse le doglie. Indi a narrarnecorse al Saturnio la novella, e disse:Giove, t'annunzio che mo' nacque un prodeche in Argo impererà, lo Stenelìde,tua progenie, Euristèo d'Argo re degno.D'alto dolor ferito infurïossiGiove, e tosto ai capelli Ate afferrandoper lo Stige giurò che questa a tuttifuria dannosa non avrìa più mairiveduto l'Olimpo. E sì dicendo,la rotò colla destra, e fra' mortalidagli astri la scagliò. Per la costeicolpa veggendo di travagli oppressoil diletto figliuol sotto Euristèoadiravasi Giove. E a me pur anco,quando alle navi Ettòr struggea gli Achivi,lacerava il pensier la rimembranzadi questa Diva che mi tolse il senno.

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fia de' vicini regnator l'uom ch'oggidi tua stirpe cadrà fra le ginocchiad'una madre mortal. Giurollo il numesenza sospetto, e ne fu poi pentito.Ché Giuno dal ciel ratta in Argo scesadel Perseìde Stènelo all'illustremoglie sen venne. Avea grav'ella il senod'un caro figlio settimestre. A questo,benché immaturo, accelerò la luceGiuno, e d'Alcmena prolungando il parto,ne represse le doglie. Indi a narrarnecorse al Saturnio la novella, e disse:Giove, t'annunzio che mo' nacque un prodeche in Argo impererà, lo Stenelìde,tua progenie, Euristèo d'Argo re degno.D'alto dolor ferito infurïossiGiove, e tosto ai capelli Ate afferrandoper lo Stige giurò che questa a tuttifuria dannosa non avrìa più mairiveduto l'Olimpo. E sì dicendo,la rotò colla destra, e fra' mortalidagli astri la scagliò. Per la costeicolpa veggendo di travagli oppressoil diletto figliuol sotto Euristèoadiravasi Giove. E a me pur anco,quando alle navi Ettòr struggea gli Achivi,lacerava il pensier la rimembranzadi questa Diva che mi tolse il senno.

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Ma poiché Giove il volle, io vo' del parifarne l'emenda con immensi doni.Sorgi Achille alla pugna, e gli altri accendi.Tutto, che ieri nella tenda Ulisseti promise, io darotti: e se t'aggrada,l'ardor sospendi che a pugnar ti sprona,e dal mio legno farò tosto i donirecar, che visti placheranti il core.Duce de' prodi glorïoso Atride,rispose Achille, il dar que' doni a normadi tua giustizia o ritenerli, è tuttonel tuo poter. Ma tempo non è questoda parole: sia d'armi ogni pensiero,né più s'indugi, ché il da farsi è assai.Uop'è che Achille in campo rieda e sperdale troiane falangi, e ch'altri il vegga,e l'esempio n'imiti. - Illustre Achille,soggiunse allor l'accorto Ulisse, è grandeil tuo valor; ma non menar digiunicontro i Teucri gli Achei. Venuti al cozzouna volta gli eserciti, e infiammatiquinci e quindi da un Dio, non fia sì brevel'aspro certame. Nelle navi adunquecomanda che di cibo e di bevanda,fonte di forza, si ristaurin tutti,ché digiuno soldato un giorno interofino al tramonto non sostiene la pugna.Sete, fame, fatica a poco a poco

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Ma poiché Giove il volle, io vo' del parifarne l'emenda con immensi doni.Sorgi Achille alla pugna, e gli altri accendi.Tutto, che ieri nella tenda Ulisseti promise, io darotti: e se t'aggrada,l'ardor sospendi che a pugnar ti sprona,e dal mio legno farò tosto i donirecar, che visti placheranti il core.Duce de' prodi glorïoso Atride,rispose Achille, il dar que' doni a normadi tua giustizia o ritenerli, è tuttonel tuo poter. Ma tempo non è questoda parole: sia d'armi ogni pensiero,né più s'indugi, ché il da farsi è assai.Uop'è che Achille in campo rieda e sperdale troiane falangi, e ch'altri il vegga,e l'esempio n'imiti. - Illustre Achille,soggiunse allor l'accorto Ulisse, è grandeil tuo valor; ma non menar digiunicontro i Teucri gli Achei. Venuti al cozzouna volta gli eserciti, e infiammatiquinci e quindi da un Dio, non fia sì brevel'aspro certame. Nelle navi adunquecomanda che di cibo e di bevanda,fonte di forza, si ristaurin tutti,ché digiuno soldato un giorno interofino al tramonto non sostiene la pugna.Sete, fame, fatica a poco a poco

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dòman anco i più forti, e dispossatocasca il ginocchio. Ma guerrier, cui freschetornò le forze il cibo, il giorno tuttointrepido combatte, e sua stanchezzasol col finirsi del conflitto ei sente.Dunque il campo congeda, e fa che prontemense imbandisca. Agamennón frattantoqua rechi i doni, onde ogni Acheo li vegga,e il tuo cor ne gioisca. Indi nel mezzodel parlamento il re si levi, e giuriche mai non giacque colla tua fanciulla;e questo giuro il cor ti plachi. Ei poscia,perché nulla si fraudi al tuo diritto,di lauto desco nella propria tendati presenti e t'onori. E tu più giustomóstrati, Atride, in avvenir, ché belloregal atto è il placar, qual sia, l'offeso.A questo il sire Agamennón: M'è grato,Ulisse, il saggio e acconciamente espressotuo ragionar. Io giurerò dall'imocuor, né dinanzi al Dio sarò spergiuro.Ma tempri Achille del pugnar la fogasino che giunga il donativo; e il sanguedella vittima fermi il giuramento,qui presenti voi tutti. Or tu medesmovanne, Ulisse, e trascelto, io tel comando,de' primi achivi giovinetti il fiore,reca i doni promessi e le donzelle;

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dòman anco i più forti, e dispossatocasca il ginocchio. Ma guerrier, cui freschetornò le forze il cibo, il giorno tuttointrepido combatte, e sua stanchezzasol col finirsi del conflitto ei sente.Dunque il campo congeda, e fa che prontemense imbandisca. Agamennón frattantoqua rechi i doni, onde ogni Acheo li vegga,e il tuo cor ne gioisca. Indi nel mezzodel parlamento il re si levi, e giuriche mai non giacque colla tua fanciulla;e questo giuro il cor ti plachi. Ei poscia,perché nulla si fraudi al tuo diritto,di lauto desco nella propria tendati presenti e t'onori. E tu più giustomóstrati, Atride, in avvenir, ché belloregal atto è il placar, qual sia, l'offeso.A questo il sire Agamennón: M'è grato,Ulisse, il saggio e acconciamente espressotuo ragionar. Io giurerò dall'imocuor, né dinanzi al Dio sarò spergiuro.Ma tempri Achille del pugnar la fogasino che giunga il donativo; e il sanguedella vittima fermi il giuramento,qui presenti voi tutti. Or tu medesmovanne, Ulisse, e trascelto, io tel comando,de' primi achivi giovinetti il fiore,reca i doni promessi e le donzelle;

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e Taltìbio mi cerchi e m'apparecchiun cinghial da svenarsi a Giove e al Sole.Inclito Atride, gli rispose Achille,serbar si denno queste cose al tempoche dall'armi avrem posa, e che non tantosdegno m'infiammi. Giacciono squarciatinella polve gli eroi che spense Ettorrefavorito da Giove, e voi ne fateressa di cibo? Io, qual si trova, all'armisenza ritardo il campo esorterei,e vendicato l'onor nostro, allegrecene abbondanti appresterei la sera.Non verrà cibo al labbro mio né beva,s'ulto pria non vedrò l'estinto amico.D'acuto acciar trafitto egli mi giacenella tenda co' piè volti all'uscita,e gli fan cerchio i suoi compagni in pianto.Non altro è dunque il mio pensier che stragee sangue, e il cupo di chi muor sospiro.E Ulisse a lui: Fortissimo Pelìde,tu nell'asta me vinci, io te nel senno,perché pria nacqui, e più imparai. Fa dunquedi quetarti al mio detto. Umano corepresto si sazia di conflitti in cuimolto miete l'acciar, poco raccoglieil mietitor, se Giove, arbitro sommodi nostre guerre, le bilance inclina.Pianger col ventre non si dee gli estinti;

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e Taltìbio mi cerchi e m'apparecchiun cinghial da svenarsi a Giove e al Sole.Inclito Atride, gli rispose Achille,serbar si denno queste cose al tempoche dall'armi avrem posa, e che non tantosdegno m'infiammi. Giacciono squarciatinella polve gli eroi che spense Ettorrefavorito da Giove, e voi ne fateressa di cibo? Io, qual si trova, all'armisenza ritardo il campo esorterei,e vendicato l'onor nostro, allegrecene abbondanti appresterei la sera.Non verrà cibo al labbro mio né beva,s'ulto pria non vedrò l'estinto amico.D'acuto acciar trafitto egli mi giacenella tenda co' piè volti all'uscita,e gli fan cerchio i suoi compagni in pianto.Non altro è dunque il mio pensier che stragee sangue, e il cupo di chi muor sospiro.E Ulisse a lui: Fortissimo Pelìde,tu nell'asta me vinci, io te nel senno,perché pria nacqui, e più imparai. Fa dunquedi quetarti al mio detto. Umano corepresto si sazia di conflitti in cuimolto miete l'acciar, poco raccoglieil mietitor, se Giove, arbitro sommodi nostre guerre, le bilance inclina.Pianger col ventre non si dee gli estinti;

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e qual respiro il pianto avrìa se millefa caderne la Parca ogni momento?Intero un sole al lagrimar si doni,poi con coraggio, chi morì s'intombi:e noi che vivi della mischia uscimmoconfortiamci di cibo, onde più fierid'invitto ferro ricoperti il pettoalla pugna tornar, senza che siamestier novello incitamento. E guaia chi terrassi su le navi inerte,mentre gli altri animosi ad acre assaltocontra i Teucri dal vallo irromperanno!Disse, e compagni i due figliuoi si presedi Nestore, e Toante e Merïonee il Filìde Megète e Melanippoe Licomede di Creonte. Andarod'Atride al padiglion, presti il comandon'adempiro, e arrecâr le già promessecose; sette treppiè, venti lebèti,dodici corridori; indi prestantid'ingegno e di beltà sette captive.La figlia di Brisèo, guancia rosata,ottava ne venìa. Li precedeacon dieci di buon peso aurei talentiUlisse, e lo seguìan con gli altri donigli altri giovani achei. Deposto il tuttonell'assemblea, levossi Agamennóne;e Taltìbio di voce a un Dio simìle

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e qual respiro il pianto avrìa se millefa caderne la Parca ogni momento?Intero un sole al lagrimar si doni,poi con coraggio, chi morì s'intombi:e noi che vivi della mischia uscimmoconfortiamci di cibo, onde più fierid'invitto ferro ricoperti il pettoalla pugna tornar, senza che siamestier novello incitamento. E guaia chi terrassi su le navi inerte,mentre gli altri animosi ad acre assaltocontra i Teucri dal vallo irromperanno!Disse, e compagni i due figliuoi si presedi Nestore, e Toante e Merïonee il Filìde Megète e Melanippoe Licomede di Creonte. Andarod'Atride al padiglion, presti il comandon'adempiro, e arrecâr le già promessecose; sette treppiè, venti lebèti,dodici corridori; indi prestantid'ingegno e di beltà sette captive.La figlia di Brisèo, guancia rosata,ottava ne venìa. Li precedeacon dieci di buon peso aurei talentiUlisse, e lo seguìan con gli altri donigli altri giovani achei. Deposto il tuttonell'assemblea, levossi Agamennóne;e Taltìbio di voce a un Dio simìle

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irto cinghial gli appresentò. Fuor trasseil sospeso del brando alla vaginatrafier l'Atride, e della belva i primipeli recisi, alzò le palme, e a Giovepregò. Sedeansi tutti in riverentegiusto silenzio per udirlo; ed egliguardando al cielo e supplicando disse:Il sommo ottimo Iddio, la Terra, il Sole,e l'Erinni laggiù gastigatricidegli spergiuri, testimon mi sienoche per desìo lascivo unqua io non posisopra la figlia di Brisèo le mani,e che la tenni nelle tende intatta.Mi mandino, s'io mento, ogni castigoserbato al falso giurator gli Dei.Disse, e l'ostia scannò; poscia ne' vastigorghi marini la scagliò l'araldo,pasto de' pesci. Allor rizzossi Achillee sclamò: Giove padre, oh di che dannitu ne gravi! Non mai m'avrìa l'Atridemosso all'ira, né mai per farmi oltraggiorapita a mio mal grado egli la schiava:ma tu il volesti, Iddio, tu che di tantiAchei la morte decretavi. Or voiitene al cibo, e all'armi indi si voli.Disse, e sciolto il consesso, alla sua navesi disperse ciascun. Ma co' presentii Mirmidóni s'avvïâr d'Achille

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irto cinghial gli appresentò. Fuor trasseil sospeso del brando alla vaginatrafier l'Atride, e della belva i primipeli recisi, alzò le palme, e a Giovepregò. Sedeansi tutti in riverentegiusto silenzio per udirlo; ed egliguardando al cielo e supplicando disse:Il sommo ottimo Iddio, la Terra, il Sole,e l'Erinni laggiù gastigatricidegli spergiuri, testimon mi sienoche per desìo lascivo unqua io non posisopra la figlia di Brisèo le mani,e che la tenni nelle tende intatta.Mi mandino, s'io mento, ogni castigoserbato al falso giurator gli Dei.Disse, e l'ostia scannò; poscia ne' vastigorghi marini la scagliò l'araldo,pasto de' pesci. Allor rizzossi Achillee sclamò: Giove padre, oh di che dannitu ne gravi! Non mai m'avrìa l'Atridemosso all'ira, né mai per farmi oltraggiorapita a mio mal grado egli la schiava:ma tu il volesti, Iddio, tu che di tantiAchei la morte decretavi. Or voiitene al cibo, e all'armi indi si voli.Disse, e sciolto il consesso, alla sua navesi disperse ciascun. Ma co' presentii Mirmidóni s'avvïâr d'Achille

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verso le tende, e li posâr, schierandosu bei seggi le donne; e nell'armentofur dai sergenti i corridor sospinti.Di beltà simigliante all'aurea Venerecome vide Brisëide del mortoPàtroclo le ferite, abbandonossisull'estinto, e ululava e colle manilaceravasi il petto e il delicatocollo e il bel viso, e sì dicea plorando:Oh mio Patròclo! oh caro e dolce amicod'una meschina! Io ti lasciai qui vivopartendo; e ahi quale al mio tornar ti trovo!Ahi come viemmi un mal su l'altro! Vidil'uomo a cui diermi i genitor, trafittodinanzi alla città, vidi d'acerbamorte rapiti tre fratei diletti;e quando Achille il mio consorte uccisee di Minete la città distrusse,tu mi vietavi il piangere, e d'Achillefarmi sposa dicevi, e a Ftia condurmitu stesso, e m'apprestar fra' Mirmidóniil nuzïal banchetto. Avrai tu dunque,o sempre mite eroe, sempre il mio pianto.Così piange: piangean l'altre donzellePàtroclo in vista, e il proprio danno in core.Stretti intanto ad Achille i senïorilo confortano al cibo, ed egli il niegagemebondo: Se restami un amico

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verso le tende, e li posâr, schierandosu bei seggi le donne; e nell'armentofur dai sergenti i corridor sospinti.Di beltà simigliante all'aurea Venerecome vide Brisëide del mortoPàtroclo le ferite, abbandonossisull'estinto, e ululava e colle manilaceravasi il petto e il delicatocollo e il bel viso, e sì dicea plorando:Oh mio Patròclo! oh caro e dolce amicod'una meschina! Io ti lasciai qui vivopartendo; e ahi quale al mio tornar ti trovo!Ahi come viemmi un mal su l'altro! Vidil'uomo a cui diermi i genitor, trafittodinanzi alla città, vidi d'acerbamorte rapiti tre fratei diletti;e quando Achille il mio consorte uccisee di Minete la città distrusse,tu mi vietavi il piangere, e d'Achillefarmi sposa dicevi, e a Ftia condurmitu stesso, e m'apprestar fra' Mirmidóniil nuzïal banchetto. Avrai tu dunque,o sempre mite eroe, sempre il mio pianto.Così piange: piangean l'altre donzellePàtroclo in vista, e il proprio danno in core.Stretti intanto ad Achille i senïorilo confortano al cibo, ed egli il niegagemebondo: Se restami un amico

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che mi compiaccia, non m'esorti, il prego,a toccar cibo in tanto duol: vo' starmifino a sera, e potrollo, in questo stato.Tutti, ciò detto, accomiatò, ma secorestâr gli Atridi e Nestore ed Ulissee il re cretese e il buon Fenice, intentia stornarne il dolor: ma il cor sta chiusoad ogni dolce finché l'apra il gridodella battaglia sanguinosa. Or tuttocol pensier nell'amico alto sospirae prorompe così: Caro infelice!Tu pur ne' giorni di feral conflittodegli Achivi co' Troi m'apparecchiavicon presta cura nelle tende il cibo.Or tu giaci, e digiuno io qui mi struggodel desìo di te sol; né più cordogliomi graverìa se morto il padre udissi(misero! ei forse or per me piange in Ftia,per me fatto campione in stranio lidodell'abborrita Argiva), o morto il miodi divina beltà figlio diletto,che a me si edùca, se pur vive, in Sciro.Ahi! mi sperava di morir qui solo;sperava che tu salvo a Ftia tornandosu presta nave, un dì da Sciro avrestiteco addutto il mio Pirro, e mostri a luii miei campi, i miei servi e l'alta reggia;perocché temo che Pelèo pur troppo

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che mi compiaccia, non m'esorti, il prego,a toccar cibo in tanto duol: vo' starmifino a sera, e potrollo, in questo stato.Tutti, ciò detto, accomiatò, ma secorestâr gli Atridi e Nestore ed Ulissee il re cretese e il buon Fenice, intentia stornarne il dolor: ma il cor sta chiusoad ogni dolce finché l'apra il gridodella battaglia sanguinosa. Or tuttocol pensier nell'amico alto sospirae prorompe così: Caro infelice!Tu pur ne' giorni di feral conflittodegli Achivi co' Troi m'apparecchiavicon presta cura nelle tende il cibo.Or tu giaci, e digiuno io qui mi struggodel desìo di te sol; né più cordogliomi graverìa se morto il padre udissi(misero! ei forse or per me piange in Ftia,per me fatto campione in stranio lidodell'abborrita Argiva), o morto il miodi divina beltà figlio diletto,che a me si edùca, se pur vive, in Sciro.Ahi! mi sperava di morir qui solo;sperava che tu salvo a Ftia tornandosu presta nave, un dì da Sciro avrestiteco addutto il mio Pirro, e mostri a luii miei campi, i miei servi e l'alta reggia;perocché temo che Pelèo pur troppo

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o più non viva, o di dolor sol viva,aspettando ogni dì veglio cadentel'amaro annunzio della morte mia.Così geme: gemean gli astanti eroiricordando ciascun gli abbandonatisuoi cari pegni. Di quel pianto Gioveimpietosito, a Pallade si volseimmantinente, e sì le disse: O figlia,perché lasci l'uom prode in abbandono?Pensier d'Achille non hai più? Nol vedilà seduto alle navi e lagrimosopel caro amico? Andâr già tutti al desco;ei sol ricusa ogni ristor. Va dunque,e dolce ambrosia e nèttare nel petto,onde non caggia di languor, gl'instilla.Sprone aggiunse quel cenno alla già prontaMinerva che d'un salto, con la fogadelle vaste ali di stridente nibbio,calò dal cielo, e nèttare ed ambrosiastillò d'Achille in petto, onde le forzeil suo fiero digiun non gli togliesse;indi agli eterni del potente padresoggiorni rivolò. Gli Achivi intantotutti in procinto dalle navi a tormeversavansi nel campo; e a quella guisache fioccano dal ciel, spinte dal soffioserenatore d'aquilon, le nevi,così dai legni uscir densi allor vedi

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o più non viva, o di dolor sol viva,aspettando ogni dì veglio cadentel'amaro annunzio della morte mia.Così geme: gemean gli astanti eroiricordando ciascun gli abbandonatisuoi cari pegni. Di quel pianto Gioveimpietosito, a Pallade si volseimmantinente, e sì le disse: O figlia,perché lasci l'uom prode in abbandono?Pensier d'Achille non hai più? Nol vedilà seduto alle navi e lagrimosopel caro amico? Andâr già tutti al desco;ei sol ricusa ogni ristor. Va dunque,e dolce ambrosia e nèttare nel petto,onde non caggia di languor, gl'instilla.Sprone aggiunse quel cenno alla già prontaMinerva che d'un salto, con la fogadelle vaste ali di stridente nibbio,calò dal cielo, e nèttare ed ambrosiastillò d'Achille in petto, onde le forzeil suo fiero digiun non gli togliesse;indi agli eterni del potente padresoggiorni rivolò. Gli Achivi intantotutti in procinto dalle navi a tormeversavansi nel campo; e a quella guisache fioccano dal ciel, spinte dal soffioserenatore d'aquilon, le nevi,così dai legni uscir densi allor vedi

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i lucid'elmi, i vasti scudi, e i forticoncavi usberghi e le frassinee lance.Folgora ai lampi dell'acciaro il cieloe ne brilla il terren, che al calpestìodelle squadre rimbomba. In mezzo a questearmasi Achille. Gli strideano i denti,gli occhi eran fiamme, di dolore e d'irarompeasi il petto; e tale egli dell'armivulcanie si vestìa. Strinse alle gambei bei stinieri con argentee fibbie,pose al petto l'usbergo, e di lucentichiovi fregiato agli omeri sospeseil forte brando; s'imbracciò lo scudo,che immenso e saldo di lontan splendeacome luna, o qual foco ai navigantisovr'alta apparso solitaria cima,quando lontani da' lor cari il ventoli travaglia nel mar: tale dal belloe vario scudo dell'eroe salivaall'etra lo splendor. Stella pareasu la fronte il grand'elmo irto d'equinechiome, e fusa sul cono tremolaval'aurea cresta. In quest'armi il divo Achilletenta se stesso, e vi si vibra, e provase gli son atte; e gli erano qual piumach'alto il solleva. Alfin dal suo riservocavò l'immensa e salda asta paterna,cui nullo Achivo palleggiar potea

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i lucid'elmi, i vasti scudi, e i forticoncavi usberghi e le frassinee lance.Folgora ai lampi dell'acciaro il cieloe ne brilla il terren, che al calpestìodelle squadre rimbomba. In mezzo a questearmasi Achille. Gli strideano i denti,gli occhi eran fiamme, di dolore e d'irarompeasi il petto; e tale egli dell'armivulcanie si vestìa. Strinse alle gambei bei stinieri con argentee fibbie,pose al petto l'usbergo, e di lucentichiovi fregiato agli omeri sospeseil forte brando; s'imbracciò lo scudo,che immenso e saldo di lontan splendeacome luna, o qual foco ai navigantisovr'alta apparso solitaria cima,quando lontani da' lor cari il ventoli travaglia nel mar: tale dal belloe vario scudo dell'eroe salivaall'etra lo splendor. Stella pareasu la fronte il grand'elmo irto d'equinechiome, e fusa sul cono tremolaval'aurea cresta. In quest'armi il divo Achilletenta se stesso, e vi si vibra, e provase gli son atte; e gli erano qual piumach'alto il solleva. Alfin dal suo riservocavò l'immensa e salda asta paterna,cui nullo Achivo palleggiar potea

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tranne il Pelìde, frassino d'eroisterminatore, da Chiron recisosu le pelìache vette, e dato al padre.Alcìmo intanto e Automedonte aggioganodi belle barde adorni e di bei frenii cavalli: e allungate ai saldi anellile guide, e tolta nella man la sferza,salta sul cocchio Automedón. Vi montadopo, raggiante come Sole, Achilletutto presto alla pugna, e con tremendavoce ai paterni corridor sì grida:Xanto e Bàlio a Podarge incliti figli,sia vostra cura in salvo ricondurresazio di stragi il signor vostro; e mortonol lasciate colà come Patròclo.Chinò la testa l'immortal corsieroXanto: diffusa per lo giogo andavafino a terra la chioma, ed ei da Giunofatto parlante udir fe' questi accenti:Achille, in salvo questa volta ancorati trarremo noi, sì; ma ti sovrastal'ultim'ora, né fia nostra la colpa,ma di Giove e del Fato. Se dell'armispogliâr Patroclo i Troi, non accusarnenostra pigrizia e tardità, ma il fortedi Latona figliuolo. Ei nella primafronte l'uccise, e dienne a Ettòr la palma.Noi Zefiro sfidiamo, il più veloce

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tranne il Pelìde, frassino d'eroisterminatore, da Chiron recisosu le pelìache vette, e dato al padre.Alcìmo intanto e Automedonte aggioganodi belle barde adorni e di bei frenii cavalli: e allungate ai saldi anellile guide, e tolta nella man la sferza,salta sul cocchio Automedón. Vi montadopo, raggiante come Sole, Achilletutto presto alla pugna, e con tremendavoce ai paterni corridor sì grida:Xanto e Bàlio a Podarge incliti figli,sia vostra cura in salvo ricondurresazio di stragi il signor vostro; e mortonol lasciate colà come Patròclo.Chinò la testa l'immortal corsieroXanto: diffusa per lo giogo andavafino a terra la chioma, ed ei da Giunofatto parlante udir fe' questi accenti:Achille, in salvo questa volta ancorati trarremo noi, sì; ma ti sovrastal'ultim'ora, né fia nostra la colpa,ma di Giove e del Fato. Se dell'armispogliâr Patroclo i Troi, non accusarnenostra pigrizia e tardità, ma il fortedi Latona figliuolo. Ei nella primafronte l'uccise, e dienne a Ettòr la palma.Noi Zefiro sfidiamo, il più veloce

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de' venti, al corso; ma nel Fato è scrittoche un Dio te domi ed un mortal... Troncarol'Erinni i detti. E a lui l'irato Achille:Xanto, a che morte mi predir? Non toccaquesto a te. Qui cader deggio lontano,lo so, dai cari genitor; ma priatrarrò tutta di guerre a' Troi la voglia.Disse, e gridando i corridor sospinse.

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de' venti, al corso; ma nel Fato è scrittoche un Dio te domi ed un mortal... Troncarol'Erinni i detti. E a lui l'irato Achille:Xanto, a che morte mi predir? Non toccaquesto a te. Qui cader deggio lontano,lo so, dai cari genitor; ma priatrarrò tutta di guerre a' Troi la voglia.Disse, e gridando i corridor sospinse.

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Libro Ventesimo

Così dintorno a te, marzio Pelìde,gli Achei metteansi in punto appo le navi,e i Troi del campo sul rïalto. A TemiGiove allor comandò che dalle molteeminenze d'Olimpo a parlamentoconvocasse gli Dei. Volò la Divad'ogni parte, e chiamolli alla stellatamagion di Giove. Accorser tutti, e, tranneil canuto Oceàn, nullo de' Fiuminé delle Ninfe vi mancò, de' boschie de' prati e de' fonti abitatrici.Giunti del grande adunator de' nembialle stanze, si assisero su tersitroni che a Giove con solerte curaVulcano fabbricò. Prese ciascunocheto il suo posto; ma dal mar venutoobbedïente ei pure il re Nettunno,tra i maggiori sedendosi, la mentedi Giove interrogò con questi accenti:Perché di nuovo, fulminante Iddio,chiami i numi a consiglio? Alfin decisade' Troiani vuoi forse e degli Acheipronti a zuffa mortal l'ultima sorte?Ben vedesti, o Nettunno, il mio pensiero,

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Libro Ventesimo

Così dintorno a te, marzio Pelìde,gli Achei metteansi in punto appo le navi,e i Troi del campo sul rïalto. A TemiGiove allor comandò che dalle molteeminenze d'Olimpo a parlamentoconvocasse gli Dei. Volò la Divad'ogni parte, e chiamolli alla stellatamagion di Giove. Accorser tutti, e, tranneil canuto Oceàn, nullo de' Fiuminé delle Ninfe vi mancò, de' boschie de' prati e de' fonti abitatrici.Giunti del grande adunator de' nembialle stanze, si assisero su tersitroni che a Giove con solerte curaVulcano fabbricò. Prese ciascunocheto il suo posto; ma dal mar venutoobbedïente ei pure il re Nettunno,tra i maggiori sedendosi, la mentedi Giove interrogò con questi accenti:Perché di nuovo, fulminante Iddio,chiami i numi a consiglio? Alfin decisade' Troiani vuoi forse e degli Acheipronti a zuffa mortal l'ultima sorte?Ben vedesti, o Nettunno, il mio pensiero,

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Giove rispose; del chiamarvi è questala cagion: benché presso al fato estremoe gli uni e gli altri in cor mi stanno. Assisosu le cime d'Olimpo io qui mi restol'ire mortali a contemplar tranquillo.Voi sul campo scendete, e a cui v'aggradade' Teucri e degli Achei recate aita.Se pugna Achille ei sol, nol sosterrannonè pur tampoco i Teucri, essi che ierisolo al vederlo ne tremaro. Ed oggi,che d'ira egli arde per l'amico, io temonon anzi il dì fatal Troia rovini.Disse, e di guerra un fier desire accesede' Celesti nel cor, che in due divisinel campo si calâr: verso le naviGiuno e Palla Minerva e coll'accortoutil Mercurio s'avvïò Nettunno.Li seguìa zoppicando, e truci intornogli occhi volgendo di sua forza alteroVulcano, ed il sottil stinco di sottogli barcollava. Alla troiana parten'andâr dell'elmo il crollator Gradivo,l'intonso Febo colla madre e l'almacacciatrice sorella e Xanto e VenereDea del riso. Finché dalle mortaliturbe i numi fur lungi, orgoglio e festamenavano gli Achei, perché comparsodopo lungo riposo era il Pelìde,

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Giove rispose; del chiamarvi è questala cagion: benché presso al fato estremoe gli uni e gli altri in cor mi stanno. Assisosu le cime d'Olimpo io qui mi restol'ire mortali a contemplar tranquillo.Voi sul campo scendete, e a cui v'aggradade' Teucri e degli Achei recate aita.Se pugna Achille ei sol, nol sosterrannonè pur tampoco i Teucri, essi che ierisolo al vederlo ne tremaro. Ed oggi,che d'ira egli arde per l'amico, io temonon anzi il dì fatal Troia rovini.Disse, e di guerra un fier desire accesede' Celesti nel cor, che in due divisinel campo si calâr: verso le naviGiuno e Palla Minerva e coll'accortoutil Mercurio s'avvïò Nettunno.Li seguìa zoppicando, e truci intornogli occhi volgendo di sua forza alteroVulcano, ed il sottil stinco di sottogli barcollava. Alla troiana parten'andâr dell'elmo il crollator Gradivo,l'intonso Febo colla madre e l'almacacciatrice sorella e Xanto e VenereDea del riso. Finché dalle mortaliturbe i numi fur lungi, orgoglio e festamenavano gli Achei, perché comparsodopo lungo riposo era il Pelìde,

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e corse ai Teucri un freddo orror per l'ossavisto nell'armi lampeggiar, sembianteal Dio tremendo delle stragi, Achille.Ma quando le celesti alle terrenearmi fur miste, una ineffabil sursedi genti agitatrici aspra contesa.Terribile Minerva, or sull'estremofosso volando ed or sul rauco lido,da questa parte orribilmente grida:grida Marte dall'altra a tenebrosoturbin simìle, ed or dall'ardue cimedelle dardanie torri, ed or sul poggiodi Colone lunghesso il Simoentacorrendo, infiamma a tutta voce i Teucri.Così l'un campo e l'altro inanimandogli Dei beati gli azzuffâr, commistiin conflitto crudel. Dall'alto allorade' mortali e de' numi orrendamenteil gran padre tuonò: scosse di sottol'ampia terra e de' monti le superbecime Nettunno. Traballâr dell'Idale falde tutte e i gioghi e le troianerocche, e le navi degli Achei. TremonnePluto il re de' sepolti e spaventatodiè un alto grido e si gittò dal trono,temendo non gli squarci la terrenavolta sul capo il crollator Nettunno,ed intromessa colaggiù la luce

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e corse ai Teucri un freddo orror per l'ossavisto nell'armi lampeggiar, sembianteal Dio tremendo delle stragi, Achille.Ma quando le celesti alle terrenearmi fur miste, una ineffabil sursedi genti agitatrici aspra contesa.Terribile Minerva, or sull'estremofosso volando ed or sul rauco lido,da questa parte orribilmente grida:grida Marte dall'altra a tenebrosoturbin simìle, ed or dall'ardue cimedelle dardanie torri, ed or sul poggiodi Colone lunghesso il Simoentacorrendo, infiamma a tutta voce i Teucri.Così l'un campo e l'altro inanimandogli Dei beati gli azzuffâr, commistiin conflitto crudel. Dall'alto allorade' mortali e de' numi orrendamenteil gran padre tuonò: scosse di sottol'ampia terra e de' monti le superbecime Nettunno. Traballâr dell'Idale falde tutte e i gioghi e le troianerocche, e le navi degli Achei. TremonnePluto il re de' sepolti e spaventatodiè un alto grido e si gittò dal trono,temendo non gli squarci la terrenavolta sul capo il crollator Nettunno,ed intromessa colaggiù la luce

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agli Dei non discopra ed ai mortalile sue squallide bolge, al guardo orrendeanco del ciel; cotanto era il fragoreche dal conflitto de' Celesti uscìa.Contra Nettunno il re dell'arco Apollo,contra Marte Minerva, e contra Giunosta delle cacce e degli strali amantela sorella di Febo alma Dïana:contra il dator de' lucri e servatoredi ricchezze Mercurio era Latona,contra Vulcano il vorticoso fiumedai mortali Scamandro e dagli DeiXanto nomato. E questo era di numicontro numi il certame e l'ordinanza.Ma di scagliarsi fra le turbe in cercadel Priàmide Ettorre arde il Pelìde,ché innanzi a tutto gli comanda il coredi far la rabbia marzïal satolladi quel sangue abborrito. Allor destandole guerriere faville Apollo spinsecontro il tessalo eroe d'Anchise il figlio,e presa la favella e la sembianzadel Prïameio Licaon gl'infuseardimento e valor con questi accenti:Illustre duce Enea dove n'andarole fatte tra le tazze alte promesseal re de' Teucri, che pur solo avresticontro il Pelìde Achille combattuto?

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agli Dei non discopra ed ai mortalile sue squallide bolge, al guardo orrendeanco del ciel; cotanto era il fragoreche dal conflitto de' Celesti uscìa.Contra Nettunno il re dell'arco Apollo,contra Marte Minerva, e contra Giunosta delle cacce e degli strali amantela sorella di Febo alma Dïana:contra il dator de' lucri e servatoredi ricchezze Mercurio era Latona,contra Vulcano il vorticoso fiumedai mortali Scamandro e dagli DeiXanto nomato. E questo era di numicontro numi il certame e l'ordinanza.Ma di scagliarsi fra le turbe in cercadel Priàmide Ettorre arde il Pelìde,ché innanzi a tutto gli comanda il coredi far la rabbia marzïal satolladi quel sangue abborrito. Allor destandole guerriere faville Apollo spinsecontro il tessalo eroe d'Anchise il figlio,e presa la favella e la sembianzadel Prïameio Licaon gl'infuseardimento e valor con questi accenti:Illustre duce Enea dove n'andarole fatte tra le tazze alte promesseal re de' Teucri, che pur solo avresticontro il Pelìde Achille combattuto?

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Prïamìde, e perché, contro mia voglia,Enea rispose, ad affrontar mi sproniquell'invitto guerrier? Gli stetti a frontepur altra volta, ed altra volta in fugala sua lancia dall'Ida mi sospinse,quando, assaliti i nostri armenti, ei Pèdasoe Lirnesso atterrò. Giove protesseil mio ratto fuggir: senza il suo numem'avrìa domo il Pelìde, esso e Minervache il precorrendo lo spargea di luce,e de' Teucri e de' Lèlegi alla stragela sua lancia animava. Alcun non siadunque che pugni col Pelìde. Un Diosempre va seco che il difende, e drittovola sempre il suo telo, e non s'arrestafinché non passi del nemico il petto.Se della guerra si librasse egualedai Sampiterni la bilancia, ei certo,fosse tutto qual vantasi di ferro,non avrìa meco agevolmente il meglio.E tu pur prega i numi, o valoroso,rispose Apollo, ché tu pure, è fama,di Venere nascesti, ed ei di Divainferïor, ché quella a Giove, e questaal marin vecchio è figlia. Orsù dirizzain lui l'invitto acciaro, e non lasciartiper minacce fugar dure e superbe.Fatto animoso a questi detti il duce,

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Prïamìde, e perché, contro mia voglia,Enea rispose, ad affrontar mi sproniquell'invitto guerrier? Gli stetti a frontepur altra volta, ed altra volta in fugala sua lancia dall'Ida mi sospinse,quando, assaliti i nostri armenti, ei Pèdasoe Lirnesso atterrò. Giove protesseil mio ratto fuggir: senza il suo numem'avrìa domo il Pelìde, esso e Minervache il precorrendo lo spargea di luce,e de' Teucri e de' Lèlegi alla stragela sua lancia animava. Alcun non siadunque che pugni col Pelìde. Un Diosempre va seco che il difende, e drittovola sempre il suo telo, e non s'arrestafinché non passi del nemico il petto.Se della guerra si librasse egualedai Sampiterni la bilancia, ei certo,fosse tutto qual vantasi di ferro,non avrìa meco agevolmente il meglio.E tu pur prega i numi, o valoroso,rispose Apollo, ché tu pure, è fama,di Venere nascesti, ed ei di Divainferïor, ché quella a Giove, e questaal marin vecchio è figlia. Orsù dirizzain lui l'invitto acciaro, e non lasciartiper minacce fugar dure e superbe.Fatto animoso a questi detti il duce,

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processe di lucenti armi vestitotra i guerrieri di fronte. E lui vedutoper le file avanzarsi arditamentecontro il Pelìde, ai collegati numisi volse Giuno e disse: Il cor volgete,tu Nettunno e tu Pallade, al periglioche ne sovrasta. Enea tutto nell'armifolgorante s'avvìa contro il Pelìde,e Febo Apollo ve lo spinge. Or noio forziamlo a dar volta, o pur d'Achillevada in aiuto alcun di noi, che forzaall'uopo gli ministri, onde s'avveggach'egli ai Celesti più possenti è caro,e che di Troia i difensor fann'oprainfruttuosa. Vi rammenti, o numi,che noi tutti scendemmo a questa pugnaperché nullo da' Teucri egli ricevaquesto dì nocumento. Abbiasi dopoquella sorte che a lui filò la Parcaquando la madre il partorìo. Se istruttodi ciò nol renda degli Dei la voce,temerà nel veder venirsi incontrofra l'armi un nume: perocché tremendison gli Eterni veduti alla scoperta.Fuor di ragione non irarti, o Giuno,ché ciò sconvienti, rispondea Nettunno.Non sia che primi commettiam la pugnanoi che siamo i più forti. Alla vedetta

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processe di lucenti armi vestitotra i guerrieri di fronte. E lui vedutoper le file avanzarsi arditamentecontro il Pelìde, ai collegati numisi volse Giuno e disse: Il cor volgete,tu Nettunno e tu Pallade, al periglioche ne sovrasta. Enea tutto nell'armifolgorante s'avvìa contro il Pelìde,e Febo Apollo ve lo spinge. Or noio forziamlo a dar volta, o pur d'Achillevada in aiuto alcun di noi, che forzaall'uopo gli ministri, onde s'avveggach'egli ai Celesti più possenti è caro,e che di Troia i difensor fann'oprainfruttuosa. Vi rammenti, o numi,che noi tutti scendemmo a questa pugnaperché nullo da' Teucri egli ricevaquesto dì nocumento. Abbiasi dopoquella sorte che a lui filò la Parcaquando la madre il partorìo. Se istruttodi ciò nol renda degli Dei la voce,temerà nel veder venirsi incontrofra l'armi un nume: perocché tremendison gli Eterni veduti alla scoperta.Fuor di ragione non irarti, o Giuno,ché ciò sconvienti, rispondea Nettunno.Non sia che primi commettiam la pugnanoi che siamo i più forti. Alla vedetta

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di qualche poggio dalla via remotoassidiamci piuttosto, ed ai mortaliresti la cura del pugnar. Se posciacominceran la zuffa o Marte o Febo,e rattenendo Achille impedirannoch'egli entri nella mischia, e noi pur tostosusciteremo allor l'aspro conflitto,e presto, io spero, dal valor del nostrobraccio domati, per le vie d'Olimporitorneranno all'immortal consesso.Li precorse, ciò detto, il nume azzurroverso l'alta bastìa che pel divinoErcole un giorno con Minerva i Teucriinnalzâr, perché a quella egli potesseriparato schivar della voraceorca l'assalto allor che furibondal'inseguisse dal lido alla pianura.Qui co' numi alleati il Dio s'assised'impenetrabil nube circonfuso.Sul ciglio anch'essi s'adagiâr dell'ertoCallicolon gli opposti numi intornoa te, divino saettante Apollo,e a Marte di cittadi atterratore.Così di qua, di là deliberandosiedono i Divi, e niuna parte ardisce,benché Giove gli sproni, aprir la pugna.E già tutto d'armati il campo è pieno,e di lampi che manda il riforbito

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di qualche poggio dalla via remotoassidiamci piuttosto, ed ai mortaliresti la cura del pugnar. Se posciacominceran la zuffa o Marte o Febo,e rattenendo Achille impedirannoch'egli entri nella mischia, e noi pur tostosusciteremo allor l'aspro conflitto,e presto, io spero, dal valor del nostrobraccio domati, per le vie d'Olimporitorneranno all'immortal consesso.Li precorse, ciò detto, il nume azzurroverso l'alta bastìa che pel divinoErcole un giorno con Minerva i Teucriinnalzâr, perché a quella egli potesseriparato schivar della voraceorca l'assalto allor che furibondal'inseguisse dal lido alla pianura.Qui co' numi alleati il Dio s'assised'impenetrabil nube circonfuso.Sul ciglio anch'essi s'adagiâr dell'ertoCallicolon gli opposti numi intornoa te, divino saettante Apollo,e a Marte di cittadi atterratore.Così di qua, di là deliberandosiedono i Divi, e niuna parte ardisce,benché Giove gli sproni, aprir la pugna.E già tutto d'armati il campo è pieno,e di lampi che manda il riforbito

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bronzo de' cocchi e de' guerrieri, e suonasotto il fervido piè de' concorrentieserciti la terra. Ed ecco in mezzoaffrontarsi di pugna desïosidue fortissimi eroi, d'Anchise il figlioed Achille. Avanzossi Enea primierominacciando e crollando il poderosoelmo, e proteso il forte scudo al petto,la grand'asta vibrava. Ad incontrarlomosse il Pelìde impetuoso, e parvetruculento lïone alla cui vitadenso stuol di garzoni, anzi l'interoborgo si scaglia: incede egli da primasprezzatamente; ma se alcun de' fortiassalitor coll'asta il tocca, ei fierospalancando le fauci si rivolvecolla schiuma alle sanne; la gagliardaalma in cor gli sospira, i fianchi e i lombiflagella colla coda, e se medesmoalla battaglia irrita: indi repentecon torvi sguardi avventasi ruggendo,di dar morte già fermo o di morire:tal la forza e il coraggio incontro al francoEnea sospinser l'orgoglioso Achille,e giunti a fronte, favellò primieroil gran Pelìde: Enea, perché tant'oltrefuor della turba ti spingesti? Forsemeco agogni pugnar perché su i Teucri

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bronzo de' cocchi e de' guerrieri, e suonasotto il fervido piè de' concorrentieserciti la terra. Ed ecco in mezzoaffrontarsi di pugna desïosidue fortissimi eroi, d'Anchise il figlioed Achille. Avanzossi Enea primierominacciando e crollando il poderosoelmo, e proteso il forte scudo al petto,la grand'asta vibrava. Ad incontrarlomosse il Pelìde impetuoso, e parvetruculento lïone alla cui vitadenso stuol di garzoni, anzi l'interoborgo si scaglia: incede egli da primasprezzatamente; ma se alcun de' fortiassalitor coll'asta il tocca, ei fierospalancando le fauci si rivolvecolla schiuma alle sanne; la gagliardaalma in cor gli sospira, i fianchi e i lombiflagella colla coda, e se medesmoalla battaglia irrita: indi repentecon torvi sguardi avventasi ruggendo,di dar morte già fermo o di morire:tal la forza e il coraggio incontro al francoEnea sospinser l'orgoglioso Achille,e giunti a fronte, favellò primieroil gran Pelìde: Enea, perché tant'oltrefuor della turba ti spingesti? Forsemeco agogni pugnar perché su i Teucri

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di Prìamo speri un dì stender lo scettro?Ma s'egli avvegna ancor che tu m'uccida,ei non porrallo alle tue mani, ei padredi più figli, e d'età sano e di mente:o forse i Teucri, se mi metti a morte,un eletto poder bello di vititi statuiro e di fecondi solchi?Ma dura impresa t'assumesti, io spero;ch'altra volta, mi par, ti pose in fugaquesta mia lancia. Non rammenti il giornoche soletto ti colsi, e con velocecorso dall'Ida ti cacciai lontanodalle tue mandre? Tu volavi, e, mainon volgendo la fronte, entro Lirnessoti riparasti. Col favore io poidi Giove e Palla la città distrussi,e ne predai le donne, e tolta lorola cara libertà, meco le trassi.Gli Dei quel giorno ti scampâr; non oggilo faranno, cred'io, come t'avvisi.Va, ritìrati adunque, io te n'assenno,rientra in turba, né mi star di fronte,se il tuo peggio non vuoi, ché dopo il fattoanche lo stolto dell'error si pente.Me co' detti atterrir come fanciulloindarno tenti, Enea rispose; anch'ioso dir minacce ed onte, e l'un dell'altroi natali sappiamo, e per udita

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di Prìamo speri un dì stender lo scettro?Ma s'egli avvegna ancor che tu m'uccida,ei non porrallo alle tue mani, ei padredi più figli, e d'età sano e di mente:o forse i Teucri, se mi metti a morte,un eletto poder bello di vititi statuiro e di fecondi solchi?Ma dura impresa t'assumesti, io spero;ch'altra volta, mi par, ti pose in fugaquesta mia lancia. Non rammenti il giornoche soletto ti colsi, e con velocecorso dall'Ida ti cacciai lontanodalle tue mandre? Tu volavi, e, mainon volgendo la fronte, entro Lirnessoti riparasti. Col favore io poidi Giove e Palla la città distrussi,e ne predai le donne, e tolta lorola cara libertà, meco le trassi.Gli Dei quel giorno ti scampâr; non oggilo faranno, cred'io, come t'avvisi.Va, ritìrati adunque, io te n'assenno,rientra in turba, né mi star di fronte,se il tuo peggio non vuoi, ché dopo il fattoanche lo stolto dell'error si pente.Me co' detti atterrir come fanciulloindarno tenti, Enea rispose; anch'ioso dir minacce ed onte, e l'un dell'altroi natali sappiamo, e per udita

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i genitori; ché né tu conosciper vista i miei, ned io li tuoi. Te proledell'egregio Pelèo dice la fama,e della bella equòrea Teti. Io natodi Venere mi vanto, e generommiil magnanimo Anchise. Oggi per certoo gli uni o gli altri piangeranno il figlio.Ché veruno di noi di pueriliciance contento non vorrà, cred'io,separarsi ed uscir di questo arringo.Ma se più brami di mia stirpe udireal mondo chiara, primamente GioveDàrdano generò, che fondamentopose qui poscia alle dardanie mura.Perocché non ancora allor nel pianosorgean le sacre ilìache torri, e il moltosuo popolo le idèe falde copriva.Di Dàrdano fu nato il re d'ogni altropiù opulente Erittònio. A lui tre miladi teneri puledri allegre madrile convalli pascean. InnamorossiBorea di loro, e di destrier morellopresa la forma alquante ne compresse,che sei puledre e sei gli partoriro.Queste talor ruzzando alla campagnacorrean sul capo delle bionde aristesenza pur sgretolarle; e se co' saltiprendean sul dorso a lascivir del mare,

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i genitori; ché né tu conosciper vista i miei, ned io li tuoi. Te proledell'egregio Pelèo dice la fama,e della bella equòrea Teti. Io natodi Venere mi vanto, e generommiil magnanimo Anchise. Oggi per certoo gli uni o gli altri piangeranno il figlio.Ché veruno di noi di pueriliciance contento non vorrà, cred'io,separarsi ed uscir di questo arringo.Ma se più brami di mia stirpe udireal mondo chiara, primamente GioveDàrdano generò, che fondamentopose qui poscia alle dardanie mura.Perocché non ancora allor nel pianosorgean le sacre ilìache torri, e il moltosuo popolo le idèe falde copriva.Di Dàrdano fu nato il re d'ogni altropiù opulente Erittònio. A lui tre miladi teneri puledri allegre madrile convalli pascean. InnamorossiBorea di loro, e di destrier morellopresa la forma alquante ne compresse,che sei puledre e sei gli partoriro.Queste talor ruzzando alla campagnacorrean sul capo delle bionde aristesenza pur sgretolarle; e se co' saltiprendean sul dorso a lascivir del mare,

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su le spume volavano de' fluttisenza toccarli. D'Erittònio nacqueTröe re de' Troiani, e poi di Troegenerosi tre figli Ilo ed Assàraco,e il deïforme Ganimede, al tuttode' mortali il più bello, e dagli Deirapito in cielo, perché fosse a Giovedi coppa mescitor per sua beltade,ed abitasse con gli Eterni. Ad Ilonacque l'alto figliuol Laomedonte;Titone a questo e Prìamo e Lampo e Clìzioe l'alunno di Marte Icetaone:Assàraco ebbe Capi, e Capi Anchise,mio venitore, e Prìamo il divo Ettorre.Ecco il sangue ch'io vanto. Il resto scendetutto da Giove che ne' petti umaniil valor cresce o scema a suo talento,potentissimo iddio. Ma tregua omaifra l'armi a borie fanciullesche. Entrambipossiam d'ingiurie aver dovizia e tantache nave non potrìa di cento remilevarne il pondo. De' mortai volubilee la lingua, e ne piovono paroled'ogni maniera in largo campo, e qualedirai motto, cotal ti fia rimesso.Ma perché d'onte tenzonar siccomestizzose femminette che nel mezzodella via si rabbuffano, col vero,

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su le spume volavano de' fluttisenza toccarli. D'Erittònio nacqueTröe re de' Troiani, e poi di Troegenerosi tre figli Ilo ed Assàraco,e il deïforme Ganimede, al tuttode' mortali il più bello, e dagli Deirapito in cielo, perché fosse a Giovedi coppa mescitor per sua beltade,ed abitasse con gli Eterni. Ad Ilonacque l'alto figliuol Laomedonte;Titone a questo e Prìamo e Lampo e Clìzioe l'alunno di Marte Icetaone:Assàraco ebbe Capi, e Capi Anchise,mio venitore, e Prìamo il divo Ettorre.Ecco il sangue ch'io vanto. Il resto scendetutto da Giove che ne' petti umaniil valor cresce o scema a suo talento,potentissimo iddio. Ma tregua omaifra l'armi a borie fanciullesche. Entrambipossiam d'ingiurie aver dovizia e tantache nave non potrìa di cento remilevarne il pondo. De' mortai volubilee la lingua, e ne piovono paroled'ogni maniera in largo campo, e qualedirai motto, cotal ti fia rimesso.Ma perché d'onte tenzonar siccomestizzose femminette che nel mezzodella via si rabbuffano, col vero,

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spinte dall'ira, affastellando il falso?Me qui pronto a pugnar non distorraicolle minacce dal cimento. Or viaalle prove dell'asta. - E così detto,la ferrea lancia fulminò nel vastoterribile brocchier che dell'acutacuspide al picchio rimugghiò. Turbossiil Pelìde, e dal petto colla fortemano lo scudo allontanò, temendonol trafori la lunga ombrosa lanciadel magnanimo Enea. Di mente uscitoeragli, stolto! che mortal possanzadifficilmente doma armi divine.Non ruppe la gagliarda asta troianail pavese achillèo, ché la rattennedell'aurea piastra l'immortal fattura,e sol due falde ne forò di cinqueche Vulcano v'avea l'una sull'altraribattute; di bronzo le due prime,le due dentro di stagno, e tutta d'orola media che il crudel tronco represse.Vibrò secondo la sua lunga traveil Pelìde, e colpì dell'inimicol'orbicolar rotella all'orlo estremo,ove sottil di rame era condottauna falda, e sottile il sovrappostocuoio taurino. La pelìaca antennada parte a parte lo passò. La targa

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spinte dall'ira, affastellando il falso?Me qui pronto a pugnar non distorraicolle minacce dal cimento. Or viaalle prove dell'asta. - E così detto,la ferrea lancia fulminò nel vastoterribile brocchier che dell'acutacuspide al picchio rimugghiò. Turbossiil Pelìde, e dal petto colla fortemano lo scudo allontanò, temendonol trafori la lunga ombrosa lanciadel magnanimo Enea. Di mente uscitoeragli, stolto! che mortal possanzadifficilmente doma armi divine.Non ruppe la gagliarda asta troianail pavese achillèo, ché la rattennedell'aurea piastra l'immortal fattura,e sol due falde ne forò di cinqueche Vulcano v'avea l'una sull'altraribattute; di bronzo le due prime,le due dentro di stagno, e tutta d'orola media che il crudel tronco represse.Vibrò secondo la sua lunga traveil Pelìde, e colpì dell'inimicol'orbicolar rotella all'orlo estremo,ove sottil di rame era condottauna falda, e sottile il sovrappostocuoio taurino. La pelìaca antennada parte a parte lo passò. La targa

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rimbombò sotto il colpo: esterrefattorannicchiossi e scostò dalla personaEnea lo scudo sollevato; e l'asta,rotti i due cerchi che il cingean, sul dorsotrasvolò furïosa, e al suol si fisse.Scansato il colpo, si ristette, e immensoduol di paura gli abbuiò le luci,sentita la vicina asta confitta.Pronto il Pelìde allor tratta la spada,con terribile grido si disserracontro il nemico. Era nel campo un sassod'enorme pondo che soverchio fôraalle forze di due quai la presenteetà produce. Diè di piglio Eneaa questo sasso, e agevolmente solol'agitando, si volse all'aggressore.E nel vulcanio scudo o nell'elmettoavventato l'avrìa, ma senza offesa,e a lui per certo del Pelìde il brandotogliea la vita, se di ciò per tempoavvistosi Nettunno, ai circostanticelesti non facea queste parole:Duolmi, o numi, d'assai del generosoEnea che domo dal Pelìde all'Orcoirne tosto dovrà, dalle lusinghemal consigliato dell'arciero Apollo.Insensato! ché nulla incontro a mortegli varrà questo Dio. Ma della colpa

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rimbombò sotto il colpo: esterrefattorannicchiossi e scostò dalla personaEnea lo scudo sollevato; e l'asta,rotti i due cerchi che il cingean, sul dorsotrasvolò furïosa, e al suol si fisse.Scansato il colpo, si ristette, e immensoduol di paura gli abbuiò le luci,sentita la vicina asta confitta.Pronto il Pelìde allor tratta la spada,con terribile grido si disserracontro il nemico. Era nel campo un sassod'enorme pondo che soverchio fôraalle forze di due quai la presenteetà produce. Diè di piglio Eneaa questo sasso, e agevolmente solol'agitando, si volse all'aggressore.E nel vulcanio scudo o nell'elmettoavventato l'avrìa, ma senza offesa,e a lui per certo del Pelìde il brandotogliea la vita, se di ciò per tempoavvistosi Nettunno, ai circostanticelesti non facea queste parole:Duolmi, o numi, d'assai del generosoEnea che domo dal Pelìde all'Orcoirne tosto dovrà, dalle lusinghemal consigliato dell'arciero Apollo.Insensato! ché nulla incontro a mortegli varrà questo Dio. Ma della colpa

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altrui la pena perché dee patirlaquest'innocente, liberal di gratidoni mai sempre agl'Immortali? Or viamoviamo in suo soccorso, e s'impediscache il Pelìde l'uccida, e che di Giovel'ire risvegli la sua morte. I fatidecretâr ch'egli viva, onde la stirpedi Dardano non pera interamente,di lui che Giove innanzi a quanti figlialvo mortal gli partorìo, dilesse:perocché da gran tempo egli la gentedi Prìamo abborre, e su i Troiani omaid'Enea la forza regnerà con tuttide' figli i figli e chi verrà da quelli.Pensa tu teco stesso, o re Nettunno,Giuno rispose, se sottrarre a morteEnea si debba, o consentir, malgradola sua virtude, che lo domi Achille.Quanto a Pallade e a me, presenti i numi,noi giurammo solenne giuramentodi non mai da' Troiani la ruinaallontanar, no, s'anco tutta in cenereTroia cadesse tra le fiamme achee.Udito quel parlar, corse per mezzoalla mischia e al fragor delle volantiaste Nettunno, e giunto ove d'Eneae dell'inclito Achille era la pugna,una sùbita nube intorno agli occhi

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altrui la pena perché dee patirlaquest'innocente, liberal di gratidoni mai sempre agl'Immortali? Or viamoviamo in suo soccorso, e s'impediscache il Pelìde l'uccida, e che di Giovel'ire risvegli la sua morte. I fatidecretâr ch'egli viva, onde la stirpedi Dardano non pera interamente,di lui che Giove innanzi a quanti figlialvo mortal gli partorìo, dilesse:perocché da gran tempo egli la gentedi Prìamo abborre, e su i Troiani omaid'Enea la forza regnerà con tuttide' figli i figli e chi verrà da quelli.Pensa tu teco stesso, o re Nettunno,Giuno rispose, se sottrarre a morteEnea si debba, o consentir, malgradola sua virtude, che lo domi Achille.Quanto a Pallade e a me, presenti i numi,noi giurammo solenne giuramentodi non mai da' Troiani la ruinaallontanar, no, s'anco tutta in cenereTroia cadesse tra le fiamme achee.Udito quel parlar, corse per mezzoalla mischia e al fragor delle volantiaste Nettunno, e giunto ove d'Eneae dell'inclito Achille era la pugna,una sùbita nube intorno agli occhi

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del Pelìde diffuse, e dallo scudodel magnanimo Enea svelto il ferratofrassino, al piede del rival lo pose.Indi spinse di forza, e dalla terralevò sublime Enea, che preso il volodalla mano del Dio, varcò d'un saltomolte file d'eroi, molte di cocchi,e all'estremo arrivò del rio conflitto,ove in procinto si mettean di pugnade' Càuconi le schiere. Ivi davantigli si fece Nettunno, e così disse:Sconsigliato! qual Dio contra il Pelìdeti sedusse a pugnar, contra un guerrierodi te più caro ai numi e più gagliardo?S'altra volta lo scontri, ti ritira,onde anzi tempo non andar sotterra.Morto Achille, combatti audacemente,ché nullo Acheo t'ucciderà. - Disparvedopo questo precetto, e alle pupilledel Pelìde sgombrò la portentosacaligine: tornâr tutto ad un tempochiari al guardo gli obbietti, onde fremendonel magnanimo cor: Numi, diss'egli,quale strano prodigio? Al suol giacenteveggo il mio telo, ma il guerrier non veggoin cui bramoso di ferir lo spinsi.Dunque è caro a' Celesti ei pur davveroquesto figlio d'Anchise! ed io stimava

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del Pelìde diffuse, e dallo scudodel magnanimo Enea svelto il ferratofrassino, al piede del rival lo pose.Indi spinse di forza, e dalla terralevò sublime Enea, che preso il volodalla mano del Dio, varcò d'un saltomolte file d'eroi, molte di cocchi,e all'estremo arrivò del rio conflitto,ove in procinto si mettean di pugnade' Càuconi le schiere. Ivi davantigli si fece Nettunno, e così disse:Sconsigliato! qual Dio contra il Pelìdeti sedusse a pugnar, contra un guerrierodi te più caro ai numi e più gagliardo?S'altra volta lo scontri, ti ritira,onde anzi tempo non andar sotterra.Morto Achille, combatti audacemente,ché nullo Acheo t'ucciderà. - Disparvedopo questo precetto, e alle pupilledel Pelìde sgombrò la portentosacaligine: tornâr tutto ad un tempochiari al guardo gli obbietti, onde fremendonel magnanimo cor: Numi, diss'egli,quale strano prodigio? Al suol giacenteveggo il mio telo, ma il guerrier non veggoin cui bramoso di ferir lo spinsi.Dunque è caro a' Celesti ei pur davveroquesto figlio d'Anchise! ed io stimava

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falso il suo vanto. E ben si salvi. Andatagli sarà, spero, di provarsi mecoin avvenir la voglia, assai feliced'aver posta in sicuro oggi la vita.Orsù, l'acheo valor riconfortato,facciam degli altri Teucri esperimento.Sì dicendo, saltò dentro alle filee tutti rincuorò: Prestanti Achei,non vogliate discosto or più tenervida' nemici: guerrier contra guerrieroscagliatevi, e pugnate ardimentosi.Per forte ch'io mi sia, m'è dura impresasol con tutti azzuffarmi ed inseguirli.Né Marte pure immortal Dio né Pallaa tanti armati reggerìan. Ma quantoqueste man, questi piedi e questo pettopotranno, io tutto vel consacro, e giurodi non posarmi un sol momento. Io vadoa sfondar quelle file, e non fia lietochi la mia lancia scontrerà, mi penso.Così gli sprona; e minaccioso anch'essoEttore i suoi conforta, e contro Achilleir si promette: Del Pelìde, o prodi,non temete le borie: anch'io sapreipur co' numi combattere a parole,coll'asta, no, ch'ei son più forti assai.Né tutti avran d'Achille i vanti effetto:se l'un pieno gli andrà, l'altro gli fia

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falso il suo vanto. E ben si salvi. Andatagli sarà, spero, di provarsi mecoin avvenir la voglia, assai feliced'aver posta in sicuro oggi la vita.Orsù, l'acheo valor riconfortato,facciam degli altri Teucri esperimento.Sì dicendo, saltò dentro alle filee tutti rincuorò: Prestanti Achei,non vogliate discosto or più tenervida' nemici: guerrier contra guerrieroscagliatevi, e pugnate ardimentosi.Per forte ch'io mi sia, m'è dura impresasol con tutti azzuffarmi ed inseguirli.Né Marte pure immortal Dio né Pallaa tanti armati reggerìan. Ma quantoqueste man, questi piedi e questo pettopotranno, io tutto vel consacro, e giurodi non posarmi un sol momento. Io vadoa sfondar quelle file, e non fia lietochi la mia lancia scontrerà, mi penso.Così gli sprona; e minaccioso anch'essoEttore i suoi conforta, e contro Achilleir si promette: Del Pelìde, o prodi,non temete le borie: anch'io sapreipur co' numi combattere a parole,coll'asta, no, ch'ei son più forti assai.Né tutti avran d'Achille i vanti effetto:se l'un pieno gli andrà, l'altro gli fia

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tronco nel mezzo. Ad incontrarlo io vados'anco la man di fuoco egli s'avesse,sì, di fuoco la man, di ferro il polso.Da questo dire accesi, alto levarol'aste avverse i Troiani, e con immensoromor le forze s'accozzâr. Si strinseallora Apollo al teucro duce, e disse:Ettore, non andar contro il Pelìdefuor di fila: ma tienti entro la schiera,e dalla turba lo ricevi, e badache di brando o di stral non ti raggiunga.Udì del Dio la voce, e sbigottitonella turba de' suoi l'eroe s'immerse.Ma di gran forza il cor vestito Achillecon gridi orrendi si balzò nel mezzode' Troiani, e prostese a prima giuntadi numerose genti un condottiero,il prode Ifizïon che ad Otrintèoguastator di città nell'opulentopopolo d'Ide sul nevoso TmoloNäide Ninfa partorì. Venìacostui di punta a furia. Il divo Achillecoll'asta a mezzo capo lo percosse,e in due lo fésse. Rimbombando ei cadde,ed orgoglioso il vincitor sovr'essoesclamò: Tremendissimo Otrintìde,eccoti a terra: e tu sepolcro umìlein questa sabbia avrai, tu che superba

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tronco nel mezzo. Ad incontrarlo io vados'anco la man di fuoco egli s'avesse,sì, di fuoco la man, di ferro il polso.Da questo dire accesi, alto levarol'aste avverse i Troiani, e con immensoromor le forze s'accozzâr. Si strinseallora Apollo al teucro duce, e disse:Ettore, non andar contro il Pelìdefuor di fila: ma tienti entro la schiera,e dalla turba lo ricevi, e badache di brando o di stral non ti raggiunga.Udì del Dio la voce, e sbigottitonella turba de' suoi l'eroe s'immerse.Ma di gran forza il cor vestito Achillecon gridi orrendi si balzò nel mezzode' Troiani, e prostese a prima giuntadi numerose genti un condottiero,il prode Ifizïon che ad Otrintèoguastator di città nell'opulentopopolo d'Ide sul nevoso TmoloNäide Ninfa partorì. Venìacostui di punta a furia. Il divo Achillecoll'asta a mezzo capo lo percosse,e in due lo fésse. Rimbombando ei cadde,ed orgoglioso il vincitor sovr'essoesclamò: Tremendissimo Otrintìde,eccoti a terra: e tu sepolcro umìlein questa sabbia avrai, tu che superba

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cuna sortisti alla gigèa paludene' paterni poderi appo il pescosoIllo e dell'Ermo il vorticoso flutto.Così l'oltraggia; della morte il buiocoprì gli occhi al meschino, e de' cavallil'ugna e li chiovi delle rote acheeil lasciâr nella calca infranto e pesto.Ferì dopo costui Demoleonte,d'Antènore figliuolo e valorosocombattitore; lo ferì sul polsodella tempia, né valse alla difesala ferrea guancia del polito elmetto.L'impetuosa punta spezzò l'osso,sgominò le cervella, che di sanguetutte insozzârsi, e così giacque il fiero.Gittatosi dal carro, Ippodamantedinanzi gli fuggìa. L'asta d'Achillelo raggiunse nel tergo. L'infeliceesalava lo spirto, e mugolavacome tauro che a forza innanzi all'ared'Elice è tratto da garzon robusti,e ne gode Nettunno: a questa guisamuggìa quell'alma feroce, e spirava.S'avventò dopo questi a Polidoro.Era costui di Prìamo un figlio: il padregli avea difeso di pugnar, siccomeil minor de' suoi nati e il più diletto,che tutti al corso li vincea. Di questa

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cuna sortisti alla gigèa paludene' paterni poderi appo il pescosoIllo e dell'Ermo il vorticoso flutto.Così l'oltraggia; della morte il buiocoprì gli occhi al meschino, e de' cavallil'ugna e li chiovi delle rote acheeil lasciâr nella calca infranto e pesto.Ferì dopo costui Demoleonte,d'Antènore figliuolo e valorosocombattitore; lo ferì sul polsodella tempia, né valse alla difesala ferrea guancia del polito elmetto.L'impetuosa punta spezzò l'osso,sgominò le cervella, che di sanguetutte insozzârsi, e così giacque il fiero.Gittatosi dal carro, Ippodamantedinanzi gli fuggìa. L'asta d'Achillelo raggiunse nel tergo. L'infeliceesalava lo spirto, e mugolavacome tauro che a forza innanzi all'ared'Elice è tratto da garzon robusti,e ne gode Nettunno: a questa guisamuggìa quell'alma feroce, e spirava.S'avventò dopo questi a Polidoro.Era costui di Prìamo un figlio: il padregli avea difeso di pugnar, siccomeil minor de' suoi nati e il più diletto,che tutti al corso li vincea. Di questa

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sua virtute di piè con fanciullescademenza vanitoso egli tra' primicombattenti correa senza consiglio,finché morto vi cadde. Il colse a tergoin quei trascorsi Achille ove la cintadall'auree fibbie s'annodava, e doppioscontravasi l'usbergo. Il telo acutorïuscì di rimpetto all'ombilico:ululò quel trafitto, e su i ginocchicascò: curvato colla man compressele intestina, e mortal nube lo cinse.Come in quell'atto miserando il videil suo germano Ettorre, una profondanube di duolo gl'ingombrò le luci,né gli sofferse il cor di più ristarsidentro la turba; ma crollando immensauna lancia, volò contro il Pelìdecome fiamma ondeggiante. A quella vistasaltò di gioia Achille, e baldanzoso,Ecco l'uom, disse, che nel cor m'apersesì gran piaga, colui che il mio m'uccisecaro compagno: or più non fuggiremol'un l'altro a lungo pei sentier di guerra.Disse, e al divino Ettòr bieco guatando,gridò: T'accosta, ché al tuo fin se' giunto.Non pensar, gli rispose imperturbatol'eroe troiano, non pensar di darmiper minacce terror come a fanciullo,

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sua virtute di piè con fanciullescademenza vanitoso egli tra' primicombattenti correa senza consiglio,finché morto vi cadde. Il colse a tergoin quei trascorsi Achille ove la cintadall'auree fibbie s'annodava, e doppioscontravasi l'usbergo. Il telo acutorïuscì di rimpetto all'ombilico:ululò quel trafitto, e su i ginocchicascò: curvato colla man compressele intestina, e mortal nube lo cinse.Come in quell'atto miserando il videil suo germano Ettorre, una profondanube di duolo gl'ingombrò le luci,né gli sofferse il cor di più ristarsidentro la turba; ma crollando immensauna lancia, volò contro il Pelìdecome fiamma ondeggiante. A quella vistasaltò di gioia Achille, e baldanzoso,Ecco l'uom, disse, che nel cor m'apersesì gran piaga, colui che il mio m'uccisecaro compagno: or più non fuggiremol'un l'altro a lungo pei sentier di guerra.Disse, e al divino Ettòr bieco guatando,gridò: T'accosta, ché al tuo fin se' giunto.Non pensar, gli rispose imperturbatol'eroe troiano, non pensar di darmiper minacce terror come a fanciullo,

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ché oprar so l'armi della lingua io pure,e conosco tue forze, e mi confessomen valente di te: ma in grembo ai numista la vittoria, ed avvenir può forsech'io men prode dal sen l'alma ti svelga.Affilata ha la punta anche il mio telo.Disse, e l'asta scagliò: ma dal divinopetto d'Achille la svïò Minervacon levissimo soffio. Risospintadall'alito immortal, l'asta ritornofece ad Ettorre, e al piè gli cadde. Alloracon orribile grido disserrossifuribondo il Pelìde, impazïentedi trucidarlo. Ma gliel tolse Apollo,lieve impresa ad un Dio, tutto coprendodi folta nebbia Ettòr. Tre volte Achillecoll'asta l'assalì, tre volte un vanofumo trafisse, e con furor venendoil divino guerriero al quarto assalto,minaccioso tuonò queste parole:Cane troian, di nuovo ecco fuggistil'estremo fato che t'avea raggiunto,e Febo ti scampò, quel Febo a cuitra il sibilo dei dardi alzi le preci.Ma s'altra volta mi darai nell'ugna,e se a me pure assiste un qualche iddio,ti finirò. Di quanti in man frattantomi verranno de' tuoi farò macello.

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ché oprar so l'armi della lingua io pure,e conosco tue forze, e mi confessomen valente di te: ma in grembo ai numista la vittoria, ed avvenir può forsech'io men prode dal sen l'alma ti svelga.Affilata ha la punta anche il mio telo.Disse, e l'asta scagliò: ma dal divinopetto d'Achille la svïò Minervacon levissimo soffio. Risospintadall'alito immortal, l'asta ritornofece ad Ettorre, e al piè gli cadde. Alloracon orribile grido disserrossifuribondo il Pelìde, impazïentedi trucidarlo. Ma gliel tolse Apollo,lieve impresa ad un Dio, tutto coprendodi folta nebbia Ettòr. Tre volte Achillecoll'asta l'assalì, tre volte un vanofumo trafisse, e con furor venendoil divino guerriero al quarto assalto,minaccioso tuonò queste parole:Cane troian, di nuovo ecco fuggistil'estremo fato che t'avea raggiunto,e Febo ti scampò, quel Febo a cuitra il sibilo dei dardi alzi le preci.Ma s'altra volta mi darai nell'ugna,e se a me pure assiste un qualche iddio,ti finirò. Di quanti in man frattantomi verranno de' tuoi farò macello.

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Così dicendo, a Drïope sospinsesotto il mento la picca, e questi al piedegli traboccò. Così lasciollo, e rattoscagliandosi a Demùco, un grande e prodedi Filètore figlio, alle ginocchialo ferì, l'arrestò, poscia col brandol'alma gli tolse. Dopo questi Dardanoe Laògono assalse, illustri figlidi Bïante, e travolti ambo dal cocchiol'un di lancia atterrò, l'altro di spada.Poi distese il troiano Alastorìdeche a' suoi ginocchi supplice cadendochiedea la vita in dono, ed ai conformisuoi verd'anni pietà. Stolto! ché vanoil pregar non sapea, né quanto egli eramite no, ma feroce. In umil attogli abbracciava i ginocchi, ed altro direvolea pure il meschin; ma quegli il ferronell'èpate gl'immerse, che di fuoririversossi, e di sangue un nero fiumegli fe' lago nel seno. Venne mancol'alma, e gli occhi coprì di morte il velo.Indi Mulio investendo, entro un'orecchiagli fisse il telo, e uscir per l'altra il fece.Ad Echeclo d'Agènore un fendentecalò di spada al mezzo della testa,e la spaccò; si tepefece il grandeacciar nel sangue, e la purpurea morte

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Così dicendo, a Drïope sospinsesotto il mento la picca, e questi al piedegli traboccò. Così lasciollo, e rattoscagliandosi a Demùco, un grande e prodedi Filètore figlio, alle ginocchialo ferì, l'arrestò, poscia col brandol'alma gli tolse. Dopo questi Dardanoe Laògono assalse, illustri figlidi Bïante, e travolti ambo dal cocchiol'un di lancia atterrò, l'altro di spada.Poi distese il troiano Alastorìdeche a' suoi ginocchi supplice cadendochiedea la vita in dono, ed ai conformisuoi verd'anni pietà. Stolto! ché vanoil pregar non sapea, né quanto egli eramite no, ma feroce. In umil attogli abbracciava i ginocchi, ed altro direvolea pure il meschin; ma quegli il ferronell'èpate gl'immerse, che di fuoririversossi, e di sangue un nero fiumegli fe' lago nel seno. Venne mancol'alma, e gli occhi coprì di morte il velo.Indi Mulio investendo, entro un'orecchiagli fisse il telo, e uscir per l'altra il fece.Ad Echeclo d'Agènore un fendentecalò di spada al mezzo della testa,e la spaccò; si tepefece il grandeacciar nel sangue, e la purpurea morte

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e la Parca possente i rai gli chiuse.Colse dopo di punta nella destraDeucalïon là dove i nervi vannodel cubito ad unirsi. Intormentitonella mano il guerrier vedeasi innanzila morte, e passo non movea. Gli menaun mandritto il Pelìde alla cervice,netto il capo gli mozza, e via coll'elmolungi il butta. Schizzâr dalle vertèbrele midolle, e disteso il tronco giacque.Rigmo poscia aggredì, Rigmo dai pinguitracii campi venuto, e di Pirèogeneroso figliuol. Lo colse al ventreil tessalico telo, e giù dal cocchiolo scosse. Allor diè volta ai corridoril'auriga Arëitòo; ma del Pelìdel'asta il giunge alle spalle, e capovoltotra i turbati cavalli lo precipita.Quale infuria talor per le profondevalli d'arido monte un vasto fuocoche divora le selve, e in ogni latol'agita e spande di Garbino il soffio;tale in sembianza d'un irato iddiod'ogni parte si volve furibondoil Pelìde, ed insegue e uccide e rossafa di sangue la terra. E come quandonella tonda e polita aia il villanodue tauri accoppia di ben larga fronte

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e la Parca possente i rai gli chiuse.Colse dopo di punta nella destraDeucalïon là dove i nervi vannodel cubito ad unirsi. Intormentitonella mano il guerrier vedeasi innanzila morte, e passo non movea. Gli menaun mandritto il Pelìde alla cervice,netto il capo gli mozza, e via coll'elmolungi il butta. Schizzâr dalle vertèbrele midolle, e disteso il tronco giacque.Rigmo poscia aggredì, Rigmo dai pinguitracii campi venuto, e di Pirèogeneroso figliuol. Lo colse al ventreil tessalico telo, e giù dal cocchiolo scosse. Allor diè volta ai corridoril'auriga Arëitòo; ma del Pelìdel'asta il giunge alle spalle, e capovoltotra i turbati cavalli lo precipita.Quale infuria talor per le profondevalli d'arido monte un vasto fuocoche divora le selve, e in ogni latol'agita e spande di Garbino il soffio;tale in sembianza d'un irato iddiod'ogni parte si volve furibondoil Pelìde, ed insegue e uccide e rossafa di sangue la terra. E come quandonella tonda e polita aia il villanodue tauri accoppia di ben larga fronte

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di Cerere a trebbiar le bionde ariste,fuor del guscio in un subito saltelladi sotto al piede de' mugghianti il grano:del magnanimo Achille in questa formagl'immortali cornipedi sospintii cadaveri calcano e gli scudi.L'orbe tutto del cocchio e tutto l'assegronda di sangue dalle zampe sparsode' cavalli a gran sprazzi e dalle rote.Desìo di gloria il cuor d'Achille infiamma,e l'invitte sue mani tutte sozzeson di polve, di tabe e di sudore.

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di Cerere a trebbiar le bionde ariste,fuor del guscio in un subito saltelladi sotto al piede de' mugghianti il grano:del magnanimo Achille in questa formagl'immortali cornipedi sospintii cadaveri calcano e gli scudi.L'orbe tutto del cocchio e tutto l'assegronda di sangue dalle zampe sparsode' cavalli a gran sprazzi e dalle rote.Desìo di gloria il cuor d'Achille infiamma,e l'invitte sue mani tutte sozzeson di polve, di tabe e di sudore.

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Libro Ventesimoprimo

Ma divenuti i Teucri alle bell'ondedel vorticoso Xanto, ameno fiumegenerato da Giove, ivi il Pelìdeintercise i fuggenti; e parte al muroper lo piano ne incalza ove testesodavan le spalle al furibondo Ettorrescompigliati gli Achei (per l'orme istesseor dispersi si versano i Troiani,e a tardarne il fuggir densa una nebbiaGiuno intorno spandea), parte negli altigorghi si getta dell'argenteo fiumecon tumulto. La rotta onda rimbomba,ne gemono le ripe, e quei mettendocupi ululati, nuotano dispersicome il rapido vortice li gira.Qual cacciate dall'impeto del fuocoalzan repente le locuste il volosul margo del ruscello: arde velocel'inopinata fiamma, e quelle in frettaspaventate si gettano nel rio:tal dinanzi al Pelìde la sonantecorsìa di Xanto rïempìasi tuttadi guerrieri e cavalli alla rinfusa.Su la sponda del fiume allor poggiata

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Libro Ventesimoprimo

Ma divenuti i Teucri alle bell'ondedel vorticoso Xanto, ameno fiumegenerato da Giove, ivi il Pelìdeintercise i fuggenti; e parte al muroper lo piano ne incalza ove testesodavan le spalle al furibondo Ettorrescompigliati gli Achei (per l'orme istesseor dispersi si versano i Troiani,e a tardarne il fuggir densa una nebbiaGiuno intorno spandea), parte negli altigorghi si getta dell'argenteo fiumecon tumulto. La rotta onda rimbomba,ne gemono le ripe, e quei mettendocupi ululati, nuotano dispersicome il rapido vortice li gira.Qual cacciate dall'impeto del fuocoalzan repente le locuste il volosul margo del ruscello: arde velocel'inopinata fiamma, e quelle in frettaspaventate si gettano nel rio:tal dinanzi al Pelìde la sonantecorsìa di Xanto rïempìasi tuttadi guerrieri e cavalli alla rinfusa.Su la sponda del fiume allor poggiata

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alle mirìci la pelìaca antenna,strinse l'eroe la spada, e dentro il fluttocome demón lanciossi, rivolgendoopre orrende nel cor. Menava a cerchioil terribile acciar; s'udìa lugùbredei trafitti il lamento, e tinta in rossol'onda correa. Qual fugge innanzi al vastodelfin la torma del minuto pesce,che di tranquillo porto si riparanei recessi atterrito, ed ei n'ingoiaquanti ne giunge: paurosi i Teucricosì ne' greti s'ascondean del fiume.Poiché stanca d'ucciderli il Pelìdesentì la destra, dodici ne presevivi e di scelta gioventù, che il fiodovean pagargli dell'estinto amico.Stupidi per terror come cervettifuor degli antri ei li tira, e co' politicuoi di che strette avean le gonne, a tuttidietro annoda le mani, e a' suoi compagnionde trarli alle navi li commette.Vago ei poscia di stragi in mezzo all'acquediessi di nuovo impetuoso, e il figliodel dardànide Prìamo Licaonegli occorse in quella che fuggìa dal fiume.Ne' paterni poderi un'altra volta,venutovi notturno, egli l'aveasorpreso e seco a viva forza addutto

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alle mirìci la pelìaca antenna,strinse l'eroe la spada, e dentro il fluttocome demón lanciossi, rivolgendoopre orrende nel cor. Menava a cerchioil terribile acciar; s'udìa lugùbredei trafitti il lamento, e tinta in rossol'onda correa. Qual fugge innanzi al vastodelfin la torma del minuto pesce,che di tranquillo porto si riparanei recessi atterrito, ed ei n'ingoiaquanti ne giunge: paurosi i Teucricosì ne' greti s'ascondean del fiume.Poiché stanca d'ucciderli il Pelìdesentì la destra, dodici ne presevivi e di scelta gioventù, che il fiodovean pagargli dell'estinto amico.Stupidi per terror come cervettifuor degli antri ei li tira, e co' politicuoi di che strette avean le gonne, a tuttidietro annoda le mani, e a' suoi compagnionde trarli alle navi li commette.Vago ei poscia di stragi in mezzo all'acquediessi di nuovo impetuoso, e il figliodel dardànide Prìamo Licaonegli occorse in quella che fuggìa dal fiume.Ne' paterni poderi un'altra volta,venutovi notturno, egli l'aveasorpreso e seco a viva forza addutto

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mentre inaccorto con tagliente accettai nuovi rami recidendo stavadi selvatico fico, onde foggiarnedi bel carro il contorno: all'improvvistagli fu sopra in quell'opra il divo Achille,che trattolo alle navi in Lenno il cesseper prezzo al figlio di Giasone Eunèo.Ospite poi d'Eunèo con molti donine fe' riscatto l'imbrio Eezióne,che in Arisba il mandò. Di là fuggitonascostamente, alle paterne caseavea fatto ritorno, e già la luceundecima splendea, che con gli amicisi ricreava di servaggio uscito;quando di nuovo il dodicesmo giornoun Dio nemico tra le mani il posedel terribile Achille, onde invïarlosuo malgrado alle porte atre di Pluto.Riguardollo il Pelìde; e siccom'eranudo la fronte (ché celata e scudoe lancia e tutto avea gittato oppressodalla fatica nel fuggir dal fiume,e vacillava di stanchezza il piede),lo riconobbe, e irato in suo cor disse:Quale agli occhi mi vien strano portento?Che sì che i Teucri dal mio ferro ancisitornan dall'ombre di Cocito al giorno!Come vivo costui? come, venduto

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mentre inaccorto con tagliente accettai nuovi rami recidendo stavadi selvatico fico, onde foggiarnedi bel carro il contorno: all'improvvistagli fu sopra in quell'opra il divo Achille,che trattolo alle navi in Lenno il cesseper prezzo al figlio di Giasone Eunèo.Ospite poi d'Eunèo con molti donine fe' riscatto l'imbrio Eezióne,che in Arisba il mandò. Di là fuggitonascostamente, alle paterne caseavea fatto ritorno, e già la luceundecima splendea, che con gli amicisi ricreava di servaggio uscito;quando di nuovo il dodicesmo giornoun Dio nemico tra le mani il posedel terribile Achille, onde invïarlosuo malgrado alle porte atre di Pluto.Riguardollo il Pelìde; e siccom'eranudo la fronte (ché celata e scudoe lancia e tutto avea gittato oppressodalla fatica nel fuggir dal fiume,e vacillava di stanchezza il piede),lo riconobbe, e irato in suo cor disse:Quale agli occhi mi vien strano portento?Che sì che i Teucri dal mio ferro ancisitornan dall'ombre di Cocito al giorno!Come vivo costui? come, venduto

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già tempo in Lenno, del frapposto marepoté l'onda passar che a tutti è freno?Or ben, dell'asta mia gusti la punta.Vedrem s'ei torna di là pure, ovverose l'alma terra che ritien costrettianche i più forti, riterrà costui.Queste cose ei discorre in suo segretosenza far passo. Sbigottito intantoLicaon s'avvicina desïosod'abbracciargli i ginocchi, e al nero artigliodella Parca involarsi. Alza il Pelìdela lunga lancia per ferir; ma quellogli si fa sotto a tutto corso, e chinoatterrasi al suo piè. Divincolandol'asta sul capo gli trapassa, e in terrasitibonda di sangue si conficca.Supplichevole allor coll'una manole ginocchia gli stringe il meschinello,coll'altra gli rattien l'asta confitta,né l'abbandona, e tuttavia pregando,Deh ferma, ei grida: umilemente io toccole tue ginocchia, Achille: ah, mi rispetta;miserere di me: pensa che sacrotuo supplice son io, pensa, o divinogerme di Giove, che nudrito fuidel tuo pane quel dì che nel paternopoder tua preda mi facesti, e trattolungi dal padre e dagli amici in Lenno,

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già tempo in Lenno, del frapposto marepoté l'onda passar che a tutti è freno?Or ben, dell'asta mia gusti la punta.Vedrem s'ei torna di là pure, ovverose l'alma terra che ritien costrettianche i più forti, riterrà costui.Queste cose ei discorre in suo segretosenza far passo. Sbigottito intantoLicaon s'avvicina desïosod'abbracciargli i ginocchi, e al nero artigliodella Parca involarsi. Alza il Pelìdela lunga lancia per ferir; ma quellogli si fa sotto a tutto corso, e chinoatterrasi al suo piè. Divincolandol'asta sul capo gli trapassa, e in terrasitibonda di sangue si conficca.Supplichevole allor coll'una manole ginocchia gli stringe il meschinello,coll'altra gli rattien l'asta confitta,né l'abbandona, e tuttavia pregando,Deh ferma, ei grida: umilemente io toccole tue ginocchia, Achille: ah, mi rispetta;miserere di me: pensa che sacrotuo supplice son io, pensa, o divinogerme di Giove, che nudrito fuidel tuo pane quel dì che nel paternopoder tua preda mi facesti, e trattolungi dal padre e dagli amici in Lenno,

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di cento buoi ti valsi il prezzo, ed oratre volte tanti io ti varrò redento.È questa a me la dodicesma aurorache dopo molti affanni in Ilio giunsi,ed ecco che crudel fato mi mettein tuo poter: ciò chiaro assai mi mostrache in odio a Giove io sono. Ahi! che a ben cortavita la madre a partorir mi venne,la madre Laotòe d'Alte figliuola,di quell'Alte che vecchio ai bellicosiLelegi impera, e tien suo seggio al fiumeSatnïoente nell'eccelsa Pèdaso.Di questo ebbe la figlia il re troianofra le molte sue spose, e due nascemmodi lei, serbati a insanguinarti il ferro.E l'un tra i fanti della prima frontegià domasti coll'asta, il generosomio fratel Polidoro, ed or me pureria sorte attende; ché non io già spero,poiché nemico mi vi spinse un Dio,le tue mani sfuggir. E nondimenonuovo un prego ti porgo, e tu del corela via gli schiudi. Non volermi, Achille,trucidar: d'uno stesso alvo io non nacquicon Ettor che t'ha morto il caro amico.Così pregava umìl di Prìamo il figlio;ma dispietata la risposta intese.Non parlar, stolto, di riscatto, e taci.

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di cento buoi ti valsi il prezzo, ed oratre volte tanti io ti varrò redento.È questa a me la dodicesma aurorache dopo molti affanni in Ilio giunsi,ed ecco che crudel fato mi mettein tuo poter: ciò chiaro assai mi mostrache in odio a Giove io sono. Ahi! che a ben cortavita la madre a partorir mi venne,la madre Laotòe d'Alte figliuola,di quell'Alte che vecchio ai bellicosiLelegi impera, e tien suo seggio al fiumeSatnïoente nell'eccelsa Pèdaso.Di questo ebbe la figlia il re troianofra le molte sue spose, e due nascemmodi lei, serbati a insanguinarti il ferro.E l'un tra i fanti della prima frontegià domasti coll'asta, il generosomio fratel Polidoro, ed or me pureria sorte attende; ché non io già spero,poiché nemico mi vi spinse un Dio,le tue mani sfuggir. E nondimenonuovo un prego ti porgo, e tu del corela via gli schiudi. Non volermi, Achille,trucidar: d'uno stesso alvo io non nacquicon Ettor che t'ha morto il caro amico.Così pregava umìl di Prìamo il figlio;ma dispietata la risposta intese.Non parlar, stolto, di riscatto, e taci.

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Pria che Patròclo il dì fatal compiesse,erami dolce il perdonar de' Teucrialla vita, e di vivi assai ne presi,ed assai ne vendetti: ora di quantifia che ne mandi alle mie mani Iddio,nessun da morte scamperà, nessunode' Teucri, e meno del tuo padre i figli.Muori dunque tu pur. Perché sì piangi?Morì Patròclo che miglior ben era.E me bello qual vedi e valorosoe di gran padre nato e di una Diva,me pur la morte ad ogni istante aspetta,e di lancia o di strale un qualchedunoanche ad Achille rapirà la vita.Sentì mancarsi le ginocchia e il corea quel dir l'infelice, e abbandonatal'asta, accosciossi coll'aperte braccia.Strinse Achille la spada, e alla giunturalo percosse del collo. Addentro tuttogli si nascose l'affilato acciaro,e boccon egli cadde in sul terrenosteso in lago di sangue. Allor d'un piedepresolo Achille, lo gittò nell'onda,e con acerbo insulto, Or qui ti giaci,disse, tra' pesci che di tua feritail negro sangue lambiran securi.Né te la madre sul funereo lettopiangerà, ma del mar nell'ampio seno

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Pria che Patròclo il dì fatal compiesse,erami dolce il perdonar de' Teucrialla vita, e di vivi assai ne presi,ed assai ne vendetti: ora di quantifia che ne mandi alle mie mani Iddio,nessun da morte scamperà, nessunode' Teucri, e meno del tuo padre i figli.Muori dunque tu pur. Perché sì piangi?Morì Patròclo che miglior ben era.E me bello qual vedi e valorosoe di gran padre nato e di una Diva,me pur la morte ad ogni istante aspetta,e di lancia o di strale un qualchedunoanche ad Achille rapirà la vita.Sentì mancarsi le ginocchia e il corea quel dir l'infelice, e abbandonatal'asta, accosciossi coll'aperte braccia.Strinse Achille la spada, e alla giunturalo percosse del collo. Addentro tuttogli si nascose l'affilato acciaro,e boccon egli cadde in sul terrenosteso in lago di sangue. Allor d'un piedepresolo Achille, lo gittò nell'onda,e con acerbo insulto, Or qui ti giaci,disse, tra' pesci che di tua feritail negro sangue lambiran securi.Né te la madre sul funereo lettopiangerà, ma del mar nell'ampio seno

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ti trarrà lo Scamandro impetuoso,e là qualcuno del guizzante armentoti salterà dintorno, e sotto l'atrecrespe dell'onda l'adipose polpedi Licaon si roderà. Possiatecosì tutti perir finché del sacroIlio sia nostra la città, voi semprefuggendo, e io sempre colle stragi al tergo.Né gioveranvi i vortici di questoargenteo fiume a cui di molti torifate sovente sacrificio, e vivigettar solete i corridor nell'onda.Né per questo sarà che non vi tocchidi rio fato perir, finché la mortedi Patroclo sia sconta e in un la strageche, me lontano, degli Achei faceste.Dagl'imi gorghi udì Xanto d'Achillele superbe parole, e d'alto sdegnofremendo, divisava in suo pensierocome alla furia dell'eroe por modo,e de' Teucri impedir l'ultimo danno.Intanto il figlio di Pelèo branditaa nuove stragi la gran lancia, assalseAsteropèo, figliuol di Pelegone,di Pelegon cui l'Assio ampio-correntegenerò Dio commisto a Peribèa,d'Acessameno la maggior fanciulla.A costui si fe' sopra il grande Achille,

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ti trarrà lo Scamandro impetuoso,e là qualcuno del guizzante armentoti salterà dintorno, e sotto l'atrecrespe dell'onda l'adipose polpedi Licaon si roderà. Possiatecosì tutti perir finché del sacroIlio sia nostra la città, voi semprefuggendo, e io sempre colle stragi al tergo.Né gioveranvi i vortici di questoargenteo fiume a cui di molti torifate sovente sacrificio, e vivigettar solete i corridor nell'onda.Né per questo sarà che non vi tocchidi rio fato perir, finché la mortedi Patroclo sia sconta e in un la strageche, me lontano, degli Achei faceste.Dagl'imi gorghi udì Xanto d'Achillele superbe parole, e d'alto sdegnofremendo, divisava in suo pensierocome alla furia dell'eroe por modo,e de' Teucri impedir l'ultimo danno.Intanto il figlio di Pelèo branditaa nuove stragi la gran lancia, assalseAsteropèo, figliuol di Pelegone,di Pelegon cui l'Assio ampio-correntegenerò Dio commisto a Peribèa,d'Acessameno la maggior fanciulla.A costui si fe' sopra il grande Achille,

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e quei del fiume uscendo ad incontrarlocon due lance ne venne. Animo e forzagli avea messo nel cor lo Xanto iratope' tanti in mezzo alle sue limpid'ondegiovani prodi dal Pelìde uccisispietatamente. Avvicinati entrambi,disse Achille primiero: Chi se' tuch'osi farmiti incontro, e di che gente?Chi m'attenta è figliuol d'un infelice.E a lui di Pelegon l'inclita prole:Magnanimo Pelìde, a che mi chiedidel mio lignaggio? Dai remoti campidella Peonia qua ne venni (è questogià l'undecimo sole), e alla battagliaguido i Peonii dalle lunghe picche.Del nostro sangue è autor l'Assio di largabellissima corrente, e genitoredel bellicoso Pelegon. Di questoio nacqui, e basta. Or mano all'armi, o prode.All'altere minacce alto sollevail divo Achille la pelìaca trave.Fassi avanti del par con due gran telil'ambidestro campione Asteropèo.Coglie col primo l'inimico scudo,ma nol giunge a forar, ché l'aurea squamalo vieta, opra d'un Dio: sfiora coll'altroil destro braccio dell'eroe, di nerosangue lo sprizza, e dopo lui si figge

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e quei del fiume uscendo ad incontrarlocon due lance ne venne. Animo e forzagli avea messo nel cor lo Xanto iratope' tanti in mezzo alle sue limpid'ondegiovani prodi dal Pelìde uccisispietatamente. Avvicinati entrambi,disse Achille primiero: Chi se' tuch'osi farmiti incontro, e di che gente?Chi m'attenta è figliuol d'un infelice.E a lui di Pelegon l'inclita prole:Magnanimo Pelìde, a che mi chiedidel mio lignaggio? Dai remoti campidella Peonia qua ne venni (è questogià l'undecimo sole), e alla battagliaguido i Peonii dalle lunghe picche.Del nostro sangue è autor l'Assio di largabellissima corrente, e genitoredel bellicoso Pelegon. Di questoio nacqui, e basta. Or mano all'armi, o prode.All'altere minacce alto sollevail divo Achille la pelìaca trave.Fassi avanti del par con due gran telil'ambidestro campione Asteropèo.Coglie col primo l'inimico scudo,ma nol giunge a forar, ché l'aurea squamalo vieta, opra d'un Dio: sfiora coll'altroil destro braccio dell'eroe, di nerosangue lo sprizza, e dopo lui si figge

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di maggior piaga desïoso in terra.Fe' secondo volar contro il nemicola sua lancia il Pelìde, intento tuttoa trapassargli il cor, ma colse in fallo:colse la ripa, e mezzo infitto in quellail gran fusto restò. Dal fianco alloratrasse Achille la spada, e furibondoassalse Asteropèo che invan dall'altasponda si studia di sferrar d'Achilleil frassino: tre volte egli lo scossecolla robusta mano, e lui tre voltela forza abbandonò. Mentre s'accingead incurvarlo colla quarta provae spezzarlo, d'Achille il folgorantebrando il prevenne arrecator di morte.Lo percosse nell'epa all'ombelico;n'andâr per terra gl'intestini; in negracaligine ravvolti ei chiuse i lumi,e spirò. L'uccisor gli calca il petto,lo dispoglia dell'armi, e sì l'insulta:Statti così, meschino, e benché natod'un fiume, impara che il cozzar co' figlidel saturnio signor t'è dura impresa.Tu dell'Assio che larghe ha le correntiti lodavi rampollo, ed io di Giovesangue mi vanto, e generommi il prodeEàcide Pelèo che i numerosiMirmidóni corregge, e discendea

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di maggior piaga desïoso in terra.Fe' secondo volar contro il nemicola sua lancia il Pelìde, intento tuttoa trapassargli il cor, ma colse in fallo:colse la ripa, e mezzo infitto in quellail gran fusto restò. Dal fianco alloratrasse Achille la spada, e furibondoassalse Asteropèo che invan dall'altasponda si studia di sferrar d'Achilleil frassino: tre volte egli lo scossecolla robusta mano, e lui tre voltela forza abbandonò. Mentre s'accingead incurvarlo colla quarta provae spezzarlo, d'Achille il folgorantebrando il prevenne arrecator di morte.Lo percosse nell'epa all'ombelico;n'andâr per terra gl'intestini; in negracaligine ravvolti ei chiuse i lumi,e spirò. L'uccisor gli calca il petto,lo dispoglia dell'armi, e sì l'insulta:Statti così, meschino, e benché natod'un fiume, impara che il cozzar co' figlidel saturnio signor t'è dura impresa.Tu dell'Assio che larghe ha le correntiti lodavi rampollo, ed io di Giovesangue mi vanto, e generommi il prodeEàcide Pelèo che i numerosiMirmidóni corregge, e discendea

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Eaco da Giove. Or quanto è questo Diomaggior de' fiumi che nel vasto grembodevolvonsi del mar, tanto sua stirpela stirpe avanza che da lor procede.Eccoti innanzi un alto fiume, il Xanto;di' che ti porga, se lo puote, aita.Ma che puot'egli contra Giove a cuiné il regale Achelòo né la gran possadel profondo Oceàno si pareggia?E l'Oceàn che a tutti e fiumi e marie fonti e laghi è genitor, pur eglidella folgore trema, e dell'orrendofragor che mette del gran Giove il tuono.Sì dicendo, divelse dalla ripala ferrea lancia, e su la sabbia stesol'esamine lasciò. Bruna il bagnavala corrente, e famelici dintornoaffollavansi i pesci a divorarlo.Visto il forte lor duce Asteropèocader domato dal Pelìde, in fugaspaventati si volsero i Peoniilungo il rapido fiume, flagellandoprontamente i corsier. Gl'insegue Achillee Tersìloco uccide e Trasio e Mneso,Enio, Midone, Astìpilo, Ofeleste,e più n'avrìa trafitti il valoroso,se irato il fiume dai profondi gorghinon levava in mortal forma la fronte

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Eaco da Giove. Or quanto è questo Diomaggior de' fiumi che nel vasto grembodevolvonsi del mar, tanto sua stirpela stirpe avanza che da lor procede.Eccoti innanzi un alto fiume, il Xanto;di' che ti porga, se lo puote, aita.Ma che puot'egli contra Giove a cuiné il regale Achelòo né la gran possadel profondo Oceàno si pareggia?E l'Oceàn che a tutti e fiumi e marie fonti e laghi è genitor, pur eglidella folgore trema, e dell'orrendofragor che mette del gran Giove il tuono.Sì dicendo, divelse dalla ripala ferrea lancia, e su la sabbia stesol'esamine lasciò. Bruna il bagnavala corrente, e famelici dintornoaffollavansi i pesci a divorarlo.Visto il forte lor duce Asteropèocader domato dal Pelìde, in fugaspaventati si volsero i Peoniilungo il rapido fiume, flagellandoprontamente i corsier. Gl'insegue Achillee Tersìloco uccide e Trasio e Mneso,Enio, Midone, Astìpilo, Ofeleste,e più n'avrìa trafitti il valoroso,se irato il fiume dai profondi gorghinon levava in mortal forma la fronte

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con questo grido: Achille, tu di forzaogni altro vinci, è ver, ma il vinci insiemedi fatti indegni, e troppo insuperbiscidel favor degli Dei che sempre hai teco.Se ti concesse di Saturno il figliodi tutti i Troi la morte, dal mio lettocacciali, e in campo almen fa tue prodezze.Di cadaveri e d'armi ingombra è tuttala mia bella corrente, ed impeditada tante salme aprirsi al mar la viapiù non puote; e tu segui a farle intoppodi nuova strage. Orsù, desisti, o fieroprence, e ti basti il mio stupor. - Scamandrofiglio di Giove, gli rispose Achille,sia che vuoi; ma non io degli spergiuriTeucri l'eccidio cesserò, se priadentr'Ilio non li chiudo, e corpo a corponon mi cimento con Ettòr. Qui deverestar privo di vita od esso od io.Sì dicendo, coll'impeto d'un numeavventossi ai Troiani. Allor si volseXanto ad Apollo: Saettante iddio,Giove fatto t'avea l'alto comandodi dar soccorso ai Teucri insin che giungala sera, e il volto della terra adombri.E tu del padre non adempi il cenno?Mentr'egli sì dicea, l'audace Achillesi scagliò dalla ripa in mezzo al fiume.

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con questo grido: Achille, tu di forzaogni altro vinci, è ver, ma il vinci insiemedi fatti indegni, e troppo insuperbiscidel favor degli Dei che sempre hai teco.Se ti concesse di Saturno il figliodi tutti i Troi la morte, dal mio lettocacciali, e in campo almen fa tue prodezze.Di cadaveri e d'armi ingombra è tuttala mia bella corrente, ed impeditada tante salme aprirsi al mar la viapiù non puote; e tu segui a farle intoppodi nuova strage. Orsù, desisti, o fieroprence, e ti basti il mio stupor. - Scamandrofiglio di Giove, gli rispose Achille,sia che vuoi; ma non io degli spergiuriTeucri l'eccidio cesserò, se priadentr'Ilio non li chiudo, e corpo a corponon mi cimento con Ettòr. Qui deverestar privo di vita od esso od io.Sì dicendo, coll'impeto d'un numeavventossi ai Troiani. Allor si volseXanto ad Apollo: Saettante iddio,Giove fatto t'avea l'alto comandodi dar soccorso ai Teucri insin che giungala sera, e il volto della terra adombri.E tu del padre non adempi il cenno?Mentr'egli sì dicea, l'audace Achillesi scagliò dalla ripa in mezzo al fiume.

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Il fiume allor si rabbuffò, gonfiossi,intorbidossi, e furïando sciolsea tutte l'onde il freno: urtò la stipade' cadaveri opposti, e li respinse,mugghiando come tauro, alla pianura,servati i vivi ed occultati in senoa' suoi vasti recessi. Orrenda intornoal Pelìde ruggìa la torbid'onda,e gli urtava lo scudo impetuosa,sì ch'ei fermarsi non potea su i piedi.A un eccelso e grand'olmo alfin s'appresecolle robuste mani, ma diveltadalle radici ruinò la pianta,seco trasse la ripa, e coi prostratifolti rami la fiera onda rattenne,e le sponde congiunse come ponte.Fuor balza allor l'eroe dalla vorago,e, messe l'ali al piè, nel campo volasbigottito. Nè il Dio perciò si resta,ma colmo e negro rinforzando il fluttovie più gonfio l'insegue, onde di Marterintuzzargli le furie, e de' Troianil'eccidio allontanar. Diè un salto Achillequanto è il tratto d'un'asta, ed il suo corsosomigliava il volar di cacciatriceaquila fosca che i volanti tuttidi forza vince e di prestezza. Il bronzodell'usbergo gli squilla orribilmente

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Il fiume allor si rabbuffò, gonfiossi,intorbidossi, e furïando sciolsea tutte l'onde il freno: urtò la stipade' cadaveri opposti, e li respinse,mugghiando come tauro, alla pianura,servati i vivi ed occultati in senoa' suoi vasti recessi. Orrenda intornoal Pelìde ruggìa la torbid'onda,e gli urtava lo scudo impetuosa,sì ch'ei fermarsi non potea su i piedi.A un eccelso e grand'olmo alfin s'appresecolle robuste mani, ma diveltadalle radici ruinò la pianta,seco trasse la ripa, e coi prostratifolti rami la fiera onda rattenne,e le sponde congiunse come ponte.Fuor balza allor l'eroe dalla vorago,e, messe l'ali al piè, nel campo volasbigottito. Nè il Dio perciò si resta,ma colmo e negro rinforzando il fluttovie più gonfio l'insegue, onde di Marterintuzzargli le furie, e de' Troianil'eccidio allontanar. Diè un salto Achillequanto è il tratto d'un'asta, ed il suo corsosomigliava il volar di cacciatriceaquila fosca che i volanti tuttidi forza vince e di prestezza. Il bronzodell'usbergo gli squilla orribilmente

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sul vasto petto; con obliqua fugascappar dal fiume ei tenta, e il fiume a tergocon più spesse e sonanti onde l'incalza.Come quando per l'orto e pe' filaridi liete piante il fontanier deducedi limpida sorgente un ruscelletto,e, la marra alla man, sgombra gl'intoppialla rapida linfa che correndoi lapilli rimescola, e si volvegiù per la china gorgogliando, e avanzapur chi la guida: così sempre inseguel'alto flutto il Pelìde, e lo raggiungebenché presto di piè: ché non resistemortal virtude all'immortal. Quantunquevolte la fronte gli converse il forte,mirando se giurati a porlo in fugatutti fosser gli Dei, tante il sovranofiotto del fiume gli avvolgea le spalle.Conturbato nell'alma egli non cessad'espedirsi e saltar verso la riva,ma con rapide ruote il fiero fiumesottentrato gli snerva le ginocchia,e di costa aggirandolo, gli rubadi sotto ai piedi la fuggente arena.Levò lo sguardo al cielo il generoso,ed urlò: Giove padre, adunque nullode' numi aita l'infelice Achillecontro quest'onda! Ah ch'io la fugga, e poi

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sul vasto petto; con obliqua fugascappar dal fiume ei tenta, e il fiume a tergocon più spesse e sonanti onde l'incalza.Come quando per l'orto e pe' filaridi liete piante il fontanier deducedi limpida sorgente un ruscelletto,e, la marra alla man, sgombra gl'intoppialla rapida linfa che correndoi lapilli rimescola, e si volvegiù per la china gorgogliando, e avanzapur chi la guida: così sempre inseguel'alto flutto il Pelìde, e lo raggiungebenché presto di piè: ché non resistemortal virtude all'immortal. Quantunquevolte la fronte gli converse il forte,mirando se giurati a porlo in fugatutti fosser gli Dei, tante il sovranofiotto del fiume gli avvolgea le spalle.Conturbato nell'alma egli non cessad'espedirsi e saltar verso la riva,ma con rapide ruote il fiero fiumesottentrato gli snerva le ginocchia,e di costa aggirandolo, gli rubadi sotto ai piedi la fuggente arena.Levò lo sguardo al cielo il generoso,ed urlò: Giove padre, adunque nullode' numi aita l'infelice Achillecontro quest'onda! Ah ch'io la fugga, e poi

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contento patirò qualsia sventura.Ma nullo ha colpa de' Celesti mecoquanto la madre mia che di menzognemi lattò, profetando che di Troiasotto le mura perirei trafittodagli strali d'Apollo! Oh foss'io mortosotto i colpi d'Ettorre, il più gagliardoche qui si crebbe! Avrìa rapito un forted'un altro forte almen l'armi e la vita.Or vuole il Fato che sommerso io perad'oscura morte, ohimè! come fanciullodi mandre guardian cui ne' piovositempi il torrente, nel guardarlo, affoga.Accorsero veloci al suo lamento,e appressârsi all'eroe Palla e Nettunnoin sembianza mortal: lo confortaro,il presero per mano, e della terrasì disse il grande scotitor: Pelìde,non trepidar: qui siamo in tua difesadue gran Divi, Minerva ed io Nettunno,né Giove il vieta, né dal Fato è fissoche ti conquida un fiume; e tu di questovedrai tra poco abbonacciarsi il flutto.Un saggio avviso porgeremti intanto,se obbedirne vorrai. Dalla battaglianon ti ristar se pria dentro le muradell'alta Troia non rinserri i Teucriquanti potranno dalla man fuggirti,

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contento patirò qualsia sventura.Ma nullo ha colpa de' Celesti mecoquanto la madre mia che di menzognemi lattò, profetando che di Troiasotto le mura perirei trafittodagli strali d'Apollo! Oh foss'io mortosotto i colpi d'Ettorre, il più gagliardoche qui si crebbe! Avrìa rapito un forted'un altro forte almen l'armi e la vita.Or vuole il Fato che sommerso io perad'oscura morte, ohimè! come fanciullodi mandre guardian cui ne' piovositempi il torrente, nel guardarlo, affoga.Accorsero veloci al suo lamento,e appressârsi all'eroe Palla e Nettunnoin sembianza mortal: lo confortaro,il presero per mano, e della terrasì disse il grande scotitor: Pelìde,non trepidar: qui siamo in tua difesadue gran Divi, Minerva ed io Nettunno,né Giove il vieta, né dal Fato è fissoche ti conquida un fiume; e tu di questovedrai tra poco abbonacciarsi il flutto.Un saggio avviso porgeremti intanto,se obbedirne vorrai. Dalla battaglianon ti ristar se pria dentro le muradell'alta Troia non rinserri i Teucriquanti potranno dalla man fuggirti,

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né alle navi tornar che spento Ettorre:noi ti daremo di sua morte il vanto.Disparvero, ciò detto, e ai congiuratiNumi tornâr. Riconfortato Achilledal celeste comando, in mezzo al campoprecipitossi. Il campo era già tuttouna vasta palude in cui dispersede' trafitti nuotavano le bellearmature e le salme. Alto al Pelìdesaltavano i ginocchi, ed ei direttola fiumana rompea, che a rattenerlopiù non bastava: perocché Minervagli avea nel petto una gran forza infuso.Né rallentò per questo lo Scamandrogl'impeti suoi, ma più che pria sdegnosocontro il Pelìde sollevossi in altoarricciando le spume, e al Simoenta,destandolo, gridò queste parole:Caro germano, ad affrenar vien mecola costui furia, o le dardànie torrivedrai tosto atterrate, e tolta ai Teucridi resister la speme. Or tu deh corriveloce in mio soccorso, apri le fonti,tutti gonfia i tuoi rivi, e con superbeonde t'innalza e tronchi aduna e sassi,e con fracasso ruotali nel pettodi questo immane guastator che tentauguagliarsi agli Dei. Ben io t'affermo

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né alle navi tornar che spento Ettorre:noi ti daremo di sua morte il vanto.Disparvero, ciò detto, e ai congiuratiNumi tornâr. Riconfortato Achilledal celeste comando, in mezzo al campoprecipitossi. Il campo era già tuttouna vasta palude in cui dispersede' trafitti nuotavano le bellearmature e le salme. Alto al Pelìdesaltavano i ginocchi, ed ei direttola fiumana rompea, che a rattenerlopiù non bastava: perocché Minervagli avea nel petto una gran forza infuso.Né rallentò per questo lo Scamandrogl'impeti suoi, ma più che pria sdegnosocontro il Pelìde sollevossi in altoarricciando le spume, e al Simoenta,destandolo, gridò queste parole:Caro germano, ad affrenar vien mecola costui furia, o le dardànie torrivedrai tosto atterrate, e tolta ai Teucridi resister la speme. Or tu deh corriveloce in mio soccorso, apri le fonti,tutti gonfia i tuoi rivi, e con superbeonde t'innalza e tronchi aduna e sassi,e con fracasso ruotali nel pettodi questo immane guastator che tentauguagliarsi agli Dei. Ben io t'affermo

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che né bellezza gli varrà, né forza,né quel divin suo scudo, che di limogiacerà ricoperto in qualche gorgovoraginoso. Ed io di negra sabbiainvolverò lui stesso, e tale un montedi ghiaia immenso e di pattume intornogli verserò, gli ammasserò, che l'ossagli Achei raccorne non potran: cotantala belletta sarà che lo nasconda.Fia questo il suo sepolcro, onde non v'abbiamestier di fossa nell'esequie sue.Disse, ed alto insorgendo e d'atre spumeribollendo e di sangue e corpi estinti,con tempesta piombò sopra il Pelìde.E già la sollevata onda vermigliaoccupava l'eroe, quando temendoche vorticoso nol rapisca il fiume,diè Giuno un alto grido, ed a VulcanoSorgi, disse, mio figlio; a te si spettapugnar col Xanto: non tardar, risvegliale tremende tue fiamme. Io di Ponentee di Noto a destar dalla marinavo le gravi procelle, onde l'incendioper lor cresciuto i corpi involva e l'armede' Troiani, e le bruci. E tu del Xantolungo il margo le piante incenerisci,fa che avvampi egli stesso; e non lasciartiné per minacce né per dolci preghi

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che né bellezza gli varrà, né forza,né quel divin suo scudo, che di limogiacerà ricoperto in qualche gorgovoraginoso. Ed io di negra sabbiainvolverò lui stesso, e tale un montedi ghiaia immenso e di pattume intornogli verserò, gli ammasserò, che l'ossagli Achei raccorne non potran: cotantala belletta sarà che lo nasconda.Fia questo il suo sepolcro, onde non v'abbiamestier di fossa nell'esequie sue.Disse, ed alto insorgendo e d'atre spumeribollendo e di sangue e corpi estinti,con tempesta piombò sopra il Pelìde.E già la sollevata onda vermigliaoccupava l'eroe, quando temendoche vorticoso nol rapisca il fiume,diè Giuno un alto grido, ed a VulcanoSorgi, disse, mio figlio; a te si spettapugnar col Xanto: non tardar, risvegliale tremende tue fiamme. Io di Ponentee di Noto a destar dalla marinavo le gravi procelle, onde l'incendioper lor cresciuto i corpi involva e l'armede' Troiani, e le bruci. E tu del Xantolungo il margo le piante incenerisci,fa che avvampi egli stesso; e non lasciartiné per minacce né per dolci preghi

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svolger dall'opra, né allentar la forzas'io non ten porga con un grido il segno.Frena allora gl'incendii e ti ritira.Ciò detto appena, un vasto foco acceseVulcano, e lo scagliò. Si sparse quelloprima pel campo, e i tanti, di che pienoil Pelìde l'avea, morti combusse.Si dileguâr le limpid'acque, e tuttoseccossi il pian, qual suole in un istanted'autunnale aquilon sciugarsi al soffiol'orto irrigato di recente, e in corene gode il suo cultor. Seccato il campo,e combusti i cadaveri, si volsecontro il fiume la vampa. Ardean stridendoi salci e gli olmi e i tamarigi, ardeail loto e l'alga ed il cipero in moltacopia cresciuti su la verde ripa.Dal caldo spirto di Vulcano afflitti,e qua e là per le belle onde dispersiguizzano i pesci. Il cupo fiume istessos'infoca, e in voce dolorosa esclama:Vulcano, al tuo poter nullo resistede' numi: io cedo alle tue fiamme. Ah cessadalla contesa: immantinente Achillescacci pur tutti di cittade i Teucri;di soccorsi e di risse a me che cale? -Così rïarso dalle fiamme ei parla.Come ferve a gran fuoco ampio lebète

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svolger dall'opra, né allentar la forzas'io non ten porga con un grido il segno.Frena allora gl'incendii e ti ritira.Ciò detto appena, un vasto foco acceseVulcano, e lo scagliò. Si sparse quelloprima pel campo, e i tanti, di che pienoil Pelìde l'avea, morti combusse.Si dileguâr le limpid'acque, e tuttoseccossi il pian, qual suole in un istanted'autunnale aquilon sciugarsi al soffiol'orto irrigato di recente, e in corene gode il suo cultor. Seccato il campo,e combusti i cadaveri, si volsecontro il fiume la vampa. Ardean stridendoi salci e gli olmi e i tamarigi, ardeail loto e l'alga ed il cipero in moltacopia cresciuti su la verde ripa.Dal caldo spirto di Vulcano afflitti,e qua e là per le belle onde dispersiguizzano i pesci. Il cupo fiume istessos'infoca, e in voce dolorosa esclama:Vulcano, al tuo poter nullo resistede' numi: io cedo alle tue fiamme. Ah cessadalla contesa: immantinente Achillescacci pur tutti di cittade i Teucri;di soccorsi e di risse a me che cale? -Così rïarso dalle fiamme ei parla.Come ferve a gran fuoco ampio lebète

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in cui di verro saginato il pinguelombo si frolla; alla sonora vampacrescon forza di sotto i crepitantivirgulti, e l'onda d'ogni parte esulta:sì la bella del Xanto acqua infocatabolle, né puote più fluir consuntaed impedita dalla forza infestadell'ignifero Dio. Quindi a Giunonequell'offeso pregò con questi accenti:perché prese il tuo figlio, augusta Giuno,su l'altre a tormentar la mia corrente?Reo ti son forse più che gli altri tuttiprotettori de' Troi? Pur se il comandi,mi rimarrò, ma si rimanga anch'essoquesto nemico, e non sarà, lo giuro,mai de' Teucri per me conteso il fato,no, s'anco tutta per la man dovessede' forti Achivi andar Troia in faville.La Dea l'intese, ed a Vulcan rivolta,Férmati, disse, glorïoso figlio:dar cotanto martìr non si convieneper cagion de' mortali a un Immortale.Spense Vulcano della madre al cennoquell'incendio divino, e ne' bei riviretrograda tornò l'onda lucente.Domo il Xanto, quetârsi i due rivali,ché così Giuno comandò, quantunquecalda di sdegno; ma tra gli altri numi

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in cui di verro saginato il pinguelombo si frolla; alla sonora vampacrescon forza di sotto i crepitantivirgulti, e l'onda d'ogni parte esulta:sì la bella del Xanto acqua infocatabolle, né puote più fluir consuntaed impedita dalla forza infestadell'ignifero Dio. Quindi a Giunonequell'offeso pregò con questi accenti:perché prese il tuo figlio, augusta Giuno,su l'altre a tormentar la mia corrente?Reo ti son forse più che gli altri tuttiprotettori de' Troi? Pur se il comandi,mi rimarrò, ma si rimanga anch'essoquesto nemico, e non sarà, lo giuro,mai de' Teucri per me conteso il fato,no, s'anco tutta per la man dovessede' forti Achivi andar Troia in faville.La Dea l'intese, ed a Vulcan rivolta,Férmati, disse, glorïoso figlio:dar cotanto martìr non si convieneper cagion de' mortali a un Immortale.Spense Vulcano della madre al cennoquell'incendio divino, e ne' bei riviretrograda tornò l'onda lucente.Domo il Xanto, quetârsi i due rivali,ché così Giuno comandò, quantunquecalda di sdegno; ma tra gli altri numi

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più tremenda risurse la contesa.Scissi in due parti s'avanzâr sdegnosil'un contro l'altro con fracasso orrendo:ne muggì l'ampia terra, e le celestitube squillâr: sull'alte vette assisodell'Olimpo n'udì Giove il clangore,e il cor di gioia gli ridea mirandola divina tenzone: e già spariscetra gli eterni guerrieri ogn'intervallo.Truce di scudi forator diè Martele mosse, e primo colla lancia assalseMinerva, e ontoso favellò: Protervaaudacissima Dea, perché de' numil'ire attizzi così? Non ti ricordaquando a ferirmi concitasti il figliodi Tidèo Dïomede, e dirigendodella sua lancia tu medesma il colpo,lacerasti il mio corpo? Il tempo è giuntoche tu mi paghi dell'oltraggio il fio.Sì dicendo, avventò l'insanguinatoMarte il gran telo, e ne ferì l'orrendaegida, che di Giove anco resistealle saette. Si ritrasse indietrola Diva, e ratta colla man robustaun macigno afferrò, che negro e grandegiacea nel campo dalle prische gentiposto a confine di poder. Con questocolpì l'impetuoso iddio nel collo,

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più tremenda risurse la contesa.Scissi in due parti s'avanzâr sdegnosil'un contro l'altro con fracasso orrendo:ne muggì l'ampia terra, e le celestitube squillâr: sull'alte vette assisodell'Olimpo n'udì Giove il clangore,e il cor di gioia gli ridea mirandola divina tenzone: e già spariscetra gli eterni guerrieri ogn'intervallo.Truce di scudi forator diè Martele mosse, e primo colla lancia assalseMinerva, e ontoso favellò: Protervaaudacissima Dea, perché de' numil'ire attizzi così? Non ti ricordaquando a ferirmi concitasti il figliodi Tidèo Dïomede, e dirigendodella sua lancia tu medesma il colpo,lacerasti il mio corpo? Il tempo è giuntoche tu mi paghi dell'oltraggio il fio.Sì dicendo, avventò l'insanguinatoMarte il gran telo, e ne ferì l'orrendaegida, che di Giove anco resistealle saette. Si ritrasse indietrola Diva, e ratta colla man robustaun macigno afferrò, che negro e grandegiacea nel campo dalle prische gentiposto a confine di poder. Con questocolpì l'impetuoso iddio nel collo,

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e gli sciolse le membra. Ei cadde, e stesoingombrò sette jugeri; le chiomeinsozzârsi di polve, e orrendamentel'armi sul corpo gli tonâr. SorrisePallade, e altera l'insultò: Demente!che meco ardisci gareggiar, non vediquant'io t'avanzo di valor? Va, scontadi tua madre le furie, e dal suo sdegnomaggior castigo, dell'aver traditope' Teucri infidi i giusti Achei, t'aspetta.Così detto, le lucide pupillevolse altrove. Frattanto al Dio prostratoVenere accorse, per la mano il prese,e lui che grave sospira, e a faticariaver può gli spirti, altrove adduce.L'alma Giuno li vide, ed a Minerva,Guarda, disse, di Giove invitta figlia,guarda quella impudente: ella di nuovofuor dell'aspro conflitto via ne menaquell'omicida. Ah vola, e su lor piomba.Volò Minerva, e gl'inseguì. Di gioiail cor balzava, e fattasi lor sopra,colla terribil mano a Citereatal diè un tocco nel petto, che la stese:giaceano entrambi riversati, e alterasu lor Minerva glorïossi, e disse:Fosser tutti così questi di Troiaproteggitori a disfidar venuti

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e gli sciolse le membra. Ei cadde, e stesoingombrò sette jugeri; le chiomeinsozzârsi di polve, e orrendamentel'armi sul corpo gli tonâr. SorrisePallade, e altera l'insultò: Demente!che meco ardisci gareggiar, non vediquant'io t'avanzo di valor? Va, scontadi tua madre le furie, e dal suo sdegnomaggior castigo, dell'aver traditope' Teucri infidi i giusti Achei, t'aspetta.Così detto, le lucide pupillevolse altrove. Frattanto al Dio prostratoVenere accorse, per la mano il prese,e lui che grave sospira, e a faticariaver può gli spirti, altrove adduce.L'alma Giuno li vide, ed a Minerva,Guarda, disse, di Giove invitta figlia,guarda quella impudente: ella di nuovofuor dell'aspro conflitto via ne menaquell'omicida. Ah vola, e su lor piomba.Volò Minerva, e gl'inseguì. Di gioiail cor balzava, e fattasi lor sopra,colla terribil mano a Citereatal diè un tocco nel petto, che la stese:giaceano entrambi riversati, e alterasu lor Minerva glorïossi, e disse:Fosser tutti così questi di Troiaproteggitori a disfidar venuti

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i loricati Achei! Fossero tuttidi fermezza e d'ardir pari a Ciprignadi Marte aiutatrice e mia rivale!E noi, distrutte d'Ilïon le torri,già poste l'armi da gran tempo avremmo.Udì la Diva dalle bianche bracciail motteggio, e sorrise. A Febo alloradisse il sire del mar: Febo, già sonogli altri alle prese; e noi ci stiamo in posa?ciò del tutto sconviensi; onta sarìatornar di Giove ai rilucenti alberghisenza far d'armi paragon. Cominciatu minore d'età; ché non è belloa me, più saggio e antico, esser primiero.Oh povero di senno e d'intelletto!non ricordi più dunque i tanti affanniche noi da Giove ad esular costrettiintorno ad Ilio sopportammo insieme,noi soli e numi, allor che all'orgogliosoLaomedonte intero un anno a prezzopattuimmo il servir? Duri comandiil tiranno ne dava. Ed io di Troial'alta cittade edificai, di belleampie mura la cinsi, e di securibaluardi; e tu, Febo, alle selvoseidèe pendici pascolavi intantole cornigere mandre. Ma condottadalle grate Ore del servir la fine,

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i loricati Achei! Fossero tuttidi fermezza e d'ardir pari a Ciprignadi Marte aiutatrice e mia rivale!E noi, distrutte d'Ilïon le torri,già poste l'armi da gran tempo avremmo.Udì la Diva dalle bianche bracciail motteggio, e sorrise. A Febo alloradisse il sire del mar: Febo, già sonogli altri alle prese; e noi ci stiamo in posa?ciò del tutto sconviensi; onta sarìatornar di Giove ai rilucenti alberghisenza far d'armi paragon. Cominciatu minore d'età; ché non è belloa me, più saggio e antico, esser primiero.Oh povero di senno e d'intelletto!non ricordi più dunque i tanti affanniche noi da Giove ad esular costrettiintorno ad Ilio sopportammo insieme,noi soli e numi, allor che all'orgogliosoLaomedonte intero un anno a prezzopattuimmo il servir? Duri comandiil tiranno ne dava. Ed io di Troial'alta cittade edificai, di belleampie mura la cinsi, e di securibaluardi; e tu, Febo, alle selvoseidèe pendici pascolavi intantole cornigere mandre. Ma condottadalle grate Ore del servir la fine,

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ne frodò la mercede il re crudele,e minaccioso ne scacciò, giurandoche te di lacci avvinto e mani e piediin isola remota avrìa venduto,e mozze inoltre ad ambeduo l'orecchie.Frementi di rancor per la negatapattuita mercede, immantinentenoi ne partimmo. È questo forse il mertoch'or le sue genti a favorir ti move,anzi che nosco procurar di questifedìfraghi Troiani e de' lor figlie delle mogli la total ruina?Possente Enosigèo, rispose Apollo,stolto davvero ti parrei se tecoa cagion de' mortali io combattessi,che miseri e quai foglie or freschi sono,or languidi e appassiti. Usciamo adunquedel campo, e sia tra lor tutta la briga.Ciò detto, altrove s'avviò, né vollealle mani venir, per lo rispettodi quel Nume a lui zio. Ma la sorelladi belve agitatrice aspra Dïanacon acri motti il rampognò: Tu fuggi,tu che lunge saetti? e tutta cedisenza contrasto al re Nettun la palma?Vile! a che dunque nella man quell'arco?Ch'io non t'oda più mai nella paternareggia tra' numi, come pria, vantarti

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ne frodò la mercede il re crudele,e minaccioso ne scacciò, giurandoche te di lacci avvinto e mani e piediin isola remota avrìa venduto,e mozze inoltre ad ambeduo l'orecchie.Frementi di rancor per la negatapattuita mercede, immantinentenoi ne partimmo. È questo forse il mertoch'or le sue genti a favorir ti move,anzi che nosco procurar di questifedìfraghi Troiani e de' lor figlie delle mogli la total ruina?Possente Enosigèo, rispose Apollo,stolto davvero ti parrei se tecoa cagion de' mortali io combattessi,che miseri e quai foglie or freschi sono,or languidi e appassiti. Usciamo adunquedel campo, e sia tra lor tutta la briga.Ciò detto, altrove s'avviò, né vollealle mani venir, per lo rispettodi quel Nume a lui zio. Ma la sorelladi belve agitatrice aspra Dïanacon acri motti il rampognò: Tu fuggi,tu che lunge saetti? e tutta cedisenza contrasto al re Nettun la palma?Vile! a che dunque nella man quell'arco?Ch'io non t'oda più mai nella paternareggia tra' numi, come pria, vantarti

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di combattere solo il re Nettunno.Non le rispose Apollo; ma sdegnosasi rivolse alla Dea di strali amantela veneranda Giuno, e sì la punsecon acerbo ripiglio: E come ardiscistarmi a fronte, o proterva? Di possanzamal tu puoi meco gareggiar, quantunqued'arco armata. Gli è ver che fra le donneti fe' Giove un lïone, e qual ti piacciati concesse ferir. Ma per le selvemeglio ti fia dar morte a capri e cervi,che pugnar co' più forti. E se provartivuoi pur, ti prova, e al paragone imparaquanto io sono da più. - Ciò detto, al polsocolla manca le afferra ambe le mani,colla dritta dagli omeri le strappagli aurei strali, e ridendo su l'orecchiali sbatte alla rival che d'ogni partesi divincola; e sparse al suol ne vannole aligere saette. Alfin di sottole si tolse, e fuggì come colombache da grifagno augel per venturosofato scampata ad appiattarsi volanel cavo d'una rupe. Ella piangendocosì fuggìa, lasciate ivi le frecce.Parlò quindi a Latóna il messaggieroargicìda: Latóna, io non vo' tecocimentarmi; il pugnar colle consorti

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di combattere solo il re Nettunno.Non le rispose Apollo; ma sdegnosasi rivolse alla Dea di strali amantela veneranda Giuno, e sì la punsecon acerbo ripiglio: E come ardiscistarmi a fronte, o proterva? Di possanzamal tu puoi meco gareggiar, quantunqued'arco armata. Gli è ver che fra le donneti fe' Giove un lïone, e qual ti piacciati concesse ferir. Ma per le selvemeglio ti fia dar morte a capri e cervi,che pugnar co' più forti. E se provartivuoi pur, ti prova, e al paragone imparaquanto io sono da più. - Ciò detto, al polsocolla manca le afferra ambe le mani,colla dritta dagli omeri le strappagli aurei strali, e ridendo su l'orecchiali sbatte alla rival che d'ogni partesi divincola; e sparse al suol ne vannole aligere saette. Alfin di sottole si tolse, e fuggì come colombache da grifagno augel per venturosofato scampata ad appiattarsi volanel cavo d'una rupe. Ella piangendocosì fuggìa, lasciate ivi le frecce.Parlò quindi a Latóna il messaggieroargicìda: Latóna, io non vo' tecocimentarmi; il pugnar colle consorti

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del nimbifero Giove è dura impresa.Va dunque; e franca fra gli eterni Deid'avermi vinto per valor ti vanta.Così dicea Mercurio, e quella intantogli sparsi per la polve archi e quadrelliraccogliea della figlia, e la seguìa,ché all'Olimpo salita entro l'eternestanze di Giove avea già messo il piede.Su i paterni ginocchi lagrimandola vergine s'assise, e le tremaval'ambrosio manto sul bel corpo. Il padrela si raccolse al petto, e con un dolcesorriso dimandò: Chi de' Celestitemerario t'offese, o mia diletta,come colta in error? - La tua consorte,Cinzia rispose, mi percosse, o padre,Giunon che sparge fra gli Dei le risse.Mentre in cielo seguìan queste parole,Febo entrava nel sacro Ilio a difesadell'alto muro, perocché temeanol prendesse in quel dì pria del destinodegli Achivi il valor. Ma gli altri Eterniall'Olimpo tornaro, irati i vinti,festosi i vincitori, e ognun dintornoal procelloso genitor s'assise.Il Pelìde struggea pel campo intantoi Troiani, e stendea confusamentecavalli e cavalier. Come fra densi

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del nimbifero Giove è dura impresa.Va dunque; e franca fra gli eterni Deid'avermi vinto per valor ti vanta.Così dicea Mercurio, e quella intantogli sparsi per la polve archi e quadrelliraccogliea della figlia, e la seguìa,ché all'Olimpo salita entro l'eternestanze di Giove avea già messo il piede.Su i paterni ginocchi lagrimandola vergine s'assise, e le tremaval'ambrosio manto sul bel corpo. Il padrela si raccolse al petto, e con un dolcesorriso dimandò: Chi de' Celestitemerario t'offese, o mia diletta,come colta in error? - La tua consorte,Cinzia rispose, mi percosse, o padre,Giunon che sparge fra gli Dei le risse.Mentre in cielo seguìan queste parole,Febo entrava nel sacro Ilio a difesadell'alto muro, perocché temeanol prendesse in quel dì pria del destinodegli Achivi il valor. Ma gli altri Eterniall'Olimpo tornaro, irati i vinti,festosi i vincitori, e ognun dintornoal procelloso genitor s'assise.Il Pelìde struggea pel campo intantoi Troiani, e stendea confusamentecavalli e cavalier. Come fra densi

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globi di fumo che si volve al cieloun gran fuoco, in cui soffia ira divina,una cittade incende, e a tutti arrecatravaglio e a molti esizio; a questa immagodava Achille ai Troiani angoscia e morte.Stava sull'alto d'una torre il veglioPrìamo, e visti fuggir senza ritegno,senza far più difesa, i Troi davantial gigante guerrier, mise uno strido,e calò dalla torre, onde ai custodidegli ingressi lasciar lungo le muraquesti avvisi: Alle man tenete, o prodi,spalancate le porte insin che tuttinella città sien salvi i fuggitividal diro Achille sbaragliati. Ahi giuntoforse è l'ultimo danno! Come dentrosiensi messe le schiere, e ognun respiri,riserrate le porte, e saldamentesbarratele; ch'io temo non irrompafin qua dentro il furor di questo fiero.Al comando regal schiusero quellitosto le porte, e ne levâr le sbarre.Onde una via s'aperse di salute.Fuor delle soglie allor lanciossi Apolloin soccorso de' Troi che dritto al murofuggìan da tutto il campo arsi di sete,sozzi di polve. E impetuoso Achille,come il porta furor, rabbia, ira e brama

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globi di fumo che si volve al cieloun gran fuoco, in cui soffia ira divina,una cittade incende, e a tutti arrecatravaglio e a molti esizio; a questa immagodava Achille ai Troiani angoscia e morte.Stava sull'alto d'una torre il veglioPrìamo, e visti fuggir senza ritegno,senza far più difesa, i Troi davantial gigante guerrier, mise uno strido,e calò dalla torre, onde ai custodidegli ingressi lasciar lungo le muraquesti avvisi: Alle man tenete, o prodi,spalancate le porte insin che tuttinella città sien salvi i fuggitividal diro Achille sbaragliati. Ahi giuntoforse è l'ultimo danno! Come dentrosiensi messe le schiere, e ognun respiri,riserrate le porte, e saldamentesbarratele; ch'io temo non irrompafin qua dentro il furor di questo fiero.Al comando regal schiusero quellitosto le porte, e ne levâr le sbarre.Onde una via s'aperse di salute.Fuor delle soglie allor lanciossi Apolloin soccorso de' Troi che dritto al murofuggìan da tutto il campo arsi di sete,sozzi di polve. E impetuoso Achille,come il porta furor, rabbia, ira e brama

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di sterminarli, gl'inseguìa coll'asta;ed era questo il punto in che gli Acheidell'alta Troia avrìan fatto il conquisto,se Febo Apollo l'antenòreo figlioAgènore, guerrier d'alta prestanza,non eccitava alla battaglia. Il Diogli fe' coraggio, gli si mise al fianco,onde lungi tenergli della Parcai gravi artigli, ed appoggiato a un faggio,di caligine tutto si ricinse.Come Agènore il truce ebbe vedutoguastator di città, fermossi, e moltipensier volgendo, gli ondeggiava il core,e dicea doloroso in suo segreto:Misero me! se dietro agli altri io fuggoper timor di quel crudo, egli malgradola mia rattezza prenderammi, e mortenon decorosa mi darà. Se mentreei va questi inseguendo, io d'altra partem'involo, e d'Ilio traversando il piano,dell'Ida ai gioghi mi riparo, e quivinei roveti m'appiatto, indi la seralavato al fiume, e rinfrescato a Troiami ritorno... Oh che penso? Egli non puotenon veder la mia fuga, e arriverammiprecipitoso con più presti piedi.E allor dall'ugna di costui, che tuttivince di forza, chi mi scampa? Or dunque,

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di sterminarli, gl'inseguìa coll'asta;ed era questo il punto in che gli Acheidell'alta Troia avrìan fatto il conquisto,se Febo Apollo l'antenòreo figlioAgènore, guerrier d'alta prestanza,non eccitava alla battaglia. Il Diogli fe' coraggio, gli si mise al fianco,onde lungi tenergli della Parcai gravi artigli, ed appoggiato a un faggio,di caligine tutto si ricinse.Come Agènore il truce ebbe vedutoguastator di città, fermossi, e moltipensier volgendo, gli ondeggiava il core,e dicea doloroso in suo segreto:Misero me! se dietro agli altri io fuggoper timor di quel crudo, egli malgradola mia rattezza prenderammi, e mortenon decorosa mi darà. Se mentreei va questi inseguendo, io d'altra partem'involo, e d'Ilio traversando il piano,dell'Ida ai gioghi mi riparo, e quivinei roveti m'appiatto, indi la seralavato al fiume, e rinfrescato a Troiami ritorno... Oh che penso? Egli non puotenon veder la mia fuga, e arriverammiprecipitoso con più presti piedi.E allor dall'ugna di costui, che tuttivince di forza, chi mi scampa? Or dunque,

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poiché certa è mia morte, ad incontrarlovadasi in faccia alla cittade. Ei pureha corpo che si fora, e un'alma sola;e benché Giove glorïoso il renda,mortal cosa lo dice il comun grido.Verso Achille, in ciò dir, volta la fronte,e desïoso di pugnar l'aspetta.Come da folto bosco una panterasbucando affronta il cacciator, né temei latrati, né fugge, e s'anco avvegnach'ei l'impiaghi primier, la generosail furor non rallenta, innanzi ch'ellao gli si stringa addosso, o resti uccisa:così ricusa di fuggir l'arditod'Antènore figliuol, se col Pelìdepria non fa prova di valor. Protesedunque al petto lo scudo, e nel nemicotolta la mira, alto gridò: Per certode' magnanimi Teucri, illustre Achille,atterrar ti speravi oggi le mura.Stolto! n'avrai penoso affare ancora,ché là dentro siam molti e valorosiche ai cari padri, alle consorti, ai figlidifendiam la cittade, e tu, quantunqueguerrier tremendo, giacerai qui steso.Sì dicendo, lanciò con vigorosopolso la picca, e nello stinco il colsesotto il ginocchio. Risonò lo stagno

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poiché certa è mia morte, ad incontrarlovadasi in faccia alla cittade. Ei pureha corpo che si fora, e un'alma sola;e benché Giove glorïoso il renda,mortal cosa lo dice il comun grido.Verso Achille, in ciò dir, volta la fronte,e desïoso di pugnar l'aspetta.Come da folto bosco una panterasbucando affronta il cacciator, né temei latrati, né fugge, e s'anco avvegnach'ei l'impiaghi primier, la generosail furor non rallenta, innanzi ch'ellao gli si stringa addosso, o resti uccisa:così ricusa di fuggir l'arditod'Antènore figliuol, se col Pelìdepria non fa prova di valor. Protesedunque al petto lo scudo, e nel nemicotolta la mira, alto gridò: Per certode' magnanimi Teucri, illustre Achille,atterrar ti speravi oggi le mura.Stolto! n'avrai penoso affare ancora,ché là dentro siam molti e valorosiche ai cari padri, alle consorti, ai figlidifendiam la cittade, e tu, quantunqueguerrier tremendo, giacerai qui steso.Sì dicendo, lanciò con vigorosopolso la picca, e nello stinco il colsesotto il ginocchio. Risonò lo stagno

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dell'intatto stinier, ma il ferro acutosenza forarlo rimbalzò respintodalle tempre divine. Impetuososcagliossi Achille al feritor, ma rattogl'invidïando quella lode Apollo,involò l'avversario alla sua vistal'avvolgendo di nebbia, e queto quetodal certame lo trasse, e via lo spinse.Indi tolta d'Agènore la forma,diessi in fuga, e svïò con quest'ingannodalla turba il Pelìde che velocedietro gli move e incalzalo, e piegarnevêr lo Scamandro studiasi la fuga.Nol precorre il fuggente a tutto corso,ma di poco intervallo, e colla spemesempre l'alletta d'una pronta presa,e sempre lo delude. Intanto a tormespaventati si versano i Troianidentro le porte. In un momento tuttadi lor fu piena la città, ché nullorimanersene fuori non sostenne,né il compagno aspettar, né dei campatidimandar, né de' morti. Ognun che snellea salvarsi ha le piante, alla rinfusadentro si getta, e dal terror respira.

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dell'intatto stinier, ma il ferro acutosenza forarlo rimbalzò respintodalle tempre divine. Impetuososcagliossi Achille al feritor, ma rattogl'invidïando quella lode Apollo,involò l'avversario alla sua vistal'avvolgendo di nebbia, e queto quetodal certame lo trasse, e via lo spinse.Indi tolta d'Agènore la forma,diessi in fuga, e svïò con quest'ingannodalla turba il Pelìde che velocedietro gli move e incalzalo, e piegarnevêr lo Scamandro studiasi la fuga.Nol precorre il fuggente a tutto corso,ma di poco intervallo, e colla spemesempre l'alletta d'una pronta presa,e sempre lo delude. Intanto a tormespaventati si versano i Troianidentro le porte. In un momento tuttadi lor fu piena la città, ché nullorimanersene fuori non sostenne,né il compagno aspettar, né dei campatidimandar, né de' morti. Ognun che snellea salvarsi ha le piante, alla rinfusadentro si getta, e dal terror respira.

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Libro Ventesimosecondo

Così, quai cervi paurosi, i Teucrinella città fuggìan confusamente,e davano appoggiati agli alti merlial sudor refrigerio ed alla sete,mentre gli Achei con inclinati scudisi fan sotto alle mura. Ma la Parcadinanzi ad Ilio su le porte Sceerattenne immoto, come astretto in ceppi,lo sventurato Ettòr. Fece ad Achillel'arciero Apollo allor queste parole:Perché mortale un Immortal persegui,o figlio di Pelèo? Non anco avvisi,cieco furente, che un Celeste io sono?Dei fugati Troiani e nel riparod'Ilio già chiusi ogni pensier ponesti,e qua svïasti il tuo furor. Che speri?uccidermi? Son nume. - E nume infesto,e di tutti il peggior (rispose accesodi grand'ira il Pelìde). A questa partem'hai devïato dalle mura, e toltoche molti, prima d'arrivar là dentro,mordessero la polve. Ah mi rapistiun gran vanto, e quei vili in salvo hai messoperché non temi la vendetta mia;

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Libro Ventesimosecondo

Così, quai cervi paurosi, i Teucrinella città fuggìan confusamente,e davano appoggiati agli alti merlial sudor refrigerio ed alla sete,mentre gli Achei con inclinati scudisi fan sotto alle mura. Ma la Parcadinanzi ad Ilio su le porte Sceerattenne immoto, come astretto in ceppi,lo sventurato Ettòr. Fece ad Achillel'arciero Apollo allor queste parole:Perché mortale un Immortal persegui,o figlio di Pelèo? Non anco avvisi,cieco furente, che un Celeste io sono?Dei fugati Troiani e nel riparod'Ilio già chiusi ogni pensier ponesti,e qua svïasti il tuo furor. Che speri?uccidermi? Son nume. - E nume infesto,e di tutti il peggior (rispose accesodi grand'ira il Pelìde). A questa partem'hai devïato dalle mura, e toltoche molti, prima d'arrivar là dentro,mordessero la polve. Ah mi rapistiun gran vanto, e quei vili in salvo hai messoperché non temi la vendetta mia;

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ma la farei ben io, se la potessi.Tacque, e drizzossi alla città volgendoterribili pensieri, e il piè movearapido come vincitor de' ludianimoso destrier che per l'arenafa le ruote volar. Primo lo videprecipitoso correre pel campoPrìamo, e da lungi folgorar, siccomel'astro che cane d'Orïon s'appella,e precorre l'Autunno: scintillantifra numerose stelle in densa nottemanda i suoi raggi; splendissim'astro,ma luttuoso e di cocenti morbiai miseri mortali apportatore.Tal del volante eroe sul vasto pettosplendean l'armi. Ululava, e colle manialto levate si battea la fronteil buon vecchio, e chiamava a tutta vocel'amato figlio supplicando: e questifermo innanzi alle porte altro non odeche il desìo di pugnar col suo nemico.Allor le palme il misero gli stese,e questi profferì pietosi accenti:Mio diletto figliuolo, Ettore mio,deh lontano da' tuoi da solo a solonon affrontar costui che di fortezzad'assai t'è sopra. Oh fosse in odio il crudoagli Dei quanto a me! Pasto di belve

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ma la farei ben io, se la potessi.Tacque, e drizzossi alla città volgendoterribili pensieri, e il piè movearapido come vincitor de' ludianimoso destrier che per l'arenafa le ruote volar. Primo lo videprecipitoso correre pel campoPrìamo, e da lungi folgorar, siccomel'astro che cane d'Orïon s'appella,e precorre l'Autunno: scintillantifra numerose stelle in densa nottemanda i suoi raggi; splendissim'astro,ma luttuoso e di cocenti morbiai miseri mortali apportatore.Tal del volante eroe sul vasto pettosplendean l'armi. Ululava, e colle manialto levate si battea la fronteil buon vecchio, e chiamava a tutta vocel'amato figlio supplicando: e questifermo innanzi alle porte altro non odeche il desìo di pugnar col suo nemico.Allor le palme il misero gli stese,e questi profferì pietosi accenti:Mio diletto figliuolo, Ettore mio,deh lontano da' tuoi da solo a solonon affrontar costui che di fortezzad'assai t'è sopra. Oh fosse in odio il crudoagli Dei quanto a me! Pasto di belve

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ei giacerìa qui steso (e del mio pettoavrìa fine l'angoscia), ei che di tantiorbo mi fece valorosi figli,quale ucciso, qual tratto alle remoterive e venduto. Ed or fra i qui rinchiusiTeucri i due figli, ahi lasso! ancor non veggoche l'esimia consorte Laotòea me produsse, Polidoro io dicoe Licaon. Se prigionieri ei sono,con auro e bronzo ne farem riscatto,ch'io n'ho molte conserve, e molto averediè l'egregio vegliardo Alte alla figlia.Se poi ne' regni già passâr di Pluto,alto sarà su la lor morte il piantodella madre ed il mio, ma brevi i luttidel popolo, ove spento tu non cadadal Pelìde, tu pur. Rïentra adunque,mio dolce figlio, nelle mura, e i Teucriconservane e le spose. Al diro Achillenon lasciar sì gran lode: abbi pensierodella cara tua vita, abbi pietadedi me meschino a cui non tolse ancorala sventura il sentir, di me che misigià nelle soglie di vecchiezza il piede,dall'alta condannato ira di Giovedi ria morte a perir, vista di maliprima ogni faccia, trucidati i figli,rapite le fanciulle, i casti letti

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ei giacerìa qui steso (e del mio pettoavrìa fine l'angoscia), ei che di tantiorbo mi fece valorosi figli,quale ucciso, qual tratto alle remoterive e venduto. Ed or fra i qui rinchiusiTeucri i due figli, ahi lasso! ancor non veggoche l'esimia consorte Laotòea me produsse, Polidoro io dicoe Licaon. Se prigionieri ei sono,con auro e bronzo ne farem riscatto,ch'io n'ho molte conserve, e molto averediè l'egregio vegliardo Alte alla figlia.Se poi ne' regni già passâr di Pluto,alto sarà su la lor morte il piantodella madre ed il mio, ma brevi i luttidel popolo, ove spento tu non cadadal Pelìde, tu pur. Rïentra adunque,mio dolce figlio, nelle mura, e i Teucriconservane e le spose. Al diro Achillenon lasciar sì gran lode: abbi pensierodella cara tua vita, abbi pietadedi me meschino a cui non tolse ancorala sventura il sentir, di me che misigià nelle soglie di vecchiezza il piede,dall'alta condannato ira di Giovedi ria morte a perir, vista di maliprima ogni faccia, trucidati i figli,rapite le fanciulle, i casti letti

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contaminati, crudelmente infranticontro terra i bambini, e strascinatedall'empio braccio degli Achei, le nuore.Ed ultimo me pur su le regaliporte trafitto e spoglia abbandonatavoraci i cani sbraneran, que' caniche custodi io nudrìa del regio tettoalla mia mensa io stesso; e allor da ingordarabbia sospinti disputar vedransiil mio sangue; e di questo alfin satolline' portici sdraiarsi. Ah, bello è in campodel giovine il morir! Coperto il pettod'onorate ferite, onta non avvi,non offesa che morto il disonesti.Ma che ludibrio sia degli affamatimastini il capo venerando e il biancomento d'un veglio indegnamente ucciso,che sia bruttato il nudo e verecondosuo cadavere, ah! questo, è questo il colmodell'umane sventure. E sì dicendo,strappasi il veglio dall'augusto capoi canuti capei; ma non si piegal'alma d'Ettorre. Desolata accorsed'altra parte la madre, e lagrimandoe nudandosi il seno, la maternapoppa scoperse, e, A questa abbi rispetto,singhiozzante sclamava, a questa, o figlio,che calmò, lo ricorda, i tuoi vagiti.

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contaminati, crudelmente infranticontro terra i bambini, e strascinatedall'empio braccio degli Achei, le nuore.Ed ultimo me pur su le regaliporte trafitto e spoglia abbandonatavoraci i cani sbraneran, que' caniche custodi io nudrìa del regio tettoalla mia mensa io stesso; e allor da ingordarabbia sospinti disputar vedransiil mio sangue; e di questo alfin satolline' portici sdraiarsi. Ah, bello è in campodel giovine il morir! Coperto il pettod'onorate ferite, onta non avvi,non offesa che morto il disonesti.Ma che ludibrio sia degli affamatimastini il capo venerando e il biancomento d'un veglio indegnamente ucciso,che sia bruttato il nudo e verecondosuo cadavere, ah! questo, è questo il colmodell'umane sventure. E sì dicendo,strappasi il veglio dall'augusto capoi canuti capei; ma non si piegal'alma d'Ettorre. Desolata accorsed'altra parte la madre, e lagrimandoe nudandosi il seno, la maternapoppa scoperse, e, A questa abbi rispetto,singhiozzante sclamava, a questa, o figlio,che calmò, lo ricorda, i tuoi vagiti.

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Rïentra, Ettore mio, fuggi cotestosterminatore, non istargli a petto,sciaurato! Non io, s'egli t'uccide,non io darti potrò, caro germogliodelle viscere mie, su la funèbrebara il mio pianto, né il potrà l'illustretua consorte: e tu lungi appo le navigiacerai degli Achivi, esca alle belve.Questi preghi di lagrime interrottiporgono al figlio i dolorosi, e nullapersuadon l'eroe che fermo attendelo smisurato già vicino Achille.Quale in tana di tristi erbe pasciutofero colùbro il vïandante aspetta,e gonfio di grand'ira, orribilmenteguatando intorno, nelle sue latèbrelubrico si convolve; e tale il duceTroian, di sdegni generosi acceso,appoggiato lo scudo a una sporgentetorre, sta saldo; e nel gran cor rivolgequesti pensieri: Che farò? Se mettolà dentro il piè, Polidamante il primorampognerammi acerbo, ei che la scorsanotte esortommi alla città ritrarre,comparso Achille, i Teucri; ed io nol feci:e sì quest'era il meglio. Or che la miapertinacia fatal tutti li trassenella ruina, sostener l'aspetto

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Rïentra, Ettore mio, fuggi cotestosterminatore, non istargli a petto,sciaurato! Non io, s'egli t'uccide,non io darti potrò, caro germogliodelle viscere mie, su la funèbrebara il mio pianto, né il potrà l'illustretua consorte: e tu lungi appo le navigiacerai degli Achivi, esca alle belve.Questi preghi di lagrime interrottiporgono al figlio i dolorosi, e nullapersuadon l'eroe che fermo attendelo smisurato già vicino Achille.Quale in tana di tristi erbe pasciutofero colùbro il vïandante aspetta,e gonfio di grand'ira, orribilmenteguatando intorno, nelle sue latèbrelubrico si convolve; e tale il duceTroian, di sdegni generosi acceso,appoggiato lo scudo a una sporgentetorre, sta saldo; e nel gran cor rivolgequesti pensieri: Che farò? Se mettolà dentro il piè, Polidamante il primorampognerammi acerbo, ei che la scorsanotte esortommi alla città ritrarre,comparso Achille, i Teucri; ed io nol feci:e sì quest'era il meglio. Or che la miapertinacia fatal tutti li trassenella ruina, sostener l'aspetto

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più non oso de' Troi né dell'altereTroiane, e parmi già i peggiori udire:Ecco là quell'Ettòr che di sue forzetroppo fidando il popolo distrusse.Così diranno, e meglio allor mi fiacombattere, e redir, prostrato Achille,nella cittade, o per la patria miaaver qui morte glorïosa io stesso.Pur se deposto e scudo e lancia ed elmo,io medesmo mi fêssi incontro a questomagnanimo rivale, e la spartanadonna cagion di tanta guerra, e tuttegli promettessi le con lei portateda Paride ricchezze, ed altre ancorada partirsi agli Achei, quante ne chiudequesta città; se con tremendo giuroquindi i Troiani a rivelar stringessii riposti tesori, ed in due partidividendoli tutti... Oh che vaneggiamai la mia mente! Io supplice, io dimessopresentarmi? Il crudel, nulla m'avendoné pietà né rispetto (ov'io dell'arminudo a lui vada), disarmato ancora,qual donna imbelle, metterammi a morte,ch'ei non è tale da poter con essonovellar dal querceto o dalla rupecome amanti garzoni e donzellette.A donzellette adunque ed a garzoni

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più non oso de' Troi né dell'altereTroiane, e parmi già i peggiori udire:Ecco là quell'Ettòr che di sue forzetroppo fidando il popolo distrusse.Così diranno, e meglio allor mi fiacombattere, e redir, prostrato Achille,nella cittade, o per la patria miaaver qui morte glorïosa io stesso.Pur se deposto e scudo e lancia ed elmo,io medesmo mi fêssi incontro a questomagnanimo rivale, e la spartanadonna cagion di tanta guerra, e tuttegli promettessi le con lei portateda Paride ricchezze, ed altre ancorada partirsi agli Achei, quante ne chiudequesta città; se con tremendo giuroquindi i Troiani a rivelar stringessii riposti tesori, ed in due partidividendoli tutti... Oh che vaneggiamai la mia mente! Io supplice, io dimessopresentarmi? Il crudel, nulla m'avendoné pietà né rispetto (ov'io dell'arminudo a lui vada), disarmato ancora,qual donna imbelle, metterammi a morte,ch'ei non è tale da poter con essonovellar dal querceto o dalla rupecome amanti garzoni e donzellette.A donzellette adunque ed a garzoni

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le dolci fole, a me la pugna; e tostovedrassi cui darà Giove la palma.Così seco ragiona, e fermo aspetta.Ed ecco Achille avvicinarsi, al trucedell'elmo agitator Marte simìle.Nella destra scotea la spaventosapelìaca trave; come viva fiamma,o come disco di nascente Solebalenava il suo scudo. Il riconobbeEttore, e freddo corsegli per l'ossaun tremor, né aspettarlo ei più sostenne,ma lasciate le porte, a fuggir diessiatterrito. Spiccossi ad inseguirlofidato Achille ne' veloci piedi;qual ne' monti sparvier che, de' volantiil più ratto, si scaglia impetuososu pavida colomba: ella sen fuggeobbliquamente, e quei doppiando il volovie più l'incalza con acuti stridi,di ghermirla bramoso: a questa guisal'ardente Achille difilato voladietro il trepido Ettòr che in tutta fugamena il rapido piè rasente il muro.Trascorsero veloci la collinadelle vedette, oltrepassâr, lunghessola callaia, il selvaggio aereo ficosempre sotto alle mura; e già venutison dell'alto Scamandro alle due fonti.

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le dolci fole, a me la pugna; e tostovedrassi cui darà Giove la palma.Così seco ragiona, e fermo aspetta.Ed ecco Achille avvicinarsi, al trucedell'elmo agitator Marte simìle.Nella destra scotea la spaventosapelìaca trave; come viva fiamma,o come disco di nascente Solebalenava il suo scudo. Il riconobbeEttore, e freddo corsegli per l'ossaun tremor, né aspettarlo ei più sostenne,ma lasciate le porte, a fuggir diessiatterrito. Spiccossi ad inseguirlofidato Achille ne' veloci piedi;qual ne' monti sparvier che, de' volantiil più ratto, si scaglia impetuososu pavida colomba: ella sen fuggeobbliquamente, e quei doppiando il volovie più l'incalza con acuti stridi,di ghermirla bramoso: a questa guisal'ardente Achille difilato voladietro il trepido Ettòr che in tutta fugamena il rapido piè rasente il muro.Trascorsero veloci la collinadelle vedette, oltrepassâr, lunghessola callaia, il selvaggio aereo ficosempre sotto alle mura; e già venutison dell'alto Scamandro alle due fonti.

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Calida è l'una, e qual di fuoco accesospandesi intorno di sue linfe il fumo:fredda come gragnuola o ghiaccio o nevescorre l'altra di state: ambe son cinted'ampii lavacri di polita pietra,a cui, pria che l'Acheo venisse i giornidella pace a turbar, solean de' Teucriliete le spose e le avvenenti figliei bei veli lavar. Da questa partevolano i due campion, l'uno fuggendo,l'altro inseguendo. Il fuggitivo è forte,ma più forte e più ratto è chi l'insegue,e d'un tauro non già, né della pellesi gareggia d'un bue, premio a velocedi corsa vincitor, ma della vitadel grande Ettorre. E quale a vincer usigiran le mete corridori ardenti,a cui proposto è di gentil donzellao d'un tripode il premio, ad onoranzad'alcun defunto eroe; così tre voltedell'ilìaca città fêr questi il girovelocemente. A riguardarli intentostava il consesso de' Celesti, e Giovea dir si fece: Ahi sorte indegna! io veggod'Ilio intorno alle mura esagitatoun diletto mortal; duolmi d'Ettorreche su l'idèe pendici e sull'eccelsapergàmea rocca a me solea di scelte

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Calida è l'una, e qual di fuoco accesospandesi intorno di sue linfe il fumo:fredda come gragnuola o ghiaccio o nevescorre l'altra di state: ambe son cinted'ampii lavacri di polita pietra,a cui, pria che l'Acheo venisse i giornidella pace a turbar, solean de' Teucriliete le spose e le avvenenti figliei bei veli lavar. Da questa partevolano i due campion, l'uno fuggendo,l'altro inseguendo. Il fuggitivo è forte,ma più forte e più ratto è chi l'insegue,e d'un tauro non già, né della pellesi gareggia d'un bue, premio a velocedi corsa vincitor, ma della vitadel grande Ettorre. E quale a vincer usigiran le mete corridori ardenti,a cui proposto è di gentil donzellao d'un tripode il premio, ad onoranzad'alcun defunto eroe; così tre voltedell'ilìaca città fêr questi il girovelocemente. A riguardarli intentostava il consesso de' Celesti, e Giovea dir si fece: Ahi sorte indegna! io veggod'Ilio intorno alle mura esagitatoun diletto mortal; duolmi d'Ettorreche su l'idèe pendici e sull'eccelsapergàmea rocca a me solea di scelte

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vittime offrire i pingui lombi, ed oradel minaccioso Achille il presto piedel'incalza intorno alla città. Pensate,vedete, o numi, se per noi si debbadalla morte camparlo, o pur, quantunquecosì prode, il domar sotto il Pelìde.Procelloso Tonante, oh che dicesti,gli rispose Minerva, e che t'avvisi?Alla morte involar uomo sacro a morte?E tu l'invola. Ma non tutti al certonoi Celesti tal fatto assentiremo.T'accheta, o figlia, replicò de' nembil'adunator, ch'io nulla ho fermo ancora,e nulla io voglio a te negar. Fa tutto,senza punto ristarti, il tuo desire.Spronò quel detto la già pronta Divache dall'olimpie cime impetuosaspiccossi, e scese. Alla dirotta intantoincalza Achille il fuggitivo Ettorre.Come veltro cerviero alla montagnagiù per convalli e per boscaglie inseguedalla tana destato un caprïuolo:sotto un arbusto il meschinel s'appiattatutto tremante, e l'altro ne ritessel'orme, e corre e ricorre irrequïetofinché lo trova: così tutte Achilledel sottrarsi ad Ettòr tronca le vie.Quante volte sfilar diritto ei tenta

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vittime offrire i pingui lombi, ed oradel minaccioso Achille il presto piedel'incalza intorno alla città. Pensate,vedete, o numi, se per noi si debbadalla morte camparlo, o pur, quantunquecosì prode, il domar sotto il Pelìde.Procelloso Tonante, oh che dicesti,gli rispose Minerva, e che t'avvisi?Alla morte involar uomo sacro a morte?E tu l'invola. Ma non tutti al certonoi Celesti tal fatto assentiremo.T'accheta, o figlia, replicò de' nembil'adunator, ch'io nulla ho fermo ancora,e nulla io voglio a te negar. Fa tutto,senza punto ristarti, il tuo desire.Spronò quel detto la già pronta Divache dall'olimpie cime impetuosaspiccossi, e scese. Alla dirotta intantoincalza Achille il fuggitivo Ettorre.Come veltro cerviero alla montagnagiù per convalli e per boscaglie inseguedalla tana destato un caprïuolo:sotto un arbusto il meschinel s'appiattatutto tremante, e l'altro ne ritessel'orme, e corre e ricorre irrequïetofinché lo trova: così tutte Achilledel sottrarsi ad Ettòr tronca le vie.Quante volte sfilar diritto ei tenta

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alle dardanie porte, o delle torrisotto gli spaldi, onde co' dardi aitagli dian di sopra i suoi, tante il Pelìdelo previene e il ricaccia alla pianura,vicino alla città. Come nel sognotalor ne sembra con lena affannatauom che fugge inseguir, né questi ha forzad'involarsi, né noi di conseguirlo;così né Achille aggiugner puote Ettorre,né questi a quello dileguarsi. E intantocome schivar potuto avrìa la Parcadi Prìamo il figlio, se l'estrema voltanuovo al petto vigor non gli porgeapropizio Apollo, e nuova lena al piede?Accennava col capo il divo Achillealle sue genti di non far co' dardial fuggitivo offesa, onde veruno,ferendolo, l'onor non gli precidadel primo colpo. Ma venuti entrambila quarta volta alle scamandrie fonti,l'auree bilance sollevò nel cieloil gran Padre, e due sorti entro vi posedi mortal sonno eterno, una d'Achille,l'altra d'Ettorre: le librò nel mezzo,e del duce troiano il fatal giornocadde, e vêr l'Orco dechinò. DolenteFebo allora lasciollo in abbandono;ed al Pelìde fattasi vicina,

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alle dardanie porte, o delle torrisotto gli spaldi, onde co' dardi aitagli dian di sopra i suoi, tante il Pelìdelo previene e il ricaccia alla pianura,vicino alla città. Come nel sognotalor ne sembra con lena affannatauom che fugge inseguir, né questi ha forzad'involarsi, né noi di conseguirlo;così né Achille aggiugner puote Ettorre,né questi a quello dileguarsi. E intantocome schivar potuto avrìa la Parcadi Prìamo il figlio, se l'estrema voltanuovo al petto vigor non gli porgeapropizio Apollo, e nuova lena al piede?Accennava col capo il divo Achillealle sue genti di non far co' dardial fuggitivo offesa, onde veruno,ferendolo, l'onor non gli precidadel primo colpo. Ma venuti entrambila quarta volta alle scamandrie fonti,l'auree bilance sollevò nel cieloil gran Padre, e due sorti entro vi posedi mortal sonno eterno, una d'Achille,l'altra d'Ettorre: le librò nel mezzo,e del duce troiano il fatal giornocadde, e vêr l'Orco dechinò. DolenteFebo allora lasciollo in abbandono;ed al Pelìde fattasi vicina,

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sì Minerva parlò: Diletto a Gioveinclito Achille, or sì che giunto io speroil momento in che noi su queste rive,spento alla fine il bellicoso Ettorre,d'alta gloria andrem lieti. Ei più non puotescapparne ei no, quand'anche il Saettante,ai piè prostrato dell'Egìoco Padre,di liberarlo s'argomenti. Or tuqui sòstati e respira. Andronne io stessaal tuo nemico, e metterogli in coredi venir teco a singolar conflitto.Obbedì, s'appoggiò lieto al ferratosuo frassino il Pelìde, e dipartitada lui la Diva, al volto, alla favellaDëìfobo si fece, e all'anelanteEttor venuta, O mio german, dicea,troppo costui dintorno a queste muracon piè ratto t'incalza e ti travaglia.Or via restiamci, e difendiamci a fermo.Rispose Ettòr: Dëìfobo, di quantimi diè fratelli Prïamo ed Ecùba,sempre il più caro tu mi fosti, ed oralo mi sei più che prima, e più mi traggiad onorarti, perocché tu soloda quelle mura osasti a mia difesa,tu solo uscir, veduto il mio periglio.Fratello amato, replicò la Diva,i venerandi genitori, e tutti

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sì Minerva parlò: Diletto a Gioveinclito Achille, or sì che giunto io speroil momento in che noi su queste rive,spento alla fine il bellicoso Ettorre,d'alta gloria andrem lieti. Ei più non puotescapparne ei no, quand'anche il Saettante,ai piè prostrato dell'Egìoco Padre,di liberarlo s'argomenti. Or tuqui sòstati e respira. Andronne io stessaal tuo nemico, e metterogli in coredi venir teco a singolar conflitto.Obbedì, s'appoggiò lieto al ferratosuo frassino il Pelìde, e dipartitada lui la Diva, al volto, alla favellaDëìfobo si fece, e all'anelanteEttor venuta, O mio german, dicea,troppo costui dintorno a queste muracon piè ratto t'incalza e ti travaglia.Or via restiamci, e difendiamci a fermo.Rispose Ettòr: Dëìfobo, di quantimi diè fratelli Prïamo ed Ecùba,sempre il più caro tu mi fosti, ed oralo mi sei più che prima, e più mi traggiad onorarti, perocché tu soloda quelle mura osasti a mia difesa,tu solo uscir, veduto il mio periglio.Fratello amato, replicò la Diva,i venerandi genitori, e tutti

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stringendosi gli amici a' miei ginocchidi non uscire mi pregâr, cotantoterror gl'ingombra: ma l'interno vinse,che per te mi struggea, fiero dolore.Combattiam dunque arditamente, e nullosia più d'aste risparmio, onde si veggas'egli, noi spenti, tornerà di nostrespoglie onusto alle navi, o se piuttostoqui cadrà per la tua lancia trafitto.Sì dicendo, la Diva ingannatriceprecorse, e quelli l'un dell'altro a frontedivenuti, primier l'armi crollandofe' questi detti l'animoso Ettorre:Più non fuggo, o Pelìde. Intorno all'alteilìache mura mi aggirai tre volte,né aspettarti sostenni. Ora son ioche intrepido t'affronto, e darò morte,o l'avrò. Ma gli Dei, fidi custodide' giuramenti, testimon ne sièno,che se Giove l'onor di tua cadutami concede, non io sarò spietatocol cadavere tuo, ma renderollo,toltene solo le bell'armi, intattoa' tuoi. Tu giura in mio favor lo stesso.Non parlarmi d'accordi, abbominatonemico, ripigliò torvo il Pelìde:nessun patto fra l'uomo ed il lïone,nessuna pace tra l'eterna guerra

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stringendosi gli amici a' miei ginocchidi non uscire mi pregâr, cotantoterror gl'ingombra: ma l'interno vinse,che per te mi struggea, fiero dolore.Combattiam dunque arditamente, e nullosia più d'aste risparmio, onde si veggas'egli, noi spenti, tornerà di nostrespoglie onusto alle navi, o se piuttostoqui cadrà per la tua lancia trafitto.Sì dicendo, la Diva ingannatriceprecorse, e quelli l'un dell'altro a frontedivenuti, primier l'armi crollandofe' questi detti l'animoso Ettorre:Più non fuggo, o Pelìde. Intorno all'alteilìache mura mi aggirai tre volte,né aspettarti sostenni. Ora son ioche intrepido t'affronto, e darò morte,o l'avrò. Ma gli Dei, fidi custodide' giuramenti, testimon ne sièno,che se Giove l'onor di tua cadutami concede, non io sarò spietatocol cadavere tuo, ma renderollo,toltene solo le bell'armi, intattoa' tuoi. Tu giura in mio favor lo stesso.Non parlarmi d'accordi, abbominatonemico, ripigliò torvo il Pelìde:nessun patto fra l'uomo ed il lïone,nessuna pace tra l'eterna guerra

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dell'agnello e del lupo, e tra noi duené giuramento né amistà nessuna,finché l'uno di noi steso col sanguel'invitto Marte non satolli. Or bada,ché n'hai mestiero, a richiamar la tuttatua prodezza, e a lanciar dritta la punta.Ogni scampo è preciso, e già Minervaper l'asta mia ti doma. Ecco il momentoche dei morti da te miei cari amicitutte ad un tempo sconterai le pene.Disse, e forte avventò la bilanciatalunga lancia. Antivide Ettorre il tiro,e piegato il ginocchio e la persona,lo schivò. Sorvolando il ferreo telosi confisse nel suol, ma ne lo svelseinvisibile ad Ettore Minerva,e tornollo al Pelìde. - Errasti il colpo,gridò l'eroe troian, né Giove ancora,come dianzi cianciasti, il mio destinoti fe' palese. Dëiforme sei,ma cinguettiero, ché con vani accentiatterrirmi ti speri, e nella menteaddormentarmi la virtude antica.Ma nel dorso tu, no, non pianterail'asta ad Ettorre che diritto vienead assalirti, e ti presenta il petto;piantala in questo se t'assiste un Dio.Schiva intanto tu pur la ferrea punta

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dell'agnello e del lupo, e tra noi duené giuramento né amistà nessuna,finché l'uno di noi steso col sanguel'invitto Marte non satolli. Or bada,ché n'hai mestiero, a richiamar la tuttatua prodezza, e a lanciar dritta la punta.Ogni scampo è preciso, e già Minervaper l'asta mia ti doma. Ecco il momentoche dei morti da te miei cari amicitutte ad un tempo sconterai le pene.Disse, e forte avventò la bilanciatalunga lancia. Antivide Ettorre il tiro,e piegato il ginocchio e la persona,lo schivò. Sorvolando il ferreo telosi confisse nel suol, ma ne lo svelseinvisibile ad Ettore Minerva,e tornollo al Pelìde. - Errasti il colpo,gridò l'eroe troian, né Giove ancora,come dianzi cianciasti, il mio destinoti fe' palese. Dëiforme sei,ma cinguettiero, ché con vani accentiatterrirmi ti speri, e nella menteaddormentarmi la virtude antica.Ma nel dorso tu, no, non pianterail'asta ad Ettorre che diritto vienead assalirti, e ti presenta il petto;piantala in questo se t'assiste un Dio.Schiva intanto tu pur la ferrea punta

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di mia lancia. Oh si possa entro il tuo corposeppellir tutta quanta, e della guerraai Teucri il peso allevïar, te spento,te lor funesta principal rovina.Disse, e l'asta di lunga ombra squassando,la scagliò di gran forza, e del Pelìdecolpì senza fallir lo smisuratoscudo nel mezzo. Ma il divino arnesela respinse lontan. Crucciossi Ettorre,visto uscir vano il colpo, e non gli essendopronta altra lancia, chinò mesto il volto,e a gran voce Dëìfobo chiamando,una picca chiedea: ma lungi egli era.Allor s'accorse dell'inganno, e disse:Misero! a morte m'appellâr gli Dei.Credeami aver Dëìfobo presente;egli è dentro le mura, e mi deluseMinerva. Al fianco ho già la morte, e nullov'è più scampo per me. Fu cara un tempoa Giove la mia vita, e al saettantesuo figlio, ed essi mi campâr cortesine' guerrieri perigli. Or mi raggiunsela negra Parca. Ma non fia per questoche da codardo io cada: periremo,ma glorïosi, e alle future gentiqualche bel fatto porterà il mio nome.Ciò detto, scintillar dalla vaginafe' la spada che acuta e grande e forte

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di mia lancia. Oh si possa entro il tuo corposeppellir tutta quanta, e della guerraai Teucri il peso allevïar, te spento,te lor funesta principal rovina.Disse, e l'asta di lunga ombra squassando,la scagliò di gran forza, e del Pelìdecolpì senza fallir lo smisuratoscudo nel mezzo. Ma il divino arnesela respinse lontan. Crucciossi Ettorre,visto uscir vano il colpo, e non gli essendopronta altra lancia, chinò mesto il volto,e a gran voce Dëìfobo chiamando,una picca chiedea: ma lungi egli era.Allor s'accorse dell'inganno, e disse:Misero! a morte m'appellâr gli Dei.Credeami aver Dëìfobo presente;egli è dentro le mura, e mi deluseMinerva. Al fianco ho già la morte, e nullov'è più scampo per me. Fu cara un tempoa Giove la mia vita, e al saettantesuo figlio, ed essi mi campâr cortesine' guerrieri perigli. Or mi raggiunsela negra Parca. Ma non fia per questoche da codardo io cada: periremo,ma glorïosi, e alle future gentiqualche bel fatto porterà il mio nome.Ciò detto, scintillar dalla vaginafe' la spada che acuta e grande e forte

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dal fianco gli pendea. Con questa in pugnodrizza il viso al nemico, e si disserracom'aquila che d'alto per le foschenubi a piombo sul campo si precipitaa ghermir una lepre o un'agnelletta:tale, agitando l'affilato acciaro,si scaglia Ettorre. Scagliasi del parigonfio il cor di feroce ira il Pelìdeimpetuoso. Gli ricopre il pettol'ammirando brocchier: sovra il guernitodi quattro coni fulgid'elmo ondeggial'aureo pennacchio che Vulcan v'aveasulla cima diffuso. E qual sfavillanei notturni sereni in fra le stelleEspero il più leggiadro astro del cielo;tale l'acuta cuspide lampeggianella destra d'Achille che l'estremodanno in cor volge dell'illustre Ettorre,e tutto con attenti occhi spïandoil bel corpo, pon mente ove al ferirepiù spedita è la via. Chiuso il nemicoera tutto nell'armi luminoseche all'ucciso Patròclo avea rapite.Sol, dove il collo all'omero s'innesta,nuda una parte della gola appare,mortalissima parte. A questa Achillel'asta diresse con furor: la puntail collo trapassò, ma non offese

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dal fianco gli pendea. Con questa in pugnodrizza il viso al nemico, e si disserracom'aquila che d'alto per le foschenubi a piombo sul campo si precipitaa ghermir una lepre o un'agnelletta:tale, agitando l'affilato acciaro,si scaglia Ettorre. Scagliasi del parigonfio il cor di feroce ira il Pelìdeimpetuoso. Gli ricopre il pettol'ammirando brocchier: sovra il guernitodi quattro coni fulgid'elmo ondeggial'aureo pennacchio che Vulcan v'aveasulla cima diffuso. E qual sfavillanei notturni sereni in fra le stelleEspero il più leggiadro astro del cielo;tale l'acuta cuspide lampeggianella destra d'Achille che l'estremodanno in cor volge dell'illustre Ettorre,e tutto con attenti occhi spïandoil bel corpo, pon mente ove al ferirepiù spedita è la via. Chiuso il nemicoera tutto nell'armi luminoseche all'ucciso Patròclo avea rapite.Sol, dove il collo all'omero s'innesta,nuda una parte della gola appare,mortalissima parte. A questa Achillel'asta diresse con furor: la puntail collo trapassò, ma non offese

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della voce le vie, sì che preclusofosse del tutto alle parole il varco.Cadde il ferito nella sabbia, e alterosclamò sovr'esso il feritor divino:Ettore, il giorno che spogliasti il mortoPatroclo, in salvo ti credesti, e nulloterror ti prese del lontano Achille.Stolto! restava sulle navi al miotrafitto amico un vindice, di moltopiù gagliardo di lui: io vi restava,io che qui ti distesi. Or cani e corvite strazieranno turpemente, e quegliavrà pomposa dagli Achei la tomba.E a lui così l'eroe languente: Achille,per la tua vita, per le tue ginoccnia,per li tuoi genitori io ti scongiuro,deh non far che di belve io sia pasturaalla presenza degli Achei: ti piaccial'oro e il bronzo accettar che il padre mioe la mia veneranda genitriceti daranno in gran copia, e tu lor rendiquesto mio corpo, onde l'onor del rogodai Teucri io m'abbia e dalle teucre donne.Con atroce cipiglio gli risposeil fiero Achille: Non pregarmi, iniquo,non supplicarmi né pe' miei ginocchiné pe' miei genitor. Potessi io presodal mio furore minuzzar le tue

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della voce le vie, sì che preclusofosse del tutto alle parole il varco.Cadde il ferito nella sabbia, e alterosclamò sovr'esso il feritor divino:Ettore, il giorno che spogliasti il mortoPatroclo, in salvo ti credesti, e nulloterror ti prese del lontano Achille.Stolto! restava sulle navi al miotrafitto amico un vindice, di moltopiù gagliardo di lui: io vi restava,io che qui ti distesi. Or cani e corvite strazieranno turpemente, e quegliavrà pomposa dagli Achei la tomba.E a lui così l'eroe languente: Achille,per la tua vita, per le tue ginoccnia,per li tuoi genitori io ti scongiuro,deh non far che di belve io sia pasturaalla presenza degli Achei: ti piaccial'oro e il bronzo accettar che il padre mioe la mia veneranda genitriceti daranno in gran copia, e tu lor rendiquesto mio corpo, onde l'onor del rogodai Teucri io m'abbia e dalle teucre donne.Con atroce cipiglio gli risposeil fiero Achille: Non pregarmi, iniquo,non supplicarmi né pe' miei ginocchiné pe' miei genitor. Potessi io presodal mio furore minuzzar le tue

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carni, ed io stesso, per l'immensa offesache mi facesti, divorarle crude.No, nessun la tua testa al fero morsode' cani involerà: né s'anco diecie venti volte mi s'addoppii il prezzodel tuo riscatto, né se d'altri donimi si faccia promessa, né se Prìamoa peso d'oro il corpo tuo redima,no, mai non fia che sul funereo lettola tua madre ti pianga. Io vo' che tuttoti squarcino le belve a brano a brano.Ben lo previdi che pregato indarnot'avrei, riprese il moribondo Ettorre.Hai cor di ferro, e lo sapea. Ma badache di qualche celeste ira cagioneio non ti sia quel dì che Febo Apolloe Paride, malgrado il tuo valore,t'ancideranno su le porte Scee.Così detto, spirò. Sciolta dal corpoprese l'alma il suo vol verso l'abisso,lamentando il suo fato ed il perdutofior della forte gioventude. E a lui,già fredda spoglia, il vincitor soggiunse:Muori; ché poscia la mia morte io pure,quando a Giove sia grado e agli altri Eterni,contento accetterò. Così dicendo,svelse dal morto la ferrata lancia,in disparte la pose, e dalle spalle

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carni, ed io stesso, per l'immensa offesache mi facesti, divorarle crude.No, nessun la tua testa al fero morsode' cani involerà: né s'anco diecie venti volte mi s'addoppii il prezzodel tuo riscatto, né se d'altri donimi si faccia promessa, né se Prìamoa peso d'oro il corpo tuo redima,no, mai non fia che sul funereo lettola tua madre ti pianga. Io vo' che tuttoti squarcino le belve a brano a brano.Ben lo previdi che pregato indarnot'avrei, riprese il moribondo Ettorre.Hai cor di ferro, e lo sapea. Ma badache di qualche celeste ira cagioneio non ti sia quel dì che Febo Apolloe Paride, malgrado il tuo valore,t'ancideranno su le porte Scee.Così detto, spirò. Sciolta dal corpoprese l'alma il suo vol verso l'abisso,lamentando il suo fato ed il perdutofior della forte gioventude. E a lui,già fredda spoglia, il vincitor soggiunse:Muori; ché poscia la mia morte io pure,quando a Giove sia grado e agli altri Eterni,contento accetterò. Così dicendo,svelse dal morto la ferrata lancia,in disparte la pose, e dalle spalle

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l'armi gli tolse insanguinate. Intantod'ogn'intorno v'accorsero gli Achivicontemplando d'Ettòr maravigliosil'ammirande sembianze e la statura;né vi fu chi di fargli una feritanon si godesse, al suo vicin dicendo:Per gli Dei, che a toccarsi egli s'è fattopiù tenero che quando arse le navi:e in questo dir coll'asta il ripungea.Spoglio ch'ei l'ebbe, fra gli astanti Acheiritto Achille parlò queste parole:Amici e prenci e capitani, udite.Poiché diermi gli Dei che domo alfinecostui ne fosse, che d'assai più nocqueche gli altri tutti insieme, alla cittadevolgiam l'armi, e vediam se, spento Ettorre,fanno i Teucri pensier d'abbandonarla,o, benché privi di cotanto aiuto,coraggiosi resistere... Ma qualevano consiglio mi ragiona il core?Senza pianto sul lido e senza tombagiace il morto Patròclo. Insin che questemie membra animerà soffio di vita,ei fia presente al mio pensiero; e s'ancolaggiù nell'Orco obblivïon scendessedella vita primiera, anco nell'Orcomi seguirà del mio diletto amicola rimembranza. Or via, dunque si rieda

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l'armi gli tolse insanguinate. Intantod'ogn'intorno v'accorsero gli Achivicontemplando d'Ettòr maravigliosil'ammirande sembianze e la statura;né vi fu chi di fargli una feritanon si godesse, al suo vicin dicendo:Per gli Dei, che a toccarsi egli s'è fattopiù tenero che quando arse le navi:e in questo dir coll'asta il ripungea.Spoglio ch'ei l'ebbe, fra gli astanti Acheiritto Achille parlò queste parole:Amici e prenci e capitani, udite.Poiché diermi gli Dei che domo alfinecostui ne fosse, che d'assai più nocqueche gli altri tutti insieme, alla cittadevolgiam l'armi, e vediam se, spento Ettorre,fanno i Teucri pensier d'abbandonarla,o, benché privi di cotanto aiuto,coraggiosi resistere... Ma qualevano consiglio mi ragiona il core?Senza pianto sul lido e senza tombagiace il morto Patròclo. Insin che questemie membra animerà soffio di vita,ei fia presente al mio pensiero; e s'ancolaggiù nell'Orco obblivïon scendessedella vita primiera, anco nell'Orcomi seguirà del mio diletto amicola rimembranza. Or via, dunque si rieda

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alle navi, e costui vi si strascini.E voi frattanto, giovinetti achivi,intonate il peana: alto è il trionfoche riportammo: il grande Ettòr, dai Teucriadorato qual nume, è qui disteso.Disse, e contra l'estinto opra crudelemeditando, de' piè gli fora i nervidal calcagno al tallone, ed un guinzaglioinsertovi bovino, al cocchio il lega,andar lasciando strascinato a terrail bel capo. Sul carro indi salitocon l'elevate glorïose spoglie,stimolò col flagello a tutto corsoi corridori che volâr bramosi.Lo strascinato cadavere un nembosollevava di polve onde la spartanegra chioma agitata e il volto tuttobruttavasi, quel volto in pria sì bello,allor da Giove abbandonato all'iradegl'inimici nella patria terra.All'atroce spettacolo si svelsela genitrice i crini, e via gittandoil regal velo, un ululato mise,che alle stelle n'andò. Plorava il padremiseramente, e gemiti e singultiper la città s'udìan, come se tuttadall'eccelse sue cime arsa cadesse.Rattenevano a stento i cittadini

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alle navi, e costui vi si strascini.E voi frattanto, giovinetti achivi,intonate il peana: alto è il trionfoche riportammo: il grande Ettòr, dai Teucriadorato qual nume, è qui disteso.Disse, e contra l'estinto opra crudelemeditando, de' piè gli fora i nervidal calcagno al tallone, ed un guinzaglioinsertovi bovino, al cocchio il lega,andar lasciando strascinato a terrail bel capo. Sul carro indi salitocon l'elevate glorïose spoglie,stimolò col flagello a tutto corsoi corridori che volâr bramosi.Lo strascinato cadavere un nembosollevava di polve onde la spartanegra chioma agitata e il volto tuttobruttavasi, quel volto in pria sì bello,allor da Giove abbandonato all'iradegl'inimici nella patria terra.All'atroce spettacolo si svelsela genitrice i crini, e via gittandoil regal velo, un ululato mise,che alle stelle n'andò. Plorava il padremiseramente, e gemiti e singultiper la città s'udìan, come se tuttadall'eccelse sue cime arsa cadesse.Rattenevano a stento i cittadini

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il re canuto, che di duol scoppiandodalle dardànie porte a tutto costofuor voleva gittarsi. S'avvolgeail misero nel fango, e tutti a nomechiamandoli e pregando, Ah! vi scostate,lasciatemi, gridava; è intempestivoogni vostro timor; lasciate, amici,ch'io me n'esca, ch'io vada tutto soloalle navi nemiche. Io vo' caderesupplichevole ai piè di quell'iniquoviolento uccisor. Chi sa che il crudoil mio crin bianco non rispetti e sentapietà di mia vecchiezza. Ei pure ha un padred'anni carco, Pelèo che generolloe de' Teucri nudrillo alla ruina,soprattutto alla mia, tanti uccidendogiovinetti miei figli: né mi dolgosì di lor tutti, ohimè! quanto d'un solo,quanto d'Ettòr, di cui trarrammi in brevel'empia doglia alla tomba. Oh fosse ei mortotra le mie braccia almen! così la madre,che sventurata partorillo, e io stessosfogo avremmo di pianti e di sospiri.Questo ei dicea piangendo, e co' lamentifacean eco al suo pianto i cittadini.Dalle Tröadi intanto circondata,in alti lai rompea la madre: Oh figlio!tu se' morto, ed io vivo? io giunta al sommo

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il re canuto, che di duol scoppiandodalle dardànie porte a tutto costofuor voleva gittarsi. S'avvolgeail misero nel fango, e tutti a nomechiamandoli e pregando, Ah! vi scostate,lasciatemi, gridava; è intempestivoogni vostro timor; lasciate, amici,ch'io me n'esca, ch'io vada tutto soloalle navi nemiche. Io vo' caderesupplichevole ai piè di quell'iniquoviolento uccisor. Chi sa che il crudoil mio crin bianco non rispetti e sentapietà di mia vecchiezza. Ei pure ha un padred'anni carco, Pelèo che generolloe de' Teucri nudrillo alla ruina,soprattutto alla mia, tanti uccidendogiovinetti miei figli: né mi dolgosì di lor tutti, ohimè! quanto d'un solo,quanto d'Ettòr, di cui trarrammi in brevel'empia doglia alla tomba. Oh fosse ei mortotra le mie braccia almen! così la madre,che sventurata partorillo, e io stessosfogo avremmo di pianti e di sospiri.Questo ei dicea piangendo, e co' lamentifacean eco al suo pianto i cittadini.Dalle Tröadi intanto circondata,in alti lai rompea la madre: Oh figlio!tu se' morto, ed io vivo? io giunta al sommo

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delle sventure te perdendo, ahi lassa!te che in ogni momento eri la miagloria e il sostegno della patria tuttache t'accogliea qual nume. Ahi! ne saresti,vivo, il decoro; e ne sei, morto, il lutto.Seguìa questo parlar di pianto un fiume.Ma del fato d'Ettòr nulla per ancoAndròmaca sapea, ché nullo a leidel marito rimasto anzi alle porterecato avea l'avviso. Nell'interneregie stanze tessendo ella si stavaa doppie fila una lucente teladi diverso rabesco. E per suo cennoavean frattanto le leggiadre ancelleposto un tripode al fuoco, onde al consortepronto fosse, al tornar dalla battaglia,caldo un lavacro. Non sapea, demente!che da' lavacri assai lungi domatol'avea Minerva per la man d'Achille.Ma come dalla torre un suon confusod'ululi intese e di lamenti, tuttele tremaro le membra, al suol le caddela spola, e volta alle donzelle, disse:Accorrete sollecite, seguitemidue di voi tosto: vo' veder che avvenne.Dell'onoranda suocera la vocemi percuote l'orecchio, e il cor mi balzacon sussulto nel petto, e manca il piede.

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delle sventure te perdendo, ahi lassa!te che in ogni momento eri la miagloria e il sostegno della patria tuttache t'accogliea qual nume. Ahi! ne saresti,vivo, il decoro; e ne sei, morto, il lutto.Seguìa questo parlar di pianto un fiume.Ma del fato d'Ettòr nulla per ancoAndròmaca sapea, ché nullo a leidel marito rimasto anzi alle porterecato avea l'avviso. Nell'interneregie stanze tessendo ella si stavaa doppie fila una lucente teladi diverso rabesco. E per suo cennoavean frattanto le leggiadre ancelleposto un tripode al fuoco, onde al consortepronto fosse, al tornar dalla battaglia,caldo un lavacro. Non sapea, demente!che da' lavacri assai lungi domatol'avea Minerva per la man d'Achille.Ma come dalla torre un suon confusod'ululi intese e di lamenti, tuttele tremaro le membra, al suol le caddela spola, e volta alle donzelle, disse:Accorrete sollecite, seguitemidue di voi tosto: vo' veder che avvenne.Dell'onoranda suocera la vocemi percuote l'orecchio, e il cor mi balzacon sussulto nel petto, e manca il piede.

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Certo, qualche gran danno, ohimè! sovrastadi Prìamo ai figli. Allontanate, o numi,questo presagio: ma ben forte io temoche il divo Achille all'animoso Ettorrenon abbia del salvarsi entro le muragià tagliata la strada, ed or pel campolo m'insegua da tutti abbandonato;e la bravura esizïal non domiche il possedea: restarsi egli non seppemai nella folla, e sempre oltre si spinse,a nessun prode di valor secondo.Così dicendo, della reggia uscìoqual forsennata, e le tremava il core.La seguivan le ancelle; e fra le turbegiunta alla torre, s'arrestò, girandolo sguardo intorno dalle mura. Il vide,il riconobbe da corsier velocistrascinato davanti alla cittadeverso le navi indegnamente. Oscuranotte i rai le coperse, ed ella caddeall'indietro svenuta. Si scomposeroi leggiadri del capo adornamentie nastri e bende e l'intrecciata mitrae la rete ed il vel che dielle in donol'aurea Venere il dì che dalle cased'Eezïòne Ettòr la si condussedi molti doni nuzïali ornata.Affollârsi pietose a lei dintorno

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Certo, qualche gran danno, ohimè! sovrastadi Prìamo ai figli. Allontanate, o numi,questo presagio: ma ben forte io temoche il divo Achille all'animoso Ettorrenon abbia del salvarsi entro le muragià tagliata la strada, ed or pel campolo m'insegua da tutti abbandonato;e la bravura esizïal non domiche il possedea: restarsi egli non seppemai nella folla, e sempre oltre si spinse,a nessun prode di valor secondo.Così dicendo, della reggia uscìoqual forsennata, e le tremava il core.La seguivan le ancelle; e fra le turbegiunta alla torre, s'arrestò, girandolo sguardo intorno dalle mura. Il vide,il riconobbe da corsier velocistrascinato davanti alla cittadeverso le navi indegnamente. Oscuranotte i rai le coperse, ed ella caddeall'indietro svenuta. Si scomposeroi leggiadri del capo adornamentie nastri e bende e l'intrecciata mitrae la rete ed il vel che dielle in donol'aurea Venere il dì che dalle cased'Eezïòne Ettòr la si condussedi molti doni nuzïali ornata.Affollârsi pietose a lei dintorno

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le cognate che smorta tra le bracciareggean l'afflitta di morir bramosaper immenso dolor. Come in se stessaalfin rivenne, e l'alma al cor s'accolse,fe' degli occhi due fonti, e così disse:Oh me deserta! oh sposo mio! noi dunquenascemmo entrambi col medesmo fato,tu nella reggia del tuo padre, ed ionella tebana Ipòplaco selvosaseggio d'Eezïón che pargolettaallevommi, meschino una meschina!Oh non m'avesse generata! Ai regnitu di Pluto discendi entro il profondosen della terra, e me qui lasci al luttovedova in reggia desolata. Intantodel figlio, ohimè! che fia? Figlio infelicedi miserandi genitor, bambinoegli è del tutto ancor, né tu puoi mortopiù farti suo sostegno, Ettore mio,ned egli il padre vendicar: ché dovepur sia che degli Achei la lagrimosaguerra egli sfugga, nondimen dolentitrarrà sempre i suoi giorni, e a lui l'avarovicin mutando i termini del campospoglierallo di questo. Abbandonatoda' suoi compagni è l'orfanello; ei portaognor dimesso il volto, e lagrimosala smunta guancia. Supplice indigente

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le cognate che smorta tra le bracciareggean l'afflitta di morir bramosaper immenso dolor. Come in se stessaalfin rivenne, e l'alma al cor s'accolse,fe' degli occhi due fonti, e così disse:Oh me deserta! oh sposo mio! noi dunquenascemmo entrambi col medesmo fato,tu nella reggia del tuo padre, ed ionella tebana Ipòplaco selvosaseggio d'Eezïón che pargolettaallevommi, meschino una meschina!Oh non m'avesse generata! Ai regnitu di Pluto discendi entro il profondosen della terra, e me qui lasci al luttovedova in reggia desolata. Intantodel figlio, ohimè! che fia? Figlio infelicedi miserandi genitor, bambinoegli è del tutto ancor, né tu puoi mortopiù farti suo sostegno, Ettore mio,ned egli il padre vendicar: ché dovepur sia che degli Achei la lagrimosaguerra egli sfugga, nondimen dolentitrarrà sempre i suoi giorni, e a lui l'avarovicin mutando i termini del campospoglierallo di questo. Abbandonatoda' suoi compagni è l'orfanello; ei portaognor dimesso il volto, e lagrimosala smunta guancia. Supplice indigente

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va del padre agli amici, e all'uno il saio,tocca all'altro la veste. Il più pietosogli accosta alquanto il nappo, e il labbro bagna,non il palato. Ed altro tal che lietova di padre e di madre, alteramentedalla mensa il ributta, e lo percote,e villano gli grida: Sciagurato,esci: il tuo padre qui non siede al desco.Torna allor lagrimando Astïanattealla vedova madre, egli che dianzid'eletti cibi si nudrìa, scherzandosul paterno ginocchio. E quando ei stancod'innocenti trastulli al dolce sonnochiudea le luci alla nudrice in grembo,dentro il suo letticciuol su molli piume,sazio di gioia il cor, s'addormentava.E quanti or privo dell'amato padre,ahi quanti affanni soffrirà! né puntod'Astïanatte gioveragli il nomeche gli posero i Troi, perché le portetu sol ne difendevi e l'ardue mura.Or te sul lido fra le navi, e lungida chi vita ti diè, lubrici i vermiroderan, come sazio avrai de' veltrinudo le gole; ahi nudo! e nella reggiatante avevi leggiadre ed esquisitevesti, lavoro dell'esperte ancelle.Or poiché vane a te son fatte, e tolto

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va del padre agli amici, e all'uno il saio,tocca all'altro la veste. Il più pietosogli accosta alquanto il nappo, e il labbro bagna,non il palato. Ed altro tal che lietova di padre e di madre, alteramentedalla mensa il ributta, e lo percote,e villano gli grida: Sciagurato,esci: il tuo padre qui non siede al desco.Torna allor lagrimando Astïanattealla vedova madre, egli che dianzid'eletti cibi si nudrìa, scherzandosul paterno ginocchio. E quando ei stancod'innocenti trastulli al dolce sonnochiudea le luci alla nudrice in grembo,dentro il suo letticciuol su molli piume,sazio di gioia il cor, s'addormentava.E quanti or privo dell'amato padre,ahi quanti affanni soffrirà! né puntod'Astïanatte gioveragli il nomeche gli posero i Troi, perché le portetu sol ne difendevi e l'ardue mura.Or te sul lido fra le navi, e lungida chi vita ti diè, lubrici i vermiroderan, come sazio avrai de' veltrinudo le gole; ahi nudo! e nella reggiatante avevi leggiadre ed esquisitevesti, lavoro dell'esperte ancelle.Or poiché vane a te son fatte, e tolto

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n'è il coprirti di queste in sul ferètro,tutte alle fiamme gitterolle io stessa,onde al cospetto de' Troiani almenoquesto segno d'onor ti sia renduto.Così dicea piangendo, ed al suo piantoco' sospiri facean eco le donne.

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n'è il coprirti di queste in sul ferètro,tutte alle fiamme gitterolle io stessa,onde al cospetto de' Troiani almenoquesto segno d'onor ti sia renduto.Così dicea piangendo, ed al suo piantoco' sospiri facean eco le donne.

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Libro Ventesimoterzo

Mentre in Troia si piange, all'Ellespontogiungon gli Achivi, e spargesi ciascunoalla sua nave. Ma l'andar dispersinon permise il Pelìde ai bellicosisuoi Mirmidóni, da cui cinto disse:Miei diletti compagni e cavalieri,non distacchiamo per ancor dai cocchii corridori: procediam con questia piagnere Patròclo, a tributarglil'onor dovuto ai trapassati. E quandoavrem del pianto al cor dato il diletto,sciolti i destrieri, appresterem le cene.Disse, e tutti innalzâr ristretti insiemeil fùnebre lamento, Achille il primo.Corser tre volte colle bighe intornoall'estinto ululando, e ne' lor pettidestò Teti di pianto alto desìo.Si bagnava di lagrime l'arena,di lagrime gli usberghi; cotant'erail desiderio dell'eroe perduto.Ma fra tutti piagnea dirottamenteAchille, e poste le omicide manidell'amico sul cor, Salve, dicea,salve, caro Patròclo, anco sotterra.

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Libro Ventesimoterzo

Mentre in Troia si piange, all'Ellespontogiungon gli Achivi, e spargesi ciascunoalla sua nave. Ma l'andar dispersinon permise il Pelìde ai bellicosisuoi Mirmidóni, da cui cinto disse:Miei diletti compagni e cavalieri,non distacchiamo per ancor dai cocchii corridori: procediam con questia piagnere Patròclo, a tributarglil'onor dovuto ai trapassati. E quandoavrem del pianto al cor dato il diletto,sciolti i destrieri, appresterem le cene.Disse, e tutti innalzâr ristretti insiemeil fùnebre lamento, Achille il primo.Corser tre volte colle bighe intornoall'estinto ululando, e ne' lor pettidestò Teti di pianto alto desìo.Si bagnava di lagrime l'arena,di lagrime gli usberghi; cotant'erail desiderio dell'eroe perduto.Ma fra tutti piagnea dirottamenteAchille, e poste le omicide manidell'amico sul cor, Salve, dicea,salve, caro Patròclo, anco sotterra.

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Tutto io voglio compir che ti promisi.D'Ettore il corpo al tuo piè strascinatofarò pasto de' cani, e alla tua piradodici capi troncherò d'elettifigli de' Teucri, di tua morte irato.Disse; ed opra crudel contra il divinoEttor volgendo in suo pensiero, il trasseper la polve boccon presso al ferètrodel figliuol di Menèzio: e gli altri intantoscinsero le corrusche armi, e staccatigli annitrenti corsier, folti sull'altacapitana d'Achille a lauto descos'assisero. Muggìan sotto la scuremolti candidi buoi, molte belandocadean capre scannate e pecorelle,e molti di pinguedine fiorenticinghiai sannuti alle vulcanie vampevenìan distesi a brustolarsi. Il sanguescorrea dintorno al morto in larghi rivi.Al sommo Atride intanto i prenci acheiscortâr vinto da' preghi, e per l'amicosempre d'ira infiammato il re Pelìde.Giunti i duci alla tenda, immantinenteai prodi araldi Agamennón comandache alle fiamme un gran tripode si metta,onde il Pelìde indur, se gli rïesca,a lavarsi del sangue ogni sozzura.Recusollo il feroce, e fermamente

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Tutto io voglio compir che ti promisi.D'Ettore il corpo al tuo piè strascinatofarò pasto de' cani, e alla tua piradodici capi troncherò d'elettifigli de' Teucri, di tua morte irato.Disse; ed opra crudel contra il divinoEttor volgendo in suo pensiero, il trasseper la polve boccon presso al ferètrodel figliuol di Menèzio: e gli altri intantoscinsero le corrusche armi, e staccatigli annitrenti corsier, folti sull'altacapitana d'Achille a lauto descos'assisero. Muggìan sotto la scuremolti candidi buoi, molte belandocadean capre scannate e pecorelle,e molti di pinguedine fiorenticinghiai sannuti alle vulcanie vampevenìan distesi a brustolarsi. Il sanguescorrea dintorno al morto in larghi rivi.Al sommo Atride intanto i prenci acheiscortâr vinto da' preghi, e per l'amicosempre d'ira infiammato il re Pelìde.Giunti i duci alla tenda, immantinenteai prodi araldi Agamennón comandache alle fiamme un gran tripode si metta,onde il Pelìde indur, se gli rïesca,a lavarsi del sangue ogni sozzura.Recusollo il feroce, e fermamente

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giurò: Non sia per Giove ottimo e sommoche lavacro mi tocchi anzi ch'io pongal'amico mio sul rogo, e gli consacrisull'eretto sepolcro il crin reciso.Ah! mai pari dolor, fin ch'io mi viva,in questo petto non cadrà, giammai.Nondimeno si segga all'abborritamensa: ma tu, supremo Atride, imponialla tua gente che domàn per tempomolta selva qua porti; e qual conviensiad illustre defunto che nell'atranotte discende, le cataste appresti,onde rapido il foco lo consumi,e tolto agli occhi il doloroso obbietto,tornin le schiere ai consueti offici.Obbedîr tutti al detto, e prontamenteposte le mense, a convivar si diero,e vivandò ciascuno a suo talento.Del cibarsi e del ber spenta la voglia,tutti sbandârsi alle lor tende, e al sonnocesser le membra. Ma del mar sonantelungo il lido si stese in mezzo ai foltitessali Achille su la nuda arena,di cui l'onda gli estremi orli lambìa.Ivi stanco di gemiti e sospirie della molta in perseguendo Ettorresostenuta fatica, il dolce sonnoalleggiator dell'aspre cure il prese,

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giurò: Non sia per Giove ottimo e sommoche lavacro mi tocchi anzi ch'io pongal'amico mio sul rogo, e gli consacrisull'eretto sepolcro il crin reciso.Ah! mai pari dolor, fin ch'io mi viva,in questo petto non cadrà, giammai.Nondimeno si segga all'abborritamensa: ma tu, supremo Atride, imponialla tua gente che domàn per tempomolta selva qua porti; e qual conviensiad illustre defunto che nell'atranotte discende, le cataste appresti,onde rapido il foco lo consumi,e tolto agli occhi il doloroso obbietto,tornin le schiere ai consueti offici.Obbedîr tutti al detto, e prontamenteposte le mense, a convivar si diero,e vivandò ciascuno a suo talento.Del cibarsi e del ber spenta la voglia,tutti sbandârsi alle lor tende, e al sonnocesser le membra. Ma del mar sonantelungo il lido si stese in mezzo ai foltitessali Achille su la nuda arena,di cui l'onda gli estremi orli lambìa.Ivi stanco di gemiti e sospirie della molta in perseguendo Ettorresostenuta fatica, il dolce sonnoalleggiator dell'aspre cure il prese,

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soavemente circonfuso. Ed eccocomparirgli del misero Patròcloin visïon lo spettro, a lui del tuttone' begli occhi simìle e nella voce,nella statura, nelle vesti, e talesovra il capo gli stette, e così disse:Tu dormi, Achille, né di me più pensi.Vivo m'amasti, e morto m'abbandoni.Deh tosto mi sotterra, onde mi siadato nell'Orco penetrar. Respintoio ne son dalle vane ombre defunte,né meschiarmi con lor di là dal fiumemi si concede. Vagabondo io quindim'aggiro intorno alla magion di Pluto.Or deh porgi la man, ché teco io piangaanco una volta: perocché consuntodalle fiamme del rogo a te dall'Orconon tornerò più mai. Più non potremovivi entrambi, e lontan dagli altri amiciseduti in dolci parlamenti aprirei segreti del cor: ché preda io sonodella Parca crudele a me nascenteun dì sortita. E a te pur anco, Achille,a te che un Dio somigli, è destinatoil perir sotto le dardanie mura.Ben ti prego, o mio caro, e raccomandoche tu non voglia, se mi sei cortese,dal tuo disgiunto il cener mio. Noi fummo

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soavemente circonfuso. Ed eccocomparirgli del misero Patròcloin visïon lo spettro, a lui del tuttone' begli occhi simìle e nella voce,nella statura, nelle vesti, e talesovra il capo gli stette, e così disse:Tu dormi, Achille, né di me più pensi.Vivo m'amasti, e morto m'abbandoni.Deh tosto mi sotterra, onde mi siadato nell'Orco penetrar. Respintoio ne son dalle vane ombre defunte,né meschiarmi con lor di là dal fiumemi si concede. Vagabondo io quindim'aggiro intorno alla magion di Pluto.Or deh porgi la man, ché teco io piangaanco una volta: perocché consuntodalle fiamme del rogo a te dall'Orconon tornerò più mai. Più non potremovivi entrambi, e lontan dagli altri amiciseduti in dolci parlamenti aprirei segreti del cor: ché preda io sonodella Parca crudele a me nascenteun dì sortita. E a te pur anco, Achille,a te che un Dio somigli, è destinatoil perir sotto le dardanie mura.Ben ti prego, o mio caro, e raccomandoche tu non voglia, se mi sei cortese,dal tuo disgiunto il cener mio. Noi fummo

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nella tua reggia allor nudriti insiemeche Menèzio d'Opunte a Ftia menommigiovinetto quel dì che per la litedegli astragali irato e fuor di sennod'Anfidamante a morte misi il figlio,mio malgrado. M'accolse il re Pelèone' suoi palagi umanamente, e postanell'educarmi diligente cura,mi nomò tuo donzello. Una sol'urnachiuda adunque le nostre ossa, quell'urnache d'ôr ti diè la tua madre divina.A che ne vieni, o anima diletta?gli rispose il Pelìde; e a che m'ingiungipartitamente queste cose? Io tuttoche comandi farò: ma deh t'appressa,ch'io t'abbracci, che stretti almen per pocogustiam la trista voluttà del pianto.Così dicendo, coll'aperte bracciaamoroso avventossi, e nulla strinse,ché stridendo calò l'ombra sotterra,e svanì come fumo. In piè rizzossisbalordito il Pelìde, e palma a palmabattendo, in suono di lamento disse:Oh ciel! dell'Orco gli abitanti han dunquespirito ed ombra, ma non corpo alcuno?Del misero Patròclo in questa nottesovra il capo mi stette il sospirosospettro piangente, tutto desso al vivo,

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nella tua reggia allor nudriti insiemeche Menèzio d'Opunte a Ftia menommigiovinetto quel dì che per la litedegli astragali irato e fuor di sennod'Anfidamante a morte misi il figlio,mio malgrado. M'accolse il re Pelèone' suoi palagi umanamente, e postanell'educarmi diligente cura,mi nomò tuo donzello. Una sol'urnachiuda adunque le nostre ossa, quell'urnache d'ôr ti diè la tua madre divina.A che ne vieni, o anima diletta?gli rispose il Pelìde; e a che m'ingiungipartitamente queste cose? Io tuttoche comandi farò: ma deh t'appressa,ch'io t'abbracci, che stretti almen per pocogustiam la trista voluttà del pianto.Così dicendo, coll'aperte bracciaamoroso avventossi, e nulla strinse,ché stridendo calò l'ombra sotterra,e svanì come fumo. In piè rizzossisbalordito il Pelìde, e palma a palmabattendo, in suono di lamento disse:Oh ciel! dell'Orco gli abitanti han dunquespirito ed ombra, ma non corpo alcuno?Del misero Patròclo in questa nottesovra il capo mi stette il sospirosospettro piangente, tutto desso al vivo,

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e più cose m'ingiunse ad una ad una.Ridestâr delle lagrime la bramaqueste parole: raddoppiossi il luttosul miserando corpo, e l'Alba intantocol roseo dito l'Orïente aprìa.Da tutte parti allor fece l'Atridedalle trabacche uscir giumenti e turbeper lo trasporto del funereo bosco,duce il valente Merïon, del prodeIdomenèo scudier. Givan costorodi corde armati e di taglienti scurico' giumenti dinanzi. E per distortiaspri greppi montando e discendendoe rimontando, agli erti boschi alfinegiunser dell'Ida che di fonti abbonda.Qui dier sùbita man con affilatebipenni al taglio dell'aeree querceche strepitose al suol cadeano, e poscialegavansi spaccate in su la schienade' giumenti, che ratte orme stampandoscendean bramosi d'arrivar pe' foltiroveti alla pianura: e li seguiènocarchi il dosso di ciocchi i tagliatori;ché tal di Merïon era il precetto.Giunti sul lido, scaricâr le some,ne fêr catasta al luogo ove il Pelìdeun tumulo sublime al morto amicoed a se stesso disegnato avea.

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e più cose m'ingiunse ad una ad una.Ridestâr delle lagrime la bramaqueste parole: raddoppiossi il luttosul miserando corpo, e l'Alba intantocol roseo dito l'Orïente aprìa.Da tutte parti allor fece l'Atridedalle trabacche uscir giumenti e turbeper lo trasporto del funereo bosco,duce il valente Merïon, del prodeIdomenèo scudier. Givan costorodi corde armati e di taglienti scurico' giumenti dinanzi. E per distortiaspri greppi montando e discendendoe rimontando, agli erti boschi alfinegiunser dell'Ida che di fonti abbonda.Qui dier sùbita man con affilatebipenni al taglio dell'aeree querceche strepitose al suol cadeano, e poscialegavansi spaccate in su la schienade' giumenti, che ratte orme stampandoscendean bramosi d'arrivar pe' foltiroveti alla pianura: e li seguiènocarchi il dosso di ciocchi i tagliatori;ché tal di Merïon era il precetto.Giunti sul lido, scaricâr le some,ne fêr catasta al luogo ove il Pelìdeun tumulo sublime al morto amicoed a se stesso disegnato avea.

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E tutta apparecchiata in questa guisal'immensa selva, riposâr seduti,nuovi cenni aspettando. Intanto Achilleai bellicosi Mirmidón comandadi porsi in armi, ed aggiogar ciascunoalle bighe i destrier. Sursero quellifrettolosi, e fur tutti in tutto punto.Montan su i cocchi aurighi e duci, e dannoalla pompa principio. Immenso un nembodi pedoni li segue, e a questi in mezzodi Patròclo procede il catalettoda' compagni portato, che sul mortovenìan gittando le recise chiome,di che tutto il coprìan. Di retro Achillecolla man gli reggea la tremolantetesta, e plorava sui fùnebri onoricon che all'Orco spedìa l'illustre amico.Giunti al luogo lor detto, il mesto incarcodeposero, e a ribocco intorno a quelloadunâr pronti la funerea selva.Recatosi in se stesso, un altro avvisofece allora il Pelìde. Allontanossidal rogo alquanto, e il biondo si recise,che allo Sperchio nudrìa, florido crine,e al mar guardando con dolor, sì disse:Sperchio, invan ti promise il padre mioche tomando al natìo dolce terrenoio t'avrei tronco la mia chioma, e offerto

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E tutta apparecchiata in questa guisal'immensa selva, riposâr seduti,nuovi cenni aspettando. Intanto Achilleai bellicosi Mirmidón comandadi porsi in armi, ed aggiogar ciascunoalle bighe i destrier. Sursero quellifrettolosi, e fur tutti in tutto punto.Montan su i cocchi aurighi e duci, e dannoalla pompa principio. Immenso un nembodi pedoni li segue, e a questi in mezzodi Patròclo procede il catalettoda' compagni portato, che sul mortovenìan gittando le recise chiome,di che tutto il coprìan. Di retro Achillecolla man gli reggea la tremolantetesta, e plorava sui fùnebri onoricon che all'Orco spedìa l'illustre amico.Giunti al luogo lor detto, il mesto incarcodeposero, e a ribocco intorno a quelloadunâr pronti la funerea selva.Recatosi in se stesso, un altro avvisofece allora il Pelìde. Allontanossidal rogo alquanto, e il biondo si recise,che allo Sperchio nudrìa, florido crine,e al mar guardando con dolor, sì disse:Sperchio, invan ti promise il padre mioche tomando al natìo dolce terrenoio t'avrei tronco la mia chioma, e offerto

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una sacra ecatombe, ed immolatocinquanta agnelli accanto alla tua fonteov'hai delubro, ed odorati altari.Del canuto Pelèo fu questo il voto:tu nol compiesti. Poiché dunque or tolton'è alla patria il ritorno, abbia il mio crinel'eroe Patròclo, e lo si porti seco.Così detto, alla man del caro amicopose la chioma, e rinnovossi il piantode' circostanti: e tra gli omei gli avrìacolti il cader della dïurna luce,se non si fea davanti al grande Atrideil figlio di Pelèo con questi accenti:Agamennón, di lagrime potremosatollarci altra volta. Or tu, cui tuttiobbediscon gli Achei, tu li congedada questa pira, e a ristorar li mandacolla mensa le membra. Avrem del restonoi la cura, ché nostro innanzi a tuttidell'esequie è il pensiero, e rimarrannonosco, a tal uopo di pietade, i duci.Udito questo, Agamennón dispersetosto le schiere per le tende, e solivi restaro i deletti al ministerodell'esequie e del rogo. Essi una piracento piedi sublime in ogni latoinnalzâr primamente, e sovra il sommo,d'angoscia oppressi, collocâr l'estinto;

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una sacra ecatombe, ed immolatocinquanta agnelli accanto alla tua fonteov'hai delubro, ed odorati altari.Del canuto Pelèo fu questo il voto:tu nol compiesti. Poiché dunque or tolton'è alla patria il ritorno, abbia il mio crinel'eroe Patròclo, e lo si porti seco.Così detto, alla man del caro amicopose la chioma, e rinnovossi il piantode' circostanti: e tra gli omei gli avrìacolti il cader della dïurna luce,se non si fea davanti al grande Atrideil figlio di Pelèo con questi accenti:Agamennón, di lagrime potremosatollarci altra volta. Or tu, cui tuttiobbediscon gli Achei, tu li congedada questa pira, e a ristorar li mandacolla mensa le membra. Avrem del restonoi la cura, ché nostro innanzi a tuttidell'esequie è il pensiero, e rimarrannonosco, a tal uopo di pietade, i duci.Udito questo, Agamennón dispersetosto le schiere per le tende, e solivi restaro i deletti al ministerodell'esequie e del rogo. Essi una piracento piedi sublime in ogni latoinnalzâr primamente, e sovra il sommo,d'angoscia oppressi, collocâr l'estinto;

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poi davanti alla pira una gran tormascuoiâr di pingui agnelle e di giovenchi,e traendone l'adipe il Pelìdecoprìane il morto dalla fronte al piede,e le scuoiate vittime dintornogli accumolò. Da canto indi gli posecolle bocche sul fèretro inclinatedue di miele e d'unguento urne ricolme.Precipitoso ei poscia e sospirososulla pira gittò quattro corsierid'alta cervice, e due smembrati canidi nove che del sir nudrìa la mensa.Preso alfin da spietata ira, le goledi dodici segò prestanti figlide' magnanimi Teucri, e sulla pirascagliandoli, destò del fuoco in quellal'invitto spirto struggitor, che il tuttodivorasse, e chiamò con dolorosigridi l'amico: Addio, Patròclo, addione' regni anche di Pluto. Ecco adempitele mie promesse: dodici d'illustresangue Troiani si consuman tecoin queste fiamme, ed Ettore fia pastodelle fiamme non già, ma delle belve.Queste minacce ei fea; ma gl'incitatimastin la salma non toccâr d'Ettorre,ché notte e dì sollecita la figliadi Giove Citerea gli allontanava,

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poi davanti alla pira una gran tormascuoiâr di pingui agnelle e di giovenchi,e traendone l'adipe il Pelìdecoprìane il morto dalla fronte al piede,e le scuoiate vittime dintornogli accumolò. Da canto indi gli posecolle bocche sul fèretro inclinatedue di miele e d'unguento urne ricolme.Precipitoso ei poscia e sospirososulla pira gittò quattro corsierid'alta cervice, e due smembrati canidi nove che del sir nudrìa la mensa.Preso alfin da spietata ira, le goledi dodici segò prestanti figlide' magnanimi Teucri, e sulla pirascagliandoli, destò del fuoco in quellal'invitto spirto struggitor, che il tuttodivorasse, e chiamò con dolorosigridi l'amico: Addio, Patròclo, addione' regni anche di Pluto. Ecco adempitele mie promesse: dodici d'illustresangue Troiani si consuman tecoin queste fiamme, ed Ettore fia pastodelle fiamme non già, ma delle belve.Queste minacce ei fea; ma gl'incitatimastin la salma non toccâr d'Ettorre,ché notte e dì sollecita la figliadi Giove Citerea gli allontanava,

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e il cadavere ugnea d'una celesterosata essenza che impedìa del corpostrascinato l'offesa. Intanto Apollosul campo indusse una cerulea nubeche tutto intorno ricoprìa lo spaziodal cadavere ingombro, onde alle membrae de' nervi al tessuto innocua fossedell'igneo Sole la virtute attiva.Ma del morto Patròclo il rogo ancoranon avvampa. Allor prende altro consiglioil divo Achille. Trattosi in disparte,ai due venti Ponente e Tramontanasupplicando, solenni ostie promette,e in aurea coppa ad ambedue libando,di venirne li prega, e intorno al mortosì le fiamme animar, che in un momentolo si struggano tutto, esso e la pira.Udito la veloce Iride il prego,ai venti lo recò, che accolti insiemenella reggia di Zefiro un festivotenean convito. S'arrestò la Divasu la marmorea soglia, e alla sua vistasursero tutti frettolosi: ognunoa sé chiamolla, ognun le offerse il seggio,ma ricusollo la Taumànzia, e disse:Di seder non è tempo: alle correntidell'Oceàno ritornar mi deggionell'etìope terreno ove s'appresta

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e il cadavere ugnea d'una celesterosata essenza che impedìa del corpostrascinato l'offesa. Intanto Apollosul campo indusse una cerulea nubeche tutto intorno ricoprìa lo spaziodal cadavere ingombro, onde alle membrae de' nervi al tessuto innocua fossedell'igneo Sole la virtute attiva.Ma del morto Patròclo il rogo ancoranon avvampa. Allor prende altro consiglioil divo Achille. Trattosi in disparte,ai due venti Ponente e Tramontanasupplicando, solenni ostie promette,e in aurea coppa ad ambedue libando,di venirne li prega, e intorno al mortosì le fiamme animar, che in un momentolo si struggano tutto, esso e la pira.Udito la veloce Iride il prego,ai venti lo recò, che accolti insiemenella reggia di Zefiro un festivotenean convito. S'arrestò la Divasu la marmorea soglia, e alla sua vistasursero tutti frettolosi: ognunoa sé chiamolla, ognun le offerse il seggio,ma ricusollo la Taumànzia, e disse:Di seder non è tempo: alle correntidell'Oceàno ritornar mi deggionell'etìope terreno ove s'appresta

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agl'Immortali un'ecatombe, e bramone' sacrifici aver mia parte io pure.Ma il Pelìde te, Borea, e te, sonoroZefiro, prega di soffiar nel rogosu cui giace di Pàtroclo la spogliadagli Achei tutti deplorata, e moltevittime ei v'offre, se avvampar lo fate.Così detto, disparve; e quei levârsicon immenso stridor, densate innanzia sé le nubi. Si sfrenâr soffiandosulla marina, sollevaro i flutti,e di Troia arrivati alla pianura,riunâr su la pira; e strepitosoimmane incendio si destò. Dai fortisoffii agitata divampò sublimetutta notte la fiamma, e tutta notteil Pelìde da vasto aureo cratereil vino attinse con ritonda coppa,e spargendolo al suol devotamente,n'irrigava la terra, e l'infeliceombra invocava dell'estinto amico.Come un padre talor piange bruciandol'ossa d'un figlio che morì già sposo,e morendo lasciò gli sventuratisuoi genitori di cordoglio oppressi;così dando alle fiamme il suo compagno,geme il Pelìde, e crebri alti sospiritraendo, intorno al rogo si strascina.

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agl'Immortali un'ecatombe, e bramone' sacrifici aver mia parte io pure.Ma il Pelìde te, Borea, e te, sonoroZefiro, prega di soffiar nel rogosu cui giace di Pàtroclo la spogliadagli Achei tutti deplorata, e moltevittime ei v'offre, se avvampar lo fate.Così detto, disparve; e quei levârsicon immenso stridor, densate innanzia sé le nubi. Si sfrenâr soffiandosulla marina, sollevaro i flutti,e di Troia arrivati alla pianura,riunâr su la pira; e strepitosoimmane incendio si destò. Dai fortisoffii agitata divampò sublimetutta notte la fiamma, e tutta notteil Pelìde da vasto aureo cratereil vino attinse con ritonda coppa,e spargendolo al suol devotamente,n'irrigava la terra, e l'infeliceombra invocava dell'estinto amico.Come un padre talor piange bruciandol'ossa d'un figlio che morì già sposo,e morendo lasciò gli sventuratisuoi genitori di cordoglio oppressi;così dando alle fiamme il suo compagno,geme il Pelìde, e crebri alti sospiritraendo, intorno al rogo si strascina.

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Come poi nunzio della luce al mondoLucifero brillò, dopo cui stendesul pelago l'Aurora il croceo velo,morì la vampa sul consunto rogo,e per lo tracio mar, che rabbuffatomuggìa, tornaro alle lor case i venti.Stanco allora il Pelìde, e dalla pirascostatosi, sdraiossi, e dolce il sonnol'occupò. Ma il tumulto e il calpestìode' capitani, che all'Atride in follasi raccogliean, destollo; ei surse, e assisocosì loro parlò: Supremo Atride,e voi primati degli Achei, spegnetevoi tutti or meco con purpureo vinodi tutto il rogo in pria la brage, e posciaraccogliam di Patròclo attentamentele sacrate ossa; e scernerle fia lieve,imperocché nel mezzo ei si giaceadella catasta, e gli altri all'orlo estremoseparati, fur arsi alla rinfusae uomini e cavalli. Indi d'opimodoppio zirbo ravvolte, in urna d'orole riporremo, finché vegna il giornoch'io pur di Pluto alla magion discenda.Non vo' gli s'erga una superba tomba,ma modesta. Potrete ampia e sublimevoi poscia alzarla, o duci achei, che vividopo me rimarrete a questa riva.

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Come poi nunzio della luce al mondoLucifero brillò, dopo cui stendesul pelago l'Aurora il croceo velo,morì la vampa sul consunto rogo,e per lo tracio mar, che rabbuffatomuggìa, tornaro alle lor case i venti.Stanco allora il Pelìde, e dalla pirascostatosi, sdraiossi, e dolce il sonnol'occupò. Ma il tumulto e il calpestìode' capitani, che all'Atride in follasi raccogliean, destollo; ei surse, e assisocosì loro parlò: Supremo Atride,e voi primati degli Achei, spegnetevoi tutti or meco con purpureo vinodi tutto il rogo in pria la brage, e posciaraccogliam di Patròclo attentamentele sacrate ossa; e scernerle fia lieve,imperocché nel mezzo ei si giaceadella catasta, e gli altri all'orlo estremoseparati, fur arsi alla rinfusae uomini e cavalli. Indi d'opimodoppio zirbo ravvolte, in urna d'orole riporremo, finché vegna il giornoch'io pur di Pluto alla magion discenda.Non vo' gli s'erga una superba tomba,ma modesta. Potrete ampia e sublimevoi poscia alzarla, o duci achei, che vividopo me rimarrete a questa riva.

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Del Pelìde al comando obbedïenticon larghi sprazzi di vermiglio baccodi tutto il rogo ei spensero alla primale vive brage, e giù cadde profondala cenere. Adunâr quindi piangendodel mansueto eroe le candid'ossa;le composer nell'urna avvolte in doppioadipe, e dentro il padiglion deposte,di sottil lino le coprîr. Ciò fatto,disegnâr presti in tondo il monumento,ne gittaro dintorno all'arsa pirai fondamenti, v'ammassâr di sopralo scavato terreno, e a fin condottala tomba, si partìan. Ma li rattenneil Pelìde, e lì fatto in ampio agoneil popolo seder, de' ludi i premiife' dai legni recar; tripodi e vasie destrieri e giumenti e generositauri e captive di gentil cintiglioe forbite armature. E primamentealla corsa de' cocchi il premio pose:una leggiadra in bei lavori espertadonzella a chi primier tocca la meta,con un tripode a doppia ansa, e capacedi ventidue misure. Una giumentache al sest'anno già venne, ancor non doma,e il sen già grave di bastarda proleal secondo. Un lebète intatto e bello

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Del Pelìde al comando obbedïenticon larghi sprazzi di vermiglio baccodi tutto il rogo ei spensero alla primale vive brage, e giù cadde profondala cenere. Adunâr quindi piangendodel mansueto eroe le candid'ossa;le composer nell'urna avvolte in doppioadipe, e dentro il padiglion deposte,di sottil lino le coprîr. Ciò fatto,disegnâr presti in tondo il monumento,ne gittaro dintorno all'arsa pirai fondamenti, v'ammassâr di sopralo scavato terreno, e a fin condottala tomba, si partìan. Ma li rattenneil Pelìde, e lì fatto in ampio agoneil popolo seder, de' ludi i premiife' dai legni recar; tripodi e vasie destrieri e giumenti e generositauri e captive di gentil cintiglioe forbite armature. E primamentealla corsa de' cocchi il premio pose:una leggiadra in bei lavori espertadonzella a chi primier tocca la meta,con un tripode a doppia ansa, e capacedi ventidue misure. Una giumentache al sest'anno già venne, ancor non doma,e il sen già grave di bastarda proleal secondo. Un lebète intatto e bello

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e di quattro misure al terzo auriga;al quarto un doppio aureo talento, e al quintouna coppa dal foco ancor non tocca.Surto in piedi allor disse: Atride, Argivi,gioventù bellicosa, a voi dinanziecco i premii che attendono nel circodegli aurighi il valor. S'altra cagionequesti ludi eccitasse, i primi onorimiei per certo sarìan, ché la prestezzade' miei destrieri non ha pari, e voilo vi sapete: perocché son essiimmortali, e donolli il re Nettunnoal mio padre Pelèo, che a me li cesse.Queto io dunque starommi, e queti insiemei miei cavalli. I miseri perdutohanno il lor forte condottiero e mite,che lavarne solea le belle chiomealla chiara corrente, ed irrorarledi liquid'olio rilucente; ed orapiangonlo immoti, colle meste giubbeal suol diffuse, e il cor di doglia oppresso.Chïunque degli Achei pertanto ha spemene' cocchi e ne' destrier, si metta in punto.Ciò disse appena, che animosi e prontipresentârsi gli aurighi; Eumelo il primo,regal germe d'Admeto, e delle bigheperito agitator. Mosse secondoil gagliardo Tidìde Dïomède

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e di quattro misure al terzo auriga;al quarto un doppio aureo talento, e al quintouna coppa dal foco ancor non tocca.Surto in piedi allor disse: Atride, Argivi,gioventù bellicosa, a voi dinanziecco i premii che attendono nel circodegli aurighi il valor. S'altra cagionequesti ludi eccitasse, i primi onorimiei per certo sarìan, ché la prestezzade' miei destrieri non ha pari, e voilo vi sapete: perocché son essiimmortali, e donolli il re Nettunnoal mio padre Pelèo, che a me li cesse.Queto io dunque starommi, e queti insiemei miei cavalli. I miseri perdutohanno il lor forte condottiero e mite,che lavarne solea le belle chiomealla chiara corrente, ed irrorarledi liquid'olio rilucente; ed orapiangonlo immoti, colle meste giubbeal suol diffuse, e il cor di doglia oppresso.Chïunque degli Achei pertanto ha spemene' cocchi e ne' destrier, si metta in punto.Ciò disse appena, che animosi e prontipresentârsi gli aurighi; Eumelo il primo,regal germe d'Admeto, e delle bigheperito agitator. Mosse secondoil gagliardo Tidìde Dïomède

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co' destrieri di Troe tolti ad Enea,cui da morte campò l'opra d'Apollo.Il biondo Menelao, sangue di Giove,levossi il terzo, e sotto al giogo addussedue veloci cavalli, il suo Podargo,ed Eta, del fratello una puledra,dell'aringo bramosa a meraviglia.Donata al rege Agamennón l'aveal'Anchisìade Echepòlo, onde francarsidal seguitarlo a Troia, e neghittosonell'opulenta Sicïon sua stanzarimanersi a fruir le concedutedal saturnio Signor molte ricchezze.Del magnanimo Nèstore buon figlioAntìloco aggiogò quarto i crinitisuoi cavalli di Pilo, ancor del cocchiobuoni al tiro. Si trasse il vecchio padrea lui già saggio per se stesso, e un saggioutile avviso gli porgea dicendo:Antìloco, te amâr Giove e Nettunnogiovane ancora, e t'erudîr di tuttal'arte equestre: perciò poco fia l'uopod'ammaestrarti, perocché sai destrogirar la meta: ma son tardi al corsoi tuoi destrieri, e qualche danno io temo.Destrier più ratti han gli altri, ma non artené scïenza maggior. Dunque, o mio caro,tutti richiama al cor gli accorgimenti,

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co' destrieri di Troe tolti ad Enea,cui da morte campò l'opra d'Apollo.Il biondo Menelao, sangue di Giove,levossi il terzo, e sotto al giogo addussedue veloci cavalli, il suo Podargo,ed Eta, del fratello una puledra,dell'aringo bramosa a meraviglia.Donata al rege Agamennón l'aveal'Anchisìade Echepòlo, onde francarsidal seguitarlo a Troia, e neghittosonell'opulenta Sicïon sua stanzarimanersi a fruir le concedutedal saturnio Signor molte ricchezze.Del magnanimo Nèstore buon figlioAntìloco aggiogò quarto i crinitisuoi cavalli di Pilo, ancor del cocchiobuoni al tiro. Si trasse il vecchio padrea lui già saggio per se stesso, e un saggioutile avviso gli porgea dicendo:Antìloco, te amâr Giove e Nettunnogiovane ancora, e t'erudîr di tuttal'arte equestre: perciò poco fia l'uopod'ammaestrarti, perocché sai destrogirar la meta: ma son tardi al corsoi tuoi destrieri, e qualche danno io temo.Destrier più ratti han gli altri, ma non artené scïenza maggior. Dunque, o mio caro,tutti richiama al cor gli accorgimenti,

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se vuoi che il premio da tue man non fugga.L'arte più che la forza al fabbro è buona;coll'arte in mar da venti combattutoregge il piloto la sua presta nave,e coll'arte il cocchier passa il cocchiero.Chi sol del cocchio e de' corsier si fida,qua e là s'aggira senza senno; incertidivagano i cavalli, ed ei non puotepiù governarli. Ma l'esperto auriga,benché meno valenti i suoi sospinga,sempre ha l'occhio alla meta, e volta stretto,e sa come lentar, sa come a tempocon fermi polsi rattener le briglie,ed osserva il rival che lo precede.Or la meta, perché tu senza errorela distingua, dirò. Sorge da terraalto sei piedi un tronco di larìceo di quercia che sia, secco e da pioggianon putrefatto ancor. Stan quinci e quindi,dove sbocca la via, due bianche pietreda cui si stende tutto piano in girode' cavalli lo stadio. O che sepolcroquesto si fosse d'un illustre estinto,o confin posto dalla prisca gente,meta al corso lo fece oggi il Pelìde.Tu fa di rasentarla, e vi sospingivicin vicino il cocchio e i corridori,alcun poco piegando alla sinistra

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se vuoi che il premio da tue man non fugga.L'arte più che la forza al fabbro è buona;coll'arte in mar da venti combattutoregge il piloto la sua presta nave,e coll'arte il cocchier passa il cocchiero.Chi sol del cocchio e de' corsier si fida,qua e là s'aggira senza senno; incertidivagano i cavalli, ed ei non puotepiù governarli. Ma l'esperto auriga,benché meno valenti i suoi sospinga,sempre ha l'occhio alla meta, e volta stretto,e sa come lentar, sa come a tempocon fermi polsi rattener le briglie,ed osserva il rival che lo precede.Or la meta, perché tu senza errorela distingua, dirò. Sorge da terraalto sei piedi un tronco di larìceo di quercia che sia, secco e da pioggianon putrefatto ancor. Stan quinci e quindi,dove sbocca la via, due bianche pietreda cui si stende tutto piano in girode' cavalli lo stadio. O che sepolcroquesto si fosse d'un illustre estinto,o confin posto dalla prisca gente,meta al corso lo fece oggi il Pelìde.Tu fa di rasentarla, e vi sospingivicin vicino il cocchio e i corridori,alcun poco piegando alla sinistra

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la persona, e flagella e incalza e sgridail cavallo alla dritta, e gli abbandonatutta la briglia, e fa che l'altro intantorada la meta sì che paia il mozzodella ruota volubile toccarla;ma vedi, ve', che non la tocchi, infranton'andrebbe il carro, offesi i corridori,e tu deriso e di disnor coperto.Sii dunque saggio e cauto. Ove la metatrascorrer netto ti rïesca, alcunonon fia che poi t'aggiunga o ti trapassi,no, s'anco a tergo ti venisse a voloquel d'Adrasto corsier nato d'un Dio,il veloce Arïone, o quei famosiche qui Laomedonte un dì nudrìa.Divisate al figliuol distintamentequeste avvertenze, si raccolse il veglionell'erboso suo seggio. Ultimo intantocon bella coppia di corsier superbiMerïon nella lizza era venuto.Montati i carri, si gittâr le sorti.Agitolle il Pelìde, e uscì primieroAntìloco; indi Eumelo, indi l'Atride,fu quarto Merïon, quinto il fortissimoDïomede. Locârsi in ordinanzatutti, ed Achille mostrò lor lontananel pian la meta a cui giudice aveaposto del padre lo scudier Fenice

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la persona, e flagella e incalza e sgridail cavallo alla dritta, e gli abbandonatutta la briglia, e fa che l'altro intantorada la meta sì che paia il mozzodella ruota volubile toccarla;ma vedi, ve', che non la tocchi, infranton'andrebbe il carro, offesi i corridori,e tu deriso e di disnor coperto.Sii dunque saggio e cauto. Ove la metatrascorrer netto ti rïesca, alcunonon fia che poi t'aggiunga o ti trapassi,no, s'anco a tergo ti venisse a voloquel d'Adrasto corsier nato d'un Dio,il veloce Arïone, o quei famosiche qui Laomedonte un dì nudrìa.Divisate al figliuol distintamentequeste avvertenze, si raccolse il veglionell'erboso suo seggio. Ultimo intantocon bella coppia di corsier superbiMerïon nella lizza era venuto.Montati i carri, si gittâr le sorti.Agitolle il Pelìde, e uscì primieroAntìloco; indi Eumelo, indi l'Atride,fu quarto Merïon, quinto il fortissimoDïomede. Locârsi in ordinanzatutti, ed Achille mostrò lor lontananel pian la meta a cui giudice aveaposto del padre lo scudier Fenice

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venerando vegliardo, onde notassele corse attento, e riferisse il vero.Stavano tutti colle sferze alzatesu gli ardenti destrieri, e dato il segno,lentâr tutti le briglie, e co' flagellie co' gridi animaro i generosicorsier che ratti si lanciâr nel campo,e dal lido spariro in un baleno.Sorge sotto i lor petti alta la polveche di nugolo a guisa o di procellasi condensa, ed al vento abbandonatesvolazzano le giubbe. Or vedi i cocchirader bassi la terra, ed or sublimibalzarsi, né perciò perde mai piededegli aurighi veruno, e batte a tuttiper desiderio della palma il core;e in un nembo di polve ognun dà spirtoa' suoi volanti alipedi. Varcatala meta, e preso il rimanente corsodi ritorno alle mosse, allor rifulsedi ciascun la prodezza, allor si stesenello stadio ogni cocchio. Innanzi a tuttile puledre volavano velocidel Ferezìade Eumelo; e dopo queste,ma di poco intervallo, i corridoridi Troe, guidati dal Tidìde, e tantoimminenti che ognor parean sul carromontar d'Eumelo, a cui co' fiati ardenti

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venerando vegliardo, onde notassele corse attento, e riferisse il vero.Stavano tutti colle sferze alzatesu gli ardenti destrieri, e dato il segno,lentâr tutti le briglie, e co' flagellie co' gridi animaro i generosicorsier che ratti si lanciâr nel campo,e dal lido spariro in un baleno.Sorge sotto i lor petti alta la polveche di nugolo a guisa o di procellasi condensa, ed al vento abbandonatesvolazzano le giubbe. Or vedi i cocchirader bassi la terra, ed or sublimibalzarsi, né perciò perde mai piededegli aurighi veruno, e batte a tuttiper desiderio della palma il core;e in un nembo di polve ognun dà spirtoa' suoi volanti alipedi. Varcatala meta, e preso il rimanente corsodi ritorno alle mosse, allor rifulsedi ciascun la prodezza, allor si stesenello stadio ogni cocchio. Innanzi a tuttile puledre volavano velocidel Ferezìade Eumelo; e dopo queste,ma di poco intervallo, i corridoridi Troe, guidati dal Tidìde, e tantoimminenti che ognor parean sul carromontar d'Eumelo, a cui co' fiati ardenti

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già scaldano le spalle, e già le toccanocolle fervide teste. E oltrepassatoforse l'avrebbe, o pareggiato almeno,se al figlio di Tidèo Febo la palmainvidïando, non gli fea sdegnosobalzar dal pugno la lucente sferza.Lagrime d'ira e di dolor le goteinondâr dell'eroe, vista d'Eumelolontanarsi più rapida la biga,e per difetto di flagel più lentacorrer la sua. Ma Pallade d'Apolloscorta la frode, e del Tidìde il danno,presta a lui corse, e alla sua man rimessala sferza, aggiunse ai corridor la lena.Indi al figlio d'Admeto avvicinossiirata, e il giogo gli spezzò. Turbatesi svïar le cavalle, andò per terrail timon, riversossi il cavalieropresso alla ruota, e il cubito e la boccalacerossi e le nari, e su le ciglian'ebbe pesta la fronte: le pupilles'empîr di pianto, s'arrestò la voce,e Dïomede il trapassò sferzandogli animosi destrier che innanzi a tuttiscappan di molto, perocché Minervagli afforza, e vincitor vuole il Tidìde.Vien dopo questi Menelao cui premedi Nèstore il figliuol che confortando

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già scaldano le spalle, e già le toccanocolle fervide teste. E oltrepassatoforse l'avrebbe, o pareggiato almeno,se al figlio di Tidèo Febo la palmainvidïando, non gli fea sdegnosobalzar dal pugno la lucente sferza.Lagrime d'ira e di dolor le goteinondâr dell'eroe, vista d'Eumelolontanarsi più rapida la biga,e per difetto di flagel più lentacorrer la sua. Ma Pallade d'Apolloscorta la frode, e del Tidìde il danno,presta a lui corse, e alla sua man rimessala sferza, aggiunse ai corridor la lena.Indi al figlio d'Admeto avvicinossiirata, e il giogo gli spezzò. Turbatesi svïar le cavalle, andò per terrail timon, riversossi il cavalieropresso alla ruota, e il cubito e la boccalacerossi e le nari, e su le ciglian'ebbe pesta la fronte: le pupilles'empîr di pianto, s'arrestò la voce,e Dïomede il trapassò sferzandogli animosi destrier che innanzi a tuttiscappan di molto, perocché Minervagli afforza, e vincitor vuole il Tidìde.Vien dopo questi Menelao cui premedi Nèstore il figliuol che confortando

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i paterni destrier, grida: Correte,stendetevi prestissimi: non iogià vi comando gareggiar con quellidel forte Dïomède, a' quai Minervadiè l'ali al piede, e a lui la palma: soloraggiungete l'Atride, e non soffriterestando addietro, ch'Eta, una giumenta,vi sorpassi di corso e disonori.Che lentezza s'è questa? ov'è l'anticavostra prestanza? Io lo vi giuro, e il giuros'adempirà; se pigri un premio vileriporterem, negletti, anzi trafittida Nèstore sarete. Or via, volate,ch'io di astuzia giovandomi senz'errotrapasserò l'Atride nello stretto.Antìloco sì disse, e quei temendole sue minacce rinforzaro il corso;ed ecco dopo poco il passo angustodel concavo cammin. V'era una franaove l'acqua invernal, raccolta in copia,dirotta avea la strada, e tutto intornoaffondato il terren. Per quella partesi drizzava l'Atride, onde il concorsoischivar delle bighe. Ivi si spinseAntìloco pur esso; e devïandodalla carriera un cotal poco, e forteflagellando i corsier, lo stringe, e tentaprevenirlo. Temettene l'Atride,

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i paterni destrier, grida: Correte,stendetevi prestissimi: non iogià vi comando gareggiar con quellidel forte Dïomède, a' quai Minervadiè l'ali al piede, e a lui la palma: soloraggiungete l'Atride, e non soffriterestando addietro, ch'Eta, una giumenta,vi sorpassi di corso e disonori.Che lentezza s'è questa? ov'è l'anticavostra prestanza? Io lo vi giuro, e il giuros'adempirà; se pigri un premio vileriporterem, negletti, anzi trafittida Nèstore sarete. Or via, volate,ch'io di astuzia giovandomi senz'errotrapasserò l'Atride nello stretto.Antìloco sì disse, e quei temendole sue minacce rinforzaro il corso;ed ecco dopo poco il passo angustodel concavo cammin. V'era una franaove l'acqua invernal, raccolta in copia,dirotta avea la strada, e tutto intornoaffondato il terren. Per quella partesi drizzava l'Atride, onde il concorsoischivar delle bighe. Ivi si spinseAntìloco pur esso; e devïandodalla carriera un cotal poco, e forteflagellando i corsier, lo stringe, e tentaprevenirlo. Temettene l'Atride,

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e gridò: Dove vai, pazzo? rattieni,Antìloco, i destrier: stretta è la via.Aspetta che s'allarghi, e trapassarmipotrai: qui entrambi romperemo i cocchi.Antìloco non l'ode, e stimolandopiù veemente i corridor, s'avanza.Quanto è il tratto d'un disco da robustogiovin scagliato per provar sue forze,tanto trascorse la nestòrea biga.Iscansossi l'Atride, e volontarioi suoi destrieri rallentò, temendoche da quegli altri urtati in quello strettonon gli versino il cocchio, e al suol stramazzinoessi medesmi nel voler per troppoamor di lode acccelerarsi. Intantodietro al figlio di Nèstore l'Atridegridar s'udiva: Antìloco, non avviil più tristo di te: va pure: a tortonoi saggio ti tenemmo: ma tu premionon toccherai, per dio! se pria non giuri.Quindi animando i suoi corsier, dicea:non v'impigrite, non mi state afflitti;pria di voi perderan quelli la lena,ch'ei son vecchi ambidue. - Così lor grida,e docili i destrieri alla sua vocedoppiaro il corso, e tosto li raggiunsero.Nel circo assisi intanto i prenci acheistavansi attenti ad osservar da lungi

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e gridò: Dove vai, pazzo? rattieni,Antìloco, i destrier: stretta è la via.Aspetta che s'allarghi, e trapassarmipotrai: qui entrambi romperemo i cocchi.Antìloco non l'ode, e stimolandopiù veemente i corridor, s'avanza.Quanto è il tratto d'un disco da robustogiovin scagliato per provar sue forze,tanto trascorse la nestòrea biga.Iscansossi l'Atride, e volontarioi suoi destrieri rallentò, temendoche da quegli altri urtati in quello strettonon gli versino il cocchio, e al suol stramazzinoessi medesmi nel voler per troppoamor di lode acccelerarsi. Intantodietro al figlio di Nèstore l'Atridegridar s'udiva: Antìloco, non avviil più tristo di te: va pure: a tortonoi saggio ti tenemmo: ma tu premionon toccherai, per dio! se pria non giuri.Quindi animando i suoi corsier, dicea:non v'impigrite, non mi state afflitti;pria di voi perderan quelli la lena,ch'ei son vecchi ambidue. - Così lor grida,e docili i destrieri alla sua vocedoppiaro il corso, e tosto li raggiunsero.Nel circo assisi intanto i prenci acheistavansi attenti ad osservar da lungi

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i volanti cavalli che nel camposollevavan la polve. Idomeneore de' Cretesi gli avvisò primiero,che fuor del circo si sedea sublimea una vedetta. E di lontano uditadel primo auriga che venìa, la voce,lo conobbe, e distinse il precorrentedestrier che tutto sauro in fronte aveabianca una macchia, tonda come luna.Rizzossi in piedi, e disse: O degli Acheiprenci amici, m'inganno, o ravvisatequei cavalli voi pure? Altri mi sembranoda quei di prima, ed altro il condottiero.Le puledre che dianzi eran davantiforse sofferto han qualche sconcio. Al certogirar primiere le vid'io la meta;or come che pel campo il guardo io volga,più non le scorgo. O che scappâr di manoall'auriga le briglie, o ch'ei non sepperattenerne la foga, e non fe' nettoil giro della meta. Ei forse quivicadde, e infranse la biga, e le cavalledeviâr furïose. Or voi pur ancoalzatevi e guardate: io non discernoabbastanza; ma parmi esser quel primol'ètolo prence argivo Dïomede.Che vai tu vaneggiando? aspro ripreseAiace d'Oilèo. Quelle che miri

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i volanti cavalli che nel camposollevavan la polve. Idomeneore de' Cretesi gli avvisò primiero,che fuor del circo si sedea sublimea una vedetta. E di lontano uditadel primo auriga che venìa, la voce,lo conobbe, e distinse il precorrentedestrier che tutto sauro in fronte aveabianca una macchia, tonda come luna.Rizzossi in piedi, e disse: O degli Acheiprenci amici, m'inganno, o ravvisatequei cavalli voi pure? Altri mi sembranoda quei di prima, ed altro il condottiero.Le puledre che dianzi eran davantiforse sofferto han qualche sconcio. Al certogirar primiere le vid'io la meta;or come che pel campo il guardo io volga,più non le scorgo. O che scappâr di manoall'auriga le briglie, o ch'ei non sepperattenerne la foga, e non fe' nettoil giro della meta. Ei forse quivicadde, e infranse la biga, e le cavalledeviâr furïose. Or voi pur ancoalzatevi e guardate: io non discernoabbastanza; ma parmi esser quel primol'ètolo prence argivo Dïomede.Che vai tu vaneggiando? aspro ripreseAiace d'Oilèo. Quelle che miri

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da lungi a noi volar son le puledre.Più non sei giovinetto, o Idomenèo:la vista hai corta, e ciance assai, né il farnemolte t'è bello ov'altri è più prestante.Quelle davanti son, qual pria, d'Eumelole puledre, e ne regge esso le briglie.E a lui cruccioso de' Cretesi il sire:Malèdico rissoso, in questo solotra noi valente, ed ultimo nel resto,villano Aiace, deponiam su viaun tripode o un lebète, e Agamennónegiudichi e dica che corsier sian primi,e pagando il saprai. Sorgea paratoa far risposta con acerbi dettilo stizzito Oilìde, e la contesacrescea: ma grave la precise Achille:Fine, o duci, a un ontoso ed indecoroparlar che in altri biasmereste. In pacesedetevi e guardate. I gareggianticorridori son presso, e voi ben tostochi sia primo saprete, e chi secondo.Fra questo dire, a furia ecco il Tidìdeavanzarsi, e le groppe senza posatempestar de' cavalli che sublimidivorano la via. Schizzi di polveincessanti percuotono l'auriga.D'ôr raggiante e di stagno si rivolvedietro i ratti corsier sì lieve il cocchio

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da lungi a noi volar son le puledre.Più non sei giovinetto, o Idomenèo:la vista hai corta, e ciance assai, né il farnemolte t'è bello ov'altri è più prestante.Quelle davanti son, qual pria, d'Eumelole puledre, e ne regge esso le briglie.E a lui cruccioso de' Cretesi il sire:Malèdico rissoso, in questo solotra noi valente, ed ultimo nel resto,villano Aiace, deponiam su viaun tripode o un lebète, e Agamennónegiudichi e dica che corsier sian primi,e pagando il saprai. Sorgea paratoa far risposta con acerbi dettilo stizzito Oilìde, e la contesacrescea: ma grave la precise Achille:Fine, o duci, a un ontoso ed indecoroparlar che in altri biasmereste. In pacesedetevi e guardate. I gareggianticorridori son presso, e voi ben tostochi sia primo saprete, e chi secondo.Fra questo dire, a furia ecco il Tidìdeavanzarsi, e le groppe senza posatempestar de' cavalli che sublimidivorano la via. Schizzi di polveincessanti percuotono l'auriga.D'ôr raggiante e di stagno si rivolvedietro i ratti corsier sì lieve il cocchio

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che appena vedi della ruota il solconella sabbia sottil. Giunto alle mosse,fra le plaudenti turbe il vincitorefermossi. Un rivo di sudor dal colloe dal petto scorrea degli anelanticorsieri, ed esso dal lucente carroleggier d'un salto al suol gittossi, e al giogolo scudiscio appoggiò. Né stette a badaStenelo, il forte suo scudier, che prontoil tripode si tolse e la donzellapremio del corso, e consegnato il tuttoai prodi amici, i corridor disciolse.Secondo giunse Antìloco che aveanon per rattezza di destrier precorsoMenelao, ma per arte; e nondimenoquesti a tergo gli è sì, che quasi il tocca.Quanto si scosta dalla ruota il piededi corsier che pel campo alla distesatragge sul cocchio il suo signor, lambendoco' crini estremi della coda il cerchiodel volubile giro che divisoda minimo intervallo ognor si volvedietro i rapidi passi; iva l'Atridesol di tanto discosto allor dal figliodi Nèstore, quantunque egli da primafosse rimasto un trar di disco indietro.Ma dell'agamennònia Eta fu talela prestezza e il valor, che tosto il giunse.

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che appena vedi della ruota il solconella sabbia sottil. Giunto alle mosse,fra le plaudenti turbe il vincitorefermossi. Un rivo di sudor dal colloe dal petto scorrea degli anelanticorsieri, ed esso dal lucente carroleggier d'un salto al suol gittossi, e al giogolo scudiscio appoggiò. Né stette a badaStenelo, il forte suo scudier, che prontoil tripode si tolse e la donzellapremio del corso, e consegnato il tuttoai prodi amici, i corridor disciolse.Secondo giunse Antìloco che aveanon per rattezza di destrier precorsoMenelao, ma per arte; e nondimenoquesti a tergo gli è sì, che quasi il tocca.Quanto si scosta dalla ruota il piededi corsier che pel campo alla distesatragge sul cocchio il suo signor, lambendoco' crini estremi della coda il cerchiodel volubile giro che divisoda minimo intervallo ognor si volvedietro i rapidi passi; iva l'Atridesol di tanto discosto allor dal figliodi Nèstore, quantunque egli da primafosse rimasto un trar di disco indietro.Ma dell'agamennònia Eta fu talela prestezza e il valor, che tosto il giunse.

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E l'avrìa pure oltrepassato, e fattanon dubbia la vittoria, ove più lungastata si fosse d'ambedue la corsa.Seguìa l'Atride Merïon, preclaroscudier d'Idomenèo, distante il tirod'una lancia, perché belli, ma pigrii corridori egli ebbe, e perché dessoera il men destro nel guidar la biga.Ultimo ne venìa d'Admeto il figlio,a stento il cocchio traendo, e dinanzicacciandosi i destrieri. Lo compianse,come lo vide, Achille, e circondatodagli Achei, profferì queste parole:Ultimo giunge il più valente. Or via,diamgli il premio secondo; egli n'è degno.Ma il primo al figlio di Tidèo si resti.Lodâr tutti il decreto, e fra gli applausidegli Achei sull'istante egli donatala giumenta gli avrìa, se posta in campola sua ragione Antìloco al Pelìdenon si volgea dicendo: Achille, io tecomi corruccio davver, se il tuo disegnometti ad effetto. Perché un Dio gli offesei cavalli ed il cocchio, e non gli valsela sua prodezza, mi vorrai tu dunqueil mio premio rapir? Ché non pors'egliprima ai numi i suoi voti? Ei non sarìaultimo giunto nell'illustre aringo.

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E l'avrìa pure oltrepassato, e fattanon dubbia la vittoria, ove più lungastata si fosse d'ambedue la corsa.Seguìa l'Atride Merïon, preclaroscudier d'Idomenèo, distante il tirod'una lancia, perché belli, ma pigrii corridori egli ebbe, e perché dessoera il men destro nel guidar la biga.Ultimo ne venìa d'Admeto il figlio,a stento il cocchio traendo, e dinanzicacciandosi i destrieri. Lo compianse,come lo vide, Achille, e circondatodagli Achei, profferì queste parole:Ultimo giunge il più valente. Or via,diamgli il premio secondo; egli n'è degno.Ma il primo al figlio di Tidèo si resti.Lodâr tutti il decreto, e fra gli applausidegli Achei sull'istante egli donatala giumenta gli avrìa, se posta in campola sua ragione Antìloco al Pelìdenon si volgea dicendo: Achille, io tecomi corruccio davver, se il tuo disegnometti ad effetto. Perché un Dio gli offesei cavalli ed il cocchio, e non gli valsela sua prodezza, mi vorrai tu dunqueil mio premio rapir? Ché non pors'egliprima ai numi i suoi voti? Ei non sarìaultimo giunto nell'illustre aringo.

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Ché se di lui pietà ti move, e questoal cor t'è grato, nella tenda hai molted'auro e bronzo conserve, hai molto gregge,hai fanciulle e cavalli. E tu il presentadi queste cose, e sian maggiori ancora,ma in altro tempo, o se il vuoi, pure adesso,onde ten vegna degli Achei la lode.Ma questa io non vo' darla, e dovrà mecosperimentarsi ogni uom che la pretenda.Delle franche d'Antìloco parolecompiaciuto, sorrise il divo Achille,cui caro amico egli era; e gli rispose:Antìloco, tu vuoi che s'abbia Eumelodi ciò che in serbo io tengo, altro presente;e l'avrà. Gli darò d'Asteropeola di bronzo lorica, a cui dintornoscorre un bell'orlo di fulgente stagno;lavoro di gran pregio. - E così detto,al suo fedele Automedonte imposedi recar dalla tenda la lorica.Volò quegli, e recolla al suo signoreche in man la pose dell'allegro Eumelo.Contro Antìloco allor surse il cor pienodi doglia e d'ira Menelao. L'araldomisegli tosto nelle man lo scettro,e silenzio intimò. Quindi l'eroecosì a dir prese: O tu, che per l'innanzigrido avevi di saggio, che facesti?

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Ché se di lui pietà ti move, e questoal cor t'è grato, nella tenda hai molted'auro e bronzo conserve, hai molto gregge,hai fanciulle e cavalli. E tu il presentadi queste cose, e sian maggiori ancora,ma in altro tempo, o se il vuoi, pure adesso,onde ten vegna degli Achei la lode.Ma questa io non vo' darla, e dovrà mecosperimentarsi ogni uom che la pretenda.Delle franche d'Antìloco parolecompiaciuto, sorrise il divo Achille,cui caro amico egli era; e gli rispose:Antìloco, tu vuoi che s'abbia Eumelodi ciò che in serbo io tengo, altro presente;e l'avrà. Gli darò d'Asteropeola di bronzo lorica, a cui dintornoscorre un bell'orlo di fulgente stagno;lavoro di gran pregio. - E così detto,al suo fedele Automedonte imposedi recar dalla tenda la lorica.Volò quegli, e recolla al suo signoreche in man la pose dell'allegro Eumelo.Contro Antìloco allor surse il cor pienodi doglia e d'ira Menelao. L'araldomisegli tosto nelle man lo scettro,e silenzio intimò. Quindi l'eroecosì a dir prese: O tu, che per l'innanzigrido avevi di saggio, che facesti?

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Disonestasti, o Antìloco, la miagloria, e cacciati per inganno avantili tuoi corsieri assai da meno, i mieisconciamente offendesti. Or voi qui fate,prenci achivi, ragione ad ambeduesenza rispetti; ch'io non vo' che poidica qualcuno degli Achei: L'Atridecolle menzogne Antìloco aggravandovia la giumenta si menò, vincendodi cavalli non già, ma di possanzae di forza. Ma che? Senza pauradi biasmo io stesso finirò la lite,e fia retto il giudizio. Orsù, t'accosta,prode alunno di Giove, e giusta il ritostatti innanzi alla biga, e d'una manoimpugnando la sfera agitatrice,e sì coll'altra i corridor toccando,giura a Nettunno non aver volentené con frode impedito il cocchio mio.Re Menelao, mi compatisci, accortol'altro rispose: giovinetto ancorason io: tu d'anni e di virtù mi vinci,e dell'etade giovanil ben saii difetti: cuor caldo e poco senno.Siimi dunque benigno. Ecco a te cedol'ottenuta giumenta; e s'altro bramidel mio, darollo di cuor pronto, e tosto,anzi che l'amor tuo per sempre, o prence,

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Disonestasti, o Antìloco, la miagloria, e cacciati per inganno avantili tuoi corsieri assai da meno, i mieisconciamente offendesti. Or voi qui fate,prenci achivi, ragione ad ambeduesenza rispetti; ch'io non vo' che poidica qualcuno degli Achei: L'Atridecolle menzogne Antìloco aggravandovia la giumenta si menò, vincendodi cavalli non già, ma di possanzae di forza. Ma che? Senza pauradi biasmo io stesso finirò la lite,e fia retto il giudizio. Orsù, t'accosta,prode alunno di Giove, e giusta il ritostatti innanzi alla biga, e d'una manoimpugnando la sfera agitatrice,e sì coll'altra i corridor toccando,giura a Nettunno non aver volentené con frode impedito il cocchio mio.Re Menelao, mi compatisci, accortol'altro rispose: giovinetto ancorason io: tu d'anni e di virtù mi vinci,e dell'etade giovanil ben saii difetti: cuor caldo e poco senno.Siimi dunque benigno. Ecco a te cedol'ottenuta giumenta; e s'altro bramidel mio, darollo di cuor pronto, e tosto,anzi che l'amor tuo per sempre, o prence,

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perdere e farmi ai sommi iddii spergiuro.Sì dicendo, di Nèstore il buon figliola giumenta condusse, ed alle manila ponea dell'Atride a cui di gioiaintenerissi il cor. Siccome quandosu i sitibondi culti la rugiadaspargesi e avviva le crescenti spighe:a te del pari, o Menelao, nel pettosi sparse la letizia, e dolcementegli rispondesti: Antìloco, a te cedo,deposta l'ira, io stesso. Unqua non fostiné leggier né bizzarro. Oggi fu vintoda sconsigliata giovinezza il senno.Ma il ben guardarsi dagl'inganni è belloco' maggiori. Nessun m'avrìa placatosì facilmente degli Achei: ma moltocoll'egregio tuo padre e col fratelloper mia cagion tu soffri, e molto sudi;perciò m'arrendo al tuo pregare, e questa,ch'è mia, ti dono, a fin che ognun si veggache né fier né superbo ho il cor nel petto.Diè, ciò detto, d'Antìloco al compagnoNöemón la giumenta, indi si tolseil fulgido lebète; e Merïone,che quarto giunse, i due talenti d'oro.Restava il quinto guiderdon, la coppa.La prese Achille, e traversando il pienocirco, accostossi al buon Nestorre, e lieto

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perdere e farmi ai sommi iddii spergiuro.Sì dicendo, di Nèstore il buon figliola giumenta condusse, ed alle manila ponea dell'Atride a cui di gioiaintenerissi il cor. Siccome quandosu i sitibondi culti la rugiadaspargesi e avviva le crescenti spighe:a te del pari, o Menelao, nel pettosi sparse la letizia, e dolcementegli rispondesti: Antìloco, a te cedo,deposta l'ira, io stesso. Unqua non fostiné leggier né bizzarro. Oggi fu vintoda sconsigliata giovinezza il senno.Ma il ben guardarsi dagl'inganni è belloco' maggiori. Nessun m'avrìa placatosì facilmente degli Achei: ma moltocoll'egregio tuo padre e col fratelloper mia cagion tu soffri, e molto sudi;perciò m'arrendo al tuo pregare, e questa,ch'è mia, ti dono, a fin che ognun si veggache né fier né superbo ho il cor nel petto.Diè, ciò detto, d'Antìloco al compagnoNöemón la giumenta, indi si tolseil fulgido lebète; e Merïone,che quarto giunse, i due talenti d'oro.Restava il quinto guiderdon, la coppa.La prese Achille, e traversando il pienocirco, accostossi al buon Nestorre, e lieto

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presentolla all'eroe con questi accenti:Tieni, illustre vegliardo, e questo donoricordanza ti sia delle funèbripompe del nostro Pàtroclo, cui, lasso!non rivedrem più mai. Questo vogl'ioche gratuito sia, poiché del cesto,e dell'arco il certame e della lotta,e del corso pedestre a te si vietadalla triste vecchiezza che ti grava.Tacque, e la coppa fra le man gli mise.Lieto il veglio accettolla, e sì rispose:Ben parli, o figlio: le mie forze tuttesono inferme, o mio caro: il piè va lento:dispossato mi pende dalle spallel'un braccio e l'altro. Oh! giovine foss'ioe intero di vigor siccome il giornoche in Buprasio gli Epei diero al sepolcroil rege Amarincèo, proposti i ludidai regali suoi figli! Ivi nessunoné degli Epei né de' medesmi Piliipari mi stette di valor, né mancode' magnanimi Etòli. Io vinsi al cestoil figliuolo d'Enòpe Clitomède,Alceo Pleurònio nella lotta a cuim'avea sfidato: superai nel corsol'agile Ificlo, e nel vibrar dell'astaPolidoro e Filèo. Soli all'equestrelizza innanzi m'andâr d'Attore i figli,

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presentolla all'eroe con questi accenti:Tieni, illustre vegliardo, e questo donoricordanza ti sia delle funèbripompe del nostro Pàtroclo, cui, lasso!non rivedrem più mai. Questo vogl'ioche gratuito sia, poiché del cesto,e dell'arco il certame e della lotta,e del corso pedestre a te si vietadalla triste vecchiezza che ti grava.Tacque, e la coppa fra le man gli mise.Lieto il veglio accettolla, e sì rispose:Ben parli, o figlio: le mie forze tuttesono inferme, o mio caro: il piè va lento:dispossato mi pende dalle spallel'un braccio e l'altro. Oh! giovine foss'ioe intero di vigor siccome il giornoche in Buprasio gli Epei diero al sepolcroil rege Amarincèo, proposti i ludidai regali suoi figli! Ivi nessunoné degli Epei né de' medesmi Piliipari mi stette di valor, né mancode' magnanimi Etòli. Io vinsi al cestoil figliuolo d'Enòpe Clitomède,Alceo Pleurònio nella lotta a cuim'avea sfidato: superai nel corsol'agile Ificlo, e nel vibrar dell'astaPolidoro e Filèo. Soli all'equestrelizza innanzi m'andâr d'Attore i figli,

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che due contr'un gelosi invidiârmiuna vittoria d'infinito prezzo.Indivisi gemelli, uno reggevasempre sempre i destrier, l'altro di sferzali percotea. Tal fui già tempo: or lasciosiffatte imprese ai giovinetti, e forzam'è l'obbedire alla feral vecchiezza.Ma tra gli eroi fui chiaro anch'io. Tu seguidel morto amico ad onorar la tombaco' fùnebri certami. Il tuo bel donom'è caro, e il prendo. Mi gioisce il coreal veder che di me, che t'amo, ognorasei memore, e sai quale al mio canutocrine si debba dagli Achivi onore:di ciò ti dien gli Dei larga mercede.Tutta udita di Nestore la lode,entrò il Pelìde nella calca, e il duropugilato propose. Addur si feceed annodar nel circo una gagliardainfaticabil mula, a cui già il sestoanno fiorìa, non doma, ed a domarsimalagevole: premio al vincitore.Pel vinto pose una ritonda coppa.Indi surse, e parlava: Atridi, Achei,ecco i premii alli due che valorosivorranno al cesto perigliarsi. Quegli,cui doni amico la vittoria il figliodi Latona, e l'affermino gli Achei,

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che due contr'un gelosi invidiârmiuna vittoria d'infinito prezzo.Indivisi gemelli, uno reggevasempre sempre i destrier, l'altro di sferzali percotea. Tal fui già tempo: or lasciosiffatte imprese ai giovinetti, e forzam'è l'obbedire alla feral vecchiezza.Ma tra gli eroi fui chiaro anch'io. Tu seguidel morto amico ad onorar la tombaco' fùnebri certami. Il tuo bel donom'è caro, e il prendo. Mi gioisce il coreal veder che di me, che t'amo, ognorasei memore, e sai quale al mio canutocrine si debba dagli Achivi onore:di ciò ti dien gli Dei larga mercede.Tutta udita di Nestore la lode,entrò il Pelìde nella calca, e il duropugilato propose. Addur si feceed annodar nel circo una gagliardainfaticabil mula, a cui già il sestoanno fiorìa, non doma, ed a domarsimalagevole: premio al vincitore.Pel vinto pose una ritonda coppa.Indi surse, e parlava: Atridi, Achei,ecco i premii alli due che valorosivorranno al cesto perigliarsi. Quegli,cui doni amico la vittoria il figliodi Latona, e l'affermino gli Achei,

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s'abbia la mula, e il perditor la coppa.Disse, e un uom si levò forte, membruto,pugilatore assai perito, Epèo,di Panope figliuol. Stese alla mulacostui la mano, e favellò: S'accostichi vuol la coppa, ché la mula è mia.Niun degli Achivi vincerammi, io spero,nel certame del cesto, in che mi vantoprestantissimo. E che? forse non bastache agli altri io ceda in battagliar? Non puotea verun patto un solo esser di tuttearti maestro. Io vel dichiaro, e il fattoproverà ciò che dico: al mio rivalespezzerò il corpo e l'ossa. Abbia vicinomolti assistenti a trasportarlo prontifuor della lizza da mie forze domo.Tacque, e tutti ammutiro. Eravi un figliodel Taleònio Mecistèo, di quelloche un dì nell'alta Tebe ai sepolcraliludi venuto del defunto Edippo,tutti vinse i Cadmei. Costui di nomeEurïalo, e guerrier di divo aspetto,fu il solo che s'alzò. Molto dintornogli si adoprava il grande Dïomede,e co' detti il pungea, lui desïandovincitore. Egli stesso al fianco il cintogli avvinse, e il guanto gli fornì di durocuoio, già spoglia di selvaggio bue.

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s'abbia la mula, e il perditor la coppa.Disse, e un uom si levò forte, membruto,pugilatore assai perito, Epèo,di Panope figliuol. Stese alla mulacostui la mano, e favellò: S'accostichi vuol la coppa, ché la mula è mia.Niun degli Achivi vincerammi, io spero,nel certame del cesto, in che mi vantoprestantissimo. E che? forse non bastache agli altri io ceda in battagliar? Non puotea verun patto un solo esser di tuttearti maestro. Io vel dichiaro, e il fattoproverà ciò che dico: al mio rivalespezzerò il corpo e l'ossa. Abbia vicinomolti assistenti a trasportarlo prontifuor della lizza da mie forze domo.Tacque, e tutti ammutiro. Eravi un figliodel Taleònio Mecistèo, di quelloche un dì nell'alta Tebe ai sepolcraliludi venuto del defunto Edippo,tutti vinse i Cadmei. Costui di nomeEurïalo, e guerrier di divo aspetto,fu il solo che s'alzò. Molto dintornogli si adoprava il grande Dïomede,e co' detti il pungea, lui desïandovincitore. Egli stesso al fianco il cintogli avvinse, e il guanto gli fornì di durocuoio, già spoglia di selvaggio bue.

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Come in punto si furo, ambi nel mezzopresentârsi gli atleti, e sollevatel'un contra l'altro le robuste pugna,si mischiâr fieramente. Odesi orrendosotto i colpi il crosciar delle mascelle,e da tutte le membra il sudor piove.Il terribile Epèo con improvvisafuria si scaglia all'avversario, e mentrequesti bada a mirar dove ferire,Epèo la guancia gli tempesta in guisa,che il meschin più non regge, e balenandocon tutto il corpo si rovescia in terra.Qual di Borea al soffiar l'onda sul lidogitta il pesce talvolta, e lo risorbe;tale l'invitto Epèo stese al terrenoil suo rivale, e tosto generosala man gli porse, e il rïalzò. Pietosiaccorsero del vinto i fidi amiciche fuor del circo lo menâr gittanteatro sangue, e i ginocchi egri traentecol capo spenzolato, ed in dispartecondottolo, il posâr de' sensi uscito:ed altri intorno gli restaro, ed altria tor ne giro la ritonda coppa.Tronco ogn'indugio, Achille il terzo giuocopropose, il giuoco della dura lotta,e de' premii fe' mostra; al vincitoreun tripode da fuoco, e a cui di dodici

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Come in punto si furo, ambi nel mezzopresentârsi gli atleti, e sollevatel'un contra l'altro le robuste pugna,si mischiâr fieramente. Odesi orrendosotto i colpi il crosciar delle mascelle,e da tutte le membra il sudor piove.Il terribile Epèo con improvvisafuria si scaglia all'avversario, e mentrequesti bada a mirar dove ferire,Epèo la guancia gli tempesta in guisa,che il meschin più non regge, e balenandocon tutto il corpo si rovescia in terra.Qual di Borea al soffiar l'onda sul lidogitta il pesce talvolta, e lo risorbe;tale l'invitto Epèo stese al terrenoil suo rivale, e tosto generosala man gli porse, e il rïalzò. Pietosiaccorsero del vinto i fidi amiciche fuor del circo lo menâr gittanteatro sangue, e i ginocchi egri traentecol capo spenzolato, ed in dispartecondottolo, il posâr de' sensi uscito:ed altri intorno gli restaro, ed altria tor ne giro la ritonda coppa.Tronco ogn'indugio, Achille il terzo giuocopropose, il giuoco della dura lotta,e de' premii fe' mostra; al vincitoreun tripode da fuoco, e a cui di dodici

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tauri il valore dagli Achei si dava,ed al perdente una leggiadra ancellaquattro tauri estimata, e che di moltibei lavori donneschi era perita.Rizzossi Achille, e a quegli eroi rivolto,Sorga, disse, chi vuole in questo ludodel suo valor far prova. Immantinentesurse l'immane Telamònio Aiace,e il saggio mastro delle frodi Ulisse.Nel mezzo della lizza entrambi accintipresentârsi, e stringendosi a vicendacolle man forti s'afferrâr, siccomedue travi che valente architettorecongegna insieme a sostener d'eccelsoedificio il colmigno, agli urti invittodegli aquiloni. Allo stirar de' validipolsi intrecciati scricchiolar si sentonole spalle, il sudor gronda, e spessi appaionope' larghi dossi e per le coste i lividirosseggianti di sangue. Ambi del tripodea tutta prova la conquista agognano,ma né Ulisse può mai l'altro dismuoveree atterrarlo, né il puote il Telamònio,ché del rivale la gran forza il vieta.Gli Achei noiando omai la zuffa, Aiaceall'emolo guerrier fe' questo invito:Nobile figlio di Laerte, in altosollevami, o sollevo io te: del resto

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tauri il valore dagli Achei si dava,ed al perdente una leggiadra ancellaquattro tauri estimata, e che di moltibei lavori donneschi era perita.Rizzossi Achille, e a quegli eroi rivolto,Sorga, disse, chi vuole in questo ludodel suo valor far prova. Immantinentesurse l'immane Telamònio Aiace,e il saggio mastro delle frodi Ulisse.Nel mezzo della lizza entrambi accintipresentârsi, e stringendosi a vicendacolle man forti s'afferrâr, siccomedue travi che valente architettorecongegna insieme a sostener d'eccelsoedificio il colmigno, agli urti invittodegli aquiloni. Allo stirar de' validipolsi intrecciati scricchiolar si sentonole spalle, il sudor gronda, e spessi appaionope' larghi dossi e per le coste i lividirosseggianti di sangue. Ambi del tripodea tutta prova la conquista agognano,ma né Ulisse può mai l'altro dismuoveree atterrarlo, né il puote il Telamònio,ché del rivale la gran forza il vieta.Gli Achei noiando omai la zuffa, Aiaceall'emolo guerrier fe' questo invito:Nobile figlio di Laerte, in altosollevami, o sollevo io te: del resto

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abbia Giove la cura. E così detto,l'abbranca, e l'alza. Ma di sue maliziememore Ulisse col tallon gli sferra,al ginocchio di retro ove si piega,tale un sùbito colpo, che le forzesciolse ad Aiace, e resupino il gittacon Ulisse sul petto. Alto levosside' riguardanti stupefatti il grido.Tentò secondo il sofferente Ulissealzar da terra l'avversario, e alquantolo mosse ei sì, ma non alzollo. Intantol'altro gl'impaccia le ginocchia in guisache sossopra ambedue si riversaroe lordârsi di polve. E già risurtisarìano al terzo paragon venuti,se il figlio di Pelèo levato in piedinon l'impedìa, dicendo: Oltre non vadala tenzon, né vi state, o valorosi,a consumar le forze. Ambo vinceste,e v'avrete egual premio. Itene, e restiagli altri Achivi libero l'aringo.Obbedîr quegli al detto, e dalle membratersa la polve, ripigliâr le vesti.Pose, ciò fatto, i premii alla pedestrecorsa: al primo un cratere ampio d'argento,messo a rilievi, contenea sei metri,né al mondo si vedea vaso più bello.Era d'industri artefici sidonii

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abbia Giove la cura. E così detto,l'abbranca, e l'alza. Ma di sue maliziememore Ulisse col tallon gli sferra,al ginocchio di retro ove si piega,tale un sùbito colpo, che le forzesciolse ad Aiace, e resupino il gittacon Ulisse sul petto. Alto levosside' riguardanti stupefatti il grido.Tentò secondo il sofferente Ulissealzar da terra l'avversario, e alquantolo mosse ei sì, ma non alzollo. Intantol'altro gl'impaccia le ginocchia in guisache sossopra ambedue si riversaroe lordârsi di polve. E già risurtisarìano al terzo paragon venuti,se il figlio di Pelèo levato in piedinon l'impedìa, dicendo: Oltre non vadala tenzon, né vi state, o valorosi,a consumar le forze. Ambo vinceste,e v'avrete egual premio. Itene, e restiagli altri Achivi libero l'aringo.Obbedîr quegli al detto, e dalle membratersa la polve, ripigliâr le vesti.Pose, ciò fatto, i premii alla pedestrecorsa: al primo un cratere ampio d'argento,messo a rilievi, contenea sei metri,né al mondo si vedea vaso più bello.Era d'industri artefici sidonii

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ammirando lavoro, e per l'azzurreonde ai porti di Lenno trasportatol'avean fenicii mercatanti, e in donocesso a Toante. A Pàtroclo poi dielloil Giasònide Eunèo, prezzo del figliodi Prìamo Licaone: ed or l'esposepremio il Pelìde al vincitor del corsoin onor dell'amico. Un grande e pinguetauro al secondo; all'ultimo d'ôr mettemezzo talento, e ritto alza la voce:Sorga chi al premio delle corse aspira.E sursero di sùbito il veloceAiace d'Oilèo, lo scaltro Ulisse,e il Nestòride Antìloco, il più rattode' giovinetti achei. Posti in dirittariga alle mosse, additò lor la metail Pelìde, e diè il segno. In un balenos'avventâr dalla sbarra, e innanzi a tuttil'Oilìde spiccossi: Ulisse a luivicino si spingea quanto di snellatessitrice al sen candido la spola,quando presta dall'una all'altra manola gitta, e svolge per la trama il filo,e sull'opra gentil pende col petto:così l'incalza Ulisse, e col seguacepiè ne preme i vestigi anzi che s'alziil polverìo dintorno; e sì correndogli manda il fiato nella nuca. Un grido

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ammirando lavoro, e per l'azzurreonde ai porti di Lenno trasportatol'avean fenicii mercatanti, e in donocesso a Toante. A Pàtroclo poi dielloil Giasònide Eunèo, prezzo del figliodi Prìamo Licaone: ed or l'esposepremio il Pelìde al vincitor del corsoin onor dell'amico. Un grande e pinguetauro al secondo; all'ultimo d'ôr mettemezzo talento, e ritto alza la voce:Sorga chi al premio delle corse aspira.E sursero di sùbito il veloceAiace d'Oilèo, lo scaltro Ulisse,e il Nestòride Antìloco, il più rattode' giovinetti achei. Posti in dirittariga alle mosse, additò lor la metail Pelìde, e diè il segno. In un balenos'avventâr dalla sbarra, e innanzi a tuttil'Oilìde spiccossi: Ulisse a luivicino si spingea quanto di snellatessitrice al sen candido la spola,quando presta dall'una all'altra manola gitta, e svolge per la trama il filo,e sull'opra gentil pende col petto:così l'incalza Ulisse, e col seguacepiè ne preme i vestigi anzi che s'alziil polverìo dintorno; e sì correndogli manda il fiato nella nuca. Un grido

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sorge di plauso d'ogni parte, e tuttigli fan cuore alla palma a cui sospira.Eran del corso ormai presso alla fine,quando a Minerva l'Itaco dal coremandò questa preghiera: Odimi, o Dea,e soccorri al mio piè. - La Dea l'intese,gli fe' lievi le membra, i piè, le braccia;e come fur per avventarsi entrambiad un tempo sul premio, l'Oilìdeda Minerva sospinto sdrucciolòin lubrico terren sparso del fimode' buoi mugghianti dal Pelìde uccisidi Pàtroclo alla pira. Ivi il cadutonari e bocca insozzossi. Il precorrentedivo Ulisse il cratere ampio si prese,e l'Oilìde il bue. Della selvaggiafera il corno impugnò l'eroe doglioso,la lordura sputando, e fra la turbaruppe in questo lamento: Empio destino!Per certo i piedi mi rubò la Deache da gran tempo va d'Ulisse al fianco,e qual madre sel guarda. - Accompagnarotutti il suo cruccio con un dolce riso.Ultimo giunto Antìloco si tolsel'ultimo premio, e sorridendo disse:Amici, i numi, lo vedete, onoranoi provetti mortali. Aiace innanzimi va di poca etade: Ulisse al tempo

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sorge di plauso d'ogni parte, e tuttigli fan cuore alla palma a cui sospira.Eran del corso ormai presso alla fine,quando a Minerva l'Itaco dal coremandò questa preghiera: Odimi, o Dea,e soccorri al mio piè. - La Dea l'intese,gli fe' lievi le membra, i piè, le braccia;e come fur per avventarsi entrambiad un tempo sul premio, l'Oilìdeda Minerva sospinto sdrucciolòin lubrico terren sparso del fimode' buoi mugghianti dal Pelìde uccisidi Pàtroclo alla pira. Ivi il cadutonari e bocca insozzossi. Il precorrentedivo Ulisse il cratere ampio si prese,e l'Oilìde il bue. Della selvaggiafera il corno impugnò l'eroe doglioso,la lordura sputando, e fra la turbaruppe in questo lamento: Empio destino!Per certo i piedi mi rubò la Deache da gran tempo va d'Ulisse al fianco,e qual madre sel guarda. - Accompagnarotutti il suo cruccio con un dolce riso.Ultimo giunto Antìloco si tolsel'ultimo premio, e sorridendo disse:Amici, i numi, lo vedete, onoranoi provetti mortali. Aiace innanzimi va di poca etade: Ulisse al tempo

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de' nostri padri è nato, e nondimenoegli è rubizzo e verde, e nullo al corsosuperarlo potrìa, tranne il Pelìde.Questo sol disse: e l'esaltato Achillecosì rispose: Antìloco, non fiadetta invan la tua lode. Eccoti d'oroaltro mezzo talento. - E sì dicendogliel porse, e quegli giubilando il prese.Dopo ciò, fe' recarsi, e nell'arenadepose Achille una lunghissim'asta,uno scudo ed un elmo, armi rapitegià da Patròclo a Sarpedonte; e rittonel mezzo degli Achei, Vogliamo, ei disse,che per l'esposto guiderdone armatidue guerrieri de' più forti con acutotagliente acciar davanti all'adunanzacombattano. Chi pria punga la pelledell'avversario, e rotte l'armi, il sanguene tragga, avrassi questo brando in donodi tracia lama, e bello e tempestatod'argentei chiovi. Di quest'arme io stessoAsteropèo spogliai. L'altre sarannopremio comune. Ai combattenti io poscianelle tende farò lauto banchetto.Surse subitamente al fiero invitolo smisurato Telamònio Aiace,surse del par l'invitto Dïomède,e armatisi in disparte ambo nel campo

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de' nostri padri è nato, e nondimenoegli è rubizzo e verde, e nullo al corsosuperarlo potrìa, tranne il Pelìde.Questo sol disse: e l'esaltato Achillecosì rispose: Antìloco, non fiadetta invan la tua lode. Eccoti d'oroaltro mezzo talento. - E sì dicendogliel porse, e quegli giubilando il prese.Dopo ciò, fe' recarsi, e nell'arenadepose Achille una lunghissim'asta,uno scudo ed un elmo, armi rapitegià da Patròclo a Sarpedonte; e rittonel mezzo degli Achei, Vogliamo, ei disse,che per l'esposto guiderdone armatidue guerrieri de' più forti con acutotagliente acciar davanti all'adunanzacombattano. Chi pria punga la pelledell'avversario, e rotte l'armi, il sanguene tragga, avrassi questo brando in donodi tracia lama, e bello e tempestatod'argentei chiovi. Di quest'arme io stessoAsteropèo spogliai. L'altre sarannopremio comune. Ai combattenti io poscianelle tende farò lauto banchetto.Surse subitamente al fiero invitolo smisurato Telamònio Aiace,surse del par l'invitto Dïomède,e armatisi in disparte ambo nel campo

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pronti alla pugna s'avanzâr gli eroicon terribili sguardi. Alto stuporetutti occupava i circostanti Achei.L'uno all'altro appressati a fiero assaltosi disserrâr tre volte, e tre alla vitaimpetuosi s'investîr. PrimieroAiace traforò di Dïomèdeil rotondo brocchier, ma non la pelledall'usbergo difesa. Indi il Tidìdesopra la penna dello scudo all'altrospinse rapido l'asta, e nella strozzagliel'appuntò. D'Aiace al fier perigliospaventârsi gli Achivi, e della pugnagridâr la fine, e premio egual. Ma il brandocol bel cinto l'eroe diello al Tidìde.Grezzo, qual già dalla fornace uscìo,un gran disco il Pelìde allor nel mezzocollocò. Lo solea l'immensa forzascagliar d'Eezïone; a costui mortediè poscia il divo Achille, e nelle navicon altre spoglie si portò quel peso.Ritto alzossi, e gridò: Sorga chi bramacosì bel premio meritarsi. In questoil vincitor s'avrà per cinque interigiri di Sole di che all'uopo tuttoprovveder de' suoi campi anche remoti:né suoi bifolchi né pastori andrannoper bisogno di ferro alla cittade,

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pronti alla pugna s'avanzâr gli eroicon terribili sguardi. Alto stuporetutti occupava i circostanti Achei.L'uno all'altro appressati a fiero assaltosi disserrâr tre volte, e tre alla vitaimpetuosi s'investîr. PrimieroAiace traforò di Dïomèdeil rotondo brocchier, ma non la pelledall'usbergo difesa. Indi il Tidìdesopra la penna dello scudo all'altrospinse rapido l'asta, e nella strozzagliel'appuntò. D'Aiace al fier perigliospaventârsi gli Achivi, e della pugnagridâr la fine, e premio egual. Ma il brandocol bel cinto l'eroe diello al Tidìde.Grezzo, qual già dalla fornace uscìo,un gran disco il Pelìde allor nel mezzocollocò. Lo solea l'immensa forzascagliar d'Eezïone; a costui mortediè poscia il divo Achille, e nelle navicon altre spoglie si portò quel peso.Ritto alzossi, e gridò: Sorga chi bramacosì bel premio meritarsi. In questoil vincitor s'avrà per cinque interigiri di Sole di che all'uopo tuttoprovveder de' suoi campi anche remoti:né suoi bifolchi né pastori andrannoper bisogno di ferro alla cittade,

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ché questo ne darà quanto è mestiero.Levossi il bellicoso Polipete;levossi Leontèo, forza divina;levossi Aiace Telamònio, e secoil muscoloso Epèo. Locârsi in fila,e primo Epèo scagliò l'orbe rotato,ma sì mal destro, che ne rise ognuno.Il rampollo di Marte Leontèofu secondo a lanciar: terzo il gran figliodi Telamone, che con man robustaogni segno passò: quarto alla finecon fermo polso Polipete il discoafferrò. Quanto lungi un pastorellogitta il vincastro che rotato in altovola sopra l'armento; andò di tantofuor del circo il suo tiro. Applause tuttoil consesso: affollârsi i fidi amicidel forte Polipete, e alla sua naveportâr del disco la pesante massa.Invitò quindi i saettieri, e in mezzodieci bipenni espose e dieci accette;e piantato lontano nell'arenaun albero navale, avvinse a questocon sottil fune al piede una colomba,segno alle frecce. Le bipenni prendachi l'augel coglie, e le si porti. Quelloche il fallisca, e a toccar vada la fune,essendo inferïor, s'abbia l'accette.

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ché questo ne darà quanto è mestiero.Levossi il bellicoso Polipete;levossi Leontèo, forza divina;levossi Aiace Telamònio, e secoil muscoloso Epèo. Locârsi in fila,e primo Epèo scagliò l'orbe rotato,ma sì mal destro, che ne rise ognuno.Il rampollo di Marte Leontèofu secondo a lanciar: terzo il gran figliodi Telamone, che con man robustaogni segno passò: quarto alla finecon fermo polso Polipete il discoafferrò. Quanto lungi un pastorellogitta il vincastro che rotato in altovola sopra l'armento; andò di tantofuor del circo il suo tiro. Applause tuttoil consesso: affollârsi i fidi amicidel forte Polipete, e alla sua naveportâr del disco la pesante massa.Invitò quindi i saettieri, e in mezzodieci bipenni espose e dieci accette;e piantato lontano nell'arenaun albero navale, avvinse a questocon sottil fune al piede una colomba,segno alle frecce. Le bipenni prendachi l'augel coglie, e le si porti. Quelloche il fallisca, e a toccar vada la fune,essendo inferïor, s'abbia l'accette.

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Ciò detto appena, presentossi il fortere Teucro, e Merïon d'Idomenèoprode sergente, e in un sonoro elmettoagitate le sorti, uscì primieroTeucro, e tosto lo stral tirò di forza.Ma perché non aveva votata a Febodi primo-nati agnelli un'ecatombe,sfallì l'augello (ché tal lode il Diogl'invidïò); sol colse al piè la funeche legato il tenea. Tagliolla il dardo;libera la colomba a volo alzossiper lo cielo, e fuggì; cadde la fune,e di plausi sonar s'udìa l'arena.Ratto allora di mano a Teucro tolseMerïon l'arco, e ben presa la miracolla cocca sul nervo, al saettantenume promise un'ecatombe; e in altoadocchiata la timida colombache in vario giro s'avvolgea, la colsesotto l'ala. Passolla il dardo acuto,e ricadde, e s'infisse alto nel suolodi Merïone al piè. Ma la feritacolomba si posò sovra l'antenna,stese il collo, abbassò l'ali diffuse,e dal corpo volata la velocealma, dal tronco piombò. Stupefatteguardavano le turbe. Allor si tolsele scuri Merïon, Teucro l'accette.

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Ciò detto appena, presentossi il fortere Teucro, e Merïon d'Idomenèoprode sergente, e in un sonoro elmettoagitate le sorti, uscì primieroTeucro, e tosto lo stral tirò di forza.Ma perché non aveva votata a Febodi primo-nati agnelli un'ecatombe,sfallì l'augello (ché tal lode il Diogl'invidïò); sol colse al piè la funeche legato il tenea. Tagliolla il dardo;libera la colomba a volo alzossiper lo cielo, e fuggì; cadde la fune,e di plausi sonar s'udìa l'arena.Ratto allora di mano a Teucro tolseMerïon l'arco, e ben presa la miracolla cocca sul nervo, al saettantenume promise un'ecatombe; e in altoadocchiata la timida colombache in vario giro s'avvolgea, la colsesotto l'ala. Passolla il dardo acuto,e ricadde, e s'infisse alto nel suolodi Merïone al piè. Ma la feritacolomba si posò sovra l'antenna,stese il collo, abbassò l'ali diffuse,e dal corpo volata la velocealma, dal tronco piombò. Stupefatteguardavano le turbe. Allor si tolsele scuri Merïon, Teucro l'accette.

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Produsse Achille all'ultimo nel mezzouna lunga lunga asta, ed un lebètenon vïolato dalle fiamme ancora,del valore d'un tauro, e sculto a fiori,premio alla prova delle lance. Alzossil'ampio-regnante Atride Agamennónee il compagno fedel del re creteseMerïon. Ma levatosi il Pelìde,trasse innanzi, e parlò: Figlio d'Atrèo,sappiam noi tutti come tutti avanzie nel vibrar dell'asta e nella possa.Prenditi dunque questo premio, e il mandaalla tua nave. A Merïon daremo,se il consenti, la lancia; ed io ten prego.Acconsentì l'Atride. A Merïonediede Achille la lancia, ed all'araldod'Agamennón lo splendido lebète.

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Produsse Achille all'ultimo nel mezzouna lunga lunga asta, ed un lebètenon vïolato dalle fiamme ancora,del valore d'un tauro, e sculto a fiori,premio alla prova delle lance. Alzossil'ampio-regnante Atride Agamennónee il compagno fedel del re creteseMerïon. Ma levatosi il Pelìde,trasse innanzi, e parlò: Figlio d'Atrèo,sappiam noi tutti come tutti avanzie nel vibrar dell'asta e nella possa.Prenditi dunque questo premio, e il mandaalla tua nave. A Merïon daremo,se il consenti, la lancia; ed io ten prego.Acconsentì l'Atride. A Merïonediede Achille la lancia, ed all'araldod'Agamennón lo splendido lebète.

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Libro Ventesimoquarto

Finiti i ludi, s'avviâr le sciolteturbe alle navi per diverse vie,e preso il cibo, a placido riposos'abbandonâr. Ma memore il Pelìdedell'amato compagno, in nuovo piantoscioglieasi, né serrar poteagli il sonno,di tutte cure domator, le ciglia.Di qua, di là si rivolgea membrandoil valor di Patròclo, e la grand'alma,e le comuni imprese, e i tolleratiguerrieri affanni insieme, e i perigliositrascorsi flutti. E in queste ricordanzedirottamente lagrimava, ed oragiacea su i fianchi, or prono, ora supino;poi di repente in piè balzato erravamesto sul lido. E quando i campi e l'ondeillumina l'Aurora, egli di nuovo,aggiogati i corsier, di retro al cocchioEttore avvince, e trattolo tre voltedi Pàtroclo dintorno al monumento,a riposar si torna entro la tenda,boccon lasciando nella polve stesol'esangue corpo. Ma del morto eroeimpietosito Apollo ogni bruttura

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Libro Ventesimoquarto

Finiti i ludi, s'avviâr le sciolteturbe alle navi per diverse vie,e preso il cibo, a placido riposos'abbandonâr. Ma memore il Pelìdedell'amato compagno, in nuovo piantoscioglieasi, né serrar poteagli il sonno,di tutte cure domator, le ciglia.Di qua, di là si rivolgea membrandoil valor di Patròclo, e la grand'alma,e le comuni imprese, e i tolleratiguerrieri affanni insieme, e i perigliositrascorsi flutti. E in queste ricordanzedirottamente lagrimava, ed oragiacea su i fianchi, or prono, ora supino;poi di repente in piè balzato erravamesto sul lido. E quando i campi e l'ondeillumina l'Aurora, egli di nuovo,aggiogati i corsier, di retro al cocchioEttore avvince, e trattolo tre voltedi Pàtroclo dintorno al monumento,a riposar si torna entro la tenda,boccon lasciando nella polve stesol'esangue corpo. Ma del morto eroeimpietosito Apollo ogni bruttura

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ne tien rimossa, e tutto coll'aurataegida il copre, perché nulla offesalo strascinato corpo ne riceva.Visto del divo Ettòr lo strazio indegno,pietà ne venne ai fortunati Eterni,e il vegliante Argicida ad involarloincitando venìan. Questo di tuttiera il vivo desìo, ma non di Giuno,né di Nettunno, né dell'aspra verginedall'azzurre pupille. Alto ripostanella mente sedea di queste Divedi Paride l'ingiuria, e la sprezzatalor beltade quel dì che a lui venutenel suo tugurio, ei preferì lor quellache di funesto amor contento il fece.Quindi l'odio immortal delle superbecontro le sacre ilìache mura, e Prìamoe tutta insieme la dardania gente.Ma il duodecimo sole apparso al mondo,Febo agli Eterni così prese a dire:Numi crudeli, che vi fece Ettorre?Forse che su gli altari a voi non arsee di mugghianti e di lanosi armentivittime elette ei sempre? Ed or che fieramorte lo spense, che furor s'è questodi non renderne il corpo alla consorte,alla madre, al figliuolo, al genitore,al popol tutto, acciò che tosto ei s'abbia

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ne tien rimossa, e tutto coll'aurataegida il copre, perché nulla offesalo strascinato corpo ne riceva.Visto del divo Ettòr lo strazio indegno,pietà ne venne ai fortunati Eterni,e il vegliante Argicida ad involarloincitando venìan. Questo di tuttiera il vivo desìo, ma non di Giuno,né di Nettunno, né dell'aspra verginedall'azzurre pupille. Alto ripostanella mente sedea di queste Divedi Paride l'ingiuria, e la sprezzatalor beltade quel dì che a lui venutenel suo tugurio, ei preferì lor quellache di funesto amor contento il fece.Quindi l'odio immortal delle superbecontro le sacre ilìache mura, e Prìamoe tutta insieme la dardania gente.Ma il duodecimo sole apparso al mondo,Febo agli Eterni così prese a dire:Numi crudeli, che vi fece Ettorre?Forse che su gli altari a voi non arsee di mugghianti e di lanosi armentivittime elette ei sempre? Ed or che fieramorte lo spense, che furor s'è questodi non renderne il corpo alla consorte,alla madre, al figliuolo, al genitore,al popol tutto, acciò che tosto ei s'abbia

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l'onor del rogo e della tomba? E tanteonte a qual fine? Per servir d'Achillealle furie; d'Achille, a cui nel senoné amor del giusto né pietà s'alberga,ma cuor selvaggio di lïon che spintodall'ardir, dalla forza e dalla fameil gregge assalta a procacciarsi il cibo.Tale il Pelìde gittò via dal pettoogni senso pietoso, e quel pudoreche l'uom castiga co' rimorsi e il giova.Perde taluno ancor più cari oggetti,il fratello od il figlio. E nondimeno,finito il pianto, al suo dolor dà tregua;ché nell'uom pose il Fato alma soffrente.Ma non sazio costui della già spentavita d'Ettorre, al carro il lega, e mortopur dintorno alla tomba lo strascinadell'amico. Non è questo per luiné utile né bello: e badi il crudoche, quantunque sì prode, egli le nostreire non desti infurïando e tantaonta facendo a un'insensibil terra.Tacque: e irata Giunon così rispose:Se d'Ettore e d'Achille a una bilancial'onor dee porsi, e così piace ai numi,s'adémpia, o re dell'arco, il tuo discorso.Ma di padre mortale Ettore è figlio,e mortal poppa l'allattò. Divino

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l'onor del rogo e della tomba? E tanteonte a qual fine? Per servir d'Achillealle furie; d'Achille, a cui nel senoné amor del giusto né pietà s'alberga,ma cuor selvaggio di lïon che spintodall'ardir, dalla forza e dalla fameil gregge assalta a procacciarsi il cibo.Tale il Pelìde gittò via dal pettoogni senso pietoso, e quel pudoreche l'uom castiga co' rimorsi e il giova.Perde taluno ancor più cari oggetti,il fratello od il figlio. E nondimeno,finito il pianto, al suo dolor dà tregua;ché nell'uom pose il Fato alma soffrente.Ma non sazio costui della già spentavita d'Ettorre, al carro il lega, e mortopur dintorno alla tomba lo strascinadell'amico. Non è questo per luiné utile né bello: e badi il crudoche, quantunque sì prode, egli le nostreire non desti infurïando e tantaonta facendo a un'insensibil terra.Tacque: e irata Giunon così rispose:Se d'Ettore e d'Achille a una bilancial'onor dee porsi, e così piace ai numi,s'adémpia, o re dell'arco, il tuo discorso.Ma di padre mortale Ettore è figlio,e mortal poppa l'allattò. Divino

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germe è il Pelìde, ed io nudrìa la Divasua madre, io stessa l'educava, e sposala concessi a Pelèo diletto ai numi.Voi tutti a quelle nozze, o Dei, scendeste,e tu medesmo, o disleal compagnode' malvagi, toccasti allor la cetra,e misto agli altri banchettasti allegro.Contro gli Dei non adirarti, o Giuno,l'interruppe il Tonante. Eguale onoredar non vuolsi, no certo, ai due guerrieri;ma carissimo ai numi era pur ancotra i Teucri tutti Ettorre, e a Giove in prima.Ostie elette mai sempre gli m'offerse,né l'are mie per esso ebber difettomai di convivii, né di pingui odori,né di tazze libate, onor che soloai Celesti è sortito. Ma si pongaogni pensiero d'involar l'offesocadavere; e sottrarlo ora di furtoal fiero Achille non si può, ché Tetinotte e dì gli è dintorno e tutto osserva.Pur se alcuno di voi Teti a me chiami,io tale un motto le farò discreto,che tutti accetterà di Prìamo i doniplacato Achille, e renderagli il figlio.Disse, ed Iri col piè che le tempestenel corso adegua, si spiccò. Fra Samoe l'aspra Imbro calò sovra le brune

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germe è il Pelìde, ed io nudrìa la Divasua madre, io stessa l'educava, e sposala concessi a Pelèo diletto ai numi.Voi tutti a quelle nozze, o Dei, scendeste,e tu medesmo, o disleal compagnode' malvagi, toccasti allor la cetra,e misto agli altri banchettasti allegro.Contro gli Dei non adirarti, o Giuno,l'interruppe il Tonante. Eguale onoredar non vuolsi, no certo, ai due guerrieri;ma carissimo ai numi era pur ancotra i Teucri tutti Ettorre, e a Giove in prima.Ostie elette mai sempre gli m'offerse,né l'are mie per esso ebber difettomai di convivii, né di pingui odori,né di tazze libate, onor che soloai Celesti è sortito. Ma si pongaogni pensiero d'involar l'offesocadavere; e sottrarlo ora di furtoal fiero Achille non si può, ché Tetinotte e dì gli è dintorno e tutto osserva.Pur se alcuno di voi Teti a me chiami,io tale un motto le farò discreto,che tutti accetterà di Prìamo i doniplacato Achille, e renderagli il figlio.Disse, ed Iri col piè che le tempestenel corso adegua, si spiccò. Fra Samoe l'aspra Imbro calò sovra le brune

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onde del mare, e il mar sotto le piantedella Diva muggìa. Quindi s'immersecome ghianda di piombo che a bovinocorno fidata a disertar giù scendei crudivori pesci; e in cavo specoTeti trovò che dalle sue sorellecircondata piagnea la già vicinamorte del figlio che ne' frigii campiperir lungi dovea dal patrio lido.Le parve innanzi all'improvviso, e disse:Sorgi, o Teti: il gran padre a sé ti chiama.E che vuole da me l'Onnipotente?Teti rispose. Afflitta, come sono,di mischiarmi arrossisco agl'Immortali.Pur vadasi e s'adémpia il suo volere.Ciò detto, si coprì l'augusta Divad'un atro vel di che null'altro il nerocolor lugùbre eguaglia, e in via si mise.Iva innanzi la presta Iri, e sonoraintorno a lor s'apria l' onda marina.Sul lido emerse al ciel volaro: e Giovetrovâr seduto tra gli accolti Eterni.Qui Teti accanto al sommo Iddio s'assise(cesso a lei da Minerva il proprio seggio):un aureo nappo in man Giuno le posecon dolci accenti di conforto; ed ellavôtollo, e il rese grazïosa. Allorail gran padre dicea queste parole:

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onde del mare, e il mar sotto le piantedella Diva muggìa. Quindi s'immersecome ghianda di piombo che a bovinocorno fidata a disertar giù scendei crudivori pesci; e in cavo specoTeti trovò che dalle sue sorellecircondata piagnea la già vicinamorte del figlio che ne' frigii campiperir lungi dovea dal patrio lido.Le parve innanzi all'improvviso, e disse:Sorgi, o Teti: il gran padre a sé ti chiama.E che vuole da me l'Onnipotente?Teti rispose. Afflitta, come sono,di mischiarmi arrossisco agl'Immortali.Pur vadasi e s'adémpia il suo volere.Ciò detto, si coprì l'augusta Divad'un atro vel di che null'altro il nerocolor lugùbre eguaglia, e in via si mise.Iva innanzi la presta Iri, e sonoraintorno a lor s'apria l' onda marina.Sul lido emerse al ciel volaro: e Giovetrovâr seduto tra gli accolti Eterni.Qui Teti accanto al sommo Iddio s'assise(cesso a lei da Minerva il proprio seggio):un aureo nappo in man Giuno le posecon dolci accenti di conforto; ed ellavôtollo, e il rese grazïosa. Allorail gran padre dicea queste parole:

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Teti, malgrado il tuo dolor (ch'io tuttoben conosco e so quanto il cor t'aggrava),tu salisti all'Olimpo, ed io dirottila cagion del chiamarti. È questo il nonogiorno che in cielo si destò tra i numipel morto Ettòr gran lite e per Achille.Voleano i più che l'Argicida il corpon'involasse di furto. Io non v'assentoe per l'onor d'Achille, e pel rispettoe per l'amor ch'io t'aggio e aver ti voglioeternamente. Frettolosa adunquescendi, o Diva, sul campo, e al figlio portai miei precetti. Digli che adiratison con esso gli Dei, ch'io stesso il sonosovra tutti, da che sì furibondoagli strazii ei rattien l'ettòrea salma,e per riscatto non la rende ancora.Ma renderalla, se il mio cenno ei teme.A Prìamo intanto io spedirò di Giunola messaggiera, ond'egli immantinenteito alle navi degli Achei, co' doniplachi il Pelìde, e il figlio suo redima.Obbedïente a quel parlar la Divamosse i candidi piedi, e dall'Olimposcese d'un salto al padiglion d'Achille.Il trovò sospiroso; affaccendatia lui dintorno i suoi diletti amiciapprestavan la mensa, ucciso un grande

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Teti, malgrado il tuo dolor (ch'io tuttoben conosco e so quanto il cor t'aggrava),tu salisti all'Olimpo, ed io dirottila cagion del chiamarti. È questo il nonogiorno che in cielo si destò tra i numipel morto Ettòr gran lite e per Achille.Voleano i più che l'Argicida il corpon'involasse di furto. Io non v'assentoe per l'onor d'Achille, e pel rispettoe per l'amor ch'io t'aggio e aver ti voglioeternamente. Frettolosa adunquescendi, o Diva, sul campo, e al figlio portai miei precetti. Digli che adiratison con esso gli Dei, ch'io stesso il sonosovra tutti, da che sì furibondoagli strazii ei rattien l'ettòrea salma,e per riscatto non la rende ancora.Ma renderalla, se il mio cenno ei teme.A Prìamo intanto io spedirò di Giunola messaggiera, ond'egli immantinenteito alle navi degli Achei, co' doniplachi il Pelìde, e il figlio suo redima.Obbedïente a quel parlar la Divamosse i candidi piedi, e dall'Olimposcese d'un salto al padiglion d'Achille.Il trovò sospiroso; affaccendatia lui dintorno i suoi diletti amiciapprestavan la mensa, ucciso un grande

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e lanoso arïète. Entrò, s'assisedolce al suo fianco la divina madre,accarezzollo colla destra, e disse:E fino a quando, o figlio, in pianti e luttiti struggerai, immemore del cibo,e deserto nel letto? Eppur di caradonna l'amplesso il cor consola: il tempo,ch'a me vivrai, gli è breve, e vïolentagià t'incalza la Parca. Or via, m'ascolta,ch'io di Giove a te vengo ambasciatrice.I numi, ed esso primamente, sonoteco irati, perché nel tuo furoreostinato ritieni appo le navid'Ettore il corpo, e al genitor nol rendi.Rendilo, e il prezzo del riscatto accetta.E ben, rispose sospirando Achille,venga chi lo redima e via sel porti,se tal di Giove è l'assoluto impero.Mentre in questo parlar stassi col figliola genitrice Dea dentro la tenda,Giove alla sacra Troia Iri spedìa.Su, t'affretta, veloce Iri, e dal cielovola in Ilio, ed a Prïamo comandache alle navi si tragga e seco apportia riscatto del figlio eletti doni,onde si plachi del Pelìde il core.Ma solo ei vada, né verun lo scortide' Teucri, eccetto un attempato araldo

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e lanoso arïète. Entrò, s'assisedolce al suo fianco la divina madre,accarezzollo colla destra, e disse:E fino a quando, o figlio, in pianti e luttiti struggerai, immemore del cibo,e deserto nel letto? Eppur di caradonna l'amplesso il cor consola: il tempo,ch'a me vivrai, gli è breve, e vïolentagià t'incalza la Parca. Or via, m'ascolta,ch'io di Giove a te vengo ambasciatrice.I numi, ed esso primamente, sonoteco irati, perché nel tuo furoreostinato ritieni appo le navid'Ettore il corpo, e al genitor nol rendi.Rendilo, e il prezzo del riscatto accetta.E ben, rispose sospirando Achille,venga chi lo redima e via sel porti,se tal di Giove è l'assoluto impero.Mentre in questo parlar stassi col figliola genitrice Dea dentro la tenda,Giove alla sacra Troia Iri spedìa.Su, t'affretta, veloce Iri, e dal cielovola in Ilio, ed a Prïamo comandache alle navi si tragga e seco apportia riscatto del figlio eletti doni,onde si plachi del Pelìde il core.Ma solo ei vada, né verun lo scortide' Teucri, eccetto un attempato araldo

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che d'un plaustro mular segga al governo,su cui la salma dal Pelìde uccisaalla cittade trasportar. Né temadi morte il cor gli turbi o d'altro danno.Gli darem l'Argicida a condottiero,che fin d'Achille al padiglion lo guidi.L'eroe vedrallo al suo cospetto, e lungidal porlo a morte, terrà gli altri a freno,ch'ei non è stolto né villan né iniquo,e benigno farassi a chi lo prega.Ratta, come del turbine le penne,partì la Diva messaggiera, e a Prìamogiunta, il trovò tra pianti e grida. I figlidintorno al padre doloroso accoltiinondavan di lagrime le vesti.Stavasi in mezzo il venerando vegliotutto chiuso nel manto, ed insozzatoil capo e il collo dell'immonda polvedi che bruttato di sua mano ei s'erasul terren voltolandosi. La turbadelle misere figlie e delle nuoreempiea la reggia d'ululati, e qualericordava il fratel, quale il marito,ché valorosi e molti eran cadutisotto le lance degli Achei. Comparveimprovvisa davanti al re canutola ministra di Giove, e a lui che tuttoal vederla tremò, dicea sommesso:

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che d'un plaustro mular segga al governo,su cui la salma dal Pelìde uccisaalla cittade trasportar. Né temadi morte il cor gli turbi o d'altro danno.Gli darem l'Argicida a condottiero,che fin d'Achille al padiglion lo guidi.L'eroe vedrallo al suo cospetto, e lungidal porlo a morte, terrà gli altri a freno,ch'ei non è stolto né villan né iniquo,e benigno farassi a chi lo prega.Ratta, come del turbine le penne,partì la Diva messaggiera, e a Prìamogiunta, il trovò tra pianti e grida. I figlidintorno al padre doloroso accoltiinondavan di lagrime le vesti.Stavasi in mezzo il venerando vegliotutto chiuso nel manto, ed insozzatoil capo e il collo dell'immonda polvedi che bruttato di sua mano ei s'erasul terren voltolandosi. La turbadelle misere figlie e delle nuoreempiea la reggia d'ululati, e qualericordava il fratel, quale il marito,ché valorosi e molti eran cadutisotto le lance degli Achei. Comparveimprovvisa davanti al re canutola ministra di Giove, e a lui che tuttoal vederla tremò, dicea sommesso:

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Prìamo, fa core, né timor ti prenda.Nunzia di mali non vengh'io, ma tuttadel tuo meglio bramosa. A te mi mandal'Olimpio Giove che lontano ancorasu te veglia pietoso. Ei ti comandadi redimere il figlio, e recar moltidoni ad Achille per placarlo. A luivanne adunque, ma solo, e che nessunot'accompagni de' Troi, salvo un araldod'età provetta, reggitor del plaustroche il corpo trasportar del figlio uccisoti dee qua dentro: né temer di morteo d'altra offesa. Condottiero avrail'Argicida che te fino al cospettod'Achille scorterà. Lungi l'eroedal trucidarti, terrà gli altri a freno.Ei non è stolto né villan né iniquo,e benigno farassi a chi lo prega.Disse, e sparve. Riscosso il re dolente,senza punto indugiarsi, ai figli imponed'apprestargli il mular plaustro veloce,e di legar su quello una grand'arca.Indi salito ad un'eccelsa stanzaodorosa di cedro, ov'egli in serbotenea di molti preziosi arredi,chiamò dentro la moglie Ecuba, e disse:Infelice, m'ascolta: la celestemessaggiera recommi or or di Giove

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Prìamo, fa core, né timor ti prenda.Nunzia di mali non vengh'io, ma tuttadel tuo meglio bramosa. A te mi mandal'Olimpio Giove che lontano ancorasu te veglia pietoso. Ei ti comandadi redimere il figlio, e recar moltidoni ad Achille per placarlo. A luivanne adunque, ma solo, e che nessunot'accompagni de' Troi, salvo un araldod'età provetta, reggitor del plaustroche il corpo trasportar del figlio uccisoti dee qua dentro: né temer di morteo d'altra offesa. Condottiero avrail'Argicida che te fino al cospettod'Achille scorterà. Lungi l'eroedal trucidarti, terrà gli altri a freno.Ei non è stolto né villan né iniquo,e benigno farassi a chi lo prega.Disse, e sparve. Riscosso il re dolente,senza punto indugiarsi, ai figli imponed'apprestargli il mular plaustro veloce,e di legar su quello una grand'arca.Indi salito ad un'eccelsa stanzaodorosa di cedro, ov'egli in serbotenea di molti preziosi arredi,chiamò dentro la moglie Ecuba, e disse:Infelice, m'ascolta: la celestemessaggiera recommi or or di Giove

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un comando. Egli vuol che degli Acheim'incammini alle navi, ed al Pelìdeil prezzo io porti del diletto figlio.Che ne senti? A quel campo, a quelle tendecerto mi spinge fortemente il core.Ululò la consorte, e gli rispose:Misera! ahi dove ti fuggìa quel sennoche alle tue genti e alle straniere un giornoglorïoso ti fea? Solo alle naviinimiche avvïarti? esporti soloalla presenza di colui che tantifigli t'uccise? oh cuor di ferro! e quale,s'ei ti scopre, se cadi in suo potere,qual mai pietade o riverenza sperida quell'alma crudele e senza fede?Deh piangiamlo qui soli. Era destinodalle Parche filato all'infelice,quand'io meschina il partorii; che lungidai genitori satollar dovessed'un barbaro i mastini. Oh potess'iostretto tenerne fra le mani il core,e strazïarlo, divorarlo! Alloradel mio figlio sarìa sconta l'offesa,ch'ei da codardo non morì, ma in campoper la patria pugnando, e fermo il piede,senza smarrirsi o declinar la fronte.Cessa, il vecchio riprese: il mio partireè risoluto; non mi far ritegno,

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un comando. Egli vuol che degli Acheim'incammini alle navi, ed al Pelìdeil prezzo io porti del diletto figlio.Che ne senti? A quel campo, a quelle tendecerto mi spinge fortemente il core.Ululò la consorte, e gli rispose:Misera! ahi dove ti fuggìa quel sennoche alle tue genti e alle straniere un giornoglorïoso ti fea? Solo alle naviinimiche avvïarti? esporti soloalla presenza di colui che tantifigli t'uccise? oh cuor di ferro! e quale,s'ei ti scopre, se cadi in suo potere,qual mai pietade o riverenza sperida quell'alma crudele e senza fede?Deh piangiamlo qui soli. Era destinodalle Parche filato all'infelice,quand'io meschina il partorii; che lungidai genitori satollar dovessed'un barbaro i mastini. Oh potess'iostretto tenerne fra le mani il core,e strazïarlo, divorarlo! Alloradel mio figlio sarìa sconta l'offesa,ch'ei da codardo non morì, ma in campoper la patria pugnando, e fermo il piede,senza smarrirsi o declinar la fronte.Cessa, il vecchio riprese: il mio partireè risoluto; non mi far ritegno,

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non volermi tu stessa esser funestaauguratrice: il distornarmi è vano.Se mi desse un mortal questo comando,o aruspice o indovino o sacerdote,lo terremmo menzogna, e spregeremmo:ma vidi io stesso, io stesso udii la Diva.Dunque si vada, ed obbediam. Se il Fatovuol che fra' Greci io pera, io pure il voglio.Morrò trafitto, ma stringendo il figlio,e tutto il dolce esaurirò del pianto.Aprì ciò detto, i bei forzieri, e fuoradodici ne cavò splendidi pepli,ed altrettante clamidi e tappetie tuniche ed ammanti, e dieci insiemeaurei talenti, due forbiti tripodi,quattro lebèti, e finalmente un nappobellissimo, dai Traci avuto in donoquando andovvi orator; raro presente:e nondimen di questo pure il vegliosi fe' privo: cotanto al cor gli premeil riscatto del figlio. Uscito ei quindi,tutto discaccia de' Troiani il vulgoai portici raccolto, e acerbo grida:Via, perversi, di qua: forse vi mancadomestico dolor, ché qui venitead aggravarmi il mio? forse n'è pocol'alto affanno in che Giove mi sommerseil più forte togliendomi de' figli?

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non volermi tu stessa esser funestaauguratrice: il distornarmi è vano.Se mi desse un mortal questo comando,o aruspice o indovino o sacerdote,lo terremmo menzogna, e spregeremmo:ma vidi io stesso, io stesso udii la Diva.Dunque si vada, ed obbediam. Se il Fatovuol che fra' Greci io pera, io pure il voglio.Morrò trafitto, ma stringendo il figlio,e tutto il dolce esaurirò del pianto.Aprì ciò detto, i bei forzieri, e fuoradodici ne cavò splendidi pepli,ed altrettante clamidi e tappetie tuniche ed ammanti, e dieci insiemeaurei talenti, due forbiti tripodi,quattro lebèti, e finalmente un nappobellissimo, dai Traci avuto in donoquando andovvi orator; raro presente:e nondimen di questo pure il vegliosi fe' privo: cotanto al cor gli premeil riscatto del figlio. Uscito ei quindi,tutto discaccia de' Troiani il vulgoai portici raccolto, e acerbo grida:Via, perversi, di qua: forse vi mancadomestico dolor, ché qui venitead aggravarmi il mio? forse n'è pocol'alto affanno in che Giove mi sommerseil più forte togliendomi de' figli?

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Ma voi medesmi vel saprete in breve,voi che senza difesa, or ch'egli è morto,sotto le spade degli Achei cadrete.Ma deh! pria che veder Troia distrutta,deh ch'io discenda alla magion di Pluto.Così grida il tapino, e con lo scettrofuor ne mette la turba che sommessasi dileguava. Irrequïeto posciai suoi figli bravando li rampogna,Eleno e Pari e Antifono e Pammonee l'illustre Agatone e il prode in guerrabuon Polite e Dëìfobo ed Agàvo,di divina sembianza giovinetto,ed Ippotòo. Si volge a questi novecon acerbi rabbuffi il doloroso,e, Studiatevi, grida: a che vi state,nequitosi infingardi? oh foste tuttispenti in vece d'Ettorre! Oh me infelice!Re dell'eccelsa Troia io generaifortissimi figliuoli, e nullo in vitane rimase. Caduto è il dëiformemio Mèstore; caduto è il bellicosoTròilo di cocchi agitatore; ed oraEttore cadde, quell'Ettòr che un Diofra' mortali parea; no, d'un mortalefiglio ei non parve, ma d'un Dio. La guerrami tolse i buoni, e mi lasciò cotestivituperii; sì voi, prodi soltanto

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Ma voi medesmi vel saprete in breve,voi che senza difesa, or ch'egli è morto,sotto le spade degli Achei cadrete.Ma deh! pria che veder Troia distrutta,deh ch'io discenda alla magion di Pluto.Così grida il tapino, e con lo scettrofuor ne mette la turba che sommessasi dileguava. Irrequïeto posciai suoi figli bravando li rampogna,Eleno e Pari e Antifono e Pammonee l'illustre Agatone e il prode in guerrabuon Polite e Dëìfobo ed Agàvo,di divina sembianza giovinetto,ed Ippotòo. Si volge a questi novecon acerbi rabbuffi il doloroso,e, Studiatevi, grida: a che vi state,nequitosi infingardi? oh foste tuttispenti in vece d'Ettorre! Oh me infelice!Re dell'eccelsa Troia io generaifortissimi figliuoli, e nullo in vitane rimase. Caduto è il dëiformemio Mèstore; caduto è il bellicosoTròilo di cocchi agitatore; ed oraEttore cadde, quell'Ettòr che un Diofra' mortali parea; no, d'un mortalefiglio ei non parve, ma d'un Dio. La guerrami tolse i buoni, e mi lasciò cotestivituperii; sì voi, prodi soltanto

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alle danze, agl'inganni, alle rapine.Su, che si tarda? Apparecchiate il carro,ponetevi que' doni, e vi spedite,onde senza più starmi io m'incammini.Rispettosi al garrir del genitorecorser quelli e dier fuora incontanentel'agile plaustro tutto nuovo e bello,e una grand'arca vi legâr di sopra.Indi un giogo mulin di bosso, ornatod'un umbilico con anel ben messo,dal pïuòlo spiccâr: poscia di novecubiti tratta la giogal gombìna,al capo accomodâr del liscio temoacconciamente il giogo, e sovrappostoalla caviglia del timon l'anello,con triplicato giro all'umbilicol'avvinghiâr quinci e quindi, e fatto un nodo,della gombìna ripiegâr la puntanella parte di sotto. Ciò finito,giù recâr dalla stanza i destinatidoni al riscatto dell'ettòrea testa,immensi doni; e sul pulito plaustrogl'imposero, e del plaustro al giogo addusserosenza ritardo due gagliarde mule,de' Misii illustre dono al re troiano.Quindi allestiti presentaro al padredel regale suo cocchio i corridori,cui Prìamo stesso governar solea

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alle danze, agl'inganni, alle rapine.Su, che si tarda? Apparecchiate il carro,ponetevi que' doni, e vi spedite,onde senza più starmi io m'incammini.Rispettosi al garrir del genitorecorser quelli e dier fuora incontanentel'agile plaustro tutto nuovo e bello,e una grand'arca vi legâr di sopra.Indi un giogo mulin di bosso, ornatod'un umbilico con anel ben messo,dal pïuòlo spiccâr: poscia di novecubiti tratta la giogal gombìna,al capo accomodâr del liscio temoacconciamente il giogo, e sovrappostoalla caviglia del timon l'anello,con triplicato giro all'umbilicol'avvinghiâr quinci e quindi, e fatto un nodo,della gombìna ripiegâr la puntanella parte di sotto. Ciò finito,giù recâr dalla stanza i destinatidoni al riscatto dell'ettòrea testa,immensi doni; e sul pulito plaustrogl'imposero, e del plaustro al giogo addusserosenza ritardo due gagliarde mule,de' Misii illustre dono al re troiano.Quindi allestiti presentaro al padredel regale suo cocchio i corridori,cui Prìamo stesso governar solea

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ne' nitidi presepi: ed or gli accoppiaei medesmo alla biga il mesto vegliosotto i portici eccelsi, esso e il suo fidoaraldo, entrambi pensierosi e muti.Féssi allor la dolente Ecuba incontroal re marito, nella man tenendodi soave licore un aureo nappo,onde ai numi libasse anzi il partire.Stette avanti ai corsieri, e, Tien, gli disse,liba a Giove, e lo prega che ti vogliadai nemici tornar salvo al tuo tetto,poiché, malgrado il mio dissenso, hai fermala tua partenza. Or tu la supplicantevoce innalza all'idèo Giove nemboso,che d'alto guarda la cittade, e chiediche messaggier ti mandi alla dirittaquel fortissimo suo veloce augellosovra tutti a lui caro, onde tal vistail tuo vïaggio affidi al campo acheo.Se il Dio ricusa d'invïarti questosuo propizio messaggio, io ti scongiurodi non rischiar tuoi passi a quelle navi,e di dar bando al fier desìo che porti.Facciasi, o donna, il tuo voler, risposeil nobile vegliardo: ai numi è buonoalzar le palme ed implorar mercede.Disse; e all'ancella dispensiera imposedi versargli una pura onda alle mani;

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ne' nitidi presepi: ed or gli accoppiaei medesmo alla biga il mesto vegliosotto i portici eccelsi, esso e il suo fidoaraldo, entrambi pensierosi e muti.Féssi allor la dolente Ecuba incontroal re marito, nella man tenendodi soave licore un aureo nappo,onde ai numi libasse anzi il partire.Stette avanti ai corsieri, e, Tien, gli disse,liba a Giove, e lo prega che ti vogliadai nemici tornar salvo al tuo tetto,poiché, malgrado il mio dissenso, hai fermala tua partenza. Or tu la supplicantevoce innalza all'idèo Giove nemboso,che d'alto guarda la cittade, e chiediche messaggier ti mandi alla dirittaquel fortissimo suo veloce augellosovra tutti a lui caro, onde tal vistail tuo vïaggio affidi al campo acheo.Se il Dio ricusa d'invïarti questosuo propizio messaggio, io ti scongiurodi non rischiar tuoi passi a quelle navi,e di dar bando al fier desìo che porti.Facciasi, o donna, il tuo voler, risposeil nobile vegliardo: ai numi è buonoalzar le palme ed implorar mercede.Disse; e all'ancella dispensiera imposedi versargli una pura onda alle mani;

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e l'ancella appressossi, e colla mancasostenendo il bacin, versò coll'altrada tersa idria l'umor. Lavato ei presel'offerta coppa, e ritto in piè nel mezzodell'atrio, in atto supplicante alzatigli occhi al cielo, libò con questi accenti:Giove massimo Iddio, che glorïosodall'Ida imperi, fa che grato io giungaad Achille, e pietà di me gl'ispira.Mandami a dritta il tuo veloce e carore de' volanti, e ch'io lo vegga: e certoper lui del tuo favore, alle nemichetende i miei passi volgerò sicuro.Esaudì Giove il prego, e il più perfettodegli augurii mandò, l'aquila fosca,cacciatrice, che detta è ancor la Bruna.Larghe quanto la porta di sublimestanza regal spiegava il negro augellole sue vaste ali, dirigendo a destrasulla cittade il volo. Esilarossia tutti il core nel vederla. Il vegliomontò il bel cocchio frettoloso, e fuoradei risonanti portici lo spinse.Traenti il plaustro precedean le muledal saggio Idèo guidate, e lo seguiènodella biga i corsier che il re canutoper l'ampie strade colla sferza affretta.L'accompagnan piangendo i suoi più cari,

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e l'ancella appressossi, e colla mancasostenendo il bacin, versò coll'altrada tersa idria l'umor. Lavato ei presel'offerta coppa, e ritto in piè nel mezzodell'atrio, in atto supplicante alzatigli occhi al cielo, libò con questi accenti:Giove massimo Iddio, che glorïosodall'Ida imperi, fa che grato io giungaad Achille, e pietà di me gl'ispira.Mandami a dritta il tuo veloce e carore de' volanti, e ch'io lo vegga: e certoper lui del tuo favore, alle nemichetende i miei passi volgerò sicuro.Esaudì Giove il prego, e il più perfettodegli augurii mandò, l'aquila fosca,cacciatrice, che detta è ancor la Bruna.Larghe quanto la porta di sublimestanza regal spiegava il negro augellole sue vaste ali, dirigendo a destrasulla cittade il volo. Esilarossia tutti il core nel vederla. Il vegliomontò il bel cocchio frettoloso, e fuoradei risonanti portici lo spinse.Traenti il plaustro precedean le muledal saggio Idèo guidate, e lo seguiènodella biga i corsier che il re canutoper l'ampie strade colla sferza affretta.L'accompagnan piangendo i suoi più cari,

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come se a morte ei gisse. Alfin venutialle porte, lasciârsi. Il re disceseverso il campo nemico, e lagrimosinella cittade ritornârsi i figli.Vide Giove dall'alto i due solettipellegrini inoltrarsi alla pianura.Pietà gli venne dell'antico sire,e a Mercurio parlò: Diletto figlio,tu che guida ai mortali esser ti piaci,e pietoso gli ascolti, va veloce,ed alle navi achee Prìamo conduciocculto in guisa che nessuno il veggade' vigilanti Argivi e se n'accorga,pria che d'Achille alla presenza ei sia.Mercurio ad obbedir tosto s'accingei precetti del padre. E prima ai piedii bei talari adatta. Ali son quested'incorruttibil auro, ond'ei volandol'immensa terra e il mar ratto trascorrecollo spiro de' venti. Indi la verga,che dona e toglie a suo talento il sonno,nella destra si reca, e scioglie il volo.In un batter di ciglio all'Ellespontogiunge e al campo troian. Qui prende il voltodi regal giovinetto a cui fiorìadel primo pelo la venusta guancia,e, così fatto, il nume s'incammina.Già Prìamo con Idèo d'Ilo la tomba

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come se a morte ei gisse. Alfin venutialle porte, lasciârsi. Il re disceseverso il campo nemico, e lagrimosinella cittade ritornârsi i figli.Vide Giove dall'alto i due solettipellegrini inoltrarsi alla pianura.Pietà gli venne dell'antico sire,e a Mercurio parlò: Diletto figlio,tu che guida ai mortali esser ti piaci,e pietoso gli ascolti, va veloce,ed alle navi achee Prìamo conduciocculto in guisa che nessuno il veggade' vigilanti Argivi e se n'accorga,pria che d'Achille alla presenza ei sia.Mercurio ad obbedir tosto s'accingei precetti del padre. E prima ai piedii bei talari adatta. Ali son quested'incorruttibil auro, ond'ei volandol'immensa terra e il mar ratto trascorrecollo spiro de' venti. Indi la verga,che dona e toglie a suo talento il sonno,nella destra si reca, e scioglie il volo.In un batter di ciglio all'Ellespontogiunge e al campo troian. Qui prende il voltodi regal giovinetto a cui fiorìadel primo pelo la venusta guancia,e, così fatto, il nume s'incammina.Già Prìamo con Idèo d'Ilo la tomba

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avea trascorsa, e qui sostato alquanto,alla chiara corrente abbeveravae le mule e i destrier. L'ombra notturnasulla terra scendea, quando l'araldodel nume s'avvisò che alla lor voltagià s'appressava, e sbigottito disse:Bada, o re; qui si vuol tutta prudenza.Veggo un nemico, e siam perduti. O rattodiamci in fuga, o abbracciam le sue ginocchiaimplorando pietà. - Smarrissi il veglio,il terror gli arricciò su le canutetempie le chiome, il brivido gli corseper le tremule membra; e stupiditos'arrestò: Ma si fece innanzi il nume,e presolo per mano interrogollo:Dove, o padre, dirigi esti corsiericosì pel buio della dolce nottementre gli altri han riposo? E non paventii furibondi Achei, che ti son presso,fieri nemici? Se qualcun di loroper l'ombra oscura portator ti cogliedi quei tesori, che farai? Garzonetu non sei, né cotesto che ti segue,onde far petto a chi t'assalti infesto.Ma di me non temer, ch'io qui mi sonoin tuo danno non già, ma in tua difesa,perocché come padre a me sei caro.E Prìamo a lui: La va, come tu dici,

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avea trascorsa, e qui sostato alquanto,alla chiara corrente abbeveravae le mule e i destrier. L'ombra notturnasulla terra scendea, quando l'araldodel nume s'avvisò che alla lor voltagià s'appressava, e sbigottito disse:Bada, o re; qui si vuol tutta prudenza.Veggo un nemico, e siam perduti. O rattodiamci in fuga, o abbracciam le sue ginocchiaimplorando pietà. - Smarrissi il veglio,il terror gli arricciò su le canutetempie le chiome, il brivido gli corseper le tremule membra; e stupiditos'arrestò: Ma si fece innanzi il nume,e presolo per mano interrogollo:Dove, o padre, dirigi esti corsiericosì pel buio della dolce nottementre gli altri han riposo? E non paventii furibondi Achei, che ti son presso,fieri nemici? Se qualcun di loroper l'ombra oscura portator ti cogliedi quei tesori, che farai? Garzonetu non sei, né cotesto che ti segue,onde far petto a chi t'assalti infesto.Ma di me non temer, ch'io qui mi sonoin tuo danno non già, ma in tua difesa,perocché come padre a me sei caro.E Prìamo a lui: La va, come tu dici,

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mio dolce figlio. Ma propizio ancoratien su me la sua mano un qualche iddio,che tal mi manda della via compagnoben augurato, come te, di corpobello e di volto, e di mirando senno,e di beati genitor germoglio.Gli è ver, ti guarda un Dio, siccome avvisi(ripiglia il nume): ma rispondi, e schiettoparlami il vero. In regïon stranieraporti tu forse, per salvarli, questiprezïosi tesori? O forse tuttidi spavento compresi abbandonatela città, da che spento è il tuo gran figlioche a nullo Achivo di valor cedea?Oh chi se' tu? riprese inteneritol'esimio rege, chi se' tu che parlidel mio morto figliuol così cortese?E chi son dunque i tuoi parenti, o caro?Allor Mercurio: Tu mi tenti, o veglio,col tuo dimando. Or ben: nella battagliaonoratrice de' guerrieri io vidicon quest'occhi più volte il divo Ettorre,massimamente il dì che degli Acheistrage egli fece col fulmineo ferrocacciandoli alle navi. Ad ammirarlonoi fermi ci stavam; ché irato Achillecol sommo Atride a noi non consentìal'entrar dentro alla mischia. Io suo soldato

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mio dolce figlio. Ma propizio ancoratien su me la sua mano un qualche iddio,che tal mi manda della via compagnoben augurato, come te, di corpobello e di volto, e di mirando senno,e di beati genitor germoglio.Gli è ver, ti guarda un Dio, siccome avvisi(ripiglia il nume): ma rispondi, e schiettoparlami il vero. In regïon stranieraporti tu forse, per salvarli, questiprezïosi tesori? O forse tuttidi spavento compresi abbandonatela città, da che spento è il tuo gran figlioche a nullo Achivo di valor cedea?Oh chi se' tu? riprese inteneritol'esimio rege, chi se' tu che parlidel mio morto figliuol così cortese?E chi son dunque i tuoi parenti, o caro?Allor Mercurio: Tu mi tenti, o veglio,col tuo dimando. Or ben: nella battagliaonoratrice de' guerrieri io vidicon quest'occhi più volte il divo Ettorre,massimamente il dì che degli Acheistrage egli fece col fulmineo ferrocacciandoli alle navi. Ad ammirarlonoi fermi ci stavam; ché irato Achillecol sommo Atride a noi non consentìal'entrar dentro alla mischia. Io suo soldato

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qua ne venni con esso in una stessanave: di schiatta Mirmidóne io sono;Polìtore m'è padre: a lui son moltericchezze e molta età pari alla tua,e settimo de' figli io fui sortitoa questa guerra. Esplorator del campoor qui ne venni: perocché dimanidi buon tempo gli Achivi alla cittadedaran l'assalto. Di riposo ei sonotutti sdegnosi, e contenerne il fierodesìo di pugna più non ponno i duci.Udito questo, replicò de' Teucril'augusto sire: Se davver soldatodel Pelìde tu sei, tutto deh fammipalese il vero. Il mio figliuol giac'egliper anco intero nelle tende, o fatto,misero! in brani, lo gittò pasturade' suoi mastini l'uccisor? - No, prontol'Argicida rispose. Ei giace intattotuttavia dalle belve appo la navecapitana d'Achille entro la tendasenza segno d'onor. La dodicesmaluce rifulse sul giacente, e ancorail suo corpo è incorrotto, ed il voracemorso de' vermi che gli estinti in guerratutti consuma, il figlio tuo rispetta.Vero gli è ben che dell'amico intornoalla tomba, col sorgere dell'alba,

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qua ne venni con esso in una stessanave: di schiatta Mirmidóne io sono;Polìtore m'è padre: a lui son moltericchezze e molta età pari alla tua,e settimo de' figli io fui sortitoa questa guerra. Esplorator del campoor qui ne venni: perocché dimanidi buon tempo gli Achivi alla cittadedaran l'assalto. Di riposo ei sonotutti sdegnosi, e contenerne il fierodesìo di pugna più non ponno i duci.Udito questo, replicò de' Teucril'augusto sire: Se davver soldatodel Pelìde tu sei, tutto deh fammipalese il vero. Il mio figliuol giac'egliper anco intero nelle tende, o fatto,misero! in brani, lo gittò pasturade' suoi mastini l'uccisor? - No, prontol'Argicida rispose. Ei giace intattotuttavia dalle belve appo la navecapitana d'Achille entro la tendasenza segno d'onor. La dodicesmaluce rifulse sul giacente, e ancorail suo corpo è incorrotto, ed il voracemorso de' vermi che gli estinti in guerratutti consuma, il figlio tuo rispetta.Vero gli è ben che dell'amico intornoalla tomba, col sorgere dell'alba,

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spietatamente Achille lo strascina;né per ciò giunge a deturparlo, e quandotu medesmo il vedessi, maravigliati prenderebbe nel trovarlo tuttomondo dal tabo e fresco e rugiadoso,in ogni parte intégro, e le ferite,che molte ei n'ebbe, tutte chiuse. Tantogl'iddii beati, a cui diletto egli era,dell'estinto tuo figlio ebber pensiero.Gioinne il vecchio, e replicò: Per certotorna in gran bene agl'Immortali offrireogni debito onor, né il mio figliuolo,finché si visse, degli Dei gli altaridimenticò. Quind'essi alla sua mortericordârsi di lui. Ma tu ricevi,deh ricevi da me questo bel nappo;custodiscilo, e fausti i sommi Dei,del Pelìde alla tenda m'accompagna.Buon vecchio, replicò con un sorrisol'Argicida, tu tenti l'inespertamia giovinezza, ma la tenti in vano.Inscio Achille, non fia che doni io prenda.Temo il mio duce, e più il rubar; né voglioche guaio me n'incolga. Io scorterotticosì pur senza doni e di buon grado,e per terra e per mar, come ti piace,anche d'Argo alle rive, né verunosu te le mani metterà, me duce.

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spietatamente Achille lo strascina;né per ciò giunge a deturparlo, e quandotu medesmo il vedessi, maravigliati prenderebbe nel trovarlo tuttomondo dal tabo e fresco e rugiadoso,in ogni parte intégro, e le ferite,che molte ei n'ebbe, tutte chiuse. Tantogl'iddii beati, a cui diletto egli era,dell'estinto tuo figlio ebber pensiero.Gioinne il vecchio, e replicò: Per certotorna in gran bene agl'Immortali offrireogni debito onor, né il mio figliuolo,finché si visse, degli Dei gli altaridimenticò. Quind'essi alla sua mortericordârsi di lui. Ma tu ricevi,deh ricevi da me questo bel nappo;custodiscilo, e fausti i sommi Dei,del Pelìde alla tenda m'accompagna.Buon vecchio, replicò con un sorrisol'Argicida, tu tenti l'inespertamia giovinezza, ma la tenti in vano.Inscio Achille, non fia che doni io prenda.Temo il mio duce, e più il rubar; né voglioche guaio me n'incolga. Io scorterotticosì pur senza doni e di buon grado,e per terra e per mar, come ti piace,anche d'Argo alle rive, né verunosu te le mani metterà, me duce.

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Così detto, balzò sopra la biga,e alle man date col flagel le brigliene' cavalli trasfuse e nelle muleuna gagliarda lena. Eran già pressodelle navi alle torri ed alla fossa,e davano le scolte opra alle cene.Tutte Mercurio addormentolle, e tosto,levatene le sbarre, aprì le porte,e di Prìamo la biga, e de' bei donil'onusto carro v'introdusse. Il passodrizzâr quindi d'Achille al padiglione,che splendido e sublime i Mirmidónigli avean costrutto di robusto abete.Irsuto e spesso di campestri giunchiil culmine s'estolle: ampio di palifolto steccato lo circonda, e solauna trave la porta n'assicura,trave immensa, abetina, che a levarsie a riporsi di tre chiedea la forza,ed il Pelìde vi bastava ei solo.L'aperse il nume, ed intromesso il vecchioco' recati ad Achille incliti doni,scese d'un salto a terra, e così disse:O Prìamo, io sono il sempiterno iddioMercurio; il padre mi spedì tua guida,e qui ti lascio, ché il menarti io stessodel Pelìde al cospetto, e tanto innanzifavorire un mortale, a un Immortale

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Così detto, balzò sopra la biga,e alle man date col flagel le brigliene' cavalli trasfuse e nelle muleuna gagliarda lena. Eran già pressodelle navi alle torri ed alla fossa,e davano le scolte opra alle cene.Tutte Mercurio addormentolle, e tosto,levatene le sbarre, aprì le porte,e di Prìamo la biga, e de' bei donil'onusto carro v'introdusse. Il passodrizzâr quindi d'Achille al padiglione,che splendido e sublime i Mirmidónigli avean costrutto di robusto abete.Irsuto e spesso di campestri giunchiil culmine s'estolle: ampio di palifolto steccato lo circonda, e solauna trave la porta n'assicura,trave immensa, abetina, che a levarsie a riporsi di tre chiedea la forza,ed il Pelìde vi bastava ei solo.L'aperse il nume, ed intromesso il vecchioco' recati ad Achille incliti doni,scese d'un salto a terra, e così disse:O Prìamo, io sono il sempiterno iddioMercurio; il padre mi spedì tua guida,e qui ti lascio, ché il menarti io stessodel Pelìde al cospetto, e tanto innanzifavorire un mortale, a un Immortale

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disconviensi. Tu entra, ed abbracciandole sue ginocchia per la madre il pregae pel padre e pel figlio, onde si plachi.Sparve, ciò detto, ed all'olimpie cimerisalì. Prìamo scese, ed alla curade' cavalli lasciato e delle mulel'araldo, s'avvïò dritto d'Achillealle stanze riposte. Avea di Giovel'eroe diletto in quel medesmo puntodato fine alla cena. I suoi sergentiin disparte sedean. Soli al guerrieroministravano in piedi Automedonteed Alcimo, di Marte almo rampollo.Tolta non era ancor la mensa, e ancorasedeavi Achille. Il venerando veglioentrò non visto da veruno, e tostofattosi innanzi, tra le man si presele ginocchia d'Achille, e singhiozzandola tremenda baciò destra omicidache di tanti suoi figli orbo lo fece.Come avvien talor se un infelicereo del sangue d'alcun del patrio suolofugge in altro paese, e ad un possentes'appresentando, i riguardanti ingombrad'improvviso stupor; tale il Pelìdedel dëiforme Prìamo alla vistastupì. Stupiro e si guardaro in visogli altri con muta maraviglia, e allora

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disconviensi. Tu entra, ed abbracciandole sue ginocchia per la madre il pregae pel padre e pel figlio, onde si plachi.Sparve, ciò detto, ed all'olimpie cimerisalì. Prìamo scese, ed alla curade' cavalli lasciato e delle mulel'araldo, s'avvïò dritto d'Achillealle stanze riposte. Avea di Giovel'eroe diletto in quel medesmo puntodato fine alla cena. I suoi sergentiin disparte sedean. Soli al guerrieroministravano in piedi Automedonteed Alcimo, di Marte almo rampollo.Tolta non era ancor la mensa, e ancorasedeavi Achille. Il venerando veglioentrò non visto da veruno, e tostofattosi innanzi, tra le man si presele ginocchia d'Achille, e singhiozzandola tremenda baciò destra omicidache di tanti suoi figli orbo lo fece.Come avvien talor se un infelicereo del sangue d'alcun del patrio suolofugge in altro paese, e ad un possentes'appresentando, i riguardanti ingombrad'improvviso stupor; tale il Pelìdedel dëiforme Prìamo alla vistastupì. Stupiro e si guardaro in visogli altri con muta maraviglia, e allora

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il supplice così sciolse la voce:Divino Achille, ti rammenta il padre,il padre tuo da ria vecchiezza oppressoqual io mi sono. Io questo punto ei forseda' potenti vicini assediatonon ha chi lo soccorra, e all'imminenteperiglio il tolga. Nondimeno, udendoche tu sei vivo, si conforta, e speraad ogn'istante riveder tornatoda Troia il figlio suo diletto. Ed io,miserrimo! io che a tanti e valorosifigli fui padre, ahi! più nol sono, e parmigià di tutti esser privo. Di cinquantalieto io vivea de' Greci alla venuta.Dieci e nove di questi eran d'un soloalvo prodotti; mi venìano gli altrida diverse consorti, e i più ne spensel'orrido Marte. Mi restava Ettorre,l'unico Ettorre, che de' suoi fratellie di Troia e di tutti era il sostegno;e questo pure per le patrie muracombattendo cadéo dianzi al tuo piede.Per lui supplice io vegno, ed infinitidoni ti reco a riscattarlo, Achille!Abbi ai numi rispetto, abbi pietadedi me: ricorda il padre tuo: deh! pensach'io mi sono più misero, io che soffrodisventura che mai altro mortale

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il supplice così sciolse la voce:Divino Achille, ti rammenta il padre,il padre tuo da ria vecchiezza oppressoqual io mi sono. Io questo punto ei forseda' potenti vicini assediatonon ha chi lo soccorra, e all'imminenteperiglio il tolga. Nondimeno, udendoche tu sei vivo, si conforta, e speraad ogn'istante riveder tornatoda Troia il figlio suo diletto. Ed io,miserrimo! io che a tanti e valorosifigli fui padre, ahi! più nol sono, e parmigià di tutti esser privo. Di cinquantalieto io vivea de' Greci alla venuta.Dieci e nove di questi eran d'un soloalvo prodotti; mi venìano gli altrida diverse consorti, e i più ne spensel'orrido Marte. Mi restava Ettorre,l'unico Ettorre, che de' suoi fratellie di Troia e di tutti era il sostegno;e questo pure per le patrie muracombattendo cadéo dianzi al tuo piede.Per lui supplice io vegno, ed infinitidoni ti reco a riscattarlo, Achille!Abbi ai numi rispetto, abbi pietadedi me: ricorda il padre tuo: deh! pensach'io mi sono più misero, io che soffrodisventura che mai altro mortale

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non soffrì, supplicante alla mia boccala man premendo che i miei figli uccise.A queste voci intenerito Achille,membrando il genitor, proruppe in pianto,e preso il vecchio per la man, scostollodolcemente. Piangea questi il perdutoEttorre ai piè dell'uccisore, e queglior il padre, or l'amico, e risonavadi gemiti la stanza. Alfin satollodi lagrime il Pelìde, e ritornatitranquilli i sensi, si rizzò dal seggio,e colla destra sollevò il cadenteveglio, il bianco suo crin commiserandoed il mento canuto. Indi rispose:Infelice! per vero alte sventureil tuo cor tollerò. Come potestivenir solo alle navi ed al cospettodell'uccisore de' tuoi forti figli?Hai tu di ferro il core? Or via, ti siedi,e diam tregua a un dolor che più non giova.Liberi i numi d'ogni cura al piantocondannano il mortal. Stansi di Giovesul limitar due dogli, uno del bene,l'altro del male. A cui d'entrambi ei porga,quegli mista col bene ha la sventura.A cui sol porga del funesto vaso,quei va carco d'oltraggi, e lui la duracalamitade su la terra incalza,

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non soffrì, supplicante alla mia boccala man premendo che i miei figli uccise.A queste voci intenerito Achille,membrando il genitor, proruppe in pianto,e preso il vecchio per la man, scostollodolcemente. Piangea questi il perdutoEttorre ai piè dell'uccisore, e queglior il padre, or l'amico, e risonavadi gemiti la stanza. Alfin satollodi lagrime il Pelìde, e ritornatitranquilli i sensi, si rizzò dal seggio,e colla destra sollevò il cadenteveglio, il bianco suo crin commiserandoed il mento canuto. Indi rispose:Infelice! per vero alte sventureil tuo cor tollerò. Come potestivenir solo alle navi ed al cospettodell'uccisore de' tuoi forti figli?Hai tu di ferro il core? Or via, ti siedi,e diam tregua a un dolor che più non giova.Liberi i numi d'ogni cura al piantocondannano il mortal. Stansi di Giovesul limitar due dogli, uno del bene,l'altro del male. A cui d'entrambi ei porga,quegli mista col bene ha la sventura.A cui sol porga del funesto vaso,quei va carco d'oltraggi, e lui la duracalamitade su la terra incalza,

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e ramingo lo manda e disprezzatodagli uomini e da' numi. Ebbe Pelèoal nascimento suo molti da Gioveillustri doni. Ei ricco, egli felicesovra tutti i viventi, il regno ottennede' Mirmidóni, e una consorte Divabenché mortale. Ma lui pure il numed'un disastro gravò. Nell'alta reggiaprole negògli del suo scettro erede,né gli concesse che di corta vitaun unico figliuolo, ed io son quello;io che di lui già vecchio esser non possodolce sostegno, e negl'ilìaci campiseggo lontano dalla patria, infestoa' tuoi figli e a te sesso. E te pur ancoudimmo un tempo, o vecchio, esser beatoposseditor di quanta hanno ricchezzaLesbo sede di Màcare, e la Frigiaed il lungo Ellesponto. All'opulenzadi queste terre numerosi figlila fama t'aggiungea. Ma poiché i numiin questa guerra ti cacciâr, meschino!ch'altro vedesti intorno alle tue murache perpetue battaglie e sangue e morti?Pur datti pace, né voler ch'eternoti consumi il dolor. Nullo è il profittodel piangere il tuo figlio, e pria che in vitarichiamarlo, ti resta altro soffrire.

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e ramingo lo manda e disprezzatodagli uomini e da' numi. Ebbe Pelèoal nascimento suo molti da Gioveillustri doni. Ei ricco, egli felicesovra tutti i viventi, il regno ottennede' Mirmidóni, e una consorte Divabenché mortale. Ma lui pure il numed'un disastro gravò. Nell'alta reggiaprole negògli del suo scettro erede,né gli concesse che di corta vitaun unico figliuolo, ed io son quello;io che di lui già vecchio esser non possodolce sostegno, e negl'ilìaci campiseggo lontano dalla patria, infestoa' tuoi figli e a te sesso. E te pur ancoudimmo un tempo, o vecchio, esser beatoposseditor di quanta hanno ricchezzaLesbo sede di Màcare, e la Frigiaed il lungo Ellesponto. All'opulenzadi queste terre numerosi figlila fama t'aggiungea. Ma poiché i numiin questa guerra ti cacciâr, meschino!ch'altro vedesti intorno alle tue murache perpetue battaglie e sangue e morti?Pur datti pace, né voler ch'eternoti consumi il dolor. Nullo è il profittodel piangere il tuo figlio, e pria che in vitarichiamarlo, ti resta altro soffrire.

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Deh non far ch'io mi segga, almo guerriero,l'antico sire ripigliò: là dentrosenza onor di sepolcro il mio dilettoEttore giace: rendilo al mio sguardo;rendilo prontamente, e i molti doniche ti rechiamo, accetta, e ne fruisci,e dìati il ciel di salvo ritornartial tuo loco natìo, poiché pietosoe la vita mi lasci e i rai del Sole.Non m'irritar co' tuoi rifiuti, o veglio,bieco Achille riprese. Io stesso aveastatuito nel cor, che alfin rendutoti fosse il figlio, perocché la divaNerëide mia madre a me di Giovegià fe' chiaro il voler. Né si nascondeal mio vedere, al mio sentir, che un numeti fu scorta alle navi a cui verunomortal non fôra d'inoltrarsi ardito,né le guardie ingannar, né delle porteavrìa le sbarre disserrar potutoneppur di tutto il suo vigor nel fiore.Con querimonie adunque il mio corruccionon rinfrescarmi, se non vuoi ti metta,benché supplice mio, fuor della tenda,e del Tonante trasgredisca il cenno.Tremonne il vecchio, ed obbedì. Balzossifuor della tenda allor come lïoneil Pelìde con esso i due scudieri

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Deh non far ch'io mi segga, almo guerriero,l'antico sire ripigliò: là dentrosenza onor di sepolcro il mio dilettoEttore giace: rendilo al mio sguardo;rendilo prontamente, e i molti doniche ti rechiamo, accetta, e ne fruisci,e dìati il ciel di salvo ritornartial tuo loco natìo, poiché pietosoe la vita mi lasci e i rai del Sole.Non m'irritar co' tuoi rifiuti, o veglio,bieco Achille riprese. Io stesso aveastatuito nel cor, che alfin rendutoti fosse il figlio, perocché la divaNerëide mia madre a me di Giovegià fe' chiaro il voler. Né si nascondeal mio vedere, al mio sentir, che un numeti fu scorta alle navi a cui verunomortal non fôra d'inoltrarsi ardito,né le guardie ingannar, né delle porteavrìa le sbarre disserrar potutoneppur di tutto il suo vigor nel fiore.Con querimonie adunque il mio corruccionon rinfrescarmi, se non vuoi ti metta,benché supplice mio, fuor della tenda,e del Tonante trasgredisca il cenno.Tremonne il vecchio, ed obbedì. Balzossifuor della tenda allor come lïoneil Pelìde con esso i due scudieri

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Automedonte ed Alcimo, cui, dopoil morto amico, tra' compagni egli ebbein più pregio ed amor. Sciolsero questii corsieri e le mule, ed intromessol'antico araldo l'adagiaro in seggio.Poscia dal plaustro i prezïosi donidel riscatto levâr, ma due pomposimanti lasciârvi, ed una ben tessutatunica all'uopo di mandar copertoil cadavere in Ilio. Indi chiamatele ancelle, comandò che tutto fossee lavato e di balsami perfusoin disparte dal padre, onde il meschino,veduto il figlio, in impeti non rompasubitamente di dolore e d'ira,sì che la sua destando anche il Pelìdecontro il cenno di Giove nol trafigga.Lavato adunque dall'ancelle ed untodi balsami odorati, e di leggiadratunica avvolto, e poi di risplendentepallio coperto, il gran Pelìde istessoalzatolo di peso, in sul ferètrocollocollo; e composto i suoi compagnisul liscio plaustro lo portâr. Dal pettotrasse allora l'eroe cupo un sospiro,e il diletto chiamando estinto amicosclamò: Patròclo, non volerti mecoadirar, se nell'Orco udrai ch'io rendo

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Automedonte ed Alcimo, cui, dopoil morto amico, tra' compagni egli ebbein più pregio ed amor. Sciolsero questii corsieri e le mule, ed intromessol'antico araldo l'adagiaro in seggio.Poscia dal plaustro i prezïosi donidel riscatto levâr, ma due pomposimanti lasciârvi, ed una ben tessutatunica all'uopo di mandar copertoil cadavere in Ilio. Indi chiamatele ancelle, comandò che tutto fossee lavato e di balsami perfusoin disparte dal padre, onde il meschino,veduto il figlio, in impeti non rompasubitamente di dolore e d'ira,sì che la sua destando anche il Pelìdecontro il cenno di Giove nol trafigga.Lavato adunque dall'ancelle ed untodi balsami odorati, e di leggiadratunica avvolto, e poi di risplendentepallio coperto, il gran Pelìde istessoalzatolo di peso, in sul ferètrocollocollo; e composto i suoi compagnisul liscio plaustro lo portâr. Dal pettotrasse allora l'eroe cupo un sospiro,e il diletto chiamando estinto amicosclamò: Patròclo, non volerti mecoadirar, se nell'Orco udrai ch'io rendo

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Ettore al padre. In suo riscatto ei diemmiconvenevoli doni, e la miglioreparte a te sarà sacra, anima cara.Rïentrò quindi nella tenda, e soprail suo seggio col tergo alla paretesedutosi di fronte a Prìamo, disse:Buon vecchio, il tuo figliuol, siccome hai chiesto,è in tuo potere, e nel ferètro ei giace.Potrai dell'alba all'apparir vederlo,e via portarlo. Si rivolga adessoalla mensa il pensier, ch'anco l'afflittaNìobe del cibo ricordossi il giornoche dodici figliuoi morti le furo,sei del leggiadro e sei del forte sesso,tutti nel fior di giovinezza. Ai primirecò morte Diana, ed ai secondiil saettante Apollo, ambo sdegnatiche Nìobe ardisse all'immortal Latonauguagliarsi d'onor, perché la Deasol di due parti fu feconda, ed essadi ben molti di più. Ma i molti furodai due trafitti. Nove volte il Solestesi li vide nella strage, e nullofu che di poca terra li coprisse,perché converso in dure pietre aveaGiove la gente. Alfin lor diero i numinella decima luce sepoltura.Stanca la madre del suo molto pianto,

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Ettore al padre. In suo riscatto ei diemmiconvenevoli doni, e la miglioreparte a te sarà sacra, anima cara.Rïentrò quindi nella tenda, e soprail suo seggio col tergo alla paretesedutosi di fronte a Prìamo, disse:Buon vecchio, il tuo figliuol, siccome hai chiesto,è in tuo potere, e nel ferètro ei giace.Potrai dell'alba all'apparir vederlo,e via portarlo. Si rivolga adessoalla mensa il pensier, ch'anco l'afflittaNìobe del cibo ricordossi il giornoche dodici figliuoi morti le furo,sei del leggiadro e sei del forte sesso,tutti nel fior di giovinezza. Ai primirecò morte Diana, ed ai secondiil saettante Apollo, ambo sdegnatiche Nìobe ardisse all'immortal Latonauguagliarsi d'onor, perché la Deasol di due parti fu feconda, ed essadi ben molti di più. Ma i molti furodai due trafitti. Nove volte il Solestesi li vide nella strage, e nullofu che di poca terra li coprisse,perché converso in dure pietre aveaGiove la gente. Alfin lor diero i numinella decima luce sepoltura.Stanca la madre del suo molto pianto,

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non fu schiva di cibo. Or poi fra i sassidel Sipilo deserti, ove le stanzeson delle Ninfe che sul verde margodanzano d'Achelèo, cangiata in rupesensibilmente ancor piagne, e in ruscellisfoga l'affanno che gli Dei le diero.E noi pure, o divin vecchio, pensiamoal nutrimento. Ritornato posciacol figlio a Troia, il piangerai di nuovo,ché molto è il pianto che ti resta ancora.Così detto, levossi frettoloso,e un'agnella sgozzò di bianco pelo.La scuoiaro i compagni, e acconciamentel'apprestâr minuzzandola con moltaperizia; e infissa negli spiedi, e quindiben rosolata la levâr dal foco.Da nitido canestro Automedontepose il pan su la mensa, ed il Pelìdespartì le carni. La man porse ognunoalle vivande apparecchiate, e spentodel cibarsi il desìo, Prìamo si posemaravigliando a contemplar d'Achillele divine sembianze, e quale e quantoil portamento. Stupefatto ei puresul dardànide eroe tenea le lucifisse il Pelìde, e il venerando volton'ammirava e il parlar pieno di senno.Come fur sazii del mirarsi, ruppe

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non fu schiva di cibo. Or poi fra i sassidel Sipilo deserti, ove le stanzeson delle Ninfe che sul verde margodanzano d'Achelèo, cangiata in rupesensibilmente ancor piagne, e in ruscellisfoga l'affanno che gli Dei le diero.E noi pure, o divin vecchio, pensiamoal nutrimento. Ritornato posciacol figlio a Troia, il piangerai di nuovo,ché molto è il pianto che ti resta ancora.Così detto, levossi frettoloso,e un'agnella sgozzò di bianco pelo.La scuoiaro i compagni, e acconciamentel'apprestâr minuzzandola con moltaperizia; e infissa negli spiedi, e quindiben rosolata la levâr dal foco.Da nitido canestro Automedontepose il pan su la mensa, ed il Pelìdespartì le carni. La man porse ognunoalle vivande apparecchiate, e spentodel cibarsi il desìo, Prìamo si posemaravigliando a contemplar d'Achillele divine sembianze, e quale e quantoil portamento. Stupefatto ei puresul dardànide eroe tenea le lucifisse il Pelìde, e il venerando volton'ammirava e il parlar pieno di senno.Come fur sazii del mirarsi, ruppe

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Prìamo il tacer: Preclaro ospite mio,mettimi or tosto a riposar, ch'io possagustar di dolce sonno alcuna stilla.Dal dì che sotto la tua man possenteil mio figlio spirò, mai non fur chiusequeste palpebre, mai; ch'altro non seppida quel punto che piangere, ululare,voltolarmi per gli atrii nella polve,mille ambasce ingoiando. Dopo tantofiero digiuno, or ecco che gustatoho qualche cibo alfine e qualche sorso.Questo udendo, ai compagni ed all'ancellepronto il Pelìde comandò di porrenel padiglione esterïor due letticon distesi tappeti, e porporinebelle coltrici, e vesti altre velloseda ricoprirsi. Obbedïenti al cennouscîr le ancelle colle faci in mano,e tosto i letti apparecchiâr. Di luisollecito il Pelìde, allor gli punsedi tema il cor, dicendo: Ottimo padre,dormi qua fuor. Potrìa de' prenci achivi,che qui son per consulte a tutte l'ore,recarsi a me talun, siccome è l'uso,e vederti, e ridirlo al sommo duceAgamennóne, e farsi impedimentoal riscatto d'Ettorre. Or mi dichiaraveracemente. A' suoi funebri onori

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Prìamo il tacer: Preclaro ospite mio,mettimi or tosto a riposar, ch'io possagustar di dolce sonno alcuna stilla.Dal dì che sotto la tua man possenteil mio figlio spirò, mai non fur chiusequeste palpebre, mai; ch'altro non seppida quel punto che piangere, ululare,voltolarmi per gli atrii nella polve,mille ambasce ingoiando. Dopo tantofiero digiuno, or ecco che gustatoho qualche cibo alfine e qualche sorso.Questo udendo, ai compagni ed all'ancellepronto il Pelìde comandò di porrenel padiglione esterïor due letticon distesi tappeti, e porporinebelle coltrici, e vesti altre velloseda ricoprirsi. Obbedïenti al cennouscîr le ancelle colle faci in mano,e tosto i letti apparecchiâr. Di luisollecito il Pelìde, allor gli punsedi tema il cor, dicendo: Ottimo padre,dormi qua fuor. Potrìa de' prenci achivi,che qui son per consulte a tutte l'ore,recarsi a me talun, siccome è l'uso,e vederti, e ridirlo al sommo duceAgamennóne, e farsi impedimentoal riscatto d'Ettorre. Or mi dichiaraveracemente. A' suoi funebri onori

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quanti vuoi giorni? Io terrò l'armi in posaper altrettanti, e frenerò le schiere.Se ne consenti (Prïamo rispose)placide esequie al figlio mio, per certomi fai cosa ben grata, o generoso.Siam rinchiusi, lo sai, dentro le mura;sai che n'è lungi il monte, ove la selvatagliar pel rogo, e sai quanto de' Teucriè lo spavento. Nove giorni al piantoconsacreremo nelle case: al decimoarderemo la pira, e imbandirassiper la cittade il funeral banchetto.Gli darem tomba nel seguente, e l'arminell'altro piglierem, se stremo il chiede.Buon vecchio, sia così, soggiunse Achille:tanto l'armi staran quanto tu brami.Così dicendo, la sua destra posenella destra di quello, onde sgombrargliogni temenza. Prïamo e l'araldonell'atrio coricârsi; entro i recessidella tenda il Pelìde; ed al suo fiancola bella figlia di Brisèo si giacque.Tutti dormìan sepolti in dolce sonnoi guerrieri e gli Dei, ma non l'amicode' mortali Mercurio, che venìapur divisando in suo pensier la guisadi trarre, dalle guardie inosservato,fuor del dorico vallo il re troiano.

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quanti vuoi giorni? Io terrò l'armi in posaper altrettanti, e frenerò le schiere.Se ne consenti (Prïamo rispose)placide esequie al figlio mio, per certomi fai cosa ben grata, o generoso.Siam rinchiusi, lo sai, dentro le mura;sai che n'è lungi il monte, ove la selvatagliar pel rogo, e sai quanto de' Teucriè lo spavento. Nove giorni al piantoconsacreremo nelle case: al decimoarderemo la pira, e imbandirassiper la cittade il funeral banchetto.Gli darem tomba nel seguente, e l'arminell'altro piglierem, se stremo il chiede.Buon vecchio, sia così, soggiunse Achille:tanto l'armi staran quanto tu brami.Così dicendo, la sua destra posenella destra di quello, onde sgombrargliogni temenza. Prïamo e l'araldonell'atrio coricârsi; entro i recessidella tenda il Pelìde; ed al suo fiancola bella figlia di Brisèo si giacque.Tutti dormìan sepolti in dolce sonnoi guerrieri e gli Dei, ma non l'amicode' mortali Mercurio, che venìapur divisando in suo pensier la guisadi trarre, dalle guardie inosservato,fuor del dorico vallo il re troiano.

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Stettegli adunque su la fronte, e disse:Re, così dormi fra' nemici? e nullati cal del rischio in che ti trovi, uscitodagli artigli d'Achille? A caro prezzoredimesti l'amato estinto figlio.Ma per te che sei vivo, Agamennónese qui sapratti, e tutto il campo acheo,tre volte tanto chiederanno ai figliche rimasti ti sono. - E più non disse.Destasi il vecchio sbigottito, e sveglial'araldo: aggioga l'Argicida istessoi cavalli e le mule, e presto prestospinti i carri, invisibile traversagli accampamenti. Alla corrente giuntidel genito da Giove ondoso Xantonell'ora che sul mondo il suo vermigliovelo dispiega di Titon l'amica,volò Mercurio al cielo, e i due canuticon gemiti e lamenti alla cittadeceleravan la via. Grave del carocadavere davanti iva il carretto,né d'uomo orecchio, né di donna ancorail fragor ne sentìa. L'udì primierala vergine Cassandra, e su la roccadi Pergamo salita, il suo dilettopadre e l'araldo riconobbe eccelsisovra i carri, e la spoglia inanimatache sul plaustro giacea. Mise a tal vista

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Stettegli adunque su la fronte, e disse:Re, così dormi fra' nemici? e nullati cal del rischio in che ti trovi, uscitodagli artigli d'Achille? A caro prezzoredimesti l'amato estinto figlio.Ma per te che sei vivo, Agamennónese qui sapratti, e tutto il campo acheo,tre volte tanto chiederanno ai figliche rimasti ti sono. - E più non disse.Destasi il vecchio sbigottito, e sveglial'araldo: aggioga l'Argicida istessoi cavalli e le mule, e presto prestospinti i carri, invisibile traversagli accampamenti. Alla corrente giuntidel genito da Giove ondoso Xantonell'ora che sul mondo il suo vermigliovelo dispiega di Titon l'amica,volò Mercurio al cielo, e i due canuticon gemiti e lamenti alla cittadeceleravan la via. Grave del carocadavere davanti iva il carretto,né d'uomo orecchio, né di donna ancorail fragor ne sentìa. L'udì primierala vergine Cassandra, e su la roccadi Pergamo salita, il suo dilettopadre e l'araldo riconobbe eccelsisovra i carri, e la spoglia inanimatache sul plaustro giacea. Mise a tal vista

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alti gridi e ululati, e per le vie,Troi, Troiane, gridava, eccone Ettorre;accorrete, vedetelo, gli è quelloche ritornando dalla pugna empieatutti, un tempo, di gioia i vostri petti.Né verun né veruna a questo annunzionella cittade si restò, ma tuttid'intollerando duolo il cuor compresisi versâr dalle porte, e fersi incontroal lugubre convoglio. Ivi primierelacerandosi i crini la dilettasposa e l'augusta genitrice al carros'avventâr furïose, e sull'amatapallida fronte abbandonâr le bocche,tutta dintorno piangendo la turba.E le lagrime, i gemiti, le gridasul deplorato Ettorre avrìan l'interogiorno consunto su le meste porte,se Prïamo dal cocchio all'inondanteturba rivolto non dicea: Sgombrateal carro il varco: pascervi di piantosu quel corpo potrete entro la reggia.S'aprì la folta, passò il carro, e giunsenegl'incliti palagi. Ivi depostoil cadavere in regio cataletto,il lugubre sovr'esso incominciaroinno i cantori de' lamenti, e al mestocanto pietose rispondean le donne:

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alti gridi e ululati, e per le vie,Troi, Troiane, gridava, eccone Ettorre;accorrete, vedetelo, gli è quelloche ritornando dalla pugna empieatutti, un tempo, di gioia i vostri petti.Né verun né veruna a questo annunzionella cittade si restò, ma tuttid'intollerando duolo il cuor compresisi versâr dalle porte, e fersi incontroal lugubre convoglio. Ivi primierelacerandosi i crini la dilettasposa e l'augusta genitrice al carros'avventâr furïose, e sull'amatapallida fronte abbandonâr le bocche,tutta dintorno piangendo la turba.E le lagrime, i gemiti, le gridasul deplorato Ettorre avrìan l'interogiorno consunto su le meste porte,se Prïamo dal cocchio all'inondanteturba rivolto non dicea: Sgombrateal carro il varco: pascervi di piantosu quel corpo potrete entro la reggia.S'aprì la folta, passò il carro, e giunsenegl'incliti palagi. Ivi depostoil cadavere in regio cataletto,il lugubre sovr'esso incominciaroinno i cantori de' lamenti, e al mestocanto pietose rispondean le donne:

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fra cui plorando Andròmaca, e strignendod'Ettore il capo fra le bianche braccia,fe' primiera sonar queste querele:Eccoti spento, o mio consorte, e spentosul fior degli anni! e vedova me lascinella tua reggia, ed orfanello il figliodi sventurato amor misero frutto,bambino ancora, e senza pur la spemeche pubertade la sua guancia infiori.Perocché dalla cima Ilio sovversoruinerà tra poco or che tu giaci,tu che n'eri il custode, e gli servavii dolci pargoletti e le pudichespose, che tosto ai legni achei n'andrannostrascinate in catene, ed io con esse.E tu, povero figlio, o ne verraimeco in servaggio di crudel signoreche ad opre indegne danneratti, o forsequalche barbaro Acheo dall'alta torreti scaglierà sdegnoso, vendicandoo il padre, o il figlio, od il fratel dall'astad'Ettor prostrati; ché per certo moltidi costoro per lui mordon la terra.Terribile ai nemici era il tuo padrenelle battaglie, e quindi è il duol che traggeda tutti gli occhi cittadini il pianto.Ineffabile angoscia, Ettore mio,tu partoristi ai genitor, ma nulla

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fra cui plorando Andròmaca, e strignendod'Ettore il capo fra le bianche braccia,fe' primiera sonar queste querele:Eccoti spento, o mio consorte, e spentosul fior degli anni! e vedova me lascinella tua reggia, ed orfanello il figliodi sventurato amor misero frutto,bambino ancora, e senza pur la spemeche pubertade la sua guancia infiori.Perocché dalla cima Ilio sovversoruinerà tra poco or che tu giaci,tu che n'eri il custode, e gli servavii dolci pargoletti e le pudichespose, che tosto ai legni achei n'andrannostrascinate in catene, ed io con esse.E tu, povero figlio, o ne verraimeco in servaggio di crudel signoreche ad opre indegne danneratti, o forsequalche barbaro Acheo dall'alta torreti scaglierà sdegnoso, vendicandoo il padre, o il figlio, od il fratel dall'astad'Ettor prostrati; ché per certo moltidi costoro per lui mordon la terra.Terribile ai nemici era il tuo padrenelle battaglie, e quindi è il duol che traggeda tutti gli occhi cittadini il pianto.Ineffabile angoscia, Ettore mio,tu partoristi ai genitor, ma nulla

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si pareggia al dolor dell'infelicetua consorte. Spirasti, e la mancantemano dal letto, ohimè! non mi porgesti,non mi lasciasti alcun tuo savio avviso,ch'or giorno e notte nel fedel pensierodolce mi fôra richiamar piangendo.Accompagnâr co' gemiti le donned'Andròmaca i lamenti, e li seguivail compianto d'Ecùba in questa voce:O de' miei figli, Ettorre, il più diletto!Fosti caro agli Dei mentre vivevi,e il sei, qui morto, ancora. Il crudo Achilledi Samo e d'Imbro e dell'infida Lennosu le remote tempestose rivequanti a man gli venìan, tutti vendevagli altri miei figli; e tu dal suo spietatoferro trafitto, e tante volte intornostrascinato alla tomba dell'amicoche gli prostrasti (né per questo in vitalo ritornò), tu fresco e rugiadosoor mi giaci davanti, e fior somiglidai dolci strali della luce ucciso.A questo pianto rinnovossi il lutto,ed Elena fe' terza il suo lamento:O a me il più caro de' cognati, Ettorre,poiché il Fato mi trasse a queste rivedi Paride consorte! oh morta io fossipria che venirvi! Venti volte il Sole

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si pareggia al dolor dell'infelicetua consorte. Spirasti, e la mancantemano dal letto, ohimè! non mi porgesti,non mi lasciasti alcun tuo savio avviso,ch'or giorno e notte nel fedel pensierodolce mi fôra richiamar piangendo.Accompagnâr co' gemiti le donned'Andròmaca i lamenti, e li seguivail compianto d'Ecùba in questa voce:O de' miei figli, Ettorre, il più diletto!Fosti caro agli Dei mentre vivevi,e il sei, qui morto, ancora. Il crudo Achilledi Samo e d'Imbro e dell'infida Lennosu le remote tempestose rivequanti a man gli venìan, tutti vendevagli altri miei figli; e tu dal suo spietatoferro trafitto, e tante volte intornostrascinato alla tomba dell'amicoche gli prostrasti (né per questo in vitalo ritornò), tu fresco e rugiadosoor mi giaci davanti, e fior somiglidai dolci strali della luce ucciso.A questo pianto rinnovossi il lutto,ed Elena fe' terza il suo lamento:O a me il più caro de' cognati, Ettorre,poiché il Fato mi trasse a queste rivedi Paride consorte! oh morta io fossipria che venirvi! Venti volte il Sole

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il suo giro compì da che lasciatoho il patrio nido, e una maligna o durasola parola sul tuo labbro io maimai non intesi. E se talvolta o suorao fratello o cognata, o la medesmaveneranda tua madre (ché benignoa me fu Prìamo ognor) mi rampognava,tu mansueto, con dolce ripigliogli ammonendo, placavi ogni corruccio.Quind'io te piango e in un la mia sventura,ché in tutta Troia io non ho più chi m'amio compatisca, a tutti abbominosa.Così sclamava lagrimando, e secoil popolo gemea. Si volse alfinePrìamo alla turba, e favellò: Troiani,si pensi al rogo. Andate, e dalla selvaqua recate il bisogno, né vi prendatimor d'insidie. Mi promise Achille,nel congedarmi, di non farne offesaanzi che spunti il dodicesmo Sole.Disse; e muli e giovenchi in un momentosotto il giogo fur pronti, e dalle porteproruppero. Durò ben nove interigiorni il trasporto delle tronche selve.Come rifulse su la terra il raggiodella decima aurora, lagrimandodal feretro levâr del valorosoEttore il corpo, e postolo sul rogo,

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il suo giro compì da che lasciatoho il patrio nido, e una maligna o durasola parola sul tuo labbro io maimai non intesi. E se talvolta o suorao fratello o cognata, o la medesmaveneranda tua madre (ché benignoa me fu Prìamo ognor) mi rampognava,tu mansueto, con dolce ripigliogli ammonendo, placavi ogni corruccio.Quind'io te piango e in un la mia sventura,ché in tutta Troia io non ho più chi m'amio compatisca, a tutti abbominosa.Così sclamava lagrimando, e secoil popolo gemea. Si volse alfinePrìamo alla turba, e favellò: Troiani,si pensi al rogo. Andate, e dalla selvaqua recate il bisogno, né vi prendatimor d'insidie. Mi promise Achille,nel congedarmi, di non farne offesaanzi che spunti il dodicesmo Sole.Disse; e muli e giovenchi in un momentosotto il giogo fur pronti, e dalle porteproruppero. Durò ben nove interigiorni il trasporto delle tronche selve.Come rifulse su la terra il raggiodella decima aurora, lagrimandodal feretro levâr del valorosoEttore il corpo, e postolo sul rogo,

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il foco vi destâr. Rïapparitala rosea figlia del mattin, s'accolseil popolo dintorno all'alta pira,e pria con onde di purpureo vinotutte estinser le brage. Indi per tuttoqueto il foco, i fratelli e i fidi amicipieni il volto di pianto e sospirosiraccolsero le bianche ossa, e compostein urna d'oro le coprîr d'un mollecremisino. Ciò fatto, in cava bucale posero, e di spesse e grandi pietreun lastrico vi fêro, e prestamenteil tumulo elevâr. Le scolte intantovigilavan dintorno, onde un ostilenon irrompesse repentino assaltopria che fosse al suo fin l'opra pietosa.Innalzato il sepolcro dipartîrsitutti in grande frequenza, e nella vastadi Prïamo adunati eccelsa reggiafunebre celebrâr lauto convito.Questi furo gli estremi onor rendutial domatore di cavalli Ettorre.

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il foco vi destâr. Rïapparitala rosea figlia del mattin, s'accolseil popolo dintorno all'alta pira,e pria con onde di purpureo vinotutte estinser le brage. Indi per tuttoqueto il foco, i fratelli e i fidi amicipieni il volto di pianto e sospirosiraccolsero le bianche ossa, e compostein urna d'oro le coprîr d'un mollecremisino. Ciò fatto, in cava bucale posero, e di spesse e grandi pietreun lastrico vi fêro, e prestamenteil tumulo elevâr. Le scolte intantovigilavan dintorno, onde un ostilenon irrompesse repentino assaltopria che fosse al suo fin l'opra pietosa.Innalzato il sepolcro dipartîrsitutti in grande frequenza, e nella vastadi Prïamo adunati eccelsa reggiafunebre celebrâr lauto convito.Questi furo gli estremi onor rendutial domatore di cavalli Ettorre.

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