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Christiane Frémont ECCE HOMO: SUL NOME DI JEAN VALJEAN «Il libro che state per leggere è un libro religioso.» Victor Hugo impone ai suoi lettori il significato profondo dei Miserabili, al di qua delle molteplici interpretazioni in cui la critica si è esercitata nel tentativo di comprendere il successo straordinario e permanente di quest’opera. Sta di fatto che essa – avendo, secondo il suo autore, l’umani- tà per oggetto – tocca l’insondabile questione del male insieme fisico, morale e metafisico, e poiché tratta questo aspetto, attraverso la questione della miseria sociale, nel modo più teologico possibile, incontra oggetti e concetti fondamentali dell’antropologia religiosa. . Philosophie (Commencement d’un livre), Oeuvres completes, coll. «Bouquins», Laffont, , «Critique», p. . . Sul personaggio chiave di questo «romanzo cristico», Jacques Seebacher nota: «Perché il nostro eroe diventi, nella nostra società, nella nostra natura, nelle nostre istituzioni, nella nostra spiritualità e nella nostra cultura e televisione un individuo, una persona, un uomo, qualcuno, Jean Valjean infine, un nome, occorrono prove ancor più che intercessori, esseri e gradi successivi della redenzione, Fantine, Cosette, Marius…, affinché, appena compiuta, la pienezza di Jean sva- nisca sottoterra come il nome si cancella sulla lapide», in Victor Hugo ou le calcul des profondeurs, PUF, , p. .

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Christiane Frémont

ECCE HOMO:SUL NOME DI JEAN VALJEAN

«Il libro che state per leggere è un libro religioso.»

Victor Hugo impone ai suoi lettori il significato profondodei Miserabili, al di qua delle molteplici interpretazioni incui la critica si è esercitata nel tentativo di comprendere ilsuccesso straordinario e permanente di quest’opera. Stadi fatto che essa – avendo, secondo il suo autore, l’umani-tà per oggetto – tocca l’insondabile questione del maleinsieme fisico, morale e metafisico, e poiché tratta questoaspetto, attraverso la questione della miseria sociale, nelmodo più teologico possibile, incontra oggetti e concettifondamentali dell’antropologia religiosa.

. Philosophie (Commencement d’un livre), Oeuvres completes, coll.«Bouquins», Laffont, , «Critique», p. .

. Sul personaggio chiave di questo «romanzo cristico», JacquesSeebacher nota: «Perché il nostro eroe diventi, nella nostra società,nella nostra natura, nelle nostre istituzioni, nella nostra spiritualità enella nostra cultura e televisione un individuo, una persona, un uomo,qualcuno, Jean Valjean infine, un nome, occorrono prove ancor piùche intercessori, esseri e gradi successivi della redenzione, Fantine,Cosette, Marius…, affinché, appena compiuta, la pienezza di Jean sva-nisca sottoterra come il nome si cancella sulla lapide», in Victor Hugoou le calcul des profondeurs, PUF, , p. .

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LA SPIRALE MIMETICA

La riflessione del romanziere si riallaccia alla filosofiaclassica: bisogna dire che se il male c’è, Dio non c’è? Op-pure ammettere l’incomprensibile e credere in Dio, comeil sognatore, non malgrado ma a causa della sofferenza?

Le formule hugoliane, nutrite di antitesi e ossimori, il loromanicheismo apparente esprimono (oltre il gusto roman-tico) la difficoltà di concettualizzare razionalmente il pro-blema del male, e la necessità di ammettere una logica delterzo incluso, quella che Leibniz mette in opera nella suaTeodicea, quando inventa le sue «storielle» per superare leaporie a cui conduce il razionalismo di Bayle, un po’ som-mario rispetto alla grande questione de origine mali. Nelpassaggio dall’argomentazione alla finzione, la meditazio-ne sul male si approfondisce, legando inestricabilmenteteologia, filosofia e antropologia.

Il Discorso preliminare mette in scena un uomo «in-comparabile», benefattore del genere umano preso in fla-grante delitto, che la folla giudica simultaneamente colpe-vole e innocente: questo caso fittizio ma plausibile impo-ne di abbandonare la logica del terzo escluso per una logi-ca terza; obbliga a pensare insieme i valori e , a ricono-scere, dunque, un ordine superiore, in cui legiferano re-gole dette «straordinarie» in rapporto alle vie ordinarieche Dio solitamente segue nella creazione del suo mondo,ma che ne fanno parte – e grazie alle quali questo divieneil migliore dei possibili: cioè, semplicemente, avviene. Non

. Les fleurs, «Critique», Bouquins, p. .. C. Frémont, Trois fictions sur le problème du mal, in René Gi-

rard et le problème du mal, Paris, Grasset, . Renouvier considera,nel suo saggio Victor Hugo le philosophe, A. Colin, , pp. -,che il pensiero del romanziere va più lontano di quello del filosofo.Egli cita inoltre alcune situazioni prese da Quatre-vingt-treize che amio avviso hanno la stessa struttura () dei casi fittizi discussi da Baylee Leibniz (cfr. Teodicea, artt. , -).

. G. W. Leibniz, Saggi di Teodicea, “Discorso preliminare sullaconformità della fede con la ragione”, in Idem, Scritti filosofici, Tori-no, UTET, , artt. -, pp. -. Leibniz ponendo radicalmentela questione del male si avvicina nelle sue finzioni alla sola rispostapossibile: il posto del male è quello della vittima, cioè l’uomo colpevo-le/innocente.

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o , ma o : l’inclusione del male è la legge fonda-mentale della creazione. Leibniz scrive: se Dio eliminassei mali «toglierebbe al tempo stesso i beni, anzi più beniche mali». Hugo esclama: «Che doloroso problema nonpoter sopprimere questo male senza ferire il bene!»

Jean Valjean è un uomo straordinario non nell’istantedella flagranza delittuosa ma durante tutta la sua vita, illu-strazione integrale e perfetta della logica singolare cheimmancabilmente incontra colui che sogna sul male.

Dell’identità

Il momento capitale della storia di Jean Valjean è lascena del processo Champmathieu. L’eroe vi rischia assaipiù che la sua testa: egli si gioca il nome, l’identità, il suostesso essere.

Champmathieu è un povero diavolo, un miserabile. Laduplice valenza della parola rivela la tesi socio-politica diVictor Hugo. A suo avviso i miserabili designano insiemequelli che commettono e subiscono il male: colpevoli ovittime, la cosa è indecidibile. Si trovano nella vita di que-ste singolarità in cui i ruoli sono indiscernibili: «C’è unpunto in cui gli sventurati e gli infami si uniscono e si con-fondono in una sola parola, parola fatale, i miserabili.»

Champmathieu è uno sventurato che la società fa passareper infame, poiché essa vuole un colpevole e le apparenzesono contro di lui: si scavalca il muro di un giardino, si

. Idem, Osservazioni sul libro Origine del male del sig. King, § ,in op. cit., p. ; V. Hugo, «Les Fleurs», op. cit, p. .

. Il «Sognatore» di Victor Hugo unisce e supera il poeta e il filo-sofo. Hugo filosofo scrive in Les Fleurs: «La prima condizione pergiudicare una cosa, o un essere, o un fatto, è di vederne le due estremi-tà» – metodo che esclude ogni dualismo manicheo, o che piuttostorestituisce la verità del pensiero manicheo. «Giobbe è in basso, Cristoè in alto» (Les Contemplations, IV, , «Horror»): ci si aspetterebbeGiacobbe, poiché si tratta dell’«aspra scala di fuoco grazie alla qualesalgono gli angeli». Jean Valjean è miserabile come Giobbe e diventaun Cristo.

. V. Hugo, I Miserabili, trad. it. di M. Picchi, Torino, Einaudi,, Parte III, Libro VIII, cap. .

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LA SPIRALE MIMETICA

rompe qualche ramo, si rubano le mele; Sant’Agostino,bambino, ha commesso di queste monellerie. Ma la biri-chinata nell’uomo si chiama delitto e diventa crimine perun forzato: dal soggetto all’atto la conseguenza s’impone,il primo determina necessariamente il secondo, più l’unoè immerso nel sistema del male, più aumenta la gravitàdell’altro. Tale è la lezione leibniziana dei gemelli polac-chi: il bambino raccolto dai cristiani commette peccativeniali, che diventano mortali nel suo gemello preso e con-vertito dai Turchi. Per questo l’oggetto del processoChampmathieu si trasforma; non è tanto questione di far-gli confessare il furto quanto di fargli dichiarare di essereJean Valjean: la colpa non sta nei suoi atti ma nella suaidentità, il male concerne il suo essere.

Chi è Champmathieu? Bisogna ch’egli sia niente e nes-suno, indeterminato dunque intercambiabile perché lasocietà possa vestirlo di tutte le sue determinazioni nega-tive. Tutti infatti si accorderanno sul primo venuto, tutti,dall’istituzione stessa, il poliziotto Javert e il potere giudi-ziario, al grado più basso della scala sociale; gli ergastolaniBrevet, Chenildieu, Cochepaille chiamati alla sbarra deitestimoni, d’una sola voce trasformeranno un uomo insi-gnificante in nemico pubblico, il galeotto più ricercato:Jean Valjean. Di per sé Champmathieu è inconsistente:uomo senza nome proprio, senza storia, senza qualità.«Quella gente, dice Javert, quando non sono fango, sonopolvere.» Atomi o cenere, essi non hanno né sostanza néattributi, non hanno né foco né loco, sono come dissolti. IThénardier, a intervalli, scompaiono: ora qui ora là, que-sto o quello, secondo le circostanze; il figlio sparisce aParigi, atomo della strada, il padre ha molti nomi e le fi-glie molti ruoli. Anche Jean Valjean si eclissa nel corsodella sua storia, galeotto, sindaco, giardiniere, possidenteinfine, angelo custode, fino alla morte in una tomba senzanome. I miserabili non hanno una posizione stabile nella

. Ivi, I, VI, .. Cfr. sopra n. .. «Succede che le famiglie svaniscano in questo modo», V. Hugo,

op. cit., I, VI, , p. .

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scala sociale, essi circolano, possono prendere qualsiasivalore; grandezze evanescenti, nella più prossima vicinan-za del nulla, possono diventare quel che si vuole: cosìCosette, la piccola cosa, o la cossa degli algebristi, x, l’in-cognita, «valore da determinare». Senza genealogia, per-ché sua madre è una prostituta e suo padre vive sotto falsinomi, ella passa da pezzente a possidente e poi da possi-dente a baronessa, non avendo altra storia che quella chegli offrono gli altri, che di volta in volta se la contendono:Fantine, i Thénardier, Jean Valjean, Marius. Eroina senzacarattere, ella riassume in una parola la condizione deimiserabili: «Forse che io sono qualcuno?» La vita di unmiserabile, di Champmathieu allora, può essere quella dichiunque: per esempio quella di Jean Valjean. Champ-mathieu parla di se stesso come di un anonimo e declinala sua vita all’indefinito: «Sono stato carraio a Parigi… silavora sempre all’aria aperta… D’inverno se uno ha fred-do si batte sulle braccia per scaldarsi… S’invecchia da gio-vani in questo mestiere… A quarant’anni sei un uomo fi-nito.» Anche Fantine parla di sé, non come di una perso-na o persino una donna, ma come di una categoria: la«mala femmina» ha lo stesso tipo di esistenza del «buonuomo» – è una sorta di equivalente generico. La figlia del-la donna pubblica non è quasi niente, quella del buonuomo, lavandaia di mestiere, cancella le macchie; eviden-temente, è morta, cancellata ella pure, dunque non puòtestimoniare sull’identità di suo padre; il suo datore di la-voro, monsieur Baloup, ha fatto fallimento, ed è scompar-so. «Chi lo conosce il compare Champmathieu?», do-manda il miserabile: nessuno. La sua storia ha perdutoogni riferimento, nessun criterio la determina come sua:

. Gli algebristi italiani del XVI secolo designavano l’incognita conla parola cossa: la cosa; Cosette in effetti non è altro che ciò che di leifaranno successivamente i Thénardier, Jean Valjean nei suoi diversiruoli, e infine Marius.

. V. Hugo, op. cit., V, VII, , p. .. Ivi, I, VII, , p. .. Ivi, I, VII, , p. .. Ivi, I, VII, , p. . [N. d. T.]

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farla coincidere con quella di Jean Valjean diventa un gio-co da ragazzi; potatore a Faverolles, egli scompare e poiriappare nel momento in cui Jean Valjean esce dal carceree lo si trova là dove un ragazzo è stato aggredito. Champ-mathieu percorre lo stesso tragitto di Jean Valjean, bastaquesto: dove sta infatti l’identità di un vagabondo se nonnelle strade che percorre? Tutte le vite dei miserabili sisomigliano. Dunque, «quest’uomo non si chiama Champ-mathieu; è un ex galeotto molto malvagio e temuto, dinome Jean Valjean». Il miserabile non può rendere ra-gione di se stesso: egli ignora il luogo della propria nasci-ta, l’identità dei suoi genitori e il proprio nome di battesi-mo; da bambino lo si chiamava Piccolo, adesso lo si chia-ma Vecchio. La polizia, dunque, gli darà un nome presoda quello che porta senza sapere il perché, essendo senzalignaggio: Jean, nome banale, da primo venuto – precisa-mente il nome di colui che battezzava. Vada per Jean; maMathieu? La risposta è già data: la madre di Jean Valjeanviene da una famiglia Mathieu, dunque cosa c’è di piùnaturale che nascondersi, all’uscita dal carcere, dietro ilnome materno? Resta da spiegare «Champ»: ma è sempli-ce, poiché ha vissuto in Auvergne dove la pronuncia loca-le dice «Chan» per dire Jean. Ecco il nome Jean Valjeantrasformato in Champmathieu, e il miserabile in galeotto.Champmathieu privato del nome di battesimo, si vedeimporre un nome che lo ripete due volte. E questo nome èstrano.

. Ivi, I, VII, , pp. -. I miserabili sono intercambiabili: ciòche è proprio della vittima – così va il male nel mondo, svolgendo lasua catena di vittime: e ogni nuova vittima occupa a sua volta il postodel male – vittima, vicaria, le due parole hanno uguale radice. Cfr. laformula di J. Seebacher: Jean Valjean è l’erede, l’esecutore testamen-tario, il gran collettore di tutti questi sacrifici. («La morte di JeanValjean», Victor Hugo ou le calcul des profondeurs, p. , nota ).

. Nella prima versione dei Miserabili, Jean si chiamava Tréjean:questo nome insignificante non offre quasi interesse, né mistero dadecifrare. La critica non ha mancato di sottolineare che il nome Jean èun nome comune per definizione, ma è anche quello del Battista comepure dell’Evangelista, «il vegliardo vergine» (William Shakespeare, I,II, § IX, Bouquins, «Critique», p. ), v. B. Leuilliot, Présentation de

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Jean Valjean è un povero diavolo, un miserabile. Col-pevole di un piccolo furto è condannato all’ergastolo; vit-tima dunque, perché la sproporzione fra crimine e castigocapovolge la situazione: quest’ultimo col suo eccesso ren-de la società colpevole verso il miserabile, cancella il delit-to, fa del colpevole la vittima e del debitore il creditore.

Ecco la logica singolare della comprensione del male. Imiserabili chiede chi è colpevole, spostando così la que-stione teologica: «L’uomo creato buono da Dio può di-ventar cattivo per opera dell’uomo?» – ma chi è l’uomo:l’individuo, o la società? Dall’uomo creato all’uomo catti-vo si estende tutta l’opacità del collettivo, e l’analisi socio-logica diviene genealogia. Il segreto, secondo Leibniz, ènascosto nella piramide dei mondi, bisogna qui esplorar-ne un’altra, «la prodigiosa piramide da noi chiamata civil-tà».

Chi è Jean Valjean? Un atomo della sua famiglia svani-ta: essi si chiamavano tutti Jean o Jeanne, il padre, il figlio,la madre e la sorella. Il nome di battesimo sarà il suo ulti-mo nome: rinunciando al suo nome vero come ai suoinomi falsi, egli rientra nell’anonimato; Cosette, quasi fi-glia sua, il suo solo testimone, rinuncia a chiamarlo Padreo Signor Jean. Jean Valjean riconosce di non essere piùnulla, senza famiglia, senza genealogia né casa, e vuoleper tomba una pietra nuda in un luogo deserto. Il nome diJean Valjean merita tuttavia che ci si soffermi. Il fascino di

Jean Valjean (, in Hugo, Les Miserables, «Parcours critique»,Klincksieck, , p. e sgg.).

. Cfr. V. Hugo, op. cit., I, II, , p. .. Ivi, p. .. Ivi, p. . La conclusione della Teodicea offre la celebre e gran-

diosa finzione barocca in cui Teodoro, per grazia speciale, visita lapiramide dei mondi: alla sommità, il migliore di quelli possibili, dun-que reale; decrescendo verso la base, i mondi rimasti nel possibile, inmancanza di un grado sufficiente di bellezza (o di bontà) per superar-lo; nascosti sotto le fondamenta, i peggiori dei mondi, che ci si puòimmaginare come altrettanti regni del male – comparabili a quello cheV. Hugo chiama «il terzo sottopalco».

. Ivi, V, VIII, , p. .. Ivi, V, VII, , p. .

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questo nome viene forse dall’eco che contiene, la sua mi-seria dalla vana ripetizione del nome di battesimo. Hugolo spiega in una frase: «Suo padre si chiamava Jean Valjeano Vlajean, che probabilmente era un soprannome e con-trazione di Voilà Jean».» I miserabili, che non sono «nati»,ricevono per nomi propri dei nomi comuni, quelli del loromestiere o della loro apparenza, o semplicemente il nomedi battesimo del padre. «Voilà Jean»: egli non ha bisognodi nome, perché eccolo, la sua presenza basta a designar-lo. Molte volte Jean Valjean si fa riconoscere senza nomi-narsi, dicendo semplicemente «sono io»; e Javert, infalli-bilmente, riconosce l’uomo. Ecce homo: ecco Jean nellasua giovinezza, miserabile, galeotto, matricola ., cri-minale, cattivo, temibile. Ecco Jean sindaco di Montreuil,benefattore, generoso, degno di stima. Jean, ancora ma-tricola .. Jean, possidente, angelo, cristo. Infine Jean,morto, nessuno. Jean Valjean è doppio, è buono o è catti-vo? Jean Valjean porta un nome doppio: ma chi sono que-sti due Jean?

Jean Valjean illustra la doppia logica inesorabile delmanicheismo corrente. Prima sequenza: appena entratoin carcere si vota al male, per decisione. Una mancanzaquasi insignificante ha determinato la sua identità per tut-ta la vita, la sua dannazione eterna fra gli uomini. La leg-ge umana, più dura di quella divina, ignora il perdono:portatore del passaporto giallo, un vecchio galeotto non èmai «pulito». Uscito dal carcere, Jean resta Jean il galeot-to, sempre passibile di pena di morte. Colpevole un gior-no di una bazzecola, condannato, prigioniero, liberato mamarchiato d’infamia e sempre condannabile, egli è la vitti-ma ideale; appartiene al mondo dei miserabili, ai Thénar-dier, Babet, Claquesous e Montparnasse – lo sa bene Javert,che ha sempre sentito «un lupo sotto gli abiti del suo pa-drone» e intuisce «un laido accostamento» tra il sindaco

. Ivi, I, II, , p. .. Ivi, V, I, , p. ; V, III, , p. .. «Si esce dalla galera, ma non dalla condanna», ivi, I, II, , p. .. Ivi, I, V, , p. .

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e la puttana. Al termine di una vita di buone azioni e diesemplare virtù Jean Valjean potrà dire a Marius, come sedentro di sé non fosse cambiato nulla: «Sono stato in gale-ra… sono in violazione dell’interdizione di soggiorno.»

Sotto i nomi fittizi, sotto gli attributi e gli atti, rimane ladefinizione, invariante, come se Jean Valjean fosse cattivoper essenza, ontologicamente. Per questo, uscendo dal car-cere, ruba l’argenteria del vescovo e poi il soldo di Petit-Gervais. Egli vive sotto la legge dell’odio: avendo valutatoil proprio errore, poi quello della società, la condanna alsuo odio, e insieme ad essa la creazione e la provvidenza.

Ecco Jean divenire spregiatore di Dio e degli uomini, at-traverso una prima trasfigurazione che fa del soggetto unelemento del sistema del Male. Questa appartenenza faràorrore a Marius, malgrado le prove irrefutabili della bon-tà dell’uomo; essa è così profonda o così vera che al mo-mento di morire questi riprenderà il suo nome e il suoessere, al fine di comparire davanti al vescovo morto e dir-gli: ecco Jean.

Ma quale? Giacché nello stesso momento in cui il vec-chio uomo ridiventa Jean Valjean, Jean il galeotto, un al-tro Jean, trasfigurato, prende il suo posto.

Jean è votato al bene dal vescovo Myriel: non soltantobenefattore, ma salvatore. Nella seconda sequenza, il benerimpiazza il male con una uguale necessità. A Montreuil-sur-Mer Monsieur Madeleine trionfa della miseria mate-riale, sociale e morale, rifiutando totalmente gli onori do-vuti ai suoi meriti. Egli dona tutto e non prende niente: laprovvidenza, dice la gente. Inesorabilmente spinto al bene,egli rischia la vita, l’onore, l’identità, la libertà traendo dasotto una carretta un povero diavolo: il buon Dio, dicecostui – ora proprio nella bella azione, sotto gli occhi del-la folla, riappare il galeotto soprannominato Jean-le Cric,

. Ivi, I, V, , p. .. Ivi, V, VII, , p. .. Ivi, I, II, , p. .. Ivi, I, V, . Non è la prima volta che Jean Valjean è preso di mira

dalla folla: così nella scena del salvataggio (II, II, ) – ma per beffa. Ilrapporto uno/tutti è caratteristico della struttura vittimaria.

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di cui si ricorda Javert. Trasfigurato, poi, circondato diluce per Fantine morente. Per Cosette, egli diventa «tuttociò che un uomo può essere di buono, di paterno e di ri-spettabile», per gli altri, «il signor benefattore della Chie-sa di Saint-Jacques-du-Haut-Pas». Guardia nazionale, Fau-chelevent difende la barricata non uccidendo nessuno, dàla sua uniforme per proteggere i compagni: «È un uomoche salva gli altri», si dice. Egli libera Javert, rischia lasua vita per Marius. Bilancio: «Tutti i coraggi, tutte le vir-tù, tutti gli eroismi, tutte le santità, lui li ha. Quest’uomo,è l’angelo.» Quando si mette a fare il bene «come unforsennato», egli cambia identità: il sindaco e il possiden-te scacciano il galeotto, ma dov’è l’uomo? Poiché Made-leine e Fauchelevent sono funzioni più che persone: il suovero sé, dirà a Marius, è il suo nome, «un nome, è un io».

I suoi personaggi diventano interessanti quando Jean tra-spare in essi, spettro che pertanto costituisce il suo esserereale, la sua vera persona, quella che chiede conto ai per-sonaggi inventati. Il sindaco e il possidente non sono su-blimi se non perché nascondono il galeotto di un tempo:«uomo straordinario», può stimarsi se Marius lo disprez-za, e Thénardier lo definisce con esattezza negando ilprincipio del terzo escluso: «Jean Valjean non ha deruba-to Madeleine, ma è un ladro. Non ha ammazzato Javert,ma è un assassino.» Al termine delle trasfigurazioni, nonsi sa più chi è buono e chi è cattivo. Cos’è dunque l’uo-mo? La domanda è posta, puntualmente, da Cosette da-vanti allo spettacolo degli ergastolani in catene che atten-dono di partire: «Papà, quelli sono ancora uomini? – Qual-che volta.»

. Ivi, V, I, , p. .. Ivi, V, IX, , pp. -.. Ivi, V, VII, , p. .. Ibidem.. Ivi, V, IX, , p. .. Ivi, IV, III, , p. . Jean Valjean dirà: «Non sono di nessuna

famiglia, io… Non sono di quella degli uomini» (V, VII, , p. ): èbestia, forza sovrumana: Jean le Cric (ibidem), trasfigurato per Fantine(I, II, ), o angelo e Cristo (V, IX, )? René Girard, a proposito dell’Uo-mo che ride oppone la «bestia angelica» agli «angeli bestiali» («Monstres

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Modello del dubbio

Jean Valjean dubita. Dove sono? Che fare? Egli non sase costituirsi, rivelare il suo nome e riprendere il suo po-sto in carcere, oppure tacere, lasciar condannare l’uomo econtinuare a vivere sotto il nome di Monsieur Madeleine.Deve restare a Montreuil, o deve fare il viaggio di Arras?Quod vitae sectabor iter?

Jean Valjean passerà la notte in ambasce, e si addor-menta all’alba senza aver deciso. Anche Agostino il mani-cheo esitava: il caso – oppure Dio – gli fece dono di unsegno, e il tolle, lege ebbe ragione delle erranze della suaanima. Leibniz nota che le cose spesso vanno così: c’è un’in-finità di esempi di piccole circostanze che servono a con-vertire o a pervertire: guardate Sténon, che prese a sini-stra invece che a destra. Hugo lo sa, quando invoca «unsusseguirsi di casualità» per spiegare Waterloo: si potreb-be quasi dire che la più monumentale battaglia del secolofu persa per il cenno del capo di un contadino. Jean Val-jean riceverà un segno del caso? Un dettaglio che si offriràal suo spirito distratto per orientare la sua decisione? Amezzanotte egli è in equilibrio, avendo successivamentedimostrato le due tesi opposte, entrambe ugualmente ne-cessarie; la decisione è impossibile. Ma il suo cervello stan-co si mette a pensare «a cose indifferenti», quei pensierianodini che a volte decidono, perché le percezioni più pic-cole contribuiscono a determinare la volontà – sullo sfon-do di scampanii della città che gli ricordano un mercantedi ferraglia, una vecchia campana in vendita che portavaun nome: Antoine Albin de Romainville.

Hugo romanziere invia un segno a Jean Valjean: «Albinde Romainville.» Ciò che questo segno ha di particolareet demi-dieux dans l’oeuvre de Hugo», , in Critique dans unsouterrain, Biblio-essais, , pp. -).

. Teodicea, art. .. Ivi, II, I, , p. .. Ivi, I, VII, , p. . Che il nome sia quello dell’amico di Claude

Gueux, e che nel capitolo successivo, Romainville appaia nel sogno incui l’eroe passeggia con il fratello non risolve l’enigma dell’uso che faV. Hugo di questo nome in questo punto preciso.

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è che non può decidere nulla, poiché non fa che riprodur-re l’indeterminazione del combattimento: sotto Albin deRomainville, leggiamo Alba e Roma, e la storia delle duecittà gemelle e nemiche. Di chi augurarsi la vittoria? Chiun-que sia il vincitore, le stesse lacrime scenderanno da unaparte e dall’altra. Il nome dice la lotta dei doppi, fratellicontro fratelli, cugini contro cugini: Orazio contro Curiazio– Jean contro Jean. L’uomo che porta un nome doppiolotta contro se stesso, quale dei due Jean vincerà?

Hugo critico dà un modello esatto della situazione. Lacampana che suona descrive un movimento oscillatorioda sinistra a destra e da destra a sinistra, senza fermarsi daun lato o dall’altro: Jean Valjean cammina lungo la suastanza, esita tra due decisioni contrarie, e , Alba e Roma,lavarsi le mani del crimine o sacrificarsi, scegliere l’esistenzaluminosa di Madeleine, o l’orrenda sorte del galeotto. Ilpendolo descrive il dondolio manicheo che va dal bene almale e dal male al bene. Il modello è semplice, tuttaviaancora più esatto di quanto non sembri; poiché sul bordodella campana tutti i punti della circonferenza sono equi-distanti dal centro, equivalenti: è indifferente, per la geo-metria, che il battente incontri il tale punto piuttosto chel’altro (ciò che avverrebbe, per la fisica, se il movimentofosse libero), perché sono tutti simili, e dunque inter-cambiabili: nessuno è legato in sé alla posizione oppure – come se il male e il bene cambiassero di posto, senzache ci fosse il modo di determinare dove si trovano Alba eRoma – Tito Livio dice di non saper più esattamente chi,degli Albani e dei Romani, si chiamava Curiazio e chi Ora-zio, a tal punto i combattenti si somigliano; in Corneille lospettacolo li mescola e il racconto si inganna. Il dilemmasarebbe semplice, se Jean potesse definire un bene e unmale assegnabili, opporre Jean il miserabile, il galeotto, aJean il venerabile, sindaco di Montreuil; ma qualunquedecisione egli prenda, si impone la stessa conclusione: èun’infamia sia nascondersi che denunciarsi. Poiché i valo-ri si incrociano, la scelta si fa tra un magistrato infame erispettato, o un galeotto miserabile e venerabile. OgniAlbano è un po’ romano, pochi Romani non vengono da

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Alba. Jean Valjean non deve scegliere tra e , ma tra e, miserabile-venerabile oppure venerato-infame, galeot-to dall’animo sublime oppure sindaco che cela in sé il cri-minale. La sua coscienza, dunque, lo spingerebbe a de-nunciarsi piuttosto che a lasciar condannare Champma-thieu ma il modello, impietoso, impone un giro supple-mentare: «Sono io, sono sempre io, sono soltanto io… que-sto è egoismo.» Perché un benefattore che abbandona isuoi poveri diventa colpevole; invece di essere sublime, ilgaleotto sarebbe veramente infame; mentre il sindaco sa-crificando la sua coscienza per gli infelici meriterà la ve-nerazione di tutti. Le opposizioni apparenti si sdoppianoe si invertono, Jean passa attraverso tutti i valori possibili:galeotto o sindaco ( o ), miserabile-venerabile () o ve-nerato-infame (), miserabile-infame () o venerato-ve-nerabile (). Qualunque cosa decida, egli cade in uno diquesti casi, senza potersi fermare in nessuno. Al terminedel viaggio, la campana oscilla e il modello gira fino all’ul-timo momento: «Non aveva risolto nulla, né deciso nulla,né fissato nulla, né fatto nulla.»

Jean Valjean è per eccellenza l’uomo della finzione.Questa dice di più della realtà poiché espone l’insieme deicasi possibili: esplorandone un gran numero, i romanziericomprendono i tentativi che non hanno portato a buonfine, e per quello a volte sanno spiegare il reale. Come glieroi fittizi di Leibniz, Jean Valjean avendo attraversato inuna notte tutte le serie possibili, rimane in sospeso, su-scettibile di più storie: Hugo può lasciare le cose nell’in-decisione, come se il suo personaggio portasse su di sé letracce di ciò che era stato in un altro mondo, concepibilema non creato; egli le raccoglie in un solo soggetto, multi-plo, variabile insieme e successivamente dal demone al-l’angelo. Nella notte del dubbio, modello ridotto della suaintera vita, «egli aveva provato quasi contemporaneamen-

. Il «dualismo» dei Miserabili è in effetti meno radicale che nellealtre opere: cfr. R. Girard, op. cit., p. .

. V. Hugo, op. cit., I, VII, , p. . [N. d. T.]. Ivi, I, VII, , p. . [N. d. T.]

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te, quasi confuse insieme, tutte le commozioni possibili».

Pertanto l’uomo ha poche chances di sapere mai esatta-mente chi egli sia: come sceglierà Jean, dal momento cheHugo non ha scelto? Come potrà risolversi a una data sce-nografia, dal momento che l’autore stesso lascia indeter-minata, e ricca di tutte le biforcazioni del possibile, la par-te bella dell’insieme icnografico?

Hugo teorico manda un segnale al lettore. Jean Valjeannon sa nulla, ma il lettore sa prima di lui quale sarà la suadecisione. Non per intuizione morale o estetica conformeal patetico del romanzo, ma per mezzo di un segno visibi-le nel testo. Il lettore lo sa, perché il testo ha deciso, nellasua letteralità, con le sole parole, come se lo scrittore fossein anticipo sul romanziere. Jean Valjean continua la suaronda dei possibili: «Che fare, gran Dio, che fare?... Lesue idee ricominciarono a confondersi… Quel nome diRomainville gli tornava di continuo in mente insieme condue versi della canzone che aveva sentito tempo addietro.Pensava che Romainville è un boschetto vicino a Pari-gi…» Qual è il segno? Romainville, Roma senza Alba.Albin de Romainville era il segno destinato all’eroe, Ro-mainville, alcune pagine dopo, si indirizza al lettore, chesa che Victor Hugo ha deciso per il suo personaggio chenon sa ancora che egli ha scelto piuttosto Roma che Alba.Traduciamo: egli si denuncerà, si chiuderà in carcere, illettore lo sa infallibilmente ben prima della scena del pro-cesso. La decisione appare nella scrittura prima ancorad’essere nel racconto: scegliere Alba, sarebbe stato comeripulirsi del crimine, andare verso la luce, fuggire l’om-bra. La decisione, impossibile da prendere seguendo il cir-colo dei ragionamenti, si inscrive nelle sole parole, al modoin cui si attuerà, brutale, senza riflessione, col semplicegesto di girare il pomello della porta, e il passo in avantiche varca la soglia dell’aula del processo.

. Ivi, I, VII, , p. .. Ivi, I, VII, , p. .

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Il processo

Tutto si gioca, come in Leibniz, su un caso di giurispru-denza. La scena del processo espone, d’un colpo, l’onto-logia di Jean Valjean e risolve l’enigma del suo nome. Ilfatto è semplice: un uomo chiamato Champmathieu fucolto in flagrante delitto, ma poiché il furto non è statomaterialmente provato, non si sa se l’uomo sia innocenteo colpevole. Il fatto tuttavia dà luogo a un caso comples-so, perché l’elemento determinante diventa l’identità stes-sa dell’uomo, unico fondamento dell’accusa e della prova,poggiate sull’inferenza che segue: se Champmathieu è JeanValjean allora è colpevole. Altrimenti, il dubbio resta inte-ro. La qualità di soggetto basta dunque al verdetto di col-pevolezza.

La finzione leibniziana sembra mettere in scena un casosemplice di flagrante delitto. L’uomo è colpevole o inno-cente? Ora, in effetti, il caso è complesso: supposto chel’uomo goda di una notorietà incontestabile, bisogna, con-tro l’evidenza, dichiararlo innocente – dunque non si daràpeso all’accusa e alle prove. Il caso è straordinario, siscrive come ; niente impedisce di immaginare sullo stes-so modello il caso inverso, , in cui l’uomo più vile sareb-be l’autore di una bella azione – il galeotto, per esempio,che lascia in vita l’ispettore di polizia: il consenso, in quelcaso, non potrebbe dedurre la bontà dell’atto da quelladel soggetto.

Basta che Champmathieu sia Jean Valjean perché untribunale lo dichiari colpevole. L’accusa riguarda l’essere,poiché, in buona metafisica, l’essere determina l’atto. Igiuristi del XIX secolo sono forse meno casuisti di quellidel XVII, per credere nell’inferenza semplice e infallibileda a e da a ? Un miserabile è necessariamente uninfame, la parola di una donna di piacere non prevale su

. Leibniz sottolinea l’importanza della notorietà davanti a untribunale: nella scala delle ragioni che permettono di giudicare unuomo, «i giureconsulti […] cominciano dalla notorietà, in cui non siha bisogno di prova», in Idem, Nuovi saggi sull’intelletto umano, Bari,Laterza, , Lib. IV, cap. XVI, vol. II, § -, p. .

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quella di un borghese: questa certezza garantisce l’ordinesociale. La logica del terzo escluso non ammette eccezio-ne, Javert è morto per averne dubitato. Sotto questa logi-ca, Valjean è ladro dunque cattivo, criminale incallito per-ciò pericoloso, «abituato… alle azioni colpevoli»: il maleè la sua seconda natura. È pertinente paragonarlo al mo-stro del racconto di Théramene? Un mostro senza dub-bio, ma per altre ragioni: più esattamente una chimera –un quasi-modo? Per gli accusatori, la durezza d’animo ètipica delle anime votate al male; il termine in teologia de-signa la perseveranza volontaria dell’anima nel peccato, ladinamica stessa del male. La complessità del caso Champ-mathieu non attiene che al dubbio sull’identità; non appe-na questa è acquisita giudiziariamente, il caso segue la lo-gica ordinaria: Jean Valjean, il male, è necessariamente col-pevole, .

L’irruzione del sindaco di Montreuil nella sala delleudienze impone brutalmente la logica del terzo incluso.Monsieur Madeleine è l’uomo della notorietà per eccel-lenza: la sua non potrebbe essere maggiore. Lo si può direbenefattore del genere umano: la regione gli deve la suaprosperità, tutti i comuni intorno venerano il suo nome.

Ora, improvvisamente, chi è Monsieur Madeleine? JeanValjean stesso, quello che tutti concordano a dire malva-gio e temibile. Ma che succede quando Madeleine com-pare in mezzo alla scena, di fronte a Champmathieu? Unmomento religioso: «Si sentiva nella sala quella specie direligioso terrore che prende la folla quando qualcosa digrande si sta compiendo.» Il rapporto uno/tutti si sdop-pia, per un istante – ma sarà necessario che i doppi coinci-dano. La folla comprende quel che l’avvocato generale noncomprende, accetta l’inaccettabile, l’identità di e di .Jean Valjean d’un tratto contempla il suo gemello, eccoqui Jean, l’accusato, fra due gendarmi, ma ecco là Jean,ancora, che spunta dall’altra parte. Gli sguardi della follaconvergevano verso uno solo, Champmathieu-Jean Val-

. V. Hugo, op. cit., I, VII, , p. . [N. d. T.]. Ivi, I, VII, , p. .. Ivi, I, VII, , p. .

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jean, criminale, colpevole. D’un tratto, con la stessa evi-denza, la folla si gira verso l’altro, Jean Valjean-Madeleine,il sindaco venerato. Essa sa miserabile il primo e il secon-do venerabile, ma soprattutto sa, infallibilmente, che i duesono lo stesso: presa dal terrore davanti alla trasmutazione,alla transustanziazione, quando vede coincidere il galeot-to e il sindaco, quando la faccia abbrutita di Champma-thieu si sovrappone al viso onorato di Madeleine per fareapparire la figura di Jean Valjean. La folla ha compresoquesto prodigio in «una specie di rivelazione elettrica»,

e la persistenza dell’avvocato generale a vedere in questocaso straordinario un atto di follia «era chiaramente in con-traddizione con i sentimenti di tutti». La folla senza dub-bio comprende perché riconosce la sua stessa logica: essasola ha il potere e il diritto di consacrare le vittime, essasola possiede la pietra filosofale che permuta i colpevoli egli innocenti.

La folla riconosce Jean Valjean perché egli è un ele-mento della logica del terzo incluso: , colpevole/inno-cente. La scena del processo è necessaria, perché esponel’essere e il nome di Jean Valjean; bisogna che l’eroe abbiaun doppio, conformemente al suo doppio nome. L’affaireChampmathieu non interviene come una peripezia roman-zesca, ma come il rivelatore della verità del personaggio,analizzato, decomposto, risolto nei suoi due elementi, Jean,il bene, di fronte a Jean, il male. Madeleine non si stupiscedella somiglianza, si riconosce: «Credette di veder se stes-so… Un altro lui stesso si trovava là!» Sa di poter esserequell’uomo: «Mio Dio! Ridiventerò così?» La domandariguarda la condizione di detenuto, certo, ma anche e so-prattutto l’essere: malvagio, pieno di odio e di risentimen-to, abbrutito dal male. Champmathieu, sosia, non è sol-tanto un uomo che somiglia a Jean Valjean; «Champ» puòprendere il posto e recitare il ruolo di Jean, la cui vita, quie ora, converge con quella del suo doppio, fino al momen-

. Ivi, I, VII, , p. . [N. d. T.]. Ivi, I, VIII, , p. .. Ivi, I, VII, , pp. -.. Ivi, I, VII, , p. . [N. d. T.]

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to esatto della decisione del giudice, a partire dalla qualele due esistenze, di nuovo, divergeranno. Ma in quest’uni-co punto due serie individuali sono indiscernibili, Jean puòsostituirsi a Jean. Come se Champmathieu fosse uno frai possibili Jean Valjean, l’immagine del suo valore , comese il sosia fosse il supporto di una delle storie possibilidella storia del soggetto – la piramide dei mondi, in Leib-niz, contiene degli individui simili e differenti, molto vici-ni a quelli che esistono nel reale. Lo stesso si può dire deipersonaggi che si succedono nel corso della vita dell’eroe:né Madeleine né Fauchelevent sono Jean Valjean, ma unJean possibile, sosia anch’essi di un individuo la cui iden-tità resta inafferrabile; i personaggi presi in prestito sonopoco reali; né Madeleine né Fauchelevent hanno cancella-to Jean Valjean, unico vero: Madeleine non è che una ri-presa, un’imitazione del vescovo Myriel, un ruolo più cheun essere; la gente lo dice «troppo buono, troppo perfet-to, troppo mielato» – egli è, se si osa dirlo, rimbambitodi bene; ma Javert, che ha ben conosciuto il vero soggetto,non si fa affatto scrupolo di arrestarlo, avendo sempre fiu-tato, sotto il ruolo, il galeotto. Fauchelevent è tanto pocodefinito che Marius, pur testimone dell’onorabilità dellasua vita, non trova così straordinario che un forzato entriimprovvisamente nell’abito del pacifico benestante. Javertinvece, che non ha esitato a prendere il buon sindaco peril colletto, si uccide piuttosto che arrestare il criminale, eMarius che non amava Fauchelevent s’inginocchia davan-ti al galeotto.

Jean Valjean ispira più orrore di Champmathieu, e piùrispetto di Madeleine o Fauchelevent. Mostruoso, nonperché smisurato nel male, ma perché annoda l’alleanza

. Leibniz si è interessato alla questione dei doppi col famosoprocesso di Martin Guerra, impostore di genio che per anni riuscì adingannare il suo entourage e vivere la vita del suo sosia: Teodicea, Di-scorso, art. ; Nuovi Saggi, lib. III, cap. III, § . Il problema di JeanValjean è proprio quello di non diventare simile al suo doppio, quelche fu un tempo.

. V. Hugo, op. cit., I, VIII, , p. . «Madeleine» forse non è chela figura della peccatrice pentita, quanto a «Fauchelevent», cheGillenormand chiama «Tranchelevent», sono parole gettate al vento…

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incomprensibile di un gemello nero e di un gemello bian-co, Caino e Abele insieme, scrive Hugo «un Caino affet-tuoso», non potrebbe figurare anche un Abele impieto-so? Il nome dà la chiave della storia: Jean è inseparabileda Jean, l’uno legato all’altro, mescolati insieme, indiscer-nibili. Jean lotta senza fine contro Jean, e la posta in gioco,al momento della morte, sta nella parola «voilà». Chi sipresenta al Giudizio finale? Jean il miserabile o Jean il ve-nerabile? Ecce homo: ma chi è? Questa chimera, un Cainoaffettuoso, un galeotto sublime, un benefattore infame, unabestia, un angelo. Jean è inseparabile da Jean, il sindacoha bisogno del galeotto per essere grande agli occhi di Dio.Jean l’innocente e Jean il colpevole sono una sola cosa e latrasfigurazione non può aver luogo che se due visi si con-fondono.

Miseria e grandezza del nome: ecco Jean il criminale,davanti a Myriel quaggiù, ecco Jean il cristo, che il vesco-vo morto accoglie nell’aldilà. Voilà, termine delle reden-zioni e trasfigurazioni di Jean, dà infine la soluzione del-la domanda teologico-metafisica: era dunque questo, l’uo-mo. La vittima.

Logiche

Javert muore per aver compreso che un mondo possi-bile è quello in cui i furfanti sono alti funzionari e le putta-ne trattate come contesse. Javert, l’uomo della logica delterzo escluso, non può incontrare, senza morirne, il terzoincluso. Il suo mondo era semplice, sottomesso al princi-pio d’identità; in questo mondo le inferenze sono preve-dibili, le stesse cause producono gli stessi effetti, i giudizisono sicuri e i fatti vi si conformano: una prostituta hatorto davanti a un borghese, un sindaco non difende unadonna cattiva che gli sputa in faccia, un agente non mancadi rispetto a un magistrato, un ufficiale di polizia è obbli-

. Ivi, V, VII, , p. . [N. d. T.]. L’episodio della sepoltura (II, VIII, ), poi della resurrezione

sotto un altro nome, è caratteristica del percorso di redenzione, attra-verso una serie di trasfigurazioni. Cfr. sopra, nota .

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gato ad arrestare un galeotto per violazione del divieto disoggiorno, suor Simplice infine non mente. I giudizi sonocategorici perché si fondano sulle definizioni – ma l’ispet-tore ignora la distinzione delle verità di fatto (e di fede),vere perché infallibili ma contingenti, e delle verità di ra-gione, vere perché necessarie. Il suo sistema, sempre pos-sibile, non è sempre reale.

Javert non muore aggredito dai Thénardier, Claque-sous e Montparnasse, i suoi nemici ordinari, perché gliabitanti del «terzo sottopalco» fanno parte integrante del-la piramide sociale, definiti da essa e in essa; malviventi epoliziotti hanno lo stesso riferimento, la legge, che trasgre-discono o applicano. L’ispettore riconosce in essi il suomondo, semplicemente capovolto, vive di essi e con essi.Il suo vero nemico è il vescovo Myriel.

Javert in effetti morirà d’esser stato graziato. Nel suoultimo incontro con Jean Valjean, egli è sotto il colpo diuna «rivelazione» che gli svela «tutto un ordine di fattiinattesi». Ordine è qui una parola pascaliana: eccolo da-vanti all’ordine della carità. Questa oppone la sua logicasingolare a quella della ragione, obbligando a tenere suuno stesso fatto due discorsi contraddittori. Jean Valjean,uomo doppio dal nome doppio, ne è l’emblema, Javertsoffre perché la sua logica non dispone di concetti suffi-cientemente sottili per pensare un oggetto così strano. Lospirito di geometria segue una linea diritta, quella dellelunghe catene di ragioni semplici e facili che conducono,per lui, a proposizioni necessarie, sempre vere – per esem-pio: Javert deve arrestare Jean Valjean. Nessuna ragioneper infima che sia potrebbe giustificare il contrario. Ora

. La via di Damasco è il modello inaugurale di una serie di con-versioni di grandi anime lungo la storia dell’umanità – ma può esseremortale; «Che cos’è la grazia? È l’ispirazione dall’alto, è il soffio, flatubi vult, è la libertà. La grazia è l’anima della legge… e ciò che (s.Paolo) chiama grazia dal punto di vista celeste, noi, dal punto di vistaterrestre, lo chiamiamo diritto», V. Hugo, William Shakespeare (I, II, §X); cfr. B. Leuilliot, Le paratexte des Miserables, in Hugo, Les Miserables,Èditions Interuniversitaires, , p. ; l’autore sottolinea che «unalettura pascaliana è dunque possibile».

. V. Hugo, op. cit., V, IV, p. .

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improvvisamente Javert vede doppio, gli si apre davantiuna seconda via, dove si impone l’evidenza della proposi-zione contraddittoria: la sua necessità è dello stesso ordi-ne? Ha la stessa origine? Poiché Jean Valjean sulla barri-cata ha reso all’ispettore vita e libertà, questo di rimandodeve fare la stessa cosa: si potrebbe credere lo scambioequilibrato. Ma non lo è affatto. La benevolenza del for-zato, scrive Hugo, aveva «stupito» Javert, ma la sua pro-pria benevolenza lo ha «impietrito». Comprendiamo chel’ispettore, ai suoi propri occhi, ha fatto per Jean Valjeanpiù che costui per se stesso, perché essi non sono simili, ei loro atti non hanno lo stesso peso: l’uno è una personaprivata, per di più un evaso, l’altro rappresenta la legge,che egli trasgredisce per bontà. Facendo fuggire un crimi-nale che viola il diritto di soggiorno, l’ispettore lo rimettedel suo debito verso la società, oltrepassando i suoi diritti:non diventa anche lui fuorilegge? L’atto di Jean Valjeanè un dono, quello di Javert qualcosa di più: un perdono?Interviene qui la logica della grazia, di cui l’incontro fra ilgaleotto e il vescovo dà il modello. Jean Valjean ruba l’ar-genteria, i gendarmi lo riportano da Monsignore, che negail furto. Caso straordinario: preso in flagrante delitto, col-pevole, lo si dichiara innocente, ; simmetrico a Champ-mathieu, innocente dichiarato colpevole, . Il vescovodunque finge di aver fatto dono dell’argenteria: questoquanto al dono. Ma ecco la grazia: «Vi avevo donato an-che i candelieri.» Anzitutto il dono, e in più il perdono.Perché questo sovrappiù? Così agisce la grazia: attraversoquesto squilibrio impossibile da colmare, che eccede ogniscambio, il vescovo vota irrimediabilmente il criminale albene. La grazia non si accontenta di rendere il bene per ilmale, per annullarlo; essa produce in più un beneficio cheal di là della cancellazione della colpa avvia una dinamica

. Ivi, V, IV, p. . [N. d. T.]. Ibidem. [N. d. T.]. Anche Javert è uno di questi «casi perplessi» (due norme giu-

ridiche si applicano fortuitamente a un dato caso che le rende incom-patibili) studiato da Leibniz (cfr. nota ).

. V. Hugo, op. cit., I, II, , p. .

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produttrice di bene; senza di essa il perdono non servi-rebbe a niente. Myriel sembra miglior teologo di quantodica Hugo. O piuttosto non lo è nel senso proprio deltermine, superando la teologia razionale certo, ma anchela cattolica e romana?

Javert, spirito limitato, comincia a pensare senza com-prendere: un malfattore caritatevole, «quel mostro esiste-va». Il reale presenta singolarità di tal genere: ci sonocasi, scrive Leibniz, in cui la giustizia universale non trovaaffatto applicazione; in nome di un altro diritto«ci sonodunque dei casi, domanda Javert, in cui la legge dovevaritrarsi davanti al crimine trasfigurato balbettando dellescuse?»; dei casi in cui un galeotto è sacro, , in cui ildovere è un crimine, ? Un tempo Javert aveva credutoche «l’irregolare» fosse proprio del terzo sottopalco, chesolo il crimine si opponesse alla legge, e il male al bene;egli scopre all’improvviso che la «difformità» è anche operadi Dio: i fatti, che dovrebbero essere prove della legge,non lo sono sempre, perché «i fatti, li manda Dio». Comedire meglio che la contingenza ha concatenazioni che sfug-gono alle regole della logica universale e che talvolta l’or-dinario cede il passo allo straordinario? Il reale non è sem-

. V. B. Leuilliot, «Hugo cagot», in Victor Hugo, Les Miserables;«La preuve par les abîmes», in Romantisme, SEDES, , pp. -.Renouvier nota che V. Hugo è rimasto, malgrado i disaccordi, più vi-cino al cristianesimo che alla negazione in materia di religione, in Idem,op. cit., pp. -.

. V. Hugo, op. cit., V, IV, p. .. La Prefazione di V. Hugo, Actes et Paroles, I, «Avant l’exil»,

intitolata «Il diritto e la Legge» riprende l’opposizione (classica nellaScuola di diritto naturale) di jus e lex: «La vita e il diritto sono lostesso fenomeno […]. La quantità di diritto è adeguata alla quantitàdi vita.» Il diritto è il giusto: «Perché tutto sia salvato, basta che ildiritto sussista in una coscienza […] niente d’indissolubile, niente d’ir-revocabile, niente d’irreparabile: questo è il diritto», Bouquins, «Po-litique», IV. Questo per Leibniz è il vero senso della «giustizia universa-le» più alta d’ogni giustizia umana, e che agisce per vie singolari: unpunto in cui la carità si confonde con la giustizia, cfr. Renouvier, op.cit., pp. -: trascendendo le distinzioni teologiche, pietà, grazia egiustizia sono identiche («Mi credi la Pietà; figlio, io sono la Giustizia»).

. V. Hugo, op. cit., V, IV, p. .

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pre razionale. Javert muore della fede razionalista. Ammi-riamo il fatto che il romanziere, quando desta un essere alpensiero, cade infallibilmente sul problema della contin-genza. I Classici hanno chiamato «angolo di contingenza»l’angolo infinitamente piccolo formato da una curva e dallasua tangente al punto d’incontro: la definizione geometri-ca chiarisce il titolo del paragrafo e il rigore del modello,Javert deraglia. Capita che un treno abbandoni la via fer-rata: nel punto di biforcazione, le direzioni sono quasi in-distinguibili, e si può credere che il treno sia nel binariogiusto; quando la catastrofe ha luogo, ci si accorge che hapreso la tangente. Così fece Javert: fino alla decisione ca-tastrofica, egli era sicuro di arrestare Jean Valjean, seguen-do il suo dovere. L’istante della decisione – si intenda: dellarottura – non è determinabile, né nella mente di Javert nénel testo: fra il «vi aspetto qui», e la constatazione stupe-fatta «Javert se n’era andato», non c’è che il fatto bruto,compiuto, irrimediabile, il fatto inviato da Dio, la contin-genza. Javert seguiva la sua strada, si volta, constata chene ha presa un’altra: «In un certo modo, la sua mano si eraaperta e se l’era lasciato sfuggire a sua insaputa» – cosìagisce la grazia. Javert intravede soltanto che la cosa ha lasua origine in Dio, direttamente, ma ciò stesso raddoppial’assurdità: l’anarchia, l’irregolarità, la difformità, sonoimputabili a Dio stesso, non all’uomo? Come se esistesseun «abisso in alto», simmetrico ai bassifondi.

Suor Simplice non aveva mai mentito. Questo trattodistintivo, che fa la sua celebrità, ha determinato la sceltadel suo nome: Simplicia di Sicilia aveva preferito il marti-rio alla menzogna. La lingua dà una spiegazione altrettan-to buona di quella che dà l’agiografia: si chiama Simpliceperché ignora la duplicità; la menzogna è «l’assoluto delmale», Satana dal piede biforcuto. Simplice non segueche una via e tiene un unico discorso d’imperturbabileveridicità, esprimendo la necessità del vero, il principiostesso di identità e la sua logica non conosce che un valo-

. Ivi, V, III, , p. .. Ivi, V, IV, p. . [N. d. T.]. Ivi, I, VII, , p. . [N. d. T.]

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re, . Niente la farebbe biforcare verso il falso, ella è votataal vero, quali che siano le circostanze. La sua veracità è lasua essenza, la sua ontologia, la sua fisica e la sua metafisi-ca. Ora, un bel giorno ella mente – doppiamente – persalvare Jean Valjean. : l’uomo straordinario suscita at-torno a sé dei casi straordinari, suor Simplice in un istantenega il suo essere e la sua definizione. Come non vederech’ella ripete, invertendolo, il martirio della sua santa pa-trona? Hugo lo spiega: la sua veridicità era una virtù, lasua menzogna ha fatto di lei una santa. Chiamiamo questoun miracolo, poiché era altamente improbabile che Simpli-ce mentisse. Eppure, il fatto, un giorno, accadde; vi è mi-racolo quando Dio segue una via straordinaria per delleragioni che oltrepassano la natura e lasciano agire la gra-zia. Javert è il gemello di Simplice. Tutto d’un pezzo, comelei, egli ha definito una volta per tutte il suo dovere; la suaregola è la giustizia, per lui distinta dalla bontà, e si vuoleirreprensibile piuttosto che umano. Ad entrambi un belgiorno la grazia impone un dovere altro dal dovere, dueproposizioni vere contraddittorie sono al tempo stessonecessarie: non mentire e mentire, arrestare e lasciar an-dare Jean Valjean.

La generosità del galeotto è gratuita, straordinaria ri-spetto alle circostanze. L’ordine sociale giustifica l’anta-gonismo fra l’ispettore e il galeotto, l’ordine rivoluziona-rio ribalta la configurazione: diventa legittimo che gli in-sorti uccidano l’ufficiale di polizia; tale è il dovere di JeanValjean, indipendentemente dalla sua propria salvaguar-dia; Enjolras e la rivoluzione lo ordinano, seguendo la lo-gica stessa di Javert: «È naturale», conviene questi, il suonemico sociale sta necessariamente dalla parte degli insor-ti, ciascuno è al suo posto, una volta passato quel capovol-gimento di situazione. Quando Jean Valjean chiede adEnjolras di lasciargli Javert, questi riconosce di nuovo: «Ègiusto.» L’interesse personale e la rivoluzione ordinano

. «Mentì. Mentì due volte di seguito, l’una sull’altra, senza esita-re, rapidamente, come chi si sacrifica.» Ivi, I, VIII, , p. .

. Ivi, V, I, , p. .. Ivi, V, I, , p. . [N. d. T.]

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la morte dell’ispettore, ora, nulla consegue da queste con-dizioni. Risparmiandolo, Jean Valjean nega d’un colpo unadoppia necessità. A beneficio di quale regola? Siamo co-stretti a rispondere, una volta ancora, la grazia, sola legali-tà che ormai riconosce Jean Valjean: «un uomo che salvagli altri», «un uomo che fa del bene a fucilate», dice il suocompagno Combeferre. Per ben due volte, egli salva labarricata non uccidendo nessuno, difende senza attacca-re, respinge senza uccidere, rifiuta la sua vendetta, rinun-cia alla protezione dell’uniforme; indifferente alla bilan-cia della giustizia, egli è instancabile nel rendere il beneper il male, come un tempo il vescovo Bienvenu. Egli ri-fiuta la reciprocità della violenza per un’altra dinamica,propriamente cristica, nella quale trascinerà Javert – chene morirà.

L’incomprensibile gesto di Javert, esso pure è gratuito.Sarebbe vano opporre qui la morale individuale al doveresociale; Hugo analizza il dilemma in modo più sottile:l’ispettore sente nei suoi motivi personali «qualcosa digenerale, e forse di superiore». Leibniz negava che l’uo-mo straordinario avesse bisogno di una giustizia partico-lare: la stessa giustizia universale esige la sua non-applica-zione. Il caso di Jean Valjean (e di conseguenza di Javert)disegna una singolarità in cui si intrecciano due legalità. Ilgaleotto riconosce la legittimità della giustizia, bilancia deidelitti e dei castighi: per questa ragione, rilasciando il po-liziotto, gli indica il suo nome falso e il suo indirizzo, comeall’epoca del processo Champmathieu. Ma il suo atto se-gue ancora una legalità altra, di cui Javert avverte oscura-mente l’origine e la portata. Né il diritto in senso stretto,né l’equità, nessuna legge umana, nessun dovere, nullaesigeva che gli facesse grazia: egli ha fatto dunque «qual-cosa di più». Questo sovrappiù analogo al dono dei can-delieri che rincarava quello delle posate: in un primo tem-po, il vescovo le rende a Jean Valjean, che le aveva rubate,e che i gendarmi gli hanno ripreso: dunque il vescovo, alla

. Ivi, V, I, , pp. -.. Ivi, V, IV, p. .. Ivi, V, IV, p. .

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lettera, restituisce le posate al loro possessore illegittimo,o piuttosto fittizio (in senso giuridico), come se gliele avesseprecedentemente donate. Il dono supposto annulla il malee assolve il ladro. Ma il genio del cristianesimo fa più cheribaltare la legge giudaica rendendo un bene per un male,dal momento che aggiunge questa strana prescrizione: seti si colpisce una guancia, porgi l’altra. Riconosciamo quiuna sorta di plusvalenza che rompe il ciclo dello scambioattraverso uno squilibrio irreversibile e incommensurabi-le. Non restituire il colpo, ma offrirglisi, non rivendicarele posate ma in più donare i candelieri: è spezzare la sim-metria, fonte di odio e rivalità, per aprire una spirale mi-metica senza violenza costringendo Jean Valjean a molti-plicare i benefici attorno a sé, non potendo rimborsareMyriel. Fuori dall’aritmetica, anche positiva, del taglione,la grazia si dà e in tal modo si moltiplica – la carità, secon-do Leibniz, segue una legge esponenziale: più grande è lasua quantità, più crescono a loro volta i suoi incrementi.

L’imitazione di Gesù Cristo diventa la sola regola. Perquesto il vescovo può dire serenamente al galeotto, seb-bene questi non abbia pronunciato alcuna parola: «Nondimenticatevi mai che mi avete promesso di usare queldenaro per diventare un onest’uomo.» Jean Valjean nonha promesso, è promesso, votato, manterrà le promesse,perché è divenuto un eletto della grazia. Di fronte a que-sta strana potenza, egli è altrettanto stupefatto e disorien-tato di quanto lo sarà Javert più tardi di fronte a lui: «Coninquietudine vedeva vacillare dentro di sé quella specie diorrenda calma che l’ingiustizia della sua sventura gli avevaprocurato.» Con la stessa tranquillità d’animo il poliziottoseguiva infallibilmente la giustizia, e il galeotto l’odio; ec-coli entrambi egualmente turbati, smarriti davanti alla gra-zia.

Allorché reclama Javert per fargli grazia, Jean Valjean

. Lettera al Padre des Bosses, dicembre (cfr. trad. C.Frémont, L’Être et la Relation, Vrin, , p. ). Leibniz ha stabilitoquesta curva logaritmica per la rendita vitalizia.

. V. Hugo, op. cit., I, II, , p. .. Ivi, I, II, , p. .

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imita il vescovo; egli avrebbe potuto affidarsi anche al caso,al treno della storia: uno dei suoi compagni lo avrebbeucciso. Anche il vescovo poteva lasciar fare la giustiziaumana, ma doveva salvare un’anima. Quando Jean Valjeana sua volta risparmia Javert, lo costringe ugualmente allalogica della grazia. Non che Javert restituisca il favore, che,essendo gratuito, non ha prezzo; quando lascia andare JeanValjean, non lo fa per ringraziarlo: il suo gesto sfugge an-che alla gratitudine; è precisamente per questo che si uc-cide. Il principio della sua azione gli sfugge: né la ricono-scenza né la moralità, che sono ancora delle forme di scam-bio, ma la pura bontà, cosa inconcepibile. La sua sofferenzaè intellettuale: come pensare che esiste un diritto miste-rioso che sorpassa la legge? Jean Valjean votato al benesalva Javert con la bontà, ma con piena cognizione di cau-sa; Javert non concepisce ciò che lui stesso ha compiuto:«E io, facendogli grazia a mia volta, che cosa ho fatto? Ilmio dovere. No. Qualcosa di più.» È intellettualmenteintollerabile che il principio di un’azione sia una forza sco-nosciuta e irresistibile – Dio stesso? La sua mano s’è aper-ta «a sua insaputa», come un fatto bruto, dato – uno diquei fatti che Dio invia. Hugo sottrae l’atto alla moralità:«l’uscita di strada di un’anima» non è null’altro che lospostamento verso l’ordine della carità, che trasgredisce ilprincipio del terzo escluso; lì il cane da guardia scodinzo-la, il ghiaccio fonde, il granito dubita, il male diventa ilbene. Javert a sua volta è preso nella singolarità .

Javert ha fatto «qualcosa di più» del dovere: Hugo siattiene alla formula senza veramente spiegarla. Compren-diamo ch’egli ha fatto qualcosa d’altro, che rimette in que-stione l’ordine umano, la sua moralità come la sua razio-nalità, trasforma il galeotto in «persona sacra», in un’alle-anza oscura del più alto e del più basso che intercetta del-le ragioni che la ragione non conosce. L’uomo razionale visi perde, non l’uomo religioso: un patto misterioso pro-tegge monsignor Myriel dai briganti – come più tardi quello

. Ivi, V, IV, p. .. Ivi, V, IV, p. . [N. d. T.]

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che lega segretamente il sindaco e la prostituta; e la polizialascerà il vescovo e il galeotto seduti a tavola, come vecchiamici. La giustizia messa in scacco dalla bontà fa intrave-dere a Javert un altro mondo, o la verità nascosta di que-sto mondo così riscattato. A modo suo il vescovo si burladell’ordine sociale ancor più di quelli del terzo sottopal-co, perché non ne tiene conto; egli scambia a suo piacerevenerabili e miserabili; la sorella e la governante sbigotti-scono alla sua condotta anarchica poiché egli rinuncia aiprivilegi della sua funzione, vive giorno e notte a porteaperte, passeggia senza scorta presso i banditi che gli man-dano regali, o fa dormire un galeotto in casa sua; accom-pagna al patibolo un condannato abbandonato dal pro-prio curato; infine capovolge i ruoli domandando la bene-dizione al vecchio rivoluzionario della Convenzione. L’or-dine sociale e la violenza stanno dalla stessa parte, ma ciòche v’è di sacro nell’uomo rileva direttamente dalla giusti-zia di Dio. L’essenza della religione, secondo Hugo, è ria-bilitare il dannato, trovare l’innocente nel malfattore, soc-correre il colpevole prostrato e costringerlo a rialzarsi.

Per questo il libro si apre sulla figura di monsignor Bien-venu: l’ordine della carità discende fra i miserabili.

. Ivi, I, I, . Vedi J. Seebacher, Éveques et conventionnels ou lacritique en présence d’une lumière inconnue, in Europe, .

. Philosophie, op. cit., p. .. Sulla funzione inaugurale di Myriel, vedi P. Régnier, De l’art

d’exploiter un évêque, in Romantisme, La preuve par les abîme, pp. -, cfr. B. Leuilliot, Commencement d’un livre, in Lire les Misérables,p. e sgg., e J. Delabroy, Caecum, préalable à la philosophie de l’historiedans Les Misérables, pp. -.