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Etica Comunista 2010-2011 Raccolta in collaborazione con www.memori.it www.piazzadelgrano.org

Etica Comunista

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Mensile d'informazione politica e cultura dell'Associazione comunista "Luciana Fittaioli" con sede a Foligno (PG)

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Etica Comunista2010-2011 Raccolta

in collaborazione con www.memori.it

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Prefazione“Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lostato di cose presente” (Marx)Da diversi anni si dice che con la fine del ’900 sono finite an-che le ideologie che avevano mosso la storia dell’umanità,quanto meno dalla rivoluzione francese della fine ’700 aquella, un poco minore, del maggio francese del 1968. Nonè così: non sono le ideologie da essere morte, ciò che è mor-ta, o almeno è fortemente decaduta negli ultimi 40 anni, è lacultura intesa nel senso più vasto di capacità di conoscenzache conduce alla consapevolezza del presente reale, dallaquale possono nascere e sulla quale possono concretamentefondarsi le ideologie. “Le idee - ci insegna Gramsci - non na-scono da altre idee, le filosofie non sono partorite da altre fi-losofie, esse sono l'espressione rinnovata dello sviluppo stori-co. Le forze materiali non sarebbero concepibili storicamentesenza forma, e le ideologie sarebbero ghiribizzi individualisenza le forze materiali”. Il materialismo scientifico, elabo-rato nella sua forma compiuta da Marx, ha ribaltato la con-cezione idealistica della storia dell’umanità teorizzata daHegel e, figurativamente, l’ha capovolta mettendo l’uomocon i piedi in terra e la testa in alto; al di sotto la “struttura”,cioè la realtà materiale, al di sopra la “sovrastruttura”, cioèl’ideologia, il mondo delle idee. “In realtà, nel mondo, - ci in-segna Mao - libertà e democrazia non possono esistere inastratto, ma solo in concreto. Sia la democrazia che la libertàsono relative e non assolute: esse sono apparse e si sono svi-luppate in condizioni storiche definite”. Per progettare un fu-turo diverso occorre, dunque, conoscere prima il presenteattuale, i suoi meccanismi e le sue regole di funzionamento,i suoi punti di forza e di debolezza; ma per realizzare con-cretamente quel futuro diverso occorre entrare in quel pre-sente attuale reale, appropriarsi delle sue conoscenze e deisuoi strumenti di potere per cambiarne da dentro la naturae trasformare una società ingiusta in una equa e umana. Ilmarxismo-leninismo ha svelato i fondamenti del potere didominio della società capitalista individuandoli nel mecca-

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nismo dell’accumulazione del capitale basato sullo sfrutta-mento del lavoro umano. Per “abolire” l’aberrazione dellosfruttamento dell’uomo sull’uomo, fonte di tutte le ingiusti-zie, occorre dunque incidere sui meccanismi di produzionedella ricchezza e del suo rovescio, la povertà. “Il socialismo -ci insegna Guevara - non è una società di beneficenza, non èun regime utopico basato sulla bontà dell'uomo come uomo.Il socialismo è un sistema sociale che si basa sull'equa distri-buzione delle ricchezze della società, ma a condizione che talesocietà abbia ricchezze da spartire. Nella misura in cui au-mentiamo quei prodotti per distribuirli fra tutta la popolazio-ne andiamo avanzando nella costruzione del socialismo”.Quale disciplina scientifica il comunismo, o meglio, il marxi-smo-leninismo, non ha un modello di attuazione unico e uni-versale, ma cambia e si sviluppa adattandosi, nel tempo enello spazio, alle realtà concrete nelle quali si trova ad ope-rare. Essere comunisti significa, dunque, non solo possedereun’ideologia di giustizia, equità e solidarietà, ma anzituttoappropriarsi degli strumenti di conoscenza per penetrarenelle singole diverse realtà contingenti per indirizzarne ilcambiamento verso la nuova società degli uguali, che tali po-tranno essere solo a condizione di poter godere di mezzimateriali in grado di assicurare concretamente, in questomondo unico e reale, la piena soddisfazione dei loro bisognie desideri. La Repubblica dei Soviet del 1917, il movimentospartachista tedesco e i consigli di fabbrica italiani del 1921,le guerre di liberazione e le guerriglie rivoluzionarie dal-l’estremo oriente al centro e sud America, lo zapatismo mes-sicano, il maoismo nepalese e indiano, il compromesso sto-rico italiano e la società armoniosa cinese, e così via tante al-tre, sono tutte espressioni concrete e contingenti di un unico“movimento reale” proteso ad abolire “lo stato di cose presen-te”. La selezione dei testi, che abbiamo tratto dai precedentinumeri del mensile “Piazza del Grano”, vuole offrire unospaccato di questa ricchezza, così diversa nelle sue concreteattuazioni, eppure così uguale, unica e unitaria nel progettodella costruzione della società futura comunista.

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L’etica comunistaPer noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri?Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, mai fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggisono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsao mistificata conoscenza della vita e dei problemi della so-cietà e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi,sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, ipiù disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, co-munque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogniumani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguireil bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si èormai conformata su questo modello, e non sono più orga-nizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono lamaturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazio-ni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei"sotto-boss". I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sueistituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli entilocali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbli-che, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la RaiTV, alcuni grandi giornali. Insomma, tutto è già lottizzatoe spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultatoè drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istitu-zioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compierevengono viste prevalentemente in funzione dell'interessedel partito o della corrente o del clan cui si deve la carica.Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine,se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizza-zione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudi-cato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di la-boratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fe-deltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando sitratta soltanto di riconoscimenti dovuti. I partiti debbono,come dice la nostra Costituzione, concorrere alla forma-zione della volontà politica della nazione; e ciò possonofarlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato,sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma

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interpretando le grandi correnti di opinione, organizzandole aspirazioni del popolo, controllando democraticamentel'operato delle istituzioni. Noi pensiamo che il privilegiovada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i pove-ri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vadadata voce e possibilità concreta di contare nelle decisionie di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni socia-li e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità ri-spetto ad altri, che la professionalità e il merito vadanopremiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ognicittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata. Noicomunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e ab-biamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In ga-lera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i parti-giani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati cisiamo stati noi; con le donne, con il proletariato emargina-to, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certicomuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamostati noi. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico esociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di im-mensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ric-chezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo chesi sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centraliz-zata pianificazione dell'economia, pensiamo che il merca-to possa mantenere una funzione essenziale, che l'inizia-tiva individuale sia insostituibile, che l'impresa privata ab-bia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Masiamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme ca-pitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombodel sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, eche quindi si possa e si debba discutere in qual modo su-perare il capitalismo inteso come meccanismo, come siste-ma, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di di-soccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, lacausa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenome-ni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del la-voro, della sfiducia, della noia, della disperazione. La que-

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stione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci deiladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politicae dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denun-ciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nel-l'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato daparte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tut-t'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezio-ne della politica e con i metodi di governo di costoro, chevanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perchédico che la questione morale è il centro del problema ita-liano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d'essereforze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono inpieno la questione morale andando alle sue cause politi-che. Quel che deve interessare veramente è la sorte delpaese. Se si continua in questo modo, in Italia la democra-zia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi;rischia di soffocare in una palude. Il principale malannodelle società occidentali è la disoccupazione. I due malinon vanno visti separatamente. Noi sostenemmo che ilconsumismo individuale esasperato produce non solo dis-sipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche in-soddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, lasituazione economica dei paesi industrializzati -di fronteall'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone svi-luppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avan-zata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipen-denza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo eco-nomico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", contutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa.Quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con ilchiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha allespalle una questione come la P2, è assai difficile ricevereascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici al-la gente che lavora ci vuole un grande consenso, una gran-de credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intol-lerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazio-ne non può riuscire.

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Odio gli indifferentiCredo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive vera-mente non può non essere cittadino e partigiano. L’indiffe-renza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Per-ciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto dellastoria. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Operapassivamente, ma opera. E’ la fatalità; è ciò su cui non si puòcontare; è ciò che sconvolge i programmi,che rovescia i pianimeglio costruiti; è la materia brutta che strozza l’intelligen-za. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avvieneperché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lasciapromulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lasciasalire al potere uomini che poi solo un ammutinamento po-trà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche ma-ni, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela dellavita collettiva,e la massa ignora, perché non se ne preoccupa;e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sem-bra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno na-turale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vitti-me tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chinon sapeva, chi era attivo e chi era indifferente. Alcuni pia-gnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente,ma nessuno o pochi si domandano, se avessi fatto anch’io ilmio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sa-rebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti an-che per questo; perché mi da fastidio il loro piagnisteo daeterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come hasvolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidia-namente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non hafatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover spre-care la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacri-me. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della miaparte già pulsare l’attività della città futura che la mia partesta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi,in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fata-lità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nes-suno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacri-

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ficano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi nonparteggia, odio gli indifferenti.

MarginiQuando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoipanni. Lo comprenderai meglio e forse finirai con l'accorger-ti che ha un po', o molto, di ragione. Ho seguito per qualchetempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avver-sari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiu-sto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fasvenire. Le diserzioni dal socialismo di molti cosiddetti in-tellettuali (a proposito: intellettuale vuol sempre dire intel-ligente?) sono diventate per gli sciocchi la miglior prova del-la povertà morale della nostra idea. Il fatto è che fenomenisimili sono avvenuti e avvengono per il positivismo, per ilnazionalismo, per il futurismo, e per tutti gli altri “ismi”. Cisono i crisaioli, le animucce sempre in cerca di un punto fer-mo, che si buttano sulla prima idea che si presenti con l'ap-parenza di poter diventare un ideale e se ne nutrono fino aquando dura lo sforzo per impossessarcene. Quando si è ar-rivati alla fine dello sforzo e ci si accorge (ma questo è effet-to della poca profondità spirituale, del poco ingegno, in fon-do) che essa non basta a tutto, che ci sono problemi la cui so-luzione (se pur esiste) è fuori di quella ideologia (ma forse èad essa coordinata in un piano superiore), ci si butta su qual-che altra cosa che sia una verità, che rappresenti ancora unincognito e quindi presenti probabilità di soddisfazioni nuo-ve. Gli uomini cercano sempre fuori di sé la ragione dei pro-pri fallimenti spirituali; non vogliono convincersi che la cau-sa ne è sempre e solo la loro animuccia, la loro mancanza dicarattere e di intelligenza. Ci sono i dilettanti della fede, cosìcome i dilettanti del sapere. Le anime vergini degli uomini dicampagna, quando si convincono di una verità, si sacrificanoper essa, fanno tutto il possibile per attuarla. Chi si è conver-tito, è sempre un relativista. Preferisco che al movimento siaccosti un contadino più che un professore d'università.

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Un grande partitoIo ho sempre pensato che al singolo, per alto che sia il suoingegno e per quanto grande sia la sua capacità di agire,non è dato di incidere sulla realtà se non si unisce agli af-fini, ai simili, agli uguali. Ove la si voglia dirigere e mutare,e questo è l’animus del politico, è al collettivo, al ‘politico’,come oggi si dice, che bisogna rivolgersi. Per questo hosempre voluto restare nell’ambito di una forza organizza-ta nella quale, e per il cui tramite, il mio pensiero potessedivenire azione efficiente. E anche quando ho dissentito dacerte posizioni del partito ho evitato sempre di farmi tra-scinare, per amore delle mie idee, a tali passi che mi por-tassero a staccarmene definitivamente. In questo caso, sal-vaguardate che io avessi le mie idee, le avrei insieme con-dannate alla sterilità, all’impotenza. Avrei cioè tradito lamia natura di militante. Al dunque, non avrei neppure sal-vato la mia coscienza. Questa è la chiave della comprensio-ne della mia condotta. Non ho mai voluto e non voglio es-sere un pensatore solitario, non amo il destino delle animebelle. So che per realizzare anche solo in parte il mio pen-siero, per dargli concretezza, devo innestarlo in quello,operante, di una grande forza della cui validità, alla distan-za, non ho mai dubitato e non dubito. D’altronde, le mieradici affondano nello stesso terreno ideologico dal qualeil partito trae nutrimento, e ciò mi dà garanzia che, purnell’autonomia dell’elaborazione, un incontro alla fine tor-nerà a esserci. Ecco perché, se potessi rivivere la mia vitadi militante, non batterei strada diversa. E d’altronde noncredo che i compagni, ormai, me lo chiederebbero.

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Se tremi per l'indignazione davanti alle ingiustizie, allorasei mio fratelloQuando si sogna da soli è un sogno, quando si sogna in duecomincia la realtà. Se io muoio non piangere per me, fai quel-lo che facevo io e continuerò vivendo in te. Non serve a nien-te lo sforzo isolato, lo sforzo individuale, la purezza degliideali, l’anelito a sacrificare tutta una vita al più nobile degliideali, se tale sforzo lo si compie da soli. La vera rivoluzionedeve cominciare dentro di noi [...] Credo nella lotta armatacome unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi,e sono coerente con quello che credo. Molti mi diranno av-venturiero, e lo sono; soltanto che lo sono di un tipo diffe-rente: di quelli che rischiano la pellaccia per dimostrare leloro verità. Può darsi che questa sia l’ultima volta, la defini-tiva. Non la cerco, ma rientra nel calcolo delle probabilità [...]Che importano i pericoli o i sacrifici di un uomo o di un po-polo, quando è in gioco il destino dell’umanità? Ogni nostraazione è un grido di guerra contro l’imperialismo, è un ap-pello vibrante all’unità dei popoli contro il grande nemicodel genere umano: gli Stati Uniti d’America. In qualunqueluogo si sorprenda la morte, che sia benvenuta, purché il no-stro grido di guerra giunga a un orecchio ricettivo, e purchéun’altra mano si tenda per impugnare le nostre armi e altriuomini si apprestino a intonare canti luttuosi con il crepitiodelle mitragliatrici e nuove grida di guerra e di vittoria. Chiè moralmente impressionato dal potere non ha mai umorcritico e non sarà mai un carattere rivoluzionario. Il carattererivoluzionario è capace di dire di no. O, per dirla in altri ter-mini, il carattere rivoluzionario è un individuo capace di di-sobbedienza. E’ qualcuno per cui la disobbedienza non puòessere una virtù. Il socialismo non può esistere se nelle co-scienze non si opera una trasformazione che determini unnuovo atteggiamento di fratellanza nei confronti dell’uma-nità. Chi ha detto che il Marxismo sia la rinuncia ai sentimen-ti umani, al cameratismo, all’amore per il compagno, al ri-spetto per il compagno? Chi ha detto che il marxismo sianon avere anima, non avere sentimenti? Fu precisamente

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l’amore per l’uomo quello che generò il marxismo, fu l’amo-re per l’uomo, per l’umanità, il desiderio di combattere l’in-felicità del proletariato, il desiderio di combattere la miseria,l’ingiustizia, il calvario e lo sfruttamento. Il dovere di un ri-voluzionario è quello di fare la rivoluzione, però non è da ri-voluzionari sedersi davanti alla porta di casa aspettando chepassi il cadavere dell’imperialismo. Il ruolo di Giobbe si con-cilia male con il ruolo di rivoluzionario. Chi lotta può perde-re, chi non lotta ha già perso, preferisco morire in piedi piut-tosto che vivere in ginocchio.

IdearioLa prima cosa che deve fare un rivoluzionario che scrive lastoria è tenersi aderente alla verità come un dito in un guan-to. La Rivoluzione si fa attraverso l'uomo, ma l'uomo deveforgiare giorno per giorno il suo spirito rivoluzionario. A vol-te noi rivoluzionari siamo soli, perfino i nostri figli ci guar-dano come si guarda un estraneo. I dirigenti della Rivoluzio-ne hanno figli che ai loro primi balbettii non imparano achiamare il padre; mogli che devono essere parte del sacrifi-cio generale della loro vita per portare la Rivoluzione allasua destinazione; la cerchia degli amici corrisponde rigida-mente alla cerchia dei compagni della Rivoluzione. Non esi-ste vita al di fuori di essa. L'uomo che va avanti spinge gli al-tri a raggiungerlo, attira gli altri verso il suo livello molto piùdi colui che da dietro spinge solo con la parola. Il miglior in-dottrinamento rivoluzionario che possa esistere è mostrare,per via d'esempio, il cammino del compimento del dovere.Noi siamo il presente che sta costruendo l'avvenire per i no-stri figli e sempre dobbiamo guardare in avanti, verso l'avve-nire e distruggere anche il più piccolo rimasuglio del passatoal massimo. Le cose più banali e più noiose si trasformano,sotto l'egida dell'interesse, dello sforzo interiore dell'indivi-duo, dell'approfondimento della sua coscienza, in cose im-portanti e sostanziali, in qualcosa che non può smettere difare senza sentirsi male: in ciò che si chiama sacrificio. E ilnon fare il sacrificio si converte per un rivoluzionario nel ve-

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ro sacrificio. In questo periodo di costruzione del socialismopossiamo vedere l'uomo che sta nascendo. La sua immaginenon è ancora finita; non potrà esserlo mai poiché il processocammina parallelamente allo sviluppo di forme economichenuove. ... Dobbiamo lavorare per il nostro perfezionamentointerno quasi come un'ossessione, come una pulsione co-stante; ogni giorno analizzare onestamente ciò che abbiamofatto, correggere i nostri errori e tornare a incominciare ilgiorno appresso.Noi socialisti siamo più liberi perché siamo più integri; sia-mo più integri perché siamo più liberi. Non è solo lavoro lacostruzione del socialismo, non è solo coscienza la costru-zione del socialismo: è lavoro e coscienza, sviluppo dellaproduzione, sviluppo dei beni materiali mediante il lavoro esviluppo della coscienza. Sempre abbiamo definito il socia-lismo come la creazione dei beni materiali per l'uomo e losviluppo della coscienza; e in questo compito della creazio-ne dei beni materiali è imprescindibile la cifra della produt-tività del lavoro. La tecnica è la base perché l'industria possasvilupparsi e l'industria, che fa la produzione, è la base delsocialismo. Il socialismo è un fenomeno economico e ancheun fenomeno di coscienza, ma deve realizzarsi sulla basedella produzione. Senza una produzione importante non c'èsocialismo. Stiamo costruendo il socialismo, dobbiamo darealla gente secondo il suo lavoro. Il socialismo non è una so-cietà di beneficenza, non è un regime utopico basato sullabontà dell'uomo come uomo. Il socialismo è un regime alquale si arriva storicamente e che ha come base la socializ-zazione dei beni fondamentali di produzione e l'equa distri-buzione delle ricchezze della società, entro un ambito in cuivi sia produzione di tipo sociale. Il socialismo è un sistemasociale che si basa sull'equa distribuzione delle ricchezzedella società, ma a condizione che tale società abbia ricchez-ze da spartire, che vi siano macchine per lavorare e che quel-le macchine abbiano materie prime per produrre quanto ènecessario per il consumo della nostra popolazione. E nellamisura in cui aumentiamo quei prodotti per distribuirli fra

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tutta la popolazione andiamo avanzando nella costruzionedel socialismo. La Rivoluzione non è, come pretendono alcuni, standardiz-zatrice della volontà collettiva, dell'iniziativa collettiva, maesattamente tutto il contrario, è liberatrice della capacità in-dividuale dell'uomo. Non dobbiamo avvicinarci al popoloper dire: "Siamo qui. Veniamo a farti la carità della nostrapresenza, a insegnarti con la nostra scienza, a dimostrarti ituoi errori, la tua incultura, la tua mancanza di nozioni ele-mentari". Dobbiamo andare con ansia di ricerca e con umiltàdi spirito a imparare da quella gran fonte di sapienza che èil popolo. Il proletariato non ha sesso: è l'insieme di tutti gliuomini e donne che, in tutti i luoghi di lavoro del paese, lot-tano conseguentemente per uno scopo comune. Non il lavoro soltanto ci permetterà, mediante la concrezio-ne dei prodotti, di costruire il socialismo e impiantare la so-cietà socialista; contemporaneamente al lavoro deve ancheesistere l'approfondimento della coscienza, l'approfondi-mento dei motivi ideologici che portano il lavoratore a difen-dere la sua Rivoluzione, a lanciarla in avanti e a farne unesempio per tutti. Non possiamo ricorrere al metodo di oc-cultare i nostri errori perché non si vedano. Non sarebbe néonesto né rivoluzionario. Anche dai nostri errori si può im-parare; dai nostri errori potranno imparare tutti i nostricompagni d'America e di altri paesi d'Asia e d'Africa che lot-tano per la loro indipendenza. Essere apolitici significa starealle spalle di tutti i movimenti del mondo, alle spalle di chisarà presidente o mandatario della nazione di cui si tratti, èstare alle spalle della costruzione della società o della lottaperché la società nuova che si annuncia non sorga e in ognu-no dei due casi si è politici.

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Difendere la verità e correggere gli errori concorda congli interessi del popoloIl comunista deve essere sempre pronto a difendere ferma-mente la verità, perché la verità sempre concorda con gli in-teressi del popolo. E sarà sempre pronto a correggere i pro-pri errori, perché l'errore va sempre contro gli interessi delpopolo. In ogni cosa, un comunista deve sempre domandar-si il perché; deve riflettere con ponderazione e maturità in-tellettuale, vedere se tutto è conforme alla realtà e fondatosulla verità. In nessun caso, deve seguire ciecamente gli altrie incitare alla sottomissione servile all'opinione altrui. I co-munisti debbono essere modelli di senso pratico e di previ-denza. Giacché solo il senso pratico permetterà loro di as-solvere i compiti ad essi assegnati e solo la previdenza gliimpedirà di deviare dal cammino del progresso. I comunistidebbono dimostrare grande lungimiranza, abnegazione,fermezza e la capacità di comprendere la situazione senzapreconcetti, appoggiarsi sulla maggioranza delle masse eguadagnarsene l'appoggio. I comunisti devono essere diesempio anche nello studio; giorno per giorno si istruirannoa contatto con le masse, educandole. In un movimento dimassa, un comunista si comporterà da amico delle masse enon da superiore, da maestro che istruisce instancabilmen-te e non da burocrate della politica. I comunisti non debbo-no mai tagliarsi fuori dalla maggioranza del popolo e, di-menticandosi di essa, andare alla ventura capeggiando qual-che minoranza avanzata; ma staranno attenti a stabilirestretti legami tra gli elementi avanzati e la grande massa delpopolo. Ecco cosa vuol dire pensare alla maggioranza. No-ialtri comunisti, siamo come il seme e il popolo è come laterra. Dovunque andiamo, dobbiamo unirci al popolo, radi-carci e fiorire in mezzo al popolo. Un comunista non devemai considerarsi infallibile, darsi arie, pensare che da noitutto è bene e che tra gli altri tutto è male. Non deve chiu-dersi nel proprio guscio, fare il presuntuoso, comportarsida tiranno. I comunisti hanno il dovere di ascoltare l'opinio-ne dei non comunisti, hanno il dovere di permettere agli al-

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tri di pronunciarsi. Se quel che loro dicono è giusto, noi ap-plaudiremo e accetteremo tutto ciò che vi è di positivo. Sedicono cose non giuste, noi dobbiamo ugualmente permet-tergli di esprimersi, e poi gli spiegheremo pazientemente inche cosa hanno torto. I comunisti non devono mettere in di-sparte coloro che hanno commesso errori nel loro lavoro, ameno proprio che si tratti di incorreggibili; useranno invecela persuasione, per aiutare chi ha sbagliato a correggersi ea trasformarsi.

Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al po-poloIn realtà, nel mondo, libertà e democrazia non possono esi-stere in astratto, ma solo in concreto. In una società in cuivi è lotta di classe, se le classi sfruttatrici hanno la libertà disfruttare i lavoratori, i lavoratori non hanno la libertà di nonsubire lo sfruttamento. Se vi è democrazia per la borghesia,non vi è democrazia per il proletariato e per i lavoratori. Inalcuni paesi capitalisti è tollerata l’esistenza legale di partiticomunisti, ma soltanto nella misura in cui questi non ledo-no gli interessi fondamentali della borghesia; quando si vaoltre questo limite, la loro esistenza non è più tollerata. Co-loro che rivendicano libertà e democrazia in astratto, consi-derano la democrazia come un fine e non come un mezzo.A volte sembra che la democrazia sia un fine, ma in realtànon è che un mezzo. Il marxismo ci indica che la democra-zia fa parte della sovrastruttura e che essa appartiene allacategoria della politica. Questo significa che in fin dei contiessa serve la base economica. Lo stesso è per la libertà. Siala democrazia che la libertà sono relative e non assolute: es-se sono apparse e si sono sviluppate in condizioni storichedefinite. All’interno del popolo la democrazia è in rapportoal centralismo, la libertà è in rapporto alla disciplina. Si trat-ta, in entrambi i casi, di aspetti contraddittori di un insiemeunitario; tra di essi esiste contraddizione e, nello stessotempo, unità; noi non dobbiamo accentuare unilateralmenteuno di questi aspetti negando l’altro. All’interno del popolo

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non può mancare la libertà come non può mancare la disci-plina; non può mancare la democrazia come non può man-care il centralismo. Questa unità di libertà e disciplina, didemocrazia e centralismo costituisce il nostro centralismodemocratico. Con un regime di questo tipo il popolo godedi un’ampia democrazia e di un’ampia libertà, ma nello stes-so tempo deve autolimitarsi con una disciplina socialista.Queste ragioni, le larghe masse popolari le comprendonomolto bene. Prendere posizione a favore di una libertà cheabbia una direzione e di una democrazia sotto una direzio-ne centralizzata, non significa in alcun modo che i problemiideologici e i problemi della distinzione tra la ragione e iltorto in seno al popolo possono essere risolti con misurecoercitive. Tutti i tentativi di risolvere le questioni ideologi-che e le questioni della ragione e del torto con ordini ammi-nistrativi o con misure costrittive sono non soltanto ineffi-caci, ma anche nocivi. Non possiamo abolire la religione permezzo di ordini amministrativi, né obbligare la gente a noncrederci. Non possiamo obbligare la gente a rinunciare al-l’idealismo, così come non possiamo obbligarla ad abbrac-ciare il marxismo. Tutte le questioni di carattere ideologicoe tutte le controversie in seno al popolo possono essere ri-solte solo con metodi democratici, con i metodi della di-scussione, della critica, della persuasione e dell’educazione;non possono essere risolte con metodi coercitivi e repressi-vi ... Molti ritengono che l’impiego di metodi democraticiper risolvere le contraddizioni in seno al popolo costituiscaqualcosa di nuovo. In realtà non è così. I marxisti hannosempre sostenuto che la causa del proletariato deve poggia-re sulle masse popolari e che i comunisti devono impiegarei metodi democratici della persuasione e dell’educazionequando hanno a che fare con i lavoratori e che non devonoper nessuna ragione fare ricorso all’autoritarismo o alla co-strizione. Il Partito comunista cinese osserva scrupolosa-mente questo principio marxista-leninista ... La realizzazio-ne della linea “che cento fiori fioriscano, che cento scuole dipensiero gareggino”, non indebolirà ma rafforzerà il ruolo

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dirigente del marxismo in campo ideologico. Quale deve es-sere la nostra linea nei confronti delle idee non marxiste?Per quanto riguarda i controrivoluzionari dichiarati e i sa-botatori della causa del socialismo è semplice: togliamo lorola libertà di parola. La questione è diversa quando invece citroviamo di fronte a idee errate nel popolo. Sarebbe giustobandire queste idee e non dar loro la possibilità di esprimer-si? No di certo. Applicare metodi semplicistici per risolverele questioni ideologiche in seno al popolo, le questioni lega-te alla vita intellettuale dell’uomo, non è soltanto inefficace,ma estremamente controproducente. Si può vietare che leidee sbagliate siano espresse, ma le idee rimarranno sem-pre. Quanto poi alle idee giuste, se le si coltiva in serra, nonle si espone mai al vento e alla pioggia e non si immunizza-no nei confronti delle malattie, esse non riusciranno a trion-fare nello scontro con le idee sbagliate. Quindi soltanto conil metodo della discussione, della critica e del ragionamentopossiamo realmente far progredire le idee giuste, togliere dimezzo quelle sbagliate e risolvere effettivamente i proble-mi.

Principi ed elasticità“Una politica basata sui principi è la sola politica corretta”:questo è un noto precetto di Lenin. Se il marxismo ha potu-to sconfiggere correnti ideologiche opportuniste di tutte lesfumature e diventare predominante nel movimento opera-io internazionale, è precisamente perché Marx ed Engelshanno perseverato in una politica basata sui principi. Se illeninismo ha potuto continuare a sconfiggere tutte le variecorrenti ideologiche revisioniste e opportuniste, guidare laRivoluzione d’Ottobre alla vittoria e diventare predominan-te nel movimento operaio internazionale nella nuova era, èprecisamente perché Lenin e poi Stalin hanno portato avantila causa di Marx ed Engels, hanno perseverato in una politi-ca basata sui principi. Che cosa significa una politica basatasui principi? Significa che ogni politica che noi avanziamo edecidiamo deve essere basata sulla posizione di classe del

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proletariato, sugli interessi fondamentali del proletariato,sulla teoria del marxismoleninismo. Il partito del proletaria-to non deve limitare la sua attenzione agli interessi imme-diati, oscillare al vento e abbandonare gli interessi fonda-mentali. Esso non deve semplicemente sottomettersi al cor-so immediato degli eventi, approvando o difendendo unacosa oggi e un’altra domani e mercanteggiando principi co-me se fossero merci. In altre parole, il partito del proletaria-to deve mantenere la propria indipendenza politica, distin-guersi, ideologicamente e politicamente, da tutte le altreclassi e dai loro partiti rispettivi. Mentre si attiene alla poli-tica basata sui principi, il partito del proletariato deve ancheagire con una certa elasticità. Nella lotta rivoluzionaria èsbagliato negare la necessità di agire secondo le circostanzeo respingere vie indirette di avanzata. La differenza tra imarxisti-leninisti da una parte e gli opportunisti e i revisio-nisti dall’altra è questa: i marxisti-leninisti sono per l’elasti-cità nel realizzare una politica basata sui principi, mentregli opportunisti e i revisionisti praticano un’elasticità che èin realtà l’abbandono dei principi politici. L’elasticità basatasui principi non è opportunismo. Il compromesso è unaquestione importante nell’esercizio dell’elasticità. I marxi-sti-leninisti l’affrontano nel modo seguente: essi non respin-gono mai alcun necessario compromesso che serva gli inte-ressi della rivoluzione, vale a dire compromesso basato suiprincipi, ma essi non tollereranno mai un compromesso cheequivalga a un tradimento, vale a dire un compromesso sen-za principi.

Direttiva alle Guardie RosseCompagni Guardie rosse della Scuola media dell’universitàChinghua, ho ricevuto sia i manifesti a grandi caratteri chemi avete mandato il 28 luglio che la lettera in cui mi chiede-te una risposta. I due manifesti a grandi caratteri che avetescritto il 24 giugno e il 4 luglio esprimono la vostra rabbia edenunciano di tutti i proprietari terrieri, i borghesi, gli im-perialisti, i revisionisti e i loro lacchè che sfruttano e oppri-

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mono gli operai, i contadini, gli intellettuali rivoluzionari ei gruppi e i partiti rivoluzionari. Voi dite che è giusto ribel-larsi contro i reazionari e io vi sostengo con entusiasmo. Iosostengo con entusiasmo anche il manifesto a grandi carat-teri del Gruppo di combattimento Bandiera rossa dellaScuola media dell’università di Pechino in cui si dice che ègiusto ribellarsi contro i reazionari; sostengo anche l’ottimodiscorso rivoluzionario tenuto dal compagno Peng Hsiao-meng rappresentante del Gruppo di combattimento Bandie-ra rossa alla grande riunione del 25 luglio cui hanno parte-cipato tutti gli insegnanti, gli studenti, il personale ammini-strativo e i lavoratori dell’università di Pechino. Qui vogliodirvi che io stesso, come tutti i miei compagni d’arme rivo-luzionari, abbiamo assunto lo stesso atteggiamento. Io daròil mio entusiastico sostegno a tutti coloro che, ovunque sitrovino, a Pechino o in qualsiasi altra parte della Cina, assu-meranno un atteggiamento simile al vostro nel movimentodella Rivoluzione culturale. Un’altra cosa: mentre vi soste-niamo, vi chiediamo nel contempo di tenere presente la ne-cessità di unirvi con tutti coloro con i quali è possibile farlo.Per quanto riguarda coloro che hanno commesso gravi er-rori, dopo avere denunciato questi errori, voi dovreste offrirloro una via d’uscita, dando loro un lavoro da svolgere inmodo che possano correggere i propri errori e diventare uo-mini nuovi. Marx ha detto che il proletariato non deveemancipare solo se stesso ma tutto il genere umano. Se nonriuscirà a emancipare tutto il genere umano, allora il prole-tariato non sarà in grado di emancipare neppure se stesso.Prego i compagni di tener presente anche questa verità.

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La teoria non trova mai la sua realizzazione nel popolo, senon quando essa realizza i bisogni di questo popoloL'umanità non si propone se non quei problemi che può ri-solvere, perché, a considerare le cose da vicino, si trovasempre che il problema sorge solo quando le condizionimateriali della sua soluzione esistono già o almeno sono informazione. La storia di ogni società sinora esistita è storiadi lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni eservi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, inuna parola oppressi ed oppressori sono sempre stati in con-trasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, avolte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre ocon una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società ocon la rovina comune delle classi in lotta. Le idee della clas-se dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè laclasse che è la potenza materiale dominante della società èin pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classeche dispone dei mezzi della produzione materiale disponecon ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellet-tuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate leidee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione in-tellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressio-ne ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapportimateriali dominanti presi come idee: sono dunque l'espres-sione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classedominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Il prole-tariato si servirà del suo dominio politico per togliere gra-dualmente dalle mani della borghesia tutto il capitale, peraccentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani delloStato, cioè del proletariato organizzato come classe domi-nante e per accrescere con la più grande celerità possibile lamassa delle forze produttive Se il prodotto del lavoro nonappartiene all’operaio, e un potere estraneo gli sta di fronte,ciò è possibile soltanto per il fatto che esso appartiene adun altro estraneo all’operaio. Se la sua attività è per lui untormento, deve essere per un altro un godimento, deve es-sere la gioia della vita altrui. Non già gli dèi, non la natura,

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ma soltanto l’uomo stesso può essere questo potere estra-neo al di sopra dell’uomo. La “liberazione” è un atto storico,non un atto ideale, ed è attuata da condizioni storiche, dallostato dell’industria, del commercio, dell’agricoltura, dellerelazioni. In realtà per il materialista pratico, cioè per il co-munista, si tratta di rivoluzionare il mondo esistente, dimetter mano allo stato di cose incontrato e di trasformarlo.L'ordinamento comunistico della società farà del rapportofra i due sessi un semplice rapporto privato che riguarderàsolo le persone che vi partecipano, e nel quale la società nonha da ingerirsi. Potrà farlo perché elimina la proprietà pri-vata ed educa in comune i bambini, distruggendo così ledue fondamenta del matrimonio come si è avuto finora; ladipendenza della donna dall'uomo e dei figli dai genitori do-vuta alla proprietà privata. Qui sta anche la risposta allestrida dei filistei moralisti contro la comunanza comunistadelle donne. La comunanza delle donne è una situazione le-gata totalmente alla società borghese e che oggigiorno esi-ste in pieno nella prostituzione. Ma la prostituzione poggiasulla proprietà privata e cade con essa. Dunque, l'organiz-zazione comunista, anziché introdurre la comunanza delledonne, la abolisce invece.

La critica della religione è il presupposto di ogni criticaL'esistenza profana dell'errore è compromessa dacché è sta-ta confutata la sua celeste oratio pro aris et focis. L'uomo ilquale nella realtà fantastica del cielo, dove cercava un supe-ruomo, non ha trovato che l'immagine riflessa di se stesso,non sarà più disposto a trovare soltanto l'immagine appa-rente di sé, soltanto il non-uomo, là dove cerca e deve cer-care la sua vera realtà. Il fondamento della critica irreligiosaè: l'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo. Infatti, lareligione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell'uomoche non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto sestesso. Ma l'uomo non è un essere astratto, posto fuori delmondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, Stato, società. QuestoStato, questa società producono la religione, una coscienza

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capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovol-to. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suocompendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare,il suo point d'honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, lasua sanzione morale, il suo solenne compimento, il suo uni-versale fondamento di consolazione e di giustificazione. Es-sa è la realizzazione fantastica dell'essenza umana, poichél'essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta con-tro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quelmondo, del quale la religione è l'aroma spirituale. La miseriareligiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la pro-testa contro la miseria reale. La religione è il sospiro dellacreatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore,così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essaè l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illuso-ria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale.L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizioneè l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisognodi illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, lacritica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola. Lacritica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non per-ché l'uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affin-ché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica dellareligione disinganna l'uomo affinché egli pensi, operi, con-figuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto allaragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò,intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illu-sorio che si muove intorno all'uomo, fino a che questi nonsi muove intorno a se stesso. È dunque compito della storia,una volta scomparso l'al di là della verità, quello di ristabi-lire la verità dell'al di qua. È innanzi tutto compito della fi-losofia, la quale sta al servizio della storia, una volta sma-scherata la figura sacra dell'autoestraneazione umana, quel-lo di smascherare l'autoestraneazione nelle sue figure pro-fane. La critica del cielo si trasforma così nella critica dellaterra, la critica della religione nella critica del diritto, la cri-tica della teologia nella critica della politica.

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La Nuova politica economica “NEP”Compagni! Intendo dedicare questo rapporto alla “Nuovapolitica economica”... la nostra precedente politica econo-mica, se non possiamo dire che calcolava (in quella situa-zione in generale c'era ben poco da calcolare), per lo menoin una certa misura supponeva (e si può dire, supponevaavventatamente) che si sarebbe passati direttamente dallavecchia economia russa alla produzione di Stato e alla di-stribuzione su basi comuniste. All'inizio del 1918 noi cal-colavamo che ci sarebbe stato un periodo di edificazionepacifica. Sembrava che con la conclusione della pace diBrest il pericolo si fosse allontanato e che fosse possibileaccingerci all'edificazione pacifica. Ma ci sbagliavamo, poi-ché nel 1918 fummo investiti da una vera minaccia di ca-rattere militare che durò fino al 1920. In parte sotto l'in-fluenza degli impellenti problemi di carattere militare edella situazione, apparentemente disperata, nella quale sitrovava la repubblica alla fine della guerra imperialistica,noi commettemmo l'errore di voler passare direttamentealla produzione e alla distribuzione su basi comuniste. De-cidemmo che i contadini ci avrebbero fornito il pane ne-cessario attraverso il sistema dei prelevamenti, e noi a no-stra volta lo avremmo distribuito agli stabilimenti e allefabbriche, ottenendo così una produzione e una distribu-zione a carattere comunista... Dico disgraziatamente, poi-ché una breve esperienza ci ha convinti dell'impostazionesbagliata di questo piano... E la Nuova politica economicaconsiste sostanzialmente proprio nel fatto che su questopunto abbiamo subito una grave sconfitta e iniziato una ri-tirata strategica, ma finché non ci hanno sconfitti definiti-vamente torniamo indietro e ricostruiamo tutto daccapo,ma più solidamente!... Il sistema dei prelevamenti nellecampagne, questo metodo comunista di affrontare diret-tamente i problemi dell'edificazione nelle città, ha ostaco-lato il progresso delle forze produttive ed è stato la causaprima della profonda crisi economica e politica che abbia-mo attraversato nella primavera del 1921. Ecco perché si è

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reso necessario quel che, dal punto di vista della nostrapolitica, può essere definito soltanto come una ritirata... Ilproblema principale, dal punto di vista della Nuova politi-ca economica, consiste nel saper approfittare della nuovasituazione con la massima rapidità. Nuova politica econo-mica significa sostituire ai prelevamenti un'imposta, signi-fica passare in misura notevole alla restaurazione del ca-pitalismo. In quale misura ancora non sappiamo. Le con-cessioni ai capitalisti stranieri, gli appalti ai capitalisti pri-vati, questo è per l'appunto un vero e proprio ritorno al ca-pitalismo, ed è legato alle radici della Nuova politica eco-nomica, giacché l'abolizione dei prelevamenti significa peri contadini il libero commercio dell'eccedenza dei prodottiagricoli non assorbiti dall'imposta (e l'imposta assorbe sol-tanto una piccola parte dei prodotti). I contadini costitui-scono una parte enorme di tutta la popolazione e di tuttal'economia, e perciò sulla base di questo libero commercionon può non svilupparsi il capitalismo. Si tratta qui dellenozioni economiche più semplici insegnate dalla scienzaeconomica più elementare... Il problema fondamentaleconsiste, dal punto di vista strategico, nel vedere chi sapràapprofittare prima di questa nuova situazione. Tutto ilproblema sta nel vedere chi seguiranno i contadini, se se-guiranno il proletariato che si sforza di costruire una so-cietà socialista, oppure il capitalismo che dice: «Torniamoindietro, è più sicuro, altrimenti con questa trovata del so-cialismo, chissà dove si va a finire!»... Per proletariato s'in-tende la classe occupata nella produzione dei beni mate-riali nelle imprese della grande industria capitalistica. Da-to che la grande industria capitalistica è stata distrutta, da-to che si sono fermati gli stabilimenti e le fabbriche, il pro-letariato è scomparso... La rinascita del capitalismo signi-ficherà la rinascita della classe proletaria, occupata nellaproduzione di beni materiali utili alla società, occupata alavorare nelle grandi fabbriche meccaniche... Ora la bor-ghesia di tutto il mondo sostiene la borghesia russa, che èancora molto più forte di noi. Questo non ci deve far cade-

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re nel panico, poiché anche le loro forze militari erano su-periori alle nostre e tuttavia non sono bastate per schiac-ciarci in guerra, benché in guerra schiacciarci fosse moltopiù facile... Tuttavia non ci sono riusciti, perché la coscien-za del loro torto e della giustezza della nostra causa erapenetrata anche nelle masse dei soldati inglesi sbarcati adArcangelo, nelle masse di quei marinai che costrinsero laflotta francese a lasciare Odessa. Ora ci troviamo di frontea forze che, come prima, sono più potenti di noi. E per vin-cere dobbiamo ricorrere all'ultima fonte di forza rimastaci,che è la massa degli operai e dei contadini, il loro livello dicoscienza, il loro grado di organizzazione. O il potere pro-letario organizzato, gli operai d'avanguardia e una piccolaparte di contadini d'avanguardia comprenderanno questocompito e sapranno organizzare intorno a sé un movimen-to di popolo, e allora usciremo vincitori. O non sapremo fa-re questo e allora il nemico, meglio armato dal punto di vi-sta tecnico, inevitabilmente ci sconfiggerà... La dittaturadel proletariato è una guerra accanita. Il proletariato havinto in un paese, ma rimane ancora debole sul piano in-ternazionale... Noi pensavamo che a un cenno dei comuni-sti si sarebbero potute effettuare la produzione e la distri-buzione in un paese che ha un proletariato declassato. Do-vremo modificare tale stato di cose perché altrimenti nonpotremo far capire al proletariato in che cosa consiste que-sto passaggio. Nella storia non ci si era ancora mai trovatidi fronte a problemi simili. Abbiamo tentato di risolverequesto problema nel modo più diretto, con un attaccofrontale, ma abbiamo subito una sconfitta. Sbagli di questogenere se ne fanno in tutte le guerre. Quando l'attaccofrontale non riesce, si tenta l'aggiramento, si ricorre all'as-sedio e alla trincea. E noi diciamo che bisogna edificareogni importante ramo dell'economia nazionale sulla basedell'interesse personale. Discussione collettiva, ma re-sponsabilità individuale. L'incapacità di applicare questoprincipio ci nuoce ad ogni passo. Tutta la Nuova politicaeconomica esige che questa linea di demarcazione sia trac-

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ciata con la massima nettezza, con assoluta precisione...Ecco perché dico che la Nuova politica economica ha im-portanza anche per quanto concerne l'insegnamento. Voiqui parlate di come bisogna insegnare. Voi dovete giungerealla conclusione che non c'è posto fra noi per chi non hastudiato abbastanza. Quando ci sarà il comunismo, l'inse-gnamento sarà meno rigido. Ora, tuttavia, dico che l'inse-gnamento, di fronte alle rovine, non può non essere seve-ro... Siate tutti degli amministratori. I capitalisti si trove-ranno accanto a voi, accanto a voi si troveranno anche i ca-pitalisti stranieri, concessionari e appaltatori, essi vi deru-beranno di grosse percentuali di profitto, si arricchirannoaccanto a voi. Si arricchiscano pure, ma voi imparerete daloro ad amministrare e soltanto allora potrete edificareuna repubblica comunista. Dal punto di vista della neces-sità di imparare rapidamente, qualsiasi rilassamento sa-rebbe un grave delitto. E questa scienza, scienza difficile,severa, talvolta perfino crudele, la dobbiamo affrontare,poiché non c'è altra via d'uscita. Dovete ricordare che il no-stro paese sovietico, caduto in miseria dopo lunghi anni didure prove, non è circondato da una Francia socialista e daun'Inghilterra socialista, che ci potrebbero aiutare con laloro tecnica progredita, con la loro industria sviluppata...Lo Stato deve imparare a commerciare in modo che l'indu-stria possa soddisfare i bisogni dei contadini e che i conta-dini soddisfino mediante il commercio i propri bisogni.Dobbiamo far sì che ogni lavoratore possa dare il suo con-tributo al consolidamento dello Stato operaio e contadino.Solo allora si potrà creare la grande industria... O noi dia-mo una base economica a tutte le conquiste politiche delpotere sovietico, oppure sarà la fine di tutte queste conqui-ste.

La religioneL’impotenza della classe sfruttata nella lotta condotta con-tro gli sfruttatori inevitabilmente rafforza la credenza inuna vita migliore dopo la morte, così come l’impotenza

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dell’uomo primitivo nella battaglia con la natura rafforzala credenza nell’esistenza di dei, demoni, miracoli, e cosìvia. Coloro che lavorano duramente e vivono nel bisognosono persuasi dalla religione a essere pazientemente sot-tomessi su questa terra, e a trarre conforto dalla speranzanella ricompensa divina. La religione è l’oppio dei popoli,una sorta di “liquore” spirituale in cui gli schiavi del capi-tale fanno annegare la loro immagine umana, la loro richie-sta di una vita più o meno dignitosa. Ma uno schiavo che èdivenuto conscio della propria schiavitù ed ha alzato la te-sta nella lotta per la propria emancipazione, non è più unoschiavo. Il lavoratore moderno, con un’elevata coscienzadi classe, cresciuto dall’industria su larga scala e illumina-to dalla vita di città, con sdegno mette da parte i pregiudizireligiosi, lascia il paradiso al clero e ai borghesi bigotti, ecerca di ottenere per sé una vita migliore, su questa terra.Il proletariato moderno difende le ragioni del socialismo,che combatte la nebbia della religione con la scienza, e li-bera i lavoratori dalle loro credenze in una vita dopo lamorte unendoli nella lotta presente, per una vita miglioresulla terra. La religione deve essere dichiarata affare priva-to. Lo Stato non deve occuparsi della religione, e le asso-ciazioni religiose non devono avere alcun legame con leautorità di governo. Quello che richiede il proletariato so-cialista è la completa separazione della Chiesa dallo Stato.Ma per quanto ci riguarda, la battaglia ideologica non è unaffare privato, è questione di tutto il Partito, dell’interoproletariato. Il nostro programma è interamente basato suuna concezione del mondo scientifica, e, in particolare,materialista. Dunque, una spiegazione del nostro pro-gramma include necessariamente un’analisi delle reali ra-dici storiche ed economiche della nebbia che la religionediffonde. Ma in nessuna circostanza dobbiamo caderenell’errore di porre la questione religiosa in forme astratteed idealiste, come dibattito intellettuale slegato dalla lottadi classe, come fatto di frequente dai radicali tra la borghe-sia. L’unità delle classi oppresse in questa lotta rivoluzio-

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naria per la creazione del paradiso in terra è molto più im-portante per noi dell’unità del pensiero del proletariato ri-guardo al paradiso nei cieli. Il proletariato rivoluzionariootterrà che la religione diventi un affare privato, per ciòche concerne lo Stato. E in questo sistema politico, privatoda residui medievali, il proletariato intraprenderà una lot-ta di ampio respiro per l’eliminazione dell’oppressioneeconomica, la prima fonte delle menzogne con cui la reli-gione confonde l’uomo.

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La CGILAbbiamo il dovere di difendere le libertà democratiche e idiritti sindacali che sono legati alla questione del pane edel lavoro; abbiamo il dovere di difendere i diritti demo-cratici dei cittadini e dei lavoratori italiani, anche all’inter-no delle fabbriche. In realtà oggi i lavoratori cessano di es-sere cittadini della Repubblica Italiana quando entranonella fabbrica. Quando al Congresso dei Chimici io annun-ciai l’idea di proporre lo Statuto, qualche giornale degli in-dustriali scrisse: “Ma Di Vittorio dimentica che le aziendeappartengono ai padroni e che colore che vi entrano deb-bono ubbidire ai padroni”. E’ una risposta, questa, che ri-vela proprio una mentalità feudale, che rivela come i lavo-ratori siano considerati dai padroni come loro proprietà,come se fossero degli attrezzi qualsiasi. I padroni non con-siderano il lavoratore un uomo, lo considerano una mac-china, un automa. Ma il lavoratore non è un attrezzo qual-siasi, non si affitta, non si vende. Il lavoratore è un uomo,ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea,una sua opinione politica, una sua fede religiosa, e vuoleche questi suoi diritti vengano rispettati da tutti e in primoluogo dal padrone. Tutta l’esperienza storica, non soltantonostra, dimostra che la democrazia, se c’è nella fabbrica,c’è anche nel Paese, e se la democrazia è uccisa nella fab-brica, essa non può sopravvivere nel Paese. Il rapporto dilavoro tra padrone e dipendente non può in nessun modoe per nessun motivo ridurre o limitare i diritti inviolabiliche la Costituzione Repubblicana riconosce all’uomo siacome singolo, sia nelle formazioni sociali dove svolge lasua personalità. Il rapporto di lavoro riconosce al padronesolo il diritto di esigere dal proprio dipendente una deter-minata prestazione di opera, per un determinato periododi tempo, nel rispetto di una data organizzazione e disci-plina di lavoro. Nella realizzazione di questo diritto il pa-drone, o chi per esso, deve rispettare l’inviolabilità perso-nale del dipendente. Il rapporto di lavoro non può in nes-sun modo e per nessun motivo vincolare o limitare i diritti

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civili del dipendente. Meno che mai può limitare il dirittodel lavoratore di discutere con i suoi compagni le questio-ni relative al proprio lavoro, di collaborare alla gestionedelle aziende, di tutelare i propri interessi di lavoratore edi adempiere ai propri doveri associativi.

Il ruolo dei sindacatiGli interessi che rappresentano e difendono i sindacati deilavoratori sono interessi di carattere collettivo e non par-ticolaristico o egoistico; interessi che in linea di massimacoincidono con quelli generali della nazione. Il benesseregeneralizzato dei lavoratori, infatti, non può derivare cheda un maggiore sviluppo dell'economia nazionale, da unaumento incessante della produzione, da un maggiore ar-ricchimento del paese, oltre che da una più giusta riparti-zione dei beni prodotti. Non è mai accaduto, e non può ac-cadere ai liberi sindacati dei lavoratori, di avere interessicontrari a quelli della collettività nazionale, com'è accadu-to - e può sempre accadere, invece - a determinati tipi diassociazioni padronali (trust, cartelli, intese ecc.), i qualisono notoriamente giunti a limitare di proposito la produ-zione - ed anche a distruggerne notevoli quantità- permantenere elevati i prezzi, allorquando i prezzi elevati,piuttosto che la massa di prodotti vendibili, assicuranoagli interessati maggiori profitti, con danno evidente dellamaggioranza della popolazione e della nazione [...] I sinda-cati dei lavoratori rappresentano la forza produttrice fon-damentale della società e la stragrande maggioranza dellapopolazione economicamente attiva nei vari rami dell'in-dustria, dell'agricoltura, del commercio, del credito, dellascuola, dei pubblici servizi ecc. Tutta la società modernapone il lavoro come fondamento del proprio sviluppo. Sela funzione sociale del lavoro, e quindi delle organizzazio-ni sindacali che lo rappresentano, sono considerate sem-pre di maggiore preminenza, in tutti i paesi economica-mente più sviluppati ciò è tanto più giusto e necessario inItalia, dove il capitale più grande e più prezioso di cui di-

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spone la nazione è rappresentato appunto dalla sua im-mensa forza-lavoro; ossia, dal gran numero di lavoratoriche conta il nostro paese, nonché dalle loro spiccate e ri-conosciute capacità tecniche e professionali che - attraver-so il lavoro dei nostri emigrati - si sono affermati in quasitutti i paesi del mondo. I lavoratori, per la loro condizionesociale, sono i maggiori interessati al consolidamento e al-lo sviluppo ordinato della libertà e delle istituzioni demo-cratiche, come lo comprova il fatto che essi hanno costitui-to il nerbo decisivo delle forze nazionali che hanno abbat-tuto il fascismo ed hanno portato un contributo efficientealla liberazione della patria dall'invasore tedesco. I sinda-cati dei lavoratori, quindi, costituiscono obiettivamenteuno dei pilastri basilari dello Stato democratico e repubbli-cano e un presidio sicuro e forte delle civiche libertà, chesono un bene supremo dell'intera nazione. I sindacati deilavoratori, quali organismi unitari di milioni di cittadini intutte le province d'Italia e tutori dei loro interessi collettivie solidali, costituiscono obiettivamente il tessuto connet-tivo più solido della nazione e della sua stessa unità.

Il diritto di associazioneE’ senza dubbio fra i diritti fondamentali del cittadino euna delle espressioni più chiare delle libertà democratiche.Il diritto di associazione è anzi il presidio più sicuro dellalibertà della persona umana, la quale tende in misura cre-scente a ricercare la via del proprio sviluppo, della propriadifesa, e d’un maggiore benessere economico e spirituale,specialmente nella libertà di coalizzarsi con altre persone.Tale diritto dev’essere riconosciuto a tutti i cittadini d’am-bo i sessi e d’ogni ceto sociale, senza nessuna esclusione.Tuttavia, la Costituzione non può ignorare che se il dirittodi associazione dev’essere garantito ad ogni cittadino, es-so ha però un valore diverso pei differenti strati sociali.Nell’attuale sistema sociale, infatti, la ricchezza nazionaleè troppo mal ripartita, in quanto si hanno accumulazionid’immensi capitali nelle mani di pochi cittadini, mentre

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l’enorme maggioranza di essi ne è completamente sprov-vista. In tali condizioni, è chiaro che nei naturali e inevita-bili contrasti di interessi economici e sociali sorgenti fra ivari strati della società nazionale, il cittadino lavoratore edil cittadino capitalista non si trovano affatto in condizionedi eguaglianza. Il cittadino capitalista, basandosi sulla pro-pria potenza economica, può lottare e prevalere anche dasolo, in determinate competizioni di carattere economico.Il cittadino lavoratore, invece, da solo, non può ragionevol-mente nemmeno pensare a partecipare a tali competizioni.Ne consegue che per il cittadino lavoratore la sola possibi-lità che esista – perché possa partecipare a date competi-zioni economiche, senza esserne schiacciato in partenza –è quella di associarsi con altri lavoratori, aventi interessi escopi comuni, per controbilanciare col numero, con l’asso-ciazione e con l’unità d’intenti e d’azione degli associati, lapotenza economica del singolo capitalista o d’una associa-zione di capitalisti. Il sindacato, perciò, è lo strumento piùvalido, per i lavoratori, per l’affermazione del diritto allavita e del diritto al lavoro, che dovranno essere sanciti dal-la nostra Costituzione. Gli interessi che rappresentano edifendono i sindacati dei lavoratori, sono interessi di ca-rattere collettivo e non particolaristico o egoistico; interes-si che in linea di massima coincidono con quelli generalidella Nazione. Non è mai accaduto, e non può accadere, ailiberi sindacati dei lavoratori, di avere interessi contrari aquelli della collettività nazionale, com’è invece accaduto –e può sempre accadere – a determinati tipi di associazionipadronali (trust, cartelli, intese, ecc.) i quali sono notoria-mente giunti a limitare di proposito la produzione – ed an-che a distruggerne notevoli quantità – per mantenere ele-vati i prezzi, allorquando i prezzi elevati, piuttosto che lamassa dei prodotti vendibili, assicurano agli interessatimaggiori profitti, con danno evidente della maggioranzadella popolazione e della Nazione.

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La politica municipale dei comunisti Non è a caso che dal nuovo grande partito del popolo, dalPartito comunista nella sua compiuta visione democratica eprogressiva, parte l'iniziativa per una più profonda democra-tizzazione della vita pubblica anche locale. Ma sarebbe il piùfunesto degli errori ritenere che la funzione dei comunisti siasemplicemente di lottare sul terreno propagandistico o suquello legislativo per l'autonomia amministrativa degli entilocali, e che in attesa di conquistare tale obbiettivo altro nonsia possibile fare che dell'ordinaria amministrazione. Le dif-ficoltà, lo sappiamo bene per esperienza, sono grandissime,ma non bisogna lasciarsi arrestare da esse. Funzione del Par-tito comunista è precisamente di aiutare le masse popolari asuperare le difficoltà che esse incontrano nella loro dura vitadi ogni giorno. Bisogna sforzarsi di tradurre in atto una pub-blica amministrazione costruttiva nell'interesse del popolo.E se per questa strada incontreremo, come certamente incon-treremo, degli ostacoli, ciò renderà più concreta agli occhidelle popolazioni che cosa è quell'auspicata autonomia am-ministrativa che, presentata in termini generici, riesce spessopoco comprensibile alle masse popolari; ciò che non potrànon aiutare l'azione che sarà necessario svolgere per raggiun-gere quegli obbiettivi per i quali l'unità di tutto il popolo è giàfatta. Funzione essenziale che noi riconosciamo alle ammini-strazioni comunali popolari dirette da comunisti è di agirenel senso di avviare alla più rapida soluzione possibile alcuniproblemi essenziali. Un buon sindaco può aumentare il pre-stigio del Partito comunista: un sindaco che si allontani dal-l’animo del popolo può gravemente comprometterlo. Il lega-me e l'accordo fra gli organi dirigenti locali del Partito ed icompagni amministratori dev'essere stretto e permanente.Gli amministratori sono tenuti a rendere conte al Partito delloro operato, mentre debbono avere massimo rispetto per gliorgani che li hanno eletti, per gli organismi rappresentatividei lavoratori. Rendere conto del proprio operato, chiederel’ausilio e il consiglio degli elettori è una delle caratteristichedell’amministratore comunista che è popolo in mezzo al po-

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polo. E per questa via esso farà appello alle immense energieche sono latenti nel popolo e bisogna saper sprigionare, or-ganizzando in forme molteplici la collaborazione degli ope-rai e dei tecnici, degli intellettuali e dei contadini con coloroche in questo momento hanno la grande responsabilità e ilnon indifferente peso di reggere le pubbliche amministrazio-ni.

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Studiare di più per lavorare meglioPopolarizzare la dottrina marxista tra le masse lavoratriciPer avere un orientamento politico giusto e lavorare beneè necessario il possesso sempre migliore della nostra ideo-logia, è necessaria la dimestichezza con i nostri classici,con le opere dei grandi che hanno fondato il nostro movi-mento e l’hanno diretto attraverso le lotte che noi sappia-mo, con le opere dei Marx, di Engels, di Lenin, di Stalin. So-lo questa dimestichezza con le opere dei nostri classiciconsente di raggiungere quella molteplicità di visione rea-listica, quella profondità di indagine e quella semplicità diconclusioni e della esposizione che sono caratteristichedel marxismo. Anche in questo campo, anzi, forse in que-sto campo più che in altri credo che si possa essere soddi-sfatti della situazione. Pubblicazioni ne abbiamo fatte mol-te. I compagni a cui era affidato questo compito lo hannoadempiuto. I nostri classici li abbiamo tutti o quasi tutti.Ma come vengono utilizzati questi libri? Pubblichiamo del-le riviste. Ma come sono anch’esse utilizzate? Quanti leleggono, quanti le studiano dei nostri dirigenti, dei nostriquadri, dei nostri militanti? Abbiamo le scuole che funzio-nano continuamente, attraverso le quali passano centinaiae centinaia di lavoratori; ma il capitale di nozioni che essiaccumulano in questa scuole come viene messo a profitto?Sono questioni cui è difficile dare una risposta soddisfa-cente; è un campo nel quale i progressi da fare sono molti.Un richiamo particolare vorrei rivolger anche ai dirigentipiù qualificati del partito. Nella società italiana vi è stata alungo una lacuna di cui la classe operaia, i lavoratori han-no sofferto, la lacuna di un partito marxista di operai e la-voratori.Oggi questa lacuna l’abbiamo per gran parte col-mata. Ma nella cultura italiana e nello stesso movimentopolitico della classe operaia è ancora da colmare la lacunadella cultura marxista, cioè di un possesso adeguato deglielementi fondamentali della nostra dottrina. Vi sono pro-blemi di tattica, di strategia, di analisi delle situazioni po-litiche e delle strutture economiche, vi sono problemi di

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storia e di politica che richiedono di essere trattate da uo-mini che sono alla testa del nostro partito, che abbianouna esperienza e una preparazione culturale e politicamarxista sufficienti. Vi è un ampio terreno di popolarizza-zione della nostra dottrina tra le masse lavoratrici e fuorida esse, nel mondo della cultura in generale, sul quale nonavanziamo come potremmo. Vi è forse una timidezza ec-cessiva che trattiene i nostri compagni: forse questa timi-dezza deriva dal fatto che spesso prevalgono, nei dibattiticulturali, i temi letterari, artistici, filosofici, dove è più dif-ficile muoversi; ma i temi della natura che sopra ho indica-to sono altrettanto e volte anche più importanti. Vi sononelle nostre file uomini che in questo campo possono darecontributi seri, di fronte ai quali anche la cultura borghesenon potrà manifestare che rispetto. Abbiamo avanzatomolto nel campo del lavoro culturale; nessuno più oggi osaripetere, se non vuole essere ritenuto proprio uno zotico,la tesi ingenua che il marxismo sarebbe morto.

Un figlio degli Agnelli sarà sempre un Agnelli Del tutto disperata, sul terreno di un serio dibattito politi-co e ideale, mi sembra ormai la situazione di coloro che sipropongono di dimostrare che il nostro partito – il partitocomunista – è quel nemico della democrazia e della libertàdal quale bisognerebbe proteggere e salvare l’attuale ordi-namento politico, perché ne sarebbe il nemico principale.Nella storia ormai non breve della nostra esistenza – dico-no che siamo così vecchi! – se davvero fossimo nemici del-la democrazia e della libertà, un atto, un atto solo che po-tesse venire portato a sostegno di quest’accusa dovrebbepur trovarsi. E invece non lo si trova! Per cui sono costrettia dire che siamo antidemocratici e antiliberali perché nonsiamo d’accordo con loro, il che, veramente, è troppo pocoe può anche essere la prova che proprio noi, e non coloroche ci combattono, siamo gli amici della democrazia- Lacontroversia di natura filosofica, circa l’affermazione chela storia sia sempre storia della libertà e circa il modo d’in-

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tendere questa tesi, fondamentale per l’idealismo di Bene-detto Croce e di Giovanni Gentile, non è cosa nuova, pernoi. Nessuno è libero, in una società divisa in classi, di sce-gliere la classe cui appartiene. Il figlio di Giovanni Agnelliè “un Agnelli”, cioè un grande industriale monopolista,non appena apre gli occhi alla luce. Il figlio del proletariosarà proletario: lo può far uscire da questa condizione, invia di eccezione, uno straordinario e fortunato sforzo in-dividuale, in via di sviluppo storico, un’azione rivoluziona-ria che crei una società senza classi. E a produrre que-st’azione, momenti personali e collettivi di progresso dellacoscienza e dell’azione e momenti di evoluzione oggettivacontribuiscono e s’intrecciano, in quel processo di azionee reazione che è il tessuto della storia, è così per quanto ri-guarda l’ordinamento degli Stati, la democrazia, le sue for-me e i suoi sviluppi. In questo grande quadro la libertà nonè e non può essere il “primo”, perché è sempre, invece, unascelta, una aspirazione, una conquista dell’uomo nella lot-ta contro le forze della natura, da un lato, dall’altro latocontro gli ordinamenti economici e sociali dai quali scatu-risce la costrizione, il freno, la tendenza a impedire l’avan-zata di tutti gli uomini verso la libertà, nell’interesse di co-loro che in quel momento si collocano alla sommità dellascala sociale e del potere e vogliono tener soggetti tutti glialtri. La libertà, per gli uomini, esisterà soltanto quandoquesta costrizione sarà stata superata completamente,cioè in una società di liberi e di eguali, in una società socia-lista e comunista. L’alienazione del lavoratore e dell’uomonon può aver fine se non sulla base.

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I ComunistiI comunisti non sono uomini straordinari. Chiunque com-batta con devozione per emancipare gli uomini da tuttele forme di sfruttamento e di oppressione e per garantireuna vita felice al popolo intero, può divenire comunista.A maggior ragione, in una società in cui il popolo è padro-ne del paese e della società, non è così difficile diventarecomunisti. Chiunque combatta risolutamente l’ideologiacaduca e faccia sforzi sinceri per armarsi dell’ideologiadel nostro partito, può divenire comunista. Soprattuttonon vi è il minimo dubbio che voi insegnanti che siete sta-ti costantemente educati dal nostro partito fin dalla libe-razione e che avete fatto sforzi instancabili per applicarela linea del partito, voi creerete degli eccellenti comunisti.Io credo fermamente che voi diventerete tutti senza ecce-zione degli eccellenti insegnanti comunisti armati del-l’ideologia rossa del nostro partito. Qualche parola a pro-posito dell’educazione comunista dei ragazzi e dei giova-ni. Molti considerano l’educazione comunista come qual-che cosa di misterioso e, nel passato, la si credeva prati-camente impossibile. Ma essendoci cimentati nei fatti contali problemi e intrapreso praticamente e attivamentequesto lavoro, ci siamo resi conto che l’educazione comu-nista non ha nulla di misterioso. Noi abbiamo già ottenu-to dei grandi successi in questo campo e accumulato ric-che esperienze. Secondo la nostra esperienza, la cosa piùimportante nell’educazione comunista dei giovani e deiragazzi è coltivare in loro l’amore per il popolo, i compa-gni, l’organizzazione e la collettività. Nella società capita-listica gli individui sono in lotta continua tra di loro, sicombattano per ostacolare l’avversario allo scopo di con-durre da soli una vita di abbondanza, ma nella società co-munista, tutti possono avere una vita agiata. Se noi co-struiamo il comunismo non è perché qualche individuopossa condurre una vita nella opulenza, ma perché tuttilavorino e possano gioire di una vita felice. Nella societàcomunista, la gente ha interessi e scopi comuni e allaccia-

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no tra loro rapporti di cameratismo. Nella società comu-nista tutti costituiscono una grande famiglia armoniosa ecoerente, unita e che divide gioie e pene sotto lo slogan<< Uno per tutti, tutti per uno >>. In questa società nonc’è posto per l’egoismo che persegue soltanto il soddisfa-cimento e la gloria individuali. Con questo spirito egoistanon si può costruire una società comunista né vivere nelsuo seno. Per diventare comunisti occorre sbarazzarsidell’egoismo e sapere amare l’uomo. Occorre amare i pro-pri fratelli e i propri genitori a casa, amare i maestri e icompagni a scuola e, entrando nella società, occorre sa-pere amare tutti i lavoratori. Noi dobbiamo educare la no-stra giovane generazione in modo che essa prenda questaabitudine sin dall’infanzia. Solo colui che sa amare gli al-tri può gioire dell’amore altrui e condurre una vita armo-niosa nella collettività.

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Progresso scientifico e progresso civileIl marxismo non condivide le posizioni luddiste; le ha com-battute. Ma non accetta neppure questa ideologia della scien-za e della tecnica secondo cui esse possono risolvere tutti iproblemi. I problemi sono in primo luogo problemi di ordinesociale, riguardano l'organizzazione della società, la lotta trale classi. Non va attribuita alla scienza e alla tecnologia alcu-na potenza magica; vanno trattate come tutti gli altri fattoridella società, cioè con un esame delle forze che le determina-no e che se ne servono, degli interessi economici che vi sonointrecciati. Né alla scienza né alla tecnologia, in quanto tali,in quanto attività sociali umane, noi possiamo attribuire leresponsabilità delle catastrofi, ma ai rapporti sociali concretientro i quali, in un determinato momento, vengono a svilup-parsi e ad esplicare i loro effetti. Possiamo certamente partiredal marxismo per esaminare queste questioni, ma tenendoconto che la situazione di oggi non è quella di allora, non sipuò accusare Marx di non essere stato un profeta. I profeti la-sciamoli alle religioni. Marx ha esaminato scientificamente,con molto rigore, la situazione dell'industria e dell'economiadella sua epoca. Lo stesso Lenin aveva compreso la portatadel problema e aveva cercato – malgrado l'arretratezza russa– di impostare anche dal lato teorico il problema dei rapportitra progresso scientifico e progresso civile, con opere esem-plari. Ma in Italia opere come Materialismo ed empiriocritici-smo sono del tutto ignorate, quando non si giunge a dire chesi tratta di opere minori, di scarso valore. Ci sono due ragioni,a mio modo di vedere. La prima è che nella nostra società re-sta dominante la borghesia, il capitale, e quindi ciò condizio-na il formarsi dell'ideologia degli scienziati e 1'uso dellascienza; di riflesso anche il movimento operaio assorbe que-sti punti di vista su queste questioni. La seconda è l'ignoran-za. Anche nelle file della sinistra italiana troppo spesso percultura si intende solo quella letteraria-umanistica, con unaattenzione marginale a quella scientifica. Lo stesso Gramscinon aveva capito l'importanza della cultura scientifica e an-che il PCI ha continuato a privilegiare, anche nel secondo do-

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poguerra, un tipo di cultura del tutto indifferente a quellascientifico-tecnica. Ormai il PCI si guarda bene dal voler “su-perare” il capitalismo. Si accontenta di migliorarlo un po'. Siadatta a viverci dentro. In una situazione del genere è chiaroche il capitalismo ha ragione di dire “sono io il progresso”.Credo invece che sia necessario un ritorno a Marx, ai testi diMarx, questa resta una tappa fondamentale senza la qualenon si può capire lo sviluppo successivo e non si può fare larivoluzione oggi.

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La scuola e l’uomo nuovoI più concordano nel ritenere che nella scuola media unica ilprofitto non debba consistere in una somma di cognizioni,ma in un complesso esercizio mentale ed in un esperimentodi capacità; alcuni ritengono che insieme alla matematica, illatino, cioè lo studio grammaticale della morfologia e dellasintassi della proposizione, sia la disciplina adatta per questoesercizio e per questo esperimento, altri ritengono invece chelo studio del latino sia tempo perduto. Io non sono d'accordocon questi ultimi, e vorrei essere ignorantissimo di latino perpoter sostenere senza sospetto quella che ritengo la buonacausa. La difesa maggiore del latino consiste nella domandastessa che fanno isuoi avversari: a che cosa serve il latino?Appunto, non serve a niente di concreto, di visibilmente utile,non serve a dare vesti né cibo, non serve a far vedere come ècongegnata una macchina, come funziona, come si guasta,come si ripara; non serve né all'economia privata né all'eco-nomia pubblica; serve soltanto all'esercizio, all'applicazionementale sulla grammatica di una lingua che si studia con l'oc-chio soltanto e non con l'occhio e con l'orecchio. E non si puòfare questo studio sulla lingua italiana? domandano; no, ri-spondeva Antonio Gramsci. Il latino si studia - egli diceva - sianalizza nei suoi membretti come una cosa morta; ma ognianalisi fatta da un fanciullo non può essere che su cosa mor-ta. La lingua italiana il fanciullo la sente parlare variamente,dai suoi genitori, dalle persone della casa, della strada, dellascuola, frammischiata, corrotta, alterata se non è in paese diToscana; e se anche è in paese di Toscana essa giunge al suoorecchio con varietà di suoni, di accenti, di termini, di locu-zioni, di nessi secondo la persona che la parla. La lingua lati-na non la parla nessuno, non la si ascolta da nessuno, vivenelle pagine mute della sua grammatica, dei suoi libri dianeddoti, di sentenze, di favole con la immobile certezza del-le sue forme. Ma, si dice, non si potrebbe fare questo studiosulla lingua francese? Ma, rispondeva Antonio Gramsci, unalingua viva può essere conosciuta e basterebbe che un fan-ciullo solo la conoscesse perché l'incanto fosse rotto e tutti

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accorrerebbero alla scuola media per impararla più presto eforse anche meglio; e voi sapete che quando si vuole giustifi-care la scarsa o la cattiva conoscenza di una lingua viva si di-ce di averla studiata nella scuola. "Ma il latino è difficile e fa-ticoso"; senza dubbio, appunto perché esso impone un con-tinuo controllo allo scolaro il quale non può andare avanti seha dimenticato quello che ha prima imparato. Ma la difficol-tà, la noia, la fatica sono alla base di ogni sentiero che portaverso l'alto. Non parlo, compagni, per amore del latino; comeho già detto in precedenza se io fossi sicuro che il giuoco de-gli scacchi potesse portare a uguali risultati, opterei per ilgiuoco degli scacchi. Stiamo attenti, compagni; le grandi ca-tastrofi come quella che ha colpito l'Italia e l'Europa, le grandicatastrofi tendono a portare in basso l'umanità; facciamo inmodo di non aiutarla questa discesa che oggi sarebbe un pre-cipizio. Oggi c'è chi crede che siamo ad una nuova epoca dicultura; io direi in un nuovo ciclo di civiltà (civiltà è il terminepreciso, giusto, che nel suo rapporto ha adoperato il compa-gno Togliatti). Il progresso miracoloso della tecnica neglistrumenti di lavoro e di produzione ha enormemente abbre-viato il limite di trapasso dalla civiltà capitalistica verso lanuova civiltà socialistica; un trapasso che porterà un nuovoordine giuridico e morale del mondo. Ma civiltà diversa nonvuol dire umanità diversa e non vuol dire cultura diversa. Noistiamo subendo l'abbaglio della tecnica e l'incanto del moto-re; c'è chi crede che il mondo sia tutto trasformato e rimutatodalla tecnica solo perché il motore domina nel meccanismoesterore della nostra esistenza, perché le distanze sono enor-memente abbreviate e quasi scomparse, perché la terra è rim-picciolita ai sensi dei mortali, perché poderose braccia metal-liche sono mosse in un crescente vortice di produzione daesili dita, dalle piccole braccia dell'uomo esperto; ma que-st'uomo esperto, quest'uomo mortale, questa cosa da nulla,come diceva di Ulisse il ciclope Polifemo, resta il massimo mi-racolo della terra non solo attraverso le scoperte della mec-canica e della fisica, ma anche e più attraverso l'attività e lecreazioni dell'intelletto e dello spirito. Ho sentito dire che la

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scuola deve formare l'uomo moderno; io non so che cosa siaquest'uomo moderno. La scuola deve formare l'uomo capacedi guardare dentro di sé e attorno a sé; a formare l'uomo mo-derno provvederanno i tempi in cui egli è nato. Ogni uomo èmoderno nell'epoca in cui vive.

Il latino nella scuola e la questione del latinoDurante il quinto congresso del Partito comunista un miobreve discorso, il quale suscitò rumore di molti applausi e ta-citurnità di molti dissensi mi fece apparire ostinato paladinodell'insegnamento della lingua latina in tutte le scuole d'Ita-lia, escluse le elementari. E naturalmente mi si imputò di vo-lere imporre una cultura umanistica a ragazzi e bimbette didodici anni. In realtà non ho mai gravato l'anima mia di cosìnero peccato. Allora intendevo soltanto proporre la gramma-tica di una lingua morta quale strumento più adatto che quel-la di una lingua viva alla formazione mentale dell'alunno. Laesperienza di non pochi anni ci dice che è questo un prono-stico fallito; che lo studio grammaticale del latino nella scuo-la media unica è un inutile tormento e perciò un insensatoperditempo. M'inchino alla evidenza: e recito il mio atto dicontrizione. Si escluda il latino dalla scuola media unica, magli si dia reverente ospitalità nelle scuole dove si forma e siprecisa la cultura, il gusto, l'abito intellettuale di quanti nellavita sentiranno bisogno di estendere l'attività del proprio spi-rito oltre i limiti più o meno angusti di una specifica attivitàquotidiana: né solo per uno svago voluttuario delle ore ozio-se, ma perché tutte le ore della vita sentano il beneficio di unaspaziosa educazione mentale. La cultura umanistica giova atutti; il giorno in cui decadesse sarebbe notte nel mondo.L'elettricità percorre ormai tutta la terra; dà moto e luce; creanuove energie fisiche; ha tolto l'uomo dalla solitudine, dallaoscurità, dai riposi umiliati e accasciati e lo ha sospinto versole gioiose distrazioni dì cui ha bisogno la fatica per essere piùfruttuosamente ripresa. Ma c'è nella nostra esistenza qualco-sa che non sazia e non stanca mai; di cui non ci rendiamoconto come ci si rende conto di un meccanismo, a cui non

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sappiamo dare il nome perché il nome varia da un libro a unquadro a un suono. È una cosa che ci fa dimenticare ogni al-tra cosa e ci dà una luce che illumina dentro e assicura, talo-ra, l'istante inatteso di felicità. Questo si deve a quella scienzache si fa arte e si fa vita; si deve a quella cultura umanisticache fuori della scuola ha bisogno di dilatarsi liberamente enella scuola di raccogliersi e profondamente operare. Lo stu-dio del latino c'è sempre stato nelle scuole italiane: nel gin-nasio prima, fin dalla prima classe, nella scuola media unica,dopo. Il latino, si dice, ha fatto cattiva prova: è un peso mor-to, senza compensi. Colpa degli scolari, delle famiglie, deimaestri, dei regolamenti scolastici? I regolamenti non c'en-trano. La scuola dipende da colui che vi insegna. Oltre e soprail regolamento, qualunque esso sia, c'è il maestro. Il fastidioo il gradimento, l'interesse o la noia, l'equilibrio o il disordinedipendono da lui, dall'uomo che insegna. Si può ridurre il pa-ne al maestro, si può levargli anche la libertà, ma non la fa-coltà di penetrare nell'animo dell'alunno e richiamarlo alla lu-ce e alla gioia della conoscenza. Gli si lasci soltanto in manoil catechismo e ne farà uno strumento di scienza e di nobiltàumana se non è un pitocco o un servo. A quattordici anni sipuò imparare una lingua viva. La lingua morta ha bisogno dipenetrare lentamente nella curiosità, nell'interesse, nell'ap-plicazione mentale dello scolaro: deve essere assorbita conun processo conoscitivo calmo e conciliante, attraverso i fat-ti, le parole, gli scritti dei grandi personaggi dell'antichità: iquali sono anche i personaggi antichi della nostra storia, sic-come quella lingua morta è la nostra stessa lingua quale siparlava e si scriveva allora. Stiamo attenti. Non uccidiamo illatino. Da quanto ho detto non pochi compagni di elevatacultura dissentiranno; ma so che degli operai molti concor-dano con me: e non me ne stupisco, perché proprio di là, dalcampo operaio, nasce l'aspirazione verso una maggiore ric-chezza nel mondo interiore dello spirito umano.

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La culturaOgni vita, anche la più umile, ha i suoi momenti salienti, chesembrano condensarne tutto il significato. Nella mia vita mipare di poter indicare due momenti siffatti, legati fra di loroda una singolare corrispondenza e affinità di circostanze, diatteggiamenti, di esiti: gli anni del primo dopoguerra, fra il’18 e il ’24, che sono anche quelli della prima formazionegiovanile, e gli altri a cavallo della seconda guerra mondiale,fra il ’38 e il ’50, che corrispondono alla piena maturità dellavita e delle opere: la appassionata partecipazione al movi-mento culturale torinese della «Rivoluzione liberale» e del«Baretti», e poi l’incontro di me non più giovane con i giova-ni antifascisti della Facoltà di Lettere romana, che sarebberostati al centro della resistenza e della lotta politica succes-siva alla liberazione. Due momenti a cui si legano le più fortiamicizie, da Gobetti a Levi, da Fubini ad Alberti, da Antoni-celli a Debenedetti, e più tardi da Alicata a Salinari […], e an-che le punte più intense, forse le più fruttuose, del mio la-voro. Due momenti di fervida, animosa speranza, cui dove-va presto seguire una fase di frustrazione, di sconfitta, di pi-gra disperazione. Quel che conta è, in entrambi, il concorre-re della passione politica e della passione culturale, anzi illoro coincidere in una sola lotta, nell’estrema difesa, sul ter-reno politico e in funzione di un rinnovamento totale dellacondizione umana, di una tradizione culturale sentita intutta la sua vitalità, benché minacciata dalla ricorrente bar-barie. La mia generazione s’è trovata fin dal principio impe-gnata in questa difficile, ma oscura, battaglia. Non ci siamomai sentiti importanti, non c’è mai passato per la testa diconsiderarci maestri, tutt’al più artigiani abbastanza espertinel loro mestiere; non abbiamo mai creduto di lavorare furewig, ma solo di fornire prodotti di utilità immediata e limi-tata nel tempo; subito abbiamo avvertito che l’edificio dellacultura, in cui eravamo stati educati e alla quale eravamo in-dissolubilmente legati, era minacciato, era già incrinato etoccato dai segni di una crisi che andava paurosamente cre-scendo. A noi è toccato in sorte il compito di difendere, co-

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me meglio potevamo, questa cultura, che è poi la sola cheesista, è tutta la tradizione culturale, che può sempre esseretrasformata e arricchita, ma non mai impunemente gettatavia. Abbiamo lottato come sapevamo, probabilmente malee con scarso frutto; e perciò non abbiamo un’eredità da tra-mandare. Che cosa potremmo dire ai più giovani amici, chesono poi quelli che ci stanno più a cuore? Quel patrimoniodi umanità e di cultura, che era stato un gran fuoco, già ainostri tempi stava diventando una fiaccola dalla luce incertae esposta alla furia dei venti; oggi è diventato un lumicinoche ad ogni momento sembra sul punto di spengersi. Noiche non abbiamo messaggi da lasciare ai nipoti, solo questopotremmo forse dire: fate in modo che questo lumicino nonsi spenga del tutto.

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La letteratura proletariaL’elevamento del benessere materiale delle masse, che si èavuto negli ultimi tempi grazie al rivolgimento spiritualeprodotto dalla rivoluzione, al rafforzamento dell’attività dimassa, al gigantesco ampliamento dell’orizzonte, determi-na una crescita enorme dei bisogni culturali. Siamo entratiquindi nella fase della rivoluzione culturale, premessa delmovimento ulteriore verso la società comunista. Parte diquesta crescita culturale di massa è la crescita della nuovaletteratura proletaria e contadina. Nella società di classenon c’è e non ci può essere un’arte neutrale, anche se la na-tura di classe dell’arte in generale e della letteratura in par-ticolare si esprime in forme infinitamente più varie che non,ad esempio, nella politica. Il proletariato, mentre conserva,rafforza e amplia sempre più la propria direzione, deve oc-cupare una posizione corrispondente anche in tutta una se-rie di nuovi settori del fronte ideologico. Il processo di pe-netrazione del materialismo dialettico in sfere del tuttonuove (nella biologia, nella psicologia e nelle scienze natu-rali in genere) è già cominciato. La conquista delle posizioninel campo della letteratura prima o poi deve diventare, nel-lo stesso modo, un fatto. Bisogna ricordare, tuttavia, chequesto compito è infinitamente più complesso di tutti gli al-tri compiti risolti dal proletariato, poiché già nell’ambitodella società capitalista la classe operaia può prepararsi allarivoluzione vittoriosa, costruirsi quadri militanti e dirigentie formarsi la splendida arma ideologica della lotta politica.Ma esso non poteva elaborare né problemi scientifici né tec-nici, così come, in quanto classe culturalmente oppressa,non poteva formare una propria letteratura, una propriaforma artistica, un proprio stile. Se il proletariato ha già inmano criteri infallibili di valutazione del contenuto politi-co-sociale di qualsiasi opera letteraria, esso non ha ancorarisposte altrettanto precise a tutti i problemi della forma ar-tistica. Nei riguardi degli scrittori proletari il partito deveoccupare questa posizione: pur aiutandone in ogni modo lacrescita e facendo tutto il possibile per sostenere loro e le

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loro organizzazioni, il partito deve prevenire in ogni modoil manifestarsi della boria comunista tra le loro file, in quan-to è il fenomeno più rovinoso. Proprio perché vede in essi ifuturi dirigenti ideali della letteratura sovietica, il partitodeve in ogni modo lottare contro ogni atteggiamento avven-tato e sprezzante verso il retaggio culturale del passato,nonché verso gli specialisti della parola poetica. Il partitodeve anche lottare contro i tentativi di creare una letteratu-ra “proletaria” puramente di serra; una vasta visione dei fe-nomeni in tutta la loro complessità, essere la letteraturanon di un reparto, ma della grande classe che lotta e guidamilioni di cittadini; questi devono essere gli orizzonti delcontenuto della letteratura proletaria. La critica marxistadeve porsi questa parola d’ordine: studiare, e deve respin-gere ogni produzione di scarto e ogni arbitraria elucubra-zione del proprio ambiente. Il partito deve quindi pronun-ciarsi a favore della libera competizione dei vari gruppi edelle varie correnti in questo campo. Ogni altra soluzionesarebbe una pseudosoluzione burocratica. Allo stesso mo-do è inammissibile il monopolio legalizzato con un decretoo una risoluzione di partito dell’attività editoriale da partedi un gruppo o di una organizzazione letteraria. Il partitodeve sradicare in ogni modo i tentativi di intervento ammi-nistrativo arbitrario e incomprensibile nell’attività lettera-ria. Il partito deve sottolineare la necessità di creare una let-teratura destinata a un lettore veramente di massa, operaioe contadino; bisogna porre fine con maggiore coraggio e de-cisione ai pregiudizi letterari signoreschi e, servendosi ditutti i risultati tecnici della vecchia arte, elaborare una for-ma adeguata, comprensibile alle vaste masse.

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La ricerca scientificaL’economia uccide la ricerca ignorando che la ricerca è“economia”. Di mese in mese, di anno in anno aumental’angoscia, l’amarezza, la sfiducia di coloro che, in Italia,dedicano la loro attività alla ricerca scientifica. La loro po-sizione diventa di giorno in giorno più difficile: preziose einsostituibili energie si logorano e si perdono in una lottasfibrante. Le Università, che sono tradizionalmente in Ita-lia il centro della ricerca scientifica, non garantiscono in al-cun modo a nessun ricercatore un minimo per vivere. Il la-voro, mal pagato o semi-gratuito, è massacrante. Non soloe non tanto per le lezioni e le esercitazioni, ma per gli esa-mi. Si può affermare senza esagerare che professori, assi-stenti e ricercatori di fisica, matematica, chimica, biologie,ecc. dedicano due o tre mesi all’anno agli esami universi-tari nei grandi centri. in ondate successive, migliaia di stu-denti da esaminare travolgono gli sparuti drappelli degliinsegnanti, interrompono per settimane ogni possibile at-tività di studio e di ricerca. I mezzi, com’è noto, sono poiassolutamente insufficienti. Nei laboratori e negli Istitutiil ricercatore deve fare tutto da sé, con mezzi di fortuna:deve essere elettricista e meccanico, calcolatore e uomo difatica. “Dove andremo a finire?” è la domanda angosciosa,assillante, sempre più angosciosa, sempre più assillanteche ogni giorno si ripete chi si dedica alla ricerca scientifi-ca. La scienza italiana va alla deriva: se non si provvede su-bito, l’Italia decadrà rapidamente fino diventare una nazio-ne di secondo o di terzo piano dal punto di vista scientifi-co. Non è ancora così, perché tenacemente, direi eroica-mente, gruppi di scienziati di valore tengono duro, proce-dono; ma, lasciati ancora così e senza aiuto, non potrannoresistere a lungo. seguiranno la via di Fermi e di Rosetti, diOcchialini e di Segre e di Pontecorvo e di Rossi, di Wick edi Persico e dei tanti meno famosi e più giovani scienziatiitaliani che non hanno saputo resistere: andranno in Ame-rica. Per non intristire nella miseria e nell’isolamento, pernon restare alla retroguardia della scienza.

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APPENDICE

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Giuseppe Di VittorioBracciante poverissimo e autodidatta (Cerignola 1892-1957)partecipò all’esperienza del sindacalismo rivoluzionario e aderìall’USI (l’Unione Sindacale Italiana, nata nel 1912 dalla scissionecon la CGdL riformista), ricoprendone dal 1913 la carica dimembro del Comitato Centrale. Scoppiata la Grande Guerra,condivise le motivazioni degli interventisti e partì come volon-tario per il fronte, da dove sarebbe tornato gravemente ferito.Nel 1921 venne eletto deputato come indipendente nelle listedel PSI. Influenzato dall’esperienza della rivoluzione bolscevicain Russia aderì al Partito Comunista d’Italia. Con l’avvento delfascismo nel 1926 venne condannato a dodici anni di carceredal Tribunale Speciale; costretto a riparare in Francia, diventòuno dei principali organizzatori della lotta di resistenza antifa-scista, dapprima come membro del Comitato Centrale del Par-tito Comunista e quindi come responsabile della CGdL clande-stina, di orientamento comunista. Combatté nelle file delle Bri-gate Internazionali durante la guerra civile spagnola. Arrestatodalla Gestapo il 10 febbraio 1941 fu mandato al confino a Ven-totene, dove rimase fino alla caduta di Mussolini nel luglio 1943.Fu tra i protagonisti della rinascita del sindacato libero e demo-cratico in Italia; insieme a Grandi e Canevari fu uno dei firmataridel Patto di Roma (9 giugno 1944), l’atto ricostituivo della CGIL.Tra il 1944 e il 1948 ricoprì la carica di Segretario Generale dellaCGIL unitaria, partecipando alla elaborazione della Costituzionerepubblicana in qualità di Deputato dell’Assemblea Costituente.Mantenne la guida della nuova CGIL anche dopo le scissioni del1948-1950. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta fu Presidente del-la FSM, la Federazione Sindacale Mondiale, nonché Deputato dal1948 al 1957. Tra i suoi atti principali alla guida della CGIL va-ricordata la prima proposta di uno Statuto dei diritti dei lavo-ratori, lanciata al Congresso di Napoli del 1952.

Giuseppe Dozza(Bologna, 1901–1974) è stato un politico italiano, sindaco di Bo-logna per 21 anni dal 1945 al 1966. Nato in una famiglia econo-micamente modesta, aderisce al Partito Comunista Italiano fin

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dalla sua fondazione (1921). Nel 1923 è segretario della Federa-zione Giovanile Comunista. La sua attività antifascista gli coste-rà la condanna all'esilio, che egli sconterà prima in Francia e poiin Unione Sovietica, dove conoscerà per la prima volta PalmiroTogliatti. Tornerà in Italia clandestinamente nel 1943 conl'obiettivo di organizzare la Resistenza partigiana nell'Emilia-Romagna. Poco dopo la conclusione del secondo conflitto mon-diale l'esercito anglo-americano gli affida la carica di sindaco diBologna che egli conserverà fino al 2 aprile 1966. Venne sopran-nominato "Il sindaco della ricostruzione" perché al momentodell'insediamento della sua giunta comunale il territorio di Bo-logna era distrutto per il 70%. Si impegnò quindi in un'opera diricostruzione edilizia e, quando i suoi incarichi municipali fini-rono, la città emiliana era diventata una delle meglio organizza-te della penisola. La maggioranza dei servizi realizzati duranteil suo governo (asili, rifornimenti di acqua, trasporti pubblici,scuole ed ospedali) furono resi pubblici. Eletto nel 1947 all'As-semblea Costituente fu tra i principali estensori della parte de-dicata alle Autonomie Locali delle quali sostenne il ruolo fonda-mentale per la costruzione di uno Stato realmente democraticoe decentrato.

Ludovico GeymonatNato a Barge nel 1908 e morto a Rho nel 1991 è stato uno deimaggiori protagonisti della scena filosofica italiana del Nove-cento. Antifascista e partigiano, coniugò lungo tutto il corso del-la sua esistenza alla passione politica e l'impegno intellettuale,puntando all'elaborazione di un razionalismo critico che fossein grado di aiutare gli uomini di fronte ai problemi filosofici,scientifici e civili del mondo contemporaneo. Filosofo dellascienza, studioso di logica matematica, storico del pensieroscientifico e filosofico, si batté per il riconoscimento accademi-co di queste discipline e per la diffusione di una vasta culturascientifica: a lui fu assegnata nel 1956 presso l'Università di Mi-lano la prima cattedra italiana di filosofia della scienza. Duranteil ventennio, avendo rifiutato di iscriversi al PNF, gli fu preclusala carriera accademica; si mantenne insegnando in scuole pri-

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vate. Nel 1942 aderì al Partito comunista clandestino e, dopol'armistizio, con il nome di copertura di "Luca Ghersi", divennecommissario politico della 55ma Brigata "Carlo Pisacane", ope-rante nella valle del Po. Dopo la Liberazione fu capo redattoredell'edizione piemontese de l'Unità, assessore al Comune di To-rino e intraprese l'insegnamento universitario. Storica fu la vi-vace polemica con Concetto Marchesi fermo sostenitore deglistudi umanistici nel PCI nel quale ambedue militavano. Sosteni-tore dell’URSS fu tuttavia tra i primi a recepire la grande novitàdella rivoluzione culturale cinese approfondendo in un saggiol’importanza del pensiero filosofico dei Mao. Negli ultimi annidella sua vita lasciò il PCI e aderì, infine, al Partito della Rifonda-zione Comunista. Fu un grande divulgatore della storia della fi-losofia e molto diffuso fu nei Licei il suo manuale Storia del pen-siero filosofico e scientifico.

Concetto MarchesiE’ stato uno dei più grandi latinisti della nostra storia. Socialistaall’età di 15 anni, partecipò alla fondazione del Partito Comuni-sta d’Italia nel 1921 e ne face parte prima in clandestinità e poi,dopo la caduta del fascismo, come membro della AssembleaCostituente e del Parlamento. Fece parte del Comitato Centraledel PCI fino alla morte. Infiltrato dal Partito durante il fascismonel sistema scolastico universitario, fu Magnifico Rettore del-l’Università di Padova già durante la Repubblica di Salò e, nelfrattempo, tra i fondatori del Comitato di Liberazione NazionaleAlta Italia. Venne accusato di essere il mandante morale del-l’esecuzione del filodofo Giovanni Gentile, accusa che il PCI re-spinse sempre, senza però condannare gli autori della esecuzio-ne di una delle figure più nefaste della pseudo cultura fascista.E’ sua l’ultima stesura nella migliore lingua italiana del testo del-la Costituzione repubblicana prima della approvazione.

Lucio Lombardo RadiceNacque a Catania il 10 luglio 1916. Nel 1934 si iscrisse al corsodi laurea in matematica dove studiò con Guido Castelnuovo eFederico Enriques laureandosi nel 1938. È in questi anni che ini-

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ziò a maturare la sua formazione politica e iniziò la frequenta-zione di quel gruppo di giovani che sarebbe diventato il nucleodel Partito comunista romano durante la Resistenza. Nel lugliodel 1938 si iscrive al PCIdI. Nel 1939, dopo essere risultato ido-neo a un concorso di matematiche complementari, iniziò a la-vorare come assistente di Enrico Bompiani alla cattedra di geo-metria analitica ma venne arrestato e condannato a quattro anniche scontò solo in parte. Venne infatti liberato nel dicembre1941 in seguito ad un condono e riprese l'attività antifascistaimpegnandosi ad allargare il fronte cospirativo in direzione dialtri gruppi di area liberal-socialista e cattolico-comunista. Nel-l’aprile 1943 venne arrestato nuovamente e rimase in carcere fi-no a dopo il 25 luglio. Redattore de «l'Unita» nel 1944, divennepoi funzionario della sezione agitazione e propaganda. Dopola Liberazione assunse alcuni incarichi di partito, dedicandosisuccessivamente alla carriera universitaria. Nel 1951 ottenne lalibera docenza in analisi algebrica ed infinitesimale lavorandocontemporaneamente a metà tempo nella scuola centrale deiquadri di partito, tra il 1947 e il 1948 diresse la commissionescuola. Membro attivo del Tribunale Russell per i diritti dell'uo-mo dal 1976, morì il 21 novembre 1982 a Bruxelles mentre par-tecipava ai lavori della II conferenza per il disarmo.

Umberto TerraciniNacque a Genova 27 luglio 1895 e morì a Roma il 6 dicembre1983 all’età di 88 anni. Di origine ebrea frequentò la scuolaebraica ma non ne accettò mai la religione. Si avvicinò alla poli-tica durante gli studi liceali a Torino, dove conobbe Angelo Ta-sca, divenendo socialista. Allo scoppio del prima guerra mon-diale fece propaganda contro la partecipazione dell’Italia allaguerra e venne arrestato per la prima volta e poi mandato alfronte. Al ritorno dalla guerra a Torino conobbe Gramsci e To-gliatti con i quali fondò il giornale operaista “L’Ordine Nuovo”,partecipando attivamente alla rivolta del biennio rosso torinese.Nel 1921, al Congresso di Livorno, uscì dal Partito Socialista, perfondare con gli “ordinovisti” di Torino, gli “astensionisti” di Bor-diga e i “massimalisti” di Marabini e Graziadei il Partito Comu-

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nista d’Italia sezione della Terza Internazionale comunista, en-trando a far parte del primo esecutivo ristretto. Eletto deputatonel 1922 e nel 1924, a seguito della vittoria fascista nel 1926 fuarrestato e condannato dal Tribunale Speciale (con AntonioGramsci e Giovanni Roveda) a 22 anni e 9 mesi di carcere. Dopoaverne scontati 11 a Roma, nel 1937 venne spedito al confinoprima a Ponza e poi a Santo Stefano, dove sarà liberato dai par-tigiani nel 1943, rifugiandosi in Svizzera per la sua duplice con-dizione di comunista ed ebreo. Tornerà in Italia l’anno succes-sivo per far parte degli organismi dirigenti della Repubblica li-bera partigiana dell’Ossola. Eletto deputato nell'Assemblea Co-stituente nel 1946, ne divenne Presidente e fu lui a firmare laCostituzione italiana insieme al Capo dello Stato Enrico De Ni-cola e al Presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi.Venne ripetutamente eletto alla Camera dei Deputati e per duevolte fu candidato alla presidenza della Repubblica. Fu un co-munista “atipico” riuscendo sempre a coniugare il suo indoma-bile spirito di critica e di indipendenza con la disciplina del Par-tito dal quale non si allontanò mai. Restano memorabili nellastoria del congresso dell’Internazionale Comunista del 1921 leparole di Lenin che, interrompendone la foga oratoria del gio-vane “estremista” italiano, gli diceva (in francese) “più elasticità,compagno Terracini, più elasticità”.

Kim Il Sung(Pyongyang 1912-1994). Membro della gioventù comunista dal-la fine degli anni Venti, partecipò dal 1932 alla resistenza anti-giapponese, divenendo, dopo il 1945, presidente del Partito co-munista. Con la proclamazione della Repubblica DemocraticaPopolare di Corea nel 1948) divenne primo ministro e dal 1972Presidente della. Principale artefice dell'edificazione del regimesocialista nella Corea del Nord, per il quale sviluppò la politicadetta “juche” (autosufficienza), mantenne una posizione diequidistanza nel contrasto fra URSS e Cina e continuò a perse-guire l'obiettivo di una riunificazione del paese, tentando piùvolte di avviare negoziati con il governo di Seul. A partire daglianni Ottanta, accanto a Kim emerse la figura del figlio Kim Jong

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Il che, dopo la morte del vecchio leader, lo ha sostituito alla gui-da del partito e del governo. In omaggio al fondatore della Re-pubblica Democratica di Corea la carica di Presidente della Re-pubblica non è mai stata più attribuita restando legata alla me-moria del “Presidente Kim il Sung”.

Lev TrotskyPseudonimo di Lev Davidovi Brontejn (1879 1940) è stato unpolitico e rivoluzionario russo. Fu tra i principali fondatoridell’Unione Sovietica. Si avvicinò agli ambienti ed alle idee rivo-luzionarie già durante i suoi studi all'università di Odessa. Ven-ne arrestato per la prima volta nel 1898 mentre lavorava comeorganizzatore per l'Unione Operaia della Russia Meridionale.Nel 1900 venne condannato a quattro anni di esilio in Siberia.Nel 1902 riuscì a fuggire dalla Siberia, prendendo il nome diTrotsky da un ex-carceriere di Odessa, e raggiunse Londra perunirsi a Vladimir Lenin. Nel 1905 tornò in Russia. Il suo coinvol-gimento nello sciopero generale di ottobre, con la presidenzadel Soviet di San Pietroburgo e il suo appoggio alla rivolta arma-ta, lo portarono all'arresto e a una sentenza di esilio a vita. Nelgennaio del 1907 fuggì sulla strada per l'esilio e ancora una vol-ta trovò la via di Londra, dove partecipò al quinto congresso delpartito. Fece ritorno in Russia nel maggio 1917 dove si unì aiBolscevichi e divenne attivamente coinvolto nei loro sforzi perrovesciare il governo provvisorio guidato da Aleksandr Keren-sky, ed anzi ne fu tra i massimi dirigenti. Dopo la presa del po-tere da parte dei Bolscevichi divenne Commissario del popoloper gli Affari Esteri, con lo scopo principale di negoziare la pacecon la Germania che si concluse con il Trattato di Brest-Litovskil 3 marzo. Divenne quindi Commissario del Popolo alla Guerra.Come fondatore e comandante dell'Armata Rossa, fu ampia-mente artefice del successo contro l'Armata Bianca e della vit-toria nella Guerra Civile Russa. Con la malattia e la morte di Le-nin, di aprì lo scontro con la componente del Partito che facevacapo al segretario Stalin che portò nel 1925 alle sue dimissionida Commissario del Popolo alla Guerra. Trotsky aveva svilup-pato la teoria della Rivoluzione Permanente, che si poneva in

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netto contrasto con la politica stalinista di costruire il "sociali-smo in un solo paese". Sostenitore di una politica di forte indu-strializzazione e di collettivizzazione nelle campagne, si impe-gnò nella promozione su scala mondiale di nuove rivoluzioniproletarie (Cina, Germania), viste come unica soluzione ai peri-coli di involuzione del regime interno dell'URSS. Sconfitto nelloscontro ideologico con Stalin venne dapprima esiliato ad AlmaAta e poi espulso dall’Unione Sovietica, stabilendosi finalmentein Messico dove fondò, nel 1938, un'organizzazione marxistainternazionale, denominata Quarta Internazionale, la quale in-tendeva essere un'alternativa alla Terza Internazionale stalini-sta. Fu ucciso nella sua casa in Messico da un agente inviato daStalin. Comunista “inconciliabiimente ateo” ha scritto nel suotestamento: “Quali che siano le circostanze della mia morte, iomorirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fedenell'uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza diresistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi... Posso ve-dere la verde striscia di erba oltre la finestra ed il cielo limpidoazzurro oltre il muro, e la luce del sole dappertutto. La vita è bel-la. Possano le generazioni future liberarla di ogni male, oppres-sione e violenza e goderla in tutto il suo splendore.”

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Supplemento del periodico Piazza del GranoAutorizzazione dei tribunale di Perugia n. 29/2009

via della Piazza del Grano n. 11 - Folignoe-mail [email protected] presso GPT Srl - Città di Castello

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