Eventi Mentali

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    Eventi mentali

    di Andrea Bonomi

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    Sommario

    p. 9 Avvertenza

    Prologo

    11 1. Il linguaggio della mente

    16 2. Sostitutivit e dintorni

    24 3. Significato, verit, modelli

    I Episodio Su ci che si percepisce

    39 1. Vedere ci che non c65 2. Riconoscimento79 3. Una questione di prospettive

    II Episodio Volere un fox-terrier

    88 1. Descrizioni indefinite100 2. Oggetti non meglio identificati

    112 3. Necessit dellastratto

    121 Appendice

    III Episodio Dire che si crede

    125 1. Opacit e trasparenza: il senso di una distinzione

    134 2. Qualche rompicapo146 3. La natura dei rompicapo: nomi propri, descri-

    zioni e spazi cognitivi

    158 4. Frammento di semantica

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    Epilogo

    190 1. Un mondo di intenzioni

    196 2. Grammatica della priori

    207 3. Avere in mente e avere nella mente216 4. Riferirsi a...

    228 Testi citati

    231 Indice analitico

    6 Sommario

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    For a bold ratfor a bald cat

    in my imaginary zoo.

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    Avvertenza

    Alcune sezioni del presente lavoro hanno cominciato a circolare

    in modo informale a partire dallautunno del 1979. Varie critiche e

    osservazioni hanno contribuito a modificarle in modo determinante,

    tanto che oggi mi pongono un interessante problema di individua-zione: quello di sapere se ancora lo stesso testo che mi accingo a

    pubblicare.

    Fra coloro che, con le loro indicazioni, sono stati allorigine di

    piccoli e grandi ripensamenti, vorrei ricordare Gennaro Chierchia,

    Roberta De Monticelli, Michele Di Francesco, Diego Marconi, Al-berto Peruzzi, Marco Santambrogio, Daniela Silvestrini, Gabriele

    Usberti, Sandro Zucchi.

    Un debito di riconoscenza va anche a un gruppo di studenti che,nellanno accademico 1980-81, ha avuto la pazienza di seguire un

    seminario di ricerca su questioni di logica intensionale e logica epi-

    stemica da me tenuto allUniversit degli Studi di Milano, parteci-

    pando a discussioni proficue.Da ultimo non va dimenticato un intrepido fox-terrier (lappel-

    lativo di Lorenz) che, con la consueta assiduit, ha assistito im-

    passibile ad accese discussioni su esempi che lo riguardavano

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    Prologo

    1.Il linguaggio della mente

    Ci capita spesso di parlare di ci che accade nel mondo. Maci capita anche, forse altrettanto spesso, di parlare di ci cheaccade nella testa di qualcuno. Possibili oggetti dei nostri di-scorsi sono non solo gli eventi del mondo, ma anche quelli che,con un termine certo generico, possiamo chiamare eventi men-tali.

    Credere che il tal dei tali abbia fatto questo o quello, volere

    un oggetto di un certo genere, vedere che le cose stanno cos ecos: sono, questi, alcuni dei molteplici tipi di atti che ciascu-no di noi compie una quantit innumerevole di volte nella suavita quotidiana. E li compie, voglio aggiungere, del tutto natu-ralmente, senza che la loro comprensione sembri rappresenta-re un problema per lui, cos come del tutto naturalmente egli neparla. Raramente, infatti, ci accade di trovarci in imbarazzoquando dobbiamo riportare ci che qualcuno vede, desidera ocrede.

    Eppure tutto ci ha sempre rappresentato un autentico pro-blema per i filosofi, un problema che oggi sembra aver conta-giato soprattutto quelli, tra loro, che vedono nella logica for-male uno strumento esplicativo particolarmente efficace.Certo, questa constatazione pu non destare alcuna sorpresa,sia perch siamo da tempo abituati a riconoscere che, nellemani dei filosofi, ci che ci appare del tutto naturale tende ine-vitabilmente a complicarsi (in definitiva, non detto che spie-

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    gare ci che ovvio sia a sua volta qualcosa di ovvio), sia per-ch una pur breve riflessione sufficiente a convincerci dellacomplessit di situazioni (in termini fisici, fisiologici o psico-logici) che comporta, per esempio, latto di vedere un certooggetto del nostro mondo circostante. Tuttavia, qualcunoavvertir forse un senso di stupore di fronte alla possibilit discorgere un problema assillante nel semplice fatto di riportare

    desideri, percezioni o credenze di un certo soggetto. Molto sin-teticamente, la sua argomentazione potrebbe essere questa:

    Daccordo, noi tutti siamo disposti a convenire che estremamente diffi-cile spiegare che cosa accade, per esempio, quando qualcuno vede questo oquello. Basta chiederlo a uno psicologo e soprattutto a due psicologi di scuo-le diverse per convincersene. Quello che sfugge, per, perch mai ci deveessere qualcosa di enigmatico nel fatto che un certo soggetto s possa riporta-re, parlando, le percezioni di un soggetto s(eventualmente non distinto da s).O meglio: quello che c di enigmatico in ci sembra imputabile allatto stes-so (alla difficolt di spiegare, in una teoria adeguata, che cosa sia percepire,credere o volere), e non al fatto di poterne parlare. In ogni caso, che rilevanzapu mai avere il secondo ordine di problemi, che verte sulluniverso del dis-corso, con quegli altri problemi pi originari, che concernono gli atti stessi?Per un fisico che, per esempio, intende elaborare una teoria della luce, ci chenel linguaggio comune si dice della luce (o meglio: i molteplici modi di par-larne) ha unimportanza trascurabile, per non dire inesistente. Analogamente,non vedo la rilevanza che una trattazione del modo in cui certi atti mentalisono riportati nel discorso pu avere per una teoria di quegli atti. Lascia al lin-guista, eventualmente al lessicografo, lo studio del significato di parole comevedere, credere e simili, e occupati invece degli atti stessi.

    Se le cose stanno davvero cos, alcune delle asserzioni chefar in questo libro (anche se non tutte) risulteranno inaccetta-bili. Uno dei compiti che mi proporr sar dunque quello dimostrare che il tipo di obiezione cui ho appena fatto riferimen-

    to ampiamente ingiustificato. E cercher di farlo in modoanaliticamente adeguato nel corso del testo. Qui, in sede pre-liminare, mi limiter a esporre solo alcune considerazionigenerali sui punti finora toccati.

    Anzitutto, dovrebbe essere evidente il ruolo centrale che un

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    trattamento adeguato degli enunciati relativi ad atti mentali ri-veste nella semantica delle lingue naturali. In realt, gi dalpunto di vista sintattico gli enunciati di questo tipo (e pi esat-tamente quelli che contengono un complemento di natura pro-posizionale, come in s crede che E, dove E a sua volta unenunciato) rappresentano una classe privilegiata di esempi dicerte strutture di subordinazione. Rappresentano cio le illu-

    strazioni pi significative di quei contesti indiretti che, nellediverse lingue, sembrano organizzati secondo criteri strutturalicomuni. Per esempio, negli sviluppi pi recenti della gramma-tica generativo-trasformazionale [Chomsky, 1981], questi cri-teri sono ricondotti a un unicoprincipio di opacit (connessocon la nozione semantica di opacit che definir in seguito), equesto principio considerato come un tratto della grammati-ca universale anzich di una grammatica particolare di questao quella lingua: esso costituisce quindi, almeno come ipotesi dilavoro, una fondamentale condizione restrittiva da imporreallapplicazione delle regole di una qualsiasi grammatica, ossiauna condizione di possibilit per (lacquisizione di) una qual-

    siasi grammatica, anzich un principio appreso. Bene, fatticome questo hanno in prospettiva unimportanza straordinariaper il filosofo interessato allindividuazione delle strutture co-gnitive che sottendono il linguaggio.

    Questultimo punto ci riconduce alla questione pi specifi-camente semantica. infatti difficile pensare che lestremorigore con cui schemi costruttivi diversi vengono impiegati peresprimere modi diversi di riportare atti mentali sia puramentecasuale. La sistematicit con cui questi diversi stili di regi-strazione (essenzialmente riconducibili, come vedremo, a duetipi fondamentali) vengono accuratamente espressi nel lin-guaggio in generale pu significare solo che ci troviamo di

    fronte a una caratteristica centrale del nostro modo di concepi-re il mondo e gli altri soggetti che lo abitano. Il relativismo lin-guistico rappresenta una variante contemporanea, concepita avolte in chiave logica e analitica, dellempirismo integrale, eculmina nellidea che a lingue diverse possano corrispondere

    Prologo 13

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    schemi concettuali diversi (e quindi inconfrontabili tra loro).Ora, esso ci ha fatto troppo spesso dimenticare che esistonoprocessi primari di formazione dei vari oggetti desperienzanei confronti dei quali le eventuali differenziazioni concettualihanno solo un carattere secondario (dove questo termine nonva ovviamente inteso in senso valutativo). Per esempio, c,come vedremo, un senso del tutto ragionevole del verbo vede-

    re secondo il quale perfettamente lecito e naturale dire cheun tecnico aeronautico e un nativo delle Trobriand vedonoesattamente la stessa cosa quando guardano insieme un certoesemplare del Concorde, anche se il primo in grado di forni-re unidentificazione concettuale di quelloggetto che certoil nativo non fornirebbe. Altrimenti detto, c una tacita assun-zione del senso comune secondo la quale, dato un certo corre-do fisiologico normale, si ha una presenza puramente per-cettiva delloggetto, indipendentemente dagli schemi di rico-noscimento che linsieme delle nostre credenze, aspettative,ecc. applicher su di esso. In definitiva soprattutto a questosenso di vedere che lo psicologo (o per lo meno un certo tipo

    di psicologo) si mostra interessato quando individua certi pro-cessi primari di articolazione figura-sfondo, di costituzione deigradienti, di contrasto cromatico, ecc. Il carattere coercitivodelle regole che governano questi processi rende del tuttoimplausibile lipotesi che ci che si chiama genericamente ilsistema concettuale associato a una lingua, a una cultura e,al limite, a unesperienza individuale abbia su di essi un influs-so significativo.

    Ora, se queste considerazioni sono corrette, risulta quantomeno infondata una certa ideologia panlinguistica che sem-bra dominare ampi settori della filosofia del linguaggio del no-stro secolo. In realt, ci che va ridimensionata la funzione

    costitutiva che, in chiave empirista, stata spesso assegnata allinguaggio in quanto tale. Pur riconoscendo certo che quel par-ticolare sistema cognitivo che il linguaggio occupa una posi-zione centrale nellinsieme complessivo delle facolt dellamente, non si pu fare a meno di sottolineare che, per lo meno

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    in alcuni dei suoi aspetti, essopresuppone lesistenza (anzichdeterminarla) di altri sistemi cognitivi.

    Ho ritenuto opportuno richiamare brevemente questi puntidi ordine generale per evitare un possibile fraintendimento cir-ca la prospettiva che intendo adottare. Dicendo, come ho fattoallinizio, che mi propongo di prendere in considerazione i re-soconti, nel discorso, di vari tipi di atti mentali (e le relazioni,

    che quei resoconti presuppongono, fra il parlante-osservatore,il soggetto di quegli atti e, eventualmente, un oggetto ester-no), non intendevo certo assegnare una funzione esplicativa allinguaggio in quanto tale. In altri termini, non intendevo con-vincere il lettore che la semplice analisi di quei resoconti fossedi per s sufficiente a chiarire la struttura interna degli atti inquestione, tentando cos di ricondurre tale struttura a un fattodi linguaggio. Lidea guida cui intendo attenermi ha invece unaportata pi modesta. Infatti, proprio a partire dallassunzione cui ho appena fatto riferimento che il linguaggio, per la suacentralit, agisce sullo sfondo di altri sistemi cognitivi, ci chemi propongo di fare di vedere quali siano alcuni dei tratti

    essenziali di quei sistemi che, nel discorso, vengono per cosdire registrati. Si tratta, dunque, di un compito essenzialmentedescrittivo, allinterno del quale ci che mi interessa la rico-struzione di una possibile cornice categoriale associata a unacerta classe di espressioni linguistiche. Daltra parte, sarebbeeccessivamente restrittivo definire questo progetto unica-mente entro i limiti peraltro gi impegnativi dellabbozzodi una semantica per certi termini di una lingua naturale, coscome si potrebbe per esempio essere interessati alla costruzio-ne di una semantica dei termini toponomastici. In realt, comeho gi accennato, la convinzione che ha ispirato la mia scelta che lanalisi degli enunciati relativi ad atti mentali rappresenti

    un punto di passaggio obbligato in vista di quellobiettivo fon-damentale della metafisica descrittiva che la delimitazionedelle categorie effettivamente operanti nel nostro modo di rap-presentarci il mondo, con gli oggetti, gli eventi e le persone chelo popolano. In questo, il richiamo al metodo fenomenologico

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    pu forse avere una funzione esemplare. Solo che, anzich te-matizzare direttamente certi atti mentali in quanto vissutientro peculiari strutture di coscienza (operazione sulla cui le-gittimit non intendo soffermarmi qui), la riflessione si rivolgea un altro tipo di esperienza ingenua: quella, per cos dire, disecondo grado che accompagna la registrazione, nel linguag-gio, di quegli atti.

    Cos, per tornare al dibattito ideale da cui siamo partiti, pos-siamo delineare due possibili risposte allobiezione circa larilevanza teoretica del resoconto linguistico di atti mentali. Laprima indica un obiettivo massimale: la possibilit, cio, dimettere in luce, attraverso lanalisi di quel resoconto, alcunidei tratti essenziali degli atti stessi. Se alla fine questa richiestarimanesse insoddisfatta, il lavoro di analisi compiuto, qualorarisultasse nel complesso corretto, non sarebbe comunque spre-cato. Esso avrebbe in ogni caso realizzato quello che la secon-da risposta indica come obiettivo minimale: e cio la ricostru-zione di alcune categorie fondamentali attraverso cui, nel lin-guaggio, rappresentiamo i nostri modi di rivolgerci ai vari og-

    getti desperienza.

    2. Sostitutivit e dintorni

    Allinizio ho detto che gli enunciati relativi ad atti mentalisollevano alcuni problemi particolarmente interessanti dal pun-to di vista logico. E ho detto anche che ci che mi propongo difare di mostrarne la rilevanza dal punto di vista cognitivo.Preliminarmente, dunque, sar necessario chiarire la naturaintuitiva di quei problemi, riservando alle pagine successiveuna formulazione pi precisa.

    La cosa migliore forse cominciare da qualche esempio

    concreto. Immaginiamo allora di assumere come vero lenun-ciato:

    (1) Gabriele salito sul grattacielo Pirelli.

    E immaginiamo anche che sia vero questaltro enunciato:

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    (2) Il grattacielo Pirelli ledificio pi alto di Milano.

    Ora, nessuno di noi avr alcunch da obiettare se dalla verit di(1) e (2) si desume la verit di

    (3) Gabriele salito sulledificio pi alto di Milano.

    In realt, il passo che abbiamo compiuto, passando dalla ve-rit di (1) e (2) a quella di (3), riconducibile a una legge diinferenza nota come principio di sostitutivit, un principio dicui dar in seguito una formulazione pi precisa e che, per ri-spettare limpostazione tradizionale, mi limiter per ora a deli-neare in una versione che ritengo fuorviante (perch limitata alcaso dei termini singolari).

    Siano te tdue sintagmi nominali (quali per esempio i nomipropri oppure le descrizioni definite come il cos e cos), econveniamo di dire che te tsono termini alternativi se lenun-ciato t t vero (cio se designano lo stesso oggetto, nel ca-so si tratti appunto di termini singolari). Ora, ci che grossomodo il principio di sostitutivit ci dice che dallenunciato

    E(t) cio da un enunciato che contiene unoccorrenza del ter-mine t siamo autorizzati a inferire lenunciato E(t), che con-tiene unoccorrenza di tal posto di quella di t, dove te tsonotermini alternativi. Intuitivamente, ci significa che, poich tetdesignano la stessa cosa, indifferente che si usi luno o lal-tro termine per parlare di quella cosa: ci che vero (falso)quando parliamo di t, rimane vero (falso) quando parliamo dit. Cos, nel nostro esempio, poich (1) vero, e poich i duesintagmi nominali il grattacielo Pirelli e ledificio pi alto diMilano sono termini alternativi (considerata la verit di (2)),anche (3) sar vero.

    Ma immaginiamo adesso che sia vero lenunciato:

    (4) Gabriele sa che il grattacielo Pirelli si trova presso laStazione Centrale.

    Questa volta, dalla verit di (4) e dal fatto che (sempre assu-mendo la verit di (2)) i due sintagmi nominali di prima sono

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    due termini alternativi, non possiamo in genere inferire que-staltro enunciato:

    (5) Gabriele sa che ledificio pi alto di Milano si trovapresso la Stazione Centrale.

    Compatibilmente con tutto quello che abbiamo ritenuto verofinora, (4) pu benissimo essere vero ma, se per esempio

    Gabriele crede che ledificio pi alto di Milano sia la TorreVelasca anzich il grattacielo Pirelli, allora (5) pu risultarefalso. Cos, nel caso di un contesto determinato da sapereche... si ha una possibile violazione del principio di sostituti-vit. Generalizzando, diciamo che un certo enunciato E(t) rap-presenta un contesto S-indeterminato rispetto a t se ci sonosituazioni in cui linferenza da E(t) a E(t) non valida, per tettermini alternativi.

    Ma c un altro principio di inferenza della logica standard noto come principio di generalizzazione esistenziale, e delresto connesso con quello di sostitutivit che solleva qual-che problema nel nostro caso. Grosso modo, questo principio

    ci dice che se t un sintagma nominale del genere menziona-to prima e E(t) un enunciato che lo contiene, allora da E(t)possiamo inferire (x) E(x), che asserisce che c qualcosache gode della propriet (in senso lato) espressa dal contestoE(). Per esempio, questo principio ci autorizza a passaredalla verit di

    (6) Gabriele riuscito a parlare con il direttore

    a quella di

    (7) C qualcuno con cui Gabriele riuscito a parlare.

    Ma, ancora una volta, non detto che la legittimit di questo

    passaggio sia garantita quando ci troviamo di fronte a enun-ciati con verbi esprimenti atti mentali (chiamiamoli, dora inpoi, verbi intenzionali). Infatti, dalla verit di

    (8) Gabriele vuole catturare labominevole uomo delle nevi

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    non possiamo passare alla verit di

    (9) C qualcuno che Gabriele vuole catturare

    per lo meno se usiamo qualcuno per parlare di individui reali.Il fatto , ovviamente, che in genere il voler catturare la tal cosanon implica che la tal cosa esista. Generalizzando, diciamo cheun certo enunciato E(t) contenente il sintagma nominale t

    costituisce un contesto E-indeterminato rispetto a tse ci sonosituazioni in cui linferenza da E(t) a (x) E(x) non valida.Va per detto che non sarebbe del tutto appropriato adot-

    tare il principio della E-indeterminatezza come condizione ne-cessaria per lindividuazione di contesti opachi. Dietro questaproposta si nasconde in realt lassunzione infondata, sostenu-ta originariamente da Quine, secondo cui il principio di gene-ralizzazione esistenziale e quello di sostitutivit procedono dipari passo. Ma, contro questa assunzione, stato mostrato chele condizioni da imporre perch valga il primo di quei dueprincipi non sono le stesse che quelle da imporre nel caso delsecondo [Silvestrini, 1979]. Inoltre, ed questo un punto fon-damentale sul quale torneremo, quello della generalizzazioneesistenziale un principio che concerne in modo esclusivo itermini individuali (nomi propri, descrizioni definite, ecc.),mentre vedremo in seguito che il principio di sostitutivit hauna portata generale, tanto da riguardare pi classi di espres-sioni. E in effetti il considerare interscambiabili i due principiha portato spesso a confondere il problema della distinzione fratrasparenza e opacit con quello del riferimento o meno a indi-vidui, il che per lo meno riduttivo.

    Decidiamo quindi di utilizzare la condizione della S-inde-terminatezza come parte integrante del criterio per stabilire se

    un certo verbo determina o meno un contesto intenzionale. Co-me ho detto, sar poi compito delle analisi successive raffina-re quella condizione: per il modo in cui stata formulata, essa infatti troppo poco selettiva (applicandosi, per esempio, acontesti genericamente modali come possibile che,

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    necessario che, cui daltra parte si applicherebbe anche laE-indeterminatezza).

    Ciononostante, non abbandoneremo la condizione di E-indeterminatezza al suo destino. Essa cattura infatti un trattoimportante di molti verbi intenzionali, in particolare quelli che,a differenza di sapere, hanno un complemento non solo di na-tura proposizionale, ma anche di natura oggettuale (come in

    Gabriele desidera un premio). Questo tratto era gi stato indi-viduato molto chiaramente da Brentano quando, nella primaedizione della Psicologia dal punto di vista empirico, distin-gueva in un certo modo fenomeni mentali e fenomeni fisici.Consideriamo dunque una relazione fisica come quellaespressa dal verbo accarezzare: perch sia vero che Gabrieleaccarezza un fox-terrier cos e cos, argomenta Brentano, deveesistere (realmente) un fox-terrier cos e cos che costituiscaappunto il secondo relatum della relazione di accarezzare, ilcui primo relatum Gabriele. Ma lesistenza del fox-terrier ovviamente indipendente dalla relazione in questione: lesseredi quel cane per cos dire esterno rispetto a quella relazio-

    ne. Se per consideriamo atteggiamenti mentali come deside-rare, pensare, cercare, ecc., allora, osserva Brentano, ci trovia-mo di fronte a un tipo piuttosto curioso di relazione (ammessoche si possa ancora chiamarla relazione). Qui, infatti, uno deidue relata pu anche non esistere (realmente): il suo essere non isolabile indipendentemente dalla relazione stessa. Perch siavero che Gabriele desidera un fox-terrier cos e cos non ne-cessario che questo fox-terrier esista (realmente); dopo tutto,Gabriele pu avere in mente solo un cane puramente ideale.In questo caso, loggetto (il secondo relatum) della relazioneespressa da desiderarenon esiste al di fuori di questa relazio-ne: ha cio un tipo desistenza puramente interna (rispetto

    alla relazione stessa) che Brentano, richiamandosi alla termi-nologia degli Scolastici, chiama intenzionale.In seguito avremo modo di riprendere, anche criticamente, i

    concetti di relazione intenzionale e di oggetto intenzionaleanticipati qui da Brentano. Per il momento mi limiter a osser-

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    vare come il requisito della E-indeterminatezza renda conto diun aspetto importante della nozione di intenzionalit, e cer-cher di fornire un primo chiarimento intuitivo del rapporto frail concetto di esistenza (con il relativo principio di generaliz-zazione) e quello di sostitutivit.

    Poco fa, ho richiamato brevemente lidea di Brentanosecondo cui lessere di un certo oggetto intenzionale (p.e. log-

    getto di un desiderio) non isolabile rispetto alla relazionestessa di cui appunto uno dei due relata. Altrimenti detto, nonpossiamo caratterizzare quelloggetto indipendentemente daquella relazione. Viceversa, se Gabriele accarezza un fox-ter-rier, questo fox-terrier deve avere un certo peso, un certo colo-re, deve essere stato nel tal posto alla tale ora, ecc. Queste pro-priet (o, pi ragionevolmente, insiemi di propriet) possonodar luogo a descrizioni definite che individuano univocamenteloggetto in questione: il fox-terrier che abita in via Canova 7,oppure il cane con la matricola 01628 del Comune di Milano,e cos via. Bene, ciascuna di queste descrizioni vale quantolaltra (purch siano tutte univocamente identificanti quel

    cane) al fine di parlare del fox-terrier che Gabriele ha accarez-zato: ed proprio questo il contenuto intuitivo del principio disostitutivit. Daltra parte, sempre dal punto di vista intuitivo,lintercambiabilit dei diversi modi di descrivere o semplice-mente nominare loggetto fisico di una relazione non inten-zionale ha senso solo in quanto questo oggetto, come si dice-va, caratterizzabile indipendentemente da quella relazione, ecio solo in quanto esiste (realmente, al di fuori della relazio-ne). Potremmo anzi dire, radicalizzando lidea di Brentano, chelesistenza (reale) di quelloggetto pu essere ricondotta alfatto che: a) esso specificabile rispetto a tutte le possibili pro-priet che competono a quel genere di oggetti (se Gabriele

    accarezza un fox-terrier, dicevamo, allora questo cane deveavere questa o quella pezzatura, questo o quel colore del tartu-fo, ecc.): il che mostra la completezza delloggetto; b) tutte lepossibili descrizioni univoche che valgono di esso (il fox-ter-rier cos e cos, ecc.) possono essere equiparate al fine di par-

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    lare di quelloggetto: il che mostra lindipendenza delloggettostesso.

    Ma ci non vale nel caso delloggetto di una relazioneintenzionale. Anzitutto, per quanto riguarda a), non detto chetale oggetto sia specificabile rispetto a tutte le propriet: se Ga-briele desidera un fox-terrier, non detto che lo desideri conquesta o quella pezzatura, con il tartufo di questo o quel colo-

    re, ecc. In secondo luogo, venendo al punto b), occorre sotto-lineare che, nel caso delloggetto di una relazione intenziona-le, rilevante anche il modo di designare quelloggetto: se Ga-briele desidera un fox-terrier provvisto di un pedigree, e se es-sere provvisto di un pedigree la stessa cosa che essere regi-strato allE.N.C.I., non detto che Gabriele desideri un fox-ter-rier registrato allE.N.C.I. (egli potrebbe infatti ignorare che ledue cose si equivalgono). Cos, le due condizioni prima asso-ciate al concetto di esistenza completezza (come descrivibi-lit esaustiva) e indipendenza (come indifferenza rispetto allavariet dei modi di designazione) sembrano davvero discri-minare fra ci che oggetto di una relazione fisica e ci che

    oggetto di una relazione intenzionale: ma entrambe questecondizioni hanno a che fare con la questione della descrivibili-t delloggetto, e quindi, in definitiva, con la questione dell inter-cambiabilit dei modi di designarlo.

    Il richiamo di Brentano alla tradizione degli Scolastici puservirci per chiarire in modo puramente preliminare unpunto che emerger meglio in seguito. Si sar notato che, inrelazione al principio di sostitutivit (ma lo stesso discorsovale per la generalizzazione esistenziale), non ho richiesto chei contesti intenzionali (ottenuti a partire da verbi come quelliche stiamo prendendo in considerazione) siano refrattaririspetto a quel principio: ho parlato, piuttosto, di indetermina-

    tezza nei suoi confronti, lasciando cos intendere che ci sonocircostanze in cui possiamo assimilare quei verbi (dal punto divista della sostitutivit) ai comuni verbi che esprimono rela-zioni fisiche. (Vedremo anzi che il criterio della sostitutivitservir proprio a identificare due possibili letture dei verbi

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    intenzionali.) In questo, ho fatto riferimento a una lunga tradi-zione filosofica sviluppata, a partire da Aristotele, soprattut-to nella Scolastica che vede una possibile ambiguit in moltedelle occorrenze di quei verbi, come pure di altri operatori, peresempio quelli modali: per usare la terminologia accreditata, siparla di lettura de dicto quando quel verbo o operatore assun-to come applicantesi direttamente allintera proposizione che

    figura in posizione di complemento (il dictum), si parla invecedi lettura de re quando quel verbo o operatore assunto comeparte di un predicato complesso applicato a una certa entit(res). Cos, Gabriele crede che il presidente della repubblica il capo delle forze armate considerato suscettibile di due in-terpretazioni: la prima assimilabile a qualcosa come La pro-posizione che il presidente della repubblica il capo delleforze armate tale che Gabriele crede a quella proposizione(dove non interviene alcun riferimento a questa o quella parti-colare entit delluniverso di discorso, a parte ovviamenteGabriele); la seconda a qualcosa come Del presidente dellarepubblica Gabriele crede che il capo delle forze armate

    (dove c un riferimento essenziale a quel particolare individuodelluniverso di discorso che di fatto il presidente dellarepubblica). ovvio che il principio di sostitutivit, valido nelsecondo caso ma non nel primo, sembra catturare un aspettoimportante della tradizionale distinzione fra de dicto e de re.Tuttavia, per evitare questioni interpretative, e per disporre diuna caratterizzazione univoca (che manca nel caso dei concet-ti tradizionali), far riferimento a una distinzione diversa(anche se collegata a quella tradizionale), parlando di opacite trasparenza di un contesto. Intuitivamente, si dir che unresoconto determinato da un verbo intenzionale ha una letturatrasparente se regolato dal principio di sostitutivit e che ha

    una lettura opaca se non regolato da quel principio.Rimane unultima considerazione conclusiva. Se il princi-pio di sostitutivit occupa qui una posizione centrale, non perch esso sia assunto come una specie di dogma: il presup-posto da cui si parte anzi che sarebbe irragionevole volerlo

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    salvare a tutti i costi e che perfettamente naturale che essonon valga in una quantit di casi. La sua centralit in questatrattazione deriva dal fatto che dal punto di vista filosoficosono straordinariamente interessanti i motivi (di natura episte-mologica) per cui quel principio viene meno in certi contesti, enon tanto il fatto che esso venga meno.

    Inoltre, non sar forse inopportuno ricordare che, al di sotto

    dellapparente astrusit di molti esempi che verranno addotti, iproblemi che affronteremo caratterizzati per esempio in ter-mini di principi logici come quello di sostitutivit hanno unarilevanza effettiva per luso ingenuo del linguaggio. Peresempio, la distinzione fra trasparenza e opacit pu sembraredel tutto ad hoc, e senza un reale collegamento con situazionicomuni e ben sperimentate. Se nutrite dubbi di questo genere,provate allora a immaginare quanto segue. Voi sapete che Acrede che il presidente della locale squadra di calcio il signorM; ma sapete anche che B crede che il presidente il signor C.Di fatto ha ragione B, e voi lo sapete. Ora, B vi dice: A credeche il presidente della locale squadra di calcio un corruttore.

    Se vi interessa sapere di chi (oltre che di A) si sta parlando,come interpreterete lenunciato? Riferirete la credenza di Aal signor M (visto che A il soggetto della credenza), oppurela riferirete al signor C (visto che B a parlare)? Penserete che,del signor M, A crede che un corruttore, oppure che lo crededel signor C (anche se non identifica il signor C come presi-dente della squadra di calcio)? E se riconoscete che c qui unproblema concreto (che pu addirittura determinare in voicomportamenti diversi a seconda delle risposte adottate), allo-ra ci che vi invito a fare cercare di analizzare i motivi teo-retici di quel problema.

    3. Significato, verit, modelli

    Nel corso del testo, e segnatamente nel terzo episodio, quan-do si tratter di impostare problemi di natura semantica, utiliz-zer nozioni modellistiche (nel senso della teoria dei modelli),

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    e vale forse la pena di dedicare qualche riflessione in proposito.Introdurr fra poco i concetti elementari che ci serviranno.

    Ma prima vorrei osservare, in termini del tutto generali, che cisono vari modi di accostarsi, in filosofia, a un certo strumentoconcettuale. Ora, nel caso dellapplicazione di nozioni model-listiche nella semantica delle lingue naturali, sembra a volteessere mancata una certa distanza critica, in positivo come in

    negativo. Come cercher di mostrare tra breve, ricondurre perintero la teoria del significato (o per lo meno la sua parte inte-ressante) entro i limiti esclusivi della teoria dei modelli ha de-terminato un fraintendimento circa le possibilit e la portata diquesto strumento nellanalisi delle lingue naturali. Per con-verso, sono sempre pi frequenti, oggi, i giudizi sommari circalimpraticabilit, per la semantica di quelle lingue, della teoriadei modelli e di nozioni come quella di mondo possibile: no-zioni che hanno caratterizzato i recenti sviluppi dellapprocciomodellistico in riferimento a problemi di natura intensionale.Eppure, dal punto di vista formale, il concetto di mondo possi-bile per esempio tuttaltro che oscuro, e ha permesso di ri-

    solvere o, quanto meno, di formulare in termini espliciti alcu-ni problemi tradizionali di logica filosofica. E, dal punto divista intuitivo, esso sembra strettamente imparentato con alcu-ni concetti che in qualche modo trovano posto nella nostra pra-tica quotidiana del linguaggio, quando abbiamo a che fare conenunciazioni controfattuali (Se non avessi perso il treno, avreiassistito alla conferenza), con previsioni circa eventi futuri(Domani far questo e quello), con considerazioni modali(Non possibile che il piombo galleggi), e via dicendo; cioin tutti quei casi in cui, per cogliere le condizioni di verit di unenunciato, non basta far riferimento alla situazione reale oattuale, ma anche a stati di cose alternativi, possibili. Scartando

    pregiudizi di segno opposto, il problema dunque di vedere sindove il ricorso allo strumento modellistico (nella versione conmondi possibili) si rivela fecondo, soprattutto quando sono ingioco problemi per i quali esso non era stato concepito origina-riamente. Comunque, al di l di queste considerazioni peraltro

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    ovvie, rimane il fatto che, sia dal punto di vista filosofico siada quello linguistico, i vantaggi che si ottengono, quanto arigore e perspicuit, quando si riesce a formulare un problemasemantico in termini di nozioni modellistiche, non rischianocerto di essere sopravvalutati. Penso infatti che uno dei limitidella filosofia del linguaggio di impostazione puramente ana-litica o intuitiva sia proprio quello di aver rinunciato a ricon-

    durre i propri problemi entro una cornice teorica formalmenteaccettabile, sacrificando molto in termini di effettivit e chia-rezza. Tra laltro questo uno dei motivi per cui, quando nelIII episodio si tratter di rendere teoreticamente pi perspicuealcune intuizioni (anche filosofiche) sulla distinzione traspa-renza/opacit, si ricorrer a una rappresentazione formale nellelinee della grammatica di Montague. Pur mantenendo le cau-tele che esporr tra poco, credo infatti che tale strumento (conle opportune integrazioni e modifiche) sia al momento uno deipi promettenti se il problema quello di formulare in modoorganico certe intuizioni semantiche e, soprattutto, di connet-tere sistematicamente sintassi e semantica, laddove la teoria

    del riferimento sia riconosciuta come parte essenziale di que-stultima.Dal nostro punto di vista, si tratta dunque di fornire una suf-

    ficiente chiarificazione e giustificazione filosofica di alcunenozioni modellistiche, e di mostrarne al tempo stesso i confinidi applicabilit rispetto ai problemi che affronteremo. Il primopunto verr ripreso, pi o meno esplicitamente, nel corso deltesto (soprattutto nella parte dedicata ai contesti di credenza enelle considerazioni conclusive), mentre il secondo sar ora alcentro di alcune osservazioni preliminari.

    A questo proposito, si pu cominciare con il ricordare cheuno dei compiti, di natura intuitiva, assegnati alla sintassi

    quello di rendere conto della capacit, propria del parlante, diprodurre e riconoscere un numero virtualmente infinito dienunciati a partire da un numero finito di elementi e procedu-re. Ora, sembra naturale richiedere che, in stretta connessionecon lindividuazione di quelle strutture ricorsive, anche sul

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    piano semantico si arrivi a una descrizionefinita dei significa-ti corrispondenti allinsieme infinito degli enunciati, cio unadescrizione basata, come prima, su un insieme finito di ele-menti e di procedure. Il problema, ancora una volta, era statoindividuato da Frege con la formulazione del cosiddetto prin-cipio di funzionalit: mostrare come il significato di une-spressione sia costituito sulla base delle espressioni compo-

    nenti.Ovviamente non qui possibile esporre in modo soddisfa-cente neppure i tratti salienti nellapproccio modellistico a que-sto problema, a partire dai lavori ormai classici di Tarski. Tut-tavia, ai fini della discussione che seguir, baster tenere pre-sente che in via preliminare (e ignorando, com in parte pos-sibile fare in certi trattamenti, la distinzione fra costanti e va-riabili individuali) possiamo caratterizzare un modello per unalingua predicativa del primo ordine come una coppia = dove U un insieme di oggetti (universo di discorso) e f unafunzione (interpretazione) che fa corrispondere alle costantinon logiche della lingua denotazioni appropriate (in particola-

    re fa corrispondere un oggetto di U a ogni costante individua-le e una relazione fra oggetti di U un insieme o propriet nelcaso monadico a ogni costante predicativa). A partire da qui, possibile definire nozioni come quella di verit in un model-lo. Per gli enunciati atomici: Pn(t1 tn) vero in = se e solo se gli individui f(t1), , f(tn) (cio le denotazioni dit1, , tn) si trovano nella relazione f(Pn) (cio la denotazionedel predicato Pn); in particolare: P1(t) vero se e solo se lin-dividuo denotato da tappartiene allinsieme denotato dal pre-dicato monadico P1. Per gli enunciati complessi: se A e B sonoenunciati, A & B vero se e solo se sono entrambi veri A eB, e via dicendo. Si dir anche che un enunciato A una con-

    seguenza logica di un insieme di enunciati X se e solo se inogni modello in cui risultino veri tutti gli enunciati di X veroanche A.

    Si consideri ora un enunciato come

    (1) Daniela dorme e Gabriele corre.

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    Dato un certo modello e data la definizione ricorsiva di veritsopra accennata, abbiamo che

    (2) (1) vero se e solo se (1a) vero e (1b) vero

    dove (1a) e (1b) designano gli enunciati componenti di (1).Daltra parte, sempre per quella definizione, abbiamo che

    (3) (1) vero se e solo se lindividuo denotato da Danie-la appartiene allinsieme denotato da dormire e lindivi-duo denotato da Gabriele appartiene allinsieme denotatoda correre.

    Assumiamo che, nel nostro modello, le denotazioni delleespressioni siano quelle intese, e cio che: lindividuo denota-to da Daniela = Daniela; linsieme denotato da correre =linsieme degli individui che corrono, ecc. Banalmente, da (3)possiamo quindi passare a

    (4) (1) vero se e solo se Daniela appartiene allinsiemedegli individui che dormono e Gabriele appartiene allinsie-

    me degli individui che corrono.Va notato che, per menzionare un certo enunciato, abbiamofinora usato lespressione (1), che un modo di riferimentodel tutto ad hoc (in funzione del posto che quellenunciatooccupa nella sequenza dei nostri esempi). Abbiamo per a dis-posizione criteri pi interessanti per costruire nel metalinguag-gio semantico nomi di enunciati (e di espressioni in genere)del linguaggio: per esempio costruire descrizioni sintattichecomplesse (indicatori sintagmatici come alberi, ecc.) o, pisemplicemente, prendere gli enunciati stessi e farli precedere eseguire da virgolette semplici. Utilizzando questultimo espe-diente, che a rigore avremmo gi dovuto usare in precedenzaper (1a) e (1b), possiamo trasformare (4) in

    (5) Daniela dorme e Gabriele corre vero se e solo seDaniela appartiene allinsieme degli individui che dormono eGabriele appartiene allinsieme degli individui che corrono.

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    Riflettiamo per un attimo sulla struttura di (5). Come abbia-mo appena visto esso contiene un nome metalinguistico di uncerto enunciato dellitaliano; inoltre, per lassunzione fatta divoler mantenere la denotazione intesa delle varie espressioni(non logiche) componenti, tutta lespressione che sta alladestra del connettivo se e solo sepu essere considerata comeuna traduzione di quellenunciato nel metalinguaggio e relati-

    vamente al modello prescelto. Ed proprio questa traduzioneche ci d (in termini insiemistici, nel nostro caso) la condizio-ne necessaria e sufficiente per la verit dellenunciato in que-stione. Daltra parte, se ci chiediamo come abbiamo ottenutoquella traduzione, possiamo constatare che vi siamo giunti apartire dalla considerazione delle denotazioni (intese) delleespressioni componenti. Come dire che siamo riusciti a rico-struire il valore semantico di unespressione complessa (laverit o falsit di un enunciato, nel nostro rudimentale esem-pio) nei termini delle denotazioni delle espressioni componen-ti, gi gi sino alle espressioni primitive. (Come ha osservatoField [1972], il concetto di denotazione delle espressioni pri-

    mitive nomi e predicati ancora un concetto semantico.Non si pu quindi dire di essere riusciti a ricostruire la nozio-ne semantica di verit in base a nozioni non semantiche, ameno che si riesca a ricostruire in termini non semantici ancheil concetto di denotazione primitiva.)

    Si noti che (5) non altro che lesemplificazione di unoschema generale di enunciato del metalinguaggio ML in cui siformula la semantica di un dato linguaggio-oggetto L. ciounesemplificazione dello schema:

    (6) X vero se e solo sep

    dove X sta per il nome, in ML, di un enunciato di L ep per la

    traduzione di quellenunciato in ML.Ora, vale la pena di ricordare che, proprio come abbiamofatto per (5) (anche se un po rozzamente), a partire da unadefinizione di verit alla Tarski possibile ottenere per viadimostrativa tutti gli infiniti enunciati che, come (5), esempli-

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    ficano lo schema (6). E, nonostante che su questo punto sianosorti parecchi fraintendimenti, soprattutto fra i linguisti, ciche qui interessante non il contenuto espresso da (5) che volutamente ovvio, come sarebbe ovvia la risposta del-luomo della strada se gli chiedessimo a quali condizioni ritie-ne vero lenunciato (1) , ma il fatto che e il modo come (5) dimostrabile a partire dalla definizione di verit in oggetto.

    Per quanto concerne i problemi qui in gioco, uno degli ef-fetti interessanti conseguibili in questa cornice teorica la pos-sibilit di mostrare in modo rigoroso come le condizioni di ve-rit di un enunciato dipendano dai significati degli elementi cheesso contiene e dalla sua sintassi. Ora, se si tiene conto delnostro problema iniziale (mostrare come il significato del tuttosia una funzione del significato delle parti), si capisce perch sicompirebbe un passo decisivo identificando il significato di unenunciato con le sue condizioni di verit: di queste ultime,infatti, siamo appunto riusciti a esibire la natura ricorsiva.Quello che ora cercher di mostrare che conoscere la struttu-ra ricorsiva del significato ci che reso possibile dallap-

    proccio modellistico (anche se non da quello soltanto) non tutto ci che c da sapere sul significato, per essenziale che sia.Per renderci conto di ci basta tenere presente che, di per s,

    i modelli logicamente ammissibili per un certo frammento dilingua naturale sono ovviamente del tutto indifferenti rispettoalla caratterizzazione concettuale degli elementi del lessico.Per esempio, nel caso di predicati come Tigre o simili, tuttoci che dobbiamo fare assegnare loro determinati insiemi dioggetti del dominio e, non essendo di per s richiesta alcunacondizione restrittiva (nel nostro esempio: che le tigri sianoquadrupedi, felini, ecc.), niente ci impedisce di immaginareche in un certo modello linterpretazione di Tigre vada a fini-

    re su quello che di fatto linsieme delle rondini. Dato che diper s lapproccio modellistico non porta alla nozione di veri-t tout court, ma alla definizione di verit in (rispetto a) unmodello, lespressione Il significato di un enunciato si iden-tifica con le sue condizioni di verit non ha molto di pi che

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    un vago senso allusivo. La domanda pertinente, infatti, :Condizioni di verit in quale modello? Ora un modo per se-lezionare il modello o i modelli inteso consiste nellintro-durre, a livello linguistico o metalinguistico, quelli che Carnapchiamava postulati di significato, cio espressioni come Tuttele tigri sono mammiferi ecc., il cui compito appunto quellodi istituire le opportune connessioni fra costanti descrittive e

    quindi di imporre importanti restrizioni sui modelli. Ma il fatto che per approntare questo o altri accorgimenti simili dobbia-mo gi disporre, sia pure in termini grossolani e intuitivi, diuna caratterizzazione del significato delle espressioni primiti-ve in questione. Poich le condizioni di verit che ci interessa-no per la fissazione dei significati degli enunciati non sonoquelle date da un modello borgesiano in cui le rondini funzio-nerebbero da tigri, ma quelle date dal modello (o dai modelli)inteso, la sola nozione di modello (e di verit in esso) non sufficiente per caratterizzare la nozione di significato. Lasemantica modellistica rappresenta una parte della teoria delsignificato, non tutta la teoria del significato. Daltronde, il suo

    interesse esclusivo per modelli logicamente possibili (anzichper modelli concettualmente o intuitivamente pi adeguati)permette proprio di cogliere ci che rimane invariante al varia-re delle interpretazioni, e cio il significato di parole logichecome e, non, tutti, qualche, ecc.

    forse opportuno estendere e precisare queste considera-zioni. Possiamo allora prendere come riferimento una semanti-ca intensionale (per esempio del tipo delineato da Montague)che, per la quantit di problemi che affronta e risolve, ci per-mette di condurre la discussione su un piano pi avanzato ri-spetto a quello consentito da una versione estensionale del-lapproccio modellistico come quella che ha in mente

    Davidson [1967], cio lautore al quale si deve la prima siste-matica formulazione della teoria del significato come teoriadella verit in termini modellistici.

    Lidea di fondo che ispira una semantica intensionale cheper la determinazione delle condizioni di verit di un enuncia-

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    to rispetto a uno stato di cose non rilevante solo quel parti-colare stato di cose, ma come accade spesso in enunciati cir-ca il possibile, il necessario, limpossibile, ecc. anche altristati di cose: infatti, ci che caratterizza il discorso ordinario la capacit di far riferimento, oltre che allo stato di cose attua-le, anche a situazioni che avrebbero potuto (potrebbero, po-tranno, ecc.) verificarsi. Tralasciando qui il fatto, irrilevante ai

    fini della presente discussione, che limpianto teorico propriodi una semantica intensionale altres chiamato a rendere con-to del carattere indicale degli enunciati delle lingue naturali(cio la dipendenza dal contesto temporale, spaziale, ecc. della denotazione di espressioni come ora, qui, io, ecc.),possiamo semplificare le cose nel modo seguente. Un modellointensionale una tripla * = , dove U e M sonoinsiemi non vuoti (rispettivamente: linsieme degli individuipossibili e linsieme dei mondi possibili) e f una funzione (in-terpretazione) tale che, se a una costante non logica, f(a) cio il valore di quella funzione per argomento a a sua vol-ta una funzione (o intensione) da mondi possibili a una certa

    estensione: dove questa estensione per esempio un individuodi U nel caso delle costanti individuali oppure una propriet orelazione su individui di U nel caso delle costanti predicative.Intuitivamente, lassegnazione di un valore di verit a un enun-ciato come Luigi dorme nel modello * rispetto a un mondopossibile m in M funziona cos: f assegna a Luigi e dormerispettivamente una funzione (costante) da mondi possibili aindividui e una funzione da mondi possibili a insiemi di ogget-ti; applicate al mondo m queste funzioni danno come valori ri-spettivamente un individuo, cio Luigi, e un insieme di ogget-ti (cio linsieme di oggetti che dormono in m); lenunciato vero in * rispetto a m se e solo se quellindividuo appartiene

    allinsieme in questione. I vantaggi di una simile proceduravalutativa dovrebbero essere evidenti. Da una parte limpiantocomplessivo non perde la sua struttura intrinsecamente model-listica; in particolare, grazie a unesposizione pi precisa,sarebbe possibile mostrare come per esempio il significato o

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    intensione dellenunciato complessivo (cio una proposizione,o funzione da mondi possibili a valori di verit) ottenibile pervia puramente composizionale dalle intensioni delle espressio-ni costituenti. Dallaltro, grazie al riferimento simultaneo a pimondi possibili, si pu rendere conto di certe caratteristichedegli enunciati in primo luogo le loro flessioni modali che altrimenti non sarebbero rappresentabili, o lo sarebbero

    solo al prezzo di gravi complicazioni.Ma torniamo ora al nostro problema. Se si considera peresempio Montague [1974] e il suo atteggiamento , sottoquesto profilo, paradigmatico, in quanto condiviso da tutticoloro che seguono un simile orientamento teorico , risultachiaro che il suo intento non quello di fornire un singolo mo-dello intensionale per il frammento di inglese da lui preso inconsiderazione (o meglio: per la lingua logica in cui traducequel frammento), ma di fornire un insieme di modelli possibi-li. Ora, questi modelli possono differire per uno o pi compo-nenti, ossia per linsieme U degli individui possibili, per lin-sieme M dei mondi possibili e per la funzione interpretazione

    f. Pertanto tenendo conto in particolare del fatto che la fun-zione di interpretazione f d come valori individui di U, sot-toinsiemi di U, funzioni da mondi possibili in M a individui diU, a sottoinsiemi di U e via dicendo, e del fatto che essa ha,intuitivamente, il compito di assegnare un significato allecostanti non logiche del linguaggio, chiaro che funzioni in-terpretazioni diverse caratterizzano quelli che, intuitivamente,possiamo chiamare dizionari diversi. Altrimenti detto, i varimodelli possibili danno luogo, attraverso f, ad altrettantidizionari possibili e questa indeterminatezza lessicale dellap-proccio modellistico non solo permessa ma ricercata. Ilpunto , ancora una volta, che ci di cui questo approccio

    (anche nella sua versione intensionale) tenta di rendere contonon la nozione di modello inteso (di un frammento) di unalingua naturale, ma la nozione di modello logicamente possi-bile. Di fatto, la teoria presenta uninfinit di modelli possibi-li. Montague, per esempio, riconosce che questo non tutto

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    ci che possiamo volere, anche se, in modo molto significati-vo ma discutibile, fa dipendere la semantica lessicale dallanozione di uso: Luso di una lingua comporterebbe idealmen-te non solo la determinazione della collezione di tutti i model-li della lingua (una determinazione sufficiente per le nozionilogiche, cio verit logica, implicazione logica, equivalenzalogica) ma anche la specificazione di un particolare modello

    attuale: questo sarebbe chiamato in causa nel caratterizzare laverit assoluta (in quanto opposta alla verit rispetto a unmodello). [Montague, 1970: 209.] Quindi, poich non tutte leinterpretazioni logicamente possibili sono dei candidati ragio-nevoli come interpretazioni di una lingua naturale (ibid.: p.263), opportuno porre, attraverso i postulati di significato,restrizioni appropriate su queste interpretazioni. Montague[1973] elenca nove postulati di significato, essenzialmentededicati a rendere conto di peculiari propriet di espressioniintensionali, ma ovvio che, rispetto a una semantica di unframmento sufficientemente rappresentativo dellinglese, que-sto elenco rappresenta solo una parte trascurabile di quanto

    sarebbe richiesto.Possiamo ora tornare al problema di fondo. Il mio punto divista pu essere cos sintetizzato: se davvero la stipulazione dipostulati di significato (o qualsiasi altra procedura atta a sele-zionare il modello o i modelli pertinente) fosse unattivitestranea rispetto alla stipulazione delle condizioni di verit,allora sarebbe certo plausibile sostenere che la semantica dellelingue naturali semplicemente uno sviluppo della teoria deimodelli, nel senso che tutto ci che occorre sono nozioni inter-ne a questa teoria, come quelle di verit, soddisfacimento,estensione e simili. Abbiamo visto, per, che la teoria dellaverit in termini puramente modellistici non pu darci la teo-

    ria del significato per le lingue naturali, e questo per il sempli-ce motivo che essa non costituisce nemmeno una teoria dellaverit per quelle lingue. Infatti, e il brano citato di Montaguesottolinea questo punto, una teoria della verit logica non ancora una teoria della verit tout court. Daltra parte, que-

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    stultimapresuppone, anzich generare, una teoria del signifi-cato, e questo perch qualsiasi procedura restrittiva (rispettoalla gamma di modelli logicamente possibili) analoga alla sti-pulazione dei postulati di significato pu realizzarsi solo sullabase di una teoria del significato sufficientemente sistematica.Mi sembra allora difficile sostenere, a meno di unimplausibi-le forzatura ideologica, che in questa cornice si riuscirebbe a

    dare il significato degli enunciati (di un frammento) di una lin-gua naturale, in quanto si riuscirebbero a dare le loro condi-zioni di verit. In un certo senso il discorso va ribaltato: lecondizioni di verit degli enunciati sono date dai significatidelle espressioni primitive che lo costituiscono e dalla suaforma logica.

    Ci sono allora due modi di intendere la caratterizzazionedella semantica delle lingue naturali in termini modellistici. Ilprimo, del tutto ragionevole, ci porta a riconoscere che essarappresenta una via (oltre ad altre possibili) particolarmenteperspicua, semplice ed elegante per rendere conto della naturaricorsiva delle procedure interpretative adottate dal parlante,

    come pure per rendere conto di nozioni essenziali come quelledi modello (mondo), conseguenza logica, ambiguit struttura-le, ecc. Ma ci porta anche a riconoscere, implicitamente oesplicitamente, che questo schema va riempito di un contenutoconcettuale adeguato per arrivare a una semantica soddisfa-cente di una porzione sufficientemente rappresentativa di unalingua naturale. Il secondo modo di caratterizzare lapprocciomodellistico, che ci sembrato costituire unindebita forzaturateorica, sottolinea invece lautosufficienza della teoria deimodelli in quanto tale per lesplicitazione di concetti comequelli di verit e significato rispetto a una data lingua naturale,presupponendo dunque che gli strumenti della teoria dei model-

    li sono tutto quanto ci serve per la costruzione di unautenti-ca semantica e relegando nel limbo della lessicografia tuttiquei problemi che non trovano una risposta in quella esclusivacornice teorica.

    Possiamo ora tentare di fornire un punto di riferimento per

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    cos dire storico al contributo fornito dalla teoria dei mo-delli alla semantica delle lingue naturali. Come abbiamo in-fatti visto, nel nostro secolo un atteggiamento comune a moltilogici e filosofi del linguaggio consistito nel concepire (fragli altri) due principi guida dellindagine semantica, entrambidi ispirazione fregeana:

    (A) Il significato del tutto una funzione del significato delle

    parti(B) Il significato di un enunciato sono le sue condizioni di ve-

    rit.

    mia convinzione che entrambi questi principi rappresentinopunti irrinunciabili di una qualsiasi semantica di una linguanaturale. E potrei allora condensare il senso di tutte le osser-vazioni fatte finora dicendo che la teoria dei modelli ingrado di fornire una convincente esplicitazione del principio(A), ma non di per s in grado di fornire una ragionevoleesplicitazione del principio (B), e questo per il semplice moti-vo che quella che Frege aveva in mente era la nozione di veri-

    t, non quella di verit in un modello, o di verit logicamentepossibile.Cerchiamo di chiarire questultimo punto. Immaginiamo al-

    lora che la mia esposizione al linguaggio della comunit in cuivivo sia stata sufficiente per farmi rilevare che la parola gra-spa occorre in contesti in cui occorrono anche le parole rana,cicala, rotella, ingranaggio, ecc.; che la parola rachetta-no occorre in contesti in cui occorrono anche gracidano,grattano, stridono, ecc.; e infine che la parola grutamenteoccorre in contesti in cui occorrono cupamente, fragorosa-mente, ecc. Immaginiamo anche che io non abbia idea di checosa sia una graspa, n di che attivit sia il rachettare, n tanto

    meno di che cosa sia il rachettare grutamente, ma che abbiasufficienti indizi (oltre a quelli gi citati) per appurare che le-nunciato Tutte le graspe rachettano grutamente grammati-cale (per esempio lho incontrato pi volte in un libro di testo,ascoltando una conferenza, leggendo la pagina scientifica del

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    giornale, ecc.). C allora un senso in cui si pu dire che ioconosco le condizioni di verit di quellenunciato, ed preci-samente quello suggerito da Davidson sulla scorta di Tarski:

    (7) Tutte le graspe rachettano grutamente vero se e solose tutte le graspe rachettano grutamente.

    Di fatto, io sono certo in grado di esibire (7) come conseguen-

    za della teoria della verit che si presume io abbia interiorizza-to (come insieme di regole ricorsive). Ma sarebbe certo implau-sibile, data una ragionevole nozione di significato, sostenereche perci stesso io conosco anche il significato di quellenun-ciato. Abbiamo dunque visto che la stipulazione delle condizio-ni di verit (e non semplicemente di verit in un modello logi-camente possibile) presuppone la selezione del modello (o deimodelli) opportuno, e che non basta quindi il riferimento allageneralit dei modelli. Ma per far questo necessario spingersisino al livello di una caratterizzazione adeguata del significatodei componenti primitivi, che quanto dire prendere sul serio levoci che costituiscono il vocabolario di base della lingua: cer-

    cando di ricostruire, almeno per blocchi parziali, il quadro con-cettuale che associato a quel dizionario.Siamo cos giunti a prospettare una caratterizzazione sostan-

    zialmente cognitiva della semantica per alcune parti consisten-ti del lessico: suo compito essenziale sar dunque lindividua-zione degli schemi categoriali che sottendono porzioni rappre-sentative del lessico. Pur limitato a queste ricostruzioniparzia-li, tale obiettivo di estrema complessit, qualora lo si vogliainquadrare in unottica sufficientemente sistematica.

    A rigore, le pagine che seguono non possono essere ricon-dotte dal punto di vista, per cos dire, professionale nel-lambito della semantica delle lingue naturali, pur limitata a un

    segmento piccolissimo. Il lavoro che vi svolto (quasi) perintero di analisi filosofica. Daltra parte verosimile che, se daquel lavoro usciranno indicazioni utili, esse verranno a toccaredirettamente alcuni nodi centrali della semantica di una classemolto interessante di espressioni linguistiche, ossia quelle che

    Prologo 37

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    hanno a che fare con fenomeni mentali. infatti plausibile cheunanalisi semantica sufficientemente sistematica dei trattipeculiari di queste espressioni possa rivelare aspetti molto signi-ficativi del quadro concettuale cui si fatto riferimento poco fa.

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    I EpisodioSu ci che si percepisce

    1. Vedere ci che non c

    Comincer con un problema che, bench sia caratterizza-bile preliminarmente come un problema di teoria del significa-to (e, pi precisamente, del significato di verbi come vedere,udire, percepire, ecc.), si riveler, alla fine, come un puntodi discriminazione fra teorie alternative della percezione.

    In vista dei compiti delimitati che intendo perseguire, mibaster partire da una distinzione molto generale dei sintagmi

    verbali determinati da verbi intenzionali, a seconda del tipo dicomplemento che contengono. Parler infatti di costruzionioggettuali quando il complemento costituito essenzialmenteda una forma nominale (quando abbiamo cio costruzioni co-me s ha percepito il cos e cos, s vuole un cos e cos, ecc.),e di costruzioniproposizionali quando il complemento costi-tuito essenzialmente da una forma enunciativa (di tipo infiniti-vale, come in s ha visto il tal dei tali correre, e di tipo tempo-ralizzato, con il complementatore che, come in s desiderache il tal dei tali faccia questo e quello).

    Si consideri ora la consueta definizione (semantica) dellarelazione di implicazione fra enunciati:

    (1) E1 implica E2 se e soltanto se in ogni stato di cose in cui vero E1 vero anche E2.

    Altrimenti detto, la relazione di implicazione vale fra dueenunciati qualora la verit del secondo sia condizione necessa-

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    ria della verit del primo. Cos, per esempio, lenunciato scorre e tdorme implica lenunciato s corre, e lenunciato sha smesso di correre implica lenunciato s correva. (User iltermine implicare anche in modo pi generico, per dire peresempio che la verit del tale enunciato implica la verit deltalaltro enunciato, o lesistenza del tale oggetto, ecc.).

    Se R un verbo (transitivo), diciamo che E-implicativo

    nel caso che, se ci sono costruzioni oggettuali del tipo di s Run cos e cos o di tipo s R t (per tdescrizione definita o no-me proprio), allora

    s R un cos e cos implica il cos e cos esiste

    e

    s R t implica tesiste.

    Diciamo invece che R V-implicativo nel caso che, se ci sonocostruzioni proposizionali temporalizzate del tipo di s R che (dove un enunciato), allora

    s R che implica .

    (Discuteremo in seguito il problema delle costruzioni pro-posizionali infinitivali.)

    Cos, picchiare ovviamente E-implicativo perch, peresempio, la verit di s picchia un cos e cos comporta la ve-rit di il cos e cos (che s picchia) esiste, mentre immagina-re non E-implicativo (nel senso, come potremmo dire pi di-scorsivamente, che non comporta lesistenza del suo oggetto).Analogamente, come si gi visto, sapere V-implicativo,perch per esempio la verit di La terra rotonda condizio-ne necessaria della verit di s sa che la terra rotonda, men-tre credere non V-implicativo (credere che le cose stiano

    cos e cos non comporta che le cose stiano cos e cos). Ora,nel caso di verbi che determinano sia costruzioni oggettuali, siacostruzioni proposizionali, la propriet di essere E-implicativoe quella di essere V-implicativo sono state viste, normalmente,come aspetti dello stesso problema, cosicch, l dove non mi

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    interessa specificare, parler anche, semplicemente, della pro-priet di essere implicativo.

    Esauriti questi preliminari, posso allora sollevare il proble-ma dal quale intendo partire: i verbi di percezione sono inequi-vocabilmente implicativi?

    Per sottrarmi alla genericit del quesito, che implicitamentepone sullo stesso piano verbi quali percepire, vedere, udire,

    ecc., concentrer la mia attenzione su uno particolare di questiverbi, e cio vedere. E vale forse la pena di sottolineare che ilmotivo di questa scelta non da ricercarsi solo nellimportan-za che il sistema della visione ha nellelaborazione complessi-va del nostro universo desperienza, ma anche nel (conseguen-te) carattere paradigmatico che esso ha assunto quale oggettodi dibattito teoretico.

    Sar altres opportuno specificare, come in parte ho gi fat-to, che il problema che intendo affrontare non rilevante uni-camente dal punto di vista della semantica (di alcune espres-sioni) della lingua naturale. In realt, vedremo che, dietro aidiversi modi di affrontare quel problema, si celano diverse op-

    zioni metodologiche e filosofiche e che, per esempio, lassun-zione preliminare della natura implicativa del verbo vedere in qualche modo presupposta in una concezione realista(nelle sue varie versioni) della percezione, cio una concezio-ne che vede nelle cose materiali o fisiche gli unici autenticioggetti degli atti percettivi.

    Il linguaggio naturale sembrerebbe fornire una rispostachiara al quesito formulato prima. In esso, infatti, vedere adifferenza p. e. di sapere non sempre implicativo. La con-statazione addirittura banale:

    (2)* s sa che Dunkerque si trova in Inghilterra, ma si sba-

    glianon accettabile, mentre

    (3) s ha visto muoversi il treno di fronte, ma ci che ha vistonon corrispondeva alla realt: era il suo treno a muoversi

    Su ci che si percepisce 41

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    sembra esserlo, senza bisogno di scomodare Einstein per giu-stificarlo. Analogamente, risultano accettabili (o comunqueaperti a discussione) anche:

    (4) s ha visto muoversi qualcosa tra le foglie, ma si ingannato(5) lUFO che s ha visto ieri mattina nel cielo di Gressoneynon mai esistito

    (6)? s ha visto uno stambecco, ma provato che non ci sonostambecchi da queste parti.

    Oppure si consideri la nota figura di Mller-Lyer:

    Figura 1

    Ora, bench noi possiamo constatare (righello alla mano) cheil segmento orizzontale della figura superiore ha la stessa lun-ghezza del segmento orizzontale di quella inferiore, il seguente

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    dialogo fra osservatore esterno e soggetto dellesperienza risul-terebbe del tutto accettabile:

    (7) Vedo fra laltro due segmenti orizzontali di diversalunghezza.Bada che, se prendi un righello, dovrai convincerti chesono della stessa lunghezza.Sar, ma non posso fare a meno di vederli cos.

    In breve, pochi esempi tratti dal linguaggio naturale sembranosufficienti a suggerire che ci sono casi in cui vedere non nE-implicativo n V-implicativo.

    Possiamo dunque vedere cose che non esistono o fattiche non sussistono? E se lesperienza (visiva) di ci che noncorrisponde alla realt (perch loggetto della costruzioneoggettuale non esiste, o perch il fatto associato alla costru-zione proposizionale non sussiste) in molti casi indistingui-bile dallesperienza di ci che invece corrisponde alla realt,allora cos che queste due esperienze hanno in comune, qual in generale loggetto di unesperienza visiva? Non certo una

    cosa materiale (o una configurazione di cose materiali), sostie-ne il critico del realismo ingenuo, appunto perch non abbia-mo niente del genere nel primo tipo di esperienza. Daltraparte, egli prosegue, anche se trascurassimo queste esperienzecome spurie e se ammettessimo che gli oggetti fisici sonogli unici possibili relata della relazione percettiva, ci trove-remmo di fronte a unaltra difficolt: che i diversi modi divedere questi oggetti sono fra loro contrastanti (p.e. un ogget-to pu essere visto rotondo da una certa prospettiva e ellit-tico da unaltra; bianco sotto una certa illuminazione e grigia-stro sotto unaltra, ecc.), cosicch se attribuissimo direttamen-te queste qualit agli oggetti fisici otterremmo delle entit con-

    traddittorie (rotonde e insieme ellittiche, bianche e insiemegrigiastre, ecc.).Abbiamo cio qui due tipi di argomentazioni. La prima

    sostanzialmente questa. Se, con il realismo, ammettessimo chegli unici relata possibili di una relazione percettiva sono gli

    Su ci che si percepisce 43

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    oggetti fisici, allora non potremmo accettare la verit di qual-cosa come

    (8) s ha visto un cos e cos

    se non a condizione che sia vero anche qualcosa come

    (9) Il cos e cos esiste (fisicamente).

    Ma, si obietta, ci sono casi in cui lesperienza visiva di un cose cos che non esiste , per il soggetto s, pi convincente del-lesperienza visiva di un certo oggetto effettivamente esistente.Dove risiede dunque questa (apparente) difficolt del reali-smo? In quella che possiamo chiamare esperibilit di ci chenon esiste.

    La seconda argomentazione antirealista, come in parteabbiamo gi visto, ha unaria pi paradossale. Immaginiamoche s e sstiano guardando un certo oggetto o da punti di vistadiversi. Cos, pu accadere che questi enunciati siano entram-bi veri:

    (10) s vede un oggetto rotondo

    (11) svede un oggetto ellittico.

    Una (solitamente innocua) trasformazione grammaticale chechiameremo impropriamente di nominalizzazione ci permet-te di associare a (10) e (11) rispettivamente le descrizioni defi-nite loggetto rotondo che s vede e loggetto ellittico che svede. Ma se ci che i due soggetti vedono come vuole il rea-lista non pu che essere loggetto fisico, allora poich pro-prio questo oggetto che vedono sia s sia s, abbiamo

    (12) loggetto rotondo che s vede = loggetto ellittico chesvede = o.

    Ma ci sembra comportare lattribuzione a o sia della formacircolare sia della forma ellittica, il che ovviamente contrad-dittorio. Chiamiamo questa (apparente) difficolt, paradossodella nominalizzazione.

    Naturalmente, entrambe le argomentazioni (e la seconda in

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    particolare) hanno un vago sapore di artificiosit, che il reali-sta si affretter a mettere in luce. In tutti e due i casi egli farnotare che la tesi secondo cui solo gli oggetti fisici possonocostituire i relata della relazione espressa da un verbo percet-tivo (battezziamola, per brevit, tesi fisica) ovviamenteindissociabile dallassunzione della natura implicativa di queiverbi. Cos, nel caso di (6) il verbo vedere usato impro-

    priamente per il realista, e tutto quello che possiamo dire , almassimo, che come se s avesse visto uno stambecco, sospen-dendo cos il valore implicativo del verbo, altrimenti operante.Del resto, continua il realista, leventuale vividezza delle-sperienza che s ha avuto del suo stambecco inesistente non haqui alcuna rilevanza, perch ci che conta comunque la dif-ferenza fra ci che si vede effettivamente e ci che si crede divedere.

    Analogamente, nel secondo caso, ci che si metter in dub-bio che (10) e (11) possano risultare entrambi veri, perch(sempre in virt della implicativit dei verbi percettivi) se o rotondo, allora snon pu vedere (in un senso genuino del ter-

    mine) un oggetto ellittico, e viceversa se o ellittico s non puvederlo rotondo. Che il linguaggio naturale possa usare vede-re per scopi diversi, afferma il realista, non un buon motivoper sostenere che qualcosa che ha realmente queste e quellepropriet possa essere visto con propriet contrarie.

    Cos egli potrebbe proporre che (10) e (11) vengano lettirispettivamente come

    (10) s vede un oggetto come rotondo (oppure: s vederotondo un oggetto)

    (11) s vede un oggetto come ellittico (oppure: s vedeellittico un oggetto)

    dove le relative nominalizzazioni (loggetto che s vede comerotondoo loggetto che s vede rotondo; loggetto che svedecome ellittico o loggetto che svede ellittico) non danno piluogo al paradosso, perch (12) si trasforma nel pi innocuo

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    (12) loggetto che s vede come rotondo = loggetto che svede come ellittico = o.

    Le vie dellanalisi, si sa, sono infinite. E cos non esclusoche il nostro buon realista riesca alla fine a regimentare gliusi che egli ritiene devianti di vedere e a rimanere soltantocon ci con cui vuole rimanere: e cio un senso depurato easettico di quel verbo. Quello che dovrebbe essere chiaro,

    per, che loperazione avviata qui non una semplice ope-razione di ripulitura linguistica. In realt, la scelta effettua-ta ha implicazioni ben pi pesanti, che tendono a escludere ingenerale la possibilit di un uso, per cos dire, fenomenico divedere.

    Per renderci conto di ci occorre riflettere per un momentosulle situazioni che sono illustrate dagli esempi (3)-(7) e chedeterminano le note difficolt. Essenzialmente esse sono ricon-ducibili a due tipi fondamentali: fenomeni di illusione, dove lecaratteristiche delloggetto fisico non corrispondono alle ca-ratteristiche di ci di cui si ha esperienza, e fenomeni di allu-cinazione, dove addirittura non c alcun oggetto fisico (in

    quanto identificabile con il cosiddetto stimolo distale) cuiriportare ci di cui si ha esperienza. Ora, come si appena con-statato, la tendenza del realista in entrambi questi casi di par-lare di usi impropri di vedere, e se parla di usi impropri per-ch egli ritiene che, nei casi di illusione o allucinazione, un sin-tagma nominale del tipo di il cos e cos che s vede (usato perdescrivere ci di cui s ha esperienza diretta) non si riferisce adalcunch dipubblicamente osservabile. Se assumiamo che ciche si vede funzione oltre che delle condizioni ambiente,dello stato psico-fisico del soggetto, ecc. anche di ci che c(nel senso fisico) da vedere, allora quello che viene a man-care, nei casi di allucinazione, proprio il secondo ingredien-te; inoltre, anche nei casi di illusione non si pu correttamentesostenere che ci che si vede funzione di ci che c da vede-re, perch si certo disposti ad ammettere che si pu non vede-re qualche caratteristica delloggetto fisico (per la parzialit deipunti di vista), ma non che si possa vedere qualche caratteristi-

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    ca che esso non possiede o che in contraddizione con quelleche esso possiede. Altrimenti detto, se o un certo oggetto fi-sico, allora nella nozione di dipendenza funzionale diretta dici che si vede da questo oggetto o il realista far senzaltro in-tervenire la seguente condizione:

    (13) se o cos e cos, guardando o s pu non vedere cheo cos e cos, ma non pu vedere che o non cos e cos.

    In particolare, questa clausola della condizione di dipendenzafunzionale diretta bloccher il paradosso della nominalizzazio-ne, mentre, come si gi osservato, lassunzione della naturaimplicativa di vedere blocca la possibilit di usare genuina-mente questo verbo nei casi di illusione e allucinazione. E non difficile constatare che questi due principi agiscono in modocoordinato nel bagaglio teoretico del realista: lassunzione diimplicativit regimenta in una direzione ben precisa luso divedere, dicendoci che cosa pu essere genuinamente oggettodella relazione percettiva (e cio cose o stati di cose effettiva-mente esistenti); una volta operata questa regimentazione, il

    principio (13) interviene poi a dirci che cosa possiamo vedere,e che cosa non possiamo vedere, di questo oggetto in questaaccezione di vedere.

    Non intendo soffermarmi pi di tanto sui risvolti semanticidi questa opzione complessiva. Cos, mi limiter a sottolinea-re due aspetti di cui occorre tener conto sotto questo profilo. Inprimo luogo, chiaro che dovremo disporre di trattamenti di-versi per il nostro verbo vedere: nel caso, per esempio, di unenunciato del tipo di s ha visto un avremo a disposizione unautentico concetto relazionale (analogo a quello disponibileper s ha picchiato un ), oppure ripiegheremo su costruzionialternative (s ha creduto di vedere un , come se s avesse

    visto un , ecc.). Ma allora il problema : si tratta di unam-biguit sistematica? Se la risposta negativa, dovremo conclu-dere che la soluzione scelta estremamente ad hoc. Infatti, adecidere che cosa si pu (genuinamente) vedere e che cosa sipu solo credere di vedere saranno di volta in volta considera-

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    zioni di ordine esterno, frammentario e casuale (a seconda dici che assumiamo come esistente, come vero, attendibile,ecc., in termini intuitivi). Come decidere, per esempio, se sipu genuinamente vedere rosa il Cervino allora del tra-monto, o se invece si pu solo credere di vederlo rosa, se si pu(genuinamente) vedere due segmenti orizzontali di lunghezzadiversa nella figura di Mller-Lyer o se si pu solo credere di

    vederli, ecc.? Daltra parte, se la risposta affermativa, se ciosi assegna unambiguit sistematica a vedere, veniamo a tro-varci in una situazione per molti aspetti simile a quella cheintendevamo contestare: veniamo cio a riconoscere lesisten-za di un uso accreditato (in quanto sistematico) in cui si hacomunque a che fare con cose o stati di cose fisicamente nonreali. La differenza, rispetto a chi riconosce preliminarmente lapossibilit di unaccezione puramente fenomenica di vedere, solo che abbiamo localizzato in altre locuzioni (credere,come se, ecc.) la contaminazione con le entit sgradite. Maa questo punto subentra allora la seconda osservazione cheintendevo fare sotto il profilo semantico: se da una parte, come

    si appena detto, la complicazione che la parafrasi di vederein p.e. credere di vedere non sembra farci guadagnare alcun-ch (perch ci ritroviamo con le difficolt di un altro verbointenzionale come credere), dallaltra essa sembra farci per-dere qualcosa. Infatti, da un punto di vista fenomenologicovedere e credere di vedere sono cose ben distinte. La secondasituazione comporta una tematizzazione dellatto stesso che laprima non comporta. Posso benissimo vedere una cosa cos ecos (anche in unesperienza illusoria o allucinatoria) senzacredere di vedere una cosa cos e cos: semplicemente non cipenso sopra. Credere di vedere qualcosa (presunto o reale chesia) , per cos dire, un atto di secondo grado; ci su cui si diri-

    ge la coscienza latto stesso del vedere qualcosa. Ma vederequalcosa (presunto o reale che sia) non implica, normalmente,che venga a coscienza latto del vedere. Ora che ci rifletto, mirendo conto che pochi istanti fa, quando ho alzato gli occhidalla scrivania e li ho diretti verso la finestra, ho visto il cam-

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    panile di Gressoney, cosicch posso dire, adesso, di credere diaver visto il campanile di Gressoney; ma, al momento di veder-lo, il fatto di vederlo non era certo qualcosa su cui avessi rivol-to la mente. (N le cose cambierebbero, fenomenologicamen-te, se la mia visione del campanile fosse stata illusoria.)

    Se ho discusso la parafrasi di (certi usi di) vedere in cre-dere di vedere perch, al di l della fortuna che ha conosciu-

    to in certi ambienti filosofici e logici, essa rappresenta un casoparadigmatico. Penso infatti che le difficolt che sorgono inquesto caso si presentino essenzialmente in tutti quei trat-tamenti che non riconoscono la specificit delluso fenomeni-co di vedere. Ed effettivamente, come abbiamo appena con-statato, proprio questo uso che il sostenitore della tesi fisicasacrifica per risolvere la difficolt sopra menzionata: per risol-vere, in particolare, il paradosso della nominalizzazione. E,indipendentemente dalla validit della soluzione specificaadottata (parafrasi, interazione fra ambiti di operatori intenzio-nali e di quantificatori, ecc.), la sua opzione riduzionista preli-minare volta a dissolvere il significato fenomenico di vede-

    re in quanto possibile elemento dellanalisi semantica sem-bra fondarsi su un presupposto apparentemente solido: e cioche solo nel dominio degli oggetti fisici che possiamo trova-re quelle entitpubblicamente osservabili che vogliamo averecome relata di una relazione percettiva, mentre nel dominiofenomenico impossibile trovare alcunch di simile, trattan-dosi di entit (ammesso che possiamo usare questo termine)fugaci, occasionali, arbitrarie, ecc. Ecco perch il sostenitoredella tesi fisica tende a far piazza pulita delle varie entitintermedie, che si frappongono fra noi e le cose materiali(che siano sense-data, oggetti fenomenici, ecc.) e, come si gidetto, a considerare ci che vediamo in funzione direttamente

    di ci che c (nel senso fisico) da vedere, dove questa rela-zione di dipendenza funzionale comporta le condizioni men-zionate prima. Se per riusciamo a mostrare che: (I) ci sonosituazioni in cui ci che dato allesperienza pubblicamenteosservabile pur senza essere riportabile allesistenza di un

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    oggetto fisico (corrispondente), cio situazioni in cui si haquello che ragionevolmente si pu chiamare un oggetto (per-ch colto intersoggettivamente) desperienza senza corrispon-dente oggetto fisico; (II) conversamente, ci sono situazioni incui lesistenza di un oggetto fisico nel campo visivo non com-porta lesistenza del corrispondente oggetto desperienza; allo-ra, dicevamo, saremmo certo autorizzati a dubitare della legit-

    timit della tesi fisica e della conseguente dissoluzione, nella-nalisi semantica, dellaccezione fenomenica di vedere.Mi soffermer soprattutto sul punto (I), per illustrare il

    quale far riferimento a un complesso di esperienze analizzatea pi riprese da Kanizsa (ultimamente da Kanizsa [1980]). Siconsideri per esempio la fig. 2.

    Figura 2

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    Qualsiasi persona non prevenuta descrive questa situazione come costitui-ta da un triangolo bianco non trasparente che copre parzialmente tre dischineri ed un altro triangolo delimitato da un margine nero. In realt, da un puntodi vista strettamente geometrico, a livello della realt fisica, la descrizionedovrebbe essere molto diversa: si tratta di tre settori circolari neri e di treangoli disposti con un certo ordine luno rispetto allaltro, e basta. Al triango-lo bianco fenomenico non corrisponde alcun oggetto fisico. Eppure la sua pre-senza fenomenica ha un carattere cos coercitivo che, in condizioni di illumi-

    nazione ottimale, molti sono portati a vederlo come incollato sopra al foglio[]. Per convincersi che non soltanto immaginiamo ma che realmentevediamo un oggetto per il quale non esiste un corrispondente oggetto fisico, siveda la fig. 3. In questo caso il triangolo non c pi, pur essendo rimaste deltutto immutate le condizioni di stimolazione relative allarea da esso occupa-ta [Kanizsa, 1975: 15].

    Figura 3

    La rilevanza che osservazioni di questo genere hanno per iproblemi di teoria del significato che stiamo dibattendo dovreb-

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    be essere evidente, ed curioso che logici e filosofi del lin-guaggio non ne abbiano tenuto conto quando hanno sostenuto ilcarattere implicativo dei verbi percettivi (ribadito ancora daDretske [1969], cui fanno riferimento anche Barwise e Perry inalcuni recenti saggi sulla logica della percezione). In effetti, citroviamo qui in una situazione che, ovviamente, non pu esse-re ricondotta a quei casi di illusione soggettiva, o addirittura

    di allucinazione, contro cui il sostenitore della tesi fisica pote-va anche avere buon gioco. Ne consegue che il ribadire linap-plicabilit di vedere (nel suo preteso uso genuino) in circo-stanze simili equivarrebbe, n pi n meno, a un puro e sem-plice partito preso, senza alcuna motivazione ragionevole al dil dellassunzione di partenza che solo ci che fisico pufungere da relatum di una relazione percettiva. ovvio che iltriangolo con margini senza gradiente di fig. 2 non soloimmaginato, in quellaccezione comune del termine per cuidiremmo, per esempio, che a partire dalla configurazione di fig.4 potremmo immaginare un serpente. Altri potrebbe immagi-nare per le onde del mare, altri ancora una molla tesa, ecc.

    Anche in questi casi, si badi bene, si potrebbe dire che s vedeun serpente, oppure le onde del mare, per lo meno, nel senso(considerato p.e. in Usberti [ 1977]) di vederex comey.

    Figura 4

    Ma naturalmente il caso illustrato dalla fig. 2 molto diverso,dal punto di vista fenomenologico. Anzitutto, non c qui un

    certox (un oggetto fisico, come era il caso della linea ondula-ta di fig. 4) che visto come un triangolo. Al triangolo chesi vede in fig. 2 non corrisponde alcun particolare oggettofisico, ma la configurazione complessiva che determina le-sistenza fenomenica di quel triangolo (daltra parte non avreb-

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    be senso dire che quella configurazione complessiva vistacome un triangolo, giacch non solo il triangolo che vedia-mo). In secondo luogo, lesistenza del triangolo non soltan-to suggerita, come quella delle onde in fig. 4, ma impostacon una coercitivit (come fa notare Kanizsa) che fa di queltriangolo fenomenico, in definitiva, un oggetto pubblicamenteosservabile.

    La discussione precedente ci ha quindi indotti a riconosce-re che c un senso del tutto ragionevole di vedere secondo ilquale perch s veda un non necessario che esista (fisica-mente) il nel campo visivo di s. In tal modo, come si osser-vato, stata messa in discussione lassunzione del carattereimplicativo di vedere fatta propria dal realista. A questopunto, per, egli potrebbe anche ridimensionare la portata delleproprie tesi e ribattere:

    Daccordo, ammettiamo pure che ci sia un senso non implicativo di vedere.Tuttavia, quello che interessa a me proprio il suo senso implicativo: se s vedex, allorax esiste (fisicamente). E, per lo meno sotto questo profilo, non potrainegare che valgono quelle condizioni di dipendenza funzionale di ci che si

    vede da ci che c (fisicamente) da vedere che hai criticato prima. Posso anziaddurre una teoria esplicita in proposito: quella teoria causale della percezio-ne che mi dice che s vede x se e solo se x una delle cause dellesperienzavisiva attuale di s. Altrimenti detto, condizione necessaria e sufficiente perchs vedax che ci sia una catena causale (p.e. in termini di raggi luminosi, sti-molazione dei recettori visivi, ecc.) frax e s.

    Venendo al secondo dei punti che intendevo illustrare, co-mincer dunque con losservare che dubbio che quanto in-dicato sopra costituisca davvero una condizione sufficiente. Siconsideri infatti unaltra esperienza proposta da Kanizsa[1980]. Nella fig. 6 contenuto un esagono esattamente simi-le a quello della fig. 5. Cos, se il soggetto s guarda la fig. 6,

    non si pu fare a meno di constatare che, in un senso certo ac-cettabile per il causalista, quellesagono una delle cause del-lattuale esperienza visiva di s (nel senso che, per esempio, par-te della retina viene effettivamente stimolata dallesagono eche, per cos dire, nessuna delle caratteristiche fisiche del-

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    lesagono andata perduta). Eppure, nessuno potr sostenerein buona fede che, guardando la fig. 6, si vede un esagono.Il fatto che, ancora una volta, unassunzione di realismo(ingenuo) venuta a scontrarsi con quelle che sono le necessi-t interne dellorganizzazione percettiva.

    Figura 5 Figura 6

    Cos, anche sotto lassunzione di un uso implicativo di ve-dere, rimane il fatto che il rapporto fra loggetto effettivamen-te esistente e il soggetto s non cos semplice come credono il

    realista e, in questo caso, il sostenitore della teoria causale.Sembrerebbe che, se allinterno dellesperienza primaria di snon si costituisce un oggetto fenomenico corrispondentealloggetto fisico, non si ha visione di questultimo. Lesistenzadella catena causale pu eventualmente continuare ad avere ilvalore di condizione necessaria del vedere qualcosa (nellusoimplicativo, beninteso), ma non il valore di condizione suffi-ciente.

    Considerazioni di questo genere sono particolarmente rile-vanti per lanalisi semantica che abbiamo di mira. Un uso per-fettamente naturale di vedere ci permette di dire, nel casodella fig. 2, che vediamo un triangolo cos e cos, bench es