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Gen. PAOLO INZERILLI GLADIO LA VERITÀ NEGATA EDIZIONI ANALISI

Gladio Verità negata ebook

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Gen. PAOLO INZERILLI

 

GLADIO

LA VERITÀ NEGATA 

EDIZIONI ANALISI

 

 

 

 

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DEDICA

    Se tu puoi aver fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te e tenere in debito conto il loro dubitare;

    Se tu puoi aspettare e non stancarti di aspettare - o se, fatto bersaglio alla menzogna, non ti adatti a mentire - o,

 essendo odiato non rispondi con l'odio e tuttavia non appari troppo buono né parli parole troppo sagge;

Se tu puoi sopportare di udire quella verità - che tu hai espresso - svisata dai mascalzoni che ne vorrebbero fare 

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un 'insidia contro gli sciocchi o vedere gli oggetti, ai quali hai dato la tua vita, infranti e piegati e ricostruirli con i 

tuoi stanchi arnesi;

Se tu puoi impiegare l'inesorabile minuto percorrendo un cammino che ne valga tutti i sessanta secondi

Tuo è il mondo ed ogni cosa che vi è in esso e ciò che è più 

Tu sarai un uomo...

Rudyard Kipling

 

A tutti coloro che hanno operato nell'Organizzazione Gladio.

A coloro che mi sono stati vicini con stima e affetto nei momenti più bui della mia vita.

L'Autore

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PREFAZIONE

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Sono nato a Milano il 15 novembre 1933. Mio padre era napoletano, di quelli che pochi mesi dopo la laurea (in ingegneria elettrotecnica) hanno preso il treno e sono saliti al nord da dove non si sono più mossi. Mia madre appartiene ad una famiglia di artisti, pittori e scultori le cui opere stanno anche al Quirinale, al Tempio Civico di Milano e in qualche museo e galleria. Questo è il primo «imprinting» che ho avuto, l'accoppiata tra l'arte e la tecnica.

L'altra caratteristica della mia famiglia sono le origini. Da una parte una famiglia impiegatizia, dall'altra uno stemma araldico che trova riscontro nelle patenti di Federico Barbarossa. In altri termini provengo da un famiglia della media borghesia solidamente ancorata alla Milano degli anni trenta.

Mio padre lavorava in un grossa società che progettava e realizzava, tra l'altro l'elettrificazione delle ferrovie dello stato. Ovviamente aveva la tessera del P.N.F. e altrettanto ovviamente stava parecchio lontano da casa. Perciò quando all'inizio del '40 si assentò per un pò di tempo pensai che fosse lungo i binari della Genova-

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Firenze. Invece stava a due passi, a San Vittore, braccio politici, ovvero antifascisti.

Rientrato dalla «vacanza» perse ovviamente il posto e mise in piedi, da solo, una fabbrichetta di materiale elettrico che poi finì sotto le bombe inglesi.

Ma lui, testardo, ricominciò.

Tra il '40 e il '43 lo vidi in uniforme da Tenente e mi piaceva un sacco coi pantaloni a sbuffo e gli stivaloni lucidi. Io ero Balilla. Dopo l'8 settembre tornò in borghese anche perché era stato degradato a soldato semplice e congedato per non aver giurato alla R.S.I. Durante la guerra noi bimbi (io e mio fratello) ed i nonni eravamo sfollati, prima a Varese e poi in campagna, perché Milano veniva spesso bombardata. Perciò non c'era nulla di strano

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che mio padre a volte dormisse in ufficio o a casa di qualche amico. Il 23 aprile del 45 tutta la famiglia rientrò a casa ed il 25 scoprii che mio padre faceva parte del CLNAI. Non ne abbiamo

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mai parlato. Ma anche da parte materna ero ben messo.

Avevo uno zio che era il mio idolo (ogni bimbo se ne sceglie uno tra i parenti). Questo era uno «scapocchione» di quelli che riescono a vendere frigoriferi agli eschimesi ma i cui interessi primari erano molto diversi. Era uno che aveva il vero senso della vita che d'altra parte gli aveva lasciato poco tempo per dedicarsi al lavoro. A 18 anni, nel '15 era partito volontario come Bersagliere ed era tornato nel '19 da Capitano.

Nel '40 lo richiamarono, gli diedero i gradi di Maggiore e lo spedirono in Libia al comando di un battaglione autonomo. Rientrò in Italia, con l'ultima nave ospedale che lasciò la Tunisia, con un buco in pancia calibro '45. L'8 settembre era in convalescenza. Uscì di casa e lo rividi a maggio del '45. Aveva comandato per due anni un brigata partigiana in Val d'Intelvi.

La vita riprese tranquilla ed io continuai gli studi al Leone XIII. Nella primavera del '52 mi stavo preparando alla maturità scientifica ma la mia grande passione era di andare in Accademia Aeronautica. Chiesi a mio padre di firmare l'atto

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di assenso perché all'epoca i diciottenni erano ancora minorenni. Me lo rifiutò.

Per mio padre l'unica professione che potesse fare una persona intelligente - e tale mi considerava - era quella dell'ingegnere, mai, categoricamente mai, quella del militare di carriera. Dopo un pò (anch'io sono testardo) trovammo un compromesso. Io ripiegavo su Modena, sarei diventato ufficiale del Genio e mi sarei laureato (in ingegneria ovviamente) poi avremmo ridiscusso la questione. Firmò l'assenso e non mi scrisse mai neanche una cartolina per tre anni. Quando andavo a casa in licenza parlavamo di matematica.

Il colpo più grosso credo di averglielo dato quando, anziché al Genio, venni assegnato alla Fanteria e poi scelsi di andare negli Alpini e di proseguire nella carriera militare. Mia madre piangeva di nascosto, mi scriveva una volta alla settimana e faceva la mediatrice tra due testoni. Con queste premesse ho affrontato la mia professione.

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1. LE PREMESSE

Si sceglie la carriera militare essenzialmente per quattro motivi:

- per tradizione familiare: è una motivazione che si addice ad una minicategoria (1 x 1000?) ormai in via di estinzione;

- per desiderio di elevazione sociale: è la motivazione che spinge molti Sottufficiali a mandare i propri figli in Accademia perché acquisiscanoquello status che loro non hanno mai avuto ed al quale sono stati subordinati per tutta la loro vita; 

- per avere un posto statale: è la motivazione dei più, specie se originari del centro-sud;

- per passione della vita militare, considerata come espressione di virilità (nel senso vero, non del tipo macho), di cameratismo, di appartenenzaad una élite destinata a servire e difendere il proprio paese, erede dei grandi condottieri che hanno scritto pagine della nostra storia.

È la motivazione di un'altra minicategoria che probabilmente (spero) non scomparirà. Qualche

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sognatore esisterà sempre. Entrati in Accademia le differenze motivazionali scompaiono. Le sveglie antelucane, la fatica fisica, la difficoltà degli studi (specie quelli «non militari») la dura disciplina, le divise coi bottoni d'oro che devono essere sempre perfette ed a piombo, la vita in comune, tutto questo fa dimenticare perché si è entrati e fa desiderare e pensare intensamente ad una sola cosa: uscirne con la stelletta da Ufficiale.

I due anni di Scuola di Applicazione a Torino non modificano essenzialmente la situazione. Un po' meno di disciplina e di vita in comune ma bisogna recuperare i due anni di semiclausura dell'Accademia Militare di Modena.

Donne e champagne nei limiti consentiti da un magro anzi, magrissimo stipendio. Non c'è tempo per pensare ai perché. Gli obiettivi sono la specialità (alpini, bersaglieri, pontieri ecc.) e la prima sede. Si gioca tutto

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sui centesimi di punto agli interrogatori ed agli esami come se si partecipasi ai campionati di discesa libera.

Finalmente si arriva ai Reparti. Emozione, orgoglio, paura. Comandanti che ti aspettavano «come la manna dal cielo», per riempire i vuoti esistenti, non importa quali; colleghi che ti insegnano si, ma con prudenza, attenti soprattutto a non perdere mai la posizione acquisita con molta fatica; truppa, questo stupendo insieme composito di gioventù distratta, seccata, disponibile, a momenti orgogliosa ed entusiasta, che ti aspetta al varco per vedere quale sarà la prima «fesseria» che farai. Passato il periodo di ambientamento inizi a lavorare seriamente e cominciano le scoperte. Sai tutto sul plotone in Zona di Sicurezza e molto sulla Compagnia in attacco, ma non hai mai visto un Giornale di Contabilità né il Registro dei Vaglia ed a fine mese prendi il tuo portafoglio e.... ripiani le perdite. Conosci a memoria l'iter addestrativo e le Esercitazioni Tipo ma la tua Compagnia è impiegata nella guardia a depositi di munizioni, nella comandata di cucina, nella pulizia di cortili e del refettorio.

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Sei vissuto a Modena nel Palazzo Ducale coi famigli che ti servono tavola in guanti bianchi, hai visitato a Cesano le moderne e razionali caserme «tipo» a livello di compagnia, ma lavori in una caserma del Regio Imperial Governo austriaco e devi ogni giorno comandare i piantoni alle camerate che durante la notte alimentano le stufe a legna che garantiscono il non congelamento notturno.

È a questo punto che i «perché» sopiti riappaiono e cominciano a dare i loro frutti. Se appartieni alla categoria «promozione sociale» ti arrabbi nel constatare quante frottole ti hanno raccontato. Discuti, litighi e poi... I colleghi di tuo padre si mettono sull'attenti e ti dicono Signorsì - sei un «Signor» Ufficiale e frequenti case dove i tuoi parenti entravano per lo più in tuta da lavoro con la cassetta degli attrezzi - non devi più soltanto lavorare ed ubbidire ma puoi anche dare ordini. Sei arrivato! E se ci sai fare solo un pò, domani potrai dare ordini anche ad altri Ufficiali. Attacchi il ciuccio dove vuole il padrone e non ti agiti più del necessario.

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Se appartieni alla massa, sei più avveduto perché hai già una notevole esperienza alle spalle. Se le poste non funzionano, i treni arrivano in ritardo negli ospedali mancano i posti letto, le mense scolastiche ti rifilano precotti perché mai le Forze Armate dovrebbero funzionare meglio?

Se manca la benzina si va in aula oppure si esce a piedi, cosa che fa bene anche al fisico. Se mancano le munizioni si fa addestramento «in bianco». Se non ci sono le radio, ci sono le staffette. Lo stipendio è sicuro, la pensione pure, un pò di carriera è possibile, e allora? Sappiamo perfettamente cosa e come si dovrebbe fare - perché ce lo hanno insegnato veramente bene. Appena lo Stato ci darà più benzina, più munizioni, più poligoni,

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 realizzeremo al meglio quello che sappiamo. Per il momento tiriamo a campare.

Se appartieni alle minoranze, che sono poi una sola, l'ultima, dato che la prima, come spirito, viene facilmente assorbita dalle altre tre, hai

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davanti a te due possibilità. La prima sono le dimissioni ed il rientro alla vita «civile» dove intraprendere un'altra carriera - è un pò come suicidarsi perché il grande Amore ci ha lasciato. Serve a poco salvo a farsi compiangere al momento e per poco tempo dopo la dipartita. La seconda è piangere di rabbia, ma solo dentro di te, rimboccarsi le maniche e fare il possibile per migliorare dall'interno la situazione, senza pretendere di sconvolgere il mondo e di esserne il nuovo Profeta.

È una strada difficile e se la imbocchi vivrai tutta la vita come tutte le minoranze. Sarai perennemente sotto osservazione. Che tu faccia o non faccia, ognuno si domanderà il perché, a cosa miri, cosa ci guadagni, quanto gli costerà o gli turberà il proprio modus vivendi.

La contropartita è la propria soddisfazione, qualche volta una pacca sulle spalle, altre volte un sorriso a mezza bocca dei dipendenti.

Negli anni cinquanta tutto il personale dell'Esercito per dormire al campo o durante le esercitazioni aveva in dotazione un saccone che veniva riempito di paglia. Ciò valeva,

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ovviamente, anche per i plotoni paracadutisti che facevano parte di ciascuna delle Brigate Alpine. Ridicolo, anacronistico, ma rispondente ai regolamenti di amministrazione e quando ci sono soldi in mezzo non si scherza. La paga del soldato all'epoca era poco più di tremila lire al mese, ma i paracadutisti prendevano in sovrappiù una speciale indennità che ammontava a circa ventimila lire. Appena arrivati alla Brigata le recinte venivano riunite dal Comandante di plotone che spiegava loro come fossero soldati di élite, quanto fossero in gamba, che erano destinati a svolgere compiti particolarmente difficili e delicati quali l'occupazione preventiva di passi e valichi, se la Brigata agiva in attacco, o la condotta di operazioni di sabotaggio e disturbo nelle retrovie del nemico, se la Brigata agiva in difensiva. Per svolgere dette azioni era necessaria la massima autonomia logistica ed un adeguato equipaggiamento. Quindi, nulla contro che ognuno versasse una quota parte dell'indennità di aeronavigazione per acquistare materassino pneumatico, sacco a pelo, un secondo paio di stivaletti da lancio (la «naia» ne passava solo un paio) scarpette e tuta da ginnastica, materiale che

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ovviamente ognuno si sarebbe portato a casa all'atto del congedo? La risposta naturalmente (pazienza ed entusiasmo) era si. Ed in questa maniera, cioè con l'autofinanziamento, le truppe alpine disponevano di unità valide e credibili.

Ho citato questo episodio di vita vissuta per diversi motivi.

Prima di tutto per stemperare la precedente tripartizione della classe

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militare e per dimostrare come l'entusiasmo di uno o di pochi, possa produrre risultati positivi allargati, se non generalizzati. In secondo luogo per evidenziare che già da giovane Tenente a 24 anni operavo con unità destinate ad agire isolatamente e nelle zone occupate dal nemico. Ed in qualsivoglia professione, entusiasmo e preparazione iniziale sono destinati ad influenzare il futuro. Infine per dimostrare che almeno ai minori livelli, sino al grado di Capitano, nessuno, per quanto deluso sia rimasto si mette ad arzigogolare sulla politica militare del paese o

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sulla congruità della percentuale del PIL assegnata al Dicastero della Difesa. Fa o non fa a seconda della sua provenienza, della sua indole ecc. ma non si interessa né tiene nella minima considerazione gli aspetti politico strategici e quanto ne consegue.

è anche per questo che non c'è la corsa agli uffici ed alle scrivanie, se non da parte di pochi fifoni timorosi delle responsabilità, o vecchi e stanchi anzitempo. La carriera prosegue con i suoi alti e bassi come in tutte le professioni e si arriva alla fatidica Scuola di Guerra. Fatidica perché, vecchio modello o modello attuale non importa, è l'unico mezzo per poter entrare a far parte del ristretto segmento superiore della piramide nella quale sono strutturate le Forze Armate.

Più o meno a 30 anni si torna sui banchi di scuola e, come già a Modena, di nuovo si dimenticano i perché, le motivazioni originarie. Si deve completare il corso e si deve uscire tra i primi - é la condizione per avere la possibilità di aspirare ai gradini più alti ed è quella che ti consente di scegliere la prossima sede di assegnazione.

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Non importa se hai la mentalità del postino o dell'addetto all'anagrafe, importa cosa dirai domani sull'ordinamento dell'Esercito canadese o sull'impiego della divisione corazzata nella manovra in ritirata. Lezioni, stesure, relazioni e monografie si succedono a ritmo incessante. Se hai famiglia te la devi scordare, se pensi di fartela è opportuno rimandare a fine corso perché sarebbe cosa oltremodo disdicevole essere distratti durante il corso da un matrimonio! E per quanto attiene al cameratismo, avanti (adagio) ma con giudizio, perché la qualifica di ottimo è limitata come numero e mors tua vita mea. Si esce da Civitavecchia Maggiori o Capitani anziani, dopo aver passato tre (oggi due) anni a comandare Divisioni e Corpi d'Armata, lavorando con frecce rosse o blu, grafici e tabelle coi quali sei in grado di risolvere qualunque problema di rifornimenti, di trasporti, di difesa aerea o di sbarco dal mare.

Sei idoneo al comando, da quello del battaglione a quello del Corpo d'Armata - nella realtà sei più un Dirigente che un Comandante. Si comanda col carisma, con l'esempio e vivendo in mezzo agli uomini. Si dirige da una scrivania con gli appunti,

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i pennarelli colorati e le carte scala 1: 500.000. Finito il corso si torna ai Reparti e tornano a farsi vivi i perché iniziali.

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Se fai parte della minoranza piangi quando devi lasciare il comando del battaglione, del reggimento, della «tua» unità. Se fai parte della massa, conti i giorni che ti mancano per raggiungere la solida scrivania che ti è stata promessa (possibilmente non troppo impegnativa).

Volente o nolente, con le lacrime agli occhi o con un gran sorriso di soddisfazione, si arriva comunque alla fine del periodo di comando e, dato che ti sei guadagnato gli alamari del Servizio di Stato Maggiore, aspetti il dispaccio di assegnazione ad un incarico «dirigenziale» in un Alto Comando. Hai chiesto di restare nell'ambito delle Truppe Alpine che ti è congeniale, non solo per preparazione ma per mentalità (autonomia, vita difficile ma sana ed umana, lontananza dai Palazzi e dai centri di potere, ambiente dove il fattore umano e personale conta molto di più del

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numero delle stellette o del posto occupato ecc.ecc.) e ti ritrovi trasferito a Roma, sede che aborri per infiniti motivi. Non solo sei trasferito a Roma, ma al SID (Servizio Informazioni Difesa) ed in un momento nel quale il Servizio viene attaccato duramente dalla stampa per deviazionismo ed affini. Fai il possibile per cercare di farti cambiare destinazione, ti metti a rapporto lungo la scala gerarchica fino al Comandante del Corpo d'Armata Alpino e ottieni solo di sentirti ripetere la stessa frase: «Se ti hanno assegnato al SID vuoi dire che ti hanno scelto, se ti hanno scelto vuoi dire che sei stato giudicato tra i migliori, se cerchi di chiamarti fuori ti rovini da solo la carriera. Lascia le cose come stanno. Io comunque non posso fare nulla».

A questo punto ti rassegni e da ufficiale coscienzioso ti fai l'autoesame sul nuovo incarico. Cosa ne sai del Servizio Informazioni? Hai fatto l'ufficiale «I» di battaglione e di reggimento hai svolto le funzioni di Capo Sezione «I» di brigata - è possibile che ti abbiano scelto per questi precedenti. Ma poi ripensi al passato: al battaglione eri innanzitutto il responsabile dell'addestramento e della pianificazione

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operativa. Come ufficiale «I» tenevi solo l'elenco del personale in possesso di Nulla Osta di Segretezza e del personale di truppa che non poteva venire promosso Sergente. Troppo poco. Al reggimento ti occupavi sopratutto della pianificazione operativa, dei ruolini in caso di richiamo per mobilitazione, dei soliti NOS e del controllo degli altoatesini che facevano servizio al reggimento, evitando accuratamente che venissero inviati a fare la guardia ai depositi di munizioni o a fare la sorveglianza alle dighe, centrali idroelettriche, ferrovie, ed altri obiettivi in Alto Adige (era il periodo degli attentati da parte dei signori Amplatz / Kiene-sberg / Klotz e dei loro amici). Anche questo è sicuramente troppo poco. Ripensi allora ai corsi fatti. Ti hanno insegnato come si trincera in difensiva una compagnia di fanteria sovietica, a riconoscere gradi e mostrine di tutte le forze del Patto di Varsavia, ad individuare le differenze tra un carro armato, un semovente ed un carro trasporto truppe. Non è molto ma è pur

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sempre qualcosa. Forse potrai barcamenarti e non fare la solita figura dell'Ufficiale di Stato Maggiore che per principio sa tutto e di conseguenza non sa fare nulla.

Sottobanco ti arriva la notizia che sarai assegnato all'Ufficio «R» e cioè alla ricerca all'estero. Ti riprende il panico perché ti rendi conto che nel settore hai una nebbia assoluta ed a questo punto ti metti l'anima in pace e ti preoccupi di problemi banali quali il trasloco, la ricerca della casa, ecc. ecc. Arrivi al giorno fatidico e ti presenti a Forte Braschi dove sei ricevuto dal Capo Ufficio «R» che ti comunica ufficialmente il tuo nuovo incarico: sarai il Capo della Sezione Addestramento Speciale. E dopo che in poche parole ti viene spiegato più o meno dettagliatamente quale è il vero compito che ti è stato affidato tiri un sospiro di sollievo e ti torna il sorriso. è qualcosa che non ti è sconosciuto e che pensi di saper fare, naturalmente dopo i necessari approfondimenti. Sai cosa significa lavorare in autonomia ed in isolamento. Sai cosa vuoi dire pianificare e condurre operazioni al di là delle linee.

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Hai uno staff di una trentina di persone nessuna delle quali è titolata né destinata a fare carriera, ma sei abituato a valutare la gente per le sue qualità personali e professionali e non per il numero delle stellette o la presenza degli alamari sul bavero.

Il comandare un esercito di poco più di 200 uomini anziché avere il comando di un'unità regolare di alcune migliaia non ti deprime perché ti è sempre interessato di più cosa fare e come farlo anziché con quante persone farlo. Quanto detto fino a questo momento è la spiegazione del perché ho assunto l'incarico di responsabile della «Gladio» con serenità ed entusiasmo, senza mugugni o riserve mentali. Con questo non voglio assolutamente dare giudizi sui miei predecessori o sul mio successore ma voglio sottolineare che solo il caso, e non una oculata analisi dei Superiori, ha messo una volta tanto l'uomo giusto al posto giusto. Almeno così ritengo. Devo aggiungere per onestà che, come tutti gli ufficiali in servizio di Stato Maggiore, sapevo di dover permanere nell'incarico per un periodo di tre anni alla fine dei quali ci sarebbe stata la prevedibile promozione al grado superiore

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ed il conseguente ritorno ai reparti tra le amate montagne. Questa ipotesi pressoché sicura, comunque altamente probabile (la promozione in realtà arriverà al quarto anno) mi consentiva di iniziare ad operare come se lavorassi in un ambiente a rischio, sapendo però che esiste una uscita di sicurezza.

L'esperienza dimostrerà che anche questo è un grosso errore abitualmente commesso da chi agli Stati Maggiori è preposto alla designazione degli incarichi.

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2. GLADIO - I PROTAGONISTI (LA CENTRALE)

Per prassi, quando si arriva in una nuova sede, si viene immediatamente investiti da due attività: il briefing di indottrinamento da parte del cedente e la presentazione dei collaboratori e dipendenti, completata dai giudizi del predecessore, espressi fuori dai denti, ma in camera caritatis. Il primo impatto mi lascia piuttosto interdetto. Il Vice è un Ten.Col. che dirige la Segreteria e si occupa

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quindi degli aspetti burocratici ed amministrativi. è talmente scrupoloso che riporta giornalmente sul brogliaccio della contabilità l'importo di ogni singolo francobollo utilizzato per la corrispondenza.

 

Responsabile dell'addestramento e della pianificazione operativa, è un civile, Sottotenente di complemento dell'Aeronautica durante la guerra. è il «vecchio», il factotum che detta legge. Un Tenente del Genio, fa il disegnatore.

Un Capitano dei Carabinieri tiene aggiornate le schede personali, uno di artiglieria da montagna, appena arrivato, mantiene i contatti con gli omologhi degli altri Servizi della NATO e uno delle Trasmissioni, che ha ricevuto a suo tempo le consegne da un Sottufficiale, è il responsabile dei collegamenti. L'addetto alle attività aeree, gestore del famoso DC 3 Argo 16 (bis) è un Capitano dell'Aeronautica proveniente dai Sottufficiali, che passa la maggior parte del suo tempo appeso ad un paracadute, sua passione viscerale. C'è poi il gruppo degli istruttori o responsabili di area.

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Un Colonnello in pensione con un occhio di vetro (quello buono è rimasto in Russia) responsabile dell'area del Friuli Venezia-Giulia, un Colonnello «di cartone» (promosso a fine carriera) capo degli istruttori, coadiuvato da un Capitano dei paracadutisti e da un Ufficiale medico, della Marina, che di tutto si interessa fuorché di medicina.

I Sottufficiali (una quindicina in tutto) sembrano più o meno normali ma sono raggruppati in tre distinti gruppi: il primo rimbecca e «cazzia» violentemente i Superiori, il secondo li guarda con sufficienza e ogni tanto gli

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spiega qualcosa, il terzo non si scompone qualunque cosa accada lasciando cadere penna o fucile allo scoccare esatto del fine orario. La corte dei miracoli! Con questi elementi si dovrebbe predisporre e pianificare e, Dio non voglia, condurre, la resistenza contro l'invasore. Forse ho sbagliato ufficio. Forse quello al quale sono stato assegnato sta in un'altra palazzina. Un cauto

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controllo toglie qualsiasi illusione. Nessuno sbaglio. Le cose stanno proprio così. E allora?

Allora probabilmente sei tu che non hai capito bene, forse è il caso di rivedere la tua gente e approfondire un pò la conoscenza. E difatti dopo poco fai tutta una serie di scoperte. Il disegnatore è un ultra esperto in esplosivi. Il civile è uno dei soci fondatori della Sezione nella quale lavora da 18 anni. Il Capitano di artiglieria (da montagna) parla perfettamente inglese, francese, olandese e, se ci si mette anche un pò di tedesco. Il Colonnello di cartone è l'uomo al quale a suo tempo è stato affidato l'incarico di controllare la sicurezza e l'efficienza in Alto Adige di tutti i distaccamenti e posti di vigilanza contro i terroristi e bombaroli austriaci ed altoatesini.

Il Capitano dell'Aeronautica (promosso Ufficiale sul campo) parla arabo e da Sottufficiale era stato a scorrazzare nel deserto dietro le linee inglesi dove era stato paracadutato. Il medico aveva passato la sua vita a comandare gruppi di Incursori di COMSUBIN. Occhio di vetro, dopo la Russia, aveva fatto il partigiano nella Osoppo e, siccome non gli era bastato, era rimasto nella,

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ormai nota, Organizzazione Osoppo fino al suo scioglimento, in pratica, fino al giorno in cui era stata fondata l'Organizzazione S/B (Stay-Behind). In altri termini, la situazione era l'esatto contrario del motto «non è tutto oro quello che riluce». Là dentro non riluceva niente, anzi, ma c'era la stoffa. D'altra parte il predecessore aveva detto «tutta gente in gamba ma non fargli scrivere un appunto». Grosso sospiro di sollievo, anzi grossissimo e guardi avanti.

Una delle frasi famose, per non dire un assioma, esistente nelle Forze Armate è «La forma è sostanza». Te lo hanno inculcato a Modena, ribadito a Torino, confermato al reparto (per non parlare di Civitavecchia) con una continuità tale che ne sei rimasto quasi convinto al punto che nella tua azione di comando, più di una volta hai fatto tuo quel motto. Quante volte hai punito il personale per «uniforme in disordine» e quante volte hai rimandato in caserma soldati che per la strada non salutavano correttamente.

è vero che provieni dalle truppe alpine, ma anche tra le montagne «Si-gnorsi» era «Signorsi», tutti ti salutavano militarmente perché eri il

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Comandante, se entravi in un ufficio la gente si alzava in piedi, l'Uniforme era uniforme.

Qui siamo al Servizio, alla «Centrale», dove tutti sono ovviamente in borghese perché nessuno ti deve individuare. Di gradi altrettanto ovviamente

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 non si parla come non si parla di cognomi. C'è una serie di «Signor» (Franco, Enzo, Alvaro, Ermanno ecc.) e questi sono Ufficiali, da Tenente a Generale - e poi c'è una serie di Ugo, Paolo, Sergio ecc... il che vuoi dire che sono Sottufficiali. Fermo restando che il Signor Paolo sei solo tu perché sei il Capo, gli omonimi sono Paolone, Paoletto, Paolino e così via a consumazione - Oppure si passa a Sergio 1, Sergio 2, Sergio 3 partendo ovviamente dal primo arrivato non certo dal più elevato in grado (il grado? e cosa è il grado?).

Se entri in un ufficio, il meglio che ti può capitare è di sentirti dire «buongiorno», il più delle volte ti chiedono «serve qualcosa?», normalmente continuano a fare quello che stavano facendo

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senza degnarti di uno sguardo. A questo punto ti fermi e tiri la prima conclusione. Sei al Servizio, che è una cosa diversa da un battaglione o reggimento. La sicurezza e la copertura sono un interesse preminente e tutti si devono abituare a comportamenti certi e sicuri. Non vorrai certo che in un incontro al bar della stazione qualcuno se ne esca dicendoti «Scusi Signor Colonnello...», certo che no! E allora, bando alla forma, almeno in Centrale e al Centro di Udine che vive affogato nell'A.N.A. Ma al Centro Addestramento Guastatori (CAG) di Alghero, sai che vivono tutti in uniforme - senza gradi, perché nessuno deve sapere esattamente con chi ha a che fare - prescindendo dal solito «Signore» per Sandro, Decimo e Antonio, e dai soliti ignoti Vincenzo, Quirico, Alfonso ecc... Ti metti in uniforme (diagonale con bottoni d'oro - alamari di Stato Maggiore cuciti sul bavero - aquile d'oro e d'argento sulla giacca) e vai ad Alghero per conoscere de visu questo gruppo di guerrieri-istruttori. «Tutti - Attenti!» Non c'è batter di tacchi, ma effettivamente la situazione sembra migliore - Sei davanti ad un (mini) schieramento di personale in divisa (o quasi) anche se

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difficilmente puoi dire in uniforme. Mentre dici le solite cose («Sono onorato» ecc. ecc) abbassi lo sguardo e ti rendi conto che mai e poi mai avresti potuto sentire sbattere i tacchi. Un paio di stivaletti da lancio si accoppiano a scarpe da tennis, scarpe basse civili nere o marroni, stivaletti al cromo (eufemismo militare per designare goffe e brutte scarpacce nere) e roba del genere. Alzi lo sguardo, speranzoso, ma non troppo a questo punto. Maglioni a girocollo verdi e kaki, camicie con e senza pettorina, pezzi di tuta mimetica (o il sopra o il sotto), papaline, mefisto, capellini strani (tipo distributori Agip) completano il quadro. Ti senti un attimo demodé e ti metti subito in maniche di camicia, non fosse altro per non far pesare la tua diversità. Approfondisci un attimo la conoscenza di questa accolita di «sciagattati» e ti trovi di fronte ad una cintura nera di Judo, un istruttore di esplosivi, un subacqueo in ARO ed ARA, un istruttore di tiro istintivo (senza mirare) e così via. Vai a vedere come operano nei vari poligoni e ti accorgi che tutti si muovono come ballerine in tutù sul palcoscenico.

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Chi deve saltare, salta come una libellula, chi deve strisciare per terra non ha aggeggi che fanno rumore, chi deve estrarre rapidamente la pistola non ha tasche e bottoni che lo ritardano. Torni al Circolo Ufficiali e mentre ti bevi un bicchiere di vermentino guardi il solito quadro da Circolo che rappresenta la Carica di Pastrengo. Da una parte gli austriaci col Kepi e la giacca bianca, dall'altra i Carabinieri col pennacchio. Scuoti sconsolato la testa. Ma per la carica di Pastrengo.

A questo punto puoi ritornare a Roma con due certezze: per quanto riguarda il personale, forma zero - sostanza molta.

Almeno fino a quando non arriverà gente nuova. E il tempo confermerà queste certezze iniziali. Tutti i nuovi arrivati, per la maggior parte cooptati dagli anziani, appena immessi nel nuovo ambiente mettono in luce le loro reali capacità e perdono di colpo la forma. Le pecore nere che si adeguano alla non forma senza avere la sostanza sono pochissime e ben presto emarginate dal gruppo. Questa idilliaca situazione si è protratta nel tempo sino agli anni 90 anche se purtroppo il

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numero delle pecore nere è decisamente aumentato dopo l'entrata in vigore della legge 801 (legge di riforma dei Servizi) quando il miraggio dei quattrini e della stabilità del posto e la dipendenza del Servizio dai politici (anziché dai militari) hanno consentito l'ingresso a frotte di personaggi a dir poco con scarse motivazioni professionali.

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3. GLADIO - I PROTAGONISTI (GLI ESTERNI)

Sempre secondo la prassi, un Comandante, di qualunque livello sia, dopo essersi reso conto delle qualità e difetti del proprio staff e quindi dei Quadri, passa a tastare il polso alla truppa. Da Tenente e da Capitano avevo fatto servizio alla Brigata Cadore, una Brigata composita, dove una minoranza di Veneti ed una ancor più esigua minoranza di altoatesini era completata dai cosiddetti «appenninici» cioè da personale residente nelle zone dell'appennino tosco-emiliano.

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Questo insieme comportava grossi problemi, per diversità etnico-culturali e per distanza dai paesi di origine nonché per motivi di sicurezza (né gli altoatesini - era il periodo delle bombe ai monumenti ed ai tralicci - né i «rossi», potevano diventare Caporal Maggiore o Sergente.

(Altoatesini e comunisti erano i soldati più corretti e disciplinati). Mantenere la disciplina e creare un univoco spirito di corpo era un compito non indifferente. Da Tenente Colonnello mi era stato dato il comando del battaglione L'Aquila, un battaglione fatto tutto di Abruzzesi dislocato a Tarvisio, a 2 Km. dall'Austria ed a 3 Km. dalla Jugoslavia. Anche qui c'erano problemi di convivenza tra questa «enclave» di militari, già di per se fastidiosi e per giunta «terroni», e una popolazione locale «ferocemente» friulana con una minoranza «crucca» per giunta.

Una truppa meravigliosa, abituata alla montagna e alla fatica, alla quale potevi chiedere qualsiasi cosa di giorno e di notte. La contropartita era che dovevi accettare che tutti ti dessero del «TU», che in cucina ci fosse sempre «a pummarola» e il peperoncino e che non pretendessi né il saluto né

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una uniforme perfetta. Se poi qualcuno rientrava dalla licenza o dal permesso con poco più di 24 ore di ritardo e tu ti scordavi il codice e applicavi altri tipi di sanzioni, l'intesa era perfetta. In altri termini, non avevo mai avuto un comando molto facile e questo mi sollevava lo spirito nel dover affrontare il nuovo «esercito».

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Iniziai il mio pellegrinaggio dal Nord-Est, ovviamente, per poi proseguire verso ovest fino alla frontiera con la Francia. Poi sono sceso verso sud sino all'Appennino Tosco-Emiliano e poi in Sardegna. Da Bologna in giù non c'era praticamente nessuno. Il sistema era quello di partecipare ad esercitazioni o addestramenti in loco già previsti, o programmati ad hoc, per avere la possibilità di stare più giorni in compagnia degli «esterni», verificarne la preparazione e non dare la sensazione di essere il solito Capo in visita alle truppe. L'impressione che ne ricavai fu entusiasmante, da Trieste alla Val Pellice, da Bolzano a Modena, da Cagliari a Olbia. Ci si

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incontrava verso l'ora di cena, per restare insieme fino a notte inoltrata.

Al mattino, io dormivo per recuperare, loro andavano a lavorare come tutti i giorni e questo continuava per circa metà settimana. La massa erano miei coetanei (42-45 anni), pochissimi giovani (dai 30 ai 40) parecchi «vecchietti» (oltre i 50). Ognuno raccontava un sacco di bugie in famiglia, tra gli amici, al club e nell'ambiente di lavoro - ma la sera dopo erano tutti lì. A fattor comune c'era una italianità, un amor di Patria, un disinteresse personale, una disponibilità, che avrei voluto avessero molti dei miei passati dipendenti, colleghi e superiori con le stellette. Lasciati a se stessi per diverso tempo (era il periodo della Rosa dei Venti - del processo di Catanzaro ecc.) erano felici di essere di nuovo contattati, di non esser stati dimenticati, di rendersi conto che non erano stati presi in giro ma che il Paese poteva ancora avere bisogno di loro. Un altro aspetto che mi colpì era il rispetto assoluto della gerarchia. C'erano a volte accese discussioni, ma quando il Capo (Nucleo, Rete o Formazione che fosse) pigliava una decisione ognuno faceva la propria parte senza alcun commento. Ed a loro volta i

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Capi non muovevano paglia se non su input della Centrale. Non ho incontrato teste calde, né guerriglieri preventivi, forse perché sono stato particolarmente fortunato, non certo perché ero cieco o sordo. Ho conosciuto e conosco personalmente almeno 150 dei cosiddetti «gladiatori» - il mio predecessore molti ma molti di meno - il mio successore forse nessuno. Quando rientravo a Roma da questi bagni di entusiasmo cercavo di tirare le fila per vedere se e cosa dovesse essere migliorato. Ma contemporaneamente giravo l'Europa per vedere cosa facevano i miei omologhi negli altri paesi NATO.

In Francia c'erano Capi Rete donne, in Germania reclutavano tutta la famiglia al completo, ad esempio. In quasi nessun paese c'era il vincolo, come da noi, di aver prestato servizio militare. Tenendo conto di queste conoscenze e ricordandomi delle esperienze della Resistenza nel 43-45 decisi di allargare la base del reclutamento, ovviamente dopo l'approvazione delle SS.AA. E così entrarono la chirurga e la parrucchiera, Io zoppo e il vecchio pensionato, le mogli e alcuni figli. Già: alcuni figli, pochi per la

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verità, forse pochissimi. Tutti o quasi, tolte poche eccezioni (troppo apprensiva qualche

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volta troppo chiacchierona) erano disposti a far entrare nell'organizzazione la moglie. Aumentavano le possibilità di copertura, c'era meno bisogno di inventarsi bugie, almeno in famiglia, in alcuni casi addirittura si risolvevano problemi di gelosia (queste assenze da casa, magari solo notturne). Le donne si sentivano più partecipi alle attività del marito, ne guadagnava la serenità familiare, era un vantaggio per l'organizzazione. Oltretutto, ai corsi misti, si creava la classica sana emulazione uomo-donna, con risultati oltremodo positivi per maggior impegno e serietà. Ma i figli continuavano a restare fuori. Non era certo per proteggere la famiglia, a questo punto. E allora? Se chiedevi a qualcuno, col quale eri più in confidenza, il perché, ti sentivi dire che il figlio era troppo giovane, bisognava aspettare che si trovasse un lavoro e vedere quale. E se poi si sposava? Chi

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sarebbe stata la futura moglie? Da quale ambiente proveniva?

Proteggevano l'organizzazione anche «contro» i figli! Ci sono volumi e volumi di storia sulla doppia italianità, dai Guelfi e Ghibellini, alla guerra di Spagna, a Malga Porzus. In questo caso non vi erano contrapposizioni, ma la, indubbiamente meditata, coscienza che la difesa del Paese era un valore che poteva e doveva prevalere anche al di sopra degli affetti familiari. Questi erano gli uomini con la «U» maiuscola che costituivano la Gladio. Qualcuno gli aveva insegnato qualcosa, se già non l'avevano dentro di sé, e questo qualcosa era diventato la seconda, ma vera, natura di ognuno. Il merito andava tutto ai predecessori, ma sopratutto alla banda di «sciagattati» della Centrale, specie i più vecchi.

Devo dire che ci sono voluti mesi per fare questo giro d'Italia, vedere, ascoltare e valutare, ma alla fine, rientrato a Roma ero in condizione di poter tirare un sospiro di sollievo. Avevo un Esercito, piccolo, forse poco addestrato, ma altamente qualificato sul piano morale e spirituale, sul quale avevo capito di poter contare senza timori o

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ripensamenti. Anche questo passo era stato felicemente superato e potevo dedicarmi con tranquillità agli altri aspetti del problema. Per onor di cronaca, e della verità, devo confessare di essere un tipo diciamo «biposto» (in termini aviatori, la mia grande passione). Da un lato sono un freddo uomo d'armi, un gelido e calcolatore ufficiale di Stato Maggiore capace di programmare a tavolino con una bella freccia azzurra un attacco decisivo contro il nemico e di stimare con esattezza, tra le altre cose, quanti morti o feriti rimarranno sul terreno, quante ambulanze, ospedali da campo e drappelli Onoranze ai Caduti sarebbero necessari a sgombrare il campo. Dall'altro lato sono uno al quale vengono i lacrimoni mentre assiste in TV alla sfilata del 2 giugno (altri tempi) o quando lascia l'ultimo incarico, specie se al comando di uomini, sono uno che ha pianto senza ritegno quando ha saputo che sarebbe diventato papa e che ha avuto le nausee tutto il periodo della gravidanza (della moglie ovviamente,

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che peraltro stava come una pasqua). Dico questo perché molte delle considerazioni che ho fatto in precedenza possono sembrare dettate dal sedile posteriore del «biposto». Dal sedile anteriore per contro avevo calcolato che allo scoppio delle ostilità il 50% delle F.A.L. (Forze Armate di Liberazione), come le avevo chiamate, sarebbe scomparso. Il 20% - 25% rimasto sotto le bombe e le cannonate delle due parti, il rimanente 25 - 30% perché, improvvisamente rinsavito, avrebbe fatto prevalere, e seguito, gli affetti familiari e l'istinto di sopravvivenza. Questa valutazione avrà un effetto negli anni successivi nel campo dell'addestramento ed in particolare in quello del reclutamento, portando alla (teorica) lievitazione dei numeri che tanto hanno fatto discutere alcuni dei più eminenti membri della famosa Commissione Stragi.

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4. GLADIO - LA PIANIFICAZIONE OPERATIVA

Dopo aver conosciuto il personale, che viene prima di tutto perché il lato umano, qualunque sia

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la professione che si fa, dovrebbe prevalere sugli altri aspetti del lavoro, si passa di norma ad approfondire gli altri aspetti, diciamo così, più tecnici.

Il più importante è il compito, che peraltro per un militare non è una novità. è dall'Accademia che sai come è fatto e come opera un battaglione o una divisione. C'è solo da approfondire quale è lo specifico e particolare compito della tua unità in tempo di guerra. Per il tempo di pace di norma tutto è pressoché routinario: addestramento, esercitazioni, vigilanza di depositi e caserme ecc. Nulla di sconosciuto.

Qui però bisognava approfondire un pò. Compito nuovo, reparto non accasermato e sparpagliato in mezza Italia, truppa part-time. Da Modena in poi ti viene insegnato e ribadito sino all'ossessione che quando ti viene assegnato un compito devi sistematizzare tutti i dati disponibili per rispondere alle cinque fatidiche domande: «Chi - Cosa - Come - Dove - Quando - Perché». L'altra cosa che sempre da Modena in poi, impari subito, anche se nessuno te la insegna, è la ricerca e consultazione del «foraggio». Dicesi «foraggio»,

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recita la tradizione orale, l'insieme delle carte, appunti ecc. redatti su specifici argomenti dai predecessori e gelosamente custoditi, di norma dagli estensori, se ti va bene in archivio. La consultazione del foraggio è uno degli imperativi categorici per diversi motivi: prima di tutto ti consente di non fare l'inventore dell'acqua calda, in secondo luogo ti fornisce elementi concreti per poter criticare quanto è stato fatto prima, da ultimo (ed è il vero scopo del foraggio) ti consente di rispondere ai tuoi Superiori in quattro e quattro otto cambiando soltanto tre aggettivi e togliendo due virgole. Se hai un pò più di tempo e sei smaliziato puoi anche tentare di invertire l'ordine dei paragrafi e sottoparagrafi e far passare il tutto come novità.

A questo punto:

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«Chi» era chiaro: la Centrale e gli esterni;

«Cosa» te lo avevano detto: predisporre la Resistenza fin dal tempo di pace e condurla in tempo di guerra;

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«Come» era piuttosto nebuloso;

«Dove» era evidentemente il territorio occupato, ma forse andava sviscerato un pò più in profondità;

«Quando» era evidentemente durante una eventuale occupazione ma una scaletta di tempi particolareggiata sembrava opportuna;

«Perché» non sollevava dubbi: liberare i territori occupati.

La consultazione del foraggio è indispensabile per chiarire i dubbi e conoscere quanto già stabilito nel passato e per poter proseguire nel lavoro. La richiesta ovvia è «Vorrei vedere la pianificazione operativa in vigore». Mi sembra di notare un attimo di sbandamento, ma forse è solo una impressione, e poi il «Factotum» arriva trionfante con due contenitori, anzi due cartelline, piuttosto striminzite, dentro alle quali si intravedono delle carte geografiche. L'ultima circolare dello SME sull'impiego del battaglione prevedeva, anzi imponeva, l'ordine di operazioni in forma grafica anziché nella normale forma descrittiva. Si dovevano riportare su una carta

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topografica con simboli e segni convenzionali tutti gli elementi necessari per portare a termine il compito assegnato, senza dover scrivere a macchina il solito romanzo. Era un sistema moderno, molto rapido, che consentiva di avere una visione immediata ed unitaria della situazione di partenza e dei prevedibili sviluppi dell'azione. Mi ricordavo che il sistema era ritenuto valido sino a livello di complessi minori (plotoni, compagnie), ma il Servizio era un organismo così elevato e particolare che sicuramente era stato trovato il modo di adattarlo anche a problemi a scala nazionale. Aprii con ansia la prima cartellina e mi trovai davanti cinque riproduzioni dell'Italia in scala 1 a qualche milione - più o meno 4 ML (un normale foglio per macchina da scrivere). Quattro riportavano la dislocazione, in atto e prevista, dei Nuclei specializzati (Informazione e Propaganda. Guerriglia. Sabotaggio. Evasione ed Esfiltrazione) una quella delle zone di guerriglia dove dovevano operare le UPI (Unità di Pronto Impiego).

Ogni Nucleo era indicato con un cerchio colorato delle dimensioni più meno di una moneta da 100 lire (quelle attuali, formato risparmio) cosicché,

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ad esempio il Nucleo IP di Milano copriva quasi tutta la Lombardia, data la scala della carta. Al di sotto dell'Emilia-Romagna era più o meno quasi tutto bianco. Le zone di competenza delle cinque UPI erano a tratteggio. Ogni zona corrispondeva più o meno ad una provincia comprendente quindi città, zone di montagna, zone di pianura e, se ci fosse stato, probabilmente anche di deserto. Avevo imparato quasi tutto sulle forme di controllo di territori occupati, quello che avevano fatto i tedeschi ed i russi durante la 2a guerra

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mondiale, cosa era successo in Vietnam ed in Cambogia. Mi erano rimaste impresse le restrizioni dei movimenti, le difficoltà dei collegamenti, le requisizioni dei mezzi di trasporto ecc... Come si faceva ad esfiltrare da Trieste alla frontiera francese un VIP con quattro bollini verdi messi a Trieste, Verona, Milano e Torino? è vero che mi aspettavo la sintesi, ma quello che avevo visto mi sembrava un pò eccessivo!

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A questo punto, poco speranzoso invero, passai alla seconda cartellina che conteneva altre carte ma ad una scala un pò inferiore, solo uno a due milioni e mezzo. Una riportava le linee ferroviarie, sul tipo delle carte che le Ferrovie dello Stato appiccicano nell'ingresso di ogni vagone.

La seconda riguardava le linee elettriche, tipo le brochure dell'ENEL, la terza la produzione industriale, più o meno fotocopia di una pagina dell'Atlante del Touring (quella dove ci sono i disegnini con le ciminiere, gli alambicchi ed i martelli incrociati).

Le ultime due riportavano le zone ritenute idonee agli aviolanci ed agli sbarchi dal mare ma a livello dell'intera flotta Sovietica del Mediterraneo non per un gommone «clandestino». Tutta roba che forse poteva servire a qualche Alto Ufficiale di Stato Maggiore per fare un briefing a qualche Ministro, magari anche un pò distratto (il che peraltro non sarebbe stata una novità). A questo punto ho realizzato che era forse più opportuno passare dal generale al particolare. Vorrei vedere i dossier relativi alle

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zone di aviolancio e di atterraggio... Non esistono. I dossier delle zone di sbarco... Non esistono. Quelli relativi agli obiettivi della guerriglia e del sabotaggio? N.N. Quelli delle cosiddette zone di sopravvivenza e dei punti di contatto tra una rete e l'altra per poter esfiltrare qualcuno? altro N.N.

A questo punto tutta la «parrocchia» (era il soprannome che avevo dato alla Sezione) entrò in fibrillazione. Che diavolo voleva questo nuovo Capo? Piani di operazione documenti - carte. Non gli andava bene niente. E sopratutto non trovava niente. Timidamente si fece avanti il «Disegnatore» e mi lasciò da esaminare il dossier relativo ai punti di passaggio alla frontiera con la Francia che aveva avuto incarico di compilare personalmente.

C'era tutto: itinerari, dove trovare l'acqua, dove ci si poteva riparare e riposare, quanto tempo occorreva per arrivare al confine dal punto «X» se il cliente era un cervellone ma fisicamente bolso, e quanto ce ne voleva invece se era un atleta (magari senza cervello). Cosa cambiava di notte rispetto al giorno o d'estate rispetto

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all'inverno, con la neve o con la pioggia. Un lavoro da certosino o meglio da «Perfezionista», che sicuramente aveva comportato un notevole sforzo fisico, molta attenzione, molto tempo, molto cervello. 

Non mi sono mai ritenuto né un Einstein a livello intellettuale né un Napoleone quale militare, ma almeno nella media sì. C'era qualcosa che non riuscivo assolutamente a capire e cioè come potessero coesistere una pianifica-

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zione ancorché particolare, di una precisione ultrapignolesca con un'assenza totale di pianificazione generale. Non ho passato notti insonni a macerarmi sul problema, ma comunque mi ci è voluto un pò di tempo, non dico per capire, ma quantomeno per darmi una risposta.

L'Organizzazione era stata istituita con uno scopo ben preciso (la Resistenza ecc... ecc...). Il primo obiettivo, o traguardo, era quello di reclutare il personale e addestrarlo. Quello che avrebbe dovuto fare si sarebbe visto poi. In altri termini

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per circa vent'anni si era pensato solo al reclutamento e all'addestramento anche perché non erano attività facili. Per reclutare una persona occorrevano mediamente 2-3 anni. Per portarla ad un discreto livello di addestramento ne occorrevano più o meno altrettanti. D'altra parte la dottrina (militare) e la capacità delle forze NATO negli anni cinquanta nonché gli avvenimenti dell'epoca (Ungheria-Cecoslovacchia ecc.) confermavano che una eventuale occupazione sarebbe durata anni, prima che fosse possibile tentare la riconquista delle aree occupate. Ancora negli anni '70 gli inglesi escludevano una occupazione del loro territorio, sulla base di quanto successo durante l'ultima guerra mondiale. In altri termini la pianificazione operativa non esisteva perché non c'era urgenza (poteva essere fatta con tutta tranquillità dopo l'occupazione) non c'era abbastanza personale (i quattro gatti esistenti erano impegnati nell'addestramento), non c'era tempo. Chi mi aveva preceduto non aveva neanche tentato di abbozzare qualcosa, sapendo a priori di essere a termine (e quindi di non poter sicuramente portare a termine l'opera) e di non disporre di

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personale con una pregressa esperienza nel campo. Rinunciare a combattere contro i mulini a vento non è una colpa.

Io sono uno che spesso ci ha provato e che qualche volta ha anche avuto la fortuna di vincere, magari solo per poco tempo perché poi, purtroppo, le pale degli intriganti, dei venditori di fumo, degli opportunisti, degli incompetenti e simile genia, ritrovavano il giusto refolo di vento per ricominciare a girare. I miei diciassette anni passati al Servizio sono pieni di battaglie di questo tipo. D'altra parte avevo scelto la carriera militare per passione, con la convinzione che io ed il mio reparto dovessimo essere sempre pronti ad entrare in azione a difesa del Paese (perché questo è il compito delle Forze Armate) prescindendo dalle elucubrazioni di quei politici o politicastri che, di norma a posteriori, blaterano sul fatto che non ve ne era alcun bisogno. La riprova pratica l'avevo avuta due mesi prima di essere trasferito a Roma, quando gli Jugoslavi avevano spostato truppe e cannoni verso l'Italia e scavavano trincee a 50 metri dal confine nelle zone di Ratece e del Predi!, lavori la cui progressione ogni mattina andavo personalmente

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a controllare appoggiandomi alle casermette di confine dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Decisi perciò che era il caso di cominciare a fare quello che

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fino ad allora non era stato fatto. Era un lavoro che non potevo non fare da solo, visto che non c'erano altri ufficiali con esperienze di Stato Maggiore, ma mi scelsi quale aiutante il «Perfezionista» (ex Disegnatore) visto quello che aveva fatto. Il lavoro era enorme non solo per la mancanza del «foraggio» ma anche perché non essendovi alcun precedente in materia bisognava prima studiare e pensare a cosa fare e poi come farlo.

Per dare un'idea della complessità della cosa mi limiterò a citare quale esempio come sono state individuate le zone ritenute idonee alla guerriglia. Sulla carta 1:500.000, dopo un attento studio, si tracciava un ovulo che delimitava un'area che dal punto di vista geomorfologico veniva giudicata idonea (zona di montagna - alta collina - scarsa viabilità ecc). Poi si esaminava la possibilità di

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copertura (vegetazione ad alto fusto e non caduca) il cerchio si deformava e si riduceva. Poi toccava agli insediamenti urbani - al limite solo quelli piccoli potevano restare e il cerchio diventava un ovulo bitorzoluto. Poi si passava alla densità della popolazione (ultimo censimento per Comune) - solo quella bassa andava bene e l'ovulo si riduceva ancora.

Era la volta dell'orientamento politico, sulla base degli ultimi risultati elettorali, sempre a livello Comune. Le zone a prevalenza o comunque con una forte presenza di rossi e di neri andavano scartati. Sui primi, potrei limitarmi a dire che non c'erano dubbi.

Durante e dopo la seconda guerra mondiale, ovunque era intervenuta l'Armata Rossa, dai Baltici alla Germania, dalla Polonia alla Cecoslovacchia, dall'Ungheria alla Korea, dal Vietnam alla Cambogia, il P.C. e affiliati erano stati dalla parte degli invasori, anche se a volte chiamati liberatori. E la NATO era ancora la bestia nera dei nostri parlamentari di sinistra (le dichiarazioni di accettazione della NATO di Berlinguer in Parlamento sono del 1977).

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L'esclusione dei secondi era altrettanto ovvia, e ciò prescindendo dal mio vissuto personale. Gente che faceva politica in modo eclatante, a volte con l'uso della forza (Sezze e Saccucci sono del maggio 76) con manifestazioni di piazza alquanto accese. Poteva essere gente da inserire nella clandestinità e nell'anonimato? E prescindendo da questa valutazione, era possibile obiettivamente pensare che non fossero tutti, o quasi, schedati dalla controparte? A che prò inserire gente sicuramente bruciata in partenza che sarebbe sparita alla prima tornata di epurazioni e che sicuramente sarebbe stata costretta a fare i nomi degli altri? Dopo altre considerazioni di carattere pratico e tecnico militare, nonché storico (cosa era successo in quella zona nel '43-'45? e in altre occasioni precedenti?) l'ovulo bitorzoluto, oltremodo ridotto rispetto alle origini, è stato riportato sulla carta. Ed abbiamo constatato, io ed il «Perfezionista», che in alcune zone idonee non c'era, né era previsto, nessuno, e che in aree che non si prestavano (ad esempio Trieste) era esistente una UPI (Stella Marina).

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Per raggiungere questo risultato abbiamo impiegato mesi, dato che avevamo anche qualche altra cosa da fare, e solo allora abbiamo iniziato la vera pianificazione operativa il cui primo documento, Direttive di Base, vedrà la luce in veste completa solo nel 76. Proprio nel redigere questo documento scoprii che esisteva un binomio quasi tabù, costituito dalle parole «Elemento Attivatore».

In altri termini «Quando» l'Organizzazione doveva entrare in azione? Prima o dopo l'occupazione? E quanto prima o dopo? E chi glielo ordinava? E....altre mille domande. A detta di «Factotum» è un problema importante, fondamentale, che nessuno dei Capi e dei miei predecessori è riuscito a risolvere. In effetti la soluzione del problema non era semplice.

Diamo l'ordine di attivazione ad occupazione avvenuta (e quanto tempo dopo?), rischiando che il caso, i delatori, le indagini delle Forze di sicurezza dell'occupante eliminino uno ad uno, in silenzio, gli appartenenti all'organizzazione restando così «in braghe di tela«?

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Diamo il via immediatamente prima dello scoppio delle ostilità, creando un buon numero di disertori ricercati dalla nostra Polizia Militare e rischiando di passare per una banda armata insurrezionale? Quando le Autorità Militari e soprattutto quelle politiche (conoscendo specie di queste ultime, il decisionismo ed ì tempi di reazione) avrebbero dato il via all'operazione? Erano domande la cui risposta non era semplice.

Ad aiutarmi intervennero i ricordi d'infanzia. Durante la seconda guerra mondiale gli ufficiali del Corpo di Stato Maggiore, portavano l'aquila sul berretto. E questo secondo lo zio bersagliere, era dannoso perché il rostro dell'aquila gli beccava il cervello.

Non avendo corso questo pericolo, perché, sia oggi che ai miei tempi, l'aquiletta d'oro viene portata sul petto, decisi di pensare con la mia testa e trovai una soluzione che mi sembrò lapalissiana, oltreché rispondente ai canoni dello Stato Maggiore.

L'elemento attivatore era l'invasione (neanche lo scoppio delle ostilità). Dopo 24 ore di occupazione l'organizzazione si attivava...

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accendendo la radio e aspettando gli ordini. Soluzione più chiara e meno pericolosa di questa mi sembrava difficile si potesse escogitare. Ebbi il plauso ed il rispetto del «Vecchio» che fino ad allora mi aveva giudicato, forse in gamba, sicuramente rompiballe.

Stabiliti, una volta per tutte, questi due punti fermi si poteva portare avanti una pianificazione degna di tale nome e così facemmo. Scoprii poi, col tempo, che tra le carte delle varie esercitazioni, fatte in passato, che il «Vecchio» conservava gelosamente nella sua cassaforte, c'erano le schede ed i dossier delle zone di lancio, di atterraggio, di sbarco, degli obiettivi e delle zone di contatto utilizzati nelle esercitazioni stesse. Glieli feci rubare e

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li feci assemblare per materia e queste raccolte costituirono la seconda base per lo sviluppo della pianificazione operativa e le attività connesse (ricognizioni, controllo, documentazione fotografica ecc.)

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5. GLADIO - L'ADDESTRAMENTO

Al mio arrivo l'addestramento era l'attività primaria della Sezione, il fiore all'occhiello che impegnava tutto e tutti. D'altra parte era la sola cosa visibile e che poteva essere mostrata ai Superiori ed ai colleghi dei Servizi degli altri Paesi.

Dominus incontrastato era il «Factotum» che aveva retto il settore dall'inizio, dopo il corso iniziale negli USA, e che quindi, per principio (suo) e per fede (degli altri) era quello che sapeva tutto. Anche qui è valida la distinzione tra «Centrale» ed «esterni».

Come ho già avuto occasione di dire, il Quadro Permanente era tutto costituito da specialisti, altamente qualificati dal punto di vista tecnico. Ma, dopo essermi reso conto del buio assoluto esistente nella pianificazione operativa, cominciavo ad avere dei dubbi sul livello di preparazione generale, non dico strategico ma,

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quantomeno tattico ad ampio respiro. Pochissimi avevano comandato Reparti seri (operativamente parlando) molti stavano nel Servizio da anni, nessuno aveva comandato unità a livello di battaglione o superiore, tolti quelli che avevano comandato il CAG in precedenza che, nonostante, i soli suoi 40-50 uomini, valeva come comando di battaglione. D'altra parte la decisa compartimentazione all'interno del Servizio, gli scar-sissimi contatti con le Forze Armate, oltretutto limitati ai bassi livelli, la stessa differenza di mentalità tra militari ed appartenenti ai Servizi, rendeva difficile, non dico l'interscambio di idee, ma l'aggiornamento delle stesse.

Agli addetti ai lavori sembrava ininfluente, per lo svolgimento del loro compito specifico e particolare, il passaggio dalla «difesa arretrata» alla «difesa avanzata» o dalla dottrina della «risposta massiccia» a quella della «risposta flessibile» elaborata negli anni in ambito NATO. Nel campo della guerra non ortodossa e dell'attività clandestina il livello era invece decisamente molto elevato ma le «sinossi» addestrative, oltreché ad essere considerate alla

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stessa stregua del Vangelo, erano datate come il Vangelo. Redatte tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60 non erano più state modificate.

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Era forse il caso, se non di decidere aprioristicamente per un lifting, di esaminare l'eventualità di una cura di ringiovanimento. Non volendo pontificare sull'evoluzione della strategia e non potendolo fare sugli argomenti specifici delle operazioni clandestine, dato che ero l'ultimo arrivato, optai per il sistema del seminario. Una volta al mese, riunivo per una intera settimana di clausura al CAG di Alghero tutto il personale della Centrale e gli istruttori. Orario di lavoro: dalle 08.00 alle 20.00 e se non bastava si proseguiva sino alle 24.00 (i pasti ovviamente erano sacri).

Ogni seminario, basato sul canovaccio di una esercitazione già svolta o impostata per l'occasione, esaminava un tema specifico. Ad esempio «In una città operavano le previste Reti IP-G-S-EE. Era possibile o auspicabile un

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collegamento fra di loro? (vietato dal Vangelo). Poteva esserci un coordinatore locale che diventasse l'unico referente nei confronti della Centrale ? (sempre NO diceva il Vangelo). Il pool di seminaristi veniva ripartito in gruppi ed ogni gruppo doveva elaborare una soluzione (pratica) e sostenerla di fronte agli altri. Si discuteva, spesso anche animatamente, perché ognuno era convinto della bontà delle proprie idee e non gli andava a genio che il Capo finisse poi per sposare l'idea di un altro.

Io stavo a sentire, facevo il moderatore, prendevo nota e riassumevo giorno per giorno le conclusioni dei vari passaggi e traguardi raggiunti.

Il sistema è stato decisamente positivo perché alla fine della settimana, o io rientravo a Roma convinto che il Vangelo era tale, oppure erano gli altri ad uscirne quantomeno col dubbio che era il caso di ristudiare a fondo il problema. Con questo sistema sono state rifatte o aggiornate quasi tutte le sinossi, rivisto il sistema addestrativo, modificata nel tempo la pianificazione operativa, in particolare la cosiddetta pianificazione

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complementare cioè i piani particolareggiati dei collegamenti, logistico ecc... Detto così sembra abbastanza semplice ma nella realtà è costato molto tempo e fatica ed una notevole opera di persuasione per convincere gli «evangelisti» che, se anche la Chiesa nel corso di duemila anni qualcosina aveva cambiato, non era uno stravolgimento della fede modificare sinossi o rivedere durate e forma dei corsi. II secondo scossone alla formazione del personale della centrale fu de terminato dalla, finalmente redatta, pianificazione operativa. Avendo final mente chiarito cosa si doveva fare e come, si evidenziò la necessità di aumentare i quadri, in particolare gli ufficiali, che passarono dagli iniziali 10-11 a oltre una ventina.

Uno dei punti fermi della mia personale (così mi è sembrato a volte) filosofia del comando è che si ordina e sopratutto si insegna, quello che si sa fare e si è già fatto. Armiamoci e partite non ha mai fatto parte del mio baga-

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glio culturale. Non era pensabile che degli istruttori si leggessero e si imparassero a memoria le sinossi e poi andassero a pontificare in aula, sistema purtroppo spesso adottato in diverse Scuole (non parlo ovviamente di quelle pubbliche o private). Appena arrivati, i nuovi venivano spediti al CAG per frequentare per una settimana intensiva il corso basico che gli esterni era previsto facessero in quindici giorni. Tutto era uguale, se non accentuato, dal sistema di trasporto con l'aereo ed il pulmino oscurato agli orari, dall'isolamento assoluto alla non fraternizzazione con gli istruttori e così via.

Non era soltanto importante imparare quello che poi si sarebbe dovuto insegnare ma anche tentare di rivivere le condizioni psicologiche nelle quali si sarebbero trovati i futuri allievi.

Per un anno intero i nuovi avevano il divieto assoluto di contattare gli esterni e per contro frequentavano tutti i corsi di qualificazione e di specializzazione I-S-G-E che durante l'anno venivano svolti. Solo a questo punto potevano apparire in pubblico affiancandosi ai vecchi come aiuto istruttori. Questo sistema di formazione del

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personale ha dimostrato, nel tempo, la sua piena validità non solo perché consentiva a tutti di avere una preparazione consolidata e non abborracciata ma anche perché consentiva a ciascuno di individuare le materie o discipline che gli erano più congeniali e quelle per le quali era pressoché negato e quindi di utilizzare gli istruttori a ragion veduta. E il tempo, giudice quasi infallibile, metteva in luce anche i negativi, gli incapaci, che con calma e discrezione dovevano essere dirottati ad altri incarichi. A Dio piacendo i casi sono stati molto limitati. Ma la pianificazione operativa aveva portato anche altre conseguenze, prima fra tutte la revisione dei compiti delle Reti.

Le attività di sabotaggio ed in particolare quelle di guerriglia erano passate a priorità 3 e si era previsto di affidarle sempre più a personale della Centrale che avrebbe dovuto infiltrarsi al momento opportuno nei territori occupati sia per svolgere direttamente le azioni sia per costituire nuclei di reclutamento e di addestramento di gruppi ed unità di guerriglia da organizzare alle spalle del nemico. Era imperativo che il personale avesse e mantenesse una buona forma fisica ed

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una altrettanto buona conoscenza della vita in montagna, zona ideale per le attività di guerriglia. Di conseguenza, corsi roccia e corsi sci, non del tipo delle scuole di sci Cortinesi o di Corvara, ma sulla falsariga dei corsi per le truppe alpine, in neve fresca, fuori pista ecc. dove ci si diverte poco e si suda molto. Per completare il quadro esercitazioni di sopravvivenza. Il solito pool di istruttori si concentrava ad Alghero.

All'alba del giorno «X», suddivisi in gruppi di 3-4 persone venivano imbarcati su macchine e pulmini e scaricati in punti diversi ad una sessantina di chilometri dal CAG dove si dovevano ripresentare dopo tre giorni. Zaino ridotto al minimo e una sola razione viveri da combattimento per i tre giorni;

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se non bastava si dovevano arrangiare. Ovviamente la zona prescelta non era facile, non da gita turistica, e per ravvivare l'ambiente durante tutta la giornata aerei leggeri ed elicotteri del nemico (io e i più anziani) volteggiavano su e giù cercando di individuarli, il che rendeva

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ancora più faticosa la passeggiata. Chi veniva beccato era squalificato, senza contare le sghignazzate dei colleghi al rientro.

Piedi piagati, scatti di nervi e lacrime di rabbia non erano inusuali. Un altro simpatico addestramento era quello alla navigazione in gommone con la sola bussola ed ovviamente di notte, uno dei normali sistemi di infiltrazione. Lasciare il cosiddetto sorgitore, barca, peschereccio o sommergibile che fosse, per raggiungere un punto preciso della costa non è una cosa tragica se si è fatto un buon studio preventivo e si sanno riconoscere i previsti diversi punti di riferimento.

Ma fare dietrofront e trovare il sorgitore che ti aspetta al largo a luci spente, in un punto prefissato, diverso da quello in cui ti ha mollato non è proprio una uscita in pedalò. Se poi c'è un pò di mare il divertimento è assicurato.

Ne sa qualcosa uno degli ultimi capi istruttori spazzato in acqua da un'ondata alle Bocche di Bonifacio, mentre il 20 cavalli andava a pieno regime. Ritrovarlo e ripescarlo ha dato un pò di

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batticuore al suo compagno e al secondo gommone (e probabilmente anche a lui).

L'esercitazione finale, perché bisogna sempre provare e controllare quello che si è imparato, consisteva nel salpare dall'Isola d'Elba e raggiungere la Corsica portando un cartone di buon vino da regalare al Comitato di ricezione francese che gentilmente si prestava a fare i segnali luminosi a terra. Un brindisi, au revoir, e dietrofront per essere di nuovo all'Elba prima dell'alba. Per i paracadutisti si trattava di passare dal liceo all'Università, tenendo conto che un buon radar che ha pizzicato un aereo e lo segue, individua anche il momento del lancio specie di un gruppetto di 3-4 uomini. Le tecniche per infiltrarsi sono due. Ci si lancia da aita quota, magari con la maschera ad ossigeno, e si apre solo a quota di sicurezza. Venendo giù come una palla di cannone non si offre bersaglio al radar . Il secondo sistema è quello di lanciarsi ad altissima quota ed aprire subito. Poi si utilizza il paracadute, quelli che sembrano spicchi di frutta colorata, come se fosse una vela camminando per chilometri e chilometri. Con un lancio da 10,000 metri si può fare una camminata di oltre 30 km.

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(di più se il vento aiuta)il che significa arrivare alle spalle del nemico mentre l'aereo vola dalla parte dei nostri. Anche i piloti non avevano vita facile. Dovevano imparare a volare a bassa quota per sfuggire ai radar e tenere un bestione come il G 222 a 50 piedi sopra il mare, il che vuoi dire più o meno 15 metri, per 100 o 200 miglia non è proprio un giochetto. Ma la cosa più importante è che dovevano volare di

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notte, senza l'ausilio della radio e delle radioassistenze (in guerra non ci sono) basandosi solo sulla bussola e sul cronometro. E arrivare sull'obiettivo al secondo, con un lasco di tempo, per un eventuale secondo tentativo, contenuto in 3 (tre) minuti.

Per realizzare tutto questo occorre tempo, pazienza, nervi d'acciaio, una dedizione al dovere ed una convinta comprensione e compartecipazione al lavoro di tutta l'organizzazione che sicuramente non tutti possono avere. Nessuno all'interno del resto del Servizio si è mai reso conto di quanta fatica,

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quanto impegno e quanto stress ha comportato tutto questo e nessuno, e questo è il lato peggiore, ha mai dato nel tempo, il minimo riconoscimento a questa gente. Ed è il caso di sottolineare che il superparacadutista da 10,000 metri non prendeva una lira in più del suo parigrado addetto all'Ufficio del Personale o alla Posta. Ma quello che è ancora più desolante è il comportamento di quanti hanno teso a disperdere al vento questo patrimonio di esperienze, di capacità, di lavoro di equipe, di professionalità, per cercare di non essere direttamente coinvolti nel cosiddetto affare Gladio. E questo senza tener conto che anche domattina il Paese potrebbe ancora aver bisogno di gente altamente specializzata e motivata.

La professionalità può essere mantenuta, rinverdita, addirittura perfezionata, la motivazione e l'entusiasmo possono essere indirizzati verso altri scopi, ma non possono certamente essere ricreati in persone che li hanno persi perché sono state emarginate e ghettizzate quasi fossero affette da AIDS. E questi spiacevoli comportamenti, oltretutto, entreranno a far parte della formazione basica dei nuovi arrivati che cercheranno a tutti i costi la proverbiale scrivania.

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L'altra faccia della medaglia riguarda l'addestramento degli esterni (per noi) ovvero i gladiatori (per il volgo).

Tenuto conto della forma di reclutamento, dagli anni '50 sino alla fine del '74, l'addestramento veniva svolto con corsi della durata di 15 giorni, il primo considerato basico e quindi interdisciplinare, i successivi di specializzazione nelle diverse branche. Erano più o meno 3-4 all'anno e perlopiù concentrati nel periodo estivo, conseguenza del fatto che avvenivano per richiamo ufficiale ed i richiami normalmente sono contingentati come numero ed avvengono sempre in un ben determinato periodo. Strana «banda armata» questa, costituita con cartolina precetto! Le cose che mi colpirono subito furono tre. Quale Ufficiale degli Alpini e tenuto conto che all'epoca la massa degli esterni erano ex alpini mi rendevo conto delle chiacchiere che nei vari paesi si sarebbero fatte all'arrivo della cartolina di richiamo per addestramento a Roma. Fosse stato Aosta o Torino o l'Aquila passi, ma Roma! [n secondo luogo mi era stato spiegato alla nausea che dovevamo restare coperti, clandestini ecc. Mi sembrava che la prassi in atto lasciasse

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tracce dappertutto. Lettera del Servizio allo SME con l'elenco nominativo di quelli da richiamare durante tutto l'anno; lettera ed elenchi dello SME ai Comiliter, da questi ai Distretti e poi alle caserme dei Carabinieri o ai Messi Comunali fino all'arrivo agli interessati. Parenti, amici e paesani ovviamente al corrente più i datori di lavoro ai quali l'interessato doveva far vedere (e probabilmente dare copia) la cartolina per giustificare l'assenza e non perdere posto e stipendio. Forse era un po' troppo.

La goccia che fece traboccare il vaso fu un Colonnello di un Distretto, piuttosto ficcanaso, che voleva sapere dai «richiamati», al rientro dove erano stati, cosa avevano fatto, in quale reparto ecc. Il primo provvedimento fu quello di intervenire per far trasferire immediatamente il ficcanaso. Ma questo non risolveva il problema alla base. Il punto essenziale era quello di eliminare le tracce che la prassi burocratica imponeva e non vi era altra soluzione che

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rinunciare ai richiami e affidarsi alla buona volontà e disponibilità degli affiliati.

Il vantaggio della «convocazione diretta» era quello di poter estendere reclutamento ed addestramento anche a chi non aveva fatto il servizio militare, e per certi incarichi non c'era nessun bisogno di guerrieri, anzi. E questo allargamento del reclutamento risolveva un altro degli annosi problemi sempre dibattuti e mai risolti.

Allo scoppio di un conflitto ci sarebbe stata la mobilitazione. Gran parte degli esterni sarebbe stata richiamata per cui l'organizzazione si sarebbe trovata decimata in partenza e costituita esclusivamente da vecchi o da non idonei al servizio militare e quindi non addestrati perché mai richiamati. A questi vantaggi si contrapponeva lo svantaggio della difficoltà da parte degli esterni di giustificare, in famiglia e sul lavoro, un'assenza specie se della durata di 15 giorni.

Per risolvere il problema ci siamo mossi contemporaneamente su due strade. Innanzitutto è stato rivisto tutto il sistema addestrativo

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riprogrammando tutti i corsi in tre settimane, anziché in due, ma non consecutive. Il personale arrivava a Roma la domenica sera e la mattina del lunedì veniva trasportato al CAG col solito aereo oscurato. In precedenza il primo giorno gli esterni lo passavano nella cosiddetta «foresteria» di Cerveteri (5 camere a due letti) installazione che serviva quale camera di compensazione tra la vita normale e la prevista clausura. Solo a quel momento gli veniva spiegato chiaramente cosa avrebbero dovuto fare e li si faceva sottoscrivere la dichiarazione impegnativa (accettare i doveri, mantenere il segreto ecc.ecc.) Chi voleva rinunciare, perché solo allora aveva capito, poteva farlo e veniva riportato in città. Col nuovo sistema non c'era tempo e l'indottrinamento veniva fatto direttamente in aeroporto a bordò dell'aereo prima del decollo. Chi non se la sentiva poteva scendere e tornava alla Stazione Termini (che io sappia non è mai successo).

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Arrivati al CAG iniziava l'addestramento, intensivo, ed il sabato rientravano a Roma in

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tempo utile per essere a casa loro in serata. Tutta la pianificazione addestrativa veniva imperniata sul principio che era la centrale ad essere a disposizione degli esterni e non viceversa, come il sistema del richiamo consentiva di fare nel passato. Si programmavano una ventina di corsi all'anno, si comunicavano le date e si chiedeva se ed a quali volevano (e potevano) partecipare.

Il sistema imponeva maggior impegno per gli istruttori (ma erano lì per quello), minor numero di frequentatori per ogni corso, tempi di completamento della preparazione molto più lunghi, ma garantivano completamente la sicurezza. L'altra strada imboccata e seguita per un po' di tempo era quella della «cattedra ambulante».

Un paio di istruttori si recavano nella città ove esisteva una Rete e per una settimana, durante le ore serali, facevano addestramento a domicilio a chi ufficialmente aveva una riunione di lavoro, la partita a scopone con gli amici e altre giustificazioni simili. Con questo sistema ho fatto delle bellissime scorrazzate in barca a vela sul lago di Garda aspettando che arrivasse l'ora di

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andare a far lezione. Questa strada venne presto abbandonata perché era troppo dispendiosa e poco adeguata: due istruttori fuori sede per una settimana intiera per fare 3-4 ore di lezione al giorno, senza tutti i necessari ausili didattici e senza possibilità di fare pratica. Andava bene per rinfrescare la memoria a chi era già stato addestrato in precedenza, non certo per formare le nuove leve. L'altro aspetto dell'addestramento, forse il più importante, erano le esercitazioni. La pratica vale più della teoria, specie tenendo conto che col sistema della convocazione diretta tra un corso e il successivo passavano molti mesi, a volte anche un anno. E solo la pratica può confermare la validità della teoria o suggerire le necessarie modifiche, gli aggiornamenti. Fino agli anni 70 venivano programmate più o meno due esercitazioni all'anno. Una era un'esercitazione per Quadri, cioè fatta a tavolino, che coinvolgeva 2-3 elementi della Centrale e tutti i componenti di una Rete locale. Ogni anno si cambiava zona, mentre il tema era più o meno lo stesso e cioè la pianificazione di uno o più attacchi contro le forze nemiche che già da tempo avevano occupato il territorio nazionale od una sua parte.

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Si studiava come garantire l'infiltrazione e la successiva esfiltrazione di team di specialisti o di Forze Speciali, come e dove nasconderli, alloggiarli, sfamarli ecc... come raccogliere le informazioni relative agli obiettivi da attaccare e quelle di carattere più generale relative a tutta l'area per garantire la sicurezza di tutta l'operazione, le possibilità di movimento e così via.

Gli elementi della Centrale indirizzavano, correggevano, suggerivano e facevano la parte dei cattivi inserendo nuove difficoltà (coprifuoco improvviso, aumento dei controlli, spostamenti di truppe ecc.) mano a mano che la

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pianificazione proseguiva. Lo scopo dell'esercitazione era quello di far lavorare i cervelli e di trovare le soluzioni più semplici possibili per portare a termine il compito stabilito.

Era un vero e proprio «gioco di guerra» che serviva non solo a rinfrescare l'addestramento già fatto ma soprattutto ad individuare chi aveva la

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stoffa del Capo e cioè reali capacità di comando, di pianificazione e direzione. Quello dei Capi Rete o Capi Formazione che fossero, era un problema vecchio e spinoso. La maggior parte erano anziani, con un gran seguito fra i propri uomini, capi carismatici, ottimi per assicurare un avveduto reclutamento, mantenere la compattezza della rete, tenere alto Io spirito. Ma spesse volte non altrettanto adatti a pianificare e dirigere operazioni. Se non si autopensionavano non potevano e non dovevano essere messi da parte d'autorità per non rompere delicati equilibri interni e non creare attriti o rivalità. Si individuava allora un Vice che avesse dimostrato di possedere quelle qualità operative che erano ritenute necessarie dalla Centrale e si passava poi ad una lenta fase di convinzione per farlo accettare da tutto il gruppo, oltreché naturalmente dal Capo in carica. A volte la designazione non veniva fatta ufficialmente perché considerata inopportuna al momento. Restava sulla carta, nello schedario della Centrale. All'atto dell'emergenza sarebbe stata fatta l'investitura e il senso di disciplina che permeava tutta l'organizzazione avrebbe garantito l’accettazione

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da parte di tutti di un ordine arrivato dall'alto. La seconda esercitazione annuale programmata era invece una esercitazione sul terreno, banco di prova non solo dei capi e delle capacità di pianificare ma di tutto il personale di una rete o di più reti di realizzare concretamente quanto veniva pianificato. Di norma questo tipo di esercitazioni durava 15-20 giorni, veniva svolto in collaborazione con gruppi delle Forze Speciali USA (in quegli anni i collaboratori esteri preferenziali, per non dire gli unici) e comportava l'attivazione soprattutto delle Formazioni di Guerriglia. Il tutto avveniva col solito sistema della cartolina precetto di richiamo che consentiva di avere sul terreno per tutto il periodo dell'esercitazione, un numero consistente di esterni. Sono di quegli anni esercitazioni rimaste famose, non solo nell'ambito della Gladio ma anche dello SMD o delle Forze dell'Ordine, tipo l'esercitazione Aquila Bianca che nel 1965 vide l'impiego di Carabinieri di tutte le Legioni da Genova a Trieste (per un totale di circa 600 uomini) contrapposte a Formazioni di Guerriglia e gruppi di Forze Speciali USA (circa 200

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uomini) che attaccavano ponti, strade, ferrovie, oleodotti ecc. ecc.

Nel complesso l'Aquila Bianca, grossa esercitazione di guerriglia e di Difesa del territorio impegnò oltre 900 uomini, 9 mezzi navali, 9 tra aerei ed elicotteri, ed un centinaio di automezzi.

Sono di quegli anni i problemi relativi a chi doveva avere, in caso di

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guerra, il comando delle Reti e Formazioni di Gladio nel caso di presenza presso di esse di personale della Centrale, o di ufficiali delle Forze Armate (speciali e non) nazionali o alleate. Ci furono litigi abissali, rifiuti di obbedienza, intimazioni di arresti, minacce di dimissioni.

Il tutto si risolse, al meglio, per merito dell'italica duttilità. I militari avrebbero fatto i consulenti/consiglieri del Capo locale che avrebbe mantenuto il Comando totale ed effettivo. Stava alla capacità e professionalità dei

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militari convincere il Capo della bontà delle loro idee e soluzioni.

Per contro se i militari ritenevano di fare una azione anche contro il parere del Capo Formazione, potevano farla coi propri uomini purché non ne pretendessero l'appoggio e non mettessero in pericolo la Formazione. Machiavelli è nato qui.

L'abolizione dei richiami poneva fine a questo, si fa per dire, stato di grazia. Era impensabile poter disporre di gruppi consistenti per una quindicina di giorni consecutivi. Scuse e giustificazioni non avrebbero retto a lungo e sarebbero sicuramente nati problemi o in famiglia o nell'ambiente di lavoro, se non in tutti e due i campi.

Diventava indispensabile ridurre i tempi. Era però altrettanto opportuno che il numero delle esercitazioni aumentasse per mantenere alto il livello addestrativo, tenuto conto delle difficoltà che si erano create anche nella frequenza dei corsi al CAG. D'altra parte la, finalmente redatta, pianificazione operativa aveva stabilito che l'attività di guerriglia, e quella del sabotaggio assumessero priorità 3 mentre assumevano

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priorità 1 le attività di Evasione ed Esfiltrazione e la ricerca Informativa. La Propaganda era un problema a parte. Nel passato esisteva l'assurdo che si cooperava con le Forze Armate alleate ma non con quelle nazionali per un eccessiva tendenza alla copertura e compartimentazione. Ci si fidava molto più delle Forze Speciali degli altri paesi, specie di quelle americane ed inglesi, da sempre abituate a casa loro a lavorare a stretto contatto coi rispettivi Servizi, che con gli omologhi reparti italiani che i Servizi non solo li ignoravano totalmente, ma se ne tenevano volutamente alla larga. Inoltre, la ben nota propensione dei Quadri all'assunzione diretta delle responsabilità avrebbe fatto si che esercitazioni od attività in comune avrebbero provocato decine di risme di carta di appunti che dal Comandante di plotone sarebbero risalite, per via gerarchica si intende, sino al Capo di Stato Maggiore della Difesa e viceversa, con buona pace della riservatezza.

Fissato il principio, che avrebbe dovuto essere lapalissiano anche nel passato, che prima si operava a favore delle forze nazionali e poi di quelle alleate, questa perversa catena di reticenze

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e di distinguo si spezzò e si cominciò a lavorare seriamente anche in campo nazionale.

Seriamente ma sempre più o meno ufficiosamente, perché la formaliz-

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zazione dei rapporti tra Servizi e Forze Armate nel campo della guerra non ortodossa avverrà solo a metà degli anni 80 con la sanzione del Ministro Spadolini. è rimasto famoso un appunto sull'argomento che iniziava testualmente «II CSMD prò tempore, nel non prendere visione dell'appunto n.... decretava ...» di lasciare le cose come stavano.

Contemporaneamente a queste decisioni, l'elevazione del livello di preparazione ed una lenta ma continua sprovincializzazione dei Quadri della Centrale avevano fatto maggiormente conoscere ed apprezzare lo stay-behind italiano nel contesto internazionale. I rapporti privilegiati con gli USA erano diventati paritetici con quelli intrattenuti (in particolare) con gli inglesi, francesi e belgi.

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Tutti volevano fare scambi di esperienze e di tecniche addestrative con gli italiani e da quel momento le esercitazioni fisse diventarono cinque, una con le forze nazionali e una con le forze di ciascuno dei quattro paesi che, con terminologia economica USA, potremmo chiamare Paesi privilegiati. In pratica da una esercitazione all'anno siamo passati ad una a mesi alterni. Tutto questo insieme di modifiche, cambiamenti, aggiornamenti ecc. portò a standardizzare un sistema che nel tempo ha dimostrato la sua validità. Si cominciava a lavorare 3-4 mesi prima del giorno «D». Agli esterni veniva affidato il compito di fare le necessarie ricognizioni, ricercare le zone di lancio o di sbarco, predisporre i dossier sugli obiettivi di previsto attacco e tutte le informazioni di carattere generale (e reale) necessarie a garantire la sicurezza della operazione.

Avuta la documentazione gli uomini della centrale andavano sul posto a controllare suggerendo (o imponendo) le eventuali modifiche e integrazioni.

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Il giorno «D» arrivava il team di specialisti, italiano o straniero, che sulla base della documentazione raccolta pianificava il proprio attacco all'obiettivo (dalle centrali elettriche ai ponti, dalle ferrovie alle condotte forzate, dalle pipe-lines ai porti, dagli aeroporti alle caserme), ed una volta condotta l'azione spariva e con una operazione di esfiltrazione rientrava nel proprio paese. Gli uomini della Centrale facevano i controllori e dovevano essere presenti, spesso in maniera non palese a tutte le operazioni. Se l'operazione prevedeva una azione di sabotaggio dovevano, dopo aver fotografato tutto, recuperare cariche esplosive, accenditori e circuiti di accensione (ovviamente tutto materiale inerte da esercitazione) prima che qualche sprovveduto cittadino le vedesse e desse l'allarme. In questo modo, e solo in questo modo, abbiamo messo a ferro e fuoco mezza Italia, distruggendo centrali elettriche e ponti, facendo deragliare treni, interrompendo oleodotti e metanodotti, bloccando per settimane, se non mesi, l'attività di fabbriche e cantieri navali. Questo sistema aveva un grossissimo vantaggio (non per il

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personale della Centrale ovviamente) che era quello di poter impiegare un numero elevatissimo di esterni (siamo arrivati a 40-50 per esercitazione) ma utilizzando i singoli per 2-3 notti al massimo. Ognuno svolgeva la sua parte di compito che veniva portato avanti in successione e fino al completamento, da altro personale, senza ovviamente che ci fossero contatti diretti tra di loro. Tutti si sentivano partecipi (ed entusiasti) e potevano giustificare senza eccessivi problemi le loro contenute sparizioni. Il realismo dell'esercitazione, ed è l'aspetto più importante, era dato dal nemico che era costituito, e chiedo scusa, dalle Forze Armate e dalle Forze dell'Ordine, alle quali non veniva preventivamente data alcuna informazione.

Ognuno agiva e si muoveva in un certo senso a proprio rischio e pericolo, sapendo che se veniva fermato da CC, PS ecc... doveva da solo giustificare credibilmente la propria presenza in quel luogo e a quell'ora. Solo in caso di arresto poteva tirare fuori una busta sigillata dentro la quale vi era un documento che attestava la sua

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partecipazione ad una esercitazione dello SMD e riportava il numero telefonico del centralino di una caserma nella quale era stata stabilita la Direzione Esercitazione.

La procedura non valeva solo per gli esterni, ma anche per gli uomini della centrale, ai quali era vietato utilizzare il tesserino del Servizio (se non a 5 secondi dall'impiccagione) a differenza di quanto purtroppo continua a fare ancora oggi gran parte del resto del personale del Servizio che sbandiera il tesserino anche per avere informazioni dai portinai, oltre che a passare gran parte della giornata negli uffici della Questura o dei Comandi dell'Arma, «per un proficuo scambio di vedute».

Che di realismo vero si trattasse, e non di finzioni addestrative, lo dimostrano alcuni episodi caratteristici quali il mancato sbarco sulla Costa Smeralda e relativo fugone, di un team proveniente dal mare, frustrato dalle fucilate di un gruppo di solerti vigilantes, o il fermo provvisorio, sempre in Sardegna, su segnalazione di un pastore, di un Colonnello della Centrale sorpreso dai CC in atteggiamento sospetto. O

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l'irruzione della Polizia, armi alla mano, in una casa che evidentemente, ma a posteriori purtroppo, sicura non era.

Il contraltare positivo è stato quello di riuscire a far infiltrare un team francese con un aviolancio notturno nei dintorni di Roma mentre le forze dell'ordine rastrellavano la zona a seguito del rapimento, avvenuto 24 ore prima, del figlio, un bimbo di 7 anni, di un noto personaggio.

L'operazione riuscì perfettamente e nessuno si accorse di nulla. Il solo individuato fu il sottoscritto che venne fermato alle tre del mattino ad un posto di blocco alle porte di Roma mentre rientrava a casa. E mi toccò far valere il tesserino, dato che avevo a bordo della macchina il mio quasi omologo francese.

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        Un'altro simpatico episodio fu quando, durante il periodo del rapimento dell'On.le Moro, esfiltrammo da piazza Pio XI di Roma a Civitavecchia, un ufficiale della Centrale, seduto dentro una cassa aperta da un lato, sistemata in un

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furgone con altre casse piene di rottami, superando indenni tutti i posti di blocco presidiati lungo l'Aurelia, da ferocissimi guerrieri in assetto di guerra.        In entrambi i casi le esercitazioni erano già programmate e nonostante le ben poco velate proteste di «So tutto io» mi imposi perché non venissero né cancellate, né spostate.        Volevo verificare le vere capacità degli esterni in una situazione reale.        Le corna sicuramente fatte, di nascosto, da «So tutto» ed un buon pizzico di fortuna mi consentirono di aver ragione e di tirare un gran sospiro di sollievo, e mi fecero salire nella considerazione di tutto il clan.        Ho citato solo alcuni degli episodi e delle situazioni che ci hanno fatto correre qualche brivido o ci hanno costretto a bloccare o rimandare l'attività in corso, ma ve ne sono stati numerosi altri in Friuli, in Liguria, in Piemonte, in Corsica ecc. senza contare le volte in cui un team pregava perché una eiaculazione precoce riducesse i tempi di attesa allo sbarco su una spiaggia occupata, non dal nemico ma, visto nel buio, da un mostro sbuffante e gemente a due

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teste.        Posso dire con tutta tranquillità che, quando a dicembre '86 ho lasciato la direzione di Gladio, ho lasciato una organizzazione entusiasta e capace di raccogliere le informazioni necessarie alla condotta delle operazioni e di infiltrare ed esfiltrare senza problemi piloti, specialisti e VIP, categoria dalla quale personalmente oggi escluderei quasi tutti gli uomini politici che ho conosciuto (meno uno).        Guerriglia e sabotaggio erano diventati appannaggio esclusivo delle Forze Speciali e degli specialisti della centrale, tutto personale ad un altissimo livello di preparazione.        (Se) vi è stato un calo di rendimento negli anni successivi, al mio successore non resta altro che battersi il petto per almeno tre volte.        Un capitolo a parte spetta all'addestramento «P» o propaganda che dir si voglia.        All'inizio era previsto che fossero le Reti «I» a svolgere anche compiti «P». Gli addetti infatti si chiamavano «IP».Poi venne deciso (io) di dividere i due compiti perché la massa dei dati da ricercare era enorme e gli scopi erano completamente diversi anche se

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spesso si compenetravano. Gli uomini che si sarebbero dovuti dedicare a questa attività venivano ricercati tra pubblicisti e giornalisti, ovviamente non tra personaggi tipo Biagi o Montanelli. Era piuttosto difficile fare un reclutamento così mirato, ma la legge 801 sulla riforma dei Servizi ci risolse definitivamente il problema mettendo la categoria tra i «non eleggibili».

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Bisognava trovare una soluzione alternativa che non poteva che essere quella di inventare un nuovo tipo di addestramento che consentisse a chiunque, o quasi, di seguire un filo logico per impostare, pianificare e, alla fine, realizzare una «campagna» di propaganda.

La legge 801 aveva portato anche un'altra novità, tra le tante. Era stato imposto, formalmente suggerito, al Servizio di procedere alla selezione psicoattitudinale di tutti i nuovi assumendi al Servizio stesso. Dopo una serie di tentativi abortiti, affidati ad un team di personale interno e di periti selettori esterni, l'incarico venne affidato

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al sottoscritto ed iniziai questa attività partendo da zero (anche in questo occasione mancava il foraggio, dato che il Servizio non è né un Corpo d'Armala né un'Azienda metalmeccanica o similare, dalle cui pregresse esperienze poter copiare).

Ho sempre avuto una grande passione per la Psicologia, forse per carattere ma anche perché durante il mio primo matrimonio avevo seguito esame per esame mia moglie sino alla laurea e mi ero appassionato oltre ad essermi fatto, anche se da autodidatta, una discreta cultura. Con questa base personale e con l'aiuto di una psicoioga e mezzo ho iniziato a lavorare nel nuovo settore.

Quella intera sapeva tutto, si fa per dire, sulla psicologia clinica, la mezza pronunciava Freud così come si scrive.

Col passare del tempo 1 +, diventò quasi 5, la professionalità crebbe ed i risultati diventarono ottimali. è a questo punto che decisi, con la solita approvazione delle SS.AA., di trasformare il Nucleo Selezione in Sezione di Psicologia Applicata che da un lato avrebbe dovuto continuare ad occuparsi della selezione dei

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candidati al Servizio, da un altro si doveva interessare della «formazione» dei Quadri ed in particolare dei Dirigenti, da ultimo si doveva dedicare alla guerra psicologica e quindi alla propaganda. Due, forse tre piccioni con una fava.

Ma avevo fatto i conti senza l'oste. All'interno, i professionisti, entusiasti dei primi due compiti, non volevano sentir parlare di attività «P» che ritenevano professionalmente molto poco qualificante. All'esterno successe il finimondo. Figuriamoci se un Colonnello ha bisogno di essere selezionato, indirizzato o «formato». Se è un Colonnello è ovvio che sia intelligente, abbia la massima attitudine al comando, sia in condizioni di dirigere brillantemente ed indifferentemente la ricerca occulta all'estero o la mensa truppa. All'esterno, stendo un velo pietoso, su quanto è accaduto ed è tutt'oggi in corso per contenere, ridurre e se possibile eliminare l'attività. Dalla calunnia alle modifiche ordinative, dalla grettezza e dall'egoismo personale al fare le fusa ai superiori, dal boicottaggio ai tentativi più o meno fraudolenti, di assorbire parte dei compiti. All'interno, ebbi partita vinta, anche perché ero io che comandavo.

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Iniziarono così, pressoché in parallelo, due tipi di studi. Il

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Il primo volto ad individuare possibilità e limiti per poter svolgere attività di propaganda da parte delle organizzazioni Stay-Behind nei territori occupati. Venne presentato in ambito ACC e riscosse notevoli apprezzamenti tanto che l'Italia venne designata quale paese pilota per la stesura di una direttiva comune in materia (che non mi risulta abbia mai visto la luce, dato il notevole interessamento all'argomento dopo il mio trasferimento ad altro incarico). Il secondo studio aveva come obiettivo quello dì creare una serie di schemi logici e consequenziali che consentissero la raccolta e la valutazione di tutti i dati necessari per poter svolgere una campagna «P» da parte di non professionisti.

Dopo diversi anni di studi, elaborazioni, prove in vitro ecc... si arrivò al prodotto finale che risolveva il problema, data la complessità della materia, esattamente all'inverso di quanto previsto inizialmente. La centrale chiedeva alla Rete le

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informazioni ritenute necessarie; queste venivano elaborate secondo il procedimento inventato e sempre la centrale progettava e pianificava tutta la campagna. Alla rete non restava che da stampare e distribuire manifesti, volantini, audiocassette ecc. Anche questo studio ha avuto risalto all'estero tanto da essere presentato in un Convegno Internazionale di Psicologia Militare.

Da parte nostra, forse, e sottolineo forse, sugli appunti di presentazione ai Direttori del Servizio di queste due opere c'è una sigla per presa visione. Nemo profeta in Patria. è in questo contesto che vengono redatte le «scottanti» informative su Sassari e su Porto Torres, basate «oltretutto» su uno schema predisposto per una raccolta sistematica di informazioni. Scottanti perché contenevano le «biografie» dei locali uomini politici (nota bene: di qualunque partito o movimento).

Peccato che nessuno si sia preso la briga di controllare nel dettaglio queste biografie di 3-4 righe manoscritte ognuna (la più lunga arriva a ben 8 righe - quella relativa al Presidente Cossiga

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solo a 5). Forse un po' poco per essere una biografia.

E peccato anche che i vari Catoni non si siano accorti che il pericoloso ed antidemocratico schema predisposto era stato sostituito da uno successivo dal quale la voce «personalità» era stata cancellata perché ritenuta non necessaria ed ininfluente. Chi si interessa di «P» sa bene il significato del termine «strumentalizzazione».

Un'altro impiego determinante gli psicologi lo ebbero a seguito di un episodio accaduto al termine di un corso basico. Come ho già avuto modo di dire i frequentatori, dopo il predicozzo iniziale, venivano imbarcati sull'aereo, un G 222 del Servizio, con i finestrini oscurati e trasportati all'aeroporto di Alghero. Qui erano infilati su un pulmino, anche questo oscurato, che dopo giri vari raggiungeva la palazzina «C» del CAG. Scesi a terra ave-

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vano davanti il mare aperto, immediatamente alle spalle una «montagna» di circa 70 metri,

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tutt'attorno una fitta vegetazione mediterranea. Era pressoché impossibile capire dove si era. Per qualcuno eravamo all'Elba, per altri in Corsica o alle Eolie, in Sicilia o addirittura all'estero. Pochi furbi capivano o pensavano di essere in Sardegna, ma dove?

Da questo momento, e per tutta la settimana, si entrava in isolamento. Si poteva telefonare ogni tanto, ma non ricevere telefonate. La televisione, modernizzazione del '76, era bloccata su RAI 1 e RAI 2 ed oscurata sugli altri canali. Radio e macchine fotografiche off limits. Giornali nazionali senza cronache regionali o locali. Niente targhe od etichette, dall'acqua minerale alle scatole di cerini, dalle autovetture al digestivo.

Era proibito dire il proprio cognome, parlare di se stessi e della propria città. Era proibito allontanarsi dalla palazzina se non scortati dagli istruttori. L'accompagnatore della centrale era onnipresente, a tavola, al bar, in aula, in poligono ecc... Può sembrare banale, ma provare per credere. Il rientro «a terra» avveniva con le stesse

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procedure fino ai saluti ed agli abbracci alla stazione Termini il sabato verso mezzogiorno.

Una domenica mattina arrivò in ufficio una telefonata da uno dei Capi Centro (elementi della Centrale dislocati in alcune regioni) per avvisare che il Sig. «Rossi» al suo rientro dal corso era stato ricoverato alla neuro del locale ospedale.

In treno aveva cominciato a parlare da solo e poi sempre più eccitato aveva cominciato a dare in escandescenze. Erano intervenuti il controllore ed il capo treno che oltre a tentare di calmarlo avevano, vista la situazione, chiamato la stazione di arrivo perché predisponessero un'ambulanza. Nel suo delirio aveva detto di aver sparato, di essere sbarcato di notte clandestinamente su una spiaggia sfuggendo al nemico, e cose del genere.

I nervi gli avevano ceduto e tutte le cose vere che diceva di aver fatto, mescolate ad altre cose strampalate, sembravano talmente impossibili e fuori del normale che i medici lo trattennero per diversi giorni fino a che non si riprese completamente. Da quel giorno uno degli psicologici a turno si faceva la sua settimana al mare, come accompagnatore o istruttore,

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chiacchierando, ascoltando, sondando umori e stati d'animo, e al rientro redigeva un profilo dei singoli allievi. Non ci sono mai più stati casi analoghi.

 

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6. GLADIO - LA SICUREZZA

Se l'addestramento era l'aspetto più qualificante, la sicurezza era quello più reale ed ossessivo. C'era la sicurezza verso il mondo esterno, quella verso tutte le altre strutture all'interno del Servizio stesso, quella nei confronti degli esterni, quella degli esterni stessi tra di loro e verso gli altri.

Una specie di polipo con numerosissimi tentacoli ognuno dei quali doveva parare una minaccia diversa, con la testa che doveva coordinarli e farli muovere in sintonia l'uno con l'altro.

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L'Amministrazione, alias SMD, mi mise subito a mio agio fornendomi una solida base sulla quale impostare il mio nuovo lavoro. Diramò a fine giugno il dispaccio di trasferimento che da Roma raggiunse Bolzano, sede del C.A. Alpino, da dove scese a S. Daniele del Friuli, sede del Comando Truppe Carnia Cadore, che lo mandò ad Udine, Brigata Julia, da dove proseguì per Tolmezzo, 8° Reggimento Alpini per arrivare finalmente a Tarvisio. Ovviamente ogni Comando aveva protocollato, registrato e archiviato il messaggio ricevuto e ne aveva ricompilato uno proprio, diretto al Comando dipendente. è la prassi. Il solo neo era che nel dispaccio era scritto a chiare lettere che ero trasferito al SID (Servizio Informazioni Difesa) e non ad un qualsiasi Ente militare di copertura.

Per quanto riguarda il Nord-Est ero servito e, tenuto conto che il mio battaglione era tutto di abruzzesi, ero servito anche dalle parti dell'Aquila, Sulmona e paraggi. Con questo viatico a settembre approdai a Roma e cominciai a cercare casa. Tutti volevano sapere chi ero e quale lavoro facevo: Tenente Colonnello allo SMD ovviamente. Allora lei conosce X Y ? E il

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Generale... ? è tanto una brava persona. Nel palazzo di fronte abita un suo collega che lavora alla Cecchignola. E cosi via. Sempre ovviamente, nessuno aveva pensato a darmi qualche suggerimento ma, grazie allo slalom imparato al corso sci ad Aosta, riuscii a venirne fuori. Una volta trovata casa era una sciocchezza far fronte alle richieste degli inquilini sul trasferimento del

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fante «X», la licenza al marinaio «Y» o il congedo anticipato all'aviere «Z» Ma.... Ma il mondo esterno era diviso in due, quelli che sapevano che ero ufficiale e quelli che non lo sapevano. Per tutti ero uno che si assentava troppo spesso da casa e che andava troppo all'estero.

Perciò per i primi stavo ad un ufficio che trattava con la NATO, e dai ad imparare a memoria i cognomi degli ufficiali italiani che stavano a Bruxelles, Parigi ecc.., ma attenzione a glissare nelle conversazioni perché è tutta gente che non mi ha mai incontrato in vita sua, dato che i contatti li avevo nelle sedi dei Servizi o del CPC.

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Per i secondi ero un funzionario degli Esteri che si occupava di cooperazione internazionale, senza approfondire troppo. Anche qui mi sono dovuto imparare a memoria diverse pagine dell'annuario del Ministero. Una sera venni invitato ad un party. Arrivato supposta mi accorsi che nella sala c'erano conoscenze di tutte e due le categorie. Feci dietrofront e tornai a casa. Neanche Smiley se la sarebbe cavata.

Il problema più grosso era quello rappresentato dall'ambiente del servizio. La posta andava e veniva alla Sezione senza che nessuno fosse autorizzato ad aprirla. La contabilità, controllata dal Capo Ufficio, andava direttamente a Palazzo Baracchini senza passare dal Nucleo Amministrativo dell'Ufficio. Gli appunti venivano portati a mano dal capo Sezione al capo Ufficio e da questo al Direttore del Servizio e viceversa. Cosa c'era di tanto segreto che gli altri non potevano sapere? E che ci facevano tutti quei paracadutisti o sommozzatori? E dove andava la gente che spariva per settimane intere? Al Servizio, per abitudine, ognuno si fa i fatti suoi e in genere non si guarda nel piatto degli altri. Ma tutte queste domande senza risposta, il non sapere

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neanche grosso modo di che si trattava, dava sui nervi a molti, e la cosa era acuita dalla compattezza della Sezione, una enclave di serenità, di tranquillità e di riserbo, immersa nel calderone borbottante di Forte Braschi. A volte era sufficiente essere bruschi e mandare a quel paese chi cercava di annusare troppo ma, normalmente, era sempre molto difficile raccontare cose credibili, sapendo di essere sotto osservazione da parte di gente che era in condizione di avere numerosi dati di riscontro. Al di fuori del Forte la situazione era più facile perché, per prassi, nessuno conosceva nessuno. Non ci si frequentava se non in casi eccezionali e comunque mai in compagnia di estranei. Se ci si incontrava per strada ognuno tirava dritto senza neanche abbozzare un mezzo saluto. Nessuno, neanche occasionalmente doveva poter collegare uno ad un'altro.

Altro aspetto era quello delle relazioni con gli esterni. Dovevano sapere che eri uno della Centrale ma non dovevano sapere chi eri effettivamente e quindi dovevi stare attento a non fornirgli nessun elemento per identificarti, il che, ad esempio nella tua città natale, non è una cosa

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semplicissima. Di norma girando per l'Italia avevamo un documento di copertura

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che era una patente di guida e serviva sopratutto a non farti individuare negli alberghi. Io ero l'ingegnere Induno e mi occupavo di PR e formazione. Le iniziali del nome e cognome coincidevano con quelle reali così non c'era la preoccupazione di controllare ogni volta che camicie, fazzoletti ecc... non avessero ricamate eventuali lettere o cifre. La cosa importante era ricordarsi, se ti fermava la polizia o i vigili urbani per un normale controllo, se la patente vera stava nella tasca sinistra e quella fasulla nella destra, o viceversa. In sintesi rappresentavo in contemporanea cinque personaggi diversi, oltre a quello vero, tenendo conto che oltre a fronteggiare gli amici del tipo A, quelli del tipo B, i colleghi e gli esterni dovevo anche fare fronte alla moglie e al parentado delle due parti (anche loro non dovevano sapere). Sembra facile.

Quella di cui ho parlato sino ad ora si chiama sicurezza personale -serve a proteggere sia te che

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l'organizzazione. Esiste poi la sicurezza fisica. Si devono evitare gli stessi itinerari e gli stessi orari e osservare un sacco di altre regolette del genere. Le uniche abitudini che ho mantenuto sono quelle di dare un'occhiata distratta intorno quando esco di casa, guardare spesso nello specchietto retrovisore e non sedermi mai con le spalle ad una porta. Per il resto sono, tuttora, abbastanza professionista per sapere che se ti vogliono pizzicare sul serio non c'è sistema di sicurezza che tenga. Tra l'altro era mio compito insegnare come si doveva fare per superarli o forzarli. Quindi «Jnshallah».

La sicurezza delle attività era invece un altro aspetto importante. Pianificazione, direttive, ordini di operazione per le esercitazioni ecc... non costituivano un problema perché la compartimentazione, i canali privilegiati ed esclusivi per lo scambio di documenti, la limitata disseminazione degli stessi, e solo a persone selezionate, erano provvedimenti sufficienti. Per i casi di emergenza era prevista la distruzione entro 24 ore di tutto il carteggio, utilizzando l'inceneritore che stava nel retro della palazzina, e se necessario bombe al fosforo dentro le

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casseforti. Una copia dei documenti essenziali per svolgere effettivamente le operazioni previste (piani dei collegamenti, cifrari, ordini di operazioni ecc.) era già impacchettata, per essere trasferita immediatamente con un elicottero in un luogo sicuro al di fuori del Forte.

Sul terreno invece, a volte era necessario garantire la sicurezza lontana in modo che un attacco simulato ad un particolare obiettivo o un aviolancio notturno non venisse disturbato da coppiette o da malati di insonnia. Veniva allora richiesto il supporto dei CC per creare una cintura di sicurezza con posti di blocco che impedissero a distanza tutti gli accessi alla zona dove si svolgeva l'esercitazione. Tenuto conto che la richiesta di aiuto doveva avere tutti i crismi dell'ufficialità - i CC mai e poi mai si muovono o ti ascol-

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tano ufficiosamente, e comunque a scanso di equivoci prendono nota - bisognava inventarsi altre storie che garantissero un minimo di credibilità che. tra l'altro, si sapeva avrebbe

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dovuto superare il vaglio di tutta la catena gerarchica, il che non è decisamente una operazione facile. Devo dire che li collaborazione è stata sempre ottima anche perché non raccontavamo frottole ma la verità, solo non tutta la verità. Parlavamo di attività di personale del Servizio e ci dimenticavamo di accennare alla presenza degli esterni Una volta avevamo organizzato una esercitazione di esfiltrazione aerea dalle parti di Frosinone. Dovevamo utilizzare un vecchio aeroporto chiuso da tempo sul quale, utilizzando le solite nostre tecniche (niente radioassistenze niente collegamenti radio, niente illuminazione ecc), doveva atterrare e ridecollare, immediatamente dopo l'imbarco di due «agenti», un piccolo executive a turboelica. Chiedemmo all'Aeronautica di fornirci assistenza con tutti i mezzi necessari, ambulanza, antincendio ecc. per un addestramento all'atterraggio e decollo notturno di un aereo, ma non avvisammo l'Arrna; dato che si operava in un luogo chiuso e del Demanio militare.

Ma il diavolo fa le pentole, non i coperchi! Un'autoradio dei locali CC in giro per un normale controllo passò nei paraggi e, vedendo tutti

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questi: mezzi vicino alla recinzione, si fermò per controllare e poi si attaccò alla radio. Arrivò la macchina col Brigadiere comandante la locale Stazione CC Ancora la radio. Arrivò un'altra macchina col Tenente. Ancora la radio con seguito di comandante di compagnia. Radio ancora... Alla fine quasi un terzo dei carabinieri del Lazio era sul posto. Per non sapere né leggere ne scrivere ci identificarono tutti e fecero la segnalazione fino al Comando Generale che la rimbalzò al Direttore del Servizio che, sapendo tutto ovviamente, la rimbalzò a me. Nessuno si accorse dei due che avevano aspettato l'aereo sdraiati ai margini della pista, vi erano scivolati dentro e se ne erano tornati a casa, tutto nel giro di 1-2 minuti. Il problema più importante era però quello della sicurezza riferita agli esterni. Era un problema di diritto-dovere, oltreché di reciproco interesse. Dovere da parte della Centrale ; fare il possibile per salvaguardare gli esterni specie per quanto atteneva alla loro identità.

Diritto da parte loro a non essere messi nelle condizioni di farsi individuare da estranei all'organizzazione. Interesse reciproco perché da una parte si voleva avere la garanzia di poter

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contare, all'emergenza, su di un esercito sicuramente clandestino e dall'altra si voleva avere la garanzia che si sarebbe rischiato, per convinzione ed a ragion veduta, solo al momento in cui la Patria si sarebbe trovata veramente in pericolo. Tutto questo comportava una serie di norme e di comportamenti piuttosto rigidi, una ferrea compartimentazione tra centrale ed esterni e fra gli esterni stessi, complicati sistemi per contattarsi, quasi mai in forma diretta, l'adeguamento della cen-

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trale alle esigenze degli esterni sia per i tempi sia per il tipo degli impegni. E se qualcuno della Centrale era troppo sportivo erano gli esterni a bloccarlo e riportarlo immediatamente sulla retta via. Tutti coloro che hanno scritto o ipotizzato un impiego dei «gladiatori» reale, in tempo di pace, per altri fini che non fossero quelli previsti, non hanno mai tenuto conto (o voluto) del fattore umano dei personaggi in questione, confondendo idealismo (amor di Patria) con ideologismo (amor di parte, con la «p» minuscola).

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Ma tantè, chi ha scritto sull'argomento ha sempre tenuto in maggior conto, da qualunque parte stesse, la sua personale «p» rispetto alla «P». è soprattutto per questo motivo che, anche se qualcuno avesse voluto, la Gladio non avrebbe mai potuto essere utilizzata per compiti diversi da quelli previsti. La sicurezza a lunga distanza, per l'emergenza, avrebbe comunque avuto il sopravvento su qualunque proposta o tentativo di fare qualcosa subito. Chi dall'interno della organizzazione ha pensato, o temuto, che fatti del genere potessero verificarsi o era ed è in malafede o non ha mai capito in quale ambiente lavorava o aveva lavorato. I tentativi di alcuni dirigenti e, ahimè, anche di uno dei responsabili, di utilizzare, per così dire, manodopera a basso costo, anzi a costo zero,per compiti diversi da quelli previsti (come l'attività informativa interna) sono sempre rimasti lettera morta sia per la naturale diffidenza degli esterni, sia per la sacrosanta resistenza di coloro che alla Centrale avevano l'incarico di gestirli e si erano realmente immedesimati nel compito che gli era stato affidato.

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Sicurezza degli esterni significava per la Centrale complicarsi la vita, ma faceva parte del capitolo «dovere». Solo due persone, oltre al Capo Sezione, potevano accedere alle schede personali degli esterni, peraltro individuate da sigle e serie di numeri. Tutti gli altri dovevano lavorare accontentandosi di nomi (senza cognomi), e dei gruppi cifre distintivi. Se Roberto della Centrale doveva incontrare Gian di Udine gli addetti pianificavano l'incontro (luogo, orario, alternative, modalità per riconoscersi ecc.) in qualunque parte d'Italia dovesse avvenire. Al termine nessuno dei due sapeva esattamente con chi avesse parlato e se si fossero rivisti occasionalmente, si sarebbero vicendevolmente ignorati. Il solo elenco completo che esisteva in Centrale riportava, oltre alla sigla, solo nome e cognome ed era gelosamente custodito in una apposita cassaforte a combinazione. Dalla sigla si poteva arrivare ai fascicoli personali, rinchiusi in un'altra cassaforte, che riportavano i dati relativi alle singole persone. Questo, e non altro, è il motivo per cui, quando le diverse Autorità hanno chiesto l'elenco completo dei «gladiatori», c'è voluto del tempo per rispondere. Semplicemente,

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per motivi di sicurezza che la Centrale rispettava completamente, non è mai esistito un unico elenco completo di tutti i dati, ma elenchi diversi che si integravano a vicenda.

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E solo per la fretta di «dover» rispondere alle suddette Autorità sono finiti nell'elenco ben quattro (e ribadisco quattro) nominativi di persone mai contattate o che interpellate, fuori si erano chiamate. Le sentite rimostranze di qualcuno di loro e la minaccia di ricorrere ai legali per salvaguardare la loro onorabilità, sono manifestazioni, forse molto umane, sulle quali peraltro lascio il giudizio, alla parte sana dei lettori. Quando, ormai privato cittadino, ho avuto il grandissimo piacere, che considero soprattutto un onore visto quello che nel frattempo è successo, di ritrovarmi con gruppi di ex gladiatori mi sono sentito da tutti porre la stessa, purtroppo ovvia, domanda «Perché avete lasciato che pubblicassero tutti i nostri nomi? Ci avevate assicurato che non sarebbero mai usciti e garantito che in caso di emergenza gli elenchi

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sarebbero stati distrutti per non cadere in mano al nemico. Allora non è vero che avevate predisposto tutto. Nelle vostre predisposizioni qualcosa mancava o non ha funzionato». Non potevo non rispondere o nascondere la verità. Avevamo previsto tutto, fino nei minimi dettagli per far fronte al nemico, all'invasore. Non avevamo purtroppo previsto che il nemico potesse essere, lo stesso Paese che servivamo, ovvero quella parte di paese che, a seconda dei casi, per opportunismo, indifferenza, protagonismo, spirito di vendetta e affini aveva ritenuto di sbattere il mostro in primi pagina. Eravamo colpevoli, è vero, ma di ingenuità, di eccesso di fiducia nelle Autorità costituite.

Avevamo creduto in loro fino all'ultimo, avevamo creduto che le dichiarazioni fatte pubblicamente alle Camere da un Presidente del Consiglio avessero un valore reale. «Non esiste e non verrà opposto il Segreto su nulla che riguardi l'organizzazione Gladio eccetto che per l'elenco nominativo dei 622 affiliati, tutte persone che dai controlli incrociati effettuati risultano persone perbene, e che è giusto che non vengano esposte al pubblico ludibrio” Questo è più o meno il

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tenore delle dichiarazioni fatte al Senato nella seduta delle ore 18,00 dell'8 novembre 1990. Esiste perciò una colpa, indiscussa che si chiama «ingenuità» caratteristica colposa in qualunque Ufficiale delle Forze Armate, che oggi riconosco dolosa da parte degli appartenenti ai Servizi che in ogni momento ed in ogni situazione dovrebbero avere e mantenere quel tanto di buon senso che li confermi nella giusta regola che non bisogna mai fidarsi di nessuno, neanche dei propri congiunti, tanto meno dei superiori, specie se politici. Esiste anche un colpevole. Senza alcun dubbio sono io e solo io tenuto conto che ero il Capo di Stato Maggiore del SISMI e che ero stato responsabile della Gladio per 12 anni. Io, quando il Presidente del Consiglio ha dato incarico al Capo di Stato Maggiore della Difesa di svolgere una specie di inchiesta informale e di preparare una relazione sulla nascita, lo sviluppo e la situazione dell'organizzazione, non ho capito dove si sarebbe andati a parare. Sono pertanto colpevole di errata valutazione, e

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quindi di aver fornito dati veri e reali senza camuffarli (tenuto conto che tale operazione si è svolta tra marzo ed aprile del 1990 e cioè mesi prima dell'intervento formale della Magistratura). Io sono colpevole di non aver tenuto conto che, avendo informato personalmente il Presidente del Consiglio, nonché il Capo della Polizia ed il Capo di Stato Maggiore dell'Arma dei Carabinieri, che durante i controlli c'erano state fughe parziali di nominativi, riprese da giornalisti locali a Torino e Rovigo, ad una esclamazione dello stesso Presidente del consiglio dei Ministri del tipo «questo non deve succedere» non era seguito, per quel che mi risulta, alcun provvedimento nei confronti di chicchessia. Io sono colpevole di omissione per non aver fatto distruggere tutta la documentazione esistente, come suggeritomi a livello battuta da qualcuno del Palazzo, per troppa buona fede ed eccessiva fiducia negli altri (anche se gli altri si identificavano nelle Istituzioni), quando ancora la documentazione era in esclusivo possesso del Servizio. Io sono colpevole di omissione anche per non aver dato disposizioni perché si controllassero e ripulissero gli archivi eliminando tutti quei documenti che,

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visti a se stanti e non nel contesto generale, avrebbero potuto (come è successo) dare adito a sospetti, strumentalizzazioni, false o falsate interpretazioni. Io sono colpevole, altra cosa rinfacciatami dai «gladiatori», di essermi attenuto (e di aver preteso altrettanto da tutta la «centrale») alle disposizioni ricevute di cessare immediatamente qualsiasi rapporto con gli esterni, di averli abbandonati a se stessi, senza consigliarli o indottrinarli.

Alcuni degli esterni mi hanno detto che da bravi Ufficiali di Stato Maggiore eravamo riusciti a ripetere l’8 settembre '43 lasciando le truppe allo sbando e senza disposizioni. Ed è purtroppo vero. Io mi sento con la coscienza a posto, di fronte alla Patria ed al Paese, di fronte alla legge ed ai Magistrati, di fronte a me stesso. Ma contemporaneamente mi sento colpevole di tradimento nei confronti di quegli uomini che hanno creduto e si sono offerti in prima persona per cooperare a garantire la Libertà del nostro Paese. Non mi pesano i procedimenti giudiziari o gli articoli di giornale, ma l'idea che qualcuno possa veramente credere di essere stato scientemente tradito e scaricato

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dall'Organizzazione. L'altro elemento che mi pesa è il sapere che la pubblicazione dei nominativi ha avuto per alcuni conseguenze materiali, sia in ambito familiare (almeno un divorzio sicuro), sia nel campo del lavoro (licenziamenti, trasferimenti, cambi di incarico, danneggiamenti alle proprietà) sia nel campo sociale (emarginazione, scomparsa di amicizie ecc). Non posso piangere sul latte versato, che d'altra parte, in tutta onestà, non ho versato io ma qualcun altro, che oltretutto non se ne vergogna affatto. Per tornare all'argomento devo dire che la sicurezza ha fatto sempre premio su qualunque attività della organizzazione. Il silenzio sulla sua esistenza per oltre 40 anni ne è la dimostrazione anche a dispetto di quanto ne

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pensi l'illustre Presidente della Commissione Stragi. In un Paese come il nostro ritengo sia un record da Guinness. Se fughe di notizie, peraltro oltremodo limitate, vi sono state nel tempo, come fatto rilevare da alcuni Magistrati, queste non sono mai state tali da inficiare la sicurezza

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dell'organizzazione e sono da imputare quasi sicuramente a chi sapeva, perché era autorizzato a saperlo, al di fuori ed al di sopra dell'organizzazione (cito un esempio l'appunto informativo redatto e consegnato all'On.Ie Lattanzio in data 21 ottobre 1976 è rientrato in Sezione quattro anni dopo. Chi e quanti l'hanno visto nel frattempo?).

Se come «ex», posso dare un consiglio ai miei colleghi tutt'ora in carica, li invito a rileggere queste righe più di una volta. Le «fonti» sono vivamente pregate di saltare questo capitolo a piè pari o comunque di dimenticarlo al più presto. Capi e politici.... al vostro buon cuore.

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7. GLADIO - LA POLITICA

Politica. Questo parola, ovvero questa parolaccia, non ha mai fatto parte del lessico familiare della Gladio, almeno a partire dall'ottobre 1974 e sino al dicembre 1986. Non mi risulta peraltro che neanche i miei successori, compreso quel poveretto a cui è toccato fare da liquidatore

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fallimentare dell'organizzazione, abbiano mai avuto o dovuto avere a che fare con quella «cosa». Per quanto riguarda il ventennio precedente al mio arrivo, come a tutti è noto, non ho avuto dal mio predecessore alcuna indicazione in merito. I sospetti ed i timori, che pare avesse maturato nei suoi personali contatti con diversi esterni, se li è tenuti per se, non parlandone né coi suoi Superiori e tantomeno con me. Ne ha parlato soltanto quasi vent'anni dopo alla Commissione Stragi. Non ho mai avuto pertanto «cognizione diretta» (terminologia che ho imparato ormai a memoria avendola dovuta ripetere innumerevoli volte di fronte alle Procure della Repubblica di mezza Italia) di contatti, interferenze, collusioni e simili tra Gladio e Politica. Ma nei miei 17 anni passati al Servizio, in particolare nei 12 nei quali sono stato responsabile dell'organizzazione, ho avuto la possibilità di leggere migliaia di documenti relativi ai periodi antecedenti.

Per onestà devo dire che in effetti esistono tre gruppi di documenti che dimostrano inequivocabilmente che nel passato vi sono stati (si fa per dire) contatti tra le due parti. Il primo gruppo è costituito da alcuni documenti di cui il

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più noto risale al 1959 ed è costituito da un appunto (Le Forze Speciali del SIFAR) diretto dal Capo servizio al Capo di Stato Maggiore della Difesa del tempo. In questo documento, più programmatico che di situazione, nel quale si trattano problemi organizzativi, addestrativi, di personale ecc. a proposito dei compiti si parla espressamente di «finalità antisovvertimenti interni» e per una specifica unità di guerriglia, di compiti in tempo di pace,«in caso di conflitto o insurrezione interna» mentre in un documento del '63 si parla di «intervento in caso di sovvertimento interno». Nella co-

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mune accezione «sovvertimento interno» equivale a «terrorismo» una delle forme più esasperate di lotta politica. Sempre nella comune accezione il termine «insurrezione» indica la fase finale di una piuttosto accesa lotta politica per abbattere con la forza, il potere in carica (e quindi, almeno formalmente, legale). Da sottolineare che questi documenti oltre ai compiti citati riportavano anche lo scopo dell'eventuale

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intervento della Gladio e cioè la liberazione del territorio «per ristabilirvi i poteri legali e le istituzioni legittime». In questo gruppo di documenti può essere inserita anche la nota esercitazione «Delfino» del '66 nella quale tra gli argomenti trattati (a tavolino essendo una esercitazione Quadri) si esaminavano le possibili reazioni di «controinsorgenza» ad attività di «insorgenza».

Questo termine di origine anglosassone, ha anch'essa un significato abbastanza preciso nella lingua italiana. Con questo vocabolo si sintetizzano tutte le attività che una parte conduce contro il governo in carica a premessa della soluzione finale che è, e resta comunque, l'insurrezione. Per il codice penale l'insurrezione (armata) è un delitto che deve essere punito dalla magistratura prescindendo da quale sia la corrente politica alla quale appartiene il Giudice (o no?!). Liberare la o le parti del territorio eventualmente occupato dagli insorti era un dovere/diritto dello Stato (o no?!). A meno Costituzione e Codici non prevedano espressamente insurrezioni lecite ed insurrezioni illecite. Ma neanche chi ha versato il

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cervello all'ammasso mai avuto il coraggio di fare affermazioni del genere.

A questi «buoni» propositi, che peraltro non riappaiono più nella documentazione successiva, non fanno riscontro particolari predisposizioni operative, né specifiche modifiche ai programmi addestrativi o modifiche ordinative e organizzative. In altri termini, anche se qualcuno nel passato aveva preventivato di far coincidere la politica, o meglio una specifica politica, con la difesa della Patria, quest'ultima ha avuto la prevalenza. Nessuno ha predisposto, realizzato o concretizzato qualcosa che potesse dare corpo a queste idee, rimaste esclusivamente sulla carta. Per lo meno questo è quanto risulta dagli atti, dai fatti, dalla memoria di chi ha vissuto quegli anni all'interno dell'organizzazione. Il difficile, purtroppo, è dimostrare la verità quando la contrapposizione è tra fatti non avvenuti ed illazioni, quasi sempre strumentali. Il secondo gruppo di documenti, cronologicamente primo, si riferisce ai rapporti bilaterali tra SIFAR e CIA nella seconda metà degli anni '50. In alcuni di questi documenti (dicembre '58) si parla espressamente di «controllo e neutralizzazione

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delle attività comuniste». Qui l'intromissione della politica in attività concernenti la difesa del Paese è, purtroppo, incontrovertibile. Ma dalle stesse relazioni delle Commissioni Parlamentari di inchiesta sulla Gladio, non sempre proprio molto obiettive a detta di alcuni degli stessi loro membri), risulta inequivocabilmente che per

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machiavellismo, infingardaggine, incapacità, mancata convinzione ecc... queste idee non hanno mai avuto il benché minimo seguito, non si son mai concretizzate neanche in parte.

Il terzo gruppo si riferisce a documenti del '72, anno nel quale gli USA ripropongono informalmente un impiego della Gladio ai fini di controinsorgenza, proposta che non viene né reiterata, né ufficializzata, e che quindi continua, e sottolineo continua, a rimanere lettera morta. In sintesi, riepilogando, vi è stato un tentativo tra il '56 ed il '59 di buttare le cose in politica ed un secondo tentativo tra il '59 ed il '72 di utilizzare Gladio anche contro possibili situazioni di «insorgenza» (peraltro non colorate, e se

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qualcuno si è risentito è bene che controlli di non avere, o non aver avuto, la coda di paglia). Nessuna di queste pensate ha avuto un seguito, e non è un atto di fede. Ed è pietoso sentire oggi da esponenti di un partito, votato da milioni di cittadini, che per 40 anni non sono riusciti ad andare al Governo perché fermati dall'attività di 200-300 «gladiatori». Non hanno mai fatto niente del genere, ma, se fosse stato vero, qualcuno dovrebbe riflettere seriamente.... e mettersi a piangere. Ma oltre che pietoso è anche falso come si evince dalla Appendice «C». Senza Tribuna Elettorale, senza spot televisivi e manifesti, senza lobby, tangenti, contributi e offerte; senza direzione di Casse, USL, Enti vari, senza stipendi, gettoni di presenza e affini, hanno battuto più di un partito politico. Meriterebbero di essere tutti Senatori a vita (gruppo indipendente, naturalmente). Dal '74 in poi la politica non si è più affacciata all'organizzazione fatta eccezione per l'anno 1976. Era l'anno di elezioni e in Italia si parlava a più non posso dell'ipotesi di «sorpasso» da parte del PCI. A Berlinguer l'ombrello NATO sarebbe andato bene solo due anni dopo. Molti degli esterni erano preoccupati e

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mi rivolgevano una specifica domanda: «Se i comunisti dopo le elezioni andranno al governo cosa succederà, che fine faremo?» La risposta è stata univoca.

«Voi non avete le stellette e quindi ognuno di voi può decidere di andarsene quando vuole. Tutta la documentazione che vi riguarda sarà distrutta. Io ho le stellette ed ubbidisco al Governo e non ad un partito, quindi sono tenuto a restare. Deciderò al momento, ma comunque, se me ne andrò lascerò le Forze Armate, non solo la Gladio». L'irruzione della politica nella Gladio avviene nel 1990. è politica la decisione di non opporre il segreto sulla materia, segreto confermato solo un anno prima dal PCM in carica, consentendo a magistrati di tutte le razze di scorazzare per Forte Braschi come se fosse la Biblioteca Nazionale. è politica la decisione di trattare la questione in Parlamento, di fronte alla stampa ed alla TV. è politica e direi anche, strumentalmente politica, la decisione di affidare l'indagine di Gladio non alla Commissione Parlamentare di Controllo sui Servizi (che tra l'altro per legge è tenuta al Segreto), o ad una Commissione ad hoc, ma alla Com-

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missione Stragi i cui lavori sono pubblici (spesso anche per le parti che dovrebbero essere riservate) consentendo così a buona parte dell'opinione pubblica di pensare che evidentemente ci doveva essere sotto qualcosa di losco. E la decisione di dare ai vari postulanti il testo dell'accordo del '56 nonostante il no ribadito più di una volta, anche per iscritto da parte degli USA? E l'analoga decisione presa nei riguardi della documentazione dell'ACC? è vero che tali decisione sono state prese, è stato detto, dopo «gli opportuni contatti con i Paesi interessati», ma agli atti del Servizio esistono solo risposte, scritte, negative, una delle quali fa addirittura riferimento ad una decisione presa, o quantomeno concordata, col proprio Presidente della Repubblica. Potere della politica! E la politica fa dire ad un PCM di fronte al Senato «l'unica cosa sulla quale deve essere mantenuto il segreto è l'elenco dei 622 che........ ». A parte la fuga, parziale, di notizie di meno di 24 ore prima, l'elenco completo viene pubblicato pochi giorni dopo. Reazioni di Palazzo ? Nessuna. Anzi si. Un'intervista rilasciata dal PCM al Giornale

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Radio di mezzanotte dell'8.1.91, riportata il mattino successivo su quasi tutti quotidiani, sicuramente sul Giornale e sul Giornale d'Italia. «è stato molto spiacevole che le liste siano venute fuori non attraverso la strada maestra». «Noi le avevamo fornite al Parlamento con una certa riservatezza e fino ad ora sembrava che questo fosse necessario. Comunque, da un male può venir fuori anche un bene. E cioè che questi gladiatori non hanno controindicazioni e quindi si possono vedere come delle persone che nel caso malaugurato di una guerra, invece di andare a nascondersi in convento, sarebbero rimasti al loro posto per cercare di essere utili alla nazione». I seminaristi sono avvisati. Se ci sarà un'altra guerra non avranno compagnia. Ma sono avvisati anche tutti gli informatori e le fonti dei Servizi. O hanno la fedina penale sporca e quindi possono sperare, oppure sono persone oneste e pulite e si devono aspettare che il Governo gliene dia ufficialmente atto pubblicando loro nomi.

Viene presa la decisione di sciogliere l'Organizzazione. è stato sentito il parere di qualcuno dei responsabili della Difesa del Paese, che siano competenti in materia a livello tecnico?

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Ovviamente no, le decisione spettano solo ai politici. Che ci vogliano decine di anni per costituire un organismo efficiente non interessa a nessuno. L'importante è sbarazzarsi dell'incomodo.

E poi prescindendo dalle date, il muro di Berlino, il Patto di Varsavia ecc.ecc. non c'è più in maniera assoluta un pericolo di invasione! Con questo criterio non si capisce perché la Brigata Alpina Taurinense non sia stata ancora sciolta o spostata in Calabria. O forse a livello politico si teme una possibile invasione da parte della Francia? O per altri Reparti da parte della Svizzera o dell'Austria? Ci sono altri aspetti «simpatici» della politica in questa vicenda, sempre a partire dal '90.

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Sulla documentazione dei Comitati ACC e CPC il Capo del Governo non oppone il segreto ma si limita ad affermare che la documentazione ricade tra quella che la convenzione di Ottawa ritiene non divulgabile per proteggere gli interessi globali della NATO. In altri termini, Magistrati e

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Commissioni, vedetevela voi. Ponzio Pilato era un banalissimo dilettante.

Quando lo stesso Capo del Governo ha fatto una specie di difesa, che a questo punto appare chiaramente d'ufficio, della legalità della Gladio non ha mai detto una sola volta «é legale perché.... ». ma ha usato sempre la stessa fraseologia «dagli atti forniti dal Servizio, risulta che...... ». «Da quanto il Servizio ha riferito appare evidente che. ...».

Tutto ciò viene detto da una personalità politica che è stata più volte Presidente del Consiglio e più volte Ministro della Difesa e che in tale veste è stato addirittura ad Alghero in visita al CAG. Questa serie di distinguo, significa che è cambiata la legge 801 e che il Servizio non dipende più dal PCM e dal Ministro della Difesa? Oppure si da per scontato che il Servizio sia un'Azienda Autonoma tipo ANAS o Ferrovie dello Stato ? (Ma anche queste fanno capo ad un Ministro!).

D'altra parte se nel corso di due anni, il PCM incontra il Direttore del Servizio 13 volte ed il Ministro degli Esteri (ed il SISMI è un Servizio proiettato all'estero) 14 volte, non si può

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pretendere troppo. Per amor di cronaca dirò che nello stesso periodo gli incontri col Ministro della Difesa (anzi i Ministri perché c'è stato un cambio in mezzo) sono stati 68, un bel record, prescindendo da quanto è successo nel mondo oltre all'affare Gladio.

Tralascio di parlare di tutto quello che ho pagato e continuo a pagare in prima persona, ma mi piace ricordare una battuta indirizzatami da un'altissima personalità dello Stato durante una riunione di lavoro «Lei è bravissimo come dirigente ai vertici del Servizio, e spero che vi resti ancora per molto tempo, ma di politica non capisce assolutamente un .... niente». A suo tempo mi sono sentito onorato per la prima parte di questo giudizio. Oggi lo sono anche per la seconda. O meglio, oggi ho capito a fondo cosa è la politica e cosa vuoi dire fare politica (per la verità l'ho capito perfettamente nei due anni nei quali ho avuto l'incarico di Capo di Stato Maggiore del Servizio, osservatorio dal quale si vedono, sentono, leggono e capiscono molte cose, anche troppe).

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L'ultimo aspetto, come sempre assai poco edificante, del contatto Gladio-Politica è rappresentato dalla serie di «non sapevo» - «non avevo realmente capito» e così via, sbandierato ai quattro venti da reggitori (od ex) della cosa pubblica. Un Ministro (sarebbe forse meglio scrivere ministro) ha affermato davanti a Commissioni, non davanti agli amici della parrocchia o del collegio elettorale, di non essere mai stato informato da nessuno. Peccato che il 16 dicembre di... (un anno che ometto per carità di patria) gli ab-

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bia illustrato personalmente un appunto, o briefing che dir si voglia, di dieci pagine ed alla presenza di due dirigenti, miei superiori al Servizio.

Ovviamente non esiste oggi un solo uomo politico che si ricordi il mio cognome o quello di tutti gli altri Ufficiali e Sottufficiali che hanno fatto parte della Gladio. Un particolare virus informatico ha cancellato tutte le memorie.

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8. I COLLEGATI

Il termine «collegati» viene utilizzato all'interno del Servizio per designare il Servizio (o i Servizi) di un paese straniero col quale vengono mantenuti rapporti permanenti e non occasionali. Sono di norma Servizi di paesi con i quali siamo legati da un trattato di alleanza (paesi NATO) o da trattati di altro tipo (ad esempio appartenenti alla UEO o alla CEE) o da altri legami/interessi a livello politico strategico.

Ovviamente la patente di collegato viene data solo dopo che il vertice politico-governativo ha dato il suo placet. Questi collegamenti di norma si estrinsecano nell'interscambio di informazioni o valutazioni e di altri aiuti reciproci nel campo tecnico. A volte la contropartita, a quanto viene fornito, è minima, in alcuni casi può addirittura essere nulla, ma l'opportunità politica di mantenere questi rapporti è quasi sempre prevalente ad un mero raffronto tra il dare e l'avere.

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Per quanto attiene alla Gladio i collegati erano, ovviamente ed esclusivamente, i paesi NATO europei (quindi senza il Canada) oltre agli onnipresenti Stati Uniti. Altro assente, giustificato, era il Portogallo. Nella realtà i rapporti erano di due tipi. Il primo tipo era quello coi paesi membri del CPC (Comitato di Pianificazione e Coordinamento), Comitato istituito nel '52, per volere del Comandante Supremo della NATO in Europa, e costituiva l'interfaccia tra il Comando Supremo della NATO in Europa (SHAPE) ed i Servizi dei paesi membri, per quanto atteneva le problematiche della Guerra Non Ortodossa.

Il Comitato era retto da un direttorio (Gruppo Esecutivo) costituito dalle tre potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale. Dopo l'uscita della Francia dall'organizzazione militare (ma non dalla NATO) il suo posto venne preso dalla Germania.

Questo triunvirato, insieme ai militari di SHAPE, concordava e stabiliva la «policy» della guerra non ortodossa in caso di guerra, fissando perciò

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compiti ed obiettivi delle Forze Speciali nei territori nemici od occupati dal nemico ed attività dei Servizi. Per questi ultimi non venivano date disposizioni ma «desiderata» nel senso che SHAPE illustrava soltanto quello che avrebbe voluto avere dalle organizzazioni STAY-BEHIND dei vari paesi, in caso di occupazione. Stava poi ai singoli paesi accettare in toto od in parte le richieste e stabilirne le modalità di attuazione. Questa è la situazione che ha visto contrapposte le due teorie sulla Gladio inserita o no nella NATO. In realtà si trattava di una forza nazionale, alle esclusive dipendenze nazionali e quindi non dipendente direttamente dal Comando Militare integrato della NATO, le cui attività però in tempo di pace e quindi in fase di pianificazione, erano concordate ed armonizzate con la analoga pianificazione delle attività militari tramite questo organismo bifronte (Servivi-Branca Progetti Speciali di SHAPE).

L'Italia era diventata Membro Associato del Comitato nel 1959. In considerazione dell'alto livello raggiunto dalla organizzazione italiana nel

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campo della pianificazione e progettazione delle attività operative, nell’estate del '90 venne offerto al nostro paese di entrare a far parte del Gruppo Esecutivo che si sarebbe perciò trasformato in Quadrunvirato. L'offerta provocò malumore da parte di alcuni paesi che si sentirono classificati di seconda categoria.

Ma i nostri, sempre illuminati, vertici governativi risolsero brillantemente i dissidi. Sciolsero la Gladio. In tempo di guerra era previsto che il CPC venisse sciolto e che si costituissero presso i Maggiori Comandi Subordinati (AFSOUTH per l'Italia) dei Gruppi di Consulenza costituiti da rappresentanti dei Servizi del Teatro Operativo (Italia - Grecia - Turchia più Gran Bretagna e Stati Uniti) e dai militari della Branca Progetti Speciali. In virtù di questa differenza di situazione tra pace e guerra non si facevano riunioni allargate a tutti i membri del CPC.

Ci si incontrava, in media uno o due volte all'anno, a Bruxelles presso la sede del CPC e si trattavano col Gruppo Esecutivo ed i Militari i vari problemi in agenda, in particolare lo scenario predisposto da SHAPE per l'esercitazione annuale

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che prevedeva l'attivazione dei citati Gruppi di Consuenza (ACCG).

In sede di CPC perciò i rapporti con i Collegati erano piuttosto rarefatti e comunque molto tranquilli e distesi tenuto conto che si trattavano argomenti ad alto livello quali sono quelli relativi alla «policy» dei singoli paesi (uso volutamente il termine «policy» perché ha delle sfumature diverse e più complete rispetto alla traduzione italiana «politica»). L'incontro fisso e più produttivo era quello annuale presso AFSOUTH dove ci si riuniva per una intera settimana giocando un war-game ad hoc e discutendo su problemi particolari (ad esempio come garantire l'esfiltrazione dal proprio territorio

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occupato di un team delle Forze Speciali proveniente dal territorio nemico). Questa era una settimana difficile perché si viveva 24 ore su 24 la situazione schizofrenica che spesso caratterizza l'ambiente dei Servizi.

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Bisognava tenere sempre presente il dissidio tra Grecia e Turchia e quindi fare molto attenzione ai comportamenti (una pacca sulla spalla al greco doveva essere bilanciata almeno da un gran sorriso al turco) a non far invadere la Grecia prima della Turchia, a non far occupare più Turchia di Grecia e così via. Questa era la fase equilibrismo. C'era poi la fase danzante. L'esercitazione doveva essere il più realistica possibile ed era perciò basata sulla pianificazione operativa di ciascuno dei partecipanti. Bisognava fare fronte alle richieste del Comando NATO mettendo in luce, ma non troppo, le proprie capacità e possibilità ma senza far capire agli altri la consistenza e la dislocazione del proprio dispositivo. Perciò le risposte erano sempre dei grandiosi giri di valzer, di quelli che per andare da una parete e quella opposta della sala da ballo ti occupano per metà la serata.

Alla sera terminato l'orario di lavoro, si passava al minuetto. Sorrisi e cin-cin, mentre rimuginavi sul fatto che non avevi capito bene se i teams delle Forze Speciali sarebbero sbarcati da un sommergibile o da un incrociatore o mentre qualcuno ti chiedeva se sullo Scoglio d'Africa

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(micro isolotto dell'arcipelago toscano) c'era una rete organizzata. Devo dire comunque che, essendo tutti professionisti, ognuno sapeva perfettamente quando si doveva fermare, anche se tentar non nuoce.

Di tutt'altro tipo erano le relazioni in ambito ACC (Comitato Clandestino Alleato) organismo costituito nel '58 su specifica richiesta di SACEUR al CPC, del quale era diventata una emanazione. Infatti era il CPC che manteneva i contatti tra i Militari (SHAPE) e l'ACC, nel quale eravamo entrati nel 1964 e del quale continuava a fare parte la Francia mentre non partecipavano Grecia e Turchia (oltre ai soliti Canada e Portogallo). L'ACC era un Comitato essenzialmente tecnico, un forum dove ci si scambiavano informazioni sulle esperienze fatte, sui mezzi disponibili od allo studio, sui concetti di impiego delle reti ecc.. Il collante era il reciproco interesse.

Ognuno sapeva che se, nel caso di un'operazione, gli fosse mancato un'esperto in esplosivi o in telecomunicazioni o in ripresa e lettura delle impronte, poteva rivolgersi ad un altro paese

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senza problemi perché gli operatori erano stati addestrati alle stesse tecniche e impiegavano gli stessi tipi di materiali. Ognuno era cosciente che la sopravvivenza dei propri elementi inviati ad operare in un'altro paese dipendeva dal livello di efficienza dell'organizzazione di quel paese. Più alto era questo livello e più probabile era il ritorno a casa di militari (piloti, Forze Speciali ecc.) e civili (VIP, agenti ecc..) rimasti isolati nel territorio occupato di un paese amico. L'atmosfera era decisamente più rilassata ad amichevole rispetto a quella del CPC, i tra-

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bocchetti oltremodo limitati e fatti più per onor di firma che per convinzione. Ci si incontrava almeno una volta all'anno in seduta plenaria, a volte anche più, e molto più spesso ci si riuniva per esaminare e discutere problematiche particolari e settoriali in sede di sottocomitati istituiti ad hoc (per le operazioni aeree, per quelle marittime, per le tecniche di esfiltrazione ecc.ecc...).

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Come ho detto, la collaborazione era massima anche se a volte si evidenziavano due posizioni leggermente differenziate, quella pragmatica e intransigente del gruppo sassone e celtico (dalla Norvegia all'Olanda con gli USA e la Gran Bretagna) e quella più duttile e possibilista del gruppo latino (Francia, Belgio, Italia e Lussemburgo). Un altro elemento che contribuiva a mantenere un ambiente en amitiè era il fatto che, a differenza del CPC, non esisteva un Direttorio fisso e precostituito. La Presidenza del Comitato era biennale ed a rotazione tra tutti i paesi membri, che subentravano in ordine alfabetico. L'influenza sulle decisioni del Comitato, e non un potere decisionale, dato che le decisioni finali erano a maggioranza, era perciò equamente ripartita tra tutti, senza creare privilegi. Il «peso» delle posizioni dei diversi paesi era dovuto ad un mix di fattori quali la capacità dialettica e soprattutto propositiva dei responsabili, la disponibilità finanziaria o di mezzi particolari, l'affidabilità e la capacità operativa delle rispettive organizzazioni, la credibilità del paese e così via.

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Non c'era quindi il predominio delle Grandi Potenze, né chi aveva più soldi automaticamente si imponeva agli altri. Devo dire, anche per aver vissuto personalmente l'esperienza di svolgere per un biennio le funzioni di Presidente, che l'ACC, nel suo complesso, era realmente un comitato equilibrato e paritetico. Peraltro, per amore della verità, devo aggiungere che nel '75 e suppongo anche prima, l'Italia era considerata il fanalino di coda del Club, come lo chiamavamo scherzosamente.

La maggior parte delle dichiarazioni era del tenore «Concordiamo con quanto proposto da...... D'altra parte i soldi erano pochi, i mezzi e il personale pure, e di conseguenza era praticamente impossibile fare proposte concrete ed accettabili, salvo dichiarazioni di principi primi che, in un contesto di tecnici e professionisti, lasciano il tempo che trovano. Col tempo siamo cresciuti, in tutti i campi, tanto da diventare uno dei paesi, direi, determinanti nel contesto decisionale ed addirittura pilota in alcuni settori, tipo la guerra psicologica e la guerriglia (settore questo scartato a priori od oltremodo limitato in molti altri paesi per una non favorevole morfologia del terreno,

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per mancanza di tradizioni e di esperienze e, diciamolo francamente, per paura). La conferma che l'Italia negli anni '80 era diventata qualcuno nell'ambito internazionale è data dalla direzione delle esercitazioni a livello internazionale. Ogni tre anni per prassi, per consuetudine ecc.. veniva svolta

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nell'ambito del Club una grossa esercitazione sul terreno che prevedeva la partecipazione di tutti i paesi membri con tutte le rispettive reti. Per tradizione la direzione di tale esercitazione era svolta dal Servizio Inglese, responsabile della organizzazione e gestione della Base Comune Alleata sul proprio territorio nel caso di invasione totale della parte continentale del teatro operativo europeo.

Per alcuni paesi l'Inghilterra costituiva la Base primaria, nel senso che non potevano costituire una Base nazionale vuoi per carenza di fondi, vuoi per motivi di carattere strategico (vicinanza ai paesi dell'Est, territorio che per morfologia non consentiva una resistenza prolungata ecc), vuoi

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per altre motivazioni. Faceva quindi comodo a tutti, né vi erano motivi di contestazione, che fosse la Gran Bretagna a sobbarcarsi l'onere (non solo finanziario ma anche di studio e programmazione) di organizzare e dirigere tale tipo di esercitazione, tenendo altresì conto che, come già detto, sino alla fine degli anni '70 l'Inghilterra era convinta che una invasione si sarebbe fermata, come nel passato, al Canale della Manica e che quindi sarebbe rimasta il solo paese occidentale libero. A partire dalla fine degli anni 70 questo credo non fu più tale. A questa revisione di pensiero si aggiunsero sicuramente altri problemi.

La conclusione fu comunque che, per la prima volta nella storia, la Gran Bretagna offrì, o suggerì, che la direzione delle esercitazioni internazionali venisse svolta da altri paesi. Dirigere l'esercitazione era in effetti un peso logistico amministrativo ed organizzativo notevole. Ma era anche una opportunità unica. Dirigere l'esercitazione, oltre che ad una indubbia questione di prestigio, significava avere la possibilità di rilevare una immensa quantità di dati sul funzionamento e l'operatività delle

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organizzazioni degli altri paesi e ciò costituiva un elemento importante, non tanto per spiare gli amici, quanto per avere una massa di elementi utili per fare raffronti con la propria organizzazione e studiare eventuali modifiche e correttivi. E per la prima volta nella storia, tutti accettarono che fosse l'Italia, nel 1980, ad assumere l'onere e l'onore di dirigere detta esercitazione. Subentrarono i Francesi nel 1983, lo ripresero gli italiani nel 1986 ed ancora gli italiani avrebbero dovuto dirigere quella programmata per il 1991(quella dell'89 era stata cancellata per motivi tecnici).

La massa dei lettori sorriderà nel leggere queste due righe e le considererà come un ovvio e stupido autoincensamento da parte di chi per tanto tempo è stato coinvolto in questo tipo di attività. è quasi normale. Gli addetti ai lavori forse, e lo spero, giudicheranno questi fatti con un'ottica diversa e mi auguro comprendano il salto di qualità fatto dal Servizio a livello internazionale anche se in un campo estremamente settoriale. Quello che mi dispiace enormemente, e che non considero normale, è che alcuni dei re-

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sponsabili del Servizio non si siano soffermati su questi episodi neanche cinque minuti, come se il tutto fosse un gioco, e per giunta personale, di pochi illusi. La sola cosa che mi gratifica personalmente è stata l'affermazione di un Direttore del Servizio, che al rientro da uno dei tanti viaggi all'estero mi disse che sentiva parlare di me più all'estero che a Roma. Ma tant'è, Nemo propheta in Patria come già ho avuto occasione di dire. Ritornando all'atmosfera del Club, questa facilitava non poco l'instaurazione o il consolidamento di rapporti bilaterali.

Nel periodo considerato si instaurarono rapporti ottimali coi due Servizi Belgi, sia con quello militare che con quello civile, e con il Servizio Lussemburghese. Si accentuarono i rapporti con i Francesi con i quali collaboravamo da anni, data la contiguità delle frontiere. Ci univano una maggiore facilità di comprensione linguistica ed un comune spirito molto poco anglosassone. Diventarono ottimali anche i rapporti con gli Inglesi con i quali sino al '75 c'erano delle

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relazioni, diciamo un pò freddine. Poca apertura sia da una parte che dall'altra, un pò di sufficienza da una parte e il solito comportamento di, più o meno velato, ammirazione esterofila dall'altra.

Ma il professionista, e tale è indiscutibilmente il Servizio Inglese, lo è anche nel riconoscere le capacità del proprio interlocutore, e quando queste diventarono o furono rese evidenti, i rapporti diventarono reciprocamente soddisfacenti. Discorso a parte meritano i rapporti con il Servizio USA, quello definito dal mio predecessore il convitato di pietra. Al mio arrivo in effetti i rapporti con la CIA erano indubbiamente rapporti privilegiati. Non vi era una reale dipendenza né la Centrale era succube o asservita all'alleato come qualcuno ha detto. Ammesso che lo fosse stato nel passato, sicuramente non lo era in quel periodo. D'altra parte l'accordo iniziale del '56 era stato disdetto da oltre due anni, e sostituito da un miniaccordo valido per due anni che non diceva nulla, gli aiuti finanziari erano più simbolici che reali (2000 dollari all'anno), l'eventuale fornitura di materiali (per lo più stazioni radio) avveniva solo a pagamento ecc... Non esisteva quindi da tempo

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nessuna situazione, diciamo, ricattatoria che potesse condizionare la nostra organizzazione. Rimaneva solo, specie da parte dei più vecchi, una specie di attaccamento reverenziale verso l'alleato più potente del mondo, che si concretizzava soprattutto nello svolgere addestramento ed esercitazioni quasi esclusivamente con le Forze Speciali USA o personale del Servizio USA.

La sola dipendenza che l'Italia aveva era nel campo dei cifrari che venivano forniti dai gestori della base radio alleata (servizi inglesi e americani). In poco più di un anno, a seguito della messa in funzione della nostra base radio nazionale, fummo in condizioni di costruirci e stamparci in proprio anche i cifrari ed a questo punto l'indipendenza diventò completa. Per l'esattezza dopo poco tempo il mio arrivo un tentativo di subornazione (?)

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da parte USA c'è stato. Nelle vecchie carte che facevano seguito all'accordo del '56 c'era un codicillo nel quale era espressamente detto che

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«per motivi di sicurezza» il SIFAR era tenuto a passare alla CIA i nominativi dei nuovi reclutati. Credo che nella fase iniziale questa disposizione sia stata rispettata e che poi nel tempo sia caduta in disuso come tante altre cose. Quasi sicuramente non lo era nel periodo '72-'74, almeno ritengo. In uno dei primi colloqui faccia a faccia, il contatto della CIA a Roma (il numero tre o quattro credo) mi disse che il suo Servizio si aspettava che io continuassi a fornire i nominativi dei nuovi assunti. Risposta interlocutoria iniziale e poi risposta affermativa. Nulla contro a fornire i dati richiesti come nel passato (ma quale ?) però gli USA avrebbero dovuto fornire i dati relativi al previsto impiego in Italia delle loro Forze Speciali già pianificato e non concordato col Servizio o con SMD (all'epoca non esisteva ancora una pianificazione operativa in materia e non vi era quindi nessun coordinamento tra Servizio e Forze Armate). Il professionista ascoltò, prese nota, salutò e tornò in Ambasciata.

Non si parlò mai più dell'argomento. Devo dire che nei miei 12 anni di Gladio e 17 di Servizio ho sempre avuto modo di constatare che un professionista sa fino a dove può arrivare e

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quando è il momento di fermarsi. Ci proverà comunque, ma si fermerà se il suo interlocutore è un altro professionista. Continuerà ad oltranza se dall'altra parte non c'è qualcuno all'altezza della situazione. Ovviamente il bisogno (soldi - materiali - tecnologie ecc.) possono tarpare le ali anche al migliore dei migliori. Io mi sono trovato nelle condizioni di essere povero, per decreto, e quindi libero. Professionista lo sono diventato col tempo.

Nel 1986, quando ho lasciato la Gladio per assumere altro incarico ho avuto il piacere di ricevere, da parte del Club riunito, applausi a scena aperta. E non era una formalità, come non era un riconoscimento alla persona ma al rappresentante italiano. E ciò a prescindere dalle attestazioni, in separata sede, da parte di singoli paesi. Quando nel '90, come Capo di Stato Maggiore del Servizio, ricontattai alcuni dei paesi dell'ACC per chiedere documenti che avrebbero dovuto essere consegnati alla Magistratura ed alle Autorità Politiche, l'atmosfera era completamente cambiata. Da un paese ricevetti un bel NO secco (e scritto), da un'altro un NO un pò più smussato ma accompagnato da una bella risata (telefonica),

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da un terzo sempre un NO accompagnato da una postilla: su disposizione del loro Presidente (della Repubblica) non avrebbero mai più avuto alcun contatto col Servizio italiano in materia. A chi dei Palazzi mi chiedeva cosa stessero facendo gli altri paesi, in merito alle loro organizzazioni stay-behind, rispondevo che le sole fonti rimaste erano Le Monde, la Frankfurter Allgemein e simili (2000 lire a copia all'edicola di via Veneto a Roma). Ad un risultato del genere, forse, c'era riuscito il governo Badoglio l’8 settembre del 1943.

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9. IL SUPPORTO. Fondi-Materiali-Infrastrutture

Per portare avanti un progetto, quale che sia, non bastano cervelli, idee e volontà. Occorrono i mezzi e cioè fondi, materiali e infrastrutture. Anche nel trattare di questi argomenti dobbiamo

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tener conto delle due epoche, ante e post legge 801. Nell'era «ante» il Servizio era il II Reparto di SMD, i fondi gravavano sul bilancio della Difesa e della Difesa erano le procedure giuridiche e tecnico-amministrative in uso. Nell'era «post» il Servizio è diventato un organismo a sé stante che a seconda delle situazioni, o degli interlocutori, viene di volta in volta considerato una Azienda Autonoma, un Organismo della Difesa, della Presidenza del Consiglio o non si sa bene cosa. Nel periodo ante la realizzazione delle infrastrutture era curata e gestita da Geniodife. Il Servizio si limitava a dire cosa voleva.

Nel periodo post è invece il Servizio a fare tutto, dalla progettazione ai contratti, dal controllo dei lavori al reperimento dei fondi necessari. La stessa cosa vale per i mezzi e materiali.

Prima del '78 mezzi e materiali vengono acquistati dalla Difesa ed assegnati e passati in carico al Servizio. Dopo il '78 il Servizio paga di tasca sua, dalle munizioni per l'addestramento al tiro, agli elicotteri, dalle razioni viveri da combattimento, ai paracadute, dalla carta alle matite. Al mio arrivo i fondi erano pochi, i

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materiali sufficienti, le infrastrutture più che soddisfacenti. Quando ho lasciato l'Organizzazione la situazione era pressoché analoga, fatta eccezione per la parte infrastrutturale notevolmente migliorata e potenziata (ma in virtù di esigenze che nulla avevano a che fare con la Gladio). Quello dei costi dell'Organizzazione è stato un osso sul quale, inizialmente si sono lanciati in molti, ovviamente per stigmatizzare uno spreco di risorse o per ventilare un esercito mercenario o per dimostrare il potere dell'Organizzazione. Osso peraltro presto abbandonato, dopo aver fatto i conti.

Nella realtà, più o meno in tutti i paesi le organizzazioni tipo la Gladio

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sono sempre state più sopportate che supportate e ciò è psicologicamente abbastanza comprensibile, anche se per niente condivisibile. Il mondo militare, di qua e di là delle Alpi, non concepisce di poter essere sconfitto. Può ammettere di perdere una battaglia, di essere costretto ad una

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ritirata, ovviamente strategica, ma poi la programmata controffensiva porterà alla certa vittoria finale. Che ci sia qualcuno che pianifica le proprie attività partendo dal presupposto che la guerra è stata persa (e che quindi il Paese è occupato dal nemico) da un fastidio quasi fisico. Figuriamoci poi se bisogna anche tirare fuori quattrini! Perciò a livello di Stati Maggiori la questione viene considerata con un classico «si, ma...».

Si, perché neanche il più stupido degli Ufficiali di Stato Maggiore ha il coraggio di dire di NO, di affermare che sicuramente l'organizzazione non serve. Ma, perché tanto non è urgente, è solo una eventualità, si può rimandare, si può aspettare, ci sono scadenze più impellenti ecc..ecc.. E poi (per fortuna) è roba dei Servizi.

Quello dei Servizi è l'altra faccia della medaglia. Un mondo che nella realtà aborrisce James Bond. Un mondo di distinti e calmi intellettuali che passa il suo tempo soprattutto a leggere, studiare, analizzare, valutare e a tirare conclusioni, sempre e comunque, prescindendo dalla loro validità. In questo ambiente tranquillo e silenzioso, quasi

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conventuale, che ci sta a fare questa banda di energumeni che passa il suo tempo nel fragore dei poligoni, nell'umidità di una spiaggia battuta dalla risacca o nel gelo delle nevi oltre i duemila metri? Se si divertono, affari loro. Ma dover spendere soldi per mantenerli in piedi e, Dio non voglia, potenziarli, quando non abbiamo neanche una fonte su Marte e su Venere, questo è veramente troppo. E al Ministro cosa raccontiamo? Che non sappiamo nulla sulla politica estera del paese X o sulla situazione interna del paese Y ma che siamo capaci di esfiltrare fino a venti piloti abbattuti al giorno? Figuriamoci. Perciò finché si tratta di comprare 4 pistole, 2 fuciletti e 5 scatole di Fiocchi parabellum, nulla da dire, ma non stiamo a parlare di aerei STOL o di elicotteri idonei al volo notturno o di altri marchingegni del genere. Ci sono spese più urgenti e soprattutto più produttive, da fare. Vedremo l'anno prossimo cosa si può fare. L'esempio citato dello STOL (aereo capace di atterrare e decollare al dì fuori degli aeroporti da strisce erbose, di lunghezza oltremodo limitata) è emblematico. La pratica per l'acquisizione di un aereo di quel tipo è iniziata nel '78, approvata dal Capo Servizio nel '79 ed è

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proseguita tra si, no e ni sino allo scioglimento della Gladio. Dodici lunghi anni per non decidere, per non concretizzare niente.

In una situazione del genere credo si possa riconoscere da parte di tutti che se la Gladio è sopravvissuta sino ai nostri giorni ciò è stato dovuto esclusivamente al fatto che i responsabili diretti, più o meno motivati, più o meno

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entusiasti, credendoci o meno, hanno svolto il compito loro affidatogli al meglio (possibile). Ma proviamo a dare un'occhiata a queste pazze spese per mantenere in vita l'Esercito di secondo tempo. Negli anni '50-'60 una gran parte delle spese sono state sostenute dagli americani, la famigerata CIA. Grosso modo il contributo complessivo ricevuto dal SIFAR e dal SID ammonta a circa 1 miliardo e 300 milioni di lire.

è vero che la capacità di acquisto degli anni '60 non è quella degli anni '90 ma è anche vero che anche il cambio dollaro-lira non è lo stesso. Non sono un esperto in economia per poter fare dei

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raffronti e dei calcoli esatti ma un termine di raffronto abbastanza preciso esiste. Quando sono arrivato al Servizio, nel '74, ero Tenente Colonnello con uno stipendio, indennità comprese, di circa 430.000 lire al mese. L'affitto di un appartamento al quartiere Aurelio di tre locali più servizi era di 150.000 lire al mese.

Oggi lo stipendio di un Tenente Colonnello con due anni di anzianità (come ero io) è di 3.200.000, e l'affitto di un appartamento analogo a quello che io avevo è di 1.500.000 mensili (se dimostri di non essere residente altrimenti non lo trovi) In altri termini il rapporto è di 1 a 10 ma è valido nei due sensi, introiti e costi, vale a dire il rapporto reale è zero. I mille dollari di allora valgono 1000 dollari di oggi, poco più, poco meno. Prescindendo dalle ovvie contestazioni e precisazioni degli addetti ai lavori, procedendo a grandi sciabolate, credo si possa accettare il dato che in venti anni ('56-'76) il Servizio USA ha passato al Servizio Italiano circa 65 milioni di lire all'anno. Su questo dato si è aperto un dibattito politico ed un'inchiesta parlamentare, quanto meno è stato uno degli argomenti dell'inchiesta,

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anche se poi, per amor di onestà, è stato lasciato decadere.

Mentre scrivo queste righe sono in corso accertamenti giudiziari per una questione di 150 miliardi di tangenti pagati da ditte, società, industrie a politici e responsabili della Pubblica Amministrazione (sempre Politici), al Nord, oltre a situazioni analoghe non ancora quantificate al Sud e in Sicilia. Non sono in corso inchieste parlamentari né dibattiti politici (forse perché sono coinvolti personaggi di tutti i partiti o quasi?).

Contemporaneamente sono in corso una serie di rivelazioni (vere, false, strumentali?) che un partito politico nazionale ha avuto sovvenzioni da un organismo statale di uno Stato estero. Né per il primo, né per il secondo dei casi sono state aperte inchieste parlamentari né vi sono stati dibattiti alle Camere. Le sole reazioni politiche sono state la sospensione e solo in casi eccezionali e limitati, l'allontanamento dal partito dei personaggi sotto inchiesta. Quale è la conclusione che può trarre un cittadino italiano di media levatura intellettuale?

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Se lo Stato Italiano riceve da uno «stato estero ed alleato» una sovvenzione, contributo, cifra ecc... in danaro per una operazione di interesse co-

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mune, questa operazione è un attentato alla Costituzione ed alla Libertà del Paese.

Se un partito (non lo Stato od un suo organismo) riceve una analoga sovvenzione da parte di un organismo statuale di uno «stato estero e nemico» (o quanto meno inserito ufficialmente nell'elenco dei paesi potenzialmente ostili) questo è un affare interno che fa parte del gioco democratico. Se esponenti o manutengoli di singoli partiti intascano tangenti di miliardi, per spendere i quali a titolo personale occorrerebbero generazioni di figli e nipoti, questo è un affare personale del singolo che è stato beccato con le dita nella marmellata. Se non avessi un elevato senso dello Stato, mi vergognerei di essere cittadino italiano e avrei già lasciato questo Paese da tempo.

Ma oltre alle sovvenzioni, l'Operazione Gladio ha avuto anche un costo diretto che gravava sul

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bilancio del Servizio. A memoria, posso dire che le spese per l'organizzazione nell'ultimo decennio assommavano a circa 350 milioni all'anno; nei 25 anni precedenti, cioè dalle origini al 1980, la media non ha sicuramente superato i 220 milioni all'anno (cifre valutate ai costi e controvalori odierni). Questo significa che nei trentacinque anni di esistenza di Gladio, l'Esercito ci ha rimesso grosso modo meno di un, e ribadisco uno, elicottero tipo AB 412 (costo 8 miliardi e 800 milioni). Non so fare i conti per la Marina, ma penso che la gestione delle sue barche a vela, le prestigiose Orse, non sia molto lontana. Per quanto riguarda l'Aeronautica un Tornado costa tra i 70 ed i 74 miliardi. Ma quello che più è interessante è che un'ora di volo di un DC 9 o di Falcon 50 costa tra 4.5 milioni ed i 3.5 milioni. Quattro ore di volo per riportare il Ministro della Difesa a casa, dopo una settimana ministeriale fanno 56-72 milioni al mese, circa 1/5 di quanto occorreva a far funzionare un organismo che H 24 per 365 giorni all'anno era a disposizione esclusivamente per la difesa del territorio nazionale. E per quanto riguarda l'ambito del Servizio gli addetti ai lavori sanno perfettamente

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quanto costa, come spese di gestione, un centro di Controspionaggio.

Con 350 milioni all'anno, non si copre di certo, non dico tutta l'Italia, ma neanche la metà, anzi molto ma molto meno (e non parliamo di centri all'estero!) Come si vede anche il Servizio si è sempre preoccupato in maniera determinante di quella entità che in caso di occupazione del territorio avrebbe rappresentato «il Servizio», per antonomasia, dell'intero Paese, dato che tutto il resto avrebbe preso il fugone o sarebbe stato spazzato via dal nemico. Che il, giustamente famoso SIM nel periodo '43-45 fosse stato costituito esclusivamente da due sezioni (oltreché da una sezione di supporto tecnico) delle quali una si occupava del controspionaggio nei territori liberati, mentre l'altra svolgeva le stesse identiche funzioni della Gladio nei territori occupati dai nazifascisti, era un passato, un'esperienza, che non aveva insegnato niente a nessuno (fatta eccezione per quei pochi illusi assegnati allo specifico settore).

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Il secondo aspetto del supporto alla operazione Gladio era costituito dai mezzi e materiali. Le filosofie che sovraintendevano ai due settori erano, o meglio avrebbero dovuto essere, direttamente contrapposte. Modernità e sofisticazione per i mezzi, semplicità e vecchiaia per i materiali. I primi erano gestiti direttamente ed esclusivamente dalla Centrale. Dovevano consentire l'infiltrazione ed il recupero dei teams di specialisti o i rifornimenti, in profondità, all'interno dei territori occupati, col massimo di garanzie di sorpresa, di sicurezza e di affidabilità. In altri termini occorrevano mezzi aerei e navali dotati di grande autonomia, che potessero navigare con assoluta precisione senza l'ausilio delle radioassistenze ed in silenzio radio, che per attrezzature speciali a bordo o tecniche di navigazione potessero sfuggire ai radars del nemico, il più silenziosi possibile ecc.ecc.

La solita lungimiranza strategica consentì all'organizzazione di avere tre-quattro gommoni con normali fuoribordo da 20 HP (uno solo era più o meno artigianalmente silenziato), quattro aerei leggeri tipo L 19 che portano un passeggero e non consentono né l'aviolancio, né il volo

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notturno, ed un DC 3 dell'Aeronautica (il famoso ARGO 16) bimotore ad elica entrato in servizio nell'aviazione americana nel 1940. Tra il '79 e l'80 un notevole salto di qualità. Gli aerei leggeri vengono sostituiti da elicotteri del tipo A 109 che, se anche non volano di notte, per lo meno trasportano 4-5 persone (smilze). Il DC 3 va in pensione e prende il suo posto un G 222.

I primi vengono acquistati dall'Esercito a rate (non ci sono abbastanza soldi), il secondo viene preso in affitto dall'Aeronautica dato che si paga per ogni ora di volo fatta.

Attrezzature speciali a bordo? Certo! Buona volontà e capacità professionale degli equipaggi. Nel 1985 viene potenziata la flotta con l'acquisto di una barca, un Canados 50 da 16,5 metri che consente di andare per mare un pò più comodi che non in gommone. Essendo una barca di serie ha ovviamente la cabina padronale oltre alle cuccette, fatto che è stato sbandierato dai soliti ignobili per trasformare un mezzo di lavoro in un mezzo per crociere di relax, magari anche un pò sexy. In effetti l'ultima crociera di cui sono a conoscenza è stata quella dell'estate del 90 lungo

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le coste della Dalmazia, un classico delle estati per mare. Peccato che i fuochi artificiali di benvenuto quell'estate fossero traccianti di mitragliatrice e cannonate.

è bene sottolineare che tutti questi potenti mezzi non servivano solo alla Gladio ma almeno al 60%, e forse più, per fare fronte ad altre esigenze istituzionali del Servizio, come la sopracitata gita turistica per mare, tanto è vero che hanno continuato ad operare anche dopo lo scioglimento dell'Organizzazione. Meno la barca, data l'ottima pubblicità che le è stata fatta. L'ultimo sussulto di potenziamento risale al 1986 quando vennero acquistati due aerei ultraleggeri, quella specie di ciclomotori volanti. A che servivano?

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Per informazioni basta rivolgersi agli israeliani ed ai loro amici dell'OLP, che li hanno impiegati più di una volta per condurre azioni in profondità scavalcando senza problemi i sistemi difensivi organizzati lungo i confini. Non è il caso di riportare quali erano i mezzi a disposizione delle organizzazioni dei Paesi alleati, dagli elicotteri

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ognitempo con serbatoi supplementari, ai bimotori turboelica tipo executive, agli aerei C 130, capaci di volare a bassa quota e «inforchettare» un pallone al quale stava appeso un uomo da esfiltrare con urgenza. Sottolineo l'uso dei plurali.

Per quanto riguarda i materiali, come ho già detto, la filosofia era che fossero i più semplici e meno sofisticati possibile. E ciò discendeva da esigenze diverse ma contemporanee. Da un lato c'erano le difficoltà di addestrare gli esterni all'eventuale uso di apparecchiature sofisticate data la limitata durata dei corsi ed i lunghi intervalli fra di essi. Da un'altro era impossibile pensare che in una situazione di guerra si potesse provvedere ad una manutenzione ed al rifornimento di parti di ricambio che avrebbero comunque richiesto personale specializzato. Da ultimo vi era la esigenza di sicurezza mai sufficientemente garantita. Era più che noto che dopo l'eventuale occupazione sarebbero state adottate severe misure di controllo del territorio, come era successo in Germania e nei paesi baltici, nella seconda guerra mondiale, in Vietnam ed in Cambogia, successivamente. Ne conoscevamo

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almeno 27, attuate di norma nei primi mesi dopo l'occupazione, altre 20 adottate nella successiva fase di consolidamento, ed una ulteriore decina imposte a territori «normalizzati».

Tra queste misure ci sarebbero state quasi sicuramente quelle dell'istituzione del coprifuoco, dello sgombero della fascia di confine e della fascia costiera per una profondità di alcuni km., la limitazione dei movimenti entro un raggio di 2 - 10 km., dal luogo di residenza, i controlli saltuari lungo le vie di comunicazione, oltre a numerose altre. Essere pescati ad un posto di blocco o ad un normale controllo di polizia con un visore notturno o un illuminatore di bersagli a raggi laser, avrebbe sicuramente comportato l'arresto immediato, se non l'essere messi contro il muro più vicino (soluzione peraltro cinicamente auspicabile per il bene dell'Organizzazione). Quindi niente bussole, ma addestramento all'orientamento col sole, le stelle e l'orologio. Niente carte topografiche scala 1:25000 dell'Istituto Geografico Militare ma carte del Touring, oltre ad una perfetta conoscenza del proprio territorio. Niente segnalatori all'infrarosso

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per guidare barche ed aerei allo sbarco e alle zone di lancio, ma normali pile a batterie. E così via.

Per quanto riguardava armi ed esplosivi, l'imperativo era che fosse tutto materiale non in dotazione o non più in dotazione alle Forze Armate. Per questo motivo negli ormai famosi NASCO vi erano armi ed esplosivi usati dagli Alleati durante la seconda guerra mondiale. Pistole spagnole,

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STEN inglesi, Carabine Winchester e qualche fucile Garand americani, esplosivo al plastico C 4 americano. Le armi dei NASCO sarebbero dovute servire ai Nuclei destinati a durare nel tempo e ad agire sempre in forma clandestina ed erano per lo più armi per la difesa del personale in caso di incontro imprevisto col nemico.

Questo è il motivo per il quale erano in numero così limitato (potevano essere comunque armati circa 300 uomini, 500 se si contano anche le sole pistole), fatto che la Commissione Stragi ha dimostrato di non aver capito. Ma il relatore era

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uomo d'onore. In una sessantina di caserme dei Carabinieri e dell'Esercito, tutte dislocate tra il confine Nord Est e la Lombardia, area coincidente con la prevista Zona di Combattimento, era accantonato l'armamento per circa 2000 uomini.

Si trattava per lo più di fucili, moschetti automatici, fucili mitragliatori ecc già in uso alle Forze Armate ma radiati dall'impiego e quindi non più in dotazione, quali ad esempio gli STEN ed i BREN inglesi od i MAB italiani. Quando nel 1976 la Centrale si rese conto che nessun esterno, neanche poche ore prima dello scoppio delle ostilità, avrebbe messo in gioco la propria «clandestinità» per andare a prelevare le armi nelle caserme, tutto il materiale venne recuperato ed accantonato al CAG di Alghero (come era già stato fatto nel '72-'73 con i materiali dei NASCO). D'altra parte queste armi erano tutte destinate alle Unità e Formazioni di guerriglia che la pianificazione operativa, appena redatta, prevedeva entrassero in azione solo nel terzo tempo e non nella fase iniziale come era stato previsto negli anni '50-'60 da parte delle Unità di Pronto Impiego.

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Il materiale perciò sarebbe stato aviolanciato o trasportato via mare nelle zone e nei tempi più opportuni. Anche questi elementi non sono stati compresi dalla Commissione Stragi. Ma il relatore era uomo d'onore.

Un terzo lotto di materiali di armamento, per circa 1200 uomini, era nella base USA di Campo Derby, presso Livorno. Sarebbe stato ceduto dalle Forze Armate americane solo dopo lo scoppio delle ostilità ed avrebbe costituito la riserva, il volano per rimpiazzare le perdite o le inefficienze o per fare fronte ad incrementi improvvisi delle previste Formazioni (sbandati, disertori, fuggiaschi da campi di prigionia ecc...). In conclusione, l'Organizzazione sarebbe stata in condizione di armare, dopo lo scoppio delle ostilità, dalle 2500 alle 3500 persone.

Ed a 3000 infatti ammontava il numero delle uniformi, zaini, scarpe ecc.ecc. accantonati per l'esigenza. Tralasciamo per un attimo i NASCO (e quindi i Nuclei Clandestini) e soffermiamoci sul numero dei 3000 tra fucili, mitragliatori, mitragliatrici ecc. cioè sull'armamento idoneo per 3000 potenziali guerriglieri. La dottrina militare

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degli anni '60 diceva che il rapporto normale per fronteggiare la guerriglia da parte delle forze regolari era di 1 a 10.

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Questo rapporto è cresciuto nel tempo (vedasi esperienza del Vietnam) fino ad 1 a 30. In altri termini, per fronteggiare 3000 guerriglieri organizzati occorrono sino a 90.000 (novantamila) uomini, vale a dire circa la metà dell'attuale Esercito Italiano e probabilmente l'intero futuro Esercito previsto dal Nuovo Modello di Difesa.

Qualcuno ha fatto questi conti tra Piazza Colonna e via XX Settembre, prima di stilare l'atto di morte della Gladio? E li ha fatti la Commissione Stragi prima di trinciare giudizi?

Ma il relatore era uomo d'onore. All'arsenale sopradescritto, di armi diciamo vecchie, sicuramente però non obsolete, andavano aggiunte un numero limitato, qualche decina, di mortai e di lanciarazzi e cannoni controcarro senza rinculo, anche questi predisposti per essere

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aviolanciati. Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 anche l'organizzazione ebbe un sussulto di modernizzazione ed eliminò a sua volta le armi più vecchie (ad esempio i MAB sostituiti con pistole mitragliatrici Franchi) oltre ad inserire nel suo inventario armi in dotazione al Patto di Varsavia (ad esempio i Kalashnikov).

Alla, più volte citata, filosofia del semplice e vecchio vi furono, come sempre, alcune eccezioni. La prima è stata quella relativa allo studio e realizzazione di materiali che garantissero la lunga conservazione di armi e munizioni sotto terra. Si ricercavano e provavano carte catramate, metallizzate, plastiche ecc. che preservassero i materiali dall'aria e dalla polvere e resine che li preservassero dall'umidità e fino a lì non c'erano grossi problemi. Ma quando si passava a far sì che le resine fossero inattacabili dai roditori, i laboratori si trasformavano in rivoltanti «fabbriche della puzza». La seconda eccezione è stata lo studio e la realizzazione di un contenitore subacqueo che consentisse di conservare i materiali anche a notevole profondità per sfuggire alle eventuali ricerche. Venne realizzato un «coso» a metà strada tra la boa e la

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mina che oltre a garantire la tenuta stagna fino a 60 metri (6 atmosfere) ne assicurava l'autodistruzione e l'affondamento nel caso ci avesse messo le mani un non addetto ai lavori. L'aspetto più interessante è che l'aggeggio poteva venire aviolanciato e restare sott'acqua anche per due anni ed essere poi richiamato a galla anche da una certa distanza con segnali codificati emessi da un apposito dispositivo tipo sonar. Per quello che ne so, eravamo l'unico paese ad avere la disponibilità di NASCO sommersi con delle caratteristiche tecnologiche così elevate. Disponibilità, perché non sono mai stati messi in opera se non a livello sperimentale ed addestrativo.

Un altro buon successo, non nazionale ma a livello dell'intero Club dell'ACC, è stato quello relativo alla realizzazione di un sofisticato apparato radio per agenti. Riceve e trasmette fino a circa 10.000 Km. messaggi di 200 caratteri in 1 secondo, cifra automaticamente ed automaticamente si accende e si spegne.

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Queste caratteristiche consentono di non aver bisogno di operatori radio specializzati e che l'operatore stesso possa rimanere tranquillamente a casa nel momento in cui la radio entrerà in funzione, evitando così il pericolo di cattura in flagranza, nel caso di intercettazione e localizzazione, per altro estremamente difficile, da parte del nemico. Tutti gli altri materiali, dalle macchine fotografiche ai ciclostili portatili ecc. erano tutti materiali datati come le armi. Quello che nei 35 anni di vita della Gladio ha avuto un notevole sviluppo è stato il settore infrastrutturale. Fino dalle origini gli insediamenti sono stati due - Alghero e Cerveteri. In quest'ultima località, all'interno del comprensorio del Centro Trasmissioni del RUD, esisteva la «foresteria», una palazzina un pò isolata ed affogata nel verde, idonea ad alloggiare 10-12 persone, alla quale era annesso un minifabbricato con due aule. Fino al '75 veniva utilizzata essenzialmente come punto di raccolta e camera di compensazione prima della partenza degli esterni per Alghero.

Saltuariamente veniva utilizzata per l'addestramento dei marconisti o di qualche altro

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specializzato. Dopo le modifiche apportate negli anni '75-'76 al sistema addestrativo ne è aumentata l'utilizzazione soprattutto per lo svolgimento dei corsi per gli addetti alle informazioni ed i Capi Rete. Negli anni '80, con la costruzione di un prefabbricato, è stata aumentata la capacità ricettiva di altri 8 posti letto, tenendo conto che la Divisione che sovrintendeva alla Gladio era diventata responsabile anche dell'addestramento di tutto il personale del Servizio. Questa è la vera storia di quello che la Commissione Stragi ha definito il Centro Addestramento di Cerveteri, potenziato negli anni '60 come succursale della base principale. Ma il relatore era uomo d'onore. Il secondo complesso infrastrutturale dell'organizzazione era costituito dai due CRO. CRO stava per Centro Radio Olmedo, una località nei pressi di Alghero. Il CRO 1 era il Centro trasmittente ed il CRO 2 quello ricevente. Da quando erano stati costruiti alla fine degli anni '50, ed equipaggiati con materiali americani, non erano mai andati in funzione, se non per le normali prove degli apparati e relative manutenzioni. Il concetto base era quello di non

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far rilevare al potenziale nemico l'esistenza di un centro radio che aveva capacità e prestazioni fuori dalla norma.

Questa concezione doveva garantire la non individuazione della base sino al momento della sua attivazione dopo lo scoppio delle ostilità e l'inizio dell'occupazione, anche se parziale. Nel '76 decisi invece di adottare la linea d'azione esattamente opposta. I centri dovevano funzionare, anche se a vuoto, 365 giorni all'anno e, possibilmente, 24 ore su 24, trasmettendo in continuazione messaggi fasulli a....nessuno. In tale maniera la base radio sarebbe stata sicuramente immediatamente individuata e localizzata, ma, all'emergenza, non avrebbe attirato su di se attenzioni particolari dato che il traffico del tempo di guerra sarebbe stato pressoché identico a quello del

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tempo di pace. Anche questa decisione ha a suo tempo creato subbuglio nella acquisita tranquillità dei vecchi, basata sul solito vangelo, senza considerare il mugugno degli operatori radio della

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centrale che, essendo numericamente molto al di sotto delle esigenze si sono trovati improvvisamente sotto pressione. A parte i lavori conseguenti al cambio ed alla modernizzazione degli apparati radio ed all'adozione dei nuovi sistemi di trasmissione tecnologicamente avanzati i due centri sono rimasti pressoché immutati nel tempo. Il gioiello di famiglia era invece costituito dalla base di Punta Poglina.

Innanzitutto la bellezza naturale di quel tratto di costa, la macchia mediterranea ed i pini marittimi, un mare stupendo limpido e verde smeraldo, scogli e sabbia dorata, gabbiani e cormorani, triglie e murene. Poi il silenzio e la tranquillità di un'area lontana dall'abitato, con poche casette sparpagliate nelle vicinanze ed una strada litoranea (la Alghero-Bosa) con scarso traffico che al mio arrivo non era ancora terminata, non certo, come qualcuno ha scritto, per intervento del Servizio. La tranquillità, sotto tutti gli aspetti, compreso quello della sicurezza, era tale che la recinzione del comprensorio era un proforma. Quattro giri di filo spinato con alcuni cartelli di divieto di accesso ad una zona militare. All'interno del comprensorio vi erano tutte le

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installazioni per garantire la vita del distaccamento di guardia e degli istruttori, dalla falegnameria al posto distribuzione carburanti, dalle mense agli alloggi, dal posto manutenzione automezzi all'infermerà ecc... Il solo condizionamento era la cronica carenza di acqua potabile.

Affogate nel verde c'erano poi le palazzine per la direzione dei corsi, ed i laboratori (fotografia - confezionamento materiali - armeria ecc.) la palestra, il poligono di tiro e quello esplosivi, il porticciolo con le baracche per il ricovero dei gommoni e la pista di atterraggio per aerei leggeri. E sempre in mezzo al verde le due palazzine allievi, che essendo completamente autosufficienti (mensa, bar, aule, alloggi) consentivano di svolgere contemporaneamente due corsi mantenendo la massima compartimentazione tra i due gruppi di frequentatori. L'accentramento di tutte le armi ed i materiali dell'organizzazione al CAG dopo il '76 ha comportato la costruzione di magazzini pallettati. L'apertura del comprensorio a tutto il personale del Servizio, dopo che la Divisione nel 1980 era diventata la Scuola unica del Servizio

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stesso, ed alle Forze Speciali delle Forze Armate (Incursori della Marina, Paracadutisti d'assalto dell'Esercito) hanno portato, nel tempo alla realizzazione di un secondo poligono di tiro, della torre per l'addestramento subacqueo, del percorso di guerra (con ostacoli copiati dall'esercito sovietico) del percorso del silenzio (ispirato ad analoga attrezzatura dell'Esercito Francese) dell'eliporto idoneo all'atterraggio notturno, oltre all'ammodernamento di tutte le altre attrezzature. Dovrebbe apparire evidente che tutte

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queste realizzazioni nulla avevano a che fare con l'addestramento degli esterni, ma anche questo non è stato capito in ambito Commissione Stragi. Ma... non mi ripeto. Quando a dicembre dell'86 ho lasciato l'Organizzazione il comprensorio aveva i depuratori per le acque luride, l'inceneritore per i rifiuti, i propri pozzi di acqua ed un sistema di cabine elettriche con gruppi elettrogeni che ne garantivano la completa autosufficienza.

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Non credo esista in Italia una installazione addestrativa così completa, articolata ed organizzata, invidiataci da quasi tutti i Servizi occidentali oltreché dalle nostre Forze Armate. Non servirà certamente più per addestrare «i gladiatori» ma è una struttura eccezionale per la formazione del personale del Servizio, quello realmente operativo, ovviamente. Mi auguro che sciacalli ed avvoltoi, che si sono messi in movimento appena sentita puzza di cadavere, o gli «affettuosi» parenti della scena finale dell'Avaro di Moliere, non riescano a superare la recinzione, oggi esistente e funzionante, trasformando un serio e silenzioso centro addestrativo in una fiera di vanità od in una tappa per itinerari turistici.

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10. GLADIO E LE FORZE ARMATE

I rapporti tra Gladio e le Forze Armate rappresentano un classico esempio di come non si

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devono fare le cose. Negli anni '51-'52 si comincia a pensare di costituire una organizzazione di resistenza che dovrebbe operare all'interno dei territori eventualmente occupati. Il Capo del SIFAR ne parla con i Capi dei SIOS delle tre Forze Armate e con il suo superiore diretto, il Capo di Stato Maggiore della Difesa. è una fase interlocutoria ed i contatti non scendono al di sotto del livello dei Capi, decisione accettabile, anzi giusta. Nel '56 viene costituita la Gladio a seguito dell'accordo bilaterale tra il SIFAR e la CIA. è un accordo tra Servizi e quindi non vengono interessate le Forze Armate, anche se tra i compiti dell'organizzazione ve ne sono alcuni che sono chiaramente legati alle stesse Forze Armate quali, ad esempio, quelli dell'evasione ed esfiltrazione di piloti abbattuti ecc...

Sempre nel '56, più o meno un mese prima del citato accordo, era stata sciolta l'organizzazione Osoppo, organizzazione nata nel 1950 per trasformazione del 3° Corpo Volontari della Libertà, costituito a sua volta nel 1946, con i resti della ex Brigata partigiana non comunista Osoppo-Friuli, per la difesa della popolazione

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italiana da eventuali invasioni titine. La Osoppo dipendeva dallo Stato Maggiore Esercito e la Gladio ne assorbì parte degli uomini e parte dell'armamento (gli ormai noti depositi di armi nelle caserme). Nonostante ciò, non vi fu alcun contatto tra Servizio e SME o fra questo ed il Capo dello SMD che aveva autorizzato la costituzione di Gladio. Nel 1959 il Servizio, con l'autorizzazione del Capo di SMD, entra a pieno titolo nel CPC, su invito formale del rappresentante francese e presidente di turno del Comitato stesso.

Ma benché il Comitato costituisse l'interfaccia fra il Comando Supremo NATO (SHAPE) ed i Servizi, nonostante il SIFAR partecipasse o comunque fornisse elementi di ragguaglio per le riunioni tra SMD ed AF-SOUTH per lo studio delle possibilità di pianificazione delle forze clande-

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stine in Italia, Servizio e Forze Armate continuano a non parlarsi. Nel 1964 l'Italia entra a fare parte dell'ACC, Comitato istituito nel '58 su

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iniziativa di SACEUR ed emanazione del CPC. Essendo un Comitato di soli Servizi, neanche in questa occasione vi sono contatti all'esterno del SIFAR. Nel 1968 il Servizio riceve, tramite CPC, come previsto, la Direttiva di SHAPE sulla guerra non ortodossa.

Le direttive di SHAPE viaggiano sui canali NATO e quindi, per l'Italia, arrivano ad AFSOUTH (Napoli), Comando retto di norma da un americano ma nel quale, sempre di norma, il Capo e/o il Sottocapo di Stato Maggiore è italiano. Le stesse direttive, integre o più o meno elaborate, vengono poi da AFSOUTH diramate ai comandi dipendenti e quindi al Comando delle FTASE (Verona) retto sempre da un Generale a quattro stelle italiano. Una copia della direttiva di SACEUR va, per opportuna conoscenza allo Stato Maggiore Difesa.

Come ampiamente illustrato nella relazione della Commissione Stragi, in tale direttiva SHAPE disponeva che le operazioni condotte da forze militari «non ortodosse» si adeguassero alle sue direttive, riservandosi così la direzione strategica delle Operazioni Militari Non Convenzionali

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(UMO) effettuate da reparti militari precettati per l'assegnazione alla NATO.

Nel settore delle Operazioni dei Servizi Clandestini (OCS), SHAPE ribadiva invece la competenza delle singole autorità nazionali, fatta salva la necessità del coordinamento per evitare dispersione di energie e conflitti di attività. Nonostante l'importanza della materia, la sottolineata esigenza di coordinamento, e la diramazione a diversi supergallonati nazionali, nei palazzi di via XX Settembre, nessuno batte ciglio. All'inizio del '69 è il Servizio che si agita e si fa promotore di un Comitato di coordinamento tra le FF.AA. e Servizio stesso, indicando lo SMD quale organismo di presidenza del Comitato. La proposta rimase lettera morta e continuò ad esserlo anche quando venne reiterata dal Servizio nel '73, nel '75, nel '77 e nel '79. Isteresi del comando? paura? diffidenza? tempi di reazione un pò rallentati?

Ai posteri l'ardua sentenza. Soltanto a dicembre del 1985 il Ministro della Difesa (Spadolini) da l'imprimatur alla costituzione del Comitato la cui presidenza viene assunta dal SISMI, non essendo

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più il Servizio, a seguito della legge 801, un Reparto dello SMD ma un organismo direttamente dipendente dal Ministro stesso. Ci sono pertanto voluti ben 17 anni perché FF.AA. e Servizio potessero colloquiare ufficialmente su un tema di rilevanza strategica. Diciassette anni, prendendo per base l'emanazione della Direttiva di SHAPE; ventinove se si parte dalla costituzione dell'organizzazione Gladio. Ed a via XX Settembre, oggi, c'è gente che pensa di poter ristrutturare le Forze Armate, sulla base del Nuovo Modello di Difesa, nel

 

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giro di 3-4 anni! Il già più volte citato 8 settembre '43, tra tutte le cose riprovevoli e deleterie che ha provocato, ha però avuto un risvolto positivo, quello di aver insegnato ai Quadri intermedi, in assenza di ordini delle SS.AA., a pensare con la propria testa e ad assumersi in proprio la responsabilità di decidere e di fare. Ed è per questo che i contatti avvengono a livello di Tenenti Colonnelli e Colonnelli, in forma del

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tutto ufficiosa, quasi a livello privato. Non ci si sbilancia molto né da una parte né dall'altra, si trattano soprattutto argomenti tecnici, evitando scrupolosamente di entrare in problematiche ad ampio respiro.

Discorsi un pò più seri ed approfonditi, ma sempre a livello informale, iniziano nel '76 dopo la redazione da parte del Servizio della pianificazione operativa relativa alla Gladio. Si cerca, e si riesce, ai bassi livelli di realizzare il coordinamento delle due forme di Guerra Non Ortodossa, quella delle UMO di responsabilità dello SME e quella delle OCS di responsabilità del Servizio. L'Aeronautica resta a margine perché coinvolta solo per fornire i vettori. La Marina è disponibile a fornire anch'essa i propri vettori (sommergibili e motosiluranti), ma per il resto fuori si chiama. COMSUBIN secondo il suo Stato Maggiore non è un reparto di Forze Speciali ed opererà sempre sotto esclusivo comando nazionale. Con snervante lentezza, tra infiniti difficoltà e distinguo si va però comunque avanti.

Il 9° battaglione paracadutisti d'assalto, a Livorno, si addestra all'impiego dell'esplosivo

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plastico... usando la plastilina o il Pongo rubato ai propri figli. Il famoso C 4 e gli altri esplosivi similari non fanno parte delle dotazioni dell'Esercito Italiano. Se dovesse partire per la guerra si dovrebbe aviolanciare con qualche autocarro al seguito per trasportare tutto il tritolo (esplosivo in dotazione) necessario ad effettuare le previste operazioni di sabotaggio, tenendo presente che 1 kg. di tritolo equivale a 750 gr. di C 4, che si riducono ulteriormente a circa 250 gr. se si usano cariche confezionate in modi particolari - in altri termini il rapporto è di 4 a 1. (L'Esercito acquisterà esplosivi al plastico solo a fine estate '79).

Un bel giorno un serio (o pazzo) Comandante del battaglione decide di passare dalle chiacchiere ai fatti e, sapendo che al Servizio c'è personale che si addestra col plastico da anni ed anni, chiede di poter fare addestrare anche il suo personale. Così il CAG di Alghero apre le porte anche alle Forze Armate. Siamo nell'inverno dell'anno di grazia 1980. Tre anni dopo arriva anche la Marina, con gli Incursori di La Spezia che vogliono poter lavorare in uno dei più attrezzati poligoni, o centri addestrativi che dir si voglia, d'Italia.

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L'Aeronautica si sveglia nel 1977 quando, ricevendo il piano di evasione ed esfiltrazione di SHAPE, scopre che, nel caso un aereo venga abbattuto sul territorio nazionale occupato, esistono persone disposte a rischiare la pelle per recuperare e far fuggire gli equipaggi. A questo punto,

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sempre ai bassi-medi livelli, si infittiscono i contatti ed i piloti dell'A.M. cominciano a partecipare alle esercitazioni della Gladio, le cui tecniche nel campo della EE (Evasione ed Esfiltrazione) diventano patrimonio comune. Finalmente nel 1985 Spadolini, Ministro della Difesa, firma l'atto di approvazione della costituzione del Comitato di Coordinamento tra Forze Armate e Servizio nel campo della Guerra Non Ortodossa ed i contatti e l'attività di coordinamento diventano ufficiali. Ovvero «dovrebbero» diventare ufficiali. Nella realtà la prima riunione nel marzo '86 finisce in un battibecco tra il sottoscritto, Presidente per diritto,

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ed il rappresentante di SMD che si ritiene, a titolo personale, unto del Signore.

Nei successivi anni il Comitato si riunisce ancora solo tre volte, l'ultima nel dicembre '89. I risultati sono ultramodesti, per non dire di peggio, ma per fortuna continuano e si incrementano i contatti ai soliti livelli (a questo punto si può fare e dire, vista la ufficialità della problematica) e le cose sembrano cominciare a muoversi nel senso giusto. Sempre nell'86 viene istituito un altro Comitato che si deve occupare del coordinamento dell'impiego delle unità Speciali delle FF.AA., dei Carabinieri e del Servizio in attività antiterroristiche (dirottamenti aerei, cattura di ostaggi ecc...). I personaggi attorno al tavolo sono gli stessi, visto che sono tutti degli specialisti, ma questa volta è l'unto del Signore a sedersi sullo scranno del Presidente, come è giusto che sia data la sua funzione .Per amore di verità devo dire che questo comitato nelle sue riunioni (più o meno una decina sino al '91) è arrivato a dei risultati decisamente più concreti e positivi dell'altro. E ciò appare ovvio dato che il terrorismo era un fatto attuale (il dirottamento dell'Achille Lauro è dell'ottobre '85 e quello su Malta di un aereo

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egiziano è della fine di novembre dello stesso anno) ed è tutt'ora immanente. Ma, numero di riunioni e risultati, confermano quanto già detto circa la sordità delle FF.AA. ad argomenti che partono dal presupposto di aver perso, se non tutto, buona parte del territorio nazionale.

Agli alti livelli, l'organizzazione Stay-Behind diretta dal Servizio, continua a non interessare fino alla primavera del '90 quando il, sempre previdente e tempestivo, Presidente del Consiglio ordina al Capo di SMD di fare una specie di inchiesta interna e riservata (con particolare riguardo per quanto attiene ai cosiddetti NASCO) e di riferirgli in merito. La relazione finale è talmente segreta che non viene neanche data in visione, non dico trasmessa in copia, al Direttore del Servizio. Esclusiva per il Presidente del Consiglio dei Ministri, per correttezza nei suoi confronti, è stato detto. Nella relazione non c'è nulla di eclatante o conturbante, non vengono messe in luce né deviazioni né violazioni (che peraltro non esistono), è una pulita esposizione di fatti, suffragati da 10 cm. di allegati acquisiti dal Servizio. Due soli sono i punti della suddetta relazione che personalmente ritengo importanti.

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L'inizio, dove viene detto che presso gli Stati Maggiori della Difesa e delle tre FF.AA. non è stata trovata alcuna indicazione (alias documenti) salvo la conoscenza da parte dei vertici di una specifica pianificazione del SISMI. La conclusione, nella quale si afferma che tutti i vertici politici e militari sono a conoscenza dell'esistenza e delle finalità della Operazione Gladio, anche se non delle modalità organizzative. Chi legge mi capirà se non ho virgolettato queste due frasi. Da questo momento (maggio '90) in poi, i tri e quadristellati si sono nuovamente scordati della Gladio, e dei suoi uomini soprattutto. Al momento del mio siluramento alla promozione, un anno dopo, non c'è stato uno che abbia aperto bocca e quando, molto cortesemente, la stampa ha sbandierato il fatto a cinque colonne, non c'è stato uno che abbia telefonato per dire «Mi dispiace» (non si sa mai magari le telefonate sono registrate!).

Se mai avessi avuto qualche dubbio, me lo sono tolto la sera del 15 novembre '91 quando ho

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lasciato per l'ultima volta l'ufficio ed il servizio attivo. Gli unici «uomini con le stellette» che mi hanno salutato, e per la verità anche calorosamente, sono stati i Carabinieri in servizio all'ingresso di Palazzo Baracchini. A loro un sentito grazie. Da notare che ben 12 degli attuali tre stelle sono miei compagni di Accademia, altri 8 sono miei anziani e 5 sono «cappelloni», come si chiamano in gergo quelli del corso successivo, persone con le quali ho convissuto almeno un anno a Modena ed uno a Torino, sempreché non ci si sia poi incontrati nel prosieguo della carriera.

Ma questi silenziosi VIP si sentono la coscienza a posto, perché una schiera di superburocrati con le stellette li ha rassicurati che non mi meritavo la promozione perché non ero uscito primo né all'Accademia, né alla Scuola di Applicazione, né alla Scuola di Guerra e perché da Tenente Colonnello in poi non avevo comandato nulla. I diciassette anni passati al Servizio sono stati, per loro, una lunga vacanza senza problemi e responsabilità. L'essere stato, tra gli altri incarichi, per tre anni il responsabile a livello nazionale della Sicurezza Amministrativa dello Stato e per due anni il Capo di Stato Maggiore del

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Servizio, viene giudicato meno importante di aver comandato un Reggimento o una Brigata. Ed è questo metro di valutazione che fa si che gli elementi migliori delle Forze Armate stiano alla larga dal Servizio (nota bene «Militare») che, per contrapposizione, è pieno di ufficiali di complemento dei Ruoli ad Esaurimento, di cosiddetti «trombati» o di sicuri candidati alla trombatura, tutta gente ovviamente altamente motivata e qualificata. Le eccezioni, che per fortuna ci sono, servono solo a confermare la regola.

Dopo la «civilizzazione» del Servizio, a seguito dell'entrata in vigore della legge 801, nel 1985 venne promulgata una norma transitoria che consentiva al personale di riacquisire lo status militare, con conseguente rico-

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struzione di carriera, rimanendo comunque al Servizio . Riacquisire lo status militare significava rinunciare aprioristicamente a rimanere in servizio sino al 65° anno di età (come per tutto il personale civilizzato) ed accettare di

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andare in quiescenza allo scadere dei limiti di età del grado raggiunto (57 per i Colonnelli, 58 per i Gen. di Brigata, 60 per i Gen. di Divisione) con la pensione dei pari grado militari rinunciando quindi ai vantaggi delle pensioni del personale degli Organismi di Sicurezza, agganciate, come per i Magistrati, agli aumenti degli stipendi del personale in servizio. La contropartita? Avere la possibilità, ma non la certezza, di accedere all'incarico di Capo Reparto, massimo livello raggiungibile e all'epoca riservato ai soli militari veri (oggi concesso pare anche a chi ha buttato l'uniforme alle ortiche). Il secondo vantaggio era quello, morale, di sapere di essere Colonnello o Generale vero, cioè in servizio effettivo, e non «di cartone» (promosso nella riserva). Sulla base di questi parametri,se non ricordo male, su oltre 2000 effettivi, le domande di rientro in Forza Armata furono una decina in tutto. Uno dei dieci mentecatti è stato ovviamente il sottoscritto.

 

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11. GLADIO E IL SERVIZIO

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Le pagine seguenti potranno sembrare un poco difficili e, forse, criptiche per chi non ha dimestichezza o frequentazione con i servizi segreti. Sono, però, perfettamente comprensibili da chi ne ha fatto parte o ne ha dimestichezza. Ci scusiamo con il lettore se farà fatica nell'interpretarle, ma se ci riuscirà, la sua conoscenza ne sarà arricchita.

n.e.

 

Ho già avuto modo di dire che i rapporti tra gli addetti alla Gladio ed il resto del Servizio non erano proprio idilliaci. L'accentuata compartimentazione ed una rigorosa tutela del segreto su tutte le attività della 4a, poi 5a Sezione dell'Ufficio «R» dava fastidio per principio, specie a chi doveva fornire soldi, mezzi, materiali e personale senza poter sapere a cosa servisse. Conoscere è potere ed una limitazione della conoscenza veniva interpretata un pò come una limitazione del proprio potere e, da parte di alcuni, in una certa mancanza di fiducia nei loro confronti. Questa situazione faceva si che, mentre vi era una notevole compattezza all'interno della

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Sezione, non c'era corresponsione di amorosi sensi fra la Sezione ed il resto del Servizio, neanche all'interno dello stesso Ufficio «R». D'altra parte i Capi o Direttori del Servizio consideravano l'organizzazione necessaria (per qualcuno poi superata) e dovuta, per rispetto agli impegni presi in ambito NATO, ma costosa, senza un ritorno immediato o quanto meno a breve termine, che è in definitiva il metro di giudizio col quale al Servizio si è abituati a valutare il rendimento e l'efficacia delle proprie strutture. Non sono sicuramente stato l'unico, ma ho pagato personalmente e più di una volta questa situazione.

Nell'aprile dell'anno X si rese libero il posto di Capo Ufficio «R» dal quale dipendevo. Ero il Capo Sezione più anziano, Colonnello pieno, pari grado dello stesso Capo Ufficio. Il Capo Servizio mi spiegò che il mio lavoro era troppo importante perché potessi lasciarlo e nominò a dirigere l'Ufficio in sede vacante un Ten. Colonnello che dirigeva un'altra Sezione. A novembre arrivò il titolare, Colonnello pieno e più anziano di me, anche se mio compagno di Accademia. Decisione formalmente ineccepibile, ma senza tener conto

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delle esperienze acquisite in diversi anni passati al Servizio. Un mese dopo venne creata, in tutti gli Uffici che si trasformavano in Divisioni, la figura del Vice Direttore. L'incarico lo assunse un altro Ten. Colonnello che aveva davanti a se almeno ancora un anno per essere promosso. Io restai

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ancora al palo. Alcuni anni dopo, da tempo dirigevo la 7a Divisione, venni convocato a Palazzo Baracchini dal Direttore. Mi venne affidato l'incarico di Direttore della 2a Divisione, già Ufficio «R» nella quale sarebbe, con me, riconfluita la Sezione Gladio. Accettai, ringraziai, ripresi la macchina e ritornai al Forte. Appena messo piede nel mio ufficio il Capo della Segreteria mi avvisò che dovevo immediatamente chiamare il Baracchini senza aprire bocca. Chiamai. La 2a Divisione era stata assegnata ad un'altro. Ho continuato a dirigere la 7a divisione, e quindi la Gladio, fino a dicembre 1986.

Un secondo fattore di turbativa, era costituito dalla valenza politica dell'organizzazione, dal

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timore, cioè della strumentalizzazione che a livello politico si sarebbe potuta fare se l'esistenza della organizzazione fosse venuta alla luce (come purtroppo si è puntualmente verificato). Era un problema che interessava ovviamente solo i miei Superiori diretti. Alla fine del '76, quando ormai avevo le idee ben chiare su quanto c'era da fare per rendere realmente operativa l'organizzazione, e la pianificazione operativa era ormai stata approvata, avevo fatto uno studio sulle conseguenti necessità di incrementi organici. Tenuto conto che le esigenze del tempo di guerra erano notevolmente superiori a quelle del tempo di pace (ma non si poteva aspettare la mobilitazione per completare i Quadri) proponevo di impiegare il personale, diciamo così, in esubero, per costituire la Scuola del Servizio. All'epoca ogni ufficio provvedeva ad addestrare in proprio le nuove leve. Suggerivo altresì che, dato il peso della organizzazione, questa costituisse un ufficio a se stante e quindi più omogeneo nelle sue componenti (addestramento dei gladiatori - addestramento del personale del Servizio) sgravando il Capo Ufficio «R» di una parte delle sue incombenze

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completamente diverse e già sufficientemente gravose per conto loro. Non erano proposte fatte «prò domo mea» dato che sapevo che per prassi all'atto della promozione sarei rientrato in Forza Armata.

La ritenevo una proposta logica e razionale che avrebbe dovuto essere concretizzata dal mio successore. Che fui io stesso, per una serie di imponderabili ed impreviste concause. Bene. Non ho mai trovato in tutta la mia carriera un così sentito appoggio a che le mie idee si realizzassero concretamente e possibilmente in tempi brevi. Un'altra particolarità della «centrale» della Gladio era la sua autosufficienza. L'essere stata concepita e strutturata, contemporaneamente per durare nel tempo, attivarsi fin dal primo giorno dell'invasione (per i Nuclei di collegamento presso gli Alti Comandi NATO addirittura a ridosso dell'inizio delle ostilità) ed operare presso un eventuale Governo in esilio, ovunque esso fosse, imponeva uno spiccatissimo livello di autonomia in tutti i settori. E ciò non soltanto per quanto attiene la disponibilità in proprio di mezzi e dei relativi operatori, ma anche di cervelli e

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dirigenti che conoscano a fondo le varie problematiche, sia dal

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punto di vista operativo che da quello tecnico. I due Centri Radio di Olmedo (CRO) non solo consentivano di ricevere e trasmettere in tutto il mondo ma erano gli unici in Italia ad impiegare il sistema di trasmissioni contratte in alta velocità che rendevano oltremodo difficile l'intercettazione e la localizzazione delle stazioni periferiche. Il progetto della radio per agenti, ad esempio, è stato concepito e realizzato completamente in ambito Gladio. Questa situazione non faceva piacere agli uomini, o quantomeno ad una parte degli uomini, della struttura del Servizio responsabile delle Telecomunicazioni.

La Gladio aveva un suo sistema di cifratura, anche questo realizzato al di fuori dei previsti canali. Insofferenza. Negli anni '70 il Servizio aveva cominciato ad informatizzarsi e la 4a Sezione era stata esclusa da questo processo di

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modernizzazione per problemi di compartimentazione e di segretezza dei dati.

Negli anni '80 prese avvio l'informatizzazione in proprio con l'aiuto dei tecnici esperti del Servizio ai quali venivano forniti dati chiaramente falsati che consentivano di proseguire lo studio dal punto di vista tecnico ma non consentivano di capire quali elementi reali avrebbero costituito la banca dati. C'erano troppe macchine assegnate senza autista e tre o quattro laboratori fotografici e ad Alghero si facevano spesso lavori infrastrutturali in proprio. Tutto l'insieme era di pessimo esempio per gli altri, perché se tutte le strutture operative avessero intrapreso la stessa strada, che sarebbe successo a quelle tecniche e logistiche? Risposta - sarebbero tornate ad essere quelle che erano una volta, delle Sezioni anziché delle Divisioni/Uffici. Molto seccante. Curiosità insoddisfatta, gelosia professionale, potere incompleto. Questi erano i tre elementi nei quali, a volte, si imbattevano quelli che io ancora oggi, considero i «miei» uomini, elementi che però, se messi insieme contemporaneamente in determinate situazioni, possono costituire una miscela esplosiva.

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E così fu. Il detonatore fu la costituzione della 7a Divisione, nel giugno dell'80, che, oltre a Gladio, diventava tra l'altro responsabile della Scuola del Servizio, della Selezione psicoattitudinale e dell'ordinamento. Responsabile dell'ordinamento significa non solo conoscere tutte le strutture del Servizio nei più minimi dettagli, ma valutarne il «diritto all'esistenza», impedirne anemizzazioni o rigonfiamenti strumentali ed escalation di livello a titolo di vantaggio in termini meramente personali. Responsabile della selezione psicoattitudinale dei candidati all'assunzione significa stabilire quali sono i parametri minimi per poter entrare a far parte del Servizio e mettere nero su bianco, dimostrandolo nei limiti di una scienza, che anche se non è matematica sempre scienza è, che un cretino resta tale anche se è raccomandato da Superman e, di contro, una persona rimane in gamba anche se è an-

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tipatica allo stesso Superman. Dirigere la Scuola significa concentrare in un unico punto tutte le

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esperienze passate, positive e negative di tutte le strutture del Servizio.

Vuol dire anche, avere la possibilità di formare una nuova classe di operatori, ai diversi livelli (dirigenti, dirigenziali, esecutivi ecc), moderna, proiettata verso il futuro, non asservita né succube delle cariatidi e dei superati, capace, senza vendere fumo, di rinnovare e ringiovanire dall'interno le istituzioni. La decisione fu unanime: troppo potere concentrato in una unica struttura. Troppo potere nelle mani di una sola persona. I vari Tigellini, in buona e mala fede, di cui sempre tutti i Capi sono contornati, si misero al lavoro. Alla fine dell'81 l'ordinamento passò alle dipendenze dell'Ufficio Personale, che non sa quasi niente sulle attività operative del Servizio, ma sa tutto, o quasi, sugli affari personali degli elementi che lo costituiscono.

Cinque anni più tardi il compito di effettuare la selezione viene tolto alla Divisione che, essendo un organismo altamente operativo, conosce a fondo, perché le vive quotidianamente, problemi ed esigenze reali, e viene affidato ad una struttura logistica dove ovviamente tutte le esperienze

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vissute si stemperano man mano in un'aurea mediocrità burocratica (non certo per colpa dell'ente ricevente che, essendosi sempre occupato di tutt'altro, non ha esperienze specifiche). Più o meno nello stesso periodo la Scuola diventa indipendente, provvedimento che ne valorizza giustamente l'importanza, ma che è inficiato all'origine dal distacco dall'area operativa e dall'automatico arresto di una fattiva osmosi tra operativi ed insegnanti, e successivamente neh"accogliere tra le sue fila, pur di fare numero, molti degli emarginati, volontari o d'ufficio, delle altre strutture del Servizio. Ma il riequilibrio, e con esso la ripartizione dei poteri, era stato finalmente realizzato.

Tutto questo spiega perché, al momento dell'esplosione dell'affare Gladio, tutti si sono chiamati fuori e la questione sia stata vista come se la 7a Divisione fosse un'azienda privata, della quale facevano parte pochi intimi. Questo spiega anche perché oggi si cerchi, o si sia cercato, di seppellire definitivamente quella Divisione, anziché ricostituirla più o meno come era stata inizialmente concepita. Alla fine dello stesso

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anno vengo a mia volta trasferito ad altro incarico perché, giustamente, il mio grado di Generale è troppo elevato per continuare a dirigere una Divisione. Con gran gioia dei Tigellini, il mio trasferimento viene interpretato dalla stragrande maggioranza del Servizio come un siluramento ad personam (l'ennesimo) ed una disconferma dell'importanza delle attività della Divisione. Devo dire che nessuno, tanto meno il mio successore, ha fatto molto per sfatare questa impressione, peraltro decisamente errata.

Nei tre anni successivi ho diretto l'Ufficio centrale per la Sicurezza (U.C.Si.) alle dipendenze dell'Autorità Nazionale per la Sicurezza e non mi

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sono perciò più interessato né di Gladio né del resto del Servizio. E sono stati parecchi ad accorgersi che, personalmente, non ero stato per niente emarginato, anzi. Ma quando nell'estate dell'89 sono stato predesignato per assumere l'incarico di Capo di Stato Maggiore del Servizio, mi sono ritrovato di nuovo circondato da una

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atmosfera più pesante di quella precedentemente descritta.

Sorrisi agrodolci di autocandidati, scartati, che avevano fatto il possibile per opporsi a questa mia nomina. Ampi sorrisi, per non dire sponsorizzazione, da parte di alcuni che ritenevano che l'incarico che rivestivo al momento all'UCSi mi desse fin troppo potere. Incredulità e disappunto da parte di moltissimi che sapevano che io sapevo, anche troppo bene. Pochi fans, che da me si aspettavano soprattutto vendette, rivincite o sistemazioni migliori. Sono stati due anni intensi, pesanti, interessanti, con innumerevoli bastoni fra le ruote e scarso appoggio, a tutti i livelli. E quando, per la posizione occupata, mi sono dovuto, ed ho voluto, rioccuparmi di Gladio mi sono di nuovo, con i «miei» uomini, ritrovato solo, solo di fronte alle Commissioni, solo di fronte ai Magistrati, solo di fronte ai mass media ed all'opinione pubblica.

Gladio è solo cosa mia, non c'è stato mai nessun altro. E me ne vanto.

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12. I MASS MEDIA E LE INCHIESTE

Potrebbero e dovrebbero essere due argomenti da trattare in capitoli separati, ma tale è stato l'intreccio tra inchieste, giudiziarie e parlamentari, ed articoli, comunicati, telegiornali e trasmissioni televisive che è quasi impossibile separare le due cose.

Il rapporto Gladio - Mass Media potrebbe costituire argomento per un libro a sé stante, che analizzi forme e contenuti, modalità di approccio, linee di tendenza, tesi sostenute (preconcette e non), cambi di opinione, spazi, risalto alle notizie ecc.. ecc...

La materia è troppo vasta per poterlo fare in questa sede. In sintesi, l'argomento è stato trattato da almeno 40 testate giornalistiche e da tutte le testate radio-televisive. La sola carta stampata dall'estate del '90 a quella del '92 ha prodotto oltre 2.614 articoli sui quotidiani, senza contare quelli

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sui settimanali (circa 270). è stata quasi una gara a chi scriveva di più.

In parallelo sono state aperte circa 16 inchieste giudiziarie (10 ad hoc - 6 rispolverando casi precedenti da Peteano all'Italicus, dall'omicidio Insalaco alla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro) senza considerare le due parlamentari, a volte d'ufficio, a volte motu proprio, a volte proprio sulla base di quanto andavano riportando i mass-media. Se si riportassero su un grafico i due tipi di «interessamento» (inchieste e mass-media) le due curve si sovrapporrebbero quasi completamente con l'inizio nell'autunno del '90, un picco nell'inverno '90-'91, una flessione seguita da un secondo picco (ultramodesto) tra la fine di settembre '91 e febbraio '92, per tornare a flettersi successivamente. La curva dei mass-media non riprende quota, neanche nell'estate '92 in concomitanza con le cosiddette «rivelazioni» sui fondi del PCUS, la Gladio Rossa ecc.

Anche il grafico delle mie vicende personali segue più o meno l'andamento generale delle due curve. Nel dettaglio questi sono i punti salienti:

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- aprile '90il Capo di SMD lavora ad una relazione sull'organizzazione Gladio, richiestagli il mese precedente dal PCM;il Giudice Casson (stando a notizie stampa) si reca dal PCM per avere l'autorizzazione ad accedere agli archivi del SISMI;viene pubblicato un articolo (negativo) da parte di un settimanale (che si dimostrerà sempre molto critico ed al corrente di quanto avviene negli ambienti giudiziari di Venezia e Padova);

- luglio '90Casson inizia la visione degli archivi del Servizio (autorizzato dal PCM); 8 articoli sulla stampa tra giugno e luglio;

- agosto '90il Direttore del Servizio emana una direttiva interna che prevede di iniziare l'addestramento dei gladiatori per poter individuare indizi di attività della criminalità organizzata (C.O.);il PCM accetta alla Camera ed alla Commissione Stragi di riferire sul caso Gladio;29 articoli sulla stampa;

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- ottobre '90PCM trasmette alla Commissione Stragi la relazione su Gladio;200 articoli sulla stampa;

- novembre '90PCM presenta la sua relazione al Senato;PCM stigmatizza iniziativa del Direttore del Servizio per l'impiego dei gladiatori in funzione anti C.O. (eccesso di zelo, iniziativa personale);PCM dispone scioglimento dell'Organizzazione;4 Procure inviano al Servizio 8 richieste di documentazione;800 articoli sulla stampa;

- dicembre '90la Procura di Roma sequestra tutto il carteggio della Gladio;4 Procure inviano al Servizio 4 richieste di atti;Inzerilli viene indiziato di favoreggiamento dalla Procura di Venezia;230 articoli sulla stampa;

- gennaio '91messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica;esplosione del Piano Solo (omissis ecc);

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dimissioni dell'On. Segni dal COPACO;pubblicazione delle liste dei gladiatori;

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PCM accusa Martini (eccesso di zelo-iniziativa personale etc)4 Procure inviano al Servizio 9 richieste di atti;400 articoli stampa;

- marzo '91audizione del Presidente della Repubblica da parte del COPACO;Avvocatura di Stato esprime parere di legittimità;Casson viene inquisito dalla Procura di Roma per violazione del segreto (sarà scagionato);3 Procure inviano al Servizio 4 richieste di atti;200 articoli sulla stampa;

- settembre '91Inzerilli viene silurato alla promozione;Inzerilli viene incriminato per cospirazione politica (11 giorni dopo il siluramento);13 articoli sulla stampa;

- ottobre '91Martini viene incriminato per cospirazione

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politica;Inzerilli è indiziato di costituzione di banda armata ecc.ecc. a Roma e Bolzano;la Procura di Venezia trasferisce gli atti a Roma per incompetenza territoriale;57 articoli sulla stampa;

- novembre '91autodenuncia del Presidente della Repubblica Cossiga;52 articoli sulla stampa;

- gennaio '92pubblicazione della relazione Gualtieri;74 articoli sulla stampa;

- febbraio'92pubblicazione della relazione del COPACO;richiesta di archiviazione della Procura di Roma;95 articoli sulla stampa;

Da questo momento sino a fine giugno gli articoli stampa scendono a meno di 20 al mese. In altri termini l'argomento Gladio ha cominciato a suscitare interesse nell'ottobre '90 e lo ha mantenuto sia a livello di mass-media sia a livello

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giudiziario sino a marzo '91 con un picco massimo nel novembre '90.

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Dall'aprile '91 in poi l'interesse è notevolmente calato, si potrebbe dire precipitato, nonostante alcune clamorose vicende giudiziarie quali la incriminazione di Martini, l'autodenuncia di Cossiga, e l'invio di avvisi di garanzia quali indiziati di reato a numerosi personaggi dei Servizi, tra i quali il sottoscritto in ben tre procedimenti diversi (come al solito ho fatto tutto io da solo). Sugli aspetti giudiziari non posso ovviamente esprimere alcun giudizio o parere. Ma non mi dispiace ricordare a chi mi legge un pezzo dell'intervista che il Sen. (DC) Toth ha rilasciato a Ulderico Piernoli del Tempo, il 5 gennaio '91. «... E i collegamenti Piano Solo e Gladio?» Non ne parla più nessuno perché non ci sono: è la prova della strumentalità delle recenti polemiche.... Siamo arrivati al punto che i rapporti Gladio - Stragi sono esclusi anche da De Martino. «Ci sono magistrati però che continuano le indagini in questo senso».

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«Lasciamo lavorare i giudici in serenità. Ma debbo rilevare che negli anni '60-'70 il PCI faceva opera di proselitismo fra i giovani magistrati e chiedeva loro di domandare di essere assegnati alle zone «calde». Nulla prova che le indagini di quei magistrati siano state poi orientate secondo indicazioni di partito, né mi permetto di affermarlo. è un fatto e va tenuto presente».

Alcuni fatti, senza commenti, li vorrei citare anche io. Il 13 dicembre del '90 ricevo, in un ufficio del SISMI, un avviso di garanzia per favoreggiamento (privo tra l'altro della località e del periodo nel quale sarebbe avvenuto l'ipotetico reato, elementi che per legge debbono essere riportati, pena la nullità dell'atto). Al Giudice istruttore che l'ha emesso e che per altri motivi è presente nello stesso ufficio chiedo, alla presenza di tre testimoni, se la data fissata per l'interrogatorio (il successivo 20 dicembre) è inderogabile o se può essere spostata per eventuali impedimenti. La risposta è affermativa (posso spostarla). Dopo aver contattato l'avvocato di fiducia, che proprio quel giorno è superoccupato in Cassazione, chiedo di spostare la data di un giorno. Risposta negativa. Chiedo di

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spostarla dal mattino al pomeriggio del giorno stabilito.Risposta negativa. Data la prospettatami estrema urgenza, vado e mi avvalgo della facoltà di non rispondere per assenza dell'avvocato di fiducia. Sarò riconvocato e sentito solo il 21 settembre dell'anno successivo. Da comune cittadino pongo una domanda. è possibile che un cittadino italiano, avvalendosi della sua posizione di stato, che gli garantisce, al di sopra della legge a quanto pare, la massima garanzia di libertà di azione, possa mettere un altro cittadino nella condizione di non potersi difendere perché l'atto inquisitorio è di estrema urgenza, per poi riconvocarlo a distanza di nove mesi? La legge, non dico la giustizia, è uguale per tutti o no?!

Nessun organo della Magistratura, benché formalmente messo a conoscenza dei fatti, ha dato il minimo segno di vita. Secondo episodio, stessa

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Procura, stesso giudice. Il 21 settembre '91 vengo, finalmente riconvocato per spiegare la mia

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posizione in merito all'accusa di favoreggiamento elevatami l'anno precedente.

è presente, anzi al mio ingresso è già dentro all'ufficio del Giudice Istruttore, un avvocato che si è costituito parte civile come difensore di alcune persone che, nell'ambito delle prime indagini sulla strage di Peteano, sono risultate essere state ingiustamente accusate. Che Gladio c'entri con Peteano è solo una ipotesi, tutta da dimostrare. Comunque nessuna obiezione alla presenza di questo avvocato. Appena si apre il processo verbale mi viene comunicato che non solo non sono più indiziato ma sono imputato, ma anche che l'accusa non è più per favoreggiamento ma di attentato alla Costituzione della Repubblica (una bazzecola da ergastolo). Il buon senso, prescindendo dai cavilli legali, vorrebbe che a questo punto l'avvocato di parte civile di un diverso procedimento d'accusa uscisse di scena, ma il Giudice Istruttore dice di NO perché deve ancora pensare e decidere. Chiedo 5 (cinque, e non di più dice il Giudice) minuti per consultarmi con i miei difensori per poter decidere il mio comportamento di fronte a questa improvvisa e gravissima accusa. Accordato. Rientro e rispondo

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a non più di tre o quattro domande che mi vengono poste. Vengo messo in libertà e sono assalito dai giornalisti che vogliono sapere quello che penso sulla nuova imputazione.

Rispondo e vado a prendere un taxi per recarmi in aeroporto e rientrare a Roma. Sono le ore 12.30 circa. Io arrivo a Roma più o meno verso le 15.30. Mia moglie ha saputo della nuova accusa nei miei confronti, non da me, ma dal TG 3! Per gli addetti ai lavori, e non, rammento che ero inquisito secondo il vecchio codice, e non il nuovo con tutto quello che prevedeva in materia di segreto istruttorio. Quanto ho sopra illustrato è stato fatto presente alla Magistratura nei modi dovuti e formali. Reazioni N.N.. Terzo episodio. Altra Procura. Altro Giudice. Vengo convocato (in una città tra il Po e l'Appennino) quale persona a conoscenza dei fatti di interesse della Giustizia. Mi si chiede di presentarmi accompagnato dall'avvocato di fiducia essendo imputato di reato commesso (le accuse sopra citate). Il mio avvocato per precedenti impegni è indisponibile e chiede ad un collega sul posto di rappresentarlo e di assistermi. Dalla stazione vado direttamente allo studio di questo avvocato per

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presentarmi e spiegargli la mia posizione giudiziaria, fermo restando che non so assolutamente su quale argomento sarò interrogato.

Dopo una mezz'ora usciamo dall'ufficio dell'avvocato per andare al bar a prenderci un caffè prima di recarci alla Procura. Varcato il portone, sono, anzi siamo, assaliti da una turba di giornalisti ed operatori TV (che poi ci inseguiranno dentro e fuori gli uffici della Procura). Non proseguo né approfondisco

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 l'argomento anche perché evidentemente sono io che non ho ben capito cosa si intenda per segreto istruttorio. Per amor di verità però debbo citare che episodi del genere non si sono mai verificati in altre città quali Roma e Bolzano e che ci sono stati Magistrati che si sono spostati dalle loro sedi per condurre interrogatori e redigere verbali senza platea.

Chiudo l'argomento Magistratura e inchieste giudiziarie, sia perché queste sono tutt'ora in

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corso, sia perché non mi sento all'altezza di muovere critiche o commenti.

     Per quanto riguarda i mass-media, invece, qualche considerazione vorrei farla. Il periodo che ho preso in esame, si fa per dire, va dall'aprile '90 al giugno '92. Non ho preso in considerazione né le testate televisive né i settimanali, data la ben nota caratterizzazione politica di ciascuno di essi, ma mi sono limitato a rileggermi gli articoli apparsi, nel periodo considerato, su circa 40 diversi quotidiani.

Ho classificato i diversi articoli in cinque differenti categorie (rispetto alla Gladio): i decisamente favorevoli ( + ), i neutrali con una tendenza, molto spesso limitata, a favore ( x + ), i neutrali decisi ( X ) i neutrali con tendenza piuttosto spiccata in genere, a sfavore ( x - ), i decisamente contrari (-)

Sia i conteggi numerici che le valutazioni, senz'altro personali, sono tendenzialmente al ribasso nel senso che se dico che nel gennaio '91 sono stati scritti 391 articoli è molto probabile che siano un numero in difetto, se dico che nello stesso mese i neutrali sono stati 220 è più che

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probabile che sia un numero in eccesso nel senso che vi ho incluso anche neutrali con tendenza a sfavore (sicuramente non viceversa e cioè a favore). Prima considerazione, relativa all'interessamento all'argomento da parte dei massmedia (vds. allegato 1) in sette mesi nel '90 (giugno-dicembre) vengono scritti 1276 articoli - nei dodici mesi del '91 ne vengono scritti 1113 - nei primi sei mesi del '92 ne sono stati pubblicati 225.

Dopo il boom iniziale c'è quindi un calo continuo di interesse, a partire dall'aprile '91, nonostante vi siano, da settembre '91 in poi, episodi clamorosi quali le incriminazioni del Direttore e del Capo di Stato Maggiore del Servizio per attentato alla Costituzione, l'autodenuncia del Presidente della Repubblica, la presentazione della relazione Gualtieri e del COPACO ecc...

è l'opinione pubblica che si è stancata o sono i giornalisti che si sono accorti che si erano buttati su un argomento ingigantito artificialmente? Seconda considerazione. Il primo articolo sull'argomento, negativo, appare sul settimanale Panorama nel mese di aprile del '90. Il caso non è

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ancora esploso, anzi non esiste nessun caso. Ma desidero rammentare a chi mi legge che nell'aprile del '90 avvengono due fatti. Il primo è che il Capo di SMD sta

 

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elaborando la relazione sull'organizzazione Gladio che il PCM aveva richiesto a metà del mese precedente. Il secondo è che il Giudice Casson si reca dallo stesso PCM per avere l'autorizzazione ad accedere agli archivi del SISMI.

Non mi sembra di fare accostamenti pretestuosi. Mi limito a riportare i fatti. Terza considerazione. Su 2.614 articoli prodotti nel periodo considerato solo 2 (due) sono stati decisamente favorevoli.

è un fatto. La considerazione la lascio agli altri. Di conseguenza ho ridotto le cinque categorie di giudizio prima indicate a tre sole. I favorevoli ( + e x + ), i neutrali ( x ), i contrari ( x - e - ).

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Quarta considerazione, sulla base di questa nuova classificazione. I favorevoli sono decisamente una minoranza, anche se con un minimo incremento nel tempo (in percentuale 5.4 nel '90 - 5.5 nel '91 - 7.5 nei '92).

I neutrali sono la maggioranza che nel tempo però diminuiscono (in percentuale '63 nel '90 - 50.5 nel '91 - 49.5 nel '92).

I contrari sono poco meno della metà con un deciso incremento nel '91 (in percentuale 31 nel '90 - 44 nel '91 -43.5 nel '92). Vorrei sottolineare che il salto di qualità (si fa per dire) dei contrari coincide col calo di interesse. Infatti il 31% del '90 è relativo a 1276 articoli (tutti scritti nel solo 2" semestre). Il 44% del '91 è relativo a 1113 articoli (in 12 mesi). Il 43.5 del '92 è relativo ai solo 225 articoli prodotti nel 1" semestre.

Mi rendo conto che queste righe piene di numeri e % sono poco digeribili e quindi rimando i lettori agli allegati 2,3 e 4 di più facile comprensione (spero).

Quinta considerazione. Chi ha scritto di più (numero degli articoli prescindendo dai giudizi).

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Riporto solo dei dati numerici. Le considerazioni se le fa ognuno come vuole. Non ho riportato altri dati perché non significativi (n.s.) rispetto ai numeri citati.

Testata2° sem.

'90

anno '91

1° sem. '92

Totale Medaglia

Corsera 114 125 25 264 bronzoGiornale 113 74 24 211

Manifesto 99 65 20 184Mattino 36 70 n.s. 106

Messaggero 52 84 n.s. 136Repubblica 157 168 25 350 oro

Stampa 107 81 n.s. 188Unità 159 137 41 337 argento

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Per quanto riguarda le inchieste parlamentari le relazioni finali, sia quella della Commissione Stragi, sia quella del COPACO, sono state inviate al Parlamento e sono pubbliche.        Non conosco le procedure successive, se, quando e come l'argomento verrà ripreso

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dall'attuale Parlamento e quindi mi astengo da qualunque giudizio. Ma non da alcune, sia pur minime osservazioni. Stessi fatti, stessa documentazione, stessa disponibilità di tempo: risultati opposti.

Da una parte atteggiamento inquisitorio e pubblicità a tutto campo. Dall'altra riservatezza e atteggiamento sereno (vorrei dire signorile) ancheda parte dei contrari. Da una parte una unica relazione finale al termine dei lavori. Dall'altra una prerelazione varata a metà dei lavori, ovviamente ne-gativa e con delle affermazioni che lo stesso relatore non ha avuto il coraggio di riprendere e di riportare nell'edizione finale (comunque, parlate, parlate,qualcosa resterà).... Ma il relatore era uomo d'onore. Da una parte una relazione votata a maggioranza, con tutti gli aventi diritto ad esprimere un parere, presenti. Dall'altra una relazione votata anch'essa a maggioranza ma con l'assenza di quasi due terzi degli aventi diritto ad esprimere un parere, e con la presenza dei soli rappresentanti del PCI, un unico DC (della corrente di sinistra), un rappresentante del PSI ed un (sempre unico) rappresentante del PRI (il

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Presidente).... Ma il relatore era uomo d'onore. Da un lato una relazione di minoranza, non prevista per legge, comunque redatta, parzialmente pubblicizzata, e comunque proposta ufficialmente in Parlamento.

Dall'altra una relazione della minoranza, che in realtà è la maggioranza, annunciata ma mai vista né pubblicizzata, ed una moltitudine di emendamenti, proposti ma poi mai sostenuti. Due stili piuttosto diversi, direi come minimo. Ma tant'é: signori si nasce e non si diventa, neanche col titolo di «Onorevole» davanti al proprio cognome.

A proposito degli emendamenti proposti e non sostenuti, o della relazione di minoranza-maggioranza mai letta né pubblicizzata (in ambito Commissione Stragi) vorrei sottolineare l'assoluta, o quasi, incapacità dei, chiamiamoli difensori, a sostenere le tesi prò. E questo in particolare nella Commissione Stragi. Presenza massiccia degli accusatori - assenze vistose dei difensori. Interventi continui e basati su dati reali (interpretati quasi sempre in maniera strumentale) da parte degli attaccanti, lunghi silenzi intervallati

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da uscite spesso inconcludenti da parte della difesa.

Una assoluta incapacità di contrastare le accuse, spesso false e pretestuose mosse da una ben precisa parte politica, rifugiandosi dietro a vaghe enunciazioni di principio, senza utilizzare dati reali ed inequivocabili. Questo è accaduto spessissimo anche nei mass-media e mi limito a citare alcuni esempi. è stato detto e scritto più volte che nel momento e sul luogo del

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rapimento dell'On. Moro era presente un Colonnello del SISMI legato, tra l'altro alla Gladio. è vero che questo Ufficiale si trovava in un appartamento ubicato in una strada parallela a via Fani il mattino del 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Moro.

Ma è altrettanto vero che detto Ufficiale all'epoca era il Comandante del Gruppo Carabinieri di Modena, incarico che reggeva dal 2 settembre 1974 e che ha lasciato il 14 aprile 1978 (un mese dopo il rapimento) quando è andato in pensione.

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Le date sono più che facilmente accertabili. Perché è stato accusato il Servizio e non l'Arma dei Carabinieri o l'amministratore del Condominio ? Lo stesso Ufficiale è diventato consulente esterno del Servizio in data 1° luglio 1978 (Moro è stato ritrovato cadavere in via Caetani il 9 maggio 1978, due mesi prima). Sempre lo stesso Ufficiale in data 22 gennaio 1979 è entrato a far parte di un Ufficio del SISMI che è stato costituito il 15 maggio 1978. Non esiste una data, accertabile in modo inequivocabile dagli inquirenti giudiziari e parlamentari, che consenta di legare questo Ufficiale al caso Moro, ma nessuno lo ha detto e fatto. Non ha mai fatto parte di Gladio, di cui non conosceva neanche l'esistenza, ma ha frequentato il CAG di Alghero dove si svolgevano, come già detto, anche corsi a favore del personale di tutto il Servizio.

Ma qualcuno ha avuto il coraggio di dire che anche se è vero che il 16 marzo 1978 l'Ufficiale non faceva parte del Servizio, essendo stato chiamato a luglio a farne parte (pur solo inizialmente come consulente) sicuramente era già stato contattato e quindi ecc..ecc... A questo

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punto mi domando perché non sono stati messi sotto inchiesta tutti i netturbini di Brescia per la strage di Piazza della Loggia o perché non si è fatto altrettanto con tutti i ferrovieri d'Italia o con la Polfer per la strage di Bologna, quella dell'ltalicus ecc.ecc. Secondo esempio, la trasmissione della BBC su Gladio andata in onda su RAI 3 e diretta da Augias. Nessuno ha visto l'originale, in tre puntate? La mia copia personale è a disposizione.

Quanti hanno riportato ed evidenziato che la BBC 2 non ha fatto un servizio ma ha semplicemente trasmesso un servizio fatto dal giornale inglese «Observer» (che non è proprio di destra)? Chi ha riportato che al servizio dell'Observer hanno collaborato due soli italiani che si chiamano Cipriani Gianni e Cipriani Antonio? (Titoli di coda della trasmissione originale) Chi ha sottolineato che alla trasmissione fossero presenti, prescindendo dai giornalisti, due grandi accusatori, nessuno degli accusati, ed un solo, diciamo così, rappresentante dell'area difensiva? è obiettività questa?

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In uno scatto di nervi il Dr. Casson ha affermato che la sua sentenza di incompetenza, ma contemporaneamente accusatoria, ha maggior valore della richiesta di archiviazione della Procura di Roma perché lui è un Giudice. Forse i PM di Roma sono Magistrati di serie B mentre lui è in A? E se così fosse, per-

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che proprio pochi giorni prima era stata sbandierata su alcuni giornali la sua richiesta al CSM di transitare alla Procura? Masochismo? Autoflagellazione? Nessuno ha evidenziato questa, almeno apparente, incongruenza. In un'altro scatto, sempre il Dr. Casson ha dichiarato che nessuno ha mai accusato i «gladiatori» di aver commesso reati. Stupenda ammissione da parte di un Magistrato inquirente, testimonianza pubblica di una sacrosanta verità. Ma qualcuno ha chiesto al Dr. Casson quando è arrivato a questo convincimento ? Prima o dopo le perquisizioni che lui ha ordinato nelle abitazioni di circa 30 gladiatori anche al di fuori della zona territoriale di sua competenza? (o Bolzano dipendeva da

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Venezia ?). Parlo di episodi apparsi sulla stampa, non di notizie riservate, da me conosciute per la mia passata funzione. Terzo esempio, tratto sempre dalla citata trasmissione Observer -        Il Sen. Toth, membro della Commissione Stragi, dalla quale si è a suo tempo dimesso perché dissentiva dalla conclusione della relazione Gualtieri e dalle procedure dallo stesso adottate, è intervenuto rappresentando che pochi giorni prima il COPACO aveva depositato la propria relazione, assolutoria e di conferma della legalità dell'Organizzazione Gladio (per inciso ricordo quale è la situazione ad agosto '92: Casson e Gualtieri dichiarano Gladio illegittima - Avvocatura dello Stato, Procura di Roma e COPACO la ritengono legittima. La Procura Militare di Roma, già Padova, non si è ancora espressa come non si è ancora espresso il Tribunale dei Ministri. In altri termini la schedina è: 2-2-1-1-1-X-X. Altre inchieste giudiziarie in corso riguardano episodi specifici e non l'organizzazione come tale).        Viene immediatamente assalito dai due Grandi Accusatori e pressoché messo a tacere con l'argomentazione che il COPACO ha deciso sulla

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base di documenti fornitigli dal Servizio.        Ripeto che la relazione è pubblica e può essere acquistata, a modico prezzo, nelle librerie di Camera e Senato. Bene, nell'introduzione di detta relazione è scritto a chiare lettere che la Commissione ha avuto a sua disposizione oltre 30.000 documenti avuti, o sequestrati, dalla Magistratura, circa 800 verbali di interrogatori effettuati da Magistrati, solo un centinaio di documenti avuti dal Servizio ecc..ecc.. (Nel dettaglio vedasi l'Appendice «B»).Non ci voleva molto a ribattere alle bugie strumentali dei due Accusatori.        Ultimo argomento che voglio citare è l'apparizione, all'interno di queste inchieste giornalistico-parlamentari giudiziarie, della figura del «pentito», figura molto di moda in questi ultimi anni. Quattro Signori (sui circa.... che hanno fatto parte della Centrale dalle origini ad oggi) hanno rivelato che ai loro tempi si erano accorti che nella Gladio c'era qualcosa di marcio, ma hanno impiegato dai 20 ai 30 anni ad aprire bocca (eccetto uno che ne ha impiegati solo 3). Non hanno mai rappresentato i loro dubbi,

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paure, convinzioni (che peraltro non trovano conferma in nessun atto, velina, minuta o pezzo di carta che dir si voglia, né in altre testimonianze) a nessuno, Superiori, colleghi, collaboratori o dipendenti.

Solo ora e solo ai giornalisti, magistrati e parlamentari inquirenti. Ai quattro pentiti si sono aggiunti lo «sprovveduto» e «l'esperto». Il primo era stato uno dei responsabili della Gladio. Non avendo evidentemente capito dove si andava a parare, ha sempre chiacchierato a ruota libera enfatizzando, ad esempio, quelle che sono state da alcuni chiamate le deviazioni, ovvero l'uso improprio del personale della Gladio in attività informative. Quasi vantandosi di esserne stato il promotore, ma scordandosi sempre di dire che queste pensate non avevano mai avuto un seguito reale (per l'opposizione dei dipendenti, molto più saggi di lui). Il secondo, «l'esperto», ha conosciuto l'esistenza di Gladio dai giornali.

Era un esperto sulla conservazione, distribuzione, invio e ricezione ecc. della documentazione classificata e dei sistemi di sicurezza e di tutela

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dei dati classificati contenuti ed utilizzati nei computers. Sempre più o meno dai giornali ha appreso l'esistenza degli ormai noti comitati ACC e CPC. Non solo lui si riteneva un esperto ma così si è presentato a molta gente e ad un foglio settimanale tanto che è stato nominato Consulente Tecnico da alcuni magistrati.

Il fatto che avesse intentato diverse cause civili e penali contro l'Ammiraglio Martini, il sottoscritto, il suo Superiore diretto dell'epoca, il mio successore alla direzione di UCSi ed il Capo Ufficio Personale del Servizio non pare abbia suscitato in quei magistrati alcun dubbio sulla sua obiettività. E queste cause le ha intentate dopo il suo allontanamento dagli Organismi dei Servizi, da lui ritenuto ingiusto, e dopo aver perso il ricorso al TAR contro detto allontanamento. Attualmente è imputato, con altri tre Signori, tra i quali un magistrato, in un processo in Corte di Assise per reati che vanno dalla violazione del Segreto di Stato alla violazione del segreto d'ufficio e del segreto istruttorio, dal falso in atto pubblico alla falsificazione di documenti ed alla propalazione a mezzo stampa di notizie false. A conclusione di questo capitolo vorrei dire che

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tante strumentalizzazioni, tanti scoops, tante verità eclatanti, si sarebbero evitate se tante persone avessero evitato di dare per verità indiscusse o dati di fatto, avvenimenti che, per il tempo trascorso o la limitatezza della loro conoscenza (per l'incarico che rivestivano all'epoca, per la compartimentazione sempre esistita, per innumerevoli altri motivi) non potevano con tutta onestà compiutamente focalizzare. Collaborare all'accertamento della verità, vuoi sul piano storico che su quello giudiziario, è una bella cosa oltre ad essere un dovere. Ma solo quando i ricordi non sono offuscati e le conoscenze sono di prima mano e non per sentito dire. Non me ne vogliano coloro che (spero se ne siano resi conto) hanno peccato.

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CONCLUSIONE

        Ho fatto molte critiche, al sistema, ai colleghi, ai Superiori ecc. ma a differenza dei

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«pentiti» non le ho fatte postume. Agli atti ci sono appunti, relazioni e verbali di riunioni nei quali il mio pensiero è chiaramente riportato, nero su bianco, durante tutti i diciassette anni che ho passato al Servizio. Che ha molte cose che non funzionano, ma ne ha sicuramente moltissime che funzionano e anche bene. Che è un organismo in sé stesso onesto e pulito anche se, a volte, ha avuto al suo interno uomini che non lo erano.        Che è indispensabile al Paese, prescindendo da Governi e Governanti.        Questo libro, ammesso che questo insieme di note possa essere considerato tale, non ha una conclusione.        Io mi sono limitato a riportare fatti, avvenimenti, sentimenti. Con la stessa onestà ognuno tiri le sue conclusioni.

 

 

 

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POST SCRIPTUM

Ho iniziato a scrivere questo libro nel gennaio '92 ed ho terminato il manoscritto a fine agosto dello stesso anno.Da allora, Palazzo Chigi ha avuto quattro diversi inquilini ed a Via XX Settembre si sono succeduti quattro Ministri.Due Generali hanno assunto la direzione del SISMI e due esponenti dell'opposizione sono diventati presidenti della Commissione Parlamentare di Controllo dei Servizi.I «Tigellini» sono ancora inchiodati alla loro poltrona e la Magistratura non ha ancora terminato il suo lavoro.Di contro, nel 1993, la dirigenza tecnico-politica del SISMI è riuscita a dare corpo e concretezza ai miei timori (vds. pagg. 35-79-90).

Da «II Messaggero» del 31/7/93.

«... Certo - dice il Ministro Fabbri - abbiamo un problema di ringiovanimento e di cambiare una certa mentalità... Tuttavia sono il primo a rendermi conto che bisogna tagliare con il

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passato. Per questo abbiamo sciolto la 7a

Divisione del SISMI, quella di Gladio, che indipendentemente dal giudizio su Gladio, legava al passato...».

Venerdì 8 ottobre '93 il Centro Addestramento Guastatori di Alghero viene regalato alle FF.AA. con un gran battage pubblicitario, a seguito di una conferenza stampa in loco.

La 7a Divisione è stata sciolta e smantellata ed il suo personale disperso ai quattro venti con l'accusa di costituire un gruppo «troppo» unito e coeso e di avere una mentalità «troppo operativa».

(è notorio che un Servizio non va alla ricerca di informazioni, magari correndo dei rischi, ma aspetta con tranquillità che nei suoi uffici si presentino delatori, defezionisti et similia per aggiornarlo su fatti e misfatti).

L'ultimo Direttore della Divisione, che aveva dovuto e potuto fare solo il «liquidatore» della Gladio, è stato costretto, di fatto, a rientrare in Forza Armata per averne troppo assimilato lo «spirito di corpo».

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Venerdì 12 novembre '93 in Somalia, viene ucciso il M.llo Vincenzo Li Causi.

è un ex istruttore di Gladio che ha lavorato con me per circa 11 anni, apparteneva alla disciolta 7a Div., uno di quei «cattivi» messo nelle liste di proscrizione per essere restituito alle FF.AA.

Troppo «operativo» e troppo legato ad una mentalità superata e non in linea con il «nuovo» che sta nascendo e non vuole essere contaminata neanche dalla memoria storica del passato.

Nella tarda serata l'ANSA diffonde una mia dichiarazione:

«... Il sacrificio della giovane vita è la più nobile ed alta risposta a tutti coloro che per la loro squallida codardia o per il più bieco opportunismo hanno tentato pervicacemente, spesso con la complicità di una stampa irresponsabile e faziosa, di criminalizzare quel personale del SISMI inquadrato nella disciolta 7a

Div. che esprimeva per senso del dovere, professionalità e disponibilità, valori così

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profondamente sentiti da costituire una insopportabile coscienza per burocrati e carrieristi...».

Lunedì 15, nel corso di una specie di comizio durante i funerali, il Ministro della Difesa parla di alta professionalità di elevata preparazione, di spiccato senso del dovere, ecc.

Le domande che seguono sono ovvie:

se faceva parte degli scheletri nell'armadio, di quegli irriducibili ormai superati di cui ci si deve disfare per dare credibilità al rinnovamento,perché stava in Somalia e non in un archivio ad impacchettare i documenti del passato?

Se era un professionista di alto livello (e lo era) e quindi idoneo ad operare in zone calde, come molti altri suoi colleghi formatisi nei ranghidella 7a Div., perché sotto la navata dei SS. Giovanni e Paolo è stato detto che stava per lasciare il Servizio (e non certo per sua volontà)?

Come sempre il giudizio resta ai lettori.

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Domenica 14 novembre '93, a Redipuglia nasce ufficialmente, alla luce del sole, l'Associazione degli «ex gladiatori» con ampia pubblicità da parte dei mass-media, anche se buttata dalla solita stampa soprattutto in chiave folcloristica.

L'ex Presidente della Repubblica Cossiga e tre Medaglie d'Oro della Resistenza entrano a fare parte del Comitato d'Onore della Associazione.

Ad un anno esatto dalla sua costituzione, a fine novembre '94, (ri)esplode una compagna stampa che accosta la Gladio alla «Falange Armata» ed alle stragi della «Uno bianca».

A gennaio di quest'anno gli accostamenti vengono fatti con la X Mas. della R.S.I. ed a febbraio con la morte di Mattei ed il rapimento dell'On. Moro.

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A quando l'uccisione di Giulio Cesare?L'Associazione comincia a seccarsi (bravi!).Da il Tempo del 9/2/95:«I gladiatori querelano Cossutta»... In particolare il sodalizio si sofferma sulla

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figura di Leonardi (capo della scorta di Aldo Moro) strumentalmente associato alla struttura Stay Behind e di cui si è voluta adombrare per questo motivo una minore efficacia nella impossibile difesa dell'On. Moro...... Le querele nei confronti dei quotidiani scatteranno per gli indebiti accostamenti riguardanti l'esplosione dell'aereo di Enrico Mattei e Giulio Pauer (già guardia del corpo di Mattei e gladiatore...)... Una querela è stata presentata da cento gladiatori contro i dirigenti di Rifondazione Comunista di Udine e un'altra contro il deputato Armando Cossutta che li ha definiti traditori della patria».        Le Istituzioni continuano a tacere!Il manoscritto di questo libro, dal gennaio '93, è passato per le mani di ben cinque case editrici. Ognuna se lo è tenuto per tre-quattro mesi e me lo ha restituito perché «non in sintonia con la propria linea editoriale» (sic).Nello stesso periodo vengono pubblicati sei o sette volumi-volumetti che accostano Gladio a tutte le nefandezze accadute in Italia negli ultimi 40 anni, dalle stragi alla mafia, dagli omicidi

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eccellenti alla droga, alla lotta politica e a quant'altro di marcio c'è stato e c'è nel nostro paese, scritti come spesso accade da persone che dell'argomento sapevano solo quello che avevano letto o sentito attraverso i media, innescando un processo di reciproca legittimazione fondato su ipotesi che diventavano fatti e menzogne che diventavano accuse che venivano riprese e diffuse per dare loro più forza, e credibilità (se lo dicono in tanti...).        Tra i loro editori ce n'è qualcuno col quale io non ero in linea. (Alla faccia del pluralismo dell'informazione).        Peraltro, in data 8 luglio '94, il Tribunale dei Ministri, nel prosciogliere dall'autoaccusa l'ex Presidente Cossiga, ha emesso il decreto allegato in stralcio.Dalla lettura del medesimo emergono due verità:1) la Gladio era legittima e legale;2) la Gladio non ha mai avuto lo scopo di contrastare e/o impedire la legittima conquista del potere da parte delle forze politiche di opposizione.        Nessuno di noi «ex» ha mai avuto dubbi in proposito ma è confortante che queste verità siano

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state sancite dalla Magistratura con una sentenza (alla quale ovviamente non è stata data alcuna pubblicità).        Al Tribunale dei Ministri resta il dubbio che comunque possano (sottolineo «possano») esserci state deviazioni per finalità «non note».

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Sono pertanto necessari ulteriori approfondimenti.

In altre parole. Dopo quattro anni di indagini non sono concretamente emersi reati, ma chissà, potrebbero esserci stati e quindi, andate avanti ed indagare.

Non si sa quale sarebbe stato lo scopo finale degli eventuali possibili reati, ma, qualche altra ipotesi suggestiva potrebbe sempre saltar fuor, quindi andate avanti.

Il Sig. Mario Rossi è avvisato.

La magistratura potrà indagare a vita sul suo conto non perché ha fatto qualcosa ma perché

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potrebbe averla fatta, anche se nessuno sa cosa e perché avrebbe dovuto farla.

Aspettando con fiducia che anche il mio caso (ormai Kafkiano) si chiuda al più presto e definitivamente, metto, almeno a questo mio lavoro la parola fine.

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COLLEGIO PER I REATI MINISTERIALIPRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA

N. 2/92 Coli.N. 19986/92 R.G. P.M.

IL COLLEGIO così composto:

PRESIDENTE dott. Roberto SperanzaGIUDICE dott. Ettore BuccianteGIUDICE dott. Giovanna Carla De Virgiliis

ha emesso il seguente

DECRETO

In data 14.11.90 il Giudice Istruttore presso il Tribunale di Venezia trasmetteva l'appunto SIFAR dell'1.6.59 alla locale Procura della

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Repubblica, che l'inoltrava in data 30.11.90 alla Procura della Repubblica di Roma per competenza territoriale, dopo aver disposta l'iscrizione del relativo fascicolo nel registro degli atti non costituenti notizie di reato.

Ad avviso della Procura di Venezia il documento, in quanto poteva riguardare la costituzione e l'attività della struttura clandestina denominata «Gladio» sulla quale erano in corso da parte della Procura della Repubblica di Roma indagini preliminari nell'ambito del procedimento nr. 3349/90/C concernente il ritrovamento della documentazione delle B.R. nell'appartamento di via Montenevoso in Milano, consentiva di individuare la competenza territoriale del suddetto ufficio sul presupposto che l'operazione Gladio era sorta ed era stata organizzata in Roma.

In relazione al reato configurabile, riteneva potesse trattarsi dell'ipotesi criminosa di cui all'art. 305 c.p. in relazione all'art. 283 c.p.

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All'esito veniva dunque aperto procedimento penale a carico di ignoti, quali indagati del predetto reato: si acquisiva inoltre la documentazione già esistente nel suddetto p.p. nr. 3349/90 C, nonché quella sequestrata presso gli uffici del SISMI in Roma.

Si provvedeva quindi all'esame dei ex. «gladiatori», di personale dei SISMI e di altri soggetti informati dei fatti: venivano acquisiti inoltre la documentazione della «Commissione Stragi» ed atti di altre autorità giudiziarie: veniva altresì ordinato il dissequestro degli atti della NATO reperiti presso il SISMI e qualificati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri soggetti al regime di inviolabilità stabilito dall'art. 7 del trattato di Ottawa.

Nelle more, con sentenza 10.10.91, il G. I. di Venezia dichiarava la propria incompetenza e trasmetteva alla Procura di Roma gli atti concernenti Martini Fulvio e Inzerilli Paolo, imputati del reato di favoreggiamento personale in favore dei responsabili della strage di Peteano, e di cospirazione politica in quanto «capi» della struttura clandestina denominata «Gladio».

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Il processo veniva quindi riunito al precedente, previa iscrizione dei suddetti al registro degli indagati, per i reati individuati dal Giudice di Venezia.

In data 21.11.91, infine, il Presidente della Repubblica in carica, on. Francesco Cossiga, inviava alla Procura della Repubblica di Roma un documento nel quale, dopo aver dichiarato di essere stato per le cariche successivamente ricoperte, «l'unico referente politico, nonché di essere stato perfettamente informato della struttura Stay behind», richiedeva che gli fossero contestate le stesse imputazioni elevate a carico degli indagati Inzerilli e Martini. Tenuto conto del tenore di vera e propria «autodenuncia» delle dichiarazioni dell'on. Cossiga, la Procura della Repubblica trasmetteva gli atti a questo Collegio con missiva in data 18.12.91, sul presupposto che i comportamenti dell'on. Cossiga erano stati compiuti non già nella sua veste di Presidente della Repubblica, ma in quella di uomo di Governo e quindi di Ministro, non essendo quindi ravvisabili nella specie le ipotesi di reato di alto tradimento o attentato alla Costituzione.

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Nelle richieste trasmesse il 3.2.92, in relazione all'on. F. Cossiga, ad Inzerilli Paolo e Martini Fulvio, indagati del reato di cui all'art. 305 c.p., il Procuratore della Repubblica di Roma, dopo ampia disamina sulla valenza penale della struttura Gladio, formulava richiesta di archiviazione.

Ed infatti dalla documentazione prodotta, confermata dalle concordi dichiarazioni degli indagati e di altre persone informate dei fatti, risulta che mentre sino al 1975 furono informati circa la struttura Stay-Behind solo l'on. Andreotti, l'on. Cossiga (nel 1967) e l'on. Gui, dal 1975 in poi si instaurò

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invece la prassi di informare sistematicamente i Ministri della Difesa mediante un appunto (ed. «briefing») che restò uguale sino al 1984, anno nel quale si ricorse ad una elaborazione, ancora più stringata e succinta del «briefing», che venne diretto, salvo eccezioni non sempre chiare nelle ragioni, ai Presidenti del Consiglio dei Ministri, ai Ministri della Difesa ed ai capi di Stato

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Maggiore, ai quali si richiedeva una sottoscrizione per «presa visione».

Lo schema di «briefing» del 1975, e più sinteticamente quello invalso dall'84 in poi, conteneva la descrizione della struttura, ivi comprese le circostanze della sua nascita, dei suoi scopi, delle forme e criteri di reclutamento, della consistenza del personale.

Se riguardata alla luce di quanto risultante dal «briefing», la struttura Stay Behind di per sé stessa non appariva allora, né appare oggi, caratterizzata da elementi che integrano ipotesi di reato da parte dei responsabili e/o componenti della struttura medesima.

Ed invero, della struttura, per sé stessa considerata, sono perfettamente note le origini, risalenti al 1951 (cfr. promemoria dell'8.10.51 diretto dal Gen. Broccoli direttore del SIFAR al Capo di Stato Maggiore della Difesa), ove si evidenziava l'opportunità di creare una rete di resistenza clandestina post-occupazione, per il caso di conflitto con invasione del territorio nazionale da parte del nemico.

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Il 28.11.1956 intervenne poi l'accordo SIFAR-CIA, generalmente considerato come l'atto istitutivo della struttura Stay Behind, con il quale, invece, si rafforzarono precedenti accordi già esistenti tra i Servizi Italiano e Americano, risalenti almeno ai primi anni '50 (come risulta dalla «Relazione» per il Capo del Servizio datata 19.11.57 proveniente dall'Ufficio R, Sezione SAD), ed aventi già ad oggetto la nota base di addestramento sita in Sardegna (denominata C.A.G.). Con tale accordo del '56 si risolse - tra l'altro - di prescegliere la collaborazione con gli USA, piuttosto che con gli altri Paesi di ambito N.A.T.O. con i quali pure sarebbero state possibili intese in tal senso.

Vi è da notare, peraltro, che l'accordo fra i due Servizi non fu comunicato al Parlamento per la ratifica, in quanto rientrante tra gli accordi bilaterali di collaborazione e di assistenza previsti dall'art. 3 del Trattato del Nord Atlantico del 4.4.49, approvato con L. 1.8.49 nr. 465, e, non secondariamente, in quanto ritenuto inconciliabile con la particolare riservatezza della materia.

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Ciò che conta rilevare è che, così come formalmente prospettato nei «briefings», la struttura Stay-Behind non aveva né lo scopo di reprimere sovvertimenti interni, (compito istituzionalmente appartenente ad elementi organizzativi dello Stato, quali forze di polizia dipendenti dal Ministro dell'Interno), né di contrastare e/o impedire la legittima conquista del potere, da parte delle forze politiche di opposizione.

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In analogia a quanto era accaduto nel dopoguerra in gran parte degli Stati alleati, l'organizzazione Gladio era volta, almeno formalmente, a svolgere in maniera necessariamente clandestina, compiti di informazione, infiltrazione - esfiltrazione, propaganda, guerriglia e sabotaggio da espletarsi tutti nelle zone di territorio nazionale occupate dalle forze nemiche e soltanto ad occupazione avvenuta.

Tanto è stato pienamente confermato sia dagli indagati sia dalle numerose persone informate dei fatti sentite da questo Collegio.

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Ne consegue che la struttura sin dalle sue origini, si inquadrava almeno in via ufficiale nell'ambito della attività interna dello Stato con compiti particolari nel settore della difesa nazionale.

Nondimeno, non pochi elementi, soprattutto documentali, inducono a ritenere che la struttura (o parte di essa) possa essere stata impiegata in modo «deviato» e cioè per finalità diverse da quelle istituzionali (anche se non note).

Tutti gli elementi, invero concordanti, che si sono andati elencando, pur non possedendo singolarmente considerati una valenza probatoria esaustiva, richiedono evidentemente ulteriori approfondimenti, i quali non potranno che svolgersi nella opportuna sede, tenuto conto del fatto che - come ha rilevato anche la Procura della Repubblica nelle sue richieste - non vi è alcuna prova che il sen. Cossiga, mentre ricopriva funzioni di governo, fosse informato degli eventuali fatti di deviazione della struttura, o che vi abbia in qualche modo cooperato.

Né del resto, della «autodenuncia», che appare una generica manifestazione di solidarietà, e un gesto di provocazione politica, piuttosto che un

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atto di impulso processuale, è dato rinvenire alcun riferimento a fatti o circostanze precise - quali quelle sopra riportate - che potrebbero evidenziare una qualche forma di concorso da parte del Sen. Cossiga.

E quindi possibile affermare che nessun ruolo è stato svolto dal sen. Cossiga con riferimento alla struttura Gladio, con caratteristiche penalmente rilevanti.

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ELENCO ALLEGATI

Allegato n. 1 -- Interessamento dei mass-media

Allegato n. 2 -- Curva dell'interesse (della stampa) 2/A-2/B

Allegato n. 3 -- Giudizi della stampa 3/A-3/B-3/C

Allegato n. 4 -- Variazioni di tendenza dei giudizi nel periodo VI/'9O-VI/'92 di 25 testate

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AVVENIMENTI SALIENTI

1.  LUG. '90  - Casson inizia visione archivi

2.  AGO. '90 - PCM accetta di riferire in Parlamento ed alla commissione stragi

3.  OTT.  '90  - PCM invia a commissione stragi relazione su Gladio

4.  NOV. '90  - PCM fa relazione al Senato                       - Gladio viene sciolta

5.  DIC.  '90   - Inzerilli viene indiziato di favoreggiamento

6.  GEN. '91  - Messaggio fine anno di Cossiga                      - Piano Solo ed omissis                      - Dimissioni Segni da CO.PA.CO.                      - Pubblicazione liste Gladiatori                      - Andreotti accusa Martini

7.  MAR. '91 - Parere Avvocatura dello Stato Audizione Cossiga Casson inquisito

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8.  SET.  '91  - Inzerilli silurato                        accusato di cospirazione politica

9.   OTT.'91  -  Martini accusato di cospirazione politica                     -  Inzerilli accusato di banda armata (K-AA)                     -  Trasferimento del procedimento penale da Venezia a Roma.

 

10. NOV. '91  - Autodenuncia Cossiga

11. GEN. '92   - Relazione Gualtieri

12. FEB.  '92   - Relazione CO.PA.CO.                        - Archiviazione procura RM

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ELENCO APPENDICI

Appendice A - Commenti alla relazione Gualtieri A1-A27

Appendice B - Raffronto tra la relazione Gualtieri e la relazione del COPACO B1-B23

Appendice C - Influenza della Gladio sulla vita politica italiana C1-C2

Le sopracitate appendici «A» e «B» sono uno stralcio dei commenti fatti a suo tempo su richiesta delle SS.AA.

Gli originali dovevano servire a mettere in grado i «difensori» di controbattere illazioni,

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strumentalizzazioni e false accuse, ma non sono mai stati utilizzati.

Li ripropongo ai lettori quanto meno per togliermi la soddisfazione di non aver lavorato a vuoto.

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