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Testimonianze teoriche e critiche

I.5.Testimonianze Teoriche e Critiche

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Testimonianze teoriche e critiche

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• Plinio, Naturalis Historia, XXXV, 67-69: • “Parrasio, nato a Efeso, dette anche lui un grande contributo alla

pittura. Per primo le dette la simmetria, per primo curò i particolari del viso, l’eleganza dei capelli, la bellezza della bocca, e per riconoscimento degli altri artisti conquistò il primato nelle linee di contorno del corpo: e questo costituisce in pittura, la massima raffinatezza. È infatti opera di grande perizia dipingere i corpi e le parti interne degli oggetti, ma in questo ambito molti hanno riportato la gloria; invece rappresentare i contorni dei corpi e racchiudere entro un limite la modalità di scorcio dell’immagine, là dove essa si va perdendo, questo è un risultato che si ottiene raramente nell’arte. Infatti la linea di contorno deve come girare su se stessa e finire in modo da lasciare immaginare altri piani dietro di sé e da mostrare anche quelle parti che nasconde. Questa gloria hanno concesso a Parrasio Antigono e Senocrate che scrissero intorno alla pittura non solo constatando il fatto ma anche proclamandolo come norma. E restano di lui molti disegni e abbozzi a matita su tavole e pergamene da cui si dice che traggano profitto gli artisti”.

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Ercole e Gerione, anfora attica a figure nere, circa 540 a.C., Monaco di Baviera, Collezioni nazionali di oggetti antichi

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Salterio di Utrecht, IX secolo

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• Il Salterio di Utrecht è un famoso codice miniato conservato presso l'Universiteitsbibliotheek di Utrecht (Paesi Bassi).

• Risale al IX secolo e, con i Vangeli di Ebbone, è una delle opere più

importanti della miniatura carolingia in un momento di grande rinnovamento.

• Prodotto a Reims tra l'816 e l'835 fu commissionato dall'abate ed

arcivescovo Ebbone, poco prima che venisse deposto. • Contiene una serie di illustrazioni a inchiostro, almeno una per ogni

salmo. Queste rappresentazioni sono particolarmente interessanti perché non trovano riscontri nella miniatura precedente, caratterizzata dalla statica astrazione di influenza bizantina. Vi si legge un'innovativa vitalità espressiva, con un segno grafico dinamico e virtuoso ed uno stile narrativo efficace e sintetico.

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• Il ricettario chiamato Eraclio è secondo alcuni studiosi il più antico compendio pervenutoci pressoché integrale in materia di tecniche artistiche e artigianali del Medioevo. Il titolo completo è De coloribus et artibus romanorum.

• Nel proemio si fa riferimento alle tecniche perdute dell'antica Roma, la cui

memoria doveva essere ancora viva in tutta Europa, e l'autore si propone di rivelarle proprio nel suo libro, che però dovrà essere custodito gelosamente da chi ne fosse venuto in possesso.

• Fu scritto forse da un monaco (usa le espressioni frater e pia corda), ma

non vi sono riferimenti a Dio: per questo alcuni studiosi hanno ipotizzato che l'autore fosse un artefice laico, magari attivo presso una sede vescovile o un monastero, dove probabilmente aveva a disposizione una ricca biblioteca.

• È composto di tre parti, due delle quali in esametri latini più antiche (risalenti forse all'VIII secolo, ma secondo altri studiosi al X) e una in prosa forse del XII o XIII secolo. I manoscritti più antichi sono databili tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo, mentre un frammento di questo testo con sedici ricette è stato trovano in Germania e risale all'XI secolo. Come collocazione geografica dell'autore è stato proposto il Veneto per i primi due libri e la Francia del nord o l'Inghilterra per il terzo libro. Il fatto che esista un proemio ma non epilogo ha fatto pensare che l'opera ci sia giunta incompleta. Il testo fu manipolato almeno a partire dall'XI secolo, come testimoniato dalle differenze tra i vari manoscritti pervenutici, mentre il terzo libro fu aggiunto solo in seguito.

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• Teofilo fu forse un monaco tedesco, vissuto probabilmente nel XII secolo nell'area renana. È’ autore del trattato De diversis artibus o Diversarum artium Schedula, un ricettario che rappresenta una sorta di enciclopedia del sapere tecnico del medioevo nel campo dell'arte e dell'artigianato, presentato per la prima volta in termini di chiarezza e divulgazione.

• Di lui si ignorano le vicende biografiche anche se alcuni commentatori

pensano possa trattarsi di Roger di Helmarshausen, artigiano orafo benedettino di qualche rilevanza.

• Nei vari manoscritti dell'opera che ci sono pervenuti è definito Theophilus

presbiter. Fu poco conosciuto dopo il Rinascimento; solo a partire dal 1774, anno della prima edizione a stampa da parte del Lessing, si riaccese l'interesse per il trattato da lui composto: il liber de diversis artibus ("libro sulle varie arti"). Successive ristampe, culminate nell'edizione critica dell'Ilg (1874), mantennero costante l'interesse su questa raccolta, fondamentale per la storia delle tecniche artistiche del Medioevo.

• Nonostante l'apparizione, già nel 1781, delle prime traduzioni in lingue moderne, l’opera è stata tradotta e pubblicata integralmente in italiano solo nel 2000.

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• www.ilpalio.siena.it/Personaggi/CenninoCennini/default.aspx

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• Originario della Toscana, fu influenzato da Giotto e allievo per una dozzina d’anni di Agnolo Gaddi, come egli stesso precisa nel suo Libro dell’arte. Incerta appare la sopravvivenza delle sue opere pittoriche.

• Le poche notizie sulla sua vita si trovano nel suo libro oppure ci sono

fornite dalla biografia che Giorgio Vasari scrisse di Agnolo Gaddi (pubblicata nelle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri). Nel 1398, Cennino è sicuramente a Padova. La composizione del suo libro risale proprio al periodo veneto come si può supporre dai particolari vocaboli utilizzati. Leggendaria sarebbe invece la sua prigionia in vecchiaia nel carcere delle Stinche.

• Scritto in volgare all’inizio del XV secolo, il libro è il primo trattato

organicamente monografico sulla produzione artistica, contenente informazioni su pigmenti e pennelli, sulle tecniche della pittura, dell’affresco e della miniatura e fornisce inoltre consigli e “trucchi” del mestiere.

• Spesso l’opera è stata interpretata dagli studiosi come testimonianza del momento di passaggio fra l'arte medievale e quella rinascimentale. Nel suo libro l’autore si vanta di essere il migliore “maestro” della terza generazione giottesca, attraverso la linea che attraverso Agnolo Gaddi e suo padre Taddeo Gaddi arriva fino a Giotto.

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Prefazione

I Capitolo I

II Come alcuni vengono all'arte, chi per animo gentile, e chi per guadagno.

III Come principalmente si de' provedere chi viene alla detta arte.

IV Come ti dimostra la regola in quante parti e membri s'appartengon l'arti.

V A che modo cominci a disegnare in tavoletta, e l'ordine suo.

VI Come in più maniere di tavole si disegna.

VII Che ragione d'osso è buono per inossare le tavole.

VIII In che modo dèi incominciare a disegnare con istile, e con che luce.

IX Come tu de' dare (secondo) la ragione della luce, chiaroscuro alle tue figure, dotandole di ragione di rilievo.

X El modo e l'ordine del disegnare in carta pecorina e in bambagina, e aombrare di acquerelle.

XI Come si può disegnare con istil di piombo.

XII Come, se avessi trascorso col disegnare con lo stile del piombo, in che modo lo puoi levar via.

XIII Come si de' praticare il disegno con penna.

XIV El modo di saper temperar la penna per disegnare.

XV Come dèi pervenire al disegno in carta tinta.

XVI Come si fa la tinta verde in carta da disegnare; e 'l modo di temperarla.

XVII Come tu dèi tingere la carta di cavretto, e in che modo la debbi brunire.

XVIII Come dèi tignere la carta morella, o ver pagonazza.

XIX Come dèi tignere le carte di tinta indica.

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XX Come tu de' tignere le carte di colore rossigno, o squasi color di pesco.

XXI Come de' tignere le carte di color d'incarnazione.

XXII Come tu de' tignere le carte di tinta berrettina, o vero bigia.

XXIII In che modo puoi ritrarre la sustanza di una buona figura o disegno con carta lucida.

XXIV Primo modo di sapere fare una carta lucida chiara.

XXV Secondo modo a far carta lucida di colla.

XXVI Come puoi fare carta lucida di carta bambagina.

XXVII Come ti de' ingegnare di ritrarre e disegnare di mano maestri più che puoi.

XXVIII Come, sopra i maestri, tu dèi ritrarre sempre del naturale con continuo uso.

XXIX Come dèi temperare tuo' vita per tua onestà e per condizione della mano; e con che compagnia e che modo dèi prima pigliare a ritrarre una figura da alto.

XXX In che modo prima dèi incominciare a disegnare in carta con carbone, e tor la misura della figura, e fermare con stil di argento.

XXXI Come tu dèi disegnare e aombrare in carta tinta di acquerelle, e poi biancheggiare con biacca.

XXXII Come tu puoi biancheggiare di acquarelle di biacca, sì come aombri di acquarelle d'inchiostro.

XXXIII In che modo si fanno i carboni da disegnare, buoni e perfetti e sottili.

XXXIV D'una prieta la quale è di natura di carbone da disegnare.

XXXV Riducendoti al triare de' colori.

XXXVI Come ti dimostra i colori naturali; e come dèi macinare il negro.

XXXVII Il modo di sapere far di più maniere nero.

XXXVIII Della natura del color rosso, che vien chiamato sinopia.

XXXIX Il modo del fare rosso ch'è chiamato cinabrese, da incarnare in muro; e di suo' natura.

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Leon Battista Alberti, Autoritratto, 1436 c., Washington, National Gallery

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• Il De pictura è un trattato sulla pittura scritto da Leon Battista Alberti, in latino, nel 1435. L’anno seguente Alberti stesso tradusse in volgare l’opera dedicandola a Filippo Brunelleschi.

• Fu la prima opera di una trilogia di trattati sulle arti “maggiori” che

ebbero una larga diffusione nell'ambito umanistico, arrivando ad essere tre testi fondamentali del Rinascimento. Gli altri due sono il De re aedificatoria (sull'architettura, 1454) e il De statua (sulla scultura, di datazione incerta, forse del 1462).

• L’opera ebbe una scarsa fortuna nel campo della diretta pratica

pittorica rinascimentale a dispetto delle sue valenze didattiche. La versione volgare rimase piuttosto dimenticata fino alla pubblicazione avvenuta solo nel 1847. La versione latina ebbe maggior diffusione e fu pubblicata a stampa, per la prima volta nel 1540 a Basilea. Con questo trattato, tuttavia, Alberti influenzò sul piano teorico, non solo il Rinascimento italiano (Leonardo, Piero della Francesca) ma tutto quanto si sarebbe detto sulla pittura sino ai nostri giorni.

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Leon Battista Alberti, Rimini, Tempio Malatestiano, 1447- 1468 (a lato medaglia di Matteo de’ Pasti)

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Leon Battista Alberti, Firenze, Palazzo Rucellai, 1446-1451

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Leon Battista Alberti, Firenze, Santa Maria Novella, 1456 c.-1470

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• Il trattato è organizzato in tre “libri”. • Il primo libro tratta della riduzione bidimensionale della realtà

tridimensionale e contiene una delle prime trattazioni dirette al pubblico della prospettiva lineare geometrica, messa a punto verso il 1416 da Filippo Brunelleschi, che venne ampiamente accreditato della scoperta, arrivando a dedicargli l’intera opera nella traduzione del 1436.

• Nel secondo libro tratta di “circonscrizione, composizione, e ricevere

di lumi”: 1) la Circumscriptio consiste nel tracciare le linee di contorno dei

corpi; 2) la Compositio, elemento centrale nella trattazione albertiana,

consiste nella disposizione delle figure nello spazio; 3) la Receptio luminum, prende in considerazione i colori e la luce. • Il terzo libro del trattato contiene considerazioni generali sulla

professione dell’artista, inteso come un vero e proprio intellettuale.

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Riduzione delle linee e dei piani nella prospettiva

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• Con il termine prospettiva, che deriva dal latino perspicere (ossia vedere distintamente) siamo soliti indicare la proiezione su un piano, che per sua natura e bidimensionale (costituito cioè da altezza e larghezza), di oggetti o insiemi di oggetti che al contrario hanno tre dimensioni (altezza, larghezza e profondità). La prospettiva tuttavia ha dei limiti. Quali sono questi limiti? Innanzitutto si serve di un solo centro di proiezione, ossia l’occhio aperto (un solo occhio, non due; quindi ci offre una visione monoculare della realtà); inoltre non tiene conto dell’estrema mobilità dei nostri occhi che, essendo due e per di più, potendo ruotare, ci offrono una visione stereoscopia tridimensionale della realtà). Di conseguenza in una prospettiva:

• tutte le linee perpendicolari al quadro prospettico convergono in un unico punto, detto punto di fuga;

• tutte le linee orizzontali parallele al quadro prospettico e fra loro equidistanti restano parallele ma la loro distanza diminuisce con l’aumentare della loro distanza dal quadro prospettico;

• tutte le linee verticali parallele al quadro prospettico restano parallele e mantengono invariate le loro distanze reciproche se giacciono su un piano parallelo al quadro prospettico. Al contrario, se giacciono su un piano perpendicolare o obliquo al quadro prospettico, diminuiscono progressivamente la loro distanza reciproca, via via che si avvicinano al punto di fuga.

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Ricostruzione grafica della tavoletta prospetticadel Brunelleschi con il battistero di SanGiovanni

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• Le regole geometriche della rappresentazione prospettica furono scoperte dall’architetto Filippo Brunelleschi agli inizi del secondo decennio del Quattrocento.

• L’artista dette dimostrazione della sua “scoperta” realizzando due tavolette

prospettiche oggi purtroppo perdute. Una di queste rappresentava il Battistero di Firenze visto dalla porta centrale della cattedrale di Santa Maria del Fiore; la seconda forniva una visione di palazzo Vecchio e della vicina loggia dei Lanzi da un punto dove l’attuale via dei Calzaiuoli si immette nella piazza della Signoria.

• Grazie a Brunelleschi, gli artisti potevano finalmente disporre di un modo

scientificamente corretto per realizzare le loro opere. Ciò fu particolarmente importante in un momento in cui si riteneva che il compito principale dell’arte fosse non solo imitare la natura, ossia realizzare opere simili al vero, ma anche conoscere la natura dal punto di vista scientifico.

• Il metodo di Brunelleschi, piuttosto lungo e difficoltà da applicare, fu in

seguito semplificato dall’architetto Leon Battista Alberti, autore nel 1435 di un trattato sulla pittura (De pictura) scritto in latino e tradotto in volgare l’anno successivo con dedica allo stesso Brunelleschi.

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Alberti rese più flessibile il metodo di Brunelleschi, pensando la rappresentazione pittorica come una sezione della piramide ottica e il punto di osservazione

collegato al punto di fuga collocato sulla linea dell'orizzonte. Verso il punto di fuga convergono tutte le linee perpendicolari al piano del dipinto.

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• Il De prospectiva pingendi è un trattato sulla prospettiva scritto in volgare da Piero della Francesca. La datazione dell'opera è incerta e in ogni caso legata alla tarda maturità dell'autore, tra gli anni Sessanta e Ottanta del Quattrocento. Il manoscritto originale, ricco di illustrazioni, si conserva nella Biblioteca Ambrosiana di Milano.

• Come già per Leon Battista Alberti (1435), anche per Piero della

Francesca la pittura è costituita da tre parti: il "disegno", cioè la delineazione delle singole figure; la "commensuratio", ossia la loro disposizione nello spazio, e il "colorare", cioè il modo di colorarle.

• L'opera, uno dei trattati fondamentali sulle arti figurative del

Rinascimento, ha un tono molto più pratico e specifico rispetto al trattato dell'Alberti (di carattere più teorico e generale), e si rifà anche ad argomenti di geometria solida, affrontati in un precedente scritto di Piero della Francesca, il De quinque corporibus regularibus.

• La trattazione, priva riflessioni di carattere filosofico e teologico, è tutta

incentrata sugli aspetti matematici e geometrici, con specifiche applicazioni pratiche. Per questo Piero della Francesca è considerato a buon diritto uno dei padri del disegno tecnico.

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Piero della Francesca, Proiezione di una testa umana

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Piero della Francesca, Flagellazione,1445-1445 (o in alternativa 1460), Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

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BC: AB=AB: AC

Dato un segmento AC, si ottiene una sezione aurea quando il tratto più corto BC sta al tratto più lungo AB come il tratto più lungo AB sta al segmento intero

che corrisponde ad un rapporto uguale a: 0,618034/0,381966= 1,618034...

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Leonardo da Vinci, Autoritratto, 1513 c., Torino, Biblioteca Reale

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• Leonardo, Trattato della pittura

• È una raccolta di pensieri e appunti tratti dai manoscritti di Leonardo

da Vinci, redatta circa il 1550 da un anonimo, probabilmente lombardo, a torto identificato con Francesco Melzi.

• È noto il proposito di Leonardo di comporre una grande opera sulla

pittura: è però dubbio se essa sia mai stata interamente compiuta. Nella migliore redazione pervenutaci - quella del Codice Urbinato 1570 della Biblioteca Vaticana - il Trattato comprende 944 paragrati o capitoletti: l'ordinamento alquanto meccanico della materia si deve al compilatore. La prima edizione a stampa, curata da Raphael Du Fresne, apparve a Parigi nel 1651. Seguirono molte altre edizioni; tra le moderne, notevoli quelle di H. Ludwig (Vienna, 1882) e di Angelo Borzelli (Lanciano, 1914).

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• Per Leonardo, “due sono le parti principali nelle quali si divide la pittura, cioè lineamenti, che circondano le figure di corpi finti, i quali lineamenti si dimandano disegni. La seconda è detta ombra [colore]. Ma questo disegno è di tanta eccellenza che non solo ricerca le opere di natura, ma infinite più di quelle che fa natura”.

• Attraverso il disegno l’artista penetra i segreti del mondo della natura, mentre attraverso la sua capacità creativa è in grado di gareggiare con la natura stessa e di superarla.

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Leonardo, Madonna con il Bambino e Sant’Anna, 1510 o dopo, Parigi,

Louvre

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• La prospettiva aerea, come ogni forma di prospettiva, è un tentativo di rappresentare sulla superficie piana di un'opera la terza dimensione, data da una illusoria profondità di campo.

• La prospettiva aerea, i cui studi furono iniziati soprattutto da Leonardo da Vinci, si fonda sulla scoperta che l'aria non è un mezzo del tutto trasparente, ma con l'aumentare della distanza dal punto di osservazione i contorni divengono più sfumati, i colori sempre meno nitidi e la loro gamma tendente verso l'azzurro. Leonardo di conseguenza nella sua pittura rende gli oggetti con colori sempre più sfumati in funzione della loro distanza, rendendo più nitidi quelli in primo piano. Leonardo infatti tende a distinguere ulteriormente una "prospettiva aerea" propriamente detta, in cui si applica lo sfumato a seconda della distanza degli oggetti raffigurati, da una "prospettiva del colore" che invece teorizza il cambiamento del colore delle cose in ragione della loro lontananza.

• Secondo gli studi di ottica di Leonardo, inoltre, l'aria è più densa («una aria grossa più che le altre») quanto più è vicina al suolo, mentre diventa più trasparente con l'altezza. Quindi soprattutto gli elementi di paesaggio che si sviluppano in altezza, come le montagne, appaiono più nitidi nelle parti più alte. «Adunque tu, pittore, quando fai le montagne, fa' che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze, e quanto vòi fare più lontana l'una dall'altra, fa' le bassezze più chiare; e quanto più si leverà in alto, più mostrerà la verità della forma e del colore» (manoscritto A, risalente al 1492 circa, foglio 98 recto).

• Tra le opere portate spesso come esempi di applicazione della prospettiva aerea ci sono due quadri della maturità dello stesso Leonardo: la Gioconda e la Vergine con Sant'Anna e il Bambino.

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• Cennini Disegno: “fondamento e principio dell’arte”; per disegnare è necessario avere

”fantasia e operazione di mano, di trovare cose non vedute, cacciandosi sotto ombra di naturale, e fermarle con la mano, dando a dimostrare quel che non è sia”.

• Alberti “Solo studia il pittore fingiere ciò che vede”. Il disegno è, in accezione matematica,

“circumscriptione”. Il disegno serve a definire, senza renderlo otticamente percepibile, l’“attorniare dell’orlo nella pictura”. Per Alberti le tre parti costitutive della pittura sono la “circumsciptione”, ossia il disegno, la composizione, ossia l’impaginazione spaziale, e il “ricevere de’ lumi”.

• Piero della Francesca “Dessegno intendiamo essere profilo et contorni che nella cosa se contene”. Per Piero

la pittura è costituita dal disegno, dalla “commensuratio”, ossia disposizione proporzionata dei vari elementi nello spazio, e dal “colorare”.

• Leonardo Disegno è espressione, attraverso i “lineamenti” di tutto ciò che può “cadere in

pensiero all’uomo”. Inoltre il disegno “è di tanta eccellenza che non solo ricerca le opere di natura, ma infinite più di quelle che fa natura”. Per Leonardo la pittura è una scienza sull’esperienza e che in quanto tale include tutti gli aspetti della realtà sensibile, la prospettiva è filiazione della pittura e il disegno componente strutturale della prospettiva. Leonardo distingue inoltre tra una prospettiva lineare, consistente nella rappresentazione dei “lineamenti dei corpi in varie distanze”, e una prospettiva aerea, consistente invece nella rappresentazione dello scolorire dei corpi e del perdersi dei loro lineamenti con l’aumentare della distanza dall’osservatore.

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• Le idee di Leonardo destinate a lasciare più larga traccia nella cultura artistica toscana saranno quelle relative all’importanza del disegno come strumento conoscitivo e al tempo stesso come discorso mentale, espressione – attraverso i “lineamenti” – di tutto ciò che può “cadere in pensiero all’uomo”.

• Nelle elaborazioni teoriche successive, da Benedetto Varchi a

Giorgio Vasari e Raffaello Borghini, il disegno non solo manterrà una posizione di preminenza all’interno del processo creativo dell’opera d’arte, ma diventerà anche il principio unificatore delle “arti maggiori”, pittura, scultura e architettura.

• Viceversa, in ambito veneto, gli scrittori d’arte e gli artisti daranno

maggiore importanza agli aspetti cromatico-luminosi della pittura, a scapito della componente disegnativa.Per questa ragione i pittori veneziani non attribuiranno al disegno la stessa importanza degli artisti toscani e non lo praticheranno in maniera altrettanto sistematica.

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biblio.signum.sns.it/vasari/consultazione/Vasari/indice.html

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• Vasari “Disegno altro non [è] che una apparente

espressione e dichiarazione del concetto che si ha nell'animo, e di quello che altri si è nella mente imaginato e fabricato nell'idea”.

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• PROEMIO DI TUTTA L'OPERA • Dico adunque che la scultura e la pittura per il vero sono sorelle, nate di

un padre, che è il disegno, in uno sol parto et ad un tempo, e non precedono l'una alla altra se non quanto la virtù e la forza di coloro che le portano addosso fa passare l'uno artefice innanzi a l'altro, e non per differenzia o grado di nobiltà che veramente si trovi infra di loro. E se bene per la diversità della essenzia loro hanno molte agevolezze, non sono elleno però né tante né di maniera che elle non venghino giustamente contrapesate insieme, e non si conosca la passione o la caparbietà, più tosto che il giudizio, di chi vuole che l'una avanzi l'altra. Laonde a ragione si può dire che un'anima medesima regga due corpi, et io per questo conchiudo che male fanno coloro che s'ingegnano di disunirle e di separarle l'una da l'altra. De la qual cosa volendoci forse sgannare il cielo e mostrarci la fratellanza e la unione di queste due nobilissime arti, ha in diversi tempi fattoci nascere molti scultori che hanno dipinto e molti pittori che hanno fatto delle sculture, come si vedrà nella Vita d'Antonio del Pollaiuolo, di Lionardo da Vinci e di molti altri digià passati.

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• Ma nella nostra età ci ha prodotto la Bontà divina Michelagnolo Buonarroti, nel quale amendue queste arti sì perfette rilucono e sì simili et unite insieme appariscono, che i pittori delle sue pitture stupiscono e gli scultori le sculture fatte da lui ammirano e reveriscono sommamente. A costui, perché egli non avesse forse a cercare da altro maestro dove agiatamente collocare le figure fatte da lui, ha la natura donato sì fattamente la scienza dell'architettura, che, senza avere bisogno d'altrui, può e vale da sé solo et a queste et [a] quelle imagini da lui formate dare onorato luogo et ad esse conveniente; di maniera che egli meritamente debbe esser detto scultore unico, pittore sommo et eccellentissimo architettore, anzi della architettura vero maestro.

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• DELLA PITTURA Capitolo XV [I] Che cosa sia disegno, e come si fanno e si conoscono le buone

pittura et a che; e dell'invenzione delle storie.

• Perché il disegno, padre delle tre arti nostre architettura, scultura e pittura, procedendo dall'intelletto cava di molte cose un giudizio universale simile a una forma overo idea di tutte le cose della natura, la quale è singolarissima nelle sue misure, di qui è che non solo nei corpi umani e degl'animali, ma nelle piante ancora e nelle fabriche e sculture e pitture, cognosce la proporzione che ha il tutto con le parti e che hanno le parti fra loro e col tutto insieme; e perché da questa cognizione nasce un certo concetto e giudizio, che si forma nella mente quella tal cosa che poi espressa con le mani si chiama disegno, si può conchiudere che esso disegno altro non sia che una apparente espressione e dichiarazione del concetto che si ha nell'animo, e di quello che altri si è nella mente imaginato e fabricato nell'idea. E da questo per avventura nacque il proverbio de' Greci Dell'ugna un leone, quando quel valente uomo, vedendo sculpita in un masso l'ugna sola d'un leone, comprese con l'intelletto da quella misura e forma le parti di tutto l'animale e dopo il tutto insieme, come se l'avesse avuto presente e dinanzi agl'occhi.

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• Credono alcuni che il padre del disegno e dell'arti fusse il caso, e che l'uso e la sperienza, come balia e pedagogo, lo nutrissero con l'aiuto della cognizione e del discorso; ma io credo che con più verità si possa dire il caso aver più tosto dato occasione che potersi chiamar padre del disegno.

• Ma sia come si voglia, questo disegno ha bisogno, quando cava

l'invenzione d'una qualche cosa dal giudizio, che la mano sia mediante lo studio et essercizio di molti anni spedita et atta a disegnare et esprimere bene qualunche cosa ha la natura creato, con penna, con stile, con carbone, con matita o con altra cosa; perché, quando l'intelletto manda fuori i concetti purgati e con giudizio, fanno quelle mani che hanno molti anni essercitato il disegno conoscere la perfezzione e eccellenza dell'arti et il sapere dell'artefice insieme.

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• Hanno gli uomini di quelle arti chiamato overo distinto il disegno in varii modi e secondo le qualità de' disegni che si fanno. Quelli che sono tocchi leggermente et apena accennati con la penna o altro, si chiamano schizzi, come si dirà in altro luogo; quegli poi che hanno le prime linee intorno intorno, sono chiamati profili, dintorni o lineamenti. E tutti questi, o profili o altrimenti che vogliam chiamarli, servono così all'architettura e scultura come alla pittura; ma all'architettura massimamente, perciò che i disegni di quella non sono composti se non di linee, il che non è altro, quanto a l'architettore, ch'il principio e la fine di quell'arte, perché il restante, mediante i modelli di legname tratti dalle dette linee, non è altro che opera di scarpellini e muratori. Ma nella scultura serve il disegno di tutti i contorni, perché a veduta per veduta se ne serve lo scultore quando vuol disegnare quella parte che gli torna meglio o che egli intende di fare per ogni verso o nella cera o nella terra o nel marmo o nel legno o altra materia. Nella pittura servono i lineamenti in più modi, ma particolarmente a dintornare ogni figura, perché quando eglino sono ben disegnati e fatti giusti et a proporzione, l'ombre che poi vi si aggiungono et i lumi sono cagione che i lineamenti della figura che si fa ha grandissimo rilievo e riesce di tutta bontà e perfezzione.

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• E di qui nasce che chiunque intende e maneggia bene queste linee, sarà in ciascuna di queste arti, mediante la pratica et il giudizio, eccellentissimo. Chi dunque vuole bene imparare a esprimere disegnando i concetti dell'animo e qualsivoglia cosa, fa di bisogno, poi che averà alquanto as[s]uefatta la mano, che per divenir più intelligente nell'arti si eserciti in ritrare figure di rilievo, o di marmo o di sasso overo di quelle di gesso formate sul vivo overo sopra qualche bella statua antica, o sì veramente rilievi di modelli fatti di terra, o nudi o con cenci interrati addosso che servono per panni e vestimenti; perciò che tutte queste cose, essendo immobili e senza sentimento, fanno grande agevolezza, stando ferme, a colui che disegna; il che non avviene nelle cose vive, che si muovono. Quando poi averà in disegnando simili cose fatto buona pratica et assicurata la mano, cominci a ritrarre cose naturali, et in esse faccia con ogni possibile opera e diligenza una buona e sicura pratica; perciò che le cose che vengono dal naturale sono veramente quelle che fanno onore a chi si è in quelle affaticato, avendo in sé, oltre a una certa grazia e vivezza, di quel semplice, facile e dolce che è proprio della natura e che dalle cose sue s'impara perfettamente e non dalle cose dell'arte abastanza giamai. E tengasi per fermo che la pratica che si fa con lo studio di molti anni in disegnando, come si è detto di sopra, è il vero lume del disegno e quello che fa gli uomini eccellentissimi.

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Capitolo XVI [II] Degli schizzi, disegni, cartoni et ordine di prospettive; e per quel che si fanno

et a quello che i pittori se ne servono.

• Gli schizzi, de' quali si è favellato di sopra, chiamiamo noi una prima sorte di disegni che si fanno per trovare il modo delle attitudini et il primo componimento dell'opra; e sono fatti in forma di una ma[c]chia e accennati solamente da noi in una sola bozza del tutto. E perché dal furor dello artefice sono in poco tempo con penna o con altro disegnatoio o carbone espressi solo per tentare l'animo di quel che gli sovviene, perciò si chiamano schizzi. Da questi dunque vengono poi rilevati in buona forma i disegni, nel far de' quali, con tutta quella diligenza che si può, si cerca vedere dal vivo, se già l'artefice non si sentisse gagliardo in modo che da sé li potesse condurre. Appresso, misuratili con le seste o a oc[c]hio, si ringrandiscono da le misure piccole nelle maggiori, secondo l'opera che si ha da fare. Questi si fanno con varie cose, cioè o con lapis rosso, che è una pietra la qual viene da' monti di Alamagna, che per esser tenera agevolmente si sega e riduce in punte sottili da segnare con esse in sui fogli come tu vuoi, o con la pietra nera, che viene de' monti di Francia, la qual è similmente come la rossa; altri, di chiaro e scuro, si conducono su fogli tinti, che fanno un mez[z]o, e la penna fa il lineamento cioè il dintorno o profilo, e l'inchiostro poi con un poco d'acqua fa una tinta dolce che lo vela et ombra; dipoi, con un pennello sottile intinto nella biacca stemperata con la gomma si lumeggia il disegno; e questo modo è molto alla pittoresca e mostra più l'ordine del colorito. Molti altri fanno con la penna sola, lasciando i lumi della carta, che è difficile, ma molto maestrevole; et infiniti altri modi ancora si costumano nel disegnare, de' quali non accade fare menzione perché tutti rappresentano una cosa medesima, cioè il disegnare.

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• Fatti così i dissegni, chi vuole lavorar in fresco, cioè in muro, è necessario che faccia i cartoni, ancora ch'e' si costumi per molti di fargli per lavorar anco in tavola. Questi cartoni si fanno così: impastansi i fogli con colla di farina e a[c]qua cotta al fuoco - fogli, dico, che siano squadrati -, e si tirano al muro con l'incollarli a torno duo dita verso il muro con la medesima pasta, e si bagnano spruzzandovi dentro per tutto acqua fresca, e così molli si tirano acciò nel seccarsi vengano a distendere il molle delle grinze. Dapoi, quando sono secchi, si vanno con una canna lunga che abbia in cima un carbone riportando sul cartone, per giudicar da discosto tutto quello che nel disegno piccolo è disegnato con pari grandezza; e così a poco a poco quando a una figura e quando a l'altra dànno fine. Qui fanno i pittori tutte le fatiche dell'arte del ritrarre dal vivo ignudi e panni di naturale, e tirano le prospettive con tutti quelli ordini che piccoli si sono fatti in su' fogli, ringrandendoli a proporzione. E se in quegli fussero prospettive o casamenti, si ringrandiscono con la rete, la qual è una graticola di quadri piccoli ringrandita nel cartone che riporta giustamente ogni cosa. Per che, chi ha tirate le prospettive ne' disegni piccoli, cavate di su la pianta, alzate col profilo e con la intersecazione e col punto fatte diminuire e sfuggire, bisogna ch'e' le riporti proporzionate in sul cartone.

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• Ma del modo del tirarle, perché ella è cosa fastidiosa e difficile a darsi ad intendere, non voglio io parlare altrimenti: basta che le prospettive son belle tanto quanto elle si mostrano giuste alla loro veduta e sfuggendo si allontanano dall'occhio, e quando elle sono composte con variato e bello ordine di casamenti.

Bisogna poi che 'l pittore abbia risguardo a farle con proporzione sminuire con la dolcezza de' colori, la qual è nell'artefice una retta discrezione et un giudicio buono, la causa del quale si mostra nella difficultà delle tante linee confuse còlte dalla pianta, dal profilo et intersecazione, che ricoperte dal colore restano una facillissima cosa la qual fa tenere l'artefice dotto, intendente et ingegnoso nell'arte. Usono ancora molti maestri, innanzi che faccino la storia nel cartone, fare un modello di terra in su un piano, con situar tonde tute le figure per vedere gli sbattimenti, cioè l'ombre che da un lume si causano adosso alle figure, che sono quell'ombra tolta dal sole, il quale più crudamente che il lume le fa in terra nel piano per l'ombra della figura. E di qui ritraendo il tutto della opra, hanno fatto l'ombre che percuotono adosso a l'una e l'altra figura, onde ne vengono i cartoni e l'opera per queste fatiche di perfezzione e di forza più finiti, e da la carta si spiccano per il rilievo: il che dimostra il tutto più bello e maggiormente finito.

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• E quando questi cartoni al fresco o al muro s'adoprano, ogni giorno nella commettitura se ne taglia un pezzo e si calca sul muro, che sia incalcinato di fresco e pulito eccellentemente. Questo pezzo del cartone si mette in quel luogo dove s'ha a fare la figura e si contrassegna, perché l'altro di che si voglia rimettere un altro pezzo si riconosca il suo luogo apunto e non possa nascere errore. Appresso, per i dintorni del pezzo detto, con un ferro si va calcando in su l'intonaco della calcina, la quale per essere fresca acconsente alla carta e così ne rimane segnata. Per il che si lieva via il cartone, e per que' segni che nel muro sono calcati si va con i colori lavorando, e così si conduce il lavoro in fresco o in muro. Alle tavole et alle tele si fa il medesimo calcato, ma il cartone tutto d'un pezzo, salvo che bisogna tingere di dietro il cartone con carboni o polvere nera, acciò che, segnando poi col ferro, egli venga profilato e disegnato nella tela o tavola. E per questa cagione i cartoni si fanno per compartire, che l'opra venga giusta e misurata. Assai pittori sono che per l'opre a olio sfuggono ciò, ma per il lavoro in fresco non si può sfuggire ch'e' non si faccia. Ma certo chi trovò tal invenzione ebbe buona fantasia, attesoché ne' cartoni si vede il giudizio di tutta l'opra insieme, e si acconcia e guasta finché stiano bene; il che nell'opra poi non può farsi.

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Benedetto Varchi in un ritratto attribuito a Tiziano (Vienna, Kunsthistorisches Museum) e in una stampa ottocentesca

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Federico Zuccari, Ritratto di Vincenzo Borghini, 1570-1574, Londra, British Musuem

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• Non ha l’ottimo artista alcun concetto ch’un marmo solo in sé non circonscriva col suo superchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto. Il mal ch’io fuggo, e ‘l ben ch’io mi prometto, in te, donna leggiadra, altera e diva, tal si nasconde; e perch’io più non viva, contraria ho l’arte al disiato effetto. Amor dunque non ha, né tua beltate o durezza o fortuna o gran disdegno del mio mal colpa, o mio destino o sorte; se dentro del tuo cor morte e pietate porti in un tempo, e che ‘l mio basso ingegno non sappia, ardendo, trarne altro che morte.

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• Per Raffaello Borghini il disegno è “apparente dimostrazione con linee di quello che prima nell’animo ‘huomo si avea concetto e nel’idea immaginato”.

• Vasari “Disegno altro non [è] che una apparente espressione e

dichiarazione del concetto che si ha nell'animo, e di quello che altri si è nella mente imaginato e fabricato nell'idea”.

Page 55: I.5.Testimonianze Teoriche e Critiche

• V. Danti, Delle perfette proporzioni, Firenze 1567. • R. Borghini, Il Riposo, Firenze 1584. • G.B. Armenini, De’ veri percetti della pittura, Ravenna 1587. • G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte, Milano 1584. • G.P. Lomazzo, Idea del tempio della pittura, Milano 1590. • F. Zuccari, Idea de’ scultori, pittori e architetti, Torino 1607.

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Firenze, Palazzo dell’Arte dei Beccai, attuale sede dell’Accademia

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San Luca dipinge la Vergine, Roma, Galleria dell’Accademia Nazionale di San Luca

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Roma, Palazzo Carpegna, attuale sede dell’Accademia di San Luca

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Venezia, Sede storica dell’Accademia di Belle Arti

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• Per Filippo Baldinucci il disegno è “un apparente dimostrazione con linee di quelle cose, che prima l’uomo coll’animo di aveva concepite, e nell’idea immaginate; al che s’avvezza la mano con lunga pratica, ad effetto di far con quello esse cose apparire. Di qui aver disegno [significa] sapere ordinatamente disporre la ‘nvenzione, dopo aver bene, e aggiustatamente delineata e contornata ogni figura, o altra cosa che si voglia rappresentare”.

• F. Milizia: “Il primo effetto di tutte le belle arti del disegno è il piacere

della vista”. Con Milizia, il disegno diventa uno strumento grafico capace di rendere con solo la varietà degli aspetti del mondo sensibile, ma anche la varietà di sfumature della sfera sentimentale.

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• G. Baglione, le vite de’ pittori, scultori e architetti, Roma 1642. • G.P. Bellori, Le vite de’ pittori scultori e architetti moderni, Roma

1672. • F. Baldinucci, Vocabolario toscano dell’arte del disegno, Firenze

1681. • ID., Notizie de’ Professori del disegno, 1681-1728. • F. Milizia, Dell’arte del vedere nelle belle arti del disegno secondo i

principi di Sulzer e Mengs, Venezia 1781. • ID., Dizionario delle belle arti del disegno, Bassano 1787.

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