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Icone russe a Umbertide

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Una grande mostra di rarissime icone russe della Collezione Orler, per la prima volta in Umbria

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Con il patrocinio di:

REGIONE UMBRIA

PROVINCIA DI PERUGIA

COMUNE DI UMBERTIDE

ICONE RUSSE

della Collezione Orlernella chiesa di San Francesco a Umbertide

14 maggio - 12 giugno 2005Chiesa di San Francesco, Umbertide (PG)

Comitato promotore• “Oratorio Santa Maria”

Frati Minori di UmbertideFr. Giuseppe RossatoFr. Igino GagliardoniFr. Luca Baino

“Associazione Culturale S. Maria”• Comune di Umbertide

Sindaco dr. Giampiero GiuliettiUfficio StampaBiblioteca ComunaleServizio turistico associato A.V.T.I.A.T. Umbertide

Testi delle schedeGiovanna Parravicini

FotoRenato Idi - Archivio "Russia Cristiana" Seriate (Bg) - Foto Galmacci (Umbertide)

CatalogoC&M Arte

Grafica e layout del catalogoGiampaolo Trotta

In copertina:Volto di Cristo, icona russa, fine XVII-inizio XVIII secolo, particolare, collezione Orler.In IV di copertina:Esaltazione della croce, icona russa, fine del XVIII secolo, Collezione Orler.

© C&M Arte - ArezzoArchivio Orler - via Col S. Martino, 39 - 30030 Favaro Veneto (Venezia)www.collezioneorler.com

DIOCESI DI GUBBIO

CURIA PROVINCIALE MINORI

FRANCESCANI DELL’UMBRIA

COMUNITÀ MONTANA ALTO TEVERE UMBRO

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ICONE RUSSE

Arte

della Collezione Orlernella chiesa di San Francesco

a Umbertide

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Mi accingo, con questo mio intervento, ad aprire l'artistico e prezioso catalogo delle “Iconerusse”, esprimendo subito il mio compiacimento al Comune di Umbertide e all'Oratorio diS. Maria per aver realizzato questa sacra esposizione nella comunità umbertidese, parte dellanostra diocesi di Gubbio. Un grazie particolare agli Orler, possessori delle Icone russe, peraver dato questo privilegio ad Urnbertide e mi compiaccio con loro per l'opera missionaria

che svolgono attraverso queste sacre ed artistiche immagini dei volti di Cristo, della Madonna e dei Santi.La tradizione di proporre come oggetto di culto il Volto di Cristo e della sua Santissima Madre risale agli inizi

del cristianesimo: dalla Veronica che asciugò il volto sanguinante di Cristo sulla via del Calvario, al volto dellaMadonna che la tradizione vuole averlo disegnato dallo stesso evangelista Luca.

Le Icone più antiche possono essere datate all'inizio del IV secolo quando ormai il cristianesimo, nonostante leripetute e drammatiche persecuzioni da parte degli imperatori romani, era penetrato nelle coscienze dei popoli.

La mostra delle Icone russe ad Umberticie sottolinea, tra l'altro, la vera storia religiosa del popolo russo che,nonostante i tanti decenni di ateismo e di persecuzione religiosa, è rimasta così viva nel popolo, proprio attraversoil culto clelle sacre immagini delle Icone, presenti anche nelle più umili abitazioni.

Siamo certi che la mostra delle "Icone russe" esposte nella chiesa di S. Francesco ad Umbertide (dal 14 maggioal 12 giugno 2005), sarà di profondo godimento religioso ed artistico per tutti i visitatori che, siamo certi, saran-no numerosissimi.

Gubbio 19 marzo 2005

+ MARIO CECCOBELLI

Vescovo di Gubbio

IL VESCOVO DI GUBBIO

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IlComune di Umbertide è stato sempre sensibile a tutte le manifestazioni artistiche e cultu-

rali che associazioni o privati ogni volta hanno proposto. Ricordiamo, in particolare, i lun-

ghi anni in cui l'oratorio di Santa Maria ha organizzato il premio nazionale "Fratta" di

pittura che è stato portato fino alla sua 25a edizione e in quella occasione il Comune ha

favorito e sostenuto l'iniziativa, che per l'importanza e la lunga durata negli anni è stata

uno dei momenti più qualificanti del "Settembre Umbertidese".

Oggi l'Amministrazione comunale patrocina questa singolare mostra sulle icone russe, organizzata dall'o-

ratorio di Santa Maria di Umbertide, che la Collezione Orler, la più importante del mondo, ha scelto di

esporre proprio ad Umbertide. La nostra città è fiera di essere sede di un così raro evento culturale e il Comune,

che finalmente ha riportato nel pieno del suo splendore artistico la trecentesca chiesa di San Francesco, è ben

lieto che questo spazio sacro ospiti lo straordinario insieme di opere che testimoniano l'antica, tradizionale

religiosità del popolo russo.

Considerato l'estremo interesse di questo avvenimento, nonché la sua unicità (le mostre della Collezione

Orler vengono programmate solo in grandi città), e visto che ad Umbertide è stata concessa peraltro l'esclusi-

va per la nostra regione, invitiamo tutti i concittadini a voler onorare con la loro presenza questo grande even-

to culturale.

Il sindaco

GIAMPIERO GIULIETTI

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Il20 giugno 2004 ho avuto la gioia di presiedere la celebrazione eucaristica di ringrazia-

mento per il ritorno ad Umbertìde, dopo 40 anni, dei Frati minori (1964-2004). Questo

evento, oltre ad aggiungersi ad altri importanti eventi commemorativi, è stata per me l'oc-

casione per ripercorrere la storia del rapporto tra i francescani e la comunità civile e reli-

giosa di Umbertide.

Il 10 aprile 1481 il Papa Sisto IV autorizzò i frati ad erigere la Chiesa e il convento di S. Maria della

Pietà. La benevolenza degli Umbertidesi verso i frati francescani ha permesso, da allora, il loro inserimento

nel tessuto sociale e culturale, l'inizio della loro opera di promozione umana e di educazione della gioventù,

l'annuncio del Vangelo di Cristo: la messa a disposizione del terreno di Mercatale e la costruzione della Chiesa

di S. Maria, nel 1486, la cura dei poveri e degli ammalati condotta dai francescani, l'insegnamento di mate-

rie letterarie e sociali offerto nei locali del convento S. Maria, sono solo alcuni esempi eloquenti di questo feli-

ce rapporto di benevolenza e servizio.

Oggi, la realizzazione di questa eccezionale Mostra delle Icone russe della prestigiosa Collezione Orler

nella Chiesa di S. Francesco, recentemente restaurata, è un altro segno di questa fattiva benevolenza esisten-

te tra Umbertide e i frati. Il Comune insieme all'Oratorio S. Maria dei Frati minori ha programmato e orga-

nizzato questo straordinario evento culturale e religioso, al quale con gioia e con gratitudine, in qualità di

Ministro della Provincia Serafica OFM dell'Umbria, do il mio Patrocinio, congratulandomi sentitamente

con gli organizzatori. Le icone sono finestre di luce, aperte sul mistero dell'amore di Dio, del quale il nostro

mondo secolarizzato avverte sempre più la mancanza e la nostalgia. Il Papa Giovanni Paolo II, nella sua ulti-

ma visita ad Assisi il 24 gennaio 2002, disse: "Vogliamo recare il nostro contributo per allontanare le nubi

del terrorismo, dell'odio, dei conflitti armati, nubi che in questi ultimi mesi si sono particolarmente adden-

sate all'orizzonte dell'umanità [...]. Le tenebre si allontanano accendendo fari di luce". Che la luce prove-

niente da queste Icone, come quella riflessa in tanti segni di solidarietà e collaborazione tra la città e i fran-

cescani, aiutino ancora tanti uomini e donne di buona volontà, in particolare i giovani, a vivere nella spe-

ranza e nella pace.

Umbertide, 19 marzo 2005

Provincia Serafica dei Frati minori - Ministro provinciale

FR. MASSIMO RESCHIGLIAN OFM

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Sommario

12 Brevi note storiche su Umbertidea cura dell’Ufficio Stampa del COMUNE DI UMBERTIDE

20 Chiesa di San Francescodi Giovanni VALDAMBRINI

22 Convento e chiesa francescana di Santa Maria della Pietà dei Frati Minori di Igino GAGLIARDONI

24 Collegiata di Santa Maria della Reggiadi Pietro VISPI

26 Chiesa di Cristo Risortodi Roberto SCIURPA

30 Sulle orme degli antichi iconografidi Paola CORTESI

48 Le icone russedi Davide ORLER

52 IL TEMPO DELLA SALVEZZAschede a cura di Giovanna PARRAVICINI

54 1. In cammino verso l’Eternità78 2. Il tempo dell’attesa

118 3. Il ciclo Pasquale144 4. La Chiesa in cammino190 5. Il Pantocratore200 6. Le icone in fusione di metallo

di Alfonso SAMPIERI

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BREVI NOTE STORICHE SU

UMBERTIDENell'antichità Umbertide fu certamente un importante emporio sulle

rive del Tevere per gli scambi commerciali tra Umbri ed Etruschi;al tempo di Roma fu conosciuta con il nome di Pitulum. Medaglie,

iscrizioni, colonne, una stipe votiva a monte Acuto ed un insediamento inprossimità di S. Maria di Sette confermano l'esistenza di questo borgodistrutto poi dai Goti di Totila.

La tradizione vuole che fosse ricostruita sul luogo dove sorge attualmen-te, verso la fine dell'VIII secolo dai figli di Uberto Marchese di Toscana, edetta per questo “Fracta filiorum Uberti”. Nel 1189 il marchese Ugolino diUguccione per evitare i frequenti saccheggi mise il territorio di Fratta sotto laprotezione di Perugia. Nel 1362 ebbe propri statuti, mentre al 1374 risale laprima testimonianza relativa alla Rocca che poi, nel 1385, sarebbe stataristrutturata da Angelo di Cecco detto Trocascio, architetto: in essa nel 1394fu tenuto prigioniero Braccio Fortebracci da Montone.

Nel 1550 Giulio III diede Fratta a Paolo di Niccolò Vitelli ma la conces-sione fu revocata nello stesso anno. Nel 1643 Fratta si oppose alle truppe delGranduca di Toscana che erano entrate in Umbria passando per la Val diPierle. Rimase sotto il dominio pontificio fino al 1860, anno in cui fu annes-sa al Regno d'Italia.

Il 25 gennaio 1863 l'antico nome fu cambiato con quello di Umbertide,in onore dei figli di Uberto antichi riedificatori della città.

PRINCIPALI EDIFICI STORICI

La Rocca

Superba fortezza medioevale, da sempre simbolo di Umbertide. Sulla suacostruzione alcuni autori affermano che i lavori iniziarono nel luglio 1374,altri che l’incarico di costruire la Rocca fu affidato da Perugia al Guidalottinel 1385, durante le lotte tra nobili e popolani. Le opinioni sono invece con-cordi nell’affermare che l’opera nel 1389 era terminata e che il direttore deilavori fu Alberto Guidalotti e progettista l’architetto Angeluccio di Ceccolo,detto il Trocascio.

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La fortezza è costituita da una torre quadrata di m. 7,60 di lato e dim.31,60 di altezza di fronte al torrente Reggia. Le solide mura sono spesse allabase m. 2,20. Verso l’interno della città sono uniti alla torre due torrioni cir-colari più bassi ed un terzo baluardo quadrato. Oggi la Rocca presenta unasola porta nella Piazza Fortebracci, ma un tempo ne aveva un’altra in direzio-ne della Reggia, detta " del soccorso" , entrambe munite di ponti levatoi.

Nel 1394 nella Rocca fu rinchiuso prigioniero Braccio Fortebracci daMontone. Il Papa Leone X, nel 1521, affidò la custodia della Rocca alle per-sone più ragguardevoli di Fratta per sette anni e tale onore fu prorogato daClemente VII per altri dieci, affinché lo stipendio, che altrimenti si dovevaversare al castellano e ai soldati, venisse impiegato nel restauro delle mura. Inquel periodo la Camera Apostolica versava annualmente alla Fratta un con-tributo di sessanta scudi per la manutenzione e le riparazioni della Rocca,pretendendo che il castellano offrisse in cambio due libbre di cera alla cap-pella del magistrato perugino.

Con l’avvento del Governo repubblicano francese nel 1798, la sovvenzio-ne perugina fu abolita; ritornato il Papa nello Stato pontificio la Rocca fudestinata al servizio delle pubbliche carceri e tale utilizzazione continuò finoal 1923. Da questa data subì alcune trasformazioni interne e furono copertii due torrioni circolari per destinare il complesso a civile abitazione. Fu abi-tata fino al 1974.

Nel 1984 l’Amministrazione comunale ha iniziato l’intervento di recupe-ro della struttura e dopo un intenso impegno di progettazione e di lavoro laRocca, il 17 maggio 1986, è stata restituita alla città. Dal 1991 è la sede per-manente del “Centro per l’Arte Contemporanea”. In questa veste ha ospita-

to nel corso degli anni esposizioni di grande livel-lo artistico, divenendo un punto di riferimento inambito sia nazionale che internazionale.

Abbazia ed Eremo di Montecorona

L’abbazia di San Salvatore di Montecorona sitrova a quattro chilometri da Umbertide, ai piedidel colle omonimo. Secondo la tradizione sarebbestato San Romualdo a fondare, nell’XI secolo, ilmonastero di San Salvatore di Monte Acuto.L’antica cripta seminterrata è di notevole valoreartistico e culturale. È composta di un vasto localediviso in cinque navate, con colonne di vari stiliche sorreggono le basse volte. La chiesa superiore,

La Rocca

Abbazia ed eremo diMontecorona

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a tre navate, fu consacrata nel 1105; conserva resti di affreschi ed un coroligneo di buona fattura. Interessante il campanile a pianta ottagonale e circo-lare, forse anticamente torre di difesa, con l’orologio recen-temente restaurato.

Dall’abbazia si sale ai 705 metri dell’Eremo, lungo unastrada circondata da boschi di faggi e castagni e punteggia-ta da edicole votive. Anticamente era collegata alla Badia daun sentiero detto la mattonata, largo circa due metri ecostruito a secco con blocchi di pietra arenaria, riaperto noccasione di una passeggiata ecologica che ha permesso diriscoprire il fascino di una natura ancora intatta. L’Eremo èun antico monastero la cui costruzione risale al XVI Secoloper opera dei padri Camaldolesi e Coronesi.

Castello di Civitella Ranieri

È uno dei luoghi più suggestivi e maestosi dell’Umbria,costruito sopra un colle nei pressi della strada Gubbio -Umbertide in posizione strategica per la vicinanza con Perugia, Gubbio eCittà di Castello.

Il castello di Civitella Ranieri era al centro di una con-tea appartenuta ai nobili Signori Ranieri. Il bosco secolareche lo circonda conferisce ancora oggi alla fortezza un fasci-no magico. È costituito da torri rotonde, a scarpata, conarchi aggettanti che si ripetono sulla facciata, tutta percor-sa da beccatelli, nel cui interno si trovano le finestre. Ècinto da mura che permettono l’accesso interno attraversodue porte, una a sud ed una a nord. Questa è la più anticacon resti di un ponte levatoio.

L’attuale castello sorge nel luogo di un primitivo inse-diamento militare, vicino alle abbazie di Camporeggiano eSan Salvatore, la cui costruzione venne iniziata nel 1078 adopera di Raniero, fratello del duca Guglielmo diMonferrato. L’opera venne portata a termine dal figlioUberto che fece costruire una cittadella. Di qui l’origine delnome Civitella.

Nel 1361, durante la lunga lotta tra nobili e popolani perugini fu acqui-stato dai Michelotti, che si proclamarono conti di tale castello. Il 16 giugno1407, però, Ruggero II Ranieri detto Kahn (soprannome che in Oriente sidava ai condottieri), poi volgarizzato in Cane, figlio di Costantino I, alla testa

Abbazia di Montecorona,interno.

Castello di CivitellaRanieri

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dei suoi armati recuperò il castello ridotto purtroppo in cattive condizioni e siadoperò per ricostruirlo nuovamente. Nel 1900, circa, il Castello fu ereditatodal figlio di Emanuele Ranieri di Sorbello, uomo di profonda religiosità e insi-

gne studioso, il quale riordinò la biblioteca e l’archivio di famiglia. Nel 1992 venne costituito il Civitella Ranieri Center, punto

d’incontro per giovani interessati all’arte, alla musica, alla lettera-tura e alla poesia, finanziato da una fondazione americana.L'attuale struttura architettonica, oggi trasformata internamentein accoglienti appartamenti, studi per artisti e uffici, è frutto disuccessivi interventi che nel corso degli anni ne hanno modifica-to l’aspetto originario.

Chiesa della SS. Trinità in S. Francesco in Preggio

Il pittoresco borgo di Preggio è situato a 18 Km daUmbertide, immerso nel verde di querce e castagni. Sulle sue ori-gini si hanno notizie incerte: secondo alcune fonti un primonucleo sarebbe stato fondato dai romani sfuggiti alla sanguinosa

battaglia del Trasimeno nel 217 a.c.; secondo altre sarebbe sorto attorno adun'antica abbazia benedettina oggi scomparsa. Di certo si sa che nell’anno917 l’Imperatore Berengario I confermò al Marchese Uguccione II dellafamiglia dei Bourbon, la signoria di questo luogo e di altre terre limitrofe. NelXIII secolo era il castello più popolato del Comune di Perugia, che ogni seimesi provvedeva ad eleggere un podestà che governava la collettività renden-

done conto ai magistrati perugini. Verso la fine del XIV secolo fu costruita la Rocca della quale oggi

rimangono alcuni ruderi. Nel 1798, sotto il regime napoleonico,Preggio entrò a far parte del territorio di Umbertide (allora Fratta)e, con la Restaurazione, nel 1817 fu Università appodiata e poi fra-zione.

Di notevole interesse la Chiesa della SS. Trinità in S.Francesco(1223) che conserva un reliquiario d'argento in cui è custoditauna Sacra Spina, la Chiesa della Madonna delle Grazie (1400) edi resti dell'antica Rocca.

Piazza San Francesco

Situata nel Borgo Inferiore, questa piazza colpisce per la suacaratteristica forma allungata e la chiara impronta medioevale.

Qui si affacciano alcuni tra i più interessanti edifici della città:

Chiesa della SS. Trinità in S. Francesco in Preggio

Piazza San Francesco

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Chiesa e Museo di Santa Croce

La chiesa, così come la vediamo oggi, è il risultato di una serie di interventidi ampliamento. Nell’area dove sorge l’attuale edificio si trovava una piccolachiesa, forse identificabile con quella ricordata dalle fonti con il titolo di SS.Pietro e Paolo, che già esisteva nel 1295. La chiesina, almenodai primi del Trecento, doveva fungere da oratorio per laConfraternita dei disciplinati di Santa Maria (il primo docu-mento sulla confraternita è del 1337), che gestiva anche unospedale. È questa una delle tante associazione religiose dilaici che, diffuse a partire dal XIII secolo, praticavano l’auto-flagellazione, condividendo in questo modo le sofferenze diCristo. La confraternita è ricordata per la prima volta con ilnome di Santa Maria e Santa Croce nel 1340. Per tutto ilQuattrocento non abbiamo informazioni precise sulla chiesa,mentre notizie più dettagliate si ricavano a partire dai primidel secolo successivo. Nel 1509 viene ultimata una casa soprala chiesa, e di lì a poco (1515-16), a spese della confraterni-ta, verrà commissionata la Pala della Deposizione a LucaSignorelli. Un ampliamento dell’edificio si effettua nel 1556,ed a tale scopo viene comprato del terreno ed un muro dai vicini frati france-scani. Nella seconda metà del secolo la chiesa doveva aver raggiunto discretedimensioni, tanto da poter contenere comodamente la grande mostra d’altarein legno, opera di un intagliatore marchigiano, realizzata tra il 1611 e il 1612per accogliere la Pala del Signorelli. Tra il 1634 e il 1645 circa, con l’ultimoampliamento e la definitiva ristrutturazione dell’edificio ad opera di FilippoFracassini (nell’occasione viene anche acquistato dai frati il terreno dove sor-gono la sacrestia ed il campanile), l’evoluzione della chiesa di Santa Croce puòdirsi conclusa, se non per la facciata, dalle linee tardo-barocche, realizzata nelprimo Settecento.

Il Museo di Santa Croce

La chiesa di Santa Croce, dopo il restauro e il ritorno ad Umbertide dellaDeposizione dalla Croce, capolavoro del grande pittore cortonese LucaSignorelli, è stata trasformata in un museo che viene utilizzato anche comeauditorium e sala convegni. Oltre alla deposizione si può ammirare, in unasala interna, un grande quadro del Pomarancio Madonna col Bambino ingloria tra angeli e santi proveniente dall’attigua chiesa di San Francesco.

Nel museo, dieci pannelli sistemati nella chiesa illustrano il percorso signo-relliano, il restauro della pala e la storia della chiesa stessa.

Chiesa di Santa Croce, interno

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La Deposizione dalla Croce di Luca Signorelli

Commissionata dalla Confraternita di SantaCroce al cortonese Luca Signorelli, la tavola vieneterminata nel 1516, data che compare in basso adestra sulla cornice originale, inglobata successiva-mente nel grande complesso ligneo intagliato nel1611-12.

Realizzata in un lasso di tempo molto breve,mostra come il pittore fosse ormai a capo di unaorganizzata bottega che collaborava alle numerosecommesse assegnate al maestro. Il tema principaledella tavola, la Deposizione dalla Croce, è qui inse-rito dall’artista in un contesto più ampio, quasi unpiccolo ciclo che illustra i momenti salienti dellaPassione di Cristo. È probabile che tale scelta sia dariferire alla volontà della Confraternita, in senoalla quale il tema della Passione era particolarmen-te sentito e fatto oggetto, ad esempio in occasionedelle festività pasquali, di vere rappresentazioniteatrali i cui testi sono stati parzialmente traman-dati. La lettura del dipinto può iniziare in alto asinistra, dove le tre croci piantate sul Golgotasegnano il momento della Crocifissione. Si passapoi alla scena centrale, la Deposizione, cui assisto-no il gruppo delle Marie, a sinistra, la Vergine giàsvenuta a terra, e la Maddalena, ai piedi dellacroce, colta nel tenero e disperato gesto di racco-gliere con la mano il sangue di Cristo. Il gruppo sichiude a destra con la figura di San Giovanni, al di

sopra del quale si scorge l’ultimo momento del ciclo, con il trasporto delcorpo verso il sepolcro, durante il quale il Cristo, irrigidito dalla morte,viene compianto dai suoi cari. I tre pannelli di predella, data l’intitolazio-ne della Confraternita alla Santa Croce, sono dedicati alla leggenda delRitrovamento della vera Croce di Cristo, nella versione proposta da untesto molto diffuso nel Medioevo, la Leggenda Aurea di Iacopo da Varagine.Il primo episodio, (curiosamente il pittore lo inserisce nella tavoletta cen-trale, sulla metà di destra) risale ai tempi del re Salomone, quando la regi-na di Saba, sua ospite, per ispirazione divina si inginocchia ad adorare untronco di legno che fungeva da ponte presso un corso d’acqua.

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La Deposizione dalla Crocedi Luca Signorelli

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Quello stesso tronco, molto tempo dopo, sarà utilizzato per costruire lacroce di Cristo. La narrazione, a partire ora dalla prima tavoletta di sinistra,prosegue con le vicende legate all’imperatore romano Costantino (IV seco-lo d. C.) che, come gli era stato suggerito in sogno, mette in fuga le arma-te di Massenzio grazie all’esposizione di una croce d’oro. Una volta conver-tito, è sua madre Elena ad adoperarsi nella ricerca della vera Croce (tavo-letta centrale); ritrovata sul Golgota, quella di Cristo viene riconosciutarispetto alle altre due perché, appena avvicinata ad un ragazzo morto, mira-colosamente lo resuscita. Il racconto si chiude con un fatto avvenuto moltopiù tardi, nel VII secolo. Il re persiano Cosroe, conquistata Gerusalemme,si appropriò della Croce, che viene recuperata dall’imperatore Eraclio.Nella tavoletta di destra è raffigurato infatti l’ingresso trionfale della Crocein Gerusalemme, portata dallo stesso Eraclio. L’accesso alla città viene peròimpedito da un angelo, che invita l’imperatore a togliersi le vesti ed i cal-zari ed entrare in umili spoglie, esponendo la sacra reliquia.

Madonna col Bambino in gloria tra Angeli e Santi

La tela del Pomarancio, raffigurante la Madonna col Bambino in gloriatra Angeli e santi, proviene dalla attigua chiesa di San Francesco, da dove èstata rimossa di recente per motivi di conservazione. In basso a sinistra silegge la firma dell’artista, Niccolo Circignani “de Pomarancio” , mentre sul-l’angolo opposto è la data di esecuzione (1577) ed il nome del committen-te: Cristoforo Martinelli. Nel gruppo della Vergine col Bambino,Pomarancio riprende da vicino un’opera di un illustre collega, il pittoreparmense Parmigianino, realizzata a Roma tra 1526 e 1527 per MariaBufalini (membro dell’importante famiglia tifernate), ed arrivata solo piùtardi a Città di Castello (in Sant’Agostino, ora emigrata a Londra). Del pit-tore parmense, Pomarancio coglie anche qualche nota di stile, come la ten-denza ad allungare le figure; basti guardare il Bambino, slanciato ed ele-gante nelle movenze, ma, rispetto al sofisticato linguaggio di Parmigianino,più naturale nei sentimenti, esternati nel sorriso dolce ed affettuoso. Inbasso, i santi che assistono alla scena sono ben riconoscibili grazie ai loroconsueti attributi iconografici. Il primo da sinistra è sant’Andrea apostolo,con la grande croce sulla quale subì il martirio. Anche il San Biagio che loaffianca, in abito vescovile, tiene in mano lo strumento con cui fu tortura-to, un pettine usato dai cardatori di lana. Segue il santo titolare della chie-sa, San Francesco, con le stimmate, mentre l’ultimo personaggio a destra èsan Sebastiano, martirizzato a colpi di freccia.

La Deposizione dalla Crocedi Luca Signorelli, particolare

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Chiesa di San Bernardino

Fu edificata su un antico oratorio dei disciplinati; la tradizione vuole chesia stato lo stesso San Bernardino, nel 1426, a fondarvi la Congregazione delBuon Gesù. Consacrata nel 1556, nel corso del tempo ha subito diversi inter-venti, per assumere l’attuale struttura nel 1768. Conserva, nell’altare mag-giore, il dipinto di Muzio Fiori " La cena degli apostoli" (1602), nonchè unastatua in legno sorbo di San Bernardino attribuita al Vecchietta, forse del XVISecolo. Qui è sepolto il famoso cantante umbertidese del XVIII secoloDomenico Bruni.

Ufficio Stampa COMUNE DI UMBERTIDE

Chiesa di San Francesco

San Francesco si erge nella piazza omonima ed è la chiesa più antica tut-tora esistente a Umbertide. La sua costruzione iniziò a partire dagli anni ‘90del XIII secolo in quello che era chiamato borgo inferiore del castello diFratta. Pochi anni prima i frati minori avevano costruito le chiese di San

Francesco a Città di Castello ea Montone. La sua architettu-ra è tipica delle chiese medie-vali degli ordini mendicanti:navata unica, tetto in travatu-ra, finestroni gotici bifori otrifori, abside quadrato osemicircolare. Solo successiva-mente venne aggiunta la nava-ta laterale sinistra dove neiprimi anni del ‘500 venneroaperte le cappelle di SanRocco e del Crocifisso. Inquegli stessi anni era ancoraattivo il cantiere del conventodi San Francesco, annesso allachiesa.

All’interno della chiesasono ancora conservate operedi notevole rilevanza icono-grafica storica e artistica.

Nella controfacciata, a

Chiesa di San Francesco

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sinistra del portale laterale d´ingresso, è visibile un bellissimo affresco conSan Cristoforo, databile ai primi anni del XV secolo e realizzato da un igno-to pittore tardo gotico, riconosciuto in Ottaviano Nelli da Gubbio, indiscus-so protagonista di quell’ambiente in Italia centrale. Questa è l’unica testimo-nianza artistica quattrocentesca presente in chiesa insieme all’affresco che raf-figura San Bartolomeo in una delle colonne che separano la navata principa-le da quella laterale. Un’altro affresco, più tardo e poco leggibile si trova nellaparete sinistra della navata principale e presenta in basso due figure tra cui èriconoscibile Santa Lucia.

Gli altari ornati da stemmi e iscrizioni che si trovano nelle pareti dellachiesa sono stati tutti realizzati ai primi del seicento e sono intitolati rispetti-vamente a San Carlo Borromeo, ispiratore del Concilio di Trento, Sant’Anna,madre di Maria, di cui parlano i Vangeli apocrifi e molto venerata nel passa-to, Sant’Antonio da Padova, dottore della chiesa e San Francesco di Paola acui è dedicato un altare anche nell’attigua chiesa di Santa Croce. Gli altari,oggi restaurati, conservano tele dello stesso periodo ad esclusione di quello diSant’Antonio, che contiene dietro una teca di vetro una bella statua del santofrancescano col bambino.

Infine è da ricordare l’ultima cappella della parete sinistra, posteriore allealtre due, detta dell’Immacolata Concezione, dove si trova la statua dellaVergine che viene portata in processione il Venerdì Santo.

Altre due importanti opere erano un tempo conservate a San Francescoe ora si trovano nella chiesa-museo di Santa Croce. Si tratta della bellissimastatua di San Rocco realizzata per la cappella omonima nel 1527 al fine discongiurare una nuova epidemia di peste. L’opera, riconducibile a un gruppodi statue sparse in Umbria, forse proviene da una bottega di artisti originaridi Borgo San Sepolcro su cui si sta conducendo uno studio. L’altra opera èuna tela con la Madonna, il Bambino e alcuni santi tra cui Francesco, titola-re della chiesa, ed è firmata e datata dal famoso pittore manierista NicolòCircignani detto Pomarancio, molto attivo nella seconda metà del ‘500 inalta valle del Tevere. Egli ha lasciato in Fratta almeno un altro dipinto, pro-veniente dall’abbazia di Montecorona e oggi conservato alla Collegiata diUmbertide. Il dipinto proveniente da San Francesco si trovava prima del ter-remoto del 1997 nella cappella detta del Crocifisso e fatta costruire dallafamiglia Ranieri di Civitella.

Giovanni VALDAMBRINI

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Convento e chiesa francescana di Santa Maria della Pietà deiFrati Minori

L’Alta valle del Tevere è una terra particolarmente france-scana perché più volte percorsa da S. Francesco nei suoi tantiviaggi al monte della Verna dove, il 17 settembre 1224, rice-vette le sacre Stimmate.

Anche l’Ordine francescano ha tenuto in grande stimaquesta terra: basti pensare, per esempio, che nello spazio dipochi chilometri tra i due Comuni di Umbertide e Montoneesistono ben quattro insediamenti di Comunità Francescane.Uno di questi è proprio quello dei Frati Minori di Umbertidenel 1481. In genere, la nascita di un convento francescanoavviene con l’autorizzazione ufficiale del Pontefice. Il PapaSisto IV, il 10 aprile 1481, emanò la “Bolla Sedis apostolicaegratiosa benignitas”, con cui autorizzò l’insediamento dei FratiMinori ad Umbertide (che allora si chiamava Fratta Perugina).

Fratta era sotto la giurisdizione di Perugia ed era un puntodi forza e di sicurezza per quella città, essendo munita di unapotente rocca e castello e circondata dalle acque del Tevere edel torrente Reggia. Era una fortezza contro i Medici diFirenze, che attraverso la Valle del Niccone scendevano versola Valle del Tevere; era un punto di sicurezza contro i Vitelli,signori di Città di Castello, ed i Montefeltro, la cui signoria si

estendeva sino a Gubbio.L’insediamento dei Frati Minori di Santa Maria della Pietà fu facilitato dal

favore delle autorità civili, che concessero il terreno poco fuori le mura delBorgo superiore detto il Mercatale, e della famiglia Burelli che in pochi annicostruì la chiesa, tanto che nel 1486 fu consacrata.

La chiesa nel 1504 fu arricchita di un famoso dipinto raffigurantel’Incoronazione della Vergine del celebre Bernardino di Betto, dettoPinturicchio, e da un affresco sulla lunetta della facciata della chiesa attribui-to a G. B. Caporali.

Nella Bolla di insediamento di Sisto IV vengono definitii i compiti deiFrancescani ad Umbertide: “…vi conducano una vita esemplare, si dedichi-no assiduamente alle celebrazioni liturgiche, all’ascolto delle confessioni, allaguida dei fedeli con istruzioni e consigli per la salvezza delle loro anime …”.I Francescani di Santa Maria della Pietà furono subito chiamati alla cura degliammalati perché attiguo al convento c’era un ospedale. Compito che hannosvolto anche quando nel castello di Umbertide venivano ricoverati i soldati

Incoronazione della Vergine,di Pinturicchio

Incoronazione della Vergine,di Pinturicchio, particolare

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feriti nelle varie competizioni tra Perugia e i vicini comuni; compito che duratutt’ora nell’attuale realtà ospedaliera di Umbertide.

Un servizio particolare i Francescani di S. Maria hanno svolto anche nelcampo della cultura. Tra i vari locali del convento c’era infatti quello dedica-to alla scuola e quando, verso la metà del ‘700, si era diffusa la voce che pro-babilmente il francescano addetto all’insegnamento sarebbe stato trasferito, ilComune di Umbertide fece pubblica richiesta affinché un sacerdote si dedi-casse all’insegnamento della filosofia, come era tradizione da lungo tempo.

Due fatti hanno turbato la vita dei Francescani ad Umbertide: la primasoppressione degli Ordini religiosi da parte di Napoleone nel 1810 e soprat-tutto quella del 1863 da parte del Governo italiano. Alla caduta diNapoleone, i Francescani tornarono ad abitare a S. Maria della Pietà nel1815, ma il dipinto del Pinturicchio, già trasferito a Foligno dai francesi, fuacquistato dal Museo Vaticano (dove si trova tuttora).

Dei quattro insediamenti francescani nei due vicini comuni di Umbertidee Montone, solo quello di S. Maria riprese vita per desiderio e iniziativa delVescovo di Gubbio, di felice memoria, Beniamino Ubaldi. Fu infatti nel1941 che il Vescovo riacquistò tutto il complesso di S. Maria della Pietà daldemanio. Inizialmente furono chiamati i Padri Salesiani a guidare la vitapastorale della parrocchia di S. Maria, i quali fondarono l’Oratorio DonBosco e si distinsero in particolare nell’educazione della gioventù.

Nel 1963 i Salesiani interruppero la loro presenza ad Umbertide per con-solidarla in altre località. Il vescovo beniamino Ubaldi subito sollecitò i FratiMinori dell’Umbria a ritornare nella sede di S. Maria della Pietà, come ave-vano fatto per tanti secoli fin dal 1481.

Il ritorno dei Frati Minori adUmbertide avvenne il 5 gennaio 1964,giusto un secolo dopo la soppression.Nel 2004 i francescani di S. Maria contutta la comunità umbertidese hannorivissuto la storia di questi quarant’anni.La ricorrenza, inoltre, è servita per rivi-vere il loro insediamento nella comuni-tà locale lungo tutti questi secoli, e cioèdal loro insediamento avvenuto con laBolla papale del 10 aprile 1481.

Igino GAGLIARDONI

Madonna con S. Francesco e S. Chiara, vetrata della chiesa di S. Maria della Pietà.

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S. Maria della Pietà.

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Collegiata di Santa Maria della Reggia

II tempio dedicato alla Beata Vergine Maria, viene detto della Reggia inquanto situato presso l'antica "roggia", o torrente omonimo, di difesa delcastello. La costruzione sorse nella seconda metà del secolo XVI, per voleredel popolo umbertidese. L'edificio sacro venne costruito per accogliere unaimmagine miracolosa affrescata all'interno di una cappella che si trovava nellevicinanze. I lavori furono diretti dapprima dagli architetti Galeazzo Alessi eGiulio Danti, autori dei disegno originario, poi nel 1583 da Bino Sotii,Mariotto da Cortona (1600), Rutilio (1623) e infine Bernardino Sermigni(1640).

L'originale costruzione di forma ottagonale all'esterno e circolare all'in-terno misura 23 metri di diametro interno per un'altezza complessiva di 40metri. L’interno della cupola, dal tamburo alla lanterna, riveste un'area di 689metri quadri. Il diametro della palla di rame che sovrasta la lanterna è dimetri 1,65. La cupola originaria, che manifestò segni di cedimento, fu rico-struita agli inizi del '600 e il primitivo impianto del monumento, ideatodall'Alessi, venne modificato solo parzialmente.

All'interno del tempio la zona perimetrale è delimitata da un giro di 16colonne alquanto distaccate dal muro sul quale sono riportate le mostre deipilastri corrispondenti. Negli intercolumni, in otto grandi aerostili appaionole arcate a tutto sesto che accolgono gli altari, la tribuna dell'organo e i dueportali d'ingresso.

La disposizione binata del colonnato (di ordine toscano, compiuto nel1632, con funzione strutturale di supporto alla cupola), i cornicioni e lemodanature, le nicchie e i chiaroscuri, conferiscono all'imponente strutturaun pregevolissimo movimento di masse e di luce. Le colonne raggiungononel loro corpo la ragguardevole misura di 9,60 metri.

Notevole è il pavimento in cotto policromo del XVII secolo.Il tamburo della imponente cupola è ornato da quattro tele di grandi

dimensioni:1. (sopra l'altare maggiore) - Vergine in gloria con i santi M. Maddalena,

Giovanni Battista e Evangelista, Andrea, Francesco, Apollonia, la tela, cherisente molto del manierismo romano del 1500, è attribuibile, molto proba-bilmente, al pittore perugino Benedetto Cavallucci;

2. (sopra la tribuna dell'organo) - Trasfigurazione con i santi Benedetto,Romualdo, Savino e Vescovo più simbologia eucaristica del Pomarancio(Niccolo Circignani) del 1578;

3. (sopra l'Altare del Rosario) - B.V. di Loreto con i santi Andrea, Avellinoed Ubaldo di G. Alaboyna, del 1749;

La Collegiata

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4. (sopra l'altare di San Giuseppe) - Santo Chierico regolare con il Cristoche gli presenta la croce di G. Alaboyna, del 1749. L'ancona della Madonnapresenta un fastigio costituito da ricco drappeggio e gloria di angeli in stuc-co, realizzato tra l'inizio del secolo e il 1725. Esso incornicia l'affresco, più epiù volte rimaneggiato, attribuibile all'opera di un pittore della fine del tre-cento o primo quarto del quattrocento, raffigurante la Vergine in trono conBambino tra i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista.

L’Altare del S.S. Sacramento è una fastosa opera di intaglio ligneo doratodi Peter Kraas, del 1680. Nella parte superiore vi è collocata una teletta rap-presentante "Dio Padre" dello Scaramuccia. L’ancona conteneva una pregevo-le tela, oggi scomparsa, sempre dello Scaramuccia che raffigurava l’Estasi di S.Isidoro. Nello stesso altare, di notevole rilievo un prezioso Tabernacolo inlegno dorato, d'arte fiorentina del 1500 e un Crocifisso ligneo del XIX seco-lo. Di rimpetto una pregevolissima Pila bat-tesimale in marmo bianco del '500.

L’altare retrostante la pila è di G. Fontanain stucco dorato: esso incornicia una tela rea-lizzata nel 1702 da Giuseppe Laudati e rap-presenta la Vergine assunta in cielo e i Santicompatroni della città.

Segue l'altare di San Giuseppe che con-tiene una preziosa statua lignea del santo deiprimi anni del 1500.

Di fronte è l’Altare del Rosario ove sivedono quindici medaglioni dipinti su rame,del XVI/XVII secolo, raffiguranti i Misteridei Rosario posti a cornice del simulacrodella Vergine.

La tribuna dell'organo e la credenza sono settecentesche, sulla balaustra sipossono ammirare due statue lignee, realizzate tra il 1704 ed il 1706 daDomenico Noirin, rappresentanti il patrono S. Erasmo e S. Andrea.

Al di sopra dei portali due iscrizioni barocche ricordano rispettivamentele date di costruzione del tempio e della sua consacrazione (1751). La deno-minazione di Collegiata deriva dal fatto che nel 1765 in questo tempio fu tra-sferito il Collegio dei Canonici, già istituito nella chiesa di San GiovanniBattista, oggi non più esistente. Di detta chiesa resta solo l'antico Campaniledel 1238, che si ammira all'ingresso del centro storico.

Pietro VISPI

La Collegiata, interno

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La Chiesa di Cristo Risorto

Umbertide si era trasformata in maniera rapida negli anni successivi allaseconda guerra mondiale, con insediamenti industriali operosi, poli com-merciali attivi e penetranti, e tecniche agricole aggiornate che avevano deter-

minato una svolta positiva nel tenore di vita dei suoi abitanti. Lapopolazione si era trasferita in modo massiccio dai campi al paeseche in appena un trentennio aveva triplicato il numero dei tre-mila residenti del dopoguerra, con segnali evidenti di prosecuzio-ne del fenomeno anche negli anni futuri.

L’istituzione di una terza parrocchia era una risposta necessa-ria e doverosa al mutato stato di cose per rendere più adeguato ilservizio del culto ad una popolazione che, dietro le apparenze diun’ostentata apatia verso le problematiche religiose, in cuor suodesiderava il contrario.

La nuova chiesa sorse in tempi molto rapidi, resi possibili daicriteri architettonici della struttura, tutta in cemento armato,senza rivestimenti particolari all’interno e all’esterno, con il tettoricoperto da una guaina di catrame telato, incollato a fuoco alcemento. Nacque in fretta, ed in fretta si mostrò inadeguata.

Il desiderio di avere maggiore spazio disponibile, don Luigi, ilparroco che veniva da Semonte, lo accarezzava da tempo, ma nonosava esternarlo perché disponeva di una struttura costruita dapoco e immaginava l’entità della cifra necessaria per un comples-so parrocchiale diverso. Ma ad un certo punto prese il coraggio a

due mani e verso il 1990 cominciò a fare qualche esternazione eloquente. Il 10 dicembre del 1991 inviò una lettera di convocazione urgente a tutti

i consiglieri del Consiglio Pastorale Parrocchiale e del Consiglio per gliAffari Economici facendo presente che il giorno 20 dicembre successivo, alleore 21.00, presso la sala “Piergiorgio Frassati” si sarebbe tenuta una riunio-ne straordinaria.

Aveva inizio l’iter ufficiale e formale delle procedure per la costruzionedel nuovo complesso parrocchiale oggetto di interesse, di studio e di elabo-razione fin dall’anno precedente.

Gli organismi collegiali erano stati investiti del problema con rigorosaprecisione e puntualità. Anche il Vescovo, mons. Pietro Bottaccioli, primoparroco della parrocchia, aveva seguito con la massima attenzione ogniaspetto dello sviluppo del progetto. Ora bisognava uscire all’esterno e cerca-re di capire quali fossero gli umori dei parrocchiani. La tecnica dell’esplora-zione del consenso fu individuata in un questionario inviato a tutte le 1.543

Chiesa di Cristo Risorto

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famiglie (circa 6.000 anime) che costituivano il patrimonio umano dellaparrocchia di Cristo Risorto in occasione della benedizione pasquale del1993. Il parroco, nel suo giro per le case, avrebbe potuto prendere atto del-l’opinione viva e diretta delle persone con cui si incontrava.

I questionari riconsegnati furono 682 e i pareri verbali raccolti sugli stes-si temi circa 160. Il livello complessivo della partecipazione, quindi, risultòsuperiore al 54%.

Il 29 aprile 1993, nella sala “Piergiorgio Frassati” della vecchia strutturaecclesiale, alle ore 21, si riunirono il Consiglio Pastorale e quello per gli affa-ri economici per l’esame della prima bozza del progetto di massima chel’Architetto Abruzzini avrebbe personalmente illustrato. Seguirono le varieosservazioni e nei primi giorni di aprile del 1994, a distanza di un anno dallaprima, era già pronta una seconda bozza di progetto che teneva conto ditutti i rilievi.

Le Autorità Comunali dimostrarono costruttiva disponibilità e larga col-laborazione nella realizzazione del progetto e dopo le rituali approvazioni daparte della Commissione edilizia, ebbero inizio i lavori di costruzione delcomplesso parrocchiale che vide la posa della prima pietra il 5 luglio 1997.

La SEAS, la Ditta che aveva vinto l’appalto, si impegnò nella realizza-zione dell’opera non solo con grande perizia e capacità tecnica, ma con quel-la sensibilità e passione che è raro trovare in ambienti del genere. Anche lealtre imprese che curarono i settori dell’impiantistica e delle varie rifiniture,lavorarono con spiccata professionalità.

Nel giro di quattro anni, l’ampio complesso parrocchiale, almeno nellasua parte essenziale, era terminato ed il 28 aprile del 2001, in pieno perio-do pasquale, il tempo più appropriato per dedicare un tempio a CristoRisorto, ebbe luogo la solenne cerimonia della dedicazione con la parteci-pazione del Vescovo mons. Pietro Bottaccioli.

Il professor Abruzzini, progettista del complesso, non solo aveva curatocon particolare attenzione il suo felice inserimento in un comparto urbani-stico già realizzato, ma aveva previsto con cura meticolosa e competente larealizzazione di particolari non secondari come gli spazi per il ciclo pittori-co e per l’organo, la pratica fruibilità di tutti i settori del complesso legati airiti liturgici (cappella feriale, sagrestia, ecc.) e la ricca simbologia che dove-va parlare ai fedeli attraverso i vari aspetti della struttura.

Entrando in chiesa, la prima cosa che colpisce è la luce. Essa oltre adessere un elemento legato alla simbologia religiosa, è anche una caratteristi-ca tipica del tempio perché gli spazi interni delle nostre chiese molto spessosi coniugano con un clima di soffusa penombra. Quella luce, tra l’altro,offre la possibilità di apprezzare il ciclo pittorico della teofania collocato nel

Chiesa di Cristo Risorto,particolare dell’interno.

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registro superiore, dietro l’altare. Si tratta di un’opera interessante realizzatada un artista brasiliano, il monaco dom Ruberval Monteiro OSB (Ordine

di San Benedetto). Il linguaggio espressivo che caratterizza il ciclo è quel-lo della semplicità bizantina, a cui l’artista si accosta senza subire conta-gi o condizionamenti imitativi pedissequi. Il primo pannello a sinistrarappresenta le pie donne al sepolcro che vanno cercando tra i morti Chiè invece tra i vivi; nel secondo pannello si assiste all’incontro tra CristoRisorto e la Madonna, mentre nel terzo, quello centrale, si celebral’Eucaristia simboleggiata dai discepoli di Emmaus. Il quarto pannelloriporta la professione di fede dell’incredulo Tommaso, e l’ultimo, che sidiscosta dagli episodi evangelici, è un messaggio generale di evangelizza-zione rappresentato dalla rete da pesca e dalla mano sinistra di CristoRisorto protesa verso il Fonte Battesimale che si trova lì accanto.

Sotto ai pannelli troneggia il grande affresco della discesa agli inferidel Cristo Risorto che è l’emblema principale del tempio. In una paretedi fianco è rappresentato Sant’Ubaldo benedicente, e nella volta, sopra ilFonte Battesimale, dalla Mano del Padre procede lo Spirito Santo informa di Colomba; le sette stelle luminose rappresentano il dono dellaluce e i quattro fiumi che sgorgano dall’unica sorgente ci riportano alparadiso terrestre, alla quadruplice estensione dello spazio e, secondol’interpretazione dei Padri, ai quattro Evangelisti.

Il ciclo pittorico è stato oggetto di un ampio servizio fotografico e diun acuto saggio critico di Valerio Vigorelli pubblicato sulla rivista speciali-stica Arte Cristiana, n. 814 del bimestre gennaio-febbraio 2003.

Anche la rivista Chiesa Oggi, architettura e comunicazione, sul n. 52 del2002, dedica al complesso parrocchiale un interessante servizio dal titolo“un’abside di gloria” che comprende più saggi scritti da valenti architetti. Ilservizio è ricco di documentazioni fotografiche che si riferiscono non solo alciclo pittorico, ma a tutta la struttura nel suo complesso.

Questa comprende, oltre ai locali destinati direttamente all’esercizio delculto, numerose e ampie sale per la catechesi, i locali di Radio ComunitàCristiana, l’emittente della parrocchia, la biblioteca ed un ampio salone perle riunioni.

Nel seminterrato, quando le finanze lo permetteranno, saranno ripresi ilavori per la sistemazione definitiva. Sorgerà un ampio teatro, i locali dellaCaritas e quelli destinati alle attività ricreative oratoriali. L’ampia superficiecoperta consentirà usi molteplici, pienamente rispondenti alle esigenze deinostri giovani e di tutti i fedeli in genere.

Roberto SCIURPAA destra: panorama di

Umbertide.

Chiesa di Cristo Risorto,interno.

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di PaolaCORTESI

A sinistra: Sergiev Posad: particolare dell'iconostasi.

SULLE ORME DEGLI ANTICHI

ICONOGRAFI

L’icona, cioè l'immagine che la Chiesa nella sua tradizione ha conse-gnato ai credenti come luogo della presenza di Dio e canale privile-giato di grazia, fonda la sua essenza nel cuore stesso della fede cri-

stiana, cioè nel mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio. Secondo la con-cezione veterotestamentaria ripresa poi dagli iconoclasti, non è possibile rap-presentare Dio, poiché qualunque immagine venga fatta di lui non può esse-re che un idolo pagano. È proprio il timore che gli adepti alla nuova religio-ne, ancora malfermi e incerti nella fede, potessero ricadere nell'idolatria portòi Padri della Chiesa dei primi secoli a diffidare delle immagini e a esortare icristiani ad astenersene. Eppure, paradossalmente, sarà proprio da questoveto a rappresentare Dio che prenderà le mosse, durante le persecuzioni ico-noclaste, la strenua difesa delle sacre immagini: san Germano diCostantinopoli e san Giovanni Damasceno nelle loro argomentazioni dimo-strano che, con l'incarnazione, tale proibizione non ha più ragion d'essere,poiché è stata radicalmente mutata la relazione fra il Creatore e le creature.

San Germano patriarca di Costantinopoli afferma: “In memoria perennedella vita nella carne del nostro Signore Gesù Cristo... noi abbiamo ricevutola tradizione di rappresentarlo nella sua forma umana, cioè nella sua Teofaniavisibile, ben sapendo che in questo modo esaltiamo l'umiliazione del Verbodi Dio”. “Un tempo Dio, non avendo né corpo né forma, non era rappre-sentabile in alcun modo. Ma poiché ora Dio è apparso nella carne ed è vis-suto tra gli uomini, posso rappresentare ciò che è visibile in Dio. Non vene-ro la materia, ma venero il Creatore della materia, che per me si è fatto mate-ria, che ha assunto la vita nella materia e per mezzo della materia ha realizza-to la mia salvezza”, ribadisce san Giovanni Damasceno, definendo contem-poraneamente l'essenza dell'icona e la relazione esistente fra l'immagine ed ilprototipo cui essa rimanda.

Ne consegue che il culto di venerazione reso all'icona non si rivolge all'im-magine, ma per suo tramite a chi è rappresentato, poiché per sua stessa essenza

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l'immagine è sempre una realtà relativa: è sempre immagine di qualcuno. San Teodoro Studita più pre-cisamente dirà che il Verbo di Dio, incarnandosi, ha preso le fattezze di un uomo, Gesù di Nazareth, daitratti inconfondibili cui l'immagine si riferisce, somigliandogli come la cera mantiene impresso il segnodel sigillo. Quei tratti sono quelli del volto umano di Dio, che l'icona rappresenta simbolicamente, nongià realisticamente come un ritratto. Nell'icona di Cristo noi possiamo contemplare, nei sembianti delVerbo di Dio incarnato, il Mistero stesso dell'incarnazione.

Funzione e collocazione dell'icona nella chiesa

Chiunque venera un'immagine, venera in essa la realtà che vi è rappresentata...” si afferma nel docu-mento conciliare che confuta definitivamente l'iconoclastia, nell'843. Nel medesimo testo si racco-manda di collocare immagini sacre, in qualunque materiale e tecnica, ovunque vivano dei fedeli, affin-ché contemplando e venerando le icone essi siano attratti dagli “eroi” della fede e seguano il loro esem-pio di vita. Infatti la venerazione non è rivolta al legno dipinto o al mosaico, ma tende attraverso di

Mosca, cattedrale di Nostra Signora di Kazan'.

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essi al modello rappresentato, che vive in una realtà diversa da quella umana, la realtà di Dio.Se questa interpretazione cristiana dell'immagine ci spiega da un lato la costante preoccupazione

della Chiesa di spiritualizzare le forme e i soggetti, creando un linguaggio espressivo allusivo e simbo-lico del divino, dall'altro ci rivela l'importanza da essa attribuita alla contemplazione e al culto dell'i-cona.

Dice Sergij Bulgakov nel suo testo Ortodossia: “L'icona è una necessità essenziale per il culto... è infat-ti un luogo di presenza di grazia, come un'apparizione di Cristo. Si prega davanti all'icona di Cristo comedavanti a Cristo stesso... L'esigenza di avere con sé e davanti a sé l'icona proviene dalla concretezza delsentimento religioso, che non si accontenta della sola contemplazione spirituale, ma cerca una vicinanzadiretta, sensibile, come è naturale per l'uomo composto di anima e di corpo... La venerazione delle santeicone si fonda quindi non solo sul contenuto stesso delle persone o degli avvenimenti in essi raffigurati,ma sulla fede in questa beata presenza, che viene data dalla Chiesa in forza del rito di benedizione dell'i-cona. Mediante la benedizione avviene nell'icona di Cristo un misterioso incontro fra colui che prega eCristo stesso...”.

Sergiev Posad: veduta dal refettorio.

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Tutte le icone, fondandosi sull'incarnazione, sono icone di Cristo: sia quelle che lo raffiguranodirettamente, sia quelle che si riferiscono ai momenti più significativi della sua vita terrena (le Feste),sia quelle che rappresentano la sua divina Madre, la “Theotokos”, nel cui corpo verginale “il Verbo siè fatto carne ed è venuto in mezzo a noi”, e che ci rivelano il volto dei santi, uomini come noi, gran-di nella fede, che nella vita hanno avuto costantemente come modello Cristo, tanto da diventare “spe-culari” a lui, immagini (eikon) di lui.

La tradizione della Chiesa, custode attenta dell'eredità apostolica, definisce e tramanda i canoni dacui l'iconografo non può allontanarsi, senza rischiare di cadere in gravi errori, poiché non è la sua per-sonale verità che deve emergere, ma la Verità di Dio.

Chi “scrive” icone, oggi come nei secoli passati, si pone al servizio della comunità cristiana, prestale sue mani ed il suo talento affinché si compia la redenzione del mondo, consapevole di aver ricevutouna precisa vocazione e un altrettanto precisa missione da compiere. Per questo gli iconografi hannosempre mantenuto un atteggiamento di obbedienza ai canoni, tanto da apparire poco creativi e perfi-no ripetitivi. In realtà l'obbedienza alla Tradizione, come l'attenzione a ogni particolare anche minimo

Suzdal: Monastero femminile della Protezione della Vergine.

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dell'esecuzione dell'opera, esprime il desiderio dell'artista di inserirsi nel grande alveo dell'eredità cheCristo ha lasciato alla sua Chiesa.

Elementi di storia e topografia

Fin dagli albori del III secolo i cristiani ricorsero a immagini per illustrare le vicende e i fondamen-ti della nuova fede. Dapprima si avvalsero di un linguaggio simbolico - come si può vedere nelle cata-combe - che rimandava metaforicamente a idee ben precise (ad esempio la salvezza per chi si affida aDio, l'immortalità dell'anima, ecc.), e non aveva nulla a che fare con il concetto di eikon, parola indi-cante ritratto o somiglianza, o comunque una rappresentazione naturalistica della realtà. Moduli, tecni-che, simboli, materiali che per secoli erano stati impiegati nella pittura parietale, nelle pavimentazionimusive o nella ritrattistica funeraria passarono agli artisti cristiani, che se ne appropriarono, attribuen-do loro significati nuovi.

Nell'icona cristiana confluì l'eredità del mondo antico, che conosceva il ritratto profano, come ci

Mosca: Monastero di Novodevici, interno.

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attestano i ritratti funerari delll'Egitto tolemaico (I sec. a.C.-IV d.C.), noti come “ritratti di El-Faijum”,cui veniva attribuita la facoltà di far sopravvivere accanto ai suoi familiari il defunto, il cui volto venivarappresentato nel pieno vigore della vita sopra una tavoletta di legno appositamente preparata; quelritratto, posto sulla mummia come se il volto si affacciasse dall'involucro delle bende, garantiva il pro-lungarsi del dialogo fra i vivi e il morto, che veniva fra conservato nella sua casa, nella stanza riservata aidefunti, dentro appositi armadi. La tecnica impiegata in questi ritratti passa alla pratica cristiana dellapittura di icone.

Le prime icone

Sappiamo bene inoltre che i “divini imperatori” di Roma facevano giungere in tutte le province del-l'impero il loro ritratto, affinché i sudditi anche delle più remote regioni conoscessero la loro persona.Al ritratto dell'imperatore si attribuiva quella caratteristica di imago efficiens per cui chiunque ne vede-va il ritratto vedeva l'imperatore, e ogni decisione presa (per esempio nei tribunali, dai magistrati al

Suzdal: Monastero di S.Eufimio, affresco.

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cospetto di un ritratto imperiale), era ordine indiscutibile dell'imperatore stesso. Questa teoria, deriva-ta dal pensiero neoplatonico, venne assunta dai Padri della Chiesa per dare una giustificazione teoreticaalla presenza reale del Santo nella sua rappresentazione. Dice Atanasio di Alessandria, nel IV secolo:“Nella rappresentazione sta l'idea e la persona... la somiglianza è la stessa nei due casi”.

Il cristianesimo aveva già raggiunto una certa maturità e una notevole diffusione quando si cominciòa rappresentare Cristo, la sua vita ed il suo martirio. Le icone più antiche possono essere datate alla primametà del IV secolo, quando in seno alla Chiesa (sollecitata dalle nascenti eresie) si fece più precisa lacoscienza della natura teandrica di Cristo, e i Padri stabilirono nei Concili che le immagini avrebberopotuto essere d'aiuto al consolidamento della fede: si diffusero così le rappresentazioni di Cristo, dellaMadre di Dio e dei santi. Le prime icone furono eseguite a encausto, un antica tecnica (risaliva agli egi-ziani) che si avvaleva della cera come medium: i pigmenti miscelati in essa venivano praticamente fusi nelsupporto di legno con un arnese incandescente. Questa metodica consentiva risultati assai soddisfacentipoiché i colori, inattaccabili all'umidità risultavano trasparenti, caldi e profondi. Era questa la tecnicacon cui erano stati eseguiti i ritratti di mummie egiziane di cui si è parlato sopra; dipinti su tavolette di

Suzdal: Monastero di S.Eufimio, Cristo lava i piedi a S. Pietro (part. affresco).

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legno, i loro volti erano idealizzati e un particolare risalto veniva dato ai grandi occhi pensosi, che pare-vano guardare il mondo da cui erano partiti con un assorto, sereno distacco. Questi ritratti funerari eser-citarono una notevole influenza sulla pittura di icone anche dal punto di vista tecnico, come dimostrala considerevole somiglianza esistente fra i ritratti del Faijum del III e IV secolo, e le più antiche iconeritrovate sul monte Sinai e custodire nel monastero di Santa Caterina (VI secolo).

Purtroppo le icone più antiche sono giunte fino a noi in numero assai limitato: l'ingiuria deltempo, le circostanze climatiche e le vicissitudini storiche (guerre, incendi, terremoti) ne distrusseromolte, ma la causa che impedì in modo più determinante a una grande quantità di queste opere d'ar-te di giungere fino ai giorni nostri fu certamente la controversia iconoclasta: suscitata nel 726 dal-l'imperatore Leone III Isaurico e sostenuta anche da molti teologi, ebbe termine soltanto nell'anno843, quando fu ristabilita la venerazione della sante immagini, già affermata dai padri conciliati aNicea nel 787.

La furia devastatrice degli iconoclasti si abbatté irreversibilmente su mosaici, icone e affreschi: sol-tanto il monastero di Santa Caterina sul Sinai fu risparmiato, perché trovandosi chiuso fra terre isla-miche non poté essere raggiunto. Ma anche nei momenti di maggior recrudescenza del conflitto ico-noclastico, gli iconoduli (devoti alle icone) non abbandonarono, guidati da grandi personalità qualisan Giovanni di Damasco e il patriarca Niceforo, la difesa della pittura e venerazione delle rappre-sentazioni di Gesù, di sua Madre e dei santi, come legittimo elemento della teologia ortodossa.

Dopo il martirio dell'iconoclastia ci si accinse con rinnovata energia all'opera di decorazione dellechiese ormai spoglie. In questo periodo - il IX secolo - Costantinopoli, la grande metropoli sede degliimperatori, è il faro della magnificenza artistica. La forte centralizzazione del potere favorì grande-mente la produzione artistica: da ogni parte dell'impero furono convocati artisti per abbellire la città,e anche la pittura delle icone beneficiò di questo generale momento di prosperità. La città era parti-colarmente devota alla Madre di Dio ed in suo onore furono costruite più di cento chiese in cui tro-varono posto splendide icone, che divennero prototipi per ulteriori immagini. Tra le icone in onoredella “Theotokos” le più venerate e famose erano la “Eleousa”, la “Blacherniotissa”, la “Platitera”, la“Hlaghiosoritissa”.

Da Bisanzio alla Rus'

Nel XII secolo l'icona acquisisce le stesse squisite qualità artistiche dei mosaici monumentali, dai qualiera ovviamente influenzata: ciò è evidente per esempio nel portamento delle figure, poste sempre fron-talmente, e nell'espressione dei volti semplici, nobili, severi. L'esempio più caratteristico di questo perio-do è la famosa Madre di Dio di Vladimir a tutti nota, dipinta a Costantinopoli nel primo trentennio delXII secolo e trasferita più tardi in Russia, dove divenne l'oggetto di culto più venerato del paese.

Le Crociate fecero di Costantinopoli la loro vittima, in particolare la quarta in cui la città fu feroce-mente saccheggiata (1204). Divenuta capitale del regno latino d'Oriente, Costantinopoli rimase nelle

A sinistra: Sergiev Posad: cattedrale della Dormizione.

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mani dei veneziani fino al 1261 e fu talmente depredata e impoverita che ogni produzione artistica vifu resa impossibile. Nel 1261 Costantinopoli riacquistò la sua libertà e la catastrofe parve superata, maera ormai evidente l'indebolimento dell'impero, un tempo tanto potente. In campo culturale e artisticopareva che il ruolo di Costantinopoli fosse ormai al tramonto. Infatti durante il mezzo secolo della domi-nazione latina l'attività artistica era stata ridotta al minimo e gli artisti erano andati a lavorare nelle regio-ni limitrofe (Macedonia, Candia, Cipro) dove però erano rimasti fedeli alla tradizione bizantina, tantoche spesso è difficile determinare la provenienza delle icone di questo periodo.

Nel corso del XIV secolo l'icona torna a essere una delle forme più rappresentative dell'arte conti-nuando a seguire nello stile le principali linee evolutive del mosaico monumentale, ma su una scalaminore; per questo motivo essa divenne più delicata e raffinata, permeata da un'evidente onda di uma-nità.

Nel secolo successivo la raffinata eleganza e la manifestazione emotiva portarono a una trasforma-zione di maniera: le composizioni divennero più complesse, paesaggi e architetture si trasformarono incornici per la figura umana, lo spazio come tale divenne parte della composizione, nella quale l'ombraè completamente bandita.

Nel 1453 gli ottomani conquistarono Costantinopoli, inferendo una ignominiosa disfatta all'impe-ro bizantino, lasciandovi insanabili ferite e arrestando qualunque ulteriore sviluppo. I turchi invasero poi

Scorcio moscovita.

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rapidamente il resto dell'Europa sud-orientale, e il trionfo dell'Islam causò la crisi della fede ortodossa edella sua splendida arte. L'eredità stilistica della tradizione bizantina si mantenne viva in molti centri diproduzione artistica (la Grecia, le isole del Mediterraneo, i Balcani), dove continuò a svilupparsi con-trastando con la nuova cultura portata dagli usurpatori turchi.

La Russia, in cui l'arte dell'icona ebbe una fioritura particolare, merita un discorso a parte.Quando il principe di Kiev Vladimir si convertì al cristianesimo e prese in moglie una principessa

bizantina (985), anche l'arte della capitale giunse in quelle remote regioni. La città di Kiev, culla dellafede ortodossa russa, fu la sede dei più antichi laboratori russi di icone, in cui operavano artisti costan-tinopolitani secondo lo stile e l'iconografia della capitale. Il periodo di maggior splendore dell'iconarussa inizia con la rinascita dello stato nazionale dopo il periodo delle incursioni tatare, e la fioritura diuno straordinario movimento monastico iniziato da san Sergio di Radonez: tra la fine del XIV e l'iniziodel XV secolo opera Andrej Rublév, monaco, straordinario iconografo e santo della Chiesa russa. Il suocapolavoro, la Trinità, segna la storia, la spiritualità e l'arte dell'icona in Russia e in tutti i paesidell'Oriente cristiano. I maggiori centri russi (Vladimir, Suzdal', Novgorod, Pskov, eccetera), così comei principali complessi monastici russi elaborano proprie scuole iconografiche, in cui caratteristiche dellacultura locale si fondono con la tradizione bizantina da cui germinavano; dalla metà del XV secolo fratutti emerge Mosca, avviata a diventare centro politico e culturale del paese. Alle sue vicende sarannolegate le successive fasi di fioritura e decadenza dell'icona.

Tecniche fondamentali di esecuzione

Se l'icona è il “luogo in cui il mistero si fa presente”, nessun particolare può essere trascurato, nep-pure il più marginale, anzi è proprio l'estrema fedeltà alla tradizione e la cura dei procedimenti tecnicia garantire il legame con il trascendente. L'icona è un oggetto compiuto in sé, un microcosmo che ripro-pone la verità e la perfezione del macrocosmo di cui è riflesso, un tempio alla cui costruzione prodigio-sa concorre tutto il creato: l'uomo, gli animali, i vegetali, i minerali e ancora la terra, l'aria, l'acqua e ilfuoco, in un equilibrio misterioso in cui tutto è offerto e sublimato affinché il Bello possa esprimere ilVero.

Già la scelta della tavola richiede attenzione, esperienza e conoscenza dei canoni: si deve infatti darela preferenza a un legno compatto, poco resinoso e privo di nodi, ben stagionato, che permetta unabuona conservazione della pittura nel tempo e non diventi facile preda dei tarli. I legni più usati sono iltiglio, la betulla, il faggio, la quercia, il cedro e l'abete, a seconda dei luoghi e delle tradizioni. La tavo-la deve essere tagliata nel tronco in piena massa, il più possibile vicino al centro per garantire la massi-ma solidità, poi lasciata opportunamente stagionare e trattata contro le aggressioni dei parassiti. Per leicone di grandi dimensioni è necessario assemblare più assi, che vengono ancor oggi connesse fra loro aincastro o “a immaschiatura”, e fissate con colla e perni di legno, per scongiurare fessurazioni e spacca-ture. A questo momento è già stabilito quale sarà la “faccia” della tavola da dipingere; infatti è neces-sario destinare alla pittura la superficie che era rivolta verso il centro dell'albero, se si vorrà evitare chel'icona nel tempo possa diventare concava e deformarsi; con questo accorgimento potrà accadere che illegno diventi, al contrario, più o meno convesso, assumendo la forma “a coppo” caratteristica di molte

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icone antiche, ma in questo caso l'immagine risulterà dilatata, non deformata. Per irrobustire la tavolasi incastrano sul retro, senza l'aiuto di colle né chiodi, ma facendole scorrere in solchi rettangolari conbordi “a coda di rondine”, delle traverse, spesso in legno più duro, poste perpendicolarmente all'anda-mento delle fibre, in modo che esercitino trazioni uguali e opposte sulla superficie da dipingere. A par-tire dal XVIII secolo si introduce in Russia anche un altro sistema di rinforzo: due listelli incastrati nellospessore della tavola alle estremità in alto e in basso. Il riscontro di questa pratica permette di datare concertezza le icone del tempo.

Dopo aver tagliato, sgrossato e piallato la tavola, si passa all'esecuzione, sulla faccia da dipingere, diun incavo profondo alcuni millimetri (detto kovceg o “culla”), che simboleggia la più profonda intimitàcon Dio del personaggio raffigurato, che già vive nella dimensione divina. Questo incavo viene esegui-to a mano con scalpelli e sgorbie ben affilati, in modo da ottenere una superficie piana e regolare, maun po’ “mossa”, che consentirà alla fiamma delle candele o delle lampade di creare effetti di luci e diombre.

Eventuali difetti del legno, fessure o errori nell'esecuzione delle fasi precedenti vanno eliminati constucco, o segatura impastata a colla, applicati a spatola.

Successivamente si praticano su tutta la tavola delle incisioni diagonali disposte a griglia e si stendo-no con un pennello due strati di colla di origine animale (di coniglio o di pesce, meglio se di storione)ben calda; questa pratica, che gli antichi chiamavano “appretto”, serve a preparare il legno a ricevere

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Un altro scorcio di San Basilio e del Cremlino.

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l'operazione seguente dell'“incamottatura”, o intelatura, un altro accorgimento adottato fin dall'anti-chità per limitare il rischio di fessurazioni, dannose alla superficie dipinta. Si stende cioè sulla superficiedella tavola una tela di lino, robusta e di trama regolare, di misura di poco superiore alla tavola stessa,ben imbevuta di colla calda e la si fa aderire con cura al legno. L'utilità di questa tela è evidente: conquesto trattamento lo strato di pittura dell'icona risulterà assai più resistente alle sollecitazioni esercita-te dai movimenti del legno, e quindi più protetto da scrostamenti e strappi. Ma c'è anche un precisoriferimento teologico dietro questa operazione: il ricordo dell’avvenimento miracoloso da cui derivò agliuomini la prima icona, il “Volto non dipinto da mano d'uomo” che Gesù stesso consegnò, impresso sullino, ai messi del re Abgar, perché fosse guarito dalla lebbra. Ogni icona infatti trova il suo fondamentoin quel Volto, il Volto di Dio fatto uomo.

Operazione di fondamentale importanza è poi la preparazione del levkas (dal greco leukos), lo stratobianco che costituisce la base definitiva della pittura. Questo fondo bianco, anticamente impiegatosoprattutto a Bisanzio e in tutte le scuole pittoriche dell'area mediterranea, deve essere preparato e stesoda mani esperte, per non compromettere il risultato dell'intera opera. È un composto di colla di storio-ne e polvere fine di alabastro o di “bianco di Meudon”, fra loro miscelate secondo ben precise propor-zioni, che viene steso caldo sulla tavola con pennello e spatola, in più strati successivi (fino a sette o otto)a distanza di parecchie ore fra loro, perché possano asciugare completamente. Questa preparazione, idea-le perché costituisce un fondo omogeneo, piano, assorbente, pronto a ricevere il colore, era praticataanche presso tutte le grandi scuole toscane del Trecento e del Quattrocento.

Solo quando la tavola risulterà perfettamente rivestita di questo strato bianco, che dovrà apparireomogeneo, senza buchi né spessori o screpolature, la si potrà considerare completamente finita e mette-re ad asciugare per qualche tempo in luogo fresco e areato.

Doratura e pittura

Quando la tavola apparirà ben asciutta, si potrà passare alla sua levigatura (un tempo ottenuta conraschietti e pietra pomice, oggi con carta vetrata), per renderla liscia come avorio. Nel caso si rilevinoancora piccoli difetti è necessario ricorrere a un accurata stuccatura che li elimini. Ora la tavola passa defi-nitivamente nelle mani del pittore, che abbozzerà innanzitutto il disegno, a mano libera o servendosi dimodelli derivati dalla tradizione (le hermeneie greche, i podlinniki russi). Se il fondo dev'essere dorato, icontorni delle figure vengono incisi con una punta, per non perderne il disegno durante l'operazione delladoratura. Anche l'operazione della doratura richiede esperienza e conoscenza delle antiche tecniche e deimateriali. Il fondo deve essere inizialmente “brunito”, cioè lisciato e lucidato con una punta d'agata; poiviene “polimentato”, cioè ricoperto con alcuni sottili strati di un composto liquido di terra rossa (bolus),sego e colla organica e, una volta asciutto, nuovamente lucidato. Su questa superficie levigata e lucente siapplicano con colla diluita sottilissimi fogli d'oro che verranno ancora lucidati e, successivamente, pro-tetti con gommalacca. Nelle icone bizantine, soprattutto destinate alle chiese e alle iconostasi, il fondo erasempre dorato, perché l'oro simboleggia la luce increata di Dio, l'atmosfera del Paradiso.

Terminati tutti i passaggi della doratura, l'iconografo può iniziare il lavoro della pittura: è questo ilmomento più importante, che va accompagnato dalla preghiera e dalla meditazione sul mistero divino

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che nell'icona sarà reso visibile. Anticamente si definiva questa fase iniziale della pittura con l'espressio-ne “apertura”, perché, come il libro delle Scritture deve essere aperto per leggervi la rivelazione di Dio,così anche l'icona si deve aprire per “scrivervi” la storia della Salvezza.

Poi ha inizio la preparazione dei colori, secondo antichissime ricette. La tavolozza dell'iconografo ècostituita esclusivamente di pigmenti naturali, per la maggioranza minerali, oppure organici di originevegetale o animale; i colori sintetici oggi in commercio, anche quando riescono a imitare le tonalità deipigmenti naturali, non possono competere in brillantezza e resistenza con queste preziose sostanze colo-ranti che l'uomo conosce ormai da millenni. I pigmenti più largamente usati sono le terre o ocre, mesco-late ad altri minerali più brillanti e dalla struttura cristallina quali cinabro, lapislazzulo, malachite, azzur-rite, ematite, orpimento, realgar e altri ancora, oppure a sostanze organiche di origine vegetale quali l'in-daco, l'alizarina, il carbone, il “sangue di drago”, o animale come l'avorio, il seppia, il giallo indiano.Queste sostanze vanno naturalmente ridotte in polvere finissima e “legate” con un collante albuminoi-de come il tuorlo d'uovo o la colla di caseina. Anticamente gli iconografi aggiungevano alle loro mesti-che anche miele, resine, gomme, latte di fico, olii essenziali, fiele di bue, birra bollita: si può dire cheogni scuola avesse il suo ingrediente “segreto” per rendere i colori più resistenti e brillanti. Certo è chenessuna tecnica più recente ha potuto eguagliare la freschezza e la luminosità di quei colori, né superar-ne la tenacia.

Terminata la lunga preparazione dei colori, il pittore si accinge alla loro stesura, impiegando pennel-li morbidi ed elastici di pelo di scoiattolo o di martora, ancor oggi fatti a mano. Dapprima si stendonoi colori di fondo nella tonalità più scura, poi si passa alle vesti, e infine si colora l'incarnato con unamistura di terre e pigmenti di tonalità bruno-verdastra, che i bizantini chiamavano sankir'.

Successivamente si passa alle “lumeggiature” sulle vesti, sugli edifici, sugli incarnati cioè si schiari-scono aree sempre più limitate, in modo da creare il senso del volume, come se tutto fosse illuminatodall'interno. Gli ultimi tratti, cioè i punti di massima luminosità, vengono sottolineati con bianco quasipuro, mentre i volumi delle vesti sono spesso ricoperti da sottili tratti d'oro, l’assist.

Le iscrizioni

L’ultima operazione è costituita dalla “iscrizione”: l’iconografo scrive il nome del personaggio o dellafesta rappresentati nell'icona. Questa scritta (in latino, greco o altra lingua liturgica), suggellando lafedeltà dell'icona al prototipo, dichiara che quanto è visibile in immagine è realmente presente e parte-cipe della liturgia celeste. Le iscrizioni sulle antiche icone, in greco o in slavo ecclesiastico, presentanofrequenti abbreviazioni e la loro interpretazione richiede una certa esperienza dell'argomento. La formadelle lettere, soprattutto nelle icone russe, varia notevolmente a seconda delle epoche. Nel XII sec., peresempio, i caratteri erano molto semplici; nel XIV sec. appaiono assai più massicci e monumentali, conlinee verticali accentuate che ritmano fortemente l'iscrizione. Nei sec. XV-XVI diventano più esili, men-tre va diffondendosi una scrittura corsiva leggermente inclinata verso destra. La Scuola degli Stroganovfarà sempre uso di una forma di scrittura arcaica, con caratteri alti e intrecciati fra loro. Nel sec. XVIIIi caratteri restano sempre alti, ma con verticali molto fitte e spesse. Risulta quindi utile al fine di datareun'icona osservare la forma dei caratteri usati per l'iscrizione, purché naturalmente quest'ultima non sia

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stata aggiunta successivamente, in occasione di un restauro.Quando l'ultimo tocco di pennello è stato dato (dopo qualche giorno necessario alla completa asciu-

gatura) si procede alla “verniciatura” dell'icona, operazione che ha lo scopo di fissare saldamente al sot-tostante supporto di legno, tela e gesso lo strato superficiale dei colori, oltre che di proteggere la pittu-ra da polvere e agenti atmosferici. Viene impiegata una vernice grassa, la cui ricetta è stata conservataper secoli nei monasteri dell'Athos, a base di olio di lino cotto con aggiunta di resine e sali minerali, cheprende il nome di olifa. Poiché col trascorrer del tempo questa vernice tende ad annerire, le icone anti-che e vecchie risultano tutte di colorito molto scuro, tanto che in passato si riteneva che questo fosse illoro aspetto originario; i primi restauri scientifici eseguiti all’inizio del nostro secolo hanno rivelato almondo intero la gioiosa vivezza degli splendidi colori del passato. Tutto il lavoro descritto non basta diper sé a realizzare veramente un'icona: senza la benedizione avremmo solo un pezzo di legno dipinto. Èl'opera dello Spirito, attraverso la Chiesa, che rende quel legno dipinto un “sacramentale”, veicolo effi-cace della grazia divina, segno vivo di Dio e presenza del suo volto. L’icona è ora offerta alla venerazio-ne del popolo di Dio. Per costruirla sono state impiegate obbedienza, perizia, esperienza e genialità.

Ma soprattutto occorre ascesi spirituale, umiltà e viva fede, sorretta dalla comunità dei credenti. Ilpittore sa di aver solo “prestato le mani” al Signore affinché egli si manifestasse, sa di aver compiuto unservizio, di aver risposto alla sua vocazione. Ecco perché non firma l'opera: tutto ciò che in essa è dettonon è “suo”, ma appartiene all'eterno mistero di Dio, che egli ha contribuito a rendere più vicino all'uo-mo.

L’icona nella casa e nella chiesa

Dopo la “vittoria delle sante immagini” con cui si concluse nell'anno 843 la lotta iconoclasta, le iconesi diffusero ancor di più fra i cristiani, che non solo le veneravano nelle chiese, ma le custodivano nellecase al posto d'onore, le ponevano sulle porte delle città, le issavano come labari alla testa degli esercitisui campi di battaglia, le portavano in processione per le vie e i campi, per scongiurare pericoli o impe-trare la grazia di un raccolto abbondante. Ovunque erano viste come presenze benefiche e autorevoli,partecipi della vita umana in tutti i suoi aspetti: c'era quindi l'icona che proteggeva le partorienti, cheaccompagnava i pellegrini, che confortava gli ammalati o vegliava i moribondi, fino a quella che segui-va il defunto nella tomba, stretta fra le sue mani per precederlo come “avvocato” davanti al trono diCristo nel giorno del Giudizio.

Le icone che oggi giungono più facilmente nei paesi occidentali provengono dalla Russia e sono inmaggioranza icone di piccole dimensioni, destinate per lo più alla casa e alla preghiera domestica. Nellacasa russa infatti, almeno fino all'inizio di questo secolo, c'era sempre un piccolo santuario domestico(detto “angolo bello”), dove fra lampade e fiori erano esposte le icone protettrici della famiglia, a cui sirivolgeva una devozione cristiana intima e affettuosa. Alle icone, prima ancora che agli abitanti dellacasa, si rivolgeva il saluto dei visitatori.

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Volendo tracciare un profilostorico dell'iconografia del-l'arte cristiana d’Oriente,

non possiamo non ricordare SanGiovanni Damasceno, colui che nelVII secolo fu il più strenuo difenso-re delle immagini sacre, che gliIconoclasti volevano eliminare dallechiese e dalle case cristiane. Per lui eper l'Ortodossia le immagini sacreerano il ponte e il veicolo dell'unio-ne spirituale con un Dio che "si èfatto uomo perché noi diventassimo

Dio". E tali rimangono nel pensiero delle Chiese Orientali.Per quanto riguarda la Russia, i grandi protagonisti della cristia-

nizzazione di quelle terre furono la granduchessa Olga e i Santi fra-telli Cirillo e Metodio.

Fra il IX e il X secolo si andava formando l'arte russa cristiana, ali-mentata esteticamente dalla grande arte di Bisanzio e poi della Greciae spiritualmente dalle tradizioni dei tanti miracoli di santi locali,un'arte che raggiunse vertici di assoluto splendore nel XII secolo, conle scuole di Vladimir, Jaroslavl e Novgorod. Con l'invasione dell'Ordad'Oro dei Tartari, nel 1237, e i due conseguenti secoli di occupazio-ne, l'attività artistica si spostò verso il Nord della Russia, dove la gran-de scuola di Kiev superò quelle di Rostov e di Novgorod.

Tra il XIV e XV secolo una grande rinascita artistica ebbe i suoi

In alto: San Giorgio e il drago, icona russa, XVIII secolo, Collezione Orler.A sinistra: San Giovanni Battista «Angelo del deserto», con scene della vita,icona russa, fine del XVIII secolo, Collezione Orler.

di DavideORLER

LE ICONE

RUSSE

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protagonisti in Teofane il Greco e nel suostraordinario allievo, Andrej Rublev, meritata-mente il più noto degli iconografi russi, autore,fra tanti capolavori, di quella Trinità Angelica,davanti alla quale pregano i Russi nel museo diMosca, che la ospita, e pregano tanti cristianidi Occidente.

Caduta Costantinopoli nel 1453, toccavaalla Russia custodirne e svilupparne la gloriosatradizione artistica. Un grande maestro fuDionisij, la cui spiritualità e la cui eleganzarestano tuttora insuperabili.

Tra il XVI e il XVII secolo, pur continuan-do nelle varie scuole l'antica tradizione, vengo-no meno, via via, lo spirito religioso e la caricaspirituale delle immagini, le quali si fanno piùpreziose e più adatte al collezionismo di ricchiacquirenti che non alla contemplazione orantedei fedeli. Una produzione di straordinariovalore estetico e spirituale si afferma allora nelvillaggio di Palech.

Proprio la raffinatezza straordinaria di quella scuola facilitò il passaggio ad una produzionedi oggetti da collezionismo (gioielli, scatole, balalaiche e le famose "uova pasquali"), decoraticon scene di fantasia, che preservò l'abilità tecnica stupefacente dei vecchi iconografi, mentre siera perduto il valore spirituale cristiano del loro operare.

Dal 1917 l'inimicizia radicale del regime marxista verso ogni forma di sensibilità religiosa espirituale provocò la perdita irreparabile di un patrimonio artistico e culturale unico al mon-do, cancellato e disperso perché religioso e cristiano. A tale perdita si cerca ora di porre qualcherimedio in Russia, passata finalmente la ‘follia’ iconoclasta, perdita che è in parte compensatadalle icone portate da emigranti e da gente fuggita nei paesi dell'Europa Occidentale e quicustodite come una testimonianza inestimabile di quella grande arte che fu della cristianitàorientale, della Santa Madre Russia.

Una breve testimonianza di come è nata la collezione di Davide Orler

La prima volta che mi capitò di vedere un'icona russa, non potevo immaginare la sconvol-gente influenza che le icone avrebbero avuto nella mia vita. Ero un ragazzo, subito dopo la finedella guerra, quando fece ritorno nel mio paese di montagna, sulle Dolomiti, uno dei pochissi-mi alpini sopravvissuti alla Campagna di Russia. Aveva con sé una minuscola icona, donatagli

Madre di Dio della Passione, icona russa, inizio delXIX secolo, Collezione Orler.

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da una vecchia contadina ucraina, icona che egli considerava come il talismano che l'aveva sal-vato in quella immane tragedia. Rimase impresso in me un senso di profondo mistero, di fron-te a quell'immagine dall'alone miracoloso. Le vicende della vita mi portarono lontano dal miopaese (Mezzana di Primiero). Passai anni in Marina, nacque in me una vocazione irresistibileper la pittura; cominciai fissando sulle tele - persino sul telo della mia branda - il ricordo e ilsentimento delle mie montagne e della mia gente.

Tornato sulla terraferma, la passione di pittore mi condusse in Francia (in Provenza e inCosta Azzurra), a contatto con la sconvolgente rivoluzione di Picasso, con la grande pittura diMatisse e di Chagall; tornato in Italia finii poi per stabilirmi a Venezia.

Quale pittore, tra le infinite crisi che travagliano l'arte moderna, fui particolarmente colpi-to da quella attraversata dall'arte sacra contemporanea, che non è una crisi estetica, ma pro-priamente una crisi religiosa. E fu a Venezia che avvenne il mio decisivo incontro con le iconerusse. Conobbi un gruppo di studenti del Bolscioi di Mosca. Erano alla Fenice, volevano pro-lungare ancora un po’ il loro soggiorno a Venezia; mi offrirono un piccolo gruppo di icone cheavevano portato con loro. Qualcosa scattò in me, quando ebbi in mano quelle tavole, con queifondi oro che evocavano una grande tradizione, religiosa e artistica, tramandata nei secoli dallastoria russa: tradizione che aveva fortemente commosso Matisse nel suo viaggio in Russia, agliinizi del secolo, tradizione nella quale Chagall aveva affondano le proprie radici, mantenendo-la fino all'ultima sua produzione pittorica nelle grandi raffigurazioni della sua Bibbia.

Con il crescere di una collezione ci si rende man mano conto dei suoi limiti e delle suepotenzialità: pertanto, con uno studio più approfondito su tutta l’iconografia orientale, mi resiconto di come la Grecia aveva influenzato la Russia e la Russia, a sua volta, gli Stati Slavi, viavia che il Cristianesimo si diffondeva e si consolidava. Di conseguenza, il bisogno della fede cri-stiana di manifestarsi anche attraverso le immagini fece sì che, mentre la Russia, forte della tra-dizione greca, sviluppava svariati stili sempre più aggiornati, gli altri Paesi rimasero artistica-mente ad un livello, per così dire, naïf.

Cominciai a raccogliere icone, dapprima cercando, non senza difficoltà, di intessere rappor-ti con collezionisti e con famiglie russe, poi divenendo io stesso un referente privilegiato per chivendesse icone antiche.

Desidero solo aggiungere che una mia aspirazione, quasi un'idea dominante, è sempre stataquella di poter sottrarre le icone alla dispersione, per offrirle, infine, alla visione e alla contem-plazione di tutti. Al pensiero che senza questa mia appassionata ricerca in Italia non sarebbesorta tale collezione, mi sembrano più leggeri i costi e i sacrifici sopportati, proprio alla luce diun così grande patrimonio che oggi la stessa Russia vorrebbe. Pertanto, sarà valsa la pena di sop-portare ogni sacrificio se verrà raggiunto lo scopo vero per il quale è nata l'icona: proporsi allacontemplazione silente dello spettatore, offrendo a ciascuno la possibilità di attingere a quellamistica realtà, realtà che purtroppo non tocca la superficialità dei nostri giorni e gli aspetti effi-meri dell'arte contemporanea.

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Il tempo della SalvezzaOgni giorno dell’anno e della settimana, ogni ora del giorno assumono nella visio-

ne cristiana il significato di un pellegrinaggio che sfocia nell’eterno. Non però in un

eterno indeterminato e vago, ma nel Mistero di cui il cristiano fa già su questa terra

esperienza familiare e prossima giorno per giorno, meditando e rivivendo la storia

della Salvezza che si è dispiegata nei millenni passati, dalla creazione del mondo –

atto d’amore di Dio verso l’uomo – fino all’Alleanza stretta da Dio con il popolo di

Israele e al compiersi della promessa attraverso l’Incarnazione di Cristo.

Questa dimensione nuova del tempo che la Chiesa vive quotidianamente si svela

attraverso la liturgia: il calendario sacro rivive annualmente questo Mistero attra-

verso i cicli liturgici di ogni giorno (la preghiera delle «ore» ), della settimana (che

ripercorre simbolicamente lo svolgersi della Creazione), e dell’anno, che ripropone

l’intera storia dell’umanità. Anche l’icona, parte integrante della liturgia nella tra-

dizione del cristianesimo orientale, si inserisce in questa dimensione temporale,

esprime nella sue linee e colori il «tempo della Salvezza».

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I. In cammino verso l’EternitàNella percezione del tempo propria dell’uomo medioevale passato e presente, storia sacra e storia

personale sono categorie contemporanee e parallele. Oltre allo scorrere dell’esistenza quotidiana e del

tempo storico, al ripetersi dei cicli astronomici e naturali, con le loro alternanze (stagioni, mesi, set-

timane, giorni), la cultura cristiana assume e assimila la concezione biblica del tempo, inteso come

processo escatologico, drammatica attesa della venuta del Messia – evento ultimo e definitivo, che

doveva mutare e determinare tutto il corso della storia. Per questo, nel cristianesimo il tempo assu-

me un carattere escatologico, proteso verso il futuro. Ogni chiesa possedeva dodici icone menologiche

che rappresentavano le feste e i santi secondo l’ordine della loro celebrazione nel ciclo annuale; il

numero dodici, che era anche il numero delle feste liturgiche principali, degli apostoli, delle tribù di

Israele, delle pietre angolari e delle porte della Gerusalemme celeste, aveva un particolare significato

nella simbologia cristiana.

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1. Menologio annuale

Icona russa, XIX sec.71,5 x 53,3

Le icone menologiche erano generalmente esposte nelle chiese, perché servivano da riferi-mento ai fedeli per il calendario liturgico. Ogni chiesa possedeva queste icone, che potevanoraccogliere in un’unica tavola, come in questo caso, l’intero ciclo annuale, oppure raffigurareuno o più mesi. Le chiese possedevano inoltre delle serie di tavolette di piccole dimensioni, raf-figuranti tutte o almeno le principali feste liturgiche, e che venivano esposte di volta in volta alcentro della chiesa, su appositi leggii.

L’icona in esame, di grande raffinatezza, inizia nel computo dell’anno liturgico dal mese digennaio e presenta al centro la raffigurazione della Pasqua, nella sua tipologia più ricca di par-ticolari, e il ciclo della Passione: dall’alto a sinistra, vediamo la Lavanda dei piedi, l’Ultima cena,la Preghiera nel Getsemani, il Bacio di Giuda, Cristo davanti a Caifa, davanti a Pilati, laFlagellazione, la Coronazione di spine, la Salita al Calvario, la Crocifissione, la Deposizionedalla croce, la Deposizione nel sepolcro.

Tutt’intorno, la raffigurazione delle icone mariane più venerate nel mondo orientale esoprattutto in Russia (ben 48 soggetti), a testimoniare la ricchezza della devozione mariana e lasua diffusione. Ogni icona presenta una scritta che segnala il titolo dato in essa alla Vergine.

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2. Iconostasi portatile

Icona russa, fine XVIII sec.50,5 x 150

Il polittico in esame riproduce in miniatura un’intera iconostasi, cioè la parete di icone chenella chiesa bizantina separa la navata dal presbiterio. Si tratta di un’iconostasi «da viaggio», cioèrealizzata in modo tale da poter essere facilmente piegata e riposta durante gli spostamenti, percelebrare la liturgia.

Il programma iconografico dell’iconostasi si sviluppa secondo cinque registri orizzontali, cia-scuno dei quali trova la propria chiave interpretativa nelle figure centrali, verso cui converge ilmovimento ai lati. Nel suo complesso, l’iconostasi rappresenta la storia della Salvezza che si dis-piega nel corso dell’intero anno liturgico. Dall’alto vediamo rispettivamente gli ordini deipatriarchi e dei profeti, ciascuno dei quali ostende il rotolo oppure il proprio simbolo; in mezzoad essi si affaccia la Madre di Dio del Segno, ai cui lati sono visibili i re Davide e Salomone.

Immediatamente sotto, le scene centrali del mistero della salvezza, cioè la crocifissione e laresurrezione, e ancora più sotto l’Ultima cena, istituzione dell’Eucarestia, che fanno da corona-mento al registro delle feste. Interessante rilevare che le scene delle feste non sono disposte insequenza cronologica da sinistra a destra, come avviene solitamente nell’iconostasi. Un altroparticolare anomalo rispetto alle iconostasi di grandi dimensioni è il terzo registro, dove appaio-no gli apostoli.

Nel registro più in basso, al centro si aprono le porte regali, con la raffigurazione canonicadei quattro evangelisti e dell’Annunciazione. Ai lati, appare l’ordine della Deesis, mancante diCristo in trono, in cui sono simmetricamente rappresentati, secondo la consuetudine, la Madredi Dio e Giovanni Battista, gli arcangeli Michele e Gabriele, cui seguono santi diaconi, vescovie monaci. Curiosamente, in questa teoria mancano gli apostoli Pietro e Paolo, inseriti sopra, nelregistro degli apostoli.

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3. Volto di Cristo

Icona russa, fine XVII, inizio XVIII sec.50 x 39,5

La tradizione bizantina raffigura sempre nel Cristo il vero Dio e il vero uomo: questi dueaspetti dell’Incarnazione in Lui si compenetrano misteriosamente e profondamente, esprimen-dosi diversamente ma costantemente in tutte le epoche e le scuole iconografiche. Nell’opera inesame, purtroppo, il nimbo e il fondo sono andati perduti a causa dei danni del tempo, e quin-di iscrizioni e attributi consueti del Pantocratore (cfr. per l’iconografia cat. nn. 66-71) sonoscomparsi. Resta però il Volto santo, dai grandi occhi scrutatori, severi e misericordiosi insie-me, che caratterizzano sempre l’effigie di Cristo nell’iconografia russa.

L’icona in esame appartiene alla scuola pittorica che trova il suo esponente di maggior spic-co in Simon Uakov, l’artista moscovita che determinò nel XVII secolo gran parte dello svilup-po dell’icona. La maniera introdotta da Uakov prevede un modellato del volto che supera latradizionale bidimensionalità caratteristica dell’icona per assumere un rilievo plastico naturali-stico. In ogni caso, l’opera in esame mostra un armonioso compenetrarsi tra la maniera più tra-dizionale, che permane nella pittura delle vesti, dei capelli e della barba, e quella più naturali-stica del volto. Ne scaturisce un’effigie solenne e umana insieme, che nell’intento dell’icono-grafo basta da sola, senza attributi esteriori, a caratterizzare i sembianti del Salvatore.

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4. Occhio onniveggente di Dio

Icona russa, inizio XIX sec.70,7 X 57

L'icona in esame presenta una tipologia piuttosto rara e tardiva, che si distacca dalla tradi-zione iconografica legata agli eventi storici della Redenzione, per svolgere invece un tema astrat-to; si tratta della tendenza a creare immagini «mistico-didattiche», quasi trattati teologici perimmagini, già condannate dai Concili di Mosca del XVI secolo come elucubrazioni teologicheastratte, senza riscontri nelle Scritture. Queste tipologie tuttavia rimasero in uso fino agli inizidel nostro secolo, come rispondenti a un gusto erudito e sottile, spesso piuttosto cervellotico.

Cristo Emmanuele è raffigurato nel disco centrale, che richiama alla patena su cui si depo-ne l'Eucarestia; nei cerchi concentrici intorno a lui vediamo gli astri (il solo, rosso, con linea-menti umani), il firmamento blu (in cui di solito sono raffigurate le stelle); nel cerchio più ester-no invece generalmente sono disegnati dei serafini. In altri termini, l'occhio divino, l'intelli-genza divina, scruta tutta la volta dell'universo, raggiungendone ogni angolo con il calore delsole vero, l'amore che si sprigiona da Lui, offerto nell'Eucarestia all'umanità.

Se si considera la verticale della composizione, si nota in alto la raffigurazione di Dio Padre,sotto di Lui della Vergine, e infine di Cristo: è il simbolo dell'incarnazione, realizzata da Dionel Figlio attraverso il «fiat» della Madre di Dio. Infine, nei quattro medaglioni rossi agli ango-li, sono raffigurati gli evangelisti, che portano agli estremi confini della terra il Verbo divino(simboleggiato dai quattro raggi che si dipartono dall'Emmanuele).

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5. Salvatore di Smolensk

Icona russa, XIX sec.19,2 x 24,2Riza in argento datata Mosca 1834

Il modulo iconografico, benché rapportabile ad antichissimi modelli (X secolo), si diffondesolo nel XVI secolo, con la denominazione di Salvatore di Smolensk, che ne collega l'originealla storia del principato moscovita. Nel 1514, infatti, l'esercito di Mosca riconquistò la città diSmolensk, da più di un secolo in mano ai principi lituani; l'ingresso delle armate nella cittàavvenne il primo agosto, giorno in cui fin dal XII secolo si celebrava in Russia la festa delSalvatore. In relazione a questa coincidenza, Vasiliij III volle ricordare la presa di Smolenskfacendo collocare sulle porte Florovskie del Cremlino di Mosca, un'icona del Salvatore a figuraintera, con i santi Sergij di Radonez e Varlaam di Chutyn' prostrati ai suoi piedi. La festa del1° agosto è dedicata al «Salvatore infinitamente misericordioso», ed è recepita come «la festadella fede nella sconfinata misericordia di Dio, nel fatto che Dio nella sua bontà è incredibil-mente vicino all'uomo e pronto a difenderlo in ogni disgrazia e sventura». E all'idea di prote-zione rimandano anche le immagini sulle porte del Cremlino di Mosca, rispondenti all'usanzaviva in Russia fin dall'antichità di esporre immagini sacre sulle porte della città per proteggerechi vi entra e chi ne esce. Pregevole la basma in argento eseguita a Mosca nel 1834.

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6. Cosmocrator “Salvatore del mondo”

Icona russa, XIX sec.17,5 x 23Riza in argento datata 1884

Antichissima raffigurazione del Cristo, l'immagine del Pantocrator ha origine in Egitto e inSiria. L'arte bizantina, che ne lascia il più antico esempio nella cupola della chiesa di S. Sofia aCostantinopoli, elabora un tipo iconografico organicamente rispondente alle istanze religiose eall'atmosfera socioculturale dei primi secoli dell'impero cristiano.

La raffigurazione del Pantocrator rifletteva l'assenza della religiosità bizantina: adorazione delDio grande e potente, a cui l'uomo può avvicinarsi solo con paura e trepidazione. Il possentePantocrator solitamente occupava la cupola della chiesa, e dominava con lo sguardo tutto l'in-terno. Sotto l'influenza dei maestri di Bisanzio, l'immagine penetrò nell'arte russa intorno al XIsecolo. L’icona in esame rappresenta il Cristo Pantocrator a mezzo busto, contrassegnati dal par-ticolare del globo del Mondo tenuto nella sinistra. Pittura raffinata ed efficace, con le velaturesfumatissime proprie dei pittori russi della scuola romantica dell’800, caratterizzati dalla gran-de intensità espressiva e dagli abilissimi mezzi tecnici. La tavola è arricchita da una basma inargento sbalzata e cesellata realizzata da un maestro nel 1884.

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7. Madre di Dio della Tenerezza

Icona russa, XVIII sec.32,5 x 28,5

L’icona presenta una tipologia abbastanza inconsueta della Madre di Dio, che sopra il con-sueto maphorion color rosso ciliegia porta un corto velo rosso intenso. È una tipologia cheincontriamo fin dal periodo più antico dell’iconografia russa (un bell’esempio ci è offerto daun’icona della Madre di Dio con Bambino, della fine XII-inizio XIII sec., nella cattedrale dellaDormizione nel Cremlino di Mosca). La simbologia del velo rosso è un’allusione alla Passione,al sangue versato da Cristo nella sua Passione salvifica. Interessante notare che questa tipologia,per quanto rara, trovò diffusione in tutto il mondo cristiano: non sono rare icone con questoparticolare nelle aree della Puglia e della Calabria.

Di rosso è vestito anche il Bambino, che ha le gambine scoperte, a sottolineare la sua doci-lità e prontezza al sacrificio; infine, anche il gesto di tenerezza tra la Madre e il Figlio allude allacompartecipazione di Maria al sacrificio redentivo del Figlio (per l’iconografia della Madre diDio della Tenerezza cfr. in particolare la Madre di Dio della Tenerezza di Vladimir, cat. n. 49).

Molto efficace il volto della Vergine, essenziale ed espressivo lo sguardo dei grandi occhiafflitti.

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8. Trittico con la Madre di Dio e santi

Icona russa, XIX sec.62 x 77Riza in argento

Il trittico in esame, connotato da una notevole raffinatezza sia nella pittura che nel lavoro dioreficeria, presenta al centro la Madre di Dio con Bambino, e ai lati una serie di santi raccoltiin preghiera.

Nella sequenza liturgica, le icone mariane occupano un posto privilegiato, come abbiamo giàvisto nei menologi alle tavv. precedenti. Non si tratta tuttavia solo di un devoto culto, bensì diuna costante sottolineatura, all’interno del tempo liturgico, dell’Incarnazione, di cui le iconemariane sono il simbolo per eccellenza. Lo testimonia anche la presenza del SalvatoreAcheropita (per l’iconografia cfr. cat. 64), che nel trittico sormonta la raffigurazione centrale.

Alcune particolarità iconografiche fanno pensare che l’opera sia da collegarsi a una commis-sione particolare: la tipologia mariana è infatti abbastanza insolita, la «Madre di Dio Odigitriadi �uja», legata all’omonima città, in provincia di Smolensk, dove nel 1564 l’effigie fu dipintaper impetrare la grazia che cessasse una terribile epidemia di peste. Rispetto all’Odigitria, que-sta variante ha un carattere più intimo e familiare: si noti la peculiarità del gesto della Vergine,che tiene un piedino del Bambino, mentre questi, solitamente benedicente, nella destra tiene ilrotolo della legge, e con la sinistra si afferra l’altro piedino.

Sulle ante laterali, in alto è raffigurata l’Annunciazione, e più sotto schiere di santi in pre-ghiera.

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9. Santi da invocare in tutte le circostanze della vita

Icona russa, XIX sec.54 x 47

Questo tipo di opere, raffiguranti santi «a cui il Signore ha donato una speciale grazia di gua-rire le infermità e di portare soccorso in altre necessità» (come dice il titolo), avevano ampia dif-fusione nell’iconografia del XIX secolo.

Al centro dell’icona sono disposte quattro icone mariane, dall’alto a sinistra rispettivamentela Madre di Dio di Kazan’, la Madre di Dio di Fëdor, la Madre di Dio di Tichvin e la Madredi Dio del «Roveto ardente», con l’indicazione delle loro feste e delle grazie da chiedere a cia-scuna di esse; ad esempio, leggiamo che alla Vergine del «Roveto ardente» (così denominata inmemoria dell’episodio biblico, in cui l’arbusto che bruciava senza consumarsi è simbolo dellaperenne verginità di Maria), bisogna rivolgersi «per essere preservati da incendi e dalla folgore.4 settembre»; la Madre di Dio di Fëdor (una variante della «Tenerezza» caratterizzata dalla gam-bina denudata del Bambino, patrona del casato imperiale dei Romanov), veniva pregata per«scampare i parti difficili. 16 agosto»; la Madre di Dio di Tichvin era particolarmente efficace«per proteggere la salute degli infanti. 26 giugno», e alla Madre di Dio di Kazan’ si ricorreva«per ottenere la vista agli occhi accecati. 8 luglio».

Tutt’intorno, secondo lo stesso principio, sono disposte le raffigurazioni di santi, con l’indi-cazione dei giorni in cui ricorre la loro memoria, e anche delle malattie o di altre calamità nellequali bisogna rivolgersi all’uno o all’altro di essi per riceverne aiuto. Solo per fare alcuni esem-pi, nella tradizione popolare si era soliti rivolgersi a Giovanni Battista (il primo da sinistra inalto), per essere guariti dal mal di testa, e a Gurias, Samonas e Abibo, i primi tre del secondo,per liberare dall’infedeltà i coniugi.

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10. Giudizio universale

Icona russa, inizio XIX sec.90 x 73,5

Oltre ai testi dell'Apocalisse di san Giovanni, alla base dell'iconografia del «Giudizio univer-sale» troviamo alcune parabole evangeliche e profezie veterotestamentarie, come pure vite disanti e apocrifi (ad essi si riferiscono le lunghe scritte verticali ai lati della composizione).

Al centro della composizione appare la raffigurazione di Cristo Giudice nella gloria, benedi-cente. Ai suoi lati sono ritti in preghiera la Madre di Dio e Giovanni Battista, i dodici aposto-li sono assisi in trono con i libri aperti (Mt 19,28). Più sotto, alla destra e alla sinistra di Cristo,sono raffigurati giusti e peccatori, che si presentano al Giudizio (Mt 25,31-46); al centro vedia-mo l'Etimazia, il trono preparato per il Giudizio, su cui sono posati la veste di Cristo e ilVangelo aperto, assimilato qui al Libro della Vita di cui parla l'Apocalisse (Ap 5,1-3). Dietro iltrono è visibile la croce del Calvario, allusione al sacrificio che dà al Salvatore il diritto di apri-re il Libro e giudicare il mondo (Ap 5,9-10).

Poco più in basso, a sinistra, nei giardini dell'Eden a cui i giusti stanno accedendo attraver-so le porte del paradiso, vegliate da un cherubino (Gen 3,24), sono rappresentati i patriarchiAbramo, Isacco e Giacobbe con le anime dei giusti (il «Seno di Abramo», cfr. Lc 16,22).

Nella parte inferiore dell'icona vediamo la raffigurazione dell'inferno. A destra è rappresen-tato l'Ade con Satana che tiene fra le braccia l'anima di Giuda. Da Satana parte una catena cheavvince tutti coloro che entrano tristemente all’inferno, sospinti a sinistra da un demonio.

Tra i soggetti che ricorrono solo nell'iconografia russa tardiva, appaiono la raffigurazione delserpente, che dall'inferno striscia fino al trono dell’Etimazia; sulle spire del serpente appaionocerchi con i nomi delle prove attraverso cui deve passare l'anima umana per purificarsi dei pec-cati e giungere nel Regno dei cieli. In basso, i vari supplizi a cui sono condannati i peccatoriall’inferno.

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11. Giudizio universale

Icona russa, XVIII sec.72,3 x 61

L'icona in esame ripete nelle linee generali lo schema iconografico formatosi nell'arte bizan-tina nel X-XI sec. (cfr tav. precedente), ma presenta anche una serie di motivi nuovi, legati ainuovi influssi del gusto occidentale.

Un rilievo particolare nella composizione dell'icona occupa la raffigurazione di Cristo giu-dice, coronato dagli angeli con gli strumenti della Passione, dalle figure oranti della Madre diDio e di Giovanni, mentre ai suoi piedi si prostrano Adamo ed Eva.

Ampiamente rappresentato è anche il Paradiso, secondo lo schema precedentemente già illu-strato (in alto a sinistra appaiono anche le dimore dei giusti nella Gerusalemme celeste, rap-presentate attraverso il palazzo dorato); al contrario, l’inferno è ridotto alla fiammata rossa nel-l’angolo destro inferiore. Fra il corteo dei giusti e l’inferno, è visibile il «tiepido», raffiguratocome un uomo nudo legati a una colonna, rifiutato sia dall’inferno che dal paradiso.

Caratteristica l'illustrazione delle visioni escatologiche del profeta Daniele (Dn 7-8); singolielementi di tali visioni erano già inseriti nello schema iconografico del Giudizio universale, masolo dal XVI sec. esse vennero illustrate addirittura integralmente, acquistando il significato diun soggetto autonomo che completava la scena del Giudizio: appaiono le raffigurazioni allego-riche della terra e del mare che restituiscono i loro morti (Ap 20,13), gli angeli che suonano latromba, annunciando la resurrezione e il Giudizio, e quattro bestie alate, che simboleggiano iregni della terra: Babilonia, la Persia, la Macedonia e il regno dell'Anticristo.

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2. Il tempo dell’attesaLa dimensione temporale, iniziata con il peccato originale dei nostri progenitori, fin dal primo

istante si carica di straordinaria tensione e drammaticità, peccato e morte, lotta e sofferenza. Per que-

sto la vita quotidiana, storica, viene intesa dall’uomo medioevale come una realtà precaria, ambi-

gua, che non può diventare tema principale dell’icona, un’arte incentrata sulle verità eterne, incor-

ruttibili. Grazie alla redenzione operata da Cristo, il tempo riacquista invece la propria pienezza, e

la storia recupera la dignità di oggetto di rappresentazione, in una parabola che conduce il tempo a

sfociare di nuovo nell’eternità dopo il Giudizio universale e la resurrezione dai morti. Proprio que-

sto conferisce all’esistenza umana speranza e attesa di salvezza, la identifica come un cammino

appassionatamente teso verso l’eternità, vittorioso sul tempo. Così, i santi raffigurati sulle icone non

sono fissati in un istante effimero della loro vita, ritratti in un luogo concreto, ma mostrano il loro

volto ideale che unisce insieme le sembianze umane dell’esistenza reale nella carne, uno spirito sub-

lime e una carne trasfigurata e incorrotta, in cui si riflette già la vittoria sul tempo e la comunione

con l’eterno. In altre parole, l’icona del santo è l’effigie atemporale di un uomo che già partecipa del-

l’eternità. Carico di questa attesa è in particolare il periodo dell’anno liturgico che prepara al Natale,

e in cui il popolo cristiano rivive l’attesa dei giusti dell’Antico Testamento.

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12. Madre di Dio «Roveto ardente»

Icona russa, inizio del XIX sec.37,6 x 28,3

Questa iconografia risale al racconto veterotestamentario dell’apparizione di Dio a Mosè nelroveto ardente (Es 3,1-5). Le interpretazioni dei Padri e i testi liturgici vedono in questo sog-getto un archetipo dell’incarnazione del Figlio di Dio, e nel roveto ardente uno dei principalisimboli veterotestamentari della Madre di Dio.

Al centro della composizione appare la raffigurazione a busto della Madre di Dio con ilBambino sul braccio sinistro. Con la destra la Madre di Dio trattiene sul petto la scala e ilmonte della Gerusalemme celeste, su cui è raffigurato Cristo con la corona regale in testa.

Le figure della Madre di Dio e del Bambino sono collocate sullo sfondo di due rombi incro-ciati, verde e rosso, e di una rosa a otto petali. I rombi verde e rosso formano la «mandorla glo-riosa» della Madre di Dio, che genera il Logos divino restando Vergine così come il roveto ardesenza consumarsi. Agli angoli del rombo rosso sono rappresentati i quattro esseridell’Apocalisse, l’angelo, l’aquila, il bue e il leone, simboli degli evangelisti che portano nelmondo la novella di Cristo. Sullo sfondo del rombo verde e della rosa sono raffigurate le «schie-re incorporee», angeli, serafini e cherubini, qui raffigurati come «signori degli elementi natura-li» (vento, bufera, pioggia, neve, fulmine, calore, grandine, oscurità).

Il tema dell’adorazione delle schiere angeliche davanti all’Incarnazione del Figlio di Dio nel-l’icona del «Roveto ardente» risale probabilmente all’innografia mariana. La festa dell’iconaviene celebrata il 4 settembre.

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13. Il profeta Zaccaria

Icona russa, Palech, XIX sec.34,5 x 35

La memoria del profeta Zaccaria, sacerdote del tempio di Gerusalemme, cade insieme aquella di santa Elisabetta il 5 settembre: è la festa della Concezione di Giovanni Battista all’ini-zio dell’anno liturgico, a indicare l’inizio della Salvezza di cui proprio suo figlio sarà chiamatoad essere l’ultimo profeta e il primo testimone.

La strana conformazione della tavola, un tondo, fa pensare che fosse inserita in un’iconosta-si, all’interno del registro dei profeti. Nell’iconostasi (per l’iconografia cfr. cat. n. 3), i registridedicati all’Antico Testamento (patriarchi e profeti) occupavano la zona superiore; seguivano iregistri delle feste e della Deesis, in cui la salvezza si dispiegava nelle sue dimensioni storica edescatologica. Le vesti di Zaccaria sono quelle caratteristiche dei sacerdoti del popolo di Israele,con un gusto decorativo e arcaicizzante molto raffinato che fa pensare alle botteghe di Palech eMstëra, nel governatorato di Vladimir, che dipingevano nello stile del XVI secolo.

Al ruolo profetico di Zaccaria e di Giovanni Battista allude la scritta che il sacerdote mostracon la sinistra, mentre atteggia la destra nel gesto oratorio tipico dell’iconografia: in questomodo, l’icona acquista il carattere di un inno, pronunciato dallo stesso Zaccaria. Si tratta del«Benedictus», di cui sono qui rappresentate le prime parole: «Benedetto il Signore Dio diIsraele, che ha benedetto e redento il suo popolo...»: davanti al figlio che gli è nato, e in cui rico-nosce la presenza misteriosa di Dio, la lingua di Zaccaria si scioglie in un cantico che è tra i ver-tici poetici e spirituali della Sacra Scrittura.

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14. Natività della Madre di Dio

Icona russa, fine del XVIII sec.Rivestimento in argento, 31,2 x 26,5

L’icona rappresenta una ricca variante iconografica della Natività della Madre di Dio. Laparte superiore è dedicata alla tradizionale scena dell’offerta dei doni, che da lungo tempo fun-geva da fondamento per tutte le raffigurazioni dedicate a questo tema. Vi appare Anna, adagiatasul giaciglio verso cui generalmente si dirige un gruppo di vergini che offrono doni (coppe ecalici) e ventagli, conferendo all’evento raffigurato il carattere di un solenne rituale. Qui inve-ce, l’evento assume un carattere più intimo, lirico, perché alla madre è portata la neonata, men-tre il padre Gioacchino fa festa alla tavola imbandita. La parte inferiore dell’icona è occupata daun altro episodio dell’infanzia di Maria: le ancelle fanno il bagno alla neonata – una scena d’ob-bligo in tutte le raffigurazioni di nascita nell’iconografia ortodossa.

Una particolarità dell’icona è certamente la ricchezza di elementi scenografici e decorativi,ben visibili anche nel rivestimento in argento che ricopre quasi interamente la pittura, lascian-do vedere solo i volti. L’artista non tenta di fondere tutti gli episodi del ciclo in una composi-zione unitaria, ma introduce una ripartizione dell’icona su più registri, che consentono allascena principale della presentazione della neonata di assumere una posizione dominante. Nellastrutturazione della composizione un ruolo particolare è affidato agli sfondi architettonici, lecui forme ricordano delle quinte teatrali e rimandano a motivi architettonici occidentali. Insecondo piano, appare l’«antefatto», cioè le scene della preghiera dei due genitori sterili e dellaConcezione della Madre di Dio, narrate in uno degli apocrifi più famosi, il Protoevangelo diGiacomo.

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15. Esaltazione della croce

Icona russa, fine del XVIII sec.Jaroslavl’ 88 x 68

La conformazione della tavola, un medaglione ovale inserito in una cornice di legno inta-gliato, denota che essa doveva essere incastonata in un’iconostasi, certamente all’interno delregistro delle feste. La festa liturgica, che la Chiesa celebra il 14 settembre, ricorda il ritrova-mento della preziosa reliquia della croce di Cristo da parte della regina Elena, madre dell’im-peratore Costantino, qui raffigurata a sinistra, insieme alle sue ancelle, davanti al seggio a leiriservato nella chiesa. Al centro dell’ambone, la croce è sostenuta da due ecclesiastici (la scrittaidentifica il personaggio di sinistra come il patriarca Massimo); sono inoltre visibili due diaco-ni, uno dei quali assiste il vescovo e l’altro davanti a loro intona un inno di lode, mentre il popo-lo si assiepa a venerare la reliquia. L’icona riproduce quindi la celebrazione liturgica cui i fedeliassistevano annualmente, accomunandovi coloro che l’avevano istituita e dilatandola nello spa-zio storico.

L’effetto di azione sacra che vediamo nella raffigurazione è accresciuto dallo sfondo, chericorda delle quinte teatrali. Sebbene la resa dei volti e delle figure sia pienamente tradizionale,l’icona denota la presenza di notevoli influssi occidentali, ad esempio nella scelta di non ripro-durre l’interno di un tipica chiesa orientale, con l’iconostasi e le porte regali, come solitamenteavviene in icone di questa tipologia.

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16. Sette dormienti di Efeso

Icona russa, fine del XVIII sec.Russia meridionale 31,2 x 27,3

L'icona in esame presenta un soggetto piuttosto raro: la scena descrive la vicenda di sette fan-ciulli (Massimiliano, Martiniano, Imablichio, Dionigi, Antonino, Giovanni, Esacustodiano),che secondo la tradizione rifiutarono una brillante carriera per abbracciare il cristianesimo, e persfuggire alle persecuzioni di Decio si nascosero in una grotta. Esausti dal lungo digiuno si asso-pirono. Venuto a conoscenza del loro nascondiglio, Decio ordinò di murare la caverna, ma essisopravvissero prodigiosamente dormendo per 178 anni, e destandosi solo durante il regno diTeodosio il Grande. Nel frattempo molte cose erano mutate, la Chiesa cristiana aveva trionfa-to, e la loro comparsa in vesti antiche, e le loro testimonianze dell'epoca del martirio commos-sero e convertirono molti cuori. Quando essi ebbero reso gloria a Dio con il loro racconto e laloro testimonianza si addormentarono nella morte. La loro memoria si celebra il 4 agosto.

L'icona è dipinta secondo la prospettiva caratteristica dell’icona, in cui la realtà viene pre-sentata secondo molteplici punti di vista: infatti è visibile sia l'esterno che l'interno della mon-tagna, e dai cieli aperti si affaccia benedicente Dio Sabaoth. All'occhio divino infatti la realtà èvisibile nella sua interezza, e all'occhio dei credenti che si immedesimano in Lui è già in qual-che modo possibile, attraverso la fede, questa stessa visione. I fanciulli sembrano quasi levitarenell'aria, a significare che non sono abbandonati nelle viscere della terra, ma costantementesostenuti e protetti dalla mano di Dio, che ne permette il prodigioso sonno a maggior gloria delsuo nome. La memoria dei sette martiri viene celebrata il 22 ottobre.

Sui bordi appaiono i santi patroni dei committenti: da sinistra in alto, l’angelo custode e sanPantelemone; in basso, l’imperatore Costantino e la principessa Olga.

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17. Madre di Dio «Gioia di tutti gli afflitti»

Icona russa, XIX sec.Mosca 100,2 x 56,5

L'icona in esame presenta una tipologia venerata in Russia a partire dal XVII secolo: le primenotizie risalgono al 1648, quando un'icona della Madre di Dio «gioia di tutti gli afflitti» operòmiracolosamente la guarigione di un'inferma: da quel momento le fu dedicata una festa, il 24ottobre, e la chiesa della Trasfigurazione a Mosca, dove era collocata, divenne meta di pellegri-naggi. Intorno al 1760 lo zar Pietro il Grande fece portare l'icona miracolosa da Mosca nellanuova capitale, Pietroburgo, dove fu venerata nella cappella privata della famiglia imperiale;volle inoltre che una copia dell'icona lo accompagnasse nella guerra contro i turchi.

In questo tipo iconografico la Madre di Dio rivestita di abiti regali si rivela propiziatrice del-l'umanità presso il Salvatore; la Vergine tiene tra le braccia il Figlio e insieme lo indica all'uma-nità raffigurata nei gruppi di santi e di bisognosi che le si stringono attorno.

Il colloquio tra la Madre di Dio e gli uomini è rappresentato attraverso gli sguardi e i gestidi supplica rivolti alla Madre di Dio dai santi in preghiera, ciascun gruppo dei quali porge lasua richiesta e presenta la sua necessità invocando la Vergine come soccorso nella tribolazione.Verso gli oranti sono rivolti gli angeli, «messaggeri» della misericordia della Madre di Dio, cheli confortano e ricoprono gli ignudi con un mantello. I segni tangibili della misericordia divinasono rappresentati dai fulgenti raggi dorati che emanano dalla figura della Vergine. I santi fannocorona attorno alla Madre di Dio, imprimendo alla raffigurazione un senso di luminosità eindicando la meta della salvezza da essi già raggiunta.

L’opera è in ottime condizioni di conservazione, denota una buona bottega legata probabil-mente all’ambiente moscovita e un fedele attaccamento alle tradizioni iconografiche più anti-che. Nel riquadro ai piedi della Vergine è leggibile il kondakion della festa, che recita: «O Madredi Dio da tutti celebrata, che hai generato il Verbo più santo di tutti i santi, accetta la nostraofferta e salvaci da ogni assalto del maligno, allevia le sofferenze di coloro che a te cantanoAlleluia».

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18. Madre di Dio «Gioia di tutti gli afflitti»

Icona russa, fine del XVIII sec. datata (1793) Rivestimento in argento, 34,2 x 30

L’icona riprende fondamentalmente gli elementi iconografici della precedente, a cui riman-diamo il lettore per l’iconografia. Si differenzia tuttavia da essa in alcuni importanti elementi:sopra la Vergine appare la Trinità del Nuovo Testamento (per l’iconografia, cfr. cat. n. 44), dovela colomba dello Spirito Santo appare nel medaglione in argento fra le altre due ipostasi trini-tarie, il Padre e il Figlio.

Si moltiplicano inoltre i cartigli, porti dai bisognosi e offerti in risposta ad essi, a nome dellaVergine, dagli stessi angeli. Si dispiega così, all’interno dell’icona, il dialogo orante tra i fedeli ei santi che li assistono. L’elemento più interessante è dato tuttavia dal fatto che gli stessi biso-gnosi nell’icona sono sostituiti dai loro santi patroni, che intercedono per loro: la Vergine infat-ti non è circondata, come nell’icona precedente, da folle di derelitti, ma da una schiera di santi,ciascuno con il nimbo che porta inciso il suo nome.

Ai santi si aggiungono, sulla cornice, anche quattro santi che erano evidentemente i santipatroni dei committenti: a sinistra dall’alto san Basilio di Mosca e un altro «folle per Cristo», ilcui nome è purtroppo illeggibile; a destra, Giovanni Crisostomo e santa Matrona.

Molto raffinato il rivestimento metallico in argento, che lascia interamente scoperte le figu-re dei santi, mentre riveste quelle della Vergine con Bambino, ad indicarle come il centro foca-le della venerazione.

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19. Madre di Dio con Bambino e santi

Icona russa, XIX sec.22,5 x 26,7

Quest’opera, di formato insolito rispetto alle icone, costituisce una sorta di polittico inminiatura, probabilmente destinato alla venerazione domestica e comprendente i santi patronidei proprietari o dei donatori.

L’icona è elegantemente suddivisa in tre parti da arcatelle, il fondo è dorato e inciso, deco-rato sui bordi alla «maniera veneziana» a imitazione degli smalti policromi che decoravanogeneralmente i rivestimenti metallici.

Al centro dell’arcata centrale, coronata da due angeli, è la Madre di Dio Odigitria conBambino, ai cui lati appaiono Giovanni evangelista e Giovanni Battista; nell’ordine inferiore,sono raffigurati quattro monaci, padri del monachesimo cristiano: da sinistra, Antonio,Eutemio, Onofrio (eremita all’Athos) e Saba. Nelle due arcatelle laterali, in alto, da sinistra ivescovi Spiridone e Nicola, e in basso i due martiri-guerrieri Giorgio e Demetrio.

Alla base dell’icona leggiamo alcune scritte. A sinistra e a destra sono riportate due preghie-re, rispettivamente un Tropario («Consola l’anima mia che geme e sospira e liberala da ognimale…») e un Kondakion («Agli increduli la Sovrana Madre di Dio giunse in soccorso con lasua intercessione…»). Al centro la scritta ha invece un carattere esplicativo: «Raffigurazionedella santa icona taumaturgica della santissima Madre di Dio detta “Consolazione di quantisono nel dolore e nell’afflizione”, che si trova nell’eremo dell’apostolo Andrea».

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20. Arcangelo Gabriele

Icona russa, fine del XVII sec.72,5 x 37

Come la precedente, anche quest’icona proveniva da una chiesa, probabilmente di una certaimportanza, viste le dimensioni e la raffinatezza della fattura.

Nelle vesti di Gabriele, specularmente a Michele, predomina il rosso, mentre il manto è blucupo: Michele indossa invece una tunica blu e un manto rosso. Il colore festoso di Gabriele allu-de all’Incarnazione, di cui l’arcangelo secondo la tradizione fu testimone fin dai suoi inizi, por-tando l’annuncio a Maria. La Chiesa orientale infatti, oltre che l’8 novembre, lo festeggia ancheil 26 marzo, il giorno successivo alla solennità dell’Annunciazione. La ricchezza delle vesti del-l’arcangelo rimanda anche al cerimoniale della corte imperiale, dove i dignitari portavano delledalmatiche analoghe, con preziose bordure ricamate con oro e pietre preziose. La Deesis assu-me così la valenza di solenne processione della corte imperiale, che incede per rendere gloria elode al Sovrano celeste, al Re dei re. La liturgia nasce infatti mutuando molti elementi al ceri-moniale di corte, così come l’iconografia cristiana prende modelli delle tradizioni precedentitrasfigurandoli secondo la novità radicale di contenuto che porta.

Particolari attributi angelici sono gli scettri e le spere, che gli arcangeli hanno in mano e cheformano insieme il monogramma di Cristo, «IC XC». Secondo la tradizione, anche questi attri-buti servono agli arcangeli per svolgere la loro missione, muoversi nell’universo e scrutare ciòche vi avviene.

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21. Natività di san Nicola

Icona russa, inizio del XVIII sec.31 x 27

La raffigurazione di san Nicola di Myra nell'arte russa medioevale ebbe una diffusione senzaparagoni, rispetto a ogni altro paese del mondo cristiano. Nicola è infatti, probabilmente, ilsanto più amato e venerato dal popolo russo, e le sue raffigurazioni erano presenti ovunque,nelle cattedrali e nelle chiese principali come nelle case più umili e addirittura nelle stalle.Questo determinò una molteplicità di tipologie iconografiche, molte delle quali erano scono-sciute all'arte di Bisanzio. Insieme a Giovanni Battista (cfr. cat. nn. 51-53), Nicola è l’unicosanto a cui venga dedicata - come composizione autonoma - un’icona dedicata alla sua Natività.La composizione è costruita secondo la tipologia usata anche per la Natività della Madre di Dio(cfr. cat. n. 14): al centro è rappresentata sua madre, che accoglie i doni tradizionalmente reca-ti alle partorienti; accanto a lei, seduto su un variopinto scranno, il padre del bambino, e ai piedidel letto materno, la scena del bagno del neonato, nel cui nimbo si legge distintamente il nomedi Nicola.

L’icona, lascia vedere il fondo originario di gesso, levkas, è probabilmente legata ad una com-missione particolare, forse a una nascita o a una grazia ricevuta. Generalmente, infatti, il santoè raffigurato secondo l’iconografia delle tavole seguenti, e la scena della Natività appare all’in-terno dei cicli agiografici che si susseguono sulla cornice.

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22. San Nicola

Icona russa, Palech, XIX sec.48,5 x 38,5

San Nicola per la spiritualità russa rappresenta l'«alter Christus», il santo che ripercorre sulleorme del Salvatore la terra russa per recare consolazione e salvezza a quanti lo invocano: nellasua fisionomia si ravvisano i tratti propri del santo che nel suo amore a Cristo si fa prepodobnyj(cioè molto somigliante) all'immagine che Dio ha di lui. È proprio a partire dalla fiamma dellacarità in nome di Cristo che nasce la grande venerazione del popolo russo per il santo: la tradi-zione popolare lo voleva infatti eternamente pellegrino sulla terra per porgere il proprio aiutonelle necessità grandi e piccole di ogni giorno, dalle malattie ai pericoli dei viaggi per mare eper terra e così via. Alla misericordia allude anche la pagina del Vangelo che tradizionalmenteNicola ci mostra e quindi – nel linguaggio dell’icona – ci legge e ci testimonia: è l’inizio del dis-corso delle Beatitudini: «In quel tempo, Gesù si fermò in un luogo pianeggiante. C’era granfolla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea...» (Lc 6,17).

L'altra virtù per cui l'Oriente venera san Nicola è lo zelo nella difesa della vera fede, cui allu-dono le raffigurazioni della Vergine e di Cristo che porgono a Nicola il Vangelo e l'omopho-rion: esse ci ricordano infatti il miracolo di Nicea (325), quando Nicola, imprigionato per averschiaffeggiato l'eretico Ario, ricevette in carcere l'apparizione celeste che gli restituiva la digni-tà episcopale.

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23. San Nicola

Icona russa, XIX sec.Rivestimento in argento, San Pietroburgo 1836, 31,7 x 26,7

L’icona in esame era certamente destinata alla devozione personale, alla preghiera domesti-ca: l’icona infatti è quasi interamente ricoperta da una preziosa riza (rivestimento) d’argento,arricchito da pietre dure, smalti, e perline e filigrane che imitano il prezioso tessuto dei para-menti sacri. Si noti la stola decorata di croci che Nicola porta sulle spalle, e che si chiama omo-phorion: è l’insegna episcopale della Chiesa d’Oriente.

L’iconografia è quella tradizionale, riprende la tavola precedente con alcune varianti: Cristoe la Vergine sono raffigurati a busto e il Vangelo è chiuso.

Come abbiamo detto, san Nicola (detto «il Taumaturgo» per il numero straordinario dei suoimiracoli), è tra i santi più amati e venerati in Russia. Secondo la tradizione nacque a Pataraverso il 280. Eletto vescovo di Myra, in Licia, morì nel 342. Nel 1087 le sue spoglie vennerotraslate a Bari, dove si trovano attualmente.

L'icona in esame spicca per l'individualità della resa espressiva; vi si avverte un'eco dello stiledi epoche precedenti, in particolare dell'arte ufficiale della Mosca imperiale della metà-fine delXVI secolo (epoca di Ivan il Terribile). In particolare, si noti il volto ascetico, solcato da rughescavate dai digiuni, dalle penitenze e dalle veglie in preghiera, che tuttavia si risolvono in luce.

In Russia Nicola viene celebrato il 9 maggio e il 6 dicembre.

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24. San Nicola con scene della vita (Velikoreckij)

Icona russa, fine del XVIII sec.Basma con smalti policromi, 31,4 x 26,2

Questa caratteristica raffigurazione di Nicola (abbastanza rara), in cui le scene agiografichelaterali assumono un rilevo considerevole rispetto alla rappresentazione centrale, prende il nomedi «Velikoreckij» dalla località in cui venne ritrovata un’icona taumaturgica di questa tipologia.

L’opera in esame è caratterizzata da una gamma cromatica festosa, in cui predominano irossi, e da un notevole gusto decorativo, visibile nella ricercatezza con cui sono dipinti gli sfon-di (edifici architettonici e paesaggi naturali). La cornice a basma decorata con smalti policromie il fondo metallico della raffigurazione centrale conferiscono ulteriore luminosità alla compo-sizione d’insieme, sottolineandone la santità e l’energia taumaturgica.

Le scene si susseguono dall’alto a sinistra: la nascita, il battesimo, la guarigione di una donnaammalata (sebbene il miracolo fosse stato compiuto dal santo giovinetto, qui è già raffiguratonelle vesti del vescovo), e l’introduzione agli studi; seguono, sui bordi laterali, la consacrazioneepiscopale e la predicazione; si vedono poi due miracoli, la sua apparizione in sogno all’impe-ratore Costantino e la liberazione di tre innocenti ingiustamente gettati in carcere; sul bordoinferiore, da sinistra le scene del miracolo del fanciullo salvato dalle acque (un miracolo checonosciamo solo nelle icone russe)del miracolo della restituzione ad Agrico del figliolettoBasilio, rapito dai saraceni, il trapasso e infine la traslazione delle reliquie del santo a Bari.

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25. San Nicola di Mo�ajsk, con scene della vita

Icona russa, XVIII sec.61,5 x 55

La tipologia figurativa di san Nicola che vediamo qui, oltre a riprendere nella raffigurazionecentrale la tipologia delle icone precedenti (cfr. le figure di Cristo e della Madre di Dio ai latidel santo vescovo), caratterizza il personaggio principale come difensore: nella sinistra egli sor-regge infatti un Cremlino, simbolo della città che lo invoca, e nella destra impugna la spada.Secondo la leggenda, Nicola sarebbe apparso in queste sembianze sopra la cattedrale della cittàdi Mo�ajsk, non lontano da Mosca, durante un assedio dei tatari, e questa sua apparizione limise in fuga terrorizzati, salvando così la città e i suoi abitanti.

Questa tipologia, tra l’altro, veniva anche raffigurata a rilievo, scolpita in legno (caso rarissi-mo, perché la tradizione cristiana orientale in genere rifiuta la statuaria, come troppo naturali-stica e vicina all’idolo): in generale veniva collocata sulle porte delle città o agli incroci, a indi-care la protezione del santo, ed era particolarmente diffusa nelle regioni nordiche della Russia.

Le scene laterali riportano tre episodi dell’infanzia (nascita, battesimo e introduzione aglistudi), cui segue il miracolo delle tre fanciulle che Nicola salva dal disonore consegnando alpadre una dote; di seguito, la sua consacrazione episcopale e la sua presenza al Concilio diNicea; si vedono poi due miracoli, la sua apparizione in sogno all’imperatore Costantino e laliberazione di tre innocenti ingiustamente gettati in carcere; sul bordo inferiore, da sinistra lascena del suo trapasso, il miracolo compiuto restituendo ad Agrico il figlioletto Basilio, salvatodalle mani dei saraceni, la salvezza di un uomo ingiustamente condannato a morte, e infine latraslazione delle reliquie del santo a Bari.

Il carattere patronale dell’effigie viene sottolineato dalla presenza di sei santi sulla cornice,certamente i protettori della famiglia che aveva commissionato o ricevuto in dono l’icona.

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26. Profeta

Icona russa, XVII sec.110 x 46

Il tempo dell’Avvento è, nella tradizione della Chiesa orientale, il tempo dell’AnticoTestamento, della preparazione al compiersi della salvezza, che si celebra nel Natale.

Purtroppo, le lacune nelle iscrizioni rendono difficile identificare il personaggio qui raffigu-rato, che certamente doveva appartenere al registro dei profeti di un’iconostasi: il volto pieno didignità e di dolcezza, i lunghi capelli e la barba fluente, il rotolo svolto nelle mani, la tunica eil mantello gettato su una spalla sono tutti attributi caratteristici dell’ordine di santità cui appar-tiene il personaggio in questione.

In genere, profeti e patriarchi dell’Antico Testamento, che all’interno dell’iconostasi occupa-no i registri più in alto, si rivolgono in preghiera alla Madre di Dio del Segno, collocata cen-tralmente (cfr. cat. n. 3): questa raffigurazione, infatti, oltre ad alludere alla profezia di Isaiatestimonia anche il compiersi dell’attesa del popolo eletto, l’Incarnazione del Verbo divino.Inoltre, vicino a questa raffigurazione mariana appariva generalmente il re Davide, dalla cui stir-pe nacque il Salvatore.

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27. Natale

Icona russa, Mosca, inizio XIX sec.90,5 x 70,5

In quest’icona, dipinta in maniera molto poetica e delicata, si dispiegano numerosi episodidel tempo natalizio. L’impianto compositivo è un po’ diverso rispetto alla tipologia tradiziona-le della Natività, in cui la Vergine è adagiata su un giaciglio rosso, un po’ in disparte rispetto alFiglio; qui è messa in risalto soprattutto l’Adorazione dei Magi, raffigurati sia nell’angolo supe-riore sinistro, in viaggio verso Betlemme, sia inginocchiati davanti alla grotta. La Vergine, sedu-ta accanto al Bambino, ripete il gesto dell’Odigitria, cioè si fa guida ai Gentili verso il Salvatore.

La grotta mantiene la sua posizione centrale nella composizione, secondo la tradizione; lamangiatoia a forma di sarcofago e le bende bianche in cui è avvolto il Bambino alludono allasua futura sepoltura, ma l’insolito particolare dell’erba verde su cui è adagiato simboleggia l’im-mortalità. Nell’icona, come nella tradizione bizantina, il Natale ha una sfumatura drammatica,ci mostra l’inizio della nuova Vita apparsa nel mondo con Gesù, senza fare mistero della croceattraverso cui essa si affermerà. A questo contribuiscono anche i due episodi rappresentati inbasso, che vedono come protagonista Giuseppe. Egli, seduto in disparte a significare la suaestraneità carnale alla nascita del Bambino, di cui Dio l’ha chiamato ad essere tutore, assumeun ruolo centrale nei due episodi sottostanti, in cui l’angelo gli riferisce il pericolo che corre acausa dell’odio di Erode, e in cui si mette in viaggio verso l’Egitto.

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28. Battesimo di Cristo

Icona russa, fine del XVIII sec.86 x 47

Il Battesimo di Cristo, celebrato dalla Chiesa d’Oriente il 6 gennaio, segna la manifestazio-ne di Cristo come l’Inviato del Padre: è il tema centrale dell’icona qui riprodotta, eseguita connotevole perizia tecnica, che vede la venerazione dell’universo intero confluire sul personaggiocentrale raffigurato.

L’icona mette in particolare risalto la nube luminosa da cui si affaccia Dio Padre, che dai cielifa sentire la sua voce (il raggio tripartito che fuoriesce dalla sua bocca) e invia su Cristo lacolomba dello Spirito. Il genere umano e le schiere angeliche si chinano riverenti sul Salvatore;si noti che mentre gli angeli, secondo la tradizione, hanno le mani velate in segno di venera-zione per Cristo, la creatura umana (impersonata da Giovanni Battista), tocca con mano la per-sona di Gesù, che si unisce interamente ad essa prendendo un corpo umano.

Da ultimo, al tripudio e alla venerazione partecipa anche la natura: colline e alberi si inchi-nano anch’essi con venerazione verso il centro della composizione. Le acque del Giordano sonorese in maniera naturalistica, senza gli elementi simbolici che vi sono solitamente presenti.

Nella solennità del Battesimo (detto nella liturgia orientale «santa Illuminazione»), si com-memorano anche gli episodi dell’Adorazione dei magi e delle Nozze di Cana, che svolgono ilmedesimo tema della manifestazione al mondo del Salvatore.

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29. Vescovo Nikita di Novgorod

Icona russa, Novgorod, fine del XVII sec.86 x 47

Vissuto tra la seconda metà dell’XI secolo e gli inizi del XII (secondo la tradizione morì nel1109), Nikita nacque a Kiev ed entrò come monaco nella Lavra delle Grotte, il primo mona-stero sorto nella Rus’ all’indomani del suo Battesimo. Nel 1096 fu eletto vescovo a Novgorod,dove operò numerosi prodigi, salvando tra l’altro la città dalla siccità e da un incendio.

Una peculiarità iconografica che consente facilmente di distinguere la sua raffigurazione è ilfatto che Nikita è sempre rappresentato senza barba, contrariamente al canone ortodosso secon-do il quale ogni presbitero (tanto più se si tratta di un vescovo) deve essere raffigurato con icapelli lunghi e la barba. In effetti, Nikita in vita era imberbe, e si narra che, quando dopo lacanonizzazione fu dipinta la sua prima icona, dove appariva con la barba, il santo apparisse insogno all’iconografo chiedendogli di modificare la sua raffigurazione, o che addirittura l’iconasi trasformasse miracolosamente, rispecchiando i suoi sembianti terreni.

L’icona è dipinta secondo una tecnica raffinata, con grande gusto decorativo, una tavolozzasmorzata e una certa stilizzazione arcaicizzante, che contraddistingue la maniera dei centri ico-nografici delle terre settentrionali: potrebbe essere un’opera della provincia settentrionale diNovgorod.

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30. San Marone eremita

Icona russa, Palech, inizio del XIX sec.40 x 33,2

L’icona qui riprodotta è certamente legata ad una commissione particolare, raffigura il santopatrono del committente, che accoglie la benedizione divina dall’alto e si fa a sua volta porta-tore di tale benedizione presso i fedeli. Il rotolo che porta in mano è appunto un’esortazione albene e alla devozione.

Il santo eremita Marone, commemorato dalla Chiesa d’Oriente il 14 febbraio, visse in Sirianel IV secolo. Si ritirò su un monte (qui raffigurato con grande raffinatezza sotto i suoi piedi),nella regione siriaca di Apamea, dove si trovava un tempio pagano da lui riconsacrato al Diocristiano. La fama dei miracoli da lui compiuti si diffuse attirando al suo eremo persone daregioni remote; i suoi poteri taumaturgici lo mettevano in grado di risanare sia i corpi, siaanche, e soprattutto, le anime. Morì intorno al 1410. È considerato il padre del monachesimosiriaco, e questo fa pensare che l’icona fosse stata dipinta per un ecclesiastico, un monaco pro-babilmente, che venerava Marone come patrono proprio e della propria comunità.

L’abbigliamento del santo è quello tipico dei monaci: il saio, lo scapolare (in greco schima),e il manto; abbastanza insolito, tuttavia, il colore rosso delle sue vesti.

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3. Il ciclo PasqualeLa festa liturgica non è semplicemente una commemorazione dell’evento, ma lo rivive realmen-

te, rendendolo nuovamente presente. La liturgia del giorno, comprendente testi evangelici, sermoni,

inni, preghiere e riti, è volta a introdurre i fedeli nell’atmosfera della festa, a renderli reali testimo-

ni e spettatori dell’evento, partecipi di ciò che accade. Le icone delle feste non si limitano a comme-

morare i singoli avvenimenti, ma rendono presenti fatti avvenuti sulla terra secoli prima, ma che si

rinnovano continuamente; il tempo si trasforma quindi in un istante che si prolunga in eterno, fis-

sato nel momento culminante che tramanda eternamente la propria intensa e drammatica esperien-

za.

L’icona è un punto di intersezione fra il tempo, l’effimero e l’eterno: questo appare con particola-

re evidenza nel ciclo pasquale, che costituisce il momento culminante dell’anno liturgico. La luce

della Pasqua illumina e vivifica ogni cosa.

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31. Il patriarca Giuseppe

Icona russa, XVIII sec.68 x 40,2

Il personaggio qui raffigurato, è purtroppo mancante della scritta con il suo nome (il fondoè interamente abraso, e lascia vedere la base di gesso). Anche il testo del cartiglio è difficilmen-te decifrabile. Tuttavia, l’iconografia e la fisionomia del personaggio consentono di propendereper il biblico Giuseppe, uno dei dodici figli di Giacobbe, venduto dai fratelli e condotto schia-vo in Egitto, e successivamente artefice della liberazione del suo popolo. L’icona, dalla curiosaed elaborata terminazione a forma cuspidale, apparteneva certamente all’ordine dei patriarchidi un’iconostasi.

La Chiesa d’Oriente celebra la memoria del patriarca Giuseppe il Lunedì santo, proponen-dolo alla venerazione dei fedeli come uno degli archetipi della Salvezza: imprigionato nellacisterna come il Salvatore fu nelle viscere della terra, abbandonato come Lui in balia della cru-deltà umana, Giuseppe diviene il liberatore, il principio della salvezza per il suo popolo e i suoifratelli, che perdona incondizionatamente. All’inizio del cammino verso il Calvario, la Chiesaconforta i fedeli proponendo loro una serie di figure bibliche, tra cui appunto Giuseppe, cheprefigurano il compiersi della salvezza proprio attraverso la via della sofferenza.

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32. «Figlio unigenito»

Icona russa, XVIII sec.44 x 37

L’icona, una complessa composizione allegorica, illustra un inno liturgico attribuito aGiuseppe di Arimatea e a Nicodemo, che la Chiesa canta prima del «Piccolo ingresso» in cuiviene portato in processione il Vangelo, e che simboleggia la venuta di Cristo nel mondo. Vienecantato inoltre durante il Mattutino del Sabato santo, e proprio a questa funzione allude la raf-figurazione di Cristo nel sepolcro, e la sua glorificazione all’interno della mandorla sorretta dagliangeli: «Non piangere su di Me, Madre, vedendomi nel sepolcro, perché il terzo giorno risor-gerò». Cristo giovinetto nella gloria generalmente ostende il cartiglio con le parole di Isaia sulgiudice giusto della casa di Davide (Is 11,1-2,4,5,11). Dio Padre e la Trinità coronano la suamandorla gloriosa, che diventa simile a un solenne stemma.

Gli edifici agli angoli superiori sono rispettivamente la Chiesa dell’Antico e del NuovoTestamento, l’una affiancata dal simbolo del sole e l’altra della luna, che vive di luce riflessa e siritira all’apparire dell’astro sovrano.

In basso a destra è raffigurata la morte, che avanza a cavallo di una mostruosa fiera su unastrada disseminata di cadaveri. A sinistra appare Cristo crocifisso, e più sotto Cristo in vesti diguerriero che snuda la spada, assiso sulla croce come su un trono: calpestando l’Ade con lacroce, mette in fuga i demoni.

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33. Ingresso in Gerusalemme

Icona russa, XIX sec.26,5 x 31

La festa che ricorda l’ingresso di Cristo a Gerusalemme è di origine gerosolimitana. Già nelIV secolo la si celebrava con un corteo che dall’Eleona, sul monte Oliveto, proseguiva sino alCalvario, guidato dal vescovo in groppa a un’asinella. Il rito della processione della Domenicadelle Palme si è conservato, in Occidente come in Oriente. La ricorrenza è dedicata alla solen-ne entrata di Gesù in Gerusalemme: come riferiscono i quattro Vangeli Gesù, nell'approssimarsidella Pasqua, sale a Gerusalemme cavalcando un'asina; lo accompagnano i discepoli, ai qualiegli ha predetto ciò che i capi stanno tramando contro di lui. Una folla osannante gli vieneincontro, acclamandolo come il Messia, figlio di Davide, fra l'indignazione dei Farisei. Lungoil percorso Gesù piange sulla città; quindi entra nel tempio, prendendone simbolicamente pos-sesso. Dalla raffigurazione iconografica dell’Ingresso a Gerusalemme traspaiono i significati chela liturgia attribuisce all’evento. La celebrazione è dominata da accenni di esultanza e di trion-fo. Il modulo iconografico riprende nelle sue linee essenziali gli schemi dell’arte bizantina, conla ben definita disposizione dei gruppi principali: i discepoli sullo sfondo della montagna e igerosolimitani davanti alla città. Nelle immagini russe, dalla figura di Cristo traspira una mae-stosa regalità, che si impone con forza ancor maggiore perché scevra di manifestazioni conven-zionali, emana dalla figura stessa, dalla posa, dall’espressione e dall’atteggiamento. Una compo-nente si inserisce nella fascia centrale, dominata da Cristo: sono i fanciulli (in questo caso unosolo raffigurato) che stendono i mantelli sotto all’asina. La presenza dei fanciulli trova riscon-tro anche nella liturgia della festa, che ne fa un motivo dominante, caricandolo di un pregnan-te significato: nell’incontro di Gesù il popolo di Gerusalemme si vede la sintesi del mistero edella contraddizione d’Israele.

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34. Crocifissione

Icona russa, inizio del XIX sec.Croce in bronzo, 53 x 41,8

La tavola a fianco proviene probabilmente dagli ambienti dei vecchi credenti, una vasta aladella Chiesa ortodossa russa distaccatasi dalla Chiesa ufficiale a metà del XVII secolo in segui-to alle riforme liturgiche del patriarca Nikon, e caratterizzata da una fede intrepida nonostantepersecuzioni cui fu sottoposta dal braccio secolare. In particolare, tra i vecchi credenti eranomolto venerate gli oggetti d’arte sacra realizzati con il procedimento della fusione, perché allu-devano al fuoco purificatore. Era in uso incastonare croci di questo tipo, in bronzo, all’internodi icone dipinte, che fungevano come da reliquiari. L’opera raffigura in questo caso il Calvariocon Gesù crocifisso e ai suoi lati la Madre di Dio e san Giovanni, le figure di Maria e Marta edel centurione Longino. In alto, in piccolo, le scene della Deposizione dalla croce e delCompianto funebre completano il ciclo della morte del Salvatore.

La croce metallica, a sua volta, è una sorta di «icone nell’icona»: sopra la traversa superioreappaiono il Mandylion (per l’iconografia, cfr. cat. n. 64), e due angeli prostrati in adorazione,con le mani velate; sopra la testa di Cristo è inchiodata la tavoletta fatta affiggere da Pilato, cheriporta però le iniziali di Gesù Cristo, invece delle tradizionali parole «Gesù il Nazareno, il Redei Giudei» (Gv 19,19). Ai lati della traversa cui sono inchiodate le braccia appaiono il sole ela luna, e immediatamente sotto sono incise le parole del tropario della Croce: «Alla tua croceci inchiniamo, Signore, e adoriamo la tua resurrezione». La traversa inferiore su cui sono inchio-dati i piedi di Cristo è inclinata, secondo la tradizione russa, a significare la curva del dolore diCristo. La croce è piantata sul Golgota, simbolicamente raffigurato come una grotta rocciosa incui è visibile il cranio di Adamo, che riassume in sé il male e la morte dell’umanità. Sullo sfon-do della croce, appare la città di Gerusalemme, simbolo della Chiesa e dell’umanità redente.

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35. Trittico con Crocifissione e santi

Icona russa, XIX sec.35,5 x 48,2

L’opera presenta al centro un crocifisso in bronzo, inserito in una tavola di legno, con santiin preghiera. Si tratta certamente di un’opera devozionale, forse appartenente a una famiglia divecchi credenti russi, in cui la croce, che doveva avere un particolare valore sacro, è circondatadai patroni dei membri della famiglia, in sostituzione dei personaggi tradizionali raffigurati aipiedi della croce.

Sul pannello centrale, da sinistra san Nicola e il guerriero-martire Teodoro Stratilate; sul pan-nello sinistro, Bonifacio, Matriona, Anania e Marone; a destra l’evangelista Matteo, sanGiovanni Damasceno e Parasceve.

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36. Discesa agli inferi

Icona russa, fine del XVII sec.30 x 26,5

La Resurrezione è la festa verso cui l’intero tempo liturgico converge, è la chiave di volta percomprendere sia l'iconografia orientale, sia la sua spiritualità. Fonti dell'icona sono, oltre aiVangeli sinottici, anche i racconti apocrifi e i testi liturgici e patristici. In particolare, la tradi-zione figurativa dell’evento caratteristica dell'Oriente cristiano è quella di fissare l'istante in cuiCristo, dopo la morte in croce e la sepoltura, scende negli inferi, trionfando sulla morte e sulleforze infernali. Nella variante più sintetica della composizione la Pasqua è raffigurata propriocosì, mentre esistono varianti più ricche di particolari (cfr. tavv. successive), che dispieganointorno a questo evento numerose scene precedenti e successive, dedicate alla passione e alleapparizioni di Cristo dopo la resurrezione.

L'icona in esame vede al centro Cristo che libera dall’Ade i progenitori, circonfuso da unamandorla luminosa pervasa di raggi bianchi. Egli solleva dai sepolcri i progenitori, Adamo edEva, afferrandoli con un gesto pieno di forza e di maestà, e calpestando nel contempo, quasi inun passo di danza, le porte spezzate degli inferi, disposte sotto i suoi piedi a forma di croce.Nella zona inferiore dell’icona si intravedono appena i tenebrosi abissi infernali, mentre dietroad Adamo ed Eva appaiono re, profeti e giusti dell'Antico Testamento.

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37. Discesa agli inferi

Icona russa, fine del XVIII sec.35,5 x 30,3

La composizione presenta la variante più ricca e complessa di illustrazione della festa pas-quale, che si sviluppa nell’iconografia russa soprattutto a partire dal XVII secolo, quando l’ico-na acquista un gusto spiccatamente narrativo, di illustrazione del «prodigio» in tutti i suoi ele-menti. Al centro dell'icona Cristo è raffigurato due volte, mentre sorge dal sepolcro e mentrelibera dall’Ade i progenitori, sempre circonfuso da una mandorla luminosa tutta pervasa diraggi bianchi. Nella scena della Discesa agli inferi, Egli solleva dai sepolcri i progenitori, Adamoed Eva, dietro a cui appaiono re, profeti e giusti dell'Antico Testamento che, liberati dalle faucimostruose visibili in basso a sinistra, salgono in lunga teoria luminosa (sono tutti abbigliatid’oro) verso il paradiso (in alto a destra), dove il primo a bussare ed entrare è il «ladro teologo».Nella destra Cristo disceso agli inferi solleva un rotolo, segno dell'alleanza divina che in Lui siè definitivamente compiuta.

Nella scena della resurrezione dal sepolcro, in alto, sono ben visibili i soldati immersi nelsonno, e l’angelo che indica alle mirofore il sepolcro vuoto con il sudario.

La narrazione dell’evento è completata da altre scene, che si dispiegano tutt’intorno: in altoa sinistra, Pietro si china anch’egli sul sepolcro vuoto, mentre più sotto, Cristo appare allaMaddalena inginocchiata; in basso, viene narrata con dovizia di particolari l’apparizione diGesù ai discepoli sul lago di Tiberiade. Si noti che anche tutti i personaggi raffigurati in vitahanno vesti dorate: è probabilmente un’allusione al giubilo del periodo pasquale e alla graziache irradia da Cristo sull’umanità.

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38. Discesa agli inferi, con 12 scene delle feste

Icona russa, XIX sec.53,5 x 43,7

La medesima iconografia delle due tavole precedenti, rispetto al pannello centrale, viene quirisolta in una chiave molto ricca, miniaturistica, aggiungendovi tutt’intorno le feste principalidel calendario liturgico: Natività della Madre di Dio, sua Presentazione al tempio,Annunciazione, Natale, Presentazione al tempio di Gesù Bambino, Battesimo, Trasfigurazione,Entrata in Gerusalemme, Ascensione, Trinità, Dormizione, Esaltazione della croce.

Un elemento interessante in quest'icona sono le lunghe scritte che commentano alcuni epi-sodi del pannello centrale, riportando testi sia dei vangeli sinottici che dei racconti apocrifi, trat-ti in particolare dal Vangelo di Nicodemo (ad esempio, sul bordo sinistro si legge che «il Signoreordinò agli angeli di legare Satana e di sottoporre il suo spirito ad amari tormenti», e a destra sidescrive invece il gaudio del Buon ladrone che entra in paradiso). Un altro elemento impor-tante è lo spazio concesso all'apparizione di Cristo sul lago di Tiberiade: pieno di tenerezza è l'i-stante dell'incontro fra Gesù e Pietro, che rivede il suo maestro per la prima volta, dopo l'epi-sodio del tradimento, mentre gli altri discepoli sono ancora sulla barca, in lontananza.

Va inoltre rilevata l'importanza che qui assumono scenari paesaggistici ed architettonici, fittidi personaggi e di elementi decorativi. L'impressione che si ricava dall'insieme della composi-zione è di grande festosità, a cui contribuiscono in primo luogo i colori (prevalenti i rossi e gliori). Si tenga presente che nel mondo bizantino ogni colore ha una profonda valenza simboli-ca: se l'oro è il simbolo per eccellenza della divinità, del mondo dell'eternità, il rosso sta ad indi-care sia la passione, il sangue versato da Cristo, sia l'energia divina che sostenta in sé l'essere edà vita all'universo attraverso il fuoco del suo amore.

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39. Discesa agli inferi, con scene della passionee delle feste

Icona russa, XIX sec.53,8 x 44,4

La tavola costituisce una sorta di compendio dell’intero anno liturgico, oltre che di tutto iltempo pasquale, a cominciare dal triduo conclusivo della Settimana santa. Il pannello centralepresenta la variante complessa della Resurrezione, come l’abbiamo già commentata alle tavv.precedenti (cui rimandiamo per l’iconografia). Nelle dodici scene che lo circondano sono inve-ce visibili i momenti salienti della Passione del Signore: da sinistra in alto, l’Ultima cena, laLavanda dei piedi, la Preghiera nel Getsemani, il Tradimento di Giuda, il Bacio nell’orto delGetsemani, Cristo di fronte a Pilato, la Flagellazione, la Coronazione di spine, la Salita alCalvario, la Crocifissione, la Deposizione della Croce e il Compianto funebre.

Più esternamente, la composizione centrale è integrata ancora una volta da scene raffigurantile feste del ciclo liturgico annuale: nell’ordine, a partire da sinistra in alto: Natività della Madredi Dio, sua Presentazione al tempio, Trinità Annunciazione, Natale (nella variantedell’Adorazione dei Magi), Presentazione al tempio di Gesù Bambino, Battesimo,Trasfigurazione, Entrata in Gerusalemme, Ascensione, Dormizione; il registro inferiore presen-ta la Resurrezione di Lazzaro, la Decollazione di Giovanni Battista, l’Esaltazione della croce,l’Ascesa al cielo di Elia sul carro di fuoco, la Protezione della Madre di Dio.

Un elemento caratteristico è dato infine dalla raffigurazione dei quattro evangelisti agli ango-li, che ha una duplice valenza: attestare la veridicità degli episodi raffigurati nell’icona, di cuiMatteo, Marco, Luca e Giovanni sono testimoni viventi, e significare il diffondersi dell’annun-cio evangelico fino agli estremi confini della terra (nella cosmogonia medioevale il mondo erarappresentato come un quadrilatero, come si nota ad esempio nelle composizioni del «Salvatorefra le potenze» e, in questa pubblicazione, della «Madre di Dio del Segno», cat. n. 22).

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40. Trinità dell’Antico Testamento

Icona russa, inizio del XVIII sec.50,5 x 40,8

Nella Chiesa d’Oriente la celebrazione della Trinità coincide con la Pentecoste, a sottolinea-re il disegno provvidenziale che guida la vita del mondo fin dall’inizio, e culmina nella Discesadello Spirito Santo nel cenacolo di Sion.

L’icona in esame si basa sul soggetto veterotestamentario dell’«Ospitalità di Abramo» (Gen18), che narra dell’incontro del patriarca Abramo, capostipite del popolo eletto, con tre miste-riosi pellegrini (successivamente chiamati angeli) presso le querce di Mambre. Dopo averliaccolti e ristorati, egli ricevette da loro la promessa della nascita miracolosa del figlio Isacco edella «nazione grande e potente» che da lui, per volontà divina, doveva avere inizio, e in cui «sidiranno benedette tutte le nazioni della terra» (Gen 18,18).

Secondo le interpretazioni ortodosse tradizionali, nella figura dei tre angeli Abramo ricevet-te la rivelazione del Dio consustanziale e trino («Abramo infatti vide con gli occhi del corpo gliangeli e conversò con il Salvatore, ma con gli occhi dello spirito vide la Trinità santissima e con-sustanziale», dice san Gregorio Palamas). Su queste interpretazioni si basa l’iconografia simbo-lica della Trinità nei sembianti dell’«Ospitalità di Abramo», che si forma nell’arte russa tra lafine del XIV e l’inizio del XV secolo, sulla scorta di modelli che riscontriamo fin dalle cata-combe e dai mosaici di Santa Maria Maggiore (IV-V secolo).

L’icona qui riprodotta presenta l’episodio biblico nel suo svolgimento storico: Abramo servea tavola i divini commensali, mentre Sara, in casa, ne ascolta i discorsi e la profezia. L’edificio,l’albero, il monte alle spalle degli angeli rappresentano il tempio veterotestamentario, l’alberodella vita – cioè la croce, e le vette insondabili della Provvidenza divina.

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41. Trinità dell’Antico Testamento

Icona russa, Russia del nord, XVII sec.39,8 x 30,7

La composizione di quest’icona si rifà alla variante figurativa che trova la sua espressione piùpiena e perfetta nell’icona di Andrej Rublëv, dipinta per la cattedrale della Trinità nella Lavradella Trinità di San Sergio nel 1425-1427.

L’iconografo elimina infatti tutti gli elementi storici ed accessori, perfino i personaggi diAbramo e Sara, per concentrarsi sul dialogo fra le tre ipostasi divine, che assume un caratteremistico, eterno, si trasforma nell’azione liturgica celeste che fonda ogni celebrazione liturgicasulla terra.

La figura geometrica dominante nell’icona è il cerchio, descritto dal gruppo dei tre perso-naggi seduto a mensa, dal movimento delle loro persone e dei loro sguardi; nella tradizionebizantina, il cerchio è il simbolo dell’eterno, del divino, e anche della comunione, dell’unità rea-lizzata (per questo, le scene del paradiso sono spesso racchiuse all’interno di cerchi). I tre per-sonaggi sono intenti al dialogo dell’amore, in cui ognuno di essi mantiene la propria unicità edirripetibilità, ma si compie nell’unità con gli altri due. Vertice di questo dialogo è la mensa,chiara allusione alla mensa eucaristica, cioè all’altare su cui Cristo si immola per l’umanità. Bensi comprende come mai in Russia l’icona del santo monaco Andrej Rublëv nascesse dall’espe-rienza spirituale del suo maestro, san Sergio di Radone�, che aveva lasciato ai suoi discepoli que-sta consegna: «Contemplando la santa Trinità, vinciamo l’odiosa divisione del mondo!».

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42. Trinità del Nuovo Testamento

Icona russa, Russia meridionale, fine del XVIII sec.44,7 x 35

L'icona in esame rappresenta una tipologia tipica in Russia a partire dal XV secolo. La com-posizione presenta Dio Padre, Sabaoth, come l'«Antico dei giorni» (con il nimbo a stella otta-gonale rosso e blu, simboli rispettivamente del fuoco dell'energia divina e del dispiegarsi dellaProvvidenza nella storia umana); Cristo, come Dio incarnato nella storia (il globo sormontatodalla croce, in mezzo a loro, è simbolo della potenza divina e dell'amore redentivo per l'uma-nità); lo Spirito Santo, sotto forma di colomba al centro, presenta anch'Esso la stessa simbolo-gia del nimbo ottagonale, che indica la divinità. I Cherubini (scarlatti, energia e fiamma dell'a-more divino) costituiscono il trono della Trinità, i Serafini (blu zaffiro, che rappresentano laSofia, la Sapienza divina) delimitano il cerchio della divinità, introducendo il tema della trasfi-gurazione del cosmo.

L'introduzione della Vergine e di san Giovanni Battista ai lati della Trinità ha un profondosignificato: essi rappresentano qui la Chiesa in Paradiso, che intercede per il popolo cristianopellegrino sulla terra, e insieme sono gli oranti che contemplano il Mistero dell'amore trinita-rio e del colloquio salvifico (eucaristico) che si svolge tra le Persone della Trinità. Sul rotolo dellaMadre di Dio si legge: «Sovrano molto misericordioso, Signore Gesù Cristo, Figlio mio e Diomio, accogli...»; sul rotolo di Giovanni si leggono le parole della testimonianza da lui resaall'Agnello di Dio.

Nella composizione appare anche il tema della «vita angelica», raffigurata attraverso le schie-re degli angeli che fanno da corona alla Trinità: in basso vediamo gli angeli custodi che indica-no alle anime loro affidate il mistero divino, e san Michele arcangelo con la spada sguainata (asinistra).

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4. La Chiesa in camminoDopo l’esultanza pasquale, la Chiesa fa l’esperienza della dimensione in cui è chiamata a vivere

in questo mondo, una dimensione dove la Salvezza è attuata «già e non ancora», dove accanto all’e-

sperienza della comunione divina permane quella dell’esilio e del cammino verso la patria futura.

La tensione all’eterno, all’eone futuro caratterizza la percezione medioevale del mondo e determina

il suo atteggiamento verso il presente, il passato e il futuro. Parlando del creato, del mondo fenome-

nico, san Basilio definisce la percezione del tempo come una dimensione «in cui il passato è già tra-

scorso, il futuro non è ancora subentrato, e il presente già sfugge alla memoria ancor prima di essere

compreso». È questa la dimensione del tempo rappresentata nell’icona in forma di narrazione pitto-

rica o di racconto agiografico della vita del santo attraverso numerosi e ricchi particolari, che tal-

volta possono essere molto espressivi ma tuttavia non sono mai i determinanti nella fisionomia spi-

rituale del personaggio raffigurato. Ogni atto compiuto dal santo acquista infatti valore e significa-

to in quanto rimanda alla tradizione della Chiesa, o direttamente alla persona di Cristo.

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43. San Giorgio

Icona russa, Mosca, fine del XVIII sec.90 x 32

La festa di san Giorgio, il 23 aprile, segnava nella Rus’ l’inizio della primavera, e ad essa sicollegavano numerosi riti propiziatori nelle campagne, in particolare, la prima fuoriuscita delbestiame dalle stalle. Oltre che nel mondo rurale, Giorgio era molto venerato anche negliambienti dell’aristocrazia: molti principi russi presero il suo nome nel battesimo, per impetra-re al santo martire la stessa dedizione nella difesa e nella guida del popolo loro affidato.

Secondo la tradizione, san Giorgio era un soldato e ricevette il martirio durante le persecu-zioni di Diocleziano in Cappadocia intorno al 303-304. Il suo culto, a partire dal V sec., si dif-fuse ampiamente dapprima nella patria del martire (l'Asia Minore) e poi in tutto il mondo cri-stiano. Al V sec. risalgono le redazioni più antiche della vita di san Giorgio giunte fino a noi, edal IX sec. al racconto degli innumerevoli supplizi sofferti dal santo si aggiunge un ricco ciclodi miracoli. Tra questi il più popolare era il miracolo del drago (cfr. tavv. successive), che risalea una tradizione orale dell'VIII sec. Le più antiche raffigurazioni di scene della vita di Giorgioappaiono nell'arte del mondo bizantino a partire dal X-XI sec.

Nell’icona in esame Giorgio è invece raffigurato a figura intera, con un’armatura riccamen-te lavorata, lo scudo nella sinistra e la croce del martirio nella destra, in sostituzione della spada.Nella Rus’ esistono esempi splendidi di questa tipologia, tra cui in particolare un’icona proces-sionale dell’XI secolo, attualmente conservata nella cattedrale della Dormizione nel Cremlinodi Mosca. A questi prototipi si rifà evidentemente l’icona in esame, che forse poteva apparte-nere a un’iconostasi, ed essere inserita, in coppia con un’icona di san Demetrio di Tessalonica,nel registro della Deesis.

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44. San Giorgio e il drago

Icona russa, Jaroslavl’, XIX sec.37,5 x 32

Nel pannello centrale dell'icona in esame, il soggetto del miracolo è rappresentato nella suaforma più estesa: oltre a Giorgio e al drago, appaiono qui la principessa, i suoi genitori e i testi-moni del prodigio, che contemplano dall'alto della torre l'avvenimento. Quest’esposizione delsoggetto è particolarmente diffusa nell'iconografia russa a partire dal XVI sec., quando si accre-sce il gusto narrativo e l’interesse per il prodigioso; in ogni caso, nella Rus' l'effigie di Giorgiovincitore sul drago era circondata fin da tempi antichi da particolare venerazione e si collegavaad antiche concezioni popolari sui santi che fugavano le forze del male. D'altro lato, il diffusoracconto del martirio del santo non era semplicemente una testimonianza della sua fortezza, maanche dell'incrollabilità della fede cristiana, del suo trionfo sui persecutori: proprio così si spie-ga il tradizionale culto dei martiri come «pilastri della Chiesa». I due temi del martirio e deltrionfo della fede sono profondamente uniti fra loro nella rappresentazione: infatti, un angeloinviato da Cristo, che si affaccia benedicente dai cieli, incorona Giorgio con la corona tipica deimartiri proprio nell’istante in cui il santo guerriero trafigge la testa del drago.

Sui bordi laterali sono raffigurati quattro santi anch’essi collegati a Giorgio in quanto patro-ni degli animali: i vescovi Biagio e Spiridone (in alto da sinistra) e i santi martiri Floro e Lauro,considerati insieme a Giorgio patroni dei cavalli (per la loro iconografia cfr. cat. n. 65). L’iconadoveva essere quindi collegata in particolare a questo aspetto della venerazione del santo.

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45. Trittico con san Giorgio e il drago

Icona russa, XIX sec.20,2 x 24

Questa variante del miracolo di san Giorgio, nella tavola centrale del trittico, illustra sia ilduello fra il santo e il mostro, sia il momento successivo, in cui la principessa insieme a Giorgioconduce il mostro legato in città, dove sarà ucciso. Il drago che esce dall'acqua e la principessache lo conduce al guinzaglio sono raffigurati in primo piano, in basso, mentre Giorgio si libraletteralmente sulla scena, senza che il cavallo tocchi terra in alcun punto. Dall’alto Cristo siaffaccia benedicente tra le nubi.

Nella parte superiore del pannello centrale, di elegante forma cuspidale, appare benedicenteCristo Emmanuele (cioè raffigurato nel tipo del Verbo sempiterno, giovinetto imberbe, purmantenendo il monogramma caratteristico del Pantocratore, «IC XC», cioè Gesù Cristo). I duesanti vescovi ai lati di Giorgio sono probabilmente Spiridone e Biagio, patroni del bestiame,anche se le loro iscrizioni non si sono conservate. Come l’icona precedente, anche questa dove-va essere legata in particolare alla devozione di san Giorgio come protettore dei cavalli e deilavori campestri.

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46. Evangelista Giovanni

Icona russa, Mosca, XVI sec.68,5 x 51,5

La composizione dell’icona in esame è un classico dell’iconografia bizantina e russa, e ricor-re soprattutto nelle miniature, dove generalmente era collocata all’inizio del Vangelo diGiovanni. Più rara invece nelle icone, dove appare all’interno dell’iconostasi, sulle Porte regali,oppure come immagine patronale di chiese dedicate al santo evangelista, o ancora in icone pal-mari dedicate alla devozione personale.

In queste composizioni Giovanni viene sempre rappresentato sull’isola di Patmos, in com-pagnia del discepolo Procoro, cui detta il Vangelo. I due personaggi appaiono sullo sfondo dellagrotta in cui vivevano di preghiera e di contemplazione. Sul foglio che il giovinetto tiene fra lemani si leggono in lingua slava ecclesiastica le parole iniziali del Vangelo giovanneo: «In princi-pio era il Verbo». Da osservare che Giovanni distoglie lo sguardo dal lavoro cui pure è intento,per concentrarsi sull’ascolto del misterioso messaggio che gli giunge dal segmento celeste in cuigeneralmente è raffigurata la mano divina e da cui si diparte il raggio tripartito con la colombadello Spirito. Le mani dell’evangelista sono rispettivamente tese a raccogliere l’annuncio e a tra-smetterlo a Procoro, che invece è chino sul tavolo di lavoro per fissare il verbo che ode dal mae-stro.

La memoria di san Giovanni evangelista viene celebrata dalla Chiesa d’Oriente l’8 maggio.

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47. Madre di Dio della Tenerezza di Vladimi

Icona russa XVIII sec.61,5 x 50

L'icona della Madre di Dio esprime il mistero della divina maternità (le stelle sulla fronte esulle spalle sono un antico simbolo siriaco che allude alla sua perpetua verginità); in particola-re, nel tipo canonico della «Madre di Dio della Tenerezza» si pone intensamente l’accento sulfuturo sacrificio redentivo di Cristo. L’abbraccio fra la Madre di Dio e il Bambino prefigurainfatti la pienezza dell’amore divino, la cui suprema manifestazione è il sacrificio di Cristo perla salvezza dell’umanità.

Inoltre, l’icona in esame riprende una delle varianti iconografiche più conosciute e venerate:il tipo della Vergine di Vladimir, un’antica icona bizantina dell’XI-XII secolo, attualmente con-servata alla Galleria Tret’jakov di Mosca e donata dagli imperatori bizantini al popolo russorecentemente convertito alla fede. Quest’icona avrebbe poi seguito le vicende storiche dellaRus’, dapprima a Kiev, poi a Vladimir (da cui la denominazione) e infine a Mosca, dove fu tra-sferita nel 1395, affinché proteggesse la città dall'invasione delle orde del khan tataroTamerlano, che effettivamente si ritirarono inspiegabilmente davanti alle mura della città.Dopo questo miracolo, nel corso della storia russa l'icona della Vergine di Vladimir fu sempreconsiderata il palladio e la protettrice della nazione. Le tre feste che la Chiesa ortodossa russa lededica, il 21 maggio, il 23 giugno e il 26 agosto ricordano appunto tre miracoli attraverso cuil’icona aveva salvato nei secoli la città di Mosca dai nemici.

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48. Madre di Dio «È veramente giusto lodarti»

Icona russa, XIX sec.47,5 x 38,5

L’icona, la cui memoria ricorre l’11 giugno, è originaria del monte Athos, dove alla fine delX secolo un monaco in preghiera davanti a un’icona della Vergine udì gli angeli intonare uncanto melodioso, le cui parole erano: «È veramente giusto glorificare Te, o Genitrice di Dio,sempre beata e tutta immacolata, Madre del nostro Dio». Da allora questa strofa venne aggiun-ta all’inno di Cosma di Maiuma, detto anche Inno dei cherubini, che recita: «Te più onorabiledei cherubini, e senza confronto più gloriosa dei serafini, Te che senza corruzione partoristi ilVerbo di Dio, Te magnifichiamo qual vera Madre di Dio».

L’iconografia dell’opera vuol rendere proprio il clima festoso dei cori angelici: oltre alla raf-figurazione dei cieli aperti con Dio Sabaoth e la colomba dello Spirito Santo che si affaccianodall’alto, e gli angeli in volo che incoronano la Vergine, anche la tavolozza squillante, il gustoornamentale delle vesti della Madre di Dio e del Bambino, e il moto giocoso con cui questimostra il cartiglio, suggeriscono una soave musicalità.

Il cartiglio del Bambino riporta la frase di Isaia pronunciata da Cristo all’inizio della sua pre-dicazione, nella sinagoga di Nazaret: «Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo mi haconsacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc4,18).

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49. Natività di san Giovanni Battista

Icona russa, fine del XVII sec.Basma in argento, 30,9 x 27

La Natività di san Giovanni Battista ricorre il 24 giugno, che nel calendario liturgico e popo-lare segnava un momento particolare, l’ingresso nell’estate, ed era contrassegnato da numerosiriti sacri e non di rado anche paganeggianti, collegati alla fecondità della terra.

La composizione riprende nei suoi elementi le consuete scene di Natività, che abbiamo giàavuto modo di vedere per la Vergine e san Nicola (cfr. rispettivamente cat. nn. 14 e 23): al cen-tro, la scena della partoriente che riceve i doni; a fianco lo sposo, intento in questo caso a scri-vere il nome del figlio, dopo aver perduto la favella a causa della propria incredulità; in primopiano, la scena del bagno de neonato. Nell’opera si uniscono così il carattere intimo, quasi liri-co della composizione, e la sua funzione dogmatica, epifanica del mistero divino: si noti cheZaccaria, pur essendo nella cerchia domestica, porta le vesti liturgiche: la presenza del misterotrasforma tutta la vita in liturgia, e ogni luogo in tempio della gloria.

Un elemento particolare che compare nell’icona della Natività del Battista è la sua figuraadulta, con gli attributi del martire e del profeta (la croce e il rotolo della profezia), che cam-peggia sullo sfondo della composizione: in questo modo, i fedeli potevano vedere già attuata lapromessa fatta dall’angelo a Zaccaria all’interno del tempio.

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50. San Giovanni Battista

Icona russa, inizio del XIX sec.53 x 42,5

A Giovanni Battista il calendario liturgico bizantino dedica un'intera serie di festività, dallasua concezione alla sua nascita, alla decollazione, fino al ritrovamento miracoloso del suo capo( 24 febbraio e 25 maggio), oltre alla Sinassi (7 gennaio) e alla memoria settimanale che ricor-re di martedì.

La tradizione orientale nutre una devozione particolare per il Precursore, a cui dà tra l’altrosempre il posto alla sinistra di Cristo nella composizione della Deesis, che incarna l'idea dellasupplica della Chiesa celeste per la Chiesa pellegrina sulla terra. Giovanni Battista e la Vergine,accanto al trono di Cristo, rappresentano gli archetipi dell'umanità. Proprio a una Deesis dove-va appartenere l’opera qui raffigurata: Giovanni è infatti rivolto di tre quarti verso destra, conil capo lievemente reclinato in atteggiamento orante.

L’icona è particolarmente sobria di elementi iconografici, tutta l’espressività è affidata alvolto, profondamente solcato di rughe e caratterizzato da un’intensa espressione di afflizione.Tuttavia, va rilevato come le rughe si risolvano in luminosità, così come la tunica di pelo e ilmantello, rozze vesti di un abitante del deserto, sono letteralmente intessute di luce mediantela tecnica dell’assist (un sottile reticolo d’oro che vuol sottolineare la presenza del divino).Questa luminosa mestizia, in cui si intrecciano il giubilo per la venuta del Messia e la tristezzadi non poterlo accompagnare nella sua missione, sono elementi caratterizzanti della figura diGiovanni.

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51. San Giovanni Battista «Angelo del deserto»

Icona russa, Palech XVIII sec.36 x 29

La raffigurazione di Giovanni Battista con ali angeliche, abiti di asceta ed eremita e un roto-lo in mano, risale alle testimonianze riportate nel Vangelo, che descrivono Giovanni come pro-feta e precursore di Cristo, che preannuncia la sua venuta predicando la penitenza (Mt 3,1-2;Mc 1,1-8; Lc 3,2-18). Inoltre, l’interpretazione del Nuovo Testamento riferisce a GiovanniBattista le profezie dell’Antico Testamento: «Voce di uno che grida nel deserto: preparate la stra-da del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Is 40,3) e «Ecco, io mando il mio messaggero davan-ti a te, egli ti preparerà la strada» (Ml 3,1; Mt 11,10; Mc 1,2; Lc 7,27). Quest’ultimo testodivenne evidentemente il fondamento della tipologia iconografica «Giovanni Battista Angelodel deserto» («angelo» in greco significa «messaggero»), conosciuto nell’arte bizantina a partiredalla fine del XIII-prima metà del XIV sec. Nell’arte russa raffigurazioni di questo tipo si incon-trano a partire dal XIV sec. (cfr. l’icona della fine del XIV sec. proveniente da Kolomna, attual-mente alla Galleria Tret’jakov di Mosca), e trovano ampia diffusione nel XVI-XVII sec.

Nell’icona in esame, Giovanni Battista alato è rivestito di una tunica di pelli. Con la destrabenedice, nella sinistra regge un rotolo svolto e una coppa con la figurina di Gesù Bambino,chiara allusione al sacrificio redentivo di Cristo. Un significato analogo ha il bastone con lacroce in mano al Precursore. Sul rotolo di Giovanni compare la scritta: «Io vedo e testimonioche costui è l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo...» (Gv 1,29).

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52. Madre di Dio Odigitria di Tichvin

Icona russa, fine del XVIII sec.106 x 82

L’icona presenta una delle varianti di Odigitria (cioè «Colei che si fa nostra guida», additan-doci il Figlio come la «Via, Verità e Vita») più note e venerate in Russia. Il tipo iconograficodell’Odigitria è il più antico e deriva da Bisanzio, dove un’icona analoga era tra i tesori sacri piùvenerati.

La tipologia in esame viene festeggiata in Russia il 26 giugno; essa prende il nome dalla cit-tadina di Tichvin (nelle terre di Novgorod), e costituisce una delle innumerevoli repliche diun'icona venerata nell'omonimo monastero locale. Secondo la tradizione l'antica icona mira-colosa apparve nel 1383; il suo culto si diffuse rapidamente tra la fine del XV e la prima metàdel XVI secolo, in seguito ai numerosi prodigi da essa compiuti: in questo periodo nacquero lesue prime copie, a Tichvin si costruì per l’icona una chiesa in muratura all’interno di un gran-de monastero, dove i principi moscoviti si recarono più volte in pellegrinaggio a venerarla. Nel2004 l’icona, che in seguito a varie peripezie era giunta a Chicago, è stata solennemente resti-tuita alla Chiesa ortodossa russa, ed è stata nuovamente collocata nell’antico monastero setten-trionale.

Le grandi dimensioni della tavola (per l’iconografia rimandiamo alla tav. successiva) fannopensare che essa fosse stata dipinta per una cappella, come immagine patronale che replicava ledimensioni del prototipo miracoloso.

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53. Madre di Dio Odigitria di Tichvin

Icona russa, XIX sec.31 x 27

A differenza della precedente, le dimensioni e il rivestimento dell’opera in esame fanno pen-sare che si trattasse di un’immagine destinata alla devozione personale, probabilmente colloca-ta nell’angolo sacro di una casa o in una cella monastica.

Pur riprendendo tutti gli elementi iconografici del tipo dell’Odigitria, la Vergine di Tichvinpresenta alcune caratteristiche peculiari: il tratto distintivo della sua iconografia è la posizionedel Bambino, che si rivolge di tre quarti verso la Madre e, in questo movimento, mostra la pian-ta di un piedino. Si noti che anche qui, come sempre nella tipologia dell’Odigitria, il Bambinoè in tutto un adulto, il Maestro che giudica e benedice l'umanità che, attraverso la guida diMaria, si accosta a Lui: Egli si rivolge infatti contemporaneamente alla Madre e allo spettatorecon uno sguardo colmo di serietà, benedice e tiene nella sinistra il rotolo della legge. Nel suonimbo si vedono la croce, come nell’icona del Pantocratore, e le lettere greche del monogram-ma divino «Colui che è».

Il rivestimento metallico lascia scoperti solo i volti e le mani, ma a qual che si può giudica-re la pittura presenta un modellato di grande dolcezza ed efficacia espressiva.

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54. Madre di Dio «delle tre mani»

Icona russa, inizio del XIX sec.29,5 x 25

Quest’icona, che riprende nelle linee generali la composizione dell’Odigitria, è legata per lasua origine al miracolo ricevuto da san Giovanni Damasceno: al grande dottore della Chiesa,vissuto all’epoca dell’iconoclastia, fu mozzata una mano per ordine del califfo di Damasco, acausa della sua intemerata opera di difesa delle immagini sacre. Mentre Giovanni pregavadavanti a un’icona della Vergine, la mano gli si riformò miracolosamente, e in segno di ringra-ziamento il santo appese davanti all’icona un ex-voto metallico, raffigurante appunto la manorestituitagli. Con il passar del tempo, questa tipologia si sviluppò, fino a sostituire all’ex votometallico una mano vera e propria, che nell’icona in esame appare al centro, nella parte infe-riore della composizione.

L’icona viene venerata dalla Chiesa d’Oriente il 28 giugno e il 12 luglio.L’opera in esame, un’icona palmare certamente destinata alla devozione personale, presenta

una pittura molto pregevole e delicata; di grande intensità espressiva, in particolare, il voltodella Vergine, soffuso di una velata mestizia ma anche della gioia di chi contempla la presenzadel Salvatore.

Ai lati, sei santi patroni, tra cui si distinguono, dall’alto a sinistra, l’angelo custode e sanGiovanni Evangelista; a destra, al centro appare la monaca Eudocia, e in basso Alessio «uomodi Dio».

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55. Madre di Dio Odigitria di Kazan’

Icona russa, XIX sec.Rivestimento in argento, San Pietroburgo 187240 x 34

L’icona della Vergine di Kazan’, divenuta famosa in tutto il mondo in seguito al dono fattoda papa Giovanni Paolo II al patriarca ortodosso russo Aleksij, nell’agosto 2004, di una prezio-sa tavola con questa raffigurazione, è tra le tipologie iconografiche mariane più venerate inRussia. La sua festa ricorre l’8 luglio e il 22 ottobre.

Le origini dell’icona di Kazan’ risalgono al XVI secolo: venticinque anni dopo la conquistadella capitale del khanato di Kazan’, nel 1579, nella città di Kazan’ che si era ormai russificatae aveva assunto costumi cristiani, fu rinvenuta un’icona della Madre di Dio. Questo avveni-mento si dimostrò molto importante per la coscienza religiosa russa: la periferia orientale delloStato, che fino a poco tempo prima era stata una roccaforte dell’Islam, diveniva parte organicadell’impero ortodosso, che aveva tra i suoi attributi fondamentali le icone miracolose. Nel XVIIsecolo il culto dell’icona di Kazan’ si accrebbe sempre più e cominciò a diffondersi anche nellaRussia centrale, anche perché ad essa fu attribuita la liberazione di Mosca dai polacchi il 22ottobre 1612. Intorno al 1630 all’icona venne dedicata una chiesa sulla piazza principale diMosca.

Nell’opera in esame la pittura dei volti è molto accurata e di buona qualità, alla maniera diSimon Uakov, che introduce un modellato chiaroscurale di gusto occidentale; sulla pitturasembra però prevalere il rivestimento metallico, molto raffinato negli accostamenti tra la super-ficie levigata del fondo, le sontuose vesti decorate a motivi floreali della Vergine, e i ricchi moti-vi puntinati e a palmette sulla cornice. I quattro santi raffigurati sui bordi laterali, che rappre-sentano i patroni dei committenti, segnalano che l’icona era destinata alla devozione familiare.

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56. Madre di Dio di Kazan’

Icona russa, XIX sec.26,3 x 30,7

Sotto l'aspetto iconografico, la Madonna di Kazan' si riallaccia a un'immagine marianadenominata Madonna di Petr, perché attribuita dalla tradizione a Petr, metropolita di Russianel 1308.

Della Madonna "di Petr" quest'ultima riprende le linee caratteristiche, apportandovi alcunemodifiche che ne definiscono l'originalità, esasperando se possibile il carattere sintetico dellacomposizione. Anche qui infatti la figura della Vergine è "tagliata" sotto alle spalle, ma non nesono visibili le mani. Il bambino ha la destra benedicente, mentre la sinistra è nascosta fra lepieghe della veste. Tuttavia, a una maggiore essenzialità si associa un arricchimento del tipo ico-nografico:

nell'atteggiamento reciproco delle figure sembra inserirsi una contaminazione fra il modulodella Odigitria e quello della "tenerezza". Se infatti il bambino è rigidamente frontale, l'incli-nazione del capo di Maria è particolarmente accentuata, cosicché il suo velo sfiora il figlio, inuna posa che ricorda l'affettuoso contatto, caratteristico delle icone "della tenerezza".L'osservazione basata sulla scarna essenzialità del modulo compositivo, si presta ad un sugge-stivo capovolgimento: forse all'origine dell'incredibile fortuna dell'immagine è proprio il suocarattere eccezionalmente sintetico, la pregnanza di uno schema che concentra in un disegno difacile riproduzione e ricezione il contenuto ideale dei due moduli mariani maggiormente pro-duttivi, riflesso di due approcci alla figura di Maria e al suo rapporto con il figlio: L'Odigitria,che mostra il figlio che è Dio, e la Vergine "della tenerezza", china sul figlio che è per lei uomo.

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57. Pokrov

icona russa, Mosca XIX sec.27,5 x 34,3

Il titolo dell'icona in questione è variamente tradotto dallo slavo e dal greco: "protezione","intercessione", "velo" o "manto" della Madre di Dio. La diversità è dovuta al fatto che pokròvin slavo e skepi in greco significano sia "protezione" che "coperto" e si riferiscono in primoluogo alla reliquia del maforion, o velo lungo della Madre di Dio, custodito nel grande tempiomariano a Costantinopoli, la chiesa delle Blacherne. La traduzione più giusta, allora, può esse-re "il velo protettore della Madre di Dio".

La festa liturgica alla quale l'icona si riferisce ha luogo annualmente il I ottobre. Essa com-memora una visione avuta nella chiesa delle Blacherne, da Sant' Andrea salos ossia "pazzo perCristo", nel IX secolo: la capitale era sotto assedio e il popolo raccolto nel tempio mariano perpregare durante la notte. A un certo momento il Santo vede aprire le porte e la Vergine entranella basilica, accompagnata dai due San Giovanni, il Battista e l'Evangelista, e da altri santi eangeli. Ella traversa la navata e davanti al santuario si rivolge verso il popolo, il volto in lagri-me: si eleva nell'aria, toglie il lungo velo dalla testa e lo estende sopra il popolo in segno di pro-tezione, mentre Sant' Andrea indica l'avvenimento mistico al suo discepolo, Sant' Epifanio.

Secondo alcuni il culto e l'iconografia del Pokrov esistevano già a Costantinopoli, da dovesarebbero stati introdotti nella Russia medioevale. Comunque sia, impulso notevole al culto èstato fornito dal principe Sant' Andrea Bogoliubskij il cui santo patrone era, appunto, Sant'Andrea salos. Il principe costruì una chiesa alla Madre di Dio Pokrov, tuttora esistente, sulfiume Nerl verso la metà del XII secolo, e da allora si può datare la singolare devozione russaalla Madre di Dio sotto questo titolo, che cresceva fino a diventare nel XV secolo un autenticoculto nazionale.

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58. Profeta Elia nel deserto

Icona russa, inizio del XIX sec.Basma in argento, 72 x 58

Elia è tra le prefigurazioni più pregnanti della resurrezione, perché la tradizione vuole chenon morisse ma venisse assunto in cielo ancor vivo, su un carro di fuoco (si veda la scenadell’«Ascesa al cielo di Elia sul carro di fuoco», qui raffigurata in alto, che risale alle antiche raf-figurazioni di Helios, la divinità solare che solcava i cieli su un cocchio tirato da una quadrigliadi cavalli fiammeggianti). Forse proprio per questo motivo Elia godeva di un particolare cultonel mondo russo; in ogni caso la tradizione popolare lo collegava al sole e gli attribuiva la signo-ria sulla folgore e sul tuono. La sua festa cadeva proprio nel periodo in cui più veniva invocatocontro la calamità della tempesta, il 20 luglio.

L’icona in esame raffigura vari episodi della vita di Elia (cfr. anche la tavola successiva),ponendo però in primo piano il momento in cui il profeta viene nutrito dal corvo nel desertopresso il torrente Cherit (1 Re 17,2-6), all’inizio della sua missione: un episodio ampiamentecommentato dai Padri che vi ravvisavano un archetipo dell’Eucarestia.

L’icona è di ottima fattura: le parti pittoriche lasciate scoperte dal rivestimento in argentosono di raffinata fattura, con colori vividi e un disegno sicuro e morbido che fa pensare allemigliori tradizioni dell’iconografia del XVI secolo.

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59. Ascesa al cielo del profeta Elia

Icona russa, fine del XVI sec.62,2 x 56

L’opera in esame riprende per molti aspetti lo schema della precedente, risolvendolo tuttaviain una maniera stilistica completamente differente. Il soggetto centrale è qui la scena culmi-nante della vita del profeta, l’ascesa al cielo di Elia, con Eliseo che tende le braccia in preghieraa destra, ricevendo intanto il mantello di Elia, e la destra di Dio benedicente dalle nubi. A sini-stra, Elia viene nutrito dal corvo durante la sua permanenza nel deserto, e più in basso c’èl’«Apparizione dell’angelo al profeta Elia nel deserto». Come leggiamo nel testo biblico (1 Re19,4-7), sopraffatto dall’amarezza e desideroso di morire, il profeta Elia si addormentò sotto unginepro. Gli apparve un angelo che lo toccò e, indicandogli del cibo e una brocca d’acqua, glidisse: «Alzati e mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Al centro, «Elia divide leacque del Giordano con il mantello». La Bibbia (2 Re 2, 7-8) narra che Elia, prima che «Dio lorapisse in cielo in un turbine», si trovava con il discepolo Eliseo sulle rive del Giordano, e «preseil suo mantello, l’avvolse e percosse con esso le acque, che si divisero di qua e di là; i due pas-sarono sull’asciutto».

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60. Madre di Dio Odigitria di Smolensk

Icona russa, XIX sec.Rivestimento in argento, San Pietroburgo 187026,7 x 23,3

È qui rappresentata una delle tipologie più antiche e solenni della Madre di Dio, il tipodell'«Odigitria» che vede la Vergine indicare con il gesto della mano il Figlio raffigurato nel-l'atteggiamento di Giudice misericordioso, con il rotolo della legge e il gesto della destra bene-dicente. Se il «tema» dell'Odigitria appare già nel VI secolo, come meditazione teologica sul-l'incarnazione, la fissazione di questo tipo iconografico avviene solo nel IX secolo. La denomi-nazione di «Odigitria» deriva dalla basilica costantinopolitana delle «guide» (in greco «odigos»),dov'era tradizione che i generali si recassero in preghiera prima di partire per le campagne mili-tari. In questo senso la Vergine, guida per eccellenza nella battaglia della vita, è denominata«Odigitria».

L'icona presenta un'intonazione lirica e intima, resa estremamente raffinata dalla decorazio-ne del rivestimento metallico, in cui si alternano sapientemente superfici lisce e cesellate, fili-grane, perline e pietre dure. La pittura è qui limitata ai volti, alle mani e ai piedini del Bambino.Oltre al prezioso rivestimento in argento, che sovente veniva appositamente commissionatocome ex-voto, anche la presenza dei due santi sulla cornice (a sinistra l’angelo custode, e a destrala santa monaca Pelagia), fa pensare che l’icona fosse destinata alla preghiera domestica o per-sonale, forse ad una monaca.

Oltre ad esprimere un sentimento di devozione, il fondo in metallo prezioso, assimilabileall’oro, viene inteso come il dilatarsi della santità simboleggiata dai nimbi, applicati sopra ilrivestimento stesso. Cristo, pur nelle proporzioni infantili, appare come il Dio incarnato: nelsuo nimbo si staglia il profilo della croce con il monogramma che dà la definizione di Dio,«Colui che è». Indicandolo con la mano e con lo guardo, di grande intensità, la Vergine si fanostra guida per condurci verso Colui che è «Via, Verità e Vita».

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61. Madre di Dio Odigitria di Smolensk

Icona russa, XIX sec.Rivestimento in argento, Mosca 1848, punzone di A. A. Koval’skij31,9 x 27

L'icona qui riprodotta presenta ancora la tipologia della precedente, a cui si rimanda per l'a-nalisi dell'iconografia. Ciò che colpisce come elemento caratteristico, in quest'opera, è la festo-sità e la calda luminosità raggiunta attraverso l’impiego del rivestimento in argento dorato, fine-mente lavorato, e di colori squillanti e caldi sapientemente accostati a tonalità più scure. Insolitala decorazione a stelline che riscontriamo sulla cuffia e sulle maniche dell’abito della Madre diDio.

Il tema della luce, insieme alla simbologia dei colori, è tra gli aspetti dominanti nell’icono-grafia cristiana, in particolare orientale. La luce è infatti simbolo della presenza divina, dell’e-nergia che permea il creato e gli dà vita in ogni istante. Di qui le due modalità fondamentali distendere l’oro: in fogli d’oro zecchino (sui fondi), a significare l’aura divina in cui abita l’uma-nità in Paradiso, e mediante un sottile tratteggio (assist) che ricopre parzialmente le vesti e indi-ca l’azione di Dio nei confronti dell’uomo. Particolare rilievo ha anche il significato del colorerosso, che sta a indicare sia il sangue (la passione redentrice di Cristo), sia il fuoco dell’amoredivino: sono proprio queste le due valenze in cui il rosso è impiegato per le vesti di Cristo, let-teralmente «ammantato» d’amore per l’umanità. La Vergine è rivestita invece di porpora, asignificare la dignità regale donata alla creatura nella salvezza operata da Dio.

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62. Madre di Dio

Icona russa, fine del XVI sec.62 x 53,5

Questo volto della Madre di Dio poteva forse appartenere a una Deesis, in cui la Vergine èsempre alla destra del Salvatore in atteggiamento di supplica. A questo farebbe pensare la raffi-gurazione di tre quarti di Maria e la lieve inclinazione del suo capo. Si tenga presente che nel-l’icona i personaggi non sono mai raffigurati di profilo o tantomeno di spalle rispetto all’osser-vatore, ma presentano interamente il volto (fa eccezione solo il diavolo, che in quanto sedutto-re, ingannatore, cela il proprio sembiante e appare di profilo). Il fondo della tavola e il nimbosono stati interamente asportati, lasciando scoperto il fondo di gesso. Ben conservato appareinvece il volto, dipinto con pochi, sobri tratti luminosi che sottolineano i lineamenti, e unincarnato base bruno.

La festività mariana per eccellenza nel mondo bizantino è la Dormizione, che cade il 15 ago-sto; sovente, oltre all’icona della festa, in quest’occasione venivano esposte anche icone dellaVergine come quella riprodotta qui accanto. Icone simili venivano inoltre poggiate su appositileggii e venerate nel corso dell’anno.

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63. Salvatore Acheropita

Icona russa, Russia meridionaleInizio del XIX sec.53,5 x 44

L'iconografia del Salvatore «non dipinto da mano umana» si fonda sulla tradizione del voltodi Cristo impresso miracolosamente su un lino, inviato dallo stesso Salvatore al re di EdessaAbgar, afflitto da una malattia incurabile da cui fu invece risanato dopo aver toccato la santaeffigie. L'immagine «acheropita» fu collocata in una nicchia sopra le porte cittadine, ma quan-do i discendenti di Abgar ritornarono al paganesimo, fu murata dietro uno strato di mattonid'argilla. Fu ritrovata solo dopo secoli, nel 545, durante l'assedio posto alla città di Edessa dalre persiano Cosroe. La creazione del tipo iconografico del «Salvatore Acheropita» risale all'artebizantina del X sec. La comparsa e la diffusione di raffigurazioni di questo genere coincide conl'epoca della traslazione dell'immagine miracolosa di Edessa a Costantinopoli (944) e la com-posizione del Racconto della traslazione dell'Effigie nella capitale e di un Sermone sul suo cultoad Edessa.

Nell’opera in esame è sottolineato in particolare il culto tributato alla santa Effigie: essa èinfatti sorretta da tre arcangeli (da sinistra, Michele, Raffaele e Gabriele), e riccamente ornatadi fiori tutt’intorno alla raffigurazione del Volto santo. Nella tradizione orientale, l’icona «ache-ropita di Cristo è il fondamento stesso dell’iconografia, perché è la prima effigie consegnata daDio stesso all’umanità, e simboleggia l’incarnazione del Salvatore, che assume un volto e uncorpo umano, assimilandosi in tutto all’umanità per redimerla e restituirle la sua dignità divi-na.

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64. Floro e Lauro, con l’arcangelo Michele

Icona russa, inizio del XIX sec.31 x 26

Il soggetto è uno dei più diffusi nelle terre di Novgorod e del Nord, sebbene le sue fonti let-terarie, l'epoca e le circostanze del culto di Floro e Lauro come patroni dei cavalli, siano tutto-ra sconosciute. Nella Vita dei martiri non vi sono rimandi al loro legame con i cavalli, e solo iltesto della preghiera e il contenuto delle composizioni iconografiche ci permettono di com-prenderne il soggetto. Nella zona superiore appaiono l'arcangelo Michele, condottiero delleschiere angeliche, i vescovi Biagio e Spiridone e i due fratelli martiri Floro e Lauro, cui vieneaffidata la signoria sugli animali. Intanto, nella zona inferiore dell'icona, una mandria di caval-li affidata al loro patronato viene pascolata da altri tre fratelli martiri, Speusippos, Elasippos eMelesippos.

Secondo il testo greco della Vita dei santi Floro e Lauro, tradotta nella Rus' nel XV secolo,i due fratelli vissero e subirono il martirio nell'Illirico nel II secolo. Erano tagliapietre e costrut-tori, e per questo furono chiamati dal re Licinio a costruire un tempio dedicato a Ercole.Costretti a eseguire questo lavoro, i fratelli distribuirono tutti i guadagni ai poveri e compiro-no numerose guarigioni miracolose, che contribuirono a convertire molti al cristianesimo.Quando la costruzione venne completata e vi furono collocate le statue degli idoli, i due fratel-li alla testa di un gruppo di fedeli vi fecero irruzione nottetempo e distrussero i simulacri paga-ni; informato della cosa, Licinio ordinò di sottoporli a orribili torture, quindi li fece gettare inun pozzo profondo. Le loro reliquie vennero rinvenute incorrotte all'epoca di Costantino, etraslate a Costantinopoli. Nel monastero ad essi dedicato, sul sepolcro dei martiri avvenneronumerose guarigioni, ricordate a volte anche da pellegrini russi; in particolare, l'ampia venera-zione di cui Floro e Lauro godevano a Bisanzio come guaritori, è spiegabile forse in relazionealla perfetta conservazione delle loro salme, che alludeva alla resurrezione della carne nell'ulti-mo giorno.

Nella Rus' il culto di Floro e Lauro si diffuse fin da tempi antichissimi: ad essi erano dedi-cate numerose chiese e monasteri, e si conoscono loro raffigurazioni iconiche fin dall'epoca pre-mongolica. Il soggetto qui in esame si formò nel XV secolo, rispecchiando un nuovo aspettodel loro culto: da questo momento essi cominciarono ad essere considerati in primo luogopatroni dei cavalli. La loro festa cade il 18 agosto.

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5. Il PantocratoreIl volto del Salvatore illumina ogni giorno, ogni istante della vita del cristiano: la liturgia si snoda

nei suoi cicli, si avvicendano eventi diversi, ma tutto concorre semplicemente a illuminare di volta

un singolo aspetto, un singolo elemento del Volto santo di cui «tutto consiste».

L’icona del Pantocratore, che insieme alla Vergine e a san Nicola era presente in ogni casa russa,

oltre che in ogni chiesa e monastero, rappresenta proprio la durata del tempo, in cui la novità quo-

tidiana si configura semplicemente come eterna riscoperta di Colui che era al principio, del fonda-

mento ultimo, di Colui che è più profondo in noi del nostro stesso male (come diceva Dostoevskij),

di Colui che ci attenderà nell’ultimo giorno.

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65. Pantocratore

Icona russa, fine del XVIII sec.59 x 71

L'icona del Pantocratore esprime la manifestazione di Cristo vero uomo e vero Dio. Cristoappare come il Creatore di tutto ciò che esiste, insieme al Padre e allo Spirito Santo, come dicesan Paolo in un passo che fu tra gli argomenti principali nella difesa delle icone durante le lotteiconoclaste: «Egli è l'immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché permezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili equelle invisibili... Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui» (Col 1,15-16). Di qui la denominazione di Pantocratore, cioè Onnipotente.

Il Vangelo del Salvatore è aperto a un passo di san Matteo: «Il Signore disse ai suoi discepo-li: “Tutto mi è stato dato dal padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessunoconosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”» (Mt 11,27).

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66. Pantocratore

Icona russa, fine del XIX sec.Rivestimento in argento e smalti, Mosca 1899-190831,5 x 27

L’elemento di maggior pregio, in quest’icona del Pantocratore, è certamente il ricco rivesti-mento che mediante un raffinatissimo lavoro di filigrane, perline e smalti, imita alla perfezionei preziosi tessuti che rivestono il Salvatore.

La raffigurazione segue in tutto i canoni e gli schemi iconografici evidenziati alle tavv. pre-cedenti, e a cui rimandiamo.

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67. Pantocratore «Zamoskvoreckij most»

Icona russa, inizio del XIX sec.53,5 x 43

Questa tipologia a Mosca prendeva la particolare denominazione che leggiamo nel titolo, eche significa «Pantocratore al ponte per l’Oltremoscova», a motivo di un’icona particolarmentevenerata che si trovava in questo quartiere cittadino. Particolare è lo scorcio in cui il Salvatoreè ritratto, che accentua le dimensioni del volto rispetto a quello del Vangelo, e taglia la manolasciandone visibile solo la metà superiore; insolita è anche la resa del volto, che non porta quasii segni del consueto procedimento di «illuminazione», e cioè di schiariture progressive ottenu-te mediante mani sovrapposte di ocre sempre più chiare, che disegnano i lineamenti . Si osser-vano solo lievi tocchi di bianco intorno agli occhi e sulla fronte.

La scritta che si legge sul libro aperto è quella tradizionale, tratta dal Vangelo secondo sanMatteo (11,28).

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68. Pantocratore

Icona russa, XIX sec.Rivestimento in argento e smalti, 31,5 x 26,7

La raffigurazione del Pantocratore, che mostra il Vangelo aperto al passo di Matteo 11,28-29, segue in tutto i canoni iconografici usuali di questa tipologia.

Interessante rilevare la presenza della teca in legno che custodisce l’immagine sacra: era unelemento consueto per le icone conservate tra le pareti domestiche, generalmente raggruppateinsieme nel cosiddetto «angolo sacro», che diventava il tempio domestico, davanti a cui la fami-glia si riuniva per la preghiera comune, quotidianamente e nei momenti più importanti.

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6. Le icone in fusione di metallo

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Le icone di metallo hanno giocato un ruolo fondamentale nell’iconografia della grandeRus’, un’arte di grande maestria del miniaturismo ed abilità orafa di notevole effetto. Varisono stati i metalli impiegati: il rame (anticamente il più usato), soluzioni diverse in leghe

come bronzo, ottone e alpaca, per poi arrivare all’argento e all’oro.Le icone così preparate garantivano maggior durata, oltre al minor costo di produzione, se

confrontate con le più particolari icone su tavola, pur mantenendo inalterato il mistico signifi-cato proprio degli oggetti sacri.

Già dal XII secolo le icone prodotte con leghe in rame nelle loro varie tipologie diventanoparte integrante dell’iconografia della terra Russa, diffondendosi dall’attuale Ucraina(Principato di Kiev) e divenendo in breve tempo il gruppo più importante dei manufatti del-l’arte russa ecclesiastica.

La loro grande popolarità d’uso si deve al fatto che la fusione del metallo è una tecnica sem-plice, la lega di rame un materiale economico.

La grande richiesta di questi oggetti sacri, seppure metallici, rese di fatto “industriale” la loroproduzione.

Questi manufatti iconografici si diffusero da Bizanzio al territorio del Principato di Kiev, conl’avvento della religione cristiana abbracciata dal principe Vladimiro il Grande (972-1015) che,nel 988, sposò una principessa bizantina.

Come accadde per le icone su tavola ed in affresco, la cultura russa acquisì velocemente l’ar-te iconografica bizantina anche nella produzione propria di icone metalliche, copiandone leimmagini e le diverse varietà di fusione, adattandole però al gusto e alla tradizione locale.

Quando Kiev fu occupata dai Mongoli (1240-1322) e successivamente dai Polacco-Lituani,questa arte ebbe un arresto forzato; da allora prese avvio quel decentramento della produzionenell’area di Novgorod, nel Nord della Russia.

Novgorod, “La Grande Signora”, rimase sempre libera e non fu mai occupata da invasori,restò quindi zona franca, acquisendo un ruolo eccezionale e centrale nella conservazione e svi-luppo dell’iconografia in generale.

Con la definitiva liberazione della terra Russa dalle occupazioni mongole e tartare agli inizidel XVI secolo (del 1502 è la vittoria sull’Orda d’Oro), riprese con grande vigore la produzio-ne iconografica sia delle icone dipinte che in fusione di metallo.

Le icone in fusione di metallodi ALFONSO SAMPIERI

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La venerazione delle icone nella terra Russa, in tutte le loro tipologie, svolse il ruolo essen-ziale e completo non solo nel culto ufficiale della Chiesa orientale, ma anche nel normale vive-re del credente ortodosso, sia nelle manifestazioni, pubbliche e private, nelle grandi occasioni,sia nei piccoli bisogni quotidiani.

L’iconografia bizantina, introdotta dal principe Vladimir nel 988 nel Principato dell’attualeUcraina, si estese gradatamente seguendo l’evoluzione e gli eventi del territorio russo; elabo-randone metodi, tipologie, formando grandi maestri e scuole, facendo dell’icona un emblemaproprio della Russia, tanto da essere chiamata “la terra delle icone”.

Le icone in fusione di metallo, in tutta la loro storia, svolsero un ruolo importante nella cul-tura ortodossa russa per la pratica devozionale, specie nell’uso personale e familiare.

Con la caduta dell’impero zarista nel 1917, si è interrotta una secolare e profonda identitàculturale, la soppressione del culto religioso e l’avvento del regime comunista hanno affievolitoogni forma di devozione cristiana, perdendo velocemente le secolari conoscenze.

Anche per quanto riguarda le icone in bronzo si sono perse molte cognizioni, ma il progres-sivo interesse per questo tipo di arte, da parte degli studiosi e del collezionismo antiquario, haportato a studi e ricerche iniziati agli inizi del secolo scorso, con pubblicazioni interessanti.

Continuano a tutt’oggi gli studi di approfondimento che riservano ancora lacune a molterisposte, in un campo assai vasto quale è stato la secolare produzione ed il culto legato alle iconein fusione di metallo.

Le icone di metallo e i “Vecchi Credenti”

Nel corso del XVII secolo, lo Stato russo si apre all’influenza occidentale e per la Chiesa arri-va il grande mutamento introdotto negli anni 1650; i Concilii di Mosca (1666-1667) “rifor-mano” i testi liturgici e le pratiche in uso - anche quelle iconografiche - secondo i dettami delnuovo patriarca di Mosca Nikon (1606-1681).

Su sua iniziativa si migliorano i testi liturgici, correggendo le traduzioni sbagliate che eranosorte con la copiatura nel corso del tempo, la celebrazione dei riti religiosi fu modificata, con-formandosi sempre più alle linee greche.

I credenti dovettero abituarsi a fare il segno della croce con tre dita anziché due e Nikon intro-dusse come croce ufficiale della Chiesa quella a quattro punte, sostituendola a quella a otto punte.

Tuttavia il cambiamento non fu accettato da un’ampia fascia di conservatori guidati dall’ar-ciprete Avvakum; questi si considerarono i soli depositari dell’antica fede e tradizione russo-ortodossa, staccandosi di fatto dalla Chiesa ufficiale e venendo in seguito comunemente chia-mati i “Vecchi Credenti”.

Essi rimasero fedeli ai modi antichi nella loro vita religiosa, considerando la Chiesa di Statoed i suoi rappresentanti come una manifestazione dell’anticristo.

La Chiesa ufficiale indicò i Vecchi Credenti come raskolniki, cioè scismatici, e diede avvionei loro confronti ad un lungo periodo di persecuzioni, talvolta anche provenienti dallo Stato.

L’arciprete Avvakum fu imprigionato e mandato in Siberia a scontare una pena detentiva per

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quindici anni a Pustozersk (oggi Narjan Mar) sulle rive del fiume Pècora; lì trovò la morte bru-ciato al rogo nel 1682.

Le comunità dei Vecchi Credenti dovettero migrare dalle aree urbane, rifugiandosi in zoneimpervie, e furono proprio loro a continuare in modo deciso la produzione costante delle iconein fusione di metallo, diventando maestri riconosciuti e depositari di questa arte che dal XVIIsecolo si è legata a loro in forma inscindibile.

Paradossalmente, fu proprio la separazione dei Vecchi Credenti dalla Chiesa ufficiale cheinnescò uno slancio nella richiesta e nella produzione delle icone in bronzo, anche a dispettodella proibizione, emanata da Pietro il Grande in data 31 gennaio 1723, di produrre icone infusione su tutto il territorio russo. Questo famoso Ukaz, ordine perentorio dello Zar, fu stret-tamente osservato per ben 160 anni.

Le comunità “scismatiche” dei Vecchi Credenti continuarono, comunque, a produrre e fon-dere queste icone in centinaia di migliaia d’esemplari e, proprio grazie alla loro caparbietà, que-sta arte poté continuare ad evolversi in tutte le sue peculiarità stilistiche di grande pregio e tra-dizione antica, diventando quasi loro monopolio esclusivo.

Le zone più importanti, dove le comunità dei Vecchi Credenti operarono dalla fine del XVIIsecolo sino alla caduta dell’impero zarista (1917), furono quindi aree impervie e periferichedella Russia, che permisero loro, spostandosi, di sfuggire alle persecuzioni: zone diverse nellevarie epoche, con fasi che potremmo definire di “spostamento nomade”.

Basilare la prima loro concentrazione fra le rive del Mar Bianco nella Carelia Orientale esulle sponde dei laghi Ladoga e Onega: è proprio a Nord-Est del lago Onega che nacque nel1690 l’eremo di Vyg, fondato da Daniil Vikulin.

Situato tra foreste inaccessibili e paludi, sulle rive del fiume Vyg, a quaranta chilometri dallapiccola città di Povenets, quest’ultimo divenne centro e rifugio tra i più importanti dei VecchiCredenti, fulcro e riferimento culturale della loro fede nei secoli successivi, ampliandosi edaccrescendo il suo potere sino alla metà del XIX secolo.

Moltissimi sono i modelli, le fogge, gli ornamenti e colori nell’iconografia dei manufatti inmetallo; parecchi di questi sono stati creati nel periodo tra il XVIII e XIX secolo in diversi labo-ratori e fonderie, ma i più rappresentativi e stimati, per il loro significato di fede e ricercata fat-tura, sono i modelli Vyg.

Nelle officine attorno al famoso monastero dei Vecchi Credenti si sono creati maestri e operein metallo, diventate modello per molte imitazioni fino all’inizio del XX secolo.

Nei suoi laboratori, artigiani qualificati, oltre alle icone di bronzo e a qualsiasi altro tipo dimanufatto in metallo, miniavano manoscritti con ornamenti di rara bellezza e provvedevanoalla copiatura amanuense dei testi antichi.

Un visitatore del monastero Vyg, nel tardo XVIII secolo, così ne citava l’operosità “…unafonderia di ottone è situata vicino alla conceria: qui in due forni immagini di ottone vengono fuse,in un altro edificio sono pulite, coperte di smalti e vendute ai visitatori e pellegrini…”.

Sotto il regno dello Zar Nicola I, una politica intesa ad “…eliminare totalmente il dissen-so” che fu sostenuta con molto zelo, portò alla chiusura, tra il 1854 ed il 1856, del grande

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monastero di Vyg.I luoghi di culto, come chiese e cappelle, furono chiusi, i libri e le icone sequestrati, i cimi-

teri selvaggiamente devastati e gli edifici “dichiarati danneggiati” demoliti. Altre forti concentrazioni si formarono nella Carelia del Nord in Finlandia, mantenendo un

insediamento stabile già dal XVII secolo.L’area Baltica fu una della zone dove i Vecchi Credenti si mossero dal mar Bianco in Carelia;

i primi emigranti russi in Estonia sono stati proprio loro: nei villaggi di Nina e Kallaste vicinoal lago Peipsi, tra il XVII e il XVIII secolo.

Il loro spostamento si diresse anche dal Baltico alla Polonia, arrivando nella prima metà delXIX secolo in Estonia dalle aree di Archangel, Pskov e Novgorod.

Molti di loro, lasciando l’area di Archangel al Nord, emigrarono non più tardi del XVII seco-lo verso Ust-Tsilma sul fiume Pécora; centri importanti sorsero nella parte orientale diJekaterinburg, sul fiume Jset, negli Urali, con monasteri a Dalmatov e Kondiskij.

I “be�popovtsj ” formarono una grande comunità a Ni�hnij Novgorod, vicino al fiume

Arcangelo Michele, bronzo russo del XIX secolo, particolare, Collezione Orler.

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Kerenets: negli anni 1720 contava ben 86.000unità.

Le persecuzioni dei Vecchi Credenti subiro-no una recrudescenza sotto il regno dello ZarNicola I (1825-1855), mentre i suoi successorifurono più tolleranti, ma quel periodo cruen-to, “lasciando il segno”, ha indotto i VecchiCredenti a fuggire dall’altro lato degli Urali,verso la Siberia.

Altro grande centro si costituì a Sud degliUrali, nella regione di Samara, a Perm’, che nelXIX secolo ospitò la più grande concentrazio-ne di Vecchi Credenti.

La loro migrazione costante non si mossesolo all’interno della Russia; essa interessòl’Asia, e l’Armenia, l’odierna Alaska e l’Europa,la Turchia e perfino la Cina; da lì ad HongKong, poi in Australia e nell’America del Sud(principalmente in Brasile) e nell’America delNord (nello stato dell’Oregon).

Seguendo l’itinerario percorso nei secoli daqueste comunità all’interno della Russia, sideduce quali siano state le aree interessate allaproduzione delle icone in fusione di metallo;tuttavia, dato che assai raramente qualcuna diesse veniva firmata o punzonata, è virtualmen-

te impossibile determinare il luogo esatto di fabbricazione di una singola icona. Un modo certo per la loro datazione o luogo d’origine è il rinvenimento durante scavi

archeologici od occasionali, in cui si sia trovata sepolta assieme al defunto la piccola icona dimetallo allacciata attorno al collo con un lungo nastro, oppure avvolta in un panno.

Di queste icone in fusione di metallo si conoscono stili mantenuti invariati presso comuni-tà o monasteri, gelosamente custoditi nei secoli e sfuggiti alle requisizioni del Regime che lemandava a fusione a migliaia per altri scopi.

Gli stampi, vere opere del bassorilievo in miniatura, erano realizzati da abili incisori, anchesu commissione da altro luogo; i Vecchi Credenti, nonostante fossero aspramente contestati,erano poi ricercati per la lavorazione e fusione di campane, croci in bronzo processionali, pre-giate lavorazioni o rivestimenti dei testi liturgici, suppellettili metallici a uso domestico, acces-sori ecclesiastici per le chiese, per la devozione familiare.

Su ordinazione, preparavano icone in metalli preziosi per i signori dell’alta aristocrazia russa.Ad Irbit esisteva il mercato di primavera, mentre quello di Ni�nij Novgorod durava tutto

Bronzo con smalti policromi del XIX secolo,Collezione Orler.

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l’anno, divenendo il più grosso centro di commercio dei manufatti in fusione. In queste locali-tà si concentravano per giorni produttori di icone, commercianti ed acquirenti, provenienti datutte le regioni della Madre Russia.

Citiamo solo alcuni dei luoghi più rinomati di produzione di queste icone metalliche: lazona del Baltico e le sponde dei laghi Ladoga ed Onega, l’area di Pomor’e, Nev’jansk negli Urali(ricchi del materiale primo), trasformatosi agli inizi del XVIII secolo da modesto villaggiomanifatturiero nella prima capitale mineraria dei fratelli Demidov.

Dal 1720 sino alla fine del XIX secolo si operò ininterrottamente nei monasteri della comu-nità di Vjg e Leksa nel distretto di Olonets, a Ni�nij Tagil e ancora negli Urali, a Suksn, Kama,Alapaevsk e Kasli.

Nella provincia di Perm’, nei territori di Kostroma, Novgorod e Jaroslavl’, a Ustjug, nella zonadel Volga meridionale e nelle regioni meridionali del Don, luoghi di produzione si trovavano aVetka, un centro molto particolare a sud dell’attuale Bielorussia verso il confine con l’Ucraina.

A Mosca, la produzione di icone in fusione cominciò tardi, solo verso il 1912, quando i cen-tri nei pressi della capitale, come le fonderie di Sokolova e Pankratova a Preobrazhenskoje, ven-nero soppresse; ma la città divenne velocemente il secondo centro per importanza.

Nei sobborghi vicini alla capitale rinomate e particolari erano le croci e le icone in metallodi Gusicy, villaggio nel distretto di Iljinskii (Mosca), dove c’erano numerose fonderie ed ungrande monastero.

Il villaggio produttivo dei manufatti di metallo della comunità dei Vecchi Credenti diPreobrazhenskoje fu fondato nel 1771 da un mercante moscovita, Ll’ya Kovylin (1731-1809),lontano dalla città di Mosca, nascosto tra le colline in prossimità dello stagno di Khapilov.

La comunità di Preobrazhenskoje si basava sugli insegnamenti di Vyg; i suoi rigorosi detta-mi, appresi da Kovylin e dai suoi compagni, erano fonte di insegnamento per una produzioneappropriata di oggetti in rame e di croci. La comunità divenne il centro più importante nellaprovincia di Mosca e nel 1835 contava ben 1.259 persone.

I lavori, fatti nelle fonderie di Sokolova e Pankratova, furono la conclusione alla storia dellaproduzione dei manufatti in metallo da parte dei Vecchi Credenti associati alla comunità diPreobrazhenskoje di Mosca.

A partire dal 1883, un decreto dello Zar Alessandro III, permise ufficialmente ai VecchiCredenti di attendere alla produzione di icone sino ad allora fatta dalle comunità dei popovcycontro le regole della Chiesa ufficiale e dello Stato e durata per più di due secoli sempre nasco-stamente.

Le comunità scismatiche dei Vecchi Credenti ottennero molto più tardi in modo definitivola loro libertà di culto, il diritto di costruire ufficialmente chiese e produrre icone. Solo nel 1905il Manifesto del 17 aprile “Sulla libertà di confessione religiosa” legalizzò il loro culto.

Dopo un processo millenario di sviluppo costante, la caduta dell’Impero Russo e l’avventodel Comunismo, assieme ai complementari e successivi sommovimenti di enorme portata,hanno segnato la definitiva chiusura delle antiche botteghe russe e dei crogioli di fusione per leicone di metallo.

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La tecnica di esecuzione delle icone di metallo

Le icone di metallo vengono catalogate come “icone da viaggio” proprio per le loro dimen-sioni ridotte, usate sia per la devozione familiare che liturgica; modelli più piccoli erano por-tati al collo. Sono di diverse fogge e rappresentano tutta l’iconografia conosciuta.

Possono essere distinte in icone semplici, dittici, trittici (a due e tre formelle incernierateassieme), polittici (cioè composti da più di tre formelle) e croci.

La caratteristica principale che ha permesso la loro rapida diffusione è la durevolezza, oltreal basso costo che ne permetteva l’acquisto anche per i meno abbienti, sostituendo le piùantiche forme fatte su pietra, legno, osso o avorio.

I Vecchi Credenti veneravano particolarmente le icone di metallo, per la loro specificanatura: le icone di bronzo, erano sì create da mani esperte, ma forgiate nel fuoco, quindi,purificate. Fatte per affrontare l’influenza della terra, dell’acqua e del fuoco, questi fattorilasciano sull’icona i segni del tempo ed il classico processo di invecchiamento, segni che sonocaratteristici delle vecchie icone di metallo e, allo stesso tempo, distinguono un oggettoinvecchiato col tempo da uno invecchiato in modo artificiale.

Le icone di metallo sono state realizzate principalmente in bronzo e ottone, che sonoentrambi leghe a base di rame, mentre le icone più antiche fatte solo di puro rame o piom-bo sono molto rare, come pure in solo zinco; seguono i metalli pregiati quali l’alpaca, l’ar-gento e l’oro, usati dai grandi maestri per creare delle icone che diventavano dei veri gioielli,con lavorazioni assai raffinate riservate a committenze agiate. Il bronzo è una lega di rame estagno, mentre l’ottone contiene rame e zinco.

Comparato al bronzo, l’ottone è generalmente più giallo, ma questa non è sempre la rego-la poiché la composizione delle leghe usate nella fabbricazione varia in modo considerevole,sia nei materiali oltre al rame (stagno, argento e oro) sia nella percentuale. Quindi le iconein fusione, per una più pratica definizione, sono citate come “icone di metallo” o “icone dibronzo”.

Le icone dette “di bronzo” sono, senza eccezioni, dei bassorilievi ottenuti per colata dimetallo fuso; rappresentano il risultato del concorso di due diverse tecniche artistiche: l’artescultorea del bassorilievo e l’arte della lavorazione dei metalli. Persone di grande valenza arti-stica lavoravano i prototipi per le fusioni: erano dette “maestri-modellatori” e, a loro volta,avevano appreso l’arte alla scuola di rinomati monasteri come Vyg; essi si avvalevano di alme-no 4 o 5 aiutanti che, a loro volta, acquisivano l’arte sotto l’attenta guida del maestro.

La produzione prevedeva diversi stadi preparatori. La fase iniziale era la costruzione del soggetto per ottenere il prototipo primario, la matri-

ce che avrebbe permesso la fusione di numerose riproduzioni.Certamente, la creazione del modello base era il momento più delicato che richiedeva lo

studio e la ricerca, non solo tecnica e pratica, ma bastata soprattutto sul rispetto dei canoniiconografici stabiliti in rispetto dei principi fondamentali della dottrina ortodossa.

Una ricerca attenta, nel dare al materiale fuso l’identità primaria, vale a dire la trasmissio-

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ne del sacro attraverso un’immagine. Successivamente, individuato il mo-

dello, si procedeva alla preparazione delprototipo con l’uso sapiente di materialiquali la cera, l’argilla, i metalli teneried il legno, tra i più utilizzati per la loropronta disponibilità e le adeguate pro-prietà di lavorazione.

Seguiva l’operazione della fusione: ilmetodo più comune usato era il sandcasting (fusione nella sabbia), procedi-mento che ha permesso la produzione inserie e la creazione di diverse variazioni,con ottimi risultati.

Predisposta un’intelaiatura contenen-te la sabbia fondente con dell’appositolegante, veniva impresso il prototipo;scuotendo leggermente la sabbia fon-dente si otteneva la massima adesione alprototipo e quindi l’impronta negativaagente come stampo.

Si eseguiva la stessa operazione per rica-vare il calco contrario del prototipo, cui seguiva il procedimento di fusione con la colatadel metallo liquido. Il processo poteva essere ripetuto più volte e la sabbia riutilizzata.

Tutte le icone fuse erano successivamente portate presso altri centri di lavorazione perle rifiniture dalle sbavature e scorie di fusione, lisciatura dei bordi, pulitura e rettifiche,la preparazione dei fori nelle apposite piccole protuberanze sfaccettate per la sospensionedell’icona.

La fase successiva prevedeva la cesellatura ed incisione operate da mani esperte, che ter-minava la lavorazione di un’icona base.

La fabbricazione di queste vere e proprie opere d’arte poteva essere ulteriormente impre-ziosita con riadattamento a filigrana su particolari dettagli della raffigurazione; non ultima lacolata di smalti policromi all’interno di minuscole cellette.

Per un maggior risalto finale si operava la doratura, raramente l’argentatura, oppure, nellebotteghe più rinomate, si procedeva alla copertura finale con uno strato di smalto fuso, resi-stente e traslucido, con effetto brillante.

Un’icona di fusione non era e non può essere vista e valutata come un semplice manufat-to artigianale metallico; questi straordinari oggetti di devozione hanno tutta la dignità delleopere d’arte, essendo caratterizzati da un’alta qualità e particolare creatività, conservandocontemporaneamente lo scopo primario del messaggio di fede.

San Nicola, bronzo con smalti policromi, XIX secolo,Collezione Orler.

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Gli smalti policromi

L’uso degli smalti è antichissimo, se ne sono trovati in tombe caucasiche del I millennio a.C.La più grande fioritura di questa tecnica avvenne tra il X e il XII secolo, ad opera degli orafibizantini che produssero oggetti liturgici, croci enkolpion e pettorali, ornamenti preziosi e fibu-le.

La scuola bizantina influenzò tutta l’Europa; nei principati russi del X secolo si diffuse conla fede cristiana abbracciata dal Principe Vladimir nel 988.

Nei territori della Rus’ la smaltatura, rara nelle prime icone in metallo, fu particolarmentepreferita nei secoli XVIII e XIX, sostituendo in modo apparente l’argentatura.

La raffinata e difficile tecnica di smaltatura, usata alla maniera detta cloisonné, si ottenevaversando pasta vitrea fusa ad alte temperature in appositi alveoli o cellette create secondo il dise-gno predisposto; da notare che ogni colore richiedeva una temperatura diversa.

Questa lavorazione, che esigeva grande abilità e perfezione d’opera, era fatta solo da perso-ne altamente qualificate o da orafi in botteghe rinomate.

Lo smalto, nel XIX secolo, oltre alle icone in metallo ed ai rivestimenti pregiati di icone sutavola, ha visto la sua applicazione su svariati oggetti preziosi.

L’abilità eccezionale in quest’arte di alcuni orafi russi ha raggiunto livelli invidiabili ed unici.Lo smalto, con l’uso di colorazioni brillanti e diverse, impreziosiva e abbelliva notevolmen-

te l’icona, il che ne aumentò certamente la richiesta. Per questo si trovano sovente icone dibronzo con le cellette vuote, perché la matrice era fatta già in funzione del doppio uso.

Dapprima le colorazioni usate nelle smaltature erano poche, come il blu intenso, il biancoed il turchese, poi la gamma si estese alle tonalità verdi, rosso, ocra e giallo, donando all’operapulimentata un vivace e piacevole aspetto cromatico.

Sebbene la colorazione abbia mantenuto una gamma cromatica costante nel tempo, ciò non-ostante non si è trovato una ragione specifica che abbini i colori impiegati nella smaltatura deibronzi al significato spirituale, come accade nell’iconografia su tavola.

Richiedere oggi un oggetto con smalti ha un costo elevato: anche all’epoca aveva un valoresuperiore ad un bronzo normale; è quindi pensabile che una buona parte venisse lavorata solosu committenza, magari a costo di sacrificio economico.

Si sa che impreziosire un’icona, anche in un secondo tempo, non era un modo fine a se stes-so per distinguersi, o per avere un ‘pezzo’ pregiato da mostrare agli amici come in uso oggi.

La preziosa smaltatura con finiture a cesello, la doratura e quanto poteva rendere più bellaun’icona erano fatte come ulteriore dimostrazione di alta devozione all’immagine sacra e mira-colosa; oppure, più semplicemente, testimoniava un’intensa reverenza verso un’icona partico-larmente cara al credente.

Una tecnica orafa nata per esaltare il sacro è divenuta un’arte che comunque affascina.

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69. Salvatore “beato silenzio”

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.15,5 x 13,2

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Salvatore di Solovkij .70

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.13,2 x 10,7

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71. Madre di Dio del roveto ardente

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.10 x 9,4

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Crocefisso .72

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.35,5 x 23,3

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73. Madre di Dio di Kazan

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.13,8 x 12,5

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Deesis con Madre di Dio di Smolensk e santi .74

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.13,5 x 12

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75. San Nicola

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.13 x 11,5

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Madre di Dio di Vladimir .76

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.16 x 14

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77. Crocifissione

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.41 x 25,8

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Deesis .78

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.9,7 x 27,5

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79. Madre di Dio di Smolensk

Bronzo con smalti policromi, XIX sec.17,3 x 15

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Finito di stampare nel maggio 2005C&M Arte