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ICONOGRAFIA CRISTIANA di Mara Zanette

ICONOGRAFIA CRISTIANA - Mara Zanette · di iconografia. Mara Zanette. 3 ... sempre più la misura dell’arte e il virtuosismo, la creatività e l’espressività personale del pittore,

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ICONOGRAFIACRISTIANA

di Mara Zanette

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L’icona è come una “finestra sull’eternità”

attraverso l’icona il divino ci illumina.

L’icona è ispirata e sacra in modo specifico,

simbolo che contiene presenza.

L’icona si afferma indipendentemente e dall’artista

e dallo spettatore, e suscita non l’emozione, ma la

venuta del trascendere di cui attesta la presenza.

( P. Evdokimov)

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Nata a Treviso, nel 1989 mi sono laureata presso l’Accademia delle Belle Arti di Venezia ottenendo in seguito l’abilitazione all’insegnamento.

Ho esperienze professionali di allestimento mostre, realizzazione di scenografie per spettacoli teatrali e consulenza presso Studi d’architettura.

Nel 1995 ho iniziato a dipingere icone crescendo alla scuola dei maestri Fabio Nones di Trento, padre Andreij Davidov di Suzdal e Aleksandr Stal’nov di San Pietroburgo.

Dal 2002 esercito la libera professione nel campo dell’iconografia cristiana.

Attualmente collaboro con altri iconografi alla realizzazione di cicli su tavola e affresco in diverse parti d’Italia ed insegno in numerosi corsi di iconografia.

Mara Zanette

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Iconografia

Il termine «icona» deriva dal greco «eikon», che significa «immagine». Quindi, quando parliamo di «iconografia», traducendo letteralmente dal greco, intendiamo «scrittura dell’immagine». L’icona bizantina, in tutte le sue varie forme, periodi e scuole, ha in comune la caratteristica fondamentale che, secondo il modo usuale di esprimersi degli iconografi, non viene dipinta, bensì scritta. Si considera come una narrazione che non utilizza la forma del linguaggio orale, ma quello visivo. Le icone sono veri e propri “trattati di teologia a colori”. Di conseguenza è necessario saperne interpretare il linguaggio, avere accesso a strumenti adeguati all’interpretazione dei simboli presenti e alla loro corretta lettura.

Nel caso dell’icona, essa mette in comunicazione l’umano e il divino, rende immanente la trascendenza divina, visibile ciò che agli occhi del corpo non appare immediatamente o non è affatto attingibile, ma che l’intelletto illuminato dalla fede riesce a intuire e contemplare. Lo sguardo di fede infatti, non si ferma di fronte alla realtà materiale dell’oggetto che viene posto davanti, ma coglie il suo aspetto nascosto, più profondo, si riposa nella contemplazione del volto di Dio, supera la bellezza estetica dell’arte pittorica per posarsi sull’Archetipo d’ogni bellezza, la Luce divina. Lungi da ogni deviazione idolatrica, nell’icona, i credenti non adorano il legno e i colori, e nemmeno l’armoniosità delle forme e la precisione della geometria, bensì ciò che essi rappresentano e ricordano, in un processo conoscitivo che, attraverso il materiale approda all’esperienza (ex-perior = attraversare) spirituale.

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Osservando le iconostasi delle chiese cristiane ortodosse, si può capire che la funzione principale dell’icona è proprio quella di “epifania del divino”, cioè, nascondere e contemporaneamente manifestare il mistero che la anima. Una finestra spalancata sul mondo soprannaturale. In questo è ravvisabile anche il senso escatologico (éschaton = cose ultime) dell’icona, in quanto essa si trova come la Chiesa temporale, tra il già e il non ancora della storia della salvezza. Abita l’apparente dicotomia tra tenebre e luce, vita e morte, mondo presente e futuro, li legge e li rappresenta secondo la visione della fede cristiana. Inconciliabilità forse solo apparente, visto che il simbolo iconografico, infrange le barriere spazio-temporali, immergendosi in una dimensione ulteriore i cui canoni sfuggono alla comprensione logica, e non possono essere totalmente rinchiusi nelle categorie di pensiero razionali. Si tratta in fondo, di una esperienza contemplativa-estatica, dove il soggetto che si rapporta con l’icona, viene proiettato oltre le forme e le figure rappresentate, accedendo mediante questa porta, alla dimensione del mondo divino.

Nell’arte cristiana antica, la copia (spisok in russo), era intesa diversamente da oggi. La copia, non aveva minor valore dell’originale, perché la sua autenticità e valore, dipendevano dalla fedeltà e somiglianza con l’originale. Ora, l’autenticità dell’icona, in quanto copia, garantisce la verità dell’Incarnazione, ne è testimonianza, fondata sulla narrazione evangelica e sulla tradizione tramandata fin dagli inizi della tipologia iconografica. Di copia in copia si è trasmesso il volto, i tratti fisici caratteristici del Cristo. Ecco perché le icone si attengono a canoni precisi e

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non sono lasciati al solo gusto creativo dell’artista. Inoltre il simbolismo dell’icona, prevede che ogni gesto, colore, atteggiamento corporeo, abbia un significato univoco, affinché sia leggibile, decifrabile da chi conosce il linguaggio con cui è scritto e gli eventi teologico-biblici a cui rimanda. E’ una narrazione visiva. Non descrive semplicemente una scena biblica o la vita di un santo, così come è avvenuta, ma viene interpretata teologicamente, è emblematica. I personaggi non vengono dipinti in modo realistico, ma stilizzato, in una luce che rappresenta quella taborica della Trasfigurazione. I corpi, a somiglianza di quello di Cristo dopo la resurrezione, sono quelli che avevano prima della morte ma sono al contempo differenti, poiché spirituali, gloriosi, come quelli dei beati del Paradiso. I corpi risorti sono nella dimensione della gloria divina. I santi, appaiono come sono in Paradiso, trasfigurati, immersi nella luce divina e divinizzati (theosis). Da qui, l’uso dell’oro nell’icona, in quanto esso non è un colore, ma il suo spettro cromatico contiene tutti i colori e li riflette, così come la luce di Dio, che pur essendo totalmente altra dall’uomo e dal creato, li contiene e ne riflette le più piccole sfumature. I santi partecipano della luce divina secondo la propria capacità, però non riflettono tutto lo spettro cromatico, bensì solo il proprium, le sfumature e i colori tipici della loro santità.

La funzione dell’icona è liturgica. E’ pensata per la liturgia e ne è parte integrante, specialmente nella Chiesa orientale, dove essa non ha mai assunto connotati di ornamento estetico per la chiesa, come invece è avvenuto in occidente a partire dal medioevo. In occidente, l’introduzione della prospettiva lineare, segna la fine dell’arte

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bizantina, che invece generalmente utilizza la prospettiva inversa. La descrizione della realtà, la visualizzazione dell’evento fenomenico contingente, il coglimento dell’apparenza, il fatto in sé, la luce naturale e le ombre, fanno parte di un processo che determina ed è determinato da un capovolgimento di pensiero e di visione del mondo, che pone sempre più l’uomo al centro del cosmo, e punto di arrivo della sua ricerca di senso. La bellezza estetica diviene sempre più la misura dell’arte e il virtuosismo, la creatività e l’espressività personale del pittore, lentamente soppiantano il senso del trascendente, il simbolismo, i canoni iconografici.

L’icona ha come fine la preghiera. Deve suscitare la meditazione di chi la contempla e di chi la scrive. L’iconografo, deve essere uomo spirituale, e secondo gli insegnamenti degli antichi maestri, pregare durante l’esecuzione dell’opera. Questo è tanto importante, che in Oriente, quello dell’iconografo è considerato un vero e proprio ministero, quasi come il diaconato o il sacerdozio.

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“Imprimi Cristo nel tuo cuore,

là dove egli (già) abita,

sia che tu legga un libro su di Lui,

o che tu lo veda in immagine,

possa egli illuminare il tuo pensiero,

mentre tu lo conosci doppiamente

sulle due vie della percezione

sensibile. Così tu vedrai

con gli occhi, ciò che hai appreso

mediante la Parola.

L’intero essere di colui che ode

e vede, in questo modo,

sarà riempito della lode di Dio”

(Teodoro Studita, Ep.XXXVI)

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Le icone

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L’”icona” tenta di dire più di quel che si può dire:

l’indicibile, l’inafferabile.

L’essere l’icona di Gesù Cristo significa,

nella nostra vita,

dire ciò che orecchio non ha mai udito

e occhio non ha visto.

Da questo punto di vista l’umiltà

non soltanto è una virtù bella,

ma è l’unica maniera giusta

per lasciar trasparire ciò che ci supera,

che è il Signore:

questo è essere icona.

Ciò che qui viene detto

come immagine del Piccolo Gruppo

è far emergere i lineamenti della nostra vita

personale e comunitaria,

che appunto permette

a ciascuno e a tutti insieme

di far emergere il Signore

ed è ciò che il Signore attende da voi.

(Citazione tratta dal discorso che Mons. Corti tenne al Piccolo Gruppo di Cristo a Milano nel 1989)

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Crocefisso

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Abramo

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Abramo

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Cristo sposo

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Donne al sepolcro

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Madre di Dio di Spoleto

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Natività

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Trinità

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Pantocrator

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Pantocrator

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Crocefisso

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Preghiera dell’iconografo

O Divino Maestro,

fervido artefice di tutto il creato

illumina lo sguardo del tuo servitore,

custodisci il suo cuore,

reggi e governa la sua mano;

affinché degnamente e con perfezione

possa rappresentare la Tua immagine

per la gloria la gioia e la bellezza

della Tua Santa Chiesa.

Amen