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Gennaio 2011 numero I

IL CALAMO GMI

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il giornale del gmi

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Page 1: IL CALAMO GMI

Gen

naio

2011

nu

mer

o I

Page 2: IL CALAMO GMI

CRONACA E ATTUALITA’ Sulla torre : i migranti in alta quota alla conquista dei loro diritti Pag.1 Cittadinanza: un diritto che deve ancora nascere Pag.3 Il mio passaporto di che Rosso è? Pag.4 Strumentalizzazione mediatica Pag.6 Islam, uno spettro si aggira per l’Europa: Tariq Ramadan al Festival di Internazionale a Ferrara Pag.7 L integrazione fa la forza Pag.9 L ‘altra faccia di Roberto Saviano Pag.12 Strage Pakistan Pag.14 Marea Nera Pag.15 The global seed vault Pag.16 L’importanza della donazione del sangue nell’islam Pag.17 STORIE DI TERRE LONTANE Viaggio nella terra onesta Pag.18 “Impurità sta ai paria come inutilità sta alle donne..”: una proporzione improporzionale Pag.19 ABOUT ISLAM ‘id al Adha Pag.21 Poligamia e infedeltà Pag.22 Noi: tra dimenticanza e ricordo Pag.23 FOCUS: Abu Ayyub Al-Ansary, che Allah si compiaccia di lui Pag.25 GMI Parola al Presidente Pag.27 Convegno nazionale Giovani Musulmani d’ Italia.. QUALE MUSULMANO DOPO IL GIOVANE MUSULMANO? Pag.29 PALESTINA Perché scrivere di Palestina? Pag.30 Ti chiedo scusa... Pag.30 RIFLESSIONI Ma quanto mi piace il mio hijab? Pag.31 Care Meriem e Zena.. Pag.32

Coordinatrici: Fatima

Ismaeil, Meriem Finti

Hanno collaborato:

Sara Abram, Zena Abram, Si-ham Amzil, Zainab Amzil, Sara

Aslaoui, Mariam Bouchraa, Abdelhakim Bouchraa, Amina Bouchraa, Fatima Zara Boum-

rine, Sara Boumrine, Chiara Ceccon, Taned Demaj, Zahira Elaissi, Linda Elian, Alice Elliot,

Mohamed Ektarabi, Amina Ennouri, Sara Emam, Chaima-a Fatihi , Omar Jibril, Amina Kotel, Senat Halilaj, Ibrahim

Gabriele Iungo , Zeineb Naini, Chaimaa Nouim, Brahim Marrad, Hajer Messaoud, Mohamed Messaoud, Ma-

roua Messaoud, Nadia Mes-saoud, Sabrina Mohamed,

Davide Piccardo, Osama Qa-sim, Sarah Sadik,

Khadija Sahraoui, Mohamed Davide Santoro, Gihad

Samarli. Susan Sammak, Karima Sine Ilyas Zorgui

Impaginazione :

Mahmoud Ismaeil; Linda Elian

MI FIDO SOLO..

Mi fido [solo] di quel sentiero.. che conduce alla serenità alla tranquillità e alla pazienza..

a quella pace interiore depositata nel cuore, donatami da Dio, mi fido [solo] di Lui..Dio..

Colui che ascolta profondamente il mio cuore, Colui che Mi Comprende, Colui che Mi Protegge,

Colui che Mi Perdona… E mi dà la forza per andare avanti..

Khadija Sahraoui

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Ê il 5 di novembre, cinque ragazzi, tra i venticin-que ed i trent’anni, lavoratori, stranieri, stanchi di sopportare, stanchi di avere paura, si ribella-no. Salgono su una ex ciminiera, la torre Carlo

Erba in zona Maciachini a Milano, ed annuncia-no di non voler scendere fino a quando non con-stateranno una volontà reale di ascoltare le loro

rivendicazioni. Facciamo un passo indietro, settembre del 2009, il governo emette un decreto che permette l’emersione dal lavoro nero per colf e badanti. Sono moltissimi i lavoratori immigrati che spinti dalla disperazione cercano comunque di rientra-re nel processo di sanatoria, passando per colla-boratori domestici anche quando lavorano come operai metalmeccanici, muratori o magazzinieri. Per farlo ci vuole un datore di lavoro che fa la richiesta, e se lavori in nero ed il tuo datore di lavoro non ne vuole sapere di metterti in regola, devi trovare qualcuno che ti faccia il favore. Ma il favore, non è gratis. Costretti, dunque, ad affi-darsi a faccendieri, ad intermediari che chiedono cifre per loro esorbitanti, fino a 10.000 euro per presentare la richiesta. Pagano, il prezzo della

disperazione e della speranza, si indebitano, fan-no sacrifici enormi, credendo di comprarsi una volta per tutte il diritto di lavorare e di sopravvi-vere. La domanda è presentata, ma le regole cambiano in corsa, la circolare Manganelli del 17 marzo stabilisce che gli stranieri che sono stati oggetto di espulsione e sono rimasti sul territo-rio italiano, non possono partecipare al processo di emersione e regolarizzazione. Almeno 50.000 persone che hanno già versato le tasse necessarie per la presentazione della do-manda, si ritrovano più poveri di prima e sempre clandestini, il sogno svanisce di colpo. Clandesti-ni e criminali, sì, perché la legge 94 del 15 luglio del 2009, istituisce il reato di immigrazione clan-destina, lo straniero trovato in Italia senza docu-menti, diventa automaticamente un criminale. E così, succede che, queste persone non abbiano più niente da perdere, dopo mesi di lotte pacifi-che, manifestazioni, scioperi e presidi, gli immi-grati organizzati del Comitato Immigrati in Italia, scelgono di salire sulla gru a Brescia e sulla torre a Milano. I ragazzi del presidio permanente sono organizzati bene con un telone impermeabile,

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con le tende, i sacchi a pelo, sotto c’è anche un angolo cottura e scorte di cibo ma i cinque sulla torre, tre egiziani, un marocchino ed un argenti-no possono ricevere solo cibo ed eventualmente medicinali, proibite anche le batterie per i cellu-lari che permetterebbero di restare collegati con il mondo. Ci tengono molto, loro, a far sape-re che la lotta è per tutti quelli che, silenziosa-mente, da anni vivono e lavorano in Italia sfrut-tati e discriminati, per tutti quelli che vivono ac-compagnati dalla paura di essere fermati ed im-prigionati in un CIE in attesa dell’espulsione. I ragazzi ripetono che non scenderanno fino a quando non si troverà una soluzione per tutti. Chiedono che venga rilasciato il permesso di sog-giorno per chi ha subito la sanatoria truffa, per chi denuncia il lavoro nero o lo sfruttamento sul lavoro, per chi ha perso il lavoro. Chiedono una legge che garantisca il diritto di asilo, il diritto di voto amministrativo per chi vive in Italia da al-meno cinque anni e la cittadinanza italiana per i bambini che nascono e crescono nel nostro pae-se. A chi gli chiede se non pensano che questo tipo di proteste possa creare antipatia per la causa tra i cittadini, rispondono che avrebbero volentieri fatto a meno di passare le notti al freddo, a quaranta metri d’altezza esposti alle piogge torrenziali di questo novembre ma che, sette mesi di lotte, cinque presidi, due manife-stazioni , uno sciopero generale, tre incontri in Prefettura non solo non sono serviti a risolvere il problema, ma non sono riusciti nemmeno ad ab-battere il muro dell'invisibilità. Invisibilità e sof-ferenza, nelle parole di uno dei leader della pro-testa, Najat giovane marocchina ci racconta dei lavoratori stranieri che lavorano e a volte muoio-no sui cantieri per tre euro all’ora, che riescono a malapena a sopravvivere per poi chiudersi in casa la sera con addosso la paura di essere fer-mati dalla polizia. Quest’anno novembre è particolarmente freddo e piovoso e lassù si soffre, uno dei cinque è stato operato ad una gamba in passato e viene colpito da una febbre altissima, riesce a mettersi in con-tatto con un medico ed i suoi compagni giù pen-sano a come potrebbe scendere e curarsi, ma lui decide di tenere duro, di restare lassù e resiste-re.I migranti raccolgono la solidarietà dei cittadi-ni milanesi, della curia , della CGIL, della comu-nità islamica, del Consiglio di

Zona, che si esprime con un’apposita mozio-ne di sostegno, di tutti i candidati alle pri-marie del centro-sinistra a Milano, dei vari partiti della sinistra e di moltissime associazioni ed organizzazioni sociali. Il 14 di novembre due ragazzi egiziani stremati da dieci giorni di protesta, scendono dalla torre e fanno perdere le loro traccie, ma lunedì 15 no-vembre è il nono giorno di Dhul-Hijjah e la vigilia dell’Aid al Adha , due dei tre ragazzi rimasti su, digiunano e pregano Dio di concedere loro la forza di continuare a lottare. Marcelo giovane argentino assiste dall’alto alla festa di compleanno del figlio che compie un an-no, vorrebbe scendere ma resta su e fa calare uno striscione che rappresenta il regalo più gran-de, la scritta dice: “Buon compleanno figlio mio, ti regalo un nuovo futuro”.

Davide Piccardo

NOSTALGIA...

In lontananza vedevo una striscia azzurri-na...Vedevo il mare fondersi con il cielo, quasi fos-sero un solo orizzonte in cui era impossibile diffe-

renziare i confini dell'uno e dell’altro. Il traghetto sembrava andare lentissimo, quasi fer-mo, il profumo e il rumore del mare mi portavano

a fantasticare su pensieri sempre più profondi e mi incantavano in modo sempre nuovo.

Dopo poco tempo il traghetto si fermò e tutte le persone si avviarono verso l’uscita ansiosamente. Finalmente ero lì nella mia amatissima terra che

da tempo non vedevo! L'effetto di vedere la bandiera del Marocco svento-

lare davanti ai miei occhi è impossibile da descri-vere: un insieme di emozioni a cui non so dare e-

spressione... Insomma ero finalmente a casa: i miei familiari erano pronti ad accogliermi a braccia aperte.

Passai quella notte in mezzo ai miei cari, tra risate, battute e scambi di notizie: quella sera passò velo-

cemente e piena di emozioni…

“(Pubblicato anche nella Rivista Online “Piccole Parole” di Torino)” di Chaimaa Nouim

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«Debbono cadere vecchi pregiudizi, occorre

un clima di apertura e apprezzamento verso

gli stranieri che si fanno italiani. In un clima

siffatto possono avere successo le politiche

volte a stabilire regole e a rendere possibile

non solo la più feconda e pacifica convivenza

con gli stranieri, ma anche l’accoglimento di

un numero cre-

scente di nuovi

cittadini». Sono le

parole del presi-

dente della Re-

pubblica, Giorgio

Napolitano, du-

rante una cerimo-

nia ufficiale al

Quirinale. «Gli

stranieri che di-

ventano italiani

sono un fattore di

freschezza e di forza per la nazione italiana –

continua Napolitano -. Danno l’opportunità al

Paese di crescere». Intanto, a Montecitorio, il

presidente della Camera, Gianfranco Fini,

continua la sua battaglia per il diritto di citta-

dinanza ai figli di stranieri nati in Italia: «E’

una questione di civiltà, capire l’importanza

della cittadinanza per i bambini figli di immi-

grati – ha sottolineato più volte -. La vicenda

della cittadinanza non può essere risolta con

una battuta da comizio. Non è un problema

elettorale e non è nemmeno un problema

temporaneo anche se c’è qualcuno che

non lo vuole affrontare». Queste parole

hanno messo le basi per portare in aula una

proposta di legge bipartisan, firmata dal finia-

no Fabio Granata e da Andrea Sarubbi del Pd.

Puntualmente, dall’altra parte, arriva la boc-

ciatura di Umberto Bossi, il leader della Lega

Nord: «Il testo proposto da Fini è da acconta-

nare – ha sentenziato -. Ci vogliono leggi più

severe con gli immigrati». La proposta Sarub-

bi-Granata, approvata da cinquanta parlamen-

tari di tutti i gruppi, esclusa naturalmente la

Lega, ridurrebbe da dieci a cinque anni il pe-

riodo di tempo neces-

sario a uno straniero

per potere richiedere

la cittadinanza e il

passaggio dallo "ius

sanguinis" allo "ius

soli" per i figli di ge-

nitori legalmente

soggiornanti e resi-

denti in Italia da 5

anni. Ancora prima

di essere discussa in

parlamento, incassa

però il no deciso del ministro degli interni,

Roberto Maroni: «Con noi al Viminale, non

passerà – ha dichiarato -. La cittadinanza non

si può acquisire solo per il fatto di essere nati

in Italia». E, nel mentre il numero di immi-

grati, o nuovi italiani, continua a crescere, fa-

cendo mutare la società, i politici continuano

a essere impegnati nella loro partita infinita

sui diritti e doveri di chi ha scelto l’Italia per

costruire la propria vita.

B.M.

Lo sapevi che in Inghilterra in 12 diver-

se varianti, quasi 7600 bimbi nati nel

2009 si chiamano come il Profeta, pace e

benedizioni su di lui? Per 14 anni il no-

me più diffuso è stato Jack, ora al terzo

posto.

di Karima Sine

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L’assessore romano alla scuola, Laura Marsilio, in visita ad una scuola elementare ha dichiarato che i bambini nati in Italia da genitori stranieri non sono realmente italiani. A me, sinceramente, ha causato un attimo di ansia identitaria. Un genitore italiano basta per essere italiana? Qui c’è poco da scherza-re. Qui si parla di me, della mia appartenenza. Qui, se si comincia a misurare l'italianità in rapporto ai genitori, potrei avere dei problemi pure io. Perché non solo mio padre non è italiano, ma io non sono neppure nata in Italia. Però ci ho vissuto 20 anni – vale qualcosa? Quanti punti ho nella scala da 0 a 100 dell'italianità pura? L'assessore Marsilio dice che i figli di stranieri in Italia sono stranieri. Mi sono guardata allo specchio e ho pensato – oddio, parla-va di me? Poi, però, ho tirato un sospiro di sollievo. Io non sono di origine straniera straniera. Lo sono solo un pochino, sono solo un pochino straniera, perché mio padre non è Straniero ma straniero, un gioco di maiuscole e minuscole che può cambiare tutta una vita. Del resto l’Inghilterra non è vera-mente ‘straniera’. Certo è più lontana dall’Italia della Tunisia o dell’Albania però non è straniera straniera. Infatti io ne ho pagato le conseguenze. A me a scuola nessuno poneva domande esotiche e favolose sulle mie origini – non ero molto interes-sante, e a parte qualche domanda d’aiuto durante i compiti in classe d’inglese, la mia origine straniera era ignorata. Mi rendeva molto più esotica il fatto che non avessi la televisione a casa. In tutte le altre cose, io, ero italiana. Ma in che modo? In che modo io sono italiana più dei bambini delle elementari incontrati dalla Marsilio? Come si misu-ra l’italianità? Dall’ “aria che si respira in casa”, ri-spondono sia la Marsilio che la preside della scuola elementare. Ed ecco che scattano di nuovo in me dubbi d'appartenenza. Come si misura l’aria che si respira a casa? In quale percentuale deve essere italiana l’aria respirata per mettere in circolo nel corpo l’essenza dell’italianità? Perché io son cre-sciuta in una casa un po’ stramba, e non sono sicu-ra se l’aria che ho respirato negli ultimi 25 anni si possa considerare ‘italiana’. Esiste un rilevamento scientifico? Un rilevatore di qualità offerto dal Mi-nistero dell’Interno per misurare in modo quantita-tivo di che nazionalità sia l’aria di una casa? Quanti

punti mi toglie nella scala d'italianità il fatto che tra le mura della casa della mia infanzia non circolasse solo l’italiano? Del resto ora l’inglese va di moda, ma sicuramente i signori misu-ratori d’identità converranno che la popolarità dell’inglese è solo il risultato di giochi di potere e moderno colonialismo linguistico e che quindi il fatto che questa lingua contaminasse l’aria della mia casa debba togliere molti punti alla misura del-la mia italianità. O siamo così meschini che chiudia-mo un occhio quando la lingua altra che contamina la nostra è quella del più forte, del colonizzatore? Certo che no! Quanti punti toglie alla mia italianità il fatto che tornassi ogni anno, per tutta la mia in-fanzia ed adolescenza, al mio paese d’origine? Per-ché, se ho capito bene, è così che dovrei considera-re l'Inghilterra. Così vale per i bambini in fila per entrare in classe che ha incontrato la Marsilio, quindi immagino valga così anche per me. Poco im-porta se i miei mi han portato via dal mio paese natale che avevo 3 settimane, se ho frequentato l’asilo, la materna, le elementari, le medie, le supe-

riori in Italia, se i miei ‘ritorni’ all’isola britannica li ho sempre considerati vacanza. Poco importa se in Inghilterra sorridevano al mio accento ita-liano e se sono sempre stata vista dai miei paren-ti là come la nipote italiana. Secondo le leggi astrat-te delle appartenenze, un bimbo con genitori ma-rocchini portato in Italia a tre settimane d’età è marocchino e quando e se torna in Marocco d’estate torna ‘al suo paese d’origine’. Questo, a rigor di logica, dovrebbe valere anche per me. Quanti punti di italianità mi dà il fatto che a casa mia si festeggi il Natale con i tortellini? Ma quanti punti poi mi toglie il fatto che attorno al ta-volo del pranzo di Natale ci sia seduto non solo un Inglese, mio padre, ma pure un Cinese, mio zio, il marito di mia zia, la sorella di mia madre? Certo l’aria che respiro fin da bambina non si può definire esattamente italiana. O forse sì? Del resto mentre si mangia si parla solo italiano perché questa è la lingua che tutti capiamo, e mio zio è in realtà citta-dino italiano. Dal punto di vista burocratico, l’unico straniero a quel tavolo è mio padre. Che però man-gia più tortellini di mia madre (cittadina italiana con genitori italiani e nonni italiani). Mi confondo sem-pre, quando si utilizza la parola cultura – cosa si intende per ‘cultura italiana’? Cantare l’inno? Esse-re bianchi? Andare in chiesa? Parlare italiano? Pa-gare le tasse? Non pagarle? Avere la madre casalin-ga? Avere la madre lavoratrice? Essere cattolici o almeno cristiani o a seconda del momento storico pure ebrei o pure atei, ma comunque non musul-mani? Essere italiani vuol dire non essere musul-

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mani? Mangiare i tortellini vale? Essere precari? Mammoni? Mafiosi? Sicuramente la cittadinanza non basta. La Marsilio non parla della cittadinanza dei bambini in fila fuori dalle elementari ma della loro 'cultura', della loro 'origine' – e probabilmente la sua scelta è stata azzeccata, avrebbe potuto cre-are delle incomprensioni se avesse parlato solo di bambini non cittadini italiani. Perché alcuni di quei bambini in fila per entrare in classe, etichettati dal-la Marsilio come ‘stranieri’, probabilmente sono effettivamente cittadini italiani, figli di cittadini ita-liani. Per evitare disguidi, per evitare che questi bambini, cittadini italiani, si sentissero in un qual-che modo esclusi dal suo discorso e non si sentisse-ro abbastanza stranieri, la Marsilio ha sottolineato che “non è solo un fatto anagrafico, ma un fatto di cultura”. E ha ragione, la signora Marsilio, a dirlo a bambini di 6 anni, nei primi giorni di inserimento a scuola: che sia ben chiaro, nelle loro teste, che so-no diversi da tutti gli altri. Nel caso in cui si confon-dessero o solo provassero un sentimento di appar-tenenza al Paese, alla città, alla scuola, al quartiere, le cose sono da subito messe in chiaro. E’ evidente dunque che anche la mia cittadinanza non basta come sicurezza, come prova della mia italianità – il discorso della Marsilio suggerisce che ci sono citta-dini più cittadini di altri, più italiani di altri, con il passaporto più rosso degli altri. Date le mie circo-stanze, il mio passaporto di che rosso è? Se alcuni di quei bambini ‘stranieri’ della scuola elementare erano cittadini italiani, altri non lo erano, perché i loro genitori non possiedono la cittadinanza. Come mio padre, del resto. Che cosa, dunque, mi rende più italiana di questi bambini? Forse il fatto di non dover fare la fila periodicamente in Questura per richiedere il permesso di soggiornare un altro anno nella mia casa, nella mia città, nel Paese in cui sono cresciuta? Forse il fatto che, quando ho compiuto diciotto anni, non ho dovuto presentare una moti-vazione ‘valida’ per rimanere in Italia e non rischia-re di diventare clandestina? Ma questa non è una questione di ‘cultura’, questa differenza tra me e quei bambini dipende solo dal fatto che possiedo i documenti giusti, che mi è andata bene con la bu-rocrazia. E, se qui quello che conta è la cultura e non la burocrazia, l’appartenenza e non l’anagrafe, cosa mi rende, realmente, più italiana di una ragaz-za arrivata a tre settimane d'età dal Marocco? O da un ragazzo nato in Italia da genitori che un tempo vivevano in Tunisia? Certo, qualcuno potrebbe dirmi che la mia 'origine' è più 'europea' della loro. Quando si parla di “aria italiana respirata in casa” però, siamo veramente sicuri che l’aria inglese si avvicini di più all’aria ita

liana rispetto all' ‘aria albanese’, all' ‘aria marocchina’, all’ ‘aria cinese’? L’aria marocchina respirata in casa da bambini figli di Marocchini ‘inquina’ l’aria italiana che i bambini respirano più dell’aria inglese, americana, austriaca, svizzera re-spirata da bambini figli di inglesi, americani, au-striaci, svizzeri che nascono e crescono in Italia? Forse il Ministero dell'Interno dovrebbe veramente distribuire degli efficaci rilevatori della qualità dell’aria ad ogni casa, roulotte, tenda in Italia. Così tutti potremmo dormire sonni più tranquilli. Perché finalmente sapremmo esattamente chi è italiano puro e chi no, chi è italiano solo per un terzo, chi per quattro quinti, chi per sette noni.

Alice Elliot

Lo sapevi che in Italia lavorano 35 mila in-

fermieri stranieri? “Il ruolo degli infermieri stranieri è oramai fondamentale per la tenuta del sistema sa-nitario stesso, e il loro ingresso è necessa-

riamente caldeggiato dalle autorità sanita-rie”, afferma il rapporto Amref sulla coope-razione sanitaria, presentato recentemente

al Ministero degli Affari Esteri.

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La strumentalizzazione mediatica è all’ordine del gior-no, soprattutto quando si tratta di cronaca e il prota-gonista di questa appartiene ad una cultura, religione, nazione differente da quella in cui avvengono i fatti. Pensiamo al caso di Sanaa, Hina e altre ragazze uccise dai padri o fratelli. Tutte le fonti d’informazione ur-lano allo scandalo, alla barbarie e il fatto è osce-no in sé, ma aggravato all'ennesima potenza, perché gli assassini sono originari di paesi a maggioranza musulmana. Ultimamente si è parlato molto del caso di Sarah Scazzi (a mio parere, più del dovuto) ma nessuno ha mai accusato lo zio di essere un cri-minale perché testimone di Geova, e di aver ucciso perché, magari, la sua religione glielo impone. E’ giusto che sia così!Mi chiedo per quale motivo ad una persona che commette un reato deve es-serle associato un fattore che determina l’opinione pubblica e mediatica. Nei giornali, nelle ra-dio, nei telegiornali spesso le vicende subiscono una pe-sante strumentalizzazione e in questo modo si condi-ziona l’intera opinione pubblica italiana e, di conse-guenza, la politica. Basti pensare alla Lega Nord ed altri partiti che sfruttano questi casi per attuare cam-pagne di propaganda elettorale. In questo modo si crea terrore, paura, si alimentano pregiudizi nei con-

fronti dei musulmani i quali sono i primi a dissociarsi in modo molto determinato da questi crimini, perché non fanno parte della cultura religiosa. Il profeta Mu-hammad (pace e benedizione su di lui) disse che chi uccide una persona è come se avesse ucciso l’intera comunità. Questo per dirvi quanto siano gravissimi tali atti dal punto di vista religioso. Non capisco per quale motivo si debba dire che Hina o Sanaa sono sta-te uccise perché volevano vivere all’occidentale. Cosa s’intende per “occidentale”? Io vivo all’occidentale,

eppure non mi vesto in minigonna, non bevo e non fumo. Molti italiani, come me, non bevono, non

fumano e le ragazze non si mettono la minigon-na. Vivere all’occidentale non significa questo,

ma bensì acquisire valori poco presenti o as-senti nei nostri paesi di origine. A mio avvi-

so, chi vive in Occidente, conciliando la propria mentalità, è ricco, perché ha

mille sfumature nei suoi pensieri, sen-timenti, ideologie. Penso che sia im-

portante e fondamentale iniziare un lavoro di contro informazione

che tenga conto di questo. Ini-ziare la pubblicazione di un

nuovo giornale è un passo davvero importante e lo

diventerà ancor di più quando prenderà vita e

sarà letto da chi ci as-socia come musulma-ni direttamente ai cri-

minali. Non è un problema che tocca solo noi stessi, ma anche le prossime generazioni che vivranno in Ita-lia. Dobbiamo coltivare il terreno per consegnarlo loro più fertile e accogliente, scevro dai problemi che vivia-mo noi ogni giorno sulla nostra pelle.

Chaimaa Fatihi

Il tuo ricordo.. Il giorno che ti lasciai, il tempo si fermò

Ci regalò i profumi e i sapori che finchè avrò fiato, mai dimenticherò…

Guardai i tuoi occhi, implorare il cielo che restassi Capi la paura che il tuo cuore bisbigliava

Alzai la mano e ti promisi “tornerò” Però vidi le lacrime, la tristezza ti imprigionò

Vidi quegli occhi affogati nella disperazione mormorare “Non promettere con le parole, ma col cuore

Le parole sono sinonimo di menzogne Mentre il cuore è sinonimo di amore”

Dimenticai il mondo e me stesso

Il mio sorriso nelle sue lacrime sprofondò Mi persi nel silenzio che non smetteva mai di parlare

Nel dolore e nella nostalgia che brutalmente mi castigarono Il suo dolore, busserà sulle porte del cielo per l’eternità

Svuoterà il mio cuore dalla gioia e dalla felicità Ma io me ne vado dolce tesoro

È la vita che mi costringe, non la mia volontà Il diabolico mare scortava la mia anima verso la sofferenza Verso la solitudine, l’ipocrisia, e il gelido dell’indifferenza

Dove, parlo e parlo ma non mi capiscono Dove c’è gente che si sente superiore

invece è tanto debole e povera di cuore Gente, svestita di ogni sentimento amichevole

Che a occhi bendati segue ogni pregiudizio irragionevole Comunque sia, non mi abbatterò mai

continuerò a vivere la mia vita… by eMKey

Page 9: IL CALAMO GMI

Queste e tante altre le notizie dello stesso ti-

po troviamo sempre più spesso, riguardo

all’Islam, nei giornali e nelle tv occidentali.

Notizie che contribuiscono a creare la perce-

zione negativa che si aleggia nei confronti dei

musulmani. E con la lettura di questi titoli di

giornale, Lilli Gruber, giornalista di La7, apre il

dibattito da lei moderato, dal titolo “L'islam:

uno spettro si aggira per l’Europa. I musul-

mani Europei e le guerre d’identità”.Una delle

conferenza più attese dai partecipanti del Fe-

stival Internazionale, tenutosi nella famosa

città delle biciclette. A confer-

marlo la lunga fila che già due

ore prima dell’inizio

dell’incontro, il 3 ottobre, si è

formata davanti al teatro Co-

munale. Ospiti della conferen-

za: Ian Buruma ( saggista e

giornalista olandese), Olivier

Roy (politologo francese) e l’intellettuale sviz-

zero Tariq Ramadan, uno dei massimi esperti

di Islam in Europa.

Al centro del dibattito la questione della se-

parazione tra Chiesa e Stato, la percezione

del musulmano europeo e le guerre

d’identità. “Perché c’è paura nei confronti del

musulmano? Perché si percepisce negativa-

mente l’immigrato musulmano?”Questa una

delle principali domande posta dalla Gruber

ai tre esperti. I tre ospiti concordano sul fatto

che uno dei maggiori motivi che concorrono

a creare questa percezione siano i media e le

strumentalizzazioni politiche. Tariq Ramadan

identifica le cause della percezione negativa

nei confronti dei musulmani in tre fattori

principali: innanzitutto quello storico-

identitario: “l’islam viene percepito come

qualcosa di alieno, qualcosa di non europeo,

non occidentale: è l’altro”. Poi

nella nuova presenza, visibilità

dei musulmani: “Gli immigrati

delle prime generazioni veni-

vano per lavorare, erano per-

sone isolate, senza possibilità

di auto-espressione; ora ab-

biamo giovani di seconde, ter-

ze, quarte generazioni, che escono dal ghetto

e sono più visibili: richiedono le moschee, si

abbigliano diversamente. Non si vogliono in-

tegrare? No, è il contrario essi si vestono così

e richiedono le moschee proprio perché si

sentono a casa propria, non più ospiti”. Ed

infine, il terzo fattore risiede nella crisi identi-

“Wilders: l’Islam è come il nazismo. Uno spettro si aggira per

l’Europa.

E’ lo spettro dell’islamizzazione.” (La Repubblica)

“Moratti: Niente costruzione di moschee.” (Il Corriere)

“Le impone il velo per nascondere i lividi...” ( Il Corriere).

Page 10: IL CALAMO GMI

taria europea: “L’Europa sta vivendo un diffi-

cile periodo di crisi non solo economica ma

anche identitaria, c’è paura del presente e

della nuova presenza degli immigrati, senza il

cui afflusso, però, non ci sarebbe sopravvi-

venza economica per l’Europa.”

Iam Buruma invece individua una delle cause

dell’islamofobia nelle minacce e reazioni vio-

lente, da parte di alcuni musulmani, alle sati-

re e caricature sulla religione da parte

dell’Occidente, cosa in-

quietante a suo avviso

per gli europei.

Il concetto che sintetiz-

za l’opinione di Roy è

invece il seguente: “Si è

confusi in Europa e si

rischia di costruire

un’identità comune solo

perché ci si sente minac-

ciati da un’altra più forte.

Ed in merito alla questio-

ne della separazione tra

Chiesa e Stato afferma iro- nico :”In

Europa c’è l’idea che lo Stato debba control-

lare la religione. Si vuole promuovere una re-

ligione più progressista, vogliamo un Islam

più liberale, democratico un po’ femminista,

un po’ pro-gay, perché no? Ma la Chiesa è in-

toccabile, non si può liberalizzare. Non pos-

siamo chiedere ai musulmani di comprarsi i

valori non musulmani, devono rispettare le

leggi come tutti, ma nella sfera individuale, di

comunità, possono comportarsi secondo le

norme della propria religione, compatibil-

mente con la tradizione europea delle sepa-

razione delle due sfere: civitas dei e civitas

ominis.” Una conferenza interessante e coin-

volgente, nonostante in certi momenti sem-

bravano riproporsi alcune delle strategie a-

dottate nei talk show televisivi: domande

puntigliose e contrastanti per creare

l’effetto botta-risposta tra gli interlocuto-

ri, ed accendere gli animi del pubblico, diviso

per fazioni. Un esempio di ciò è stata la do-

manda sull’omosessualità, rivolta provocato-

riamente a Tariq Ramadan, sulla quale la mo-

deratrice si è soffermata, contrapponendo la

concezione dell’intellettuale musulmano a

quella “più liberale ed occidentale” del gior-

nalista Ian Buruma.

E’ possibile non

essere d’accordo

su alcuni principi,

ma questo non

impedisce il ri-

spetto reciproco:

questo il mes-

saggio che ha

voluto dare Ta-

riq

Ramadan.“L’omosessualità

non è un atteggiamento giusto, poiché è con-

traria al progetto divino – ha affermato - ma

rispetto ugualmente gli omosessuali, rispetto

le persone”. L’ultima parte dell’incontro è sta-

ta dedicata ad dibattito aperto con il pubbli-

co, parte che poteva essere una delle più in-

teressanti se non fosse che il tempo ad esso

concesso è stato davvero ristretto e non si

sono potuti accogliere tutti le domande. Uno

spettatore ha affermato: “Sono entrato abba-

stanza confuso ma esco altrettanto confuso”.

Direi che sia un sentimento legittimo, soprat-

tutto se si tratta di un argomento così delica-

to, di cui non si ha un’esperienza diretta. Il

tema dell’incontro era senz’altro complesso e

non affrontabile in una semplice conferenza

di due ore, tema di cui sempre più spesso si

discute e dibatte animatamente, ed attorno

Page 11: IL CALAMO GMI

al quale si creano giorno dopo giorno pregiu-

dizi, false immagini e strumentalizzazioni po-

litiche. D’altra parte, possiamo affermare che,

grazie a Dio, c’è anche gente disposta a cerca-

re la giusta informazione, rendendosi prota-

gonista attiva di ciò che legge o sente, senza

arrendersi alle influenze esterne ed alla pau-

ra dell’altro. Tra questi, certamente molti dei

partecipanti a tale conferenza, moltissimi

non musulmani e un numero non indifferen-

te di giovani musulmani. È importante che il

dialogo ed il confronto tra la cultura europea

e l’universo di riferimento dell’Islam, del qua-

le c’è indubbiamente un problema di scarsa

conoscenza, venga costruttivamente incenti-

vato, e non solo a livello intellettuale, con

conferenze e dibattiti di questo tipo, ma so-

prattutto partendo dal basso, dal dialogo tra

vicini, colleghi, compagni ecc.. Come ha affer-

mato Tariq Ramadan in un’intervista successi-

va, il problema di conoscenza purtroppo c’è

anche tra Islam ed i musulmani stessi, i quali

non sanno abbastanza in merito alla propria

religione, per potersi confrontare con le pro-

vocanti, puntigliose ma anche legittime do-

mande da parte dei non musulmani, i quali

hanno una visione spesso semplicistica

dell’Islam. E per finire non poteva mancare,

in occasione di una conferenza sull’Islam, la

solita reazione xenofoba, manifestatasi attra-

verso una protesta anti-musulmana. Se ne

legge il giorno dopo sui giornali locali. La con-

testazione si è tenuta all’esterno del teatro

Comunale, durante l’incontro, con

l’esibizione di uno striscione che sfoggiava lo

slogan “Italia terra cristiana, mai musulma-

na”. Credo che i musulmani, alhamduLillah,

abbiano ormai gli anticorpi giusti per affron-

tare e sorvolare su provocazioni di questo

tipo, per cui non rimane che guardare avanti

nella speranza di incontrare sulla nostra stra-

da e nel futuro dell’Europa gente meno di-

sinformata ed aperta al dialogo ed al con-

fronto costruttivo.., inshAlah.. Sara Aslaoui

Tre anni fa ho conosciuto mia sorella. È vero, di soliti certi incontri dovrebbero avvenire alla nascita, ma evidentemente Dio doveva avere una buona ragione per ritardarne uno così importante: dovevamo vivere almeno quel tanto da avere qualcosa da insegnare l’una all’altra. Se fossimo state sempre gomito a go-mito fin dal primo giorno di vita, che cosa avremmo potuto mai condividere? Invece, se guardiamo pro-prio gli aspetti di base, non potremmo essere più di-verse: origini diverse, famiglie diverse, aspetto este-riore decisamente diverso. Insomma, non siamo pro-prio di quelle ragazze che, se le vedi per strada, ti danno subito l’impressione di avere uno stretto gra-do di parentela. Ma io e mia sorella abbiamo voluto fare l’en plein: siamo addirittura di religione diversa! Quindi incontrare lei ha voluto inevitabilmente dire incontrare l’Islam: perché come ogni buon musulma-no sa, la religione è una parte integrante della vita di ogni fedele. Forse è anche questo che ci spaventa, quando veniamo in contatto con questo universo sconosciuto: quanto il musulmano sia profondamen-te dedito al suo credo e imprescindibile dalle norme e consuetudini dell’Islam. “Da noi”, invece, anche in virtù della laicità dello Stato (che è stata direi indi-spensabile per lo sviluppo dell’Italia), è forse più dif-fuso riconoscersi come membri di una comunità in base ad uno stesso sistema di leggi, ad una fazione politica, ad una medesima professione, ma si è un po’ persa la percezione di far parte di una comunità più astratta e spirituale, o di una addirittura universale, quella dell’umanità. Amiamo, ad esempio, definirci cittadini del mondo, ma pochi di noi comprendono davvero cosa significhi. Per la mia esperienza perso-nale, almeno, è raro trovare esempi positivi e costrut-tivi di queste unità “allargate”, che piuttosto degene-rano in rivalità e chiusura. Occidente ed Oriente, per cominciare: questi due fantomatici poli sembrano al-lontanarsi sempre più l’uno dall’altro. Da una parte abbiamo la guerra, verbale ed effettiva, tra istituzio-ni, eserciti e capi di governo; ma dall’altra, davanti ai nostri occhi, abbiamo persone che si impegnano per favorire l’integrazione e il ialogo, senza rinunciare alle

Page 12: IL CALAMO GMI

rispettive culture e tradizioni. E questo, mi sem-

bra, è anche l’obiettivo dei gm-ini: valorizzare la

propria religione, non come elemento di esclu-

sione ma di “coinvolgimento”.

Per me il GMI è un po’ un “rivale”, dal momento

che ormai occupa la maggior parte del tempo e

dei pensieri di una persona a me tanto cara…

soprattutto in periodo pre-convegno/

campeggio! Ma allo stesso tempo ero enorme-

mente curiosa di conoscere questi miti viventi di

cui sentivo continua-

mente parlare e di cui

conoscevo ormai a

memoria nomi e facce

senza averli mai incon-

trati. E così, al Festival

di Internazionale a

Ferrara, armata di ke-

fia e di buona volontà,

mi sono preparata al

grande incontro.

All’inizio ero un po’

nervosa: e se non fossi

andata d’accordo con

la grande famiglia al-

largata di mia sorella?

È una cosa che fa an-

dare nel panico, no?

Ma per fortuna direi

che è andata bene. Ho conosciuto persone in

gamba, disponibili; persone che si interessano di

politica, di musica, di cultura; persone, insom-

ma, non così diverse da me. Magari non sempre

puntuali, ecco, e che non rispettano le file: ma

se è per sentire Tariq Ramadan si può chiudere

un occhio. Persone che

hanno delle responsabili-

tà, ma hanno anche il di-

ritto di vivere la propria

fede come sentono e co-

me ritengono giusto. A volte mi sono trovata in

contrasto con mia sorella, perché mi sembrava

che stesse rischiando di sacrificare la sua felicità

per la sua religione, o meglio, per alcune regole

che io non comprendo e non condivido. Le vo-

glio bene e vorrei

che fosse in tutto

e per tutto libera

di esprimersi. Ma

mi sono accorta

che quelli che per

me sono sacrifici,

sono sue scelte, e

che giudicandola

per questo non

facevo altro che

toglierle quella

libertà che tanto

volevo darle. Ho

una grande stima

di lei, e sarebbe

stato come man-

carle di rispetto

impedirle di agire

secondo la sua coscienza. Non condivido ciò che

dici, ma sarei disposto a dare la vita affinché tu

possa dirlo. Riguardo le foto di quella giornata,

di quella Ferrara davvero internazionale, un po’

siriana, un po’ marocchina, un po’ italiana, e mi

piace vedere che nello stesso scatto possano

convivere tante realtà diverse. Mi è piaciuto ac-

compagnare le ragazze a pregare e vedere la

gente che mi guardava sorridendo mentre face-

vo il “palo”, come se capisse la preziosità di quel

momento. Mi è piaciuto il fatto che, non appena

ho pubblicato le foto su facebook, molti miei a-

mici mi abbiano chiesto di quell’evento e chi fos-

sero quelle persone con me. Riguardo le foto di

quella giornata, la spontaneità, la naturalezza, e

Page 13: IL CALAMO GMI

mi chiedo perché il mondo sia così diviso in base

alle religioni, che in realtà si fondano su valori

universali e sentiti da qualsiasi uomo: amore,

giustizia, uguaglianza, solidarietà, aiuto recipro-

co. Non sembra un po’ paradossale anche a voi

che, a volte, proprio ciò che dovrebbe unirci e

farci riconoscere come “simili” finisca per divi-

derci? Ma, sfortunatamente, questa capacità di

mettersi nei panni dell’altro, del diverso, dello

sconosciuto, è merce rara di questi tempi: non

riusciamo a riconoscerci nell’altro, e soprattutto

non riusciamo a riconoscere noi stessi nell’altro.

È un momento quanto mai

cruciale e delicato per il

dialogo tra persone di na-

zionalità e credo differen-

te: le misure contro

l’immigrazione si fanno

sempre più severe, i tempi

della burocrazia si allunga-

no a dismisura, la gente è

divisa tra accoglienza e

rifiuto, e chi aspetta per

un permesso di soggiorno

o per la cittadinanza…beh,

continua ad aspettare.

Sappiamo che è un mo-

mento di crisi, in cui tutti

abbiamo bisogno di sentir-

ci forti e al riparo da altri “attacchi” alla sicurez-

za della nostra vita: e come ha fatto giustamen-

te e tristemente fatto notare Umberto Eco, un

popolo spesso non è capace di trovare al proprio

interno coesione e resistenza, ma deve identifi-

care un nemico comune per sentirsi parte di un

gruppo. E questa è l’era dei capri espiatori! Sa-

rebbe senz’altro più utile cercare di venirsi in-

contro, riconoscendo che ciascuno ha qualcosa

da imparare dall’altro e può arricchirsi con una

reciproca conoscenza. Se avessimo il coraggio di

avvicinarci all’altro, piuttosto che giudicarlo o

allontanarlo per “proteggerci”, ci accorgeremmo

di essere piuttosto simili al proprio “nemico”…

siamo tutti esseri umani in fondo, no? E proprio

per questo abbiamo tutti le nostre debolezze,

anche se forse le affrontiamo in modo diverso. È

innegabile che, in ognuno di noi, risieda la paura

dell’altro, perché è la paura dell’ignoto, di qual-

cosa che non conosciamo e che non possiamo

controllare; ma al posto di divenire schiavi di

questa paura, dovremmo ridimensionarla e pro-

vare a mettere il naso fuori dalla porta, non

sbatterla in faccia a qualsiasi richiamo esterno. È

un atteggiamento che purtroppo vedo in molte

persone, terrorizzate all’idea che le loro certezze

possano venire sconvolte: perché ammettere

l’altro vuol dire metter-

ci un po’ in discussione,

riconoscere magari la

nostra parte di errore.

O abbiamo la memoria

così corta da dimenti-

care che anche noi sia-

mo stati degli immigra-

ti in Paesi stranieri, e

tuttora lo siamo anche

se in maniera meno

eclatante? La fuga di

cervelli all’estero, la

fuga di denaro verso i

paradisi fiscali…ci sia-

mo “evoluti”, ma la no-

stra tendenza

all’espatrio non si è estinta. Proprio perché tutti

siamo tanto vulnerabili e allo stesso tempo tan-

to simili, dovremmo riconoscere nell’unione la

sola forza che ci aiuterà a portare avanti la no-

stra storia, nella condivisione di ideali profondi

piuttosto che su elementi superficiali, “di con-

torno” che ci spingono ad arroccarci su posizioni

di presunta superiorità rispetto all’altro. “La na-

tura dice a tutti gli uomini: poiché siete deboli,

aiutatevi reciprocamente; poiché siete ignoranti,

reciprocamente illuminatevi, e sopportatevi”,

affermava Voltaire. Duecentocinquanta anni do-

po, siamo sicuri di aver imparato a farlo?

Chiara Ceccon

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Ormai tutti conoscono chi è Saviano, anche chi non è interessato ai fatti di mafia ne sente parla-re. Potremo parlare di lui iniziando dalla sua bio-grafia: Roberto Saviano è nato a Napoli, si è lau-reato in filosofia, ha iniziato la sua carriera bla bla bla... ma non è questo che ci interessa, chi è in realtà Saviano? E' l'uomo che combatte la ma-fia, la camorra, è stato definito come "Saviano, uomo solo nel mirino del potere", è l'uomo co-raggioso costantemente minacciato dalla camor-ra costretto a vivere sotto scorta e a cambiare continuamente dimora per motivi di sicurezza stabiliti dallo Stato. Grazie al successo letterario conquistato, merito soprattutto del romanzo "Gomorra" (tradotto in 53 paesi diventa un best-seller con 2 milioni e mezzo di copie vendute in Italia e 4 milioni di copie vendute nel resto del mondo), gli sono stati assegnati svariati premi, e la Laurea Honoris Causa dell'Accademia di Belle Arti di Brera. Dalle continue minacce subite dal clan dei casa-lesi molti premi Nobel decidono di firmare a suo favore un appello di solidarietà. Viene pure invi-tato all'Accademia di Stoccolma, luogo in cui vengono assegnati i premi Nobel, per discutere di libertà di espressione.

Ma non solo in campo letterario si è fatto riconoscere, gli sono state dedicate puntate speciali a "Matrix", "L'era glaciale" , "Anno zero" e "Che tempo che fa", e ora per conclude-re conduce insieme a Fazio il programma "Vieni via con me", che ha conquistato un record di a-scolti, la prima punta puntata è stata seguita da 7 milioni seicentomila spettatori e il 24,48% di share, è il programma più visto di Rai 3, ha bat-tuto persino il Grande Fratello. Giusto per la cro-naca vi informo che il programma è prodotto da Endemol (Endemol ---> Mediaset ---> Berlusconi) In molti lo vogliono in politica, lui è la voce della verità, la voce del popolo, che non ha paura di nessuno, che non ha peli sulla lingua, che si "sacrifica" per il bene della società. Che grande uomo questo Roberto Saviano, glielo dobbiamo riconoscere! Usciamo un attimo della realtà italiana, e sentia-mo cosa ne pensa in proposito alla condanna di Sakineh: "Lapidarla signi ficherebbe lanciare un sasso contro ogni donna. Può sem brare retori-co, scontato, persino falso, perché in fondo le donne da altre parti del mondo vivono come vo-gliono e forse nemmeno sanno chi è lei. Ma poiché queste sono parole è compito nostro trasformarle in sassi, colpendo chi l’ha condan-nata. In modo da riuscire ad essere in molti — e determinanti — nel dire, nel pretendere: “Nessuno levi la mano contro Sakineh” Sentiamo invece cosa dice Malek Ejdar Sharifi, un giudice che si è occupato del particolare caso giudiziario: ''Non possiamo rendere noti i detta-gli dei crimini di Sakineh, per considerazioni di ordine morale ed umano. Se il modo in cui suo marito è stato assassinato fosse reso pubblico, la brutalità e la follia di questa donna verrebbero messe a nudo di fronte all’opinione pubblica. Il suo contributo all’omicidio è stato così crudele e agghiacciante che molti criminologi ritengono che sarebbe stato molto meglio se lei si fosse limitata a decapitare il marito''. Dalle parole di Saviano ci sembra abbia concen-trato la sua attenzione sulla modalità d'esecuzio-ne della condanna, vale a dire la lapidazione, ma fonti iraniane affermano che la condanna sarà eseguita per impiccagione, tenendo sempre in considerazione che la donna è ancora viva. Perché Saviano non ha lanciato appelli anche a

Page 15: IL CALAMO GMI

Teresa Lewis, donna condannata alla pena capi-tale per il ruolo svolto negli omicidi del marito e del figliastro, donna a cui è stato riscontrato un quoziente intellettuale al limite del ritardo men-tale; o per tutte le altre condanne (spesso di per-sone innocenti) negli altri paesi del mondo? Oppure vogliamo parlare di cosa pensa Saviano del conflitto israelo-palestinese, ad una mani-festazione dal titolo "Per la verità, per Israele" lui afferma: "La mia verità su Israele è fatta soprattutto di immagini, di immagini che non vogliono essere soltanto quelle della guer-ra, ma sono immagini che hanno a che fare con lo sguardo a Tel Aviv, con la luce di Tel Aviv, la luce di Eilat e la meraviglia di Gerusalemme. Un centi-naio di nazioni formano lo Stato israeliano, ebrei da ogni angolo della terra e non soltanto ebrei. Sono lì e lo vedi anche sul volto delle persone e delle nuove generazioni: ragazzi con la madre irakena e il padre della Repubblica Ceca, russi con spagnoli e argentini e tedeschi, ucraini, etio-pi. Tel Aviv è una città che non dorme mai, piena di vita e soprattutto di tolleranza, una città che più di ogni altra riesce ad accogliere la comunità gay, a permettere alla comunità gay israeliana e soprattutto araba di poter gestire una vita libera e senza condizionamenti, frustrazioni, repressio-ni e peggio persecuzioni. Quando c’è stato il Gay Pride in Spagna, le associazioni gay israeliane

non sono state respinte, non accolte. Per-ché è stato un gesto doloroso? Perché le as-sociazioni israeliane accolgono i gay dei pae-si arabi che vengono perseguitati, condannati a morte, diffamati, non è possibile rinunciare a in-

terloquire con queste asso-ciazioni se davvero si ha a cuore la pace in Medio O-riente. Farlo ha il sapore del pregiudizio. Ecco per-ché quando si parla di Isra-ele bisogna dimettere que-sto pregiudizio. Bisogna raccontare come questa democrazia sotto assedio si sta costruendo, si è costrui-ta, ha raggiunto degli ob-biettivi importanti, anche sul piano dell’accoglienza. I profughi del Darfur, ad e-sempio, vengono accolti in Israele. Una religione per-

seguitata in Iran e in quasi tutti i paesi musulma-ni è stata accolta in Israele, Haifa è il suo centro più importante: la religione Bahai, nata proprio in Persia. Quindi tutto questo mio parlare è solo per cercare di sperare che in Italia, destra sini-stra, centro, comunque la si pensi, si possa parla-re con maggiore cognizione, profondi-tà." Qui non c'è bisogno di aggiungere altro. Chi è in realtà Roberto Saviano? Un altro Trava-glio? In proposito cito una sua frase: "Verità e potere non coincidono mai" Zena Abram

Se una statua rappresenta una persona su un

cavallo che ha entrambe le zampe anteriori

sollevate, significa che la persona in questione

è morta in guerra. Se il cavallo ha solo una

zampa anteriore sollevata, la persona è morta

a seguito di una ferita riportata in guerra. Se

il cavallo ha tutte le quattro zampe a terra, la

persona è morta per cause naturali

Page 16: IL CALAMO GMI

Rivolta della natura ai primi d'agosto, nel

Pakistan, piogge monsoniche insolitamen-

te abbondanti provocano un'alluvione di

proporzioni bibliche.

Il disastro uccide 1700 persone e interessa

circa 20 milioni di pakistani che hanno

dovuto abbandonare le proprie abitazio-

ni.

Duramente danneggiate infrastrutture e

l'agricoltura, comparto basilare del Paki-

stan. Dopo le grandi catastrofi naturali,

terminata l'emergenza , ci si dimentica

presto dei luoghi colpiti e delle persone

rimaste coinvolte, abbandonandole a se

stesse nella difficile e delicata fase della

ricostruzione. Momento questo ancora

più duro e dalle conseguenze più dram-

matiche se ad esserne vittima è uno dei

paesi più poveri del mondo. Per fortuna

però non sempre è così: Islamic Relief,

infatti, continua a fornire assistenza d'e-

mergenza ai sopravvissuti dando loro le

basi per la sopravvivenza. I soccorsi sono

resi difficili dalle continue piogge e tem-

peste, ma il lavoro di soccorso continua

poiché è di vitale importanza al fine di

prevenire altre morti. La storia è sempre

la stessa: le catastrofi naturali esistono,

ma sono aggravate infinitamente dalla

nostra incapacità di tenere conto dei ri-

schi naturali ovvero trascurando la pos-

sibilità di studiarli molto bene e dal fare

comunque finta di nulla per ignavia o avi-

dità. O per l'assoluta mancanza di risorse

e di memoria.

Bisogna considerare che l'uomo è in parte

causa di questi fenomeni che oggi avven-

gono più frequentemente che nel passato

e stanno distruggendo un luogo fantastico

e armonioso. Ogni giorno che passa c'è

sempre meno verde e più grigio, il tasso

d'inquinamento nell'aria è ormai critico.

Tre sono i principali fattori di rischio: lo

sviluppo urbano incontrollato, il degrado

ambientale e i mutamenti del clima dovu-

ti alle emissioni dei gas serra. Purtroppo

l'uomo si pone in maniera sbagliata nei

confronti della natura, pretendendo di

poter comprendere tutto e riuscire a dare

spiegazioni, ma la Terra è in continua e-

voluzione e l'uomo non riesce a stare die-

tro a tali cambiamenti. L'uomo se vuole

continuare ad abitare su questo meravi-

glioso pianeta deve cercare di ridimensio-

narsi, ricordandosi che la Terra è la sua

dimora e deve essere rispettata come tale,

cercando di coesistere con terremoti e

maremoti, magari evitando di costruire

immense metropoli in luoghi considerati

a "rischio".

Amina Kotel

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۞ ظهر الفساد في البر والبحر بما كسبت أيدي الناس

ليذيقهم بعض الذي عملىا لعلهم يرجعىن ۞

"La corruzione è apparsa sulla terra e nel mare a

causa di ciò che hanno commesso le mani degli uo-

mini, affinché Iddio facesse gustare parte di quello

che hanno fatto. Forse ritorneranno [sui loro pas-

si]?" (XXX,41)

Alcuni commentatori hanno ritenuto che per

"corruzione" (fasād) si intenda l'assassinio e la

pirateria. Altri hanno piuttosto fatto riferimento

ad un drastico mutamento delle condizioni am-

bientali, tale da compromettere la sussistenza e

la sopravvivenza. Abu al-'Aliyah ha detto:

"Chiunque disobbedisce a Dio sulla Terra, l'ha

perciò corrotta, poiché la buona condizione della

terra e dei cieli dipende dall'obbedienza a Dio".

Ha riportato Abū Dawūd che il Profeta

disse: "Ogni punizione prestabilita (hadd) che sia

applicata sulla Terra è preferibile per la sua gente

[per coloro che l'applicano] che se dovesse piove-

re quaranta giorni". L'applicazione della Legge

rappresenta un argine alla disobbedienza e, dun-

que, al progressivo disfacimento fisico e spiritua-

le della creazione nel suo complesso. E' riportato

nel Sahīh: "Quando muore un malvagio, ciò è un

sollievo per le persone, per il Paese, per gli alberi

e per gli animali".

Contestualmente, l'obbedienza a Dio giova alla

creazione. L'Imam Ahmad Ibn Hanbal ha riferito

che Abū Qahdham disse: "Al tempo di Ziyad o di

suo figlio, un tale trovò un panno in cui erano av-

volti dei chicchi di grano che erano grandi come

la giustizia ha prevalso". Allo stesso modo, verrà

un'epoca in cui interi gruppi di persone potranno

sfamarsi con un melograno, ed il latte di una sola

cammella gravida sarà sufficiente a dissetare

molta gente: sarà l'epoca in cui Gesù, figlio di

Maria - la Pace sia su entrambi - essendo tornato

sulla Terra ed avendo sconfitto il falso Messia

(al-Masīh al-Dajjāl), giudicherà secondo la

Legge di Dio.

un tempo in cui

In definitiva, sussiste dunque una strutturale rela-

zione di causa ed effetto, non solo entro un mede-

simo piano d'esistenza (causa materiale genera ef-

fetto materiale) ma anche tra piani d'esistenza dif-

ferenti (causa spirituale genera effetto materiale).

Laddove per la mentalità moderna risulta talora di

difficile comprensione perfino il primo genere di

rapporto (materiale-materiale), è d'altra parte pro-

prio nel legame tra corporeo ed incorporeo, tra re-

altà sottili e dimensioni grossolane dell'esistenza,

tra spirituale e materiale, che il credente riconosce

un aspetto fondamentale della creazione ed una

norma generale che ne determina le dinamiche es-

senziali.

Nell'economia di questa relazione, i precetti della

Legge sacra (al-Sharī'ah) si configurano come un

medium sintetico e qualificato, ovvero un impre-

scindibile punto di riferimento per lo sviluppo di u-

na coscienza integrale della natura umana e del suo

destino ultraterreno.

Ibrahim Gabriele Iungo

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La salute dell’ambiente rivela, sistematica-mente, la qualità dell’agire umano nel mon-do, nonché la natura dell’ approccio dell’ in-dividuo e delle collettività al Divino nel corso dei secoli; potremmo quasi pensare che i mondi, naturale e materiale, a noi circostanti, costituiscano una sorta di proiezione corpo-rea e tangibile della nostra realtà spirituale. È come se quest’ultima estrinsechi se stessa nel mondo, traducendo la propria essenza nella pragmaticità e concre-tezza di ogni giorno; a un de-cadimento etico religioso corrisponde, in sintesi, un degrado dell’ecosistema in termini fisici, riscontrabili. Consapevole (perlomeno dal punto di vista pretta-mente materiale) della po-tenziale pericolosità del pro-prio operato, l’uomo ha preso, negli anni, provvedimenti contro se stesso: la creazione del Global Seed Vault, la Banca Mondiale del seme ( o Dommsday Vault, forziere del gior-no del giudizio, come lo chiamano ormai in molti), costituisce un esempio lampante di misura precauzionale adottata; inaugurato nel febbraio del 2008, sotto il patrocinio del Global crop diversity trust (Fondo mondiale per la diversità delle colture), della Nordic ge-ne bank e del governo norvegese, è stato

progettato allo scopo di salvaguardare il pa-trimonio alimentare umano, preservando la biodiversità vegetale e tutelando i raccolti, da sempre a rischio a causa dei cambiamenti cli-matici, dell’inquinamento ambientale, e delle numerose guerre.

Si tratta, in sostanza, di un complesso, formato da tre bunker-magazzini, localizzato

all’interno di una montagna di are-naria, nelle profon-dità di una grotta dell’isola Spitsber-gen, in Norvegia; attraverso un im-pianto di sicurezza idoneo a fronteg-giare catastrofi di qualunque tipo, custodisce ermeti-camente la raccol-

ta di sementi più completa al mondo. La sua funzione? Tutelare le generazioni future dall’infausta eventualità di vedersi private di parte delle proprie risorse alimentari: laddo-ve si verificasse la sciagurata perdita di una specie vegetale, infatti, il Global Seed Vault fornirà, alle banche del seme nazionali, gli esemplari necessari alla rinascita della coltu-ra in questione. O uomo, qual è la tua direzione?

Fatima Ismaeil

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Allah (swt) dice nel nobile Corano: “Per questo abbiamo prescritto ai Figli di Israe-le che chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucci-so l'umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l'umanità. I Nostri Messaggeri sono venuti a loro con le prove! Eppure molti di loro commisero eccessi sulla terra”. (V,32) La donazione del sangue è un atto molto importante sia per la religione islamica che per la società nella quale viviamo; sfortunatamente è un atto che molto spesso viene sottovalutato da noi musulmani, che, invece, ci permetterebbe di ottenere molte hasanat. Nell'Islam la donazione del sangue è un atto molto meritorio, poiché contribuisce attivamente a salvare la vita di una persona, sia essa musulmana o meno. A questo proposito possiamo citare la fatwa di Shaykh Yusuf al-Qaradawi: "Le virtù della donazione del sangue" dove possiamo leggere: "...La donazione di sangue è la migliore assistenza che un uomo possa offrire ad un paziente che ha bisogno di una trasfusione di sangue a causa della perdita del proprio sangue o di interventi chirurgici". "...Donare il proprio denaro è un atto molto impor-tante nell'Islam, ma donare il sangue è un atto anco-ra più importante e premiato maggiormente delle donazioni di denaro, perché permette di salvare la vita di un essere umano. Il sangue, che è parte di un uomo, è più prezioso dei soldi. Il donatore di sangue dà parte del suo corpo ad un suo fratello o ad una sua sorella attraverso un atto di amore e di solida-rietà". Inoltre, la donazione del sangue è così importante poiché il sangue non è riproducibile in laboratorio e molte regioni italiane non hanno ancora raggiunto l'autosufficienza ematica (hanno bisogno di più san-gue di quanto riescono a raccoglierne con le dona-zioni). Donare il sangue è anche un ottimo modo per fare da'wah, veicolando ai non musulmani un'imma-gine molto positiva dell'Islam, oltre ad essere un modo di far parte attivamente della società in cui si vive, contribuendo a salvare vite umane. Il sangue è assolutamente indispensabile per gli o-spedali, in particolare per trattare le seguenti pato-logie e situazioni:

-Malattie del sangue -Operazioni chirurgiche -Incidenti stradali Il sangue può essere donato da tutte quelle persone che abbiano compiuto 18 anni d'età, con un peso superiore ai 50 kg e che non soffrano di problemi di pressione o malattie varie; gli uomini possono dona-re il sangue 4 volte all'anno; le donne invece devono evitare le donazioni durante il periodo del ciclo me-struale e possono donarlo solamente due volte all'anno, se incinte non possono donarlo durante la gravidanza ed per un anno dopo il parto. In Italia l'unico sangue che viene usato è quello rac-colto tramite le donazioni volontarie e non remune-rate, quindi è importante il contributo di OGNUNO DI NOI a questa campagna. Contributo delle comuni-tà islamiche nella raccolta del sangue: Bisogna proporre alle moschee che si frequentano di organizzare raccolte periodiche di sangue attraverso l'utilizzo di appositi mezzi chiamati autoemoteche, promuovendo la donazione del sangue tra i frequen-tatori della moschea/centro islamico, in particolare attraverso la khutba del venerdì. Il modo migliore per organizzare una raccolta di sangue è quello di contattare la propria AVIS ( http://www.avis.it ) co-munale ( qui trovate l'elenco di tutte le AVIS Comu-nali:http://www.avis.it_view.php/ID=1403 ) dichia-rando la volontà del centro islamico di organizzare una giornata dedicata alla donazione del sangue. Se la sede AVIS è particolarmente grande (Roma, Milano ecc...) è probabile disponga di proprie autoe-moteche, questo rende molto più semplice il lavoro, mentre se la sede AVIS è di un piccolo centro, si de-ve contattarla per sapere quando è prevista la dona-zione di sangue collettiva ed aggregarsi a quella do-nazione. E' importante andare a donare a digiuno (è ammesso un thè con una o due fette biscottate, o un caffè poco zuccherato; sono assolutamente da evitare latte e latticini), la colazione verrà offerta, poi, dall'AVIS. La moschea/centro islamico può chiedere all'A-VIS Comunale il materiale di cui ha bisogno per pro-muovere la donazione del sangue.

Mohammed-Davide Santoro - Giovane Musulmano donatore di sangue dell'AVIS di Roma

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Subito dopo il giorno della Festa della rottura del digiuno

del sacro mese di Ramadan, presi l'aereo per Ouagadou-gou, capitale del Burkina Faso, per iniziare l'avventura dei “Jeunes Reporters Migrants” (JRM). E' stato uno

scambio internazionale tra Italia, Francia, Senegal e Bur-kina Faso in cui tutti i giovani avrebbero dovuto andare

nel Paese di un altro, ma ciò non è stato possibile per i giovani del Senegal e del Burkina perché non è stato concesso loro il visto per l'Europa nonostante l'iniziativa

fosse stata interamente finanziata dalla UE. Durante lo scambio, abbiamo prodotto reportage sull'immigrazione che sono stati pubblicati nel sito del JRM e anche tra-

smessi da una nota radio del Burkina della città Ouahi-gouya dove si è svolto il nostro scambio! Qui ho avuto la possibilità di vedere come lavorano in tv e nella radio

locale e devo dire che sono davvero organizzati, anche se non hanno gli stessi strumenti che possono avere gli occidentali! In otto giorni non posso dire di aver impara-

to abbastanza sui media, ma la cosa più importante, in-

dimenticabile, unica ed emozionante è stato il pensiero di essere in Africa in mezzo alla pelle nera, al cuore sincero ed ospitale della gente, gente che usa spesso il termine

francese "on partage" che sta a significare “condividiamo”... Cosa che fanno davvero con il cuore.

Sono rimasta davvero incantata dal loro modo di fare e dal grande valore che danno alla fratellanza. Inoltre ho osservato la convivenza tra musulmani e cristiani: è diffi-

cile notare la differenza! Stanno tutti insieme, mescolan-do la parola Dieu e inshallah e molte altre.Quando ho spiegato ad alcuni le differenze e gli ostacoli che viviamo

noi in Italia mi hanno guardato increduli di ciò... Ora ho davvero il mal d’Africa, non vedo l’ora di ritornare in quel continente, anche in un altro paese, magari Camerun o

Senegal perché mi manca il profumo dell’Africa e il “Walouf”. Sapete che cos’è? Ve lo dico la prossima vol-ta :)

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Secondo la mitologia induista, Brahma, l'aspetto creatore di Dio, creò gli uomini traendoli dalle varie parti del suo corpo, generando così le ca-ste, dai sacerdoti originati dalla bocca, ai servi, dai piedi. Nel corso del tempo però ognuna delle quattro caste si è divisa in una moltitudine spin-ta da ragioni geografiche, storiche, etniche, lin-guistiche. Variano da una regione all’altra dell’India. Ce ne sono migliaia. Esiste però un'al-tra categoria, così disagiata da non essere nean-che considerata una casta; i paria, che furono originati dalla polvere che copriva i piedi di Bra-hma. Sono visti come “intoccabili”, nel vero sen-so della parola; infatti le caste impongono una serie assai complessa di regole, tra cui il divieto di contaminazione con i paria, attraverso rap-porti sessuali (anche se frequenti sono poi gli abusi a scapito di donne intoccabili) o anche semplicemente con il contatto fisico, o con la spartizione di cibi e bevande, l'usufruire di stes-se fonti di acqua. La condizione degi paria è ca-ratterizzata da estrema povertà, precarietà igie-nico-sanitaria e diffusa ignoranza. In genere, la tradizione imponeva loro di occuparsi di attività considerate degradanti, come la sepoltura dei morti, la pulizia dei bagni, o i ciabattini e lavan-dai, o i macellai, attività che a tutt’oggi la mag-gior parte delle famiglie paria si tramandano nell’India rurale. Tutti lavori considerati massi-mamente impuri. Impuri per l'eternità. L’intoccabilità, oltre a rappresentare una viola-zione dei diritti fondamentali, costituisce un o-stacolo allo sviluppo ed alla realizzazione di una società veramente democratica. Nonostante le caste siano state formalmente abolite, il loro ruolo nella società continua infatti ad essere e-stremamente rilevante. Al sistema delle caste si opposero le grandi religioni nate in India sul tronco induista, dall’VI al XX secolo, dal buddhi-smo, ai sikh, sino ad alcune correnti riformiste. L’islam, penetrato con l’impero ottomano nel ‘500, non accettava il sistema castale, perché

nel- la reli- gione

islamica è prevista la completa ugualianza tra gli uomini. Guar-dava con ostili-tà anche alcu

ne pratiche indù come il sati, l'usanza di immola-re le vedove sulla pira del marito defunto. Se-condo le credenze induiste, la vedova si trova in uno stato di impurità rituale, da cui si può libera-re solo immmolandosi insieme al cadavere del marito. L'affetto per il marito o la disperazione per la sua perdita non sarebbero però bastati a spingere la donna a sacrificarsi in modo così a-troce: era la vita da vedova che l'avrebbe aspet-tata a spingerla maggiormente, una vita di gros-se rinunce: mantenuta dai parenti del marito, non poteva ornarsi ma vestirsi a lutto perenne e radersi i capelli, doveva mangiare una sola volta al giorno ed era esclusa da ogni divertimento, anche dalle feste famigliari, non poteva più dor-mire su un letto, lavarsi i denti, tagliarsi le un-ghie, uscire di casa. Vietata nel 1829, quando l'India era colonia britannica, e poi ancora proi-bita con altre tre leggi tra il 1959 e il 1987, que-sta pratica non è mai scomparsa del tutto. Un altro problema ancora diffuso è la questione della dote: la donna infatti, una volta presa in sposa, deve consegnare dei beni alla famiglia dello sposo. La dote può essere una mucca, un televisore o una macchina, ma i suoceri diventa-no sempre più esigenti e reclamano continue aggiunte alla dote anche dopo il matrimonio, e le famiglie più povere arrivano ben presto a non riuscire ad accontentare le pressanti richieste. Cosa succede quando un padre smette di pagare il "debito" della figlia? Facile, i suoceri la uccido-no. Solo così, infatti, il figlio potrà risposarsi con una donna più ricca. Sembra incredibile ma ogni giorno 17 ragazze vengono uccise per questo motivo; anche se il numero esatto delle donne assassinate sarà sempre approssimato, dato che la maggior parte dei delitti viene denunciato co-me "morte dovuta a incidenti domestici" (una tecnica molto diffusa consiste nel cospargere di benzina la giovane donna mentre è ai fornelli). Questo è il motivo per cui è molto più conve-niente avere un figlio maschio che una femmi-

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na…sempre che le permettano di nascere. Può succedere infatti che le indiane siano discrimina-te ancora prima di venire al mondo; con la diffu-sione dell'ecografia sono aumentati vertiginosa-mente gli aborti: "Meglio 500 rupie oggi (il prez-zo di un'ecografia per conoscere il sesso del fe-to) che 5000 domani (costo medio di una dote) ".Oppure, vengono uccise appena nate, attra-verso l'avvelenamento del latte dal seno delle madri, se non si possono permettere il prezzo dell'e-cografia. Perchè lasciarle vivere? La donna non ser-ve. Questa condizione però sta cambiando, a passi len-ti: la concessione del voto alle donne, le leggi che per-mettono loro di divorziare, ereditare e risposarsi non sono giunte a legalizzare un contesto, ma piuttosto ad anticipare una situazio-ne ancora non frequente, dato che nelle zone rurali permane la forte tradizio-ne. Come accadde in uno stato al sud dell'India, tea-tro di una triste storia. La storia di Naveen Abhisar, che alla stessa ora del po-meriggio, nella stessa stra-da di quella cittadina, bloc-ca il suo lavoro e si affaccia alla finestra. La con-fusione di quel viale è difficile anche da descri-vere: le donne che trasportano i figlioletti diso-rientati, i mercanti che urlano i prezzi del pesce migliore del mondo, o che mostrano insistente-mente scarpe di “inestimabile valore”, magari rubate dai turisti del Taj Mahal. La carne cruda esposta all'aperto, la sporcizia negli angoli delle strade e i materassi dei senzatetto. Tra quella folla, spunta una donna: Naveen la individua su-bito, come dotato di uno speciale radar. È spor-ca, con vestiti quasi consumati, ma tutto questo non gli importa. Ai suoi occhi è bellissima. Ha il tipico aspetto della donna indiana, grandi occhi neri, capelli lunghi, pelle un po’ scura. Non ha niente di più delle donne che corteggiano il commerciante Naveen se non le rupie nelle ta-sche, cose che Ankita, probabilmente, non ha. È

un’intoccabile, lo si capisce dalle sue vesti, e dai luoghi che frequenta, come quel merca-to. Naveen, come fa ormai da mesi, prende la rosa che ha sul tavolo, e la lascia cadere dalla finestra. La rosa cade ai piedi di Ankita, che la raccoglie, e se la infila tra i capelli. Lei alza la te-sta, e i due si sorridono. Quel sorriso però è ma-linconico: lei è un'intoccabile, lui un commer-ciante delle caste più alte. Il loro è il cosiddetto

"amore impossibile". Una regola principale castale è infatti l'endogamia, l’obbligo cioè di sposarsi solo all'inter-no della propria casta. Nave-en per il suo lavoro viaggia spesso in India, anche nelle zone più povere, dove be-vendo acqua non potabile, inquinata dal fiume Gange (il più contaminato del mon-do), è stato infettato di cole-ra. È malato, molto malato. L'unica distrazione è quella donna, e l'amore che nutre per lei. Passa la giornata a cercare di convincere la ma-dre a fargli sposare quella ragazza, nonostante la sua situazione misera. Era però un'ambizione troppo fanta-siosa per quella prestigiosa famiglia. Poi un giorno Nave-

en, per la prima volta, scende da quell'apparta-mento, e invece di lasciar cadere la rosa, gliela dà in mano, chiedendole di sposarlo. I due si sposano in segreto, ma ben presto la famiglia Abhisar se ne accorge, e la madre decide di invi-tare Ankita a casa sua, con l'intenzione di ucci-derla, unica soluzione per far sposare al figlio un'altra donna più ricca, per ottenere una dote più meritevole. La morte di Ankita viene annun-ciata come incidente domestico, in cucina, dopo un incendio. Naveen capisce tutto, ma troppo tardi. Passa gli ultimi giorni della sua vita alla fi-nestra, più morto che vivo. Ankita non passa mai. La immagina camminare per quella strada, e quando la sua ombra arriva sotto la sua fine-stra, lascia cadere la rosa; ma nessuno la racco-glie. Sara Abram

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Nell'islam esistono due feste: la festa di fine del me-se di Ramadan e la festa del sacrificio, 'id-al-Adha. La festa del sacrificio ha luogo nel decimo giorno del mese di Dhul-Hijja (ultimo mese del calendario luna-re islamico); perciò le date per celebrare Aid-ul-Adha variano. Questa celebrazione prevede il sacrificio rituale di un animale per ricordare il sacrificio fat-to da Abramo, pace su di lui, padre delle tre religio-ni monoteiste. Abramo, pace su di lui, era pronto a sacrificare suo figlio prima che venisse fermato da Dio e per questo Eid-ul-Adha è forse la festa che più sottolinea la totale fede e devozione che bisogna avere in Dio. Ci racconta il Corano, che Ibrahim (Abramo), pace su di lui, vide in sogno se stesso che sacrificava il beneamato figlio, egli allora si rivolse a lui con tutto l'amore e l'affezione di un padre chiedendogli il suo parere, il figlio forte nella fede accettò senza esitazione: “Poi, quando raggiunse l'età per accompagnare [suo padre questi] gli dis-se: “Figlio mio, mi sono visto in sogno, in procinto di immolarti. Dimmi cosa ne pensi”. Rispose: “Padre mio, fai quel che ti è stato ordinato: se Allah vuole, sarò rassegnato”. (XXXVII,102) Nonostante le condizioni molto difficili e le prove, questa famiglia aveva un cuore orientato verso Allah e sottoposto alla sua volontà, poiché la vita era per loro è soltanto un bene transitorio… Satana (Shaitan) cercò di ten-tare Abramo, pace su di lui, ed indurlo a desistere dal sacrificio, ma invano. Abramo lapidò il tentatore tre volte con sette pietre ogni volta (e questo è all'o-rigine del rito della lapidazione delle steli che fa par-te integrante del grande pellegrinaggio). E Dio inviò un bello e grande montone per sostituire questo co-raggioso giovane uomo...“Quando poi entrambi si sottomisero, e lo ebbe disteso con la fronte a terra, Noi lo chiamammo: “O Abramo, hai realizzato il sogno. Così Noi ricompensiamo quelli che fanno il bene. Questa è davvero una prova evidente”. E lo riscattammo con un sacrificio generoso.” (XXXVII, 103-107) Da ciò prende origine la sunnah del sacrifi-cio ed è un grande giorno di festa e di condivisio-ne per tutti i musulmani. Nel giorno di Aid-ul-Adha , i musulmani sacrificano come Abramo un animale chiamato Udhia, che secondo la tradizione deve es-sere fisicamente integro, né troppo vecchio né trop-

po giovane, di almeno 4 anni di età e preferibil-mente maschio. Inoltre la mattina della festa del sacrificio, i musulmani fanno il gusl (lavaggio integrale) che è sunna e si vestono con vestiti nuovi, poi si recano al luogo di preghiera, glorificando Allah con i takbir, continuando fino all'arrivo dell'imam: '' Allaahu akbar, Allaahu akbar, Allaahu akbar laa ilaaha illAllaah Allaahu akbar, Allaahu akbar wa li-illaahil-hamd Allaahu akbar kabeera wal hamdu lillahi katheera wa sobhana allahi bokratan wa ase-ela laa ilaaha illAllaah Wahdah sadaqa wa’dah wa nasara abdah wa a’aza jondahu wa hazama al-ahzaba wahdah laa ilaaha illAllaah wala na’bodu illa iyah mokhliseen lahu aldeena wa law kari-ha al kafiroon allahomma salli ala sayyidina mo-hammad wa ala sayyidina mohammad wa ala aal sayyidina mohammad wa ala ashabi sayyidina mo-

hammad wa ala ansari sayyidi-na mohammad wa ala azwaji sayyidina mohammad wa ala zoriyyati sayyidina mohamma-din wa sallim taslimann kathe-ra. Si conclude il canto del takbir quando l'imam fa il suo ingres-so, allora i partecipanti alla pre-ghiera si alzano e si mettono in fila. Questa preghiera non è pre-ceduta dall' adhan e si compone di due raka'at. L'imam inizia la prima rak'aat ripetendo sette volte ''Allah Akbar'' compresa

quella dell'entrata in preghiera, dietro di lui i pregan-ti ripetono ciò che ha detto , dopo di che l'imam reci-ta ad alta voce la sura Al Fatiha e Surat. Nella secon-da rak'aat si dice sei volte Allah Akbar e si recita la sura Fatiha seguita da dei versetti. Finita la preghiera si inizia la Khutba (omelia). Conclusa questa ci si alza e si abbracciano gli altri musulmani, la famiglia, gli amici, augurando: ''Mabruk 'Îd”. Infine, si rientra a casa seguendo un percorso diverso da quello fatto nell'andata. L'immolazione deve avere luogo dunque dopo la preghiera della festa secondo un hadith nel quale è stato riportato che il profeta (pbsl) ha detto: ''Colui che immola prima della preghiera della festa, non avrà fatto che abbattere un animale per essere consumato, ma quello che immola dopo la preghiera, avrà offerto un sacrificio rituale.”Prima di sgozzare l'animale occorre pronunciare il nome di Dio Bismi Allah, Allah Akbar) , e poi lo si divide in tre parti, una delle quali va consumata subito tra i familiari, men-tre la seconda va data ai vicini e la terza viene desti-nata ai poveri della comunità , che non hanno la pos-sibilità economica per acquistarlo.

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Spesso, chi sente parlare di Islam associa a que-sta religione il concetto di poligamia. Ma la poligamia è veramente lecita nell’Islam, e quale funzione può svolgere? Sì, nella cultura islamica la poligamia è praticabi-le, a certe condizioni, come lo è per i testi della religione ebraica e cristiana, Talmud e Vecchio Testamento più volte ne attestano la legalità. Il fatto che non sia applicata in questa società è dovuto a motivi di carattere legale e culturale. Nel Corano ci sono alcuni versetti che attestano la liceità della poligamia, sottoposta però ad al-cune condizioni. “E se temete di essere ingiusti nei confronti de-gli orfani, sposate allora due o tre o quattro tra le donne che vi piacciono; ma se temete di esse-re ingiusti, allora sia una sola o le ancelle che le vostre destre possiedono, ciò è più atto ad evi-tare di essere ingiusti”.(IV,3) In questo verset-to appare chiaro che il matrimonio monogamico è da preferire in quanto è più atto ad evitare l'in-giustizia. Dunque la poligamia non intende affat-to sostituire il matrimonio monogamico e nello stesso versetto essa viene definita come un per-messo dato per risolvere alcune situazioni della vita (qui tutela degli orfani), di ordine sociale o personale, ma sempre da sottoporsi all’esigenza di giustizia, per se stessi e per gli altri, e in primo luogo, per coloro che compongono il nucleo pri-migenio della coppia. Il Corano, sceso in una cul

tura in cui la poligamia era praticata senza limi-tazioni e garanzie per la donna, ha limitato il nu-mero di mogli a 4. A tale proposito, quando un uomo di Thaqif, il quale aveva dieci mogli, si con-vertì all’Islam, il Profeta Muhammad (pbsl) gli ordinò di sceglierne quattro e divorziare le altre. Il Profeta (pbsl), è l’unico uomo nella storia dell’Islam a cui è stato permesso di avere nove mogli, che aveva sposato prima della discesa del versetto che ne limitava il numero. Inoltre an-che al Profeta (pbsl) non fu più permesso, ad u-na certa fase della rivelazione, di sposare altre donne o cambiare quelle che aveva con altre, secondo le parole di Allah (swt): “D'ora in poi non ti è più permesso di prendere altre mogli e neppure di cambiare quelle che hai con altre; anche se ti affascina la loro bellezza.” (XXXIII, 52) Per quanto riguarda la famiglia del Profeta (pbsl) c’erano regole particolari, tra cui il divieto per le mogli di contrarre un nuovo matrimonio: “Non dovete mai offendere il Profeta e neppure sposare una delle sue mogli dopo di lui: sarebbe un'ignominia nei confronti di Allah…” (XXXIII, 53) Le donne del Profeta (pbsl) ebbero obblighi ma anche privilegi unici rispetto alle altre donne della Ummah, furono onorate infatti, con il grande riconoscimento di essere 'Madri dei Cre-denti'. A parte 'Aisha, figlia di Abu Bakr, tut-te erano vedove di età non più giovanile, spesso con orfani da mantenere. La poligamia è data dunque nell'islam come rimedio, come risposta a particolari difficoltà non evase dalla normale vita di coppia e della società. Essa stessa, in tale otti-ca si presenta come soluzione complessa, pro-prio perché ha alla radice ha una mancanza per-sonale o sociale che dovrebbe sanare. Richiede persone con più capacità d’amare, più capacità di fede e sacrificio. Ad esempio la poligamia può rappresentare una soluzione nei casi di sterilità, quando i coniugi non riescono a trovare il loro equilibrio in altri modi. Nelle spiegazioni classi-che si evidenzia come nella maggior parte delle società le donne superino di gran numero gli uo-mini ed i dati riportano una crescita del numero delle donne rispetto a quello degli uomini (si cal-cola circa 130 milioni di donne in più rispetto agli

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uomini nel mondo). In effetti, si tratta di un pro-blema sociale, quali potrebbero essere le solu-zioni? Le possibili soluzioni sono: a) Rimangono tutta la vita private delle gioie del matrimonio e della maternità (e questa sarebbe un’ingiustizia per loro) b) Rispondono alle loro esigenze con rapporti al di fuori del matrimonio: prostituzione, omoses-sualità, ecc.. (cadendo nel peccato e in una puni-zione nell’Aldilà) c) Applicando la poligamia mettendosi nella con-dizione di essere protette ed amate. In questi casi, la soluzione più adatta e più digni-tosa sarebbe applicare la poligamia. Il problema dei rapporti numerici tra i due sessi diventa ancora più problematico durante la guerra, dove molti uomini perdono la vita. La po-ligamia può essere di vantaggio anche per la donna nel caso di vedovanza, in cui per lei, non più giovane, sarebbe difficile trovare un uomo ancora non sposato, ecco che potendo sposare un uomo già sposato essa preserva il benessere e la protezione sua e della famiglia. Infine bisogna aggiungere che la poligamia nell’Islam esige il consenso reciproco. Nessuno può forzare una donna a sposare un uomo già sposato. Inoltre, la donna ha il diritto di stipulare nel contratto di matrimonio che il marito non possa avere una seconda moglie. Bisogna notare che la percentuale dei matrimoni poligami nel mondo musulmano è inferiore ai rapporti extra-coniugali in Occidente. Ecco che è importante parlare del fenomeno, sempre più comune dell’infedeltà. In Italia secondo le stime dell’Associazione avvocati matrimonialisti il 55% degli uomini e il 45% delle donne tradisce. Ov-viamente questo compromette l’equilibrio e la serenità familiare. I paesi occidentali sono mo-nogami per legge, ma a guardare le stime si nota che sono in maggioranza poligami di fatto, dato il ruolo fondamentale che svolgono le amanti. L’Islam quindi è una religione che permette di sposare una seconda moglie, in modo lecito, sal-vaguardando la moralità della Comunità. In Italia, come in altri paesi occidentali avere un’amante mantenendo ignara la moglie è per-fettamente legittimo per legge, mentre essere poligami, anche con il consenso della moglie è un reato. Dove sta la coerente saggezza legale dietro ad una tale contraddizione? Il fine della

legge è ricompensare l’inganno e punire l’onestà? Ciò è uno dei paradossi del mondo civiizzato moderno. Gihad Samarli

L'uomo, nel tragitto della sua esistenza, oscilla sem-pre tra una condizione di dimenticanza e una di ricor-do. Il nostro scordarci di Dio non significa che non ab-biamo fede. Ciò è chiaro leggendo la storia di nostro padre Adamo, narrazione che tutti conosciamo. Insie-me ad Eva è stato tentato e insieme hanno peccato, come leggiamo nella sura Al baqara, "Poi Iblîs li fece inciampare..."(II,36) l'errore non era certo dovuto ad una non conoscenza di Allah. Nonostante la sua vici-nanza al Creatore, Adamo si dimenticò quindi cadde nell'errore. "Già imponemmo il patto ad Adamo, ma lo dimenticò, perché non ci fu in lui risolutezza". (XX,115) Dopo di che si pentì e fu perdonato. " Ada-mo ricevette parole dal suo Signore e Allah accolse il suo [pentimento]. In verità Egli è Colui Che accetta il pentimento, il Misericordioso". (II,37) Allah, Ar-Rahmân, nella sua grandezza perdona Adamo, come perdona ad ogni uomo che si pente sinceramente. L'uomo è per definizione un essere che si distrae, ba-yna an-nissian wal dhikr, tra la dimenticanza e il ricor-do. La storia di Adamo rappresenta la nostra esisten-za. E inizia qua il nostro lavoro, un operare intimo, nel profondo di noi stessi, nel cuore. Questa parte di noi è come un terreno fertile seminato, quando viene in-naffiato germogliano fiori e frutti. Ma se viene ab-bandonato diventa arido, freddo, rigido. E che mezzi ci aiutano nel riavvicinarci ad Allah? I segni. Le ayat

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sono delle porte, che ci introducono alla luce di-vina. Porte fatte di parole sante della Scrittura, uno dei nomi del Corano è ad-dhikr, e porte fat-te di elementi della creazione, attraverso le quali la nostra vista e il nostro udito, quello del cuore, percepiscono la grandezza del suo Creatore. Tro-viamo già in Abû Hâmid al-Ghazâlî profonde ri-flessioni sul «libro manifestato» (al-kitâb al-manshûr), il Libro dell’Universo, che è lo specchio, sia teo-logico che fisico, del Corano, il «libro scritto» (al-kitâb al-mastûr). Il ricordo passa attraverso tutti e due questi tipi di ayat. Le ayat sono come stelle che illuminano i no-stri momenti di bu-io interiore. Stelle che ci aiutano a rio-rientarci nel cam-mino della retta via. Ci rendono u-mili, saziano le no-stre "affamate" domande. Dopo il ricordo, viene il pentimento, e ci riappare davanti a noi chiaro lo scopo dell'esistenza, la nostra natura, il Gior-no del Giudizio. “Signore, non ci punire per le nostre dimenticanze e i nostri sbagli..." (II,286) Ancora il Corano ci ricorda: "Mostreremo loro i Nostri segni nell'universo e nelle loro stesse per-

sone, finché non sia loro chiaro che questa è la Ve-rità”..." (XLI,53) Per il credente tutta la realtà a lui circostante richiama a Dio, e in tutto quindi vede dei segni, ayat che risvegliano il

suo cuore. In questo modo il mondo intorno a noi diventa fondamentale. Rigenera la fede che si deteriora nelle oc-cupazioni della vita terrena. Un hadith ci narra che Bilal

mentre stava andando a fare l'adhan del Fajr trovò il Pro-feta* che piangeva e gli disse: "O Profeta* perchè piangi se ti sono stati perdonati i peccati passati e quelli futuri? Rispose: "Non dovrei essere un servo riconoscente? È sce-so questa notte un versetto, "wail" a coloro che lo recita-no e non riflettono..." Era sceso questo versetto......

"In verità, nella creazione dei cieli e della terra e nell'alternarsi della notte e del giorno, ci sono cer-tamente segni per coloro che hanno intellet-to." (III,190) Alla visione degli occhi si accompagna una visione del cuo-re. E' il cuore che percepisce l'esistenza di Allah vedendo e

riflettendo sulla realtà circostante. " Il sole e la luna [si muovono] secondo calcolo [preciso]. E si prosternano le stelle e gli alberi.

" (LV,5-6)

In ogni momento avviene la prosternazione ad Allah, del creato nel suo ritmo naturale. "I sette cieli e la terra e tutto ciò che in essi si trova Lo glorificano, non c'è nulla che non Lo glorifichi, lodandoLo, ma voi non percepite la loro lode. Egli è indulgente, perdonatore". (XVII,43) I segni risvegliano in noi qual-cosa che già esiste, poiché l'uomo tende naturalmente ad Allah (fitra). I figli di Adamo negano la loro natura nel mo-

mento in cui hanno cuori ciechi, cuori chiusi. "Non percorrono dunque la terra? Non han-

no cuori per capire e orec-chi per sentire? Ché in verità non sono gli occhi ad esse-re ciechi, ma sono ciechi i cuori nei loro petti". (XXII,46) "Non hanno visto, sopra di loro, gli uccelli spiegare e ri-piegare le ali? Non li sostiene altri che il Compassione-vole. In verità Egli osserva ogni cosa". (XIX,67) Questo dhikr interiore

(del cuore) che si accompagna poi a quello esteriore (della lingua) fa sì che la nostra vita sia in armonia con la creazione e con chi

ci sta intorno. Ci dà equilibrio, e ci allontana dalla tristezza e dalla disperazione. Una rigenerazione spirituale, luce su luce.

Abdel Hakim Bouchraa

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Khalid ibn Zayd ibn Kulayb dei Banu Najjar fu uno dei grandi compagni del Profeta, a cui fu molto vicino. Era noto come Abu Ayyub (il pa-dre di Ayyub) e godette di un privilegio cui mol-ti Ansar (ausiliari) a Medina ambivano. Quando il Profeta, la pace e la benedizione di Dio su di lui, giunse a Medina in seguito alla sua Hijrah da Mecca, fu accolto con grande entusiasmo dagli Ansar di Medina. I loro cuori lo abbracciarono, i loro occhi lo segui-rono con devozione e amore e volle-ro riservargli l'accoglienza più caloro-sa possibile. Il Profeta (pbsl) sostò dapprima a Quba', ai margini di Me-dina, dove rimase per alcuni giorni. La prima cosa che fece fu costruire una moschea che è descritta nel Co-rano come: “la moschea fondata sul-la taqwa”.( IX,108) Il Profeta (pbsl) fece quindi il suo ingresso a Medina sul suo cammello. I dignitari della città lo attesero lungo il cammino, nella speranza di avere l'onore di o-spitarlo presso di loro. L'uno dopo l'altro si pararono lungo il cammino del cammello implorandolo: “Stai con noi, o Rasulullah”. “Lasciate il cammel-lo”,diceva il Profeta. “E' guidato”. Il cammello continuò ad avanzare, seguito attentamente dagli occhi e dai cuori della gente di Yathrib. O-gni volta che oltrepassava una casa, il proprie-tario si sentiva rattristato e abbattuto, mentre la speranza si risvegliava nei cuori di quelli che si trovavano lungo il cammino. Il cammello, se-guito dalla folla, continuò a proseguire fino a che non esitò di fronte a uno spazio aperto pro-spiciente la casa di Abu Ayyub Al-Ansari. Ma il Profeta (pbsl), non discese dalla sua cavalcatu-ra. Ben presto, il cammello riprese la sua mar-cia, essendo libero, avendo il Profeta abbando-nato le briglie. Poco dopo, tuttavia, si voltò e,

fatto ritorno sui suoi passi, si fermò nello stesso luogo in cui aveva sostato in precedenza. Abu Ayyub, con il cuore di colmo di gioia, salutò il Profeta con grande entusiasmo. Prese i suoi ba-gagli e si sentì come se stesse trasportando il tesoro più prezioso del mondo. La casa di Abu Ayyub era su due piani. Svuotò il piano superio-re dei suoi beni e di quelli della sua famiglia af-finché il Profeta (pbsl) potesse accomodarsi. Ma il Profeta (pbsl), preferì restare al piano in-feriore. Giunta la notte, il Profeta si ritirò. Abu Ayyub salì al piano superiore, ma, chiusa la por-ta, si rivolse a sua moglie e disse: “Guai a noi, cosa abbiamo fatto? Il Messaggero di Dio è sot-to e noi siamo sopra di lui. Possiamo cammina-re sopra di lui? Siamo forse tra lui e la rivelazio-ne (Wahy)? Se è così, allora siamo perduti”. La

coppia fu molto allarmata non sapen-do cosa fare. Ebbero pace solo quando si trasferirono in quella parte dell'edifi-cio che non sovrastava direttamente il Profeta. Furono a tal punto attenti, da camminare ai lati della stanza evitando il mezzo. Al mattino, Abu Ayyub disse al Profeta (pbsl): “Per Dio, non abbia-mo potuto chiudere occhio l'altra not-te, né io né Umm Ayyub”. “Perché, A-bu Ayyub?”, chiese il Profeta. Questi spiegò allora il suo imbarazzo per il fat-to di trovarsi al di sopra del Profeta, nel timore che ciò potesse interrompe-re la Rivelazione. “Non ti preoccupare, Abu Ayyub”, disse il Profeta. “Noi pre-feriamo il piano inferiore per il gran numero di persone che viene a farci visita”. Più tardi, Abu Ayyub riferì:”Ci

sottomettemmo ai desideri del Profeta, fino a che, una notte, una nostra giara si ruppe e l'ac-qua si sparse su tutto il piano. Umm Ayyub e io raccogliemmo l'acqua avevamo solo un pezzo di velluto che usavamo come coperta. Lo utiliz-zammo per asciugare nel timore che l'acqua po-tesse gocciolare sul Profeta. Al mattino mi recai da lui e dissi: “Non mi piace essere sopra di te e gli raccontai quindi quanto era accaduto. Accet-tò la mia richiesta e si trasferì al piano superio-re”. Il Profeta (pbsl) rimase presso Abu Ayyub per quasi sette mesi fino a che la moschea non fu edificata sullo spazio aperto designato dal cammello. Si trasferì quindi nelle stanze co-

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struite per lui e la sua famiglia al lato della mo-schea. Divenne così un vicino di Abu Ayyub. Che nobile vicino! Abu Ayyub continuò ad amare il Profeta (pbsl) con tutto il suo cuore e questi, a sua volta, contraccambiò tale sentimento. Non vi erano formalità tra loro. Il Profeta continuò a considerare la casa di Abu Ayyub come se fosse la sua. L'aneddoto seguente rivela la natura del-la loro relazione. Un giorno, Abu Bakr, che Allah sia soddisfatto di lui, uscì di casa in piena cani-cola e si diresse alla moschea. 'Umar lo vide e gli disse: “Abu Bakr, che cosa ti ha indotto a u-scire a una tal ora?”. Abu Bakr spiegò di aver lasciato la sua abitazione in quanto si sentiva terribilmente affamato, al che 'Umar disse di essere uscito di casa per la stessa ragione. Il Profeta (pbsl) si fece loro incontro e chiese a sua volta: “Che cosa vi ha fatto uscire a quest'o-ra?” Alla loro risposta, disse: “Per Colui nelle Cui mani è la mia vita, solo la fame mi ha indot-to a uscire. Ma, venite con me”. Si diressero al-lora alla casa di Abu Ayyub Al-Ansari. Sua mo-glie, aperta la porta, disse: “Benvenuto al Pro-feta e a chiunque sia con lui”. “Dov'è Abu Ay-yub?”chiese il Profeta. Abu Ayyub, il quale sta-va lavorando in un vicino palmeto, udita la voce del Profeta (pbsl) accorse precipitosamente. “Benvenuto al Profeta e a chiunque sia con lui”. Aggiunse quindi: “O Profeta di Dio, questa non è l'ora solita della tua visita”. (Abu Ayyub sole-va tenere da parte del cibo per il Profeta ogni giorno. Se il Profeta (pbsl) non si era presentato dopo una certa ora, lo dava alla sua famiglia). “Hai ragione”, disse il Profeta. Abu Ayyub uscì e colse un grappolo di datteri di cui alcuni erano maturi e altri mezzi maturi. “Non intendevo mangiare anche questi”, disse il Profeta. “Non potevi cogliere solo quelli maturi?” “O Rasulal-lah, ti prego, mangia dei maturi (rutab) e dei mezzi maturi(busr). Macellerò anche un anima-le per te”. “Se hai intenzione di farlo, non ucci-dere un animale da latte”, lo avvertì il Profeta. Abu Ayyub macellò una giovane capra, ne bollì una metà e arrostì alla griglia l'altra metà. Chie-se inoltre a sua moglie di infornare del pane in quanto era più esperta di lui. Quando il cibo fu pronto, venne servito di fronte al Profeta (pbsl) e ai suoi due compagni. Il Profeta (pbsl) prese un pezzo di carne, lo pose in una pagnotta e dis-se: “Abu Ayyub, porta questo a Fatimah. Non

ha mangiato nulla di simile da molti giorni”. Terminato il pasto con soddisfazione, il Profeta (pbsl) disse pensoso: “Pane e carne, busr e ru-tab!”. Il volto bagnato di lacrime continuò: “Questa è una generosa benedizione sulla qua-le sarai interrogato nel Giorno del Giudizio. Se vi si offre qualcosa di simile, allungate le mani e dite 'bismillah'(in nome di Dio) e quando termi-nate: 'alhamdulillah alladhi huwa ashba' ana wa an'ama 'alayna' (Lode a Dio Che ci ha dato a sufficienza e Che ci ha dato accordato i Suoi be-nefici). Questa è la cosa migliore”. Ci sono per-venuti i resoconti di alcuni episodi della vita di Abu Ayyub in tempo di pace. Egli ebbe anche un' onorevole carriera militare. Spese la mag-gior parte del tempo combattendo fino a che si disse di lui: “Non mancò ad alcuna battaglia che i musulmani combatterono dal tempo del Pro-feta (pbsl) fino a quella di Mu'awiyah a meno che non fosse impegnato in un altro scontro”. L'ultima campagna cui prese parte fu quella preparata da Mu'awiyah e condotta da suo fi-glio Yazid contro Costantinopoli. A quell'epoca, Abu Ayyub era un uomo molto vecchio, di quasi ottant'anni. Ma ciò non gli impedì di unirsi all'e-sercito e di attraversare il mare come ghazi (combattente per la fede) nel cammino di Allah. Poco dopo l'inizio della battaglia, Abu Ayyub cadde malato e dovette ritirarsi. Yazid si recò a visitarlo e gli chiese: “Hai bisogno di qualcosa, Abu Ayyub?” “Dai i miei saluti agli eserciti mu-sulmani e digli: “'Abu Ayyub vi esorta a pene-trare in profondità nel territorio del nemico, il più lontano possibile, affinché possiate portarlo con voi e seppellirlo ai piedi delle mura di Co-stantinopoli”. Quindi spirò. Le armate musul-mane accondiscesero al desiderio del compa-gno del Messaggero di Dio. Respinsero le forze nemiche con un attacco dopo l'altro fino a che non giunsero alle mura di Costantinopoli, dove lo seppellirono. (I musulmani assediarono la città per quattro anni, ma infine dovettero riti-rarsi a causa delle pesanti perdite).

Fatima Zahra Boumrine

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Assalamu alaikum care sorelle e cari fratelli, vorrei chie-

dervi di fermarmi per un momento. Abbiamo iniziato insie-me, con molti di voi ci si incontra e ci si conosce da molto

tempo, alhamdulillah, ringrazio Allah swt che ci ha per-messo di costituire tutti insieme questo bellissimo gruppo, e di lavorare insieme per guadagnarci, con la misericordia

di Allah swt, il Firdaus al A3la inchallah.Vorrei raccontar-vi cosa c’è stato prima, per scoprire insieme cosa faremo poi, inchallah. Il GMI è nato circa 10 anni fa, era nell’aria,

altre associazioni islamiche giovanili c’erano anche prima, ma erano più rivolte agli studenti, ad un gruppo o a quell’altro.

Un giorno, alcuni genitori ed alcuni responsabili capirono che l’unico modo per

permettere ai loro figli di crescere e maturare, di vivere

la propria fede e di essere felici, era costituire una real-

tà in cui i figli stes-si potessero espri-

mersi, impegnarsi in prima persona, trovare veri ami-

ci. Il GMI ha coinvol-to alcuni giovani, una trentina circa, ed ini-

ziò il suo cammino... dopo la fondazione ufficiale, altre realtà si

unirono a quei primi giovani, Milano, Tori-no, Reggio Emilia,

Sassuolo, Roma e così via. Il primo convegno nazionale del GMI era

solo femminile, si tenne a Bagno di Romagna nel 2002, quante cose sono cambiate nel frattempo, mashallah. Da

pochi giovani, ora siamo una delle 18 sezioni del GMI, oltre 2500 giovani coinvolti nelle varie realtà, un oceano di esperienze, emozioni, lacrime, iman, sorrisi, belle parole,

buon comportamento, fratellanza, rispetto reciproco, aiuto e sostegno, determinazione, competenze. Chi cresce nel GMI, è garantito, inchallah Allah swt gli darà la possibilità

di avere successo, in questa vita e nell’altra. Di una cosa non dobbiamo mai dimenticarci: noi SIAMO AL SERVI-ZIO DI ALLAH SWT. Nessuno di noi, responsabile, atti-

vo o partecipante, è qui per diventare famoso, per andare in tv, per diventare ricco od importante. No. Noi siamo qui perchè Allah swt ce lo ha chiesto. Dopo il Rasul Moham-

mad (salla Allahu 3aleihi wa sallam) ogni donna, ogni uo-mo sulla terra è un messaggero, ha il compito di trasmet-tere il più bel messaggio che Allah swt abbia mai rivelato

all’umanità: l’Islam. Come possiamo svolgere questo com-pito? In ogni nostra azione, con il buon comportamento, con l’educazione e la serietà, il rispetto e la gentilezza,

raccogliendo una cartaccia per strada, facendo la salat,

aiutando la vecchietta ad attraversare la strada, studiando

a scuola, aiutando la mamma in casa, evitando di dire parolacce o di offendere gli altri ecc... Quando chiesero ad ummuna 3aisha, la moglie del profeta, quale fosse il com-

portamento del messaggero di Allah swt, ella rispose: “Era un Corano che camminava”. Non possiamo pensare di

essere musulmani solo a casa, o in moschea, noi lo siamo sempre. Ogni volta, prima di compiere qualsiasi gesto, prima di pronunciare qualsiasi parola, mi devo chiedere:

“Sto per dire/fare una cosa giusta?Questa cosa mi avvici-nerà al paradiso o all’inferno?”.Il GMI è prima di tutto un’associazione islamica, che ha l’obiettivo di avvicinarsi

ad Allah swt. Il GMI è frutto dell’impegno di tantissime persone, e tutti, ma proprio tutti, hanno il dovere di atte-nersi ai principi dell’Islam, altrimenti non saremmo giovani

musulmani, ma soltanto alcuni dei tanti giovani che ci so-no in italia e nel mondo. Nel Corano, troviamo spesso scritto الذين آمنوا وعملوا الصالحات : “Coloro che credono e

che compiono il bene”, questo perchè le 2 cose sono in-scindibili, nell’Islam teoria e pratica vanno di pari passo,

credere

senza agire o agire sen-za credere

vuol dire essere in-

completi, non com-prendere

appieno la nostra fede.

Una cosa

importante: alcuni di voi potrebbero

chiedersi : “Come si fa a diventare

responsabili nel GMI?”. La risposta

è molto semplice:

“è un per-corso”. Tutti ma proprio tutti i responsabili del GMI, hanno seguito questo percorso, ve lo spiego in tappe, anche se

non è così schematico il processo con un esempio, il pro-tagonista di questa storia si chiama omar

1. Omar, giovane musulmano diMmilano, conosce il GMI

perchè ne sente parlare da un amico, ed un giorno si reca alla sezione di Milano. 2. Dopo la prima volta al GMI, Omar è contento, e pensa

che ci ritornerà anche altre volte 3. Omar si affeziona al gruppo, conosce altri giovani mu-sulmani come lui, si sente felice, impara tante cose nuove,

non salta più un incontro di sezione 4. Uno dei/delle responsabili della sezione di Milano, nota che omar è sempre puntuale, molto interessato, serio, si

comporta bene, decide di affidargli una piccola responsa-bilità 5. Omar è molto contento, è riuscito a svolgere il compito

(per es. spiegare un hadith, o sistemare le sedie nella sa-la, o preparare un volantino), con un pò di difficoltà ma il

responsabile di sezione lo ha aiutato, ed è soddisfatto di

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lui!

6. Omar, dopo il primo compito, sente di avere la fiducia dei responsa-

bili, e comincia a pro-porre alcune cose inte-

ressanti, ed ogni volta in cui i responsabili gli chiedono qualcosa, lui

si impegna molto e sente di imparare e di crescere continuamen-

te! 7. Sono passati ormai 2 anni ed Omar è uno dei

ragazzi più attivi della sezione. Il nuovo re-sponsabile di sezione

gli chiede di far parte del nuovo direttivo, ed Omar accet-

ta, chieden-do ad Allah swt di gui-

darlo e so-stenerlo in

questo suo importante cammino…

8. Ora Omar è uno dei responsabili,

e nota che in sezione è arrivato un

ragazzo nuovo si chiama Bilal e sembra molto

interessato, chissà se un giorno Bilal po-

trà essere un responsabile!

Sara compito di Omar conoscer-lo, stargli vici-

no, affidargli piano piano delle responsa-

bilità e farlo crescere, ed inchallah, con

l’aiuto di Allah swt, anche bilal sarà un respon-

sabile del GMI. Omar fa parte del GMI da 3

anni ormai, ed ha imparato ad essere paziente, a rispettare gli altri, ad essere gentile ed educato, ha conosciuto molte cose

dell’Islam di cui prima non era a conoscenza, ha imparato a parlare in pubblico, sa rispondere alle domande che gli fan-

no a scuola sull’Islam, ed ha molti nuovi amici, con cui si diverte e fa salat, con loro gioca a calcio e con loro rompe il digiuno a Ramadan! Nessuno può saltare questo percor-

so, non esistono scor-

ciatoie, è impensabile arrivare oggi o domani e dire: “Fermi tutti, fac-

cio io il responsabile”. Questo è un lavoro per

Allah swt, ed è Lui che sceglie le persone. Ci sono giovani che do-

po un anno e mezzo possono già essere re-sponsabili, altri che non

potranno farlo neanche dopo 10 anni! Vorrei ora che ognuno di voi

esprimesse inchallah, a voce o per iscritto, cosa pensa del GMI, se pen-

sa che in questi mesi sia cresciuto spiritual-

mente, se

ha imparato qualcosa, se è cam-

biato, se si sente più

vicino ad Allah swt. Ma prima,

per conclu-dere, vorrei che tutti

insieme rinnovassi-mo la no-

stra nejja, l’intenzione di incontrarci, di

vederci, di lavo-rare per Allah swt, per Lui sol-

tanto. Chiediamo ad

Allah swt che ci doni il Firdaus al a3la, che ci al-

lontani dal fuoco dell’inferno, che ci doni l’ikhlas (la

sincerità assolu-ta) nel 3amal (nel nostro

impegno/lavoro) che ci guidi sul sirat al mustaqim

(il retto sentie-ro), che ci doni al lukhuwwa (la

fratellanza), che ci mantenga uniti, Allahumma gia3alna min assalihin (i buoni) wa minal musallin (coloro che pregano), wa minal

mu’minin (coloro che credono sinceramente), che ci doni il pentimento prima della morte, la shahada durante la mor-

te, il perdono dopo la morte, walhamdulillahi rabbi al3alamin.

Page 31: IL CALAMO GMI

Puntualmente come tutti gli anni, dal 30 dicem-bre al 2 Gennaio 2011 a Lignano Sabbiadoro (UD). Ci sarà il Convegno Nazionale dell’Associazione Giovani Musulmani d’Italia inti-tolato “Quale musulmano dopo il giovane mu-sulmano?Di chi si parla? perchè una domanda così particolare? Cosa o chi vogliamo che sia un musulmano dopo essere un giovane musulma-no?é con que-sta domanda che vogliamo aprire quest'ultimo convegno del nostro man-dato. In Italia i giovani mu-sulmani, stan-no sempre più prendendo coscienza del fondamentale ruolo ricoper-to nella comu-nità islamica e nella società italiana. La consapevolezza del proprio ruolo sta ponendo i giovani musulmani di fronte a delle questioni centrali; partendo dall'analisi della situazione attuale, passando poi per i cambiamenti sociali dipesi dalle nuove dinamiche che la regolano, arrivando al fondamentale tema dei giovani mu-sulmani e il loro futuro. Il futuro non solo in Ita-lia , ma con una prospettiva ben più ampia e quindi al futuro a livello europeo. Il convegno nazionale come tutti gli anni si propone di essere un punto d'incontro tra le migliaia di giovani mu-sulmani sparsi in tutta Italia, quale momento di unione e fratellanza. Inconfondibile il senso e il clima che si respira sempre in queste strepitose 4 giornate intense, piene di amore per Allah, di fiducia in un lavoro proficuo in Italia, colmo di emozioni uniche che solo il GMI sa regalarci ogni

volta. Probabilmente chi non ha mai vissuto un convegno o non ha mai conosciuto da vicino il gmi, potrebbe pensare che noi siamo dei matti megalomani che raccontano storie e favole sulla propria associazione, ma invito chiunque a pre-senziare e a condividere realmente 4 giornate di magica gioia. Una vetrina, chiunque voglia capire cosa sia il gmi e cosa fanno queste migliaia di giovani, sentirli parlare, vederli esprimersi attra-verso diverse espressioni artistiche, capire come son ben radicati nel territorio in cui vivono, i loro sogni e le loro paure. Questo convegno come dicevamo prima, si proietta in una dimensione più europea, ed ecco che si avrà come ospite d'onore il dott. Tariq Ramadan, noto sociolo-

go ed islamologo nato e cresciuto in Europa; diversi giovani musul-mani leader eu-ropei che ci rac-conteranno le loro esperienza nei diversi paesi di provenienza. Ovviamente non mancherà nulla di ciò che chia-miamo diverti-mento, le diverse sezioni si sfide-ranno in torneo di calcetto ma-schile e femmini-

le, le diverse recite, i vari video, gli ormai im-mancabili gadget dell'associazione; forse un arti-colo non potrebbe mai e dico mai descrivere quello che è e sarà il convegno nazionale Gmi. Un mix di fede, divertimento, gioia, fratellanza, spiritualità, sorrisi, relax concetrati in 4 giorni, che rimarranno sicuramente nelle menti di tutti coloro che vi parteciperanno. E per concludere? beh che dire.... volete capire Quale musulmano, dopo il giovane musulmano? partecipate nume-rosi inchAllah

Sara Emam (responsabile convegno)

Meriem Finti (vice responsabile convegno)

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Ci alziamo la mattina e la nostra giornata comincia con una sostanziosa colazione all’inglese o un espresso

dall’aroma arabico. Ci vestiamo e attraversiamo l’uscio di casa con la umana consapevolezza della nostra immortali-

tà, tutte le nostre cellule hanno la certezza che quando calerà la notte riattraverseremo questo stesso confine tra il pubblico e il privato, forse con qualche disavventura o ammaccamento fisico e psicologico in più sulle spalle, ma saremo ancora qui; non moriremo, né oggi né tra un me-se, forse tra 45 anni, ad un’età più accettabile... forse. Lui (a Nablus) si alza, quasi sorpreso che i suoi occhi si siano nuovamente aperti alla luce di un ennesimo giorno, si prepara e attraversa lo stesso nostro confine. Puntual-

mente si gira e, passando lo sguardo sui ricordi della sua breve vita, ha la innaturale consapevolezza della mortali-tà che lo circonda. Il mondo gli rammenta ad ogni respiro

che è solo polvere sul progetto di grandezza di qualcun altro. In qualsiasi momento di questo giorno può venire spazzato via. Morirà: non tra 10 anni, non tra 2. Se ne andrà oggi... forse domani. La nostra storia, con le sue

consapevolezze e i suoi 65 anni, potrebbe non contenere un solo giorno degno di essere ricordato, rispettato o fo-tografato. Ma la sua storia è la storia di un popolo, i suoi giorni contati sono i giorni che hanno fatto e che faranno la storia. Ogni suo passo verso la morte è un passo verso la vita di una nazione. Il tempo non ha interesse per lui e allo stesso modo lui ne ignora l’esistenza. Noi abbiamo la necessità di contarlo, rincorrerlo, pregarlo; lui no. Il tem-po è solo d’intralcio alla sua lotta, alla sua missione. Sa che la sua vita è necessaria, come anche la sua morte.

Morirà come ha vissuto: lottando affinché altri possano sentirsi immortali. La sua storia comincia e finisce in Pale-stina, non conosce il mondo come lo conosciamo noi; ma ha capito la vita più di quanto noi potremo mai capire. Vi racconterò la sua storia affinché possiate rendergli la vita

nella vostra memoria… To be continued...

Zeineb Naini

"dedicata alla Terra Santa e a quelle persone che ci hanno

insegnato cosa significa coraggio e amore per la patria"

Perchè ci chiediamo sempre quando finisce la guerra e non facciamo nulla per contribuire alla sua fine? Perchè

diciamo sempre " che Dio li assista " e non facciamo nulla per aiutarli?

Mia cara Terra ti chiedo scusa....

Ti chiedo scusa per tutti questi anni di sofferenza, per l'amore trasformato in odio, per i sogni trasformati in in-

cubi, per il bianco trasformato in nero.

Per tutti gli olivi che ti sono stati strappati, per ogni goccia di sangue che ha appagato il desiderio di un occupante. Per tutte le case che sono state distrutte sulle vite dei

tuoi abitanti.

Ti chiedo scusa per ogni pezzo di muro costruito per iso-larti dal mondo, per ogni lacrima innocente scesa sul viso

di un bambino ingenuo, e per ogni ferita causatagli dal tempo. Per ogni braccio o gamba strappati ad un corpo,

per ogni diritto violato, per ogni sorriso cancellato.

Chiedo scusa per l'infanzia distrutta e per la gioventù per-duta. Per il cielo che non è più blu e per le bombe che

non hanno misericordia.

Chiedo scusa per l'indifferenza degli uomini e soprattutto per il male che, ora, abita in te...

Chiedo scusa se io vivo e tu muori....

Sabrina

Mohamed A.

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Parliamone.. quanto è bello portare il Hijab? Si parla spesso di ragazze musulmane con il velo. L’hanno forse costretta i genitori a portarlo?

Non soffrono il caldo durante l’estate? Sotto al fazzoletto ci sono i capelli? Ci si ritrova spesso a

rispondere a domande di questo tipo. Le do-mande a cui risponderò di seguito, inshaAllah, in questo mio piccolo mono-

logo, sono: perché porto il Hijab? Perché lo amo e ne so-

no fiera? Disse Allah(swt) in alcuni ver-setti di surat An-Nur (la luce): “Dì ai credenti di abbassare il loro sguardo e di essere casti.

Ciò è più puro per loro… Dì alle donne di abbassare i loro sguardi ed essere caste…e di non mostrare,dei loro orna-menti, se non quello che ap-pare; di lasciare scendere i loro khumur fin sul petto

(khumur: da cui khimar, pez-zo di stoffa che copre i capel-li). Nel versetto 59 di surat Al-

Ahzab, Allah impartisce un ordine al nostro Profeta, pace e benedizione su di lui: “O Profeta, di' alle tue spose, alle tue fi-

glie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro jalabib.”

Il Hijab non è quindi coprirsi solo i capelli. La donna deve coprire, oltre ai capelli, le orecchie, il collo e tutte le altre parti del corpo, mani e-scluse. Deve usare un abbigliamento largo che non mostri la forma del proprio fisico. Jeans e maglietta, ad esempio, non sono parte di un

vestiario corretto. La donna deve coprire tutto ciò che potrebbe creare attrazione da parte de-gli uomini. Ma questa..NON è DISCRIMINAZIO-

NE O MASCHILISMO!! Anzi… si cerca in ogni modo di difendere la donna da sguardi e parole

sgradevoli. Papà dice sempre che sono il suo fiorellino e io penso che, grazie al velo, il mio appassimento sia molto lontano! :D Mi sento protetta, ecco perché lo amo. Mi sento forte,

ecco perché lo amo! Mi sento piena, ecco per-ché lo amo! Mi sento…

sottomessa all’Unico, il Grande.. ecco perché lo amo! Mi sento simbolo di una grande Ummah, una comunità…ECCO PERCHé LO AMO! Non bi-sogna farlo perché costretti da qualcuno, biso-gna crederci. Ma non bisogna nemmeno teme-

re il giudizio esteriore. Infondo sia-mo destinati a combattere ogni

giorno in un mondo che apparente-mente non ci appartiene, ma a cui apparteniamo pienamente! Non dobbiamo avere paura di essere

prese in giro per il nostro Hijab, ma avere la forza e la capacità di spie-gare i motivi per cui lo portiamo.

Non dobbiamo farci mettere i piedi in testa e dobbiamo conoscere, ri-conoscere e sfruttare il diritto di

utilizzare liberamente il tipico ve-stiario legato alla nostra religione.

Dobbiamo essere forti e vedere questi insegnamenti e tutte le vol-te che camminiamo nel centro del-le nostre città con i capelli coperti,

come una jihad!! Hijab is love..Hijab is life! I love Hijab!

Hajer Messaoud

Donna musulmana malvista da persone dalle idee ristrette

i cui pregiudizi sono causati dalla mal informa-zione.

Tu che riesci a donare cò tanto amore ai figli a trattare l'amato come un re

Donna unica,splendida nel suo fare, profonda nel suo amare...

Dedico a te questa mia poesia mio unico e piccolo strumento a disposizione

nella speranza che sia degno della tua magnificienza.

B Z.

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salam alaikum, sono un ragazzo di 17 anni di Milano, ti scrivo per chie-derti un consiglio..ho molti amici non musulmani, esco spesso con loro e nonostante le molte diversità, ci lega una grande amicizia... ma....troppo spesso parlando dell islam con loro..è come se provassi imbarazzo..è come se mi sentissi ridicolo...mi vergogno moltissimo di questo

fatto inspiegabile e non so che fare! cosa posso fare per trasmettergli al 100% il fatto che sono realmente FIERO

di essere musulmano? Risponde Zena…

wa3lekom el salam fratello! Le amicizie influenzano tantissimo, sono giunta alla conclusione

che esistono due tipi di amicizie..

Ci sono gli amici che ti vogliono bene, che ci tengono tantissimo alla tua amicizia, che condividono con te parte della loro vita, e sono curiosi di conoscere la tua realtà che è diversa dalla loro, e

la rispettano. E un'altra tipologia, dove sempre ti vogliono bene, ci tengono tantissimo alla tua amicizia, condividono con te parte della loro

vita, e pure loro sono curiosi di conoscere la tua realtà, ma la differenza dove sta? Questi pensano che tu hai torto, che il tuo mondo è sbagliato, perciò nel tentativo di "aiutarti" cercano di

farti fare cose che non potremmo fare. Ed è proprio con questi che ti vergogni, c'è differenza quando una persona ti fa una do-manda sull'islam con sincera curiosità (allora qui si è fieri di spie-gare) oppure quando ti pone la domanda in maniera provocato-

ria.. Alla fine penso che se non riesci a mostrarti fiero al 100% è perchè ti trovi con questa seconda tipologia di amici, e forse

anche perchè pure tu non sei convinto al 100%, altrimenti non ti

faresti così condizionare.. Per esempio un interista è fiero di essere interista sia con gli

interisti stessi, che con i milanisti, anzi in questo secondo caso

difenderebbe la sua squadra del cuore a spada tratta senza farsi condizionare dalla accuse altrui.

salam alaikum, sono un fratello di 15 anni..

mi impegno molto in sezione e porto a termine i compiti

che il responsabile mi assegna ( sistemo la sala prima e dopo ogni incontro, distribuisco a tutti i fogli per gli ap-

punti, distribuisco i piatti e i bicchieri quando spesso fac-

ciamo un bouffet)..però, mi sembrano cose troppo sem-plici..forse il mio responsabile non ha fiducia nelle mie capacità? forse pensa che sia in grado di fare solo que-

sto? :( risp

Risponde Zena

Wa3lekom el salam wa rahmatullahu wa barakatu fratello.. Per prima cosa volevo evidenziarti che qualunque compito all'in-

terno della sezione è importante, non ci sono funzioni migliori di altre, ogni minimo particolare aiuta alla buona riuscita dell'attivi-tà di sezione, pensa se non si facesse il tuo compito, le persone

arriverebbero, non saprebbero dove mettersi e si lamenterebbe-ro..

In caso non ti senta appagato dell'impegno che ti è stato asse-gnato, fatti notare, intervieni, fai considerazioni, se senti che c'è

un problema cerca sempre di dire la tua. Il responsabile, anche se non sembra, si annota tutto, sicura-

mente lui vedrà il tuo impegno, e lo apprezzerà, tu abbi pazien-

za, e vedrai che questa verrà ricompensata inshAllah..

salam alaikum.. sono una sorella di 19 anni, vi scrivo per chiedervi un

consiglio..sono al primo anno di università, fuori se-de..già la situazione non è delle più rosee perchè non conosco nessuno e devo ambientarmi al clima di una

nuova città...se poi ci aggiungiamo le frequenti frecciati-ne che professori e compagni universitari mi lanciano

riguardo al mio hijab..! come posso fare per 1 sopportare

questa situazione 2 far comprendere alle persone il reale significato del velo?

Risponde Meriem.. Salam aleikom carissima sorella, ti capisco perfettamente. Non deve sicuramente essere una situazione facile la tua. Penso che diverse sorelle e diversi fratelli vivano la mede-

sima situazione (sicuramente i fratelli non per quanto ri-guarda il velo).Voglio essere molto sintetica e diretta nel risponderti: il primo problema è raggirabile in due modi, uno conseguente all'altro- 1 avvicinarti il più possibile a Dio, non vedo alternative "Vuoi che Dio ti parli? Leggi il

Corano / Vuoi parlare con Dio? Prosternati in preghiera". Avvicinanoti a Dio, attraverso la preghiera, la lettura del

Corano, le invocazioni e tanto altro farà si che la solitudine non sia più parte di te, non ne conoscerai più il significato. La conseguenza di questo sai cosa sarà? Che sentendoti bene con te stessa, riuscirai ad aprirti più facilmente alle

persone e alla società in cui ti trovi. Come posso far comprendere alle persone il reale signifi-

cato del velo? Ebbene, personalemnte penso che l'unica risposta sia il

tuo comportamento. Affinchè tu possa dire al mondo che ti circonda il tuo velo quale importanza e significato abbia,

devi SOLO ricordarti che il tuo velo è Hijab. Hijab, quella sorta di modo di parlare, camminare, atteg-giamenti con gli altri' Sapore di umiltà, decenza in tutto

quello che fai e che sei. Il perchè del tuo velo sarà spiegato attraverso di te.

Le azioni spesso valgono molto più di mille parole sorella. Sorella tu, sei ambasciatrice dell'Islam, idossi quella che è

la bandiera esplicita della tua fede. Nelle dificoltà e nei momenti in cui vivi una discriminazio-ne, affidati ad Allah, convinciti che se c'ha ordinato il Hijab

è sicuramente un bene per noi e per l'umanità.