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CORSO DI ARCHIVISTICA E BIBLIOGRAFIA (MOD. A) Prof.ssa Cecilia Tasca Tutor: Dott.ssa Eleonora Todde a.a. 2015-2016 1 SOMMARIO 1. IL CONCETTO DI ARCHIVISTICA 2. IL CONCETTO DI ARCHIVIO 3. IL CONCETTO DI DOCUMENTO 4. LA STORIA DELL’ARCHIVISTICA 5. IL VINCOLO ARCHIVISTICO 6. LA SITUAZIONE DEGLI ARCHIVI ITALIANI NEL XIX SECOLO 7. L’ORGANIZZAZIONE ARCHIVISTICA NAZIONALE ITALIANA 8. GLI ARCHIVI E I SINGOLI DOCUMENTI CONSERVATI NEGLI ARCHIVI DI STATO 9. GLI ARCHIVI NON STATALI 10. LE TRE FASI DI VITA DELL’ARCHIVIO 11. L’ARCHIVIO CORRENTE E IL PROTOCOLLO 12. L’ARCHIVIO DI DEPOSITO 13. L’ARCHIVIO STORICO 14. I MEZZI DI CORREDO ARCHIVISTICI

IL CONCETTO DI ARCHIVISTICA 3. IL CONCETTO DI DOCUMENTO … · IL CONCETTO DI DOCUMENTO Il documento ha due aspetti: 1. uno materiale, si tratta di qualcosa generalmente mobile prodotta

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Tutor: Dott.ssa Eleonora Todde

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1

SOMMARIO

1. IL CONCETTO DI ARCHIVISTICA

2. IL CONCETTO DI ARCHIVIO

3. IL CONCETTO DI DOCUMENTO

4. LA STORIA DELL’ARCHIVISTICA

5. IL VINCOLO ARCHIVISTICO

6. LA SITUAZIONE DEGLI ARCHIVI ITALIANI NEL XIX SECOLO

7. L’ORGANIZZAZIONE ARCHIVISTICA NAZIONALE ITALIANA

8. GLI ARCHIVI E I SINGOLI DOCUMENTI CONSERVATI NEGLI

ARCHIVI DI STATO

9. GLI ARCHIVI NON STATALI

10. LE TRE FASI DI VITA DELL’ARCHIVIO

11. L’ARCHIVIO CORRENTE E IL PROTOCOLLO

12. L’ARCHIVIO DI DEPOSITO

13. L’ARCHIVIO STORICO

14. I MEZZI DI CORREDO ARCHIVISTICI

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IL CONCETTO DI ARCHIVISTICA

Disciplina che si occupa della individuazione e della definizione della natura degli

archivi, delle procedure di formazione, di organizzazione e di conservazione della

documentazione prodotta dai vari soggetti produttori; inoltre si occupa della

realizzazione dei mezzi di corredo e degli strumenti di ricerca utili per la fruizione del

patrimonio documentario. Quindi oggetto della materia sono i complessi documentari

formati da testimonianze, prevalentemente scritte, originariamente connesse fra loro e

prodotte spontaneamente durante l’espletamento di una attività amministrativa.

La disciplina viene generalmente suddivisa in:

- teorica (o archivologia) che affronta le tematiche di base, quali il concetto di

documento, le diverse tipologie documentarie, i caratteri costitutivi di un archivio, le

fasi di esistenza e le funzioni principali;

- tecnica (o archiveconomia) studia gli strumenti, i mezzi, i sistemi di conservazione e

di tutela del materiale documentario;

- archivografia affronta il tema dell’inventariazione e produce i mezzi di corredo

(inventari, repertori e indici);

- archiveuristica si occupa dei procedimenti da adottare nella fase di ricerca;

- legislazione archivistica che analizza le leggi e gli enti preposti alla conservazione e

alla tutela.

Sin dall’epoca romana gli studiosi hanno cercato di identificare e classificare la

disciplina archivistica.

Le discussioni teoriche e metodologiche, a partire dal Cinquecento, si basano

principalmente sull’individuazione degli elementi distintivi dell’archivio, con

particolare attenzione alle divergenze tra gli archivi in formazione (aventi quindi delle

necessità pratiche e amministrative) e gli archivi ormai già formati (utili ai fini della

ricerca).

Tra Seicento e Settecento la disciplina viene identificata come scienza ausiliaria della

storia, assieme alla paleografia, che studia le antiche scritture, e alla diplomatica che

invece si occupa delle forme dei documenti. Il Settecento è l’epoca dell’Encyclopédie

e della concezione ordinatoria del sapere, quindi anche nella gestione della

documentazione viene introdotto l’inventariazione per materia. Poiché la ricerca

archivistica segue le amministrazioni e la documentazione prodotta durante la loro

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attività, questo sistema di gestione è particolarmente dannoso perché non tiene

assolutamente conto della naturale sedimentazione delle carte e del vincolo reciproco

che le lega.

Tra Ottocento e Novecento si diffondono quei principi che sono alla base della

disciplina:

- il rispetto dei fondi archivistici, ossia il concetto del documento non come unità

separata ma legata alle altre del medesimo fondo;

- il principio di provenienza, che nella classificazione delle carte stabilisce la massima

priorità alla provenienza, quindi all’ente che le ha create e ordinate originariamente;

- il concetto del vincolo archivistico che lega i documenti prodotti da

un’amministrazione.

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IL CONCETTO DI ARCHIVIO

Un archivio nasce nel momento in cui un soggetto produttore ha la volontà di

conservare il materiale che testimonia le sue azioni. Quindi l’archivio è costituito

dalla naturale sedimentazione della documentazione prodotta da un’amministrazione

nello svolgimento delle sue attività.

Volgarmente “archivio” viene utilizzato per indicare un insieme di carte, non più utili

a chi le ha prodotte, che vengono conservate per un possibile utilizzo futuro.

Oltre a questa accezione negativa troviamo la correlazione tra archivio e insieme di

informazioni, oggi generalmente legata al linguaggio informatico in cui archivio

corrisponde appunto a un insieme di dati raccolti in contenitori virtuali (database).

Nel linguaggio archivistico odierno per archivio si intende ogni complesso di

messaggi/documenti, realizzato da un soggetto produttore a seguito della naturale

attività svolta nell’esercizio delle sue funzioni verso la società esterna. Il materiale

prodotto si distingue per la presenza di uno specifico vincolo naturale, un

collegamento organico tra tutti gli elementi.

Fondamentale capire che i documenti che formano un archivio sono sia le carte

inviate di cui rimane traccia attraverso delle copie o le minute, che le carte ricevute

durante lo svolgimento delle proprie funzioni.

Altro concetto fondamentale è la presenza di una amministrazione: quindi l’archivio è

prodotto da un ente e quando si avvia una ricerca non si deve cercare per materia ma

l’istituzione che ha prodotto determinato materiale.

L’origine della parola deriva dal greco archeion che stava ad indicare la sede dei

magistrati o del governo, in cui erano conservati i documenti della magistratura

ecco quindi la prima accezione del termine archivio ossia luogo di conservazione.

Da qui nasce il dualismo nel concetto di archivio, inteso come:

1. documentazione (contenuto)

2. luogo di conservazione (contenente).

L’archivio viene anche identificato come luogo di conservazione e questa accezione

si rifà alla teoria romana che lega questo elemento al principio della sacralità, della

giuridicità, della fides e del carattere pubblico della documentazione.

Per tutto il Medioevo rimarrà centrale il principio di sacralità derivato dall’epoca

imperiale: sacralità del luogo che fornisce alla documentazione le stesse

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caratteristiche, sacralità della memoria che reciprocamente qualifica anche il

contenitore. L’organizzazione delle cancellerie dimostra la particolare attenzione di

questo periodo ai documenti. La qualificazione giuridica dell’archivio medievale era

suffragata dalla presenza dello jus archivi, ossia l’autorità sovrana o chi ne avesse

ricevuto l’investitura.

In epoca comunale per il riconoscimento della pubblica fede ai documenti d’archivio

erano imprescindibili alcuni requisiti:

- che ad esso fosse preposto un pubblico ufficiale;

- che l’archivista fosse nominato da un superiore con il potere di farlo;

- che all’archivio fosse riconosciuto il potere di dar fede alle scritture e di

costituire mezzo di prova;

- che l’ufficiale preposto all’archivio, qualora qualche scrittura fosse estratta,

attestasse con la sottoscrizione che provenivano realmente dall’archivio

medesimo.

La caratteristica comune degli archivi dell’epoca classica, medievale e in parte anche

moderna era l’assenza dell’idea di complesso di documenti: ognuno veniva

considerato separatamente, aveva la propria rilevanza giuridica, indipendentemente

dagli altri.

A partire dal XVI- XVII secolo in Germania e in Italia inizia la pubblicazione di

trattati di archivistica. La storiografia archivistica si sviluppò lungo tre direttive:

1. coloro che facevano coincidere l’archivio con la fase corrente, proponendo

una netta distinzione tra la registratura e archivio (in questo caso indica

l’ultima fase di vita, ossia quella storica); area dei registratori tedeschi

2. coloro che raffiguravano l’archivio con il momento di valenza culturale più

importante, quindi nello storico; archivisti storici

3. coloro che non distinguevano i due periodi contrapposti, ma avevano una

visione unitaria e identificavano l’archivio con un’unica realtà documentaria.

archivisti italiani

Oltre alla definizione di archivio, il dibattito tentò di dare una definizione anche del

soggetto produttore: fino a quando rimase in vita lo ius archivi le carte private non

venivano considerate archivi poiché il soggetto produttore privato non veniva

riconosciuto titolare di quel diritto, attribuito solitamente alle istituzioni pubbliche

territoriali.

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Durante il Settecento e l’Ottocento il concetto lentamente si evolve da luogo di

conservazione a materiale documentario e a complesso organico di documenti,

stentando ancora l’inclusione degli archivi privati, che avverrà solamente nel 1805.

L’Ottocento porta delle innovazioni a seguito alle modificazioni introdotte dalla

rivoluzione francese:

- consultabilità

- metodi di riordinamento che mettono in crisi il criterio della pertinenza a

favore di quello della provenienza questi cambiamenti interessarono in

prevalenza la documentazione riconosciuta storica.

Alla fine del secolo un sostanziale contributo alla disciplina viene dagli archivisti

olandesi, che mutarono radicalmente la dottrina tedesca allora preminente.

L’archivio è l’intero complesso degli scritti, disegni e stampe, ricevuti o redatti in

qualità di ufficiale da qualunque autorità o amministrazione, purché conformemente

alla loro funzione, rimanessero presso la stessa autorità o amministrazione.

Analizzando la definizione si arriva a questi cambiamenti:

- la natura dell’archivio è individuabile negli atti in via ufficiale redatti o

ricevuti da un ufficio o da un suo funzionario;

- non ci sono limitazioni formali del contenuto;

- per l’aspetto organizzativo la definizione si adatta solamente alle registrature

costituite secondo il principio della provenienza;

- non si fa menzione di alcuna determinazione del fine.

In questo modo il metodo storico, portato avanti dai teorici italiani, trova un riscontro

nell’opera degli archivisti olandesi.

La svolta decisiva nel corso del Novecento viene dagli studi di Giorgio Cencetti e la

sua definizione di vincolo archivistico e dalla pubblicazione del manuale di

Brenneke.

Cencetti definisce l’archivio come il complesso degli atti spediti e ricevuti da un ente

o individuo per il conseguimento dei propri fini o per l’esercizio delle proprie

funzioni. Ritorna quindi il concetto di complesso, definisce il vincolo necessario

(cioè che le carte siano prodotte o ricevute dal medesimo soggetto) e determina la

finalità, non in funzione conservativa, ma in correlazione al momento formativo

dell’archivio.

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La dottrina tedesca a questo punto si orienta prevalentemente al momento storico

dell’archivio, tralasciando le prime due fasi qualificate appunto con il termine di

registratura. Si arriva così alla definizione di Brenneke che afferma: l’archivio è la

totalità di scritti e altri documenti che si sono formati presso persone fisiche o

giuridiche in base alla loro attività e che, quali fonti documentarie e prove del

passato, sono destinate a permanente conservazione in un determinato luogo.

Le nozioni si susseguono; è comunque un dato ormai acquisito che l’archivio nasce

per una necessità pratica, giuridica, amministrativa, e che le scritture che lo

compongono vengono conservate al di là del termine della necessità che le ha poste in

essere.

La natura originaria del materiale documentario, per un fine pratico, giuridico e

amministrativo, non viene mai meno; anche una volta divenuto bene culturale,

conserva quel carattere di autenticità e produttività di effetti giuridici che aveva

nell’ordinamento originario.

Da questa affermazione, come diretta conseguenza, si stabilisce che l’unico metodo

per l’ordinamento di un archivio è quello che ricostituisce l’ordine originario delle

carte (l’ordine che avevano al momento della loro creazione e rispecchia il

funzionamento dell’ente che le ha prodotte).

Gli altri metodi (cronologico, alfabetico, geografico, decimale e per materia) non

danno l’ordine originale, spezzano il vincolo originario fra le carte e fanno venire

meno la condizione preliminare e basilare per l’esistenza stessa dell’archivio.

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IL CONCETTO DI DOCUMENTO

Il documento ha due aspetti:

1. uno materiale, si tratta di qualcosa generalmente mobile prodotta su un

supporto tramite un mezzo scrittorio o un dispositivo tecnico che si può

conservare nel tempo;

2. uno contenutistico, come testimonianza dell’attività giuridico-amministrativa.

Il documento è il mezzo di espletamento dell’attività non il fine: è il mezzo con il

quale si compie un ipotetico “progetto”. Solo una volta finito il carattere

amministrativo e giuridico delle carte subentra la conservazione e la concezione del

documento come strumento di testimonianza che tramanda la memoria dell’attività

svolta.

I documenti archivistici hanno dunque due caratteri fondamentali:

- sono il risultato dell’attività di un ente produttore determinato

- hanno una sequenza stabilita dall’ordine stesso della loro produzione nel corso

dell’attività dell’ente.

Quindi le componenti essenziali e necessarie di ogni documento sono il contenuto (il

messaggio comunicato), il supporto materiale (pergamena, carta, film, nastro, hard

drive) e la forma.

Contenuto il documento è la manifestazione di un atto giuridico, un atto volontario

diretto a produrre un determinato effetto giuridico. È atto di diritto privato l’atto

compiuto da un privato per perseguire una propria finalità, al quale il diritto riconosce

effetti giuridici; mentre è atto di diritto pubblico quello emanato da un ufficio

pubblico o provato ma abilitato all’esercizio di una pubblica funzione.

Documento in Diplomatica studia essenzialmente le forme del documento, in

particolare di quello medievale. Il documento medievale perché venisse considerato

pubblico doveva necessariamente essere emesso da una pubblica autorità, che si

avvaleva di un apposito ufficio chiamato cancelleria per la redazione e la spedizione

del documento. Inoltre venivano adottate delle determinate forme per la redazione

dell’atto. I documenti privati venivano redatti da amanuensi che potevano avere la

veste di pubblici ufficiali, di conseguenza tramandare in publica forma l’atto

giuridico compiuto. Viene definito pubblico anche l’atto notarile, in quanto il notaio

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era un pubblico ufficiale con la capacità appunto di redigere in publica forma.

Inizialmente il notaio redigeva l’atto che poi veniva autenticato dai testimoni, poi

ciascun notaio si distingue con il signum tabellionis (un logo), quindi diviene una

figura pubblica riconosciuta dalle autorità che gode di pubblica fede (ossia la fiducia

di tutti) e la sua sottoscrizione conferisce valore ufficiale all’atto.

Documento in Archivistica il termine prende un’accezione più ampia: sia

documenti ufficiali dello Stato, sia tutta la documentazione che si è formata nel corso

del procedimento.

Forma fisica del documento: caratteri estrinseci, le materie e i mezzi usati nella

formazione.

Forma intellettuale del documento: caratteri intrinseci, la struttura compositiva del

documento.

Il documento, pur variando nel contenuto, presenta degli elementi essenziali senza i

quali l’atto amministrativo non avrebbe validità giuridica:

- soggetto

- oggetto

- volontà

- causa

- forma

I fattori che concorrono alla formazione del documento sono:

1. autore dell’azione (persona fisica o giuridica)

2. il destinatario (persona fisica o giuridica a cui è diretta l’azione)

3. il promotore, il richiedente l’azione che può coincidere con il destinatario

4. la causa, il motivo che determina l’azione

5. il redattore del documento, ad esempio il notaio

6. il copista o dattilografo, colui che stende materialmente l’atto

Inoltre il documento può essere costituito da più elementi:

- l’atto che rappresenta l’azione giuridica contenuta in esso

- l’allegato, un elemento aggiuntivo a una pratica utile come prova, chiarimento

o integrazione di notizie

- la scrittura aggiuntiva, tutto quello che si aggiunge da parte degli ufficiali

sull’atto (numero di protocollo, la collocazione archivistica, annotazioni).

Caratteri intrinseci uguali sia nel documento medievale che in quello moderno:

protocollo, testo, escatocollo.

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Protocollo correntemente identifica il registro su cui si riportano alcuni dati di un

documento e il numero di registrazione del documento. In realtà identifica l’insieme

delle formule con cui inizia ogni documento ed è generalmente composto da:

- intestazione: la persona fisica o giuridica che pone in essere il documento

(l’autore), solitamente posto in alto a sinistra o al centro

- datazione: data topica (luogo) e data cronica (giorno, mese, anno)

- destinazione: la persona fisica o giuridica a cui è diretto l’atto (il destinatario)

- posizione archivistica – allegati: il numero di segnatura sul registro di

protocollo assegnato al documento (numero di protocollo)

- riferimenti: le scritture al quale il documento è allacciato introdotte dalla

formula “in risposta alla lettera n. … del …”

- oggetto: o regesto, l’enunciazione sommaria del contenuto del documento.

Testo la parte sostanziale del documento e si articola in:

- premessa: l’apertura del testo, che generalmente segue uno schema formale

offrendo riferimenti a norma di legge, i motivi che determinano l’azione, le

ragioni di opportunità e di utilità dell’azione

- dispositivo, il nucleo del documento che ne esprime l’oggetto. Sono di vari

tipi a seconda della natura giuridica della scrittura

- clausole, sono le modalità in cui attuare il dispositivo o atte al

perfezionamento dell’atto.

Escatocollo parte finale del documento con le formule di chiusura:

- sottoscrizione: la firma dell’autore

- timbri: riproduzione di annotazioni di carattere archivistico ed elementi quali

ad esempio la qualifica dell’autore

- data (quando non presente nel protocollo).

Per gli approfondimenti:

- A. PRATESI, Genesi e forme del documento medievale, Roma 1979

- P. CARUCCI, Il documento contemporaneo: diplomatica e criteri di edizione,

Roma 2004

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Riepilogando

Cosa è un archivio?

- Nel linguaggio archivistico l’archivio è individuabile in ogni complesso di

scritture, realizzate dai singoli soggetti produttori, a seguito e come diretta

conseguenza della sua attività. Il materiale prodotto si differenzia per la

necessaria presenza di uno specifico vincolo naturale che contribuisce a creare un

collegamento organico tra tutti i suoi elementi.

- Oltre a questa definizione prettamente tecnica e specialistica della materia, esiste

una definizione di archivio attinente a discipline affini. In questo linguaggio

l’archivio viene individuato come l’insieme di documenti che sono stati riuniti

occasionalmente o per finalità prestabilite, nella quale il vincolo, se è presente,

non ha un carattere naturale/originario ma è direttamente collegato alla volontà

del soggetto. Se prendessimo come punto di riferimento la nozione di archivio

elaborata dal linguaggio archivistico, noteremo che questa accezione manca del

carattere fondante per la nascita di un archivio, ossia il legame che lega le carte

originariamente, poiché appunto questo viene creato successivamente e per

volontà del soggetto.

- Nel linguaggio informatico il termine archivio corrisponde un insieme di dati che

sono raccolti in contenitori virtuali: principalmente sono utilizzati in

predeterminate esigenze. Nell’ambito dell’archivio tecnologico si distinguono

due diverse tipologie:

- Nell’uso corrente archivio viene anche utilizzato per indicare il luogo, l’edificio

dove si conserva la documentazione. Questa accezione si rifà alla concezione

romana, alla definizione giustiniana dell’archivio quale “locus in quo acta

publica asservantur” e al principio della sacralità, della giuridicità, della fides e

del carattere pubblico della documentazione. Inoltre questa concezione si lega

Archivi informatizzati: che

nascono originariamente su

supporti cartacei e che vengono

poi trasferiti a scopo

conservativo su supporti

informatici.

Archivio informatico: nato

direttamente su supporto

informatico e quindi conservato

direttamente su tale supporto.

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perfettamente allo “jus archivi”, ossia l’autorità sovrana o chi ne avesse ricevuto

l’investitura.

- L’archivio viene anche identificato con l’istituzione che ha prodotto la

documentazione o con l’istituzione che ha il compito di conservazione del

materiale. In questo modo l’archivio ha un legame diretto con chi lo ha prodotto.

Non esistono solamente archivi in cui la corrispondenza reciproca tra istituzione

produttrice e archivio è così immediata: esistono archivi provenienti da vari

soggetti produttori e per questo vengono chiamati archivi aggregati. Solitamente

gli archivi aggregati hanno la caratteristica di essere morti, in quanto il soggetto

produttore che gli ha posti in essere ha cessato la propria attività, non è quindi più

attivo.

- L’archivio viene anche riconosciuto come bene culturale. Il primo

riconoscimento nella normativa internazionale la troviamo nella convenzione

dell’Aja del 14 maggio 1954 che in Italia viene confermata con la legge del 7

febbraio 1958. Questa prima normativa viene introdotta per la salvaguardia dei

beni culturali successivamente a conflitti bellici, secondo il principio che

stabilisce che l’attacco verso un bene culturale di qualunque popolo sia

comunque una violenza al patrimonio dell’intera comunità internazionale. In

Italia si formano diverse commissioni con il compito di definire il “bene

culturale”, fino alla costituzione nel 1974 del Ministero per i Beni culturali e

ambientali. In un primo momento gli archivi, che dall’epoca della Commissione

Cibrario erano sotto le direttive del Ministero dell’Interno ed erano separati dai

beni artistici, archeologici, librari, non erano stati presi in considerazione. A

seguito di una presa di posizione della maggior parte degli archivisti degli

Archivi di Stato, l’anno seguente, vennero riconosciuti appunto come bene

culturale.

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LA STORIA DELL’ARCHIVISTICA

Se come elemento principale per la nascita della disciplina archivistica prendiamo

l’edizione a stampa dei primi trattati sugli archivi, allora fissiamo l’origine della

materia nel XVII secolo con una accezione via via sempre più stringente a partire

dalla seconda metà del XVIII secolo.

Se invece ci indirizziamo verso un’accezione più larga del termine archivistica allora

bisogna tornare indietro fino al Medioevo e al valore conferito ai documenti

conservati all’interno degli archivi.

Sin dai tempi più remoti abbiamo testimonianze della volontà dell’essere umano di

registrare la memoria: basti pensare ai segni grafici costituiti dalle figurazioni rupestri

della Val Camonica risalenti all’Età del ferro (I millennio a.C.). Per ritrovare la figura

di veri archivi bisognerà aspettare il VII-VI secolo a.C. nella Magna Grecia, in Etruria

e nell’Umbria.

Per quanto riguarda l’età repubblicana l’archivio era custodito presso il tempio di

Saturno: il Cencetti ha ipotizzato che l’archivio fosse organizzato secondo il principio

“di provenienza” o “storico”, che verrà formulato solo nel XIX secolo, e perciò il suo

interno fosse diviso in fondi prodotti da diversi uffici, e quindi fosse formato da serie

distinte di documenti.

Solamente nel I secolo a.C. venne creato il tabularium cioè un edificio in cui i

documenti erano concentrati: sia per la conservazione che per garantire la loro

autenticità. In questo periodo gli archivi venivano principalmente utilizzati per motivi

giuridici.

L’epoca imperiale vide sorgere archivi distinti. Abbiamo quindi:

- senatorio

- imperiale

- delle province ciascuno però manteneva inalterata la sua duplice funzione:

Assicurare la pubblica fede dei

documenti (codificata nel Corpus

juris civilis di Giustiniano)

Conservazione della memoria

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In questo periodo gli archivi erano utilizzati non solo per funzioni pratiche e

giuridiche, ma venivano utilizzati anche dagli storici come ad esempio Tacito,

Svetonio. È accertato anche che non esisteva ancora una differenziazione tra la

gestione dei documenti presso gli uffici e la conservazione degli atti antichi. Oltre

agli archivi pubblici si affiancavano anche quelli familiari. Gli atti privati erano

redatti dai tabelliones e per godere di pubblica fede dovevano essere depositati presso

gli uffici, attraverso una procedura chiamata insinuatio.

Inoltre esisteva l’archivio della Chiesa romana e dal II secolo anche archivi delle

chiese locali.

Per quanto riguarda il modo in cui veniva identificato troviamo due termini:

1. Tabularium che deriva da tabula, ossia il documento scritto su tavolette di

legno, e poi documento in genere

2. Archivum a partire dal II secolo, rimanendo inalterato per tutto il periodo

medievale e moderno indicava anche il luogo di conservazione dei documenti.

Nel Medioevo ci si occupa principalmente proprio della pubblica fede dei documenti

conservati negli archivi: si parte dalla definizione giustiniana dell’archivio quale

“locus in quo acta publica asservantur” con l’aggiunta di “ut fidem faciant”.

Si sviluppa quel concetto in cui l’archivio è solamente quello costituito da chi gode

dello jus archivi questo concetto è strettamente legato alla sovranità, poiché lo jus

archivi spettava solo all’imperatore e al pontefice, e a chi aveva ricevuto da essi la

facoltà. Da questo principio nasce la pubblica fede per gli atti redatti dai notai e la

costituzione degli archivi comunali.

Il Comune nasce come organismo di fatto e la documentazione gode di pubblica fede

solo perché redatta da una persona dotata di pubblica fede, ossia il notaio che è tale

per volontà dell’imperatore o del papa.

Nel XIII secolo questo poter viene esteso ai re che all’interno dei propri territori

godevano di un potere uguale a quello degli imperatori, e poi ai Comuni liberi.

Durante l’evoluzione dell’istituto comunale anche l’archivio subisce un graduale

mutamento fino a quando si arriva alla costituzione di un archivio in ciascun

Comune.

I documenti venivano custoditi in una cassa o in un armadio chiuso, talvolta con più

chiavi affidate a magistrati diversi. Per quanto riguarda la conservazione, i documenti

erano ordinati, suddivisi in caselle all’interno degli armadi o in sacchi, corredati da

elenchi-inventari da redigere annualmente.

Il fine della conservazione è ancora essenzialmente giuridico.

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Ancora nell’età moderna il concetto di archivio rimane legato allo jus archivi, alla

sovranità e alle maggiori autorità religiose quali arcivescovi, vescovi ma anche

monasteri, conventi e chiese. I comuni italiani decretano la libera consultabilità degli

atti da parte dei cittadini, le signorie e le monarchie invece ne stabiliscono la

segretezza: ad esempio l’Archivio di Cagliari viene dichiarato segreto con un

provvedimento del 13 maggio 1334. Inizia quella blanda consultazione a fini culturali

da parte di chi custodiva l’archivio e da studiosi.

Alla metà del ‘500 un mutamento nella metodologia storica ad opera di Francesco

Patrizi da Cherso che afferma la centralità del documento nella ricerca, pone sotto una

nuova luce l’archivio, dotandogli appunto di un valore scientifico che fino ad allora

risultava trascurato o comunque marginale rispetto alla valenza giuridica.

Il ‘600 è il secolo in cui vengono pubblicati i primi scritti dedicati esclusivamente al

mondo degli archivi: ricordiamo quello di Baldassarre Bonifacio e di Nicolò

Giussani, e una storia degli archivi in epoca romana di Albertino Barisone. In

entrambi gli scritti viene affermata la doppia valenza giuridica e culturale degli

archivi.

Il più famoso archivista italiano di epoca moderna è Ludovico Antonio Muratori che

fu per 50 anni archivista del duca di Modena. Non portò nessun contributo teorico

alla disciplina, ma si occupò principalmente della tecnologia archivistica: si occupò

della qualità della carta e dell’inchiostro.

Il XVIII secolo è caratterizzato da una serie di riforme che vedono nascere il principio

di separazione della gestione dei documenti presso gli uffici produttori

dall’ordinamento in senso stretto degli archivi. Si diffondono due criteri di

ordinamento che stravolsero completamente i fondi e le serie originarie:

1. l’ordinamento per materia sostenuto da Le Moine

2. l’ordinamento cronologico sostenuto da Chevrières.

Troviamo numerose modifiche istituzionali: alla fine dell’antico regime scomparvero

i vecchi uffici sostituiti da una nuova amministrazione, e successivamente alla

Restaurazione alcune innovazioni dell’amministrazione napoleonica vengono

sostituite da altre, con conseguente nascita di nuovi uffici e leggi.

Si formano grandi archivi con fondi archivistici di provenienza diversa, e istituzioni

incaricate di gestire questi raggruppamenti. I fondi quindi perdevano il loro

collegamento con l’ufficio che li aveva prodotti e viene brutalmente operata quella

separazione fra l’archivio e la gestione dei documenti presso gli uffici. All’interno

In Italia prevalse

l’ordinamento

per materia.

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delle grandi masse documentarie non solo non si era più in grado di riconoscere le

carte prodotte da un ufficio piuttosto che da un altro, ma vennero suddivise per

argomento al di là della provenienza.

L’ordinamento per materia per chi non ha nessuna conoscenza archivistica è il più

semplice, inoltre riprende la mentalità razionalistica e classificatoria del Settecento

(enciclopedismo). Inoltre si pensava che l’ordinamento per materia facilitasse le

ricerche, sia per scopi amministrativi che per scopi di studio, comparando il fondo

documentario al libro e alle biblioteche. L’applicazione di questo metodo di

ordinamento trova la sua applicazione ben oltre l’Unità d’Italia.

Nel XIX secolo si contrappone un nuovo metodo di ordinamento, completamente in

antitesi con il precedente: ossia secondo il “principio di provenienza” o “metodo

storico”. Questo metodo presenta più livelli:

- il primo prevede che fondi diversi non devono essere frammisti fra loro;

- il secondo prevede la ricostituzione dell’ordine originario. Non solo non bisogna

unire fra loro documenti prodotti da uffici differenti, ma bisogna mantenere l’ordine

dato all’atto della produzione dall’ufficio, o cercare di ricreare quell’ordine qualora

sia stato modificato. questa concezione è ad opera di Francesco Bonaini,

all’istituzione dell’Archivio di Stato di Firenze e della Soprintendenza degli Archivi

del granducato di Toscana.

Il principio storico quindi si basa su questi aspetti fondamentali:

- principio di provenienza;

- unità e inscindibilità dei fondi;

- unico orientamento per la storia degli Istituti.

Gli archivi si aprono ulteriormente alla consultazione, moltiplicando di fatto gli studi

e le ricerche di carattere scientifico.

Successivamente all’Unità si dibatte sulla natura degli archivi: sulla possibilità di

distinguere le carte recenti utili per fini amministrativi da quelle più antiche utili per

fini storici. Da qui nasce anche la contesa tra l’attribuzione degli Archivi di Stato alle

dipendenze del Ministero dell’Interno o di quello della Pubblica Istruzione.

Nel 1870 viene istituita una Commissione dai ministri dell’Interno e dell’Istruzione,

nota come Commissione Cibrario. Diede delle direttive in merito agli ordinamenti,

alla natura degli archivi e alla loro dipendenza sotto un unico Ministero, quello

dell’Interno.

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L’ordinamento doveva essere rigorosamente legato al metodo storico e gli archivi

vengono distinti fra “parte antica” e “parte moderna”. Inoltre affrontò il tema del

versamenti, dello scarto, della consultabilità, della formazione del personale

archivistico.

La successiva legislazione pone un punto fermo sui pareri espressi dalla

Commissione Cibrario. Il regolamento generale sugli Archivi (R.D. 27 maggio 1875

n. 2552) stabilisce:

1. non solo il rispetto dei fondi ma l’ordinamento secondo il metodo di

provenienza o di ricostituzione dell’ordine originario dei documenti;

2. agli archivi spettassero tutti gli atti dello Stato che avessero carattere di

documento pubblico o privato, mentre alle biblioteche gli scritti di carattere

non documentario;

3. il divieto di scarti senza il consenso del Consiglio degli archivi;

4. l’attivazione di nuove scuole degli archivi di Stato;

5. il principio di libera consultabilità dei documenti, con limitazioni parziali e

temporali.

Nel 1874 le scuole degli Archivi di Stato vengono unificate sia nell’ordinamento che

nella denominazione e diventano le Scuole di Paleografia e dottrina archivistica.

Per gli approfondimenti sulla teoria archivistica italiana:

- E. LODOLINI, Lineamenti di storia dell'Archivistica italiana: dalle origini

alla metà del secolo XX, Nuova Italia Scientifica, Roma 1991

- D. TAMBLE', La teoria archivistica italiana contemporanea. Profilo storico-

critico (1950-1990), Nuova Italia Scientifica, Roma 1993

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IL VINCOLO ARCHIVISTICO

Il vincolo crea un sistema di relazioni tra tutte le unità archivistiche che costituiscono

la sedimentazione documentaria dell’attività dell’ente che genera l’archivio. Il

vincolo deve essere naturale ossia originario, spontaneo e determinato non può

non esserci. È tipico dell’archivio e non si trova in altri beni culturali (quando è

presente il vincolo è sempre volontario).

- Originario tutte le carte sono generate dal medesimo ente, quindi hanno

una origine archivistica comune. Il vincolo nasce quando il singolo

documento entra in relazione con l’ente generatore.

- Spontaneo non si istituisce per volontà dell’ente generatore, ma come

risultato naturale della sedimentazione documentaria che si forma nel corso

dell’attività dell’ente.

- Determinato è generato dall’amministrazione nell’esercizio delle sue

funzioni ed è perciò determinato dalla natura e dalle competenze dell’ente

generatore e dalle modalità utilizzate per attuarle.

Si possono definire quattro tipologie di vincolo:

- vincolo istituzionale esterno, il collegamento che intercorre tra l’entità

produttrice dell’archivio e la realtà istituzionale, a livello territoriale, nella

quale tale soggetto opera (particolarmente importante nel riordinamento

dell’archivio di uno Stato, di una regione). La sua funzione risulta

particolarmente significativa per la necessità di applicare il principio della

provenienza territoriale, in contrapposizione a quello della pertinenza

territoriale;

- vincolo istituzionale interno, che si sviluppa nel rapporto tra entità produttrice

e le altre realtà sociali che si pongono in collegamento con essa: questo

vincolo è altrettanto importante in fase di riordinamento perché permette la

valutazione di un contesto “istituzionale” complesso;

- vincolo archivistico esterno, il rapporto tra unità produttrice, unità referenti e

archivio prodotto ( è il motivo dell’organizzazione dell’archivio in riferimento

alla struttura del soggetto produttore);

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- vincolo archivistico interno, il nesso esistente nella documentazione realizzata

e conservata dal soggetto produttore (il nesso che collega in maniera logica e

necessaria la documentazione che compone l’archivio prodotto da un ente).

Per gli approfondimenti:

- A. ROMITI, Riflessioni sul significato del vincolo nella definizione del

concetto di archivio in Studi in onore di Arnaldo D’Addario, Lecce 1995, p. 1-18

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LA SITUAZIONE DEGLI ARCHIVI ITALIANI NEL XIX SECOLO

Periodo preunitario

Alla fine del Settecento dalla concezione di archivio come memoria auto

documentazione, ossia a disposizione di chi l’ha prodotto (produzione-conservazione-

uso) si arriva ad una rottura dei tre momenti di vita. La documentazione non viene più

considerata come memoria per l’esercizio delle pratiche politico-amministrative, ma

fonte per chi, estraneo al processo di produzione, poteva avere interesse ad utilizzarla

e conoscerla.

Si afferma l’uso pubblico degli archivi, contrapposto alla precedente segretezza.

In questo periodo iniziano le formazioni di Archivi generali, necessari per la

conservazione celle carte delle antiche magistrature. Tappe principali:

- 1808 a Napoli un Archivio generale, decretata da Gioacchino Murat;

- 1818 la Legge organica di Ferdinando I di Borbone unisce la conservazione

delle carte il loro pubblico uso per la storia della patria;

- 1852 istituzione, a Firenze, di una Direzione generale degli archivi di Stato del

Granducato, per cui, alla conservazione e concentrazione di Archivi, si univa

l’incremento degli studi storici. Questo esempio viene seguito anche nel

Lombardo-Veneto, nel Regno di Sardegna e nel Granducato di Parma e

Modena.

All’Unità d’Italia troviamo la seguente situazione:

15 archivi di Stato sotto il Ministero dell’Interno Torino, Genova, Cagliari,

Milano, Brescia, Modena, Parma e Palermo.

Sotto il Ministero della Pubblica Istruzione Firenze, Pisa,

Lucca, Siena, Napoli, Venezia e Mantova

Nel Regno di Sardegna viene creata una Direzione generale degli archivi, prima

deputata alla conservazione degli archivi di corte, poi con competenze anche sugli

archivi di Genova e di Cagliari.

Periodo postunitario

Nel 1870 viene nominata una Commissione per il riordinamento degli archivi di Stato

(Commissione Cibrario). Nasce un vivace dibattito sull’esigenza di sottoporre gli

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archivi statali sotto un unico ministero, appunto quello dell’Interno, per poter

garantire il pieno controllo da parte dello Stato sia degli istituti che si occupavano di

studi storici (come le Deputazioni di Storia patria) sia quelli che conservavano il

materiale documentario.

Viene inoltre creato un organo tecnico-culturale, il Consiglio superiore per gli

Archivi, con competenza di esprimere pareri su problemi legislativi, tecnico-

scientifici e amministrativi.

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Sintesi della situazione del Sistema Archivistico italiano

1861 15 archivi di Stato

1870 Commissione Cibrario

1871 Archivio di Stato di Roma

1874 Archivio di Stato di Bologna

Consiglio Superiore degli Archivi

1874 Istituzione di 10 Sovrintendenze archivistiche (organi di

decentramento amministrativo)

1875 Archivi sotto il Ministero dell’Interno

1887 Archivio di Stato di Massa

1892 Archivio di Stato di Reggio Emilia

Soppressione delle Sovrintendenze archivistiche

1926 Archivio di Stato di Trento e Trieste

1928 Archivio di Stato di Zara

1930 Archivio si Stato di Bolzano

1932 Archivi Provinciali Statali

1939 Legge che stabilisce l’istituzione di un Archivio di Stato in ogni

capoluogo di provincia: 23 Archivi di Stato + 19 Archivi Provinciali

Statali

Nuova istituzione delle Sovrintendenze archivistiche (organi di

decentramento amministrativo ma senza funzioni di controllo e

coordinamento sull’attività svolta dagli Archivi di Stato; si occupano

di documentazione appartenente a enti territoriali, non territoriali e a

privati)

1953 Archivio Centrale dello Stato

1963 Le Sovrintendenze archivistiche diventano 18 e la loro circoscrizione

ricalca quella delle attuali regioni

passano sotto

l’amministrazione statale 19

istituti: Agrigento, Bari,

Caltanisetta, Campobasso,

Catania, Catanzaro, Chieti,

Cosenza, Foggia, L’Aquila,

Lecce, Messina, Potenza,

Reggio Calabria, Salerno,

Siracusa, Teramo, Trapani.

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L’ORGANIZZAZIONE ARCHIVISTICA NAZIONALE ITALIANA

Generalmente nelle nazioni a struttura unitaria esiste un’unica amministrazione

archivistica, strutturata così:

- un Archivio centrale ubicato nella capitale;

- una rete di archivi periferici siti nei capoluoghi delle circoscrizioni territoriali

in cui lo stato è suddiviso.

Nelle nazioni a struttura federale invece pur esistendo un Archivio federale nella

capitale, esso non è il centro del sistema archivistico. Ogni stato ha una propria

organizzazione archivistica indipendente da quella federale e diversamente

strutturata.

In Italia l’amministrazione centrale archivistica è ministeriale:

- prima sotto il ministero degli Interni

- poi il Ministero dei Beni Culturali e ambientali

- infine il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Le norme che attualmente regolano l’amministrazione degli archivi sono:

1. il R.D. 2 ottobre 1911, n. 1163

2. il D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409

3. la legge 29 gennaio 1975, n. 5 (legge di conversione con modifiche del D.L.

14 dicembre 1974, n. 657) dicembre 1974 istituzione del Ministero dei

Beni Culturali e Ambientali

4. il D.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805

5. il D.P.R. 30 dicembre 1975, n. 854

La legge sugli archivi del 1963 contiene le disposizioni sull’organizzazione centrale e

periferica dell’amministrazione archivistica; inoltre contiene disposizioni inerenti ai

compiti istituzionali dell’amministrazione.

Visto che non è stato emanato il regolamento per l’esecuzione di questa legge, è

ancora in vigore il regolamento per gli Archivi di Stato emanato nel 1911.

Con l’istituzione del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali e la legge del 1975 n.

805 proprio sull’organizzazione del nuovo ministero sono state abrogate alcune

norme del precedente D.P.R. 1963/1409 sugli organi centrali e consultivi

dell’amministrazione archivistica. Rimangono invece in vigore le disposizioni

inerenti agli organi periferici e ai compiti istituzionali.

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Il decreto del 1975 n. 854 regola le competenze rimaste al Ministero dell’Interno

proprio in materia di archivi dopo il passaggio dell’amministrazione archivistica dal

Ministero dell’Interno al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Troviamo

norme in materia di consultabiltà dei documenti riservati e di commissioni di

sorveglianza. L’organo del Ministero dell’Interno preposto a questo compito è

l’ispettorato centrale per i servizi archivistici. Con l’entrata in vigore del D.P.R. 24

novembre 2009 n.210, è anche preposto alla tutela dei documenti contenenti dati

sensibili personali, dati relativi a provvedimenti di natura penale e dati relativi alla

politica estera o interna dello Stato, sottratti alla libera consultabilità per lassi di

tempo predeterminati per legge, conservati nell’Archivio Centrale dello Stato, negli

Archivi di Stato e negli archivi storici e di deposito degli enti pubblici, nonché negli

archivi privati dichiarati di notevole interesse storico dalle competenti Soprintendenze

Archivistiche.

Il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali viene istituito nel dicembre 1974 a

seguito dell’unione in un unico dicastero della Direzione generale antichità e belle

arti, di quella delle biblioteche e accademie (sotto il Ministero della Pubblica

Istruzione) e l’amministrazione degli Archivi di Stato (ministero dell’Interno).

Nel nuovo ministero (organizzazione centrale) viene istituita:

- un’unica Direzione generale per gli affari generali amministrativi e del

personale

- uffici centrali (per i beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici e

storici; per i beni librari e gli istituti culturali; per i beni archivistici)

definire gli standard per l’inventariazione e la formazione di nuove tecnologie;

ricerca, studio e applicazione di nuove tecnologie

- Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali (91 membri e presieduto

da un ministro)

- sei comitati di settore (per i beni ambientali e architettonici; per i beni

archeologici; per i beni storico artistici; per i beni archivistici; per i beni

librari; per gli istituti culturali) composto da 9 membri, di cui tre archivisti

eletti nel Consiglio Nazionale e il direttore generale dell’Ufficio centrale per i

Beni archivistici, che non fa parte del Consiglio Nazionale

- Istituti centrali (per il catalogo e la documentazione; per il Catalogo unico; per

la patologia del libro; per il restauro; nazionale per la grafica).

Organizzazione periferica:

- Comitato regionale per i BB. CC. (con funzioni di vigilanza e tutela)

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Fanno capo all’Ufficio centrale per i Beni Archivistici:

1. Archivio Centrale dello Stato (creato nel 1953), custodisce gli atti dei dicasteri

centrali dal 1861, dall’Unità in poi.

2. Archivio di Stato e le Sezioni di Archivio di Stato (creazione definitiva sancita

dalla legge archivistica 1963/1409). Il compito degli archivi di Stato è quello

di conservare il patrimonio documentario ereditato dallo Stato preunitario di

cui la Provincia faceva parte, quello prodotto dagli organi periferici dello

Stato presenti nella Provincia (versato dopo 40 anni dalla sua produzione),

quello di origine non statale di cui venga in possesso per donazioni, deposito o

acquisto (sempre nell’ambito provinciale).

3. Soprintendenze archivistiche: hanno sede nei capoluoghi regionali e hanno la

funzione di vigilanza sugli archivi non statali, di enti pubblici e di privati che

conservano documentazione molto antica ed estremamente rilevante.

Hanno una gestione separata:

1. Archivio del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati conservano i

loro archivi; così come la Presidenza della Repubblica e la Corte

Costituzionale la gestione separata di questi archivi è motivata dalla tutela

dell’autonomia dei massimi organi costituzionali dello Stato.

2. Archivio della Presidenza del Consiglio dei ministri previsto dal Codice dei

beni culturali e del paesaggio del 2004. Ha generato grande stupore anche tra

gli addetti al lavoro poiché la disposizione è in contrasto con la dottrina

archivistica: l’attività della Presidenza è strettamente collegata con quella

delle altre amministrazioni centrali, nei confronti delle quali esercita funzioni

di direzione e di coordinamento.

3. Archivio del Ministero degli Esteri (sin dal 1902)

4. Archivi degli Stati Maggiori della Difesa 1853 viene costituito a Torino

l’Ufficio Storico dello stato maggiore dell’esercito, nel 1913 nasce l’Ufficio

storico della Marina militare e nel 1927 l’Ufficio storico dell’Aeronautica. Nel

2000 si è aggiunto l’Ufficio storico dell’arma dei Carabinieri.

5. Archivi notarili distrettuali: hanno sede in ogni capoluogo di distretto notarile

e conservano per 100 anni tutti gli atti e i repertori dei notai cessati

dall’esercizio. Dipendono dall’Ufficio centrale degli archivi notarili del

ministero della Giustizia. Trascorsi 100 anni dalla data di cessazione

dell’attività del notaio versano la documentazione agli Archivi di Stato

competenti.

6. Archivi ecclesiastici sono sotto la giurisdizione del Vaticano e lo Stato non ha

mai esercitato una competenza diretta su di essi. Dal Concordato del 1984 è

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previsto che la Santa Sede e lo Stato italiano possano concludere degli accordi

per migliorare la conservazione e la consultazione degli archivi che

appartengono alla Chiesa. Con l’intesa conosciuta come “intesa Melandri-

Ruini” del 2000 si è giunti all’accordo in cui si stabilisce che lo Stato,

attraverso le Soprintendenze archivistiche, collabori con le organizzazioni

ecclesiastiche per la tutela e la valorizzazione del loro patrimonio

documentario.

Per gli approfondimenti sulle vicende che dalla formazione dello stato unitario hanno

portato alla vigente organizzazione archivistica:

- A. D’ADDARIO, L’organizzazione archivistica italiana, Roma 1960;

- E. LODOLINI, Organizzazione e legislazione archivistica italiana dall’unità

d’Italia alla costituzione del ministero per i beni culturali e ambientali,

Bologna 1980

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Ufficio centrale per

i beni archivistici

Archivio centrale

dello Stato

Archivio di Stato + 36 sezioni di

Archivio di Stato in città non

capoluogo di provincia (dipendono

gerarchicamente dall’Archivio di

Stato competente per territorio) che

conservano fondi di particolare

pregio

Soprintendenze

archivistiche

Archivi delle

Regioni

Archivi delle

Province

Archivi dei Comuni

Archivi privati

(famiglie,

associazioni,

sindacati, partiti

politici, imprese)

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31

Compiti degli Archivi di Stato (oltre a quello conservativo):

- ordinamento degli archivi e compilazione dei relativi inventari, di indici

alfabetici, di elenchi di consistenza, di guide particolari e tematiche (mezzi di

corredo, strumenti che rendono possibile la consultazione);

- uso dell’elaborazione elettronica agli archivi tradizionali;

- operazioni attinenti al versamento degli archivi degli uffici statali negli

Archivi di Stato, alla compilazione dei massimari di scarto, e allo scarto dei

documenti che non vengono ritenuti meritevoli di conservazione;

- sorveglianza sugli archivi correnti e di deposito degli organi centrali e

periferici dello Stato;

- edizione di fonti;

- attività promozionale e didattica.

Compiti della Soprintendenza archivistica (oltre alla vigilanza):

- ispezioni sugli archivi non statali;

- individuazione degli archivi esistenti nella Regione e loro censimento;

- dichiarazione di notevole interesse storico degli archivi privati;

- consulenza sulla tenuta degli archivi, sull’ordinamento e sull’inventariazione

eventualmente richiesta da enti pubblici e privati e da famiglie;

- nulla osta per lo scarto degli archivi degli enti pubblici e di quelli privati

dichiarati di notevole interesse storico;

- interventi di varia natura in caso di inadempienza degli obblighi stabiliti a

carico degli enti pubblici e dei privati;

- formulazione di un parere sulle richieste di deposito volontario dell’archivio

nel competente Archivio di Stato da parte di enti pubblici e di privati;

- trasmissione delle richieste di consultazione di documenti agli enti e ai privati;

- recupero di archivi e singoli documenti dello Stato che si trovino fuori degli

Archivi di Stato.

I compiti fondamentali dell’amministrazione archivistica:

1. conservazione degli archivi

degli organi centrali e periferici

dello Stato, preunitari e

postunitari, e degli archivi e

singoli documenti che lo Stato

abbia in proprietà o in deposito

- Archivio centrale dello Stato

- Archivi di Stato

- Sezioni di Archivio di Stato

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2. vigilanza sugli archivi

degli enti pubblici e sugli

archivi privati dichiarati

di notevole interesse

storico (su archivi che

vengono conservati al di

fuori delle strutture

statali

Versamento della documentazione gli organi centrali e periferici dello Stato

versano nei competenti Archivi di Stato i documenti relativi agli affari esauriti da

oltre quarant’anni; per le liste di leva o di estrazione è previsto il termine di 70 anni

dalla data di nascita della classe cui si riferiscono.

I documenti sono liberamente consultabili ad eccezione di quelle di carattere riservato

relativi alla politica estera o interna dello Stato che divengono consultabili 50 anni

dopo la loro data, e di quelli riservati relativi a situazioni puramente private di

persone, che lo divengono dopo 70 anni. I documenti dei processi penali sono

consultabili 70 anni dopo la data della conclusione del procedimento.

- Soprintendenze archivistiche

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GLI ARCHIVI E SINGOLI DOCUMENTI CONSERVATI NEGLI ARCHIVI

DI STATO

Archivi di Stato conservano gli archivi degli Stati preunitari, gli archivi degli

organi centrali e periferici italiani, gli archivi notarili e tutti gli altri archivi e singoli

documenti che lo stato abbia in proprietà o in deposito per disposizione di legge o per

altro titolo.

La Guida generale degli Archivi di Stato italiani è articolata in cinque volumi: quattro

sono dedicati all’Archivio centrale dello Stato e agli Archivi di Stato posti in ordine

alfabetico (di seguito troviamo anche le Sezioni di Archivio di Stato), l’ultimo

volume a repertori delle magistrature periferiche degli Stati preunitari e dello Stato

italiano e agli indici.

Struttura dell’Archivio centrale dello Stato:

- serie originali delle leggi e dei decreti e originale della Costituzione italiana;

- inchieste parlamentari, pareri e decisioni del Consiglio di Stato;

- atti di governo e decreti registrati dalla Corte dei Conti;

- Real casa;

- le memorie difensive dei senatori colpiti da epurazione:

- il complesso dei ministeri collocati in ordine alfabetico;

- archivi della segreteria particolare di Mussolini e quelli del partito nazionale

fascista;

- archivi della Corte suprema di cassazione e dei tribunali militari;

- archivi eterogenei relativi alla seconda guerra mondiale;

- archivi di enti pubblici (tra cui l’Opera nazionale per gli invalidi di guerra e

l’Istituto per la ricostruzione industriale);

- archivi privati di personalità politiche;

- microfilm di archivi italiani e di archivi stranieri, acquistati a Londra e a

Washington.

Voci per gli Archivi di Stato articolate in tre parti:

1. gli archivi degli archivi degli organi e uffici statali preunitari distinti in archivi

degli antichi regimi, archivi del periodo napoleonico (manca per la Sicilia e la

Sardegna), archivi della Restaurazione;

2. archivi degli uffici periferici italiani;

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3. gli archivi non statali che lo Stato ha in proprietà o in deposito, o quelli statali

non periodizzabili cronologicamente (feudi, Comuni, Province, archivi

fascisti, comitati di liberazione nazionale, archivi notarili, catasti, atti

demaniali, stato civile, università, arti e collegi e ordini professionali, camere

di commercio, opere pie istituzionali di assistenza e beneficienza e ospedali,

enti ecclesiastici, corporazioni religiose, archivi di famiglie e persone, archivi

diversi, raccolte e miscellanee).

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GLI ARCHIVI NON STATALI

Archivi non statali

Archivi non statali (archivi di enti pubblici e archivi privati) sono affidati agli enti

stessi e ai privati che li pongono in essere, mentre lo Stato, attraverso le

Soprintendenze archivistiche, esercita solo compiti di vigilanza.

ENTI PUBBLICI

Obblighi degli enti pubblici:

- procedere alla conservazione e all’ordinamento dei propri archivi;

- istituire sezioni separate di archivio per la conservazione dei documenti

relativi agli affari esauriti da oltre 40 anni;

- eseguire le operazioni di scarto prima di trasferire i documenti dall’archivio

corrente alla separata sezione d’archivio;

- di consentire la consultazione dei documenti a chi ne faccia richiesta.

Per quanto riguarda la consultabilità dei documenti riservati valgono le stesse norme

per i documenti conservati negli Archivi di Stato. Lo stesso vale per gli archivi

privati, solamente nel caso in cui siano stati dichiarati di notevole interesse storico

dalla soprintendenza archivistica di competenza territoriale.

I principali problemi che bisogna affrontare negli archivi pubblici non statali sono

essenzialmente due:

1. eterogeneità nell’organizzazione e nella tenuta degli archivi correnti;

2. estrema varietà di situazioni per l’ordinamento, l’inventariazione e la

consultabilità della documentazione anteriore di 40 anni.

Archivi degli enti pubblici (territoriali e non territoriali)

Archivi privati

Archivi ecclesiastici e religiosi

Archivi stranieri e internazionali

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Enti pubblici:

- territoriali Comune, Provincia e Regione (godono di autonomia garantita

dalla Costituzione e di poteri per certi aspetti analoghi a quelli dello Stato;

operano in un determinato territorio che indica l’ambito in cui si dispiega la

potestà dell’ente)

- non territoriali caratterizzati da fini determinati e quindi hanno un

patrimonio documentario destinato ad un preciso scopo, sono costituiti da un

complesso di persone accomunate da una stessa professione o attività; alcune

enti hanno competenze nazionali e altri hanno competenze locali (in numero

uguale agli enti che hanno fini sociali, economici, culturali, etc.)

ARCHIVI DEI COMUNI → il d.p.r. 1963/1409 ha stabilito che gli archivi di questi

enti (compresi quelli delle Province e delle Regioni) sono soggetti al regime del

demanio pubblico, e prescrive la conservazione e ordinamento dei propri archivi.

Inoltre prescrive la vigilanza su questi archivi da parte della soprintendenza

archivistica competente per territorio; e la creazione di una sezione separata per gli

atti esauriti da oltre 40 anni. Chi gestisce questi archivi deve possedere il diploma

della Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica.

Conservano sia documenti del periodo preunitario sia del periodo postunitario.

L'archivio preunitario conserva gli atti delle magistrature delle comunità e degli

organi che operavano nella stessa comunità. Fino al 1897 il materiale è stato ordinato

e classificato in base alle particolarità locali. Con la circolare del 1 marzo 1897 del

Ministero dell'Interno viene stabilito un sistema di classificazione (titolario), basato

su un numero di 15 categorie corrispondenti ai principali settori delle attività

comunali:

- Amministrazione;

- Assistenza e beneficienza;

- Polizia urbana e rurale;

- Sanità e igiene;

- Finanze;

- Governo;

- Grazia, giustizia e culto;

- Leva e truppa;

- Istruzione pubblica;

- Lavori pubblici;

- Agricoltura, industria e commercio;

- Stato civile, censimento, statistica;

- Esteri;

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- Varie;

- Sicurezza pubblica.

Con il d.p.r. 445 del 2000 per la gestione degli archivi comunali correnti, al posto del

precedente titolario, viene creato un nuovo Piano di Classificazione con 14 titoli

adattati alle nuove competenze del Comune:

- Amministrazione generale;

- Organi di governo, gestione, controllo;

- Risorse umane;

- Risorse finanziarie e patrimonio;

- Affari legali;

- Pianificazione e gestione del territorio;

- Servizi alla persona;

- Attività economiche;

- Polizia locale e sicurezza pubblica;

- Tutela della salute;

- Servizi demografici;

- Elezioni ed iniziative popolari;

- Affari militari;

- Oggetti diversi.

Il Codice dell’amministrazione digitale, istituito con d.lgs. del 2005, stabilisce

l’informatizzazione obbligatoria degli archivi degli enti pubblici a partire dal 1

gennaio 2006.

ARCHIVI DELLE PROVINCE → conservano carte relative al periodo postunitario,

e rispecchiano pienamente le funzioni dell’ente. Attualmente le Province, come i

Comuni, rivestono un ruolo diverso e hanno assunto la gestione diretta di alcuni

servizi in materia di sanità, opere pubbliche, istruzione, trasporti.

ARCHIVI DELLE REGIONI → si sono iniziate a formare nel 1971 a seguito della

legge del 16 maggio 1970 n. 281. Con d.p.r. n. 616 del 1977 lo Stato trasferiva alle

Regioni l’ordinamento e l’organizzazione di alcune funzioni amministrative, sociali,

economiche del territorio di competenza. Attualmente la fase gestionale degli archivi

è in fase progettuale e l’accesso alla consultazione è poco agevole.

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Enti pubblici non territoriali sono chiamati anche parastatali, possono avere

competenza locale o nazionale, sono caratterizzati dal perseguire finalità pubbliche e

sono legati con lo Stato da un rapporto di controllo.

A seguito dell’Unità avevamo istituzioni di assistenza e di beneficienza, istituti

bancari, università e ordini professionali. All’inizio del secolo si sviluppano in diversi

settori quali le opere pubbliche, l’industria e le assicurazioni. Con il fascismo si

sviluppano principalmente enti a carattere assistenziale, propagandistico, con finalità

sociali e nel settore creditizio-economico. Nel dopoguerra spiccano gli enti per lo

sviluppo dell’artigianato, della piccola industria e dell’assistenza mutualistica. Con

l’istituzione delle Regioni e il conseguente trasferimento di determinate funzioni a

questi enti, il panorama degli enti non territoriali si è ridimensionato e si è provveduto

alla progressiva soppressione degli enti inutili.

ARCHIVI PRIVATI

Sono regolamentati dal d.p.r del 1973 e dal decreto legge del 1999 e del 2004

stabiliscono che chi è in possesso di un archivio privato riconosciuto di notevole

interesse dalla soprintendenza archivistica competente per territorio ha l’obbligo di

ordinarlo, inventariarlo e renderlo fruibile. In questa categoria rientrano gli archivi:

- familiari;

- di persone fisiche;

- di partiti;

- di sindacati;

- di associazioni;

- di società e imprese;

- di banche;

- di giornali.

Archivi familiari vengono detti nobiliari in caso di famiglie illustri e blasonate,

vengono detti domestici in caso di famiglie senza titoli nobiliari. Nonostante ciascuna

famiglia abbia avuto una storia diversa, all’interno degli archivi familiari si trovano

alcune serie comuni, tra cui:

- documenti di tipo amministrativo;

- atti processuali;

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-gestione economica;

- materiale prodotto durante rapporti sociali.

Archivi delle persone fisiche sono di recente istituzione, XIX-XX secolo. Solitamente

sono molto disordinati e per riordinarlo bisogna ricercare delle caratteristiche

costanti, ossia:

- professione dell’individuo;

- attività svolta nel corso della sua vita;

- metodo di lavoro o di studio.

All’interno di questa tipologia possiamo trovare archivi propri (in cui il vincolo è

naturale, scritture di carattere giuridico) e archivi impropri (in cui il vincolo è

volontario, come nelle raccolte di lettere).

Gli Archivi societari (di aziende, partiti, sindacati, banche) sono di estrema

importanza per la storia economica e finanziaria di un paese.

ARCHIVI ECCLESIASTICI E RELIGIOSI

Gli archivi ecclesiastici nascono con la formazione e lo sviluppo delle comunità

cristiane: di questi non si ha memoria ma sappiamo della loro esistenza grazie agli

scritti dei padri della Chiesa. Con l’editto di Milano (313) si ha la ristrutturazione

delle chiese locali e il conseguente rinnovo degli archivi. Si ha una organizzazione

della chiesa in province ecclesiastiche, diocesi e pievi e l’attività non è

semplicemente spirituale ma anche cittadina, poiché inizia l’assunzione di poteri

pubblici da parte dei vescovi.

In epoca medievale si sviluppano anche gli archivi dei monasteri, dei conventi, dei

capitoli delle cattedrali. Con il Concilio di Trento (1545) e la riorganizzazione

centralistica della chiesa viene mostrata una particolare attenzione alla tenuta degli

archivi, prescrivendo la tenuta in ogni parrocchia dei libri di battesimo e di

matrimonio (pone le basi delle moderne registrazioni anagrafiche).

Con San Carlo Borromeo, nella seconda metà del Cinquecento, si arriva alla

comprensione della necessità di conservare ordinatamente le carte e all’elaborazione

di una sorta di titolario, applicabile a vari archivi, diviso in categorie:

- Luoghi pii;

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- Beni ecclesiastici;

- Anagrafe;

- Indulgenze;

- Altari-campane-cimiteri;

- Monasteri femminili;

- Foro ecclesiastico;

- Archivio della fabbrica del Duomo e del Seminario;

- Visite pastorali;

- Ordinanze sacre.

All’inizio del Settecento con papa Benedetto XIII si ha l’emanazione della

costituzione apostolica Maxima vigilantia: un trattato riguardante l’amministrazione,

l’organizzazione e il riordinamento degli archivi ecclesiastici.

In tempi più recenti abbiamo il Codice del diritto canonico del 1917 in cui viene

prescritto l’archivio per ogni diocesi, chiesa cattedrale e collegiata e i responsabili di

tali archivi sono le rispettive autorità ecclesiastiche (vescovi, parroci…). Il nuovo

Codice del 1983 è praticamente identico, salvo per una novità sulla prescrizione di

istituire in ogni diocesi l’archivio storico, distinguendolo da quello amministrativo.

Con il Concordato del 1984 tra il cardinale Casaroli e Bettino Craxi è previsto che la

Santa Sede e lo Stato italiano possano concludere degli accordi per migliorare la

conservazione e la consultazione degli archivi che appartengono alla Chiesa. Con

l’intesa del 2000 si è giunti all’accordo in cui si stabilisce che lo Stato, attraverso le

Soprintendenze archivistiche, collabori con le organizzazioni ecclesiastiche per la

tutela e la valorizzazione del loro patrimonio documentario.

Archivio Segreto Vaticano conserva i fondi dei dicasteri ecclesiastici centrali (può

essere assimilato all’Archivio Centrale dello Stato). Viene fondato nel 1610 da papa

Paolo IV. Una parte della documentazione dello Stato pontificio è custodita presso

l’Archivio di Stato di Roma: si tratta dei documenti conservati fuori dalle mura

vaticane, sostanzialmente si tratta della parte più consistente relativa

all’amministrazione dello Stato pontificio.

Archivio secolare diocesano complesso documentario che fa capo

all’amministrazione vescovile e si produce nell’attività di governo del vescovo

all’interno dell’ambito territoriale di competenza.

Archivio secolare capitolare rispecchiano l’attività del capitolo della cattedrale.

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Archivio secolare collegiatizio archivi di chiese collegiate, composte da più

parrocchie sotto un unico vicario.

Archivio secolare parrocchiale dovrebbero conservare, secondo le disposizioni del

Concilio di Trento, i registri dei battezzati e dei morti, e qualche volta anche gli stati

d’anime (censimenti della popolazione della parrocchia strada per strada).

Archivi regolari viene usato per indicare gli archivi delle società religiose

cattoliche disciplinate da una regola: ossia gli archivi dei conventi e dei monasteri e

di tutte quelle confraternite laiche che operano disciplinati da una regola precisa.

GLI ARCHIVI STRANIERI E INTERNAZIONALI

Per archivi stranieri si intendono tutti gli archivi delle ambasciate, dei consolati e

delle rappresentanze straniere presenti nel territorio italiano. Questi archivi

appartengono allo Stato di appartenenza e vige il principio di extraterritorialità.

Gli archivi delle rappresentanze italiane all’estero vengono periodicamente versati

nell’archivio del Ministero per gli Affari Esteri (che non versa la propria

documentazione nell’Archivio centrale dello Stato, ma mantiene un proprio archivio

storico).

L’Italia ospita anche diverse tipologie di archivi (quelli dell’Unione Europea)

conservati in un unico archivio centrale, fondamentale per la ricerca sulla storia delle

comunità europee. I fondi presenti sono:

- Parlamento europeo (unico per le tre comunità europee a partire dal 1958)

- Consiglio dei Ministri (a partire dal 1977)

- Commissione delle comunità europee (dell’Alta autorità della CECA dal 1952 al

1967, e delle commissioni della CEE e della CECA dal 1958 al 1973)

- Corte dei conti (istituita nel 1975, minute di verbali di incontri e di rapporti annuali

dal 1958 al 1977)

- materiale prodotto dall’OECE (Organizzazione Europea di cooperazione

economica), dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo

economico) e l’ASE (Agenzia Spaziale Europea).

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LE TRE FASI DI VITA DELL’ARCHIVIO

Perché un archivio nasca, si formi e si conservi è necessaria la presenza dei seguenti

elementi:

- l’esistenza di un soggetto produttore;

- l’attività del soggetto produttore;

- una particolare tipologia dell’attività del soggetto produttore;

- la conservazione della memoria e la qualità del supporto;

- la volontà della conservazione della memoria;

- che la memoria sia legata da un particolare vincolo.

-

Si è soliti distinguere gli archivi in due grandi gruppi:

1. archivi vivi vita delimitata dal periodo cronologico di svolgimento

dell’attività del soggetto produttore

2. archivi morti il soggetto produttore cessa di esistere, la documentazione

entra in una situazione di staticità venendo a mancare le condizioni di un

possibile accrescimento.

La vita dell’archivio si articola in tre fasi:

1. archivio corrente: la fase della produzione e dell’attribuzione dell’ordine

originario dei documenti (si inaugura con l’inizio della pratica e si con

conclude con la chiusura della stessa); non esiste un preciso limite

temporale sancito dalla normativa, potrebbe essere un anno se consideriamo il

protocollo.

2. archivio di deposito, la fase conservativa, della durata di quaranta anni, dei

documenti che hanno progressivamente visto diminuire la funzione pratica,

amministrativa e giuridica e sono soggetti ad una scelta; in questa fase

bisogna assegnare al materiale una struttura organizzativa organica attraverso

il Titolario di Classificazione; si ricostituisce il vincolo naturale e si operano

delle selezioni dirette a conservare le memorie essenziali.

3. archivio storico, in cui i documenti vengono conservati permanentemente e

sono utili per fini storico-culturali. compiti primari ed essenziali: garantire

alla documentazione una corretta conservazione permanente, effettuare il

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riordinamento del materiale, realizzare i mezzi di corredo e gli eventuali

strumenti per la ricerca, consentire la fruizione della documentazione.

Archivio corrente Archivio di deposito Archivio storico

Tipologia

documentaria

Documenti “attivi”,

necessari alle attività

quotidiane dell’ente

Documenti

“semiattivi”, non

consultati

frequentemente

dall’ente

Documenti

“inattivi”, che

hanno esaurito

l’utilità legale e

amministrativa

Attività - produzione,

acquisizione,

distribuzione dei

documenti

- organizzazione,

classificazione dei

documenti

- tenuta e uso dei

documenti

- trasferimento dei

documenti al

deposito

- identificazione e

organizzazione dei

documenti

- gestione

dell’accesso e della

consultazione

- distruzione

periodica, secondo le

norme di

conservazione e di

scarto

- acquisizione dei

documenti destinati

a conservazione

permanente

- inventariazione

dei documenti

acquisiti

- conservazione dei

documenti

- gestione

dell’accesso e della

consultazione

Prima fase Seconda fase Terza fase

Concezione

italiana

Archivio corrente Archivio di

deposito

Selezione

o scarto

Archivio Storico

Concezione

tedesca

Registratura

corrente

Registratura

di deposito

Archivio

Concezione

anglo-americana

Records management

La dottrina tedesca prevede una fase pre-archivistica all’interno della cancelleria in

cui le carte compiono il loro iter fino a quando sono concluse (registratura corrente) e

una seconda fase in cui vengono alla registratura di deposito (depositati secondo un

ordinamento). Infine la fase archivistica vera e propria corrispondente al nostro

archivio storico.

La dottrina anglo-americana invece prevede il records management per individuare

l’insieme dei criteri organizzativi e dei sistemi di gestione dell’archivio corrente e di

deposito, ossia la gestione dei documenti prima che entrino a far parte dell’archivio

storico.

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Conservazione:

1. prima fase, archivio corrente le procedure di conservazione competono al

soggetto produttore il quale interviene più o meno autonomamente la scelta di

come, dove, quanto e fino a quanto mantenere la propria memoria scritta

2. seconda fase, archivio di deposito un periodo di 40 anni in cui viene

operata una prima verifica e riorganizzazione del materiale da parte del

soggetto produttore, nell’intento di conservare le carte essenziali e di

eliminare quelle che sono ritenute inutili e superflue.

3. terza fase, archivio storico conservazione definitiva.

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L’ARCHIVIO CORRENTE E IL PROTOCOLLO

I documenti che costituiscono una pratica formano un fascicolo e sono collocati

all’interno di una copertina (camicia) secondo l’ordine di archiviazione: in questo

modo il documento più recente è il primo aprendo la camicia, mentre il più vecchio è

appunto l’ultimo. Sulla camicia sono riportate alcune indicazioni necessarie: data,

oggetto, numero.

Più fascicoli sono generalmente riuniti in un contenitore di cartone che viene

chiamato busta (chiamato anche faldone) costituito da due parti laterali e chiusi

solitamente da tre lacci sui lati.

Il fascicolo è l’unità organica, l’unità di base indivisibile di un archivio l’unità

archivistica.

La busta è l’unità di conservazione e permette di indicare la consistenza quantitativa

dell’archivio.

Più fascicoli con caratteristiche omogenee (natura e oggetto dei documenti che li

costituiscono) formano una serie. Il raggruppamento di serie tra loro affini costituisce

il fondo. (il fondo indica anche il complesso dei documenti prodotti da un

ente/soggetto produttore = archivio)

Ogni amministrazione deve dotarsi di un sistema di archiviazione dei documenti ad

essa più funzionale (cronologico, alfabetico, per materia, geografico o per toponimi).

Per esigenze più complesse troviamo un sistema di classificazione, ossia un metodo

di organizzazione dell’archivio che dispone l’ordinamento cronologico e sistematico

dei documenti in classi e categorie identificate da codici (numeri e lettere) in base a

un titolario. Il titolario è un quadro di classificazione costituito da un determinato

numero di categorie contrassegnate da un numero romano o una lettera e poi

articolato in sottopartizioni che si chiamano classi.

Per titolario di classificazione si intende un quadro alfanumerico di riferimento per

l’archiviazione, la conservazione e la individuazione dei documenti. Svolge diverse

funzioni:

- individuare ogni documento, attribuendogli un preciso inquadramento nel

contesto archivistico;

- riorganizzare l’archivio, già dalla fase di deposito;

- creare il collegamento tra i vari elementi della memoria, è infatti lo

strumento fondamentale per la creazione del vincolo archivistico.

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Si suddivide in titoli, i quali si suddividono in classi, le quali si suddividono in

fascicoli. La classificazione risponde all’esigenza di organizzare logicamente i

documenti, associandoli a categorie astratte che si riferiscono ad uno stesso

argomento. I titoli e le classi sono nel numero prestabilito dal titolario di

classificazione e non sono modificabili né nel numero né nell’oggetto, se non

attraverso particolari procedure. Ogni classe ha un numero variabile di fascicoli, cioè

dipendente dagli affari e dai procedimenti amministrativi istruiti che, all’interno della

medesima classe, vengono numerati progressivamente e annotati nel repertorio dei

fascicoli. Il titolario di classificazione è modificato oppure riconfermato

periodicamente con decreto del direttore amministrativo.

È un sistema individuato in base alle funzioni dell’ente produttore per consentire la

sedimentazione dei documenti secondo un ordine logico che rispecchi fedelmente e

storicamente lo sviluppo dell’attività svolta.

Il sistema deve rispettare determinati principi:

- deve includere tutti i documenti prodotti dall’ente nel corso della sua attività;

- deve basarsi sulle funzioni dell’ente produttore: una funzione è l’insieme di

attività aventi uno scopo comune, ad ogni funzione deve corrispondere una

categoria;

- deve conservare l’aggregazione documentaria (deve tener conto delle relazioni

con gli altri documenti dello stesso gruppo).

Lo strumento per facilitare il reperimento dei fascicoli è il repertorio, compilato

presso l’ente che produce l’archivio. È un registro in cui vengono annotati con un

numero progressivo i fascicoli secondo l’ordine cronologico in cui si costituiscono

all’interno del titolario (permette di riprodurre le suddivisioni del titolario).

La registrazione dei documenti prevede l’inserimento di dati identificativi in appositi

spazi (colonne di un registro). Il fine della registrazione non è la compilazione di uno

strumento di ricerca ma di testimonianza dell’esistenza del documento, quindi è un

fine rigorosamente giuridico-amministrativo. Avviene attraverso il registro di

protocollo:

- esistenza dell’atto;

- certifica le date di acquisizione e produzione dei documenti;

- offre elementi di veridicità dell’esistenza, della data, del contenuto di un

documento andato smarrito;

- è elemento probante (oltre all’esistenza ne sancisce l’autenticità).

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Il protocollo può essere di due tipi: analitico, in cui si registra ogni documento in

arrivo e in partenza, e sintetico, in cui il numero assegnato al primo documento di una

pratica contrassegnerà tutti i documenti relativi a quella pratica.

Il registro di protocollo è annuale. Si compone di due parti: quella a sinistra è

destinata ai documenti in arrivo, quella a destra invece ai documenti in partenza.

DOCUMENTI IN ENTRATA DOCUMENTI IN USCITA

numero di registrazione numero di registrazione

data di arrivo del documento presso

l’ente (va eseguita in giornata)

data del documento posto in spedizione

data del documento (di partenza) nome e indirizzo del destinatario

nome e indirizzo del mittente oggetto del documento

oggetto o contenuto del documento ufficio che tratta l’affare

ufficio a cui il documento viene inoltrato modo di trasmissione del documento

eventuali allegati eventuali allegati

codice di classificazione codice di classificazione

numero di registrazione dei documenti

immediatamente precedente e successivo

numero di registrazione dei documenti

immediatamente precedente e successivo

Registrazione di protocollo, elementi obbligatori:

- numero progressivo

- data di registrazione

- mittente/destinatario

- oggetto

+

- codice di classificazione

Per approfondire il concetto di protocollo:

- L. GIUVA, Gli strumenti archivistici per la gestione dei documenti: la

registrazione di protocollo, la classificazione, i piani di conservazione,

«Rassegna degli Archivi di Stato», LIX (1999)

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L’ARCHIVIO DI DEPOSITO

L’archivio di deposito è destinato a gestire quei fascicoli che non sono più

sufficientemente attivi per essere tenuti nei singoli uffici che gli hanno posti in essere

per altri 40 anni.

In questo lasso di tempo i documenti possono essere richiesti dall’ufficio produttore e

in questo caso riacquistano una funzione amministrativa; in ogni caso in questo

periodo non hanno ancora assunto quel valore storico-culturale che sarà prerogativa

della terza fase di vita dell’archivio.

Fino a quando le pratiche hanno una qualche valenza amministrativa non possono

essere né trasferite né distrutte ci deve essere sempre la possibilità di consultare il

procedimento.

La gestione del’archivio di deposito deve basarsi su alcuni principi fondamentali:

- i documenti in esso custoditi rimangono di proprietà dell’ente produttore che

mantiene il diritto di consultare le pratiche quando meglio crede e di

riattivarle;

- l’accesso ai documenti deve poter essere rapido, quindi la distanza fisica tra

l’ente produttore e l’archivio di deposito deve essere il più breve possibile

(solitamente si trovano nello stesso edificio);

- è indispensabile che il personale che gestisce l’archivio mantenga l’ordine in

cui i documenti sono stati ricevuti, per facilitare la ricerca qualora

l’amministrazione ne faccia richiesta assai raro

- il trasferimento dei documenti dall’ente produttore all’archivio di deposito

presuppone la compilazione di un elenco di trasferimento: è un modulo con i

dati dell’ente, il codice di classificazione della serie di appartenenza del

documento, gli estremi cronologici.

Operazioni che si effettuano dal passaggio dall’archivio corrente all’archivio di

deposito:

- prima risistemazione dei fascicoli, con la ricostituzione dell’ordine

cronologico (il primo documento corrisponde al primo ricevuto o prodotto e

l’ultimo alla conclusione della pratica);

- eliminazione delle carte (copie della stesse carte, stampati e moduli non

utilizzati, fotocopie di testi di legge);

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- conservazione delle minute, anche manoscritte, per permettere di ricostituire

l’iter della pratica;

- eliminazione di punti metallici, graffette, elastici, buste di plastica e tutto

quello che può danneggiare materialmente la carta;

Situazioni in cui può trovarsi un archivio di deposito:

1. l’archivio può trovarsi nello stesso ordine in cui si è formato non richiede

l’intervento dell’archivista

2. l’archivio presenta un ordine dato da successivi rimaneggiamenti portati

dall’ufficio stesso al proprio archivio si deve rispettare in linea di massima

l’ultimo ordinamento

3. l’archivio può essere suddiviso in vari versamenti eseguiti da uno stesso ente

oppure in spezzoni che corrispondono a nuclei di documenti che costituiscono

quanto resta di un archivio si deve procedere ad un riordinamento globale

cercando di ricostituire l’ordine originario delle serie pervenute

frammentariamente

4. l’archivio risulta suddiviso in fondi diverso formati da enti diversi

l’archivista deve studiare l’ordinamento originario e capire il motivo che ha

portato al passaggio di documentazione in archivi di enti diversi (ordinamento

sulla carta)

5. l’archivio è in disordine può andare dal semplice disordine cronologico

all’interno di un fascicolo allo scompaginamento totale dell’intero fondo: la

difficoltà è data dall’approssimazione con cui originariamente si era

provveduto alla classificazione dei documenti

6. archivi che contengono documentazione di uffici con competenze analoghe

oppure archivi di enti diversi (archivi aggregati) se fanno parte della stessa

amministrazione saranno inseriti nello stesso inventario

Attività dell’archivista durante il periodo di giacenza della documentazione presso

l’archivio di deposito in prospettiva del futuro trasferimento all’archivio storico:

- i documenti vengono posti in forma di documenti sciolti o di registri: possono

essere raccolti in buste, in filze, in pacchi legati con lo spago, rilegati in

volume, oppure in incartamenti o fascicoli costituiti secondo criteri propri

dell’ente produttore riordinamento: consiste nell’organizzazione

sistematica delle unità archivistiche che compongono l’archivio in modo da

ricostituire, secondo il principio di provenienza, l’ordinamento originale dato

dall’ente produttore dell’archivio.

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Nel passaggio dall’archivio di deposito all’archivio storico abbiamo un'operazione

fondamentale, che è quella della selezione del materiale da conservare e il

conseguente scarto. Sulla scelta del materiale da conservare intervengono interessi

diversi rispetto a quelli che sono intervenuti nella nascita della documentazione:

principalmente vengono valutati gli interessi di ordine storico e culturale. A facilitare

le operazioni di scarto abbiamo i massimari di scarto, ossia delle schematizzazioni

utili alla normalizzazione dei comportamenti in fase di scarto in particolar modo degli

archivi dei soggetti pubblici utilizzati dallo Stato italiano a partire dal 1917. Le

indicazioni dei massimari relative ai documenti da conservare hanno un valore

tassativo, mentre quelle sulla documentazione da scartare sono indicative e vengono

vagliate di volta in volta dalla commissione, esaminando direttamente l’archivio.

L’operazione che porta alla distruzione del materiale si chiama scarto.

Lo scarto può entrare in conflitto con il vincolo archivistico: questo in quanto nesso

logico tra la documentazione determina la struttura dell’archivio a prescindere dal

contenuto dei documenti, invece lo scarto interviene proprio sul giudizio del valore

del contenuto dei documenti.

Nelle operazioni di scarto l’archivista opera su due livelli, tendenti:

- alla conservazione del documento, affinché non ci sia la distruzione del

vincolo, la conservazione della documentazione deve essere garantita in modo

assoluto per quanto riguarda il materiale originario e primario (vengono

escluse le copie e gli atti preparatori);

- alla conservazione della notizia, un certo materiale originale e primario può

essere selezionato per l’eliminazione se è presente altro materiale primario che

Lodolini

«compromesso fra l’esigenza teorica di

conservare per intero la documentazione

prodotta e l’impossibilità pratica di

soddisfare tale esigenza» tutte le carte

andrebbero conservate ma è impossibile per

la mancanza di spazio

Carucci

«operazione qualificante dell’attività

archivistica» esigenza di scegliere

per la conservazione quei documenti

che ai contemporanei sembrano

essenziali per la comprensione della

propria epoca

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contiene la notizia, le indicazioni che permettano di risalire alla fonte

primaria.

Da un punto di vista redazionale, il massimario si compone di due parti, strettamente

dipendenti l’una dall’altra:

- massimario: contiene le disposizioni di massima, i criteri di selezione, le serie

prese in considerazione e i casi particolari che l’archivista ha affrontato come

tipologia documentaria, da inserire nel piano di costruzione critica della

memoria del soggetto produttore;

- prontuario: contiene l’elenco di dettaglio delle tipologie documentarie e il

riferimento all’affare/procedimento amministrativo con i relativi tempi di

conservazione.

Il massimario è uno strumento di utilizzo quasi dell’archivista, nel quale vengono

improntate le guide fondamentali della ricostruzione storica. Il prontuario è uno

strumento utilizzato da tutti gli operatori addetti al protocollo informatico, i quali,

attraverso una tabella collegata alla classificazione, assegnano in modo meccanico e

automatico anche il tempo di conservazione dei documenti in ciascuna registrazione.

La logica sottesa all’attività di selezione si fonda sul concetto che un atto può essere

eliminato solo se riflette un interesse puramente immediato, quindi non permanente, e

nel momento in cui tale interesse è estinto, e soltanto se la sua conservazione non è

utile per la ricerca storica. Ci sono alcune categorie di materiali archivistici che,

indipendentemente dall’attività del soggetto produttore, potrebbero essere sempre

eliminati. Si tratta di documenti in copia, documenti ridondanti, documentazione

contabile, ad esempio nel caso di procedura di spesa la documentazione intermedia,

documenti di controllo sulla produzione o spedizione di altri documenti, come

distinte e ricevute.

Data l’irreversibilità dello scarto, gli archivi si dotano di strumenti che consentono di

conoscere tutto ciò che è stato scartato, cioè i cosiddetti “correttivi dello scarto”:

- l’elenco dello scarto, di cui restano copie presso la Soprintendenza e l’ente

produttore, che consente di sapere cosa e quando è stato eliminato;

- il campionamento, in quanto lo scarto non è mai di tutta una serie

archivistica, ma di essa si conserva sempre una percentuale.

Tutte le funzioni di sorveglianza sullo scarto sono esercitate da commissioni di scarto.

Sono istituite con decreto ministeriale e durano in carica tre anni. Solitamente sono

composte dal capo dell’ufficio che ha prodotto l’archivio o un suo delegato,

l’archivista dell’ente produttore, l’archivista capo dell’archivio che riceve il

versamento, un esperto di archivistica, uno storico.

Per gli Archivi di Stato la commissione esamina la proposta, la approva integralmente

o la modifica, e poi allega un elenco di scarto. Successivamente chiede il nulla osta

alla divisione competente dell’Ufficio centrale per i beni archivistici.

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Per gli archivi pubblici non statali (es. quelli comunali) e quelli privati di notevole

interesse storico l’elenco di scarto viene inviato alla Soprintendenza archivistica

competente per territorio, che rilascerà il relativo nulla osta.

L’esecuzione dello scarto consiste nell’invio al macero del materiale, un tempo

questo era ritirato dalla Croce Rossa Italiana. In caso di carte riservate vengono

distrutte direttamente nell’archivio con apposite apparecchiature.

La commissione può non essere d’accordo sulla scelta del materiale da scartare:

nascono così gli archivi intermedi nel quale il materiale predisposto per lo scarto resta

in sospeso per un periodo e la decisione definitiva viene rinviata ad un momento

successivo.

Scarti arbitrari effettuati principalmente negli archivi societari di enti economici,

ecclesiastici e politici. Sono archivi difficilmente controllabili da parte degli enti di

sorveglianza.

Approfondimenti:

- A. ROMITI, Alcune considerazioni sugli archivi di “deposito”, in Per la

storiografia italiana del XXI secolo. Seminario sul progetto di censimento

sistematico degli archivi di deposito dei ministeri realizzato dall’Archivio

centrale dello Stato (Roma, 20 aprile 1995), Roma 1998 (Pubblicazione

degli Archivi di Stato. Saggi, 46), pp. 18-22

- P. CARUCCI, Lo scarto come elemento qualificante delle fonti per la

storiografia, «Rassegna degli Archivi di Stato», XXXV (1975)

- P. CARUCCI, Dall’archivio corrente all’archivio di deposito: la selezione

come momento essenziale per la salvaguardia della memoria storica in Per

la storiografia italiana del XXI secolo. Seminario sul progetto di censimento

sistematico degli archivi di deposito dei ministeri realizzato dall’Archivio

centrale dello Stato (Roma, 20 aprile 1995), Roma 1998 (Pubblicazione

degli Archivi di Stato. Saggi, 46), pp. 23-29

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L’ARCHIVIO STORICO

Il materiale archivistico destinato a conservazione permanente viene versato

dall'amministrazione produttrice all'archivio storico competente.

Tutti i documenti che entrano nell'archivio storico dovrebbero essere formalmente

registrati in un registro dei versamenti. L'archivista deve ricevere un modulo di

versamento che deve riassumere i dati relativi ai documenti versati e contenga

l'autorizzazione o notifica di versamento. In linea generale deve essere predisposto un

verbale con un elenco di consistenza realizzato secondo uno preciso schema:

- numero progressivo

- titolo

- numero dei pezzi

- tipologia del materiale

- estremi cronologici.

I documenti acquisiti vengono ordinati secondo il principio di provenienza (non

confondere i documenti di un fondo con quelli di un altro fondo) e il principio

dell'ordine originario (in conformità all'ordine dato dall'ente produttore).

Una volta presa coscienza del materiale e aver fatto l'ordinamento si procederà alla

sua descrizione in modo da fornire gli strumenti di ricerca e consultazione.

L’ordinamento tende a ristabilire le connessioni interne alla struttura di un archivio

che conferiscono un significato specifico ai singoli documenti.

Fasi del riordinamento:

1. attraverso i registri di protocollo si verificherà l’esistenza dei documenti

protocollati e la loro corretta collocazione archivistica, segnando con un

foglietto quelli assenti;

2. la schedatura delle singole unità con l’indicazione di alcuni dati essenziali

(denominazione dell’ente che ha posto in essere il volume/fascicolo/registro,

indicazione dell’oggetto o della natura del documento, date estreme, segnature

archivistiche originali);

3. il raggruppamento delle schede per ente;

4. la ricostituzione della serie in base alle segnature archivistiche;

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5. spostamento materiale delle unità archivistiche dal fondo esaminato alla

riorganizzazione sulla base delle segnature archivistiche, secondo l’ordine

istituito nelle schede;

6. quando una serie è costituita da documenti sciolti, per cui non risulta un

criterio originario di aggregazione, i documenti si dispongono in ordine

cronologico;

7. disposizione delle serie secondo l’ordine originario qualora questo sia mai

esistito ed è fondatamente ricostruibile. Qualora non sia possibile ricostituire

l’ordine delle serie si seguirà un ordine di massima:

- le disposizioni di carattere generale sull’organizzazione e sul

funzionamento dell’ente

- le decisioni degli organi deliberanti

- gli atti amministrativi (atti conclusivi redatti secondo le forme prestabilite)

o le sentenze per gli organi giudiziari, o gli atti conclusivi di qualsiasi

istituzione si tratti

- il complesso delle pratiche che costituiscono l’attività istituzionale

dell’ente

- la documentazione di natura finanziaria, fiscale o contabile (se si tratta di

un organo con funzioni finanziarie queste serie costituiranno l’attività

istituzionale dell’ente)

- i fascicoli del personale

- i registri di protocollo e le rubriche

- le serie complete precedono gli spezzoni e le miscellanee.

8. sostituzione dei vecchi faldoni con buste nuove, riportando nella costa anche

le vecchie segnature archivistiche operazione chiamata condizionatura.

Per approfondimenti:

- P. CARUCCI, Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione, Roma

1983

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I MEZZI DI CORREDO ARCHIVISTICI

I mezzi di corredo si dividono in:

- mezzi di corredo primari (si riferiscono agli archivi propri e si attengono

compiutamente alla descrizione archivistica) → elenchi, guide, inventari

- mezzi di corredo sussidiari (forniscono un sostegno a livello di gestione delle

registrazioni effettuate) → indici, rubriche, repertori

- mezzi di corredo complementari (utili per la paleografia e la diplomatica) →

sunti, regesti, trascrizioni

- mezzi di corredo atipici (attengono a scritture per le quali non è possibile

verificare la sussistenza del vincolo naturale, vengono considerati come

raccolte) → schedari, data base, cataloghi

Gli strumenti per la ricerca:

possono descrivere, spesso analiticamente, parti o settori di un archivio senza un

intervento complessivo o nel rispetto della struttura organica dell'archivio stesso

(concetto serie) ma i documenti vengono raggruppati per temi, derivanti dalle

esigenze specifiche delle ricerche.