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PERIODICO QUADRIMESTRALE - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art, 1, comma 1, DCB (Bologna) Affioramento di Spungone del Pliocene inferiore-medio in località Cozzi nei pressi di Castrocaro Terme (Provincia di Forlì-Cesena). La Formazione è evidente in tutto il suo spessore nella suggestiva forra del rio dei Cozzi, che la attraversa interamente fino a raggiungere la sottostante Formazione Marnoso-Arenacea. Su questo calcare, esteso nella bassa collina da Brisighella a Capocolle, attraverso le alture di Castrocaro, Rocca delle Caminate, Monte Pallareto, Monte Casale e Monte Maggio, sorge la rocca di Castrocaro. (Foto di Aldo Antoniazzi) GEOLOGI ORDINE Emilia - Romagna il GEOLOGO dell’EMILIA-ROMAGNA Bollettino Ufficiale d’Informazione dell’Ordine dei Geologi Regione Emilia-Romagna Anno XI/2011 - N. 41 - NUOVA SERIE

il Geologo - Anno XI/2011 - N. 41

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Bollettino Ufficiale d’Informazione dell’Ordine dei Geologi Regione Emilia-Romagna

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PERIODICO QUADRIMESTRALE - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art, 1, comma 1, DCB (Bologna)

Affioramento di Spungone del Pliocene inferiore-medio in località Cozzi nei pressi di Castrocaro Terme (Provincia di Forlì-Cesena). La Formazione è evidente in tutto il suo spessore nella suggestiva forra del rio dei Cozzi, che la attraversa interamente fino a raggiungere la sottostante Formazione Marnoso-Arenacea. Su questo calcare, esteso nella bassa collina da Brisighella a Capocolle, attraverso le alture di Castrocaro, Rocca delle Caminate, Monte Pallareto, Monte Casale e Monte Maggio, sorge la rocca di Castrocaro. (Foto di Aldo Antoniazzi)

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Bollettino Ufficiale d’Informazionedell’Ordine dei Geologi Regione Emilia-Romagna

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Cari colleghi,

come sapete si è concluso il 31 dicembre 2010,

il primo triennio di aggiornamento professionale

continuo (A.P.C.) che ha visto il nostro Ordine at-

tivamente impegnato a fornire agli iscritti sempre

nuovi argomenti di formazione.

Nonostante avessimo iniziato ad organizza-

re giornate formative già da una decina d’anni

abbiamo avvertito tutto il peso che ci derivava

dall’assunzione della obbligatorietà assunta da

tutti gli OORR e fatta propria dal CN.

Il meccanismo dell’obbligatorietà ha fatto regi-

strare un aumento delle presenze cui non ave-

vamo mai assistito negli anni precedenti oltreché

un certo numero di contestazioni. L’obbligatorie-

tà implica infatti necessariamente applicazioni di

sanzioni.

Il Regolamento APC licenziato inizialmente e mo-

dificato successivamente prevede molte deroghe

ma alla fine viene prevista comunque una san-

zione.

Per il raggiungimento dei crediti del triennio (cin-

quanta) è prevista una procedura piuttosto impe-

gnativa per gli OORR, che devono istruire la prati-

ca (corredata di tutto punto) e proporre il numero

di crediti previsti per ogni evento formativo. Il tut-

to viene poi inviato a Roma dove una Commis-

sione Nazionale APC verifica e delibera i crediti.

Considerato il numero di iniziative formative che

si tengono sul nostro territorio regionale da sog-

getti sia pubblici che privati (Geofluid a Piacenza,

Ecomondo e Geoitalia a Rimini, Saie a Bologna,

Remtech a Ferrara per fare qualche esempio) ca-

pite bene che abbiamo dovuto istituire un’appo-

sita commissione che ha lavorato a pieno regime

come d’altra parte quella nazionale.

Il meccanismo ci è parso per la verità piuttosto

farraginoso ed è sperabile che la nuova Com-

missione Nazionale APC, da poco insediata dal

nuovo CN, faccia proposte tese a semplificare il

tutto ed a uniformare gli eventi formativi (raziona-

lizzando gli argomenti proposti e utilizzando un

badge che permetta la registrazione immediata

degli eventi).

Il rischio che si corre è che si frequentino i corsi

più per raggiungere il numero di crediti previsti

che per l’effettivo interesse per gli argomenti.

A.P.C. e dintorni

Sta quindi agli OORR proporre dei solidi temi di

formazione eventualmente scambiandosi gli ar-

gomenti ed i relatori con iniziative di altri Ordini.

L’interesse di Oger non è infatti quello di sanzio-

nare né quello di fare perdere del tempo ai pro-

pri iscritti, ma quello di formare un professionista

sempre più preparato ed informato.

Il nostro Ordine ha insistito molto sulla premialità;

in poche parole a chi si aggiorna dovrebbe es-

sere riservato un vantaggio rispetto a chi non si

aggiorna. Questo può essere svolto dallo stesso

Ordine negli atti di sua discrezione (indicazione di

terne per CQAP, Terne per Esami di Stato ecc.) ma

perché sia efficace occorre che venga recepito da

norme regionali o nazionali di partecipazione ai

bandi. E qui dovrebbe intervenire il Consiglio Na-

zionale (di recente nomina) proponendo alle PPAA

una codifica in tale senso (è possibile?).

Se venisse recepita a livello normativo una pro-

posta del genere anche l’aspetto sanzionatorio

finirebbe per perdere di significato.

Tornando a noi, entro i primi di marzo gli iscritti

dovrebbero aver inviato la documentazione circa

l’assolvimento del debito formativo (o l’indicazio-

ne del non assolvimento per i motivi previsti dal

Regolamento). L’Ordine ha tempo fine a giugno

2011 per effettuare i controlli e per inviare le rela-

tive certificazioni.

Nel frattempo il Consiglio Nazionale a seguito di

indicazioni provenienti dalla Conferenza dei Pre-

sidenti degli OORR, tenutasi a Bologna nel feb-

braio scorso, ha concesso una proroga straordi-

naria (dato che il primo triennio era inteso come

sperimentale) di ulteriori 18 mesi (a partire dal 1°

giugno 2011) per consentire ai ritardatari di fare

fronte al proprio debito formativo.

Qualora alla scadenza dei 18 mesi l’iscritto non

abbia assolto l’obbligo dell’APC relativo al trien-

nio 2008-2010, gli OO.RR. commineranno nelle

forme previste la sanzione della sospensione, nel

rispetto delle previsioni dell’art. 14 della legge

616/1996 e dell’art. 40 delle Norme Deontologi-

che.

Colleghi ritardatari affrettatevi.

Maurizio Zaghini

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Come sappiamo1, fu il Prof. Antonio Targioni Tozzetti, do-cente di chimica presso l’Università di Firenze che, inca-ricato di analizzare le acque di Castrocaro nel corso del procedimento a carico del contrabbandiere locale Antonio Samorì, fu il primo nel 1830 ad auspicarne l’uso a scopo terapeutico per l’alto contenuto di sali di bromo e di iodio.

1. PRESENTAZIONEa cura di Marco Conti

1.1 Studio effettuato

Come è accaduto per gran parte delle grandi stazioni termali, la storia delle Terme di Castrocaro (figura 1.1) trova le sue origini nelle acque minerali che ancora oggi caratterizzano l’offerta terapeutica e di benessere di questa località di cura e soggiorno.Consapevoli dello stretto legame che nell’ambito del ter-malismo unisce la disponibilità della risorsa idrominerale con lo sviluppo e la continuità di un’azienda termale, le Terme di Castrocaro hanno inteso dotarsi di un docu-mento completo ed esaustivo sul proprio patrimonio idrogeologico, che racchiude quanto di più approfondi-to si possa concepire sulla storia delle fonti sfruttate in passato e su quelle oggi produttive. Il tutto sviluppato in un’ottica orientata ad un progetto di corretto sfruttamen-to delle risorse idrominerali di tutto il bacino acquifero, a garanzia della qualità dell’offerta curativa, del futuro aziendale e di quanto il termalismo rappresenta per l’in-dotto economico della realtà locale. Nel presente artico-lo è fornita una sintesi di questo lavoro.

1.2 170 anni di attività terapeutica

Quanto le acque minerali abbiano inciso sulla storia di Castrocaro è già evidente dall’antico nome della località, Salsubium, che deriva da “uber” e “salsus” cioè “luogo ricco di acque salse”. Sicuramente lo sviluppo sociale ed economico di Castrocaro sarebbe stato ben diverso se la cultura delle acque della salute ed il commercio dei sali non avessero avuto quell’impulso determinato anche dalla solerzia di alcuni studiosi che credo sia cor-retto ricordare.

Il patrimonio idrogeologico delle Terme di Castrocaro (Fc) - 1838-2008, 170 anni di attività

Giovanni Agostini1, Alberto Antoniazzi2, Aldo Antoniazzi2, Marco Conti3 1 Professore Associato di Terapia Medica e Medicina Termale, Università di Pisa2 Geologo, libero professionista3 Direttore Sanitario delle Terme di Castrocaro

Il presente articolo è tratto dall’opera pubblicata dalle Terme di Castrocaro nell’aprile 2008

1 M.Gori, U. Tramonti, Castrocaro Città delle Acque - 2002 Vespignani Editore, Castrocaro Terme.

Figura 1.1 – Il “tempietto” pompeiano per le cure idropiniche delle Ter-

me di Castrocaro.

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svilupparsi nel tempo sia per la ricchezza non comune di risorgive ad elevata mineralizzazione presenti nell’area di concessione mineraria delle Terme di Castrocaro, sia per le peculiarità qualitative di queste acque che, quan-do correttamente prescritte, agiscono efficacemente su numerosi disturbi ed affezioni assai diffuse.Le acque “salsobromoiodiche e sulfuree” ed i fanghi a maturazione naturale, preparati con le finissime “argille azzurre” tipiche di questa parte dell’Appennino, rappre-sentano a tutt’oggi i mezzi di cura a disposizione di tutti coloro che alle Terme di Castrocaro cercano un approc-cio preventivo, curativo e riabilitativo efficace nei con-fronti di numerosi disturbi che interessano l’apparato muscolo-scheletrico, le vie respiratorie, l’orecchio me-dio, la circolazione venolinfatica, l’apparato ginecologi-co e l’apparato gastroenterico.L’esperienza accumulata in tanti anni di incessante at-tività, ha dimostrato come l’equilibrato contenuto sa-lino delle acque salsobromoiodiche alla densità di 3-4 Baumè consente di utilizzarle per la balneoterapia sen-za alcuna diluizione e con ottima tollerabilità da parte dei pazienti. Al tempo stesso le acque sulfuree-salso-bromoiodiche a grado solfidrometrico medio, impiegate principalmente per le cure inalatorie, hanno evidenziato un’ottima risposta anche da parte dei bambini, tanto da rendere le Terme di Castrocaro le più frequentate della Regione da parte della popolazione infantile.Ma oggi, in epoca di Medicina Basata sull’Evidenza (EBM), la permanenza della Medicina Termale nell’ambi-to del mondo sanitario sembra continuamente vacillare: il giudizio entusiasta dei direttori sanitari e dei medici ter-mali, la devozione verso queste acque espressa senza esitazioni dagli operatori addetti alle cure impegnati nel-la costante e diligente assistenza a migliaia e migliaia di pazienti soddisfatti, appare insufficiente a convincere la scienza ufficiale sull’efficacia dei mezzi di cura termale.E’ quindi necessario proseguire nella ricerca scientifica, indirizzata in primo luogo alla perfetta conoscenza dei mezzi termali di cui si dispone, dei loro meccanismi d’azio-ne biologici, del monitoraggio delle loro caratteristiche.La garanzia nel tempo della disponibilità e della qualità dei suddetti mezzi di cura è quindi condizione indispen-sabile alla conservazione ed allo sviluppo delle attività termali. Pertanto, un’attenta e permanente azione di con-trollo e tutela del territorio sono obbligatoriamente parte integrante della strategia di ogni Azienda termale che, come le Terme di Castrocaro, disponga di un patrimo-nio idrogeologico di così ampia portata in cui tradizione,

Ma uno dei momenti decisivi per l’avvio del termalismo castrocarese fu certamente l’arrivo dei primi successi terapeutici che si registrarono esattamente 170 anni fa grazie al Dr. Corrado Taddei De Gravina, medico condot-to del Circondario di Rocca San Casciano, che nel 1838 portò a guarigione un grave ascesso con interessamento osseo alla mano di una giovane donna, trattandola con maniluvi di un’ora per tre volte al giorno per venti giorni. Ecco quindi già rappresentato fin da allora il ruolo basila-re del medico nella corretta gestione della cura termale e nell’assiduo controllo del paziente, ruolo che ebbe gran-de importanza sia nello sviluppo dell’attività termale loca-le, con determinante azione di indirizzo a favore di quegli imprenditori che intendevano investire in attività di cura sempre più organizzate e confortevoli, sia nell’incentivare l’espandersi del commercio delle acque minerali stesse.A confermare questi aspetti, sono giunte ad oggi nume-rose e tangibili testimonianze in cui colpisce l’assoluta fiducia nelle proprietà delle acque salsobromoiodiche di Castrocaro manifestata da parte di illustri clinici quali ad esempio il Prof. Maurizio Bufalini di Cesena, professore nella cattedra di Clinica Medica dell’Università di Firenze il quale, evidentemente, conosceva bene le azioni biologi-che di queste acque e ne prescriveva l’uso con meticolo-sa precisione. In una lettera2 del 4 agosto 1856 recapitata a Livorno alla madre di una sua giovane paziente colpita da “diatesi scrofolosa” (ingrossamento delle ghiandole linfatiche), oltre ad un’alimentazione a base di carne e ad esercizio fisico costante, consigliava: “…La Signorina

può fare benissimo i bagni tiepidi (non però caldi) con

acqua di mare in tinozza aggiuntavi però ancora acqua

salsoiodica di Castrocaro, dapprima nella quantità di un

sesto del totale, poi di un quinto, in seguito di un quarto,

ed infine anche di un terzo, variandone la proporzione

dopo ogni cinque bagni. Di questi direi prendesse soli tre

per settimana e sempre per l’intervallo di mezz’ora….”

In seguito la notorietà di Castrocaro e la fiducia della classe medica nei confronti delle acque minerali castro-caresi e nelle doti di accoglienza del luogo e degli ope-ratori locali, veniva confermata anche dal grande clinico dell’Ateneo Bolognese Prof. Augusto Murri, che in una lettera3 del 27 settembre 1916 ad una propria paziente, consigliava le cure alle Terme di Castrocaro con queste parole: “Gentilissima Signora, per i Suoi disturbi le con-

siglio le acque di Castrocaro, che nulla han da invidiare

alle altre consimili e che sono raccomandabili sia per la

buona direzione medica, sia per l’amenità del posto”.

Tale fiducia da parte del mondo medico ha continuato a

2 G. Lelli-Mami, Un caso clinico in alcune lettere di Maurizio Bufalini - Estratto da “STUDI ROMAGNOLI” L (1999) Stilgraf - Cesena, 2003.3 Archivio storico delle Terme di Castrocaro.

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storia e salute si integrano col vissuto sociale ed eco-nomico della comunità paesana e di tutta la Romagna.La gestione e lo sfruttamento di un bacino termale è anche cosa complessa, che coinvolge competenze tec-niche e scientifiche del tutto peculiari, nonché risorse economiche che devono essere necessariamente im-piegate in un ambito temporale sempre piuttosto lungo. E’ poi fondamentale che ogni azione scaturisca anche dalla profonda conoscenza del territorio stesso e dalla paziente e rigorosa classificazione di tutte le documen-tazioni disponibili, correlando conoscenze scientifiche con esperienze empiriche.Nel suo complesso, quindi, la presente opera rappre-senta senza alcun dubbio la base su cui proseguire e sviluppare la tradizione termale castrocarese che, ini-ziata ben 170 anni fa, trova oggi come allora un’impa-reggiabile alleata nella natura delle proprie colline e del sottosuolo, le cui argille e acque termali rappresentano quella grande risorsa che si ricollega sinergicamente a quanto il termalismo può concretamente offrire a favore della salute e della qualità della vita di ognuno di noi: prevenzione, cura, riabilitazione e promozione della cul-tura del benessere.

2. CARATTERI IDROGEOLOGICI DEI CAMPI MINE-RALI DELLE TERME DI CASTROCARO

a cura di Alberto Antoniazzi e Aldo Antoniazzi

2.1 Sviluppo dell’attività termale

Le acque minerali di Castrocaro Terme sono note da lun-go tempo, come attesta l’antico nome latino Salsubium4 della località, menzionato anche dall’umanista Flavio Biondo (1392-1463). Inizialmente sono state utilizzate per estrarne sale da cucina ed anche oggetto di con-trabbando tra il Granducato di Toscana, che deteneva il monopolio sul sale, ed il vicino Stato Pontificio (Forlì). L’arresto, il 29 dicembre 1829, di un misero contrabban-diere (Antonio Samorì) con una botticella d’acqua salata, attinta da un fosso locale, ne ha fatta riconoscere l’im-portanza. Infatti, durante il procedimento penale, il Prof. Antonio Targioni-Tozzetti dell’Università di Firenze ne ha riconosciuto le proprietà ed auspicato l’uso terapeutico5.I positivi risultati dei primi impieghi sperimentali di que-ste acque, malgrado l’incerta fortuna, ne hanno però im-posto il nome e le virtù curative. L’effettivo sviluppo al termalismo locale è merito di Aristide Conti (1836-1927).

La sua attività, iniziata a Castrocaro nel 1871 con un mo-desto stabilimento per bagni ed un impianto per l’estra-zione di sali bromoiodici, si è gradualmente sviluppata con lo spostamento della produzione dei sali in località Cozzi (1884), con la valorizzazione delle sorgenti di Bol-ga e con lo sviluppo a Castrocaro di un notevole com-plesso termale dotato di un parco alberato di otto ettari. Nel 1924, all’interno di questo parco, è stato edificato anche il Tempietto pompeiano, un’edicola per le cure idropiniche, in cui veniva erogata la tradizionale acqua Salsubia, occasionalmente denominata Littoria in onore al regime vigente.Nel 1936, in seguito a vicissitudini finanziarie, aggravate dalla crisi economica del 1929, le Terme di Castroca-ro sono state demanializzate e le sue strutture edilizie sono state in gran parte sostituite dal nuovo Stabilimen-to termale con annesso Albergo di prima categoria. Il successivo sviluppo ha poi portato il complesso edilizio all’assetto attuale. La relativa concessione mineraria (fi-gura 2.1) si estende su circa 2.357 ettari, ricadenti es-senzialmente nel Comune di Castrocaro Terme e Terra del Sole, ma anche in limitate aree limitrofe dei Comuni di Dovadola e di Predappio.

4 Luogo ricco di acque salse, nome composto da uber e salsus.5 Targioni-Tozzetti Antonio, Memoria sulle acque minerali di Castrocaro, letta alla Società Medico Fisica Forentina, nel 1838, in “Gazzetta Toscana delle

Scienze Medico-fisiche”, 1838, anno I, n. 20, p. 197.

Figura 2.1 – Concessione di coltivazione delle sorgenti di acqua mine-rale delle Terme di Castrocaro. L’area individuata dalle lettere r – s – t – u è esclusa dalla concessione.

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2.2 Lineamenti geologici del territorio

La ridente ed ubertosa area collinare, nel cui fondovalle, solcato dal fiume Montone, si è sviluppata Castrocaro Terme, deve il suo attuale aspetto ad una successione di eventi geologici, verificatisi negli ultimi undici milioni di anni della storia della Terra, ossia dal Miocene ad oggi. In questo ambito collinare la concessione mineraria del-le Terme di Castrocaro interessa il territorio collinare tra Dovadola e Terra del Sole, solcato dal fiume Montone e situato sul livello marino tra i 371 metri di Monte Cerreto e i 55 metri di Molino Rivalta, ove affiorano rocce for-matesi dal Tortoniano ad oggi. La natura e la reciproca posizione di queste masse litologiche condiziona, diret-tamente o indirettamente, l’origine e la permanenza nel sottosuolo delle acque minerali utilizzate dall’impianto termale. A monte di Castrocaro, nell’ambito della concessione termale, l’incisione del fiume Montone ha posto in luce le più antiche rocce locali, originatesi nel Tortoniano, tra 11 e 6,5 milioni di anni fa, durante l’ultima fase di deposito della Formazione Marnoso-Arenacea (FMA): una successione sedimentaria, caratterizzata da pac-chi di strati paralleli, ove si alternano in prevalenza livelli arenacei e argilloso marnosi, depositatasi in un antico mare, rappresentato da un bacino stretto ed allungato al margine esterno della catena appenninica in formazio-ne verso ovest. Si trattava di un’avanfossa coperta dal mare, il cui fondo si trovava ad almeno 1.000 metri sotto la superficie6. La Formazione Marnoso-Arenacea è un deposito tor-biditico, dovuto essenzialmente al ripetuto deposito di masse sabbiose e fangose su fondali marini profondi. In realtà questi materiali si erano già sedimentati in aree relativamente poco profonde prossime alla costa (piat-taforma continentale), ma poi, ancora incoerenti, sono stati nuovamente posti in sospensione nell’acqua ma-rina a causa dell’equilibrio precario conseguente ad un eccessivo accumulo o da scosse sismiche. Le dense correnti torbide, così formatesi, scese lungo la scarpata continentale e, raggiunto il suo piede, dotate di molta energia cinetica, si sono poi ampiamente estese sui fon-dali marini profondi, prima di lasciar decantare su di essi inizialmente le frazioni più grossolane, prevalentemente

sabbiose, poi i sedimenti più fini. Nei lunghi intervalli di tempo, intercorrenti tra l’arrivo di una corrente torbida e della successiva, negli stessi fondali procedeva inoltre il lento e regolare deposito dei minuti sedimenti emipela-gici7 di mare profondo spesso ricchi di organismi plan-ctonici (foraminiferi, pteropodi ecc.). Benché in questa Formazione siano relativamente scarsi i resti fossili di al-tro tipo, è documentato che nel mare, ove si è sedimen-tata, erano presenti cetacei, pescecani, pesci di vario genere, nautiloidi ecc., mentre sui fondali altri organismi hanno lasciato tracce di passaggio e gallerie. Nella zona in esame affiorano Membri della Formazione Marnoso-Arenacea, attribuiti al Tortoniano. Localmente tendono a dominare, specie verso Castrocaro, litofacies arenaceo-pelitiche in genere poco cementate, contrad-distinte da alternanze di arenarie medio fini e di peliti spesso siltose e sabbiose, tra le quali sono intercala-ti sottili livelli emipelagitici. Il rapporto arenaria pelite è dell’ordine di 2:1. Nella zona di Dovadola tale rapporto tende, invece, a ridursi (1:1 o 1:2 e talvolta inferiore), mentre diviene più importante la presenza delle emipe-lagiti ossia dei depositi non risedimentati. Della successione stratigrafica, depositatasi nel succes-sivo Messiniano, all’incirca tra 6 e 5 milioni di anni fa, nell’area della concessione termale affiora solo la parte terminale, rappresentata dai terreni argillosi e sabbiosi, con inclusi accumuli caotici di gesso, della Formazione di Tetto (GHT) e dalla sovrastante successione argillo-so marnosa con intercalazioni sabbiose e ghiaiose della Formazione a Colombacci (FCO)8. Gli accumuli caotici di gesso sono probabilmente dovuti a frane subacquee, verificatesi durante il deposito della Formazione di Tetto, che hanno coinvolto rocce della Formazione Gessoso Solfifera, che in precedenza si era sedimentata in se-guito all’evaporazione di acque salate in una situazione ambientale attribuita, in generale, al disseccamento del Mediterraneo. Allora le attuali aree montane ed alto col-linari romagnole erano emerse e verdeggianti ed ospita-vano cavalli, carnivori, insettivori, scimmie, uccelli e ret-tili; anche nel mare non mancavano isole lussureggianti.Circa 5 milioni di anni fa il mare si è nuovamente esteso su vaste aree precedentemente emerse ed è iniziato il deposito delle Argille Azzurre9 del Pliocene inferiore – Pleistocene inferiore, il cui nome risale a Leonardo da

6 CREMONINI GIORGIO: Note illustrative della carta geologica d’Italia alla scala 1:50.000. Foglio 254 Modigliana, Servizio geologico d’Italia, Roma, 2001, p. 14. 7 Deposito formato dal lento accumulo, su questi antichi fondali marini, di resti di organismi pelagici, che nuotavano o venivano trasportati dalle correnti

lontano dal fondo, e da materiali clastici molto fini, costituiti da frammenti litologici e minerali derivati dall’erosione di rocce e di suoli presenti nelle terre

emerse.8 Questa Formazione deve il proprio nome alla presenza di alcuni caratteristici orizzonti di calcari biancastri, detti “colombacci”, formati da calcari e

calcari marnosi, micritici, in strati sottili, con intercalati strati molto fini di peliti con lamine calcaree.9 CITA M. B., ABBATE E., BALINI M., CONTI M. A., FALORNI P., GERMANI D., GROPPELLI G., MENETTI P., PETTI F. M.: Carta geologica d’Italia 1:50.000. Catalogo

delle formazioni tradizionali (2), Quaderni del Servizio Geologico d’Italia, serie III, n. 7 (VII), Roma, 2007, pp. 318-330.

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Vinci. Si tratta di rocce costituite in prevalenza da argille, argille marnose e marne argillose, molto siltose, di colore grigio o grigio azzurro. Nella cartografia geologica esse sono anche indicate con la sigla FAA. Spesso in queste rocce abbondano i fossili di organismi marini, rappre-sentati nella zona in esame soprattutto da conchiglie di molluschi. Alla fine del Pliocene inferiore, circa 4 milioni di anni fa, si è verificata un’ulteriore emersione del territorio e il con-seguente processo erosivo ha operato in modo variabi-le sulle masse litologiche precedentemente depostesi. Nelle parti più sollevate ed esposte è giunto a porre in luce rocce di pertinenza della Formazione Marnoso-Are-nacea, altrove è riuscito invece ad intaccare solo le Ar-gille Azzurre oppure ad esporre i depositi messiniani ad esse sottostanti. Si è così creata una lacuna nella serie dei terreni, corrispondente ai materiali asportati dall'ero-sione. Questa emersione, considerando i tempi geologici, è durata poco ed il mare è nuovamente avanzato sulle terre emerse, come documenta lo Spungone (SPG): un calcare organogeno ed arenaceo del Pliocene inferiore medio. Si tratta di un deposito di mare basso, prossimo alla costa: una scogliera sottomarina ricca di vita, in cui abbondavano alghe calcaree, foraminiferi, lamellibran-chi, gasteropodi, ricci di mare, granchi ecc., evidente in tutto il suo spessore nella suggestiva forra del rio dei Cozzi10 (figura 2.2), che lo attraversa interamente fino a raggiungere la Formazione Marnoso-Arenacea basale. Su questo calcare, esteso nella bassa collina da Brisi-ghella a Capocolle, attraverso le alture di Castrocaro, di Rocca delle Caminate, di M. Pallareto, di M. Casale e di M. Maggio, sorge anche la rocca di Castrocaro. La sedimentazione dello Spungone è cessata quando il mare è nuovamente divenuto più profondo ed è ripreso il deposito delle Argille Azzurre, continuato poi ininter-rottamente fino a quasi un milione di anni fa. In queste rocce l’inizio del Quaternario è segnato solo dalla com-parsa di fossili marini testimonianti il raffreddamento del Mediterraneo, come riscontrabile nei calanchi del rio Monticino (figura 2.3), e quindi l’inizio dell’alternanza di fasi glaciali ed interglaciali, più calde, che hanno con-traddistinto il Pleistocene. Il definitivo allontanamento del mare dalle nostre zone è testimoniato dalle “Sabbie Gialle”, che si estendono a fascia nella zona pedecollinare romagnola e documen-tano l’esistenza di un’antica spiaggia sabbiosa solcata dai depositi deltizi dei vecchi fiumi appenninici. I resti di

questa spiaggia possono essere osservati anche in loca-lità Sabbioni, poco a sud ovest di Castrocaro. Oltre 800-900 mila anni fa questa costa era abitata da paleolitici affini all’uomo di Ceprano, la cui calotta cranica è stata recentemente rinvenuta nel Lazio. Il loro insediamento di Monte Poggiolo ha fornito importanti informazioni in merito all’attività di queste antiche popolazioni.

10 Essa attraversa l’intero spessore dello Spungone, mettendo in luce il suo appoggio sulla Formazione Marnoso-Arenacea e mostrando così che, pri-

ma del suo deposito, l’erosione verificatasi sulle terre emerse aveva localmente asportato le meno antiche rocce del Pliocene inferiore e del Messiniano.

Figura 2.2 – Affioramento del calcare organogeno ed arenaceo Spungo-ne nella gola dei Cozzi. Questa roccia, nel sottosuolo dei campi idromi-nerali, contiene le acque utilizzate dalle Terme.

Figura 2.3 – Calanchi incisi nelle Argille Azzurre presso il rio Monticino. Queste argille, praticamente impermeabili, sovrastano lo Spungone e nel sottosuolo dei campi idrominerali confinano e proteggono dall’inqui-namento le acque minerali in esso contenute.

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L’ultima significativa fase orogenetica, che praticamente ha interessato il territorio in esame, ha sollevato il ter-ritorio, ha conferito alla successione plio-pleistocenica un’immersione verso settentrione ed ha provocato la definitiva emersione della zona. Si è così attivato il pro-cesso erosivo all’origine della sua attuale morfologia col-linare, in cui si succedono, procedendo da monte verso valle, l’erto rilievo marnoso-arenaceo e il dolce paesag-gio della collina argillosa, talvolta inasprito dai calanchi e dai limitati e dominanti affioramenti calcarei. Il model-lamento finale del territorio è stato però caratterizzato anche da fasi sedimentarie. Infatti, depositi alluvionali, abbandonati dal fiume Montone, affiancano il suo corso col tipico aspetto di fasce pianeggianti, poste a diver-sa altezza sul fondovalle. Su questi sedimenti, in genere ghiaiosi alla base ed in alto limosi, ricade, tra l’altro, la parte più recente dell’abitato di Castrocaro ed il grande parco delle Terme.Un quadro d’assieme della situazione geologica locale è offerto dalla figura 2.4.

2.3 Acque sotterranee

La ricchezza idrominerale di Castrocaro è stata inizial-mente rivelata da sorgenti, dovute alla naturale risalita di acque sotterranee in pressione lungo fenditure delle rocce, come a Castrocaro o a Bolga, oppure allo spon-taneo deflusso di falde idriche contenute nelle masse litologiche incise dalla superficie topografica, come nel Rio dei Cozzi e nel Rio Borsano.Oltre un secolo di ricerche ha poi consentito d’individua-re vari campi idrominerali nell’ambito della concessione delle Terme di Castrocaro (figura 2.5). Attualmente sono in esercizio quelli in località Castrocaro Terme, Bolga e Cozzi, che erogano acque salso bromo iodiche solfuree e salso bromo iodiche. Questa risorsa idrica proviene da una successione litologica, sprofondante gradualmente nel sottosuolo procedendo verso nord, con alla base il calcare organogeno ed arenaceo Spungone ed in alto le Argille Azzurre. Le acque minerali saturano le porosità del calcare e vi sono confinate e protette dall’inquina-mento dalla sovrastante potente coltre argillosa, prati-camente impermeabile.Nel campo minerale di Castrocaro Terme (figura 2.6), la parte superiore di questa successione litologica, rap-presentata dalle Argille Azzurre, è ulteriormente coperta da un deposito alluvionale dello spessore di 6-9 me-tri. In questa zona le acque minerali, estratte mediante pozzi, giungono alla superficie per salienza naturale. Lo Spungone, che le contiene, viene raggiunto, a seconda delle posizioni, tra i 25 e i 48 metri sotto la superficie, dopo aver attraversato le alluvioni e la potente coltre argillosa, che separa nettamente le acque dolci super-ficiali da quelle mineralizzate profonde. In questo cam-po minerale sono attualmente in esercizio sei pozzi (S. Anna I, S. Anna II, Beatrice, Poggiolini, Poggiolini II e Salubria).Nel campo minerale Bolga, privo della più recente co-pertura alluvionale, le Argille Azzurre affiorano diret-tamente in superficie. Nella zona sono attualmente in esercizio due pozzi (Casetta I bis e Casetta III), che prelevano le acque minerali, rispettivamente confinate nello Spungone a 72 e a 124 metri nel sottosuolo. An-che in questa zona la risorsa idrica presenta una certa salienza naturale, ma non raggiunge spontaneamente la superficie.Nel campo minerale Cozzi l’acqua utilizzata dalle Terme proviene come negli altri casi dallo Spungone, protetto da una copertura argillosa. In esso è in esercizio solo il pozzo Aristide Conti con la relativa galleria di captazio-ne, scavata nella roccia a 18-20 metri sotto il piano di campagna.

Figura 2.4 – Carta geologica della concessione delle Terme di Castro-caro.

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Il calcare organogeno ed arenaceo Spungone, che co-stituisce la roccia serbatoio della risorsa idrica utilizzata dalle Terme, raccoglie acque, risalenti dalla Formazione Marnoso-Arenacea o in essa mineralizzatesi, miscelate a quelle che, infiltratesi dalla superficie, si sono arric-chite durante un prolungato cammino sotterraneo nei depositi evaporitici messiniani11. Acque salate, dotate di salienza naturale e con tracce di metano ed ammo-

niaca, sono state, infatti, riscontrate nella Formazione Marnoso-Arenacea, presente nel sottosuolo locale, durante la terebrazione presso Converselle di un poz-zo S.P.I. avanzato ad oltre 700 metri nel sottosuolo12. Il prof. Tino Lipparini13 ha precisato che si tratta di acque fossili, residuo del mare originario, rimaste intrappola-te nei sedimenti appena deposti di questa Formazione. Queste acque, ed anche quelle eventualmente infiltra-

Figura 2.5 – Campi idrominerali individuati nell’ambito della concessione delle Terme di Castrocaro.

Figura 2.6 – Sezione geologica del campo idrominerale di Castrocaro Terme con indicata l’ubicazione dei pozzi Paola, Mazzini, S. Anna I e Poggiolini.

11 Il contributo dello Spungone alla mineralizzazione di queste acque appare poco significativo.12 Dove affiora la Formazione Marnoso-Arenacea non è infrequente rinvenire piccole sorgenti di acque minerali (salate, solfuree, ferrugginose ecc.) ed anche emanazioni metanifere.13 Lipparini Tino, Relazioni sulle acque mineralizzate di Castrocaro, 1979 e 1984, inediti presso l’archivio delle Terme.

SEZIONE GEOLOGICA

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tesi in queste rocce dalla superficie, possono poi dive-nire solfuree in seguito all’alterazione di micronoduli di pirite (solfuro di ferro). Il metano e l’ammoniaca, imme-diatamente dispersi nell’atmosfera appena raggiunta la superficie, derivano, invece, dalla trasformazione di so-stanze organiche, anch’esse imprigionate nei sedimenti originari.I depositi evaporitici del Messiniano, affioranti o presenti nel sottosuolo di pertinenza della concessione Terme di Castrocaro, concorrono a loro volta alla mineralizzazio-ne delle acque sotterranee, provenienti sia dal substrato marnoso-arenaceo, sia dalla superficie, arricchendole anche in acido solfidrico in seguito all'alterazione del gesso (solfato di calcio) e di micronoduli di pirite, che figurano anche in queste rocce.Nell’ambito della concessione mineraria delle Terme di Castrocaro restano da citare i campi minerali Medica-na e Valle di Mezzo, attualmente non utilizzati. Il primo, ove non figura lo Spungone, eroga acque salso iodico alcalino terrose derivate da acque, che, penetrate dal-la superficie entro rocce messiniane, hanno disciolto i sali in esse presenti. Il campo Valle di Mezzo fornisce, invece, acque potabili bicarbonato alcalino terrose do-vute ad acque di superficie, penetrate ed ospitate dallo Spungone, ove sono debolmente mineralizzate da que-sta roccia ricca di carbonati di calcio e di magnesio, di fosfato di calcio ed anche di silice.Vanno poi ricordate anche le acque salso solfuree, sgor-ganti nel Rio Borsano, e quelle solfato alcalino terrose, rinvenute nel Rio Cozzi presso il bivio per Converselle. Acque dolci, ad uso lavanderia, irrigazione ecc., sono, infine, prelevate nelle alluvioni superficiali prossime al fondovalle, ove la falda freatica è spesso in connessio-ne col subalveo fluviale.

2.4 Acque minerali utilizzate

Già nel 1921 le acque dei campi minerali di Castrocaro Terme, di Bolga e di Cozzi erano captate rispettivamente dai pozzi Salsubia, Ascensione e Aristide Conti. Le loro caratteristiche chimico-fisiche, che corrispondono ai tipi fondamentali delle acque minerali ancor oggi utilizzate dalle Terme, sono state definite dal Prof. Giuseppe Bo-namartini14. Egli ha, tra l’altro, dimostrato che la loro dif-ferenza dipende esclusivamente dal grado di diluizione ed ha considerato questo fatto come una fondamentale dimostrazione chimico-fisica «della comune origine di

queste acque e della identica struttura geologica del ter-

reno nel quale questo ceppo idrominerale si arricchisce

delle sue proprietà fisiche e chimiche».

L’identità della situazione geologica dei tre campi mine-rali in oggetto è stata poi convalidata, com’è già stato detto, sia dai successivi rilievi geologici, suffragati anche da indagini geofisiche, sia dalle conoscenze sul sotto-suolo acquisite durante l’esecuzione di vari pozzi e son-daggi. Fino ad oggi sono stati, infatti, perforati 13 pozzi nel campo minerale di Castrocaro Terme, di cui cinque ancora in esercizio, e 21 pozzi in località Bolga, di cui due ancora in attività. In località Cozzi è rimasto, invece, attivo solo il tradizionale pozzo Aristide Conti. La terebrazione di nuovi pozzi è stata spesso imposta dalla graduale, ma progressiva, riduzione di portata di quelli esistenti. Questo fenomeno non deriva da carenze di risorse idrominerali, perché, nella quasi generalità dei casi, ogni ulteriore terebrazione ha consentito di ottene-re nuovamente buone portate idriche ed acque di chimi-smo affine a quelle della fonte esaurita. È dovuto, invece, all’intasamento dei filtri dei pozzi in esercizio, in seguito alla formazione di incrostazioni calcaree e al deposito di materiali argillosi, oppure alla scarsa penetrazione della captazione nel calcare mineralizzato. In alcuni casi que-ste cause sono state concomitanti. La comune origine di queste acque, riconosciuta dal Bonamartini, ha trovato conferma col riconoscimento della loro derivazione dalla miscela di acque fossili sa-late e gas, salienti dalle sottostanti rocce mioceniche (Formazione Marnoso-Arenacea e depositi evaporiti-ci messiniani), con acque, provenienti dalla superficie, mineralizzatesi durante il cammino sotterraneo entro le formazioni attraversate. Anche i tre tipi fondamentali di acque minerali, erogate dai pozzi Ascensione, Salsubia e Aristide Conti e deri-vati dalla diluizione dell’acqua mineralizzata originaria, come dimostrato dal Bonamartini, si sono mantenuti nel tempo. Lo ha chiaramente evidenziato il confronto delle analisi chimiche, effettuate durante gli oltre ottanta anni d’esercizio dei campi idrominerali Terme di Castrocaro, Bolga e Cozzi. L’insieme di questa documentazione ha mostrato non solo la loro presenza in campi minerali di-versi da quello originariamente considerato, ma anche la loro possibile coesistenza a breve distanza in uno stesso ambito territoriale. A riprova dell’esistenza di acque simili in campi mine-rali diversi, ma con la stessa situazione idrogeologica, si può ricordare che la salinità delle acque erogate dal pozzo Poggiolini II a Castrocaro Terme e Casetta I bis e

14 Bonamartini G., Studio analitico chimico-fisico e fisico sulle acque minerali di Castrocaro (“Aristide Conti” – “Ascensione” – “Salsubia”), estratto

da “L’Idrologia, la Climatologia e la Terapia Fisica”, Anno XXXIII, n. 5, stampato a Pisa dalle Arti grafiche Nistri. Questo lavoro, originariamente presentato

al Congresso d’Idrologia, Climatologia e Terapia fisica del 1921, è stato ristampato nel 1938 dalla Tipografia Moderna di Castrocaro.

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Casetta III a Bolga è analoga a quella della risorsa idri-ca fornita dal pozzo Aristide Conti in località Cozzi. La stessa cosa si può dire delle acque elargite dai pozzi Be-atrice II e Poggiolini a Castrocaro Terme nei confronti di quelle del pozzo Ascensione a Bolga, sia pure con valori attualmente meno accentuati.La possibile coesistenza a breve distanza di acque mi-nerali di diversa tipologia, ma rientranti nelle categorie definite da Bonamartini, è evidenziata dal fatto che, ad esempio a Castrocaro Terme dal pozzo Poggiolini II sgorgano acque analoghe a quelle del pozzo Aristide Conti dei Cozzi, mentre dai pozzi Beatrice II e Poggiolini sono erogate acque affini a quelle del pozzo Ascensione a Bolga. La stessa cosa si riscontra a Bolga ove i pozzi Casetta I bis e Casetta III presentano acque affini a quel-le del pozzo Aristide Conti dei Cozzi. In uno stesso campo minerale spesso è stata anche ri-scontrata una grande continuità nel tempo della tipolo-gia delle acque erogate. Questo, ad esempio, è avve-

nuto a Castrocaro Terme per l’acqua dai pozzi Salsubia (Littoria) - Salubria e S. Anna I e II, nonché ai Cozzi per l’acqua fornita dal pozzo Aristide Conti.Le analogie tra le acque erogate dai campi idrominerali in esame sono chiaramente evidenziate dal grafico con-

cernente il residuo fisso (figura 2.7).La struttura geologica nella quale le acque minerali ori-ginarie si differenziano per diluizione, assumendo le pe-culiarità fisiche e chimiche riconosciute dal Bonamartini, ed in cui risultano variamente distribuite, è rappresen-tata, com’è già stato rilevare, dallo Spungone. La mas-sa di questo calcare, che funge da roccia serbatoio, è contraddistinta da irregolari differenze di porosità e di cementazione, nonché da faglie15, che rendono molto dissimile, anche in zone assai vicine, la sua permeabilità. Questa situazione rende al suo interno particolarmente tormentata e complessa la circolazione idrica e condi-ziona anche la penetrazione e la diffusione delle acque dolci infiltratesi dalla superficie, che finiscono così col

15 Fratture delle rocce con scorrimento reciproco delle parti disgiunte.

Figura 2.7 – Il grafico pone in evidenza la persistenza nel tempo dei tipi fondamentali di acque minerali, utilizzati dalle Terme di Castrocaro, e la loro contemporanea presenza in campi minerali diversi, perché derivati da un’unica risorsa idrica originaria, che raggiunge, spontaneamente e in condizioni naturali, gradi di diluizione differenti a seconda delle variabili caratteristiche di permeabilità dello Spungone.

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raggiungere e diluire in modo diverso le acque minera-lizzate provenienti dal substrato miocenico. Questo giu-stifica anche le forti differenze, nella salienza naturale e nel chimismo (acque da dolci a molto salate oppure più o meno solfuree), talvolta riscontrate in pozzi e sondag-gi terebrati anche a brevissima distanza l’uno dall’altro, nonché l’analogia della risorsa idrica erogata in zone di-verse, ma geologicamente analoghe.Quanto esposto mostra come l’operosa fatica di gene-razioni di geologi sia riuscita a fornire un coerente inqua-dramento in merito all’origine di una risorsa idrica, la cui valorizzazione ha dato lustro a Castrocaro Terme ed ha ridonato la salute a tante persone.

2.5 Riferimenti bibliografici

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magnolo in scala 1:10.000, sezione 254070 (Dovado-

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emiliano-romagnolo in scala 1:10.000, sezione 254040 (Castrocaro

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la loro utilizzazione, Pubblicazione n. 41 del “Centro di Studio della Genesi Classificazione e Cartografia del Suolo del Consiglio Nazio-nale delle Ricerche”, 1978 [allegate: Carta dei suoli della Provincia di

Forlì in scala 1:100.000 e la Carta delle limitazioni nell’uso dei suoli

della Provincia di Forlì in scala 1:100.000].

ANTONIAZZI Alb., ANTONIAZZI Ald.: Il patrimonio idrogeologico delle Terme

di Castrocaro, 2008, inedito presso la sede termale.

BONAMARTINI G.: Studio analitico chimico-fisico sulle acque minerali di

Castrocaro (“Aristide Conti” – “Ascensione” – “Salsubia”), estratto da “L’Idrologia, la Climatologia e la Terapia Fisica”, Anno XXXIII, n. 5, Nistri, Pisa, 1921.

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CREMONINI G.: Note illustrative della carta geologica d’Italia alla scala

1:50.000. Foglio 254 Modigliana, Servizio Geologico d’Italia, Roma, 2001, e relativa carta geologica.

CREMONINI G., Elmi C.: Carta Geologica d'Italia in scala 1:100.000: foglio

99 (Faenza), Servizio Geologico d'Italia, 1969.

CREMONINI G, Elmi C.: Note illustrative della Carta Geologica d'Italia

in scala 1:100.000: foglio 99 (Faenza), Servizio Geologico d'Italia, Roma, 1971.

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mo-jodiche di Castrocaro di proprietà del Cav, Aristide Conti, Ca-strocaro, Tipografia Moderna, 1923.

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LIPPARINI T.: Terreni interessati dalle mineralizzazioni utilizzate dalle Ter-

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TARGIONI-TOZZETTI A.: Memoria sulle acque minerali di Castrocaro, letta

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TOMADIN L.: Le argille plio-pleistoceniche del Santerno nel quadro della

sedimentazione neogenica del bacino romagnolo, Giornale di Geo-

logia, (2) XXXV, fascicolo IV, Bologna, 1969.

3. RELAZIONE SULLE ANALOGIE CHIMICO-FISICHE E FARMACOLOGICHE DELLE ACQUE MINERALI DEL BACINO TERMALE DI CASTROCARO TERME (FC)

a cura di Giovanni Agostini

3.1 Premessa

La ricchezza non comune di risorgive ad elevata mi-neralizzazione presenti nell’area di concessione mine-raria delle Terme di Castrocaro ha posto, non di rado, problemi di scelta circa le utilizzazioni più opportune da effettuare in ambito terapeutico termale.Una tale scelta, più che da una valutazione grossolana e imprecisa delle componenti saline, dovrebbe deriva-re da prove sperimentali effettuate su casistiche ben selezionate e statisticamente significative. In realtà tale presupposto è obbligatorio e acquista significato quando si studia un mezzo idrico di recente captazio-ne, ma non ha senso nel caso di un complesso terma-le attivo da circa un secolo e validato dai risultati cli-nici positivi verificati su decine di migliaia di soggetti, portatori delle più diverse affezioni.Purtroppo, la lunga storia burocratico-amministrativa delle Terme di Castrocaro, unitamente a necessità contingenti, (ad esempio portata delle scaturigini, mi-gliore o più conveniente adduzione allo stabilimento etc.) e, forse, una non adeguata conoscenza della na-tura del bacino idrogeologico, hanno indotto a “fossi-lizzare” l’impiego di talune emergenze su metodiche applicative e indirizzi terapeutici che, in realtà, sono tipici di tutte le acque afferenti al medesimo sistema idrogeologico.Così le varie autorizzazioni prefettizie o ministeria-li hanno consentito l’uso delle acque della Sorgente Ascensione e del Pozzo Aristide Conti per la balne-oterapia (D.M. dell’Interno del 16/07/1925), poi este-so alla terapia inalatoria, alla maturazione di peloidi (fanghi) e all’estrazione di sali. (Decreto Prefettizio del 1940). Successivamente, con il Decreto del Ministero della Salute del 1991, l’acqua A.Conti viene autoriz-zata anche per irrigazioni rettali e vaginali, mentre la fonte Salsubia è autorizzata per le insufflazioni endo-timpaniche. Accanto a tali riconoscimenti sono infine utilizzati per la sola balneoterapia i laghetti della Bolga (ex Sorgente Ascensione con le emergenze denomi-

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nate Casetta 1 e Casetta 3), mentre i Pozzi Poggiolini trovavano impiego nelle terapie inalatorie.Per porre fine a questa altalena di impieghi, per una piena conoscenza delle potenzialità produttive del ba-cino idrico, per un computo definitivo delle scaturi-gini ivi emergenti e, soprattutto, per una valutazione delle reali possibilità di impieghi terapeutici presenti e futuri delle molteplici emergenze, la Società Terme di Castrocaro S.p.A., ha intrapreso una serie di ricerche idrogeologiche sulle quali si basa anche il razionale del presente contributo. Da tali indagini, affidate allo Studio Associato di Geologia Tecnica e Ambientale Antoniazzi di Forlì, sono emersi elementi che pongo-no in una luce del tutto nuova il problema del Bacino Idrico di Castrocaro Terme. La Relazione, composta da ben 15 diversi Allegati di non comune profondità, ricchezza documentale e accuratezza dei rilievi effet-tuati “sul campo”, mostra senza alcun dubbio un le-game di fondo tra le molteplici venute idriche che, tra sorgenti e pozzi, superano la trentina, anche se rilievi effettuati tra il 1961 e il 1963 hanno evidenziato ben “57 tra pozzi di profondità variabile tra i 3 e i 15 metri e qualche sorgente”, di cui 51 riferiti in Relazione16, che prendono in considerazione la situazione della falda idrica superficiale e zone con acque potabili debol-mente mineralizzate.

3.2 Considerazioni generali sull’origine, la variabilità e la formazione delle acque minerali

Negli anni hanno perduto validità molti convincimenti: dal “Quid divinum”, all’idea di “acque juvenili” o di “ac-que fossili” si è pervenuti al convincimento che tutte le acque sotterranee abbiano un’origine meteorica. Tutte nascono eguali, come acque piovane. E’ il loro destino sotterraneo che le rende diverse, in rapporto al tempo di permanenza tra le rocce, in relazione alla natura stessa dagli strati geologici attraversati, alla velocità di circolo o alla temperatura del sistema. Tutte variabili che ren-dono impossibile reperire, in “campi” idrici diversi, due acque assolutamente identiche tra loro. Di questo c’è oramai un’assoluta certezza. Meno noto è che neppure la “stessa acqua” è sempre la “stessa” visto che, nella sua formazione, il primum movens è l’indice di piovosità sul bacino di ricarica, intendendo come tale non solo il quantitativo annuale d’acqua caduta, ma anche l’inten-sità o la stagionalità con la quale si verificano le pre-cipitazioni. L’interesse di questo parametro è tale che,

per un riconoscimento ministeriale, la composizione chimico-fisica di una nuova acqua minerale deve essere validata con quattro prelievi stagionali accompagnati da precise indicazioni delle condizioni meteoriche del mo-mento e dei giorni precedenti l’atto del prelievo.E’ ovvio che una costanza dei parametri è garanzia di protezione della falda. Tuttavia non va dimenticato che, talora, il bacino idrico può presentare molteplici stratifi-cazioni (come nel caso dell’area di concessione minera-ria delle Terme di Castrocaro) nelle quali possono pre-sentarsi modificazioni significative del contenuto salino, del tipo di roccia (sedimentaria, metamorfica, argillosa etc.) o dei depositi organogeni (ad esempio lenti di torba e loro entità). Nel caso in oggetto - lo vedremo tra poco - un pozzo esplorativo effettuato in area di concessione, ha mostrato un contenuto salino di valore crescente dal basso verso l’alto, lungo tutti gli oltre 500 metri del ca-rotaggio, variazione più che sufficiente per giustificare, addirittura, il raddoppio del contenuto salino, vista l’alta solubilità del salgemma.È ovvio che debbano esistere limiti alle modificazioni strutturali delle sorgenti e queste devono essere valutate con indagini seriate nel tempo. Così, per quanto riguarda Castrocaro Terme, gli unici parametri veramente anomali concernenti i dati analitici raccolti nelle Tabelle successi-ve, sono sicuramente dei refusi.Ci riferiamo, per la precisione, al rapporto Ca/Mg eviden-ziato per i Pozzi denominati Casetta 1 e Casetta 3 (ta-bella 3.1), miscelati nei laghetti della Bolga (tabella 3.2), nell’accertamento conservato agli atti relativo all’anno 2006 (si confronti la tabella relativa). In questa il citato rapporto risulta pari a 350/440. Successivamente citia-mo il valore del solfato (SO4--) pari a 330 mg/l concer-nente il pozzo Poggiolini 2 (si confronti l’esame chimico relativo all’anno 2000). Infine riferiamo il valore del cal-cio, pari a 10700 mg/l, relativo al pozzo Conti per l’anno 2007. Si confrontino i relativi allegati e le Tabelle accluse.Ricordiamo che l’inversione del rapporto Ca/Mg è ec-cezionale rinvenimento in pochissime acque, data la maggiore solubilità del calcio. Questo ione presenta, in genere, con il magnesio un rapporto medio di 3:1 a favo-re del calcio. È quanto giustifica il meccanismo di “caria-tura” durante il fenomeno di dissoluzione della dolomia. Altrettanto paradossale risulta essere un valore di 330 mg di solfato su una media di meno di 4 mg/l rilevata in altre sei successive analisi annuali effettuate sull’ac-qua dei laghetti Bolga. Altrettanto può dirsi del valore di 10700 mg/l di ione calcio quando le altre dodici analisi

16 I riferimenti che riguardano gli aspetti Idrogeologici si riferiscono all’originaria relazione redatta dai geologi dello Studio Associato Antoniazzi.

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effettuate sul pozzo Conti non superano il valore limite di 1295 mg/l.Le acque minerali non sono frutto del caso ma derivano da una “madre roccia”, stabile come stabili sono le roc-ce. Niente può prodursi nel loro contesto che non derivi dall’assetto “genetico” che ha prodotto i sedimenti, la cristallizzazione metamorfica o la matrice effusiva di ori-gine vulcanica. Se tutto questo non si verificasse sareb-be la fine di un termalismo scientifico.In accordo a queste premesse anche Ortali (1935) aveva

osservato, nelle acque minerali di Nepi, un variare della composizione, dall’Autore ritenuto pienamente accet-tabile con la riconosciuta variabilità delle acque ricche di anidride carbonica. Altrettanto riferiscono Federici e coll. (1967) per alcune acque minerali della Val Bognan-co. Addirittura Fancelli e coll. (1983) riferiscono una va-riazione dell’anidride carbonica in acque oligominerali in rapporto alla stagionalità dei rilievi. Valutazioni pluviome-triche, supportate da riscontri nelle aree di formazione della falda idrica, hanno mostrato che sono sufficienti

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Nome Anno RF180°C BIC- Cl- Na+ Ca++ Mg++ NH4

+ H2S Sr+ Br - J- NO

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- SO4

- - Portatal/m

Anni1975-1989

Casetta 1 2007 34560 413 19143 10500 734 598 32.2 95.5 82.9 90.0 15.5 <0.01 40 50÷901975-

1989

Casetta 3 2007 41400 456 23042 12770 880 780 43.1 137 96.3 105 16.3 <0.01 40 70÷1501989-

2004

Casetta1+3 2006 21150 136 13083 7410 350 440 0.53 29.9 75.6 10.0 5.71 192

Ascensione(Bonamartini)

1921-

192221200 195 12757 7201 418 329 5 51 1.2 assente 4.8

Ascensione B 1967 18348 10469 5997 349 300 23.8 51.9 13.4 37.2

Tabella 3.1 – Vengono riportate le analisi delle risorgive afferenti al gruppo Bolga. I dosaggi sono riportati in mg/l.

Anno RF180°C BIC- Cl- SO4

- - Na+ Ca++ Mg++ Sr+ NO2

- NH4

+ J-

2006 21150 136 13083 192 7410 350 440 29.9 5.71 0.53 10.00

2005 30330 180 18440 0.02 11.20

2004 33226 26240 13.60 12.50 20.10

2003 30686 18612 5.3 8.30 13.80

2002 34220 19858 0.73 24.70 23.80

2001 22530 13120 0.32 10.65 7.80

2000 18680 11170 0.62 4.25 9.60

1999 23184 13829 0.24 8.60 15.00

1998 18030 10250 5.25 9.0 10.00

1997 23240 13500 4.20 8.0 15.00

Tabella 3.2 – Vengono riportate le analisi molto sommarie delle acque confluenti nei laghetti della Bolga normalmente impiegati per la balneoterapia. I valori sono espressi in mg/l. Dai valori emerge un dato che non siamo in grado di riferire se trattasi di errore di stampa o di una reale condizione locale. Infatti il valore del magnesio sarebbe eccezionalmente superiore a quello del calcio.

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la respirazione batterica (più in generale “humicola”) e quella radicale, per veder cambiare, in primavera-estate, il contenuto di anidride carbonica delle acque di sorgen-te (anidride carbonica di “respirazione”).Un esempio ancora più dimostrativo è quello fornito da Brandi e coll. (1967) per le acque salse di Montecatini Terme, nelle quali si riscontra un interessante rapporto fra l’andamento grafico delle portate e dei contenuti in cloruro, con gli indici pluviometrici relativi al bacino ter-male. Riportiamo nella figura 3.1 i risultati dello studio, di grande interesse per comprendere anche l’evoluzione delle acque minerali di Castrocaro Terme. Un caso ana-logo, con le acque calde e sulfuree delle Terme Luigiane, è riferito da Vallario (1967). Potrebbe sorgere, pertanto, il quesito di come si giu-stifichi la costanza dei risultati positivi verificati obiet-tivamente sulla casistica clinica, con l’uso di mezzi idrici non sempre costanti nel tempo. Ci sono da fare, a tale riguardo, almeno due precisazioni. La prima è che il variare dei diversi parametri (neppure sincroni tra loro) è molto lento a verificarsi, talora con anda-menti ciclici pluriennali. Però non sarebbe una rispo-sta del tutto - e in tutti i casi - soddisfacente. E’ vero-simile che le motivazioni siano da riportare al fatto che ogni acqua è ben definita da un caratteristico com-plesso chimico-fisico, tipico di ogni sistema idrogeo-logico. In altre parole ogni acqua non può essere altro se non quello che il substrato geologico le consente di essere a quelle determinate condizioni ambientali. Ogni acqua qualificata, pur oscillando, non può uscire da quelli che sono i limiti di variabilità possibili per quel complesso idro-geologico. Le varie popolazioni ioniche possono essere modulate dai fattori geologici prima elencati (natura degli strati, pressione idrosta-tica del sistema, tempo di permanenza, temperatura etc.), tanto da dare origine ad un “corpus chimico-

fisico”, nel cui ambito i singoli componenti possono liberamente oscillare, ma senza poter mai stravolge-re l’assetto fondamentale della scaturigine. Quello che, veramente, ci pare importante è la conoscenza del substrato idro-geologico, all’interno del quale non può prendere origine che un ben definito corpo idri-co. Se i campi geologici di formazione presentano tra loro strette analogie genetiche, anche le acque mine-rali che in essi si formano non possono che essere dotate di analoghe caratteristiche. L’acqua è “figlia” della roccia e poiché questa non cambia, anche l’ac-qua non può cambiare, a prescindere da momentanei fenomeni di concentrazione o di diluizione. Una conferma al riguardo ci viene fornita dalla pras-si applicativa in uso alle Terme di Salsomaggiore (ma potremmo citare molti altri esempi). In questo Stabi-limento termale l’acqua presenta alla scaturigine un R.F. a 180°C oscillante tra 175 e 180 gr/l, troppo ele-vato per un impiego come tale. E’ invalso quindi l’uso di diluirle con acqua potabile da 2-3° Beaumé (a inizio cura) fino a 10° nella seconda metà del ciclo terapeu-tico. Tuttavia, a causa della netta prevalenza del clo-ruro di sodio, che “maschera” l’azione farmacologica dei mineralizzatori minori, tale acqua viene utilizzata, mediante evaporazione, per produrre la cosiddetta “acqua madre”, nella quale l’NaCl si riduce drastica-mente, mentre acquista importanza la presenza dei molteplici oligoelementi.Anche le acque arsenicali-ferruginose di Levico e di Vetriolo vengono diluite dal 30 al 50% con acqua co-mune (se per uso balneoterapico) e addirittura a dosi di 2-3 cucchiai o cucchiaini in acqua potabile (se per terapie idropiniche). In caso di trattamenti inalatori o irrigatori è, infine, necessario procedere alla deferriz-zazione, onde evitare fenomeni irritativi provocati dal-la componente ferruginosa.C’è, ovviamente, una ragione farmacologica che giu-stifica le ragioni per le quali non cambia il meccani-smo d’azione di acque salse o salso-bromo-iodiche di densità variabile. Si tratta anzitutto di acque iper-toniche rispetto ai liquidi biologici, che vengono usa-te per balneoterapia e non per bibita. Esse agiscono quindi grazie alla Spinta di Archimede, alla Pressione Idrostatica, alla Capacità Termica, e alla Conducibili-tà Termica, tutti parametri che, pur non essendo fissi, non subiscono variazioni tali da interferire sull’entità dello stress termale, vero effettore del meccanismo terapeutico. Inoltre il contenuto di iodio e di bromo delle acque di Castrocaro Terme è talmente elevato, da non creare problemi nel caso di variazioni globali del residuo fisso.

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Figura 3.1 – Relazione tra cloruri e portata, con gli indici pluviometrici verificati alle Terme di Montecatini nel corso di circa 30 anni, al fine di di-mostrare gli stretti rapporti che esistono tra composizione e andamento delle falde sotterranee. (Da Brandi e coll.)

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3.3 Considerazioni sulla qualità delle acque del baci-no termale di Castrocaro Terme

Dalle tabelle e dai dati ricavabili dalla Relazione Anto-niazzi è possibile suddividere la non comune ricchezza di pozzi e risorgive artesiane in tipologie diverse. Alcune di queste acque sono, ovviamente, già in esercizio ma crediamo che molte altre meriterebbero ulteriori indagini, anche per garantire una più ampia e variegata possibilità

di impiego. I “campi” idrogeologici di maggiore interesse appaiono essere quelli denominati “Castrocaro Terme”, “Bolga” e “Cozzi”.Nel primo campo minerale il tipo fondamentale di roc-cia “serbatoio” è il cosiddetto “Spungone”. Si tratta di un calcare detritico-organogeno ricco, nella sua com-ponente di origine biologica, di residui fossili di alghe, molluschi, briozoi etc.Nel campo minerario di Castrocaro Terme si trovano

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Anno RF180°C BIC- Cl- SO4

- - Na+ Ca++ Mg++ NH4

+ NO2

- H2S Br - J-

2007 37160 320 20974 3 11498 1310 500 20 <0.01 126 10.4

2006 44260 341 26341 2.5 14450 1083 712 39.22 <0.01 10.4 161 11.5

2004 44168 348 25526 5.0 1127 910 36.20 0.01 21.90 132 12.2

2003 44348 342 26162 5.2 1502 781 22.30 <0.03 21.20 130 11.3

2002 42320 344 24947 5.5 1351 749 34.80 <0.01 21.90 106 17.1

2001 39724 360 23075 1.3 1216 716 33.80 <0.01 22.65 63.50 17.2

2000 35136 333 20212 330 993.05 629.75 30.70 <0.01 23.60

Tabella 3.3 – Vengono riportate le analisi dal 2000 al 2007 del pozzo denominato Poggiolini II. I valori sono espres-si in mg/l.

Anno RF180°C BIC- Cl- SO4

- - Na+ Ca++ Mg++ Sr+ NH4

+ NO2

- H2S Br - J-

2007 46486 172 30800 17 16000 10700 910 75 32.2 <0.01 200 28

2007 58500 162 31550 14 16800 1295 913 121 48.5 <0.01 1.06 173 27.9

2006 52170 171 31460 0.44 17030 900 870 72.10 47.88 <0.01 210 17

2005 52440 166 32780 66 1058 974 47.90 0.02 190.5 15.9

2004 49790 189 29980 3 1020 943 37.30 0.01 0.85 156.0 29.9

2003 49044 207 28195 17.5 1002 964 28.50 <0.03 0.85 137 31

2002 46400 222 27608 23 1037 869.9 38.20 0.03 1.05 98 25.7

2001 51460 186 30100 7.5 1145 977.2 44.15 <0.01 3.70 70.70 30.8

2000 49988 232 29215 22.8 1127 857 45.35 0.03 6.50 150 29.2

1999 50264 232 29882 27.6 1163 901 46.75 <0.01 4.90 165 30.6

1998 50040 220 29700 20.4 1091 922.95 47.30 <0.01 5.30 162.4 28

1997 43880 233 26170 33.0 966.2 846.9 41.05 <0.01 4.35 143.8 30.3

1996 47510 266 28290 30.5 1019.85 846.8 44.0 <0.01 9.45 157.2 31.2

Tabella 3.4 – Vengono riportate le analisi dal 1996 al 2007 del pozzo Aristide Conti. I valori sono espressi in mg/l.

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sei sorgenti: (S. Anna I, S. Anna II, Beatrice, Poggiolini, Poggiolini II e Salubria) tutte “figlie” della stessa matrice rocciosa (tabella 3.3).“La situazione idrogeologica del Campo minerale Bol-ga è analoga a quella di Castrocaro Terme”. Anche “le caratteristiche locali dello Spungone [roccia “serbatoio”] sono analoghe a quelle descritte nel caso di Castroca-ro Terme". In questo campo minerario sono in esercizio due pozzi (Casetta 1 e Casetta III). Per quanto concerne infine il campo minerario denomi-nato Cozzi, ove insiste il pozzo in attività denominato Aristide Conti (tabella 3.4) la situazione idrogeologica non cambia.

3.4 Considerazioni sulla natura delle acque di Ca-strocaro Terme

Non possiamo concludere se non con quanto asseri-scono nella loro relazione i geologi dello Studio Asso-ciato Antoniazzi ossia, che “i campi minerari denominati Castrocaro Terme, Bolga e Cozzi sfruttati dalle Terme di Castrocaro sono contraddistinti da caratteri idrogeologi-ci comuni”.Lo Spungone funge sia da roccia “madre” che da roccia “serbatoio”, mentre le sovrastanti argille pliopleistoceni-che, “con la propria impermeabilità”, svolgono la fonda-mentale funzione di proteggere “nel substrato calcareo le acque minerali in esame”. Cosi come il bacino idrogeologico è il medesimo, altret-tanto può dirsi per le acque che in esso si formano. Dai molteplici lavori di ricerca fornitici direttamente dalla Di-rezione Sanitaria delle Terme di Castrocaro e dalla ricca mole di dati ricavabili dai quindici Allegati presenti nella Relazione Antoniazzi, abbiamo stilato le quattro Tabelle concernenti alcune risorgive che vengono alla luce nei tre campi idrogeologici prima citati. Dalle Tabelle e, soprattutto, dai grafici e dagli allegati della Relazione Antoniazzi, risulta una sostanziale omo-geneità di parametri chimici e chimico-fisici delle diverse emergenze. Per comodità di lettura abbiamo raccolto i parametri salienti di questi gruppi di acque minerali in Tabelle “storiche” idonee a mostrarne l’evoluzione nel tempo. Da queste si evince come, in una stessa acqua, si verifichino variazioni non dissimili da quelle reperibili tra i tre diversi campi idrogeologici. Come si afferma nel-la relazione Antoniazzi le “discontinuità sedimentarie e tettoniche di questo deposito calcareo [Spungone] ma, soprattutto, il suo vario e irregolare grado di cementazio-ne rendono molto dissimili, anche in zone vicine la per-meabilità di questa roccia. Tali variazioni di permeabilità rendono pertanto, tormentata e complessa la circolazio-ne idrica sotterranea”.

Da un tale “tormento” che, in base alle piovosità an-nuali, alla loro intensità e alla loro durata è in grado di modificare drasticamente il livello piezometrico delle fal-de, deriva un modulato interessamento degli strati ge-ologici e un diverso grado di dissoluzione degli stessi. La matrice geologica resta però la medesima e così la struttura minerale del mezzo idrico. Se ci è consentito proporre “per assurdo” un paragone, l’acqua minerale con il variare della quota di sali disciolti non perde la sua identità come non la perde un soggetto che aumenta o diminuisce il suo peso corporeo. Del resto in questi strati si ritrovano livelli gessosi (da cui derivano i sol-fati), marnosi e argillosi, con alternanze di areniti, peliti torbidiche e marne emipelagiche che conservano i re-sidui salini dell’antico mare che ricopriva questi territori. Già Gasperini, riconosce però una comune origine delle acque dalla roccia sedimentario-organogena calcarea chiamata Spungone. Le perforazioni esplorative mostra-no un graduale aumento della salinità dei depositi da tre a sette gradi Beaumé, tale da giustificare un diverso li-vello di mineralizzazione, in rapporto alla profondità cui è giunta la falda minerale o al diverso grado di miscelazio-ne con falde di origine o percorsi differenti. La presenza di lenti più o meno spesse di torba è causa del potere riducente sui nitrati che vengono ridotti a ione ammo-nio e dei solfati di origine sedimentaria (strati gessosi) che vengono ridotti a sulfuri o a idrogeno solforato. Non è escluso che a questa trasformazione contribuiscano anche specifiche colonie di solfo batteri di cui però non abbiamo trovato notizia. Studi in questo specifico set-tore potrebbero invece risultare di grande interesse per l’eventuale coltivazione di tale flora batterica al fine di arricchire il ventaglio terapeutico dello Stabilimento con baregine (o “muffe”). Queste potrebbero essere utilizzate sia per impacchi dermocosmetici nel trattamento di af-fezioni seborroiche, sia per una più efficace maturazione dei fanghi.Ovviamente i fenomeni riduttivi ora citati vengono in-fluenzati dal tempo di permanenza e dall’entità delle masse idriche interessate dal contatto acqua-rocce.

3.5 Considerazioni conclusive

Da quanto dimostrabile in rapporto ai documenti storici e alle indagini idrogeologiche recenti si può affermare che esiste una stretta analogia tra le acque afferenti ai tre campi idrogeologici meglio indagati e di maggiore interesse per la funzionalità dello stabilimento termale. Le acque in questione fanno parte di un unico sistema idrogeologico e le variazioni evidenziate dalle molteplici indagini analitiche effettuate nel corso di oltre ottant’an-ni non sembrano idonee a modificare un giudizio di so-

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stanziale omogeneità genetica. Del resto i risultati clinici ottenuti sulla casistica trattata durante tutto il corso di vita dello stabilimento non mostrano discontinuità tera-peutiche. Ciò si è verificato nonostante che l’ H

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pozzo Conti sia variato negli anni di oltre dieci volte e il R.F. a 180°C mostri oscillazioni di oltre 10 gr/l. Variazioni analoghe si riscontrano nel pozzo denominato Poggiolini II e nei laghetti denominati Bolga.Variazioni di questa entità sono tipiche delle acque salse e salso-bromo-iodiche, siano esse o meno caratterizzate anche da presenza di idrogeno solforato. La grande so-lubilità dei depositi fossili marini rende conto della elevata mineralizzazione delle acque di questa categoria alla sca-turigine, ma giustifica anche tali scarti ove si consideri l’in-costanza delle portate in relazione alle piovosità stagionali. Concludiamo pertanto con la notazione che, non a no-stro giudizio, ma in rapporto ad una esperienza oramai codificata dalla prassi terapeutica con acque salse e salso-bromo-iodiche, siano esse sulfuree o non sulfu-ree, che le acque dei tre campi idrogeologici considerati, sono tra loro simili e possono essere impiegate indif-ferentemente per tutti i settori applicativi che le singo-le sorgenti hanno ottenuto per decreto prefettizio o per

successivo decreto del Ministero della Salute.

3.6 Riferimenti bibliografici

AGOSTINI G.: Le variazioni degli ecosistemi ideologici e la caratteriz-

zazione idronomica delle acque curative. Min. Ecol.e Idroclimatol.

Vol.14 ,n°2:57-68, 1974

BRANDI G.P., FRITZ P., RAGGI G., SQUARCI P., TAFFI L., TONGIORGI E., TREVI-

SAN L.: Idrogeologia delle Terme di Montecatini. Collana Scientifica delle Terme di Montecatini, vol. 39, 1967.

FANCELLI R., AGOSTINI G.: Modificazioni indotte dal microclima locale sulla composizione delle acque oligominerali sgorganti nel territo-rio termale.Clin.Term. XXXVI, 1-2:33-53,1983.

FARNETI P.: Acque arsenicali ferruginose. In M. Messini e coll. 1951.

FEDERICI P.C., SACCANI F., PARIETTI P.: Le acque salutari della Val D’Os-sola. Collana di monografie de “L’Ateneo Parmense” n.18, 1967.

GUIDI G.: Acque salsoiodiche in M. Messini e coll. , 1951.

MARTINETTI R.: Acque carboniche in M. Messini e coll. 1951.

MESSINI M. e COLL.: Trattato di idroclimatologia clinica. 2 vol., Ed. Cap-pelli Bologna 1950-1951.

MESSINI M., GUADAGNINI G.: Acque Sulfuree. In M.Messini e coll., 1951.

ORTALI C.: Le acque minerali di Nepi. Riv. di Idroclim. Talass. e Ter. Fis., anno XLVI, n.4, 1935.

VALLARIO A.: Studio idrogeologico delle acque termominerali delle Terme Luigiane in provincia di Cosenza. Vol. Soc. Natur. in Napoli LXXVI parte 1, 149,1967.

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ne di metri dal corpo idrico (Figura 1). La definizione del modello geologico dei vari siti è stata effettuata tramite indagini geotecniche e geofisiche. La definizione dei modelli strutturali dei campanili è stata ef-fettuata attraverso indagini di tipo sismico passivo, che sono le uniche applicabili a beni di rilievo architettonico per la loro non invasività. I risultati finali saranno infine messi a confronto con la classificazione semplificata dei terreni proposta dalle NTC 2008 (§ 3.2.2).Nel presente articolo si riporterà solo il caso del sito di Consandolo, che può essere ritenuto il più esplicativo, rimandando a Sgattoni (2010) per i restanti casi.

1. PREMESSA1

Il territorio di Argenta, pur essendo stato soggetto a even-ti sismici rilevanti (es. 1570, 1624, 1898), non era classi-ficato tra le zone sismiche d’Italia secondo le normative vigenti prima del 2003. Con l’entrata in vigore dell’OPCM 3274/2003, il Comune di Argenta venne inserito in zona 2 (a differenza degli altri comuni della provincia di Ferra-ra, classificati in zona 3) e la pianificazione urbanistica dovette necessariamente includere anche una valutazio-ne di risposta sismica di sito, obbligatoria oggi anche a fronte delle Norme Tecniche per le Costruzioni (2008).In questo lavoro verrà presentata una caratterizzazione di risposta sismica locale focalizzata ai siti in cui sorgono alcuni antichi campanili. Essi sono stati scelti per la loro vulnerabilità all’azione sismica e poiché sono tra i pochi edifici di interesse storico sopravvissuti agli ultimi eventi bellici nel territorio comunale. Dall’analisi delle fonti sto-riche è altresì noto che gli eventi sismici succedutisi nel territorio hanno causato il crollo di torri e campanili. Ce-lebre ad esempio il quadro del Ricci (“Terremoto di Ar-genta”) , custodito nella Pinacoteca Comunale, che ritrae il crollo di alcune torri a seguito del terremoto del 1624.Lo studio ha riguardato i suoli di fondazione e i campa-nili delle chiese di S. Nicolò, S. Giacomo, S. Domenico (Argenta), Madonna del Rosario (frazione di Boccaleone) e S. Zeno (frazione di Consandolo) (Figura 1). Le aree di studio si sviluppano su ambienti deposizionali di transi-zione fra depositi granulari (da limoso- sabbiosi a sab-biosi) ascrivibili al paleo corso del Po di Primaro e i de-positi fini (da argillosi ad argilloso- limosi) degli ambienti di palude sul quale il fiume scorreva e divagava. Sino al XVI- XVII sec. il Primaro ha rappresentato un’importante via d’acqua per il territorio del Comune di Argenta ed i siti oggetto del presente articolo distavano poche deci-

Analisi della risposta sismica locale con particolare attenzione agli antichi campanili del Comune di Argenta (Fe)Giulia Sgattoni1 e Raffaele Brunaldi2

1 Laureata in Scienze Geologiche, Università di Bologna2 Geologo, libero professionista

1 Il presente articolo costituisce una sintesi dei risultati dell’omonima Tesi di Laurea Magistrale della Dott.ssa Giulia Sgattoni (Relatori: Prof. F. Mulargia,

Dott.ssa S. Castellaro; Correlatori: Arch. M. Bondanelli, Dott. R. Brunaldi), Università di Bologna (Anno 2010).

Figura 1 – Percorso dell’antico Po di Primaro e dei canali distributori dell’antico corpo deltizio ancora visibili nei dintorni delle aree di studio. Nei pressi dell’abitato di Boccaleone è riconoscibile un episodio di rotta fluviale importante (da Tavole del PSC dei Comuni di Argenta, Migliari-no, Ostellato, Portomaggiore e Voghiera).

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2. SITO DI INDAGINE DI CONSANDOLO

2.1 Caratterizzazione del suolo di fondazione

Per la definizione del modello del sottosuolo, in termi-

ni di profilo di Vs (velocità delle onde sismiche di ta-

glio) e profondità dei principali riflettori sismici, sono

state effettuate le seguenti indagini:- prove sismiche passive a stazione singola (H/V; Ca-

stellaro e Mulargia, 2009);- prove sismiche attive in array di tipo MASW (Mul-

tichannel Analysis of Surface Waves, Park et al., 1999);

- prove sismiche passive in array di tipo ReMi (Refrac-tion Microtremor, Louie, 2001);

- prove penetrometriche di tipo C.P.T.

Le prove sismiche a stazione singola sono state ef-

fettuate con tromometro Tromino (Micromed), le pro-

ve sismiche in array con sistema multicanale SoilSpy

(Micromed), le prove C.P.T., sono state eseguite con

penetrometro statico tipo Gouda e dotato di punta

Begemann. Le prove geofisiche sono state interpreta-

te con software Grilla a corredo degli strumenti.

In Figura 2 è mostrata l’ubicazione delle indagini ef-

fettuate nelle immediate vicinanze della Chiesa di S.

Zeno. Con le prove penetrometriche è stata elaborata

la sezione geologica schematica di Figura 3. Utiliz-

zando congiuntamente le varie tecniche di indagine

è stato ottenuto il modello di sottosuolo, in termini di

profilo di Vs, mostrato in Figura 4b. In particolare le

prove in array (MASW, Figura 4a; ReMi Figura 4c) e le

prove C.P.T. hanno fornito informazioni fino a circa 30

m di profondità, permettendo di individuare un primo

strato di spessore 12 m e Vs ≈ 140 m/s. Il fit della

curva H/V (Figura 4d) ha permesso di ricostruire in

modo approssimato il profilo di Vs fino alla profon-

dità di circa 300 m, corrispondente all’ultimo rifletto-

re individuato dal picco a 0.4 Hz, che rappresenta la

frequenza fondamentale del terreno. La curva H/V ha

permesso di individuare anche un altro picco rilevan-

te a 0.9 Hz.

Figura 2 – Ubicazione delle prove effettuate nei pressi del campanile di Consandolo (colorato in rosso).

Figura 3 – Sezione geologica schematica effettuata con i dati delle pro-ve penetrometriche CPT disposte come in Figura 2.

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Figura 4. a) e c) spettri di velocità di fase dell’onda di Rayleigh (contour) ottenuti rispettivamente dalle prove MASW e ReMi. I pallini corrispondono alla curva di dispersione teorica del modo fondamentale ottenuta dal modello di sottosuolo del pannello b). La prova MASW ha fornito informazioni fino a 5 Hz (15 m), la ReMi fino a 3 Hz (35m), la restante parte del modello è ottenuta dal fit della prova H/V; b) modello di sottosuolo in termini di profilo di Vs ottenuto con il fit congiunto delle prove in array e a stazione singola; d) curva H/V sperimentale (media in rosso e deviazione standard in nero) e curva H/V teorica (in blu) ottenuta per il modello di sottosuolo del pannello b; e) spettri delle singole componenti del moto (NS, EW e Z).

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2.2 Caratterizzazione della struttura

Per la definizione del modello dinamico del campanile, sono state acquisite registrazioni del rumore sismico ambientale a stazione singola, su diversi livelli (Figura 5).Esse sono poi state elaborate secondo il metodo SSR (Standard Spectral Ratio, Snieder & Safak, 2006; Ca-

stellaro e Mulargia, 2010) per rimuovere l’effetto del suolo, ottenendo le funzioni Hi/H0 , ovvero i rapporti tra le componenti orizzontali omologhe del livello i-esimo e del livello 0. Da tali funzioni si possono individuare le frequenze dei diversi modi di vibrare. In Figura 6 spic-ca la frequenza del modo fondamentale flessionale,

nelle due direzioni orizzontali ortogonali, pari a 1.8 Hz.

3. MODELLAZIONE SISMICA DELL’AREA

Per determinare la risposta del sottosuolo attesa in su-perficie a partire da un input (terremoto) tipico atteso al bedrock, è stato utilizzato il codice EERA (Equivalent-

linear Earthquake site Response Analyses; J.P.Bardet et

al., 2000), in grado di modellare la propagazione unidi-mensionale delle onde di taglio in un mezzo a stratifica-zione orizzontale. I casi esaminati in questo lavoro sono infatti riconducibili alla situazione più semplice di depo-sito caratterizzato da topografia piana e stratificazione orizzontale, in tali casi è possibile adottare un modello geometrico mono-dimensionale.Come moto di input sono stati adottati i terremoti “ti-pici” della regione, forniti dal database della Regione Emilia-Romagna (Atto di Indirizzo 112/2007). Tali segnali (denominati ‘Norm1’, ‘Norm2’, ‘Norm3’) sono scalati in modo che la loro accelerazione massima corrisponda al valore di accelerazione con probabilità di superamento del 10% in 50 anni attesa nel comune secondo le Norme

Figura 5. Chiesa di S. Zeno, Consandolo. Nel disegno a destra, in rosso sono indi-cati i livelli a cui sono state effettuate le registrazioni di microtremore.

Figura 6. Rapporti spettrali Hi/H0 tra le componenti orizzontali dei livelli i-esimi e la componente orizzontale del livello 0. In alto: funzione Hi/H0 per le componenti Nord-Sud (asse longitudinale della struttura). In bas-so: componenti Est-Ovest (asse trasversale della struttura).

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Tecniche, ovvero 0.16 g.Per ognuno di questi segnali e per ciascun sito sono sta-te ottenute le funzioni di trasferimento accelerazione in superficie / accelerazione al bedrock. Sono stati ricavati inoltre gli spettri di risposta, ossia i valori massimi di ac-celerazione attesi per un oscillatore armonico semplice ad un grado di libertà (edificio tipo) in funzione della sua frequenza naturale e dello smorzamento (assunto pari al 5%, sebbene questo valore sia probabilmente troppo grande per strutture in muratura quali quelle analizzate).Per il sito di Consandolo le funzioni di trasferimento ot-tenute (poste a confronto con la curva H/V in Figura 7) suggeriscono un fattore di amplificazione massimo pari a 2.3 in corrispondenza della frequenza principale di ri-sonanza individuata dalla curva H/V (0.9 Hz).Gli spettri di risposta (Figura 8) forniscono una stima dell’accelerazione massima attesa per la struttura, che va individuata in corrispondenza del periodo proprio del campanile (linea rossa verticale in Figura 8). Tale accele-razione è compresa tra 0.2 e 0.4 g, con un valore medio di 0.32 g.

4. CONFRONTO CON IL METODO SEMPLIFICATO E CONSIDERAZIONI SULLA SUA VALIDITA’ PER LE AREE DI STUDIO

Secondo la tabella 3.2.2 delle NTC 2008, il suolo di fon-dazione esaminato è classificabile in categoria D (Vs30 < 180 m/s). Lo spettro di risposta semplificato relativo alla categoria di terreno D riferito allo Stato Limite di salva-guardia della Vita (ovvero riferito ad una azione sismica con probabilità di superamento del 10% in 50 anni) è il-lustrato in verde in Figura 9 sovrapposto a quelli ottenuti dall’analisi numerica presentata precedentemente. Tale spettro fornisce in tutto il dominio valori di accelerazione maggiori rispetto a quelli ottenuti con la modellazione nu-merica. Per il caso in esame anche lo spettro di risposta per terreni di categoria C risulterebbe quasi sempre cau-telativo. Analoghi risultati sono stati ottenuti negli altri siti del comune di Argenta.Siamo pertanto di fronte ad un esempio interessante in cui l’applicazione dell’approccio semplificato di norma-tiva porterebbe ad applicare parametri di progetto note-volmente più dispendiosi di quanto suggerito invece da un’analisi numerica specifica.La discrepanza di risultati tra i due approcci è comprensi-bile se si considera peraltro che la categoria semplificata di normativa D deve fornire valori ‘ragionevoli’ per una ampia gamma di suoli con Vs30 < 180 m/s (quindi anche molto minore di questo valore) mentre nel caso di studio il valore di Vs30 era molto prossimo al limite superiore della classe D (Vs30 ≈ 170 m/s).

5. ESTRAPOLAZIONE DEL PROFILO DI VELOCITÀ FINO AL BEDROCK E CONSIDERAZIONI SULLA SUA VALIDITA’ PER LE AREE DI STUDIO

Secondo la normativa regionale (Atto d’Indirizzo 112/2007), per le analisi di III livello, quando le indagini

Figura 7. In toni di azzurro: funzioni di trasferimento bedrock-superficie ottenute dalla modellazione con il codice EERA per il modello di sotto-suolo di Figura 4b con gli accelerogrammi di riferimento per il Comune di Argenta (da Atto di Indirizzo 112/2007 della Regione Emilia-Roma-gna; PGA0=0.16g). In rosso: curva H/V misurata.

Figura 8. Spettri di risposta elastici dell’oscillatore armonico semplice ad un grado di libertà (edificio tipo) in funzione della sua frequenza na-turale e dello smorzamento (assunto pari al 5%), ottenuti per il sito Con-sandolo. La linea verticale corrisponde al periodo proprio del campanile indagato.

Figura 9. In toni di azzurro: spettri di risposta elastici ottenuti con la mo-dellazione per il sito Consandolo. In verde: spettro di risposta elastico (elaborato secondo l’approccio semplificato delle NTC 08) per categoria di sottosuolo D, riferito allo Stato Limite di salvaguardia della Vita. In rosso: spettro di risposta semplificato riferito allo SLV per categoria di sottosuolo C.

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a 30 m di profondità non raggiungono il bedrock (inte-so come profondità alla quale Vs≥800 m/s), è possibile estrapolare il profilo di Vs fino ad ottenere una velocità di 800 m/s, secondo un gradiente lineare individuato dall’ul-timo tratto del profilo sperimentale (“Qualora le indagini

non abbiano raggiunto il bedrock sismico o non abbiano

evidenziato la presenza di una superficie di discontinuità

che identifichi il tetto di un substrato rigido assimilabile

al bedrock sismico, il profilo di Vs viene estrapolato in

profondità mantenendo il gradiente dell’ultimo tratto del-

la curva sperimentale fino al raggiungimento di Vs=800

m/s”). Si è quindi analizzato se per i casi in esame tale procedura possa applicarsi in maniera corretta.Sono state perciò confrontate le funzioni di trasferimento bedrock-superficie ottenute con il codice EERA per profili di Vs determinati sperimentalmente fino al bedrock con gli analoghi profili interrotti a 30 m ed estrapolati fino a 800 m/s al di sotto di questa profondità. In Figura 10 sono mostrati i profili reali ed i profili estrapolati (linea blu e linea rossa). Le funzioni di trasferimento relative ai due modelli sono date in Figura 11. Tra le due curve si osservano naturali e ovvie differenze sia in frequenza sia in ampiezza, a dimo-strazione di quanto l’applicazione cieca di questa proce-dura possa portare a modelli distorti rispetto alla realtà. A questo problema si può facilmente ovviare utilizzando la tecnica H/V, che permette di “posizionare” il bedrock misurando direttamente le frequenze di risonanza che questo genera.

6. RISULTATI OTTENUTI PER GLI ALTRI SITI STUDIATI

Dai modelli ottenuti si è riscontrata – come atteso essen-do i siti ubicati in una zona di bassa pianura – una scarsa variabilità tra i siti indagati.La tecnica H/V ha indicato che in tutti i siti la frequenza principale di risonanza si colloca a 0.9 Hz ed è attribuibile ad un bedrock sismico posto a circa 80 m di profondità.Le misurazioni del microtremore effettuate sulle strutture hanno fornito le seguenti frequenze fondamentali per i campanili studiati:- S. Nicolò (Argenta): ≈1.3 Hz;- S. Giacomo (Argenta): ≈3.2 Hz per la componente lon-

gitudinale e ≈2.7 Hz per quella trasversale;- S. Domenico (Argenta): ≈1.4 Hz;- Madonna del Rosario (Boccaleone): ≈1.4 Hz;- S. Zeno (Consandolo): ≈1.8 Hz.Essendo strutture a pianta quadrata, le frequenze del primo modo flessionale in direzione trasversale e longi-tudinale coincidono per tutti i campanili ad eccezione di San Giacomo, che ha pianta rettangolare.Il confronto delle frequenze delle strutture e dei relativi suoli di fondazione, mostra che per quasi tutti i campanili (ad eccezione di San Giacomo) la frequenza fondamenta-le ha valore di poco superiore rispetto alla frequenza di ri-sonanza del terreno di fondazione. Considerando che un eventuale primo danneggiamento strutturale durante un evento sismico porta ad una diminuzione delle frequenze proprie, i campanili sono da ritenersi a rischio di doppia risonanza col suolo in caso di terremoti prolungati. Le fun-zioni di trasferimento accelerazione in superficie/ accele-razione al bedrock per ciascuno dei modelli di sottosuolo ottenuti per i vari siti hanno permesso di stimare fattori di amplificazione massimi pari a 1.7 per il sito Argenta e 2.3 per i siti Boccaleone e Consandolo in corrispon-denza della frequenza principale di risonanza del terreno. I valori massimi di accelerazione attesi per i campani-li studiati sono compresi tra circa 0.2-0.4 g, con valori medi pari a 0.23 g per S. Nicolò, 0.42 g per S. Giacomo, 0.29 g per S. Domenico, 0.30 g per Boccaleone e 0.32 g per Consandolo.

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Figura 10. In blu: profilo di Vs reale. In rosso: profilo di Vs reale fino a 30 m ed estrapolato fino alla profondità a cui Vs=800 m/s secondo un gradiente lineare.

Figura 11. Funzioni di trasferimento ottenute per i modelli di sottosuolo di Figura 10, in blu per il profilo reale, in rosso per quello estrapolato.

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7. CONCLUSIONI

Con la sismica passiva a stazione singola è stato possibile stimare le frequenze principali di vibrazione dei terreni di fondazione (0.9 Hz in tutti i siti) e delle strutture dei campanili (comprese tra 1.3 – 3.2 Hz), permettendo di verificare che i campanili (ad eccezione di S. Giacomo) sono da ritenersi a rischio di doppia risonanza. La stessa tecnica ha anche permesso di ottenere i modelli dei sottosuoli di fondazione sino alla profondità del riflettore sismico (pari a circa 80 m) che genera la risonanza di interesse per le strutture in esame. Tale profondità non si è potuta raggiungere con le altre indagini (sismica in array e C.P.T.), con le quali sono però state ottenute informazioni fino a 30 m di profondità, necessarie a vincolare i modelli H/V.Pur nei non trascurabili limiti di un metodo semplificato basato su un numero considerevole di assunzioni e di variabili, la modellazione con il codice EERA ha permesso di stimare i fattori di amplificazione e le accelerazioni massime attese per le strutture e per i terreni in esame. La misura diretta delle frequenze costituisce, comunque, un vincolo per i risultati ottenuti con la modellazione. Il metodo semplificato (secondo le NTC 2008), nei siti di studio è risultato essere iper- cautelativo. Si è infatti verificato con la modellazione numerica come i terreni di studio (categoria di suolo di fondazione D) risultino classificabili con sufficiente cautela anche in categoria C. Questo non stupisce se si considera peraltro che la categoria semplificata di normativa D deve fornire valori ‘ragionevoli’ per una ampia gamma di suoli con Vs30 < 180 m/s (quindi anche molto minore di questo valore) mentre nel caso di studio il valore di Vs30 era molto prossimo al limite superiore della classe D (Vs30 ≈ 170 m/s).L’adozione di un profilo di velocità estrapolato fino a Vs= 800m/s, come concesso dagli Atti di Indirizzo in materia di microzonazione sismica della Regione Emilia-Romagna

nel caso in cui il bedrock sismico non sia riscontrato nei primi 30 m, può condurre a naturali ed attese distorsioni della realtà, ben individuate per i casi in esame. Si rileva che in questi casi l’utilizzo della tecnica H/V permette di ovviare al problema del “posizionamento” del bedrock sismico nei termini delle frequenze di risonanza che questo genera.

Il lavoro di cui si sono brevemente presentati i risultati ha rivolto la propria attenzione ad edifici rilevanti dal punto di vista dell’importanza storica e documentale (alcune di queste torri campanarie, come le relative chiese, hanno infatti valenza architettonica non trascurabile). Alla luce delle motivazioni su esposte, si auspica che la caratterizzazione sismica del territorio superi i limiti di un approccio semplificato, divenendo funzionale alla progettazione degli interventi edificatori e/o della pianificazione urbanistica e territoriale.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Atto di indirizzo e coordinamento tecnico ai sensi dell’art. 16, c. 1, della L. R. 20/2000 per “Indirizzi per gli studi di microzonazione sismi-

ca in Emilia-Romagna per la pianificazione territoriale e urbanistica” 112/2007.

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ground-motion free-field start? The case of three famous towers and of a modern building. Bull. Seism. Soc. Am., 100, 5, 2080-2094.

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terreno “trascina” nelle sue variazioni di volume (che in superficie si traducono in “abbassamenti” e “solleva-menti”) le fondazioni e provoca delle variazioni di am-piezza delle lesioni strutturali: per esempio, l’apertura estiva e la chiusura invernale delle crepe. Si deve tene-re conto che il ciclo non è completamente reversibile e, negli anni, si assiste al progressivo peggioramento del quadro fessurativo.In diversi casi si è constatato che all’essiccamento del terreno contribuiscono sensibilmente gli apparati radica-li delle piante, che possono assorbire acqua al di sotto delle fondazioni degli edifici contigui (figura 2).

L’apparato radicale, il cui sviluppo avviene per la maggior parte delle specie presenti nel nostro territorio nello strato di suolo compreso tra la superficie e la profondità di un metro, un metro e mezzo, assolve la funzione di assorbire acqua per il fabbisogno della pianta ricercandola nel ter-reno. Se il problema non si pone in termini sensibili laddo-

1. PREMESSA

Il “terreno di fondazione” è la parte del terreno che riceve il carico di una costruzione e ne risente in modo signifi-cativo. A seguito della sollecitazione dovuta all’applica-zione del carico, il terreno sottostante una costruzione tende a deformarsi e l’entità della deformazione dipende dal tipo di terreno: per esempio, è praticamente nulla in caso di una roccia compatta, mentre può essere consi-derevole per depositi fini (argille o limi) con elevato con-tenuto di acqua e che non siano mai state sottoposte a carichi nella loro storia. Ed è questo il caso più frequente nelle pianure alluvionali (figura 1).

2. CAUSE DELLA DIMINUZIONE DI VOLUME DEI TERRENI ARGILLOSI

In depositi argillosi, inoltre, un apporto d’acqua può pro-vocare un rigonfiamento (cioè un aumento di volume), come il disseccamento ne determina una compattazio-ne (una diminuzione di volume). Si tratta di cicli naturali legati alla stagionalità (alternanza di periodi piovosi e di periodi siccitosi).Questi fenomeni di rigonfiamento/ritiro possono sovrap-porsi ai normali processi di consolidazione di un fabbri-cato determinando delle oscillazioni stagionali in cui il

Utilizzo dell’elettrosmosi per la stabilizzazione dei terreni coesiviPasquale Armillotta Geologo, libero professionista

Figura 1. Effetti legati alle deformazioni subite da un terreno sottoposto ad un carico strutturale.

Figura 2. Presenza di vegetazione ad alto fusto che contribuisce alla consolidazione dei terreni d’imposto del fabbricato.

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ve c’è un continuo approvvigionamento idrico del terreno, diventa invece rilevante in suoli a granulometria fine, poco permeabili e in carenza stagionale di approvvigionamento d’acqua. In questo caso, l’apparato radicale tende a svi-lupparsi maggiormente per aumentare la superficie d’as-sorbimento e a ricercare le zone più “umide”. Tra queste ultime è spesso da annoverare anche il terreno sotto-stante una costruzione, maggiormente protetto nei con-fronti dei processi di evaporazione nella stagione secca.In diversi casi l’apparato radicale ha un’estensione are-ale molto ampia (figura 3), ben maggiore dell’estensione della chioma, contrariamente a quanto si creda: in un caso, nella zona di Piazza di Traversetolo, si è osserva-ta la presenza dell’apparato radicale di un tiglio a oltre quindici metri dal fusto.

Il fenomeno appare ancora più accentuato in caso di essenze vegetali esotiche, non in equilibrio con le carat-teristiche di umidità e di approvvigionamento idrico dei nostri suoli e più in generale del clima.Localmente può assumere una certa importanza l’azione meccanica delle radici, il cui effetto “cuneo” è responsa-bile di lesioni e inclinazioni anomale di strutture general-mente leggere e fondate in superficie, quali muretti, mar-ciapiedi, ecc., anche se si conoscono casi di lesioni loca-lizzate su fondazioni di fabbricati. Nella figura sottostante è possibile notare la “densità” di radici in uno scavo pro-fondo circa 80 cm quasi in adiacenza ad una costruzione.L’urbanizzazione di vaste aree coltive nelle cinture peri-feriche di città e paesi, a cui si è assistito negli ultimi de-cenni, ha comportato una progressiva impermeabilizza-zione del suolo (figura 4): l’uso di coperture impermeabili (asfalto, cemento, ecc.), la raccolta delle acque piovane provenienti dai tetti, dalle superfici stradali, ecc. in una rete fognaria e il loro allontanamento, sono tutti fattori che impediscono l’infiltrazione e il mantenimento di una quota di umidità nel sottosuolo, al contrario di quanto avveniva in presenza di un terreno scoperto, fosse esso incolto o soggetto a coltivazione.

La conseguenza è un progressivo essiccamento del ter-reno che si produce nel corso degli anni, coinvolgen-do nel conseguente processo di consolidazione i fab-bricati fondati su di esso. Non a caso, appare piuttosto frequente l’affiorare di quadri fessurativi significativi su edifici costruiti negli ultimi venti-trent’anni nelle zone di espansione urbana.A questo proposito, si fa notare come anticamente le città padane erano percorse da una rete di canali a cielo aperto funzionali, oltre che allo scolo delle acque e dei

Figura 3. Gli apparati radicale delle essenze arboree possono interessa-re spessori di terreno molto importanti.

Figura 4. L’intensa urbanizzazione e la pavimentazione stradale riduco-no gli apporti idrici al terreno.

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liquami, anche al trasporto dei materiali e alla produzio-ne di forza motrice. Oggi questi canali sono in gran par-te tombinati, in alcuni casi con l’impermeabilizzazione completa anche del fondo e delle sponde.I canali costituiscono vere e proprie “vene” del suolo: quando l’impermeabilizzazione è totale, la mancata di-spersione idrica dal fondo e dalle sponde è un ulteriore fattore di essiccamento del terreno. In caso contrario, si assiste a una compensazione degli effetti impermeabiliz-zanti dell’urbanizzazione, in quanto il canale coperto fa-vorisce un’idratazione del suolo nelle sue vicinanze e, ne-gli edifici, si assiste a un lesionamento progressivamente crescente allontanandosi dal canale. Occorre aggiunge-re anche il continuo e sempre maggiore emungimento di acqua dalle falde acquifere che provoca un graduale costipamento degli strati argillosi superficiali e profondi.Anche l’insolazione gioca un ruolo importante (figura 5): il terreno esposto a meridione subirà il processo di evapotraspirazione in misura superiore rispetto a quello esposto a settentrione.

3. LA TECNOLOGIA

Come vediamo, l’intervento umano può variare sensi-bilmente il contenuto d’acqua del terreno, con conse-guenze spesso non trascurabili sugli edifici, sulle opere stradali, sulle tubazioni interrate di grandi dimensioni.La diminuzione di umidità nel terreno ha quindi ripercus-sioni spesso non trascurabili sugli edifici.Anche gli interventi per frenare quest’azione sono diver-si: sottofondazioni, palificazioni, iniezioni di resine poliu-retaniche, iniezioni di cemento, ecc.Sono però tutti interventi che agiscono sul sintomo della “malattia” ma non sulla causa.Occorre reidratare i terreni, portando acqua laddove c’è bisogno, eliminando, possibilmente, le cause che hanno contribuito alla diminuzione di umidità. In altri termini, è necessario reidratare il terreno coesivo (argilloso - limo-

so) per un congruo spessore.Ho a lungo studiato ed applicato il processo elettrosmo-tico per questo fine: esso consiste nell’ottenere la migra-zione dell’acqua e dei sali in essa disciolti in un mezzo po-roso, attivandone il flusso con l’applicazione di un campo elettrico continuo, come da figura sottostante. E

1 ed E

2

sono due elettrodi, ed S è un materiale poroso (figura 6).

Il passaggio di corrente nel terreno coesivo consiste es-senzialmente nella migrazione degli ioni presenti nell’ac-qua che agiscono prevalentemente sull’impalcatura del-le particelle d’argilla bloccando la proprietà di variare il proprio volume in funzione del contenuto in acqua.La metodologia dell’intervento non è invasiva e permette la salvaguardia e il rispetto degli ambienti presenti, so-prattutto in ambito urbano.Dal punto di vista geologico, il terreno di fondazione del-la zona meridionale della pianura emiliana è costituito da materiale coesivo autoctono classificato come “Alluvioni recenti” del Quaternario continentale.Le condizioni al contorno prevedono la fornitura d’ac-qua al terreno da sottoporre a trattamento, la non im-missione di sali nel terreno; l’applicazione del processo ad un sistema aperto con bassa differenza di potenziale; l’esclusione del drenaggio catodico; la presenza della componente attiva delle argille.In genere si assiste ad una variazione dell’apertura delle fessure in funzione della stagione: dopo periodi piovosi le fessure tendono a chiudersi, dopo periodi asciutti ad aprirsi.La vicinanza di alberi d’alto fusto, l’esposizione a me-ridione e l’impermeabilizzazione superficiale influiscono sul fenomeno.La falda, monitorata prima, durante e dopo l’intervento, non ha alcuna influenza. Non si registra alcun innalza-mento della falda nei piezometri di controllo.Si mettono in opera due serie di elettrodi perimetrali alla zona da trattare. Parte degli elettrodi sono infissi verti-

Figura 5. Esposizione a meridione.

Figura 6. Sopra si riporta lo schema dei primi esperimenti di laboratorio sull’elettrosmosi.

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L’impianto è permanente, sempre in funzione 24 ore su 24, sia per la componente elettrica che per quella idrica.Al termine dell’installazione dell’impianto, rimangono visi-bili in superficie solo i pozzetti d’ispezione dato che l’im-pianto ha una invasività sull’esistente quasi nulla (figura 9).

I costi di esercizio sono irrisori e trascurabili. Come tutti gli impianti tecnologici, necessita di annuale manuten-zione ordinaria.

calmente, e parte obliquamente, in modo tale da interes-sare il bulbo degli sforzi (figura 7).

Gli elettrodi così disposti sono collegati ad un alimenta-tore che mantiene costante la d.d.p.I risultati non tardano ad arrivare.Si nota come col passare del tempo, si assiste dapprima ad un forte incremento dell’assorbimento di energia elet-trica, poi ad un forte calo della stessa, sintomo e criterio per l’apprezzamento dell’idratazione in corso. Il valore d’assorbimento calerà asintoticamente verso un valore costante (figura 8).

Anche il recupero dei cedimenti, altro sintomo del pro-cesso di reidratazione ha tempi brevi. Il sottostante gra-fico, puramente indicativo, mostra quanto affermato. Occorre rilevare che il valore del recupero dei cedimenti è una parte del cedimento totale. I dati esperienziali e di laboratorio hanno evidenziato valori percentuali tra il 30 ed il 100%, funzione delle caratteristiche intrinseche dei terreni stessi.I recuperi dei cedimenti sono stabili nei valori e nel tem-po fin tanto che l’impianto elettrosmotico è in funzione.Anche gli assorbimenti di acqua, alti all’inizio del tratta-mento, calano notevolmente col tempo, così come quelli elettrici.

Figura 8. Andamento delle variazioni degli Ampere in funzione del tempo.

Figura 9. L’impianto è alloggiato all’interno di tubi di protezione e co-perto con il cemento.

Figura 7. Schema tipo di disposizione degli elettrodi in pianta ed in se-zione; i simboli vuoti indicano la prima serie di elettrodi, quelli pieni la seconda serie di elettrodi.

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P 94-068;- analisi mineralogica XRD semiquantitativa (TQ + FF

nat.+gli.,

metodo Biscaye) con analisi chimica XRF.

Rappresentazione planimetrica schematica del Caso A

Scaglioni [SCAGLIONI, 1992] riporta una tabella orien-tativa, tratta da Sowers G.F. del 1962, che indica come in “zone umide”, contrapposte a “zone aride”, ad un Ip compreso tra 30 e 50 corrisponda un’”entità dei cam-biamenti di volume con i cambiamenti di umidità” “da piccola a moderata”, mentre ad un Ip maggiore di 50 corrisponde un’ ”entità dei cambiamenti di volume con i cambiamenti di umidità” “da moderata a forte”. In base a questa classificazione il Caso 1 ha un’”entità dei cam-biamenti di volume con i cambiamenti di umidità” “da moderata a forte”.

4. DUE CASI APPLICATIVI

I due casi analizzati si trovano tutti nella “Bassa parmen-se” (figura 10). Dal punto di vista geologico, i terreni di fondazione sono tutti costituiti da materiale coesivo au-toctono classificato come “Alluvioni recenti” del Quater-nario continentale [R.E.R., 2002].Il fenomeno è stato applicato ed osservato in un primo cantiere dodici anni fa con risultati positivi ma inattesi. In quella sede (Caso A) non è stato possibile mettere in opera la batteria di analisi attuata invece per l’altro caso analizzato (Caso 1).Le condizioni al contorno prevedevano la presenza d’ac-qua nel terreno da sottoporre a trattamento, ovvero la sua fornitura in superficie; la non immissione di sali nel terreno; l’applicazione del processo non più ad un “si-stema chiuso” come il laboratorio, ma ad un sistema aperto, con bassa d.d.p.; la presenza della componente attiva delle argille.Tutti i campi prova avevano in comune la variazione dell’apertura delle fessure nelle piccole palazzine in fun-zione della stagione: dopo periodi piovosi le fessure ten-devano a chiudersi, dopo periodi asciutti ad aprirsi.In entrambi i casi, la vicinanza con alberi d’alto fusto ha influenzato il fenomeno.La falda, monitorata nel “Caso A” prima, durante e dopo l’intervento, non ha avuto alcuna influenza sulla speri-mentazione. Non è stato registrato alcun innalzamento della falda nei piezometri.Sono stati messi in opera le due serie di elettrodi: quelli negativi e quelli positivi.Gli elettrodi positivi sono stati infissi verticalmente, men-tre quelli negativi obliquamente, in modo tale che la pun-ta dell’elettrodo fosse circa 1 m sotto il piano di fonda-zione, interessando così il bulbo degli sforzi.Gli elettrodi così disposti sono stati collegati ad un ali-mentatore che manteneva costante la d.d.p..Si è proceduto ad una inversione del campo elettrico motivata dall’intenzione di eliminare la possibile presen-za di “zone d’ombra” [VENIALE, 1978] e di diminuire la resistività del terreno dovuta ad un pH neutro tra gli elet-trodi [VENIALE, 1978].Nel Caso 1 sono stati prelevati alcuni campioni di terreno, prima e dopo il trattamento. Tutti i campioni sono stati sottoposti alla seguente serie di indagini (tabella 1 e 2):- analisi granulometrica;- determinazione di alcuni limiti di Atterberg e degli indici

ad essi correlati;- determinazione del contenuto naturale d’acqua del ter-

reno;- prova del blu di metilene con metodologia AFNOR – NF

Figura 10. Stato di fatto del fabbricato.

Numero di campioni

prelevati prima del

trattamento

Numero di campioni

prelevati dopo il

trattamento

Profondità di

prelievo sotto le

fondazioni in m

Caso A - - -

Caso 1 1 1 1

Tabella 1. Caratteristiche dei campioni prelevati.

Composizione

granulometrica (A.G.I.)

Diagramma di Plasticità

di Casagrande

Wl Wp Ip W

Valori espressi in percentuale

Caso A Argilla - - - - -

Caso 1

C1NT

Argilla limosa grigio

nerastra

Argilla inorganica di

alta plasticità88.90 33.18 55.72 55.65

Caso 1

C1T“ “ 88.70 34.10 53.60 39.20

Tabella 2. Esiti dei limiti di Atterberg.

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Bisogna tener presente che i valori di VB, Acb ed Sa ri-sultano sovrastimati rispetto ai valori ottenuti sugli stessi

indici con prove tradizionali.

È però anche vero che esiste una correlazione lineare marcata tra le due stime degli stessi indici ottenuti con le due modalità differenti, che permette di rapportare i valori dei tre indici da prove col blu di metilene, a valori da prove elettroforetiche:

- VBalla macchia

= 1.6136 VBelettroforesi

+ 0.2516;- Acb

alla macchia = 1.9509 Acb

elettroforesi + 2.0735;

- Saalla macchia

= 1.6136 Saelettroforesi

+ 5.2666.

Tutti i campioni sono stati sottoposti ad analisi chimica e diffrattometrica, con il seguente esito riassuntivo: “i campioni esaminati sono da ritenersi dal punto di vista chimico-mineralogico del tutto simili. I tracciati diffrat-tometrici mostrano infatti poche differenze essenzial-mente riguardanti i plagioclasi e i fillosilicati, ma tutte riconducibili a differenze di orientamento preferenziale dei campioni analitici”.

A seguito dell’installazione dell’impianto, sono stati ri-levati i seguenti valori sperimentali (figura 11).Per quanto riguarda il Caso 1, è presente un albero (aghifoglie) con fusto di circa 15 cm di diametro.La palazzina era soggetta alla variazione dell’apertura delle fessure in funzione della stagione: dopo periodi piovosi le fessure tendevano a chiudersi, dopo periodi asciutti ad aprirsi.Dopo l’installazione dell’impianto, è stata applicata una d.d.p. Dopo 24 ore, si è registrato un calo d’intensità, cui è seguito un ulteriore calo nei successivi 6 giorni, senza registrare alcun recupero dei cedimenti.Dopo questa prima settimana d’applicazione, la d.d.p.

Dai dati riportati, è possibile:

1. calcolare il Coefficiente di Attività Colloidale delle ar-gille (A), come il rapporto tra Ip e la percentuale di passante inferiore ai 2µm;

2. ricavare il Grado di Plasticità, molto plastico con l’Ip maggiore di 40, plastico se compreso tra 15 e 39;

3. ricavare l’indice di consistenza (Ic) (tabella 3), e quindi la consistenza relativa (Cr), come il rapporto tra la dif-ferenza tra il limite liquido (Wl) ed il contenuto naturale d’acqua (W), e l’Indice di plasticità (Ip).

I campioni di terreno sono anche stati sottoposti alla prova del “blu di metilene” detta “alla macchia”, stretta-mente secondo la metodologia AFNOR – NF P 94-068, per la determinazione di una serie di parametri legati alle caratteristiche fisiche e mineralogiche della frazione ar-gillosa.Sono riportati di seguito i risultati di tale prova, media di tre prove effettuate su ogni campione (Tabella 4). Il peso secco era identico in ciascuna prova; Vm è il volu-me medio di blu di metilene con concentrazione di 10 g/l utilizzato in ciascuna prova; e VB è il “valore di blu” per 100 grammi di campione ottenuto dalla relazione VB = V/Ps, dove Ps è il peso secco; Sa è la superficie specifica totale (esterna più interna) dei minerali argillosi presenti nel campione che si sta analizzando, ottenuta dalla re-lazione Sa = 21 VB in m2/g; Acb è il VB della frazione di particelle inferiori ai 2µm e viene definito come Indice di Attività della frazione argillosa del terreno, ottenuto dalla relazione Acb = 100 VB/F, dove F è la percentuale di ar-gilla con dimensioni inferiori ai 2µm.

A Grado di

Plasticità

Ic Cr

Caso 1 C1NT 0.84 -

Mediamente

attiva

Molto plastico 0.60 Plastica

Caso 1 C1T - “ 0.92 Solido-plastica

Tabella 3. Comportamento delle argille.

Tabella 4. Esiti delle prove al blu di metilene.

Ps Vm VB Sa Acb

Caso 1

C1NT33.4 220 6.6 138.6 10.0

Caso 1 C1T 35.2 125 3.6 75.6 7.2

Figura 11. Variazione dell’intensità della corrente in funzione del tempo.

Recupero dei cedimenti in funzione del tempo nel Caso A.

Variazioni dell’intensità di corrente in funzione della resistenza e dei tempi registrate nel Caso A.

0

0,5

1

1,5

0 10 20 30 40 50day

mm

0

2

4

6

8

10

12

0 0,5 1 1,5 2 2,5Ampere

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m 0

1 day

4 days

45 days

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BIBLIOGRAFIA

AFNOR Norme française NF P 94-068 (1993) – Mesure de la qualité et de la fraction argileuse – Association Française de Normalisation, Paris, La Defense

ARMILLOTTA P. (2000) - Consolidamento e recupero di cedimenti in terre-

ni coesivi mediante elettrosmosi. Convegno sul tema “La Geofisica strumento di monitoraggio ambientale”. In “GEOFLUID 2000”, V. Illi-ceto ed. Piacenza 4 – 7 ottobre 2000 (in stampa).

ARMILLOTTA P., 2002, Recupero parziale mediante elettrosmosi dei cedi-

menti differenziali di costruzioni adibite a civili abitazioni con stabiliz-

zazione dei loro terreni di fondazione che presentano la componen-

te argillosa attiva, Atti XXI Convegno Nazionale di Geotecnica, AGI, L’Aquila.

EVANGELISTA A. (1995) – Valutazioni teoriche e osservazioni sperimentali sui processi di trattamento dei terreni sulle modifiche indotte – Atti del XIX Convegno Nazionale di Geotecnica – A.G.I., Pavia 19/21 set-tembre 1995, Vol. II – Il miglioramento e il rinforzo dei terreni e delle rocce.

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VENIALE F. (1978) – Consolidazione elettrosmotica e chimica – Atti del Seminario su Consolidamento di terreni e rocce in posto nell’inge-gneria civile, Stresa, maggio 1978.

è stata aumentata, cui non è seguito alcun calo nelle successive 24 ore. Durante questa seconda fase, dura-ta pochi giorni, si è registrato un recupero dei cedimen-ti, frazione di quello totale.Dopo l’immissione di molta acqua nel terreno, i fessu-rimetri hanno registrato un ulteriore recupero dei cedi-menti.Il recupero totale è stato di circa il 60 % del cedimento differenziale totale.Sono state effettuate due prove penetrometriche sta-tiche, una prima ed una dopo l’applicazione, da cui è emerso che fino alla profondità di 10.80 m non è pre-sente la falda. Da esse è anche emerso che i valori di Rp e Rl sono calati di circa il 10 % nel volume di terra trattato col campo elettrico.A distanza di dodici anni, dopo le estati 2003, 2005 e 2007, e dopo periodi piovosi e siccitosi, non si registra alcun movimento relativo del terreno o della costruzio-ne. Non è stato eseguito alcun ulteriore intervento.

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ri

- la necessità di dare piena attuazione agli indirizzi contenuti nel vigente Regolamento APC, ed in particolare all'art. 8;

- la necessità di definire una comune proce-dura disciplinare di attivazione dei procedi-menti disciplinari e le relative per gli iscritti che non abbiano assolto l'obbligo dell'APC;

- che la suddetta procedura, pur nel rispetto del principio di autonomia degli OO.RR. in tema di procedimenti e sanzioni disciplinari, deve garantire un trattamento equo a tutti gli iscritti, indipendentemente dall'appartenen-za territoriale;

- che la norma transitoria, di cui all'art. 10 del vigente Regolamento APC, considera spe-rimentale i primi tre anni di applicazioni del medesimo Regolamento;

- la proposta formulata dalla Conferenza dei Presidenti degli OO.RR. nella riunione del 18 febbraio 2011

DELIBERA

di istituire, in via straordinaria, un percorso di recupero del debito formativo a carico de-gli iscritti che non abbiano assolto l'obbligo dell'APC previsto per il triennio 2008-2010 entro il termine del 31 dicembre 2010. Tale percorso prevede la possibilità di recuperare i rediti mancanti rispetto ai 50 crediti previ-

A tutti gli ordini Regionali dei Geologi

LORO SEDI

Roma, 18 maggio 2011 Rif. P/CR.c/2646

CIRCOLARE N° 337

OGGETTO: Regolamento Aggiornamento Professionale Continuo - Percorso di recupe-ro - Errata corrige.

Il Consiglio Nazionale dei Geologi,

considerato:

sti per il triennio 2008-2010 entro 18 mesi, a far data dal 1 giugno 2011, come di seguito indicato:

a) all'iscritto che non abbia conseguito alcun credito nel triennio 2008-2010 è comunica-ta una nota di diffida, ed è contestualmente riconosciuta la facoltà di recuperare i credi-ti mancanti entro 18 mesi, a far data dal 1° giugno 2011;

b) all'iscritto che nel triennio 2008-2010, abbia conseguito un numero di crediti compreso tra 1 e 49, è riconosciuta la facoltà di recu-perare i crediti mancanti entro 18 mesi, a far data dal 1° giugno 2011.

Qualora, alla scadenza dei 18 mesi, l'iscritto di cui ai punti a) e b) non abbia assolto l'obbli-go dell'APC relativo al triennio 2008-2010, gli OO.RR. commineranno nelle forme pre-viste la sanzione della sospensione, nel ri-spetto delle previsioni dell'art. 14 della legge 616/1966 e dell'art. 40 delle Norme Deon-tologiche.

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amministrativo e tecnico, quando doveva richiedere delle integrazioni o precisazioni in merito ad una pratica di vincolo idrogeologico (e questo avveniva molto fre-quentemente), non scriveva direttamente al titolare della domanda, ma inviava la sua richiesta alla provincia, la quale provincia come ente delegato, provvedeva a ri-chiedere con propria lettera le integrazioni richieste del SPDS regionale.Nelle varie lettere che venivano spedite dalla provincia ai titolari delle varie domande, c’era sempre un riferimento al Servizio Provinciale della Regione, per esempio: “visto

il parere del Servizio Provinciale Difesa del Suolo, Risor-

se Idriche e Forestali…, oppure viste le richieste di inte-

grazioni del…”.

Nonostante queste puntuali precisazioni, al ricevimento di ogni lettera, non si vuole esagerare ma, in media circa il 50% dei titolari delle domande di vincolo idrogeologi-co, facendo confusione sui nomi (amministrazione pro-vinciale e servizio provinciale), telefonavano in provincia (visto che c’era tra l’altro il numero di telefono dell’ufficio nella lettera), per avere chiarimenti ed informazioni circa le richieste dell’SPDS e, più o meno dicevano:“Buongiorno, mi scusi è il Servizio Provinciale Difesa del

Suolo?”,

la risposta che oramai era diventata di routine era: “no!

Questa è la provincia, il Servizio Provinciale Difesa del

Suolo è in regione!”.

A volte comunque è capitato anche il contrario, telefo-navano in regione per parlare con la provincia; oppure andavano ad un appuntamento in provincia mentre do-vevano andare in regione o viceversa. Se ne sono viste e sentite di cotte e di crude. A raccontarla adesso questa storia sembra una barzel-letta, ma purtroppo è stata una triste realtà cha ha av-vantaggiato molto probabilmente, per le telefonate fatte, solo la Telecom di allora.Insomma, per farla breve, a quei tempi c’è stata un tale confusione con i nomi quasi simili delle due istituzio-ni che, l’ufficio vincolo idrogeologico della provincia di Bologna era diventato di fatto, quasi un centralino di smistamento di telefonate varie del Servizio Provinciale della Regione. Non se ne poteva proprio più! Gli stessi professionisti addetti ai lavori (geometri, ingegneri, ge-ologi ecc.) a volte facevano parecchia confusione; per i normali cittadini invece è stata durissima (solo dopo 4 o 5 pratiche di vincolo idrogeologico si sentivano vera-

Sono già più di 20 anni, anno più anno meno, che il Genio Civile della Regione Emilia Romagna non c’è più. Que-sta è chiaramente una semplice provocazione, perché è risaputo che la struttura pubblica c’è ancora e, svolge peraltro in maniera egregia le sue funzioni istituzionali. Non c’è più infatti con il suo vecchio nome originale quello di “GENIO CIVILE”, conosciuto un po’ da tutti, addetti ai lavori e non.Circa una ventina d’anni fa, per una ragione ancora mi-steriosa ed avvolta molto probabilmente nella politica lo-cale, si decide di cambiare il nome a questa illustrissima ed utilissima istituzione pubblica.Il nuovo nome sarà per circa due decenni quello di “Ser-

vizio Provinciale Difesa del Suolo, Risorse Idriche e

Forestali della Regione Emilia Romagna”. Da notare che c’è anche una virgola nel nome completo e, per dire tutto il nome in un colpo solo bisogna fare sempre un bel respiro. Dopo pochissimo tempo dalla data d’adozione del nuo-vo nome, visto che era troppo lungo e contorto divenne ben presto, per comodità chiamato “Servizio Provincia-

le” o anche semplicemente “SPDS”.

Durante il “periodo storico” quindi dell’SPDS, intorno agli anni novanta per la precisione, lo scrivente si occu-pava per conto dell’Amministrazione Provinciale di Bo-logna, della gestione del vincolo idrogeologico in qualità di responsabile del procedimento amministrativo. Ogni anno venivano esaminate in media circa 2000 pratiche.Si lascia quindi immaginare in quegli anni quante lettere, richieste di integrazioni, autorizzazioni, precisazioni varie ecc. ecc., siano state spedite (ai titolari delle domande, ai comuni, al Corpo Forestale dello Stato, allo stesso Servizio Provinciale Difesa del Suolo ecc.). Una quantità inimmaginabile per dimensioni e numeri; i colleghi di al-lora ne sono tutti testimoni.Uno degli aspetti un po’ contorti dell’iter burocratico e amministrativo di allora era che, il rilascio delle autoriz-zazioni da parte dell’Amm.ne Provinciale, doveva essere sempre supportato da un parere tecnico, espresso dal Servizio Provinciale Difesa del Suolo, Risorse Idriche

e Forestali della RER; il motivo di ciò era dovuto al fatto che la regione aveva dato si la delega alla provincia per il vincolo idrogeologico, ma si era tenuta però l’istruttoria tecnica (anche se non vincolante in fase autorizzativa).Il Servizio Provinciale “regionale”, durante il suo iter

C’era una volta il Genio Civile della Regione

Emilia Romagna!

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P.S.

- Nonostante siano passati già molti anni, tutti continua-no ancora a chiamarlo “Genio Civile”.

- Se vale la regola del “non c’è due senza tre”, è le-cito anche chiedersi: “a quando il nuovo cambio di nome?”.

- Un carissimo amico e collega di un ufficio regionale mi ha informato poco tempo fa, che è arrivata una lettera con questa intestazione:

Spett. Servizio Tecnico Bacino Reno,ex Genio Civile e,ex Servizio Provinciale Difesa del Suolo, Risorse Idriche e Forestali della Regione Emilia Romagna.

- Da un piccolo sondaggio effettuato dal sottoscritto a vari colleghi, professionisti e cittadini, alla domanda “come si chiama adesso il Genio Civile della Regione Emilia Romagna?”, su 18 intervistati è emerso quanto segue:- in 2 hanno risposto correttamente “Servizio Tecnico

Bacino Reno”;- in 8 hanno risposto che non sapevano come si chia-

mava;- in 7 hanno detto “perché ha cambiato nome?”;- Uno ha detto “ma non si chiama Genio Militare?”.

mente padroni della materia).

Un bel giorno alla fine degli anni novanta, la regione im-provvisamente decide di togliere la gestione del vincolo idrogeologico della provincia, ed affidarla alle varie co-munità montane, dandogli inoltre anche l’istruttoria tec-nica.Le telefonate in provincia, dove si chiedeva “pronto?

Servizio Provinciale Difesa del…?”, un po’ alla volta sono finalmente cessate. Alleluia!!

Qualche anno fa, la regione in continuo fermento “lat-tico” e riformista decide (dopo che oramai quasi tutta la popolazione aveva capito che il Servizio Provinciale non era la provincia ma bensì la regione), per la seconda volta nella sua storia e, per la seconda “furbata politica” (non era bastata infatti la prima), di cambiare di nuovo il nome del “Servizio Provinciale ecc. ecc.”, nel nuovo nome di: “Servizio Tecnico Bacino Reno”, diventato poi in breve tempo per comodità “STBR”. Niente da dire, grandissi-ma intuizione! Peccato però che adesso si faccia invece confusione con un’altra istituzione pubblica: “L’Autorità di Bacino del Reno”, che svolge chiaramen-te un ruolo istituzionale diverso dal Servizio Tecnico Ba-cino Reno.

Granarolo dell’Emilia li, 01 aprile 2011

Daniele Magagni

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IN RICORDO DELL’AMICO GIORGIO CASTALDI

Cosa dire di un amico che si perde? Cosa dire di un passato che ritorna come le nostalgie di sbiadite immagini che si ravvivano: dapprima come com-pagni di scorribande giovanili e poi come colleghi di un cammino professionale, allora, certamente non facile da intraprendere e perseguire? Cosa dire di un vecchio amico di famiglia con il quale si è condiviso un lungo e tortuoso cammino di preziose esperienze di ragazzi e, da adulti, di difficili scelte professionali?Ripercorrendo antichi entusiasmi mi vengono in mente le prime assemblee dei geologi ferraresi costituite da un manipolo di carbonari che si riu-nivano in improvvisati scantinati: Giorgio Castaldi, Cesare Rossi, Pierluigi Bison, il sottoscritto e pochi altri, con un unico e drammatico punto all’ o.d.g.: cosa facciamo? Andiamo avanti o molliamo tutto? Quando i geologi venivano chiamati archeologi, biologi … ginecologi. Mi ricordo di un vecchio Sindaco di Goro che era in enorme difficoltà a chiamarmi geologo perché quell’appellativo misterioso ed improponibile gli creava imbarazzo. Quando gli ho detto che poteva darmi del tu e chiamarmi per nome per lui è stata una liberazione. L’unica molla che ci spronava era l’entusiasmo per una professione nuova. Era come inoltrarsi in un terreno sconosciuto, a scarsa resistenza al taglio. Mi ricordo, con grande nostalgia, di quelle lontane riunioni tra cospiratori dove si scambiavano pre-ziose informazioni sulle tecnologie più avanzate: il penetrometro dinamico “tipo Ramsonden”. Chi era costui? Nessuno azzardava una risposta. Teme-vamo che Ramsonden in realtà fosse davvero un …ginecologo. Ma quanta fatica con quella massa battente da 20 Kg per affondare 10 cm di aste alla volta. Un’eternità. E poi, c’era la fase di estrazio-ne... Erano gli albori di una realtà professionale che non lasciava spazi a certezze e pianificazioni a lunga durata. Con l’avanzare della tecnologia siamo poi passati al favoloso penetrometro statico “tipo Gouda” . Roba da extraterrestri: “un piccolo passo per l’uomo un grande passo per l’umanità”. Il favoloso congegno non era altro che il frutto di estenuanti ricerche dai “rottamai“ della provincia (con Gaetano Mazzeo indiscusso esperto del settore) ed improbabili as-semblaggi casalinghi per mettere insieme il terrifi-cante penetrometro statico “tipo Gouda”.In tutto questo turbinio di alterni psicodrammi e conquiste tecnologiche, Giorgio andava avanti con impassibile perseveranza. Non manifestava il mi-nimo dubbio sulla sua “mission”. In silenzio, sen-za mai esternare nervosismo, senza mai alzare la voce…andava avanti…inesorabile. Era veramente incredibile quando, nonostante i nostri dubbi e le nostre angosce, considerava la professione come una realtà in divenire che bisognava solo coltivarla ed incentivarla ed il resto…verrà da solo. Aveva una grande fiducia nelle potenzialità della nostra professione e nel ruolo del geologo. Quasi che una professione del genere, allora, fosse come qualsi-asi altra attività professionale: avvocato, notaio e, naturalmente…ginecologo.Io ero molto più dubbioso e l’idea di lasciare tutto era per me una realtà non molto improbabile. L’en-tusiasmo c’era, la perseveranza un po’ meno.Alla lunga riconosco che Giorgio aveva ragione. Oggi la realtà della professione del geologo è uni-versalmente accettata. Nessuno confonde un geo-logo con improponibili altre categorie professionali.

crescita, a prescindere da ogni logica perversa di mercato.Grazie Giorgio.

Thomas Veronese

. . . . a Giorgio Castaldi

Ciao Giorgio, mentore di scuola e di vita profes-sionale, dal pivello, un po’ presuntuosetto, che 30 anni fa venne a chiederti come, in che modo e cosa utilizzare, per effettuare uno studio per la costruzio-ne di un fabbricato e come sviluppare la relazione tecnica. Con semplicità per te, mi proponesti come avresti affrontato e sviluppato l’analisi.Questo modo di proporre e non imporre il metodo, è un’importante virtù che ho cercato di apprendere e farne tesoro, come quella di affrontare l’analisi con l’umiltà di chi, sebbene dotato di conoscenza in ma-teria, sa che non si può mai ritenere scontato che i terreni e/o rocce siano già conosciuti per esperien-ze in precedenza acquisite.Le mie domande e quesiti, a volte esposti in modo provocatorio, per l’ancora presunta conoscenza acquisita all’università, preziosa come base ma da trasferire alle questioni reali, e con il fare proposi-tivo rispondevi dicendomi dove approfondire – stu-diare, e le successive discussioni sui testi di G. San-glerat, J. Costet, Kerisel, e altri successivi che da loro hanno preso tanto, che trattavano di quell’im-portante strumento, per me semisconosciuto, chia-mato penetrometro statico e di come esaminare ed utilizzare i dati da esso ottenuti, oltre alle piacevoli discussioni sul G. Castany ed il come degli studi in idrogeologia.Ero rimasto piacevolmente sorpreso le volte che mi chiedesti cosa ne pensavo e come avrei affrontato le analisi di un intervento che tu stavi esaminando e risolvendo, con il solito modo di fare propositivo, e mi intrigava il fatto che tu antesignano della ge-otecnica e geologia applicata, con una conoscenza notevole in materia, mi coinvolgessi in tali questioni.Un po’ più tardi ho capito che era un tuo modo di in-segnarmi su come studiare il problema e, come mi dicesti, non si può parlare di tutte le questioni in ge-ologia applicata – geotecnica – idrogeologia e dopo un insieme di considerazioni generali, gli aspetti si affrontano e sviluppano di volta in volta quando si incontra un lavoro di cui prima non si era discusso.Tanti sono stati i tuoi insegnamenti, come quel-la volta in Romagna per vedere strumenti e tra le varie chiacchiere con te e Mari dissi che ne avrei approfittato anche per acquistare un’attrezzatura sportiva, tu osservasti che per te era più importante investire in attrezzature per la professione, sorpren-dendo un po’ sia me che Mari, specificando poi che una priorità non esclude altre desiderate.È stato un proficuo e bel periodo quello in cui ho frequentato il tuo studio cercando di imparare il più possibile, come già feci in quello del Prof. F. Wiullermin, ad entrambi caro, poi le vicende del lavoro hanno reso più radi gli incontri, sentendo la mancanza di costruttivi confronti, ma le volte che c’era occasione di vederci era sempre interessante e piacevole.Ritengo di essere fortunato per aver avuto l’oppor-tunità di conoscerti e con piacere continuo a ricor-dare le discussioni e quesiti di cui parlavamo.Ricordando i segni che hai lasciato nella cara Ferra-ra ed in altri territori, ti ringrazio ancora e ti saluto, ciao Giorgio.

Gian Pietro Mauro Mazzetti

I passi avanti sono stati vistosamente conseguiti.Siamo partiti da un manipolo di carbonari e siamo arrivati a risultati allora impensabili. Grazie, vecchio amico, per il tuo lavoro discreto e costante che è stato da stimolo a me ed altri ad an-dare avanti …. grazie per gli auguri che mi hai fat-to assieme alla tua famiglia (con pubblicazione sul Resto del Carlino che ancora conservo) per la mia vecchia laurea in Scienze Geologiche nel lontano 1972… grazie dell’aiuto alla mia prima titubante relazione geotecnica quando sono venuto nel tuo Studio di via Alberto Lollio con mio figlio piccolo al seguito, perché non sapevo dove metterlo. Si lavo-rava così una volta. Con te perdo non solo un caro amico ma anche un’importante parte della mia vita legata ad indimenticabili ricordi.

Massimo Massellani

Giorgio non avrebbe voluto sentirsi lodare post mortem, in occasioni di diversi funerali di colleghi, mi aveva detto di astenersi dal fare lo stesso con lui, quando gli sarebbe toccato. Non aveva mai avuto manie di protagonismo in vita, figuriamoci nella morte.Quindi sarò sinteticissimo nel dire che Giorgio Ca-staldi era un professionista non avvezzo a compro-messi, esperto come pochi, preparato come pochi, con tanta voglia sempre di leggere e approfondire con una energia che non aveva età. La sua qualità più grande, per noi colleghi di un'altra generazio-ne, era la predisposizione naturale al confronto, per mettere a disposizione degli altri quella sua esperienza e quella sua preparazione non comu-ne in tante discipline della geologia, in particolare nella geotecnica. Adesso, lascia un vuoto incolma-bile, sapere che c'era Giorgio ti faceva sentire le spalle protette davanti ad ogni problematica sul lavoro, adesso le cose sono cambiate. Rimane l'in-segnamento che accompagnerà i più giovani alla

Mi piace ricordare Giorgio insieme al suo ami-co Cesare, in questa foto del 1974, nel loro primo importante lavoro e con il primo stru-mento progettato e costruito da loro, all'inizio di una meravigliosa avventura a cui anch'io mi sono subito unita e che con Giorgio ho vissu-to per trentasei anni. Marilena

Page 37: il Geologo - Anno XI/2011 - N. 41

di oltre un centinaio di stazioni me-

teo sparse per il mondo, anche se

in maniera disomogenea, per cer-

care di trarre delle indicazioni circa

i cambiamenti climatici in corso o

meglio se i dati registrati consenta-

no di trarre delle indicazioni in tale

senso.

Dopo aver fatto cenno ai cambia-

menti climatici del passato ed in

particolare a quelli del Quaternario

ed alle cause astronomiche che li

hanno determinate prospettate dal

meteorologo Milankovic, passa ad

esaminare in maniera critica i dati

derivati dalle misure strumentali dal-

la loro origine ino ai giorni nostri.

I dati si riferiscono anche a periodi

in cui l’industrializzazione non era

così spinta come ai nostri giorni

cosa che permette all’Autore di fare

delle considerazioni sugli effetti dei

cosiddetti gas serra sulla temperatu-

ra. In particolare i dati strumentali

non consentirebbero, secondo l’Au-

tore, di cogliere delle tendenze sia

verso il riscaldamento sia verso il

raffreddamento. Come si suole dire

è un problema ancora aperto.

Se mi è consentito chiosare i dati ter-

mometrici non sono i soli elementi

che i climatologi prendono in con-

siderazione per trarre indicazioni

circa i cambiamenti climatici (penso

alle oscillazioni delle fronti glaciali,

ai depositi lacustri varvati, la coltura

della vite ecc.). Inoltre la transizione

verso un diverso periodo climatico

non avviene in maniera progressiva

ma con numerose oscillazioni an-

che di segno contrario per cui ad

esempio anche se si registrasse un

aumento globale delle temperature

negli ultimi decenni ciò non signii-

ca necessariamente che il clima del-

la Terra vada evolvendo verso un

nuovo periodo caldo.

La materia è dunque molto com-

plessa ed il libro, ben documenta-

to, di Viselli aggiunge un ulteriore

tassello alla ricerca delle cause dei

cambiamenti climatici.

M.Z.

più completa possibile dei loro primi

stadi, uovo larva e crisalide, con sor-

prendenti immagini che mai prima

d’ora erano state pubblicate nel no-

stro Paese, al ine di fornire il più pos-

sibile spunti di rilessione sulle mol-

teplici inluenze che le farfalle hanno

avuto sulla cultura umana, sull’eco-

sistema, sul comportamento di adat-

tarsi ai cambiamenti dell’ambiente in

cui vivono. Ad ogni specie trattata è

collegata una scheda descrittiva che

contiene informazioni utili per l’iden-

tiicazione di casi dubbi. Nella prima

parte del libro la farfalla è descritta

in relazione al volo, alle migrazio-

ni, al mimetismo, alla territorialità,

al loro corteggiamento, alle origini,

alla biologia, al ginandromorismo

(caratteristiche morfologiche contem-

poraneamente maschili e femminili),

alla morfologia, alla cultura etc.. Parte

necessaria e chiara per approfondire

e addentrarsi nella conoscenza delle

singole farfalle, caratterizzate da sin-

golarissime nomenclature.

Il libro, di grande formato e di 375

pagine, interamente illustrato a co-

lori con oltre 2300 fotograie, uti-

le sia agli operatori professionali

in materie ambientali, sia ai molti

entomologi dilettanti, curato e co-

ordinato dal dott. Giovanni Battista

Pesce è stato pubblicato dall’Editri-

ce Compositori.

M.V.A.P.

Titolo:

La temperatura della Terra sta cambian-

do? (1881-2009)

Autore:

Riccardo Viselli

Editore:

libreriauniversitaria.

it, Padova, giugno

2010, pagg. 141

Prezzo: 11,00 e

Si tratta di un

testo divulga-

tivo, ma non troppo, che analizza

in maniera critica i dati termometrici

RECENSIONIa cura di Annalisa Parisi

Titolo:

Farfalle d’Italia

Autori:

Roberto Villa, Marco Pellecchia,

Giovanni Battista Pesce

Editore:

Editrice Compositori, Bologna, dicembre

2009, pagg. 375

Prezzo: 45,00 e

Pubblicazione so-

stenuta dall’Istituto

dei Beni Artistici

Culturali e Naturali

della Regione Emi-

lia-Romagna

Roberto Villa esercita da parecchi

anni la professione di Geologo senza

tuttavia trascurare, nel tempo libero,

una sua antica passione naturalistica

rivolta allo studio delle farfalle.

I suoi interessi, nei lontani anni ses-

santa, si sono rivolti in particolare allo

studio e alla documentazione foto-

graica del loro sviluppo larvale, tra-

mite numerose esperienze di alleva-

menti sperimentali e la messa a punto

di accurate metodiche fotograiche.

Ne è derivata una interessante opera

edita dall’Istituto per i Beni Artistici,

Culturali e Naturali della nostra Re-

gione che ha visto la luce nel Gen-

naio 2010.

Nel volume, preceduta da una bre-

ve sintesi generale della biologia di

questi variopinti e spettacolari insetti,

curata dal biologo Marco Pellecchia,

chiamato a partecipare alla stesura di

questa parte dell’opera, vengono mo-

strate le immagini di tutte le 283 spe-

cie presenti in Italia, secondo quanto

riportato nell’introduzione del prof.

Emilio Balletto, con importanti no-

tizie sulla loro distribuzione, sugli

habitat frequentati, le loro generazio-

ni annuali, le piante nutrici a livello

larvale e inine una rafigurazione il

Emili

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