32
PERIODICO QUADRIMESTRALE - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art, 1, comma 1, DCB (Bologna) GEOLOGI ORDINE Emilia - Romagna il GEOLOGO dell’EMILIA-ROMAGNA Bollettino Ufficiale d’Informazione dell’Ordine dei Geologi Regione Emilia-Romagna Anno XII/2012 - N. 45 - NUOVA SERIE Chiesa di Sant’Egidio Abate posta nel centro di Cavezzo (MO) scattata dal geologo Giovanni Bertolini il 2 giugno 2012 da un velivolo ultraleggero. Non è il terremoto ad uccidere, ma uccide il crollo dei fabbricati. Lo stato delle conoscenze attuali permette di ridurre l’impatto dei terremoti; questo concetto si deve necessariamente trasformare in una politica di prevenzione e messa in sicurezza del territorio quale opera pubblica più importante del paese. (Ripresa dall’iniziativa dei Geologi ferraresi “Adotta un monumento”, cortesia del Geologo Antonio Mucchi) NUMERO SPECIALE Terremoto dell’Emilia

il Geologo - Anno XII/2012 - N. 45

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Bollettino Ufficiale d’Informazione dell’Ordine dei Geologi Regione Emilia-Romagna

Citation preview

PERIODICO QUADRIMESTRALE - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art, 1, comma 1, DCB (Bologna)

GEOLOGIO

RD

INE

Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Bollettino Ufficiale d’Informazionedell’Ordine dei Geologi Regione Emilia-Romagna

Anno XII/2012 - N. 45 - NUOVA SERIE

Chiesa di Sant’Egidio Abate posta nel centro di Cavezzo (MO) scattata dal geologo Giovanni Bertolini il 2 giugno 2012 da un velivolo ultraleggero.

Non è il terremoto ad uccidere, ma uccide il crollo dei fabbricati. Lo stato delle conoscenze attuali permette di ridurre l’impatto dei terremoti; questo concetto si deve necessariamente trasformare in una politica di prevenzione e messa in sicurezza del territorio quale opera pubblica più importante del paese.(Ripresa dall’iniziativa dei Geologi ferraresi “Adotta un monumento”, cortesia del Geologo Antonio Mucchi)

24bit made in italy

PROSPEZIONE SISMICA A6000S

ULTRASUONI CROSS-HOLE A6000U

PROSPEZIONE GEOELETTRICA A6000E

MAE Advanced Geophysics Instruments www.mae-srl.it [email protected]

VIBRALOG - SISMOGRAFO 3 CANALI

DATA LOGGER FREATIMETRI

CRONOSONIC - ULTRASONIC TIMER

sismica attiva MASW - SASW - FTAN

sismica passiva ReMi - ESAC - SPAC

sismica a rifrazione onde P - S

sismica a riflessione

sismica down-hole e cross-hole

software analisi H/V e calcolo Vs/30

PROSPEZIONE GEOELETTRICA

CONTROLLI NON DISTRUTTIVI

DIAGNOSTICA STRUTTURALE

DIAGNOSTICA DEI MATERIALI

MONITORAGGIO

ambientale - strutturale

CONDUTTANZA IN OPERA

CONDUCIBILITÀ TERMICA

PROVA SONICA

ULTRASUONI

CROSS-HOLE SU PALI

P.I.T. PILE INTEGRITY TEST

PROVE DI CARICO

SENSORI DI SPOSTAMENTO

SENSORI DI TEMPERATURA

INCLINOMETRI

MISURATORI DI LIVELLO

PROSPEZIONE SISMICA

24bit made in italy

24bit made in italy

NUM

ERO S

PEC

IALE

Terremoto dell’Em

ilia

5Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Terremoto in Emilia

Il numero monografico che diamo alle stampe è stato concepi-

to nella fasi successive al terremoto emiliano del 20-29 maggio

2012. Avevamo allora praticamente pronto il numero dedicato al

Premio di Laurea “Bruzzi” per cui usciamo solo ora con questo

numero monografico dedicato al sisma emiliano. Durante le fasi

di preparazione sono successi diversi accadimenti (in primis la

sentenza di 1° grado per il terremoto de l’Aquila del 2009 ne è

un esempio eclatante).

Procediamo con ordine.

Ho scritto sul precedente Editoriale (Il Geologo n. 44) a propo-

sito del terremoto emiliano che si trattava di un terremoto ina-

spettato ma non inatteso considerando le vicende dei terremoti

storici e delle conoscenze geologiche acquisite sul fronte ap-

penninico-padano.

Apriamo la Rivista con un interessante articolo di Vincenzo Pi-

cotti su ciò che era noto dal punto di vista geostrutturale sull’a-

rea in esame prima del terremoto del maggio 2012 e le nuove

conoscenze acquisite (ahinoi) col nuovo sisma.

L’articolo di Nasser Abu Zeid riguarda il contributo delle indagini

geofisiche per la microzonazione sismica dell’area occidentale

della Provincia di Ferrara.

Infine abbiamo pubblicato l’articolo di Samuel Sangiorgi , relati-

vo ad un’area contermine (comuni dell’alto bolognese) a quella

in cui si è verificato il sisma per evidenziare come studi, corretta-

mente svolti, hanno evidenziato terreni ad alto rischio di liquefa-

zione esattamente nelle aree ove poi si sono registrati i fenomeni

(come dire si è superato il “collaudo”).

Duole non poter dire altrettanto per i comuni dell’alto ferrarese

ove gli studi affidati all’Università di Ferrara (Facoltà di Ingegne-

ria) non hanno evidenziato tali rischi.

D’altra parte gli studi a carattere territoriale (PTCP, PSC) servono

proprio per evidenziare le fragilità ed i rischi del territorio (sisma,

alluvioni, frane) altrimenti tutto finisce per diventare campo della

Protezione Civile (cfr. Editoriale n.. 42).

Segue l’articolo del geologo ferrarese Marilena Martinucci che

evidenzia come nel terremoto emiliano gli effetti di sito siano

stati determinanti.

L’ultimo articolo è quello di Silvia Castellaro e dei colleghi dell’U-

niversità di Bologna, che evidenzia un caso interessante di in-

terazione suolo-struttura relativo a risentimenti sismici su due

torri adibite a residenza molto simili fra loro e poste a Nord di

Bologna.

Ovviamente si parla anche di risonanza tra terreno, struttura e

di effetto di sito.

Tutte cose che abbiamo sempre cercato di fare presente negli

interventi post-sisma ad iniziare dalle modifiche richieste al DL

6/6-2012 ove non si fa cenno al terreno di fondazione ed alle

applicazioni in Emilia-Romagna.

Capiamo le urgenze della ricostruzione meno quello di non ri-

spondere neppure alle sollecitazioni ripetutamente fatte da

Oger per iscritto al Commissario per la ricostruzione e all’Asses-

sore regionale competente. Le non risposte sono estese anche

al nostro CNG il quale condividendo le nostre iniziative e preoc-

cupazioni rimarcava il ruolo di sussidiarietà svolto dai geologi

professionisti.

Considerarli, erroneamente, come portatori di interessi partico-

lari ( leggi ‘casta’) o a procacciatori di lavori significa non aver

capito nulla dei geologi né della loro professione . Basta consi-

derare l’enorme lavoro svolto gratuitamente dai colleghi geologi

ferraresi nell’iniziativa “adottiamo un monumento”.

Speriamo che il nuovo Consiglio Oger riprenda queste tematiche

nella chiarezza e nel rispetto dei lavoro dei geologi professionisti

e della loro rappresentanza..

Per quanto riguarda la sentenza de l’Aquila avverso i componen-

ti della Commissione Grandi Rischi abbiamo assistito ad un pro-

fluvio di commenti estremamente negativi provenienti dal mondo

della ricerca , delle professioni e dei media.

La condanna è stata pronunciata per omicidio colposo, disa-

stro colposo e lesioni personali con riferimento al fatto che la

Commissione avrebbe dato informazioni inesatte, incomplete e

contraddittorie sulla pericolosità della situazione dopo lo sciame

sismico che perdurava da tempo prima della scossa del 6 aprile

2009. Scorrendo le 224 pagine della relazione del P.M. al giudice

monocratico, opportunamente inserita sul sito del CNG, si può

cogliere il minuzioso lavoro fatto dal PM. Il tema non è quello

della prevedibilità del terremoto, né dei rimedi possibili, da ricer-

care nell’adeguamento sismico delle costruzioni, sul quale il PM

si dimostra pienamente d’accordo, ma si concentra sui compi-

ti, definiti per legge, e sul ruolo e funzioni della Commissione

Grandi Rischi nella cui relazione, con particolare riferimento al

comunicato stampa della riunione del 30 marzo, le conclusioni

sono state valutate inesatte, incomplete e contraddittorie sulla

pericolosità della situazione: le quali avrebbero indotto alcune

persone che dormivano all’addiaccio a rientrare nelle abitazioni

ove avrebbero poi trovato la morte.

Il discorso ruota tutto su questo punto.

Si può convenire come non convenire ma almeno andrebbe

chiarito il merito delle questioni.

Certo che, aspettando le motivazioni della sentenza, a chi spet-

ta il compito di fare previsioni di rischio tremeranno le vene ai

polsi pensando ai guai a cui può andare incontro.

Vorrei da ultimo approfittare dell’occasione, offerta dall’uscita di

questi ultimi numeri da me diretti, (come sapete siamo in com-

missariamento per vicende che non commenterò in questa sede)

per salutare i miei lettori ed i miei colleghi con la consapevolezza

di aver curato, per oltre un decennio, una rivista generalmente

apprezzata e con la speranza che tale si manterrà, anzi verrà

sicuramente migliorata.

Maurizio Zaghini

Eedit

ori

ale

7Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

La crisi sismica in Emilia del Maggio - Giugno 2012 e la tettonica attiva in Appennino settentrionaleVincenzo Picotti

Geologo, Università degli Studi di Bologna

Aarti

colo

INTRODUZIONE

Gli eventi sismici che si sono susseguiti nel territorio Emiliano-Romagnolo a partire dal 20 Maggio 2012, per quanto inaspettati, non sono stati di magnitudo mag-giore di quella indicata dalle mappe di pericolosità. Come ogni volta, la natura ci ha offerto una possibilità di verificare la nostra preparazione ad affrontare eventi, che non sono calamità naturali, perché anticipati nei loro effetti dalla comunità scientifica. Al limite, dovrem-mo chiamarli “calamità artificiali”. Dal punto di vista ge-ologico, la crisi sismica è stata l’occasione di verificare lo stato delle nostre conoscenze, insieme all’adegua-tezza delle applicazioni delle stesse ai fini di prevenzio-ne strutturale. Due sono i livelli di conoscenze geologi-che che richiedono una particolare attenzione e verifica a seguito degli eventi: la tettonica attiva della regione, finalizzata al miglioramento delle mappe di pericolosità e la conoscenza dettagliata delle caratteristiche strati-grafiche-geotecniche del primo sottosuolo, finalizzata alla realizzazione della microzonazione. Mentre il secondo è parte del lavoro di questi mesi dei geologi professionisti, che dovranno utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione per mettere a punto mappe di amplificazione dell’accelerazione sismica, in questa breve nota mi concentrerò sul primo aspetto, cioè sulle conoscenze che abbiamo acquisito in seguito a questi eventi sismici, anche in seguito ai lavori prontamente realizzati da un numero notevole di colleghi che hanno operato in modo efficace nei primissimi giorni succes-sivi alla prima scossa principale. Ricordo che i risultati di questi lavori preliminari sono stati pubblicati in un tempestivo volume speciale di Annals of Geophysics (Annals of Geophysics, 55, 4, 2012; doi: 10.4401), che invito i lettori a consultare.

I PRINCIPALI MODELLI A CONFRONTO

Numerosi sono i lavori che hanno trattato la tettoni-

ca della parte frontale dell’Appennino settentrionale, specialmente dopo che le cosiddette pieghe sepolte, evidenziate a partire dagli anni ’40 del secolo scorso, sono state descritte come un prisma deformato da pie-ghe e sovrascorrimenti da Pieri e Groppi nel 1981.

I modelli cinematici differiscono in alcuni aspetti di fon-do, che cercherò di sintetizzare di seguito:•sostanziale continuità cinematica tra il Messiniano

superiore e il Pleistocene-Olocene, con scollamento basale del prisma deformato alla base dei sedimen-ti che immerge verso la catena con angoli variabili. All’interno di questo modello, accettato da una gran-de parte degli autori (e.g. Boccaletti et al., 1985; Ca-stellarin et al., 1985; Doglioni, 1993; Scrocca et al., 2007), le varianti riguardano la possibilità di attivazio-ne di una struttura fuori sequenza al fronte del rilievo appenninico, per spiegarne il rilievo. Questa struttu-ra è stata nominata Pedeapennine Thrust Front da Boccaletti et al., 1985, ed è considerata da diversi autori come una faglia inversa che taglia i depositi Pleistocenico-Olocenici al fronte montano (e.g. Boc-caletti et al., 2010).

•Cambiamento delle geometrie del prisma deformato, avvenuto intorno a 1 Milione di anni fa, con progres-siva disattivazione dello scollamento attivo in tempi Messiniano – Pleistocene inferiore, e attivazione di uno o più piani di scollamento più profondi. Questo cambio di gemetrie provoca un ispessimento del pri-sma deformato, fenomeno osservato in molti margini attivi e spesso descritto come passaggio da accre-zione frontale (frontal accretion) a erosione della sub-duzione (subduction erosion). Una prima proposta di questo tipo proviene da Lavecchia et al., 2003, i quali interpretano la distribuzione dei sismi ipotizzando la presenza di un sovrascorrimento a scala litosferica, che affiora in superficie nel già citato lineamento pe-deappenninico (PTF). Picotti e Pazzaglia nel 2008, propongono che la struttura profonda, espressione crostale del piano di subduzione, si sviluppi in cor-

Messaggio pubblicitario con fi nalità promozionale. Of erta subordinata all’approvazione della società

fi nanziaria. Tan 0% Taeg 0%. Maggiori informazioni sulle condizioni economiche e contrattuali applicate

sono indicate nei fogli informativi disponibili presso la sede di Novatek.

GRATUITI

Via dell’Artigianato 11, 37021 BOSCO CHIESANUOVA (VR)

Tel. 045 6780224 / Fax 045 6782021 - novatek novatek.it

8 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

rispondenza del fronte appenninico, ove costituisce una rampa che assorbe la maggior parte del raccor-ciamento dovuto alla subduzione. Caratteristica di questa rampa, riconosciuta attraverso lo studio dei depositi alluvionali della Valle del Reno presso Bolo-gna, è di essere cieca per la terminazione della faglia a profondità di 15-17 km. Inoltre, il modello cinemati-co restituisce un valore di raccorciamento associato a questa struttura di circa 2.3 mm/anno.

Uno dei problemi principali affrontati dai ricercatori ne-gli anni passati riguarda la valutazione dell’attività delle strutture sepolte in Pianura Padana. Infatti, il primo mo-dello cinematico qui presentato prevede che l’attività tettonica si concentri sul fronte dei sovrascorrimenti at-tualmente sepolto (nel nostro caso il cosiddetto arco di Ferrara), mentre nel secondo modello cinematico la de-formazione avviene nella maggior parte al fronte mon-tano, localizzato 20-50 km più a sud. Dunque, la loca-lizzazione e quantificazione dell’attività delle pieghe e sovrascorrimenti nel cuneo deformato è di fondamen-tale importanza per ricostruire la storia di deformazione e le modalità con cui si ripartisce nella crosta superiore il raccorciamento legato alla subduzione.

ATTIVITÀ DELLE STRUTTURETETTONICHE SEPOLTE In letteratura sono presenti alcuni lavori che hanno messo in evidenza la possibile attività di faglie sepolte tra il fronte del rilievo appenninico e la Pianura Padana. Mentre negli anni ’70 e ’80 l’attenzione si concentrava sulle faglie di superficie, per es. la famosa struttura di Correggio e altre (Pellegrini e Vezzani, 1978, Bartolini et

al., 1982), dagli anni ’90 la comunità scientifica si è fo-calizzata più sulle strutture sepolte, la cui attività è più difficile da riconoscere in superficie. Nel 2003 esce una raccolta delle anomalie del drenaggio principale in Pia-nura Padana, ad opera di un gruppo di lavoro dell’INGV di Roma (Burrato et al., 2003). Questo lavoro, che è servito come base per il rico-noscimento della pericolosità sismica di molte delle strutture, presenti nel catalogo DISS, ne ha individuato l’attività basandosi sulle anomalie del drenaggio. Tra le altre strutture, anche quella di Mirandola viene suggeri-ta dall’analisi dell’andamento del Secchia e del Panaro. Questo lavoro, tuttavia è stato oggetto di critiche per i suoi aspetti di analisi geomorfologica, poiché non ha preso in considerazione tutti gli interventi antropici che si sono susseguiti dalla colonizzazione romana della

Pianura, e che sono particolarmente impattanti sia sulle brusche diversioni dei corsi d’acqua, che sul loro com-portamento di incisione. Difficile dunque per la comuni-tà scientifica accettare in toto i risultati di questo cata-logo, che attribuiva tanto peso all’andamento in pianta dei fiumi principali e alla localizzazione dell’incisione.Successivi lavori hanno affrontato il problema con un approccio più stratigrafico. Questo è il caso di Scrocca et al. (2007), i quali ana-lizzano la struttura di Mirandola e ne ricostruiscono il movimento verticale del culmine dell’anticlinale, rela-tivamente al ventre della sinclinale adiacente. Poiché il dibattito verteva sull’importanza del processo di com-pattazione nel definire i tassi di movimento verticale, gli autori correggono per la compattazione gli spessori dei sedimenti diversi intervalli di tempo analizzati. I ri-sultati mostrano una progressiva diminuzione di attività di sollevamento della piega nell’ultimo Milione di anni, da 0.5 mm/anno ai 0.16 degli ultimi 0.12 Ma (Scrocca et al., 2007).Nel 2008 Picotti e Pazzaglia presentano i tassi di solle-vamento della struttura che sottende il fronte montano dell’Appennino. I risultati mostrano una tendenza op-posta alla struttura di Mirandola, con un sollevamento del culmine dell’anticlinale in crescita nell’ultimo Milio-ne di anni, con un aumento da 0.2 a oltre 1.5 mm/anno.Negi ultimi anni, la tecnologia GPS ha permesso di ri-costruire con sempre maggiore precisione il campo di velocità della superficie geodetica, con il risultato di poter quantificare gli spostamenti lungo le strutture. In un primo lavoro, Serpelloni et al. (2005) hanno di-mostrato che tutto il settore padano dell’Apennino è in raccorciamento di circa 0.8 mm/anno in direzione nor-dest. Recentemente Bennett et al. (2012) pubblicano una sintesi di anni di esperimenti con una fitta rete di antenne permanenti e temporanee. I risultati, più raffi-nati rispetto ai precedenti lavori mostrano un campo di velocità compressivo, con il massimo gradiente di velocità orizzontale di circa 2.9 mm che si realizza tra il crinale ed il fronte pedeappenninico. Nella Pianura Padana le velocità in raccorciamento sono nell’ordine dei decimi di mm. Nel lavoro di Cuffaro et al. (2010), invece, il campo di velocità in Pianura Padana, anche se costruito con un numero di misure molto inferiore, mostrava un gradiente importante nell’area della strut-tura di Mirandola.In sintesi, i dati geologici e geodetici convergono a de-finire che il raccorciamento nell’Appennino settentrio-nale avviene in una fascia ristretta di 40-60 km, con velocità di oltre 2 mm/anno al di sotto della catena, e di pochi decimi di mm/anno in Pianura Padana.

Aarti

colo

9

Aarti

colo

Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

GLI ASPETTI CINEMATICI DEI TERREMOTI

E’ ormai noto che i meccanismi focali dei sismi di Mag-gio_Giugno 2012 sono di tipo compressivo, con assi di massima compressione orientati circa N-S (Pondrelli et

al., 2012). La rilocalizzazione dei sismi di aftershock (Mar-zorati et al., 2012) ha permesso di visualizzare i segmenti di faglia che si sono attivati con gli eventi sismici. Da que-sta analisi (Fig. 1) emerge che i sismi sono distribuiti intor-no a due piani distinti: quello associato all’evento del 20 Maggio, il più orientale, immerge di circa 45° verso SSW, mentre quello del 29 Maggio è subverticale e immerge di oltre 80° verso SSW. Si tratta di piani di circa 25 km di ampiezza in pianta, mentre in profondità la distribuzione dei sismi varia dai 5 ai 15 km per il piano orientale, dai 5 ai 20 km per il più occidentale e subverticale.In Fig. 2, alla sezione geologica presentata da Picotti e Pazzaglia (2008) sono sovrapposti i sismi di aftershock, tratti da uno dei profili di Marzorati et al. (2012) che ta-gliano il piano più prossimo alla traccia della sezione. Nella versione originale, questa sezione metteva in evi-denza come attiva una faglia inclinata di circa 50° verso SSW, presente nel basamento con terminazione intorno ai 15 km di profondità. Questa struttura era considerata

dagli autori la più attiva del sistema in compressione e re-sponsabile del sollevamento del fronte appenninico. Nella nuova versione di Fig. 2, si ipotizza che questa struttu-ra sia cinematicamente connessa verso nordest con la struttura responsabile dei sismi di Maggio 2012. Questa ipotesi propone la presenza di un livello di scollamento che rispecchia come geometria quello presente alla base della serie sedimentaria, ma più profondo nel basamento e che prosegue verso la catena inflettendosi a sudovest e raggiungendo i 40 km di profondità all’altezza dello spar-tiacque della catena. In questo quadro, si può interpretare come faglia inversa collegata allo scollamento principale anche la struttura responsabile del sisma di Monghidoro del 2003 (Mw 5.3, Piccinini et al., 2006), che viene loca-lizzata in Fig. 2.Il collegamento cinematico delle strutture che hanno dato i sismi con il livello di scollamento profondo è abbastanza plausibile per la struttura più occidentale, in cui i sismi arrivano fino ai 20 km di profondità, e sono distribuiti in verticale, tagliando quindi ad alto angolo il piano di scol-lamento superiore attivo in precedenza. Invece, per la struttura più orientale l’interpretazione è più problema-tica: la scossa principale (stella rossa in Fig. 2) si va a posizionare in prossimità dello scollamento superiore, e

Figura 1 – Rappresentazione in pianta degli epicentri dei sismi localizzati da Marzorati et al. (2012). In rosso le scosse principali (stella per le scosse

> M5.5). GH è il settore i cui sismi sono riportati sulla sezione di Fig 2. Sb è il profilo di variazione geodetica (tratto da Pizzi e Scisciani, 2012) ripor-

tato sopra la sezione di Fig. 2. I numeri delle isocinetiche sono fringe dell’interferometria, ognuna corrispondente a 3 cm di sollevamento. In nero è

riportata la traccia della sezione e di pozzi di taratura della sezione.

10

Aarti

colo

Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

tuttavia il corteggio di sismi minori si sviluppa quasi tutto al di sotto di essa, pur mantenendo una immersione com-patibile con quella dello scollamento superiore. Bisogna tener presente che la scossa principale non è stata loca-lizzata con la stessa precisione di quelle di aftershock. Dunque è possibile che sia stata attivata una faglia inver-sa che taglia il basamento, già ipotizzata nel profilo origi-nale di Picotti e Pazzaglia (2008) e segnata in rosso in Fig. 2. Infine, la culminazione della piega co-sismica (Fig. 2), ricostruita da Pizzi e Scisciani (2012) nella parte orientale della struttura sismica a partire dai dati interferometrici, non coincide né come posizione del piano assiale, né come lunghezza d’onda con la piega visibile in sismica e associata al sovrascorrimento che segue lo scollamento superiore. Dunque, anche se alcuni dati lasciano spazio ad interpre-tare come attivo lo scollamento superiore, la maggior par-te dei dati cinematici è meglio inquadrata, a mio avviso, dalla ipotesi di una struttura profonda, presentata in Fig. 2.

DISCUSSIONE

Nel loro insieme i dati presentati possono essere inqua-drati nel tempo per permettere una discussione più ge-nerale.La struttura anticlinalica che si è sviluppata a seguito dei movimenti co-sismici dei principali terremoti si è sollevata al culmine di circa 16 – 20 cm. Se confrontata con il tasso di sollevamento medio degli ultimi 125 ky di Scrocca et

al. (2007) (0.16 mm/anno), si può ipotizzare che il tempo di ritorno per un evento di questa magnitudo sia di 1000

anni circa, assumendo per semplicità che la struttura anticlinalica co-sismica sia la stessa di quella analizzata da Scrocca et al. (2007). Questo tasso di deformazione verticale è simile anche per i movimenti orizzontali, poi-chè i piani di movimento responsabili di queste pieghe sono circa inclinati 45°. Il raccorciamento medio su que-sta struttura frontale sarebbe quindi di circa 0. 16 mm/anno. Dunque sarebbe verificata la stabilità geologica del campo di velocità ricostruito grazie ai dati recenti di Ben-nett et al. (2012), cioè che il raccorciamento nella parte frontale del prisma deformato appenninico è dell’ordine di pochi decimi di mm/anno.Una conseguenza di questo fatto è che la struttura che sta accumulando più deformazione è quella che sta al di sotto del margine pedeappenninico. Essa, infatti, è ca-pace di accumulare tra 2.3 e 2.9 mm/anno di raccorcia-mento, a seconda delle ricostruzioni, rispettivamente ge-ologica e geodetica. Anche i tassi di sollevamento della struttura pedeappenninica sono analoghi. Noi non sap-piamo quanto di questa deformazione si traduca in creep asismico e quanto vada ad accumularsi nella componen-te sismogenetica della struttura, tuttavia è chiaro che il potenziale sismico della struttura pedeappenninica è più elevato, fino ad un ordine di grandezza in più, e potrebbe generare terremoti forti >M 6.

CONCLUSIONI

Gli eventi sismici di Maggio – Giugno 2012 permettono di aggiornare le conoscenze sulla tettonica attiva dei settori frontali dell’Appennino settentrionale. Le strutture tetto-

Figura 2 – Sezione geologica della parte in compressione dell’Appennino settentrionale (modificata da Picotti e Pazzaglia, 2008). Le faglie in rosso sono quelle considerate attive. Sono riportati i terremoti localizzati nel settore GH da Marzorati et al. (2012), ed i movimenti verticali positivi, tratti da dati interferometrici (sezione Sb di Pizzi e Scisciani, 2012).

11

Aarti

colo

Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

niche che si sono attivate con il sisma, illuminate con la rilocalizzazione dei sismi di aftershock, possono essere inserite nel quadro strutturale noto per la regione, anche se con alcuni problemi. Secondo lo scrivente, la miglio-re interpretazione in profondità è che le strutture attivate siano rampe connesse cinematicamente con una super-ficie di scollamento profonda, localizzata nel basamento. Questa struttura sarebbe la prosecuzione verso nordest della struttura già delineata in un precedente lavoro. Dal punto di vista cinematico, possiamo dire che le struttu-re attivate hanno assorbito la quantità di raccorciamento che può essersi accumulata in circa 1000 anni, venendo a delineare un possibile tempo di ritorno medio per questo tipo di eventi. Questi eventi sismici hanno quindi confermato le ricostru-zioni geologiche e geodetiche, che localizzano la mag-gior parte della deformazione legata alla subduzione ap-penninica in profondità al di sotto dell’area di catena. La struttura più pericolosa dal punto di vista sismogenetico rimane quella al di sotto del fronte appenninico, fortuna-tamente a profondità di oltre 15 km.

BIBLIOGRAFIA

BARTOLINI C., BERNINI M., CARLONI G.C., COSTANTINI A., FEDE-

RICI P.R., GASPERI G., LAZZAROTTO A., MARCHETTI G., MAZ-

ZOTTI R., PAPANI G., PRANZINI G., RAU A., SANDRELLI F., VER-

CESI P.L., CASTALDINI D. AND FRANCAVILLA F. (1982) - Carta

neotettonica dell’Appennino Settentrionale. Note illustrative. Boll.

Soc. Geol. It. 101, 523-549.

BENNETT R. A., E. SERPELLONI, S. HREINSDÓTTIR, M. T. BRAN-

DON, G. BUBLE, T. BASIC, G. CASALE, A. CAVALIERE, M. ANZI-

DEI, M. MARJONOVIC, G. MINELLI, G. MOLLI, AND A. MONTANA-

RI, 2012. Syn-convergent extension observed using the RETREAT

GPS network, northern Apennines, Italy, Journal of Geophysical

Research, VOL. 117, B04408, doi:10.1029/2011JB008744

BOCCALETTI, M., M. COLI, C. EVA, G. FERRARI, G. GIGLIA, A.

LAZZAROTTO, A. MERLANTI, F. NICOLICH, R. PAPANI, AND G.

POSTPISCHL (1985), Considerations on the seismotectonics of the

Northern Apennines, Tectonophysics, 117, 7–38.

BOCCALETTI M., G. CORTI AND L. MARTELLI, 2010 Recent and ac-

tive tectonics of the external zone of the Northern Apennines (Italy).

Int. J Earth Sci. (Geol Rundsch.) DOI 10.1007/s00531-010-0545-y

BURRATO, P., F. CIUCCI, AND G. VALENSISE (2003). An inventory

of river anomalies in the Po Plain, northern Italy: Evidence for blind

thrust faulting. Ann. Geophys., 46, 865–882.

CASTELLARIN, A., C. EVA, C. GIGLIA, AND G. B. VAI (1985), Analisi

strutturale del Fronte Appenninico Padano, G. Geol., 47, 47–76.

CUFFARO M., RIGUZZI F., SCROCCA D., ANTONIOLI F., CARMINATI

E., LIVANI M., AND DOGLIONI C., 2010, On the geodynamics of the

northern Adriatic plate Rend. Fis. Acc. Lincei 21 (Suppl 1):S253–

S279 DOI 10.1007/s12210-010-0098-9

DOGLIONI C (1993) Some remarks on the origin of foredeeps. Tecto-

nophysics 228(1–2): 1–20.

LAVECCHIA, G., P. BONCIO, AND N. CREATI (2003A), A lithospheric-

scale seismogenic thrust in central Italy, J. Geodyn., 36, 79–94.

MARZORATI S, CARANNANTE S, CATTANEO M, D'ALEMA E., FRA-

PICCINI M, LADINA C, MONACHESI G., AND SPALLAROSSA D.,

2012. Automated control procedures and first results from the tem-

porary seismic monitoring of the 2012 Emilia sequence Annals of

Geophysics, 55, 4, 2012; doi: 10.4401/ag-6116.

PELLEGRINI M. AND VEZZANI L., 1978. Faglie attive in superficie nella

Pianura Padana presso Correggio (Reggio Emilia) e Massa Finalese

(Modena). Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria 1:141–149.

PICCININI, D., C CHIARABBA AND P. AUGLIERA 2006, Compression

along the Northern Apennines? Evidence from the Mw 5.3 Monghi-

doro earthquake., Terra Nova, 18, 89 – 94.

PICOTTI V. AND F. J. PAZZAGLIA (2008), A new active tectonic

model for the construction of the Northern Apennines mountain

front near Bologna (Italy), J. Geophys. Res., 113, B08412,

doi:10.1029/2007JB005307

PIERI, M., AND G. GROPPI (1981), Subsurface geological structure

of the Po Plain, Publications 414, P.F. Geodinamica, CNR, 23 pp.,

CNR, Rome.

PIZZI A. AND V. SCISCIANI, 2012, The May 2012 Emilia (Italy) earthqua-

kes: preliminary interpretations on the seismogenic source and the

origin of the coseismic ground effects. Annals of Geophysics, 55, 4,

2012; doi: 10.4401/ag-6171.

PONDRELLI S., SALIMBENI S., PERFETTI P., AND DANECEK P.,

2012. Quick regional centroid moment tensor solutions for the Emilia

2012 (northern Italy) seismic sequence Annals of Geophysics, 55, 4,

2012; doi: 10.4401/ag-6146.

SCROCCA, D., E. CARMINATI, C. DOGLIONI, AND D. MARCANTONI

(2007), Slab retreat and active shortening along the Central-Northern

Apennines, in Thrust Belts and Foreland Basins, From Fold Kinema-

tics to Hydrocarbon System, edited by O. Lacombe and F. Roure,

pp. 471 – 487, Springer Verlag, Berlin.

SERPELLONI, E., M. ANZIDEI, P. BALDI, G. CASULA, AND A. GALVINI

(2005), Crustal velocity and strain-rate fields in Italy and surrounding

regions: New results from the analysis of permanent and non-per-

manent GPS networks, Geophys. J. Int., 161, 861–880.

27Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

Liquefazione nelle sabbie del fiume Reno: lo studio geologico e sismico predisposto per i Piani Strutturali dei Comuni dell'Unione Reno-GallieraSamuel Sangiorgi1, Luca Bianconi1, Venusia Ferrari1, Piero Vignali2 1 Geologo, libero Professionista - 2 Architetto, Ufficio di Piano Reno-Galliera

I sismi emiliani del 20 e 29 maggio 2012 hanno impo-sto alcune importanti varianti all’articolo ancora in fase di stesura, inizialmente pensato come una sintesi del lavoro espletato. I due terremoti hanno causato effetti di liquefazione dei sedimenti granulari (nei limi e nelle

1. PREMESSA

Già nel 2006, lo studio di pericolosità sismica (G. Viel; S. Sangiorgi) dei Comuni dell’Unione Reno-Galliera1, in Provincia di Bologna (figura 1), aveva prodotto una cartografia di zonizzazione preliminare che costituiva un inquadramento territoriale delle caratteristiche sismiche equiparabile al “primo livello” di approfondimento richie-sto dalla Delibera Regionale del n.112/2007, all’epoca non ancora vigente.Da questa prima analisi, era emerso che i fusi granulo-metrici delle sabbie sepolte (paleoalvei) del Reno, recu-perate da sondaggi di letteratura ed effettuati nel Comu-ne di Bologna, Castel Maggiore e Argelato, ricadevano costantemente entro il fuso predisponente una «elevata possibilità di liquefazione».Per questo motivo, gli studi geologici e sismici succes-sivamente elaborati per i Piani Strutturali dei singoli Co-muni dell’Unione (G. Viel; S. Sangiorgi dal 2007 al 2009; S. Sangiorgi, 2010), hanno consentito un ulteriore e spe-cifico approfondimento degli aspetti di pericolosità si-smica legati alla possibilità di liquefazione dei sedimenti granulari saturi in caso di sisma. Grazie alla disponibili-tà dell’Ufficio di Piano e delle Amministrazioni comunali dell’Unione, gli approfondimenti sono consistiti in nuove indagini geognostiche (sondaggi a carotaggio continuo con prelievo di campioni; pemetrometrie CPTE/CPTU), indagini geofisiche (MASW; Re.Mi.; SCPT; tomografie sismiche a rifrazione; acquisizioni HVSR) e prove di la-boratorio anche molto raffinate e costose su campioni di sabbie (prove triassiali cicliche). Gli studi sismici han-no anche compreso analisi di modellazione numerica monodimensionali della Risposta Sismica Locale (RSL), equiparabili alle analisi di “III livello” richieste dalla deli-bera RER n. 112/2007. Figura 1 – Localizzazione dell’area di studio e dei principali nuclei abitati

1 L’Unione Reno-Galliera comprende i Comuni di Argelato, Bentivoglio, Castello d’Argile, Castel Maggiore, Galliera, Pieve di Cento, San Giorgio di Piano

e San Pietro in Casale.

28 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

sabbie) di paleoalvei recenti, situati soprattutto nella pro-vincia di Ferrara (Comuni di S. Agostino e Mirabello), ma anche nel modenese e nel basso polesine (Veneto). Nel bolognese, gli effetti di liquefazione hanno interessato una piccola zona del Comune di Pieve di Cento, cioè una porzione del territorio dell’Unione Reno-Galliera. La liquefazione avvenuta nel bolognese, seppur blanda negli effetti rispetto ad altre zone colpite, ha offerto a chi scrive una importante occasione di “collaudo” delle analisi espletate per i PSC. Il documento tenta un reso-conto delle analisi liquefazione contenute negli studi ge-ologici e sismici dei Piani Strutturali dei singoli Comuni dell’Unione Reno-Galliera. In ultimo, l’articolo propone gli esiti di una specifica simulazione di “back analysis” del fenomeno, effettuata nel Comune di Pieve di Cento successivamente al sisma.

2. LA RICOSTRUZIONE PALEOGEOGRAFICA

CONTENUTA NEI PSC

È impensabile, per uno studio alla scala territoriale, for-nire una valutazione esaustiva delle effettive condizio-ni di liquefacibilità del sottosuolo. Lo studio geologico da elaborare per un Piano Strutturale, dovrebbe avere il compito di avviare un processo conoscitivo di pericolo-sità a scala territoriale partendo dagli aspetti più “fami-liari”, per un geologo: la ricostruzione paleogeografica di sottosuolo e le condizioni idrogeologiche locali.Gli studi geologici e sismici elaborati per i Comuni dell’Unione Reno - Galliera hanno permesso di zoniz-zare il territorio in termini di potenziale propensione alla liquefazione partendo dai documenti idrogeologici ela-borati per il Quadro Conoscitivo e dai dati stratigrafici di sottosuolo d’archivio dello Studio, degli Uffici Tecnici co-munali (relazioni geologiche e geotecniche depositate) e della Banca Dati Geognostica del Servizio Geologico, Sismico e dei Suoli della Regione Emilia-Romagna. I dati geognostici hanno consentito una ricostruzione interpre-tativa del sottosuolo fino a circa 20 metri di profondità, almeno in alcune porzioni di territorio studiato. Il model-lo di sottosuolo ricostruito ha modificato parzialmente quello già presentato per i primi 10 metri nei Comuni della <<Direttrice Nord>> (G. Viel, 1998), individuando anche gli alvei sepolti a profondità maggiori, di grande ri-levanza anche per gli aspetti relativi alla risposta sismica locale. Nelle aree interessate dagli studi di MZS, l'anda-mento dei corpi granulari è stato ulteriormente affinato grazie agli esiti delle nuove indagini eseguite e, per la superficie, dall'interpretazione di foto aeree. I corpi gra-nulari a cui si è riconosciuta continuità geografica sono

stati cartografati e la figura 2 propone una sintesi com-plessiva per il territorio dell’Unione; sono state distinte le seguenti strutture sepolte granulari:•paleoalvei “Reno 1” e “Reno 2” = comprendono in-

viluppi di paleocanali per lo più sabbiosi, variamente sovrapposti e affiancati, non facilmente distinguibi-li, presenti nei primi 10 metri di sottosuolo (Reno 1). Entro i Comuni di Castel Maggiore e Argelato si sono riscontrati anche livelli con ghiaie e ciottoli. La figura 2 comprende in questa fascia anche i depositi granulari più profondi di alveo a barre “braided”, rappresentati con buona continuità tra i 10 ed i 20 metri di profondità (Reno 2), spesso ghiaiosi nei Comuni di Castel Mag-giore e Argelato; più a nord (Comuni di Castello d’Ar-gile e Pieve di Cento) le prove eseguite e le stratigrafie note dimostrano ancora presenza di sabbie a profon-dità superiori a 10 metri, con potenze anche significa-tive, ma la rarefazione dei punti di controllo è tale da non consentire ricostruzioni di qualche attendibilità.

•paleoalvei “Reno 3” e “Reno 4” = comprendono invi-luppi di strutture sepolte del Reno, che a sud sono ri-levati a quote comprese tra circa 4 metri e 10÷12 metri di profondità (Reno 3) e con potenze complessive di circa 4÷8 metri (Comuni di Castel Maggiore, Argelato e San Giorgio di Piano). Verso nord, la ricostruzione prosegue comprendendo un principale inviluppo di canali sabbiosi anche più superficiali e attraversati fino a circa 12 metri (Comuni di San Pietro in Casale e Gal-liera); qui le tessiture risultano progressivamente più fini e caratterizzate da sequenze di minor spessore: ciò è legato allo spostamento verso ovest del Reno e i canali rappresentati costituivano, con probabilità, docce secondarie del Reno o di altri canali minori, ca-ratterizzati da un difficile deflusso verso nord. La de-limitazione proposta nella figura di sintesi comprende anche i paleoalvei sabbiosi più antichi, profondi e di età forse alto medioevale (Reno 4). Questi ultimi sono attraversati fino a circa 20÷22 metri (Castel Maggiore, Argelato). Verso nord, la rarefazione dei punti di con-trollo limita una ricostruzione accurata, sebbene si ri-scontrino depositi sabbiosi fino a 20 metri anche nei Comuni di San Giorgio di Piano, San Pietro in Casale e anche Galliera (nella porzione più orientale, non ripor-tati nella figura 2).

•paleoalvei “Savena 1” = comprendono l'insieme di pa-leoalvei attribuibili con probabilità al Savena e caratte-rizzati da depositi sabbioso limosi. Le caratteristiche di questi depositi sono diverse da quelle degli alvei del Reno: in questo caso le minori portate complessive ed anche il diverso bacino montano (per geologia ed ampiezza) non hanno consentito la formazione di stra-

29Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

ti di sabbie di spessore superiore al metro. Si hanno comunque poche informazioni di sottosuolo relative a questi antichi alvei fluviali.

Dal punto di vista deposizionale, i limiti laterali dell'insie-me dell'alveo sono costituiti dagli "argini naturali", cioè rilievi determinati dai depositi sabbiosi stessi del fiume. All'interno dell'alveo è riconoscibile: l'alveo attivo (nei cui canali scorre l'acqua di morbida e, durante le piene, si raggiungono le maggiori velocità della corrente) e l'alveo di bankfull (in cui scorre l'acqua durante le piene bienna-li). L'alveo presenta, quindi, varie zone in cui la velocità e l'entità della corrente fluviale assumono diverse gran-dezze, la sedimentazione registra queste diversità con le sue tessiture e strutture. Nel nostro caso, l'ampiezza degli alvei fossili del Reno, valutabile tra Castel Maggiore e San Giorgio di Piano, sulla base di una buona densità di prove geognostiche, è mediamente variabile attorno ai 300 metri. Sono naturalmente presenti zone di espan-sione, rotte e sormonti che hanno consentito l'invasione della pianura circostante, ma i maggiori spessori di sedi-menti granulari si concentrano, ovviamente, nell'area di persistenza nel tempo dell'alveo nel suo insieme.

3. LE INDAGINI GEOTECNICHE ESEGUITE: PROVE

PENETROMETRICHE CPTE/CPTU

Le verifiche della suscettibilità alla liquefazione e dei cedimenti potenziali indotti da sisma possono essere valutati utilizzando correlazioni empiriche basate sui ri-sultati delle prove penetrometriche statiche con punta-le elettrico CPTE, meglio se dotate di cella piezometri-ca (prove CPTU). Il vantaggio dell'uso di queste prove è da ricercarsi nella maggiore accuratezza e ripetibilità rispetto ad altre indagini, nella sua relativa economicità e soprattutto nella possibilità di avere profili continui con la profondità e che forniscono informazioni detta-gliate anche sulla stratigrafia. Gli studi geologici e sismici espletati per i Comuni dell’Unione Reno – Galliera hanno compreso l’esecu-zione di un buon numero complessivo di prove CPTU e CPTE, spinte fino a 30÷31 metri dal p.c. o comun-que fino al “rifiuto strumentale”. La localizzazione delle CPTE/CPTU, condizionata dalla posizione degli Ambiti di previsione, ha consentito di delimitare e “seguire” con un maggiore dettaglio i limiti dei paleoalvei sab-biosi e in particolare gli inviluppi denominati “Reno 3” e “Reno 4” sui quali risultano insediarsi molti dei nuclei urbani e produttivi dell’Unione, consolidati e previsti dai PSC (Castel Maggiore; Funo di Argelato; San Giorgio di Piano; San Pietro in Casale; San Venanzio di Galliera). Per questa fase di studio, si è ricorsi all’approccio at-tualmente più accreditato per le prove CPT basato sulla stima delle CSR (tensioni tangenziali cicliche) secondo l’equazione semiempirica di Seed e Idriss (1971) e sul-la stima delle CRR (resistenze tangenziali del terreno) mobilitate da prove penetrometriche statiche secondo l’equazione di Robertson & Wride (1998). Come ben noto, il rapporto CRR/CSR per ogni lettura fornisce la stima del fattore di sicurezza alla liquefazione (Fs). Le verifiche espletate per i PSC hanno considerato come parametri di input la ag al suolo ricavata dalla MSZ di secondo livello e un sisma di progetto con M =5,5. Le relazioni geologiche dei PSC riportano le diagramma-zioni logaritmiche di sintesi della liquefazione poten-ziale basata sulla classificazione dei sedimenti di P.K. Robertson (1990) e Olsen (1996). La figura 3 propone, come esempio, un risultato “peri-coloso”: gli esiti della verifica di una prova CPTU ese-guita nei pressi di Stiatico a San Giorgio di Piano. La prova ha infatti evidenziato condizioni di liquefazio-ne ciclica possibile (entro la “zona A”), con valori di Fs <1 per tutti gli spessori sabbiosi saturi del Reno attra-versati da circa -3 metri fino a circa -15 m dal piano campagna.

Aarti

colo

Figura 2 – Ricostruzione dei corpi porosi fino a circa 20 metri di pro-fondità

30 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

4. LE PROVE DI LABORATORIO: FUSI

GRANULOMETRICI E PROVE TRIASSIALI CICLICHE

I quattro sondaggi a carotaggio continuo eseguiti a Castel Maggiore, Funo di Argelato e, più a nord, a San Venanzio in Comune di Galliera, hanno permesso di verificare la presenza dei corpi sabbiosi del Reno più superficiali e di prelevare campioni di sedimento granulare rappresen-tativo delle tessiture mediamente riscontrate nella zona satura, da sottoporre alle analisi tessiturali. A questi sono stati aggiunti due campioni, gentilmente concessi

dal Servizio Geologico della Regione Emilia-Romagna, tratti da un sondaggio (S RER) eseguito in corrisponden-za dei medesimi paleoalvei del Reno a Castel Maggiore.Sono stati analizzati in tutto 24 campioni, di cui 9 nei due sondaggi eseguiti a Castel Maggiore, 10 nel sondaggio realizzato a Funo, 3 nel sondaggio di San Venanzio e infine 2 campioni tratti dal citato sondaggio regionale S RER. La scelta dei campioni da sottoporre ad analisi tes-siturale è stata compiuta in base a due criteri: spessore della porzione granulare dello strato almeno superiore a 60 cm, e rappresentatività del campione in relazione all'intera situazione stratigrafica.La figura 4 consente di confrontare gli esiti ottenuti sui campioni prelevati nei sondaggi di Castel Maggiore e Funo di Argelato, nell'intervallo tra -7 m e -17 metri di profondità dal piano campagna, con i fusi granulometri-ci riportati nelle linee guida AGI e nella stessa delibera regionale n.112/2007. Il risultato grafico dimostra che solamente alcuni tratti della colonna stratigrafica inda-gata hanno una composizione granulometrica tale che almeno la coda più fine dei granuli esce dal fuso carat-teristico dell'elevata possibilità di liquefazione, solo in un caso con percentuale di passante superiore al 20%. I due campioni ricavati dal sondaggio S RER hanno for-nito curve granulometriche che rientrano perfettamente nell'inviluppo riportato in figura 4. Anche per il sondag-gio di San Venanzio (Galliera), le tessiture dei campioni prelevati tra -7 m e -8,6 metri sono rientrati nel fuso pre-disponente la liquefazione.La conclusione è che certamente le sabbie considerate (sondaggi di Castel Maggiore e Funo) sono assai simili, che tutte rientrano per almeno il 70% nel campo dell'alta possibilità di liquefazione e che l'ampiezza dell'inviluppo indica che i campioni analizzati provengono da ambienti deposizionali fluviali tra loro non molto diversi.

Figura 3 – Proiezione degli esiti penetrometrici nei diagrammi di sintesi della liquefazione potenziale: prova CPTU3 eseguita a San Giorgio di Piano, frazione Stiatico (da Relazione Geologica del PSC)

Figura 4 – Fasce granulometriche per la valutazione preliminare della suscettibilità alla liquefazione (sondaggi eseguiti a Castel Maggiore e Funo di Argelato)

31Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Gli esiti ricavati dalle indagini penetrometriche e le tessi-ture sopra riscontrate, hanno convinto a procedere con una specifica analisi diretta per la stima della liquefazio-ne al variare del carico ciclico. Le ulteriori verifiche sono state eseguite su campioni rappresentativi dei paleoalvei del Reno indicati come "Reno 3" e prelevati tra Castel Maggiore e Funo di Argelato. Al fine di studiare il com-portamento dei depositi d'alveo, in occasione di impulsi meccanici ciclici (terremoto), è indispensabile raccoglie-re campioni che siano rappresentativi dei contesti depo-sizionali più ricorrenti entro l'alveo fluviale. Per questo motivo si è stabilito di scegliere due campioni:1. il primo rappresentativo delle condizioni di corrente

trattiva (barra sabbiosa) dell'antico alveo attivo, di-stribuite quindi lungo una fascia mediamente ristretta (fino a un centinaio di metri), lungo tutto il paleoalveo del Reno. Il campione è stato prelevato nel sondaggio di Funo tra quota -7,2 m e quota -7,6 m dal p.c;

2. il secondo rappresentativo delle condizioni trattive distribuite entro i due argini naturali (fascia variabile tra 250 e 500 metri di larghezza) ai lati dell'alveo atti-vo, più caratteristico della zona d’alveo raggiungibile dalle piene bi- triennali (“bankfull”). Questo secondo campione è stato raccolto nel sondaggio eseguito a Castel Maggiore (figura 5), tra quota -10,0 m e -10,4 m dal piano campagna.

Il confronto tra le tessiture del campione di Funo di Arge-lato e di Castel Maggiore con un campione rappresenta-tivo delle sabbie pulite del Fiume Ticino (fonte ISMGEO) conferma le attribuzioni sedimentologiche fatte (figura 6), inoltre consente di avere un raffronto anche relativa-mente alle condizioni di liquefazione, già ben studiate per i sedimenti del corso d’acqua alpino.I due campioni sono stati quindi sottoposti a prove Trias-siali Cicliche a liquefazione (CTXS). Le prove, sono sta-te eseguite dal laboratorio di geotecnica ISMGEO (ex ISMES), una delle ancora poche strutture private in Italia attrezzate per eseguire questo tipo di analisi.Non è scopo di questo documento entrare nei dettagli tec-nici dell’attrezzatura impiegata e delle fasi di procedura, facilmente reperibili in letteratura. Si può ricordare che la prova è eseguita utilizzando una cella triassiale standard; per l’applicazione dei carichi ciclici la cella è posta sotto una struttura di contrasto dotata di sistema elettropneu-matico che consente di applicare al provino un carico sinusoidale di ampiezza costante. Il carico è tarato pri-ma dell’inizio della prova mediante un apposito sistema di calibrazione. In laboratorio, i campioni rimaneggiati sono stati ricomposti e riportati alle condizioni natura-li originali, secondo le procedure standard della prova.

Aarti

colo

Figura 5 – Colonna stratigra-fica relativa al sondaggio S1 eseguito a Castel Maggiore. Alle quote tra 10,0 e 10,4 m è stato prelevato il campio-ne per la prova CTXS

Figura 6 – Confronto tra le curve granulometriche dei campioni prele-vati a Funo nel Comune di Argelato (ARG), e nel Capoluogo di Castel Maggiore (CSM), e le sabbie del Ticino (fonte: ISMGEO).

32 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

La simulazione, ha consentito la verifica del comporta-mento a liquefazione dei sedimenti granulari campionati mediante determinazione della curva “stress ratio (SR) – numero di cicli (N)”. Entrambi i campioni sono stati sot-toposti a una successione di tre carichi ciclici a valori di stress ratio crescenti e protratti fino alla liquefazione del provino. La figura 7 riporta il grafico delle tensioni cicli-che in funzione del numero di cicli applicati.

Il diagramma, derivato dagli esiti delle prove di laboratorio, consente di leggere il valore di CSR o di resistenza alla li-quefazione in relazione al numero di cicli di carico imposti per giungere a liquefazione. Il numero di cicli è relaziona-to alla magnitudine del sisma da diverse relazioni empiri-che, la tabella 1 riporta i valori più utilizzati in letteratura.

Questa specifica prova di laboratorio, si può quindi con-siderare “aperta”, cioè permette la stima del parametro CSR al variare dell’intensità dell’impulso sismico. Una valutazione degli esiti forniti dalle prove triassiali cicliche è fornita, ad esempio, dal diagramma di figura 8, rica-vato sulla base di dati relativi a casi storici, per eventi sismici di varie magnitudo e per un coefficiente di si-curezza alla liquefazione (FSL) di 1,25. L'abaco correla le CSR con i valori di Qc1N ottenuti da prove penetro-metriche statiche2 e corretti per sabbie pulite (Idriss e Boulanger, 2004), con la relazione di Robertson e Wride (1998). Si è ottenuto che il campione di Funo di Argelato

cade nel campo della liquefazione, sia pure in prossi-mità della linea di M = 6, mentre il campione prelevato nel sondaggio di Castel Maggiore cade sulla curva limite tra liquefazione e non liquefazione della magnitudo 6, o poco all'interno della stessa.

5. CONCLUSIONI SULLA LIQUEFACIBILITA’

E MICROZONAZIONE SISMICA ELABORATA

PER I SINGOLI PSC

L'insieme delle prove e delle analisi effettuate per i Pia-ni Strutturali Comunali hanno mostrato un quadro ab-bastanza coerente di risultati: la pericolosità sismica nel territorio studiato si concentra attorno alla possibilità di liquefazione delle sabbie presenti entro i primi 15 metri di sottosuolo. Le Relazioni Geologiche e sismiche redatte per i singoli PSC concludevano che, considerata la sismi-cità locale di riferimento e la liquefacibilità di questi corpi sabbiosi valutabile per sismi con magnitudo M >5,5, la pericolosità sia stimabile al “limite basso”: occorre che si verifichi il sisma di magnitudo massima, tra quelli stati-sticamente attesi in questa zona, per attivare il processo che può provocare cedimenti improvvisi (totali e differen-ziali) di entità tale da mettere in pericolo gli edifici. In tal senso, si è precisato che anche la distanza dall’epicen-tro del terremoto costituisce un parametro di stima del-

Figura 7 – Curve “stress ratio – numero di cicli” dei campioni di sabbie prelevate a Funo di Argelato (sondaggio S3) e Castel Maggiore (S1)

Tabella 1 – Stima del n. di cicli di carico N in funzione della magnitudo del terremoto

Figura 8 – Correlazione tra CSR, (QciN)cs ricavato da prove penetro-metriche statiche CPT, magnitudo e fattore di sicurella alla liquefazione (Idriss e Boulanger, 2004)

2 Resistenza di punta penetrometrica ottenuta da prove statiche CPT (Cone Penetration Test), corretta e normalizzata a una atmosfera (100 kPa)

33Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

la liquefacibilità (P. Galli, 2000) e, per eventi di magnitu-do inferiore a 6 la distanza critica dalla zona epicentrale pare molto modesta (dell’ordine dei 10÷20 chilometri). I sismi attesi nell'area di studio, con magnitudo di tale portata, hanno epicentri nell’Appennino oppure dovuti alle strutture sepolte del ferrarese. Sulla base di un si-mile quadro della sismicità locale (figura 9), confermato anche dagli ultimi eventi di maggio 2012, i sismi risulte-rebbero già troppo lontani per provocare effetti signi-ficativi di liquefazione nel territorio in esame. Tuttavia si è anche concluso che possono essere presenti alvei del Reno relativamente recenti e più francamente sabbiosi e in questi casi il grado di approssimazione insito sia nei metodi stocastici che hanno guidato nella classificazione sismica dei Comuni d'Italia, sia nelle prove ed analisi di terreno, è ancora troppo alto per poter garantire ragione-volmente la sicurezza, senza procedere ad accertamen-ti specifici. L'espansione insediativa degli ultimi 50 anni ha, oltretutto, occupato superfici molto estese, in prece-denza agricole, che sono quindi sfuggite all'osservazio-ne nei casi censiti di terremoti storici. Non vale quindi l'osservazione che i comuni oggetto di studio non risul-tino menzionati nei cataloghi appositamente predisposti!A questo proposito, il catalogo nazionale dei casi di liquefa-zione di sabbie sature in occasione di sismi significativi (P. Galli, F. Meloni, 1993), segnala a Zola Predosa, nell’evento del 1505 con M =5,0 e intensità VII, ad una distanza dall’e-picentro di 3 km, la formazione di vulcanetti di fango, la for-mazione di bolle di sabbia e acqua in superficie, e l’apertu-ra di fessure nel terreno. Lo stesso studio riporta i casi nel ferrarese, con l’evento del 1570, tutti con M =5,5 e distanza dall’epicentro compresa tra 3 e 21 km, che segnalano fes-sure nel terreno, vulcanetti di acqua, sabbia e fango, de-formazioni della suolo con sollevamenti ed abbassamenti.

Per quanto scritto, l’analisi della pericolosità di liquefa-zione affrontata negli studi per i PSC dei Comuni dell’U-nione Reno–Galliera non è stata affatto sottovalutata. Per tutto il territorio comunale, si è dunque proposta una classificazione di pericolosità ancora generale e preli-minare, fondata sulla ricostruzione paleogeografica del sottosuolo. Nelle aree interessate dagli studi di MZS, come abbiamo visto, le ulteriori indagini e la maggiore densità di informazioni geognostiche hanno permesso un approfondimento anche quantitativo della pericolosi-tà di liquefazione, introdotta nella stessa MZS. Gli studi di MZS hanno interessato solamente una parte del terri-torio comunale: i principali nuclei urbani già consolidati (capoluoghi; frazioni; aree produttive), dove si concen-trano maggiormente le informazioni di sottosuolo pre-gresse; le nuove aree di previsione (e qui si sono con-centrate le nuove indagini geognostiche e geofisiche). La MZS ha distinto zone con caratteristiche “omogenee” di risposta sismica locale. Ogni zona è contraddistinta dalla stima delle velocità delle onde sismiche di taglio nei primi 30 metri di sottosuolo (Vs30) e dei relativi para-metri di amplificazione, dettati dalla citata delibera RER n.112/2007. La MZS ha considerato anche gli effetti locali legati ai parametri morfologici (scarpate di scavo delle cave a fossa). Per quanto riguarda la pericolosi-tà di liquefazione, gli studi di MZS hanno individuato cartograficamente le aree nelle quali sono individuati sedimenti granulari potenzialmente liquefacibili, secon-do classi alle quali viene attribuito un diverso grado di pericolosità e che possono essere così riassunte:•elevata possibilità di liquefazione e di cedimenti signifi-

cativi = a questa categoria corrispondono le situazioni in cui sono presenti sedimenti sabbiosi saturi in strati singoli o amalgamati, di potenza anche molto signifi-cativa (potenti anche oltre 4÷6 metri) e situati a profon-dità da superficiali fino circa -15 metri;

•possibilità di liquefazione con cedimenti, tessiture e

spessori da controllare = a questa categoria corrispon-dono le aree in cui è segnalata presenza di sabbie e/o sabbie con abbondante matrice fine nei primi 10÷12 metri di sottosuolo, con spessori generalmente com-presi tra 1 ÷ 4 metri;

• liquefazione poco probabile = si tratta di aree in cui la presenza di tessiture granulari è verificata, almeno nei primi 10÷12 metri ma spesso con abbondante matri-ce fine, oppure con ghiaie (parte ovest del territorio di Castel Maggiore e Argelato), oppure con potenze degli strati molto inferiori al metro, oppure con soggiacenze del freatico più elevate (ad esempio la parte ovest del Comune di Castel Maggiore risente ancora dei prelievi di acque sotterranee dai campi pozzi Hera)

Aarti

colo

Figura 9 – Sorgenti sismogenetiche note (database DISS 3.1). Le sigle ITCS corrispondono alle “zone” mentre le sigle ITIS corrispondono a “sorgenti” sismogenetiche.

34 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

La figura 10 offre una sintesi della pericolosità di lique-fazione entro le aree interessate dallo studio di MZS. La figura 10 riporta i limiti degli inviluppi sabbiosi e le prove penetrometriche CPTE/CPTU eseguite per lo stu-dio, per le quali è stato possibile effettuare una verifi-ca della liquefacibilità secondo l’approccio quantitativo precedentemente descritto (Robertson & Wride, 1998). Le prove sono rappresentate con un differente colore a seconda dell’esito ottenuto: in verde sono riportate le CPTE/CPTU senza evidenze di liquefazione mentre in rosso le indagini che hanno riscontrato intervalli liquefa-cibili significativi (Fs <1). Le prove in verde sono state evi-dentemente realizzate all’esterno dei paleoalvei sabbio-si, consentendo una migliore delimitazione degli stessi. La figura 10 localizza anche le terebrazioni a carotaggio continuo eseguite per lo studio, evidenziate sempre con il colore rosso (tessiture predisponenti alla liquefazione; esiti CTXS che dimostrano possibilità di liquefazione per sismi di magnitudo M = 5,5÷6).

Come già scritto, la consapevolezza che le prove geo-gnostiche forniscono solamente un dato verticale pun-tuale, a fronte dell’esigenza di un’interpretazione tridi-mensionale, costringe a demandare anche alle ulteriori fasi di pianificazione (POC e PUA) le ulteriori verifiche locali della presenza di eventuali sedimenti liquefacibili, da spingersi fino al “terzo livello” conoscitivo, come pe-raltro già indicato anche nella delibera RER n. 112/2007. Appare molto difficile, infatti, conoscere a priori l’esatta distribuzione topografica dei “fattori predisponenti”, su un territorio così ampio. Le ricerche e le analisi effettua-te per il presente lavoro hanno dimostrato che i territori compresi negli studi di MZS possono avere sedimenti liquefacibili anche per terremoti di magnitudo relativa-mente modesta, ma non è stata fatta alcuna valutazione concreta relativamente all’entità dei possibili cedimenti nelle diverse situazioni geologiche (potenza, posizione e tessitura degli strati sabbiosi rispetto alla superficie topografica; spessore dello strato insaturo), nei diversi contesti (campo libero; edificato). Tutte queste valutazio-ni, misure e stime dovranno essere oggetto di ricerche di dettaglio da eseguire nei singoli comparti e condizione-ranno probabilmente anche la progettazione delle opere.A tale scopo, la proposta normativa elaborata a corredo degli studi dei PSC ha indicato che la strumentazione di indagine e il numero minimo di prove da effettuarsi secondo la necessità di approfondimenti, dovranno es-sere definite nelle norme di ogni POC o PUA. In questo senso, le successive analisi dovranno definire il modello di risposta sismico più consono all’ambito di previsio-ne (con: stima della profondità del “bedrock sismico”; distribuzione delle onde di taglio Vs, ecc.) e dovranno definire la stratigrafia e le tessiture dell’intervallo di sot-tosuolo almeno dei primi 15 metri per verificare la pre-senza o meno di strati liquefacibili di potenza significa-tiva. La proposta di normativa elaborata per i PSC ha indicato la necessità di stimare gli effetti di liquefacibilità locale anche in funzione dell’importanza dei manufatti previsti e di valutare i cedimenti differenziali e assoluti post sisma mediante verifiche quantitative che potran-no comprendere prove penetrometriche CPUE/CPTU, analisi triassiali cicliche e studi idrogeologici per valutare quote piezometriche e soggiacenze della falda.

6. LA LIQUEFAZIONE INDOTTA DAL SISMA DEL 20

MAGGIO 2012: UN’OCCASIONE DI “BACK ANALYSIS”

NEL TERRITORIO STUDIATO

L’evento sismico del 20 maggio 2012 ha innescato effetti di liquefazione dei sedimenti granulari che costituiscono

Figura 10 – Sintesi della pericolosità di liquefazione dei paleoalvei nelle aree interessate dalla MZS

35Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

i paleoalvei più recenti del Reno. Vistosi effetti di lique-fazione sono stati rilevati tra i comuni di Sant’Agostino e Mirabello, in sinistra Reno. Come già anticipato, anche una porzione di territorio in destra Reno, situata nel Co-mune di Pieve di Cento, è stata interessata da questo fenomeno (figura 11), seppure in misura molto più lieve rispetto alle citate località ferraresi.La liquefazione ha dunque coinvolto una porzione di ter-ritorio studiato a scala territoriale, offrendo, a chi scrive una importante occasione di “collaudo” delle analisi pre-liminari espletate per il PSC. L’evento sismico ha offerto anche nuovi elementi di analisi dei meccanismi di inne-sco di questo fenomeno, che sono stati tentati da chi scrive sulla base di alcune simulazioni di “back analysis”.

6.1 La caratterizzazione a scala comunale dell’area

coinvolta

L’area coinvolta dagli episodi di liquefazione non risul-ta interessata da particolari previsioni urbanistiche: per questo motivo non è stata oggetto di approfondimenti geognostici e le informazioni di sottosuolo sono ricondu-cibili a poche prove di repertorio. Tuttavia lo studio geo-logico e sismico elaborato per il PSC di Pieve di Cento ha proposto una classificazione della pericolosità di li-quefazione, ancora generale e preliminare, fondata sulla ricostruzione paleogeografica. Il sito di interesse viene

compreso nell’invilippo di paleoalvei sepolti “RENO 1”, cioè caratterizzato da alluvioni granulari più superficiali (recenti) riscontrate nei primi 3÷11 metri di profondità. In particolare, il sottosuolo meno profondo (sedimenti depositati negli ultimi 400 anni circa) è ascrivibile a un contesto paleogeografico di canale fluviale, più recen-temente di argine prossimale con deposizione di limi e sabbie legata a eventi di rotta e di tracimazione fluviale del Reno. Infatti, l’osservazione delle foto aeree eviden-zia un tipico pattern con evidenti strutture canalizzate molto diffuse che appaiono svilupparsi prevalentemente verso SE, cioè verso aree che risultavano morfologica-mente più depresse. Per queste condizioni, l’area di in-viluppo è stata classificata nel PSC con «possibilità di liquefazione e di cedimenti significativi» (figura 12).

L’analisi del contesto idrogeologico locale è invece estrapolabile dal Quadro Conoscitivo del PSC Associa-to, in particolare dalla Tavola 2b «Carta Idrogeologica» alla scala 1:25.000. Il rilievo dei pozzi freatici ha infatti permesso la ricostruzione del campo di moto della falda meno profonda (figura 13).

Aarti

colo

Figura 11 – Estratto della <<Carta degli effetti di liquefazione osservati dopo il terremoto del 20 e 29 maggio 2012>> a cura della Protezione Civile e Regione Emilia – Romagna. I punti situati in destra Reno ri-cadono nel Comune di Pieve di Cento (BO). Rilevamenti: in blu STB Affluenti del Po; in verde rilevamento STB Reno; in rosso GeoProCiv

Figura 12 – Estratto della figura 3b <<possibilità di liquefazione dei pa-leoalvei per il Comune di Pieve di Cento>> (da: Relazione Geologica e Sismica del PSC). Il retino in blu indica per l’area di interesse “possibi-lità di liquefazione e di cedimenti significativi”

36 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

Nell’area interessata dalla liquefazione si rileva un “alto piezometrico” locale, legato alle condizioni di alimenta-zione di subalveo del Reno nella falda libera ospitata nei sedimenti granulari e meno profondi, circostanti il corso d’acqua. Le soggiacenze locali risultano assai modeste, nell’ordine di circa 1,5÷2 metri; considerando che il ri-levamento è stato effettuato a fine estate, è ipotizzabile una soggiacenza minima compresa tra 1÷1,5 metri.

6.2 Le nuove indagini di approfondimento:

prove CPTU e simulazioni di “back analysis”

L’area interessata è dunque caratterizzata da particolari condizioni predisponenti la possibilità di liquefazione e di propagazione degli effetti verso la superficie: depo-siti granulari e/o poco coesivi recenti, più superficiali e sciolti; contesto idrogeologico di falda superficiale libera e con soggiacenze assai modeste. Nell’area di Pieve di Cento, le manifestazioni superficiali di liquefazione appaiono non eclatanti, ma molto diffuse. Si sono riscontrati vulcanelli e crepe con fuoriuscita di

sabbia, limo e acqua che si concentrano soprattutto nel-le scarpate dei fossati e lungo i cigli della strada (foto 1), in vicinanza di alberi e frutteti (foto 2) e pozzi. Le manife-stazioni superficiali riscontrate sono state probabilmen-te favorite anche da condizioni di minore resistenza del suolo (scavi, apparati radicali più profondi, ecc.). Dagli esiti dei rilievi di campagna effettuati subito dopo il sisma, è apparso evidente che i sedimenti meno pro-fondi dell’area di Pieve di Cento siano stati coinvolti da energie indotte da impulsi sismici al limite delle condi-zioni di innesco locale del fenomeno della liquefazione! Questa particolare situazione ha spinto chi scrive a rea-lizzare due prove penetrometriche elettriche con puntale piezometrico (CPTU), entrambe spinte fino a 15 metri di profondità. Le penetrometrie sono state realizzate in due particolari posizioni (figura 14): la CPT1 nell’area cortili-va di un’abitazione, in un punto interessato da vulcanelli con fuoriuscita di acqua e sabbia (foto 3); la CPTU2 in prossimità di una seconda abitazione e in adiacenza al pozzo freatico a largo diametro dove il sisma ha fatto risalire la colonna d’acqua con limo e sabbia, fino a fuo-riuscire sul terreno (foto 4).

Figura 13 – Estratto della tavola 2b <<Carta Idrogeologica>> alla scala 1:25.000 (G. Viel, 2003), elaborato cartografico a corredo del Quadro Conoscitivo del PSC Associato Reno – Galliera e Terre di Pianura” (ri-lievo: settembre 2003)

37Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

I dati ricavati dalle prove CPTU sono stati elaborati se-condo le procedure semplificate di verifica della lique-facibilità e stima dei cedimenti sismici attualmente più accreditate per le prove CPTU, basate sulle esperienze di Seed e Idriss (1971) e di Robertson & Wride (1998), recentemente aggiornate dallo stesso P.K. Robertson (2009-2010). Le analisi espletate seguono, inoltre, le note procedure di riferimento dettate dall’NCEER3. Que-sto approccio valuta la propensione alla liquefazione e stima i cedimenti post sisma sia nei sedimenti granulari saturi e insaturi, sia nei sedimenti fini, poco coesivi. La

figura 14 confronta gli esiti penetrometrici desunti dalle due prove: Qt, fr e pressioni interstiziali dinamiche nor-malizzate; tessiture secondo la classificazione di com-portamento dei terreni di P.K. Robertson (1990).Le prove CPTU hanno rilevato uno spessore significati-vo di sedimenti poco profondi caratterizzati da tessiture variabili da limi sabbiosi a sabbie pulite, attraversati fino a circa 6÷6,5 metri di profondità. In particolare, la prova CPTU1 evidenzia un progressivo aumento della granu-lometria (da limi sabbiosi a sabbie più o meno pulite) da circa -2 m dal piano campagna fino a -6,5 m; la prova CPTU2 riscontra invece un intervallo granulare costituito da alternanze di limi sabbiosi e sabbie anche pulite da circa un metro fino a 6 metri di profondità.Si è quindi proceduto alle verifiche speditive della lique-fazione utilizzando i dati di input riscontrati con l’evento sismico del 20 maggio 2012: magnitudo del terremoto Mw =5.9 e quota piezometrica da sisma saliente fino a piano campagna. Con queste condizioni imposte, si sono simulati diversi scenari potenziali di innesco, pro-gressivamente peggiorativi, con incrementi della accele-razione al suolo (ag). La tabella 2 riassume gli esiti delle simulazioni per le due prove CPTU, mentre la figura 15 riporta i diagrammi di verifica della liquefacibilità al varia-re dei parametri descritti.

Aarti

colo

Foto 1 Foto 2

Foto 3 Foto 4

3 NCEER: Northwestern Centre for Engineering Education Research

Figura 14 – Diagrammi degli esiti delle prove CPTU e interpretazioni tessiturali (in rosso: prova CPTU1; in nero: prova CPTU2)

38 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

La tabella 2 riporta lo spessore dello strato non lique-facibilie riscontrato in superficie e la potenza comples-siva dell’intervallo granulare liquefacibile, ricavati dalle simulazioni numeriche (figura 15) al variare della ag al suolo. Per l’intervallo liquefacibile, la tabella 2 riporta di seguito le variabilità del fattore di sicurezza FS dato dal rapporto CRR/CSR (Seed e Idriss, 1971; Robertson & Wride, 1998; Robertson, 2009) e dell’indice di liquefazio-ne potenziale LPI (secondo Iwasaki, 1982). Sono stimati anche i cedimenti sismici verticali totali (secondo Zhang et alii, 2002 ). Gli esiti delle simulazioni hanno consentito il controllo delle condizioni soglia per quanto riguarda la possibilità di manifestazioni superficiali. Ciò è stato possibile dal confronto tra gli effetti superficiali effetti-vamente rilevati al suolo e le condizioni derivate dalle note esperienze empiriche di Ishihara (1985), formulate dall’autore per vari sismi accaduti in Giappone. L’auto-re citato ha proposto un metodo speditivo per la valu-tazione della possibilità di manifestazioni superficiali, basato sul semplice rapporto tra spessori dello strato non liquefacibile superficiale e dello strato liquefacibile sottostante.Sebbene le relazioni proposte da Ishihara siano estrapo-late da sismi di maggiore intensità e con accelerazioni massime al suolo >0,2g, queste permettono di imporre la condizione che, per sismi con ag <0,2g, la presen-za di uno strato non liquefacibile superficiale di potenza superiore a 3 metri risulti di impedimento per qualsiasi manifestazione superficiale anche nel nostro caso. Le simulazioni hanno dunque evidenziato:

Tabella 2 - Esiti delle simulazioni di ”Back Analysis” per vari scenari di innesco della liquefazione nei sedi-menti attraversati dalle prove CPTU (in giallo le “condizioni-soglia” locali probabilmente superate dal sisma del 20/05/2012; in ocra le “condizioni-soglia” probabilmente riscontrate con il medesimo sisma; in arancione le condizioni derivanti dall’esito del mo-dello numerico di RSL elaborato per il PSC di Galliera con il software SHAKE 2000)

Figura 15 – Confronto delle verifiche di liquefazione per le prove CPTU1 (sopra) e CPTU2 (sotto) al variare dei valori di a

g (in nero: a

g=0.08

g, in

rosso: ag=0.10

g, in viola: a

g=0.12

g, in blu: a

g = 0.14

g).

Aarti

colo

39Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

- le condizioni minime di innesco locali della liquefazione (indicate nella tabella 2 con il colore giallo) sulla base dei valori di FS <1;

- le condizioni di liquefazione effettivamente riscontrate nel sito studiato (indicate nella tabella 2 con il colore ocra) sulla base delle caratteristiche dello spessore li-quefacibile simulato (profondità e potenza) e degli ef-fetti superficiali effettivamente riscontrati in superficie.

Le analisi evidenziano valori soglia di innesco locale del-la liquefazione maggiori di 0,10g in condizioni di campo libero (“free field”). Con un modesto incremento della ag (da 0,12g a 0,14g) lo spessore non liquefacibile si riduce significativamente, consentendo manifestazioni di lique-fazione in superficie. L’entità degli effetti di liquefazione accertata nel sito studiato, consente di concludere che le ag effettivamente riscontrate possono ritenersi com-prese nell’intervallo 0,12÷0,14g. Questa stima appare coerente con i dati forniti dalla INGV relativi alla distribu-zione energetica dello scuotimento nelle zone circostanti l’epicentro del terremoto del 20 maggio 2012 (figura 16).

In ultimo, la tabella 2 riporta gli esiti della simulazione di liquefazione locale più severa, in questo caso ricavata dalla modellazione numerica di risposta sismica loca-le (RSL) elaborata per il PSC di Galliera (S. Sangiorgi,

2010). Il modello di sottosuolo elaborato per il capoluo-go Galliera risulta infatti ben correlabile anche alla vicina area di studio. La RSL è stata elaborata con il softwa-re SHAKE 2000 implementando i segnali di riferimento selezionati dalla Banca Dati accelerometrica “European Strong Motion Database”, forniti dal Servizio Geologi-co Sismico e dei Suoli della Regione Emilia-Romagna e scalati per il Comune di Galliera. La modellazione nume-rica permette di calcolare la distribuzione delle tensioni tangenziali cicliche (CSR) nel sottosuolo sulla base degli esiti di risposta sismica locale, da utilizzare per le verifi-che di liquefazione più accurate.

Gli esiti, riportati nella figura 17, evidenziano effetti di po-tenziale liquefazione molto più marcati rispetto a quanto già avvenuto, che coinvolgono tutto l’intervallo granulare attraversato, da sabbioso a limoso, cioè da piano cam-pagna fino a circa 6÷7 metri di profondità. Per l’entità degli effetti di propagazione fino al suolo, la simulazione evidenzia deformazioni superficiali molto elevate, con possibili di gravi ripercussioni sulle fondazioni superficiali e, dunque, con prevedibili lesioni ai manufatti dovute alla stessa liquefazione. In conclusione, quest’ultima verifica fornisce un’ulteriore conferma della pericolosità di lique-fazione che già era stata attribuita all’area di studio dalle analisi espletate per il Piano Strutturale Comunale.

Aarti

colo

Figura 16 – Mappa di scuotimento sismico pubblicato dalla INGV (even-to sismico del 20 maggio 2012). In cerchiato rosso l’area di studio.

Figura 17 – Confronto delle verifiche di liquefazione per le prove CPTU1 (in viola) e CPTU2 (in nero) secondo gli esiti di RSL elaborati con SHAKE 2000.

9. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

BASILI R., G (>1 m) CLASSIFICAZIONE LNELLA LI,P. BURRATO, U. FRACASSI, S. MARIANO, M.M. TIBERTI, E. BOSCHI (2008) - The

Database of Individual Seismogenic Sources (DISS), version 3: sum-marizing 20 years of research on Italy's earthquake geology. Tecto-nophysics

CRESPELLANI, NARDI, SIMONCINI (1991) – La liquefazione del terre-

no in condizioni sismiche. Zanichelli, Bologna

ELMI, ZECCHI (1982) – Note sulla sismicità dericostruiti e deappen-

nino emili PSCLiquefazione_MZSagnolo. In Guida alla geologia del margine appenninico-padano. Società Geologica Italiana – Guide Geologiche regionali, Bologna

GALLI, MELONI, ROSSI (1999) - Historical liquefaction in Italy: rela-

tionship between epicentral distance and seismic parameters. Euro-pean Geophysical Society XXIIII General Assembly Natural Hazards NH3, The Hague, Netherlands

IDRISS I. M. E BOULANGER R. W. (2004) - Semi-empirical procedures

for evaluating liquefaction potential during earthquakes. Proc., 11th International Conference on Soil Dynamics and Earthquake Engine-ering, and 3rd International Conference on Earthquake Geotechnical Engineering, D. Doolin et al., ed Stallion Press, Vol. 1, 32-56.

INGV - DISS WORKING GROUP (2010) - Database of Individual Sei-

smogenic Sources (DISS), Version 3.1.1: A compilation of potential sources for earthquakes larger than M 5.5 in Italy and surrounding areas. http://diss.rm.ingv.it/diss/.

MELETTI, VALENSISE (2004) – Zonazione sismogenetica ZS9 – App.2

al Rapporto conclusivo. Gruppo di lavoro per la redazione della mappa di pericolosità sismica (Ordinanza PCM 3274/2003), Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

REGIONE EMILIA ROMAGNA - UFFICIO GEOLOGICO (1999) – Car-

ta Geologica di pianura dell'Emilia-Romagna – scala 1:250.000. Ed. SELCA, Firenze

REGIONE EMILIA ROMAGNA - SERVIZIO GEOLOGICO, SISMICO E DEI SUOLI, CNR - ISTITUTO DI GEOSCIENZE E GEORISORSE (2004) - Carta sismotettonica della Regione Emilia-Romagna – scala 1:250.000. Ed. SELCA, Firenze

Aarti

colo

40 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

REGIONE EMILIA ROMAGNA - Legge Regionale n.20/2000 - “Discipli-

na generale sulla tutela e l'uso del territorio”

REGIONE EMILIA ROMAGNA - Delibera Regionale n.112/2007 - “Ap-

provazione dell'atto di indirizzo e coordinamento tecnico ai sensi

dell'art. 16, comma 1, della LR 20/2000 Disciplina generale sulla

tutela del territorio, in merito a «Indirizzi per gli studi di microzona-

zione sismica in Emilia-Romagna per la pianificazione territoriale ed

urbanistica»”

ROBERTSON P.K. (2009). Performance based earthquake design using

the CPT. Keynote Lecture, International Conference on Performan-

ce-based Design in Earthquake Geotechnical Engineering - from case history to practice, IS-Tokyo, June 2009.

ROBERTSON P.K., LISHENG S. (2010). Estimation of seismic com-

pression in dry soils using the CPT. FIFTH INTERNATIONAL CONFE-

RENCE ON RECENT ADVANCES IN GEOTECHNICAL EARTHQUA-

KE ENGINEERING AND SOIL DYNAMICS, Symposium in honor of professor I. M. Idriss, SAN diego, CA.

ROBERTSON P.K., CABAL K.L. (2010). Guide to Cone Penetration Te-

sting for Geotechnical Engineering. Gregg Drilling & Testing, Inc., 4th Edition, July 2010.

ROBERTSON P.K. (2009). Interpretation of Cone Penetration Tests - a

unified approach., Canadian Geotechnical Journal 46(11): 1337–1355.

ROBERTSON P.K. (2010). Evaluation of Flow Liquefaction and Lique-

fied Strength Using the Cone Penetration Test. J. Geotech. Geoen-viron. Eng. 136, 842 (2010)

ROBERTSON P.K. AND, WRIDE CE. (1998). “Evaluating cyclic liquefac-

tion potential using the cone penetration test”. Canadian Geotechni-cal Journal, 1998, Vol. 35, No. 3 : pp. 442-459

YOUD, T.L., AND IDRISS, I.M. (2001). "Liquefaction Resistance of Soils:

Summary report from the 1996 NCEER and 1998 NCEER/NSF Wor-

kshops on Evaluation of Liquefaction Resistance of Soils",Journal of Geotechnical and Geoenvironmental Engineering, ASCE, 127(4), 297-313.

ZHANG, ROBERTSON, BRACHMAN (2002). Estimating liquefaction-

induced ground settlements from CPT for level ground. Canadian Geotechnical Journal, 2002, 39(5) : 1168-1180, 10.1139/t02-047

41Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

Alcune considerazioni sugli effetti di sito in aree fra Sant’Agostino e Mirabello nella provincia di Ferrara a seguito del sisma del maggio 2012Marilena Martinucci Geologo

RIASSUNTO

L’evento sismico del 20 maggio 2012 ha posto all’atten-zione l’effetto di sito. Più appariscente ed immediato è stato l’effetto della liquefazione che cessata la scossa che l’ha causata ha terminato la sua azione. Altro effetto, evidenziato soprattutto se abbinato alla liquefazione, è stato quello della fratturazione. I sopralluoghi e le inda-gini effettuate nel territorio fra Sant’Agostino e Mirabello hanno però evidenziato che la geologia e geomorfologia del territorio hanno dato luogo ad effetti sitospecifici, da analizzare dettagliatamente caso per caso. A sei mesi dal terremoto è ancora difficile per i geologi professionisti in-tervenire per la mancanza di indicazioni certe, complete e corrette su tutti gli aspetti degli effetti del terremoto, con la certezza che l’effetto di sito è un fenomeno essen-zialmente geologico e come tale deve essere studiato.

1. INTRODUZIONE

L’evento sismico che ha colpito le province emiliane di Ferrara e Modena ad iniziare dalle ore 4,03 del 20 mag-gio 2012 ha messo in particolare evidenza agli occhi e alla sensibilità dei geologi una importante componente: l’effetto di sito, cioè gli effetti locali che un terremoto re-almente provoca in un dato luogo in funzione delle carat-teristiche proprie.Questi effetti sono chiaramente visibili e riconoscibili nel tratto di territorio posto fra gli abitati di Sant’Agostino e Mirabello dove ho potuto analizzarli nell’affrontare gli stu-di geologico-tecnici, necessari e richiesti dalla normativa, per alcuni lavori professionali e per “Adotta un Monumen-to”.E’ questa una iniziativa dei geologi ferraresi rivolta ai ter-ritori della provincia di Ferrara e ai suoi abitanti duramen-te colpiti dal sisma: offrire gratuitamente la propria opera

professionale per la ricostruzione/ristrutturazione di un edificio od opera pubblica o di interesse pubblico, che abbia subito i danni del terremoto, fornendo come pro-dotto finale la Relazione geologica-sismica-geotecnica corredata di indagini geognostiche, geofisiche, di labora-torio, così come richiesto dalle NTC 2008.Avendo operato in questo contesto per il Cimitero di Sant’Agostino e il Municipio di Mirabello e per alcuni lavori professionali nell’area produttiva di Mirabello, ho potuto notare e tenere conto degli evidenti effetti di sito manifestatisi: la liquefazione e la fratturazione, fenomeni a volte avvenuti separatamente, a volte collegati e con effetti sinergici.Per interpretare adeguatamente gli effetti di sito è neces-sario conoscere la formazione del territorio interessato, la geologia intesa come litologia e rapporti dei litotipi interpretabili nella ricostruzione della formazione e della evoluzione del territorio, come presenza delle falde e loro uso, come interventi antropici e loro effetti.Approcciandosi quindi allo studio di certe aree specifiche e agli effetti del sisma sui manufatti qui ubicati è stato essenziale allargare lo sguardo e prendere in considera-zione quello che sembrava essere un contesto unitario, da Sant’Agostino a Mirabello: il sistema fluviale del fiume Reno, attivo fino al 1775.

2. QUADRO GEOLOGICO DI RIFERIMENTO

Data come base già nota la formazione geologica del ter-ritorio ferrarese e gli eventi tettonici che hanno portato agli ultimi eventi sismici e alla classificazione in zona 3, si è ricostruita la formazione e trasformazione ad opera del fiume Reno che dopo il 1451 (Rotta di Bagnetto Pisano) venne portato artificialmente verso Sant’Agostino e qui si impaludava nelle Valli del Poggio. Immesso artificialmen-te nel Po di Ferrara nel 1526 ne causa ben presto l’inter-

42 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

rimento per cui viene deviato nelle valli di Chiesuol del Fosso e della Sammartina. Il settecento vede il susseguir-si di varie opere idrauliche per migliorare la regimazione del Reno che scorreva pensile e subiva numerose rotte, anche nel tratto Sant’Agostino-Mirabello. L’escavo del Cavo Benedettino che immette definitivamente il Reno nell’ultimo tratto del Po di Primaro fino a condurre le ac-que al mare, pone fine ad un rapporto tra il fiume e il ter-ritorio durato più di 300 anni. E’ palese quindi la presenza del sistema fluviale, alveo pensile e argini, in parte natu-rali e in parte artificiali, che si evidenzia morfologicamente nella piana alluvionale.Litologicamente l’alveo è caratterizzato da sabbie più o meno fini mentre gli argini sono costituiti da sabbie fini e limi intercalati localmente a letti torbosi e resti vegetali.Gli argini passano lateralmente ai sedimenti di piana allu-vionale con limi argillosi e argille e localmente limi sabbio-si e sabbia fine in letti legati agli episodi di rotta o traci-mazione o lenti rappresentanti i depositi di corsi d’acqua minori intrabacinali.Per ricostruire l’evoluzione storica un valido aiuto è venu-to anche dall’ampia documentazione raccolta nel Museo della civiltà contadina di Mirabello. In base a questa analisi si è ricostruita la nascita dei primi centri abitati da San Carlo a Mirabello, in relazione all’ar-gine sinistro del fiume, le opere di sovralluvionamento del Cardinale Aldovrandi per migliorare le condizioni delle sue proprietà, le rotte e gli alluvionamenti che hanno inte-ressato l’argine destro, dalla Rotta degli Annegati a quella della Bisacca, agli alluvionamenti che hanno raggiunto la Torre del Varga.Altro elemento importante nell’analisi morfologica è il mi-crorilievo, in un territorio di pianura dove anche i decime-tri hanno significato. La Carta del microrilievo evidenzia il paleoalveo fra le quote (+14) e (+12) mentre la C.T.R. ri-porta quote fino a (+18) in brevi tratti ancora non spianati.

3. ANALISI DELLE AREE INDAGATE

Le aree studiate i cui risultati vengono compendiati nel-la Relazione geologica, sismica, geotecnica finalizzata al Progetto di ristrutturazione/ricostruzione, sono ubicate lungo il sistema fluviale del Reno, fra Sant’Agostino e Mi-rabello.Per ognuno di questi siti è stata valutata attentamente la posizione rispetto la morfologia e la litologia della strut-tura cercando di ricostruirne l’andamento unitario, non potendo contare sulla cartografia del P.S.C., in effetti a scala non adeguata alle necessità del livello di approfon-dimento.Sono stati osservati gli effetti di sito in base ai quali e alla geologia e formazione del luogo si sono progettate le in-dagini sito-specifiche necessarie.

3.1 Il Cimitero di Sant’Agostino

Lo studio rientra nell’iniziativa Adotta un Monumento ed è stato eseguito in collaborazione con un completo gruppo di lavoro.

Figura 1 – Carta storica

Figura 2 – Microrilevo

Figura 3 – Cimitero di Sant’Agostino: fratture

43Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Gli effetti di sito riscontrati immediatamente dopo l’even-to sismico del 20 maggio sono stati la fratturazione e la liquefazione con abbondante fuoriuscita di acqua e sab-bia grigia dalle fratture.Si sono avuti contatti con l’equipe del prof. Riccardo Ca-puto dell’Università di Ferrara che ha studiato il fenomeno dettagliatamente in una trincea nell’area subito a est del Cimitero e che gentilmente ha fornito notizie al riguardo.La sintesi delle indagini, delle osservazioni operate, del-le valutazioni discusse ha portato alla conclusione che il Cimitero di Sant’Agostino è ubicato fra la strada provin-ciale, su cui ha l’ingresso principale, e la strada arginale posta a quota superiore indicata nella C.T.R. (+16,20), con un dislivello di c.a m 1,20.La parte di più recente costruzione pare posizionata per la gran parte su terreni sabbiosi di alveo per una potenza di c.a 8 metri; la parte originaria è chiaramente su terreni della piana a litologia argillosa con intercalazioni nei primi metri di letti di sabbie legati a fenomeni di rotta o sovral-luvionamento.La frattura bene evidente anche nel corpo di fabbrica e nel piazzale asfaltato a lato, separa nettamente le due parti e ha manifestato una copiosa fuoriuscita di sabbia e acqua.Il Cimitero è inserito nella Determinazione n.12418 del 02.10. 2012 della Regione Emilia-Romagna fra le aree con gravi effetti di liquefazione ma per operare scelte di interventi per la stabilità del complesso a nostro avviso è da verificare con più attenzione l’effetto di sito della frat-turazione, sia nei rapporti con la liquefazione avvenuta che nell’evolversi di una condizione di possibile instabilità dovuta all’assetto geomorfologico dell’area.

3.2 L’area produttiva di Mirabello

La porzione indagata comprende alcune aree con costru-zioni di tipologia varia e costruite in epoche diverse. Per

alcuni di tali capannoni avevamo eseguito indagini al tem-po della loro edificazione che ci hanno permesso di fare confronti pre e post sisma.Riguardo gli effetti di sito anche qui si sono manifestate sia la liquefazione che la fratturazione e le aree interessa-te sono chiaramente ubicate fra l’alveo del Reno e il piede dell’argine destro, dove ora corre la strada provinciale.E’ stato osservato il caso di un capannone costruito nel 2004 che praticamente non ha subito danni significativi. Il sottosuolo è costituito da terreni limosi e sabbie fini alme-no fino a cinque metri di profondità, quindi da sabbie di alveo che dimostrano lo spostamento dell’alveo di Reno verso nord-ovest.Le sabbie sono sede di falda con livello a m 2,50 dal pia-no campagna.Le fratture bene evidenti si sono aperte a lato del fabbri-cato e in corrispondenza della recinzione, con copiosa fuoriuscita di sabbia e acqua. Altre fratture e liquefazione diffusa è stata riscontrata esternamente, nella zona di pa-leoalveo.Il confronto fra la Resistenza alla punta di prove penetro-metriche statiche (CPT) eseguite nel 2004 e nel giugno 2012 ha dato luogo a risultati non sufficientemente signi-ficativi, ma il confronto fra le prove eseguite in corrispon-denza della frattura da cui è fuoriuscita sabbia liquefatta ha mostrato totale mancanza di addensamento del banco sabbioso posto fra 5 e 8 metri di profondità, fenomeno non verificatosi allontanandosi dalla frattura.In un’area limitrofa, quindi nelle medesime condizioni di effetto di sito, la situazione si è presentata in modo diver-so per la diversa disposizione dei capannoni, posizionati in senso trasversale rispetto alla struttura fluviale. Questo ha comportato che tali fabbricati siano stati interessati dal sistema delle fratture e dalla liquefazione con fuoriuscita di sabbia e acqua.L’area era stata indagata nel 1996 con Indagine geogno-stica per la costruzione dei primi fabbricati in ampliamen-to ad esistenti, quindi nel 2002 per la costruzione di nuovi capannoni. Dopo il sisma sono state eseguite nuove in-

Aarti

colo

Figura 4 – Ubicazione del Cimitero rispetto al paleoalveo del Reno e all’allineamento delle fratture

Figura 5 – Area produttiva di Mirabello: le fratture

44 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

dagini con CPT confrontabili con le precedenti.Il complesso produttivo risulta quindi ubicato fra l’alveo del Reno e l’argine destro, fra quota (+15) e quota (+13) in corrispondenza della strada provinciale, con i capannoni ubicati in parte sulle sabbie dell’alveo con spessore di 8-9 metri e in parte sulle argille, argille organiche e torbe della piana, verso la strada provinciale.Esso è stato interessato da almeno quattro allineamen-ti di fratture, pressocchè parallele, che hanno trovato riscontro e continuità nelle aree adiacenti e sono sta-te bene evidenziate tramite uno stendimento geoelettri-co in una sezione che attraversa trasversalmente tutta l’area.Riguardo al confronto dell’addensamento delle sabbie tramite la Resistenza alla punta Rp delle CPT, si è riscon-trato una diminuzione nei primi 3-4 metri di limi superficiali e un leggero addensamento in livelli nel banco sabbioso presente fino a 8-9 metri. In corrispondenza della frattura sono risultate addensate anche le sabbie più superficiali con valori di Rp>50 Kg/cmq.La profondità della falda è stata misurata a m 2,50 dal p.c.Queste aree non sono incluse nelle aree dove sono con-siderati gravi gli effetti della liquefazione, censite nella Determinazione n. 12418 del 02.10.2012 della Regione Emilia-Romagna.

3.3 Il Municipio di Mirabello

E’ ubicato lungo la strada provinciale denominata in cen-tro urbano Corso Italia.Entrando nell’abitato da ovest la strada provinciale non corre più nella piana al piede dell’argine destro ma si spo-sta all’interno dell’alveo del Reno, racchiusa tra ambedue gli argini ancora ben riconoscibili, l’argine Postale in sini-stra e l’argine Vecchio in destra.Pur rimanendo fissa questa struttura, nel breve tratto del paese si riconoscono, oltre quella già vista e descritta fino al Cimitero-Campo sportivo, tre possibili assetti ge-omorfologici. Dalla via Giovecca alle vie Mantovani-Malvezzi è rico-noscibile l’alveo dove si snoda corso Italia e gli argini laterali morfologicamente ben rilevati.

Quindi gli argini si allargano e si notano, evidenziati nell’assetto delle strade, particolari strutture ipotizzate, in analogia con altri casi trovati in letteratura, come ope-re di regimazione idraulica.Il paleoalveo continua poi fino a Vigarano con argini arti-ficiali più dolci e uniformemente continui.Nel tratto dove è ubicato il Municipio e la piazza della Chiesa continuano e sono bene evidenti le fratture nel terreno che poi terminano e non si rilevano più a nord della via XXV aprile.Associata alle fratture a lato di corso Italia e sull’argine Postale si è verificata la liquefazione; non c’è stata inve-ce liquefazione associata alle fratture sull’argine destro.L’Indagine e la Relazione riguardante la ristrutturazione del Municipio da parte del gruppo di lavoro dei geologi profes-sionisti ferraresi ha implicato una analisi dell’intera piazza e di un significativo intorno relativamente al fabbricato.Un ringraziamento va al gruppo di lavoro dell’O.G.S. di Trieste e alla Prof. geol. Carmela Vaccaro dell’Università di Ferrara per le comunicazioni avute e le proficue discussioni.L’intorno del Municipio di Mirabello è un esempio di ef-fetto di sito presentando sia effetti di liquefazione che di fratturazione, associati e isolati.Il palazzo municipale si trova ubicato sulle sabbie di al-veo del Reno che hanno uno spessore di m 8,50, con granulometria tale da renderle suscettibili di liquefazione e sede di falda con livello a m 2,00.In effetti la scossa sismica ha indotto la liquefazione di tali sedimenti granulari e la fuoriuscita di acqua e sabbia lungo corso Italia attraverso punti e/o fasce di maggior debolezza.Nell’area cortiliva del complesso di edifici ubicati subito a lato è uscita una gran quantità di acqua e sabbia per la presenza di un pozzo e questo ha indotto gravi lesioni e dissesti sui fabbricati circostanti.L’argine destro e la piazza qui ubicata sono stati interes-sati da una serie di fratture parallele che hanno pratica-mente distrutto la Chiesa Parrocchiale, lesionato l’edifi-

Figura 6 – Sezione geoelettrica trasversale

Figura 7 – Zonizzazione geomorfologica di Mirabello

45Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

cio a fianco e il gruppo di edifici che si affacciano sulla piazza dietro il municipio letteralmente tagliati a metà ma senza nessun altro apparente dissesto.

4. CONCLUSIONI

Operando nel territorio si è potuto appurare che due sono i principali effetti di sito causati dal sisma, la lique-fazione e la fratturazione.Per i danni da liquefazione gli effetti, come riportano i Rapporti conclusivi della Commissione Liquefazione della Regione Emilia-Romagna, sono terminati ma que-sto non è stato affermato per gli effetti delle fratturazioni. A questi effetti si deve associare l’assetto morfologico del microrilievo e una valutazione dettagliata della litolo-gia da interpretare nella ricostruzione morfogenetica del sito e la presenza e gestione delle falde. In questa ottica l’effetto di sito deve emergere da una combinazione di tutti i fattori sopracitati. L’effetto di sito richiede quindi un completo studio geologico eseguito con dettaglio di scala idoneo alla risposta da fornire.Al momento non abbiamo indicazioni sufficientemente confortanti sul sistema di fratture che seguite e correlate sul terreno non appaiono coerenti con la struttura del paleoalveo.E’ certo che spesso le fratture si ripresentano negli stes-si allineamenti già formatisi in terremoti passati, e questo è stato visto nella sezione a lato del Cimitero di Sant’A-gostino, come riporta il lavoro di Caputo et alii, 2012. Tuttavia non è chiara la profondità cui tali fratture arriva-no e alcuni recenti studi hanno ipotizzato che possano arrivare ad una notevole profondità in termini di centinaia di metri (Borgatti et alii, 2012), il che le deve necessa-riamente fare interpretare non più come semplici effetti legati alle sollecitazioni di trazione che si accompagnano alla propagazione delle onde sismiche.Per la conclusione dei nostri interventi professionali ci

sarà quindi necessario poter utilizzare quelle conoscen-ze che la scienza può dare e che i professionisti devono applicare, ci saranno indispensabili quelle indicazioni di carattere gerarchicamente superiore a cui riferirci e attenerci nell’intervento diretto di costruzione, ristrut-turazione, adeguamento dove è nostra competenza e responsabilità fornire la Relazione geologica, sismica, geotecnica.

Ferrara, 26 novembre 2012

5. BIBLIOGRAFIA

N. ABUZEID, E. MAROCCHINO, C. VACCARO, D.Y. NIETO, M. MAR-

TINUCCI (2012) Geological and geophysical investigations of “site

effects” due to liquefaction in Mirabello following the may 20th, 2012

Emilia earthquake. ENEA Energia, Ambiente, Innovazione. 4-5 parte II

L. BARADELLO, F. ACCAINO, N. ABUZEID, A. AFFATATO, C. VACCARO,

D.Y. NIETO, M. PICCOLO, M. MARTINUCCI, F, FANZUTTI (2012) Ge-

ophisical and geomorfological assessment of the co-seismic fractures

following the 5.9 local magnitude earthquake ai Mirabello town (Italy)

ENEA Energia, Ambiente, Innovazione. 4-5 parte II

M. BONDESAN (1989) Evoluzione geomorfologica e idrografica della pia-

nura ferrarese. Terre ed acqua, Corbo editore, 14-20.

L. BORGATTI, A.E. BRACCI, S. CREMONINI, G. MARTINELLI Searching

for effects of the May-June 2012 Emilia seismic sequence (Northern

Italy): medium-depth deformation structures at the periphery of epicen-

tral area Annals of Geophysics, vol 55 n.4.

R. CAPUTO, K.IORDANIDOU, L. MINARELLI, G. PAPATHANASSIOU,

M.E. POLI, D. RAPTI CAPUTO, S. SBORAS, M. STEFANI, A. ZANFER-

RARI (2012) Geological evidence of pre-2012 seismic events, Emilia-

Romagna, Italy. Annals of Geophysiscs, vol 55 n.4.

REGIONE EMILIA-ROMAGNA Primo rapporto sugli effetti della liquefa-

zione osservati a S.Carlo, frazione di S.Agostino (Provincia di Ferrara)

Bologna 25 giugno 2012

REGIONE EMILIA-ROMAGNA Rapporto sugli effetti della liquefazione os-

servati a Mirabello (Provincia di Ferrara) Bologna 30 luglio 2012

REGIONE EMILIA-ROMAGNA SERVIZIO GEOLOGICO, SISMICO E DEI

SUOLI Approvazione degli elaborati cartografici concernenti la delimita-

zione delle aree nelle quali si sono manifestati gravi effetti di liquefazione

a seguito degli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012 e degli indirizzi

per interventi di consolidamento dei terreni Determinazione n. 12418

del 02.10.2012

N.ABUZEID, C. BALLOTTA, M. MARTINUCCI, A. MUCCHI, R. SACCHET-

TI, R. ZOPPELLARO Relazione geologica, sismica e geotecnica con

Indagine geognostica, sismica e analisi di laboratorio per la ristruttura-

zione del Municipio di Mirabello. Settembre 2012 Iniziativa dei geologi

ferraresi Adotta un Monumento

N.ABUZEID, C. BALLOTTA, M. MARTINUCCI, A. MUCCHI, M.A. SILEO, R.

ZOPPELLARO Relazione geologica, sismica e geotecnica con Indagine

geognostica, sismica e analisi di laboratorio per la ristrutturazione del Ci-

mitero di Sant’Agostino. Novembre 2012 Iniziativa dei geologi ferraresi

Adotta un Monumento

Aarti

colo

Figura 8 – La struttura geomorfologica del paleoalveo e il sistema delle fratture

47Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

Interazione Suolo-Struttura e Struttura-Struttura: una lezione dal terremoto di Mirandola del 20.05.2012Silvia Castellaro1, Nicola Negri2, Marzia Rovere3, Luigi Vigliotti3 1 Ricercatore, Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Bologna 2 Geologo, Libero Professionista 3 Ricercatore, Istituto di Scienze Marine, CNR Bologna

1. PREMESSA

Da alcuni anni per il geologo è diventata prassi comune la stima delle frequenze di risonanza dei suoli, ossia delle frequenze alle quali essi vibrano con la massima ampiezza sia in condizioni di microtremore ambientale che durante un terremoto. Come tutti gli oscillatori, anche le strutture hanno le loro frequenze di risonanza ed è noto che la dop-pia risonanza suolo-struttura vada evitata, o quantomeno tenuta in conto in sede di progettazione in quanto essa comporta un aggravio di accelerazione che la struttura sarà chiamata a sostenere. Le strutture gemelle, ossia gli edifici costruiti allo stesso modo e con le stesse geometrie, costituiscono casi di studio interessanti quando l’evidenza sperimentale mo-stra una risposta sismica diversa poiché le ragioni di tali differenze vanno ricercate, ad esempio, nell’interazione suolo-struttura o nell’interazione con strutture adiacenti.In occasione del recente terremoto di Mirandola (MO) del 20.05.2012, a Bologna, a circa 45 km dall’epicentro, è sta-ta osservata una risposta sismica molto diversa da parte di due edifici apparentemente gemelli. E’ di questo caso che parleremo nelle prossime pagine.

1.1 Il caso

Nel settore settentrionale della città di Bologna esistono due strutture, che chiameremo torre A e torre B, carat-terizzate da geometria quasi identica e analoga tipologia edilizia, collocate a distanza di 120 m l’una dall’altra (Fi-gura 1). Esse sono circondate da alcune strutture minori disposte in modo simmetrico e, nell’insieme, costituisco-no un aggregato residenziale. In pianta le due torri hanno la forma di una porzione di corona circolare, con il centro nello stesso punto. Le torri, aventi stessa altezza totale (56 m) e la stessa dimensione di base (40 m circa) si trovano ad una distanza diversa dal centro, cosa che risulta in una curvatura leggermente diversa (la torre A presenta un rag-gio di 45 m e la torre B di 75 m, Figura 2 e Figura 3). Le strutture furono progettate a fine anni ’90 e la costruzione

ultimata nei primi anni 2000, pertanto secondo normative sulle costruzioni che come carichi orizzontali contempla-vano solo il vento e non aggravi indotti dai terremoti.A seguito del terremoto principale della Pianura Padana

Emiliana di ML = 5.9 del 20.05.2012 (44.89°N, 11.23°E), la

torre A non ha riportato alcun danno evidente mentre la

torre B ha presentato numerosi danni pur solo estetici (ca-

dute di intonaci, fessurazioni sui muri di tramezze) ma ab-

bastanza fastidiosi da richiedere tinteggiature con ristuc-

catura delle pareti (Figura 4). Abbiamo pertanto provato a

cercare una spiegazione per una tale differenza di compor-

tamento tra due strutture tanto simili attraverso un’analisi

dinamica dei corpi di fabbrica e del suolo di fondazione.

2. ANALISI DINAMICA DI STRUTTURE

E SOTTOSUOLO

La caratterizzazione dinamica delle strutture e del sotto-suolo è stata condotta in modo passivo, ossia sfruttando

Figura 1 – Ubicazione ed orientamento delle torri A e B rispetto all’e-picentro del terremoto del 20.05.2012 (esagono giallo). La distanza tra epicentro e torri è di 45 km. Immagine satellitare tratta da Google EarthTM.

48 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Figura 2 – Pianta schematica del-le torri che evidenzia il loro rag-gio di curvatura. Le fasce gialle laterali indicano la posizione dei punti di misura sul suolo libero.

Figura 4 – Esempio di danni fessurativi avvenuti nella torre B a seguito del terremoto del 20.05.2012. La scala orizzontale delle immagini è 0.5 m, la scala verticale copre 1 m. I danni illustrati riguardano due muri di tramezze.

Figura 3 – Posizione dei punti di misura (cerchi colorati) all’interno delle torri A e B. Le dimensioni delle strutture e le loro distanze relative sono alla stessa scala.

Aarti

colo

49Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

solo il microtremore sismico ambientale, secondo i metodi ormai ben consolidati della sismica a onde di superficie per i suoli e della NIMA (Noise Input Modal Analysis) per le strutture (Snieder e Safak, 2006; Castellaro e Mulargia, 2010).

2.1 Caratterizzazione delle strutture

Le strutture in esame presentano due pareti di confina-mento laterale che sono setti in calcestruzzo, come i due vani scale-ascensore mentre gli altri elementi portanti sono costituiti da colonne verticali in acciaio.Entrambe le strutture sono fondate su platea di circa 1 m di spessore impostata a -9 m di profondità rispetto al pia-no campagna sotto la struttura A, e a -7 m sotto la strut-tura B. In pratica in profondità la struttura A differisce dalla B per il fatto di avere un piano interrato in più, sebbene le quote assolute di fondazione differiscano solo di 2 m.In altezza le strutture toccano entrambe i 56 m e il rappor-to altezza/base è di circa 1.4.L’analisi modale è stata effettuata posizionando per cia-

scuna torre un tromografo Tromino® di riferimento sul pia-

no di fondazione e spostando un altro tomografo lungo la

stessa verticale, corrispondente ad uno dei due vani sca-

le, alle quote indicate in Figura 3, con gli assi orizzontali

dello strumento paralleli agli assi longitudinale e trasversa-

le della struttura. Le misure sono state effettuate nel mese

di luglio, in un arco di tempo molto limitato (< 2 h) al fine di

garantire la stazionarietà della forzante esterna. In aggiun-

ta, al fine di garantire un riferimento comune, su ciascuna

torre è stato mantenuto uno strumento di riferimento in

azione durante tutta la campagna di indagine e i risultati

in termini di spostamento ai vari piani verranno rapportati

agli strumenti di riferimento.

L’analisi ha permesso di ottenere: 1) le frequenze dei modi

di vibrare, 2) le deformate modali, 3) gli smorzamenti.

Dalla Figura 5 si può osservare che la torre A presenta il

primo modo flessionale a 1.1 Hz in direzione trasversale e

a 1.2 Hz in direzione longitudinale. La deformata del pri-

mo modo flessionale (qui ottenuta dalla deconvoluzione

degli spettri di velocità ai vari piani per quello del piano

di riferimento-fondazione), mostra un rapporto massimo

tra tetto e base della struttura pari a 45 in senso trasver-

sale e circa 40 in senso longitudinale (Figura 6). Questa

torre era stata analizzata anche 3 anni prima (Castellaro e

Mulargia, 2010) e le frequenze modali e le deformate otte-

nute nell’indagine del 2012 coincidono perfettamente con

quelle ottenute in precedenza, a ulteriore conferma del

fatto che la torre non ha subito danni strutturali a seguito

del terremoto. La differenza di ampiezza delle deformate

tra i due rilievi effettuati in anni diversi è solo apparente e

legata al fatto che in occasione dello studio del 2009 era

stato preso come piano di riferimento la quota del pia-

no campagna anziché quella del piano di fondazione. La

semplice correzione per la diversa quota di riferimento tra

le due campagne di indagine porterebbe ad ottenere gli

stessi valori.

Per quanto riguarda la torre B, si osserva la frequenza del

primo modo flessionale trasversale a 0.9 Hz e del primo

longitudinale a 1.1 Hz. La deformata mostra un rapporto

massimo tra tetto e base della struttura pari a circa 65 in

senso trasversale e 40 in senso longitudinale.

In pratica il confronto tra le torri mostra che la dinamica

secondo l’asse longitudinale è identica (sia per le frequen-

ze modali che per l’ampiezza delle deformate) mentre in

senso trasversale la torre A ha una frequenza del primo

modo flessionale del 20% superiore rispetto alla torre B.

La frequenza di risonanza di una struttura dipende dalla

sua rigidezza e dalla distribuzione della massa. Indicati-

vamente ed in prima approssimazione, all’aumentare della

rigidezza la frequenza aumenta e all’aumentare della mas-

sa la frequenza diminuisce. Considerato che la distribu-

zione delle masse secondo l’altezza della struttura è pra-

ticamente identica tra le due torri, responsabile di questa

differenza è una minor rigidezza della torre B rispetto alla

torre A. La leggermente diversa curvatura dei raggi delle

due torri (Figura 3) può essere una concausa ma la dif-

ferenza misurata è eccessiva per essere spiegata solo in

termini di geometria. Una modellazione specifica mostra

infatti che quest'ultima può spiegare una differenza di fre-

quenze solo entro il 3%, contro il 20% osservato (Castel-

laro et al., 2013).

Per quanto riguarda la differenza nell’ampiezza delle de-

formate tra torre A e torre B, si osserva che in condizioni

di tremore ambientale la torre B ha una escursione che è

il 40% maggiore rispetto alla torre A in senso trasversale

(in senso longitudinale le dinamiche come già accennato

sono identiche). Questa differenza si può spiegare in di-

versi modi: da un lato conferma l’evidenza che la torre B è

meno rigida della torre A (come suggerivano le diverse fre-

quenze modali), dall’altro può derivare anche dal fatto che

entrambe le torri sono in contatto laterale con due serie di

palazzine molto più basse. Nel caso della torre A queste

palazzine arrivano fino a 6 piani di altezza mentre nel caso

della torre B le palazzine immediatamente in appoggio alla

torre toccano solo i 4 piani. Ulteriore elemento che può

spiegare le diverse ampiezze delle deformate è il fatto che

la torre B ha una quota di fondazione di 2 m più superfi-

ciale rispetto alla torre A, risultando quindi meno incasto-

nata nel sottosuolo. La torre B risulta però in appoggio, in

direzione trasversale, anche ad un’altra struttura di circa 7

m di altezza, per cui questo compensa abbondantemente

gli effetti legati alla differenza di quota di fondazione tra le

due torri. Anche in questo caso una modellazione specifi-

ca (Castellaro et al., 2013) mostra che la diversa rigidezza

delle strutture e l'effetto delle costruzioni circostanti non

sono sufficienti a spiegare le differenze nelle deformate

Aarti

colo

50 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

osservate sperimentalmente. Per queste verrà fornita una

ulteriore possibile spiegazione più avanti nel testo.

Va notato che l’aumentata ampiezza della deformata nel-

la torre B rispetto alla torre A riguarda anche il secondo

modo flessionale in misura maggiore del 50%.

La causa principale della differenza nella frequenza fles-

sionale tra le torri appare dunque una minor rigidezza della

torre B, unita probabilmente alla minor curvatura. La cau-

sa principale della diversa ampiezza della deformata delle

torri appare invece spiegabile sia con la diversa rigidezza

delle torri che con una interazione con le strutture adia-

centi minore per la torre B (circondata appunto di palazzi-

ne di 4 piani) rispetto alla torre A (circondata da strutture

di 6 piani fuori terra).

Per le torri è stato stimato anche lo smorzamento attra-

verso una tecnica non parametrica (Mucciarelli e Gallipoli,

2007). La tecnica consiste, dopo le procedure di rito di

correzione ed equalizzazione del segnale, nell’integrazio-

ne dello stesso per ottenere serie temporali in termini di

spostamento. Successivamente si cercano i massimi lo-

cali e si costruisce una matrice di ampiezze dei massimi

x(ti) vs. istante di occorrenza t

i. Per ciascuna coppia di dati

si verifica se x(ti) > x(t

i + 1) e in caso positivo si calcola

la pseudofrequenza e lo smorzamento. Si ottengono così

diagrammi come quelli di Figura 7 da cui si leggono le

frequenze dei modi principali e lo smorzamento associato.

Questa tecnica è meno precisa della RandomDec classica

ma più rapida e permette di ottenere un’informazione di

larga massima sullo smorzamento anche da registrazio-

ni di microtremore brevi, come quelle effettuate in questo

studio. Lo smorzamento calcolato per la torre A è risultato

in un valore mediano di 4.2% mentre per la torre B in un

valore mediano di 3.7%, andamento in linea con le consi-

derazioni effettuate in precedenza.

A questo punto risulta interessante studiare il sottosuolo

per capire se anche la risposta sismica locale possa ave-

re avuto un ruolo nelle differenze di comportamento (e di

danno) subito dalle due torri.

2.2 Caratterizzazione del sottosuolo

Il sottosuolo di fondazione delle torri è stato analizzato ri-petutamente negli anni e presenta valori di velocità delle onde di taglio (Vs) attorno a 200 m/s ed una frequenza di risonanza caratteristica di tutto questo tratto della Pianura Padana di 0.8 Hz. L’esito delle indagini multicanale a onde di superficie, delle prove H/V ed il loro fit congiunto risul-tante in un profilo di Vs è dato in Figura 8.La prima osservazione riguarda il fatto che la torre B risul-ta in doppia risonanza col sottosuolo non solo per il primo ma anche per il secondo modo flessionale mentre la torre A non risulta in doppia risonanza (Figura 9).

Aarti

colo

Figura 5 – Frequenze modali delle torri A e B ottenute dalla deconvo-luzione degli spettri registrati ai vari piani per quelli registrati al piano di fondazione (riferimento). Si osserva un comportamento identico se-condo l’asse longitudinale e una sostanziale differenza (per frequenza e ampiezza, a parità di riferimento) secondo l’asse trasversale.

Figura 7 – Smorzamento stimato per il primo modo flessionale in senso trasversale per le torri A (sinistra) e B (destra).

Figura 6 – Deformate relative (rispetto al piano di fondazione) delle torri A e B in senso longitudinale e trasversale per il primo modo flessionale. Si osserva un comportamento del tutto sovrapponibile in senso longi-tudinale ed una ampiezza della deformata molto maggiore per la torre B in senso trasversale.

51Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo

Figura 10 – Sinistra: spettri orizzontali (trasversali) e verticali registrati sul suolo a diverse distanze dalle torri lungo le fasce gialle indicate in Figura 2. Le distanze sono calcolate dal centro della torre (0 m, punto A) e crescono verso l’esterno. Il primo punto di misura fuori fondazione per la torre A è il punto C, a 16.5 m di distanza dal centro della torre. Il primo punto fuori dalla fondazione per la torre B è il punto B, a 30 m di distanza dal centro della torre. Destra: decadimento in ampiezza spettrale del picco indotto dalla torre sul suolo alla frequenza del primo modo flessionale. Si osserva un effetto molto più marcato sul sottosuo-lo per la torre B rispetto alla torre A.

2.3 Altri fenomeni di interazione suolo-struttura

Lo studio precedente (ibid.) che riguardava l’interazione tra edifici grandi e sottosuolo, concludeva che la radiazio-ne della struttura si percepisce al suolo in un modo che decade come l’inverso della distanza (trattandosi di onde di superficie) e che è maggiormente visibile in condizioni di coincidenza di risonanze tra suolo e struttura.Ad esempio, nel caso della Torre di Pisa (1° modo fles-sionale a 1 Hz, che coincide con una frequenza seconda-ria del sottosuolo), l’effetto della radiazione della torre sul suolo si percepisce fino a 12-14 m dalla stessa.Nel caso della Torre degli Asinelli di Bologna il primo modo flessionale (≈0.3 Hz) si percepisce entro pochissi-mi metri dalla torre mentre il secondo modo (≈0.8 Hz) sul sottosuolo si osserva ‘paradossalmente’ fino alla stessa distanza del primo perché coincide con la risonanza del sottosuolo stesso.

Nel caso del campanile di San Marco a Venezia, che pure è una struttura molto massiccia, il primo modo flessionale (≈0.7 Hz) di fatto non si percepisce nelle misure effettuate sul suolo di piazza San Marco, suolo che presenta i modi propri di vibrare a 0.25 e 4 Hz.Nel caso delle torri oggetto di questo studio ci aspette-remmo pertanto che il moto della torre A, che non è in risonanza col sottosuolo, sia molto meno percettibile nelle misure effettuate a terra a distanza crescente dalla torre rispetto al moto della torre B. Questo è in effetti quanto emerge: già a 7 m di distanza dal perimetro della fonda-zione (misura C in Figura 10, distanza assoluta dal centro della torre A: 16.5 m) l’effetto della radiazione della strut-tura A sul suolo è trascurabile.Nel caso della torre B in cui invece sono in risonanza col suolo sia il primo che il secondo modo flessionale, l’effet-to della torre è risultato misurabile fino a 40 m dal centro della torre stessa (Figura 10).Si ricorda che l’effetto della radiazione di una struttura al suolo si riconosce come un picco netto nello spettro mi-surato sul sottosuolo alla frequenza propria della struttu-ra. Tale picco compare prevalentemente sulle componenti orizzontali (ed è assente sulla verticale solo in assenza di rocking della struttura) e svanisce allontanandosi dalla struttura stessa. Esso non può essere confuso con le riso-nanze del sottosuolo perché nelle registrazioni del micro-tremore queste ultime a livello spettrale sono identificate da un minimo locale nella componente verticale mentre le componenti orizzontali normalmente non mostrano picco o, quando lo mostrano (effetto delle onde S e di Love) a) non decresce in ampiezza allontanandosi dalla struttura e b) ha la forma di un leggero rigonfiamento e non di un picco aguzzo come quelli tipici delle strutture (Castellaro e Mulargia, 2010).

Figura 8 – A) spettri di velocità di fase dell’onda di Rayleigh registrati sul suolo libero circostante le torri, B) curva H/V tipica del sito. Il fit congiunto delle prove A) e B) ha permesso di ottenere il modello di sottosuolo in termini di Vs indicato in C). La curva di dispersione teorica nei primi 2 modi è illustrata dai pallini bianchi nel pannello A) e dal trat-teggio nero nel pannello B). La profondità di penetrazione della prova A) è limitata a 15 m, il resto del modello è ottenuto dal fit congiunto di A) e B).

Figura 9 – Area in cui ricadono il primo e il secondo modo flessionale della torre B (azzurro) e della torre A (rosso) sovrapposti alla frequenza fondamentale di risonanza del sottosuolo (curva rossa media con de-viazione standard a tratto nero continuo).

3. CONSIDERAZIONI FINALI

A seguito dell’evento sismico della Pianura Padana Emi-liana del 20.05.2012 è emerso un comportamento dina-mico ed uno stato di danno molto diverso tra due torri residenziali ubicate nel settore nord di Bologna, pratica-mente gemelle per geometria e tipologia edilizia. A di-spetto dell’apparenza, che le farebbe appunto definire identiche, devono esserci delle ragioni importanti per una tale differenza di comportamento. Abbiamo cercato di identificarle attraverso un’analisi modale delle struttu-re e del rispettivo suolo di fondazione.E’ emerso che le torri esaminate differiscono del 20% nella frequenza del modo fondamentale flessionale in senso trasversale e fino a oltre il 50% nell’ampiezza delle deformate del primo e del secondo modo flessionale tra-sversale. In particolare la torre che non ha subito danno risulta più rigida (frequenze modali maggiori, deformata meno ampia) e risulta non essere in doppia-risonanza col sottosuolo. La torre che ha subito danni risulta inve-ce in doppia risonanza col sottosuolo sia per il primo che per il secondo modo flessionale trasversale.Le torri esaminate sono in appoggio laterale ad altre strutture molto più basse e la torre che ha subito dan-ni risulta a contatto con palazzine generalmente di al-tezza inferiore rispetto alla struttura che non ha subito danno. Questa differenza può spiegare in parte la mag-gior escursione delle deformata della torre che ha subi-to danno rispetto all’altra torre, anche in condizioni di semplice vibrazione ambientale. La torre che ha subito danno, tuttavia, è in appoggio ad altre strutture anche sul lato che inibisce la deformazione trasversale e que-sto dovrebbe limitare l’escursione della deformata, cosa che invece non si verifica.Una conferma del fatto che il ruolo del sottosuolo non sia marginale nel caso esaminato, è il fatto che la torre non danneggiata praticamente non dà effetti di radiazio-ne del suo moto proprio sul sottosuolo circostante men-tre questi sono ben misurabili sul terreno circostante la torre danneggiata. In effetti la radiazione del moto della struttura al sottosuolo è un fenomeno atteso particolar-mente nel caso della coincidenza di risonanze tra suolo e struttura.In conclusione, siamo di fronte all’evidenza sperimentale di un comportamento dinamico molto diverso tra due strutture apparentemente uguali, che ha portato una a

subire danni pur solo estetici ma comunque economica-mente non trascurabili. Le ragioni di tale differenza risul-tano essere in una intrinseca minor rigidità della struttura non danneggiata rispetto all’altra, in un diverso contribu-to alla dinamica dell’intero sistema offerto dalle strutture minori circostanti le torri in esame (comportamento di-namico di un aggregato) nonché nel fatto che la diversa rigidezza porta una delle due torri ad essere in risonanza col sottosuolo sia nel primo che nel secondo modo fles-sionale, con conseguente aumentata ampiezza del moto che la torre meno rigida deve sostenere a parità di input sismico. Ulteriore evidenza del fatto che la coincidenza di risonanze tra suolo e struttura vada debitamente te-nuta in considerazione in fase di progettazione edilizia.Ci sembra che questo sia un caso molto didattico. Strut-ture apparentemente identiche possono comportarsi in modo nettamente diverso in ragione di almeno 3 fattoria) fattore costitutivo (es. rigidezza intrinseca, a parità di

distribuzione della masse),b) effetti di interazione con le strutture circostanti e ulti-

mo, ma non meno importante,c) interazione suolo-struttura (esistenza di doppie riso-

nanze).Non si tratta di dettagli, dunque, ma di elementi da pren-dere in seria considerazione poiché nel nostro caso una delle due torri ha subito danni per un semplice terremoto medio a 45 km di distanza.

4. BIBLIOGRAFIA

CASTELLARO S. E MULARGIA F., 2010. How far from a building does

the ground motion free field start? The cases of three famous towers

and of a modern building, Bull. Seism. Soc. Am., 100, 2080-2094.

CASTELLARO S., MULARGIA F., PADRON HERNANDEZ L.A., 2013.

Structure-structure and soil-structure interaction: a leson from the

Mirandola 20th May 2012 earthquake, Bull. Earthq. Eng., sottomesso

MUCCIARELLI M. E GALLIPOLI M. R., 2007. Non-parametric analysis

of a single seismometric recording to obtain building dynamic para-

meters, Annals of Geophysics, 50, 259-266.

SNIEDER R. E SAFAK E., 2006. Extracting the building response using

seismic interferometry: Theory and application to the Millikan Library

in Pasadena, California, Bull. Seismol. Soc. Am., 96, 586–598.

52 Emili

a - R

omag

na

ilGEOLOGOdell’EMILIA-ROMAGNA

Aarti

colo