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IL GRANDE BLUFF

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Ecco il ritratto non autorizzato di Giulio Tremonti, "superministro" dell'economia per antonomasia: genio della "finanza creativa", prima oppositore e poi difensore del famoso condono fiscale, alfiere della cartolarizzazione degli immobili pubblici, autore di troppe una tantum e dell'eliminazione delle tasse di successione, inventore della pornotax, euroscettico, fervente sostenitore di dazi e dogane, "leghista con la tessera di Forza Italia", amante di giochi di parole e di citazioni dotte

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«Vi è mai capitato di vedere in televisione Tremonti? Avetemai notato che ogni volta che il Nostro risponde a una domanda,specie se pensa di aver assestato un bel colpo al suo avversariocon una dichiarazione brillante, subito stringe leggermente lelabbra e il volto assume un atteggiamento di attesa, come il bam-bino che si aspetta che i grandi gli dicano: “Bravo Giulietto”.Ecco, in quei momenti ci si immagina subito un bambino, appun-to, bello, biondo, con la banana in testa e due pon pon che gli pen-zolano sotto il collo, che è sempre vezzeggiato per la sua bellez-za. Poi lo si vede un po’ cresciuto che, prima ancora di andare ascuola, sa già tutte le capitali a memoria, conosce molte cose chenon sanno neanche i bimbi più grandi. Gli adulti gli diconoapplaudendo: “Bravo Giulietto”. E così fino all’età adulta».

Una volta letto il ritratto di Giovanni La Torre è difficiletogliersi dagli occhi quella immagine, per tutto il libro e anchequando capita di incontrarlo di persona, il superministro.L’infantilismo era anche la chiave della geniale imitazione diTremonti fatta da Corrado Guzzanti ne Il caso Scafroglia. Unbimbetto in zuava che si giocava la Puglia alla slot machine percercare di far tornare i conti pubblici. Un personaggio puerile,con picchi improvvisi di crudeltà. Come quando tirava sotto unpedone e, prima di chiamare l’ambulanza, si chinava per chie-dergli: «Ma almeno lei ce l’ha la carta di credito?». Allora infat-

Prefazionedi Curzio Maltese

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ti Tremonti era un “mercatista”, per usare il suo sprezzante neo-logismo, anche se oggi nega di esserlo mai stato. PerchéTremonti è stato tante cose, socialista, di destra, antileghista eleghista, liberista e antiliberista, europeista e antieuropeista, tuttoe il contrario allo stesso tempo.

L’assenza di memoria storica e la mancata assunzione diresponsabilità sono elementi psicologici classici delle classidominanti in Italia. L’ultima vi ha aggiunto un tocco di vanaglo-ria puerile. Silvio Berlusconi non si fa scrupolo di presentarsicome il «miglior presidente del Consiglio che abbia avuto l’Italiain 150 anni». Il ministro della Funzione pubblica, RenatoBrunetta, ha confessato con un sospiro durante una puntata diMatrix che il suo gran rimpianto è non aver potuto vincere ilNobel per l’economia, cui ha dovuto rinunciare per amore dellapolitica. E al povero Enrico Mentana, che obiettava basito: «Maè proprio sicuro di quello che dice?», Brunetta replicava ergen-dosi sulla poltrona: «Senza dubbio!». Giulio Tremonti si consi-dera un mirabile punto di sintesi fra il genio amministrativo di unQuintino Sella e quello profetico di Nostradamus. La differenzarispetto ai colleghi è che il suo bluff funziona molto meglio.Mentre davanti alle vanterie di Berlusconi e Brunetta chiunqueabbia sfogliato qualche libro non può fare a meno di ridere, ilTremonti profeta della crisi e filosofo dei nuovi mondi gode diun inspiegabile credito anche presso ambienti intellettuali, anchedi sinistra.

La Torre si chiede a un certo punto se alcuni sorprendenti elo-giatori dell’opera tremontiana, come Fausto Bertinotti e i vesco-vi, si siano mai davvero cimentati con la non piacevolissima let-tura dei libri del ministro. Per quanto riguarda i vescovi, mi sentodi rispondere di sì. Sono persone serie che non parlano di librimai letti. Ma la chiesa cattolica deve tanto a Giulio Tremonti,inventore del truffaldino meccanismo dell’8 per mille, ai tempiin cui era consulente di Bettino Craxi, che sarebbe un vero delit-to d’ingratitudine avanzare riserve sulle sue sgangherate teorieeconomiche. Quanto a Bertinotti, qualche sospetto è lecito, ma èsicuro che il rivoluzionario in cashmere abbia colto delle affini-

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tà elettive con l’avversario, per non dire una solidarietà fra ven-ditori di fumo.

Questo libro smaschera il bluff del Tremonti profeta dellacrisi con una tale massa di argomenti da lasciar a bocca apertaanche i critici più feroci del tremontismo. Il superministro neesce come una figurina misera e dilettantesca, uno dei tanti mira-colati del padrone di Arcore, un bravo e magari astuto commer-cialista sbalzato dal corto circuito del berlusconismo alla guidadi una delle grandi economie del pianeta, senza averne la prepa-razione e qua e là neppure la consapevolezza. Ed è forse per giu-stificare tale inadeguatezza che il Nostro partorisce attraversouna rocambolesca prosa libri la cui funzione essenziale, unavolta smontati i meccanismi retorici, appare quella di glorificarel’autore con l’invenzione di un glorioso curriculum intellettuale.Opere nelle quali Tremonti non esita, sfidando il ridicolo, aentrare in furibonda colluttazione con entità immense, la Cina,l’Europa, l’America, senza contare giganti del pensiero econo-mico come Marx e Keynes, dei quali sì è lecito domandarsi se liabbia mai davvero letti. E ne esce ogni volta vincitore, auto pro-clamato s’intende.

Eppure i libri di Tremonti hanno successo e riscuotono perfi-no un certo credito intellettuale. Tanto da meritarsi la meticolosaconfutazione di Giovanni La Torre. Perché? Dove Tremonti èdavvero efficace è nell’usare la retorica, le dinamiche, gli stile-mi del populismo. Si parla spesso di pensiero dominante o pen-siero unico. Ma il populismo non è un pensiero, è linguaggio. Unlinguaggio unico, nel quale siamo immersi in Italia da anni. Nonsoltanto per colpa di Berlusconi e del berlusconismo. Il populi-smo, in estrema sintesi, fa questo. Sostituisce la reale complessi-tà dei problemi contemporanei con una finta complessità, perarrivare infine a spiegare ogni problema con una teoria del com-plotto. Le crisi cicliche del capitalismo, per esempio, non vengo-no attribuite al cattivo funzionamento del sistema, ma allaresponsabilità di singoli o collettivi agenti provocatori infiltratinel sistema. In questa caccia all’untore Tremonti è un maestro.Senza l’ombra di un argomento razionale, concentra di volta in

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volta tutte le colpe, «a prescindere» come direbbe Totò, su obiet-tivi specifici. Purché lontani dal suo mondo di riferimento, lapiccola borghesia padana la cui massima aspirazione culturale ètrasformare il Nord Italia in un gran Canton Ticino. Quindi ilnemico può essere incarnato dai cinesi, dai burocrati diBruxelles, dagli immigrati come dai super manager di WallStreet. Sono loro i responsabili della peste economica. Una voltaeliminati, a colpi di forcone magari, tutto riprenderà per ilmeglio e si potrà tornare a vivere felici e contenti, come nellefiabe. Ma il nemico più nemico, il diavolo in terra, è la sinistra.I “comunisti”. Anche oggi che non ci sono più. Anzi, da mortisono ancora più pericolosi. La crisi economica del resto non èstata causata dal trionfo del turbo capitalismo applicato daReagan e Thatcher, ma al contrario, nella vulgata tremontiana,dalla vendetta postuma del comunismo. Che dire di fronte a que-ste acrobazie?

Con questo rovesciamento retorico Tremonti pensa di risol-vere un nodo della storia di questi vent’anni. Una storia dove ladestra ha quasi sempre governato, ma la sinistra alla fine haavuto quasi sempre ragione. L’ultimo G8 ha di fatto adottatomolte idee e analisi del movimento “no global” nato a Seattledieci anni prima, e gli slogan per i quali i giovani manifestantierano stati picchiati a sangue. La crisi economica, la necessità ditornare all’intervento statale, la conversione al welfaredell’America di Obama, il fallimento delle guerre in Iraq eAfghanistan, sono tutti temi sui quali la sinistra, o almeno imovimenti di sinistra, hanno avuto lo sguardo lungo che è man-cato ai governi di destra. Ma naturalmente Tremonti, che in quel-la storia sbagliata ha avuto una parte rilevante, come ministrodell’Economia di una grande nazione, non ha il coraggio di assu-mersi le responsabilità. E allora nega, ribalta la realtà, lancia ipogrom, secondo gli schemi classici del populismo.

Una volta smontata la favola del Tremonti profeta, non rima-ne che giudicare il personaggio non per quello che ha detto escritto (tutto e il suo contrario) ma per quello che ha fatto comeuomo di governo. Il profeta della crisi era uno che nei governi

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Berlusconi ha sempre dipinto l’Italia «alla vigilia di un nuovomiracolo economico». Il critico dell’Europa imbelle è uno che hasempre fiancheggiato la Lega di Bossi nella battaglia contro lo«strapotere dei burocrati di Bruxelles». Il demolitore del neoliberismo è uno che ha sempre sostenuto i tagli al welfare e laricetta del «meno Stato, più mercato». Ma Tremonti è statosoprattutto quello dei condoni. Se c’è qualcosa per cui passeràalla storia è questo atto rituale compiuto un’infinità di volte, nelquale si condensa tutto il pensiero economico del berlusconismo:il condono. Ovvero il premio all’Italia dei furbi e dei corrotti,contro l’Italia onesta e produttiva. L’incoraggiamento alla piùalta evasione fiscale dell’Occidente, all’economia del sommersoe delle mafie. Un modo, il peggiore, per assecondare, anzi peraccelerare il declino italiano. Ma non illudiamoci che la classedirigente possa essere chiamata a rispondere di queste gravissi-me responsabilità. Ci sarà sempre un condono anche, soprattuttoper loro.

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