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il Ducato Periodico dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino Distribuzione gratuita Poste Italiane Spa-Spedizione in a.p. - 70% - DCB Pesaro Il “maiale vegetale” dossier Urbino, aprile 2014 di Teodora Stefanelli Come nel suino della canapa non si butta via nulla: tutte le componenti della pianta sono sfruttate per fare carta, stoffe, olio, farina e cosmetici. Dopo un periodo di proibi- zionismo, durato più di 20 anni, oggi questa coltivazione sta tornando nei campi e gli agricoltori dell’entroterra marchigiano stanno scommettendo molto sul suo rilancio.

Il "maiale vegetale"

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Lavoro di fine corso di Teodora Stefanelli

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Il “maiale vegetale”

dossier

Urbino, aprile 2014

di Teodora Stefanelli

Come nel suino della canapa non si butta via nulla: tutte le componenti della piantasono sfruttate per fare carta, stoffe, olio, farina e cosmetici. Dopo un periodo di proibi-zionismo, durato più di 20 anni, oggi questa coltivazione sta tornando nei campi e gliagricoltori dell’entroterra marchigiano stanno scommettendo molto sul suo rilancio.

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il Ducato

La pianta “salva economia”Torna la canapa nell’entroterra marchigiano: rende bene e non inquina

I giovani under 35 tornano a lavorare in campagna e scommettono sul recupero delle colture dimenticate

Da alcuni anni il siste-ma produttivo mar-chigiano sta perden-do colpi, schiacciatodalla pressione di unacrisi economica che

non accenna ad arrestarsi: Secondoi dati del Centro studi di Confindu-stria Marche nel 2013 si sono persi22mila disoccupati, con un calo del3,4% (contro lo 0,4% dell’Italia) cheha portato il tasso di disoccupazio-ne dal 10,7%del 2012 al 12,2% di di-cembre 2013. La contrazione ha in-teressato tutti i settori produttivi,l’agricoltura, in particolare, ha per-so 2700 unità, con un decrementodel 16,4% rispetto al 2012.In questo panorama desolato c’è,però, una nota positiva: sempre piùgiovani tornano a lavorare in cam-pagna, affittano i terreni (comprar-li costa troppo) e aprono piccoleaziende agricole. Nell’ultimo rap-porto presentato da Coldiretti Mar-che, si stima che, tra il 2011 e i primisei mesi del 2013, sono nate circa 200imprese condotte da giovani sotto i35 anni che non provengono dal la-voro agricolo. Si legge nel documento: “Se il trenddel primo semestre 2013 dovesse es-sere mantenuto, le nuove iscrizionidei giovani imprenditori nel registrodelle Camere di Commercio dovreb-bero aumentare di una cifra tra il 20e il 30 per cento rispetto allo scorsoanno”. Sono sempre di più i ragazzi chescelgono di frequentare gli istitutiprofessionali di agraria e, rispetto al2013, le matricole iscritte alla facol-tà di Agraria sono il 20 per cento inpiù. Studio, ricerca e sviluppo del settoreprimario, secondo alcuni esperti,sono fattori che rafforzano l’econo-mia del territorio marchigiano, ma èpuntando sul recupero delle colturedimenticate, come quella della ca-napa, che si può creare un’occasio-ne unica di riscatto, anche perché laregione Marche offre ottime poten-zialità grazie alla combinazione fa-vorevole di terreno e clima. “Bisognacreare una filiera – spiega CorradoGradoni, responsabile marchigianodi Assocanapa - in grado di valoriz-zare la fibra (per costruire pannelli emattoni), il canapulo (che serve aprodurre pellet e altri materiali iso-lanti) e l’olio che si ricava dai semi eche ha un tenore di grassi Omega 3molto superiore agli altri oli vegeta-li”. Attraverso il rilancio di un’eco-nomia sostenibile, fondata sulle ri-sorse del territorio, si possono svi-luppare opportunità per i giovani edi conseguenza creare prospettiveoccupazionali. “In Germania moltiproblemi sono stati superati dandocredito alla green economy – haspiegato Patrizia David, docente diSociologia all’Università di Cameri-no, durante il convegno “La canapa,nuova opportunità per l’agricolturaitaliana”, organizzato a Fiuminata il15 marzo – grazie a tecnologie d’a-vanguardia applicate alle produzio-ni agricole e forestali. Un risposta al-le mutazioni climatiche, ma ancheun’occasione di riequilibrio delle ri-sorse e dello sviluppo in tutte le areedel paese”. La regione Marche, da al-cuni anni ha cominciato a investirenella sativa: dal 2011 al 2014 gli etta-ri coltivati a canapa nell’anconeta-

no sono quadruplicati e i produttorisi sono cimentati sempre di più nel-la produzione di oggetti e articoli perusi e scopi più vari: dalla cosmetica,all’agroalimentare, fino alla carta eai capi di abbigliamento. Ma è nel-l’entroterra marchigiano, a Jesi, unacittadina in provincia di Ancona,che questa pianta assume un valorepiù significativo rispetto a qualsiasialtro luogo d’Italia. La canapa quiera utilizzata già nel 1600 per tesserecorde e funi, che poi venivano espor-tate nel resto d’Italia e d’Europa. Fi-no all’avvento delle materie plasti-che la fibra della pianta era usata perfare lenzuola, coperte e corredi nu-ziali. Allora la materia prima si im-portava dall’Emilia Romagna, ma lalavorazione era fatta in città. Gli an-ziani ricordano ancora quelle enor-mi ruote che giravano nel rioneGrammercato, il “passo del gambe-ro” tipico del cordaio che tirava le fi-la di canapa intrecciando corde diogni grossezza e la vita durissima diartigiani e operai che tessevano sen-za sosta dall’alba al tramonto. Oggi il rione ha cambiato completa-mente aspetto e, a ricordare i mac-chinari di tessitura, al centro dellapiazzetta, è stata messa una sculturache rappresenta una ruota da lavoro.A Jesi la tradizione si è fusa con l’in-novazione e, anche se le corde non siesportano più e le ruote hannosmesso di girare, è rimasta comun-que la passione per la tradizione,tant’è che molte idee innovativestanno prendendo corpo: come ilprogetto di Mattia Guarnera che,nella Vallesina, con la canapa checoltiva lui stesso produce birra agri-cola. O come due giovani imprendi-trici fabrianesi che nella città dellafiligrana, hanno realizzato artigia-nalemente fogli prodotti con la pol-pa che si ricava da questa pianta daimille usi.

“I semi di canapa contengono sostanze ad azione antiossidante e aci-digrassi della serie omega-3”. Ad attestarlo è il Ministero della Salute,con una circolare del 22 maggio 2009, in cui si specifica che: “sonosolo le foglie e i pollini, non i semi, a produrre cannabinoidi”. Una cer-tificazione del fatto che i semi di canapa che non contengono Thc (lasostanza stupefacente contenuta in alcune specie di canapa), sonosalutari e prevengono l’invecchiamento cellulare. “Ma – dice SilvanoRamadori, referente per le Marche di Assocanapa – bisogna stareattenti a chi parla di effetti miracolosi. Certo la canapa fa bene, è natu-rale e la lecitina di soia, contenuta nei semi di canapa, è un toccasa-na per il colesterolo se assunta con regolarità; ma non significa che siauna sostituta delle medicine”. In una brochure redatta da Assocanapasi legge: “Recenti studi hanno evidenziato che gli essential fatty acids(Efa) altrimenti detti acidi grassi polinsaturi, sono contenuti nell’olio dicanapa e intervengono positivamente nei processi infiammatori, nellafebbre o nel dolore conseguente a traumi o malattie. Inoltre l’olio disemi di canapa, come l’olio di pesce, contiene naturalmente omega 6ed omega 3 nel rapporto ottimale di 3:1”. Quest’ultimo è il rapportoottimale che l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda diassumere nella dieta quotidiana.

UN TOCCASANA PER LA SALUTE

In alto: Corde, mattonie materiale isolanterealizzato con la cana-pa. A sinistra: un barat-tolo di semi della spe-cialità Carmagnola

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IL MAIALE VEGETALE

Il “maiale vegetale”: eracosì che i nostri nonni ebisnonni chiamavano lapianta della canapa.Con una storia millena-ria e un passato glorioso

alle spalle, la coltura dellacanapa oggi sta rinascendodopo più di 40 anni di assenzafra le colline marchigiane,nelle campagne di Jesi, in pro-vincia di Ancona. All’inizio del Novecento lacittà di Federico II era famosaper i suoi cordai e canapiniche intrecciavano corde diogni dimensione destinate perlo più alla marina militare e alporto di Ancona. “Oggi le funi non si fannoquasi più – ci racconta MattiaGuarnera, presidente dell’As-sociazione produttori di cana-pa marchigiana – se non perdimostrazione. Gli ultimi cor-dai hanno più di 80 anni e dal1950, quando i materiali diplastica hanno sostituito lacanapa, abbiamo perso tuttele conoscenze e il know how.Ora dobbiamo recuperare iltempo perso, cercando di tro-vare uno sbocco originale eidee contemporanee per sfrut-tare questa pianta”. In effetti, di esperimenti con lacanapa sativa (che a differenzadi quella indica contiene livel-

li minimi o pari a zero di thc, cioè la sostanza attiva stupe-facente) se ne fanno parecchi in questa zona, a cominciare dalla birra di canapa, scura e decisa nel gusto.“Ho una forte passione per questa bevanda – aggiunge Guarnera - e unendo al luppo-lo la sativa ho creato un pro-dotto agricolo a fermentazio-ne naturale. Sono l’unico in Italia a produrre birra agricola come questa”. L’uso della canapa, però, non si limita solo a corde per le navi e bevande artigianali. Con le moderne tecnologie si possono fare tantissimi pro-dotti. Dai semi di canapa si ricava l’olio per fare creme e saponi naturali, ma si può anche utilizzare in cucina o come carburante. Henry Ford, nel 1923, progettò la “Hemp Body Car”, un’automobile ali-mentata a etanolo di canapa e costruita con plastica ricavata da questa pianta. Il fusto della canapa serve a produrre carta e fibre tessili ma, per la sua capacità isolante, può essere impiegato anche per realizza-re mattoni. E poi ancora: for-maggio alla canapa, cioccola-to, biscotti, grissini e pasta: “Sono tutti prodotti senza glu-tine – dice Antonio Trionfi

Honorati, titolare dell’omoni-ma azienda agraria – per celia-ci e intolleranti”. Nonostante l’interesse per ilrecupero di questa coltura cheha una tradizione centenaria,nelle campagne della Vallesinasono ancora pochi coloro chedecidono di piantare canapa:“Fino al 2013 – spiega Honora-ti - eravamo una decina diagricoltori a coltivare la sativain tutto il territorio marchigia-no, ma in futuro saremo sem-pre di più. L’Associazione pro-duttori di canapa marchigiana(a.pro.ca.ma) nasce propriocon l’intenzione di creare unafiliera, dalla coltivazione finoal prodotto finito e trasforma-to. Due anni fa nelle Marcheabbiamo coltivato 18 ettari,l’anno scorso siamo arrivati apiù di trenta e quest’anno pro-babilmente arriveremo a 60.Tutti i produttori della zonache desiderano trasformare lacanapa senza dover dipendereda altre strutture fuori Regio-ne possono associarsi. Per orasiamo in quattro, ma contia-mo l’anno prossimo diaumentare il numero degliiscritti”. Tra gli obiettivi del Consorzioc’è anche la creazione di unseme tipico marchigiano chegarantisce la qualità del pro-dotto locale: “C’è un monopo-lio per l’acquisto dei semi. LaFrancia, tutta l’Europa dell’Este la Russia – ci ha detto il pre-sidente Guarnera - non hannomai mollato la produzione.Hanno una loro banca dati eun loro metodo di lavoro: nonè facile entrare a far parte delmeccanismo e capire comelavorano questi paesi”. L’unico canale per acquistaresemi è Assocanapa, che sitrova a Carmagnola, in provin-cia di Torino. È lei che possie-de l’esclusiva su alcuni semicome la canapa da fibra Car-magnola, una delle varietà piùusate dai coltivatori di Jesi.“Il problema - dice il produt-tore Honorati - è che non c’èun macchinario di prima tra-sformazione in zona. Il piùvicino è proprio a Carmagno-la. Sarebbe utile avere quattro,cinque impianti di strigliaturadistribuiti per l’Italia, in mododa ridurre le distanze per l’ap-provvigionamento e la lavora-zione del seme. La canapa èper antonomasia la pianta piùecologica del mondo, perchénon necessita di acqua, né difitofarmaci, né di concimi.Trasportando con i camion lebacchette fino a Torino sirischia di farla diventare indi-rettamente una pianta inqui-nante. Inoltre per l’agricoltoreil guadagno è scarso”. Il mercato è ancora giovane,non è saturo e offre interes-santi opportunità per fare

business. Le spese per il man-tenimento della pianta sonominime e, inoltre, questa fibrabeneficia del contributo euro-peo Pac (Politica AgricolaComune) come tutti i semina-tivi. I coltivatori ricevono unsostegno che arriva fino a 400euro a ettaro. “Questo è unmercato – spiega Honorati -che suscita interesse, anchedal punto di vista economico:ad esempio, se produco 6quintali di fibra e 5 quintali diseme riesco a generare un red-dito di 1600 euro l’ettaro, conun costo di produzione chesupera apena i 700 euro l’etta-ro. C’è quindi una redditivitàdi circa 900 euro, più la Pac. Sepoi il seme è trasformato inolio, saponi e creme i marginidi guadagno aumentano”. Diversi sono i conti visti dallaparte dei consumatori. Ecco iprezzi: L’olio di canapa damezzo litro prodotto dell’a-zienda Trionfi Honorati costa24 euro; la crema di bellezzaviene 24 euro e per mezzochilo di farina ci vogliono 5,50euro. Sette volte in più rispettoalla farina di tipo “0” che sitrova in commercio anche a 50centesimi al chilo. “Le ragioni di un costo cosìalto sono diverse – dice MattiaGuarnera – a cominciare dalfatto che i semi sono d’impor-tazione. Inoltre l’olio di cana-pa è spremuto a freddo, unaprocedura lunga e macchino-sa anche se alla fine il prodot-to è puro e genuino”. A deter-minare il prezzo ci sono anchealtri elementi come il confe-zionamento, la distribuzione ela domanda, che rimane anco-ra scarsa e confinata in unanicchia di consumatori. Massimo Guido Conte, porta-voce del gruppo di ricercaecologica delle Marche (un’as-sociazione ambientalista cheha come obiettivo quello dipromuovere e valorizzazionel’entroterra delle Marche, pro-teggendo l’ambiente e l’iden-tità del territorio) ipotizza cheun prezzo così alto non sia deltutto giustificabile sul merca-to: “I semi di canapa – spiegaGuido Conte - hanno un costopiù elevato della media deglialtri suoi simili oleosi. La colti-vazione e la raccolta, poi, sisvolgono con risultati menoottimali rispetto a quantoavviene con le altre sementida olio, contribuendo alla lie-vitazione dei prezzi. Infine ilgusto forte e marcato, unito alfatto che molti consumatorinon conoscono l’olio di cana-pa, rende questo prodotto unalimento prezioso e d’elite. Iconsumatori non acquistanol’olio di canapa con la stessaspensieratezza con cui acqui-stano quello di oliva. Lo usano

L’olio di canapa:un oro verderiservato a pochi

Le produzioni jesine sono all’avanguardia

con il contagocce nelle insala-te. In più i supermercati prefe-riscono guadagnare poco matutti i giorni, piuttosto chetanto in modo discontinuo:per questo non tengono l’oliodi canapa”. Tutte queste condizioni fannosì che il valore commercialesia sensibilmente più altorispetto agli altri oli. C’è chiipotizza che i produttoriabbiano un certo interesse amantenere il prezzo alto, levendite modeste nelle quanti-tà e le rendite piuttosto reddi-tizie: “Non è accettabile – diceGuido Conte - che per unabottiglia di olio di canapa sipaghi 50 volte di più rispettoall’olio di arachide. La volontàdi tenere il prodotto confinatonella nicchia, badando esclu-sivamente al rapporto quanti-tà - prezzo non aiuta lo svilup-po del prodotto”. Quindi, il costo è così alto per-ché la domanda è scarsa: “Nonc’è commercio in questo caso– continua il presidente delGre - ma se il Gruppo di ricer-ca ecologica, come promotore della pianta, fosse supportato anche dai produttori si avrebbe un aumento della domanda e un abbassamento dei prezzi di cui tutti potreb-bero godere”. Pare, quindi, che attualmente siano pochi coloro che possono godere dei frutti di questo mercato: “Il disinteresse - dice Conte - più tradursi nella voglia dei produttori di apparire deus ex machina? Probabile. Si può parlare di miopia?Sicuramente ” .

Sono quadruplicati in pochianni gli ettari di terreno nelleMarche coltivati a canapa

In alto: un campo di canapa in estateA destra: Mattia Guarnera e Antonio Trionfi Honorati (dueproduttori jesini) . Qui sopra un particolare della pianta

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La canapa ha un’energiadiversa da tutti gli altritessuti. Chi la prova dif-ficilmente torna indie-tro”. Luciana Giannotti,49 anni, varesotta di na-

scita, ma marchigiana di adozione,da più di trent’anni crea e confe-ziona abiti utilizzando anche tes-suti in canapa che possono assu-mere consistenze diverse, daljeans al lino, a seconda del tratta-mento, sempre e rigorosamentegreen. Dal 2003 Luciana Giannotti gesti-sce il laboratorio “Fili di luce”, inuno splendido casolare fra le colli-ne marchigiane, a Ripe di Senigal-lia, all’interno della comunità “Lacittà della luce”.

Com’è cominciata l’esperienzatra spille, bottoni e cartamodelli?Ho iniziato da giovanissima a lavo-rare nei laboratori di abbigliamen-to di Varese. Con la pratica ho affi-nato le tecniche di cucito e ho lavo-rato con le sartorie che confezio-navano prototipi e campionari pergrandi stilisti come Armani, Versa-ce, Ferré e Dolce e Gabbana. Nel2001 ho incontrato la filosofia delreiki, (una pratica spirituale che èusata come forma terapeutica al-ternativa al trattamento dei ma-lanni fisici, emozionali e mentalin.d.r) e nel 2002 ho intrapreso unnuovo stile di vita. Sono diventatamaestro di reiki e ho deciso di ade-rire al progetto della “città della lu-ce”, nelle Marche, dove vivo e svol-go la mia attività.

Quali sono i materiali che predili-ge per le sue creazioni?Uso fibre naturali come il cotonebiologico, il bamboo, la canapa.Ma riciclo anche vecchi vestiti o itessuti che altri negozi non utiliz-zano più. Ad esempio ho creato unabito blu, dalla forma ad A, ricava-to da un paio di pantaloni da uomo.

Cosa pensa del tessuto ricavatodalla canapa? E’ un materiale molto interessanteperché è una fibra naturale, fa re-spirare la pelle, emana buone vi-brazioni e rispetto al cotone biolo-gico è più conveniente ed ecologi-co perché per crescere non ha bi-sogno di acqua. Il tessuto di cana-pa che utilizzo, con vari tipi di spes-sore, arrivano per lo più dallaRussia perché qui da noi la filieraormai è scomparsa e il tessuto nonsi produce quasi più.

Quanto costano questi abiti? Do-ve si vendono?Il prezzo è variabile. 140 -150 europer maglie e pantaloni. I nostriprodotti sono venduti sul sito di e-commerce di Fili di luce.

150 euro per una t-shirt non è pro-prio un prezzo popolare, o sba-glio?Credo che in questi tempi di crisi lepersone desiderino avere un solocapo bello e “pulito”, piuttosto chetrenta vestiti sintetici. Il mio labo-ratorio ha anche l’obiettivo di ri-educare le persone all’acquisto,promuovendo l’armonia e il be-nessere psicofisico. Mi spiego: l’e-pidermide rappresenta una zonadi confine che delimita il mio spa-zio interno da quello esterno. I ve-stiti rappresentano una vera e pro-

pria pelle, che possiamo cambiareo modificare a nostro piacimento.Per questo è così importante in-dossare prodotti con fibre natura-li.

Realizza anche creazioni su misu-ra?Si, molti abiti vengono fatti su mi-sura, ma il fascino del cucito attraeanche molte persone che deside-rano imparare a fare abiti. Così daqualche anno organizzo corsi di ta-glio e cucito. Vengono molte signo-re, ma anche ragazze. Non impor-ta essere principianti o esperte.L’importante è dare sfogo alla fan-tasia tagliando i tessuti, imparan-do a conoscerli e cucendoli nelmodo corretto.

Cucito con un “filo di luce” Luciana Giannotti nella sua casa - laboratorio crea capi con materiali biologici

“Il tessuto che si ricava dalla sativa è morbido, ecologico, traspirante ed emana vibrazioni positive”

Galeotto fu il vecchio frullatoreNella patria della filigrana due giovani producono carta di canapa

n laboratorioartigianale do-ve la canapa di-venta carta. L’i-dea è di due ra-gazze, Melania

Tozzi e Maria Elena Marani,nate e cresciute nella città del-la filigrana: Fabriano. Melaniaè un’artista che dipinge con

colori naturali ricavati dal caf-fè o dal cavolo cappuccio; Ma-ria Elena è una designer conl’occhio rivolto al futuro. En-trambe amano le cose natura-li e sono appassionate del bio-packaging (Un modo di im-pacchettare e presentare alpubblico un prodotto con ma-teriali biologici o da fonti rin-novabili). La loro è una passio-ne nata in casa, fra piatti e sto-viglie: “All’inizio – dice Mela-

nia - i primi fogli di carta di ca-napa li ho realizzati con mezzicasalinghi. Usavo un frullato-re. Poi pian piano mi sono spe-cializzata, sono migliorata eora spero che arrivino i finan-ziamenti per l’acquisto i mac-chinari. L’obiettivo, all’iniziodel progetto, era quello di rea-lizzare semplici fogli, poi, gra-zie alla collaborazione conMaria Elena, ho osato e ho de-ciso di puntare sull’innova-zione: così mi è venuta l’ideadi creare etichette e cartelliniper le case di moda”. Hem-point (così si chiama la loroazienda) non punta solo sullasostanza, naturalmente bio-logica, ma anche sulla forma:“Vorremmo creare un prodot-to in cui l'arte incontra l'am-biente – continua Melania – eil nostro obiettivo è quello ditrasformare la tradizione ininnovazione nel completo ri-spetto dell'ambiente. Noi cisperiamo”. Forse è propriocon le nuove idee e con l’intra-prendenza dei giovani, comeMelania e Maria Elena, che lacittà di Fabriano potrà risolle-varsi dalla crisi economica e

Sopra: Luciana Giannotti nel labo-ratorio di Senigalla; a destra lesue creazioni. In basso nelle fotopiccole: Le due produttrici fabria-nesi di carta canapa.A destra le loro produzioni

lavorativa in cui è sprofon-data con la chiusura di diver-se aziende storiche del com-prensorio. Nel 2012 la disoc-cupazione in questa piccolacittà marchigiana superaval’8%, ma il dato non tieneconto delle migliaia di cas-sintegrati che formalmentenon sono ancora disoccupa-ti.“Stavo seriamente valu-tando la possibilità di andar-mene da qua – proseguel’imprenditrice marchigia-

na - poi ho pensato che fug-gendo non avrei risolto nullae che l’unica cosa da fare erarimboccarsi le maniche prmigliorare la mia situazionelavorativa.Ho deciso di fre-quentare un master all’Uni-versità di Fabriano per im-parare tutte le tecniche di la-vorazione della carta. Orasento di poter dare qualcosaalla mia città creando cosebelle rispettando natura eambiente”.

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Gioie, fatiche, incontri einnamoramenti: “l’er-ba ridarola” (come ve-niva chiamata un tem-po la canapa nell’an-conetano) produceva

un effetto magico sui giovani conta-dini che nelle torride settimane diagosto, inebriati dal polline e dal vi-no, raccoglievano i fusti di canapaalti due metri. “Sono ricordi ancoravivi, che si tramandano di genera-zione in generazione – dice AntonioTrionfi Honorati che possiede dieciettari di terra coltivata a canapa – enonostante il periodo di proibizio-nismo le tradizioni sono sempre ri-maste vive nella memoria popolare”.Il dopoguerra, però, ha cancellatogran parte del lavoro fatto e la cana-pa è stata abbandonata a vantaggiodei materiali di platica.Oggi con la crisi economica e un’at-tenzione sempre maggiore all’im-patto ambientale, si sta riscoprendoquesta pianta ecosostenibile dalpassato glorioso. Utilizzata in Cina8500 anni fa per gli abiti degli impe-ratori e dai fenici per le corde e le ve-le delle navi, la canapa fu impiegatain moltissimi campi: sulla carta dicanapa fu scritta la dichiarazioned’indipendenza degli Stati Uniti e fustampata la prima Bibbia di Guten-berg, mentre le caravelle di Cristofo-ro Colombo andavano a gonfie velegrazie alla stoffa prodotta con que-sta fibra. Fino al 1950 era la coltiva-zione più diffusa in tutto il mondo. InItalia ce n’erano centomila ettari e ilnostro paese era il principale pro-duttore mondiale dopo la Russia.Solo nelle Marche a questa coltiva-zione erano destinati più di 500 etta-ri. Quello della Vallesina era uno deidistretti più conosciuti per la tessi-tura della lana, della canapa e del li-no, mentre la materia prima era ac-quistata e importata principalmen-te dall’Emilia Romagna, soprattuttoda Cesena e da Bologna. Sul finire delXIX secolo cordai e canapini costi-tuivano una fetta importante dellasocietà jesina. Secondo il censimen-to del 1871 in città c’erano 391 cana-pini e 208 cordai e, in una lettera del1976, recuperata nella pubblicazio-ne locale “Cordai”, si legge: “…la pet-tinatura della canapa e la fabbrica-zione delle funi rimangono le indu-strie più importanti per la popola-zione locale dopo quella della filatu-ra della seta”. Le corde fatte a Jesi fi-guravano tra i principali prodottiesportati in Italia e all’estero: “Inparticolare – si legge nel libro – i ‘cor-daggi grossi’ erano destinati allacampagna e alle varie arti, mentre gli‘spaghi’ e i ‘cordaggi fini’ erano

esportati in Grecia e a Trieste”. L’arte del cordaio era considerata a Jesi co-sa di poco conto e la vita degli operai, che da mattina a sera giravano la ruota, era durissima e sofferta. Col passare degli anni e con il boom economico alle porte, la crisi della produzione di canapa cominciò a farsi sentire in tutto il territorio e presto in tutto il paese. Nel 1958 le fi-bre sintetiche, arrivate dagli Usa, so-stituirono le fibre naturali e la cana-pa fu rimpiazzata dal nylon, fino a scomparire. Anche gli oli vegetali furono sostitu-ti con quelli sintetici e con gli anni della rivoluzione del ’68 la parola ca-napa assunse ben presto la connota-zione negativa di stupefacente. Il termine "marijuana" era usato in origine dai messicani per indicare la varietà di canapa indiana. Gli ameri-cani, durante gli anni trenta, quando i magnati di petrolio e cellulosa deci-sero di diffondere le loro materie in tutto il mondo, scelsero di adottare questo vocabolo in modo dispregia-tivo. Il Messico allora era considera-ta una nazione ostile agli Stati Uniti e, creando un clima di avversione nei confronti di questa pianta, si sareb-be arrivati presto alla proibizione. Fu con il Marijuana Tax Act, una leg-ge firmata dal presidente Roosevelt nel 1937, che la canapa si mise defi-nitivamente fuori legge. Dopo lo stop, causato dalla concor-renza delle materie plastiche, nel 1977 in Italia arrivò la messa al ban-do: la coltivazione fu proibita dalla legge Cossiga che parificò due pian-te cugine: la canapa indica (che con-tiene il principio attivo psicotropo) e quella sativa (che invece è utilizzata per scopi produttivi). Le conseguen-ze furono l’abbandono dei campi e l’estinzione della coltura. Solo nel dicembre 1997 una circolare del mi-nistero delle Politiche agricole auto-rizzò una deroga per la coltivazione sperimentale su mille ettari, che fu poi ampliata. Dal 1998 in poi si riprese a coltivare canapa da fibra e, grazie ai contribu-ti europei, si seminarono 255 ettari. Emilia Romagna, Piemonte, Tosca-na, Marche e Campania furono le re-gioni che per prime investirono nel progetto di rinascita della canapa: “Con un futuro incerto davanti – di-ce Mattia Guarnera, che a Jesi pos-siedere tre ettari di terra coltivata con canapa - l’unica soluzione alla crisi potrebbe essere quella di pos-sedere un pezzo di terra e capire quanto è importante recuperare certe tradizioni millenarie che per troppo tempo sono state demoniz-zate”.

Mille anni di corde e fatica Canapa protagonista nei millenni: dalla Bibbia di Gutenberg alle Caravelle di Colombo

All’inizio del Novecento nel nostro paese si coltivavano ed esportavano quintali di sativa poi il probizionismo, ora il ritorno

In alto una foto del 1949 che mostra il lavoro di filatura di Emilio Formiconi edel fratello Italo lungo uno dei sentieri del Prato di Jesi. Qui sopra, una foto degli anni ‘50, un cordaio tiene in mano la canapa grezza Sotto: una foto del 1950 che documenta la produzione di corde per le navipronte per la spedizione

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Dalla piccola alla grande storia Carla, Meri e Floriana: una collaborazione e un’amicizia nata fra gli scaffali della biblioteca

Tre scrittrici jesine ripercorrono in un libro le tradizioni del quartiere “Prato” famoso per cordai e canapini

Tre donne e unapassione, quellaper la microstoria.Carla Cardinaletti,Meri Sbaffi e Flo-riana Urbani si so-

no incontrate dieci anni fa a Je-si e hanno scoperto di avere incomune la grande passione incomune perla storia loca-le e, in parti-colare, perque l la de lquartiere je-sino “Prato”.“La piccolastoria – dicela professo-ressa di lette-re, Meri Sbaf-fi - può fare lagrande sto-ria. Noi ab-biamo pro-vato a rico-struire il per-corso del rione e, come in unaspecie di caccia al tesoro, cisiamo immerse nella ricostru-zione della memoria di unquartiere che è stato il cuorepulsate dell’economia dellacittà”. Galeotta fu la bibliotecae i suoi libroni impolverati neiquali le studiose si immerge-vano per ore, spulciando i testisettecenteschi e i documentidelle riforme agricole.“Conoscevo già Floriana – rac-conta Meri Sbaffi - mentre Car-la l’ho incontrata quando sta-va scrivendo la tesi di laureaproprio sui cordai jesini. Il no-

stro intento era quello di recu-perare la vecchia cultura delquartiere, che è nato nel quat-trocento come borgo Mercata-le e nel XVII secolo si è popola-to di cittadini e artigiani, tracui i canapini”. Nonostante la pubblicazionedelle tre studiose fosse pronta

da tempo, ill ib ro fupubblicatonel 2009 daV i t t o r i oCappanna-ri, grandecollezioni-sta di carto-l ine e d iogni tipo dicimelio del-la ‘città re-gia’.“Nel 2009a b b i a m ofatto ancheuna mostra– dice Cap-

pannari - con le fotografie chemostrano i cordai all’opera, legrosse ‘rode’ (le ruote) che i ra-gazzini di otto anni giravanoda mattina a sera e molto al-tro”. L’arte di fabbricare corde sitramandava di padre in figlioma non era un mestiere facile,tant’è che i genitori la usavanocome minaccia di fronte ai ca-pricci e alle resistenze dei figli:“Va là, te manno a girà la rodagiù l’prado (attento che ti man-do a girare la ruota al Prato).Damattina a sera la piazza delMercatale era animata da cor-

dai e canapini che, con il gelo o con il caldo torrido, giravano la corda e lavoravano i fasci di ca-napa. Al canto di “Eccolo...ec-colo,è rivado…Rigi” (ecco, ec-co è spuntato il sole) si inizia-va a produrre senza sosta la ca-napa, prima pettinandola e poi filandola. Le fasi successive erano la commettitura e la composi-zione, ossia la formazione del-la corda vera e propria.“La pro-duzione di cordame conobbe a Jesi fasi alterne – dice Sbaffi – e se già nel Quattrocento l’attivi-tà dei cordai era presente in città, occorre arrivare al Sette-cento per avere le prove di una produzione di cordaggi flori-da”. La produzione era in continua crescita. Ben 57 famiglie vive-vano realizzando corde espor-tate anche all’estero. Fu alla fi-ne del 1800 che cominciò il ra-pido e incessante declino favo-rito dall’uso massiccio della plastica. “Nel 1932 – si legge fra i documenti riportati nel libro - i cordai superstiti erano appena otto […] Tra il 1960 e il ‘70, rimasero a esercitare la professione solo tre cordai”. Oggi gli ultimi artigiani che la-voravano alle ruote hanno 90 anni e a ricordare la fabbricazione di corde è rima-sto un monumento al centro del quartiere Prato: “il passato deve essere ricordato: è una missione per gli insegnanti. Così - dice Sbaffi - l'amore per la storia non potrà mai estinguersi”.

Soia, girasole, lino ma anche alghe e cana-pa: sono moltissimi i prodotti adoperati per creare l a c o s i d d e t t a

“energia verde” o biodiesel.L’Università Politecnica delleMarche da anni è impegnatanello studio e nella valorizza-zione delle piante che possonoessere utilizzate in ambitoenergetico, tra cui la canapa.“Questo tipo di pianta – dichia-ra Rodolfo Santilocchi, presidedella Facoltà di agraria dell’U-niversità Politecnica delleMarche – ha sempre rappre-sentato un punto fermo neicorsi universitari di Scienze etecnologie agrarie. Inoltre l’U-niversità collabora con diverseassociazioni e con i produttoridella zona per rimettere a pun-to le tecniche di lavorazionedella sativa autoctona. Negliultimi anni sono aumentati glistudenti interessati al mondodell’agricoltura e lo dimostraanche l’incremento del 15%degli iscritti alla Facoltà diagraria”. L’Università collabora attiva-mente per la reintegrazione sulterritorio della sativa, ma sonoancora molti i dubbi e le diffi-

coltà che i produttori devonoaffrontare, soprattutto dalpunto di vista normativo. L’U-nione Europea ha stabilito unlimite di Thc (la sostanza psi-coattiva contenuta in alcunespecie di canapa) nelle coltiva-zioni di canapa pari allo 0,2%,ma non c’è ancora una legge inItalia che, nel rispetto dellanormativa europea, stabiliscale regole e le condizioni che sidevono seguire, soprattuttoper chi produce cibi e alimentia base di sativa. Attualmente sono depositatialla Camera tre disegni di leggesu questo tema. L’ultimo è sta-to proposto nel novembre 2013dal deputato Adriano Zacca-gnini: “Chi produce e lavora ilseme per fini alimentari – silegge nel documento - non puòsentirsi al sicuro, in quanto inItalia non esiste ancora unanormativa che stabilisca il li-mite di Thc ammesso nei cibi.Senza un quadro legislativochiaro è pressoché impossibiletrovare imprenditori o finan-ziatori disposti a investire”. Una legge quadro permette-rebbe agli agricoltori e ai pro-duttori di lavorare senza parti-colari rischi, ma anche il siste-ma giudiziario ne trarrebbe be-

nefici importanti.“Bisogna agevolare le attivitàdi controllo delle Forze dell'or-dine – si sottolinea nella pro-posta - che al momento nondispongono di norme preciseper la valutazione del contenu-to di Thc nella coltivazioneagricola di canapa. Così si evi-terebbero diversi processi neiconfronti di semplici agricol-tori”. Come pure si eliminereb-bero gli arresti delle personeche non hanno nulla a che farecon lo smercio e lo spaccio disostanze stupefacenti.

Partendo dall’alto in senso orario: le tre autrici Carla Cardi-naletti, Meri Sbaffi e Floriana Urbani, in una foto del1997durante la presentazione della mostra sul quartierePrato di Jesi. A destra: Rodolfo Santilocchi, preside della Facoltà di agra-ria dell’Università Politecnica delle Marche

Voglia di eco-novità, ma servono le regole

Una vecchia ruota per tessere la canapa che risale al1700 e il monumento che oggi è al centro della piazzanel quartiere Prato e che ricorda cordai e canapini