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Il segreto del geologo

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Il segreto del geologo

Il presente romanzo è esclusivo frutto dell’ingegno e dellafantasia dell’autore; soltanto alcuni passi storici ed alcuneenunciazioni geologiche, a volte addomesticate per il conse-guimento dei fini e degli scopi preposti, sono rispondenti allarealtà. Nomi ed avvenimenti romanzati non hanno alcun rife-rimento reale.

Paolo NardiniPaolo NardiniPaolo NardiniPaolo Nardini

IL SEGRETO DEL GEOLOGOIL SEGRETO DEL GEOLOGOIL SEGRETO DEL GEOLOGOIL SEGRETO DEL GEOLOGO

romanzo

Questo mio lavoro lo dedico a tutti coloro che, nel corso della vita,

si soffermano, almeno per un attimo,a rivolgere il pensiero a ritroso,

nel passato.

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PrefazionePrefazionePrefazionePrefazione

Con le mani messe a coppa ho raccolto una manciatadi finissima sabbia marina, un’infinità di granelli minutiche, pur apparendo uguali nel loro insieme, sono singo-larmente diversi per colore, grossezza, consistenza, lu-centi od opachi. Ognuno di loro è stato qualcosa digrande ed anche ora, così piccoli, riuniti a stretto contat-to tra di loro rappresentano nei miei pensieri qualcosad’immenso. Cerco di stringerli fra le mani per non farlisfuggire ma essi trovano sempre una fessura dalla qualefuoriescono e, spinti dalla brezza marina, si sparpaglia-no d’intorno svanendo allo sguardo e ritornando nellainforme immensità della spiaggia.

Osservo allibito questa manciata di sabbia che in unpiccolo vortice mi sfugge lentamente di tra le dita rat-trappite dal tempo sforzandomi invano di chiuderle; ècome fossero la mia vita che se ne va. Ogni granello rap-presenta un giorno, o forse un’ora, un minuto od un at-timo, un pensiero, un fatto importante, un evento feliceo doloroso trascorso, tutti erosi, limati, ridotti a dei pun-ti, all’essenziale, a dei semplici ricordi che ricadendo simischiano a quelli degli altri a formare la storia dell’u-manità.

La coppa si sta svuotando e vorrei che qualcuno rac-cogliesse altra sabbia per me per riempirla di nuovo, masono solo in questa ora di primo mattino poi, improvvi-

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sa, una vocina… nonno!.. nonno… sono venuto a farticompagnia!

“Bravo! Ti stavo aspettando con ansia, fai presto!.. rac-cogli quanta sabbia tu puoi con le tue piccole mani emettila qui tra le mie… ecco, così… bravo!

…La mia storia può attendere ancora un poco”.

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PRIMA PARTEPrimo capitoloPrimo capitoloPrimo capitoloPrimo capitolo

Mi chiamo Roberto Valdambrini e da qualche mese,praticamente da quando ho posto termine alla mia atti-vità professionale di geologo e sono stato collocato inpensione dopo quaranta lunghissimi anni di duro lavoro,abito in un modesto appartamento, acquistato coi ri-sparmi di tanta fatica ma anche di tanta soddisfazione,situato nella cittadina di Pontassieve della provincia diFirenze. Questo mio appartamento è ubicato in quel vi-vace borgo antico che con le sue case, quale più altaquale più bassa, ammassate ed addossate l’una sull’altracome fossero persone intente a guardare in punta di pie-di con curiosità ed estremo interesse oltre la prima filadi esse che preclude gli sguardi a chi sta dietro, osserva-no con le loro finestrelle variopinte lo scorrere lento mainesorabile delle acque del fiume “Sieve” in un largo,lungo e rettilineo tratto in direzione di un’alta e grigiamuraglia montuosa.

Il fiume, cambiando di colore a seconda dell’umoredel tempo, dal verde al celeste, dal grigio al nero, nel si-lenzio rotto dal ripetuto verso di una moltitudine di ana-tre selvatiche nuotanti festose alla ricerca del cibo sottolo sguardo austero e paziente dell’airone cinerino, posatoimmobile in silente attesa su di una roccia sporgentedall’acqua, passa sotto le due maestose arcate di un pon-

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te antico, il cosiddetto “Ponte Mediceo”, per poi piegarecon una grande ansa verso la sua destra, laggiù in fondo,non più percepibile dallo sguardo e dirigersi, dopo esse-re stato intercettato dal fiume Arno, verso la città di Fi-renze prima con una stretta curva verso nord-ovest finoall’abitato delle Sieci e poi, verso la città, piegando diret-tamente ad ovest.

Questo ponte sul Sieve, del quale non si conoscono leorigini ma che si può supporre essere stato costruito laprima volta dai Romani per abbreviare la via per Firen-ze, in virtù della propria collocazione ha dato i natali aquesto nucleo abitativo denominato appunto Pontassie-ve che, in sintonia con lo scorrere lento ma costante del-le acque fluviali che paiono accarezzare le tante colorateabitazioni poste sulle rive ed in sintonia con l’analogolento scorrere del tempo, si è espanso acquisendo via viagrande importanza: da principio solo agricola poi arti-gianale e commerciale e, di recente, anche industriale.

La prima borgata di Pontassieve sorse circa a metàdel XIV secolo, i lavori per la sua costruzione ebbero ini-zio nel mese di novembre del 1357 e terminarono, dopoaver subito diverse soste, nel 1376. Inizialmente fu co-struito un castello di natura difensiva, collocandolo su diun terrazzo fluviale, allora nominato Castel Sant’angelo,presumibilmente a pianta esagonale circoscritta da pos-senti mura di difesa scomparse col passare del tempo,munite di quattro porte turrite e con al suo interno unalarga piazza oggi dedicata a Vittorio Emanuele II, pro-spiciente l’attuale municipio sito nel bel palazzo SansoniTrombetta e, su di un lato, la Chiesa di San Michele Ar-cangelo (la costruzione del castello fu attuata per volon-tà del Comune di Firenze che a quel tempo necessitavadi fortificare le difese alle proprie vie d’accesso per poterconsolidare in sicurezza il suo dominio amministrativo ecommerciale verso sud-est.

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Nel IX secolo d.C. il potere politico su di un ampioterritorio dell’Italia centrale era ancora esercitato dai di-scendenti di Carlo magno, dai vari Conti tra i quali pri-meggiavano i Guidi e dai loro vassalli i quali, a loro vol-ta, dominavano una nutrita schiera di piccoli proprietariterrieri, valvassori e valvassini oppressori, a loro volta, diun gran numero di coloni asserviti tramite giuramentodi fedeltà al loro signore e padrone allo scopo di servirlo,difenderlo ed assecondarlo nelle battaglie e nelle guerreche questi intraprendeva contro i propri nemici; tali feu-datari erano dei veri e propri guerrafondai. Di fatto tuttala società dell’epoca era da essi militarizzata e di conti-nuo posta in allarme tramite il richiamo alla comunememoria dei ricordi e delle grandi paure, retaggio dellepassate invasioni barbariche, che spesso venivano stru-mentalizzate al fine di perseguire i loro turpi scopi. Diconseguenza i vari latifondisti avevano organizzato i loropossedimenti sia in funzione agricola sia militare facen-do sorgere, sopra ogni collina o sperone roccioso, ca-stelli armati, torri di guardia e case fortificate al fine dicontrollare le vie di comunicazione e poter prevenire at-tacchi ai loro possedimenti. La città di Firenze, nel tra-scorrere di qualche secolo, aveva accresciuto enorme-mente il proprio potere politico, militare ed economicoaumentando soprattutto il numero dei suoi abitanti econ essi le loro ambizioni ed anche la necessità di am-pliare il contado sia per motivi di approvvigionamentodelle derrate alimentari che difensivi a scapito dei pos-sedimenti delle varie famiglie imparentate ai conti Gui-di, allora proprietari di territori che si estendevano finoltre i confini della Toscana, i quali furono scalzati defi-nitivamente nel periodo cosiddetto delle signorie - 13001400 - con l’affermarsi del potere mediceo e dell’ancorapiù forte potere ecclesiastico).

Nel corso dei decenni e soprattutto in seguito ai rifa-cimenti ed agli ammodernamenti successivi alle ultime