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8 La Rassegna d’Ischia 2/200o A Scirocco l’isola di Capri, e pas- sato la punta della Campanella, volgendo ad Oriente, Sorrento col fianco della sua penisola apparte- nente al golfo di Napoli. Nel centro, Castellammare, che a greco presenta la sua costiera. E più a Settentrione guardate i monti e le colline che torreggiano la Città del Sebeto, ed i monu- mentali lidi del golfo di Pozzuoli, e più giù i lidi e le colline di Mi- niscola, del Monte di Procida e di Procida stessa, che stende la sua punta di Socciaro per congiun- gersi a Vivara. Volgendo lo sguardo verso la linea esteriore dell’Agro Pozzo- lana, che guarda il ponente ed il maestrale, dopo passato lo sco- glio di San Martino, osservate i laghi del Fusaro, di Licola e di Pa- tria, le foci de’ regii Lagni, fin le foci del Volturno, e poi la catena di Mondragone, sentinella avan- zata del Golfo di Gaeta. Il titolo che G. d’Ascia voleva dare alla sua Storia dell’isola d’Ischia Il Vecchio dell’Epomeo Primo progetto dell’autore, come appare dal ti- tolo e dalla prefazione del manoscritto, era di scrivere una Storia d’Ischia, divisa in racconti formati dalla biografia del Vecchio dell’Epo- meo, ritratto degli ultimi patriarchi dell’Isola e che assume valore di simbolo: è l’uomo ischita- no per eccellenza, il mito storico dell’isolano. di Giovanni Castagna «Era il dì 30 aprile dell’anno di grazia 1859, verso le prime ore del mattino (...)? Il Cielo era sgombro di nubi ed a poco a poco le vette dell’Epomeo, di monte Buceto e del Rotaro si tingevano di un bel colore roseo, foriero d’un giorno legittimo di Pri- mavera! Un soave e temperato venticello da levan- te prometteva un giorno sereno e ridente, come in effetti osservavasi». E il trentasettenne d’Ascia «sollecito montava un piccolo asino a pelo nero» e s’inoltrava per la nuova strada del Monte Rota- ro. Primavera ischitana; un incantevole paesaggio che l’autore si compiace descrivere, il canto degli uccelli, sottofondo musicale alle sue meditazioni. La situazione risponde ai canoni letterari: armo- nia del paesaggio, un canto che viene da lontano, il suono d’una squilla, il verde dell’Isola, un antico cratere, un prete che raggiunge l’autore pronto a spiegargli ogni mistero, poi l’incontro con l’ignoto cantore, il Vecchio dell’Epomeo, ultimo rappre- sentante di una famiglia che risaliva a Ippocle di Cuma. Una famiglia in cui era costume «trasmet- tere da padre in figlio le gesta e le istorie della pro- pria famiglia e della nazione e questi racconti come Miti Religiosi comunicarsi e conservarsi, ognuno raccontando e trasmettendo all’altro discendente i fatti appresi e quelli successi ai suoi tempi (...)». E il primo progetto del d’Ascia, almeno come ap- pare dal titolo e dalla Prefazione del manoscritto, era quello di scrivere una Storia d’Ischia divisa in racconti, dandole il titolo di II Vecchio dell’E- pomeo. Non stimava, infatti, dare alla sua opera il nome di storia «dappoiché (...) vi si vede accoppiata la Cronaca, la Leggenda, l’Aneddoto, la Biografia; la parte Naturale, la Topografica, la Geologica, l’Ar- tistica, la Descrittiva ed anche la Poetica (...) per la qual cosa ho stimato meglio darle un nome che abbracciasse la varietà, del soggetto...». RACCONTI, però, in cui «non v’à quasi, anzi mai, dell’arbitrario e del figurato, ma nelle pa- role del Vecchio dell’Epomeo che dice Racconti si contengono le storiche narrazioni e le diverse materie che formano la base e la parte essenziale dell’opera». Racconti, in ultima analisi, formati dalla bio- grafia del Vecchio dell’Epomeo. «La biografia del Vecchio è la materia dei miei racconti che comin- cio a svolgere dai tempi favolosi delle passeggie- re colonie fenicie, proseguo sulle colonie greche ove la storia comincia a procedere con una certa verità, indi subentrano i tempi del barbarismo, delle occupazioni, della rozzezza e della ferocia, del commercio e della civiltà, del progresso e dei lumi. Tutto quello che trovasi accennato nella vita del Vecchio è chiarito nelle note, ove ogni cosa è illustrata ad esuberanza, sviluppando il lato storico nascosto sotto il figurato. La figura del Vecchio è il ritratto, per dir così degli ultimi

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8 La Rassegna d’Ischia 2/200o

A Scirocco l’isola di Capri, e pas-sato la punta della Campanella, volgendo ad Oriente, Sorrento col fianco della sua penisola apparte-nente al golfo di Napoli. Nel centro, Castellammare, che a greco presenta la sua costiera. E più a Settentrione guardate i monti e le colline che torreggiano

la Città del Sebeto, ed i monu-mentali lidi del golfo di Pozzuoli, e più giù i lidi e le colline di Mi-niscola, del Monte di Procida e di Procida stessa, che stende la sua punta di Socciaro per congiun-gersi a Vivara. Volgendo lo sguardo verso la linea esteriore dell’Agro Pozzo-

lana, che guarda il ponente ed il maestrale, dopo passato lo sco-glio di San Martino, osservate i laghi del Fusaro, di Licola e di Pa-tria, le foci de’ regii Lagni, fin le foci del Volturno, e poi la catena di Mondragone, sentinella avan-zata del Golfo di Gaeta.

Il titolo che G. d’Ascia voleva dare alla sua Storia dell’isola d’Ischia

Il Vecchio dell’Epomeo

Primo progetto dell’autore, come appare dal ti-tolo e dalla prefazione del manoscritto, era di scrivere una Storia d’Ischia, divisa in racconti formati dalla biografia del Vecchio dell’Epo-meo, ritratto degli ultimi patriarchi dell’Isola e che assume valore di simbolo: è l’uomo ischita-no per eccellenza, il mito storico dell’isolano.

di Giovanni Castagna

«Era il dì 30 aprile dell’anno di grazia 1859, verso le prime ore del mattino (...)? Il Cielo era sgombro di nubi ed a poco a poco le vette dell’Epomeo, di monte Buceto e del Rotaro si tingevano di un bel colore roseo, foriero d’un giorno legittimo di Pri-mavera! Un soave e temperato venticello da levan-te prometteva un giorno sereno e ridente, come in effetti osservavasi». E il trentasettenne d’Ascia «sollecito montava un piccolo asino a pelo nero» e s’inoltrava per la nuova strada del Monte Rota-ro. Primavera ischitana; un incantevole paesaggio che l’autore si compiace descrivere, il canto degli uccelli, sottofondo musicale alle sue meditazioni. La situazione risponde ai canoni letterari: armo-nia del paesaggio, un canto che viene da lontano, il suono d’una squilla, il verde dell’Isola, un antico cratere, un prete che raggiunge l’autore pronto a spiegargli ogni mistero, poi l’incontro con l’ignoto cantore, il Vecchio dell’Epomeo, ultimo rappre-sentante di una famiglia che risaliva a Ippocle di Cuma. Una famiglia in cui era costume «trasmet-tere da padre in figlio le gesta e le istorie della pro-pria famiglia e della nazione e questi racconti come Miti Religiosi comunicarsi e conservarsi, ognuno raccontando e trasmettendo all’altro discendente

i fatti appresi e quelli successi ai suoi tempi (...)». E il primo progetto del d’Ascia, almeno come ap-pare dal titolo e dalla Prefazione del manoscritto, era quello di scrivere una Storia d’Ischia divisa in racconti, dandole il titolo di II Vecchio dell’E-pomeo.

Non stimava, infatti, dare alla sua opera il nome di storia «dappoiché (...) vi si vede accoppiata la Cronaca, la Leggenda, l’Aneddoto, la Biografia; la parte Naturale, la Topografica, la Geologica, l’Ar-tistica, la Descrittiva ed anche la Poetica (...) per la qual cosa ho stimato meglio darle un nome che abbracciasse la varietà, del soggetto...». RACCONTI, però, in cui «non v’à quasi, anzi mai, dell’arbitrario e del figurato, ma nelle pa-role del Vecchio dell’Epomeo che dice Racconti si contengono le storiche narrazioni e le diverse materie che formano la base e la parte essenziale dell’opera». Racconti, in ultima analisi, formati dalla bio-grafia del Vecchio dell’Epomeo. «La biografia del Vecchio è la materia dei miei racconti che comin-cio a svolgere dai tempi favolosi delle passeggie-re colonie fenicie, proseguo sulle colonie greche ove la storia comincia a procedere con una certa verità, indi subentrano i tempi del barbarismo, delle occupazioni, della rozzezza e della ferocia, del commercio e della civiltà, del progresso e dei lumi. Tutto quello che trovasi accennato nella vita del Vecchio è chiarito nelle note, ove ogni cosa è illustrata ad esuberanza, sviluppando il lato storico nascosto sotto il figurato. La figura del Vecchio è il ritratto, per dir così degli ultimi

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patriarchi dell’Isola d’Ischia, il tipo che trionfa nei loro costumi è la rozzezza e la semplicità, la superstizione e la divozione, la franchezza e la frugalità, la robustezza e l’ardimento, l’amo-re al lavoro e l’attività della vita vegeta, parca, longeva. Indi subentra il commercio e modifica i rozzi costumi, ingentilisce gli animi, rischiara le menti con l’istruzione, figlia del contatto con altri popoli, con altre contrade; così principia la civiltà ed il progresso, come nella stessa bio-grafia del Vecchio si osserva quando ritorna dai suoi viaggi». Il Vecchio, dunque, per il d’Ascia assume un va-lore di simbolo: è l’uomo ischitano per eccellen-za, o il mito storico dell’isolano. «Mi sembrava di dovermi imbattere non con un uomo, come me, ma con un’ombra di un antico abitatore di quest’isola, che usciva dagli avelli per additare ai suoi tardi nepoti la storia della terra che cal-pestavano». E dell’uomo ischitano il Vecchio ha tutte le ca-ratteristiche: difetti, virtù, religione e supersti-zione, costumi e poesia. La sua vita: quella della sua famiglia, attraverso i secoli, si confonde con la vita dell’isola. E l’autore in alcuni punti, per dare una spiegazione storica a certe tendenze od anche manie degli ischitani, esagera nel dare al Vecchio le stesse tendenze e le stesse manie. Così lo rende poeta per dimostrare che «fin dagli antichi tempi» l’Ischiota, pur privo di «lettere e d’istruzioni» ha uno sviluppato «genio per la poesia, componendo delle lepide ed espressive canzoni». Come pure, il nostro Vecchio, ch’un tempo si chiamava Masino, era stato sposato con una procidana, così l’autore trova una tra-dizione secolare ai «continuati matrimoni» che «si scambiano» fra gli abitanti di Procida e di Ischia. Ed è il d’Ascia stesso a sottolineare, nel-la sua Introduzione ai Racconti, questo valore di simbolo dato ai suoi personaggi. Così il pre-te don Francesco che. sulla strada del Rotare lo inizia ai misteri dell’Isola e gli facilita l’incontro con il Vecchio, diventa il rappresentante d’un ceto: «I Preti Ischitani... furono coloro che più distintamente si versarono nella storia d’Ischia. (...) Motivo per lo quale sotto la figura del prete di Barano che ci inizia nel sentiero della storia, delle cronache e delle epoche più importanti, noi rendiamo una meritata lode al dotto e bene-merito ceto. L Introduzione ai Racconti ci appare come un tentativo di poetica trasposizione e par che l’au-tore voglia avvolgere in un alone di mistero re-ligioso, di quella religiosità con cui gli antichi si

avvicinavano ai templi degli oracoli, l’opera sua. Ed egli fa coincidere il giorno in cui pose «in atto di comporre la storia dell’isola» col giorno della sua salita al monte Rotare Pellegrino che s’avvia in un giorno di primavera, verso un antico cra-tere, attraverso boschetti, selveti, ammirando palate vigne, dove una chiesetta chiama i devoti alla preghiera e dove un prete lo prende sotto la sua protezione e lo presenta al Vecchio, il quale sotto una quercia secolare gli svela le “memorie” Come si vede tutta una simbologia che andrebbe analizzata in uno studio più esauriente. Vogliamo però, a conclusione di queste note, trascrivere la descrizione con cui il d’Ascia de-linea la figura del Vecchio dell’Epomeo. Figura che ci sembra faccia la sintesi delle caratteristi-che del pescatore e dell’agricoltore, sintesi volu-ta senz’altro dall’autore che in esse vede l’origi-ne dell’industria dell’isola e la zappa e il remo considera come unici “segni blasonici” «Lunghi bianchi capelli scendevano sul collaretto del suo abito di panno ordinario color marrone. La sua fronte calva e rugosa accrescea la gravità, a quel-la testa modellata alla patriarcale, la quale sem-brava racchiudere un tesoro di sapienza. Una barba più bianca della neve negletta ed intonza, maestosa, gli scendea sul petto. Fornito di alta statura, questa ben poco era stata piegata dal numero degli anni, in modo che vegeto e robu-sto conservava il suo corpo composto di musco-li di ferro, i quali ancora racchiudevano buona dose dell’antico vigore. Riseccati ed abbronziti dalle intemperie e dalle avversità, i suoi linea-menti comparivano a metà sotto quella barba; ma anche mezzo nascosto quel viso, pur traspa-riva quel color rosso tipo delle greche fisiono-mie, che facea stupendo contrasto col crine e la barba di neve. I suoi occhi bruni, mobili, scruta-tori, sembravano interamente illuminati da una pupilla dilatata e penetrante; oltre una giacca e un giustacuore, un gabbano di panno dello stes-so colore gli copriva le spalle, e di simil lana era tessuto il suo calzone di taglio antico. Un ber-retto frigio di lana rossa, che usano gli uomini del volgo nell’Isola, negligentemente tenea sotto il braccio. Il viso di questo uomo era ben lun-gi di rappresentare un tipo rozzo e ributtante, ed invece in questo viso ardito e intelligente si trovava quell’ideale di maestosa ed indefinibile grandezza che da celebri pittori vien impresso a vive tinte sulla fronte dell’uomo cristiano, edu-cato alla scuola della sventura sotto lo scudo del-la sua fede».

Giovanni Castagna