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Impronte – Anno XXX - N.9 – Dicembre 2013 - Iscr. Trib. Roma 50/84 – Reg. Naz. Stampa 40/86/1993 – Roc 2263 – Periodico associato all’Unione Stampa Periodica Italiana – Direttore resp. Maria Falvo ALIENI SULLA PROPRIA TERRA Le specie non native: responsabilità e soluzioni di Massimo Vitturi e Barbara Bacci

Impronte dicembre 2013 specie aliene

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Le specie non native: responsabilità e soluzioni

di Massimo Vitturi e Barbara Bacci

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GLI AUTORI

Barbara BacciTraduttrice, ma da sempre appassionata di fauna selvatica, ha realizzato un percorso che, attraverso il volontariato sul campo elo studio della gestione della fauna selvatica, l’ha portata a collaborare con la LAV su questo Rapporto.

Massimo VitturiResponsabile per la LAV del Settore Caccia e Fauna selvatica, dal 2009 è membro del Consiglio Direttivo Nazionale della stessaassociazione. Tiene frequentemente conferenze sulla gestione della fauna selvatica con metodi incruenti. A tale propositocollabora con veterinari e biologi, sia italiani sia stranieri, per affinare e sviluppare nuove metodologie di controllo faunistico cherispettino il benessere degli animali e gli interessi degli stakeholders coinvolti.

La LAV ringrazia la Fondazione Cariplo per la diffusione di questo Dossier

Impronte N.9 – Dicembre 2013

AUT. TRIB. ROMA 50/84 - dell’11.2.1984ISCR. REG. NAZ. STAMPA 4086 - dell’1.3.1993ISCR. ROC 2263 - anno 2001

Periodico associato all’Unione Stampa Periodica Italiana (USPI)

DIRETTORE RESPONSABILE Maria Falvo

DIREZIONE E REDAZIONESede Nazionale LAVViale Regina Margherita 177 – 00198 RomaTel. 064461325 – fax 064461326 www.lav.it

GRAFICA Fabiola Corsale

COPERTINA Foto Dreamstime

STAMPA Arti Grafiche “La Moderna” - Via di Tor Cervara 171 - Roma

CHIUSO IN TIPOGRAFIA: dicembre 2013

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Sommario

Premessa 4

1. Gli invasori 6

2. Il processo di invasione 9

3. “Specie aliene” residenti 12

4. Eradicazione e controllo 15

5. Verso una gestione non crudele delle specie alloctone 20

6. Le “specie aliene” in Italia 25

7. Implicazioni sociali ed economiche 34

Conclusioni 35

Bibliografia 36

© COPYRIGHT LAVVIALE REGINA MARGHERITA 177 - 00198 ROMA

RIPRODUZIONE CONSENTITA CITANDO, ANCHE PER LE SINGOLE PARTI, LA FONTE: LAV 2013

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PREMESSA

La questione delle specie non native non è certo un fenomenorecente, è profondamente legata alla comparsa delle prime spe-cie animali e vegetali. E a ben guardare una delle specie che piùdi tutte ha prima occupato e poi colonizzato zone e luoghi inogni parte del Pianeta, è proprio quella a cui noi tutti, lettori diquesto dossier, apparteniamo.L’uomo, fin da quando era un inquilino delle caverne, ha sempreavuto la necessità di spostarsi, di recarsi in nuovi territori nonancora colonizzati. Principalmente allo scopo di trovare nuove emaggiori risorse, ha sempre affrontato i rischi dell’ignoto, spintodalla necessità fisiologica della sopravvivenza. Certo, almenoall’inizio della nostra storia, tali spostamenti erano molto limita-ti nello spazio, legati com’erano all’assenza di mezzi di traspor-to. Ma con il passare del tempo, con le conquiste derivatedall’inventiva di Homo sapiens, il fenomeno degli spostamentiha ricevuto nuovo e grande impulso. La colonizzazione ha inte-ressato aree sempre più estese, la nostra specie è diventata sem-pre più “invasiva” andando ad occupare nuovi territori edalterando, finanche stravolgendo, la biodiversità fino a quel mo-mento inalterata. Fino a giungere alla storia più recente, un pe-riodo caratterizzato dalla migrazione di masse imponenti diesseri umani da un luogo ad un altro del Pianeta, che hannocontribuito così ad alterare equilibri mai intaccati prima. Pensia-mo ad esempio al fenomeno dello schiavismo. Un numero im-precisato di esseri umani è stato “sradicato” dal territorio natioper poi essere spostato in zone del tutto sconosciute, andandoad intaccare non solo la biodiversità ambientale, ma la stessa“purezza” di Homo sapiens che lì dimorava. Si sono così mesco-lati i DNA, dando luogo a nuovi, fin poco prima, impensati in-croci. Sono scomparse civiltà ma altre si sono affermate in uncontinuo scambio di inquilini di un ambiente che, nonostante iripetuti attacchi, è comunque riuscito ad arrivare fino ai giorninostri.Spostamenti che con modalità e per finalità del tutto diverse,avvengono ancora oggi. Basti pensare ai continui sbarchi di mi-granti che lasciano le coste dell’Africa del nord per entrare in Eu-ropa attraverso l’Italia. Sbarchi dettati, ancora oggi come ieriquando abitavamo le caverne, dalla necessità di trovare nuove ri-sorse o di sfuggire ad un ambiente divenuto oramai ostile.Ma le traslocazioni non hanno interessato solamente gli umani.Pensiamo ad esempio a vegetali quali patate, pomodori, mais, fa-gioli che mai avremmo conosciuto se non fossero stati importatidal “nuovo mondo”. Eppure oggi sono specie perfettamente inte-grate anche nel nostro ambiente. Probabilmente la loro e quindinostra fortuna è stata l’essere importate quando ancora non siparlava di specie “invasive aliene” o non native, come oggi ven-

gono identificati animali e vegetali che, dalla zona di origine,vengono traslocati o diffusi in aree a loro sconosciute.Il commercio e il conseguente movimento di merci al quale èstrettamente legato, ha certamente contribuito a diffondere spe-cie animali e vegetali in zone altrimenti non interessate dalla lo-ro presenza. In tutte le ere. Ma è soprattutto in epoca modernache gli animali sono divenuti essi stessi oggetto di florido com-mercio. La visione antropocentrica degli esseri umani ha contri-buito in larga misura a non considerarli soggetti, ancor menosoggetti di diritto, consentendone quindi il loro utilizzo a finimeramente economici, commercializzati come una qualsiasi mer-ce. Questo concetto, unito al notevole sviluppo dei mezzi di tra-sporto e quindi di commercio, ha consentito traslocazioni digrandi quantità di animali in ogni angolo del Pianeta.A titolo di esempio vale la pena ricordare che le nutrie sono stateimportate dal Sud-America, allo scopo di impiantare floridi alle-vamenti in Italia per la successiva trasformazione in pellicce.Quando poi, nel corso degli anni ‘80, tale capo di abbigliamentoha conosciuto una profonda crisi commerciale, ecco che gli alle-vatori di nutrie non avendo più sbocchi di mercato hanno pensa-to bene di disfarsi degli animali in loro possesso liberandolinell’ambiente, in quanto lo smaltimento a norma di legge avreb-be rappresentato un costo. È così che i primi nuclei di nutrie, ri-trovandosi in un ambiente praticamente privo di competitori e dipredatori, si sono poi riprodotti senza difficoltà. Ma anche loscoiattolo grigio, additato oggi come una vera e propria gravissi-ma minaccia alla sopravvivenza di altre specie, scoiattolo rosso inparticolare, è presente sul nostro territorio in ossequio a politi-che commerciali che ne hanno determinato l’importazione ingrandi quantità e la conseguente liberazione - voluta o acciden-tale - nel nostro Paese, con la conseguenza che oggi è considera-to un vero e proprio flagello. Analoga situazione quellaascrivibile alle tartarughe dalle guance rosse, mentre il gamberorosso della Louisiana pare sia riuscito a fuggire autonomamentedagli allevamenti.Il presente dossier rappresenta una approfondita ricerca di tutti iprincipali casi di invasione di specie non native che sono statiscientificamente documentati. Vengono analizzati i motivi ed imeccanismi che hanno determinato le invasioni, ma soprattuttoviene dato ampio spazio ai metodi utilizzati per contrastarle edai risultati ottenuti. Sarà così possibile verificare che nella mag-gior parte dei casi il controllo numerico delle specie si è concre-tizzato nell’eliminazione fisica dei soggetti. Veleni, trappole,fucili sono alcuni dei mezzi utilizzati che in concreto hanno di-mostrato tutta la loro fallacia. Ma anche l’introduzione di speciecompetitrici che hanno determinato danni maggiori di quelli cheavrebbero dovuto ridurre. Solo in pochi casi sono stati utilizzatimetodi non cruenti di controllo. Accettati dai cittadini perché ri-

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"Conoscere significa seguire un sentiero che abbia un cuore"

Detto sciamanico messicano

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spettosi della vita e del benessere delle specie target, si sono di-mostrati come il metodo più efficace e meno costoso nel lungoperiodo.Non c’è dubbio che in alcuni casi le specie animali, traslocate inluoghi privi di competitori naturali e con grandi risorse trofiche adisposizione, possano determinare interazioni con le attivitàumane, in particolare l’agricoltura, che vengono percepite come“danni”. È anche innegabile, d’altro canto, che la risposta dellacomunità umana è sempre stata limitata dall’approccio venatorioche da sempre caratterizza l’interazione con gli animali selvatici.L’eliminazione fisica degli animali causa enormi sofferenze,stress, paura ed angoscia anche alle specie cosiddette no-targeted è invisa ad un numero sempre maggiore di cittadini sensibilialle sofferenze di qualsiasi animale, sia esso umano o non uma-no.Eppure le politiche di accoglienza caratterizzano da tempo l’ap-proccio al problema dei migranti (esseri umani non-nativi) co-stretti a lasciare le loro terre alla ricerca di nuove opportunità o

per sfuggire a guerre e persecuzioni. Ebbene riteniamo che itempi siano maturi per ampliare il “cerchio di considerazione eti-ca” fino ad includere anche le specie animali non-native. Per ga-rantire la definizione di un percorso che punti ad instaurarenuove politiche di accoglienza anche per quegli animali che, nonper loro scelta, si trovano ad essere considerati alla stregua dimerci da eliminare perché divenute oramai ingombrati.Il controllo numerico, termine edulcorato per indicare l’elimina-zione fisica di soggetti animali, ha dimostrato ampiamente la suainefficacia soprattutto nel medio-lungo periodo, i tempi sonooramai maturi per sperimentare un nuovo approccio, rispettosodella vita e della sofferenza degli animali. Questo dossier, realiz-zato in particolare a beneficio di coloro che determineranno lefuture politiche da applicare al fenomeno delle specie non-nati-ve, vuole essere uno strumento di rapida consultazione utile afocalizzare in termini chiari e immediati nuove pratiche di ap-proccio al problema, che finalmente considerino gli animali non-nativi esseri senzienti, non più merce a nostra disposizione.

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1. GLI INVASORI

“Stiamo assistendo a una delle piùgrandi complicazioni nel mondodella flora e della fauna”

Charles Elton, 1958

Quando parliamo di “specie aliene invasive” (IAS) generalmentefacciamo riferimento ad animali e piante introdotti intenzional-mente o non intenzionalmente in un ambiente naturale. La Con-venzione sulla Diversità Biologica (CBD), nella sua Conferenzadelle Parti (COP) VI/23, definisce “specie aliena” una specie, sot-tospecie, o entità tassonomica inferiore, sia animale che vegeta-le, introdotta al di fuori della sua distribuzione naturale passatao presente. Richardson et al. (2010) le descrive come “Quelle spe-cie la cui presenza in una regione è attribuibile all’azione umanache ha consentito loro di superare delle barriere biogeografichefondamentali”. Altri ricercatori propongono una prospettiva di-versa sulle specie esotiche. Ned Hettinger (2001), professore di fi-losofia al College di Charleston, nella Carolina del Sud, proponeun’interpretazione più flessibile e ampia del termine, definendolecome: “qualsiasi specie significativamente estranea ad un insie-me ecologico indipendentemente dal fatto che la specie causi omeno danno, sia introdotta dall’uomo o giunga da un’altra loca-lità geografica”.È opinione comune che quando le “specie aliene invasive” comin-ciano a diffondersi possono diventare una minaccia per le specielocali e danneggiare interi ecosistemi, distruggendone la biodi-versità e causando l’estinzione di specie locali. Le “specie aliene”possono essere dannose per le specie autoctone in diversi modi:entrando in competizione rispetto a risorse come luce, cibo, ac-qua, spazio, predandole, soppiantandole, parassitandole, o intro-ducendo nuovi elementi patogeni e parassiti a cui le specieindigene non sono adattate; infine, possono anche ibridarsi con lespecie locali causando una omogeneizzazione globale1. Le “speciealiene” hanno delle conseguenze socio-economiche importantiper la società. Per valutare in termini probabilistici le possibilitàche una specie aliena diventi invasiva si applica la regola del die-ci. Secondo questa regola, il 10% delle specie importate divienecasuale, ovvero riesce a riprodursi ma non costituisce popolazionistabili, il 10% di queste si naturalizza e il 10% delle specie natu-ralizzate ha un impatto negativo2. Quindi, in realtà solo una partemolto piccola delle specie introdotte alla fine si stabilisce sul ter-ritorio e ha un impatto negativo sul suo nuovo ambiente.

Tutte le “specie aliene invasive” (IAS) condividono delle caratteri-stiche che facilitano la colonizzazione di nuovi habitat da parteloro, come una riproduzione rapida e un alto tasso di crescita,un’alta capacità di diffusione, la plasticità fenotipica – vale a di-re, la capacità di adattarsi fisiologicamente a nuove condizioni -,nonché la capacità di sopravvivere con una dieta variata e incondizioni ambientali diverse. Queste caratteristiche, associatealla vulnerabilità di alcuni ecosistemi, rendono più rapido il pro-cesso invasivo. Attualmente, c’è un consenso praticamente globale sul fatto chele “specie aliene invasive” rappresentano un pericolo. Alla Con-venzione sulla Diversità Biologica tenutasi a Nagoya, in Giappo-ne, nell’ottobre del 2010, la COP 10 adottò un nuovo pianostrategico. Anche altri enti internazionali, come la InternationalPlant Protection Convention (IPPC), la World Organization forAnimal Health (OIE), e la International Maritime Organization(IMO), hanno affrontato il problema delle specie aliene.Nell’Unione Europea, tuttavia, non esiste alcun ampio strumentolegislativo sulla questione delle specie aliene invasive (IAS), e gliStati Membri affrontano questo problema in modi diversi. Esisto-no diversi strumenti legislativi per affrontare la questione: la le-gislazione UE per esempio, il Regolamento del Consiglio 338/97(Regolamento sul commercio delle specie selvatiche), Direttiva2000/29/CE (Direttiva sulla salute delle piante), Legislazione Ve-terinaria, Regolamento del Consiglio 708/2007 (relativo all’uso dispecie aliene e localmente assenti nell’acquacoltura), Direttivesulla Natura (Direttiva Habitat 92/43 CEE e Direttiva Uccelli eHabitat, 79/409/CEE), Direttiva quadro Europea sulle acque(2000/60/CE) e la Direttiva quadro sulla strategia per l’ambientemarino (2008/56/CE).Il Consiglio dell’Unione Europea, riunitosi il 19 dicembre 2011, hadiscusso il problema delle IAS nelle sue conclusioni sulla messa inatto della strategia sulla biodiversità UE 2020. Nel documento, ilParlamento Europeo auspica la preparazione di un apposito stru-mento legislativo entro il 2012, e l’inclusione delle questioni re-lative all’impatto delle “specie aliene invasive” (IAS) sullabiodiversità nei programmi europei sulla salute degli animali edelle piante. Inoltre, gli Stati Membri dovranno ratificare la Con-venzione sull’acqua di zavorra (l’acqua utilizzata dalle navi perbilanciare la distribuzione dei carichi a bordo) per minimizzare ladiffusione di specie aliene attraverso il trasporto di acque marit-time e acque interne. Questo strumento legislativo specifico do-vrà coprire, secondo le intenzioni al momento conosciute, tutti

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1 McKinney e Lockwood, 19992 Williamson & Fitter, 1996

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gli aspetti relativi alle specie alloctone, inclusa la loro identifica-zione e organizzazione in base alla priorità, il loro controllo ederadicazione, la gestione dei canali d’entrata in base ad un ap-proccio basato sull’analisi del rischio in un modo proporzionatoed efficiente da un punto di vista dei costi economici. Le valutazioni dei rischi (Risk Assessments - RA) sono usate daidiversi Stati Membri per stabilire se un organismo è una speciealiena invasiva e quale tipo di azione si debba intraprendere: pre-venzione, controllo o eradicazione. Non c’è alcuna procedura divalutazione del rischio codificato nella UE e ciascuno StatoMembro definisce le proprie in base a due criteri: l’obbligo a pro-cedere a delle valutazioni di rischio per le IAS in determinate cir-costanze e l’esistenza di una metodologia standardizzata pereffettuare tali valutazioni. Esistono dei Progetti di ricerca che studiano il fenomeno dellespecie invasive. Essi sono DAISIE (Delivering Alien InvasiveSpecies Inventories for Europe), ALARM (Assessing Large-scaleRisks for biodiversity with tested Methods), ISEFOR (Increasingsustainability of European forests: Modeling for security againstinvasive pests and pathogens under climate change) e VECTORS(Vectors of Change in Oceans and Seas Marine Life, Impact onEconomic Sectors).La prevenzione, l’identificazione precoce e una rapida rispostasono il modo migliore per minimizzare l’impatto delle specie in-vasive. La prevenzione può essere messa in atto attraverso l’ado-zione di regolamenti più restrittivi sulle importazioni, e dimaggiori misure sulla biosicurezza, come le quarantene, per lespecie che sono state introdotte.

Questo studio raccoglie documenti e informazioni al fine di pre-sentare quanto finora è stato fatto e quanto invece si dovrebbefare per prevenire e combattere efficacemente un fenomeno chefa male agli animali e all’ambiente.

GLOSSARIO

Eradicazione: la rimozione di tutti gli individui di una popolazio-ne o dei propaguli di una specie invasiva.Introduzione: il movimento di una specie, sottospecie o un taxoninferiore, introdotta al di fuori del suo ambiente naturale presen-te o passato e fuori dall’areale naturale di dispersione; includeogni elemento, gameti, semi, uova, propaguli di specie che rie-scono a sopravvivere e riprodursi. Tale trasferimento operatodall’uomo può essere intenzionale o non intenzionale e può av-venire all’interno dello stesso paese o tra paesi diversi.Invasioni biologiche (sinonimo bioinvasioni): gli eventi e i pro-cessi attraverso i quali le specie, introdotte dall’uomo attraversodiversi canali di introduzione in un nuovo areale, si adattano ecominciano ad espandersi in una regione. Include tutte le fasidell’adattamento: come le specie si stabilizzano, si riproducono,si disperdono, si espandono, proliferano, interagiscono con lespecie residenti e hanno un impatto sul loro nuovo ecosistema.Specie aliena invasiva (IAS): una specie alloctona che si è ripro-dotta e diffusa nel suo nuovo ambiente di introduzione e cherappresenta una minaccia alla sua biodiversità e/o per le attivitàumane, per l’agricoltura, e ha un impatto negativo sulla salute

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umana e gravi conseguenze socio-economiche. Le specie invasivetendono a riprodursi in grande numero e a disperdersi rapida-mente occupando rapidamente nuovi areali.Specie alloctona (sinonimi aliena, straniera, esotica, introdotta,non-indigena, non-nativa): una specie, sottospecie o un taxoninferiore, introdotta al di fuori del suo ambiente naturale presen-te o passato e fuori dall’aerale naturale di dispersione; includeogni elemento, gameti, semi, uova, propaguli di specie che rie-scono a sopravvivere e riprodursi.Specie autoctona (sinonimi indigena, nativa): una specie, sotto-specie o taxon inferiore presente nel suo areale naturale (passatoo presente), inclusi gli ambienti che può raggiungere e occupareautonomamente e quindi senza interevento dell’uomo, anche sela vi si trova di rado3.Specie alloctona casuale (sinonimi acclimatata, stabilizzata):una specie alloctona che si riproduce occasionalmente in unnuovo ambiente, ma che eventualmente scompare perché non dàorigine a popolazioni in grado di auto-sostenersi e che dipendeda ripetute introduzioni.

Specie naturalizzata (sinonimo stabilizzate, riferito alle piante):una specie alloctona capace di formare popolazioni selvatiche ingrado di auto-sostenersi senza il sostegno dell’uomo e indipen-denti da esso4.Specie nociva (conosciuta in inglese, come “pest species”): se-condo Pyšek (2009) è un termine culturale usato per animali(non necessariamente alloctoni) che occupano aree dove non so-no voluti e che hanno un impatto ambientale e/o economico de-terminabile. Specie para-autoctona: in Italia, questo termine si riferisce auna specie, animale o vegetale che, pur non essendo originaria diun certo areale, è stata naturalizzata in un periodo storico ante-riore al 1500 DC. Ai sensi del DPR 120/03, tali specie possono es-sere considerate autoctone.Tempo di residenza: è il tempo trascorso dal momento in cuiuna specie è stata introdotta in una regione; dato che general-mente non si conosce con precisione il momento esatto dell’in-troduzione, Rejmánek (2000) ha introdotto il termine “tempominimo di residenza” (MRT).

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3 CBD; 20004 IUCN, 2000, 2002; Richardson et al. 2000: Occhipinti-Ambrogi e Galil, 2004; Pyšek et al. 2004

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2. IL PROCESSO DI INVASIONE

“Mi sembra assurdo che delle per-sone di stirpe europea accusinoaltri organismi di essere esotici einvasivi, e di soppiantare le specienative”

J. L. Hudson 1997, venditore di sementi americano

Le specie aliene sono alla base della nostra produzione alimenta-re e del modo in cui viviamo. Abitiamo tutte le zone del mondo eportiamo diverse specie con noi dovunque andiamo; per nutrirci– riso, granturco, polli, mucche, pecore, eccetera -, per usarle ascopi di forestazione e ornamentali, o come controllo biologico,per lo sport o come animali da compagnia. Possiamo recarciovunque in aereo nel giro di 24 ore portando con noi piante eanimali, patogeni e parassiti, che possono così facilmente supera-re le barriere naturali che ne limitano la dispersione. Come giàindicava Elton nel suo lavoro pioneristico sulle invasioni biologi-che nel 1958, le specie invasive che hanno più successo sonoquelle che attraversano le barriere più importanti grazie al lororapporto con l’uomo. Non solo siamo la causa del fenomeno dellespecie aliene invasive, ma il numero delle specie aliene aumente-rà in proporzione con l’aumento della navigazione, del trasportoaereo e del commercio di prodotti diversi5, così come la progres-siva tendenza verso l’eliminazione di misure protettive a favoredel libero commercio. Al tempo stesso, la crescita della popola-zione umana e dello sviluppo continuerà ad essere la causa pri-maria della perdita di biodiversità, a causa della perdita e dellaframmentazione dell’habitat6 che, a sua volta, continuerà a favo-rire le invasioni biologiche7. Si stima che solo il 10% di tutte lediverse specie animali e vegetali introdotte in una nuova aereariesca a stabilirsi sul territorio a tal punto da diffondersi e diven-tare una pest8. Pur trattandosi di una piccola percentuale, alcuniautori considerano le IAS una delle maggiori cause di perdita del-la biodiversità, seconda soltanto alla distruzione dell’habitat9. Glihabitat disturbati sono più vulnerabili alle invasioni biologichema, al tempo stesso, le specie invasive alterano il regime naturaledi disturbo nei sistemi naturali, esacerbando gli effetti dellaframmentazione del disturbo10. Altri fattori che favoriscono gliinvasori sono la mancanza di predatori, una grande abbondanzadi risorse di spazio e di cibo11, la presenza di canali d’entrata con-solidati. Questo tipo di sinergismo provoca un ciclo invasivo, laperdita di habitat e, di conseguenza, una maggiore invasione. Altri fattori possono svolgere un ruolo determinante sia nell’in-durre che nell’amplificare il fenomeno delle specie aliene. I cam-biamenti climatici che stanno interessando estese zone delpianeta, facilitano la diffusione di specie aliene mettendole incondizione di sopravvivere in zone precedentemente inospitali. Ildeclino globale degli anfibi è stato attribuito in parte alla chitri-diomicosi, una malattia infettiva degli anfibi causata dal fungochitidre Bactrachochytrium dendrobatidis. L’emergere della ma-

lattia è dovuto tanto al trasporto umano di rane infette, quantoalla diffusione del fungo, favorito dal riscaldamento globale12.Anche in passato le specie allargavano il proprio areale e coloniz-zavano nuovi habitat, a volte per cause dovute ad eventi natura-li. Il 14 novembre del 1963 iniziò un’eruzione a sud-ovest diMeimaey, in Islanda. Nel 1967 si formarono le isole di Surtsey eJóinir. Poco dopo la formazione dell’isola di Surtsey, piante edanimali cominciarono a colonizzarla: i semi raggiunsero l’isolaattraverso il mare o dispersi dal vento o dagli uccelli. Alcune set-timane dopo la fine delle eruzioni, una piccola brassicacea, laCakile edentula, vi stava già sbocciando. Durante i suoi primi an-ni di vita, gli scienziati contarono 170 diverse specie di insetti.Dal 1967, sono state osservate sull’isola o intorno ad essa, più di90 specie ornitologiche e almeno sei di esse vi nidificano. La focagrigia, Halichoerus grypus, si riproduce sull’isola dal 1983. Lafauna marina è varia e fiorente. Vermeji (1991) osserva che larottura delle barriere naturali – fisiche e biologiche, come il mo-vimento di masse terrestri, l‘attività vulcanica e il cambiamentodelle condizioni ambientali – che separano gli ecosistemi con-sente alle specie di muoversi liberamente e di invadere nuovearee. Mentre in passato queste eventualità erano limitate, l’azio-ne dell’uomo sta eliminando queste barriere naturali ad un ritmosenza precedenti. La costruzione del Canale di Suez, ad esempio,ha consentito a centinaia di specie marine di riversarsi dal MarRosso al Mar Mediterraneo. Le specie aliene possono colonizzare tutti gli habitat, ma sonoparticolarmente problematiche quando riescono a stabilirsi sulleisole. Le isole posseggono specie uniche ed endemiche, sono iso-late geograficamente, prive di predatori e di forti avversari, equindi offrono la disponibilità di nicchie non colonizzate. Questifattori, di grande valore di un punto di vista biologico, le rendo-no più vulnerabili alle invasioni biologiche. Un tempo, le specie esotiche erano considerate in un modo mol-to diverso da oggi. Nel 1854, venne creata a Parigi la SocietéZoologique d’Acclimatation che aveva l’obiettivo di promuoverel’acclimatazione, la domesticazione e la riproduzione delle specieesotiche considerate utili o ornamentali. Presto furono fondatealtre società. L’American Acclimatization Society fu inaugurata aNew York nel 1871 con il proposito di importare nel Nord Ameri-ca flora e fauna europee. Le società per l’acclimatazione si diffu-sero nei paesi europei, in Australia e in Nuova Zelanda.L’introduzione e la diffusione di specie non native desiderabili fuattivamente incoraggiata.Molte specie introdotte a fini venatori sono diventate una seriaminaccia nei loro nuovi ambienti. In Europa, diverse specie dicervidi, come il daino, Dama dama, nativo del Medio Oriente eintrodotto nell’area del Mediterraneo ai tempi dei romani, sonooggi considerate specie invasive da eradicare.Nell’800, e anche durante gran parte del ‘900, il cinghiale in Ita-lia occupava un areale più limitato di quello odierno13, anchedopo una massiccia reintroduzione. Dagli anni ’50 del ‘900 in poi,vennero introdotte a fini di caccia popolazioni di cinghiale selva-tico orientale provenienti da paesi come l’Ungheria, la Polonia e

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5 Bright, 1998; Mack et al., 20006 Wilson, 19927 Hobbs e Huenneke, 19928 Williamson e Fitter, 19969 Wilcove et al., 1998; Wilson, 199210 Mack e D’Antonio, 199811 Orians, 1986; Shigesada e Kawasaki, 199712 Pounds et al., 200613 Massei e Toso, 1993

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la Cecoslovacchia14. Il cinghiale orientale è più grande della sot-tospecie originale, ed è capace di riprodursi anche tre volte al-

l’anno e con una prole più numerosa. Nonostante i cinghialiselvatici causino oggi dei danni alle coltivazioni locali e alle ri-serve naturali, non sempre viene presa in considerazione una po-litica di controllo o di eradicazione di questa popolazione perchéè difesa dalle lobby dei cacciatori15.Il coniglio europeo, Oryctolagus cuniculus, venne introdotto daicoloni inglesi in Australia nel 1788 e più tardi in Nuova Zelanda.I conigli si riprodussero con successo ed ebbero un effetto deva-stante sull’ecologia locale, distruggendo la vegetazione a talpunto da indurre fenomeni di erosione del terreno, attaccando lecoltivazioni e causando danni per milioni di dollari. Sono statiusati con scarso successo varimetodi di eradicazione. Sordi aquesta lezione, quando le popo-lazioni native di conigli presentinell’Europa meridionale furonodecimate dal virus della Myxoma-tosis, i cacciatori introdussero laSylvilagus floridanus, una mini-lepre proveniente dall’Americaoccidentale. Nel 1966 venneintrodotta a Pinerolo, in Piemon-te. Da allora ha colonizzato pia-nure e zone collinari, occupandole nicchie ecologiche tipiche dellalepre europea, Lepus europaeus, che ha registrato un importantecalo demografico. Oltre a rappresentare una minaccia per la le-pre europea, il silvilago provoca ingenti danni alle coltivazioniagricole. Inoltre, si è dimostrato che è portatrice del fungo der-matofito trasmissibile all’uomo (M. canis, M. mentagrophytes eM. gypseum). Pertanto è una possibile fonte di infezione perguardacaccia, cacciatori e veterinari16.La ripetuta introduzione di nuovi pesci da parte dei pescatori, el’introduzione di nuove specie aliene invasive nonché di parassitiin molti siti di pesca, ha causato l’ibridazione e il declino dellespecie locali e la distruzione dell’habitat. Il pesce siluro, origina-

rio dell’Europa centrorientale e dell’Asia Minore fu introdotto ne-gli anni Settanta in alcuni laghetti di pesca sportiva, ma ha or-mai colonizzato quasi tutti gli ecosistemi acquatici dell’Italiasettentrionale. Formidabile predatore, sta riducendo drastica-mente la biodiversità delle acque in cui vive. Un censimento rea-lizzato nel 1996 ha rivelato la presenza di 19 specie esotiche nelTevere, il 57,6% del totale delle specie presenti nel fiume.

Molte specie animali o piante ornamentali sono state introdottein ambienti a loro estranei, come nel caso dello scoiattolo grigioamericano, Sciurus carolinensis, in Italia, o del gobbo della Gia-maica, Oxyura jamaicensis. Il gobbo della Giamaica venne intro-dotto in Inghilterra nel 1949 da Sir Peter Scott, un ornitologobritannico. Da allora, il gobbo della Giamaica si è diffuso nellamaggior parte del Paleartico Occidentale, mettendo ulteriormen-te in pericolo il già vulnerabile gobbo rugginoso, Oxyura leuco-cephala , con il quale spesso si ibrida. Di conseguenza, laCommissione Europea ha stabilito un piano di eradicazione con-tinuativo in tutta la regione.

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14 Pedrotti et al., Banca dati ungulati, http://digilander.libero.it/urcalomb/Banca%20dati%20ungulati.htm15 http://www.giornale.sm/pesaro-i-cinghiali-sono-sempre-piu-un-problema-per-lagricoltura-ma-la-caccia-spietata-e-lunico-rimedio-possibile-

71691/; Paolilli, Il problema del cinghiale, cause e possibili soluzioni16 Gallo et al., 2005

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Pesce siluro

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Un gran numero di specie di invertebrati è stato introdotto econtinua tuttora ad essere introdotto in tutto il mondo per mo-tivi di controllo biologico. Tuttavia, secondo gli studi del dottorRoques, dell’Institut National de la Recherche Agronomique (IN-RA), questi rappresentano soltanto il 10% degli invertebrati alie-ni presenti in Europa. Il restante 90% è arrivato comecontaminante a bordo di aerei o altri mezzi di trasporto, oppuresulle piante importate. L’esempio più conosciuto è quello dellazanzara tigre, Aedes albopictus, originaria del Sudest asiatico,che ha viaggiato all’interno di copertoni usati. Questa zanzara èvettore di diverse malattie, tra cui la febbre dengue, la chikungu-nya e il virus del Nilo occidentale17.Animali esotici da compagnia, normalmente detenuti in cattività,vengono continuamente rilasciati in libertà, volontariamente oinvolontariamente. Le specie antropofiliche sono quelle che vivo-no a contatto con gli umani, come quelle che alleviamo per mo-tivi alimentari o come animali da compagnia, oppure quellespecie che dipendono dal nostro stile di vita per poter sopravvi-vere, quali i roditori commensali e i loro parassiti ospite-specifici.Quando alcuni esemplari di queste specie riescono a disperdersisul territorio hanno elevate probabilità di sopravvivenza nel loronuovo ambiente e possono comportarsi come specie invasive. Ilparrocchetto dal collare, Psittacula krameri, e il parrocchettomonaco, Myiopsitta monachus, ad esempio, hanno stabilito dellecolonie di riproduzione nelle aree urbane di Nord America, Euro-pa, Africa e Asia18 e sono ormai diventate comuni in molte delleprincipali città del mondo. La tartaruga dalle orecchie rosse, Tra-chemys scripta elegans, definita come una delle 100 peggiorispecie invasive del mondo19, è un animale da compagnia esoticoripetutamente rilasciato nelle acque europee. Oggi compete perle risorse con la tartaruga palustre europea, Emys orbicularis,classificata come nuova specie in stato di minaccia nella Lista

Rossa dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature).Altre specie, come la zanzara tigre, di cui abbiamo parlato in pre-cedenza, non vengono introdotte intenzionalmente ma viaggia-no come passeggeri indesiderati con le merci, come biofouling(deposito di organismi viventi all’interno di strutture ospite),nell’acqua di zavorra, all’interno dei materiali vegetali, del terre-

no e delle attrezzature correlate. Si tratta di piccoli organismi,generalmente insetti, alcuni dei quali oggi si possono trovare alivello globale20, come il ragno cacciatore bruno o il granchio gi-gante, Heteropoda venatoria21. Gli allevamenti di animali da pelliccia rappresentano un altroimportante canale di introduzione di specie alloctone. Alcunianimali fuggono regolarmente da questi allevamenti, oppurevengono messi in libertà e danno origine a popolazioni selvati-che. Gli esempi più noti sono quelli della nutria sudamericana,Myocastor coypus, presente in Europa ed America, e del caneprocione asiatico, Nyctereutes procyonides, che si sta diffon-dendo in tutta l’Europa. Molti procioni europei sono infettatidall’ascaride Baylisascaris procyonis che provoca l’encefalite inuna serie di uccelli e di mammiferi, compreso l’uomo. La nutria

sudamericana è scappata o è stata intenzionalmente rilasciatadagli allevamenti da pelliccia di America, Europa e Asia. Attual-mente, è distribuita a livello mondiale e, per la sua caratteristicadi prediligere le zone umide, è accusata di danneggiare gli arginidei fiumi, e le strutture irrigue, oltre che la vegetazione nelleaeree dove si stabilisce. Considerata una delle 100 specie più in-vasive del mondo, la sua presenza viene contrastata con diversimetodi.Infine, i giardini zoologici, gli acquari e gli ocenari rappresentanoun ulteriore corridoio di introduzione di specie aliene. Gli animalipossono fuggire da aperture nei recinti, o attraverso i sistemi fo-gnari o altre per via d’acqua, o per un danneggiamento allestrutture causato da temporali, allagamenti o incendi; possonoessere rilasciati non intenzionalmente, o anche essere comprati epoi rilasciati22. Delle 140 specie di uccelli non nativi presenti inEuropa, 27 sono scappati da giardini zoologici23; più general-mente, le fughe dagli zoo rappresentano il 6% delle cause cono-sciute di introduzione di specie aliene24. Tra i molteplici casidocumentati, Fitter, nel suo libro The Ark in our Midst, indica lapresenza nel Derbyshire, in Gran Bretagna, dello scoiattolo grigio

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17 fonte http://cordis.europa.eu/fetch?CALLER=NEWSLINK_IT_C&RCN=29063&ACTION=D18 Lever, 198719 ISSG 200620 Nentwig, W. 200721 Platnick, 200622 Hulme et al., 2008; Padilla and Williams, 2004, Fábregas et al., 201023 Kark et al., 200924 Genovesi et al., 2009

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americano Sciurus carolinensis, e del wallaby dal collo rosso,Macropus rufogriseus, entrambi rilasciati intenzionalmente dauno zoo.Anche le specie native possono diventare invasive, a causa deicambiamenti che avvengono nell’ambiente che le ospita25, comeil degrado dell’habitat.Nuovi canali di accesso delle invasioni biologiche vengono anchedal nostro bisogno di energie rinnovabili. Le piante scelte per laproduzione di biocarburante, come la colza, Brassica napus, con-dividono diverse caratteristiche tipiche delle specie altamente in-vasive: sono generaliste, adattabili, hanno un alto tasso dicrescita relativa, un’elevata produzione e capacità di dispersionedi propaguli e una grande moltiplicazione vegetativa. Al fine dilimitare l’impatto di queste piante, le coltivazioni vengono circo-scritte ad habitat disturbati e terreni marginali26, ma il rischioche si trasformino comunque in specie invasive rimane elevato.Inoltre, le specie vegetali introdotte e l’industria dei biocarburan-ti fungono da corridoio per l’introduzioni di specie indigene ani-mali. La palma da olio, Elaeis guineensis, è usata per produrre ilsecondo olio di origine vegetale più commercializzato al mondodopo l’olio di soia. Le piantagioni di palma da olio sono una delleprincipali cause della distruzione delle foreste tropicali, e hannoanche un effetto negativo sulla produzione di alimenti e scarsivantaggi in termini di emissioni di carbonio. Questa specie è giàdiventata invasiva nella foresta atlantica del Brasile27.È chiaro che il fenomeno delle specie invasive esotiche è indisso-lubilmente legato al modo in cui viviamo, alla nostra agricoltura,al commercio, ai viaggi. Per ogni specie che cerchiamo di eradi-care, molte altre vengono introdotte. La risposta è nella preven-zione.

3. SPECIE ALIENE RESIDENTI

“La storia mostra come sia diffici-le, oltre che insensato e crudele,definire chi sia straniero”

Claudio Magris, Danubio

Nessuno mette in discussione il fatto che le specie esotiche pos-sano provocare, a volte, dei gravi danni al loro nuovo ambiente,ma l’idea di “specie aliena” è un concetto oggettivo, scientifico,oppure si tratta invece di un giudizio tendenzioso?Negli Stati Uniti continua a infuriare la discussione sui cigni rea-li, Cygnus color, e i cigni trombettieri, C. buccinatur. Originariodell’Europa e introdotto nel Nord America a metà del XIX secolo,il cigno reale è considerato un animale nocivo. Inserito a scopoornamentale nei parchi cittadini e nelle ville, oggi è da molti ri-tenuto una minaccia per le persone, di cui ha poco timore e chea quanto sembra a volte attacca. È anche accusato di mettere inpericolo la sopravvivenza dei cigni trombettieri nativi e di di-struggere le zone umide dove vivono entrambe le specie. Unavolta comune nell’America del Nord, il cigno trombettiere ha ri-schiato l’estinzione per il commercio che si è fatto della sua car-ne e delle sue piume. Reintrodotto in ambiente selvatico nel XXsecolo, si sta ora ristabilendo in zone paludose ripristinate. I duecigni condividono gli stessi habitat, si nutrono di vegetali e dipiccoli invertebrati e sono quasi identici, al punto che i cacciato-ri, che dovrebbero tenere sotto controllo la popolazione dei cigni

reali, spesso sparano ai cigni trombettieri (fenomeno del look-li-ke). Ai cigni reali purtroppo si può sparare, si possono distruggerele loro uova o perfino coprirle di petrolio. Nell’aprile del 2012 lostato del Michigan ha deciso di eliminare 13.500 cigni reali perridurre la loro popolazione, che si stima sia composta da 15.000uccelli. Si destinano notevoli risorse economiche a programmiper la reintroduzione del trombettiere nativo e si spendono unmucchio di soldi per eliminare i cigni reali.Negli anni Novanta del 900, la nascita di una nuova disciplina,“la biologia delle invasioni”, introdusse una terminologia in partederivata dal diritto consuetudinario e in parte dal gergo militare.In qualche modo, questa nuova disciplina comparava le specienon-indigene introdotte ad un nemico naturale. Le specie nativediventarono così sinonimo di puro e naturale, mentre quelle alie-ne erano ritenute dannose, aggressive, capaci di riprodursi rapi-damente e soppiantare le specie indigene più gradite. Lo scenarioera pronto. Nel 1998, l’Agenzia Europea per l’Ambiente definì le“specie aliene” una delle maggiori minacce per la biodiversità inEuropa. Da allora, la dicotomia nativo contro alieno è stata ac-cettata dall’opinione pubblica e dal mondo scientifico e politico,con tutti i pregiudizi che essa comporta. Mentre il termine “nati-vo” sembra evocare sentimenti di protezione e di nazionalismo eviene sostenuto in quanto desiderabile, “alieno” viene percepitocome l’estraneo, l’inquinatore, l’indesiderabile. La rappresentazio-ne di specie invasive da parte della stampa, o dei biologi, tendesempre a scatenare un senso di repulsione, a distanziare le perso-ne dal destino di quelle creature. Esse vengono descritte comeuna “minaccia”, capaci di vivere in condizioni povere e squallide,aggressive, in grado di soppiantare le specie native o di essere lacausa del degrado ambientale, altamente feconde e via dicendo.Eppure, non tutte le specie introdotte hanno un impatto negati-vo; alcune popolazioni, infatti, hanno trovato un punto di equili-brio con le comunità indigene28, o riescono a tenere sotto

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25 Howard and Chege 200726 Rajagopal 2008, Gopalakrishnan et al,. 200827 Howard e Ziller, 200828 Chanin & Linn, 1980; Smal, 1988

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controllo altre specie aliene29. Alcune specie si evolvono e si na-turalizzano. Purtroppo, succede che una specie può essere classi-ficata come dannosa solo a causa delle proprie origini, piuttostoche per i danni che arreca al suo nuovo ambiente30. Nel caso di alcune specie previamente considerate autoctone edesiderabili, come le capre selvatiche e il muflone, è stato dimo-strato che sono state introdotte dall’uomo nel Neolitico. Masseti(2009) sostiene che queste specie di antica origine antropocora(che da sempre accompagnano l’uomo nel suo processo evoluti-vo) sono un’“eredità culturale”. Per questa ragione, non dovreb-bero essere eradicate bensì protette e studiate come documentistorici che possono insegnarci molto su come sono sopravvissutee si sono adattate all’ambiente, e sulla storia dell’uomo che hausato questi animali nel suo processo di colonizzazione. Alcune specie hanno una cattiva reputazione che non sempre èfondata. I ratti, pur essendo considerati tra le specie di mammi-feri invasivi più dannosi in Europa, causano in realtà meno dannidi quanto non si pensi. La presenza e l’abbondanza di uccelli ma-rini sulle isole del Mediterraneo, per la gran parte invase dai ratti,dipendono in maggior grado dalla conformazione fisica delle iso-le che dalla presenza dei roditori. Gli uccelli marini, come peresempio le berte, scelgono dei luoghi inaccessibili ai ratti, comeper esempio profonde cave calcaree, per riprodursi e allevare ipiccoli. Sembra che i roditori possano influire soprattutto sugliHydrobatidi, come l’uccello delle tempeste, i più vulnerabili tra iprocellariformi alla presenza di questi roditori31.Nel XIX secolo, negli Stati Uniti vennero introdotte come pianteornamentali alcune specie di Tamarix (piante originarie di zonesabbiose e salmastre) originarie dell’Eurasia e dell’Africa. Neglianni Trenta, durante un periodo di siccità che colpì l’Arizonaorientale, il Messico centrale e il Texas occidentale, si pensò chequesti arbusti usassero le preziose risorse di acqua rimaste. Du-rante la Seconda Guerra Mondiale vennero definite “invasorialieni” e gli Stati Uniti gli dichiararono guerra. Per settant’annicercarono di eradicarle, usando bulldozer ed erbicidi. I tentatividi eradicazione non ebbero successo e ora questi arbusti sono di-ventati il luogo preferito di nidificazione di una specie a rischiodell’America sud-occidentale, il pigliamosche di Traille, Empido-naz traillii extimus. Grazie alla loro capacità di sopravvivere allasiccità, ad un’alta salinità e all’erosione del terreno, queste piantesono ora note per il beneficio che apportano nel mantenimentodell’ambiente degli argini fluviali modificati dall’uso e dalla pre-senza dell’uomo32.Quando le specie si spostano di loro spontanea volontà, descri-viamo il loro movimento come colonizzazione naturale, e noncome invasione biologica, e pertanto non sono percepite comeuna minaccia. Fino a poco tempo fa era possibile trovare gli ai-roni guardabuoi, Bubulcus ibis, solo in Africa e nel sud della pe-nisola Iberica. Verso la fine del XIX secolo, avevano esteso la loropresenza all’Africa meridionale. Nel 1880, furono segnalati sulfiume Corantyne, nel Suriname occidentale. Negli anni Trentaerano presenti tanto nel Suriname (allora Guyana olandese) chenella Guyana francese. Nel 1953 si stavano riproducendo in Flo-rida. Presto arrivarono in Argentina e in Canada. Oggi, sono pre-senti tanto in Nuova Zelanda che in Europa, dove a nord sispingono fino all’Inghilterra e all’Irlanda. È facile vederli nei pa-scoli di tutto il mondo, dal Texas all’Italia. Per il loro alto tasso diespansione e di successo nell’adattarsi a nuovi ambienti, sonodescritti come specie invasiva nella banca dati delle specie alie-

ne invasive (GISD) dell’Unione Mondiale per la Conservazionedella Natura (IUCN). Alla voce “impatti generali”, si dice che datala loro capacità di riprodursi in aree densamente popolate da al-tre specie di uccelli, potrebbero eventualmente entrare in com-petizione rispetto ai luoghi di nidificazione. Vi si dichiara,inoltre, che un certo numero di articoli indica che gli aironiguardabuoi non sembrano avere alcun impatto sulle specie orni-tologiche native. Inoltre, gli aironi guardabuoi trascorrono le lo-ro giornate nei pascoli dove si cibano di coleotteri e di cavallettee, di tanto in tanto, delle zecche e delle mosche che tolgonodalle mucche. A sera tornano sui luoghi di nidificazione, luoghiche condividono con altri aironi che si cibano di pesci e di inver-tebrati acquatici.

Qual è il processo evolutivo che consente alle specie alloctonedi naturalizzarsi?

Secondo Peretti (1998), “non è chiaro di quanto tempo abbia bi-sogno una specie per stabilirsi in un luogo prima di essere consi-derata nativa. Una specie si “naturalizza” in 100 anni, in 1.000anni o in 10.000 anni? Le distinzioni sono arbitrarie e non scien-tifiche”. Ancora oggi non c’è un accordo nel mondo scientifico. L’idea del tempo minimo di residenza fu suggerito per la primavolta da Rejmánek (2000), ma si riferisce soprattutto alle piantee c’è poca intesa fra i ricercatori riguardo alle specie animali. Ge-novesi (2007) suggerisce che debbano passare 500 anni perchéuna specie si naturalizzi. In Italia, a questo proposito si usa il ter-mine para-autoctono, riferito a taxa introdotti e naturalizzatiprima del 1500. Tuttavia, come abbiamo visto in precedenza, iratti non sono considerati naturalizzati benché siano stati intro-dotti nelle isole del Mediterraneo almeno 2000 anni fa e in altreisole, come le isole neozelandesi, circa 1700 anni fa, con i priminavigatori che le raggiunsero. Carthey e Banks (2012) sostengo-no che sia lo stesso ecosistema a segnalare quando è trascorso iltempo necessario perché una specie possa considerarsi naturaliz-zata. A dimostrazione della loro teoria, hanno studiato se i ban-dicoot australiani, Perameles nasuta, fossero consapevoli delpericolo rappresentato dai cani. In Australia i dingo, Canis lupusdingo, con i quali i cani sono strettamente imparentati, sono sta-ti introdotti circa 4.000 anni fa, mentre i gatti sono stati immessisolo circa 150 anni fa. Ne segue che l’esposizione ai dingo, moltopiù prolungata di quella ai gatti, dovrebbe indurre i bandicoot adevitare i cani, ma non i gatti o altri animali domestici. La stessateoria evoluzionistica sostiene che la preda deve imparare a rico-noscere e adattarsi alle minacce per poter sopravvivere. Lo studio

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29 Nogales & Medina, 199630 Hone, 199431 Ruffino et al., 200932 Davis, 2011

Bandicoot Australiano

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ha stabilito che i bandicoot evitano i giardini dove potrebberotrovarsi dei cani, anche quando questi cani sono in casa, dimo-strando così che li riconoscono come potenziali predatori e ren-dendo plausibile l’idea di adattamento all’ambiente.Anche se non c’è un accordo generale su quanti anni siano ne-cessari perché avvenga la naturalizzazione di una specie, la suacapacità di riprodursi e diffondersi è spesso un indicatore rile-vante. Una piccola popolazione di becchi a cono gola cenerina,Paradoxornis alphonsianus, fu individuata per la prima volta inItalia nell’aprile del 1995, nella Riserva naturale della PaludeBrabbia vicino a Varese. La presenza del piccolo passeraceo, nati-vo della Cina sud-occidentale e del Vietnam settentrionale, fuattribuita a fughe accidentali dai locali di un commerciante lo-cale di uccelli e altri animali. Nel 1999 i becchi a cono venneroconsiderati naturalizzati data la loro capacità di riprodursi e disostenersi autonomamente, di aumentare di numero e di espan-dersi al di fuori della riserva33. Attualmente, una seconda speciealloctona, strettamente imparentata con la prima, il Paradoxor-nis webbianus, è presente e naturalizzato nella riserva, e si ibridacon il primo34. Anche il P. webbianus proviene dalle stesse zonedel becco a cono ed è anch’esso il risultato di fughe accidentalidallo stesso commerciante.L’adattamento è un processo che, una volta avviato, non conosceinterruzioni, fino al suo naturale completamento. Stabilire quan-to l’organismo immigrante si sia dovuto modificare per adattarsial nuovo ambiente abiotico non è una cosa semplice. Gli ecosi-stemi variano considerevolmente e così anche il processo diadattamento necessario per sopravvivervi. Un’area suburbanadegradata dalla presenza dell’uomo può essere abitata prevalen-temente da specie esotiche, questo perché gli ecosistemi distur-bati sono più “vulnerabili” o “favorevoli” - a seconda di come lavogliamo vedere - alle invasioni biologiche. Questo, ovviamente,non significa che le specie esotiche causino deterioramento, masemplicemente che l’elemento del disturbo favorisce la coloniz-zazione.

È possibile riportare gli ecosistemi allo “stato di equilibrio” dicui godevano prima di un’invasione biologica?

L’idea dell’equilibrio e la visione di una natura armoniosa, che èalla base di una teologia naturale, scaturì dalle osservazioni diErodoto (484-425 a.C.) su preda e predatori, e sulla posizione diuna specie animale nella catena alimentare. Questa visione resi-stette finché Darwin non la mandò a rotoli con la sua intuizionesull’evoluzione, ma per molto tempo gli scienziati continuaronoa credere all’equilibrio, alla purezza delle specie e all’idea che lespecie vivano in comunità integrate. Gli ecologisti hanno ab-bandonato l’idea che gli ecosistemi siano omeostatici e la natu-ra un sistema con un equilibrio stabile. Al contrario, gliecosistemi sono dinamici e in evoluzione costante, occupati siadalle specie native (i residenti a lungo termine), che dalle nuoveintroduzioni (i residenti “alieni”). In realtà, non c’è alcun equili-brio che le specie esotiche possano sconvolgere. Dei nuovi eco-sistemi, chiamati in inglese novel ecosystems , le cuicaratteristiche sono per lo più ignote, emergono costantemente.Riportare un ecosistema alle condizioni precedenti esistenti inun dato momento storico, quando si ritiene che l’equilibrio della

natura fosse corretto, non è possibile. Quello che possiamo fareè evitare ulteriori danni. Gli ecosistemi, con tutti i loro componenti, hanno sempre subítodei cambiamenti, e diverse specie si sono sempre estinte, ma iltasso al quale questi fenomeni avvengono oggi è allarmante. Nel1993, Wilson stimò che il tasso di estinzione delle specie dovutoalla distruzione dell’habitat fosse di circa 30.000 all’anno. L’au-mentata movimentazione di piante, animali e malattie tra i con-tinenti, la riduzione dell’ozono, il riscaldamento globale, laossificazione, la caduta di radionuclidi causata dai test nucleari,l’eliminazione dei superpredatori e il degrado generale della na-tura dovuto a una serie di fattori antropogenici stanno aumen-tando pericolosamente il tasso di cambiamento degli ecosistemi.Le città, le dighe, e il prelievo delle acque alterano l’idrologia, avolte in modo irreversibile. Il nostro pianeta sta subendo delle al-terazioni senza precedenti. La metà circa della superficie dellaterra è disturbata in modo significativo dalla presenza dell’uomomentre l’altra metà è dominata dagli uomini35. Come definirequale sia lo stato originario di natura che deve essere ripristina-to? Indubbiamente, le specie invasive e altri disturbi degradano einquinano gli ecosistemi, ma come ripristinarli, o ricreare un si-stema simile a quello precedente? I tentativi di ripristino della vegetazione si stanno rivelando uncompito difficile. Le paludi ripristinate, ad esempio, hanno unaminore diversità di specie vegetali e minori tassi di colonizzazio-ne36 di quelle naturali. Questi habitat impoveriti potranno soste-nere le stesse specie animali che vi abitavano in passato oaiutarle a riprendersi? Nelle Americhe, dove per tradizione i colo-ni europei sono accusati del degrado dell’ecologia locale, si pensache i nativi americani vivessero in armonia con la natura. Perquesto motivo, alcuni direttori di parchi naturali credono che gliecosistemi andrebbero ricreati così come i primi europei li trova-rono. Questo punto di vista è in contrasto con il fatto che antro-pologi e archeologi ritengono che i nativi americani causaronol’estinzione della maggior parte della megafauna del Pleistoce-ne37. Leoni, cammelli, elefanti, e il Tremarctos ornatus sono soloalcune delle 57 specie di grandi mammiferi che si estinsero nel-l’America del Nord alcune migliaia di anni fa. Molte delle piantedi cui si nutrivano sono ancora presenti e probabilmente potreb-bero riadattarsi alle attuali condizioni ambientali38. Se queglianimali venissero reintrodotti, sarebbero certamente consideratiesotici, “alieni” invasori.Indubbiamente, dal momento della sua apparizione, l’uomo haavuto un impatto dirompente sulla terra e ha provocato l’estin-zione di specie ovunque sia migrato. J. Diamond (1989) fa notareche un quarto di tutte le specie ornitologiche presenti nel nuovomondo si estinse poco prima o poco dopo essere entrati in con-tatto con gli europei. I grandi mammiferi e gli uccelli non vola-tori si estinsero quando l’uomo arrivò in Nord America,Madagascar, Nuova Zelanda e Australia. L’uomo ha trasportatospecie diverse sui cinque continenti per migliaia di anni. Heywo-od (1989) afferma che perfino nella foresta pluviale amazzonicaè possibile osservare l’impatto dell’uomo. I fragili sistemi del Mediterraneo sono stati modificati dall’inter-vento dell’uomo per oltre 10.000 anni. I ritrovamenti archeologi-ci indicano che i primi mammiferi non indigeni sono stati portatia Cipro già nell’VIII secolo a.C. A quel tempo, i marinai esperti

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33 Boto et al.34 Galimberti et al., 200935 Hannah et al., 199336 Seabloom, van der Valk, 200337 Chase, 198738 Soulé, 1990

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trasportavano a bordo delle loro imbarcazioni specie domestichee selvatiche. È in questo modo che diversi mammiferi predatori,insettivori, micromammiferi e ungulati hanno raggiunto molteisole del Mediterraneo39.Tutte queste considerazioni suggeriscono una prospettiva diversae opposta alla politica del puro sterminio. Le specie selvaticheche causerebbero considerevoli danni, come i maiali selvatici, o iratti, dovrebbero certamente essere tenuti sotto controllo e le lo-ro popolazioni mantenute entro quantità ridotte. Ma non c’è bi-sogno di farlo con metodi crudeli di eradicazione, basterebbericorrere a tecniche umane. Nel 1990, il biologo conservazionistaMichael Soulé auspicò la nascita di una nuova disciplina, di una“ecologia ricombinante” o “mixecologia” il cui compito fosse stu-diare “le interazioni tra questi nuovi assemblaggi biogeografica-mente complessi”. L’ecologia ricombinante non considera lespecie aliene negative di per sé, al contrario, esamina perché al-cune specie si mescolino meglio di altre.Le isole del Canale di California forniscono un esempio interes-sante della dinamicità degli ecosistemi e delle sottili interazionitra le popolazioni, ma anche delle difficoltà nello scegliere qualeequilibrio ristabilire. Su queste isole, l’introduzione dei cinghiali,Sus scrofa, avvenuta nel decennio del 1850, ha facilitato la colo-nizzazione dell’aquila reale, Aquila chrysaetos. Le aquile realipredano sia i piccoli di cinghiale che le specie endemiche di vol-pe, come l’Urocyon littoralis, con il risultato che ora tre sotto-specie di volpe sono minacciate dall’iperpredazione dell’aquilareale. Il calo della popolazione di volpi ha causato un aumentodella popolazione di un suo competitore naturale, una moffettaselvatica, Spilogale gracilis amphiala40. Le volpi, che abitanosull’isola da 20.000 anni, sono ora minacciate dalle aquile realiche prima dell’introduzione dei maiali selvatici erano solo transi-torie sull’isola, mentre ora possono sostenere una grande coloniariproduttiva proprio perché possono predare i maiali. La questio-ne della conservazione, tuttavia, è ulteriormente complicata dalfatto che l’aquila reale stessa, minacciata in altri luoghi, deve es-sere protetta.

4. ERADICAZIONE E CONTROLLO

“Non ci piace considerare nostrieguali gli animali che abbiamo re-so nostri schiavi”

Charles Darwin, Lettere

I punti fondamentali della strategia per combattere la minacciadelle “specie invasive” sono:

• prevenzione

• individuazione precoce e monitoraggio costante

• mitigazione, eradicazione e controllo

La prevenzione si basa sull’attuazione di misure preventive effi-caci per minimizzare il rischio delle invasioni. Queste misure van-no dal divieto di commercio e dal monitoraggio dei corridoiinvasivi, al ripristino degli habitat per renderli meno vulnerabilialle invasioni.Individuare una nuova “specie invasiva”, ed essere in grado di va-lutare se rappresenti una minaccia consente di scegliere il migliormetodo possibile per gestire questa popolazione. La mitigazione consiste nel ridurre una popolazione, o nel creareun nuovo habitat per una specie minacciata da una specie alie-

na. L’eradicazione è più drastica e può essere condotta uccidendoo trasferendo gli animali indesiderati. J.H. Meyes (2000) la defini-sce come “la rimozione completa di tutti gli individui della popo-lazione, fino all’ultimo individuo capace di riprodursi, o lariduzione della loro densità al di sotto del livello di sostenibilità”.Come si è visto in precedenza, questa tecnica per la rimozionepuò essere usata solo nelle fasi precoci del processo di invasioneo su isole piccole e accessibili. Inoltre, è costosa, sia da un puntodi vista logistico che finanziario. Una volta che la specie invasivasi è stabilita l’unica opzione che rimane è quella del controllo.L’eradicazione per uccisione si è rivelata fallimentare o impossi-bile, oltre che violenta per gli animali. Le specie non desiderate possono essere eradicate e controllatecon diversi metodi, impiegandone a volte più di uno al tempostesso.Le barriere impediscono l’accesso ad animali indesiderati. Le re-cinzioni sono utili per gli animali più grandi, come gli ungulati,ma anche per impedire l’accesso ad altri più piccoli, come volpi,gatti, opossum, conigli, mustelidi, ratti e topi. Un esempio in cuile recinzioni sono state usate con successo è quello dell’isola di

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39 Masseti, 200940 Roemer et al., 2002

Il gatto, che l’uomo ha portato con sé, diffondendolo in tuttoil mondo, in alcuni Paesi è considerato una delle 100 speciepiù nocive e combattuto spietatamente con metodi moltocruenti.

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Amsterdam, nell’Oceano Indiano, dove le mucche selvatiche sonostate escluse dalle zone popolate dagli uccelli nidificanti comel’albatro di Amsterdam, Diomedea amsterdamensis41. Le reti siusano per animali più piccoli come uccelli o granchi, ma ce nesono anche per le nutrie e i conigli, mentre le schermature pos-sono essere sufficienti per il controllo degli insetti.Il controllo biologico fa uso del parassitismo, dell’immunocon-traccezione, della predazione o della competizione per diminuirela sopravvivenza delle specie indesiderate. L’introduzione di pre-datori per ridurre la densità della popolazione delle specie esoti-che ha quasi sempre determinato un fallimento. I predatoridiventano a loro volta invasivi, o ignorano la preda designata ecacciano specie locali, oppure hanno impatti imprevisti sull’am-biente. Quando le manguste indiane, Herpestes auropunctatus,furono introdotte nelle Indie occidentali per controllare i ratti,questi divennero arborei per sfuggire al nuovo predatore terre-stre. Il risultato fu che i ratti predarono di più i nidi degli uccellisugli alberi, mentre le manguste cominciarono a predare gli uc-celli a terra42. La presenza di una preda alternativa è oggi un fat-tore ben noto: nell’isola di Macquarie, l’introduzione dei conigli,che ebbe luogo quando i gatti erano già presenti, ebbe un im-patto negativo sulla popolazione degli uccelli. Il numero degliuccelli presenti, infatti, era in grado di nutrire solo una piccolapopolazione di gatti, ma l’arrivo dei conigli fornì una preda al-ternativa, di cui potevano cibarsi durante l’inverno, consentendoalla popolazione felina di espandersi. Dieci anni dopo l’introdu-zione dei conigli, l’iperpredazione felina degli uccelli causòl’estinzione di tre diverse specie ornitiche (Taylor, 1979a). Le spe-

cie introdotte spesso si diffondono in modo incontrollato, ed èciò che è avvenuto con la maina comune, Acridotheres tristis,introdotta nelle Hawaii per il controllo degli insetti della Spo-doptera frugiperda, o a Melbourne dove avrebbero dovuto tene-re sotto controllo gli insetti nocivi negli orti. Per renderci contodi quanto l’introduzione di un predatore possa rivelarsi un boo-merang, prendiamo in esame ciò che è accaduto in Giamaica. Neltentativo di controllare i ratti che danneggiavano i loro raccoltidi canna da zucchero, gli agricoltori hanno introdotto una speciedi formica, la Formica omnivora. Il numero dei ratti non si è ri-dotto mentre le formiche si sono enormemente diffuse. Quindigli agricoltori hanno introdotto il rospo delle canne, Bufo mari-nus, per controllare i ratti. Ancora una volta, i rospi sono diven-tati un problema e a quel punto sono state introdotte lemanguste indiane per controllare sia i rospi che i ratti, ma questeinvece hanno predato gli uccelli nativi portandoli a rischio diestinzione.La competizione si ottiene introducendo un competitore superio-re per ridurre la popolazione della specie indesiderata. Le volpiartiche, Alopex lagopus, furono introdotte sulle isole Aleutineall’inizio del XIX secolo, per l’industria delle pellicce. A causa delloro impatto devastante sugli uccelli marini, si decise di eradicar-le introducendo delle volpi rosse, Vulpes vulpes. Alcune volpi ros-se sterilizzate furono rilasciate in due delle isole più piccole – leisole più grandi avrebbero richiesto troppi individui per renderela tecnica fattibile – quando non era presente nessuna colonianidificante di uccelli marini. Le volpi artiche scomparvero dal-l’isola, ma le volpi rosse predarono anch’esse gli uccelli locali43.

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41 Micol & Jouventin, 199542 Seaman, 195243 Bailey, 1993

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Un diverso tipo di controllo biologico si ottiene utilizzando deipatogeni (virus e batteri) come agenti letali per controllare lepopolazioni. Alcuni esempi sono la Salmonella spp. usata per ilcontrollo dei roditori, il virus del Myxoma e l’RHD contro i coni-gli, e il virus della Panleucopenia felina contro i gatti. Si sa chel’introduzione di predatori o di patogeni44 non può eradicare to-talmente una specie, rendendo necessario l’uso di altre misure.Gli insetticidi microbici sono un altro metodo di controllo biolo-gico.L’immunocontraccezione è una tecnica di controllo biologico cheutilizza un vaccino che porta il sistema immunitario ad attaccarele proprie cellule riproduttive, rendendo sterile l’individuo. Consi-derata il più etico fra i metodi di controllo, verrà esplorata più afondo nel capitolo seguente.I biocidi includono gli insetticidi, gli erbicidi, i rodenticidi e i ve-leni. Gli anticoagulanti rodenticidi, utilizzati ampliamente nelcontrollo dei ratti, dei gatti e dei conigli, funzionano alterando ilnormale processo di coagulazione del sangue. Gli anticoagulantisono stati usati contro i ratti in tutto il mondo, e la resistenzache essi hanno sviluppato contro queste sostanze fu notata perla prima volta in Europa negli anni Sessanta e negli Stati Unitinegli anni Settanta45. Da allora, sono state sviluppate nuove seriedi anticoagulanti, chiamati di “seconda generazione”, e di “terzagenerazione”. I veleni di seconda generazione sono molto piùtossici dei primi, generalmente risultano letali dopo una sola in-gestione, hanno tempi di eliminazione molto lenti, e sono effica-ci contro i roditori resistenti alla warfarina. Tra questi velenitroviamo il difenacoum, il brodifacoum, e il bromadiolone. Glianticoagulanti sono pericolosi per numerose specie animali: siaccumulano nello stomaco e nel fegato dei carnivori selvatici,causandone la morte. I mustelidi, i barbagianni e i nibbi reali so-no tra le specie più colpite da fenomeni di avvelenamento se-condario, indotto cioè dall’ingestione dei resti di prede morte peravvelenamento46. L’avvelenamento secondario ha causato lamorte di volpi rosse, gufi e civette, diverse specie appartenenti algenere Buteo, nibbi e corvi47, e anche cani e gatti. Esistono anche veleni ad effetto non anticoagulante, come icomposti di alfacloralosio, un tranquillante che agisce ritardandoi processi metabolici. Si utilizza per uccidere topi e altri piccoliroditori, in cui provoca la morte per ipotermia. Il calciferolo siusa in sovradosaggio con i ratti e causa la morte per insufficien-za renale da 3 a 6 giorni dopo l’ingestione48. Il diossido di carbo-nio è utilizzato per uccidere gli animali da tana, causandonel’asfissia. Tra gli altri veleni utilizzati ci sono l’Alpha-naphthylthiourea, l’arseniato, la brometalina, il solfuro di carbonio, la cri-midina, la fluoroacetamide (composto 1081), la formaldeide, ilgophacide, un organofosfato, l’acido idrocianico, il lindano, ilbromometano, il normobide, la fosfina, le piretrine, il vacor, lareserpina, lo scilliroside, il sodio monofluoroacetato, la stricnina,il tetracloroetano, il solfato di tallio, il fosfuro di zinco. La lun-ghezza della lista parla da sola.La gestione dell’habitat comprende la modifica dell’ambienteutile a creare condizioni meno favorevoli all’insediamento di spe-cie invasive. In agricoltura, un aumento della biodiversità sottoforma di piante cresciute insieme al raccolto, può fornire cibi al-ternativi, nettare o rifugi. Un’altra possibilità è data dall’uso distrutture artificiali. Fornire nidi e scatole per la nidificazione e ilrifugio degli uccelli – sia di uccelli canori che gufi e civette – e dipipistrelli aiuta ad aumentarne la densità fornendo una forma di

controllo naturale dei roditori e degli insetti, al tempo stessopermettendo di diminuire l’uso di pesticidi.Trappole. Vengono usate per roditori, gatti, mustelidi, manguste,conigli, volpi, opossum e altri animali. Tendono ad essere più ef-ficaci con i carnivori. Esistono diversi tipi di trappole, che com-prendono versioni letali e non letali. Nonostante ne siano statesviluppate nuove tipologie, le leg-hold, trappole a scatto che sistringono intorno all’arto dell’animale, oppure le trappole al lac-cio, sono entrambe usate estensivamente, anche se causano pe-raltro moltissime vittime accidentali. Gli animali che rimangonointrappolati spesso muoiono di morte lenta, dopo grandi soffe-renze. Per ridurre le catture accidentali, si utilizzano trappoleconsiderate meno dannose che permettono di liberare gli anima-li, come le trappole al laccio metallico che si stringono attornoalla zampa, trappole a strozzo non letali, trappole imbottite chescattano intorno all’arto. In realtà, queste trappole, pur essendoconformi agli standard dell’Agreement on International HumaneTrapping Standard, possono causare ferite gravi e comunque lasofferenza causata dallo stress di rimanere intrappolati, magariper giorni, è sempre alta. Le trappole a gabbia sono meno cruen-te e possiedono un sistema che permette all’animale di entrarema non di uscire. In molti casi gli uccelli possono essere catturatisenza far loro del male utilizzando le reti mist-nets.Caccia con armi da fuoco. Praticato come metodo per eradicaremandrie di grandi ungulati, è stato usato contro diverse specie diuccelli e mammiferi. Spesso, per aumentarne l’efficacia, vengonoutilizzati diversi strumenti a supporto, quali elicotteri, cani e ani-

mali esca. Quest’ultimo sistema si utilizza contro vertebrati conun sistema sociale sviluppato e di grandi dimensioni. Per localiz-zare la mandria viene fissato un collare radio ad un singolo ani-male. Una volta individuato il gruppo di animali, questi vengonouccisi sparandogli dagli elicotteri, o da terra, oppure possono es-sere catturati e traslocati altrove.Altri metodi lesivi utilizzati per controllare gli animali selvaticisono la caccia con l’arco o con i cani, gli esplosivi, l’elettrocuzio-ne, l’affogamento, la distruzione delle tane, iniezioni e gas letali,

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44 Bell, 199545 Meehan, 1984; Jackson, Ashton et al., 198546 Newton et al., 1990; Shore et al., 1996; Gillies & Pierce, 1999; Carter & Burn, 2000; Carter & Grice, 200047 Newton et al., 1990; Proctor, 1994; Berny et al. 1997; Shore et al., 1999; Stephenson et al., 199948 Meehan, 1984

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l’impedimento della lattazione per uccidere i piccoli in età di al-lattamento49.

L’eradicazione è un metodo efficace?

La rimozione di una specie da un ecosistema, che si tratti di unaspecie “aliena” stabilizzata o di una nativa, avrà delle conseguen-ze, alcune delle quali non sono desiderabili nemmeno da chi liattua. Studi approfonditi realizzati prima dell’attuazione del pro-getto contribuiranno a prevedere alcune di queste conseguenze,ma ogni tentativo di eradicazione è come un nuovo esperimentoche potrebbe dare dei risultati inaspettati, non estrapolabili daiprogrammi precedenti, nemmeno da quelli che hanno avuto piùsuccesso. Nel pianificare le eradicazioni è importante non so-pravvalutare la capacità di manipolare con successo popolazionie sistemi complessi50. Gli ecosistemi sono dinamici e i rapporti trale popolazioni delle diverse specie cambiano nel tempo. Inoltre, sideve ricordare che le popolazioni animali sono soggette a flut-tuazioni periodiche e che l’impatto delle specie invasive può va-riare con le condizioni stagionali o ambientali o con la densitàdella popolazione. Le interazioni tra le specie native e quelle nonnative creano complessi legami che dipendono dall’uso delle ri-sorse disponibili, dalla competizione e dalla predazione. In molticasi, la rimozione delle specie invasive ha causato ciò che è notocome un effetto trofico a cascata piuttosto che il ripristino del-l’ecosistema51. La rimozione di una singola specie, erbivora o pre-datrice, spesso provoca l’espansione ecologica di una secondaspecie, pianta o preda, precedentemente controllata dalle specierimosse52.A volte, il successo di un’operazione di eradicazione viene defini-to esclusivamente in termini di assenza delle specie aliene ogget-to dell’intervento e non prende in considerazione la rispostadell’ecosistema invaso. “L’eradicazione di una specie non è il con-trario della invasione di quella specie”: Towns (2008) nello stu-diare l’eradicazione dei ratti del Pacifico, Rattus exulans, dalleisole che circondano la Nuova Zelanda, scoprì che il ripristinodell’ecosistema era lento e scarso perché limitato dal ridotto nu-mero delle specie native rimaste. In questo caso, la reintroduzio-ne degli uccelli marini è necessaria per ripristinare le interazionitrofiche degli uccelli marini. Gli effetti secondari dell’eradicazio-ne comprendono la “cascata trofica”, l’espansione dei mesopre-datori e “l’effetto di Sisifo”. Vediamoli più dettagliatamente.Le cascate trofiche hanno luogo quando cambiamenti nella di-stribuzione dei predatori influiscono sull’abbondanza di altrespecie ai vari livelli della catena alimentare. Il dingo, consideratouna specie invasiva in Australia, è un predatore situato in cimaalla catena alimentare, pur essendo una specie aliena. Rimuover-lo ha indirettamente contribuito ad incrementare l’attività deglierbivori come i canguri e l’espansione della volpe rossa, Vulpesvulpes, anch’esso un mesopredatore esotico, che hanno provoca-to rispettivamente la perdita del manto erboso e una maggiorepredazione di piccoli mammiferi nativi53. Reintrodurre e mante-nere a livello costante una popolazione di dingo andrebbe a tut-to vantaggio delle popolazioni locali di mammiferi54, indicando

che una specie aliena può assumere un ruolo funzionale comepredatore-chiave.Una teoria simile è l’ipotesi dell’espansione dei mesopredatori,secondo la quale una riduzione nell’abbondanza dei superpreda-tori causa un aumento nell’abbondanza o nell’attività dei preda-tori più piccoli (i mesopredatori) con impatti negativi sullavegetazione e sulle prede dei piccoli predatori55. L’eradicazionedei gatti dalle isole, per esempio, dovrebbe essere contestualeagli interventi di rimozione delle loro prede introdotte, che sia-no erbivori, onnivori, o carnivori. Questo, comunque, non è unagaranzia di successo: l’eradicazione del ratto dall’isola di Bird,nelle Seychelles, ha causato la diffusione della formica pazzagialla, Anoplolepis sechellensis, che è diventata una minacciaper la sterna fuligginosa, Onychoprion fuscatus, e per lo scincodelle Seychelles, Mabuya sechellensis56. Il programma di eradi-cazione portato a termine sulle isole Macquarie, a cui si è ac-cennato prima, è un altro esempio di come l’eradicazione di unpredatore, il gatto sia andata a detrimento della fauna locale.Nel 1878 furono introdotti sull’isola i conigli, ma la loro espan-sione fu tenuta sotto controllo dai gatti, introdotti sessanta an-ni prima. Entrambe le specie furono nocive per l’ambientedell’isola, i conigli per l’estensione delle zone brucate e i gattiper l’iperpredazione, che comportò l’estinzione di due specie or-nitiche inabili al volo. Nel tentativo di eradicare i conigli, fu in-trodotto annualmente il Myxoma virus. Quando la popolazionedei conigli diminuì fu subito chiaro che i gatti stavano cambian-do l’oggetto della loro predazione sugli uccelli marini. Nel 1985,si avviò un programma di eradicazione dei gatti e l’ultimo gattofu ucciso a fucilate nel 2000. La popolazione dei conigli esplosee complesse comunità vegetali furono trasformate in prati tosa-ti o in terreni nudi57.Sisifo era un personaggio della mitologia greca che fu condan-nato dagli dei al vano compito di spingere eternamente un maci-gno su per una montagna, solo per vederlo rotolare nuovamentea valle. In ecologia, l’effetto di Sisifo si ha quando la rimozionedi una specie aliena ha per risultato l’imprevista diffusione diun’altra specie aliena. L’eradicazione delle capre e dei maiali dal-l’isola di Sarigan, una delle isole delle Marianne, provocò la dif-fusione dell’Operculina ventricosa, un convolvolo esotico che nelgiro di pochi anni cominciò a soffocare la vegetazione che si sta-va riprendendo.Nonostante questi punti a suo sfavore, ogni qualvolta sia possi-bile, l’eradicazione rimane il metodo più scelto in ecologia ed èpreferito al contenimento, che ha come obiettivo limitare un’ul-teriore diffusione di specie non desiderate, o al controllo, il cuiobiettivo è ridurre la presenza delle specie invasive.Anche se un certo numero di tentativi di eradicazione in piccolee ben delimitate aree ha avuto successo, migliorando l’equilibrioambientale, la maggior parte dei programmi di eradicazione, spe-cialmente quando sono rivolti contro specie ben stabilizzate, haavuto un’alta percentuale di fallimento. Inoltre, questi program-mi sono costosi, richiedono molte risorse e mano d’opera, e pos-sono essere pericolosi per l’ambiente e per le specie che non sonooggetto dell’eliminazione.

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49 Littin & Mellor, 200550 Jamieson, 199551 Zavaleta et al., 200152 Zavaleta, 200253 Letnic et al., 200954 Letnic et al., 200955 Crooks & Soulé, 199956 Feare, 199957 Bergstrom et al., 2009

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L’eradicazione è eticamente accettabile?

La maggior parte delle tecniche e dei metodi di eradicazione im-piegati sono estremamente crudeli e causano sofferenza sia aglianimali contro cui vengono rivolte sia ad altri animali in quantovittime accidentali. Dato che spesso è necessario fare uso di unacombinazione di tecniche per lunghi periodi di tempo, la soffe-renza causata viene moltiplicata.La trappola a tagliola provoca stress e paura; quando la morsa sichiude intorno alla zampa, la può ferire, tagliando i tendini ed ilegamenti e spezzando le ossa. Spesso gli animali che rimangonointrappolati cercano di strapparsi la zampa a morsi e anchequando non lo fanno, lottano per liberarsi ferendosi ancora piùgravemente. Muoiono dopo diversi giorni, per disidratazione,emorragia, ipotermia, o perché vengono predati da altri animali.Sono vittime coscienti, spaventate, sofferenti e angosciate. Se-conda Iossa (2007) la gran parte delle trappole utilizzate per uc-cidere non soddisfa, neppure lontanamente, gli standard minimidel benessere animale. Sia le trappole utilizzate per uccidere siaquelle utilizzate per catturare gli animali sono efficaci quandovengono sottoposte a dei test sperimentali, ma non nelle opera-zioni sul campo. Quando vengono testate le trappole, gli animaliutilizzati sono anestetizzati e le loro reazioni sono quindi diverseda quelle degli animali catturati in natura.Nel loro studio sulla crudeltà dei metodi impiegati nel controllodei ratti, Mason e Littin definiscono un metodo “non crudele”quando provoca il minor numero possibile di sintomi prima dicausare la perdita di conoscenza e la morte, e se non ha effettideleteri duraturi sugli animali che sopravvivono. I metodi piùcruenti causano un dolore o un’angoscia acuti e prolungati, erendono malati o disabili gli animali che sopravvivono. Non sor-prende che i risultati del loro studio indichino che la maggiorparte dei metodi utilizzati nel controllo dei roditori siano cruentie che vengano applicati senza considerare il benessere degli ani-mali. Sempre ad avviso di Mason e Littin, bisognerebbe usare, in-vece, metodi meno crudeli, come le trappole a molla,l’elettrocuzione, il gas cianuro, l’alfa-clorato, ma anche l‘esclu-sione e l’eliminazione delle risorse di cibo e di luoghi dove rifu-giarsi e nidificare. Gli anticoagulanti, come il brodifacoum, uno dei rodenticidi piùutilizzati, provocano una morte lenta dopo una lunga agonia. Lamorte può sopraggiungere entro la giornata58, ma può anchetardare dai 4 agli 8 giorni. Inoltre, negli avvelenamenti subletaligli individui rimangono malati per un lungo periodo di tempo.La definizione di Fraser (1996) della “fucilazione non cruenta” ri-chiede che si spari alla testa dell’animale, a bruciapelo. Alla mag-gior parte degli animali, però, non si spara in un modo cosìpreciso, né muoiono di una morte immediata. Gli animali feriti,inoltre, possono subire danni gravi e cronici per le ferite infette,e malesseri dissociativi e/o ansiosi. Inoltre, gli animali feriti nonpossono restare con il loro gruppo, né nutrirsi, bere o sottrarsi asituazioni pericolose.Anche se l’eradicazione ottenesse dei risultati positivi, i suoi co-sti in termini di sofferenza per gli animali e la crescente ostilitàdell’opinione pubblica nei confronti di queste tecniche, rendonoprioritaria la ricerca di metodi nuovi e più etici. L’eradicazionecompleta dei gatti selvatici dall’isola di Marion, nell’Oceano In-diano meridionale, è stata considerata da alcuni un successo, daaltri un programma odiosamente crudele. La rimozione comple-ta di tutti i gatti da un’isola che misura 290 metri quadrati, abi-tata da non più di 2.300 gatti59, ha richiesto ai biologi 19 anni

di lavoro e l’applicazione di diversi metodi di eradicazione. Ilprogetto, iniziato nel 1974 e finito nel 1993, fu diviso in 7 fasidiverse. Dopo uno studio preliminare, il gruppo di lavoro creatoad hoc per lo sterminio dei gatti e dei topi sull’isola di Marion,scelse di usare il controllo biologico per mezzo del virus dellapanleucopenia felina. Vennero catturati alcuni gatti e tenuti ingabbia sull’isola per poterli usare come futuri portatori dellamalattia. Nel 1977, la malattia, che doveva essere soltanto unamisura di controllo primaria, fu diffusa con un’irrorazione aerea.Dopo un calo iniziale nel numero di gatti presenti, la popolazio-ne si riprese rapidamente e nel 1981 venne messo in atto unprogramma di caccia con armi da fuoco della durata di tre anni.La caccia con armi da fuoco e con i cani venne utilizzata incombinazione con le gin traps, trappole a scatto considerate trale più crudeli e dannose. Diverse specie non oggetto di eradica-zione rimasero vittima delle trappole, tra questi i prioni di sal-vin, Pachyptila salvini, gli stercorari antartici, CatharactaAntarctica, i chioni minori, Chionis minor, gli eudipte crestati,Eudyptes chrysocome, e tanti altri ancora. Infine, un program-ma di avvelenamento con l’uso del sodio monofluoroacetato,composto 1080 – che era stato scartato in precedenza per viadell’impatto sugli uccelli - permise di sterminare la popolazionefelina. Gli ultimi individui furono intrappolati nel luglio del1991.Tanta crudeltà non è necessaria, nemmeno per eradicare unaspecie che molti biologi considerano essere una delle specie in-trodotte più dannose, specialmente sulle isole. I gatti sono statirimossi dall’isola di San Nicolas, in California, senza causare sof-ferenze non necessarie e con la collaborazione della Humane So-ciety of the United States, la società statunitense per laprotezione degli animali. Lo studio, che ebbe inizio a giugno del2009, si concluse nel febbraio del 2010, e cercò di utilizzare sol-tanto metodi non letali: trappole a scatto imbottite e cani adde-strati nella ricerca di felini. Per catturare il maggior numero digatti vivi, la caccia notturna con le torce venne utilizzata solo inquelle zone dove le trappole non funzionavano. Furono catturati57 gatti, poi trasferiti in una colonia felina in California.

Intervista a Pedro Luís Geraldes

Pedro Luís Geraldes lavora ad un progetto LIFE chiamato Safe Is-land for Seabirds (“Isola sicura per gli uccelli marini”) organizzatodalla RSPB (Royal Society for the Protection of Birds) il cui obiet-tivo è l’eradicazione di ratti e gatti dall’isola di Corvo, nelle Az-zorre, ma anche ripristinare la vegetazione reintroducendo specieendemiche. Il progetto è finanziato dalla Comunità Europea eche ha come partner, il municipio e la SPEA, partner portoghesedi BirdLife. Corvo è l’isola più piccola dell’arcipelago volcanico delle Azzorre.Ha una superficie di 17,13 chilometri quadrati e ha circa 500abitanti. L’isola è raggiungibile in aereo o in traghetto. Il 17,5%della superficie dell’isola è utilizzato per l’agricoltura. Il ParcoNaturale di Corvo comprende la zona protetta di Caldera di Cor-vo e l’area protetta della costa.

Come tante altre isole, anche a Corvo l’uomo ha introdotto delle“specie invasive”: diverse specie di piante, roditori, gatti, cani, pe-core e capre. La popolazione di uccelli marini che si riproduconosull’isola è diminuita, probabilmente a causa della predazione daparte di gatti e di ratti.

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58 Gill et al., 1994, PSD, 1997; Littin et al., 200059 van Aarde, 1980

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Può raccontarci in che cosa consiste il progetto di eradicazioneche state mettendo a punto per l’isola di Corvo?

Al momento attuale c’è una ricerca preliminare in corso. Entro lafine del 2013 consegneremo un rapporto che dovrà stabilire lapraticabilità dell’eradicazione delle specie considerate nocive, lostatus degli uccelli marini e quali sono le soluzioni possibili alproblema della predazione da parte di ratti, topi e gatti. L’intera popolazione è concentrata in un solo centro urbano, Vi-la do Corvo, mentre il resto dell’isola è utilizzato per l’agricoltu-ra e l’allevamento. Diverse specie di uccelli marini si riproduconosull’isola: berte maggiori, berte minori fosche e altre specie diprocellaridi, tra cui l’uccello delle tempeste. Le colonie, che sitrovano su scogliere verticali di 500 m. di altezza, sono inacces-sibili e gli uccelli vengono studiati tramite telecamere, sensori dimovimento, eccetera. Molti di questi uccelli si riproducono inzone che i gatti e i ratti non riescono a raggiungere, ma nontutti, e questi sono esposti a predazione.Stiamo lavorando per migliorare la consapevolezza del pubblico,insegnando loro l’importanza delle colonie di uccelli marini, delriciclaggio di materiali, della sterilizzazione dei gatti e del tenerlisotto controllo. Abbiamo realizzato una campagna di sterilizza-zione che è durata 3-4 mesi, durante i quali abbiamo sterilizza-to il 90% dei gatti presenti sull’isola e li abbiamo microchippati.Abbiamo chiesto alle autorità locali di finire il lavoro, e pensia-mo che ci siano ancora circa 200 gatti liberi. Per quanto riguarda i roditori, in passato abbiamo usato dellebarriere come quelle che si usano in Nuova Zelanda per creareuna piccola riserva priva di predatori dove si trovano le colonieriproduttive di uccelli. Per diversi mesi non sono entrati né topi,né ratti, ma poi abbiamo scoperto un passaggio. Stiamo stu-diando la densità dei roditori, le fluttuazioni nella popolazione,le interazioni con l’habitat, qual è l’impatto che hanno sugli uc-celli, quanti uccelli vengono uccisi ogni anno, in che modo i ratti– ma anche i gatti – influiscono sulla riproduzione degli uccelli.Il progetto ebbe inizio nel 2009 e i risultati di quell’anno indica-vano che i ratti fungono da preda alternativa agli uccelli per igatti. In assenza dei ratti, i gatti predano più pulcini di bertemaggiori. Siamo aperti ad utilizzare metodi di controllo non tra-dizionali, come il controllo della fertilità. Dobbiamo mettere aconfronto i costi e la manodopera necessaria per ogni metodo.E, se è possibile, capire come può venire fatto e paragonare que-sta possibilità ad altre soluzioni.A Corvo non è possibile utilizzare veleni perché è abitata e l’usodi veleni anche in zone ristrette potrebbe causare avvelenamentidi secondo grado in persone e animali domestici. Dobbiamo sta-bilire se è possibile eradicare i ratti, quali sono i costi e la mano-dopera richiesti. E, se è possibile, come deve essere fatto.

SOMMARIO

• I metodi di eradicazione sono altamente controversi

• Sono per lo più cruenti e causano sofferenze non necessarie,sia agli animali che alle persone che si preoccupano del lorobenessere

• Spesso sono controproducenti (effetti secondari, impatti ne-gativi sull’ambiente)

• Possono risultare ugualmente o più costosi dei danni finan-ziari causati dalle specie che si propongono di rimuovere

• Sono raramente efficaci o definitivi come invece voglionopromettere

5. VERSO UNA GESTIONE NON CRUDELE DELLE SPECIE ALLOCTONE

“Il compito più alto di un uomo èsottrarre gli animali alla crudeltà”

Emile Zola

Implicazioni etiche

Nonostante la grande quantità di studi scientifici realizzati sucome combattere le specie aliene, la questione del loro benesse-re, e della sofferenza inflitta dai metodi di eradicazione e dicontrollo, è stata poco studiata. Questo approccio riflette unatendenza più generale. In Europa, la Convenzione di Berna, nellesue raccomandazioni sui vertebrati terresti alloctoni, affermache i metodi di eradicazione dovrebbero essere selettivi, etici,non crudeli e in linea con l’obiettivo di eliminare in modo per-manente le specie invasive. Allo stesso tempo, però, consentedelle eccezioni ai fini della conservazione e della gestione degliecosistemi. La verità è che la fauna selvatica, una volta etichet-tata come “dannosa”, non ha di fatto alcuna protezione legale eil suo benessere non viene preso in considerazione. Negli ultimianni, alcuni dei metodi più cruenti utilizzati per sterminare glianimali selvatici sono stati oggetto di indagine. In Europa, que-sto ha portato al divieto di utilizzare le trappole a scatto che sichiudono sugli arti e di alcuni veleni, come l’arsenico e la stric-nina60. In alcuni casi, le proteste della pubblica opinione hannoportato benefici sia alle specie bersaglio sia alla ricerca scientifi-ca. In Nuova Zelanda, gli opossum, Trichosurus vulpecula, intro-dotti nel 1837 per l’industria delle pellicce, rappresentavano unadelle più grandi minacce per le foreste e la fauna native, e con-tribuivano alla diffusione della “tubercolosi bovina”. Nel 1940, laNuova Zelanda cominciò ad eradicare gli opossum utilizzandodiversi veleni, tra cui il sodio monofluoroacetato, composto1080, e le trappole a scatto. La preoccupazione suscitata daquesti metodi, considerati inutilmente cruenti, promosse la ri-cerca di nuove tecniche meno crudeli che a sua volta ha portatoalla redazione di standard internazionali sull’efficienza delletrappole e sull’assenza di crudeltà delle metodologie impiegate.Attualmente, i responsabili del controllo della fauna selvaticautilizzano trappole diverse e meno lesive. La Nuova Zelanda nonha soltanto redatto nuovi standard che prendono in considera-zione il benessere degli opossum, ma il World ConservationUnion ha proposto la creazione di un solo standard internazio-nale per le trappole.I programmi di eradicazione di mammiferi e di uccelli stanno ca-talizzando sempre più attenzione in tutto il mondo, per via delforte impatto che i metodi utilizzati hanno sul benessere dellespecie61. Gli animali, sia che si tratti di animali considerati “dan-nosi” o di animali da compagnia, provano dolore allo stesso mo-do; l’interesse del pubblico per gli “animali dannosi” in quantoesseri senzienti, sta crescendo in tutto il mondo. Il fenomeno vadi pari passo con l’aumento dell’interesse e del coinvolgimentoda parte delle organizzazioni per la difesa degli animali62. Il pub-blico dovrebbe essere pienamente informato sui programmi dieradicazione, i cui costi e benefici, etici e non, così come gliobiettivi, dovrebbero essere chiaramente delineati. I metodi sceltidovrebbero essere i meno crudeli che esistono. Gli animali-bersa-glio non dovrebbero essere rappresentati negativamente al soloscopo di ottenere l’appoggio del pubblico. Evitare di causare sof-ferenze agli animali da eradicare e alle potenziali vittime deveessere una priorità.

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60 Litton et Mellor, 200561 Thiriet, 2007; McEwen 2008; Warburton and Norton 200962 Littin & Mellor, 2005; Schmidt, R.H. 1989; de Boo, J., Knight, A., 2005

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Secondo l’utilitarismo filosofico di Peter Singer (1990), i beneficidi un’operazione di eradicazione devono superare i costi etici. Icosti etici in termini di imprevedibilità dei risultati di tali pro-grammi, dei loro effetti secondari e delle vittime accidentali nongiustificano la sofferenza imposta. I casi di fallimento sono ab-bastanza comuni, al punto da costituire una preoccupazioneconcreta. In tutti questi casi, i costi sono stati enormi, sia in ter-mini finanziari sia in quantità di sofferenza causata agli animaliuccisi, senza peraltro ottenere benefici. Osservando diversi studirealizzati in Nuova Zelanda, vediamo che 159 programmi sonostati considerati riusciti, mentre altri 15 (l’8%) sono falliti; per itopi i dati sono 30 programmi di successo con il 19% di falli-mento (7 casi), per le capre, 120 successi e l’8% di fallimenti (10casi); per i gatti forastici abbiamo 79 successi con il 18% di falli-menti (17 casi)63. Ma tutto questo, senza sapere veramente qualisono le condizioni post-eradicazione delle isole e se il termine“successo” si riferisce soltanto alla rimozione totale degli animalio alla ripresa dell’ecosistema, riportato alle sue condizioni pre-invasione.Le decisioni etiche che assumiamo, derivano dall’insieme di valoridi cui siamo portatori, che a sua volta è il prodotto della nostracultura, religione, di ciò in cui crediamo, delle nostre intuizioni,delle esperienze che abbiamo avuto nell’infanzia e dell’educazio-ne. La scienza non è libera da pregiudizi, sia i cittadini che gliscienziati sono intrisi della loro cultura e di ciò in cui credono.Mentre il benessere animale appartiene al campo della scienza, ilmodo in cui ognuno di noi interpreta l’umanità e giustifica iltrattamento degli animali non umani è più personale e filosofico.La questione della considerazione degli animali in quanto esserisenzienti è un punto importante nella gestione delle cosiddettespecie “dannose”. Anche se il pubblico può reagire in modo diver-so a seconda della specie combattuta, la tendenza verso unamaggiore protezione dei diritti degli animali non è un processoreversibile e attraversa la società in modo verticale. I politici e idifensori dei diritti degli animali devono trovare dei punti dicontatto per poter discutere e trovare una soluzione accettabileper tutte le parti, anche perché solo così può essere vincente eduratura. I biologi della conservazione e i difensori dei diritti degli animalisi preoccupano entrambi degli animali, ma mentre i primi li con-

siderano dei beni, delle proprietà, i secondi li considerano esserisenzienti, come afferma il Trattato dell’Unione Europea. I biologidella conservazione vogliono proteggere, preservare, e ripristina-re sia le specie che interi ecosistemi per mezzo di metodi, senzatener conto del dolore e dello stress che queste tecniche causanoagli animali combattuti. Essi spesso accusano i difensori dei dirit-ti degli animali di cinismo nei confronti delle specie native e dipreoccuparsi soltanto di quelle “invasive”, o di essere sentimen-tali nei confronti di gatti forastici, scoiattoli, volpi, e di altri animali che suscitano tenerezza. Eppure, i programmi di eradica-zione non colpiscono soltanto le specie bersaglio, ma anche lealtre64. Questi progetti possono durare anni durante i quali cen-tinaia, o anche migliaia di animali vengono sterminati con grandisofferenze. TAVOLA 1.

63 Nogales, 2004; Campbell e Donlan 2005; Clout e Russell, 2006; Howald et al. 200764 Cowan, 1992

Tavola 1. Le isole più grandi dove l’eradicazione è stata considerata un successo. Nel caso delle mucche, sono state eradicate solo da una zona dell’isola di Amsterdam.

Mammiferi Isola e paese Dimensioni Metodo Stima Durata intervento(km2) eradicazione (anni)

Volpe artica Attu, Alaska, USA 905,8 Caccia e trappole 373 ?Ratto comune St Paul, Francia 8 Veleno 8-12000 3Tricosuro Rangitoto-Motutapu, 38,5 Caccia, trappole, cani 21000 8volpino Nuova ZelandaWallaby delle rocce Rangitoto-Motutapu, 38,5 Veleno, trappole, cani 12500 8dalla coda a spazzola Nuova ZelandaGatto Marion, Sub antartico 190 Controllo biologico, 2790+ 1124 19

trappole, caccia, velenoMucche Amsterdam, Oceano Indiano 55 Caccia 1059 2Anitra San Clemente, California 148 Caccia, trappole 30000 19Topo Enderby, Nuova Zelanda 7,1 Veleno ? 3Ratto norvegese Langara, Canada 32,5 Veleno 3000 <1Maiale Santiago, Galapagos 584,6 Caccia, cani 19210 27Ratto del Pacifico Kapiti, Nuova Zelanda 19,7 Veleno ? <1Coniglio Enderby, NZ 7,1 Veleno ? 3Volpe Dolphin, Australia 32,8 Veleno 30 10Pecora Campbell, Nuova Zelanda 112,2 Caccia ? 21

Adattata da Courchamp et al. (2003) Mammals invaders on islands

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Per i sostenitori dei diritti degli animali, la crudeltà non è un’op-zione, e i metodi generalmente impiegati dai biologi non sonoconsiderati etici. I difensori dei diritti degli animali condividonoil pensiero che Jeremy Bentham anticipò nel XVIII secolo, soste-nendo che il problema degli animali non è “Possono ragionare?”,né “Possono parlare?”, ma “Possono soffrire?”. I difensori dei di-ritti degli animali vogliono diminuire la sofferenza di questi.Mentre la gran parte dei biologi sono interessati ai risultatiquantitativi, gli attivisti si preoccupano del destino degli animali.

Quali sono i metodi non cruenti per il controllo della faunaselvatica?

I modelli attualmente utilizzati per l’eradicazione dei vertebratiprendono in considerazione la sicurezza, i costi, la fattibilità, l’ef-ficacia, la disponibilità, il periodo, le condizioni atmosferiche, e larichiesta di mano d’opera. È necessario che il benessere animaleentri a far parte del modello decisionale, come in effetti, dovreb-be essere65. La crudeltà di un metodo di eradicazione dipende daldolore e dallo stress che causa, dalla durata della sofferenza e dalnumero di animali colpiti66. Come indica Litton (2004) dovrem-mo ridurre la sofferenza che causiamo agli animali ed è necessa-rio realizzare ulteriori studi scientifici per sviluppare metodimeno crudeli. Inoltre, la possibilità dell’eutanasia dovrebbe esserenormalmente presa in considerazione. Fisher (1998) ha elencato alcuni pensieri di buon senso, che do-vrebbero essere sempre tenuti presenti:

• “Gli animali sono esseri senzienti, e quindi per loro è impor-tante il modo in cui vengono trattati;

• siamo responsabili degli animali che dipendono dalle nostredecisioni;

• non bisognerebbe mai far soffrire gli animali, a meno chenon sia assolutamente necessario;

• nel trattare gli animali bisognerebbe usare quei modi che im-pongono loro meno sofferenze;

• alcune sofferenze imposte agli animali dovrebbero essereproibite, indipendentemente dal beneficio che se ne puòtrarre”.

In effetti, l’importanza sempre maggiore che si dà al benessereanimale, sta portando la ricerca scientifica verso metodi di con-trollo più umani, ma è assolutamente necessario che si stabiliscauna politica di benessere rispetto agli animali selvatici.Le leggi esistenti sono tese a proteggere le persone e la biodiver-sità dall’impatto delle specie invasive, ma quali sono gli obblighilegislativi, in Italia e nell’Unione Europea, volti a ridurre ed evita-re metodi cruenti di controllo delle specie selvatiche, minimiz-zando la loro sofferenza?

Alternative non cruente per il controllo degli animali selvatici

Esistono metodi di controllo non letali delle specie aliene chepossono essere utilizzati con successo. Strumenti quali le barriere

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65 Schmidt, 198966 Gregory et al., 1996

Foto Dreamstime

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fisiche, le barriere elettriche o quelle metalliche per impedirel’accesso ai vertebrati o i repellenti chimici contro uccelli, rodito-ri, insettivori e ungulati, sono certamente meno cruenti ed evita-no danni all’agricoltura. Le trappole per la cattura in vivo e ilcontrollo della fertilità e della riproduzione dovrebbero essereusati ogni volta che sia possibile. Tutti questi metodi possono es-sere usati in combinazione con altre misure. Nel 2005 è statoportato a termine un progetto di eradicazione di gatti forasticisull’isola d’Elba senza l’uso di metodi cruenti. I gatti furono cat-turati con l’aiuto di volontari e trasferiti sul continente, dove fu-rono sterilizzati e rilasciati presso colonie feline locali. Nel 2000,presso il Melbourne Royal Botanical Gardens, gli attivisti per i di-ritti degli animali bloccarono un tentativo di decimare una colo-nia di volpi volanti dalla testa grigia, Pteropus poliocephalus. Nel2002, venne messo in atto un nuovo programma che si propone-va di trasferire una colonia di volpi volanti con l’aiuto di deter-renti acustici e il trasporto di un certo numero di individui nellasede stabilita. La colonia non si trasferì nel luogo designato, main altre zone e alla fine si stabilì nello Yarra Bend Park, a Kew, dadove non fu più allontanata.Forse il vero problema sta nel fatto che per i biologi della conser-vazione le considerazioni economiche sono più importanti diquelle etiche e sociali. Un piano di eradicazione basato sull’ucci-sione per mezzo di armi da fuoco è meno costoso dello stessopiano basato su trappole in vivo e trasferimenti ed è più probabi-le, quindi, che venga approvato dai politici. Allo stesso tempo, ilnon prendere in considerazione il benessere degli animali in og-getto, scatenerà l’opposizione dell’opinione pubblica, mettendo arischio l’immagine pubblica dei politici che sostengono questiprogetti. Il fallimento del progetto di eradicazione dello scoiatto-lo grigio, Sciurus carolinensis, iniziato nell’aprile del 1997 in Pie-monte, fu dovuto all’opposizione dell’opinione pubblica e delleorganizzazioni per i diritti degli animali. Solo con la collaborazio-ne tra i biologi della conservazione e i sostenitori dei diritti deglianimali sarà possibile trovare una soluzione. Un piano basato sumetodi non crudeli godrà del sostegno da parte dell’opinionepubblica e avrà più possibilità di avere successo a lungo terminee sarà, tra l’altro, più conveniente da un punto di vista finanzia-rio67.

Il controllo della fertilità

Il controllo della fertilità è forse il metodo più umano ed efficaceper la gestione delle popolazioni selvatiche. Questa tecnica offremolti vantaggi rispetto ai metodi di rimozione più tradizionali. Èefficace perché consente di ottenere una riduzione costante del-la popolazione e, non facendo uso di veleni, ha un minor impattosull’ambiente. Inoltre, essendo pensato per non causare sofferen-za, è eticamente accettabile, oltre che specie-specifico. L’immu-nocontraccezione, che usa un virus come vettore, si diffondeautonomamente e può quindi essere usata per gestire grandiaree ad un costo molto basso.Il controllo della fertilità si può ottenere sia con tecniche mecca-niche che chirurgiche: l’alterazione endocrina e l’immunocon-traccezione. Le tecniche chirurgiche richiedono la cattura deglianimali, il che rende il metodo molto costoso e impossibile daapplicare nella maggior parte di specie selvatiche. L’alterazione

endocrina richiede l’impianto di ormoni steroidei e non steroideiper alterare il funzionamento ormonale. I vaccini immunocon-traccettivi stimolano la risposta del sistema immunitario e im-munizzano l’animale da una proteina, come la membranaglicoproteica che avvolge l’uovo o le proteine dello sperma, o daun ormone, come il GnRH, necessari per la riproduzione. Alcunidi questi vaccini possono essere somministrati anche a distanza.Questa tecnologia fa uso di un fucile ad aria compressa che spa-ra un proiettile bio-assorbibile o una freccia contenente il vacci-no. Sono stati studiati vettori microbici, batterici e virali persomministrare i vaccini a diverse specie selvatiche. Facendo usodi tali vettori, il PZP o il GnRH, che provocano l’inibizione dellafertilità, possono essere somministrati alle specie oggetto di con-trollo68. Quando un individuo viene infettato dall’immunocon-traccezione veicolata da virus (VVIC), il suo sistema immunitarioattacca le sue stesse cellule riproduttive rendendo sterile l’ani-male. Gli individui sono infettati attraverso una proteina dei ga-meti che stimola la risposta immunitaria: gli anticorpi prodotti silegano a queste proteine e bloccano la fertilizzazione69. L’VVICutilizza un virus specie-specifico per diffondere il vaccino tra lapopolazione, introducendo il gene che racchiude (encode) la pro-teina riproduttiva nel genoma del virus70. Queste tecniche sonostate utilizzate con diverso successo sugli scoiattoli di terra,Spermophilus beecheyi71, cani e gatti forastici, cavalli selvatici,Equus caballus, elefanti africani, Loxodonta africana, tra le altrespecie. Kirkpatrick (2011) indica che al momento attuale sono 76le specie esotiche e 6 le specie selvatiche in libertà che vengonocontrollate con l’uso dell’immunocontraccezione PZP. L’VVIC èconsiderata adatta a specie che vivono in aree grandi ed inacces-sibili. I vettori dei microorganismi ricombinanti potrebbero esseredisseminati tramite trasmissione sessuale, contagio, oralmente oper mezzo di un artropode portatore72. Il controllo della fertilitàper mezzo dei vaccini è oggi una realtà.In Australia, nonostante gli intensi sforzi per eradicarli, gli opos-sum continuano ad essere considerati una delle più grandi mi-nacce per i raccolti locali. Le popolazioni di opposum ridottedalle esche cariche di composto 1080, si riprendono grazie allacolonizzazione e ad una maggiore riproduzione, e una continuagestione, con queste modalità, diventa molto onerosa. Inoltre, gliopossum imparano ad evitare il veleno non consumando le escheavvelenate. Alcuni scienziati hanno manipolato geneticamentedelle carote, un cibo molto apprezzato da questi animali, perchépossano esprimere la zona pellucida. Iniettata negli animali, hacreato un calo massimo della fertilità del 75%. Courchamp e Cornell (2000) propongono di utilizzare l’immuno-contraccezione come alternativa all’uso di anticoagulanti, del vi-rus della panleucopenia felina, della caccia, del trappolaggio edell’uccisione con armi da fuoco nel controllo dei gatti forastici.Nella loro simulazione matematica, analizzano l’VVIC. Miller etal. (2004) hanno dimostrato che un vaccino GnRH ha avuto deirisultati promettenti nei gatti maschi. Più recentemente, Levy(2001) ha pubblicato uno studio sulla fertilità a lungo terminedelle gatte, che indica che l’immunocontraccezione per mezzodel GnRH è efficace anche nel gatto.I roditori sono per lo più specie r-strateghe: esse raggiungono lamaturità sessuale presto, portano a termine diverse gravidanzel’anno dopo una gestazione breve, hanno un alto tasso di disper-

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67 Perry, 200468 Kirkpatrick, 201169 Bradley, Hinds, & Bird, 197770 Tyndale-Biscoe, 199471 Nash et al., 200472 Tundale-Biscoe, 1994

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sione dei giovani e una breve aspettativa di vita. Il topo domesti-co, Mus domesticus, ha un’aspettativa di vita in libertà che vadai quattro ai sei mesi; le femmine possono partorire ogni 21giorni e una coppia di topi può dare vita a centinaia di piccolinel corso della loro vita. Queste specie vengono controllate piùefficacemente limitando il loro potenziale riproduttivo piuttostoche aumentando la mortalità, che è ciò che fanno i veleni. Nel1997, Miller et al. paragonarono l’efficacia di due vaccini con-traccettivi sul ratto norgevese, Rattus novergicus: la zona pellu-cida estratta dal topo (mouse zona pellucida peptide) e l’ormoneGnRH. Scoprirono che il GnRH provoca un’infertilità del 100% sianei maschi che nelle femmine e potrebbe essere usato per con-trollare l’espansione dei ratti in natura. Ci sono anche contraccettivi aviari in fase di studio. Il Diazacon èun farmaco che venne sviluppato per controllare il livello di co-lesterolo nell’essere umano. Inibisce la conversione di desmoste-rolo in colesterolo, bloccando indirettamente la produzione diormoni che dipendono dal colesterolo per la produzione di sper-ma e di uova. Può essere somministrato nel cibo ed è stato stu-diato su diverse specie aviarie73. La Nicarbazina vienecomunemente utilizzata per prevenire la coccidiosi nei polli daallevamento. È usata come antifecondativo con diverse specieaviarie poiché distrugge la membrana del tuorlo nell’uovo e puòessere somministrata nel cibo (piccioni, anseriformi).

Intervista con Jay Kirkpatrick

Jay Kirkpatrick è il direttore del Science and Conservation Center,in Montana, negli Stati Uniti. Il centro, creato nel 1998, è un’or-ganizzazione non-profit indipendente che si dedica al controllodella fertilità delle specie selvatiche con metodi non cruenti. Kir-kpatrick, forse il più grande esperto al mondo di immunocon-traccezione, conduce ricerche in questo campo da oltre 40 anni.Nel corso dei suoi studi, ha elaborato tecniche eticamente accet-tabili e non cruente per il controllo della fertilità e metodi di ri-cerca sulla riproduzione delle specie selvatiche che non fannoricorso alla cattura degli animali.

Come ha cominciato a lavorare sull’immunocontraccezione?Nel 1971, il Congresso approvò la Wild Free-Roaming Horses andBurros Act, una legge che garantiva la protezione completa deicavalli selvatici. A quel tempo, le mandrie di cavalli venivano te-nute sotto controllo con l’abbattimento – i cavalli venivano cat-turati e mandati al macello, non esistevano gruppi dimonitoraggio, non c’era niente – ma questo sistema brutalecausò un’esplosione demografica della popolazione. Il Bureau ofLand Management e lo U.S. Forest Service vennero incaricati dicontrollare il numero di cavalli selvatici presenti su terreni pub-blici. Io stavo cominciando la mia carriera, e il Bureau of LandManagement ci contattò per chiederci aiuto nello sterilizzare icavalli selvatici.Da allora, qui al Science and Conservation Center in Montanaabbiamo lavorato con successo su cinque gruppi diversi di ani-mali. Abbiamo sterilizzato cavalli, equini in generale; cervi pre-senti nelle zone urbane, dove la caccia non è legale o non èsicura; animali negli zoo in luoghi come l’Australia o Tel Aviv, inIsraele. Abbiamo lavorato con 85 specie di animali diversi tenutiin cattività negli zoo. In Africa, abbiamo sterilizzato elefantiafricani in 14 o 15 parchi diversi. Abbiamo anche intrapresoprogetti più piccoli, come la sterilizzazione del wapiti, del buffa-lo indiano. L’immunocontraccezione è stata testata con succes-so non solo sugli ungulati, ma anche sugli elefanti, i pinnipedi,gli orsi e persino i pipistrelli.

Lavora nel campo dell’immunocontraccezione da circa 40 anni.Quali sono gli ostacoli principali che ha trovato al momento diutilizzare la tecnica sul campo? Problemi tecnici nella sommi-nistrazione del vaccino, conseguenze indesiderate o inaspetta-te, l’opposizione dei cacciatori, o altro ancora?Ci sono diversi problemi, alcuni dei quali sono scientifici, ma iveri ostacoli alla diffusione dell’immunocontraccezione sono so-ciali, politici, culturali ed economici. E anche biologici. Gli analo-ghi del GnRH saranno probabilmente la soluzione per i gatti eper i cani, ma quando si tratta di animali molto sociali come icavalli, non si può interferire con il loro comportamento. Non sipuò interferire con la complessità del comportamento del caval-lo selvatico, o di quello degli elefanti.

Potrebbe riassumere brevemente i vantaggi e le diversità deivaccini PZP rispetto a quelli GnRH?È stato dimostrato che i vaccini PZP sono sicuri e hanno diversivantaggi rispetto agli analoghi del GnRH: sono tessuto-specifi-ci, non creano reattività crociata con altri tessuti e con gli or-moni delle proteine. Bloccano la fertilizzazione, ma noninterferiscono con il comportamento naturale, come la coesionedella mandria e le interazioni sociali. Quando vengono sommini-strati ad un animale gravido, non causano un aborto, come suc-cede con gli anticontraccettivi GnRH in alcune specie. Non solo,ma le femmine trattate sono in condizioni di salute migliori,perché vengono risparmiati loro i costi della gravidanza e del-l’allattamento. Sono stati individuati dei ricettori per il GnRH intutto il corpo, nel cuore, nel cerebello, nel fluido spinale. Non sisa ancora se questo ha o non ha un significato a livello clinicoper gli animali selvatici. Il Lupron è un medicinale utilizzato percurare il tumore alla prostata negli uomini. Come altri agonistiGnRH diminuisce gli ormoni maschili e rallenta la crescita deltumore oppure lo fa rimpiccolire. Gli uomini trattati con questomedicinale hanno mostrato di essere a più alto rischio di infar-to.Ad ogni modo, se si desidera eliminare certi comportamenti, co-me nel caso degli animali domestici, ci sono strumenti, come ivaccini e gli analoghi GnRH sono più efficaci della PZP.

So che specie diverse esibiscono un diverso grado di reversibi-lità dell’infertilità. Ci sono specie in cui l’infertilità diventa ir-reversibile?Dipende dalla specie, ma anche dalla durata della somministra-zione del contraccettivo. Per quanto riguarda i cavalli, abbiamomolti più dati e sappiamo che si può somministrare il vaccino aun cavallo per cinque anni consecutivi e tornerà comunque fer-tile dopo qualche anno. Un cavallo a cui viene somministrato ilvaccino per tre anni di seguito torna fertile dopo quattro o piùanni. La media è di quattro anni, il campo di variazione va dauno a dieci anni. Nei cavalli trattati per sette anni consecutivil’infertilità diventa irreversibile.Ogni specie è diversa per quanto riguarda la reversione dell’in-fertilità. Gli elefanti possono essere vaccinati per diversi anniconsecutivi, ma ritornano fertili dopo 18 mesi.Ci sono anche degli effetti positivi: la salute migliora, la morta-lità diminuisce e aumenta la longevità.

Quali sono i costi a breve e a lungo termine dell’applicazionedell’immunocontraccezione rispetto ai metodi tradizionali diabbattimento, come la caccia?Se si è a favore della contraccezione, è possibile far scendere icosti. Bisogna considerare il costo dell’addestramento. Il perso-nale deve essere addestrato per somministrare il vaccino con i

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73 Yoder et al., 2005

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fucili ad aria compressa e per saper trattare con gli animali. Noioffriamo un laboratorio di tre giorni, i cui costo è di $200 più lespese di viaggio.Poi, c’è il costo delle attrezzature. I fucili ad aria compressa van-no dai 900 a diverse migliaia di dollari; esistono diversi stru-menti per la somministrazione del vaccino, dipende da quelloche si sceglie.I veri costi sono quelli della mano d’opera. Il costo del vaccino èmolto contenuto, $24 a vaccino. Non si diventa ricchi con lacontraccezione della fauna selvatica! Il costo della mano d’ope-ra può arrivare a 50,000 dollari all’anno. Una soluzione è adde-strare dei volontari, o i guardiaparco. Il vantaggio quando sicoinvolge il pubblico nella gestione della fauna selvatica è cheriduce il conflitto. La relazione conflittuale tra chi gestisce glianimali e l’opinione pubblica si riduce.

La somministrazione del vaccino a distanza è sicura? Ci sonodelle specie che sviluppano dei granulomi nel luogo dell’inie-zione? Come si identificano dopo gli individui vaccinati?Innanzi tutto, è necessario distinguere un ascesso da un granu-loma. Il primo è un gonfiore che eventualmente si apre e poi siasciuga. Si presenta raramente e non è niente di grave. I granu-lomi sono molto comuni, e non sono altro che un rigonfiamentoduro che si forma sotto la pelle e non ha conseguenze per la sa-lute.In alcuni parchi per la fauna selvatica ci sono persone addettealla gestione degli animali che li controllano ogni giorno e quin-di riconoscono ciascun individuo. Ad ogni modo, è possibile uti-lizzare una chiave di identificazione per riconoscere gli animali.Per distinguere i cavalli selvatici si possono usare i colori diversi,le macchie che hanno sul muso o sulle zampe (balzane alto cal-zato, piccola balzana, principio di balzana, quattro zampe diver-se, ci sono oltre mille permutazioni possibili). Si possonoutilizzare anche altri metodi. A volte, non è necessario ricono-scere ogni singolo individuo, ma basta il gruppo sociale. I dainihanno delle macchie che sono come le impronte digitali, diversesu ogni animale. Infine, se non ci sono altre opzioni, si utilizzaquello che chiamiamo “bombardamento a saturazione”. Questosignifica che si vaccina ogni daino che si incontra. Naturalmen-te, alcuni daini non verranno vaccinati il primo anno, ma ripe-tendo l’operazione l’anno seguente e poi ancora per 3-5 anni siraggiunge l’obiettivo desiderato.

Qual è la percentuale della popolazione che è necessario vac-cinare per ottenere un calo sostanziale della popolazione?La risposta dipende dalla popolazione in questione. Dipende an-che dal tasso di fertilità, dal tasso di mortalità, dalla percentualidei sessi… Volendo generalizzare, bisogna vaccinare tra il 60 e il75% delle femmine. Ma dipende anche dall’obiettivo che ci si èposti, che può essere far diminuire la mandria, oppure raggiun-gere una crescita zero.

Lei lavora con i grandi erbivori, ma crede che l’uso dell’immu-nocontraccezione possa espandersi anche ad animali più pic-coli e ai carnivori?Sì, naturalmente. Ci sono delle squadre di esperti in Australiache stanno lavorando con i canguri, altre in Inghilterra che la-vorano con gli scoiattoli grigi. Al momento si sta studiandoquesto metodo con i cani selvatici, diverse specie di uccelli eogni genere di animale. L’immunocontraccezione è la rispostaquando i metodi tradizionali letali di controllo non sono più le-gali, né saggi, né sicuri o accettabili per il pubblico.

6. LE “SPECIE ALIENE” IN ITALIA

“Noi dovremmo adottare un’altra concezione, piùsaggia, e forse più intuitiva, degli animali. L’uomocivilizzato, che conduce lontano dalla natura uni-versale un’esistenza artificiale e complicata, liosserva attraverso la lente delle proprie cono-scenze, che gli restituisce un’immagine enorme-mente deformata. Noi trattiamo gli animali concondiscendenza, come se fossero creature incom-plete alle quali un tragico destino abbia impostodelle forme molto inferiori alle nostre. E lì è il no-stro errore. Perché non si devono misurare glianimali col metro dell’uomo. In un mondo più an-tico e più completo del nostro, sono creaturecomplete e finite, dotate di un’estensione deisensi che noi abbiamo perso o non abbiamo maiposseduto, e che agiscono in ottemperanza a vo-ci che noi non udiremo mai. Non sono per noi deifratelli; non sono esseri inferiori. Sono altre na-zioni, prese, insieme a noi, nella rete della vita edel tempo, compagni di prigionia nello splendoree nel travaglio di questa Terra”

Henry Beston, La casa alla fine del mondo, 1928

Secondo le stime del Progetto DAISIE (Delivering Alien InvasiveSpecies Inventories in Europe, Costituzione di inventari delle spe-cie invasive aliene in Europa), in Italia ci sono 1516 specie alloc-tone, di cui 253 si trovano in Sicilia e 302 in Sardegna. Nel MarMediterraneo sono presenti 120 specie alloctone, che hanno unforte impatto sull’ecosistema e sull’economia.Delle 40 specie di anfibi presenti in Italia, il 40% (18 specie) sonoendemiche e il 7% sono specie introdotte stabilizzate.Tutte le specie introdotte appartengono all’ordine degli Anuri: larana toro, Lithobates catesbeinaus, fu introdotta tra il 1932 e il1937 e ora si trova in tutto il centro-nord della penisola; la ranadei Balcani, Pelophylax kurtmuelleri, introdotta nel 1941 si staespandendo rapidamente nel nord del Paese;la rana verde mag-giore, Pelophylax ridibundus, e lo xenopo liscio, Xenopus laevis,la più recente delle “specie aliene” introdotte, si trova soltanto inSicilia74. La rana toro venne introdotta intenzionalmente in di-versi paesi a scopo alimentare, e ora è considerata una specie no-civa ovunque. Essa entra in competizione con le specie di anfibilocali, di cui è predatrice, inoltre ha un impatto deleterio su mol-te specie acquatiche, ed è probabilmente un vettore del B. den-drobatidis, un chitride che provoca un’infezione che stadecimando popolazioni intere di anfibi in tutto il mondo.In Italia, ci sono 57 specie di rettili75, di cui solo quattro sono en-demiche. Esse rappresentano il 7% delle specie totali, mentre il10% sono specie introdotte. La tartaruga dalle guance rosse, Tra-chemys scripta elegans, specie stabilizzata, è diffusa in tutta lapenisola; ampliamente commercializzata è stata poi ripetuta-mente rilasciata nell’ambiente. Altre specie di rettili acclimatatein Italia sono le tartarughe acquatiche appartenenti al genereMauremys (M. leprosa e M. caspica, entrambe non stabilizzate),la tartaruga greca, Testudo graeca, la tartaruga greca, Testudomarginata, il camaleonte, Chamaleo chameleon, il geco di Kot-schy, Mediodactylus kotschyi, stabilizzata, e l’Agama agama,una specie di lucertola non stabilizzata. La tartaruga grega e lamarginata vennero introdotte nel paese in tempi storici e ora so-no specie stabilizzate, mentre il camaleonte ha raggiunto la Sici-lia e la Puglia - dove è stato ripetutamente osservato - a bordo

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74 Lanza et al., 200775 Sindaco et al., 2006

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delle imbarcazioni. La minaccia più grande è rappresentata dallatartaruga dalle guance rosse, che compete per le risorse con latestuggine palustre europea, Emys orbicularis, una specie consi-derata a rischio.

SPECIE DI VERTEBRATI ITALIANIAnfibi: 40 specie, di cui 18 endemiche e 4 introdotte. Rettili: 57 specie, di cui 4 endemiche.Uccelli: 529 specie.Mammiferi:Insettivori: 16 specie di cui 3 endemiche con 21 sottospecie.Chirotteri: 29 specie, di cui soltanto Myotis bluthii

oxygnanthus è considerata endemica.Lagomorfi: 6 specie, di cui 4 endemiche.Carnivori: 17 specie, di cui molte in pericolo perché cacciate

in quanto considerate specie dannose fino a tempirecenti.

Cetacei: 13 specie sono state osservate nelle acque italiane.Artiodattili: 9 specie, di cui 5 sono sub-endemiche.

Mammiferi non indigeni

Due sottospecie di coniglio, O. cuniculus e O. huxleyi, specie sta-bilizzate. Native della Penisola Iberica, queste specie di coniglivennero introdotte in Italia durante l’Impero Romano. Impatto:overgrazing (sfruttamento troppo intenso del pascolo); funge daserbatoio per il virus della mixomatosi.

Lepre sarda, Lepus capensis, specie stabilizzata. Introdotta intempi paleolitici, si pensa che possa competere con la lepre en-demica italiana, Lepus corsicanus.

Silvilago, Sylvilagus floridanus, specie stabilizzata. Introdotto inPiemonte negli anni Sessanta per essere cacciato. Impatto: puòdanneggiare i raccolti; è un vettore della mixomatosi, del Rabbithaemorrhagic disease virus, e di un fungo dermatofito trasmissi-bile all’uomo.

Scoiattolo grigio americano, Sciurus carolinensis, specie stabiliz-zata. Introdotta nel 1948 a Torino, in Piemonte, attualmente èdiffuso nel Nord Ovest e considerato una minaccia per lo scoiat-tolo rosso nativo, S. vulgaris.

Scoiattolo variabile, Callosciurus finlaynsonii, specie stabilizzata.Nativo della Thailandia centrale. Impatto: scortecciamento deglialberi e competizione con specie passeracee locali per i nidi. Am-piamente venduto come animale da compagnia, è scappato ripe-tutamente e ha stabilito popolazioni selvatiche in diversi paesieuropei. In Italia, si trova nella zona nord del paese.

Tamia siberiano, Tamias sibiricus, specie stabilizzata. Originariodella Russia settentrionale, fino alla Cina e al Giappone. La spe-cie, ampiamente commercializzata, è ripetutamente sfuggita allacattività oppure è stata volontariamente rilasciata e ora è pre-sente in diversi paesi europei. In Italia ha formato dei nucleiprincipalmente al nord. Impatto: danneggia i raccolti di cereali epreda uova e uccelli di luì scuro.

Topo muschiato, Ondatra zibethicus, specie di status sconosciu-to. Nativo dell’America del Nord, è stato introdotto in Europa perla sua pelliccia. Scappato dagli allevamenti ora è presente in na-tura in Europa, in Asia e nel Sud America. In Italia si trova solonel Friuli-Venezia-Giulia.

Topo domestico, Mus domesticus, specie stabilizzata. È una spe-cie commensale che si adatta anche ad habitat dove l’uomo non

è presente. Impatto: preda diverse specie di invertebrati, danneg-gia i raccolti e, sulle isole, preda le uova e i pulcini degli uccellimarini.

Ratto nero o dei tetti, Rattus rattus, specie stabilizzata. Fu intro-dotto in Italia in tempi paleolitici; i ritrovamenti archeologici di-mostrano che era presente in Sardegna già 5.000 anni fa76.Impatto: preda gli uccelli marini e terrestri, sia che nidifichino aterra o sugli alberi; danneggia i raccolti e i frutteti. Agisce comeserbatoio di diverse malattie trasmissibili all’uomo e agli animalidomestici.

Ratto delle chiaviche, Rattus norvegicus, specie stabilizzata. InItalia, è stato osservato sin dalla metà del XVIII secolo e ora è dif-fuso in tutto il territorio. Impatto: come per il ratto nero.

Nutria, Myocastor coypus, specie stabilizzata. Nativa dell’Ameri-ca del Sud, è stata allevata per la sua pelliccia in diverse zone delmondo. Venne importata in Italia nel 1928 e dagli anni Sessantain poi è stata rilasciata in natura. Impatto: può arrecare danni al-le coltivazioni e alla vegetazione acquatica e danneggiare i siste-mi di irrigazione e gli argini dei fiumi perché scava cunicoli.

Cane procione, Nyectereutes proconides, specie non stabilizzata.Nativo dell’Asia orientale, venne introdotto in Russia dal 1928 al1958 per utilizzarne la pelliccia e da allora è migrato raggiun-gendo gran parte dell’Europa. Impatto: preda gli uccelli, special-mente le specie ornitiche acquatiche.

Procione comune o orsetto lavatore, Procyon lotor, specie nonstabilizzata. Originario dell’America del Nord. Impatto: preda gliuccelli e gli anfibi.

Visone americano, Neovison vison, specie stabilizzata. Fu intro-dotto in Europa per utilizzarne la pelliccia. Si è espanso rapida-mente e in Italia si trova nel nord-est, ma è stato segnalatoanche al centro77. Impatto: potrebbe ibridarsi con il visone euro-peo, Mustela lutreola, e competere con il visone e la lontra, Lutralutra.

76 Spagnesi e Toso, 199977 Spagnesi e Toso, 1999

Cane procione

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Genetta, Genetta genetta, specie non stabilizzata. È presente indiversi paesi europei. Impatto: funge da vettore per diverse zoo-nosi e danneggia i raccolti.

Daino, Dama dama, secondo Masseti (1996) non è possibile defi-nire se il daino sia o meno una specie alloctona. Venne introdot-to in tempi antichi per essere cacciato in tutta l’Europa.Sicuramente, era presente a Castelporziano nell’XI secolo e a SanRossore nel XIV secolo. Impatto: compete con il capriolo, Capreo-lus capreolus, e con il cervo, Cervus elaphus, e funge da serbato-io per diverse malattie degli animali da “allevamento”.

Muflone, Ovis aries musimon, specie stabilizzata. Indigeno del-l’Asia occidentale, probabilmente è stato introdotto in Sardegnae in Corsica durante il Neolitico. Impatto: compete con il camo-scio alpino, Rupicapra rupicapra, e con il camoscio appenninico,R. pyrenaica ornata.

Ammotrago, Ammotragus lervia, specie non stabilizzata. Origi-nario dell’Africa sahariana e delle zone africane aride (Algeria,Ciad, Libia, Mali, Niger, Sudan), è una specie vulnerabile (VU). Èstato introdotto in Spagna, Stati Uniti e Messico. La popolazionepresente a Varese è il risultato di una fuga di individui detenutiin cattività78.

Cinghiale euroasiatico, Sus s. scrofa, specie stabilizzata. Si trattadi una delle specie di mammiferi più diffuse al mondo. Si trovanell’Europa occidentale e nel Mediterraneo fino all’Asia orientalee in Giappone. È stato introdotto in Australia, Nuova Zelanda,America del Nord e del Sud ed è stato reintrodotto in Inghilterra.È più grande e più forte della sottospecie indigena Sus scrofamajori, originaria della penisola italiana, e Sus scrofa meridiona-lis, presente solo in Sardegna ma che ha un’origine diversa, pro-venendo da antichi maiali selvatici che si sono poi incrociati conmaiali domestici più moderni79. L’introduzione del cinghiale eu-roasiatico in Italia negli anni Cinquanta, ha causato la quasi to-tale scomparsa delle sottospecie locali.

Specie ornitiche non indigene

Pellicano rossiccio, Pelecanus rufescens, specie non stabilizzata.Nativo dell’Africa tropicale e dell’Arabia sud-occidentale si spostaper dispersione naturale. È stato avvistato più volte in Italia, inregioni diverse.

Airone schistaceo, Egretta gularis, specie non stabilizzata. Vivelungo le coste dell’Africa, fino al Mar Rosso e all’India. Ha rag-giunto l’Italia per dispersione naturale, dove viene osservato da-gli anni Settanta. È stato incluso nella checklist degli uccelliitaliani. Potrebbe ibridarsi con la garzetta, Egretta garzetta, cau-sando una perdita di diversità genetica.

Ibis sacro, Threskiornis aethiopicus, specie stabilizzata. Originariodell’area sub-sahariana e dell’Egitto. Presente in Italia perchésfuggito accidentalmente da strutture zoologiche, recentementeha cominciato a riprodursi nelle colonie di ardeidi.

Fenicottero cileno, Phenicopterus cilensis, specie non stabilizza-ta. Il suo aerale naturale va dal Perù fino al Brasile meridionale. Èstato occasionalmente osservato in Italia.

Cigno reale, Cygnus olor, specie stabilizzata. Nativo del Palearti-co del nord, è stato rilasciato intenzionalmente prima del 1950in Svizzera e si è esteso fino all’Italia, dove nidifica. Gli uccelliche svernano in Italia sono migratori e provengono dall’Europacentro-orientale. Impatto: è accusato di danneggiare la vegeta-zione acquatica, in particolare le specie di Potagemon.

Cigno nero, Cygnus atratus, specie stabilizzata. Nativo dell’Au-stralia e della Tasmania. In Italia è stato osservato in diverse re-gioni.

Oca indiana, Anser indicus, specie non stabilizzata. È una speciemigratoria, spesso detenuta in cattività. È stata osservata sia inNord America che in Europa.

Oca del Canada, Branta canadensis, specie non stabilizzata. L’ocadel Canada è una specie migratoria, originaria del Neartico, checomprende circa 10-12 specie, in Europa è stata introdotta lasottospecie nominale. In Italia, è stata segnalata principalmenteal centro e al nord. Impatto: è accusata di danneggiare i raccoltied è stata coinvolta in alcuni bird-strike.

Oca egiziana, Alopochen aegyptiacus, specie non stabilizzata.Originaria della Valle del Nilo e dell’Africa sub-sahariana, l’ocaegiziana è stata introdotta in diversi paesi europei. In Italia ci so-no stati diversi avvistamenti.

Anatra mandarina, Aix galericulata, specie non stabilizzata. Pro-veniente dall’Asia dell’est, è stata introdotta nel Nord America ein Europa. Pur non essendo naturalizzata, è inclusa nell’avifaunaitaliana.

Gobbo della Giamaica, Oxyura jamaicensis, specie non stabilizza-ta. Originaria dell’America del Nord e delle Ande, è stata intro-dotta involontariamente in Europa, sfuggita da popolazionitenute in cattività. In Italia, è stata segnalata a partire dagli anni’80. Impatto: si ibrida con una specie locale, il gobbo rugginoso,Oxyura leucocephala, che è una specie minacciata.

Colino della Virginia, Callipepla virginianus, specie stabilizzata.Originario degli Stati Uniti centro e sud-orientali e del Messicoorientale, a sud fino al Guatemala. Introdotto in India, Nuova Ze-landa, Gran Bretagna, Francia e Germania, in Italia è naturalizza-to in Piemonte e Lombardia, ma è presente anche in altre zone(isola di Mozia, Sicilia).

Coturnice orientale, Alectoris chukar, specie stabilizzata. Specieeurasiatica è stata introdotta in diversi paesi a scopo venatorio.In Italia fu rilasciata in libertà già dall’Ottocento, ma gli individuinon sopravvissero e vennero effettuate nuove immissioni neglianni ’50. Impatto: può ibridarsi con la pernice rossa, Alectoris ru-fa, e la coturnice, Alectoris graeca, creando una perdita di diver-sità genetica.

Pernice sarda, Alectoris barbara, specie stabilizzata. Proveniente

78 Gagliardi et al., 200879 Oliver W.L.R., 1995

Ibis sacro

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dall’Africa del nord, è stata introdotta senza successo in diversipaesi europei, in Nuova Zelanda, in Australia e negli Stati Uniti.In Italia è presente in Sardegna. Esistono dei dubbi sul fatto chela pernice sarda sia una specie separata da quella africana.

Francolino di Erckel, Francolinus erckelii, specie stabilizzata. Spe-cie montana originaria dell’Africa orientale (Eritrea, Etiopia, Su-dan), venne rilasciata in diverse zona d’Italia intorno al 1950.

Quaglia giapponese, Coturnix japonica, specie stabilizzata. Origi-naria dell’Asia orientale, è stata introdotta nelle isole Hawaii, inNord America e in diversi paesi europei. Dopo il 1950, è stata laspecie introdotta in maggior numero su tutto il territorio italianoa scopo venatorio. Impatto: si ibrida con la quaglia comune, Co-turnix coturnix.

Fagiano comune, Phasianus colchicus, specie stabilizzata. Specieasiatica ampiamente introdotta in tutto il mondo a fine venato-rio. In Italia è stato introdotto ripetutamente, con le immissionipiù numerose negli anni ’20 e ’40.

Fagiano versicolore, Phasianus versicolor, specie non stabilizzata.Nativa del Giappone, è stata introdotta nell’America del Nord, inEuropa e alle Hawaii.

Tortora domestica, Streptotelia roseogrisea, specie stabilizzata.Ampiamente diffusa in tutto il mondo, in Italia è spesso allevatain semi-libertà.

Parrocchetto dal collare, Psittacula krameri, specie stabilizzata.Proviene dall’Africa tropicale, ma è presente nel Paleartico occi-dentale, perché rilasciato o fuggito dalla cattività. In Italia è pre-sente e nidifica prevalentemente al centro-nord. Impatto:compete per i luoghi di nidificazione con specie ornitiche localied è accusato di danneggiare i raccolti.

Parrocchetto monaco, Myiopsitta monachus, specie stabilizzata.Originario del Sud America, è stato introdotto nel Paleartico oc-cidentale, negli Stati Uniti, nelle Indie Occidentali e in Brasile. InEuropa, è stato rilasciato o fuggito dalla cattività ed ha formatodei nuclei in varie città. Impatto: compete con le specie nativeper il cibo e può arrecare danni ai raccolti.

Amazzone fronte blue, Amazona aestiva, specie stabilizzata. Na-tiva del Sud America. In Italia è stata segnalata più volte e, a Ge-nova, è stato accertato un caso di nidificazione.

Usignolo del Giappone, Leiothrix lutea, specie stabilizzata. È unaspecie sino-himalaiana ampiamente commercializzata. In Italia, èosservata regolarmente. Impatto: ed è accusato di arrecare dannia raccolti e frutteti.

Becco a cono golacenerina, Paradoxornis alphonsianus, speciestabilizzata. Nativo della Cina sud-occidentale e del Vietnam set-tentrionale, in Italia è presente a causa di fughe accidentali dallacattività. Impatto: può competere per le risorse di cibo con altrespecie ornitiche locali.

Becco a cono, Paradoxornis webbianus, specie stabilizzata. Comeper il becco a cono golacenerina.

Astrilde becco di corallo, Estrilda troglodytes, specie non stabi-lizzata. Proveniente dall’Africa del sud, la sua presenza in Italia sideve a fughe accidentali dalla cattività.

Astrilde comune, Estrilda astrild, specie non stabilizzata. Nativadell’Africa sub-sahariana, è una specie da tempo naturalizzata indiverse zone dell’Europa.

Bengalino comune, Amandava amandava, specie stabilizzata.Specie asiatica da tempo commercializzata, è naturalizzata in di-verse zone del mondo. In Italia nidifica in diverse regioni.

Maina comune, Acridotheres tristis, specie non stabilizzata. Nati-

va dell’Asia, la Maina, è stata introdotta per il controllo degli in-setti dannosi per i raccolti in diversi paesi del mondo. Altamenteadattabile, si è riprodotta molto più di quanto previsto e ora ènaturalizzata. La presenza sporadica in Italia è dovuta a soggettisfuggiti alla cattività. Impatto: può competere con specie orniti-che native e arrecare danni alle coltivazioni.

Tessitore Napoleone, Euplectes afer, specie non stabilizzata. Nati-vo della zona a sud del Sahara, è una specie molto commercializ-zata e la sua presenza nel nostro paese è dovuta a rilasciaccidentali.

Vescovo rosso di Zanzibar, Euplectes nigroventris, specie non sta-bilizzata. Originario dell’Africa dell’est, è una specie molto com-mercializzata e spesso accidentalmente rilasciata in libertà.

Vescovo rosso, Euplectes orix, specie non stabilizzata. Provienedall’Africa a sud dell’equatore, è una specie molto commercializ-zata e spesso accidentalmente rilasciata in libertà.

Amaranto rosso, o amaranto del Senegal, Lagonosticta senegala,specie non stabilizzata. Diffuso in tutta l’Africa sub sahariana, èuna specie molto commercializzata e spesso accidentalmente ri-lasciata in libertà.

Cardinale ciuffo rosso, Paroaria coronata, specie non stabilizzata.Proveniente dal Sud America orientale, è una specie molto com-mercializzata e spesso accidentalmente rilasciata in libertà.

Tessitore testanera, Ploceus cucullatus, specie stabilizzata. Origi-nario dell’Africa sub-sahariana, è una specie molto commercializ-zata e spesso accidentalmente rilasciata in libertà.

Tessitore dorato, Ploceus subaureus, specie non stabilizzata. Na-tivo dell’Africa del sud, è una specie molto commercializzata espesso accidentalmente rilasciata in libertà.

Bulbul dalle orecchie rosse, Pycnonotus jocosus, specie non sta-bilizzata. Proveniente dall’Asia, dal Pakistan, e dall’India, è unaspecie molto commercializzata e spesso accidentalmente rilascia-ta in libertà.

Ratti

I ratti, Rattus nor-vegicus, R. rattus, R.exulans, si sono di-stribuiti per disper-sione naturale - comeè successo con il rattocomune, R. rattus, che siè diffuso spontaneamenteal di fuori del suo areale diorigine, l’Asia - a nuoto, oppure ac-compagnando gli esseri umani durante la coloniz-zazione delle isole. Questi roditori sono presentiin oltre l’80% delle maggiori isole del mondo, epossono avere un impatto negativo sulla flora e sulla fauna, spe-cialmente sugli uccelli marini. Gli uccelli marini sono particolar-mente vulnerabili perché essendosi sempre riprodotti su isoledove i predatori erano assenti, non hanno sviluppato un mecca-nismo di difesa.I ratti presenti su quasi tutte le isole del Mediterraneo, vengonoregolarmente uccisi con esche velenose contenenti il Brodifa-coum. Per il progetto di eradicazione del ratto nero, Rattus rat-tus, in atto sull’isola di Montecristo, in Italia, le esche avvelenatevengono distribuite prevalentemente tramite elicottero. I rattirappresentano una minaccia per la berta minore, Puffinus yelko-uan, poiché ne predano le uova e i pulcini.I rischi di avvelenamento, legati all’uso del Brodifacoum, per ipredatori ed altri animali, sono conosciuti e sembra che siano

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maggiori quando la dispersione viene effettuata tramite elicotte-ro80. Questi anticoagulanti possono persistere per mesi nei tessutie negli organi come il fegato e i reni, aumentando il rischio diavvelenamento primario e secondario in molte specie non bersa-glio. La quantità di segnalazioni mondiali di animali selvatici av-velenati dagli anticoagulanti è in aumento: i mammifericarnivori e gli uccelli predatori e saprofagi sono sicuramente arischio, ma anche gli erbivori muoiono dopo un’esposizione se-condaria al brodifacoum81. Soltanto negli Stati Uniti, tra il 1981e il 2004, sono stati riportati 244 casi di avvelenamento da bro-difacoum di uccelli e di mammiferi non bersaglio (US EPA, 2004).In effetti, il bioaccumulo del brodifcacoum - insolubile in acquae decomposto molto lentamente nelle esche dall’attività micro-bica82 -, la sua persistenza nelle carcasse e negli animali nonmortalmente avvelenati, come anche il modo in cui provoca lamorte, stanno suscitando preoccupazione in tutto il mondo83. Siprevede che a Montecristo la popolazione di barbagianni, Tytoalba, verrà sterminata dall’uso del veleno. Dato che le lumache,

le chiocciole e gli insetti saprofagi (scarafaggi, formiche) si nu-trono delle esche avvelenate o delle carcasse dei roditori mortiavvelenati, essi possono avvelenare a loro volta le specie insetti-vore, in particolar modo gli uccelli, che li predano84. Diverse spe-cie di uccelli migratori si fermano sull’isola durante la migrazionee alcune, come la magnanina, Sylvia undata, e il pigliamosche,Muscicapa striata, vi si riproducono. Anche altri animali sono arischio, come le capre, Capra aegragus, i roditori diversi dai ratti,i conigli, i corvi imperiali, Corvus corax, i pipistrelli (R. Euryale, P.nathusii), e può sussistere rischio anche per i rettili e gli anfibi. Ilprogramma di eradicazione del ratto svoltosi sull’isola Rat, nelleisole Aleutine, ha sterminato tutti i ratti presenti sull’isola, maanche 43 aquile di mare testa bianca, Haliaeetus leucocephalus,213 gabbiani glauchi del Pacifico, Larus glacescens, e uccelli didiverse altre specie85. Poiché le isole tendono ad essere reinvasedai ratti, l’uso a lungo termine di veleni più che apportare deibenefici, sembra essere di detrimento per l’ecosistema. I costi intermini di vittime animali non bersaglio, di bioaccumulo delle

80 Eason e Spurr, 199581 Stone et al., 199982 Dowding et al., 1999; Eason et al, 199983 Mason and Littin, 2003; Paparella, 2006; Meerburg et al. 200884 Webster, 200985 Woods et al., 2009

DIAGRAMMA BRODIFACOUMDiversi animali si nutrono di esche contenenti brodifacoum. Alcune specie presenti nei riquadri, come i roditori, muoiono perché si cibano direttamen-te delle esche (avvelenamento primario), mentre altre, come i mustelidi, perché si cibano di prede che hanno ingerito il veleno (avvelenamento secon-dario).

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86 Celada et al., 1994; Wauters, 1997

sostanze, come anche i costi finanziari per la ripetizione degli in-terventi, possono essere meglio spesi nella ricerca di metodi per ilcontrollo della fertilità che forniscono soluzioni a lungo termineeticamente accettabili e con un minore impatto sull’ambiente.

Guerre di scoiattoli

Il 25 maggio 2012, il quotidiano La Stampa, ha pubblicato un ar-ticolo, uno tra molti su un tema ricorrente: “Parte la guerra agliscoiattoli: l’Italia giura di eliminare l’invasore americano”. L’Italia“ha dichiarato guerra” contro “questi forti invasori americani”,che rubano il cibo, lo spazio e le risorse ai più piccoli scoiattoliendemici rossi, minacciandone la sopravvivenza.

Lo scoiattolo grigio americano, Sciurus carolinensis, è stato in-trodotto più volte in Italia: nel 1948 a Stupinigi, in Piemonte; nel1966 nel parco di Genova Nervi; nel 1994 a Trecate, Novara. Mi-lana e Rocchi (2010) indicano che gli scoiattoli hanno formatoquattro nuclei diversi: a Torino e a Cuneo, in Piemonte; a GenovaNervi, dove si trovano nei parchi urbani di Nervi e di Bogliasco; aNovara; e a Perugia, in Umbria. Ci sono stati avvistamenti anchein Toscana. Questi scoiattoli hanno un impatto economico datoche scortecciano gli alberi, danneggiando le piantagioni arboree,e tendono a prevalere sullo scoiattolo rosso endemico, Sciurusvulgaris. Lo scoiattolo grigio, che in autunno ha un peso corpo-reo maggiore rispetto a quello rosso, è più forte; inoltre, preleva isemi immagazzinati dagli scoiattoli rossi, deprivandoli delle loroscorte invernali. Un’altra minaccia è data dall’ipotesi che lo sco-iattolo grigio funga da serbatoio del Parapoxvirus, letale per laspecie endemica. Infine, lo scoiattolo grigio potrebbe espandersiad altri paesi europei. Lo scoiattolo rosso nativo, considerato unaspecie minacciata in Europa, è presente in tutta la penisola ita-liana e ha tre sottospecie. Il suo declino è attribuito in primoluogo alla frammentazione del suo habitat boscoso86 e, in secon-do luogo, alla presenza dello scoiattolo americano. Designare piùaeree verdi a questa specie dovrebbe essere la prima misura diprotezione ad essere implementata.

Per l’eliminazione dello scoiattolo grigio americano sono stateutilizzate diverse tecniche di eradicazione: anticoagulanti (comela warfarina), la distruzione dei nidi, l’intrappolamento e l’euta-nasia per mezzo di anestetici e la sterilizzazione chirurgica. Lasterilizzazione chimica è in via di studio.Sul territorio italiano sono presenti altre due specie di scoiattolialloctoni, il tamia siberiano, Tamias sibiricus, e lo scoiattolo va-riabile, Callosciurus finlaysoni. Popolazioni libere di tamia sibe-riano si trovano nel nord Italia: nelle città di Verona e di Belluno,dove sono stati introdotti negli anni Settanta, e nel parco roma-no di Villa Ada, dove sono stati introdotti negli anni Ottanta. Loscoiattolo variabile è stato introdotto per la prima volta ad AcquiTerme, in Piemonte, nel 1981, e a Maratea, in Basilicata, alcunianni dopo. Entrambe le specie danneggiano la vegetazione. I ta-mia distruggono i raccolti di cereali e predano uova e pulcini diluì scuro, Phylloscopus fuscatus; lo scoiattolo variabile danneg-gia i raccolti di frutta, i sistemi idrici ed elettrici. Non sembra possibile eradicare completamente lo scoiattolo gri-gio: uccidendo sempre più individui si aumenta la capacità ripro-duttiva degli animali che sopravvivono. Così operando, infatti,viene aumentata la capacità riproduttiva degli animali che so-pravvivono. Perché, quindi, non finanziare ricerche per svilupparenuovi metodi, meno crudeli e più efficaci, per contenerne la po-polazione? E perché non finanziare dei progetti per ripristinaregli ambienti degradati in cui vive lo scoiattolo rosso? Infine, soloun blocco totale del commercio di questa specie può essere con-siderato il punto di partenza per lo studio di qualsiasi misura dicontenimento numerico.

La Proposta di Regolamento UE

Il 9 settembre 2013 la Commissione Europea ha presentato la“Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consi-glio recante disposizioni volte a prevenire e a gestire l’introdu-zione e la diffusione delle specie esotiche invasive”(http://ec.europa.eu/environment/nature/invasivealien/index_en.htm).Tale proposta dovrebbe entrare in vigore nel 2016 e prendespunto dalla constatazione che l’immissione di piante e animaliin un ambiente in cui non sono solitamente presenti, è in costan-te aumento, anche a seguito dell’espansione degli scambi com-merciali e dei flussi turistici. Non ultima la considerazione cheanche i cambiamenti climatici aumenteranno ulteriormente il fe-nomeno. La Commissione ritiene che le specie esotiche invasive possanodeterminare perdita di biodiversità, trasmissione di malattie edanni economici, per questi motivi propone alcune misure chedovranno essere approvate dal Parlamento Europeo. Tali misureprevedono sostanzialmente:

• il divieto totale di importazione, allevamento e vendita dellespecie considerate più problematiche, definite “specie priori-tarie”

• l’attivazione di un sistema di controllo e sorveglianza allefrontiere dei paesi dell’Unione Europea

• la predisposizione delle misure necessarie a tenere sotto con-trollo la diffusione delle specie invasive già presenti nei paesidell’UE.

È interessante notare che la Commissione UE individua due solemodalità attraverso le quali le specie esotiche invasive possonoessere introdotte nel territorio dell’Unione Europea:

1) volontariamente. Sono tutte le introduzioni derivanti da in-

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teressi commerciali o a scopo ornamentale o quali animali dacompagnia

2) involontariamente. Contaminanti nelle merci, oppure ospitinei mezzi di trasporto o di viaggiatori inconsapevoli

Quindi non sono previste né individuate invasioni per le qualipossano essere ritenuti direttamente responsabili gli animalistessi. Le invasioni sono perciò ascrivibili unicamente alla respon-sabilità dell’uomo. È importante tenere presente questo dato difatto, perché invece le misure di contenimento del fenomenoprevedono azioni le cui conseguenze ricadono quasi esclusiva-mente sugli animali, protagonisti inconsapevoli – quindi incolpe-voli – delle invasioni.Le suddette misure sono applicate in funzione dell’inquadramen-to o meno della specie considerata invasiva, nella lista delle co-siddette “Specie di rilevanza unionale”. In tale lista, infatti, sonoincluse tutte quelle specie le cui potenzialità di produrre effettinegativi, legati alla loro presenza, richiedono un intervento coor-dinato degli Stati Membri. Le specie inserite nella lista sono leuniche a non poter essere importate nell’Unione Europea o a es-sere commercializzate. Misure di buon senso che però sono sola-mente considerate preventive alle azioni cruente che prevedonol’eradicazione della specie, o il controllo ove l’eradicazione nonfosse possibile, garantendo che agli animali siano risparmiati do-lore, angoscia o sofferenze evitabili. Invece, per le altre specie,ovvero per quelle invasive non ricomprese nella lista delle “Spe-cie di rilevanza unionale”, la commercializzazione, l’importazio-ne, finanche il rilascio nell’ambiente sono consentite, purpermanendo applicabili le misure per l’eradicazione ed il control-lo. Un approccio schizofrenico al problema, del tutto incompren-sibile, spiegabile solamente con l’asservimento alle regole delmercato, anche delle logiche gestionali elaborate dalla Commis-sione Europea. Non è infatti altrimenti spiegabile il fatto che lalista delle “Specie di rilevanza unionale” pur prendendo atto chele specie esotiche invasive presenti in Europa sono circa 1.500, nericomprenda il 3%, ovvero 45.In definitiva, ciò che traspare dalla proposta di Regolamento, èche le regole del mercato globale influenzano pesantementequalsiasi misura volta a prevenire la temuta compromissione del-la biodiversità, o paventati rischi per la salute umana e per l’agri-coltura. E comunque chi pagherà il prezzo più pesante, in termininon certamente monetari, saranno ancora una volta gli animali,vittime di un ossimoro, uccisi in nome della “protezione” di altrianimali.

NutriaI sostenitori dell’eradicazione della nutria affermano che questoroditore semi-acquatico si nutra di piante acquatiche e del pro-dotto dei raccolti, danneggiando entrambi. Le nutrie, dicono, al-terano gli ecosistemi acquatici e vengono accusate di indebolirele strutture di irrigazione, e anche le rive dei fiumi perché scava-no dei cunicoli. A causa delle tecniche di dispersione della nutriae del suo alto tasso di riproduttività, l’eradicazione totale non è,peraltro, una soluzione possibile.

CinghialiSituato lungo la costa della Toscana, il Parco della Maremma siestende su un’area di circa 10.000 ettari. Tra la fauna del parcoc’è anche il cinghiale. Il cinghiale è una specie onnivora e oppor-tunista e anche se la sua dieta è composta prevalentemente davegetali, mangia anche vertebrati e invertebrati, carogne, uova,frutta e funghi. Quando il cibo scarseggia, può danneggiare se-

riamente diversi raccolti. Si riproduce a tassi molto più alti diquasi tutti i grandi mammiferi, dando origine a popolazioni adalta densità che hanno un forte impatto negativo sull’economiaumana. Il metodo di “controllo” tradizionale è la caccia, ma ilParco Regionale della Maremma sta adottando nuove tecnologie.Andrea Sforzi, biologo, lavorerà insieme a Giovanna Massei,un’ecologa italiana esperta in fauna selvatica che svolge il suolavoro presso la Food and Environment Research Agency a York,in Inghilterra. Da oltre 25 anni, Giovanna Massei lavora su solu-zioni non letali per mitigare il conflitto tra essere umano e specieselvatiche. A breve, nel parco verrà studiata l’efficacia del siste-ma BOS (boar-operated-system), un congegno utilizzato per di-stribuire cibo arricchito di farmaci ai cinghiali e ai maialiselvatici. Il BOS è un palo metallico sul quale è installato un conoche i cinghiali possono aprire per nutrirsi. Lo studio vuole verifi-care se i cinghiali selvatici utilizzeranno i BOS per cibarsi. Sel’esito sarà positivo, nella seconda fase del progetto il cibo verràtrattato con dei vaccini orali. Al momento, i vaccini GnRh sonoin via di perfezionamento e il loro utilizzo deve essere approvatodalle autorità sanitarie italiane.

CervidiIl daino, Dama dama, fu introdotto in Italia nel Neolitico. Da al-lora, si è estinto ed è stato reintrodotto più volte. Pur non essen-do una specie aliena, si comporta come una specie invasiva e puòessere un temibile competitore per il cervo endemico rosso, Cer-vus elaphus, nella Foresta della Mesola, o per il capriolo italiano,Capreolus capreolus, nel Parco Regionale della Maremma.La Foresta della Mesola si trova vicino a Ferrara, e ricopre un’areadi circa 1.050 ettari. Nella foresta, il daino si estinse nel 1945 evenne reintrodotto negli anni Cinquanta e Sessanta. Da allora, siè espanso rapidamente e più recentemente ha danneggiato i pa-scoli per sfruttamento eccessivo. La presenza del daino e la suarapida espansione rappresentano una minaccia per la piccola po-polazione di circa 120 cervi rossi. I tentativi di controllare il dai-no con la caccia, cominciati nel 1982, hanno esacerbato ilproblema. Sono stati abbattuti 3.180 animali ma continuano acrescere di numero e la popolazione è stimata in 950-1.000 indi-vidui, rispetto ai 602 individui del 2006. Il servizio veterinarioAUSL di Modena ha proposto un progetto di contenimento basa-to sull’immunocontraccezione87. Per un periodo che va dai 7 ai15 anni, le femmine di daino verrebbero vaccinate con il Gona-ConTM e contrassegnate all’orecchio. L’obiettivo finale è ridurre lapopolazione ad un piccolo gruppo considerato di “importanza

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storica”, composto da 20-40 individui. Al momento, le autoritàitaliane non hanno ancora approvato l’uso del vaccino, a scapitodell’ecosistema della Mesola. Servono urgentemente soluzioni al-ternative all’abbattimento tramite la caccia, un metodo cruento,inutile e non sostenuto dai cittadini.

UccelliDal 1997, il servizio veterinario AUSL di Modena lavora sul con-trollo della fertilità dei piccioni utilizzando un farmaco veterina-rio autorizzato, l’Ovistop®, ACME88. L’uso del vaccino è integratoda barriere architettoniche che impediscono l’accesso alle buchepontaie ai piccioni, pur permettendone l’uso ad altre specie (uc-celli, mammiferi, insettivori). I risultati del progetto sono un de-clino della popolazione dei piccioni e la protezione di altrespecie, come il rondone comune, Apus apus, passeracei insettivo-ri, pipistrelli e gechi. I piccioni non sono una “specie aliena”, masono sicuramente una “specie invasiva”, e il successo di questoprogetto potrebbe venire applicato ad altre situazioni.La componente attiva dell’Ovistop è la Nicarbazina, un compostoche interferisce nello sviluppo e nella schiusa delle uova. Non ètossico, ha delle proprietà anticoccide ed è considerato etico;inoltre, è già stato usato con successo come antifecondativosull’oca del Canada, Branta canadiensis, e altri anseriformi.

Samuele Venturini racconta la sterilizzazione della nutria

Samuele Venturini è un biologo-castorologo che da tempo studiala nutria e che sta lavorando su un progetto di sterilizzazione diquesto animale.La nutria è un “non problema”, racconta Venturini. Naturalmen-te, ogni specie animale in un contesto specifico può diventare unproblema, ma questo dipende da diversi fattori, tra cui la densitàdella popolazione della specie in questione. Mentre un numerocontenuto di nutrie non sembra creare gravi problemi, una popo-lazione con alta densità può arrecare danni all’agricoltura, peresempio.Il progetto di sterilizzazione a cui stiamo lavorando a Buccinasco,in provincia di Milano, ha come obiettivo quello di utilizzare unmetodo ecologico come contenimento della popolazione.L’obiettivo finale è risolvere il problema causato da una dataspecie. Gli studi realizzati negli Stati Uniti sul coyote hanno di-mostrato che il controllo della fertilità funziona e che le popola-zioni di coyote trattate presentano un andamento al ribasso sultasso di predazione delle pecore. L’abbattimento può avere un effetto contrario sull’andamentodella popolazione. Sono vent’anni che in Italia vengono abbattu-te le nutrie, eppure sono sempre più numerose. Gli studi realizza-

88 Ferri et al., 2009

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ti hanno dimostrato che, durante le campagne di abbattimento,le femmine sono maggiormente gravide, perché tendono a resta-re più nascoste e a muoversi meno dei maschi adulti. I maschiadulti, essendo più attivi, vengono uccisi in maggior numero equesto favorisce la riproduzione di individui giovani che, come lefemmine, si muovono molto di meno. Quando si uccide un ani-male, si libera una nicchia, che viene subito occupata, in questocaso da animali più giovani e con maggior potenziale riprodutti-vo. La caccia, poi, può selezionare la precocità della maturazionesessuale. La nutria in natura raggiunge la maturità sessuale tra i6 e gli 8 mesi. Negli allevamenti di nutrie destinate alla produ-zione di pellicce, invece, si prediligevano gli individui capaci diriprodursi prima, a circa 3, 4 mesi di età. Questo ha favorito la ri-produzione di animali capaci di raggiungere la maturità sessualesempre più presto.Gli animali vengono sterilizzati tramite operazione chirurgica. Siamaschi che femmine vengono catturati tramite gabbia-trappolae trasportati in una clinica veterinaria dove vengono sottopostiad un piccolo intervento ed eseguite delle analisi epidemiologi-che. Gli animali sterilizzati vengono marcati per permetterne ilriconoscimento successivo. Dopo la degenza, le nutrie vengonoriportate nello stesso luogo della cattura. Le nutrie sono moltoterritoriali e il fatto che un individuo continui ad occupare unacerta nicchia significa che esso impedirà ad altri di avvicinarsi edi avere accesso a risorse trofiche e a tane, impedendogli così diriprodursi. Con il tempo, la popolazione si autoregola. I nuovi ar-rivati vengono inseguiti e scacciati e le femmine, quando nontrovano risorse sufficienti, sono in grado di riassorbire i feti o diabortire, per cui il numero degli individui tende a diminuire. Unanutria vive mediamente 4-7 anni in natura; in cattività – in unparco, in un’oasi – possono vivere fino a vent’anni. L’obiettivo finale del progetto è la riduzione della densità dellapopolazione. Il nostro progetto è in fase sperimentale ed occorre il tempo ne-cessario per valutare i vari aspetti e i relativi risultati di questometodo. Dopo la sterilizzazione e la reintroduzione nell’ambien-te, è necessario un lungo periodo di osservazione, ed è questa laparte più complicata del lavoro.Il nostro progetto è pensato per zone circoscritte e facilmentemonitorabili, come parchi e fontanili, non è applicabile alla cam-pagna aperta, dove è impossibile limitare l’espansione delle nu-trie solamente in questo modo. Sterilizzando le popolazionicircoscritte, ad ogni modo, si frammenta la diffusione della nu-tria e si ha un maggior controllo sulla sua espansione.Un problema molto presente in campagna è quello della stabilitàdegli argini: si dice che la nutria, scavando dei tunnel, li rendainstabili e fragili. La nutria predilige scavare la tana dove l’argineha una certa pendenza e dove non c’è vegetazione. Non è unoscavatore obbligato e, in natura, la nutria si costruisce la tanadentro una piccola zattera composta da vegetazione secca; senon trova l’habitat adatto, ma sono presenti arbusti e vegetazio-ne, la nutria si procura un anfratto in cui nascondersi. Scava soloquando manca la vegetazione. La profondità delle tane varia tra i50 cm e i 2,30 metri, raramente raggiunge i 5 metri. Con delletane di queste dimensioni la stabilità dell’argine non viene intac-cata. Il problema si ha dove gli argini sono troppo spogli, maquesto è dovuto a un degrado ambientale causato dall’uomo. Letane scavate dalle nutrie, inoltre, sono usate da alcuni anfibi du-rante il letargo, e anche da altri animali come la gallinella d’ac-qua, in quanto forniscono un riparo. Esse hanno quindi anche unimpatto benefico sulla biodiversità locale. Bisogna aggiungereche le nutrie utilizzano spesso tane già esistenti, anche quellescavate dalle lontre che una volta vivevano in modo più diffusoin Italia, oppure scavate da altre nutrie. Nel caso in cui le tanevengono chiuse dall’uomo, le nutrie possono scavarne altre e al-lora la presenza di diversi tunnel può indebolire l’argine ma, unavolta ancora, è stato l’uomo a esacerbare il problema. La nutria è

un animale molto sociale e può condividere la propria tana. Du-rante le campagne di caccia e abbattimento, essa può reagire co-struendo tunnel più profondi e più larghi, in questo caso anchedi 5 metri, per contenere più individui.Per risolvere il problema che presenta un animale considerato in-desiderabile, come la nutria, bisogna capire e studiare a fondo labiologia dell’animale e l’habitat in cui esso vive. Molte personeparlano dell’Inghilterra come il paese che è riuscito a eradicarecompletamente la nutria, ma non è così semplice. Intanto, biso-gna dire che gli inglesi hanno affrontato il problema molto pre-sto, prima che la popolazione si espandesse. Inoltre, le campagneinglesi non hanno canali irrigui capillari, ma solo piccoli bacini efiumi, e gli individui erano pochi e isolati. È stato sufficiente unfinanziamento limitato ma ben oculato per catturare la maggiorparte degli animali. In più si sono susseguiti cinque inverni con-secutivi molto freddi, che hanno decimato le popolazioni presen-ti, rendendo possibile un’eradicazione che altrimenti non sisarebbe mai potuto mettere in atto.È possibile limitare il danno arrecato agli argini utilizzando, co-me è stato fatto a Mantova e a Rovigo, delle reti antinutria-an-tigambero. Queste reti favoriscono il consolidamento dell’argine,permettendo la ricolonizzazione vegetale dell’argine, che rendelo stesso più stabile, ed evita che la nutria scavi la tana. La ve-getazione naturale che si forma sull’argine crea un microclimafavorevole, filtra l’acqua e richiama insetti e uccelli che a lorovolta possono proteggere i raccolti, per esempio nutrendosi diinsetti nocivi per le coltivazioni. Gli alberi e gli arbusti fungonoda frangivento e proteggono il campo. Il lavoro degli agricoltoriè reso più sicuro, perché gli argini sono meno fragili e non cedo-no quando sono percorsi con il trattore. In Argentina, paese na-tivo della nutria, hanno adottato un metodo semplice edefficace che permette di contenere la popolazione dell’animale.Mentre noi coltiviamo il campo arrivando a ridosso dell’argine,loro lasciano qualche metro incolto tra campo e corso d’acqua.Il terreno italiano è alluvionale e quindi è più friabile di per sé.Basterebbero dai 5 ai 10 metri di incolto tra l’argine e l’inizio delcampo perché le sponde vengano colonizzate dai vegetali. Innatura, la nutria preferisce cibarsi delle piante che trova sull’ar-gine, piuttosto che del mais o di altre colture. Inoltre, non amaallontanarsi dall’acqua esponendosi ai predatori e quindi arrecapotenziali danni alle coltivazione solo quando è privata del suohabitat naturale.

7. IMPLICAZIONI SOCIALI ED ECONOMICHE

“Un grammo di prevenzione è me-glio di un chilo di cure”

Henri de Bracton, 1240, giurista

Le invasioni biologiche sono connesse, per la maggior parte, al-l’attività economica diretta (commercio delle specie) e indiretta.Abbiamo visto che alcuni ecosistemi, come le isole, i laghi, i fiu-mi, e i sistemi marini prossimi alle rive, o i sistemi con una scarsabiodiversità, sono più vulnerabili alla colonizzazione di speciealiene. Ma i parametri socio-economici di un paese e l’uso che fadel territorio, aumentano le possibilità di introduzione e diespansione delle specie alloctone, in linea con un aumento delcommercio, del trasporto e del movimento di persone. I Paesi delNord del mondo hanno dei buoni sistemi di trasporto, e le retistradali collegano aeree molto grandi, specialmente nelle regionidensamente abitate. Le strade fungono da corridoi, le personeagiscono come vettori e le aree disturbate che si trovano lungole strade, i lavori di manutenzione e il movimento favorisconoulteriormente il processo di invasione. Un buon sistema di tra-sporto è necessario per poter gestire grandi volumi di trafficocommerciale, sia nazionale che internazionale. Infine, nei paesi

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sviluppati ci sono grandi aree disturbate e suburbane che favori-scono a loro volta la diffusione di specie invasive89.Il controllo della fauna selvatica e delle specie esotiche non desi-derate è un’industria in espansione. I biologi e altri ricercatoritendono a concentrare i loro studi su quei progetti che hannomaggiori probabilità di ottenere dei finanziamenti. Le specie in-vasive che hanno un impatto economico dimostrato sono dimaggior interesse delle specie naturalizzate o casuali. Uno studiorealizzato da Pyšek (2008) mette in evidenza che gli animali in-vasivi su cui si fa più ricerca sono quelli con un forte impattosulle attività antropiche. Una ricerca online, utilizzando motori diricerca scientifica, dimostra l’esistenza di un gran numero di stu-di sulle cozze zebra, Dreissena polymorpha, ratti, topi domestici,opossum, nutrie, cinghiali, volpi. I programmi di eradicazione egli studi di queste specie considerate “dannose”, offrono una ra-pida e attraente soluzione ad un problema costoso e complesso.Il pregiudizio non riguarda solo i taxa, ma anche i Paesi: la mag-gior parte delle ricerche sulle specie invasive esotiche si svolge inEuropa e negli Stati Uniti [grafico di Pysek]. Nei paesi ricchi, conun alto prodotto interno lordo e grandi volumi commerciali, sonopresenti più specie aliene, il che giustifica in parte una più altaconcentrazione di ricerche. Allo stesso tempo, altri aspetti fonda-mentali del processo di invasione – le proprietà dell’habitat, ilprocesso di naturalizzazione, ogni nuovo caso di invasione biolo-gica, tra gli altri – non sono abbastanza studiati, nonostante rap-presentino elementi dai quali non è possibile prescindere se vi èl’effettivo interesse di contenere efficacemente le nuove specieinvasive.Si stima che in Europa, delle 10.000 “specie aliene invasive” pre-senti, il 10-15% avrà un impatto negativo. Uno studio realizzatonel 2009 stimava che le IAS costino all’Europa circa 12 miliardi diEuro l’anno, ma si prevede che questa cifra continuerà a crescere,così come aumenterà il numero di nuove “specie aliene”. Su piùampia scala, secondo Pimentel (2005), le “specie aliene” costanoall’economia globale 1,4 trilioni di dollari l’anno, il 5% della pro-duzione globale. Tuttavia, la questione delle specie alloctone èaperta a soluzioni economiche90. Il quadro normativo di un paese– quarantena, lista delle specie esotiche commerciabili – potreb-be giocare un ruolo importante nel vietare ulteriori introduzionio la diffusione delle “specie aliene” esistenti. In un’economia inespansione globale, in cui le lobby contrasteranno con forza lenorme di divieto o limitazione al traffico delle specie esotiche, ipartner commerciali dovrebbero essere incoraggiati a stipularecoperture assicurative specifiche, che coprano i costi dei danniche queste specie possono provocare. Tali assicurazioni sarebberoutili a prevenire gli eventuali costi economici ed ambientali, deri-vanti dal danno inflitto dalle IAS. Nuove tasse legate all’importa-zione degli animali esotici potrebbero intanto spingere le figurecon uno specifico interesse nel commercio di queste specie (ven-ditori e compratori di specie esotiche, organizzazioni di caccia epesca, allevatori di nuove specie) a conoscere meglio le specieche commerciano e il loro potenziale invasivo. Tutti i commer-cianti di specie esotiche dovrebbero sapere che quanto più a lun-go si commercia una specie tanto più è probabile che possasfuggire alla cattività e stabilizzarsi91. Sia i commercianti che gliacquirenti dovrebbero pagare ulteriori, specifiche tasse. Il rilasciointenzionale di specie esotiche dovrebbe essere scoraggiato dapesanti multe, mentre il denaro proveniente da tasse e multe po-trebbe essere investito in prevenzione, controllo e ricerca.In Europa, l’importazione delle specie alloctone è regolata dallaWildlife Trade Regulation. Per quanto la WTR possa sospenderel’importazione di specie potenzialmente dannose, le sue norme

attuali coprono solo quattro specie, ma non regolano il commer-cio e la detenzione all’interno della Comunità Europea. Anche laDirettiva sugli Habitat e la Direttiva sugli Uccelli hanno un ambi-to generale in cui si chiede agli Stati Membri di evitare o di rego-lare l’introduzione di specie aliene nelle aree protette.

CONCLUSIONI

In questo dossier sono stati raccolti i maggiori e più rilevanti casidi invasione da parte di “specie animali aliene”. Accanto alla di-namica delle invasioni, sono state analizzate le contromisure at-tivate per contrastare il proliferare degli animali nei nuoviterritori. Come si è potuto constatare, i casi di successo rappre-sentano un numero decisamente esiguo. Nella grande maggio-ranza dei casi l’intervento umano non ha ottenuto alcun effettose non, addirittura, si è rivelato più di qualche volta contropro-ducente. E’ quindi chiaro che il caso delle specie invasive è unaquestione assai delicata da gestire e dagli esiti sempre incerti.Non vi sono soluzioni sicure né tantomeno univoche. Forse ancheperché, effettivamente, soluzioni in realtà non esistono proprio. Le invasioni possono avvenire in una tale molteplicità di modi,seguendo talmente tante diverse vie e utilizzando una tale plura-lità di mezzi, che la prima questione che dobbiamo porci è sepossiamo veramente pensare di essere in grado di tenere sottocontrollo le invasioni. Ancor di più considerando che, salvo incontesti circoscritti nello spazio e a seguito di interventi rapidis-simi, normalmente abbiamo visto che non vi è praticamente pos-sibilità di riportare l’ambiente allo stato pre-invasione.Certo, la prima norma di buon senso consisterebbe nel vietare ilcommercio di “specie aliene”, eppure tale opportunità non rien-tra, se non marginalmente, nelle prospettive future dell’UnioneEuropea. E intanto gli animali fino ad oggi introdotti continuanoa riprodursi. In barba ad ogni misura legislativa e amministrativa,il tempo fa il suo corso, determinando il procedere dei ritmi bio-logici di qualsiasi specie animale, sia essa autoctona o meno. Alpunto che forse è venuto il tempo di chiedersi se effettivamenteabbia senso investire cospicue risorse economiche, ben sapendoche ogni intervento di rimozione definitiva di animali invasori sitradurrà in un fallimento.Forse è giunto il momento di rivedere il concetto stesso di “bio-diversità” e della sua tutela, almeno così come l’abbiamo intesafino ad oggi.Probabilmente è venuta l’ora di prendere atto che per il futurodovremo rompere quella campana di vetro sotto la quale abbia-mo fino ad oggi tentato, invano, di custodire la biodiversità.L’abbiamo già capito per una specie animale in particolare, quel-la a cui noi apparteniamo, che non ha alcun senso alzare barrie-re, che è contrario ai concetti stessi di progresso culturale e dievoluzione il volere tenere distinte e inalterate le caratteristichegenetiche che caratterizzano i diversi gruppi di esseri umani,quale ad esempio il colore della pelle. Oramai abbiamo preso attoche il nostro è un futuro “meticcio”, in cui la distinzione antro-pologica dell’essere umano in diversi gruppi sulla base di diversecaratteristiche fisiche, non avrà più senso, superata, relegata dalnostro percorso evolutivo a un retaggio del passato.E se lo stesso concetto provassimo ad applicarlo anche alle specieanimali diverse da Homo sapiens? Magari scopriremmo che lespecie invasive sono tutt’altro che pericolose per la biodiversità.Che potranno dare invece un importante contributo per la suaevoluzione, per il suo adeguamento alle mutate condizioni am-bientali del pianeta, determinate, queste sì, dalla nostra specie edalla nostra “invasività” fuori controllo.

89 Scharma et al., 200990 Perrings et al., 200291 Enserink, 1999

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