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In Umbria...perchè?

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Raccolta articoli premio letterario "Insula romana". Contiene articoli giornalistici sull'Umbria.

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Quaderni del volontariato

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Proloco Bastia Umbra

In Umbria...perché?

Riflessioni al femminile sutematiche della vita ambientale

culturale e sociale della Regione Umbria:

“spiritualità e territorio”

Futura

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CesvolCentro Servizi Volontariatodella Provincia di Perugia

Via Sandro Penna 104/106Sant’Andrea delle Fratte06132 Perugiatel.075/5271976fax.075/[email protected]@pgcesvol.net

Pubblicazione a cura di

Con il patrocinio della Regione Umbria

Progetto grafico e videoimpaginazioneChiara Gagliano

© 2008 CESVOL2008 FUTURA soc.coop.

ISBN 88-95132-34-3

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I quaderni del volontariato,

un viaggio attraverso un libro nel mondo del sociale

Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia diPerugia, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, ha definitoun piano specifico nell’area della pubblicistica del volontariato.

L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto aitemi di interesse e di competenza del settore, di valorizzare il patri-monio di esperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito delvolontariato organizzato ed inoltre di favorire e promuovere la cir-colazione e diffusione di argomenti e questioni che possono rite-nersi coerenti rispetto a quelli presenti al centro della riflessioneregionale o nazionale sulle tematiche sociali.

La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di pro-duzioni pubblicistiche selezionate attraverso un invito periodicorivolto alle associazioni, al fine di realizzare con il tempo unavera e propria collana editoriale dedicata alle tematiche sociali,ma anche ai contenuti ed alle azioni portate avanti dall’associa-zionismo provinciale.

I Quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile suppor-to per chiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale permotivi di studio ed approfondimento.

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9 Presentazione Daniela Brunelli

11 Presentazione Giuseppe Belli

13 Poesia Maurizio Terzetti

15 Introduzione Luigi Bovo

19 Ricordo Mariano Borgognoni

27 Articoli partecipanti I edizione Premio Letterario“Pia Bruzzichelli”

29 Articolo Anna Santarelli31 Articolo Anna Segatori33 Articolo Sara Stangoni36 Articolo Marina Rosati39 Articolo Sara Biarella42 Articolo Carmela Neri

49 Articoli vincitori I Edizione Premio Letterario“Pia Bruzzichelli”

51 Articolo prima classificata Ida Gentile55 Articolo seconda classificata Giulia Yvanov58 Articolo terza classificata Anna Lisa Rossi

63 Mostra Concorso di Pittura “Roberto Quacquarini –Vivere l’Umbria” in collaborazione con il gruppo amici dell’Arte Bastia Umbra abbinata al Premio Letterario Nazionale “Insula Romana”progetto integrato per la valorizzazione del territorio

71 Ringraziamenti72 Biografia Pia Bruzzichelli

Indice

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Presentazione Daniela Brunelli

In questa pubblicazione sono raccolti gli articoli vincitori e fina-listi della I edizione del Premio Giornalistico“Pia Bruzzichelli”Insula Romana 2006 organizzato dalla Pro Loco e dal Comunedi Bastia Umbra, dal titolo “In Umbria...perché”, riflessioni alfemminile su tematiche di vita ambientale, culturale e socialedella Regione Umbria, affrontando in questa edizione l’aspetto“spiritualità e territorio”.Hanno partecipato al concorso giornaliste, pubbliciste e profes-sioniste che con i loro articoli ci hanno portato a parlaredell’Umbria che si racconta nelle parole delle donne, che hannosaputo narrare sinteticamente e con incisività gli aspetti di spiri-tualità e di territorialità nelle bellezze naturali, nelle ricchezzeculturali, nelle problematiche legate al lavoro, attraverso l’ uma-nità dei suoi abitanti, nei valori che accompagnano le relazioni,nei piccoli e preziosi centri carichi di storia, di arte, di folclore edi tradizione.Pia Bruzzichelli, giornalista acuta e collaboratrice della ProLoco di Bastia Umbra, recentemente scomparsa, è l’ispiratricedella sezione di Giornalismo.Vorremmo rendere omaggio a Pia per il suo talento indiscusso,per essere stata una donna impegnata a difendere e salvaguarda-re l’individualità di genere, per il coraggio intellettuale mostra-to nel trovare sempre nuove soluzioni progettuali e operative, perla spinta motivazionale con la quale ha spronato chi le è statovicino, per esserci stata amica, sempre.

Daniela Brunelli

Presidente Pro loco Bastia Umbra

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Presentazione Giuseppe Belli

Sono molteplici le ragioni che hanno indotto l'AmministrazioneComunale a collaborare con la Pro Loco di Bastia Umbra nell'or-ganizzazione del Premio giornalistico dedicato a Pia Bruzzichelli,giunto quest’anno alla sua seconda edizione.Abbiamo voluto, infatti, con questa nostra presenza, ricordare lasua instancabile attività di animatrice di iniziative culturali esociali, sottolineare il senso profondo del suo impegno civile; dif-fondere tra i giovani e le giovani che si avvicinano al giornalismoil suo insegnamento per un'informazione improntata all'etica edalla responsabilità .Per tutti questi ideali Pia ha vissuto ed ha lavorato.Ricordarla in questa occasione è sentirla più vicina, è ascoltareancora la sua voce.

Giuseppe Belli

Assessore alla cultura

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Poesia Maurizio Terzetti

Per Pia

Nella foto da giovane sembro inseguireun corteo di soldati virtuosi:

mi sono molto davanti, compatti e lontani.I primi fra loro, già presa l’altura,brillano dentro armature potenti,le spade tagliano in strati sottili

onde di sole discese dal cieloe mura risorgono intorno al castello.

Ho avuto coraggio, ho raggiunto i primiaccampamenti. M’hanno accolta per fedee portata nel borgo: mangiavamo radici

col popolo antico, il pane lorocon i nostri alimenti, noi senza terraed essi dicevano ai padri, sull’uscio:

«Non manca nulla a noi, se li accogliamo;la pietra nuova non merita più dell’antica».

Nel castello è stato diverso. Il fortemi stringeva, mi nutriva di giornalismo e intelletto.Sentivo che mi guardavano, che dal borgo stupito

capivano meno chi fossimo, io e i fratelli.Venivano però nella christiana signoria

più sapienti che alla tomba di Francesco:ho cominciato allora a dubitare

della virtù che s’incendia e acceca umiltà.

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Poesia Maurizio Terzetti

«Via dal castello! Via dal castello!» Il suo Signoreera morto; più morta, da tempo, la fede

in noi senza terra. Dovevamo restarecontro ogni pulsione vera, monastero di cera

offerto al pastore del luogo. Egli, infine,indicava la porta, contro ogni amore vero.

E fu di sera che non aspettammoper la seconda volta il suo dito levato.

Avevo ritrovato la campagna,amavo la città dalle colline.

La fede s’era sciolta nella vita,più dura in apparenza ma più amica

quotidiana. Negli ultimi fratelliho visto ancora i primi virtuosi,

gli antichi cavalieri che nel sognodovevano portarmi a casa mia.

Maurizio Terzetti

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Intervento Luigi Bovo

INTERVENTO DI LUIGI BOVO

COMPONENTE

DELLA GIURIA TECNICA

Come componente della Giuria per la prima edizione del Premioal Giornalismo “Pia Bruzzichelli”, desidero porgere il mio salu-to e il mio ringraziamento alle Autorità presenti, alle Giornalistepartecipanti, ai membri della Giuria, a tutto il pubblico.In particolare mi rivolgo a Maurizio Terzetti, Presidente dellaGiuria e ideatore del premio e a Daniela Brunelli, Presidentedella Pro Loco di Bastia, che assieme ai suoi collaboratori ha pro-fuso generosamente le sue multiformi capacità realizzative permaterializzare il complesso evento a cui stasera partecipiamo.Da questo momento, però, permettetemi di parlare solamente diPia Bruzzichelli, di cui ho avuto la fortuna di essere compagno,collaboratore, marito, per quarantacinque anni, anche se adessopago il conto della sua dolorosa perdita.Per stare in tema, accennerò alla storia giornalistica di Pia, iscrit-ta all’albo fin dal 1960. Pia iniziò questa professione, che non ful’unica, perché era una persona capace di fare contemporanea-mente molte cose importanti, scrivendo d’arte sacra sul periodico“Rocca” della Pro Civitate Christiana di Assisi dal 1950 fino al1980. Dall’arte andò progressivamente allargandosi alla teologia,alla critica letteraria, ai problemi etico-sociali d’attualità, quindialla donna negli anni dell’onda femminista. Questa particolarericerca ebbe modo di svilupparla dall’84 al ’89 come presidentedella cooperativa “Libera stampa” di Roma, editrice di“Noidonne” e di “Legendaria”. Dal ’91 al ’95 allargò i suoi inte-ressi a nuovi problemi del mondo colti nella specificità della nostraRegione, assumendo la fondazione e la responsabilità di“Umbria”, mensile di società, cultura e ambiente, in un tempo incui l’Umbria non aveva una pubblicazione esclusivamente dedica-ta a se stessa.

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Lasciato il casale di S. Fortunato di Assisi e trasferitasi a Bastiaall’inizio del 2000, Pia collaborò con il “Giornale di Bastia”,periodico della Pro Loco di questa città e con “UVISP informa”,trimestrale di questa organizzazione di volontariato per lo svi-luppo e la pace, continuando a dare la sua intelligenza e la suacreatività anche alle attività della Libera Università, fino allavigilia della sua morte avvenuta l’11 febbraio dell’anno scorso. In “Mai stata ferma”, pubblicata in questi mesi dalle “EdizioniCorsare” di Perugia, di cui è responsabile una cara amica di Pia,Giuliana Fanti, ho raccolto, insieme a una documentazione dellemolteplici iniziative e pubblicazioni di Pia, una antologia di suoitesti, impreziosita da commenti di suoi amici. Ne viene fuori unospaccato interessante e pregnante degli ultimi sessanta anni divita sociale, culturale e religiosa in Italia.Da questa antologia di testi riprendo uno scritto di Pia che si pre-sta a chiosare il sottotitolo del nostro premio: “In Umbria... per-ché”, riportando le riflessioni che Pia fece nel maggio 1995 pro-prio su questo tema. Erano i mesi in cui Pia aveva partecipatoalle elezioni regionali senza esserne eletta, esperienza amaraperché, come lei stessa annotò: “si corre sempre per vincereanche se è saggio saper perdere”. Il contrattempo le diede l’occa-sione di pubblicare nel n. 45 di “Umbria” il suo pensiero sulletematiche culturali, ambientali e sociali della nostra regione.Scrive Pia: “vi faccio conoscere quattro punti. Anzitutto gli aspet-ti e gli assetti generazionali”.Una società nella quale diverse generazioni non riescono a comu-nicare è una società povera, priva di memoria e di fiducia nel futu-ro, annichilita nel presente; credo che sia possibile e necessariocreare occasioni di partecipazione e interesse reciproco tra legenerazioni”.Pia poi parla di sviluppo dell’occupazione, tecnologia e ricercascientifica. “La lotta per l’occupazione non trova un ostacolonello sviluppo della tecnologia.

Intervento Luigi Bovo

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Intervento Luigi Bovo

Al contrario è importante che ai giovani vengano date nella scuo-la ampie possibilità di formazione”. Il terzo punto riguarda la dif-fusione della cultura della solidarietà e non solo della proclama-zione della solidarietà e della pace. “Sviluppare il rapporto tra culture diverse diffondendo valori disolidarietà, della fiducia e della non violenza. La solidarietà deve diventare, a mio avviso, un modo di affronta-re tutti gli aspetti della vita sociale, in maniera professionale.Bisogna vivere la tradizione e la storia come matrici di culturasolidale”.Infine Pia domanda di “dare un’anima al turismo”. Senza incer-tezze afferma che: “è forse l’impresa più difficile, ma anche lapiù necessaria per una regione come quella umbra che dal turi-smo attende beni di sussistenza e dunque la deve affrontare conenergia e lungimiranza per dare il meglio di sé senza venire tra-volta dalle sue stesse ricchezze artistiche ed ambientali” (cfr.Mai stata ferma, p. 165). Ripeto, in questi quattro succinti punti Pia ha saputo rispondere,a suo modo, a quello che anche questa sera ci chiediamo: inUmbria, perché?Il bando del premio, che stasera viene qui assegnato, parla anchedi “riflessioni al femminile”. Parlare di Pia come pensatrice,oratrice, scrittrice “ al femminile” richiede un intero saggio.Mi limito a una, per me riuscita, definizione in cui Pia “autobio-grafa” il significato esistenziale della sua vita e significa il suomodo di vivere: “La donna è stata capace di abbracciare l’uto-pia e di riempirla di conquiste concrete per sé e per l’interasocietà, segnando non tanto il rifiuto della morale, quanto ilvalore universale dell’etica.La donna ha anche riaperto (spesso nonostante lei) uno spiragliosu alcuni aspetti del sacro, spezzando la solitudine dell’uomosegregato nel primo gradino del mondo intero o dietro le sbarredelle prigioni del mondo... .

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Io penso che la donna e il corpo che è lei, e i corpi che in lei sonocome segno perenne, sia al centro del cambiamento, o meglio, siauno dei centri di un cambiamento complesso e multiculturale.Che fare: vivere il proprio corpo non come mio, ma come me ecosì ritenere i corpi degli altri” (cfr. Mai stata ferma, pp. 148-149).Con questi pensieri di Pia Bruzzichelli faccio l’augurio commossoche il premio concorra, adesso e in futuro, a tenere aperti gli oriz-zonti di cui lei ci ha parlato.

Premio Giornalistico “Pia Bruzzichelli”“In Umbria...perché?”

Mercoledì 8 marzo 2006Sala consiliare Comune di Bastia Umbra

Intervento Luigi Bovo

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Mariano Borgognoni

RICORDO DI PIA BRUZZICHELLI

Devo dire anzitutto che queste sono cose difficili. Farò il possi-bile per ripercorrere alcune tappe di quelli che sono stati i mieirapporti con Pia Bruzzichelli, discussioni, dialoghi. Vorreicominciare con il dire che sono contento per Pia della partecipa-zione di questa sera, vi sono veramente tanti suoi amici, unmondo che viene da tante parti. E sono contento anche per Bastiaperché questa, vedo con piacere, è una città che sempre più saricordare e quando c’è gratitudine credo ci possa essere anchesperanza e senso del futuro. Io ho conosciuto Pia senza che lei conoscesse me, e anche Gigi,negli ormai lontani anni settanta, ai corsi di studi cristiani dellaCittadella, di cui allora Pia era il responsabile. Partecipavo unpò così da irregolare, con molta curiosità, molto interesse, senzaun’appartenenza certa, come una persona in cammino cui piace-vano un pò come a Pia, e credo agli amici della Cittadella, le terredi confine, quelle in cui ci si poteva incontrare e dialogare. La qualità di questi convegni, il clima che si respirava, le personeche vi partecipavano, erano sempre esperienze assolutamenteliberanti. Che ne sò? Si conosceva e si approfondiva il marxismo,per esempio, con Roger Garaudy e Lucio Lombardo Radice, enon era la stessa cosa che conoscerlo attraverso altri, perchéc’era la dimensione aperta, creativa, pronta a rimettere in que-stione le rigidità ideologiche, pronta a confrontarsi con altre cul-ture. E nello stesso tempo si conosceva il cristianesimo attraversoItalo Mancini o padre Ernesto Balducci, uomini che sfidavano lafissità delle identità precostituite e che cercavano di aprire unvarco, come faceva Pia, alle novità, a un mondo nuovo che fer-mentava in quegli anni. Parliamo di trenta anni fa, però io credoche allora si è costruito un orizzonte attraverso il dialogo culturale,un orizzonte che oggi può diventare perfino concretezza politica.

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Mariano Borgognoni

Oggi ci siamo tutti liberati da fissità e zavorre ideologiche, ma illavoro di scavo, chi lo vide in anticipo, lo visse allora. Oggi peròmolti di noi pensano che essersi liberati dalle zavorre ideologichenon significa liberarsi dalla grande ansia ed esigenza di giustizia,cioè venendo insieme da tanti percorsi si può convergere liberiappunto da ideologie totalizzanti ed oppressive, si può convergereverso un traguardo di giustizia e quella rimane una sfida che ciinterpella. Io credo che il lavoro di Pia, della Cittadella, di tantialtri allora ha costruito le condizioni per questo tipo di cammi-no.Poi tra la metà e la fine degli anni ottanta cominciai a conoscerPia più da vicino, frequentarla, a discuterci di tante cose. C’erauna discreta distanza di animi tra me e lei, però devo dire, cometestimonianza personale, che l’ho sentita sostanzialmente comeuna coetanea, ho sentito che i miei problemi e la mia ricerca e imiei interrogativi erano i suoi problemi, la sua ricerca, i suoiinterrogativi, la sua curiosità, la capacità di farsi interrogare daltempo nel quale viveva. C’era una distanza di anni, però lei eramolto forte, vitale, solare. L’altra cosa che mi sorprendeva erache lei era sempre a suo agio, poteva stare a discutere con IvanIllich, oppure con il falegname, Pia era pressa poco la stessa,questo dice molto dell’equilibrio e della maturità umana cheaveva. Non ho sentito mai in lei un atteggiamento di tipo magisteriale,insomma non faceva la saggia un pò anziana, questo ruolo nonle si attagliava e non ha mai cercato di recitarlo, era semprepronta a fare una ricerca comune, e mai una ricerca puramenteintellettuale.Quello che è stato detto fin qui, io lo condivido completamente,Pia si poneva sempre, alla fine, il problema di cosa fare concre-tamente, come trasformare i sogni e le utopie in qualcosa da rea-lizzare domani.Mi sembra che questo fosse lo spirito di Pia: fare una riunione,

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Mariano Borgognoni

inventarsi una rivista, organizzare una festa a S. Fortunato, quel-la festa che era scomparsa da molto tempo, buttarsi su un premioletterario, su qualsiasi cosa seria, però c’era sempre questaansia e questa esigenza di “sporcarsi le mani”.Agli inizi degli anni novanta, sempre per seguire questo filo deiricordi, Pia mi chiese di scrivere, e anch’io con lei. Decidemmocosì che anch’io avrei scritto nella nuova rivista “Umbria” checon assoluta temerarietà Pia aveva iniziato. Gran bella idea, per-ché purtroppo in Umbria non c’era mai stata, e forse neancheadesso, una rivista, un giornale che non sia né di gossip politico,né di cose che si consumano tutti i giorni, ma sia qualcosa cheinvece rifletta sulla nostra regione, pacatamente, articolatamente,mettendo a frutto mille competenze e sensibilità, questo è stato iltentativo bello di “Umbria” ed io pubblicai una serie di racconti,non qualcosa propriamente da politico, e alla fine, come frutto diquesta collaborazione, uscì un libro, “La terra dei semi”. Mi sioffre ora l’occasione per dire che lo presentammo alla festadell’Unità a Palazzo di Assisi. Io avevo chiesti giudizi a tanti e cifu chi mi disse: bravo, hai raccontato la storia di qualche vicen-da religiosa in Umbria, ed altri: hai fatto del folclore locale,anche questo è interessante. Pia, quella sera, iniziò a presentar-lo dicendo: io trovo un Cristo enorme in questo libro e poi pocoaltro. Fece scoprire a me stesso, per certi versi, una cosa di meche non avevo notato. Questo per dire che aveva una capacità,un fiuto, con il cuore e la ragione, di cogliere sempre l’essenzia-le, senza disperdersi in accademie o altre cose di questo tipo. Ful’unica, per un certo periodo, a capire veramente il senso, poimagari non riuscito, di quello che avevo scritto.Una considerazione sul: “Mai stata ferma”. Trovo bellissimo iltitolo di questo libro, titolo assolutamente felice. Eppure, vorreigiocare un pò sul filo del paradosso, io avrei trovato anche belloil contrario: “Mai mossa”; o tutti e due insieme: “Mai stataferma, mai mossa”. E mi viene in mente un altro toscano, padre

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Mariano Borgognoni

Ernesto Balducci, quando diceva: io sono nato a Santa Fiora,paese dell’Amiata, mi alzavo presto, mio padre faceva il minatore,di fronte a casa mia c’era un convento e vedevo alla mattina cheuna dopo l’altra si accendevano le luci di questo convento, era iltempo della gratuità, cantavano lo sposo. E Balducci commenta: io, in realtà, da quella finestra di casanon mi sono mai mosso. Io penso che, in fin dei conti, si possadire la stessa cosa di Pia, o almeno a me così sembra. Pia haancorato il suo muoversi a un orientamento di fondo a cui, purnelle diverse stagioni della sua vita che sono state tante, è rima-sta profondamente fedele. Io penso di poterlo dire e sulla basedei colloqui e sulla base di quello che c’è scritto qui, in questolibro straordinariamente curato da Gigi. E cosa è questo ancoraggio e questo fondamento? Io credo chela radice sta nella sua scelta del 1947, quando lei scrive di sé:lasciai la città, l’insegnamento e venni in Assisi per fare cristia-na l’anima del tempo moderno. Oggi non si direbbe più così, èuna terminologia di quegli anni, però il fondo di quella scelta èrimasto per tutta la vita di Pia. Se non fosse troppo carico diambiguità, mi sentirei di usare per lei un termine che è quello chePia è stata pervasa da un certo ottimismo cristiano, che per certiversi, nell’esperienza della Cittadella, anticipa anche il ConcilioVaticano II.Dico ottimismo cristiano nel senso nobile, altrimenti sembra dav-vero una banalità, come annota Pia stessa : “Quando mai la spe-ranza è una cosa semplice?” Non ci può essere un ottimismo a buonmercato, ma ottimismo cristiano nel senso del concilio, cioè bastaessere profeti di sventura, come disse papa Giovanni iniziando ilconcilio, confrontiamoci con tutte le asperità che possono essercicon la modernità, non siamo i custodi del passato, incarniamoci,stiamo dentro questo mondo.In questo senso io credo di poter usare per Pia la parola ottimi-smo cristiano, che si sposa con una sorta di umanesimo di eco

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Mariano Borgognoni

rinascimentale o toscano. Io credo che il punto d’incontro traquesto ottimismo cristiano e questo umanesimo è tutto quello cheviene fuori dalla esperienza di Pia espressa nella prima parte diquesto libro, l’idea della bellezza, la ricchezza di questo termine,la bellezza che salva il mondo, secondo la celebre frase diDostoevskij, la bellezza che nasce da un’arte creativa, non un’ar-te su commissione. Da qui tutta la battaglia di Pia perché gli arti-sti trovino un nuovo rapporto con la chiesa, con la liturgia e nonsia la chiesa a dire loro cosa devono fare, possono farla gli arti-sti una nuova teologia, per un certo verso, possono narrare lafede dentro un’umanità di fede, naturalmente. C’è una frase su Chagall che vorrei citare, molto rivelativa, apagina 38, quando Pia dice: “Quando ventenne verrà la primavolta a Parigi in mezzo all’avanguardia artistica di cui uno deicanoni era il rifiuto della pittura a soggetto e il disprezzo per ilracconto, il giovane Chagall, povero ed affamato, continuerà araccontare l’antico e il nuovo testamento, che è come dire sestesso, con tutta la sua infanzia, il suo ghetto, la preghiera, gliinni ebraici, la storia del suo popolo e in più questo Cristo che loincanta e lo tormenta, lo segue dovunque, gli dà il senso dellecose, soprattutto gli dà la misura dell’uomo”. Ecco, una fede chevive nel racconto più che nella dottrina e soprattutto un Cristoche non è solo Gesù Dio-salva, ma è anche la misura della pie-nezza umana. Un uomo secondo il sogno di Dio potremmo dire,comunque misura della pienezza umana, non una cosa che è con-trapposta all’umanità, come Pia dice di avere visto in Chagall.Quindi penso che si possa dire che in nessun modo di pensare edi essere c’è contrapposizione o frattura tra fede e vita, tra fedee storia. In fondo, rendere cristiano il mondo moderno, secondola frase di don Giovanni Rossi, è come dire portare a pienezzal’umanità, renderlo umano.Per questo io credo che Pia sia stata una donna di fede forte, ma difede non ostentata ma vissuta, che riusciva a stabilire un rapporto

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Mariano Borgognoni

con gli altri in cui non c’era bisogno di sottolineare la propria appar-tenenza. E mi è piaciuto in questo libro, tra l’altro, il recupero diMaria: “riprendere Maria tra di noi”, come scrive a pagina 49.“Nessun ragionamento teologico nè elevazione spirituale puòstaccare Maria dal nostro essere creature dinnanzi al Creatore.Riprendere Maria fra noi, introdurla di nuovo nelle relazioni dicomunità di fedeli, diventare umili imitatori delle sue virtù piut-tosto che cantori delle sue bellezze, è forse diminuirla? Noncredo. Credo che ci sarà qualche fulgido aggettivo in meno perlei e un fermento di fede e di forza nella comunità cristiana”.Anche qui si manifesta quella che potremmo chiamare fedeltàalla terra, al mondo, alla vita.Direi, in conclusione, che si può dire di Pia che è stata una cri-stiana “conciliare” con il carisma del dissenso – il dissenso èqualche volta un servizio – anche nei confronti della chiesa,anche delle sue gerarchie. Ma un dissenso sempre solare e affet-tuoso, come emerge in molti degli scritti qui pubblicati, nellaconsapevolezza che c’è questa forte esigenza di apertura e diconfronto con il mondo. Verrebbe in mente la frase di DietrichBonhoeffer in cui avverte che si può cantare il gregoriano solodopo aver combattuto le battaglie di giustizia. Se lo si cantasenza aver combattuto battaglie di giustizia potrebbe essere unpo’alienante, le due cose devono andare sempre insieme.Secondo me, azzardo, questa è stata la radice della generosità diPia nel parlare, nello scrivere, nell’essere una donna impegnatain compiti di governo e di amministrazione, in impegni di carat-tere politico e concreto. Arrivata a Bastia si è buttata subito sullecose vive della città, Unilibera, UVISP, Pro Loco, cioè in quellesituazioni che facevano della città una comunità vera, con spiri-to di generosità, di contraccambio, di attenzione a tutte le diffi-coltà. E la cosa straordinaria – io l’ho potuto constatare di per-sona – è che lei ci metteva lo stesso impegno per qualsiasi inizia-tiva, in qualunque posto fosse, e sempre con la stessa generosità.

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Mariano Borgognoni

Qualche volta, in politica, con qualche ingenuità, e meno male,anche se non sempre la politica è riconoscente con le personegenerose. Però io credo che alla fine questa generosità non vadamai dispersa e oggi Bastia e gli amici di Pia, ricordandola inquesto modo, dimostrano che questo impegno, questa generositàsono le corde che veramente restano. E per questo credo chedovremo continuare a ricordare e a mettere a frutto gli insegna-menti che Pia ci ha lasciato.

Mariano Borgognoni

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ARTICOLI PARTECIPANTI

I EDIZIONE

PREMIO LETTERARIO INSULA ROMANA

“PIA BRUZZICHELLI”

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Articolo Anna Santarelli

Un viaggio in Umbria è un’esperienza dell’anima. Abbraccia esintetizza in modo mirabile paesaggio, arte, religiosità e tradizio-ne. L’Umbria, terra ricca di acque, disegnata da verdi colline, daborghi medievali con la caratteristica trama di viuzze e costruzio-ni antiche, mette l’uomo a tu per tu con se stesso. Solitudine,silenzio, pace, restituiscono alla persona la sua dimensione piùautentica, invitano alla meditazione. A contatto con una naturache continuamente si rigenera e, al tempo stesso, rigenera le suecreature. Il paesaggio umbro restituisce intatto il filo della storia.Una forte memoria, come quella che affiora da questi luoghi, dàil senso pieno del nostro passato, illumina il presente, aiuta acostruire il futuro, senza perdere di vista i valori spirituali chequesta terra antica custodisce. Una ricerca della spiritualitàumbra non può prescindere dall’arte, a cominciare dall’architet-tura, che incarna la struttura stessa della città. Si ammira la mae-stosità e si coglie in pieno la poesia del romanico nel duomo diSpoleto. Si sperimenta l’elevazione dello spirito e si coniuga labellezza dell’arte con la ricerca dell’assoluto nel duomo diOrvieto. Riecheggia il messaggio di San Francesco nella basilicadi Assisi a lui dedicata. Qui gli affreschi di Giotto si fanno paro-la, predicazione rivolta al mondo. Assisi è il luogo dell’anima pereccellenza: situata su un colle, raccolta, silenziosa, eppure uni-versale. Un luogo attraversato da pellegrini giovani e meno gio-vani, che si sintonizzano sul linguaggio di San Francesco e diven-tano un’unica comunità. Al di là delle barriere linguistiche, reli-giose, territoriali. La pace, la fratellanza, l’amore per tutte lecreature, sono il messaggio che Assisi rivolge agli uomini. Di qui a Gubbio. Città di pietre, ben custodisce lo spirito e l’in-segnamento di San Francesco, che vi ammansì un lupo feroce, insegno di amore verso tutto il creato. Una terra fortemente spiri-tuale l’Umbria, che ha saputo parlare al mondo anche attraversole figure di Santa Chiara e San Benedetto da Norcia. I valori dellapreghiera e della meditazione, unitamente alla sacralità dello stu-dio e del lavoro, hanno lasciato il segno nel solco della storia.

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Articolo Anna Santarelli

Un patrimonio al quale possono attingere gli uomini di tutti itempi. A Perugia, un percorso che coinvolga il cuore e la menteporta inevitabilmente alla chiesa di San Pietro. Sia pure arricchi-ta da uno sfarzoso apparato decorativo, con il suo impianto basi-licale classico, poderoso e lineare, rimanda ai primi secoli del cri-stianesimo. In posizione quasi appartata, è il luogo ideale peraccogliere dentro di sé il mistero e confrontarsi con la nuditàdella proprio anima. Tutto il tessuto urbano di Perugia è orditoall’insegna dell’armonia, come un mosaico fatto di mille tessereche legano arte, storia, vita quotidiana, esperienza religiosa,dando luogo a fermenti culturali e spirituali sempre nuovi. Unareligiosità intensa trabocca dalla ricca collezione della Gallerianazionale dell’Umbria. catturano la sensibilità del visitatore laraffinata Madonna col bambino di Gentile da Fabriano, che hasaputo trasferire nella sua pittura la sacralità più intensa e com-movente, il luminoso polittico di S. Antonio di Piero dellaFrancesca, le splendide tele di Giovanni Boccati, venate di sug-gestioni terrene, Madonna dell’Orchestra e Madonna delPergolato. Fino al cromatismo nitido, luminoso e spirituale cheanima gli affreschi del Perugino, al Collegio del Cambio. Questoillustre figlio dell’Umbria incarna bene l’anima della regione,con la sua pittura ispirata alla grazia e attenta al fascino del pae-saggio. Un viaggio in Umbria vuol dire riscoprire le nostre radi-ci, rivalutare un grande patrimonio spirituale e renderlo ancoraattuale, per raccogliere le molteplici sfide che aspettano noi,uomini e donne di questo tempo. Vuol dire risvegliare la nostrainteriorità, praticare nuovi modelli di vita, vivere la femminilitàrichiamandosi all’essere più che all’avere, all’ascolto più cheall’ostentazione, all’idealità più che all’effimero. Vuol dire coltivare le ragioni del cuore, l’impegno e la speranza.

Anna Santarelli

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Articolo Anna Segatori

Spiritualità come ispirazione alla natura, come partecipazionedella natura e di un territorio. È forse l’Umbria meno strillata adevocare di più questo tipo di spiritualità. Regione mistica, dico-no, terra di Santi. Affermazioni limitative per una terra certo riccadi spiritualità ma ispirata non soltanto dalle tante figure religiosevissute qui e dai santuari e monasteri a queste dedicati. È la stes-sa orografia della regione a suggerire molto di più. Paesaggi doveuna natura, a volte prepotente, a volte gentile, accoglie con bene-volenza chi vi si accosta con la predisposizione d’animo giusta,pronta al rispetto per le regole non scritte, per un silenzio che rac-conta delle genti che hanno vissuto qui. L’Umbria è arte, e nonsoltanto dell’uomo. L’Umbria è una delle massime espressioniartistiche di una natura che nel corso dei secoli ha dato vita a pae-saggi unici nel loro genere e tanto diversi tra loro. Il termine spiritualità, in Umbria forse più che altrove, assumequindi una valenza che va oltre l’aspetto più prettamente religio-so. Al di là dell’indiscutibile fascino che emanano scenari comela piana di Castelluccio di Norcia nel periodo della fioritura, o glialtipiani di Colfiorito, è difficile non partecipare del paesaggiosemplicemente andando per le strade secondarie che colleganocittà e piccoli centri. Come quando, uscendo dalla Strada Flaminia,si sale su per il monte Serano attraverso antiche piante d’olivi, finoa scorgere il castello di Campello Alto. O come quando si percor-rono le colline della zona di Bevagna e Montefalco con i vigneti diSagrantino che volgono al rosso. Non è raro incontrare un turistafermo a fotografare apparentemente nulla, ma forse con l’intentodi fermare una sensazione.L’Umbria, con i suoi 830mila abitanti, che ha mantenuto intatti isuoi borghi medievali e non ha subito un’urbanizzazione selvag-gia, resta tuttora fonte d’ispirazione per artisti che decidono, sem-pre più numerosi, di trovare un rifugio qui, esuli volontari digrandi e caotiche città. L’Umbria, meta prescelta da molti turisti,offre numerose occasioni per evadere dalla frenesia del quotidiano.

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Articolo Anna Segatori

Sia che si opti per delle passeggiate nella natura meno conosciu-ta; sia che ci si regali una visita a manifestazioni culturali di ele-vata qualità famose in tutto il mondo come Umbria Jazz o ilFestival dei Due Mondi; sia, ancora, che si visitino borghi storicivalorizzati grazie ad una conservazione architettonica ed artisticaper nulla invadente.Città più note e piccoli centri meno conosciuti, infatti, armoniosa-mente integrati nella natura, contribuiscono anch’essi ad ispirarespiritualità.Come non restare ammutoliti quando, al termine della discesa delvalico della Somma, dietro una curva si scopre, inattesa ed impo-nente, la Rocca albornoziana che sovrasta Spoleto? O quando sirivela improvvisamente il Duomo di Orvieto? O, ancora, quandosi scopre lentamente la Basilica di San Francesco, ad Assisi?A mantenere intatta questa regione dalle tante sfaccettature, èanche il profondo rispetto che gli umbri hanno per la propriaterra. Soprattutto nei piccoli borghi, basta passeggiare per trova-re chi pulisce una strada, o accudisce piante cresciute fuori dalcancello della propria abitazione.Vox populi vuole gli umbri persone chiuse. Ma forse c’è un altrolivello di lettura, che è, appunto, quello della cultura del rispettoe dell’amore per un territorio. L’accoglienza verso chi, il rispetto,lo porta con sé, viene spontaneamente.La spiritualità, in Umbria, non va dunque cercata soltanto in sug-gestivi monasteri o nella storia dei santi vissuti qui. Va più chealtro ricercata in se stessi e nella propria disponibilità ad aprirsiper accogliere un territorio che è natura, tradizione, storia, arte ecultura.

Anna Segatori

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Articolo Sara Stangoni

Lo ha fatto pensare Giovanni Paolo II con le sue visite e gliincontri ecumenici proprio qui. Lo ha richiesto ai deputati euro-pei Franco Gualdrini, vescovo emerito di Terni, Narni e Amelia:«l’Umbria è chiamata, può e deve svolgere il servizio di essere edivenire l’oasi di spiritualità dell’Europa». Perché tanta intensi-tà e sacralità? Decido di scoprirlo.Mi libero dei tacchi, spesso un frivolo conforto per sentirmi“all’altezza” della situazione. Spengo il cellulare e come una visi-tatrice solitaria mi aggiro tra il dolce declinare delle colline e lelimpide acque di questa terra, felicemente novellata da poeti e let-terati. Si aprono al mio sguardo ridenti valli costellate di borghie castelli. Luoghi ideali per vivere appartati nella natura.Ma un filo rosso collega ogni angolo dell’Umbria, sul quale scor-rono frammenti di vita di uomini e donne, da un passato non sem-pre glorificato. Sono loro, i Santi, i veri protagonisti della storiaumbra. Resto incantata: arte e fede si fondono in un lieto connu-bio. Mi rapiscono pitture e affreschi dal gusto scenografico edalla ricercata vivacità narrativa. Sono ovunque. Piccoli pezzi diun grande puzzle, e per terminarlo si devono trovare tutti.Ma brividi di ammirazione percorrono il mio corpo quando sco-pro l’austera semplicità con cui la gente mi apre le porte, quellasemplicità voluta proprio da queste figure religiose. È la “terra disanti”. Li definiscono chiusi, “gli umbri”, un popolo di pocheparole. Li ho osservati con cura, da fedele reporter, e ho capito.Gli umbri preferiscono ascoltare una voce che non emette suoni,che non dice nulla, ma trasmette tutta la spiritualità di questi luo-ghi. È la voce del silenzio. Turisti e pellegrini invadono ognianno questa terra sedotti dalle bellezze naturali, catturati da atmo-sfere magnetiche. Ma la vera anima dell’Umbria è il silenzio.Basta mettersi seduti sui gradini di una scalinata. O nel chiostrodi un monastero. O semplicemente abbandonarsi su un prato. Siproietta lo sguardo verso l’orizzonte, al di là delle strade e dellagente. In totale silenzio. Il tempo si ferma, non è più reale.

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Articolo Sara Stangoni

E l’anima si sente libera. Seduta in questa tranquillità, scopro ilvero messaggio che l’Umbria ha voluto trasmettere nei secoli.C’è qualcosa di straordinariamente magico nel silenzio! Allontanadi colpo l’insopportabile quotidianità. Tutte le abbazie, chiese ecappelle diventano strumenti di raccoglimento e sacrificio. Miricordo quando d’estate i miei genitori mi portavano a visitarel’abbazia di Sant’Eutizio, sui Monti Sibillini. La guardavo con soggezione, era enorme. Sembrava aggrapparsiper miracolo su quel pendio. Ma domina la valle da più di 1500anni, con orgoglio e possanza, e il culto del suo santo non si è maiarrestato.Sono questi i circuiti spirituali per ritrovare la nostra identità.Già, l’identità. Ne parlano tanto oggi, fin troppo. Sembra staredappertutto e in nessun luogo. E guarda caso, mai dove siamo.Ma forse ciò che abbiamo dimenticato, in chissà quale angolo, èsolo la nostra anima. E vi giuro, in questo paradiso sembra esser-cene un po’ per tutti. Basta fermarsi solo un attimo, e ascoltare. Ilsilenzio dell’anima riecheggia tra le mura arroccate, si sente nellevallate più nascoste, fino a risalire oltre l’immensità del cielo. Ilsegreto? Il fascino di un luogo sacro dove rivive ancora oggil’originaria fraternitas divulgata da San Francesco di Assisi.“Iddio non è nel frastuono”, chi medita tace. Nella società moder-na tutto è rumore. La gente grida anche quando parla. Abbiamo smarrito il gusto e il piacere di ascoltarci.La sfida dell’uomo di oggi è proprio quella di ritrovare i sentieridel silenzio. E qui si sente nel respiro dei boschi, mentre il ventosi infila fra gli alberi. Nelle voci degli animali e nel profumo deifiori. “Procurino di stare in silenzio” ammoniva San Francesconelle regole per i frati. Sono proprio all’interno della sua basilicae posti per eccellenza della meditazione, incastonata nel monteSubasio come la gemma più preziosa di un gioiello regale. Le parole dei Santi sono scritte nei luoghi in cui furono dette,impresse nelle rocce, nelle case, negli edifici religiosi.

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Articolo Sara Stangoni

Guardo la cartina dell’Umbria e noto di colpo un particolare.Incredibile. I paesi dei Santi formano un’immaginaria croce sacra:Santa Veronica Giuliani a Città di Castello, Jacopone a Todi, SanBenedetto e Santa Scolastica a Norcia, San Valentino a Terni.Quattro vertici con al centro il cuore della religiosità umbra: SanFrancesco e Santa Chiara d’Assisi. Perché come disse Giovanni Paolo II alle clarisse in una sua visi-ta ad Assisi: “È difficile distinguere questi due nomi: Francesco eChiara; questi due fenomeni: Francesco e Chiara; queste due leg-gende”. E da oggi voglio pensarla così l’Umbria. La mia Umbria.Dove sono orgogliosa di essere nata, dove adoro vivere. Questosilenzioso cuore verde protetto da una croce, custode di memoriae speranze.

Sara Stangoni

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Articolo Marina Rosati

Da quando nel 1876 Giosué Carducci la promosse a rango diregione più verde d’Italia l’Umbria è il simbolo della possibileconvivenza tra uomo e ambiente, dove la natura è madre e nonschiava. Dove le nervature delle montagne si addolciscono versola vallata creando un giardino di colori. Ci sono poi i suoi borghi,arroccati su sporgenze rocciose, come Assisi, Gubbio, Trevi eSpello, dove il passato è presente nelle stradine che s’inerpicanoverso gli antichi bastioni, nelle piccole edicole e nelle grandichiese e basiliche. Tutto è storia e spiritualità: non c’è angolonelle città umbre che non parli da sé, eventi e manifestazionicome il Canta Maggio, la Passione o l’infiorata che rendono spe-ciale il rapporto tra popolazione e territorio. Un territorio tagliato “fuori” dalle grandi arterie infrastrutturali enonostante questo l’Umbria ha sfruttato al meglio il suo centri-smo facendosi lambire dalle vie di comunicazione più importan-ti, senza rinnegare la sua natura e distruggere il suo patrimoniocaratterizzato dalla cultura contadina, dove la pace della provin-cia italiana è regina e la maggior parte delle vecchie tradizionilegate alla prevalente cultura campestre resistono.Quando da bambina sentivo ripetere sempre queste cose non riu-scivo a capire quale fosse la fortuna di vivere in un ambiente diprovincia lontano e semi isolato dai grandi centri in cui le aspira-zioni e i progetti di un adolescente alla ricerca della propria cre-scita personale apparivano più difficili da realizzare. E io che sognavo la città, la metropolitana, i grandi palazzi, un pòdi rumore dopo anni di “incessante” silenzio, mi sentivo quasipresa in giro. Poi invece la metropoli l’ho conosciuta davvero,l’ho anche apprezzata, ma ben presto mi sono resa conto che ilsuo fascino è sublime, immediato e poco duraturo.Ho iniziato così ad odiare quei palazzi che oscuravano il cielo,quel rumore che, da bambina, mi sembrava segno di vita, è diven-tato insopportabile. E poi l’umanità: quella che in periferia è gen-tilezza, condivisione, amicizia, in città si trasforma in indifferen-

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Articolo Marina Rosati

za totale, in vera e propria solitudine. Così da grande ho iniziatoa sognare, quando da bambina insieme alle mie cugine aspettava-mo la Pasqua: la mamma e le zie preparavano le torte e noi pen-savamo ai disegni da fare sulle uova da portare a benedire il saba-to santo. E in estate quando era tempo della battitura del granoc’era un gran movimento: gli uomini impegnati sull’aia con imacchinisti e le donne, le vere regine della casa, che davano unamano fuori ma preparavano il pranzo dentro, pronte a servire atrebbiatura finita.Nonne, mamme, sorelle e zie erano le colonne della famiglia,tanto più in un ambiente tipicamente patriarcale e contadinocome quello umbro la figura femminile conquista la scena: dallavoro dei campi alla cucina, dai figli all’impiego fuori casa.Istantanea del passato non troppo lontana tuttavia dal presente; inun contesto ancora a misura d’uomo come quello umbro la natu-rale evoluzione femminista concilia l’immagine della donna chelavora con la madre di famiglia. Così ho ricominciato a pensareai miei borghi, al misticismo di Assisi e alla pace di Gubbio, allasuggestione artistica di Spoleto e all’imponenza di Orvieto.Ho pensato che nessun altra regione per le sue dimensioni, la suaposizione strategica, il suo ambiente, la spiritualità che i suoisanti ci hanno lasciato, l’arte e la cultura, la tranquillità pondera-ta e non eccessiva, la ricchezza dei suoi paesaggi vale tanto. Nonche il resto d’Italia sia privo di tanta bellezza, ma l’Umbria rie-sce a sintetizzare modernità e tradizione, ambiente ancestrale equalità, vocazione agricola e piccola rappresentanza industriale.In Umbria convivono apparenti contraddizioni come il laicismouniversale di Capitini e la spiritualità cattolica di San Francescoche, superate le strumentalizzazioni politiche, si ritrovano nel-l’unico e inconfondibile significato della parola pace. Stannoinsieme la piccola dimensione rurale e l’internazionalismo mul-tietnico di Assisi, la cultura nostrana e le grandi forme artistichedi Umbria Jazz e Festival dei Due mondi.

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Articolo Marina Rosati

Alla luce di tutto ciò credo che questa regione meriti di esserepreservata nel suo Dna, esaltata nelle sue eccellenze e comunquedotata di quegli strumenti essenziali di godimento e fruibilitàlogistica che, adeguatamente conciliati con il territorio, vadano acomporre il quadro del “perché in Umbria”.Contemperare questo standard di vita “borghigiano” con la neces-saria evoluzione socio-economica è la “puntata” vincente, sullaquale tutti, ciascuno per le proprie competenze e responsabilità,siamo chiamati a scommettere.

Marina Rosati

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Articolo Sara Biarella

Una gru, dal consueto color ocra, spicca nel gelido cielo di dicem-bre, nell’agglomerato edilizio di San Mariano. E la campana dellachiesetta, confusa dai colpi dei martelli pneumatici, batte le sedi-ci. È compiuta l’ultima ora di lavoro dell’anno 2005, il geometraè pronto a chiudere il cancello, pochi minuti per raccattare gliattrezzi, per due giorni si riposa. Ne mancava uno all’appello, lochiamarono. Non rispose. Dal quarto piano era sceso al terzo, inuna pozza di sangue. Nessuno aveva sentito colpo, né grido.Trentatrè anni, e due giorni di agonia. Dal Silvestrini al porto diNapoli in Mercedes, e l’ultimo viaggio in traghetto verso la suaisola. Poi al deposito del cimitero del paese, poiché un loculo nonera disponibile al suo approdo. La pioggia battente di gennaiocancellava la rossa macchia, e arrugginiva il crocefisso, che luiaveva inchiodato ad una trave di legno. “Niente alcool e sigaret-te, neanche una bestemmia!”, racconta un collega conterraneo,“lui portava Santa Rosalia, qui aveva San Mariano, si sentivacustodito dai vostri Santi, in una botte di ferro… bensì è tornatoa casa in una bara di legno”. Tra i tintinnii del ferro, la radio tra-smette un motivo di Bennato: “situazioni che stancamente, siripetono senza tempo... .” recita il ritornello. È un tentativo pertornare alla normalità. Il caposquadra la spegne, cogli occhi affa-ticati dal dolore sussurra: “al nostro paese c’è la fame, anche suopadre fa il pescatore, da voi il carpentiere non lo vuole fare nes-suno! Noi abbiamo la partita iva e ci pagano bene”. Sono ingegneri, periti e geometri, sono salpati dalla Sicilia, dalNord-Africa, taluni sono atterrati dall’Europa Orientale, convintiche l’Umbria sia il paradiso che procura pane e ali, per volare aldi sopra del lastrico. Altri sono immigrati dopo il terremoto, poi-ché nelle gare d’appalto i loro preventivi erano i più bassi.Risiedono in Umbria da anni e colmando il deficit di manodope-ra nell’edilizia hanno eretto un’impresa, fabbricato una posizio-ne, impastando fede e cemento. Perché il binomio “birra e bestem-mia del muratore” è un pessimo luogo comune: lui pregava, man-

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giava coi colleghi durante la pausa, aveva una moglie, sognava unerede, metteva da parte, per potenziare il destino che era statoassegnato. E la sera, dal cantiere, portava alla sposa un sorriso.Anche lui aveva chiuso gli occhi per sognare, in fondo al cuore:un figlio, una cravatta al collo, la macchina col mirino, l’aziendacon gli operai. E neppure il suo crocefisso e San Mariano l’hanno salvato. Lui che, inchinandosi, si toglieva l’elmetto al sopralluogo di chi,avendo il nome stampato sul nubile cartello della recinzione,indossava la cravatta. L’Umbria registra l’assurdo primato diincidenti mortali sul lavoro, l’attuazione delle norme di sicurez-za spesso scarseggia, i trattamenti previdenziali ed assistenzialitalvolta sono rarità. Si lavora in nero nell’edilizia, soprattutto. Simuore pure se la legalità è osservata, se Dio chiama. E il cemento invade le splendide campagne, nasconde la storia,semina disgrazie. E qualche sedicente “santo” mercanteggiamiracoli sui piani regolatori e sui commi delle leggi conquistatedai sindacati. Ma a San Mariano era davvero tutto in regola, si investiva insicurezza, soprattutto. “Nel cantiere contiguo gli extracomunitarilavoravano finanche la notte. Avevano a loro carico un decreto diespulsione, hanno arrestato i padroni”, confida un muratore, “uncantiere pulito come il nostro non l’avevano mai visto, c’eranodavvero tutte le protezioni, eppure ci è scappata la sventura”. È ilprimo di Febbraio, alla stessa ora del mese precedente, la campa-na della chiesa di Torgiano annuncia con pochi sordi rintocchi laMessa di suffragio. È una musica per pochi amici.Sono nomi che si scrivono e si cancellano come un’orma neldeserto, sono gente a cui nessun comune intitola una piazza.Sudando nel qualunquismo del mestiere, hanno sognato una posi-zione; legando al cielo le ruvide mani, hanno consumato un pani-no davanti al fuoco, spesso ricolmando le tasche dei padroni. Il salario equivale ad un metro quadrato, che per molti ha il valo-

Articolo Sara Biarella

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Articolo Sara Biarella

re della sopravvivenza. Le chiamano “morti bianche” perché nonlasciano traccia, perché succede quando un principe sta visitandoAssisi o è in corso un congresso politico a Perugia, quando lastampa è impegnata altrove, o perché tutto ciò fa scarsa notizia.E sono rischi che le donne non corrono. Sono i nostri padri, fra-telli, mariti e amici. Ignote iscrizioni sepolcrali, che non si notano. Angeli che nellaterra hanno investito l’ambizione per elevare un solaio, per scher-mare un tetto, poveri diavoli che volano dai ponteggi, senza aliné aureola, quelli che hanno innalzato le regge dei soliti noti,coloro che dal paradiso ci gridano che tutto poco importa.Sono soprattutto ricordi, che svaniscono, come il sangue chehanno lasciato sul cemento. Oggi è l’unica musica che echeggia tra quei puntelli, un sorrisoche intiepidisce questi glaciali attimi, in uno dei numerosi cantie-ri di San Mariano. Pure lui, da anonimo, era in Umbria per cam-biarne i tratti e, più di tutto, la sua esistenza. E perché anche oggi, stupito, ci rivolge lo sguardo, sorride, inchinail capo togliendo l’elmetto. Perché Gaspare neppure questo siaspettava.

Sara Biarella

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Articolo Carmela Neri

Cieli, cieli infiniti sorvolano l’Umbria dei borghi e dei colli, dellago e delle città. Guardarli è impossessarsi di un pezzo di divi-no. Tutto questo azzurro solcato di nubi estive “leggere e vagan-ti”, di gelidi e rossi tramonti invernali riflessi sulle acque deifiumi, di livide, rugiadose albe d’autunno, dell’umida primaveradelle mimose e dei fiori di ciliegio, sovrasta un paesaggio linea-re, remoto, macchiaiolo, fatto di pietra e vegetazione, connubiodi aerea santità e terragna bellezza. Sublime e semplice, “naturalmente” spirituale, così l’Umbria;come i suoi poeti, i suoi santi, la sua cucina, la sua gente le suefeste. Ed è facile, attraversando per caso una delle tante stradevicinali che ricamano la dolcezza rotonda delle colline – care alPerugino e a Dottori, a Duccio e Giotto e a Signorelli, Raffaello,Pier della Francesca, Ghepardi – o delimitano le piane piatte eordinate delle valli fluviali, tra filari di olmi e querce, capire per-ché in questi luoghi si pensa e si costruisce la pace, si ritempra-no corpo e mente, ci si riconnette con il proprio mondo interiore,accedendo ai sentieri più nascosti del paesaggio e del cuore conla stessa intima gioia che fece dire a Jacopone: “O iubelo de core,/ che fai cantar d’amore! / Quanno iubel se scalda, / si fa l’omocantare, /e la lengua barbaglia / e non sa che parlare: / dentro nonpò celare, / tant’è granne “l’dolzore”. Qui San Francesco, dantesco sposo di Madonna Povertà, predica-tore d’umiltà e carità, nudo e scalzo, da cotanta privazione trassemessaggi di straordinaria pienezza: “Laudato sì, mi Signore, perfrate vento / et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, / perlo quale a le tue creature dai sustentamento... .”Per non tacere di San Benedetto da Norcia, che in un mondodevastato e in ginocchio, con due sole parole – “Ora et labora” –dissolse le nebbie barbariche rifondando cultura latina e, insieme,spirito ed economia europei. In Umbria la santità, l’eroismo, partono dal basso per arrivareovunque. E il “basso” è spesso, materialmente, proprio la terra,

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Articolo Carmela Neri

quella, ancora, semplice e francescana, come l’acqua “utile etumile et preziosa et casta”, e che “produce diversi fructi con colo-riti flori et erba”. Terra ombrosa, boschiva, selvaggia, di pocheparole, di molti fatti, che da un secolo invita il visitatore sull’ondadi un piccolo “bacio” di cioccolata, promessa d’intrigo e d’amoree segno d’antico genio imprenditoriale, trattenendolo poi in uncammino a ritroso per strade rupestri in cui, tra vigneti e boschicarichi di funghi e castagne, roseti profumati s’inerpicano lungo lefacciate sregolate e petrose di cinquantacinquemila casali di pog-gio, montagna o pianura, costruiti della pietra calcarea o arenariadel nord o del vulcanico tufo sud-occidentale, sovrastati di “coppi”di terracotta freschi di fornace, testimoni a cielo aperto di una pro-duttività umile, mezzadrie, da sempre solida spina dorsale di unaregione aspra e appenninica, ma anche fluviale e lacustre, traver-sata da ampie vallate un tempo paludose e poi, da etruschi e roma-ni, rese fertili, agevoli, comunicative. Almeno quanto le montagnerestavano alte, dure, inaccessibili, intrichi di pini, abeti, lecci efaggi battuti da gelidi venti, piegati da pesanti nevicate come dalprimo sole, dalle precoci gemme di primavera; e disseminate dileggende, canti, canzonature, stornelli, magie, Sibille, mentre ilcocchio di Ponzio Pilato trainato da cavalli impazziti, evocato inun febbricitante immaginare, spariva negli inghiottitoi carsici dellapiana di Castelluccio... .Un mondo mercantile e aristocratico in città, capace di lussi eaudacia militare e politica... .Un mondo soprattutto povero e contadino a ogni latitudine dellacampagna, che ha vissuto di poco per interi millenni, e da quelpoco oggi trae la ricchezza di agriturismi, torri e castelli riadatta-ti in residenze d’epoca. Nati perché, dalle opulente città, i mercan-ti, tra il XV e il XVIII secolo, amarono edificare nel contado caseper il loro riposo, e per la produzione agricola: costruzioni fatte aimmagine e somiglianza di quelle cittadine dotate di eleganti sca-linate esterne, archi, loggette, porticati e torri colombaie, d’una

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Articolo Carmela Neri

ruralità quasi signorile, ripetuta poi nei secoli secondo disegnitradizionali, e ancora splendide agli occhi di chi le guarda, sper-dute nell’insediamento sparso d’ascendenza germanica e feudaleche denota una tendenza antica della gente umbra allo ‘understa-tement’, alla distanza e alla riservatezza, spesso anticamera divera spiritualità. Così l’Umbria è terra di case rurali e, insieme, di santuari, abba-zie, conventi, eremi, romitori, grotte, dove a lungo santi ed ere-miti più o meno noti si isolavano in preghiera, tra sofferenze,dubbi atroci della fede, meditazioni e tormenti, mute domande eimperscrutabili soliloqui con Dio. Ma è anche terra di fede giocosa, di feste e sarabande, saltarelli emadrigali, nelle aie e nei palazzi, nelle corti e nei castelli; comedi balli di carnevale in dimore nobiliari, piazze e teatri; di feste atema che illuminano le calde sere di una troppo breve estate.Santità mista a paganesimo, trasgressione rimata a devozione...sot-tili linee, tremuli percorsi tra ciò che avvicina a Dio e ciò che èumano, troppo umano... .Vantaggi duplici di una terra essenziale come una lirica diMontale, che sa arrivare all’anima, sa prenderti con niente, colbambino che, vestito da angelo, sta serio vicino alla capanna nelpresepe vivente di Natale... o che, nelle notti d’aprile, brandendouna fiaccola, segue le processioni pasquali segnate dal funereoritmare delle confraternite... .Infine, che ti entusiasma facendo correre i suoi santi preferiti, inun tifo da stadio, su alti ceri; o travestendosi in solenni corteimedievali, rinascimentali o barocchi; cimentandosi con archi ebalestre; o lanciando in alto bandiere a scacchi colorati e, alsuono dei tamburi, spronando al galoppo cavalli arabi e spagnoliin giostre, palii e quintane, alla conquista d’anelli e onore controi saraceni. Terra di duellanti rioni e terzieri, gaite e guaite, mercati e fieremedievali; di devoti “faoni”, i fuochi che a Norcia illuminano di

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Articolo Carmela Neri

notte il passaggio della Madonna di Loreto; e di beneaugurali“pasquarelle” cantate dai ragazzi la vigilia dell’Epifania, bussan-do di casa in casa... .Terra di “palombelle” orvietane del CorpusDomini, evocanti il vicino miracolo di Bolsena, e delle penteco-stali infiorate di Spello, Città della Pieve, Cannara... . Religioneframmista a rievocazioni storiche, feste di piazza, scatenati car-nevali, sagre paesano... . Come la dolce festa di San Martino, chetra le brume di novembre, un pò ovunque, a S.Martino in Collecome a Bastia, rievoca un gesto di cristiana carità offrendo a tutti,prosaicamente, vino nuovo, “arvoltoli” e castagne. È qui che ilsacro convive con la storia, anche violenta o sensuale, sempre ecomunque; come nel castello dei Cavalieri di Malta di Magione,che ristorava pellegrini in viaggio verso Roma o crociati in par-tenza per Monte Sant’Angelo e Gerusalemme, a difesa della cri-stianità. O come nella magia dei “Calendimaggio” assisani, in cuidalle sfide medievali tra le parti “de sopra” e “de sotto” spunta,botticelliana e pacificatrice, Madonna Primavera, simile alle cri-nite Maddalene rossovestite, alle fiorenti Agate, Lucie e Caterine,alle bionde sognanti Vergini dagli azzurri mantelli dipinte e scol-pite della Galleria Nazionale dell’Umbria...simulacri di fanciullefatali, muse di pittori, nei cui occhi si specchiano i colli traciman-ti d’ulivi, macchie color verde-salvia che inghirlandano ilTrasimeno, Perugia, la Valtiberina da Città di Castello a Trevi, aSpoleto... .Terre d’olio, e di vini bianchi (etruschi) e rossi (roma-ni) da Torgiano a Montefalco, da Orvieto a Todi, da Città diCastello a San Martino in Colle, da Spoleto a Marsciano... .Terre di colture biologiche, erbe officinali, di grano e fieno,foraggi, e campi infiniti di papaveri e girasoli. Prodotti arcaici enaturali, che portano a tavola dolci poco elaborati, ricette vec-chissime, da fare anche in casa, imparando dalle nonne, e quasisempre coincidenti con la festa di qualche patrono (forse per i tre-centodiciott’anni di dominio pontificio?), con qualche ricorrenza,come i torcoli perugini di San Costanzo, le “ciaramicole” di

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Articolo Carmela Neri

Pasqua, i torciglioni e le folignati rocciate di Natale adagiati suipiatti di ceramica gualdese o derutese, con tovagliette di tombolodel Trasimeno o pizzo d’Orvieto; i tozzetti da gustare col vinsan-to, le mandorlate “fave dei morti”, gli aromatici panpepati nataliziamerini e ternani, le “cialde” all’anice di carnevale, versione“secolarizzata” e zuccherata dell’ostia benedetta... .Religione “gastronomica”, da consumare dopo la pasta fatta incasa, farro e lenticchie, risotti alle erbe, prosciutto e tartufo, arro-sti alla brace e porchetta longobarda di Costano, crostini di fega-tini di pollo, “imbrecciate” fontignanesi di legumi, accompagna-ti da torte pasquali al formaggio (portate a benedire in chiesa ilSabato santo) o cotte al “testo” di pietra, le cui varianti eugubinee tifernati sono le quasi marchigiane “crescia” e “ciaccia sulpanaro”... .Ha origini millenarie – nelle vecchie cucine rustiche dicampagna col grande caminetto, dove oltre che stare “a veglia”nelle fredde sere invernali, a raccontare, bere e scherzare, si cuci-nava la straordinaria sapienza e cultura alberghiera e della ristora-zione legata all’antica capacità delle famiglie patriarcali contadinedi preparare ogni giorno, e con pochi mezzi, pasti per nuclei parenta-li allargati anche a trenta-quaranta persone, che raddoppiavano per lamietitura e la battitura, o la raccolta delle olive in novembre... . Ed è forse nell’intimità sommessa di quel focolare notturno che resta,ancora, nei discorsi tra amici, o nella solitaria ipnosi indotta dal fissa-re la fiamma, il senso profondo della meditazione sulla vita, un’ade-sione più viva e sincera alle “voci di dentro”, troppo spesso nel muti-lare d’oggi nascoste e, come la nostra povera “animula vagula blan-dula”, dimenticate... .Chissà come quei fuochi notturni parlarono a Francesco e Chiara,Benedetto e Scolastica, Angela e Valentino, vescovo e patrono diTerni e degli innamorati. Giacchè anche le loro storie di fede sonopopolari, intrise di piccole cose, della vita di ogni giorno chevediamo, ancora intatta, riflessa nelle “laude” medievali come nei“fioretti” di Francesco, nella vita di Santa Rita dilaniata dalle faide

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Articolo Carmela Neri

di famiglia; o nella “Donna de Paradiso” di Jacopone, madreaddolorata e piangente come doveva averne viste lui stesso ilgiorno in cui, nel fior degli anni, scampò per caso al crollo di unpavimento durante una festa da ballo, in cui tanti giovani comelui – tra cui la stessa, amata moglie – persero la vita.

Carmela Neri

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ARTICOLI VINCITORI

I EDIZIONE PREMIO LETTERARIO INSULA ROMANA

“PIA BRUZZICHELLI”

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In Umbria per diventare più forte e dare così anche forza aglialtri: non è una donna comune la presidente della Comunità diCapodarco di Perugia, Francesca Bondì. A renderla speciale nonè stata la difterite che l’ha colpita a sei anni, ma il fatto che nellungo tempo della malattia abbia trovato la forza di resistere evincere per poi aiutare molte persone in difficoltà a causa dimalattie. Dal giorno in cui, mentre andava a scuola, non è più riu-scita a muovere nessuna parte del corpo sono passati quasi 40anni. Quella bimba siciliana di cinque anni che non poteva piùcamminare da allora di strada ne ha fatta tanta: è guarita grazie alunghe cure che l’ hanno obbligata a stare lontano dalla sua fami-glia, prima a Palermo nel cosiddetto “ospizio marino” e poi inUmbria, nell’istituto per poliomielitici di Colle Umberto, nellevicinanze di Perugia, dove ha continuato gli studi. In seguito hadato vita ai centri diurni d’accoglienza per persone con disabili-tà, ed ai gruppi famiglia della Comunità di Capodarco di Perugia.Da poco c’è anche “La casa del Nibbio” – il sogno di Francesca– la prima residenza umbra dove soggetti con problematichegravi potranno vivere in modo autonomo aiutati da alcuni opera-tori. “Prima della malattia – ha raccontato Francesca – ero unabambina felice. Vivevo a Ventimiglia, un paesino nella campagnasiciliana dove mi conoscevano tutti. La mia era una famiglia tran-quilla. Dopo la malattia i miei genitori mi hanno ricoverata in unistituto dove potevo ricevere cure adeguate. In quel posto, hoconosciuto la mancanza di rispetto ed i soprusi che sono costret-ti a subire i bambini e le persone che, a causa di una malattia, nonpossono difendersi. “Per anni – ha osservato – mi sono sentitaprigioniera senza aver mai commesso nessun reato e quando tor-navo a casa per le vacanze mi sentivo un ospite che aveva pocaconfidenza con i propri familiari”. Dall’ospizio marino Francescaè stata poi trasferita nell’istituto per poliomielitici di ColleUmberto, dove è rimasta fino a 18 anni, l’età in cui ha conseguitoil diploma di maestra elementare.

Articolo Ida Gentile

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Articolo Ida Gentile

“Dopo la maturità sarei dovuta tornare in Sicilia – ha riferito –ma volevo rimanere a Perugia per laurearmi e poi lavorare. Nonpotevo contare sull’appoggio dei miei genitori e non avevo nes-suna possibilità economica per stare fuori casa”. Poi la svolta.“Dall’istituto uscivamo due volte l’anno – ha raccontato – perandare alla Standa, a Perugia, dove facevamo piccoli acquisti. Inquell’occasione ho notato la sede della Regione Umbria e così hoimboccato la porta ed ho chiesto un colloquio con qualcuno chepotesse aiutarmi. Mi ha ricevuta l’assistente sociale che ha trova-to un posto nella Comunità di Capodarco di Gubbio per me e edaltre amiche che vivevano con me nell’istituto di Colle Umberto”.È iniziato così il percorso di Francesca nella Comunità. Da Gubbioa Perugia il passaggio è stato breve: “In un primo momento io e lemie compagne – ha raccontato Francesca – abbiamo dato vita alprimo nucleo abitativo in via del Lavoro, poi è stata la volta de “lacollina” a Prepo, il primo gruppo diurno per disabili del compren-sorio”. La presidente di Capodarco ha ricordato che, grazie all’aiuto delparroco di Prepo, don Peppe Gioia, lei e le sue amiche hannosistemato una vecchia casa abbandonata dove, in seguito, sonostate ospitate una decina di persone con disabilità. “I primi annisono stati durissimi – ha detto – lavoravo e studiavo nello stessotempo. La difficoltà più grande era far quadrare il bilancio perchéi soldi erano veramente pochi e le necessità tante. Ma mi soste-neva il desiderio enorme di accudire con affetto chi non puòdifendere i propri diritti e non può comunicare i propri bisogni:un anziano, un disabile o un bambino. Nell’ospizio marino neavevo subite veramente tante. Ci facevano sentire un nulla ed eraterribile visto che conoscevo i miei diritti”. Francesca ce l’ha fatta:si è laureata in pedagogia con 110 e lode, nel 2000 si è resa indi-pendente dalla Comunità di Capodarco di Gubbio ed è diventata lapresidente della Comunità di Perugia, che ora vanta tre centri diur-ni frequentati da 34 persone ed un gruppo famiglia che segue 7

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Articolo Ida Gentile

soggetti con disabilità psichica. “La casa del Nibbio” è l’ultimanata: “Il luogo in cui anche chi non è autosufficiente può realiz-zare il suo bisogno di essere indipendente perché tutti abbiamo ildiritto di dare sfogo al nostro desiderio di libertà.Mi dispiace immaginare che persone adulte debbano continuarea vivere con i genitori solo perché non sono autosufficienti – hadetto. Tutte le persone, anche quelle con disabilità, sentono ilbisogno di condurre una vita da adulti e di avere una casa propriae chi non può farcela da solo deve essere aiutato”. Francesca Bondì ha trovato in se stessa la forza di resistere e vin-cere sulla sua malattia. Ama definirsi una Cenerentola, non soloperché è bionda e con gli occhi azzurri, ma perché ha realizzatoil suo desiderio più nascosto. E non è stata solo fortuna.Ha anche incontrato “il principe azzurro”,si è sposata ed è diven-tata mamma

Nella foto Federico Fioravanti – Direttore Corriere dell’Umbriaconsegna a Ida Gentile prima classificata Premio GiornalisticoBruzzichelli, il premio offerto da Vacantioner Viaggi BastiaUmbra.

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Articolo Giulia Ivanov

Perché l’Umbria? È come chiederti perché ti sei innamorata diquella persona, si proprio di quella.Ci sono mille e nessuna risposta. È la miscela sottile dei colori edei profumi. È la luce che accarezza e taglia i paesaggi in un sus-seguirsi di chiaroscuri. Sono gli spazi che le colline ti lascianointravedere, è la sua gente, semplice, con la riservatezza e la soli-dità della gente della montagna, pochi fronzoli, come nell’archi-tettura di pietre pulite e tagliate spontaneamente che contraddi-stinguono i suoi borghi medievali; le strade strette, inerpicate, egli squarci di cielo dove immagini che basta allungare solo un pòle dita per toccarlo. Sono i silenzi che diventano voci dentro di te. Una visione romantica? Stereotipata? In certi momenti forse,quando la riservatezza ti appare ostilità e diffidenza, quando dallecolline o dalla campagna piombi nei sobborghi periferici dellecittà e ti chiedi con sgomento dove abiti lo spirito di pace e diriflessione che ti pervade camminando nei suoi boschi, lungo lerive dei corsi d’acqua e sulle sponde del suo lago dalle infinite sfu-mature, o quando tu, anche non praticante, entrando nelle sue chie-se non puoi fare a meno di sentire la presenza del soprannaturale edell’infinito.Sono passati più di vent’anni da quando un colpo di fulmine mispinse a scegliere l’Umbria quale paese d’adozione e, ancora oggi,ogni volta che, uscendo dal buio della galleria di S. Faustino, sidelinea davanti agli occhi l’acropoli con i suoi palazzi imponenti ei campanili che dominano la collina, sento dentro di me un’emo-zione intensa, come la luce di quel lontano sole agostano nel qualeper la prima volta conobbi l’Umbria. In questi anni ho assistito a molti cambiamenti, talvolta brutali,ho visto colline d’olivi trasformarsi in agglomerati di cementosenza personalità, ho visto supermercati e banche soffocare gliantichi ritrovi nelle vie cittadine, ho visto l’asfalto avanzare comeun fiume in piena e mi chiedo cosa facciamo per fermare questacorsa verso una nuova impersonale identità.

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Articolo Giulia Ivanov

La natura è ancora forte, presente, e probabilmente riuscirà a resi-stere agli attacchi scellerati cui è sottoposta; guardo Assisi ada-giata nel suo biancore sulle pendici del Subasio e sento la presen-za di Francesco e Chiara chiamati dalla voce di Dio. Ripercorrosentieri deserti e ascolto le voci di anime lontane, mentre nellesue pietre vetuste leggo la storia degli uomini e delle donneumbre che è poi la nostra storia fatta di fatiche e di speranze.Ecco, la speranza è il sentimento a cui faccio appello nell’augu-rarmi che non vadano perdute le peculiarità di questa terra perinseguire sogni di un progresso a tutti i costi. Ci sono molti luoghi dell’Umbria che rappresentano un’oasi dipace e per il nostro spirito, dove possiamo ancora trovare iltempo di ascoltare noi stessi e sono proprio questi luoghi cheaffascinano e attraggono i nuovi abitanti. Innumerevoli volte mi sono sentita chiedere il perché di questascelta: «sei sposata con un umbro?».«No!» «E allora perché?» ripetono i miei interlocutori, sorpresiessi stessi che l’Umbria, terra chiusa, difficile nel passato anche daraggiungere, terra di emigranti, sia diventata nel tempo luogo diaccoglienza desiderato e cercato da italiani e stranieri.«Perché l’Umbria non si spiega – rispondo – dell’Umbria ci siinnamora.»

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Articolo Giulia Ivanov

Nella foto da sinistra, Daniela Brunelli Presidente ProlocoBastia Umbra, Francesco Lombardi Sindaco del Comune diBastia Umbra, Lina Franceschini – Sponsor dell’iniziativa (VillaSalus dimora di San Crispino Resort e Spa) premiano la secon-da classificata Giulia Ivanov.

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Articolo Anna Lisa Rossi

Il primo fu Dante Alighieri verso il 1318 o 1320, due o tre anniprima di morire. Dopo di lui nessuno è riuscito a tratteggiarla conaltrettanta iconica plasticità: “Però chi d’esso loco fa parole, / nondica Ascesi, che direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dirvuole.” È il canto XI del Paradiso, dove San Tommaso tesse lelodi di San Francesco. “Ascesi, sineddoche mistica per definire illuogo trasfigurato dall’aver dato i natali al serafico Fraticello,geograficamente è in ascesi: “Fertile costa d’alto monte pende”scrive il Poeta per indicare il monte Subasio, sacro agli Umbripreistorici che vi salivano per i loro riti. Sulle sue pendici bosco-se vissero antichi stregoni, guaritori, sacerdoti e sacerdotesse;poi, dai primi secoli cristiani, monaci ed eremiti celebrarono i ritidella fede per le popolazioni impaurite dalla violenza della natu-ra, dalle malattie, dall’uomo stesso. Passarono quindici, forse venti secoli, vennero Francesco eChiara che dal monte di Assisi gridarono al mondo un messaggiodi povertà e di amore, la Povertà di Cristo, l’Annuncio del suoEvangelo. In tanti li seguirono, scalzi e vestiti del saio cinto delcordone tre volte annodato, segno di povertà castità e obbedien-za, a sequela – difficile e talora infedele – della Perfetta Letizia;innalzarono chiese monumentali, affrescate da Giotto e Cimabue,scolpite dai maestri Comacini per la catechesi al popolo illettera-to e stupefatto.La fusione d’arte e di spiritualità propria di Assisi fu taloramisconosciuta: nel Settecento gli intellettuali europei che pratica-vano il laico pellegrinaggio del “Gran Tour”, trascurarono quelmisero borgo medievale: Wolfgang Goethe vi si fermò per ammi-rare le forme classiche del tempio della Minerva, ma nel suo“viaggio in Italia” non c’è traccia di Francesco e delle sue chie-se. Il secolo seguente ritrovò Assisi e il suo poverello soprattuttoa partire dal 1818, quando dalle fondamenta della Basilica infe-riore ne emerse la sepoltura. Da allora fu un crescendo di fervo-re lungo la “fertile costa”, una vera fioritura – come le ginestre a

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Articolo Anna Lisa Rossi

maggio – quando, erano gli anni Sessanta del Novecento, PapaGiovanni scese pellegrino sulla tomba del fraticello e dal conci-lio Ecumenico Vaticano II partì la spinta per il ritorno ad unachiesa più evangelica e aperta all’uomo, più povera e attenta agliultimi, vittime dello sfruttamento e della crudeltà di tutte le guer-re. Il messaggio di pace lanciato dalla piccola città “lucerna sulMonte”, voce di religioni e culture diverse, viene da alloraespresso in forme grandiose – le marce della pace, gli incontriecumenici voluti da Giovanni Paolo II – e minime, nascoste,umili risposte al richiamo della fede. Come quella di Maddalenache negli anni settanta giunge a Spello, attratta da Francesco e daFratel Carlo Carretto, lì approdato dopo l’esperienza del deserto.Maddalena viene dalla Francia in quegli anni scossa da fermentidel Sessantotto le cui radici affondano nell’immediato dopoguer-ra, quando lei, universitaria alla Sorbona, incontra le filosofiematerialiste allora dominanti e ne subisce il fascino, ma ancheuna devastazione dell’anima e del corpo dalla quale uscirà conuna sofferta e totale conversione a Cristo. Il suo “maggio” rivo-luzionario Maddalena lo mette in marcia dentro di sé, dedicando-si ai miseri, barboni e lavoratori magrebini del porto di Nizza,quando capisce che la più grande contestazione è donare se stes-sa ai deboli e ai rifiutati che la vita pone sulla nostra strada. In Umbria Maddalena prova a rispondere alla chiamata di Dio,fattale per bocca del suo direttore spirituale, un gesuita combat-tente per la fede e la povertà del mondo. A Spello la sua vocazio-ne si concretizza nella casa della povera gente, in via della PoveraVita: un edificio fatto con la pietra grezza e rosea del monte, nelcentro storico, ampliato ed adattato, estremamente semplice,enormemente accogliente, dove chi non ha tetto può trovare peruna notte un letto, sempre un pasto caldo, consumato insieme aMaddalena, a Ester e Claudia che con lei condividono la scelta divivere ultime tra gli ultimi, ad Alessandro, marito e sponsor dellesue scelte, ai gatti Nuvola, Pascià, al cane Neige.

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Articolo Anna Lisa Rossi

Una minuscola “arca di Noé” che galleggia sicura fra le tempe-ste, oasi di silenzio nel frastuono confuso del mondo, dove moltisostano in cerca di segni di pace e semplificazione. Perché Maddalena stessa è l’icona della semplicità, con il suovolto marcato dagli anni dove gli occhi brillano di serenità: icapelli raccolti all’antica, le gonne ampie, i maglioni fatti a mano,infilati su braccia sempre pronte ad accogliere.E il sorriso, soprattutto.La vita in via della Povera Gente è fondata sui pilastri della pre-ghiera e dell’adorazione dell’Eucaristia, posta nella piccola cap-pella al centro della casa.Per il resto piccoli lavori domestici, letture e conversazioni con gliospiti. Maddalena ha scritto diversi libri, non per vanto “mi sentoun miserabile strumento del Signore!”, ma per obbedienza alleguide spirituali e per condividere e restituire la grandezza del donoricevuto. Per le stesse ragioni ha aperto un sito web, www.maddalenadispel-lo.it, al quale si può accedere per navigare nei mari dello spirito o,semplicemente, fare un pò di pausa interiore. Lasciando via della Povera vita, mentre fuori, si diffonde la lucedorata del tramonto che ricopre di ombre e di silenzio Spello,Assisi e, più giù, la piana brulicante di vita, si prova la sensazione,la certezza, che il messaggio di Francesco (e di Chiara) abbia tro-vato un testimone nel nostro tempo.

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Articolo Anna Lisa Rossi

Nella foto Fabio Gialletti, titolare delle Ceramiche PinturicchioDeruta premia la terza classificata, Anna Lisa Rossi.

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MOSTRA CONCORSO DI PITTURA

“VIVERE L’UMBRIA SEZ. ROBERTO QUACQUARINI”IN COLLABORAZIONE CON IL GRUPPO AMICI DELL’ARTE

BASTIA UMBRA ABBINATA AL PREMIO LETTERARIO

NAZIONALE

“INSULA ROMANA”PROGETTO INTEGRATO PER LA VALORIZZAZIONE DEL

TERRITORIO

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Margherita Ferracci

Margherita Ferracci

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Orfeo Santoni

Orfeo Santoni

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Giuliano Belloni

Giuliano Belloni

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Carlo Fabio Petrignani

Carlo Fabio Petrignani

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Silvana Jafolla

Silvana Jafolla

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Marco Giacchetti

Marco Giacchetti

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Ringraziamenti

Un ringraziamento agli Sponsor dell’iniziativa letteraria:Vacantioner Viaggi Bastia Umbra

Giulio Franceschini - Villa Salus - Le Dimore di San CrispinoResort e SpA

Ceramiche Pinturicchio Deruta

Si ringrazia per l’operato la giuria tecnica della prima edizionedel Premio Bruzzichelli composta da:

Luigi Bovo, Roldano Boccali, Clotilde Ceccomori, Federico Fioravanti, Edi Peterle, Maurizio Terzetti

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Biografia Pia Bruzzichelli

Nata a Montepulciano (SI), ha parteci-pato alla Resistenza. Si è laureata nel 1945 in lettere moder-ne a Roma. Sin dal 1947 e per parecchi anni nellaPro Civitate Christiana, attraversocontatti con gli artisti, la realizzazionedi mostre, convegni e pubblicazioni;ha contribuito alla formazione delleraccolte della Galleria d'arte contem-poranea della Cittadella.I suoi numerosi articoli su “Rocca”hanno parlato di Cristo attraverso labellezza.

Sposatasi con Luigi Bovo, con lui aveva creato un centro diincontri e studi a San Fortunato, nelle colline prossime ad Assisi.Di lassù, e nella successiva residenza a Bastia Umbra, aveva con-dotto una vasta attività culturale anche in seno all’associazioneProloco di Bastia Umbra, sempre attenta agli umori culturali, alleproblematiche femminili e allo scenario politico contemporaneo.È stata per lungo tempo membro della Società Teologica Italiana. Iscritta all’albo dei giornalisti dal 1960 è stata presidente dellaCooperativa Libera Stampa. Ha diretto il mensile Umbria dal 1990 al 1996. È mancata l'11 febbraio 2005.