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1 BRUNO MAGLIOCCHETTI LA CASCATA GRANDE E IL RAMO SINISTRO DEL LIRI EDIZIONI LIRINIA

La cascata grande

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BRUNO MAGLIOCCHETTI

LA CASCATA GRANDE E IL RAMO SINISTRO DEL LIRI

EDIZIONI LIRINIA

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“Un paese che giace su un’isola” Ferdinando Gregorovius

“A breve distanza dal confine, il primo paese è Castelluccio e poco al disotto di questo giace una amena isola, la vaga Isola del Liri. Grandi e folti gruppi di alberi, in un’ombrosa valle, lasciano presentire il letto di un fiume; deliziose ville, opifici industriali guardano dal verde e finalmente più innanzi una ricchezza di coltura rivela già la pingue vita portata da un magnifico fiume. E su queste fertili terre delle sponde, che qui si presentano coltivate, lì si perdono in un fondo lontano, si levano, a grande distanza, in una maestosità indescrivibile i grandi monti di Sora. Io ero portato a paragonare questa contrada, illuminata roseamente nel chiaro della sera, con la Conca d’Oro di Palermo.

Ha in comune con essa una serietà maestosa di monti ed una fertilissima pianura; manca il mare, ma il fiume Liri e Garigliano, come un giovine Apollo, scorre sonando giù dagli Abruzzi e va signoreggiando a dissetare i napoletani ed i romani finchè, fra i monti dei Volsci, si apre il corso fino alla riva del mare. Ad Isola v’è una rumoreggiante cascata d’acqua, una solenne ombra di salici chini sul fiume, una splendida vegetazione.

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Questo affabile paesello giace su di un’isola del Liri, chiuso da verdi boschetti. Il bel fiume dal rapido corso smeraldo, rumoreggiando impetuoso si precipita sull’isola, cioè nel paese stesso, in forma di cascata. E la cascata si origina da una roccia alta 80 piedi, sulla cui cima torreggiano le ruine di un antico castello. Un meraviglioso fenomeno! Già da lontano si ode il tonfo dell’acqua e dovunque uno guarda si rallegra lo sguardo sia all’agitarsi del fiume stesso, sia agli innumerevoli canali che rapidi cadono in esso; mentre i giardini coi platani, i pini superbi e tutta la meravigliosa vegetazione propria dei paesi meridionali si stendono all’intorno. La copia dell’acqua è grande, poiché al di sopra d’Isola il Fibreno mette con molti bracci nel Liri; sicchè l’unione dei due fiumi promuove qui una vita ricca di coltura e anima molte fabbriche di lana e di carta, le quali danno lavoro a tutta questa contrada, nutriscono migliaia di uomini, formano una robusta colonia di operai e producono un effetto benefico nella regione”. Con questo mirabile quadro, lo storiografo tedesco Ferdinando Gregorovius “dipinse” Isola del Liri, la Cascata grande e il “verde” Liri nei suoi famosi Wandejare in Italien, quando – nel 1859 – proveniente dallo Stato Pontificio, venne a visitare la Valle del Liri. Questo meraviglioso “tocco della natura” è stato sempre gelosamente custodito dagli Isolani, soprattutto perché esso ha apportato tanta salubrità e tanta prosperità all’intero territorio. E ogni qualvolta è stato messo in atto il tentativo di ridimensionare la Cascata grande, Isola del Liri è insorta con decisione e con passione.

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Proprio la storia di questa immane lotta, sostenuta dagli Isolani contro coloro che intendevano, in diverse circostanze, “utilizzare” la Cascata per fini speculativi, è il movente di questa mia modesta opera, che vuole essere il contributo di affetto alla sua terra di un Isolano che, nel momento della sua nascita, sicuramente sentì all’unisono la dolce e affettuosa voce della madre e il fragore della Cascata. Mentre, durante il periodo feudale e quello successivo di appartenenza regia, il Comune non aveva la possibilità di difesa diretta dei propri diritti ed interessi, successivamente cominciò a farli energicamente valere, con qualche discutibile interruzione. Le prime manifestazioni di questa ferma volontà si rinvengono nella deliberazione Decurionale del 12 ottobre 1828 e dalla lettera del Sindaco all’Intendente in data 4 aprile 1834 n. 95 nella quale si legge: “Non v’ha persona nel Regno, delle cose patrie istrutta, che ignori le superbe cadute di acqua che abbelliscono questo Comune, e di ciò la fama risuona ancora presso lo straniero. La cura di mantenerle intatte è tanto antica quanto l’origine loro; ed in ciò, non solo la mira dell’ornamento, ma benanche vedute di salute pubblica sempre concorsero”. E questo dopo la vivace opposizione, esposta dal Parroco Don Antonio Pompei, al programma di irrigazione degli “agri di Isola e Castelluccio” nel 1825 che danneggiava l’estetica delle Cascate e la sanità pubblica. Notevole importanza storica assunse la deliberazione del Consiglio Comunale del 21 aprile 1900 tesa ad opporsi alle domande di derivazione a monte delle Cascate, e che determinò la nomina della famosa

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Commissione, presieduta dall’eminente scienziato isolano Prof. Giustiniano Nicolucci, per accertare se la derivazione di acqua dalla Cascata perpendicolare, formata dal ramo “sinistro” del Liri, potesse risultare dannosa all’igiene del paese. La Cascata grande e il ramo “sinistro” del Liri diventarono, proprio dal 1900, i protagonisti di una lunga serie di clamorose ed appassionanti vicende, che influenzarono gli avvenimenti politici isolani della prima metà del secolo scorso, e che conservano intatta la loro attualità. L’Autore

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CAPITOLO I Dallo Stato feudale al senatore Giuseppe Polsinelli.

Lo Sato feudale di Sora, di cui faceva parte Isola del Liri, è appartenuto alla famiglia Boncompagni dal 1580 fino al 1796, quando permutò con il Demanio il suo feudo. I Boncompagni ristrutturarono in Isola del Liri il Palazzo Ducale – attuale Villa Correa – e gettarono ponti sulle due cascate. Inoltre introdussero l’arte della seta e impiantarono una fabbrica di panni di lana e una ramiera nel Valcatoio. Giacomo Boncompagni fu il primo Duca di Sora di questa nobile famiglia, originaria di Bologna, dove nacque l’8 maggio 1548, “figlio naturale di quel dotto gentiluomo che doveva poi diventare Gregorio XIII Pontefice Romano”. Nel 1579, il Pontefice, suo padre, gli acquistò dal Duca di Urbino il ducato di Sora e di Arce, avendone piena investitura dal Re di Spagna, titolare anche del Regno di Napoli. Subito dopo la morte del Pontefice, avvenuta il 10 aprile 1585, il duca Giacomo Boncompagni raggiunse il Palazzo ducale e vi pose stabile dimora, portandovi il lustro e la ricchezza di due grandi casate. Morì cristianamente nel Castello dell’Isola di Sora il 26 agosto 1612.

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I Boncompagni, approssimandosi la fine del sistema feudale, dopo due secoli e sedici anni di illuminata amministrazione, permutarono i loro Stati di Sora, Arce, Aquino e Arpino con altri beni ricadenti nello Stato Pontificio, come si rileva dal dispaccio reale del 20 agosto 1796, consegnando così al Re di Napoli anche il loro Palazzo isolano che sarà subito chiamato reale e venne sovente utilizzato dal Re Ferdinando IV. Pertanto, divenuta la città di Isola, Regia, con Real Decreto 30 settembre 1809, venne accordato ai fabbricanti francesi Carlo Lambert e Giulio d’Escrivan l’uso gratuito di una porzione del Palazzo ex Ducale per impiantarvi una fabbrica di panni, “ad uso di quelli di Francia”. Da un inventario generale del 20 marzo 1810 (Archivio di Stato di Caserta, fasc. n. 1370) risulta che si trovavano allora in funzione: “cinque meccaniche a filare; una macchina a cardare; tredici telai per Cachemire; due valche con gli accessori; ed un artifizio per far lavorare le meccaniche”. “Certo – scrisse l’ing. Giovanni Albino nella relazione del 16 maggio 1924 – pel funzionamento di questo complesso di meccanismi, pur tenendo conto dei bassi rendimenti e delle forti perdite connesse al materiale di quei tempi, non poteva occorrere una energia idraulica molto superiore ai cento cavalli; e quindi la diminuzione di portata delle Cascate era trascurabile”. Verso il 1827 i beni demaniali di Isola del Liri, compresa la Villa Correa, a mezzo della Cassa di Ammortizzazione, vennero concessi in enfiteusi, poi affrancati, con atto in data 22 gennaio 1853 del notaio Antonio De Luca di Napoli, a favore di Luisa Lambert e Giuseppe Polsinelli, senza, però, riconoscere ai detentori

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dell’immobile alcun diritto né privilegio speciale sulle acque del Liri. Nel 1883, Francesco Polsinelli, a causa della crisi economica in corso, contrasse un mutuo di lire 150.000 con il Credito Fondiario della Banca Nazionale, poi Banca d’Italia, succursale di Sora, e diede in ipoteca due stabili: un fondo rustico denominato Pagliarola ed il Palazzo ex Ducale con Villa Correa, il cui valore venne stimato pari a lire 187.000, di cui lire 37.000 a garanzia del primo triennio di semestralità. Un cognato del Polsinelli, Domenico Cossa di Arpino, “penetrato in casa per mezzo del matrimonio con una sorella, che poi abbandonò, riuscì a sottrargli quasi tutto il patrimonio”. La triste storia iniziò quando per il ritardato pagamento di una semestralità, il Credito Fondiario precettò il Polsinelli per la restituzione dell’intera somma, minacciando l’esproprio. Quindi, con atto del dicembre 1886, l’Istituto propose la vendita all’asta del suddetto immobile. Domenico Cossa, approfittando delle difficoltà del cognato, chiese l’affitto del Palazzo, fornito di macchine e di forza motrice. Il Polsinelli acconsentì a condizione che il Cossa si fosse accollato l’adempimento degli impegni con il Credito Fondiario. Il contratto di affitto fu stipulato con atto del 2 giugno 1887, fissando a lire 10.000 il canone annuo. Ma il Cossa, che da molto tempo pensava di diventare il proprietario dello stabilimento locato, trascurò di pagare le semestralità, per consentire al Credito Fondiario di iniziare gli atti di esproprio, e propose di acquistare con il consenso dell’istituto espropriante l’immobile in questione.

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Il Polsinelli pressato dall’uno e minacciato dall’altro, scomparsa la possibilità di riprendere l’industria, si decise a vendere con il fermo proposito di liberarsi dal debito. Infatti, la vendita venne formalizzata il 21 febbraio 1889 per lire 246.000, compresa la restituzione dell’importo di lire 150.000 al Credito Fondiario (Banca d’Italia). L’Istituto di credito, però, cominciò a riscuotere “non la suddetta somma in un’unica soluzione, ma le semestralità, e ciò per favorire il Cossa che era da tempo in ottimi rapporti con la banca medesima, e ne godeva larghissima fiducia, nonostante i reiterati precetti trascritti e malgrado i diversi atti esecutivi”. Dopo una lunga serie di vicende giudiziarie, il Palazzo Ducale e Villa Correa vennero venduti all’asta pubblica il 18 giugno 1895, aggiudicata dopo una “vivacissima gara durata per più ore” alla Banca d’Italia, liquidatrice del Credito Fondiario della già Banca Nazionale, per la somma di lire 151.030.

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Il Palazzo Ducale e Villa Correa acquistati dall’on. Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana. A questo punto si inserì nella storia di Isola del Liri un personaggio abilissimo, che per molti anni svolse un rilevante ruolo nelle vicende politiche e giudiziarie, caratterizzando la maggior parte degli avvenimenti cittadini. L’on. Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana, eletto deputato nel collegio di Sora sotto il Governo Crispi, mentre esercitava il suo mandato parlamentare ebbe occasione di trattare transazioni tra i rappresentanti della famiglia Cossa, la Banca d’Italia e il Banco di Napoli, per obbligazioni che i Cossa avevano con questi istituti, e così “notò e si innamorò di Villa Correa e dell’antico Castello dei Boncompagni”. Il nobile Conte non seppe conseguire la felicità, sostituendo la contemplazione al possesso; tutto al contrario, dopo aver contemplato, volle possedere”. Perciò, il 6 dicembre 1896, con scrittura privata registrata a Roma il giorno 8 dello stesso mese, l’on. Gaetani Di Laurenzana acquistò Villa Correa ed il Palazzo ex Ducale dalla Banca d’Italia al prezzo di lire 175.000. La Banca venditrice si obbligò ad effettuare a sue spese la cancellazione di tutte le ipoteche e le trascrizioni passive gravanti il fondo venduto”. Il 30 novembre 1898, davanti al notaio Ettore Urbani di Roma, l’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana e l’ing. Giulio

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Emery, amministratore delegato della Società delle Cartiere Meridionali, concordarono con la Banca d’Italia la vendita di Villa Correa “con fabbricato grande già in uso di lanificio e di abitazione con giardino, ed altri piccoli fabbricati, nonché locale esterno in servizio del lanificio”. Poiché l’importo stabilito per l’acquisto di Villa Correa veniva anticipato dalla Società delle Cartiere Meridionali, unicamente perché il Conte era l’uomo di fiducia (o d’affari) della Società per questa operazione, l’on. Gaetani Di Laurenzana si obbligò a trasferire alle Cartiere Meridionali tutti i diritti annessi ed il libero possesso del fondo “non più tardi del 10 dicembre 1898, autorizzando subito la Società stessa a prenderlo in virtù di questo atto cui si attribuisce forza di titolo esecutivo”. Il prezzo di vendita fu convenuto di comune accordo in lire 175.000 per lo stabile e per tutti i diritti ad esso inerenti. La somma fu pagata all’atto della sottoscrizione del contratto, alla presenza del notaio Urbani e dei testimoni, avv. Sacerdoti e avv. Coen. In precedenza, il 10 novembre 1898, l’ing. Giulio Emery aveva presentato al Prefetto di Caserta istanza per la concessione di derivazione dal fiume Liri nella Cartiera del Liri (Società delle Cartiere Meridionali) di ulteriori 15 moduli di acqua, per azionare una nuova turbina Il progetto prevedeva la realizzazione “di un pozzo profondo e di un cunicolo di 900 m., attraverso il quale l’acqua veniva restituita alla base della grande Cascata presso l’abitato di Isola del Liri”. In considerazione di questa domanda di derivazione, nell’atto di vendita si stabilì che ove la Società delle Cartiere Meridionali avesse ottenuto la concessione, l’on. Gaetani Di Laurenzana avrebbe autorizzato a fare, anche

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dopo l’esercizio eventuale del riscatto da essi concordato, tutti i lavori necessari. Pertanto, il conte Di Laurenzana si obbligò anche a non opporsi alla domanda di concessione e, dopo aver esercitato l’eventuale diritto di riscatto entro il 31 dicembre 1899, a subire la servitù dipendente dalle opere stesse, senza diritto ad alcun compenso. “Ma al tempo designato, la Società delle Cartiere Meridionali non ebbe il possesso dell’immobile tanto solennemente promesso; ebbe, invece, notificata una strana citazione, con la quale da parte del venditore s’impugnava formalmente il contratto del 30 novembre 1898 e si chiedeva al Tribunale di S.Maria Capua Vetere di dichiararlo nullo per vizio di consenso, nullo come simulato, non essendo altro veramente che un contratto di mutuo con il patto commissorio, o almeno una vendita rescindibile per lesione enormissima”. Il Tribunale, con sentenza del 22 marzo-7 aprile 1899, ritenne invece plausibile l’assunto della società delle Cartiere Meridionali, ritenendo che il Di Laurenzana, per non perdere l’ultima dilazione concessagli dalla Banca, e per non incorrere nella decadenza prestabilita, avesse alienato Villa Correa allo scopo di soddisfare la banca stessa e toglierla definitivamente di mezzo, riservandosi, però, il riscatto. In questo modo iniziò una lunga e appassionante vertenza giudiziaria che ebbe notevoli ripercussioni sugli avvenimenti politici di Isola del Liri. I motivi di fondo, come è facile arguire, erano connessi alla utilizzazione delle acque del Liri per lo sviluppo della forza motrice.

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La controversia sul possesso delle acque ai sensi della legge 10 agosto 1884. A questo punto giova ricordare che, con atto in data 22 gennaio 1853 del notaio Antonio De Luca di Napoli, Luisa Lambert e Giuseppe Polsinelli da enfiteuti erano diventati proprietari del Castello e di Villa Correa. Un articolo di questo contratto impose agli acquirenti e loro aventi causa di non destinare mai l’immobile ad altro uso, ad eccezione dell’utilizzazione a lanificio. Ed è ben noto che i lanifici erano stabilimenti industriali che necessitavano di modesti quantitativi di acqua. Sarebbe stato, perciò, illegittimo sottrarre alla legge comune i diritti di acqua di Villa Correa e del Palazzo ex Ducale al di fuori della corretta applicazione dell’art. 24 della legge 10 agosto 1884, che stabiliva la necessità di accertare il possesso trentennale anteriore alla legge stessa. Il Conte Gaetani Di Laurenzana riteneva di considerare come possesso la possibilità di far passare un determinato volume di acqua per le bocche di derivazione esistenti nel proprio immobile. Si fece notare, però, che aprendo le bocche di scarico e di carico a dismisura, si poteva generalmente far passare una quantità d’acqua assai maggiore di quella occorrente al normale esercizio dello stabilimento; non poteva, dunque, quella portata straordinaria costituire il possesso contemplato dal citato art. 24 della citata legge.

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Pertanto, lo stato delle cose non poteva valere rispetto al periodo dal 1854 al 1884; “per giunta, nel caso di Villa Correa, esistevano documenti che dimostravano che lo stato dell’immobile in quel trentennio era diverso rispetto a quello preso in considerazione”. Infatti, i ripetuti abusi commessi avevano determinato una serie di ricorsi; “tra i più noti si ricordano quelli del 17 giugno 1899 a firma Viscogliosi, Mazzetti, Sarra unitamente ai verbali di sopralluogo del Pretore di Sora in data 22 e 25 marzo 1898 redatti a seguito dei ricorsi dei signori Edoardo Manna, Roberto Mazzetti e Beniamino Viscogliosi contro la Banca d’Italia che allora possedeva l’immobile”. Nel verbale del 25 marzo 1898 si affermava, tra l’altro, che era stato accertato l’inizio di lavori per l’apertura di due nuove bocche di derivazione e la realizzazione all’interno del fabbricato di alcuni canali, sia per poter usufruire delle nuove prese, sia per aumentare la portata di quelle preesistenti. A queste contestazioni, il cav. Poli, direttore della succursale di Sora della Banca d’Italia, lungi dal negare la realtà delle innovazioni, le confermò. Affermando che “le opere da essa compiute sono state l’esercizio di un diritto ad essa spettante”. Per inquadrare meglio la complessa materia, è indispensabile ricorrere alla perizia di Giuseppe Cataldi, depositata nella Cancelleria del Tribunale di Cassino il 10 settembre 1885, che dedica un apposito capitolo alla descrizione delle prese d’acqua dello stabilimento, enunciandone solamente tre, rispetto alle sette che si trovano, invece, elencate nel Verbale di constatazione del Genio Civile del 21 aprile 1899. E’ ben vero che queste ultime potevano essere considerate nel numero ridotto di cinque, escludendo

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quella trascurabile realizzata nell’isolotto e considerando la terza e la quarta come una sola a doppia luce. Ma resta, comunque, acquisito che dal 1885 al 1899 vennero praticate almeno due nuove bocche di presa. La perizia dei signori Cesare Di Gaeta, Florestano De Rogatis e Michele Funiciello, depositata nella Cancelleria del tribunale di Cassino il 13 settembre 1883, faceva “menzione, addirittura, ad una sola bocca di presa larga cm. 85, alta cm. 65 in tempo di piena, 32 cm. in tempo di magra, le quali dimensioni, specie per l’altezza dell’acqua, non corrispondevano a nessuna di quelle rilevate nel predetto verbale del 21 aprile 1899”. E’ necessario, inoltre, considerare che questa perizia del 1883 menziona tre turbine, mentre quella del 1885 ne enumera cinque e che i suddetti periti si trovarono alquanto imbarazzati nel determinare e valutare i diritti sul fiume spettanti eventualmente all’opificio (e ciò è naturale poiché allora non esistevano le tassative disposizioni della legge 1884); ed a proposito della forza motrice occorrente affermarono che era “assai scarsa e meschina quella di cui si fa uso nelle attuali condizioni di lavoro”. Infine, non è superfluo menzionare ancora il contratto del 29 gennaio 1844, redatto a Napoli presso il notaio Luigi Cancelliero, sottoscritto da Carlo Lambert e Giuseppe Polsinelli, che all’art. 12 stabilisce: “il Polsinelli avrà la facoltà di prendere l’acqua del fiume dalla parte ove presentemente stanno le vasche dell’antica cartiera, e rimettere la sversatura abbasso la rampa, vicino la porta della Valchetta, ed affinché non si rechi alcun pregiudizio al Signor Lambert, Polsinelli dovrà fare le opere necessarie a sue spese e la quantità sarà quella che può passare ad un foro di un palmo quadrato sotto il livello del fiume”.

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Da tutto ciò consegue che l’unico procedimento resta quello di calcolare la quantità d’acqua in rapporto alle effettive necessità dell’attività industriale dello stabilimento. Questo principio era tanto più giustificato, in quanto per almeno una parte del trentennio 1854-1884, e cioè dal 1854 sino al 1860, durava ancora il regime delle Due Sicilie, sotto il quale vigeva l’incontrastabile divieto di adibire quello stabilimento a qualsiasi industria che non fosse quella della lana. La ricordata perizia del Cataldi, depositata nel 1885, epoca in cui era appena terminato il trentennio in argomento, ci spiega che in quel tempo funzionavano “cinque turbine, le quali fornivano complessivamente una forza di 28 cavalli”. L’esattezza di questo dato si rileva dalla stessa perizia che elenca quattro filatoi automatici Mulljenny da 240 fusi ciascuno. Ora, secondo il Manuale dell’Ingegnere del prof. Colombo, nelle filature di lana cardata la forza complessiva necessaria ad ogni filatoio automatico ed alle macchine accessorie risultava di 6 o 7 cavalli; ai quattro filatoi automatici, perciò, corrispondevano appunto 28 cavalli. Un secondo controllo elencò anche 33 telai mossi, invece, a mano; se si fosse trattato di telai automatici, la forza complessiva per filatura e tessitura si sarebbe dovuta calcolare, secondo il prof. Colombo, in ragione di un cavallo per telaio, e quindi ulteriori 33 cavalli. Facendo un’altra serie di considerazioni tecniche, in base ad ogni più ampia valutazione, la quantità di acqua che poteva competere al Palazzo ex Ducale, in forza dell’art. 24 della legge 10 agosto 1884, era pari a 851 litri al minuto secondo, ossia a 8,51 moduli.

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Nel verbale di visita del Genio Civile del 10 novembre 1896, relativo alla istruttoria Viscogliosi, l’on. Gaetani Di Laurenzana valutava a 45 moduli la competenza di Villa Correa e spinse la sua pretesa a 90 moduli nel corso della visita del suddetto ufficio in data 28 aprile 1900. Anche nel contratto del 19 febbraio 1900 del notaio Siciliani di Sora tra l’on. Gaetani e l’impresa Laurenzana, di cui parlerò diffusamente in seguito, si legge all’art. 4: “La Società si obbliga a costruire ed ultimare entro l’anno corrente 1900 l’installazione delle officine idrauliche ed elettriche per produrre energia elettrica, ed in particolare per la produzione di carburo di calcio, utilizzando 2.600 HP”. E nella narrativa: ”In detta proprietà si ha una caduta d’acqua della portata di cavalli 2.600 effettivi”. Considerato, perciò, che tutta l’altezza del salto è di circa 28 metri, per produrre 2.600 cavalli effettivi, anche con buone turbine, occorrevano 90 moduli.

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Protesta del Consiglio Comunale contro i palesi tentativi di “utilizzazione” della Cascata . Di fronte a questi evidenti tentativi di utilizzazione delle acque del Liri a danno della Cascata, il 29 maggio 1900 venne convocato il Consiglio Comunale con all’ordine del giorno: “Opposizione a qualsiasi domanda tendente a sottrarre acqua a monte delle cascate”. Il Sindaco, Pasquale Pantanella, iniziò i lavori leggendo la Relazione della speciale Commissione, nominata dal Consiglio Comunale nella seduta del 21 aprile 1900, per stabilire se le domande di derivazione di acqua dalla Cascata perpendicolare fossero dannose all’igiene del paese. La Commissione, presieduta dal Prof. Giustiniano Nicolucci, e composta dal dott. Giustino Palermo, dal dott. Giuseppe Baisi, dal Sindaco Pasquale Pantanella, dall’Assessore Eusebio Cerasoli, nella citata relazione del 22 maggio 1900 ricordò che l’ing. Angelo Vescovali, nel 1870, chiese al Regio Governo la concessione di una presa d’acqua sopra le Cascate del fiume Liri per la produzione di energia elettrica da trasportare con sistemi teledinamici nella vicina città di Arpino, dove le industrie erano in crisi per la insufficienza di forza motrice. L’unanime protesta della cittadinanza sorse contro tale progetto, che minacciava di colpire al cuore la salubrità e la bellezza di Isola del Liri. La Relazione ribadiva, infine, che “le Cascate del Liri, largite a questa terra fortunata dalla provvida natura, costituiscono l’unica e vera difesa della pubblica igiene. Esse da tempo immemorabile abbelliscono questa valle,

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e ne custodiscono la vita degli abitanti. Esse hanno vivificato i vostri avi; esse giornalmente difendono voi stessi da mille infermità, e finchè esisteranno, continueranno a spirare la vita, la salute, la vigoria nelle vene dei vostri figli. Proteggetele!!”. Il Sindaco aggiunse che Isola del Liri, dopo un trentennio, era nuovamente minacciata di perdere la magnifica Cascata perpendicolare, in quanto erano state avanzate diverse domande di derivare a monte di essa tutta l’acqua per restituirla nel sottostante bacino, dopo aver utilizzato l’intero salto. Infatti, con istanze al Prefetto di Caserta del 21 maggio 1896 e del 1° giugno 1897, l’ing. Gaetano Bruno aveva chiesto la concessione per derivare alla sponda sinistra del fiume Liri 22,5 moduli a monte della Cascata del ramo sinistro e la Società della Cartiere Meridionali, con istanza del 10 novembre 1898 e del 29 aprile 1899, aveva chiesto di derivare 30 moduli d’acqua da restituire alla base della Cascata del ramo “sinistro”. L’on. Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana, a sua volta, nel domandare la legittimazione delle sue derivazioni, aveva impegnato l’Impresa Laurenzana di Milano ad impiantare nell’ex lanificio Polsinelli delle turbine della potenza di 2.600 cavalli effettivi, per la qualcosa occorreva sottrarre dalla Cascata del ramo sinistro almeno 90 moduli per restituirli alla sua base. L’Amministrazione Municipale, seriamente preoccupata, nominò l’apposita Commissione per esaminare le suddette richieste e partecipò ai sopralluoghi del 27, 28 e 30 aprile 1900 effettuati in occasione dell’istruttoria delle domande dell’on. Di Laurenzana ed altri utenti del ramo destro e della Società delle Cartiere Meridionali, presentando opposizioni e proteste contro le medesime.

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Dopo l’appassionato intervento del Sindaco, il Consiglio comunale unanimemente deliberò di “protestare altamente contro le innovazioni, facendo voto al Prefetto ed al Regio Governo affinché venga tassativamente e definitivamente precluso ogni adito a simili innovazioni, vietata qualsiasi opera tendente a sottrarre acqua alla Cascata del ramo sinistro, ed a mutare il livello dello scarico dell’ex lanificio Polsinelli”. Incaricò poi il Sindaco di rendersi interprete dei sentimenti di gratitudine della cittadinanza verso i componenti della Commissione, la quale “con diligente ed accurato studio fatto sulle domande di che trattasi, ha posto in evidenza le giuste apprensioni di questa popolazione in vista del danno gravissimo che verrebbe a risentire la salute pubblica di questo Comune qualora si accordassero le concessioni domandate”. Il 1° luglio 1900, convocato nuovamente il Consiglio Comunale, il Sindaco fece presente che, in data 27 giugno, aveva avuto comunicazione dalla Prefettura di Caserta del decreto prefettizio che ammetteva ad istruttoria la domanda dell’on. Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana. Ribadì che dopo l’opposizione del Comune alla domanda delle Cartiere Meridionali, che chiedevano una minima quantità di acqua da sottrarre al salto della Cascata e dopo l’opposizione formale alla domanda di legittimazione dell’on. Gaetani Di Laurenzana, che accennava ad altra sottrazione, bisognava risolvere preliminarmente la questione promossa dal Municipio di Isola del Liri. Invece, mentre da anni erano pendenti molte altre domande, l’istanza Laurenzana, presentata solo il 19 giugno 1900, era stata ammessa all’istruttoria dopo solo sette giorni, e anche se essa non si riferiva alla semplice

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trasformazione di antiche e legittime derivazioni, pretendeva di derivare sette metri cubi sopra la Cascata del ramo sinistro una quantità tripla forse quadrupla di quella che aveva sempre usato Villa Correa, aumentando da sei a ventotto metri lo scarico per giovarsi di tutto il salto della Cascata stessa, elevando così la sua forza da duecento a tremila cavalli circa. Il Sindaco Pantanella riferì, poi, al Consiglio Comunale che, in ossequio alla precedente deliberazione consiliare, aveva inviato una lettera al Prefetto con la quale, facendo riferimento alla domanda dell’on. Di Laurenzana, precisava che era impossibile che costui potesse conseguire le sue pretese “non avendo egli nessun diritto privilegiato per priorità di domanda, per possesso legittimo incontestato, e che la sua qualità di Deputato, lungi da essere argomento di eccezionali e privilegiati provvedimenti, sarebbe stata ragione di descrizione e di assoluta legalità e di uguaglianza di fronte a tutti che nella questione delle acque sono interessati, e più specialmente di fronte a tutti noi, alla cittadinanza tutta così giustamente gelosa della conservazione della Cascata”. Il Decreto Prefettizio fu duramente commentato dal Sindaco, anche in considerazione del fatto che la citata domanda del Conte Di Laurenzana avesse ottenuto, in un solo giorno, il visto di un ingegnere dell’Ufficio del Genio Civile ed il parere della Deputazione Provinciale, la quale, senza sentire il parere del suo Ufficio tecnico, avrebbe concesso il nulla osta il giorno 21 giugno, ossia due giorni dopo la presentazione della domanda, come se si fosse trattato “di una cosa puramente formale che non ledesse alcun interesse”. “Come Ufficiale del Governo – si legge nella lettera del Sindaco – ho il dovere di pubblicare il Decreto stesso, e

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lo farò appena la S.V. Ill.ma me ne darà l’ordine anche telegrafico, ma come Capo del Municipio di Isola del Liri, di fronte all’enorme pericolo che minaccia noi tutti, tutta la cittadinanza, di perdere la Cascata che è la nostra vita, siccome ho dovuto ritenere che la Prefettura sia stata tratta in inganno, pria di notificare al pubblico il Decreto, mi son creduto autorizzato a rivolgere alla S.V. Ill.ma la presente lettera, pronto del resto ad adempiere sollecitamente i miei doveri di Ufficiale del Governo, come quelli di rappresentante l’Amministrazione e la Cittadinanza. E che la Prefettura sia stata tratta in inganno appare agevole dalla forma e dal tenore della domanda abilmente apprestata dai valorosi avvocati che il Conte assume a suoi difensori. La domanda si intitola trasformazione dell’impianto idraulico, il testo è tutto inesplicato, le rappresentazioni grafiche insufficienti. Si vuole più che triplicare la quantità di acqua derivata e si afferma che fu sempre quella; si vuole più che triplicare l’altezza del salto e, invece, si parla soltanto di variare lo scarico. Tutto è fatto in modo che un occhio non tecnico e non esperto dei luoghi non intenda l’importanza di quanto è chiesto, e che perfino l’Ufficio del Genio Civile, in un esame troppo precipitato non l’abbia inteso. Sta però il fatto che in luogo della modesta forza motrice di un lanificio se ne vuol far sorgere una di oltre 2.500 cavalli”. Tutto ciò, a giudizio del Sindaco, significava sopprimere la Cascata, che il Conte Di Laurenzana credeva essere sua esclusiva proprietà solamente perché essa passava attraverso il fondo a lui intestato. E, affinché la Prefettura avesse potuto meglio giudicare l’importanza della questione, il Sindaco precisò al Consiglio di avere allegata alla lettera una fotografia della Cascata, con la precisazione che il rivolo a sinistra sotto

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il Palazzo Ducale ritraeva l’acqua di scarico dell’ex lanificio Polsinelli, e che Villa Correa aveva sempre avuto in godimento. A questa lettera del Sindaco, il Prefetto di Caserta rispose con il seguente telegramma: “Ella avrebbe dovuto già pubblicare senz’altro il Decreto 26 corrente circa trasformazione opere derivatorie Villa Correa. Lo faccia dunque subito e me ne assicuri oggi stesso in via telegrafica, altrimenti mi costringerebbe inviare Commissario. Riguardo suo rapporto 28 corrente n. 1162 può essere tranquilla che saranno prese nella dovuta considerazione le ragioni ivi esposte e che non si procederà a nessuna concessione se non dopo vagliati con la massima ponderazione i diritti di ciascuno interessato”. “Questo telegramma – commentò il Sindaco – dovrebbe in qualche modo affidarci che ingiustizia non ci sarà fatta. Ma la straordinaria procedura eccezionale all’on. Di Laurenzana non mi ha lasciato tranquillo ed io ho creduto convocare d’urgenza il Consiglio per averne lume, incoraggiamento e autorizzazione di resistere e di reclamare”. Apertasi la discussione il consigliere comunale socialista Vincenzo Giovannone lesse il seguente intervento: “Signori Consiglieri, la lettura della domanda dell’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana testè fatta mi ha convinto che l’ordine del giorno emanato dall’Ill.mo Sindaco è tendenzioso, perché non rispecchia la verità di quanto si chiede nella domanda stessa. La questione è diversa ed io, se i signori colleghi me lo permettono, la svolgerò per dimostrare come il Sindaco, in buona fede, abbia fatto un ordine del giorno che non rispecchia la verità del fatto. In massima dichiaro che sono e sarò

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sempre contrario, sia al Di Laurenzana, che a qualunque altro volesse menomare la nostra Grande Cascata. Però è necessario che il Consiglio prima di deliberare, indaghi se veramente l’on. Di Laurenzana arreca danno alla popolazione; perché sarebbe indegno per un Municipio come questo composto da persone intelligenti, come voi egregi colleghi, che si vorrebbe prestare a far guerra all’Onorevole Di Laurenzana nell’interesse di altri, che forse vedono di malocchio sorgere tra noi una nuova industria che sarà certamente una sorgente di ricchezza per il nostro paese, a tutto vantaggio degli interessi degli operai, i quali saranno sottratti ad un servilismo obbligatorio che ci disonora. Prima di fermarmi a parlare della domanda del Di Laurenzana, chiedo al Sindaco se Egli (che presiede così degnamente il posto di primo Magistrato del paese) sa dirci di due altre domande, una degli eredi di Palermo e l’altra dell’avv. Sinigaglia per prendersi tutto lo scarico dell’antico palazzo Polsinelli. Se ciò è vero (perché dette domande furono consigliate, spinte ed incoraggiate in altra sede da altissimo personaggio della contrada) è la prova evidente che lo scarico di palazzo Polsinelli non ha nulla a vedere con la Grande Cascata, perché questo altissimo ed amatissimo personaggio non sosterrebbe gli interessi di quelle due domande. In linea di fatto il Di Laurenzana nella sua domanda avanzata all’Ill.mo Signor Prefetto chiede che delle attuali sette bocche di acqua nell’antico Palazzo Polsinelli, si trasformano in tre, e che queste diano lo stesso volume di acqua che attualmente rimettono le sue sette bocche e lo scarico per mezzo di tubi, allocati nel muraglione di sua proprietà, sarebbe trasportato alla base.

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Dunque, secondo la domanda del Di Laurenzana si tratta dell’attuale sua acqua, che quando lo Stabilimento è chiuso non esce. Se l’acqua è di proprietà del Castello, perché il Municipio vuole ostacolare l’impianto di una nuova grandiosa industria e ostacolandola non sembra che ci si presti involontariamente al giuoco di altri? Signori – continua il Consigliere socialista Vincenzo Giovannone – parliamone chiaro e parliamone al popolo che in questa questione è il principale e vero interessato. Le acque, che per antichi diritti animavano antichi locali, si trasformano in forza ed energia che è ricchezza del paese; ma l’acqua della Cascata della vera Cascata, da non confondersi con lo scarico dell’antico Palazzo Polsinelli, non deve essere sfruttata a danno della salute pubblica, né dal Di Laurenzana, né dalle Meridionali, né dal Palermo, né dal Sinigaglia, né dal Viscogliosi, né dal Bruno, né da altri qualsiasi. Sappia il Consiglio, sappia il popolo di Isola del Liri, che io non difendo nessuno, ma che non mi presto con incoscienza ad essere cieco strumento per servire ad invidiosi, ad antichi rancori di persone, che vogliono servirsi di noi e della popolazione per colpire il Di Laurenzana, il quale dovrebbe avere la benevolenza della cittadinanza che di un antico castello intende farne un’officina, che mentre sarà ricchezza propria, è interesse di vitalità del nostro popolo. Un’altra prova evidente e necessaria do a voi, Egregi Colleghi e al popolo di Isola del Liri per dimostrare che lo scarico Polsinelli è tutt’altra cosa che quella della Cascata per cui siamo stati chiamati d’urgenza a deliberare. Il nostro egregio e distintissimo medico sanitario Sig. Palermo ha firmato dopo di aver studiato e redatto (unitamente al Dottor Baisi e all’Ill.mo Professor

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Nicolucci) quella dottissima relazione che tutti abbiamo ammirato. Ma il Palermo nostro medico sanitario (la sua delicatezza è garanzia assoluta per noi), certo per me, non avrebbe dovuto richiedere e fatto richiedere l’acqua dello scarico del Polsinelli, perchè come scrisse e firmò nella relazione a questo Consiglio pochi giorni prima, usufruire di dett’acqua, recava un certo danno al paese. Dunque, Egregi Colleghi, non confondiamo. Lo scarico Polsinelli è una cosa, che come è stato chiesto dal Di Laurenzana, dal Palermo e dal Sinigaglia, è una questione che riguarda loro tre, e ripeto non è da confondersi con la Cascata la quale è dover nostro difendere per la salute pubblica e per l’estetica, ma non dobbiamo noi prestarci al giuoco degli uni contro gli altri. Indipendentemente da tutti, servitore di nessuno. Questa è la mia divisa”. Alle polemiche argomentazioni del Consigliere Vincenzo Giovannone, il Sindaco rispose: “Non credo di rilevare la sconvenienza della lettura d’un foglio apprestato prima di proporsi al Consiglio l’analoga deliberazione, e che rileva come il Consigliere Giovannone avesse potuto procurarsi altrove gli elementi per il suo scritto. Non si tratta di ribassare l’attuale scarico del Polsinelli puramente e semplicemente. Se così fosse, se la domanda contenesse solo questo, la pubblica opinione non avrebbe ragione di occuparsene, come non è il caso di occuparci ora delle istanze Sinigaglia e Palermo che si limitano a due metri, riconoscendo essere questo l’antico scarico Polsinelli. Di Laurenzana vuole sette metri quando tutti sanno che ordinariamente non ne scorrono tanti nel ramo sinistro del Liri e quindi non ne cadono dalla Cascata.

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E’ inutile baloccarsi con frasi fatte ed insinuazioni, che si respingono. Noi non dobbiamo occuparci se Di Laurenzana vuole creare nuova industria ed arricchire altri operai. Anche le Cartiere Meridionali se avessero avuta la concessione che abbiamo oppugnata, avrebbero aumentato gli operai. Eppure noi ci opponemmo, e con noi il Consigliere Giovannone. Com’è che ora è così tenero per il Conte Di Laurenzana e ne canta le Laudi? E’ questione di onestà e di buona fede. Non credo di aggiungere altro”. Intervenne, quindi, il Consigliere Eduardo Manna, che, ritenendo non del tutto esatta la relazione del Sindaco al Prefetto, dichiarò di essere contrario a qualunque deliberazione che in base alla lettera del Sindaco sarebbe stata approvata dal Consiglio. Ma invitato a precisare i punti controversi, non fornì alcun chiarimento. Allora, su proposta del Sindaco, il Consiglio Comunale, con dodici voti favorevoli e due contrari, votò il seguente atto: “Il Consiglio Comunale di Isola del Liri, udita la relazione del Presidente e facendone propria l’esposizione dei fatti e le considerazioni; riconosciuto che la domanda presentata dall’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana non è solo trasformazione delle attuali prese di Villa Correa, ma vera e propria domanda per aumentare le sue derivazioni fino a sette metri, con che data la portata del fiume e la proposta di ribassare lo scarico equivale a distruggere la CASCATA DEL RAMO SINISTRO DEL FIUME LIRI; ritenuto che le ragioni svolte nella precedente deliberazione del 29 maggio ultimo impongono a questa comunale Amministrazione il dovere di opporsi ad un’opera pregiudizievole all’igiene pubblica

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ed al decoro del paese; considerato che tali ragioni avrebbero dovuto essere prese in esame dalla Prefettura, dal Ministero, prima di ammettere all’istruttoria una domanda così straordinaria; DELIBERA di confermare la precedente deliberazione del 29 maggio; di ricorrere direttamente al Governo del Re contro il Decreto Prefettizio del 26 giugno scorso lesivo degli interessi del Comune; di informare del fatto il rappresentante del Collegio, affinché voglia con sollecitudine impedire che siano manomessi i diritti del Comune in dispregio della legge e della vita di un’intera popolazione; di dare ampio mandato alla Giunta Municipale di fare tutti gli atti che si reputano necessari per la bisogna”.

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I rapporti tra il “reazionario” on. Conte Gaetani Di Laurenzana e il “rivoluzionario” socialista Vincenzo Giovannone. Costituzione della prima Lega di Resistenza nei locali del Palazzo Ducale. L’interessata opposizione alle tesi del Sindaco Pantanella ed il sostegno agli interessi del Conte Di Laurenzana da parte del socialista Vincenzo Giovannone destarono una serie di sospetti che, da lì a qualche mese, trovarono puntuale conferma. Il 13 dicembre 1901, il Sottoprefetto di Frosinone comunicò al Ministero degli Interni “che da qualche tempo nella contrada Liri (Sora) tra i molti operai dei vari stabilimenti ferve una viva agitazione promossa e capitanata dai Socialisti Vincenzo Giovannone da Isola del Liri e Bernardo Nardone da Arce”. Mentre, il Sottoprefetto di Sora inviò al Prefetto di Caserta la nota n. 389/Gab. in data 18 novembre 1901 con la quale riferì: “Come io prevedevo, con la mia nota del 26 settembre u.s. n. 118/Gab., il movimento operaio incominciato a Carnello e propagatosi poscia in Isola del Liri per opera specialmente dell’on. Gaetani Di Laurenzana (senza il cui intervento e patrocinio e senza la concessione da lui data di un locale per le riunioni, né il Nardone né il Giovannone sarebbero riusciti a costituire una Lega di Resistenza) ha messo capo ai due inconsulti scioperi degli operai della Cartiera Questa in Isola del Liri e degli operai della Cartiera De Caria in Carnello”.

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Fu questo l’inizio di una lunga serie di scioperi che videro in tutta la zona protagonista il socialista Vincenzo Giovandone, i cui rapporti con il Conte Gaetani Di Laurenzana diventarono sempre più stretti. Un’altra inoppugnabile testimonianza di questo strano rapporto lo si coglie nella nota n. 770 del 21 ottobre 1902 del Commissario di P.S. di Cassino in merito al processo cui fu sottoposto il Giovannone dal Tribunale di quella città proprio quel giorno: “Numerose furono le deposizioni di testimoni così a carico che a discarico, ma due di esse costituirono l’interesse di tutto il dibattimento, quella cioè dell’on. Federico Grossi da una parte e quella dell’on. Di Laurenzana dall’altra. D’altro canto l’on. Laurenzana fece l’apoteosi del Giovannone, mettendo a base del suo discorso (tale per la sua deposizione) i benefici ottenuti dall’imputato, e la sua grande conseguente riconoscenza. Ricordò fra l’altro come sola la coscienza intemerata del Giovannone sorse contro l’intero Consiglio Comunale di Isola del Liri a difesa di alcuni suoi diritti. Non omise di far notare, con certa insistenza, come fosse grande il suo stupore nel vedere deferito il solo Giovannone al giudizio del Tribunale, mentre iniziatori del movimento in Isola Liri furono anche l’avv. Nardone e LUI MEDESIMO. Pertanto, si credette autorizzato a qualificare vigliacca (fu questa la vera frase) l’opera della Sottoprefettura di Sora, inquantochè se non fu denunziato anche lui ciò deve unicamente attribuirsi alla medaglia di deputato”. La figura politica del Giovannone fu ulteriormente delineata dal Sottoprefetto di Sora con il rapporto n. 155/Gab. del 29 giugno 1903 al Prefetto di Caserta, nel quale tra l’altro si legge: “Nell’estate del 1901 due operai da Salerno si recarono nello Stabilimento De Caria, sito

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nella frazione Carnello, per la montatura di alcune macchine. Furono essi a spargere i primi germi di una Lega di Resistenza, la quale non avrebbe prodotto tante disillusioni negli operai se fosse stata diretta da persone abili e coscienziose. Invece, in quel tempo tornava in Isola, da un giro canzonettistico, Vincenzo Giovannone, il quale vuolsi che nelle sue peregrinazioni in Germania, ripartisse i suoi favori a certe Langelle, madre e figlia, con le quali era partito da Isola mesi prima. Il Giovannone, incisore in legno di cilindri per carte da parati, si era fatto notare nelle lotte elettorali politiche che dal 1892 in poi avevano infierito nel Collegio di Sora. Suo mentore era l’avv. Bernardo Nardone da Arce, il quale a Napoli da repubblicano si era trasformato in socialista. Nel 1895 il Giovannone, in grazia delle sciagure e della gelosia fra gli industriali d’Isola, fu eletto Consigliere Comunale. Povero d’ingegno, poverissimo di cultura, giovane ed inesperto della vita, ambizioso e suggestionabile, divenne in Consiglio Comunale il portavoce degli oppositori per interessi contrari a quelli municipali. Intorno a quell’epoca cominciò un fiero dissidio fra Luigi Gaetani Di Laurenzana, già Deputato di Sora, e le Cartiere Meridionali, a proposito della Villa Correa già Castello dei Boncompagni. In questa villa sorgeva un tempo il lanificio famoso del Polsinelli, a cui successe il nipote Domenico Cossa. Come erano scomparsi da Arpino e da Isola gli altri lanifici, schiacciati dalla concorrenza, così la stessa sorte toccò al lanificio Cossa.

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La Banca d’Italia, creditrice, fu cessionaria del Castello, di cui cercava ad ogni costo di sbarazzarsi. Il Laurenzana che in quel tempo era il Deputato ed il beniamino delle Cartiere acquistò per incarico e col danaro di queste il detto Castello. Ma poi, visto che il valore dello stesso sarebbe quintuplicato, ove si fosse aumentata la derivazione dell’acqua, fece un compromesso colla ditta Marsaglia per la vendita del Castello con la forza idraulica da portarsi a 2.000 cavalli, ed ottenne dalla stessa ditta il danaro da restituire alle Cartiere Meridionali. Fra queste ed il Laurenzana vi fu uno strepitoso giudizio che riuscì favorevole al secondo; ma le Cartiere non hanno mai perdonato al Laurenzana la delusione fatta ad esse provare, e si sono opposte sempre con tutte le forze all’aumento della derivazione. Il Laurenzana, cui noceva l’ostilità delle Cartiere, colse, nel 1901, l’occasione del movimento operaio e se ne costituì protettore, offrendo alla Lega degli operai i locali del proprio Castello. In essi il Nardone ed il Giovannone potettero, con piena libertà, istillare nelle menti e nei cuori primitivi degli operai, l’odio più atroce di classe ed il disprezzo per tutto ciò che fosse autorità umana e divina. Il movimento anarcoide, impresso alla lega, ebbe immediata manifestazione il 14 novembre 1901 cogli scioperi degli operai della Cartiera Questa in Isola e nella Cartiera De Caria in Carnello per motivi futilissimi”.

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Decreto del Ministero delle Finanze del 23 maggio 1901: riconosciuto all’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana il legittimo possesso trentennale ed il diritto di derivazione delle acque dal Liri. Il 23 maggio 1901, il Ministero delle Finanze, emanò il seguente Decreto: “Vista l’istanza presentata il 20 dicembre 1898 dal Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana, si ritiene che la derivazione che il Laurenzana pretende appartenergli per possesso legittimo durato un trentennio anteriormente al 10 agosto 1884 verrebbe effettuata mediante sette bocche esistenti. La prima nell’isolotto presso la metà del ponte sul Liri; la seconda nella sponda destra del ramo sinistro del Liri, sotto il detto ponte che sovrasta la Cascata Grande; la terza e la quarta che costituiscono una presa a due bocche, nella sponda sinistra del ramo destro; la quinta, la sesta e la settima pure sulla sponda sinistra del ramo destro del Liri. Ritenuto che dall’esame dei documenti prodotti dal Di Laurenzana e dalle relazioni dell’ufficio del Genio Civile di Caserta del 21 maggio e 25 ottobre 1900, e 30 aprile 1901, si desume che la prova giuridica sulla esistenza del possesso legittimo e trentennale alla derivazione d’acqua del Liri, è stata raggiunta soltanto per le bocche distinte coi n. 1, 2, 3, 4 e 5; mentre per le bocche segnate coi n. 6 e 7 non è stato dimostrato che esse fossero state

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aperte nel trentennio anteriore alla pubblicazione della legge 10 agosto 1884 n. 2644, sulle derivazioni delle acque pubbliche. Ritenuto pertanto che, salvo all’interessato di giustificare con nuove opere, se e come lo creda opportuno, il vantato suo diritto ad usare dell’acqua che si immette ora nelle predette bocche n. 6 e 7, devesi intanto limitare la legittimazione dell’uso alle altre cinque bocche, di cui sovra è cenno. Ritenuto che il Liri, in seguito all’apertura dell’emissario del Fucino (1874), ebbe la sua portata aumentata, e che su tale aumento niun diritto compete al Di Laurenzana o ad altri, perché non sorretto da possesso trentennale. Viste le relazioni dell’Ufficio del Genio Civile di Caserta del 30 aprile 1901, in cui in base ai calcoli ivi fatti, risulta che la quantità di acqua che il Di Laurenzana può, per trentennale possesso, derivare dal Liri, per le precitate cinque bocche, compresa la deduzione dell’aumento del Fucino portato al Liri, è di metri cubi 2,784. Visti i conformi pareri dell’Avvocatura Erariale Generale del 20 marzo 1901 n. 2797 e 21 maggio successivo n. 2644, e senza pregiudizio dei legittimi interessi dei terzi, da esperirsi come di diritto. Decreta: è riconosciuto nel Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana, per legittimo possesso durato trent’anni prima della pubblicazione della legge predetta, il diritto di derivare dal Liri, nell’Isola del Liri, mediante le cinque bocche indicate nella relazione 30 aprile 1901 dell’Ufficio del Genio Civile di Caserta 2.784 metri cubi d’acqua al minuto secondo, per servirsene come forza motrice e manda alla Prefettura di Caserta l’esecuzione del presente decreto, mediante anche la chiusura delle due bocche non legittime, semprechè il Di Laurenzana, in un

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breve tempo da prefiggersi, non completi l’istruttoria occorrente alla loro legittimazione”. Il 22 luglio 1901, la Società delle Cartiere Meridionali avanzò ricorso alla IV Sezione del Consiglio di Stato avverso il riconoscimento del diritto a favore dell’on. Gaetani Di Laurenzana di derivare l’acqua dal Liri, non solo nella quantità da lui pretesa, ma altresì in quella ammessa dall’impugnato decreto ministeriale, in quanto pregiudizievole alle istanze della Società stessa avanzate in data 10 novembre 1898 e 29 aprile 1899. In sostanza, le Cartiere Meridionali sostennero che il Ministro per riconoscere all’on. Di Laurenzana il possesso di questa quantità di acqua aveva fatto ricorso al numero ed alla portata delle bocche, mentre avrebbe dovuto tener conto della quantità di acqua posseduta in relazione alle macchine ed ai motori dello stabilimento. Perciò, la Società chiese al Consiglio di Stato l’annullamento del decreto in questione. Anche il Conte ricorse avverso il decreto, per farsi riconoscere la legittimazione del possesso ultratrentennale anche delle altre due bocce, ed in questo contesto si inserì pure l’opposizione dei fratelli Giustino, Giuseppe e Vittorina Palermo (quest’ultima rappresentata dal marito sig. Balsamo) al Ministero delle Finanze del 23 gennaio 1902 contro il Decreto del Prefetto di Caserta in data 2 gennaio 1902, con il quale venne respinta la domanda dei Palermo del 10 giugno 1900 di derivazione d’acqua, relativamente all’antico scarico dello Stabilimento ex Polsinelli. I Palermo sostennero che non era provato il fatto che Luisa Lambert e Giuseppe Polsinelli , antecessori dell’on. Gaetani Di Laurenzana, nell’acquistare dal pubblico Demanio l’immobile di Villa Correa, acquistarono anche

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la ripa scoscesa fra lo scarico dello Stabilimento e la sponda effettiva del fiume. Nel contempo ribadirono che, con atto del notaio Nicola Loffredo di Sora del 28 dicembre 1855, i fratelli Giuseppe e Angelo Polsinelli rinunziarono ad ogni pretesa sull’acqua fluente dallo scarico, accordando proprio ai fratelli Filippo e Andrea Palermo, antecessori dei ricorrenti, il consenso ad effettuare le opere successivamente richieste con la domanda del 10 giugno 1900. Pertanto, chiesero al Ministro di ordinare la sospensione di qualsiasi provvedimento a riguardo dell’istanza dell’on. Gaetani Di Laurenzana del 19 giugno 1900, per utilizzare l’intero salto d’acqua della Cascata, e ciò fino all’espletamento dei debiti provvedimenti sulla predetta istanza degli esponenti. Il 9 gennaio 1903, la Società delle Cartiere Meridionali, tramite gli avvocati Giovanni Villa e Samuele Coen, ricorse alla Suprema Corte di Cassazione (Sezioni Unite), perché, avendo il Ministro delle Finanze sollevato l’eccezione di incompetenza, il Consiglio di Stato aveva rinviata la causa al Supremo Collegio, per decidere appunto la competenza. Ed infatti, il 23 gennaio 1903, la Suprema Corte di Cassazione dichiarò “la competenza dell’autorità giudiziaria a conoscere dell’obbietto della domanda della Società delle Cartiere Meridionali diretta ad impugnare il riconoscimento del diritto del Conte Di Laurenzana di derivare acqua dal fiume Liri”. L’on. Gaetani Di Laurenzana, prevedendo che il Supremo Collegio avrebbe emessa nei suoi confronti uguale dichiarazione, con atto di citazione del 26 febbraio 1903, convenne il Ministro delle Finanze avanti il Tribunale Civile di Roma, per la legittimazione di tutte le

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sette bocche di presa d’acqua di Villa Correa e per l’utilizzazione dell’intero salto dell’acqua (come fu riconosciuto dai due Disciplinari inviati dalla Prefettura di Caserta nel novembre 1901 e luglio 1902) e senza il pagamento del canone, trattandosi di diritto garantito da lungo possesso. La Società delle Cartiere Meridionali propose, a sua volta, con citazione del 2 maggio 1903, un giudizio innanzi lo stesso Tribunale per sentire dichiarare che all’on. Gaetani Di Laurenzana spettava una quantità di acqua minore rispetto a quella riconosciutagli dal Decreto 23 maggio 1901.

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Il conte Luigi Gaetani Di Laurenzana chiamato in giudizio dalla Società delle Cartiere Meridionali, per il conseguimento di un credito. Minaccia di esproprio di Villa Correa. Il mese di marzo 1903, la Società delle Cartiere Meridionali citò il Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana innanzi alla Prima Sezione del Tribunale di Cassino, per conseguire un credito di lire 900, ricordando che il Pretore di Roma, con sentenza 10 – 22 febbraio 1901 aveva accolto la domanda, ma per riscuotere questo “misero” credito (come lo qualificò il Conte), la Società era stata costretta, in data 7 marzo 1901, a pubblicare iscrizione ipotecaria su Villa Correa. Questa ipoteca era preceduta da altre, tra le quali notevole era quella a favore della vedova Marsaglia per lire 205.500. Seguì poi senza opposizione il precetto immobiliare dell’11 gennaio 1902, cioè quando, a seguito della sentenza del Tribunale di Cassino del 2 – 6 maggio 1902, la Società delle Cartiere Meridionali venne surrogata nella esecuzione già intrapresa dal Signor Figari. Allora, la Società stessa chiese ed ottenne dal Presidente del Tribunale la nomina di un perito, il quale valutò l’immobile. E poiché il perito, l’ing. Carlo Forte, con

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l’accurata sua relazione depositata nella Cancelleria del Tribunale il 27 novembre 1902 constatò che l’immobile espropriando era in uno “stato di abbandono e di deterioramento spietato e desolante”, la Società, chiedendo l’autorizzazione a vendere l’immobile, propose anche la nomina di un altro sequestratario giudiziario al posto del debitore on. Di Laurenzana. Prospettò, inoltre, che tra le condizioni di vendita fosse inserita l’alienazione in un solo lotto o in due lotti; in quest’ultimo caso solo se l’asta fosse rimasta deserta ed il primo prezzo fosse diminuito almeno di quattro decimi. Nel giudizio intervenne la Signora Roverizio, vedova Marsaglia, creditrice ipotecaria, come già si è detto, di lire 205.500, e chiese che fosse accolta la domanda della Società delle Cartiere Meridionali. Il Conte Di Laurenzana oppose una serie di eccezioni e sostenne che l’esecuzione era eccessiva, in quanto per poche centinaia di lire si voleva espropriare una proprietà di oltre mezzo milione di valore. Dichiarò che la Società delle Cartiere Meridionali sarebbe, invece, stata debitrice nei suoi confronti di una somma ingente per i danni determinati dalla opposizione alla sua domanda di legittimazione delle acque del Liri, in quanto a causa di tale comportamento egli non era riuscito a conseguire quanto aveva richiesto. Affermò, inoltre, che non si poteva autorizzare la vendita sulla base della perizia dell’ing. Carlo Forte, perché essa non aveva tenuto conto del maggiore valore della proprietà per il godimento delle acque, e che non si doveva accogliere la domanda della nomina di un amministratore giudiziario, perché la richiesta veniva avanzata da un creditore di solo MILLE LIRE. Iniziarono, così, due procedimenti giudiziari: il primo innanzi il Tribunale Civile di Roma promosso dall’on.

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Luigi Gaetani Di Laurenzana contro il Ministero delle Finanze, avverso il Decreto 23 maggio 1901, per la legittimazione di tutte le bocche di presa d’acqua per legittimo possesso ultratrentennale e per il maggiore salto, che si concluse con un atto di transazione nel 1906. Il secondo, promosso innanzi al Tribunale di Cassino dalle Cartiere Meridionali per l’esproprio di Villa Correa, che durò fino al 1922.

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I fratelli Palermo, Edoardo Manna, Beniamino Viscogliosi e la Società delle Cartiere Meridionali compaiono nella causa innanzi al Tribunale di Roma tra l’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana e il Ministero delle Finanze. I fratelli Giustino e Vittorina Palermo, rappresentata dal marito Signor Balsamo, tramite gli avv. Cesare Pateras e Gaetano Bonavenia, chiesero di comparire innanzi alla Prima Sezione del Tribunale Civile di Roma nella causa che l’on. Gaetani Di Laurenzana aveva promosso contro il Ministero delle Finanze, per far dichiarare la presente causa connessa a quella già promossa con l’atto del 10 marzo 1902 davanti al Tribunale di Cassino e di rinviare le parti innanzi a quel Tribunale. In via subordinata, i Palermo chiesero di dichiarare che la domanda di Gaetani Di Laurenzana fosse ostacolata dal diritto competente ai Palermo di usufruire dell’acqua della Cascata e dello scarico di Villa Correa. Il 29 maggio 1903, il Tribunale Civile di Roma decise con sentenza “previa riunione di questa causa all’altra vertente fra l’on. Di Laurenzana e il Ministero delle Finanze, di dichiarare improponibile l’azione spiegata dalle Cartiere Meridionali, sia per carenza di azione, che per incompetenza del Tribunale, che non potrebbe neanche parzialmente revocare il Decreto del 23 maggio 1901”. Successivamente, il Tribunale Civile di Roma, con sentenza del 29 luglio 1903, dichiarò “improponibile

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innanzi all’autorità giudiziaria la domanda del Conte Gaetani Di Laurenzana, relativa all’utilizzazione del salto d’acqua, e quindi dichiarò non trovare luogo a provvedere sull’intervento dei Signori Palermo e Balsamo, che si sono presentati unicamente per contraddire questa istanza”. Escluse l’intervento delle Cartiere Meridionali per totale carenza di diritto ed ammise, invece, quello di Viscogliosi. Prima di provvedere nel merito il Tribunale di Roma concesse la facoltà al Conte di provare con testimoni il possesso ultratrentennale delle sette bocche, e nominò un perito per meglio accertare l’epoca di queste prese, per determinare la quantità di acqua che potevano ricevere e per stabilire se dal riconoscimento del diritto del Di Laurenzana fosse derivato pregiudizio al Viscogliosi. Con la comparsa conclusionale presentata alla Corte di Appello di Roma (Seconda Sezione) il 12 luglio 1904, l’on. Di Laurenzana sostenne che nel merito l’intervento del Viscogliosi doveva respingersi perché la lite principale non si riferiva alla richiesta di una nuova concessione, ma al riconoscimento di un diritto acquisito. “E se il Viscogliosi – ribadì il Conte – ebbe la sua concessione il 12 maggio 1897 non poteva contrastare la sua concessione, che risaliva all’inizio del secolo scorso; giacchè egli, nuovo venuto, doveva accettare e rispettare le cose come le aveva trovate”. Ed era un non senso, secondo il Di Laurenzana, l’appello promosso dal Viscogliosi, perché l’incarico al perito di misurare il volume di acqua assorbito dalle sette prese aveva lo scopo di ottenere “un chiarimento alla strana fisima del Ministero delle Finanze che vaneggiava

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per sapere quanta acqua del Liri e quanta del Fucino passasse per quelle prese”. Pertanto, se questo fu l’obbiettivo della sentenza, Viscogliosi, secondo il Conte, non aveva ragione di rimanere in giudizio, mancandogli diritto ed opportunità. In quanto, poi, alle pretese della Società delle Cartiere Meridionali, l’on. Di Laurenzana sostenne che “mai più sconfinata prepotenza si può concepire oltre quella delle Cartiere Meridionali che, in tema di diritti quesiti per possesso immemorabile e per prescrizioni, investivano una sentenza che ha disposto la prova del tempo trascorso e la perizia per la concessione dei luoghi, e con toni di spavaldi dittatori chieggono nulla meno che il rigetto delle mie domande, quando la convenuta principale, cioè la Finanza, ne riconosce la giustizia”. “Chi sono le Cartiere? Ecco il grande interrogativo – affermò il Conte – Le Cartiere hanno uno stabilimento a monte della mia proprietà, per modo che questa proprietà o abbia sette prese o ne abbia 700 le Cartiere non ricevono danno, trovandosi a livello superiore. E’ semplicemente la favola del lupo! Ebbene queste Cartiere hanno dedotto di avere avanzato una istanza al Ministero per ottenere una nuova concessione di acqua e temono che legittimandosi il mio diritto la loro domanda possa trovare difficoltà nell’avvenire”. Ma il Tribunale aveva già disposto che poteva intervenire in giudizio colui che avesse un diritto reale, attuale, certo, e non chi poneva alla base dell’intervento una semplice speranza. “E se quella speranza – sostenne il Conte –fosse una ingordigia, se fosse un avido desio di nuocere, se anche in buona fede fosse un sogno di una notte dorata, si

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troverebbe nella legge un ausilio a tanto delitto o a tanta chimera?”. “Ben giudicò il Tribunale, spazzando la via di questi osceni incombri, come ben giudicherà la Corte confermando la sentenza”. Il Conte Gaetani Di Laurenzana, pertanto, produsse appello avverso la sentenza del 29 luglio 1903; e contro la stessa decisione interpose appello anche Beniamino Viscogliosi. L’udienza venne fissata per il 1° ottobre 1904 per dichiarare inammissibile e rigettare l’intervento del Viscogliosi e dei fratelli Manna, e condannare costoro, la Società delle Cartiere Meridionali, il dott. Giustino Palermo e Balsamo ai danni, interessi e spese ed onorari, mettendo specialmente a carico delle Cartiere Meridionali e del Viscogliosi i maggiori danni, da essi procurati nelle more del giudizio. LE PARTI, PERO’, RINUNZIARONO ALL’APPELLO. Il 6 marzo 1905 fu sottoscritta una transazione tra il Presidente della Società delle Cartiere Meridionali, Jules Blanc, e l’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana, con la quale si stabilì che tutte le vertenze esistenti fra le parti venivano transatte; pertanto, le parti rinunziavano ad ogni ragione di credito che potessero vantare per qualsiasi titolo, ragione o causa. In conseguenza della transazione, il Conte rinunziò nel modo più ampio alla domanda proposta contro la Società per il risarcimento dei danni, mentre la Società rinunziò al sequestro giudiziario di Villa Correa e non si oppose alla riconsegna dello stabile all’on. Di Laurenzana da parte del sequestratario giudiziario. Con scrittura dell’11 agosto 1906, ebbe luogo una transazione anche con il Ministero delle Finanze che riconobbe all’on. Di Laurenzana il diritto di derivare dal

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Liri 5.085 litri di acqua al minuto secondo, mediante sette bocche di presa con l’obbligo di pagare, come corrispettivo, il canone annuo di lire 1.800, come venne anche riconosciuto il diritto di utilizzare il salto d’acqua. Il Conte firmò insieme con l’atto di transazione il disciplinare per la concessione del maggiore salto; pagò le due prime annualità del canone (4 ottobre 1906 – 3 ottobre 1908) e presentò il progetto delle opere di sistemazione, approvato dal Consiglio Superiore dei LL.PP. Ma, quando si trattò di accettare l’atto disciplinare predisposto per le varianti, sospese qualsiasi versamento e conseguentemente non eseguì le opere progettate. Dopo una lunga serie di trattative, dovute alle insistenze dell’interessato per ottenere proroghe, giustificate dal fatto che il Conte Di Laurenzana, risiedeva abitualmente all’estero quale Regio Console, il Ministero delle Finanze si decise a chiamarlo in giudizio per la rescissione dell’atto transattivo dell’11 agosto 1906.

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Giudizio intentato dalla Società delle Cartiere Meridionali per l’esproprio di Villa Correa. Surroga nella procedura degli eredi Marsaglia. Si è già detto che l’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana per potere riscattare Villa Correa dalle Cartiere Meridionali, assunse un mutuo ipotecario dal Comm. Giovanni Marsaglia per l’importo di lire 205.500, con atto del notaio Sismondi di Torino in data 6 febbraio 1900, a garanzia del quale venne accesa ipoteca sull’immobile medesimo. Il 19 febbraio 1900, con atto del notaio Siciliani di Sora, l’on. Di Laurenzana fittò Villa Correa all’impresa Laurenzana di Milano che aveva prestato la fideiussione solidale all’assunzione del citato mutuo. In relazione a tali rapporti si svolsero molte controversie giudiziarie promosse dagli eredi dell’ing. Giovanni Marsaglia, e cioè dalla vedova Contessa Giuseppina Roverizio di Roccasterone e dal figlio Vincenzo Marsaglia, tanto nei confronti del debitore principale Conte Di Laurenzana, quanto nei confronti della fidejubente Impresa Laurenzana. Gli eredi Marsaglia, ottenuto il riconoscimento delle loro ragioni di credito verso il Conte Di Laurenzana e dell’obbligo di garanzia da parte dell’impresa Laurenzana, si surrogarono alla procedura già iniziata dalle Cartiere Meridionali, ed inoltrarono la procedura di esproprio di Villa Correa già sottoposta a sequestro giudiziario. La Terza Sezione della Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 20 – 21 luglio 1903, decise il ricorso del

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Conte Gaetani Di Laurenzana contro l’azione delle Cartiere Meridionali creditrice della somma di lire 1.139,90. Si ricorda, altresì, che, non essendo stato pagato alla scadenza il credito in questione ed essendo state esperite tutte le pratiche di legge, la Società chiese l’autorizzazione a procedere alla vendita forzata dell’immobile denominato Villa Correa. Fu proprio in quello stato del giudizio che intervenne la contessa Giuseppina Roverizio vedova Marsaglia, creditrice per lire 205.500, per appoggiare la domanda delle Cartiere Meridionali. Il Tribunale di Cassino aveva autorizzato la vendita con sentenza del 1° aprile 1903. Il Conte Di Laurenzana pretendeva la sospensione del giudizio di appello fino all’esito di quello pendente tra esso appellante e le Cartiere Meridionali, in quanto l’esito favorevole dello stesso avrebbe consentito al Di Laurenzana medesimo la richiesta del risarcimento dei danni. La Società ribadì, invece, che non si poteva “soffermare il diritto certo delle Cartiere”, perché non era consentito al debitore moroso di “lanciare una citazione per farne base di una eccezione dilatoria”. Né doveva essere presa in seria considerazione la eccezione posta dal Conte circa l’eseguità del credito delle Cartiere in confronto dell’ingente valore dell’immobile messo all’asta, dal momento che la vedova Marsaglia, interventrice, vantava un credito per lire 205.500. “Vero è – ribadì la Società delle Cartiere Meridionali – che il Di Laurenzana si sforza di mettere fuori causa costei impugnandone il diritto ad intervenire, pur sapendo che la legge concede la facoltà a chiunque vi abbia

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interesse di intervenire in un giudizio vertente fra altre persone”. La Corte di Appello di Napoli, perciò, pronunziando sull’appello proposto dal Conte Di Laurenzana avverso la sentenza del Tribunale di Cassino in data 1° aprile 1903, lo rigettò ed ordinò che l’appellata sentenza avesse il suo effetto. Il Supremo Collegio di Napoli, con decisione del 10 marzo – 21 aprile 1904, annullò l’impugnata sentenza per difetto di motivazione circa la possibile legittimazione delle altre due bocche di derivazione. La Corte di Appello di Napoli, in grado di rinvio, concesse, con sentenza 10 giugno – 5 luglio 1905, il termine di sei mesi prorogato poi a tutto ottobre 1906, per attendere l’esito tanto del giudizio relativo alla legittimazione delle due controverse bocche di presa d’acqua, quanto delle pratiche amministrative per l’utilizzazione del salto d’acqua, ritenendo che l’uno e l’altro fatto costituissero dei coefficienti per l’aumento del valore dello stabile. Si precisa, infine, che a seguito delle descritte transazioni, la Corte di Appello di Napoli, con sentenza 4 – 6 dicembre 1907 ordinò la vendita, notando che il perito ing. Forte aveva calcolato in anticipo il valore delle due bocche di presa e dichiarando che l’aggiudicatario aveva diritto di utilizzare il salto, a norma del Disciplinare del Genio Civile, e di derivare dal Liri 5.085 litri d’acqua al minuto secondo, mediante sette bocche di presa e di pagare il canone annuo di lire 1.800. Si ricorda, inoltre, che il Conte Di Laurenzana, a questo punto, per porre fine alle controversie, propose un’amichevole definizione che venne accettata dalle parti interessate, impegnandosi a versare alla Contessa Roverizio vedova Marsaglia, al figlio Vincenzo Marsaglia

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e all’ing. Carlo Frigerio, quale liquidatore dell’impresa Laurenzana entro il 1° settembre 1909 la somma di lire 250.000 in contanti, a completa tacitazione di ogni ragione di diritto, in dipendenza tanto del mutuo ipotecario, quanto degli interessi relativi maturati e maturandi fino alla data del pagamento. Restavano anche a carico del Conte Di Laurenzana, oltre alle spese giudiziarie da lui sostenute, tutte le spese necessarie per porre termine al giudizio di esproprio. Mentre, per quanto riguardava i rapporti con l’impresa Laurenzana di Milano, venne riconosciuto lo scioglimento di ogni rapporto contrattuale scaturito dall’atto del notaio Siciliani di Sora del 19 febbraio 1900. L’impresa stessa dichiarò di rinunciare ai danni decisi a suo favore con sentenza 20 – 26 agosto 1903 dalla Corte di Appello di Milano, mentre il Conte Di Laurenzana dichiarò di non avere da parte sua alcuna ragione creditoria o di danni da far valere contro detta Impresa. In dipendenza di questi accordi, i Marsaglia e l’impresa Laurenzana dichiararono il loro consenso al Conte Di Laurenzana ad effettuare gli impianti idraulici per la utilizzazione delle acque, in conformità alle concessioni da lui avute dall’Amministrazione delle finanze dello Stato, a condizione, però, che in caso di mancato pagamento entro il termine stabilito, dette opere non avessero costituito argomento di eccezione per alterare la valutazione peritale. Si concordò anche la possibilità che il pagamento fosse effettuato con il rilievo del credito da parte di terza persona. I Marsaglia, in questo caso, avrebbero acconsentito alle opportune annotazioni di surroga, ma non si sarebbero impegnati a garantire la esigibilità del credito né per la cifra complessivamente dovuta per il mutuo

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originario, né per la cifra delle 250.000 sborsate, dovendosi ritenere l’eventuale cessione del credito aleatoria e senza alcuna garanzia. Gli eredi Marsaglia si impegnarono, altresì, a prestare il loro assenso alla cancellazione della ipoteca sugli stabili in questione, nonché alle altre cancellazioni ipotecarie dipendenti dal credito stesso e dagli atti di esproprio. Si stabilì, infine, che i suddetti accordi “sarebbero stati considerati come mai avvenuti, qualora da parte del Conte Di Laurenzana non fosse stata data piena esecuzione all’anzidetto pagamento”. Dopo la sentenza 4 – 6 dicembre 1907 della Corte di Appello di Napoli, con la quale si ordinava la vendita di Villa Correa, il Conte Di Laurenzana avanzò un nuovo ricorso alla Corte di Cassazione di Napoli, sostenendo che il perito ing. Forte aveva determinato il volume dell’acqua per cavalli 250 a 300, e su questa base aveva assegnato il corrispettivo valore, ma non aveva tenuto conto della valutazione del salto dell’acqua e della enorme forza concessa dal Ministero, che aumentava sensibilmente il valore della proprietà, per cui non si poteva procedere alla vendita senza prima aver determinato lo specifico prezzo. Ed anche questa volta il Supremo Collegio accolse il ricorso, per la precipua considerazione che i giudici di merito non avevano tenuto conto dell’eventuale maggiore valore dell’immobile derivante dal salto dell’acqua. La Corte di Appello, in grado di secondo rinvio, con sentenza 12 – 16 giugno 1911, ritenendo esatta la stima fatta dal perito ing. Forte della parte rustica ed urbana di Villa Correa, nominò il perito Prof. Eugenio Fischer, dandogli l’incarico di determinare il giusto valore industriale della forza motrice dell’acqua in rapporto alle

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sette bocche di presa ed al salto dell’acqua, tenuto conto del canone annuo di lire 1.800. COSI’ FURONO COMPLETAMENTE ACCOLTE LE RICHIESTE DEL CONTE GAETANI DI LAURENZANA E LA CORTE DI SECONDO RINVIO SI UNIFORMO’ COMPLETAMENTE ALLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE. Il nuovo perito Prof. Eugenio Fischer presentò la sua relazione il 30 luglio 1912, con la quale aveva determinato il valore industriale dell’acqua in lire 245.927, e, riprodotta la causa, la Corte, con sentenza 4 – 9 luglio 1913, ordinò la vendita in un lotto, e in mancanza di oblatori in due lotti. Il Conte Di Laurenzana produsse un nuovo ricorso, censurando la sentenza impugnata per difetto di motivazione, non essendosi elevato il prezzo della vendita, oltre quello determinato dal perito Prof. Eugenio Fischer, per l’erronea lottificazione stabilita e per la servitù di passaggio tra un lotto e l’altro. Fissata la discussione dell’infondato ricorso, venne sollevata l’incompetenza dell’autorità giudiziaria, e la Corte a sezioni unite, con sentenza 20 marzo – 29 aprile 1915, rigettò l’eccezione di incompetenza e rimandò la causa alla Cassazione di Napoli. Stabilita nuovamente la discussione, venne sollevata l’eccezione di incompetenza della Cassazione territoriale, sostenendo che la Corte di rinvio con la sentenza impugnata si era ribellata alla sentenza della Corte di Cassazione. Con decisione 14 settembre 1915, la nuova eccezione venne respinta dalla Cassazione territoriale, la quale così provvide: “Atteso che la Corte di Cassazione di Roma ebbe già a tener presente l’intero ricorso del Conte

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Gaetani Di Laurenzana e con il ricorso l’intera materia che ne forma l’oggetto. Per la sua speciale potestà giurisdizionale di regolare competenza anche delle Cassazioni territoriali, non v’ha dubbio che pur riferendosi l’eccezione di allora al quesito più complesso della competenza intera dell’autorità giudiziaria ordinaria, la Corte di Cassazione di Roma a Sezioni Unite deve intendersi abbia voluto determinare del tutto la competenza quanto rimetteva la decisione ulteriore alla Corte territoriale. Di fronte a tale pronunziato è dovere della Corte di non ordinare altri rinvii che indulgerebbero senza veruna prescrizione di legge la decisione definitiva”. Venne, però, rinviata la discussione del ricorso, e ciò fu sufficiente, malgrado la decisione emessa, per consentire all’on. Gaetani Di Laurenzana di produrre il ricorso per eccesso di potere, ed ottenere intanto che gli atti fossero rinviati alle Sezioni Unite.

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Lettera del dott. Giustino Palermo al Ministro dei Lavori Pubblici. Nella tormentata vicenda, si inserì nuovamente il dott. Giustino Palermo che, inviando una dettagliata lettera al Ministro dei Lavori Pubblici in data 1° ottobre 1916, sostenne che si doveva dare corso alla sua domanda in quanto la concessione ottenuta dall’on. Di Laurenzana doveva essere già da molto tempo considerata “virtualmente decaduta”. Ricordò al Ministro che il suo ricorso del 23 gennaio 1902 fu respinto “perché si ritenne che la Cascata formata dalle acque di scarico dell’opificio di Villa Correa, altro non fosse che la continuazione del canale di scarico, e pur restando acqua pubblica, non poteva l’Amministrazione disporre liberamente della medesima, perché il suolo lambito dall’acqua nella sua caduta è di proprietà privata”. Il dott. Palermo aggiunse che, quantunque fin dal 1906 fosse stato concesso all’on. Di Laurenzana il diritto di utilizzare il maggiore salto delle acque di scarico di Villa Correa, erano trascorsi oltre dieci anni, senza che il concessionario avesse neppure lontanamente iniziato le opere. Pertanto, detta concessione era rimasta completamente inutilizzata, facendo così perdere oltre 1.400 cavalli idraulici effettivi, con grave danno dei terzi interessati e con danno ancor più grave all’economia nazionale. Quindi, a suo giudizio, la concessione ottenuta dal Conte Di Laurenzana nell’ottobre 1906 doveva ritenersi decaduta, sia perché non aveva utilizzato la concessione

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e sia perché non aveva pagato allo Stato i canoni annuali: il primo di lire 1.800 relativo alla vecchia concessione e dovuto per il maggiore volume d’acqua attribuita; il secondo di lire 3.996, 93 relativo al maggiore salto dell’acqua, e ciò ai sensi del Decreto del Ministero delle Finanze 4 ottobre 1906 e del foglio Disciplinare dell’Ufficio del Genio Civile di Caserta in data 12 febbraio – 14 aprile 1906. Il dott. Giustino Palermo fece, inoltre, presente al Ministro dei Lavori Pubblici che il Ministro delle Finanze, proprio in base al citato Decreto, con atti del 27 agosto 1913 e 3 giugno 1914 aveva citato in giudizio innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere l’on. Di Laurenzana perché da diversi anni non pagava detti canoni. Il 22 marzo 1915, il Tribunale condannò il Conte Gaetani Di Laurenzana a pagare a favore dell’Amministrazione delle Finanze il canone di lire 1.800 dal 1908 in poi, i rispettivi interessi del 4%, concedendo al convenuto la dilazione di due mesi dalla notifica della sentenza per adempiere alla sua obbligazione e dichiarò fin d’allora risolto il contratto di transazione dell’ 11 agosto 1906. Contro questa decisione il Conte Di Laurenzana produsse appello alla Corte di Appello di Napoli, che, con sentenza del 9 – 16 giugno 1916, riconfermò pienamente quanto aveva già disposto il Tribunale di S.Maria Capua Vetere. Avverso questa seconda sentenza, il Di Laurenzana si appellò alla Corte di Cassazione di Napoli, sicchè la lunga vertenza non accennava ad avere il suo giusto termine. Il dott. Palermo fece anche presente al Ministro dei Lavori Pubblici che non funzionavano nemmeno le luci di presa dell’ex Palazzo Ducale, per la qualcosa subivano

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gravi danni gli utenti che, a valle dello scarico, dovevano usufruire delle acque della derivazione di Villa Correa. In tempo di magra, perciò, era rimasto scoperto, con danno della pubblica igiene, quel tratto del letto del ramo sinistro del fiume che attraversa l’abitato di Isola del Liri, alterando così anche la naturale ripartizione delle acque fra i due rami del Liri, in quanto, prendendosi a base la magra ordinaria ritenuta di mc. 16,500, mc. 8,700 devono andare al ramo destro e mc. 7,800 al ramo sinistro, come risulta dai verbali redatti dal Genio Civile di Caserta. Per questi motivi, la pratica del Laurenzana, secondo il dott. Palermo, era giunta ad una condizione non più sostenibile. Quindi, facendo riferimento all’art. 5 del Decreto Luogotenenziale del 25 gennaio 1916 che disponeva che “tra più domande, sarà preferita quella che offre maggiori ed accertate garanzie tecnico finanziarie ed industriali di immediata esecuzione e di impiego dell’energia ricavata” e dell’art. 8 del Decreto Luogotenenziale del 20 novembre 1916 che accordava la preferenza alla domanda che presentava la migliore e più vasta utilizzazione idraulica e soddisfaceva i prevalenti interessi pubblici, il dott. Palermo dichiarò che era già pronto il capitale occorrente per eseguire immediatamente le opere d’impianto per lo sviluppo della forza motrice, la quale poi, trasformata in energia elettrica, parte sarebbe stata trasportata in uno stabilimento di pasta di legno per aumentare la produzione di carta, parte per aumentare la potenzialità di una cartiera che languiva per insufficienza di forza motrice, e la rimanente sarebbe stata trasformata in energia luminosa e termica. L’on. Di Laurenzana, inoltre, non avrebbe potuto sviluppare ed utilizzare il maggiore salto se non

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acquistando una parte della casa con una piccola area di proprietà del Palermo, sottoposta a Villa Correa. Tanto che a riguardo il perito ing. Eugenio Fischer nella sua relazione scrisse: “Bisogna anche tenere presente che a valle della Cascata sulla sponda del ramo sinistro del Liri il Di Laurenzana non possiede neanche un metro quadrato di suolo, il che impone l’ipotesi di dover raggiungere mediante pozzi lo scarico, cosa che aumenta enormemente la spesa di impianto, anche perché le murature del Palazzo ex Ducale si addimostrano in alcuni punti con piano di posa molto superficiale. Forse nella pratica attuazione dell’impianto si eviteranno molto probabilmente le opere per pozzi e cunicoli, ma poi non possiamo esaminare una tale soluzione, giacchè per effetto sarà necessario comprare sulla sponda destra del ramo sinistro, a piè della Cascata, un unico pezzo di spiaggia ivi esistente, di proprietà Palermo, e pel quale, a quanto mi si afferma, il proprietario ha pretese elevate”. Intanto alla ripresentata domanda del 3 febbraio 1916, fu risposto con la seguente lettera diretta al Sindaco di Isola del Liri: “Caserta, 10 agosto 1916 n. 28048, Div. IV – Prego la S.V. Ill.ma di comunicare al dott. Giustino Palermo la seguente lettera del Ministero delle Finanze che lo riguarda: “In merito alla nuova domanda 3 febbraio u.s. del Dott. Giustino Palermo, riproduttiva dell’altra del 10 giugno 1900, per ottenere la concessione di derivare le acque di scarico degli opifici di Villa Correa del Conte Gaetani Di Laurenzana, questo Ministero osserva che tale domanda non può per il momento essere presa in considerazione essendo tuttora in corso il giudizio intentato contro il Conte Di Laurenzana, per la condanna

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di costui al pagamento dei canoni dovuti al Demanio in dipendenza della transazione 11 agosto 1906, nonché per la risoluzione della transazione stessa. La causa è stata decisa recentemente, con sentenza 16 giugno 1916 in sede di appello, e la Corte di merito di Napoli ha confermato la sentenza 22 – 24 marzo 1915 del Tribunale di S.Maria Capua Vetere, che raccoglieva la istanza dell’Amministrazione, ma nessun provvedimento potrà essere adottato in favore della domanda Palermo, neanche in dipendenza dei nuovi Decreti Luogotenenziali diretti a favorire lo sfruttamento delle energie idrauliche, fino a quando non sarà passata in giudicato, e non sia trascorso il termine prefisso della sentenza del Tribunale per l’adempimento dell’onere di pagamento dei canoni (mesi due dalla notificazione della sentenza) alla mancanza del quale è subordinata la risoluzione dell’atto di transazione”. Ad una nuova istanza del dott. Palermo del 6 febbraio 1917 diretta al Ministero dei Lavori Pubblici, il Genio Civile di Caserta così rispose in data 14 marzo 1917: “In riferimento alla istanza della S.V. notificata a mezzo dell’Ufficiale Giudiziario a S.E. il Ministro dei LL.PP. perché venga concesso di utilizzare le acque del fiume Liri che si scaricano da Villa Correa in codesto Comune in conformità della domanda 3 febbraio 1916 e relativa documentazione tecnica già avanzata, partecipo che il Superiore Ministero dei LL.PP. dichiara che per ora la richiesta di V.S. non può essere presa in considerazione. E ciò perché è tuttora pendente dinanzi la Corte di Cassazione di Napoli una vertenza del Conte Gaetani Di Laurenzana, riguardante la utilizzazione di dette acque”. Dopo tutte queste considerazioni il dott. Palermo chiese di essere autorizzato dal Ministero dei Lavori Pubblici a sostituirsi al concessionario di Villa Correa per

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effettuare le opere derivatorie al fine di sviluppare l’intera concessione a suo tempo ottenuta dall’on. Di Laurenzana, assumendosi tutti i relativi oneri e obbligandosi a restituire a Villa Correa, in energia elettrica, quel numero di cavalli che già gli appartenevano per antico uso.

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Gli eredi Marsaglia costituiscono la Società Anonima Forze Idrauliche del Liri, conferendo al capitale sociale il credito vantato contro l’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana, deceduto il 17 maggio 1918. E’ stato già ricordato che, con atto del 6 febbraio 1900 del notaio Sismondi di Torino, il Comm. Ing. Giovanni Marsaglia concesse un mutuo al Conte on. Di Laurenzana del cospicuo importo di lire 205.500 all’interesse del 5,50%, oltre al rimborso della tassa di Ricchezza mobile. Il debitore garantì la somma mutuata, gli accessori e lire 4.000 per eventuali altre spese con ipoteca su Villa Correa, pubblicata il 9 febbraio 1900 con il n. 2169. Le Cartiere Meridionali, creditrici anch’esse del Di Laurenzana, iniziarono l’esproprio di detto stabile, e con sentenza del Tribunale di Cassino dell’ 1 aprile 1903 ne fu autorizzata la vendita, in base a perizia di stima. Venne pure nominato per sequestratario giudiziario il signor Roberto Mazzetti, con l’emolumento di lire 1.200. In tale giudizio intervennero gli eredi Marsaglia, creditori del Di Laurenzana, surrogandosi alle Cartiere Meridionali. Avverso la sentenza del 1° aprile 1903, con la quale fu autorizzata la vendita, il debitore produsse gravame, che la Corte di Appello di Napoli rigettò. La pronunzia di detta Corte, dietro ricorso del Di Laurenzana, fu annullata per solo difetto di motivazione. Vi furono parecchie altre sentenze in grado di rinvio, ed altra pronunzia di annullamento del Supremo Collegio. Finalmente, dopo un supplemento di perizia di stima, la quarta Sezione della Corte di Appello di Napoli, in grado

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di secondo rinvio, con sentenza del 4 – 9 luglio 1913, e con nuovo dispositivo, autorizzò la vendita di Villa Correa per il prezzo di lire 383.468 e confermò la sentenza del Tribunale di Cassino, rimandando la causa al Tribunale stesso per l’ulteriore corso. Il conte Di Laurenzana non soddisfatto di questa sentenza produsse contro di essa, precisamente il 3 gennaio 1914, un terzo ricorso per annullamento. Fissata la discussione di tale ricorso, il Conte sollevò una questione di incompetenza dell’autorità giudiziaria, chiedendo l’invio degli atti alle Sezioni Unite. Detto invio fu disposto il 25 giugno 1914 dalla Cassazione di Napoli. Le Sezioni Unite, con sentenza del 20 marzo 1915, premesso che “la questione sulla competenza dell’autorità giudiziaria si è sollevata per unico scopo evidentemente dilatorio”, rigettarono tale eccezione e rimandarono la causa alla Cassazione territoriale. Fissata nuovamente la discussione innanzi a detta Cassazione, il ricorrente con domanda dell’11 settembre 1915 chiese, per la seconda volta, il rinvio degli atti alle Sezioni Unite, con il pretesto che la impugnata pronunzia della Corte di Appello fosse in contraddizione con una precedente sentenza del Supremo Collegio. Ma la Cassazione territoriale, con pronunzia del 14 settembre 1915, rigettò le eccezioni della propria incompetenza e l’istanza del Di Laurenzana fu di nuovo rinviata alle Sezioni Unite. Avverso tale pronunzia il Di Laurenzana, in data 26 settembre 1915, produsse ricorso alle Sezioni Unite, per eccesso di potere della Cassazione territoriale. Le Sezioni Unite, con sentenza del 12 – 29 aprile 1916, dichiararono inammissibile il ricorso.

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Intanto, con atto del 3 novembre 1916 del notaio Guasti, i signori Vincenzo e Roberto Marsaglia ed altri costituirono la Società Anonima per le Forze Idrauliche del Liri (S.F.I.L.), conferendo al capitale sociale il credito ed accessori vantati contro il Di Laurenzana, e, in data 1° febbraio 1917 eseguirono a favore della suddetta Società analoga nota di surroga sulla iscrizione di ipoteca del 9 febbraio 1900 accesa a favore del Comm. Giovanni Marsaglia. Il 12 novembre 1917, la Società Anonima per le Forze Idrauliche del Liri sollecitò il Ministero Armi e Munizioni per la definizione dell’istruttoria relativa alla propria domanda di realizzazione di un impianto idroelettrico nel fiume Liri, mediante la utilizzazione delle Cascate di Villa Correa e propose di dare sollecita attuazione al seguente programma:

a) pagare i canoni d’acqua arretrati affinché il Gaetani Di Laurenzana fosse reintegrato nei diritti d’acqua;

b) di dare corso alla sentenza di esproprio di Villa

Correa ai sensi della sentenza della Corte di Appello di Napoli del 9 luglio 1913;

c) di partecipare quindi all’asta, acquistare Villa

Correa per eseguire subito le opere di derivazione, utilizzando cinque metri cubi di acqua ed il salto di metri 27, in conformità ai progetti a suo tempo presentati ed al relativo disciplinare;

d) di richiedere l’aumento della quantità d’acqua da derivarsi fino a 15 metri cubi, lasciando alla CASCATA GRANDE una lama d’acqua sufficiente

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per salvaguardare l’estetica e l’igiene, ed eseguendo le opere per la maggiore derivazione subito dopo quelle precedentemente indicate;

e) di distribuire l’energia prodotta nella zona che sta a cavaliere del fiume Liri, soddisfacendo anzitutto ai bisogni del Regio Polverificio di Fontana Liri, e collegandosi poi con le linee di distribuzione della Società Anglo Romana che forniva l’energia elettrica alla città di Frosinone”.

La Società Anonima per le Forse Idrauliche del Liri (S.F.I.L.) dichiarò di essere già pronta a concordare uno schema di convenzione, ma l’Ufficio del Genio Civile di Caserta esigeva che fosse inserita nella convenzione stessa la clausola che obbligava la Società ad inserire nel Bando di vendita, oltre le condizioni di cui alla sentenza della quarta Sezione della Corte di Appello di Napoli, anche la condizione che l’aggiudicatario di Villa Correa era obbligato ad accettare incondizionatamente ed a sottoscrivere nei modi di legge, nel termine di trenta giorni dalla data della aggiudicazione definitiva, il disciplinare redatto dal Genio Civile. Tale clausola impedì al rappresentante della Società di firmare la convenzione ed il disciplinare in questione, poiché la sua accettazione avrebbe implicato la necessità di ritornare al Magistrato per ottenere una nuova sentenza avverso il Di Laurenzana che contenesse, fra le condizioni da inserire nel Bando di vendita, anche quella su riportata. A questo punto, la S.F.I.L. sollecitò il Ministero Armi e Munizioni ad intervenire presso il Genio Civile per indurlo a propositi sbrigativi e ad evitare che l’esproprio di Villa

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Correa, già da quattro anni autorizzato, non avesse a richiedere una nuova fase di giudicato giudiziale per modificazioni puramente formali. Tutto questo si rendeva necessario ed urgente, a giudizio della Società, per conseguire i seguenti vantaggi: 1°) “di non perdere altro tempo in schermaglie giudiziarie e di indire subito la vendita di Villa Correa, ai sensi della sentenza della Corte di Appello di Napoli del 9 luglio 1913; 2°) di rendere quindi finalmente utilizzabile il salto di Villa Correa la cui energia, entro lo stesso anno 1918, poteva concorrere a sollevare i bisogni della regione e segnatamente del Polverificio di Fontana Liri; 3°) di tenere giusto conto degli interessi del debitore Conte Di Laurenzana, reintegrato, a spese della Società, nei diritti che gli derivavano dalla transazione 1916 con lo Stato, di modo che il prezzo di esproprio della proprietà sarebbe quello maggiore corrispondete al valore fondiario di Villa Correa e dei relativi diritti d’acqua; 4°) di tenere giusto conto degli interessi dei creditori, che perderebbero la maggior parte del loro credito se il Di Laurenzana non fosse reintegrato nei diritti della transazione, ora minacciati per cause indipendenti dai creditori stessi, che hanno manifestato la loro ferma volontà di sostituirsi al Di Laurenzana negli obblighi da lui assunti, di assicurarsi la definitiva proprietà di Villa Correa e di attuare finalmente quel programma industriale che è nei loro scopi e per il quale hanno sopportato tante traversie;

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5°) di permettere a chiunque altro industriale volesse adire l’asta in concorrenza con la S.F.I.L. di rendersi acquirente mediante gara di prezzo della proprietà di Villa Correa, seguendo una procedura normale resa sollecita, senza ricorrere a procedimenti coercitivi certamente pregiudizievoli degli interessi sia del debitore Di Laurenzana, sia della S.F.I.L., che potrebbero determinare ulteriori dibattiti giudiziari, se si considera che la decadenza della transazione 1916 riaprirebbe nuovamente la discussione sulla valutazione degli antichi diritti”. La S.F.I.L. dimostrò, perciò, di essere fortemente intenzionata ad accelerare la procedura di esproprio per acquistare all’asta Villa Correa e per realizzare le opere occorrenti per l’utilizzazione delle forze idrauliche, a norma del Disciplinare 11 agosto 1906 e della transazione dell’ 11 agosto 1906. E poiché non era stata definita la decadenza del Di Laurenzana, la Società dichiarò di essere disposta a pagare i canoni arretrati, versando allo Stato tutte le somme dovute in forza della ricordata transazione, perché, nel caso fosse diventata proprietaria di Villa Correa, fosse riconosciuto ad essa dallo Stato il diritto già spettante al Conte per la suddetta transazione. Il 5 febbraio 1918, l’atto costitutivo della Società fu notificato al debitore Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana nel suo domicilio reale di Piedimonte d’Alife. A seguito del decesso del Conte on. Luigi Gaetani Di Laurenzana avvenuto in detto comune il 17 maggio 1918, la S.F.I.L., con atto del 10 luglio 1918, citò gli eredi del debitore, collettivamente, a comparire innanzi al Tribunale di Cassino per fissare la data dell’incanto di

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Villa Correa che fu difatti stabilito con provvedimento presidenziale del 26 luglio 1918.

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Gli eredi dell’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana – deceduto il 17 maggio 1918 – decidono di procedere al pagamento del credito vantato dalla S.F.I.L. Interviene la ditta De Caria. Il 4 agosto 1918, i Conti Guglielmo ed Alberto Di Laurenzana e Antonietta Selino, in nome proprio ed in rappresentanza dei figli minorenni Antonio, Ruggiero e Raffaele Gaetani Di Laurenzana, citarono a comparire il giorno 10 agosto 1918 presso il notaio Pietro Placidi nel suo studio in Roma, via Firenze 48, le seguenti persone, per procedere alla liquidazione e al pagamento del credito: ing. Augusto Biagini quale Presidente del Consiglio di Amministrazione della S.F.I.L.; cav. Roberto e Vincenzo Marsaglia, figli ed eredi del comm. Vincenzo Marsaglia; ing. Carlo Frigerio, quale rappresentante della Impresa Laurenzana di applicazioni elettriche in liquidazione. Nell’atto di citazione si ricordava che “il defunto Conte Luigi Di Laurenzana prese a mutuo, con atto del 6 febbraio 1900, dal defunto Comm. Giovanni Marsaglia la somma di lire 205.500”. Con l’atto stesso fu fatto presente che con scrittura del 1908 tutte le parti, dopo aver dichiarato che l’Impresa Laurenzana aveva sostenuto dei pagamenti ed anticipazioni di spese a favore dei signori Marsaglia, intesero definire ogni vertenza. Si era convenuto che il Conte avrebbe dovuto versare entro il 1° settembre 1909 ai signori Marsaglia e al signor Frigerio, quale liquidatore dell’impresa Laurenzana, la somma di lire 250.000 in contanti o con proprio danaro o a mezzo di terzi a completa tacitazione di ogni ragione di credito.

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Non fu stabilito il luogo del pagamento, e nessuna richiesta fu mai avanzata. I Di Laurenzana sostennero che era pendente in Corte di Cassazione di Napoli il ricorso avverso l’ultima sentenza della Corte di Appello di Napoli, che disponeva la vendita di Villa Correa in base a perizia impugnata e che era perenta la stessa procedura relativa all’incanto. I signori Vincenzo e Robero Marsaglia, con atto del 3 novembre 1916 del notaio Guasti di Milano, costituirono la Società Anonima per le Forze Idrauliche del Liri (S.F.I.L.), determinando il capitale sociale in lire 360.000 divise in azioni, delle quali i signori Marsaglia ne acquistarono 3.000 per il valore di lire 100 ognuna, destinando in pagamento il credito da essi vantato contro il Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana, che determinarono in lire 300.000. Il 5 febbraio 1918, la S.F.I.L. notificò ai Di Laurenzana l’atto del 1916, e il 10 luglio 1918 citò gli stessi innanzi al Presidente del Tribunale di Cassino per la fissazione del giorno degli incanti di Villa Correa. I Di Laurenzana, dopo aver ritenuto nullo detto procedimento, manifestarono la volontà di estinguere completamente il loro debito e precisarono di essere costretti a procedere con formale atto pubblico per determinare quanto era dovuto alla S.F.I.L. dai Marsaglia e, inoltre, per acquisire la quietanza, il consenso per la cancellazione delle ipoteche e per la rinuncia al procedimento. Il 10 agosto 1918, però, nessuno degli intimati comparve innanzi al notaio; pertanto, fu redatto verbale negativo, avendo il signor Biagini fatto sapere che non sarebbe intervenuto. Lo stesso giorno, i Di Laurenzana inviarono il notaio Placidi nello studio del signor Biagini per praticare offerta

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reale della ditta De Caria e C., creditrice dei Di Laurenzana. Ad evitare, però, ogni pretesto, fu posta a disposizione del notaio la somma di lire 450.000, danaro anticipato per i Di Laurenzana dalla citata ditta De Caria. Il signor Biagini si rifiutò di ricevere il Notaio, mentre Guglielmo e Alberto Gaetani Di Laurenzana e Antonietta Selino citarono tutti i suddetti intimati a comparire innanzi al Tribunale di Cassino il 6 settembre 1918 per chiedere: “la carenza di diritto nella S.F.I.L. a proseguire l’espropriazione contro gli istanti della Villa Correa perché non surrogati consensualmente, né giudiziariamente ai signori Marsaglia, e, quindi, per fare dichiarare nullo l’atto del 10 luglio 1918 e perenta la procedura di espropriazione”. Indipendentemente da ciò, poiché i Di Laurenzana intendevano estinguere il loro debito chiesero di decidere la sua liquidazione. Intanto, il 24 ottobre 1918, ad istanza tanto dei Di Laurenzana e Selino, che della ditta De Caria e C., furono notificati all’ing. Biagini due verbali di pretesa offerta reale dei notai Placidi e Petragnani, rispettivamente del 10 e del 22 agosto 1918. Il Tribunale, però, osservò che non era attendibile la tesi sostenuta dai Di Laurenzana circa la pretesa carenza di diritto della S.F.I.L. Infatti, nel citato atto del 3 novembre 1916 si stabilì che le tremila azioni da lire cento ciascuna erano assunte dai Signori Marsaglia, i quali perciò conferivano in Società il loro credito ipotecario verso il Di Laurenzana, credito che tenuto conto degli interessi arretrati ed accessori accumulati, veniva di comune accordo dalle parti valutato in lire 300.000 e si aggiungeva: “All’effetto della tradizione i conferenti consegnano il titolo costitutivo del

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credito ed autorizzano la Società a notificare al debitore il presente atto a mente e per gli effetti di legge”. I conferenti garantirono la sussistenza del credito ceduto, che dichiararono di loro esclusiva proprietà e consentirono che la ipoteca succitata, 9 febbraio 1900 n. 2169, iscritta a S.Maria Capua Vetere fosse annotata a favore della Società. Si stabilì che non poteva essere presa in considerazione l’altra eccezione posta dai signori Di Laurenzana, circa la perenzione della procedura di espropriazione, perché la sentenza della Corte di Appello di Napoli, con la quale fu disposta la vendita, fu impugnata dal Di Laurenzana con il ricorso del 3 gennaio 1914 ancora pendente. Il Tribunale osservò, inoltre, che non sussistevano i motivi sostenuti dagli eredi Di Laurenzana, per cui una parte del credito, in virtù della scrittura privata del 1908, fosse di pertinenza della Impresa Laurenzana in liquidazione, dal momento che la scrittura privata in parola intervenuta tra i Marsaglia , il Frigerio ed il debitore Luigi Gaetani Di Laurenzana non poteva essere invocata, per la ragione semplicissima che essa doveva considerarsi “come mai avvenuta” per il mancato pagamento del credito entro il 1° settembre 1909. Venendo, infine, all’esame della offerta reale, così come era avanzata dalla ditta De Caria e C., il Collegio stabilì che questa meritava di essere convalidata, perché, partendo dal principio che il cedente non può trasferire al cessionario maggiori diritti di quelli che ad esso spettavano sulla cosa ceduta, era chiaro che i signori Marsaglia avevano voluto trasferire alla Società il loro credito, compresi gli interessi e gli accessori per l’importo determinato e valutato il lire 300.000.

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Avendo la Società pienamente acconsentito a tale valutazione con la sottoscrizione dell’atto in parola non poteva pretendere ora una somma maggiore. In base a queste considerazioni, il Tribunale decise di convalidare l’offerta reale fatta il 22 agosto 1918 dalla ditta De Caria e C., rappresentata dal gerente ing. Attilio Consalvo, per la somma di lire 330.747,90, oltre gli interessi del 5% dal 3 novembre 1916 al 22 agosto 1918, spese dell’offerta in lire 29.717,90 e lire 1.000 per eventuali altre spese. In quanto all’intervento della ditta De Caria e C. era giustificato in rito e in merito essendo essa creditrice chirografara del Conte Di Laurenzana per avere pagato dei canoni per conto di costui al Demanio dello Stato, e come tale aveva diritto di soddisfare le obbligazioni del defunto Luigi Gaetani Di Laurenzana a favore della S.F.I.L., la quale, per altro, non si era opposta al suo intervento. Il Tribunale dispose pure che il Frigerio, nella qualità di rappresentante della impresa Laurenzana di Milano, doveva essere messo fuori causa, avendo esplicitamente dichiarato nella sua comparsa di nulla avere a pretendere sulla somma che formava oggetto dell’offerta reale per la somma di lire 330.747,90 che doveva essere prelevata dalla valuta della fede di credito di lire 350.000 del Banco di Napoli e depositata in favore della Società entro dieci giorni dalla notifica della sentenza. In conseguenza, il Tribunale surrogò la ditta De Caria e C. alla S.F.I.L., quale cessionaria del defunto Comm. Giovanni Marsaglia, nella ipoteca contro il primo pubblicata nella Conservazione delle ipoteche di S.Maria Capua Vetere il 9 febbraio 1900 n. 2169, Registro 920 Vol. 1015, ed annotata a margine a favore della Società il 1° febbraio 1917 n. 1045.

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Il Tribunale mise fuori causa l’ing. Frigerio nella sua qualità di liquidatore dell’Impresa Laurenzana di applicazioni elettriche e condannò la S.F.I.L., rappresentata dall’ing. Biagini al rimborso delle spese di lite sostenute dagli eredi Di Laurenzana, nonché dalla Società De Caria e C.; condannò pure i Di Laurenzana al rimborso delle spese di lite verso il Frigerio. Pertanto, il Tribunale di Cassino – prima Sezione – con sentenza del 7 febbraio – 14 marzo 1919, resa in contumacia dei signori Roberto e Vincenzo Marsaglia, respinte tutte le istanze contrarie, ammise in rito l’intervento della Ditta De Caria e C., convalidò l’offerta reale del 22 agosto 1918 avanzata dalla stessa Ditta alla Società Anonima per le Forze Idrauliche del Liri nell’interesse degli eredi Gaetani Di Laurenzana nella somma di lire 330.747,90, somma da prelevarsi dalla valuta della fede di credito di lire 350.000 del Banco di Napoli, e da depositarsi in favore della Società come per legge nel termine di 10 giorni dalla notifica della sentenza, cui accordò l’esecuzione provvisoria. Avverso tale sentenza, notificata a tutte le parti in data 23 aprile 1919, la S.F.I.L., in persona dell’ing. Giuseppe Gadda, Presidente del Consiglio d’Amministrazione, produsse appello con atto del 5 maggio 1919, per dichiarare inammissibile o respingere la domanda di convalida dell’offerta reale. La causa venne fissata per il 12 aprile 1920, nel corso della quale la Ditta De Caria e C. esibì una fede di credito del Banco di Napoli emessa il 10 aprile 1920 n. 7809, per la somma di lire 330.747,90 intestata alla Ditta stessa. La Seconda Sezione della Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 5 maggio 1920, dopo aver dimostrato che la ragione da cui mosse il Tribunale per ritenere valida l’offerta reale fosse infondata, nominò il perito Prof.

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Rag. Giuseppe Zigoli per effettuare il regolare conteggio e per accertare a quanto ammontava nell’anno 1908 il debito del Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana verso i Signori Marsaglia per capitale, interessi, tassa di ricchezza mobile, in forza e dipendenti dall’atto pubblico di mutuo del notaio Sismondi in data 6 febbraio 1900. La Corte di Appello, pertanto, rigettò l’appello incidentale avanzato dai Di Laurenzana per quanto non era stato accolto dal Tribunale circa le loro richieste, e, prima di provvedere su quello principale, riservandosi di stabilire se la scrittura privata del 1908 contenesse una liquidazione di credito o una transazione, nominò il perito Ragioniere Giuseppe Zigoli per accertare a quanto ammontava nel 1909 il debito del Conte verso i Signor Marsaglia. Il perito presentò la sua relazione il 10 febbraio 1921, concludendo che il debito di Gaetani Di Laurenzana al 31 dicembre 1908 ammontava a lire 334.802,20. Proposero ricorso per Cassazione gli eredi Di Laurenzana, al quale aderì la Ditta De Caria e C., e il Supremo Collegio, con sentenza 21 giugno – 28 luglio 1921 rigettò tutti i motivi, tranne il quarto; ritenne che la Corte di merito, per accertare se i Marsaglia avessero conferito alla Società Anonima per le Forze Idrauliche del Liri solamente 300.000 lire, oppure l’intero credito contro i Gaetani Di Laurenzana, non aveva sufficientemente esaminato l’articolo 5 lettera B dell’atto di costituzione della Società, e cassò la sentenza impugnata per insufficienza di motivazione su tale punto. Il 16 novembre 1921, la Società convenne gli eredi Gaetani Di Laurenzana e la Ditta De Caria e C. innanzi alla Prima Sezione della Corte di Appello di Napoli. La Corte, dopo aver esaminato l’art. 5 dell’atto costitutivo della S.F.I.L., considerò che la perizia Zigoli

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era diventata la prova schiacciante della transazione, perché se si fosse trattato di liquidazione con l’atto 1908 si sarebbe accertato il vero ed effettivo credito dei Marsaglia in lire 250.000. Il perito aveva liquidato, invece, il credito valutato in lire 323.388,60, tra capitale, interessi e ricchezza mobile e lire 2.414,60 per per spese giudiziarie, per un totale di lire 325.803,20, importo comprensivo degli onorari agli avvocati. I Marsaglia, pertanto, non avrebbero potuto regalare ai Gaetani Di Laurenzana la cospicua somma di lire 75.803,20 se non con il corrispettivo di troncare le liti ed esigere subito la somma transatta di lire 250.000. Il debitore non fece onore all’impegno assunto, non pagò cioè la somma transatta nel giorno 1° settembre 1909 e l’espressa clausola risolutiva annullò la transazione. Cosicché la cessionaria Società ebbe diritto a tutta l’intera somma da liquidarsi con tutti gli accessori. Ma il debitore per l’interposta Ditta De Caria e C. non offrì l’intera somma dovuta innanzi cennata e per di più calcolò gli interessi al 5% mentre questi erano dovuti al 5,50% in forza dell’atto del 1900, quindi non potevano essere convalidate le due offerte reali sopra ricordate né surrogata la Ditta De Caria e C. nelle ragioni ipotecarie. Pertanto, la Corte di Appello di Napoli (Prima Sezione), pronunziando in grado di rinvio dalla Cassazione “rigettò la domanda 20 agosto 1918 di convalida delle offerte reali 10 – 22 agosto dello stesso anno, lasciando nel nulla le offerte stesse e la surrogazione ipotecaria della Ditta De Caria e C.; ordinò il prosieguo degli atti di esecuzione e condannò in solido i Gaetani Di Laurenzana, Selino e la Ditta De Caria e C. alle spese di

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giudizio di primo grado, di Cassazione, di rinvio, ed in caso di insolvenza, le pone con privilegio sulla massa”. Ciò con sentenza del 26 luglio 1922.

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L’ing. Angelo Viscogliosi fu Beniamino acquista l’ex Palazzo Ducale dagli eredi Gaetani Di Laurenzana. Il 19 gennaio 1919, l’ing. Angelo Viscogliosi fu Beniamino e il signor Cav. Emilio Boimond, in rappresentanza dei figli minori Mario ed Enrico, aventi causa della Signora Elena Manna , e nella dichiarata qualità di utenti del Liri a valle di Villa Correa, nonché la Società Laziale di Elettricità, nella qualità di richiedente una concessione a monte con restituzione a valle, ricorsero al Tribunale delle Acque Pubbliche, chiedendo nei confronti dei Ministeri delle Finanze e dei Lavori Pubblici e degli eredi Di Laurenzana che: “1°) fosse dichiarato nullo ed illegale l’atto dell’11 agosto 1906 interceduto tra il Prefetto di Caserta ed il Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana; 2°) fossero dichiarati decaduti gli eredi Di Laurenzana dal diritto d’acqua acquisito a Villa Correa; 3°) fosse risoluto il contratto contenuto nella scrittura privata del 6 ottobre 1905”. E’ ovvia l’importanza della contesa che si dibattè in sostanza tra la Ditta De Caria e C. e la Società Laziale di Elettricità, tra loro antagonisti, la prima appoggiatasi alla Ditta Laurenzana ne sostenne gli interessi poiché ciò le assicurava il possesso di una delle cospicue derivazioni del fiume Liri, che avrebbe assorbito dal piano di più vasta utilizzazione: La Società Laziale di Elettricità, invece, insieme con i consociati Viscogliosi, Boimond, Manna ed altri utenti

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operarono affinché l’utenza Di Laurenzana fosse mantenuta nella consistenza di quel momento, e non per effetto del maggiore salto, perché altrimenti avrebbe avuto scarsa convenienza l’attuazione del progetto di più vasta utilizzazione progettato dalle due Società, attesa la grande quantità di energia che sarebbe stata detratta da quella ricavabile dall’impianto per compensare l’ampliamento dell’utenza del Di Laurenzana, oltre a tutte le altre utenze in atto ad Isola del Liri. Il 1° ottobre 1919 intervenne volontariamente all’istruttoria la Società Forze Idrauliche del Liri, nella asserita qualità di creditrice dei convenuti Di Laurenzana, chiedendo che fossero confermati i diritti d’acqua spettanti a Villa Correa. Il Tribunale delle Acque Pubbliche, con sentenza del 29 novembre 1919, “definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, dichiara inammissibile allo stato il ricorso 16 – 17 gennaio 1919 dei Sigg. Cav. Emilio Boimond, in rappresentanza dei figli minorenni, Angelo Viscogliosi, Società Anonima Laziale di Elettricità contro i Sigg. eredi Di Laurenzana ed i Ministeri dei Lavori Pubblici e delle Finanze. Dichiara pure inammissibile l’intervento in causa della Società Forze Idrauliche del Liri”. Il 20 novembre 1921, presso l’abitazione dei Gaetani Di Laurenzana in Piedimonte d’Alife, alla presenza del notaio avv. Girolamo Masella e dei testimoni avv. Gaetano Cicchetti e on. Clemente Piscitelli, convennero gli stessi padroni di casa e l’ing. Angelo Viscogliosi fu Beniamino. Dopo aver fatto la descrizione dell’immobile denominato Villa Correa, si fece presente che con atto del notaio Augusto Betti di Faro (Messina) in data 25

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luglio 1911, debitamente registrato, il Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana donò al figlio Guglielmo l’intero Castello, e che la parte dell’immobile non compresa nella donazione, pervenne, dopo la morte del Conte, per successione testamentaria a tutti i figli in parti uguali con l’usufrutto sulla metà disponibile a favore della vedova Contessa Antonietta Selino. Si precisò pure che su tutti gli immobili in argomento erano accese molteplici iscrizioni ipotecarie per la somma complessiva di lire 336.000, che gravavano specialmente sui diritti d’acqua, e fu ricordato che il 19 gennaio 1919 il signor Angelo Viscogliosi con altri aveva presentato ricorso al Tribunale delle Acque Pubbliche, per opporsi o comunque impedire che fosse riconosciuto agli eredi Di Laurenzana il diritto di derivare dal Liri 5.085 litri di acqua al minuto secondo mediante sette bocche di presa, impugnando per incompetenza e per violazione di legge la transazione sottoscritta dal defunto Conte ed il Ministero delle Finanze in data 11 agosto 1906. Il Tribunale delle Acque ritenne che l’ing. Viscogliosi avesse interesse attuale di intervenire al ricorso, ma considerato che la transazione impugnata non costituiva provvedimento definitivo, stabilì di non ricorrere all’applicazione dell’art. 35 lettera E del Decreto Luogotenenziale 20 novembre 1916, e dichiarò allo stato inammissibile il ricorso. A seguito di questa sentenza i signori Gaetani Di Laurenzana e l’ing. Viscogliosi raggiunsero un accordo transattivo stabilito nel modo seguente: “a) Gli eredi Gaetani Di Laurenzana vendono al costituito signor ing. Viscogliosi richiedente ed accettante l’intero immobile denominato Villa Correa in Isola del Liri innanzi descritto e confinato. Resta escluso dalla presente

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vendita solo il diritto di derivazione d’acqua dal Liri di cui alla transazione 11 agosto 1906 confermata il 4 gennaio 1919. b) L’ing. Angelo Viscogliosi riconosce agli eredi dell’on. Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana i diritti d’acqua ad essi spettanti, rinunciando a tutte le pretese ed opposizioni da lui prospettate nel giudizio innanzi al Tribunale delle Acque Pubbliche, di cui innanzi è fatto cenno definitivo con la sentenza del 29 novembre – 31 dicembre 1919. c) All’atto della stipula del presente atto ed alla mia presenza e dei testimoni, l’ing. Viscogliosi ha pagato l’intero prezzo come innanzi convenuto di lire 65.000 (sessantacinquemila), nel modo seguente: lire 50.000 al Conte Guglielmo Gaetani Di Laurenzana il quale, previa numerazione e verifica se l’ha introitati, ne rilascia ampia e finale quietanza con dichiarazione di non avere altro a pretendere. Le residuali lire 15.000 vengono pagate da esso ing. Viscogliosi ai costituiti Guglielmo ed Alberto Gaetani Di Laurenzana e Contessa Antonietta Selino, anche in rappresentanza dei figli minori, i quali se le hanno introitate e ne rilasciano quietanza. Questa somma di lire quindicimila però viene depositata nelle mani di me Notaio per acquistarne i titoli di Rendita del Debito Pubblico Italiano intestati ad essi Guglielmo, Alberto, Antonio, Ruggero e Raffaele Gaetani Di Laurenzana fu Luigi col vincolo pupillare a favore di quest’ultimi tre sotto la patria potestà della madre Contessa Antonietta Selino e coll’usufrutto a favore di costei per la parte che le aspetta”.

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Si concordò pure che, entro due anni tutti i creditori ipotecari sarebbero stati soddisfatti dalla Società De Caria e C., rappresentata dal gerente Ing. Attilio Consalvo, che ne aveva assunto formale impegno con l’ing. Viscogliosi e con i signori Gaetani Di Laurenzana, con i quali ultimi la Ditta De Caria stessa aveva concluso un’altra convenzione per la utilizzazione del diritto d’acqua spettante ad essi Gaetani Di Laurenzana. “Qualora trascorsi due anni tali debiti non fossero stati pagati dalla Ditta De Caria e C., né dai signori Gaetani Di Laurenzana, l’ing. Viscogliosi resta facoltoso di provvedere in loro vece e luogo al pagamento medesimo ed in conseguenza si intenderà trasferito in favore di lui anche il diritto di derivazione d’acqua dal Liri di cui innanzi è cenno”. Si stabilì, infine, che “nel possesso dell’immobile venduto (e pagato in contanti) e del quale l’ing. Viscogliosi dichiara di ben conoscere l’attuale stato giuridico esso acquirente resta immesso da oggi, e da oggi stesso potrà disporne senza altra ingerenza o diritti dei venditori”. d) Per quanto riguarda i minori Antonio, Ruggero e Raffaele Gaetani Di Laurenzana il presente rogito sarà sottoposto all’omologazione del Tribunale”. In data 2 febbraio 1923, l’ing. Angelo Viscogliosi inviò alla Società delle Cartiere Meridionali la seguente lettera: “A seguito della cessione oggi fattami delle azioni Società Forze Idrauliche del Liri da voi possedute, vi dichiaro che mi impegno con la presente per me ed i miei eredi od aventi causa a quanto segue:

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1°) Nel caso di cessione a terzi della forza che potrò realizzare dal salto di Villa Correa voi avrete diritto a prelazione a parità di prezzo di fronte ad altri reali offerenti per l’acquisto di detta forza in qualsiasi momento sino al termine della concessione. 2°) Nel caso di costruzione da parte vostra del grande impianto come da Vostra domanda 16 aprile 1920, io rinuncio a richiedervi la fornitura di quel quantitativo supplementare di forza che potesse spettarmi a prezzo di costo in base alla condizione che vi venisse imposta dal disciplinare a favore degli utenti sottesi. Voi dovrete cioè fornirmi solo il quantitativo di energia che mi spetterà in base ai miei diritti costituiti. 3°) Nel caso suddetto di costruzione del vostro grande impianto per le mie utenze sia del Valcatoio, sia di quella che potessi avere a Villa Correa, rinuncio a richiedervi trasformazioni tecniche nei miei stabilimenti, restando a voi solo l’obbligo di fornirmi all’ingresso di uno di essi, oppure della Cartiera Nibbio, a mia scelta ma sempre presso uno solo di detti stabilimenti, l’energia cui avrò diritto, provvedendo io a mia cura e spese i motori relativi e quanto altro occorrente. Detta energia mi sarà fornita alla tensione e frequenza normale di trasporto delle vostre linee, restando a mia cura e spese la trasformazione della potenza corrispondente ai miei diritti per l’utenza Valcatoio oppure rimborsarmene la spesa relativa. Qualora io intendessi installare un trasformatore di potenza maggiore dell’utenza Valcatoio per utilizzare con lo stesso trasformatore anche la forza di Villa Correa, la maggior spesa rimarrà a mio carico.

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Di tutto quanto sopra si è tenuto calcolo nel fissare il prezzo di cessione delle azioni in questione”. Terminò così la lunga serie di controversie giudiziarie che videro protagonista per oltre venti anni il Conte on. Luigi Gaetani Di Laurenzana. Iniziò, pertanto, un lungo periodo durato fino agli anni ’60 del secolo scorso, nel corso del quale importanti Società si confrontarono in tutte le sedi per sostenere i rispettivi progetti di utilizzazione delle acque del Liri, facendo di Isola del Liri, in materia di acque pubbliche, un “caso” nazionale.

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CAPITOLO II Le diverse domande di utilizzazione delle acque del fiume Liri a seguito dei Decreti Luogotenenziali del 25 gennaio e del 20 novembre 1916. L’art. 5 del Decreto Luogotenenziale del 25 gennaio 1916 disponeva che “tra più domande, sarà preferita quella che offre maggiori ed accertate garanzie tecnico finanziarie e industriali di immediata esecuzione e di impiego dell’energia ricavata” e l’art. 8 del Decreto Luogotenenziale del 20 novembre 1916 accordava la preferenza alla domanda che presentava la migliore e più vasta utilizzazione idraulica e soddisfaceva i prevalenti interessi pubblici. Per i forti interessi suscitati dai due Decreti, si costituirono numerose Società:

- Società Mediterranea di Elettricità’, con sede in Roma e capitale sociale di lire 11.000.000

- Società Laziale di Elettricità, con sede in Roma e capitale sociale di lire 5.000.000.

E molte altre, meno importanti, che entrarono in conflitto con gli antichi utenti del Liri, specialmente con la Società delle Cartiere Meridionali e con l’ing. Angelo Viscogliosi. La Società Mediterranea di Elettricità (S.M.E.), costituita a Roma nel gennaio 1918 con il preciso scopo di sviluppare le forze idroelettriche ricavabili dal fiume Liri e per creare un grande sistema di distribuzione d’energia in tutta la zona limitata fra Roma e Napoli, dall’Appennino e dal mar Tirreno.

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Si assicuro’ subito la partecipazione di importanti imprese ed istituì tre Uffici tecnici: a Roma, Isola del Liri e S.Giovanni Incarico. Nel mese di marzo del 1919 la Società Mediterranea di Elettricità (S.M.E.) inviò una serie di considerazioni al Ministero dei Lavori Pubblici e al Consiglio Superiore delle Acque “sulla utilizzazione delle forze idrauliche del Liri e di alcuni affluenti”. Detta Società divise il fiume Liri in tre ben distinte parti:

a) l’Alto Liri, dalle sorgenti alla confluenza dell’emissario del Fucino;

b) il Medio Liri, da tale confluenza al Polverificio di Fontana Liri;

c) il Basso Liri, dal predetto Polverificio alla confluenza del Gari.

Per quanto riguarda l’ultimo tratto del Medio Liri, che interessa questo studio, si legge: “Da Balsorano fino a S. Domenico di Isola del Liri il fiume ha una pendenza così modesta (percorre infatti il fondo di un antico grande lago) che non sembra industrialmente conveniente stabilirvi alcun impianto: anche perché vi è in questo tratto l’importante abitato di Sora. A S. Domenico comincia un’altra zona di intensissima utilizzazione già esistente. In quel punto entrano nel fiume, in parte, le acque del Fibreno, che poi entrano completamente ad Isola del Liri. E’ qui superfluo dire l’importanza dei due fiumi Fibreno, e non sarebbe facile (come sembra ai soliti fabbricanti di progetti sulla carta) una soluzione che permettesse di utilizzare tutta la potenza, ingentissima, colà disponibile, in un unico salto. Avendo impiantato uno dei nostri uffici ad Isola del Liri abbiamo potuto formarci un esatto concetto di quest’importantissimo lato della questione.

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Da una parte si può qui ripetere quanto fu detto altrove, e cioè che per disfare ciò che è già fatto e serve a sufficienza, occorrono ben forti ragioni: inoltre in questo punto del fiume esistono più di una trentina di utenze, quasi tutte munite di macchinario abbastanza moderno e dell’importanza complessiva di circa 9.000 HP dinamici; e la costruzione di un consorzio fra gli utenti in tale tratto è impossibile sia per il difficile accordo degli utenti fra loro, sia perché il problema è fra i più irti d’ogni sorta di difficoltà tecniche. Se poi si considera: 1°) che l’inutilizzazione di impianti esistenti del costo di molti milioni costerebbe ora almeno altrettanti milioni, avvantaggiando si e no di un 2.000 HP dinamici durante le massime acque; 2°) che le difficoltà topografiche per l’unificazione del salto sono assai gravi, appare ovvio che non conviene prevedere in questo tratto del fiume una utilizzazione che sarebbe per ora antieconomica e costosa. Altrettanto dicasi dell’ultimo tratto del Medio Liri assai bene e si può dire completamente utilizzato (per circa 7.500 HP dinamici) da numerosi opifici, di cui alcuni importanti e moderni, come quelli delle Cartiere Meridionali e della Ditta Capolino all’Anitrella, e del Polverificio a Fontana Liri. Ripetiamo a costo di annoiare che per il momento devesi anzitutto utilizzare ciò che non fu ancora sfruttato, limitando la distruzione dei vecchi impianti a qualche antico molino od opificio di trascurabile importanza: mentre il proporre la distruzione di impianti moderni e rilevanti è oggi da considerare come un attentato all’economia nazionale. Infine, la S.M.E. concluse le considerazioni nel modo seguente: “La S.M.E. non esita a richiamare, in materia

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di contestazioni relative a derivazioni d’acqua, le parole pronunziate il 1° febbraio dal Presidente del Consiglio Superiore delle Acque nella seduta inaugurale del Consiglio stesso: “La gara fra le Società intorno alle concessioni, più che mirare ad effettivi fini industriali, costituisce un episodio di quelle poco sane e talvolta pochissimo pulite lotte……”. La S.M.E. trae il suo capitale di fondazione da organismi di serietà incontestabile ed ha netto, preciso, indipendente programma. Il suo scopo non ha intemperanze o promiscuità indefinite: la sua attività seriamente voluta e fortemente propugnata ha, senza suo volere, provocato una serie di vertenze e di artifizi procedurali negli avversari che mirano ad intralciare gravemente l’opera sua. Gli espedienti cui i concorrenti si sono appigliati valendosi finora, e contro lo spirito delle disposizioni del Decreto Luogotenenziale 20 novembre 1916, n. 1664, delle forme procedurali in vigore, sono di tre specie: tecnici, amministrativi e giudiziali. Dal punto di vista tecnico si è già visto sopra come essi si valgono di progetti inesistenti. Dal punto di vista amministrativo i concorrenti tentarono di far rivivere tutte le domande e i progetti minuscoli che erano stati presentati prima del 1916 e di cui gli stessi richiedenti quasi più non si occupavano. Così è avvenuto di un progetto Palestini rievocato sul Basso Lazio dopo oltre undici anni di mora, così di un progetto Coscia del 1901 (!)….. I concorrenti li hanno dissepolti acquistandone le ragioni per moltiplicare le opposizioni. Altra forma di resistenza di questo genere è quella di interrompere le procedure per proporre varianti e chiedere accertamenti.

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Così è avvenuto per il progetto Giovannone cui due volte fu concesso un termine per nuovi studi e nuove varianti. Dal punto di vista giudiziale le resistenze cominciano a delinearsi più precisamente. Già due cause vertono al Tribunale delle Acque e alla Corte di Appello di Napoli contro la S.M.E. giungendosi fino a contestare gli acquisti immobiliari da essa predisposti per la costruzione degli impianti”. In data 23 luglio 1919, anche la Società Laziale di Elettricità inviò al Ministero dei Lavori Pubblici ed al Consiglio Superiore delle acque una domanda “per l’utilizzazione delle forze del Basso Liri”. La Società Laziale di Elettricità si costituì nel 1901 e si propose lo sviluppo degli impianti elettrici nel Lazio. In quel tempo, all’infuori della Capitale, pochissimi centri del Lazio erano dotati di elettricità, ed anche quei pochi con impianti modestissimi ed incapaci di cooperare comunque ad un qualsiasi sviluppo industriale. La Società Laziale di Elettricità rispose duramente alle polemiche sollevate dalla S.M.E. Si legge, infatti, nella suddetta domanda, che “la Società Laziale è sicura che da questa disamina apparirà chiaro il suo buon diritto e quanto ponderato sia stato lo studio che essa ha fatto per trarre dal fiume la massima pratica utilizzazione, e come, per considerazioni morali, giuridiche e tecniche, le spettino le concessioni chieste. La nuova legge Bonomi ha avuto fra gli altri il pregio di spronare gli industriali ad utilizzare in modo più vasto e più razionale le acque dei fiumi, ma ha dato adito all’affaccendarsi di richiedenti che, sotto il pretesto di una più vasta utilizzazione, perseguono progetti spesso irrealizzabili ed economicamente disastrosi.

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Essi ottengono però l’effetto immediato di ritardare i progetti più modesti, ma più realizzabili, e sperano di creare una minaccia agli organismi esistenti che hanno costituita la propria industria attraverso lunghi anni di pazienti studi e di sacrifici. Anche sul tratto del fiume Liri, di cui ci occupiamo, ciò è accaduto. Il bacino, come è progettato dalla Società Mediterranea, non si potrebbe definire diversamente che “un’opera vandalica”. Anche per il danno che i progetti della Mediterranea arrecherebbero alla pubblica economia risultano di maggior prevalente interesse pubblico i progetti della Società Laziale di Elettricità. La Società Mediterranea, in mancanza di buon diritto, va millantando la certezza di conseguire un decreto a lei favorevole, anche in spregio ad ogni legge, e si è fatta ardita di iniziare i lavori, colla speranza di intimidire gli altri concorrenti e di ottenere che, di fronte al fatto compiuto o in via di compimento, l’Eccelso Consiglio delle Acque e S.E. il Ministro dei Lavori Pubblici accolgano le sue domande sorpassando l’altrui diritto. Essa considera questa sua procedura non solo come un titolo per la preferenza nelle concessioni, ma anche per prendere sussidi, vantaggi e agevolazioni da parte dello Stato. Troppa fiducia abbiamo nella Legge ed in chi è chiamato ad applicarla per attribuire un valore qualsiasi a simili pretese. La Società Mediterranea dice poi di voler creare una concorrenza agli altri distributori esistenti che possiedono oggi di fatto il monopolio della regione fra Roma e Napoli ed in queste due città.

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Deve però esulare il sospetto che contrastando alla Società Laziale il conseguimento delle energie necessarie al suo ulteriore sviluppo, e volendo tutte le forze disponibili sul Liri, essa voglia in effetto crearsi poi un monopolio che renderebbe irrealizzabile una concorrenza industriale nella regione e il conseguimento degli alti fini morali di cui la Mediterranea dice di farsi banditrice. Per questi stessi fini morali la Società Mediterranea non deve volere tutto il Liri per sé”. Il durissimo confronto tra la Società Mediterranea di Elettricità e la Società Laziale di Elettricità spinse gli utenti di Isola del Liri a coalizzarsi, per evitare che i loro interessi fossero danneggiati dalle iniziative dei due colossi del settore energetico. A condurre le azioni degli utenti isolani, fu l’ing. Angelo Viscogliosi il quale si fece continuatore delle lotte sostenute dal Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana contro il progetto delle Cartiere Meridionali. La decisa volontà espressa dagli Isolani spinse la S.M.E. e la Società Laziale di Elettrcità ad accentrare i loro interessi nell’Alto e Basso Liri, abbandonando ogni loro mira sulle utenze di Isola del Liri. Il conflitto si accentrò, allora, attorno alle iniziative della Società delle Cartiere Meridionali, contro le quali si pose, in modo particolare, l’ing. Angelo Viscogliosi, che riprese le lotte sostenute dall’on. Luigi Gaetani Di Laurenzana contro il progetto delle Cartiere, presentato nel 1898 e riproposto il 16 aprile 1920 sotto il titolo: “Utilizzazione delle forze del Medio Liri”. “La Società delle Cartiere Meridionali sottoscritta – si legge nella nota del 28 aprile 1920 inviata a S.E. il Ministro dei Lavori Pubblici e all’Illustrissimo Consiglio Superiore delle Acque – si è astenuta dal presentare

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memoriali a sostegno dei propri progetti, convinta che meglio di ogni altra illustrazione valga la bontà intrinseca dei progetti stessi. Ora però essendosi vista bersaglio di attacchi volgari quanto ingiustificati in memoriali di altri concorrenti, essa ritiene necessario di presentare le seguenti osservazioni per rettificare le inesattezze di sostanza contenute in detti memoriali, mentre si astiene dal rilevarne la parte polemico-ingiuriosa, che per la stessa forma in cui è concepita si fa giustizia da sé. Questi sono gli scopi che giustificano la richiesta delle Cartiere e non certo quelli “di voler uccidere industrie concorrenti o di voler creare a proprio favore uno stato di supremazia”. Si comprende che la gelosia di concorrenza possa rendere non desiderabile che una determinata azienda cerchi di procurarsi un poco di carbone bianco a buone condizioni, ma non si spiegherebbe la conclusione che, non potendo avere tutti questo carbone bianco, sia preferibile che non lo abbia nessuno. Né è da temere che un poco di carbone risparmiato da un’azienda significhi l’uccisione (parola troppo grossa) dei suoi concorrenti, mentre la restituzione di energia elettrica in cambio di quella idraulica che questi concorrenti oggi utilizzano con impianti antiquati apporterà ad essi vantaggi ed economie non disprezzabili. Che se poi lo “lo stato di schiavitù” , altra parola grossa adoperata dal sedicente Consorzio Utenti Medio Liri a proposito delle utenze sottese, si fa dipendere solo dal fatto che la restituzione di energia sarebbe eseguita da una cartiera anziché da una Società distributrice, le Cartiere Meridionali sono ben disposte ad esaminare la possibilità di affidare questo servizio di fornitura di

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energia ad una Società distributrice, evitando così i temuti contatti quotidiani fra aziende concorrenti. E ciò pur non essendo le Cartiere Meridionali in alcun modo collegate, come si vorrebbe far credere, colla Società Anglo-Romana e colla Società Laziale. La Società delle Cartiere Meridionali si permette ancora di soggiungere che l’assoluta convenienza di un impianto unico per un salto di circa cinquanta metri (ottenibile con soli 700 metri circa di Galleria) era già stata da essa rilevata oltre venti anni or sono con un progetto, di cui si acclude copia, presentato sino dal 10 Novembre 1898, il quale, salvo i perfezionamenti suggeriti nel frattempo dai progressi della tecnica, corrisponde come concessione al progetto attuale. Il progetto del 1898 non potè avere esecuzione soprattutto perché mancava allora una legislazione che permettesse di sottendere impianti esistenti, e l’acqua del Liri continuò per oltre vent’anni a scorrere in parte inutilizzata là dove le condizioni topografiche ne rendevano agevole lo sfruttamento. Ora che fortunatamente abbiamo una legislazione intesa ad eliminare gli ostacoli per un razionale sfruttamento delle acque, la Società delle Cartiere Meridionali ha riproposto la domanda di derivazione integrale del Liri e confida che gelosie di interessi particolari non avranno il potere di frustrare gli scopi cui ha mirato il legislatore”. A seguito delle numerose e forte proteste popolari, il Ministero dei Lavori Pubblici, con provvedimento del 21 luglio 1922 n. 7638, dispose un sopralluogo da parte di una Commissione composta dall’Ispettore Superiore del G.C. Comm. Maglietta, dal rappresentante del Ministero dell’Istruzione ing. Giovanni Canevari, da quello della

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Direzione Generale della Sanità, che delegò il Medico Provinciale di Caserta Prof. Vito Fiore e da un tecnico del Comune di Isola del Liri, il quale designò l’ing. Giovanni Albino, già Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico Provinciale di Caserta. Il 25 novembre 1922, la Commissione si riunì a Isola, senza l’intervento del Prof. Vito Fiore, che, indisposto per motivi di salute, aveva chiesto un differimento dell’incontro. Nella riunione preliminare, l’ing. Giovanni Albino, rappresentante del Comune, fece una dettagliata relazione verbale su tutte le questioni che interessavano l’Amministrazione Comunale, senza che gli fosse opposta alcuna osservazione. Si procedette, quindi ad una sommaria ispezione locale, al termine della quale, l’ing. Giovanni Albino insistette sulla necessità di un ulteriore sopralluogo con l’intervento del Medico Provinciale, ed in un’altra riunione, per potere presentare una relazione scritta comprendente gli elementi che in quel momento non disponeva e con le risultanze degli accertamenti del Prof. Vito Fiore. Mentre, però, si era in attesa di una nuova convocazione, si venne a conoscenza dell’avvenuta presentazione, in data 14 marzo 1923, della Relazione Maglietta-Canevari, redatta, secondo il rappresentate del Comune ing. Giovanni Albino:

a) “nonostante l’assenza completa del rappresentante della Sanità Pubblica, cioè della Istituzione maggiormente interessata;

b) “mettendo poi da parte lo scrivente e le sue argomentazioni, sopprimendo così la difesa del

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Comune per la quale era stata creata la Commissione!”.

Il 25 luglio 1923, l’ing. Giovanni Albino ricorse, per conto del Comune, al Ministro dei LL.PP., chiedendo l’intervento del Medico Provinciale. In buona sostanza, lo schema della Relazione Maglietta-Canevari, proponeva: 1°- L’alimentazione della Cascata grande in mc. 2.715, e quella del ramo destro – Valcatoio – in mc. 0,350: in uno 3.065, sarebbe fatta dal ramo sinistro del Fibreno – Canale delle Forme – al quale sarebbe riservato tale afflusso. 2° - La residuale portata media del Fibreno, insieme a tutta quella del Liri, sino a complessivi mc. 24.500, sarebbe inviata al salto di m. 50, come dal progetto delle Meridionali su cui si è eseguita l’istruttoria, trasportando cento metri più a monte del Ponte Roma, ma alla stessa quota 210, il punto di restituzione al fiume. 3° - Le acque del Fibreno dirette alle Cascate sarebbero commiste a quelle di refrigerazione e lavaggio della Cartiera Liri. 4° - L’assegnazione complessiva alle Cascate, durante 8 ore diurne, verrebbe elevata dai mc. 3.065 voluti dal Consiglio Superiore delle Acque a mc. 3.500, e sarebbe ridotta a mc. 2.850 nelle residuali 16 ore, restando così ferma la media generale di mc. 3.065. 5° - L’estetica della Cascata verrebbe migliorata con vari provvedimenti, che si dicono di arte, fra cui l’allargamento della sua fronte da m. 35 a m. 60, e sarebbe accresciuta mediante una galleria a tergo, con varie finestre ad uso belvedere, le quali permetterebbero di ammirare lo specchio della lama stramazzante, e mediante il

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collegamento della galleria stessa con le altre antiche, di cui si afferma trovarsi tracce nel lato sinistro, e che si presumono costruite da un Duca di Sora pel maggiore godimento delle bellezze naturali dei luoghi I noti fatti politici, connessi alla conquista del potere da parte del movimento fascista, sopirono momentaneamente le polemiche, che esplosero subito dopo in modo molto virulento.

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Il progetto delle Cartiere Meridionali accende nuove polemiche. Si costituisce il Comitato “pro Cascate d’Isola Liri”. Interviene il Direttorio della locale sezione del Partito Nazionale Fascista. Il 18 agosto 1923 il Comitato “pro Cascate d’Isola Liri” fece affiggere sui muri della città il manifesto che si riporta testualmente:

Concittadini! Purtroppo uno di quei grandi progetti di derivazione d’acqua istruiti nel sopraluogo del settembre 1921, e che, com’anche allora fu dimostrato, colpiscono al cuore la salubrità, l’estetica ed altri vitali interessi di questo nostro paese, ha già ricevuto il parere favorevole del Consiglio Superiore delle Acque; e corre voce che pure n’è imminente la definitiva sanzione ministeriale. E, giusta i dati che si rilevano tanto dalla domanda di quella concessione, che da una lettera di S.E. Riccio in data 24 giugno 1922, già pubblicata l’anno scorso dalla nostra Amministrazione Comunale, e con quei commenti mai smentiti, quando i lavori derivatori saranno compiuti, questo povero paese sarà ridotto alle seguenti tristi condizioni: la Cascata verticale, ridotta ad un sottile velo d’acqua, non sarà più sufficiente a mantenere attiva quella ventilazione riconosciuta indispensabile a questa valle chiusa da una corona di colline, e dove non certo sarebbe mai potuto sorgere un importante centro abitato se la natura non le avesse largito una simile perenne

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fonte di salvezza che ormai da secoli immemorabili soffia la vita e la salute nelle vene de’ suoi abitanti. La Cascata Valcatoio, la cui importanza estetica ed igienica è stata fin troppo dimenticata, rimarrà poi completamente all’asciutto, giacchè i 350 litri d’acqua di cui si parla nella cennata lettera di S.E. Riccio sono quelli che spettono al Comune per il lavaggio di una piccola parte delle fogne, e quindi non verrebbero mai a passare per il ramo destro del fiume; sicchè l’ampio bacino che sta ai piedi della detta cascata Valcatoio diverrà tosto un pestilenziale laghetto di acqua stagnante. E pure quel lungo tratto di fiume che dal ponte Roma va fino all’incontro dell’altro ramo del Liri, e nel quale per giunta ha luogo lo sbocco principale di tutta la fognatura urbana, rimasto anch’esso completamente privo d’acqua, diverrà un immenso deposito d’immondizie che appesterà l’aria dell’abitato. Oltre di che, soppressi gli scarichi Sarra e Simoncelli, da tutta quella vasta rete di fogne di via Roma e del rione Trito, rimasta priva d’acqua corrente, inevitabilmente si dovranno sprigionare esalazioni talmente intollerabili da rendere qui impossibile il soggiorno. Inoltre il gran canale d’irrigazione che, partendo dalla cascata Valcatoio, irrora tutta la vastissima pianura che si estende fra Isola e Castelliri, rimarrà esso pure senz’acqua, e quindi quei terreni oggi fertilissimi, diventati aridi e non più adatti all’attuale coltivazione intensiva, impoveriranno ben presto, venendosi così a produrre un danno agricolo addirittura enorme, e punto compensato dal lieve aumento di energia idraulica che si potrà ricavare dall’esecuzione di un progetto tanto deleterio per queste contrade! Tali saranno i principali danni che immediatamente verranno a colpire la vita di Isola Liri; danni innanzi a cui

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gli abitanti dovranno fuggire in massa come si fugge innanzi alla miseria ed alle epidemie che, come ricorda il venerato Prof. Nicolucci nella sua nota relazione sanitaria del 15 giugno 1870, effettivamente subito si svilupparono nel 1845 quando fu necessario deviare l’acqua della grande cascata verticale per la costruzione dei piloni del ponte di Napoli; epidemie che invece cessarono come d’incanto appena che i cittadini, senza neppure aspettare che tutti que’ lavori fossero compiuti, si videro costretti a riaprire alle acque il loro corso naturale. Ed allora si trattò solo della precaria sospensione della ventilazione della cascata verticale; immaginiamo ora che cosa dovrà necessariamente accadere quando pure una gran parte del fiume sarà deviato da questo centro abitato!!! Ma oltre a questi immediati gravi danni tanto igienici che agricoli, quali altri ingenti danni potranno ancora colpire questa operosa popolazione quando, accentrata la maggior forza del nostro fiume nelle mani di un solo utente, un brutto giorno si troverà che può essere molto più rimunerativo e conveniente di trasportare la forza altrove piuttosto che continuare ad utilizzarla qui sul posto???.......

Concittadini! A noi figli di questa terra che la provvida natura volle salubre ed ubertosa donandole un fiume fornito di cascate e ricco d’energia, e che poscia l’operosa mano dell’uomo rese prospera coll’attività ed il lavoro, oggi incombe il sacro dovere di difenderla come difendere si deve la propria madre e la propria Patria quando versa in pericolo.

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E la nostra azione tanto più dovrà essere energica e vigorosa per quanto più trova le sue salde basi nella Giustizia e nel Diritto, non essendo né giusto e né lecito, per un eventuale ed esiguo vantaggio di uno o di pochi, sacrificare la vita e gli interessi di una popolazione intera che quì nacque e qui trovò le condizioni indispensabili alla sua esistenza! Ma, prima di prendere qualsiasi altra decisione, rivolgiamo Noi oggi la nostra fiduciosa parola al sapiente Governo di S.E. Mussolini, il quale, in questo supremo nostro vitale interesse, non vorrà certo allontanarsi da quei ben noti sentimenti di equità e di Giustizia dai quali ormai tanto si attende l’intera Nazione; e quindi il Comitato che si è costituito “pro Cascate d’Isola Liri” esorta ciascuno di Voi a sottoscrivere la seguente petizione da presentarsi appunto a S.E. Mussolini: “I sottoscritti cittadini di Isola del Liri, dolorosamente impressionati che il Consiglio Superiore delle Acque Pubbliche ha dato, malgrado le annose e ripetute proteste di tutta la cittadinanza, parere favorevole ad una concessione d’acqua da derivarsi a monte delle cascate d’Isola Liri, e che colpisce al cuore una delle più operose, salubri ed ubertose cittadine del Mezzogiorno d’Italia, già tanto negletto dalla deleteria politica dei passati governi, e fiduciosi che il Governo di V.E. non vorrà mai permettere che una intera popolazione di circa 10 mila abitanti venga sacrificata nella vita e negli interessi tanto agricoli che industriali per un esiguo vantaggio che può ricavarne solo un gruppo di pochi, altamente protestando contro il citato parere favorevole dato ad un progetto la cui esecuzione li condannerebbe inesorabilmente alle malattie, alla miseria ed alla morte, chiedono che con speciale Decreto venga dichiarato intangibile quel tratto del fiume che, dal bacino a monte delle cascate, bipartito,

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traversa l’abitato d’Isola Liri; siano conservati tutti i canali d’irrigazione esistenti, tanto del Liri che del Fibreno; che sia stabilito che la forza ora appartenente alle industrie di Isola Liri non possa essere trasportata altrove; e che non solo sia rispettata l’integrità della Cascata Verticale, ma che questa sia ripristinata nella sua primitiva portata di m.c. 7,800, laddove recentemente, con lavori abusivi, e già tali riconosciuti dalle competenti Autorità e compiuti in danno del ramo sinistro del Liri, detta portata fu ridotta a meno della metà di quanto sempre era stata per lo innanzi, e con grave detrimento della ventilazione necessaria all’intero paese”. Isola Liri, lì 18 Agosto 1923.

IL COMITATO “pro Cascate d’Isola Liri”

E a conferma che i progetti per l’utilizzazione delle acque del fiume Liri, specialmente del ramo sinistro, condizionassero notevolmente la vita politica cittadina, il 4 settembre 1923 fu affisso sui muri di Isola del Liri, a cura della locale sezione del Partito Nazionale Fascista, il seguente manifesto:

Cittadini! Un comitato anonimo vi vuol spingere ad un’agitazione che potrebbe avere delle tristi conseguenze per la cittadinanza, noi invece che amiamo assumere tutta la responsabilità della nostra condotta, dopo maturo esame della situazione, usciamo dal nostro riserbo per manifestare la nostra opinione e per farvi conoscere come naturalmente stanno i fatti.

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Avendo presa conoscenza del progetto di massima della Società delle Cartiere Meridionali opportunamente modificato dopo il primo parere del Consiglio Superiore delle Acque, avendo chiesto regolare assicurazione per gli altri punti che in detto progetto di massima non sono trattati (e di questo il Fascio conserva i relativi documenti) possiamo con dati di fatto rettificare quanto a voi è stato detto con manifesto in data 18 agosto del predetto Comitato. L’irrigazione sarà integralmente mantenuta in qualsiasi punto, poiché non solo a ciò si è impegnata la Ditta progettista, ma per chi non sappia esso è un diritto privilegiato protetto dalle leggi dello Stato. Per il lato igienico, il Consiglio Superiore delle Acque giustamente preoccupato inviò apposita Commissione di tecnici per studiare sul posto tale aspetto del progetto, e concluse che mc. 3,500 nelle otto ore giornaliere e metri 2,850 nelle rimanenti 16 ore fossero più che sufficienti per assicurare la ventilazione necessaria al paese. Inoltre impose che nessun tratto del letto del fiume rimanesse allo scoperto ed anche a questo inconveniente si è provveduto con l’attuale progetto. Le fognature saranno sistemate, come da impegni presi, in maniera da poter funzionare meglio di quello che ora non avviene. Anche dal lato estetico si è preoccupato il progettista, ideando una sistemazione che abbellisce ancora più di quello che la natura ci diede, poiché sarà eliminata tutta quella parete di Villa Correa che attualmente è morta e nuda. In detta sistemazione è compreso un aumento di lunghezza del ciglio della cascata che porterà l’acqua a contatto con una maggiore estensione di aria con il beneficio della ventilazione.

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Il letto della cascata Valcatoio è normalmente pressoché all’asciutto per eccessivi prelevamenti, ed il timore espresso per il prosciugamento del laghetto sottostante è ormai eliminato perché lo scarico del grande impianto avverrà proprio in quel punto. In quanto all’affermazione di eventuali trasporti di energia in altra località, dovendo la Ditta progettista restituire alle altre industrie la forza a cui queste hanno diritto, le rimarrebbe quasi il medesimo quantitativo aumentato dai vantaggi ottenuti dalla unificazione dei salti. Vantaggio che sarà sfruttato per l’esigenze della sua industria, poiché delle caldaie elettriche già in Cartiera sono in attesa di poter funzionare per dare possibilità di maggiore concorrenza ed evitare possibili e gravi crisi di cui deve assumersi la responsabilità chi capeggia un movimento ostile per l’attuazione del progetto. Progetto che garantisce in misura molto maggiore quello che altri, che oggi sembrano far parte del Comitato, non pensarono ne a sistemare ne a concedere al Paese per ottenere dal nostro Governo l’approvazione. Con l’attuazione di esso si verrebbe ad evitare la grave disoccupazione alla quale si va incontro, oltre ad ottenere dalla Ditta dei benefici atti a migliorare il funzionamento dei servizi pubblici oggi assolutamente inadatti ed insufficienti alla importanza del paese. Ciò premesso lasciamo arbitra la cittadinanza di prendere la decisione che crede”.

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Memoria dell’ing. Angelo Viscogliosi al Ministro dei Lavori Pubblici in opposizione alle proposte della Commissione nominata dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Il riferimento all’ing. Angelo Viscogliosi, quale ispiratore del Comitato “pro Cascate d’Isola Liri”, fu più che evidente. Insomma, la cittadinanza isolana, ancora una volta, si divise tra quelli che sostenevano le ragioni e gli interessi delle Cartiere Merdionali e quelli che sostenevano la difesa delle Cascate che coincidevano con le ragioni e gli interessi dell’ing. Angelo Viscogliosi. Il 23 novembre 1923, il Viscogliosi inviò una memoria, intitolata “L’utilizzazione delle acque del Liri, intorno ad Isola”, al Ministro dei Lavori Pubblici, in opposizione alle proposte della Commissione nominata dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, di cui ritengo necessario riportare ampi stralci: “ECCELLENZA, E’ noto che da vari anni sono in istruttoria molte domande di derivazione dal Liri, per la utilizzazione delle acque di questo fiume. Tralasciando di parlare di quelle riguardanti l’alto e il basso corso di esso, il sottoscritto si permette di richiamare l’attenzione dell’E.V. sulle istanze riferentesi al medio corso, e più precisamente al tratto fra S.Domenico ed il punto in cui si riuniscono i due rami del Liri a valle di Isola. Questa parte, che presenta un dislivello di circa 50 metri, è stata da secoli, insieme al Fibreno che affluisce

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al Liri poco a monte della località S.Domenico, oggetto di utilizzazioni per forza motrice e per irrigazione, così da fare di Isola un nucleo industriale pressoché unico nella Italia Meridionale. L’illuminato Governo del Re Carlo III, sulla metà del secolo XVIII, rivolse ogni cura alle industrie di Isola Liri, e con agevolazioni fiscali, con premi, con facilitazioni e provvedimenti vari ne ottenne magnifico incremento. Sorsero così e si svilupparono in questa località le più svariate industrie: seterie, lanifici, ferriere, cartiere, gualcherie, ecc. Questo solido centro industriale andò sempre fortificandosi, pur trasformando in parte la sua attività, per specializzarsi nella fabbricazione della carta. Le acque del fiume, che danno vita agli stabilimenti industriali, con l’ingrandirsi di questi e col perfezionarsi della tecnica idraulica, venivano sempre più intensamente utilizzandosi, fino a che dalla metà del secolo scorso in poi esse furono pressoché interamente sfruttate per produzione di forza motrice, e lo sarebbero state del tutto se le energiche proteste della civica amministrazione di Isola accompagnate anche da agitazioni popolari non avessero indotto la competente autorità a disporre che una notevole quantità dovesse essere intangibile e riservata alla Cascata, una superba bellezza che tanto contribuisce all’igiene locale e della quale i cittadini di Isola vanno a buon diritto orgogliosi. Col perfezionarsi della scienza idraulica, in questi ultimi tempi si studiarono vari progetti e molte istanze vennero presentate, tendenti, in sostanza, a riunire le varie derivazioni utilizzanti questo tratto di fiume. Tra i progetti presentati vanno menzionati quello della Società delle Cartiere Meridionali, che tende a riunire tutte le attuali utenze, con presa alla esistente diga della

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Cartiera del Liri di loro proprietà, a quota 260 circa, e, attraverso un canale in sponda destra, scarico alla quota 210, a valle della riunione dei due rami del fiume, lasciando scorrere dalla presa mc. 1,500, come dotazione della cascata: e quello di un costituendo consorzio tra gli attuali utenti di Isola (tra i quali il sottoscritto) diretto ad utilizzare il solo salto di Isola, circa 30 metri, del quale i richiedenti hanno finora partitamente sempre fruito, lasciando libero per le Meridionali il tratto a monte della Cascata, circa 20 metri di salto, di cui essa già dispone”. L’ing. Angelo Viscogliosi entrò, quindi, nel vivo delle sue contestazioni relative alle proposte della Commissione nominata dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che, a suo dire, comprendeva “anche un delegato della Direzione Generale delle Belle Arti, (che non è affatto un funzionario dello Stato, ma un distinto libero professionista, notoriamente in rapporti col gruppo industriale che si propone di eseguire gli impianti sul Liri). “La Commissione adempì l’incarico e presentò proposte, riassunte in una relazione che è stata resa di pubblica ragione. In essa non solo si progettano varianti così sostanziali al primo progetto delle Cartiere Meridionali a suo tempo istruito da costituire in realtà una soluzione del tutto nuova; ma si sostengono modificazioni alla Cascata ed alle proprietà ad essa circostanti (che al sottoscritto appartengono) che non possono in alcun modo essere passate senza protesta. Esaminando brevemente la relazione della Commissione e mettendola a raffronto col progetto delle Cartiere Meridionali così come fu presentato ed istruito, sarà facile scorgerne le fondamentali differenze e le

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novità del tutto sostanziali che la Commissione propone di attuare. Come si è detto, secondo il progetto delle Cartiere Meridionali, si proponeva di lasciar defluire, dalla presa del nuovo impianto da costruire, mc. 1,500, per alimentare la Cascata d’Isola. A parte il quantitativo irrisorio che si sarebbe lasciato al fiume, (che il Consiglio Superiore ha portato a mc. 3,065, ma che dovrà essere ancora aumentato di non poco, come dimostreremo); a parte ciò, vi è da notare che adottando questo piano le competenze idriche da far scorrere nel letto del fiume dalla presa in poi, in quel qualunque quantitativo che risulterà in definitiva occorrente, venivano in ogni caso assicurate: la Ditta concessionaria ne assumeva diretta ed immediata responsabilità, che non avrebbe mai potuto scaricare su altri; ed in ogni caso sarebbe stato agevole, mediante una apposita apertura da praticarsi nell’opera di sbarramento, assicurare la costante erogazione dell’acqua nel sottostante corso del fiume e nel quantitativo stabilito. Invece, la Commissione ha creduto di sottoporre al Consiglio Superiore una soluzione del tutto diversa, anzi opposta, che capovolge la situazione. Essa – dopo avere implicitamente riconosciuto la piena esattezza delle osservazioni fatte a suo tempo dal costituendo Consorzio e cioè che riunire in un solo impianto i due tratti di fiume, S.Domenico-Cascata, e Cascata-Cerasoli, ai quali spettano due diverse competenze di acqua, è, tecnicamente e finanziariamente, la peggiore utilizzazione, - prospetta un ripiego certo insufflato abilmente da chi vi aveva interesse.

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E il ripiego è questo: non far defluire dalla diga di presa del futuro impianto nessun quantitativo d’acqua; e provvedere alla dotazione riservata ad Isola – nella misura, che si afferma di mc. 3,065, ma che dovrà essere molto di più, - con le acque del fiume Fibreno, facendole scorrere per il modulo occorrente attraverso il canale delle Forme, che ha la presa a Carnello (che non è affatto il ramo sinistro del Fibreno, ma un complesso di manufatti su cui sono istituite varie utenze, specie per irrigazione); da questo canale, attraverso una nuova centrale da istituire (che nessuno ha mai richiesto), immetterle poi nel corso del Liri presso il ponte delle Retorici (punto C della planimetria della Commissione). Si avrebbe così, dice la relazione “due derivazioni in parallelo…..la prima alimenta in serie la Cascata e gli altri servizi di Isola: la seconda è quella che sostanzialmente unifica e sottende gli attuali impianti del Liri-Fibreno nel tronco considerato”. E’ da rilevare intanto che in tal modo è stata riconosciuta esatta l’affermazione del costituendo Consorzio del Medio Liri, che cioè, per utilizzare al meglio quel tronco di fiume, sono necessarie due centrali e non una. La Commissione – o meglio le Cartiere Meridionali, evidenti ispiratrici della relazione – pensano con la nuova proposta di aver trovato il bandolo della matassa: ma per vero non hanno approfondito il problema, altrimenti avrebbero ben compreso che la nuova soluzione progettata, se adottata, ridonderebbe ad esclusivo ed irreparabile danno per gli utenti del Liri-Fibreno e per tutti i cittadini di Isola che si vedrebbero per vie traverse tolto quel quantitativo di acqua che pur fu riservato dal Consiglio Superiore.

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Infatti, adottando queste nuove proposte, che in sostanza porterebbero ad alimentare la Cascata e gli altri servizi di Isola, anziché con le acque riunite Liri-Fibreno, come è stabilito con primo progetto, con le sole acque di un canale derivato da quest’ultimo fiume, si otterrebbero risultati ben diversi da quelli finora previsti. Come si è detto più sopra, il futuro concessionario, attuando il progetto così come fu presentato e istruito, era messo nella necessità di assicurare e garantire direttamente le dotazioni di acqua per Isola, e la responsabilità per ogni eventuale deficienza sarebbe ricaduta su di lui. Invece disponendosi, come propone la Commissione, che le acque per Isola siano derivate dal Canale delle Forme, il futuro concessionario sarà senz’altro liberato da ogni obbligo di mantenere le dotazioni stabilite”. E’ noto – e risulta dalla stessa planimetria della Commissione – che sul Fibreno sono istituite molte utenze, sia per forza motrice, che per irrigazione; ed anche dagli stessi canali delle Forme vi sono parecchie prese per irrigazione e per gli usi delle cartiere. Ora, è evidente quel che risponderà il concessionario del novello impianto, quando ad Isola non giungerà la dotazione determinata con la concessione; getterà la colpa di questa mancanza o deficienza agli altri utenti precedenti, naturalmente non identificati né identificabili; accusandoli di distrarre una quantità di acqua superiore ai rispettivi diritti. In ogni caso cesserà ogni garanzia da parte di lui, il quale si trincererà dietro gli asseriti decreti di riconoscimento della utenza di mc. 4 dal Fibreno per così bellamente girare qualsiasi responsabilità scaricandola su altri.

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Tutto ciò è così chiaro ed intuitivo, che arreca davvero sorpresa che una Commissione di competenti non se ne sia reso conto”. L’ing. Angelo Viscogliosi si attardò, quindi, a dimostrare, con specifici e dettagliati argomenti tecnici, che il canale delle Forme, derivazione del Fibreno, non poteva assicurare al centro abitato di Isola del Liri il quantitativo di mc. 4, “perché questi quattro mc. in realtà non esistono”. Per questi motivi, “la Cascata sarebbe rimasta senza le venature azzurrine e spumeggianti, così poeticamente sognate nella relazione”. L’errore fondamentale in cui la Commissione è caduta deriva da un evidente sofisma, dando per dimostrato ciò che si doveva preliminarmente accertare: la portata vera, cioè della derivazione delle Forme, essendo notorio che non può essere di nessuna guida per l’accertamento di una portata, una concessione o riconoscimento che s’intendono sempre assentiti dallo Stato entro i limiti della disponibilità dell’acqua, e senza garanzia alcuna. La Commissione ha dato, è vero, insegnamenti preziosi per risolvere il problema della valorizzazione massima di un corso d’acqua sotto i vari aspetti: forza, irrigazione, igiene, piscicoltura ecc.; ma ha omesso di osservare che prima di tutto, quando si vuole attuare una derivazione, bisogna assicurarsi che l’acqua occorrente ci sia. Primum vivere, deinde philosophari”. Poiché la Commissione aveva avuto anche l’incarico di esaminare le possibilità di contemperare le esigenze industriali con la difesa delle bellezze paesaggistiche, il relatore propose di “sfasare la Cascata”, prevedendo per 8 ore diurne una dotazione d’acqua per la Cascata di

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3,500 mc., riducendola a 2,850 per le ore notturne, l’ing. Viscogliosi osservò che questa complicata manovra sarebbe stata scarsamente garantita dalla gestione della presa del Canale delle Forme, a causa dell’insufficienza dell’acqua determinata dalle numerose utenze a monte. “Dopo il progettato “sfasamento” la relazione passa a proporre la “integrazione estetica della Cascata”, scrisse tra l’altro il proprietario di Villa Correa. Alla Commissione evidentemente questa, così com’è, non è piaciuta: “appare obliqua; la lama d’acqua che precipita per il ramo di destra va prospetticamente a soprapporsi alla lama del ramo sinistro, di cui ricopre in parte la visuale, mentre si presenta in centro la parete destra”, sulla quale è costruito l’antico Castello denominato Villa Correa di proprietà dello scrivente, come di sua proprietà sono le ripe ed i terreni confinanti con la Cascata, compreso l’isolotto che divide i due rami di essa. La Commissione propone di rettificare, cioè allineare in un unico rettilineo, i due cigli di stramazzo che ora sono leggermente convergenti. In tal modo le due lame d’acqua, che ora tendono a convergere l’una sull’altra, verrebbero invece a cadere a ventaglio. Si propone inoltre di allargare il fronte della Cascata, che è oggi di 35 m., portandolo a 60 m.”. L’ing. Viscogliosi non incontrò nessuna difficoltà nel dimostrare che i due deflussi della Cascata fossero stati volutamente resi convergenti, l’uno verso l’altro in una sorta di mutuo contrasto, proprio per restringere l’ampiezza della caduta, per attenuare i danni alle due rive che non sono di roccia viva ma di arenaria, quindi soggette a forti erosioni. “Rettificare, come vorrebbe la Commissione, i cigli attuali della Cascata, allineandone gli stramazzi in

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un’unica retta, e facendo così precipitare le acque a ventaglio senza contrasto fra loro, porterebbe invece ad un allargamento della superficie battuta dalla massa liquida precipitante, determinando in un tempo assai breve il franamento e la rovina delle ripe e dei terreni circostanti alla Cascata e della stessa Villa Correa, mentre l’intero abitato di Isola sarebbe in serio pericolo. Non ha considerato la Commissione con quanta meticolosa cura fu sistemata la Cascata nei secoli decorsi, nei suoi minimi particolari, e con quanto riguardo, non solo per il buon regime delle acque e per la tutela delle rive, ma ben anche per l’estetica. I due rami in cui si divide hanno le soglie ed i cigli a quote lievemente diverse. Il ramo destro che è quello che meglio si scorge da valle, ha la soglia un po’ più bassa, in modo da richiamare l’intero flusso delle acque in tempo di magra, così da far apparire più imponente la massa liquida precipitante. Allora la parte sinistra, meno visibile, convoglia una quantità minima di acqua. Invece in caso di piena, questa differenza di portata scompare perché la parte sinistra della Cascata, se pure un po’ più elevata, essendo posta secondo il filo della corrente, riceve meglio le acque scorrenti velocemente. Si determina così quel contrasto fra i due deflussi di cui si è detto, e che è provvidenziale per la conservazione delle ripe. Evidentemente il tecnico che nei secoli scorsi attuò la regolazione della Cascata così come si ammira anche oggi, per salvarla dalla rovina insieme alla città di Isola, doveva conoscere l’idraulica assai bene ed anche meglio i capricci e le ire del fiume. Forse ignorava gli

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“sfasamenti” artificiali delle acque, ma era certo a conoscenza dei terribili “sfasamenti” voluti dalla natura. Da questi semplici rilievi appare dimostrato, non solo il pericolo di ogni modificazione del ciglio della Cascata, ma anche la inattualità di ogni proposta di allargamento della sua fronte. Sembrerebbe logico che, diminuendosi l’afflusso delle acque alla Cascata, ne fosse – se mai – ristretto il fronte. Invece si vorrebbe allargarlo a 60 metri (mc. 2,715 su un fronte di 60 metri!) per coprire e animare la ripa su cui è costruita Villa Correa: non si è considerato che questa ripa per buona parte si è dovuta già rinforzare con solido rivestimento in muratura per impedirne il franamento: figurarsi che cosa avverrebbe se vi si facessero defluire le acque. Ma questa parete è brutta di colore, - osserva la Commissione. – E sia pure; ma non sarebbe stato forse più opportuno – anziché vagheggiare a cuor leggero trasformazioni così…..ardite – proporre di darle una tinta azzurrina e spumeggiante? Così almeno la località non correrebbe alcun pericolo ed il pubblico….ammirerebbe lo stesso”. Dopo aver prodotto altre puntuali argomentazioni tecniche per contestare il progetto delle Cartiere Meridionali, l’ing. Angelo Viscogliosi concluse la sua memoria al Ministro dei Lavori Pubblici in modo fortemente caustico: “Sarà davvero cosa poco allegra per il futuro concessionario – dopo aver speso vari milioni per costruire la nuova futura centrale – andare a procurarsi la corrente da altre officine per completare la fornitura dell’energia gratuitamente dovuta agli utenti sottesi. Che questa sia la sua sorte è indubitato: e le cifre sopra esposte lo provano in modo assoluto.

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Non è dunque il caso di dire di più: ogni commento guasterebbe. Del resto allo scrivente preme poco se le Cartiere Meridionali, sole o unite a qualche altra impresa o società, vogliono persistere in una così incredibile follia, che farà epoca nella storia delle utilizzazioni idroelettriche. Queste osservazioni sono esposte per dimostrare che bene a ragione il costituendo Consorzio del Medio Liri sostenne che le portate sognate dalle Meridionali erano inesistenti; in secondo luogo come avvertimento e monito per tutti coloro che a cuore leggero si assumono così gravi responsabilità. Essi non potranno più dire, dopo quanto sopra si è scritto, anzi rilevato – perché nessuno ha finora preso in esame le portate del fiume pur ben conosciute – di essere stati ingannati da rilievi erronei o da constatazioni non complete”. Il 5 ottobre 1924, l’ing. Angelo Viscogliosi presentò al Ministero dei LL.PP la domanda intesa ad ottenere il nulla osta per la cessione in suo favore dell’utenza di Villa Correa, riconosciuta al Conte Luigi Gaetani Di Laurenzana dai Decreti del Ministero delle Finanze 23 maggio 1901 e 12 maggio 1902. Il 4 giugno 1925, il Ministero dei LL.PP., ai sensi dell’art. 20 della legge 9 ottobre 1919 n. 2161, emise il relativo Decreto di nulla osta, riconoscendo a favore dell’ing. Angelo Viscogliosi “l’utenza d’acqua dal Liri, detta Villa Correa, quale risulta determinata dai DD.MM 23 maggio 1901 e 12 maggio 1902”. L’ing. Viscogliosi propose ricorso contro tale progetto innanzi il Tribunale Superiore delle Acque che, con sentenza del 15 dicembre 1928 – 11 febbraio 1929, annullò il decreto stesso nella parte che limita il

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riconoscimento a favore del Viscogliosi alla sola utenza di cui ai due decreti del 1901 e del 1902, mentre si doveva considerare che al Di Laurenzana era stata validamente riconosciuta una utenza di litri 5.085, mediante sette bocche di presa e con un salto maggiore. Il 19 agosto 1925, il Sindaco ing. Pietro De Gregoris, convocò il Consiglio Comunale, di cui facevano parte noti industriali come Angelo Viscogliosi, Marco Mancini e Gaetano Mancini, con all’ordine del giorno il Decreto del Ministro dei LL.PP. del 13 luglio 1925 che disponeva la pubblicazione del progetto della Società delle Cartiere Meridionali, alla quale era intanto subentrata la Società Idroelettrica Valle del Liri, per lo sfruttamento delle acque del Fibreno e del fiume Liri. Il Sindaco precisò che il progetto apportava delle varianti a quello presentato il 16 aprile 1920, ma che, comunque, arrecava gravi pregiudizi agli interessi della città di Isola, sia da un punto di vista igienico che in quello industriale e agricolo dando lettura della seguente relazione: “La questione della Cascata che travaglia l’animo vostro, o cittadini, che fate di essa una questione sentimentale, non solo, ma sinceramente anche una questione inerente agli interessi avvenire del nostro paese, non è invece concorde con i sentimenti di tutti gli utenti, nessuno escluso, i quali sfruttano il vostro sentimento. Di fatto le cascate di oggi non sono più quelle di 30 e 40 anni fa, nonostante tutte le opposizioni fatte dai Consigli Comunali che ci precedettero, perciò io andrò a chiedere non solo che sia rispettato lo statu quo, ma addirittura domando che da questa seduta consiliare parta un voto che chieda al Governo il ripristino delle

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cascate in modo da poter ammirare e beneficiare della salutare efficienza di esse Qualche Consigliere Comunale sfruttando i vostri sentimenti nasconde una manovra che potrà realmente mettere il paese nelle condizioni di vedere sparire la Cascata, nonostante tutte le opposizioni, tutti i voti formulati fino ad oggi. Infatti si tende a far riconoscere all’utenza di Villa Correa non mc. 2,800 ma mc. 5,000. Dove andrà a prendere l’ing. Viscogliosi tale maggiore quantitativo d’acqua? Non certamente dal ramo destro del Liri che ha una portata insufficiente alle concessioni attuali, perciò l’utenza dell’azienda Elettrica Comunale, che trovasi in detto ramo, è nell’impossibilità di poter funzionare, ed in tal caso danneggerebbe seriamente qualche industria di detto ramo, quindi ricorrerà al ramo sinistro e di conseguenza a quella quantità d’acqua che stramazza dal ciglio della Cascata. In questo caso tutti gli utenti del ramo sinistro abbandonerebbero la vostra tesi, o cittadini, perché non dovrebbero temere che venga a mancare l’acqua per le loro concessioni, perché a sufficienza ne sarà scaricata ai piedi della Cascata. Perciò il problema attuale assurge ad una tale importanza troppo grande per essere esaminata con leggerezza e con combriccole indegne per uomini che appartengono al Consiglio Comunale e fascisti, e contro di questi non esiterò a prendere quei provvedimenti che il partito e la mia carica di Sindaco mi consentono, ma con ragionamenti e con discussioni pacate, con i dati tecnici necessari. Mentre si votavano ordini del giorno contrari a qualsiasi sfruttamento, si è francescanamente assistito

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all’immiserimento della Cascata fino a doverla vedere pochi giorni fa ridotta ai minimi termini. E come possono questi salvaguardare tali interessi se per parte loro sono i primi a manometterli? E badate: l’utenza di Villa Correa non richiederà il voto di qualsiasi amministrazione perché essa potrà attuarsi per una semplice questione di diritto. E contro questo stato di cose che io protesto per chiedere che venga senz’altro ripristinato il regolare deflusso dei due rami. Anche il progetto delle Cartiere Meridionali non soddisfa i nostri desideri perché il progettato sfasamento, abbandonato nelle mani dell’interessato non può dare quelle garanzie necessarie che ogni cittadino richiede, e non da a tutte le industrie quella indipendenza per il prosperare di esse. Occorrerebbe che uno scaricatore di fondo in tutti i campi pratico nella diga assicurasse la portata d’acqua assegnata alla Cascata. Invece io per intaccare il meno possibile gli interessi privati e per garantire alla cascata una defluenza di mc. 4 proporrei, per risolvere l’amara questione che ci travaglia, di ripartire sul ciglio della Cascata l’acqua in modo da garantire un minimo di mc. 4,00 per la Cascata, il rimanente andrebbe al ramo destro e dopo il prelevamento di mc. 2,800 di spettanza alla Villa Correa il rimanente sarebbe sfruttato dagli utenti del ramo destro uniti in consorzio. In detto consorzio entrerebbe anche il Comune perché utente in detto ramo”. Al termine dell’intervento del Sindaco, che fu una vera e propria requisitoria contro il progetto delle Cartiere Meridionali, ma soprattutto contro gli interessi dell’ing. Angelo Viscogliosi, che, nel respingere la relazione del

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Sindaco, dichiarò che “l’acqua defluente nel ramo sinistro del fiume Liri ha una portata di mc. 7,800 e quella del ramo destro di mc. 8,700, in base a cui il ripristino deve avvenire”. Alla fine del dibattito, il Sindaco sottopose all’attenzione del Consiglio Comunale il seguente ordine del giorno: “Il Consiglio Comunale di Isola del Liri, fedele interprete del pensiero della popolazione, facendo propri i desideri di essa, non per un fine proprio speculativo, come può essere per qualche consigliere spinto a questa lotta non per la salvaguardia degli interessi Comuni, ma per i propri specifici, non vedendo nell’attuale progetto delle Cartiere Meridionali le garanzie economiche ed igieniche richieste per l’avvenire industriale di Isola del Liri e per lo sviluppo di essa; si oppone a qualsiasi sfruttamento delle acque defluenti nei due rami delle cascate, da qualsiasi esso venga richiesto senza le garanzie sopra cennate. E fa voti che il regime delle acque defluenti nei due rami della Cascata sia ripristinato secondo le antiche utenze concesse e secondo l’antica portata dei due rami, e che venga ridato alla presa dell’Azienda Elettrica Comunale la portata alla quale ha diritto, portata manomessa da quegli stessi i quali oggi si fanno paladini degli interessi comunali”. Il Consiglio Comunale, plaudendo all’opera solerte e disinteressata del Sindaco Ing. De Gregoris a vantaggio del Comune, fece proprio l’ordine del giorno e l’approvò all’unanimità. Non è dato sapere se alla votazione partecipò anche il Consigliere Angelo Viscogliosi contro il quale erano state dirette le gravi accuse del Sindaco.

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La Società Mediterranea di Elettricità succede per effetto di fusione alla cessata Società Idroelettrica Valle del Liri e inizia una dura battaglia contro l’ing. Angelo Viscogliosi. A pochi mesi dalla sentenza del Tribunale Superiore delle Acque, emessa l’11 febbraio 1929, che riconobbe a favore dell’ing. Angelo Viscogliosi una utenza di litri 5.085, la Società Mediterranea di Elettricità, succeduta per effetto di fusione alla cessata Società Idroelettrica Valle del Liri, il 24 giugno 1929 inviò un atto di prevenzione relativo alle derivazioni di acqua delle cascate. La S.M.E. premise che era spettataria di una domanda di concessione, in corso di avanzata istruttoria, per l’utilizzazione integrale delle Cascate, presentata originariamente dalla Società Cartiere Meridionali fin dal 16 aprile 1920, sulla quale erano già intervenuti due pareri di massima favorevoli del Consiglio Superiore n. 186 del 17 aprile e 17 maggio 1922 e n. 1198 del 15 maggio 1923, precisando che fra le utenze da sottendere con la più vasta concessione chiesta vi era quella di Villa Correa spettante al Conte Di Laurenzana, e poi ceduta all’ing. Angelo Viscogliosi, con contratti del 20 novembre 1921 e 8 febbraio 1923. Confutò le motivazioni che avevano indotto il Tribunale ad annullare il decreto ministeriale che aveva riconosciuto all’ing. Viscogliosi il diritto di derivare acqua per antico uso in litri 2.784, portando il quantitativo di acqua a litri 5.085, attribuendo così assoluta efficacia all’atto di transazione dell’ 11 agosto 1906, interceduto

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tra il Prefetto di Caserta, per conto del Ministero delle Finanze, e il Di Laurenzana. Sostenne con forza che non aveva potuto opporsi agli evidenti errori giudiziari, perché a quel tempo non aveva titolo per alcuna azione giudiziaria, ma si riservava per l’avvenire di svolgere tutte quelle che avrebbero potuto competerle nel caso in cui la sua domanda di concessione fosse stata definitivamente accolta, specialmente l’azione per decadenza di diritto di utenza in cui era incorso il Di Laurenzana. “Nella dannata ipotesi – concluse la S.M.E. – che a questi giusti criteri non ritenesse doversi ispirare l’On. Ministero dei Lavori Pubblici e dovesse ritenersi competere alla utenza Di Laurenzana litri 5.085 al minuto secondo, ne verrebbe che, sottratte dal fiume le utenze del ramo destro, la Cascata di Isola del Liri scomparirebbe quasi e diverrebbero inattuabili le prescrizioni dettate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (Sezione Acque) per l’attuale progetto presentato dalla Società esponente, dirette alla conservazione estetica, artistica ed igienica della Cascata che fu strenuamente difesa dal Comune di Isola del Liri e che fra altri, dallo stesso ing. Viscogliosi. Lo stesso ing. Viscogliosi, quando agiva in veste di oppositore, preoccupato dei bisogni del paese, proclamava nel sopralluogo 25 agosto 1925 che le competenze idriche di Isola Liri non potevano essere subordinate a manovre di saracinesche: “se una simile soluzione (sono parole sue) per così dire transattiva è stata possibile a Terni e a Tivoli, non può invece adottarsi a Isola per peculiari evidenti circostanze.

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Le acque delle Marmore e dell’Aniene scorrono e precipitano fuori degli abitati. Invece a Isola le acque dei due rami del Liri formano un tutto inscindibile con la città entro cui scorrono e precipitano dando ad essa la vita. Depauperare Isola delle sue acque equivale a renderla inabitabile e ucciderla. Terni e Tivoli possono vivere anche senza le loro acque: Isola Liri no. Non è quindi possibile che quella irrisoria quantità di acqua che le si concede in elemosina sia anche erogata a mezzo di artificiali manovre di saracinesche. In estrema ipotesi questo quantitativo dovrà sempre scorrere indipendentemente dalla volontà di chicchessia”. Dopo questa citazione delle affermazioni dell’ing. Viscogliosi, l’atto di prevenzione relativo alle derivazioni di acqua delle Cascate inviate dalla S.M.E. al Ministero dei LL.PP. e alla Direzione Generale Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione così concluse: “Certo è che la nuova situazione che si verrebbe a creare con l’inopinato incremento della competenza Viscogliosi ex Di Laurenzana renderebbe necessario un nuovo esame della ripartizione della portata e della competenza della Cascata. Poiché, se rimanesse stabilito che l’ing. Viscogliosi può derivare fino a mc. 5,085 allora la dotazione della Cascata resta ridotta ben al di sotto di quella richiesta dalle Belle Arti e fissata dal Consiglio Superiore delle Acque, e allora giustizia vuole che non si pretenda dal nuovo concessionario una dotazione che la Cascata non avrebbe mai avuto né in diritto né in fatto. Oppure debbono essere ridotte le competenze degli utenti del ramo destro.

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Oppure infine tutto deve rimanere come era stato stabilito dal Consiglio Superiore, e allora giustizia vuole che gli stessi vincoli ed oneri e controlli, che erano stati imposti al nuovo concessionario siano imposti all’ing. Viscogliosi, e, ove occorra, agli altri utenti, in base alle leggi e ai regolamenti ora vigenti. Se no, dove vanno a finire le ragioni dell’arte e quelle dell’igiene e la vita stessa della città di Isola, in base alle quali si sono imposti tanti oneri a carico del grande e moderno impianto idroelettrico progettato in sostituzione delle frammentarie e antieconomiche utenze esistenti? Poiché l’istruttoria della domanda di concessione 16 aprile 1920, di spettanza della sottoscritta, è tutt’ora aperta, e non consta che il Genio Civile abbia presentata la sua relazione sul supplemento di istruttoria disposto con l’ordinanza 13 luglio 1925, la esponente si augura che gli On.li Ministeri interessati facciano giusto conto di quanto essa si è onorata esporre”. Il 23 marzo 1930, l’ing. Viscogliosi presentò un nuovo progetto a firma dell’ing. Rebaudi, con il quale si prevedeva:

a) la costruzione di tre piccoli sbarramenti, uno sul ramo destro (Valcatoio) e due, rispettivamente, sui due bracci del ramo sinistro (ramo Cascata), così da regolare la ripartizione della portata sui due rami;

b) la riunione delle varie bocche di presa, cui si intende far seguire un unico canale derivatore lungo m. 17 largo m. 6, con altezza di acqua di m. 1. Il detto canale terminerebbe a un diaframma munito di bocca a battente attraverso il quale le

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acque passerebbero nella vasca di carico della condotta forzata”.

c) una batteria di tre sifoni autolivellatori sul fianco sinistro della cennata vasca, con i quali si assicurerebbe il livello costante del pelo di acqua della vasca”.

Il 7 giugno 1930, la Ditta Viscogliosi chiese l’autorizzazione provvisoria all’inizio dei lavori, giustificando la richiesta di eseguire i lavori nell’alveo nel periodo delle magre. Il Genio Civile espresse al riguardo parere sfavorevole, con la motivazione che allo stato non era stato definitivamente stabilito quali opere dovessero essere eseguite, anche perché non ravvedeva i termini dell’urgenza, dovendosi inevitabilmente attendere la prossima stagione di magra per eseguire i lavori nell’alveo. E chiese di sentire in merito il Consiglio Superiore delle Acque, che dopo i rilievi effettuati il 14 novembre 1930 dall’Ufficio del Genio Civile di Caserta e le controdeduzioni dell’ing. Rebaudi, con nota aggiuntiva del 17 gennaio 1931 alla relazione sul progetto esecutivo, decise di approvare il progetto presentato dall’ing. Angelo Viscogliosi e di non dare, però, l’autorizzazione provvisoria all’inizio dei lavori. Il 24 marzo 1931, la Direzione Generale delle Acque e dei Servizi degli Impianti Elettrici ordinò che il progetto presentato dalla Ditta Ing. Angelo Viscogliosi fosse depositato presso l’Ufficio del Genio Civile di Caserta e all’Albo pretorio del Comune di Isola del Liri, per la durata di 15 giorni consecutivi a decorrere dal 15 aprile 1931, a disposizione di chiunque intendesse prenderne visione.

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Martedì 5 maggio 1931, uscì il giornale (numero unico) “LE CASCATE DI ISOLA DEL LIRI”, edito dalla F.R.E.S.T. del Rag. Gino Mancini, il cui editoriale dal titolo “PAROLE CHIARE E FERME” rappresentò un vero e proprio atto di accusa contro l’ing. Angelo Viscogliosi che fino a pochi anni prima, nella difesa delle cascate era stato il paladino degli interessi della città: “Il Signor Angelo Viscogliosi fu Beniamino nato ad Arpino, successore del Conte Gaetani Di Laurenzana nella possessione del Castello medioevale, promosse e capeggiò nel 1924 un’energica e santa opposizione della cittadinanza ai vari progetti di sfruttamento della Cascata verticale tendenti a deturparla o sopprimerla quasi interamente. I motivi dell’opposizione unanime d’ordine estetico e soprattutto igienico-sanitari, ebbero il loro peso nelle decisioni della Direzione Generale delle Acque e le limitazioni, le garanzie, gli oneri imposti al progetto ammesso all’istruttoria impedirono la realizzazione di un delitto mostruoso. Il Signor Angelo Viscogliosi fu Beniamino nato ad Arpino, come abbiamo detto, e arricchito in Isola del Liri, ebbe il suo quarto d’ora di gloria e fu acclamato fra i salvatori della Cascata e della salute pubblica. A distanza di 7 anni, l’acclamato salvatore della nostra Cascata, dopo aver regolate alcune formalità fiscali, riesuma un’antica concessione di derivare acqua dalle cascate del Liri riconosciuta l’11 agosto 1906 al Conte Gaetani Di Laurenzana e minaccia di esercitarne il diritto col conseguente assorbimento di quasi tutta la Cascata verticale! La santa crociata promossa dal Signor Viscogliosi servì dunque pro domo sua!

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Che almeno – almeno – si tolga a questo emerito cittadino l’aureola di gloria di cui fu circondato ed apparisca…..quello che è sempre stato”. Il giornale LE CASCATE DI ISOLA DEL LIRI pubblicò anche numerose lettere di proteste di enti e associazioni, tra cui meritano una particolare menzione quella della Sezione locale dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra e quella della Federazione Fascista degli Artigiani d’Italia; quest’ultima, il 29 aprile 1931 riunì il Direttorio presieduto dal signor Enrico PAESANI, per approvare all’unanimità il seguente ordine del giorno: “I sottoscritti, componenti il Direttorio delle Comunità artigiane locali, interpretando il pensiero di tutti gli artigiani locali, avendo presa visione dell’ordinanza del Ministro Segretario di Stato per i lavori pubblici affissa all’albo pretorio del Comune la quale fissa l’istruttoria del progetto per lo sfruttamento della Cascata Verticale del fiume Liri; fatto voti che tale concessione non sia accordata perché essa danneggia seriamente il nostro paese per l’estetica e per l’igiene come fu dimostrato dalle numerose relazioni fatte in passato da valenti e dotti medici locali; protestano anche perché tale tentativo di sfruttamento, se attuato, danneggerebbe grandemente le piccole industrie che oggi prendono l’energia dal ramo destro del fiume; danno mandato al loro Podestà, Signor Comm. Avv. Vincenzo Terribile, perché egli sappia difendere con tutte le forme questa ricchezza di Isola del Liri”.

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Una particolare evidenza merita la lettera in data 28 aprile 1931 dello storico sorano Prof. Achille Lauri, Regio Ispettore dei Monumenti e oggetti d’arte: “Sempre sensibile alla voce del popolo, mi metto a sua completa disposizione per la difesa della Cascata perpendicolare di Isola del Liri. Stamane ho scritto una lettera raccomandata alla Regia Sovrintendenza ai Monumenti della Campania a Napoli, con preghiera vivissima di intervenire in difesa della Cascata. Agiterò la questione artistico-igienica della Cascata Valcatoio e di quella Verticale sui giornali e sulle riviste con cuore filiale, perché Isola del Liri è una gemma cara al nostro cuore. Desidero di venire all’adunata del 7 maggio p.v. per dimostrare che l’amicizia cessa, quando sono in giuoco il diritto e la salute del popolo”. Le Redazioni de Il Giornale d’Italia, Il Mattino, La Tribuna e Il Messaggero pubblicarono questo comunicato: “Eleviamo la nostra protesta contro il tentativo di soppressione delle Cascate. Invochiamo dalle Autorità competenti la sospensione dell’istruttoria ed una rigorosa inchiesta sulla legittimità del riconoscimento Di Laurenzana-Viscogliosi. La cittadinanza di Isola del Liri, laboriosa e buona, che tante prove di patriottismo ha sempre dato, attende dal Governo Nazionale e dal suo amato Duce un atto di equità e di giustizia”.

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Il 5 maggio 1931, in previsione della manifestazione prevista per il successivo giorno 7, il Podestà, avv. Vincenzo Terribile, scrisse la seguente lettera al Segretario Politico della locale Sezione del Partito Nazionale Fascista, dott. Gioacchino Baisi: “Ti prego darmi comunicazione ufficiale dell’ordine del giorno del Direttorio votato nella seduta straordinaria del 27 aprile scorso, perché io possa unirla alla pratica della Cascata. Detto ordine del giorno di piena fiducia nella mia opera a tutela degli interessi generali, senza dubbio pregiudicata dalla minacciata esecuzione del progetto Rebaudi, è per me di grande soddisfazione: e ringrazio te ed i componenti del Direttorio. Ma siccome tutti gli enti di Isola Liri, nello stringersi intorno al capo del paese, hanno manifestato in forma precisa il loro pensiero in merito, riterrei opportuno che anche il Direttorio, ora che del problema è più edotto, esprimesse il suo pensiero al riguardo: e ciò tanto più in considerazione che il programma di sfruttamento delle acque del Liri tracciato dal progettista, senza tener conto di gran parte degli interessi cittadini, riflette un membro del Direttorio stesso”. Il riferimento all’ing. Angelo Viscogliosi era preciso! Il Segretario Politico dott. Gioacchino Baisi rispose immediatamente nel modo seguente: “Porto a conoscenza di V.S. Ill.ma che il Direttorio di questo Fascio, convocato in seduta straordinaria, la sera del 27 u.s., per discutere sull’ultimo progetto di sfruttamento del Fiume Liri a monte delle Cascate, a termine di seduta ed a conclusione della discussione in

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essa avvenuta, ha approvato unanimemente l’ordine del giorno da me proposto. In esso è detto: “Il Direttorio, riunito in seduta straordinaria per discutere sul progettato sfruttamento del Fiume Liri a monte delle Cascate, apprezzando in giusta luce le preoccupazioni della cittadinanza, confida che l’opera che dovrà svolgere l’Autorità Podestarile in difesa ed a tutela degli interessi cittadini, sarà valida ed efficace ai fini suddetti”. Anche il Parroco di San Lorenzo, Arciprete Don Edoardo Cataldi espresse il suo parere con questa lettera: “Confermo quanto esposi brevemente in Chiesa il 26 di questo mese, ricordando che due cose rivivono nel cuore dell’uomo, mano a mano che si inoltra nella vita: la Patria e la Religione. Come Parroco e come concittadino mi associo alla pubblica e dignitosa protesta. La nostra superba Cascata, monumento perenne di bellezza e di ammirazione a tutti, fonte di sanità e di vita cittadina, non ci verrà tolta o alterata. Né provocazioni, né aggressioni nel giorno della comune adunata. Le Autorità Civili, così saggiamente istituite, a cui è illimitata la fiducia nostra, sapranno far rispettare l’ordinamento delle Leggi, fatte per il solo bene pubblico. E così, noi vedremo, per sempre immutata, la nostra grandiosa Cascata, spiccante nell’azzurro placido del nostro cielo, fantasmagorica nel chiaro lunare; nel suo perenne rumore sordo, che si propaga, nello spruzzo indefinito che si moltiplica, polveroso e spumeggiante….ecco, le Onde…la Ricchezza….la Vita!”.

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Alle ore 9 del 7 maggio 1931, l’ing. Capo Giuseppe Venditti, addetto al Servizio delle Acque Pubbliche, accompagnato dall’ing. Antonio Basone, giunse nella Sala del Palazzo Podestarile per partecipare al convegno fissato dall’ordinanza n. 834 del 14 marzo 1931. Trovò ad attenderli:

1) Comm. Edoardo Camassa, Direttore Capo Divisione del Ministero dei Lavori Pubblici.

2) Cav. Uff. Giuseppe Abbatico, Architetto Direttore principale della Sovrintendenza dell’Arte Medioevale della Campania.

3) Comm. Avv. Vincenzo Terribile, Podestà di Isola del Liri.

4) Comm. Ing. Angelo Viscogliosi, assistito dall’ing. Vittorio Rebaudi.

5) Ing. Attilio Colombo, Amministratore Delegato della Società Anonima Meridionale di Elettricità.

6) Alfredo Bottaro, in rappresentanza della Cartiera G.Questa e C.

7) Antonio D’Ambrosio fu Loreto, assistito dall’ing. Francesco Petrangeli e dall’ing. Masoni.

8) Amedeo Venditti di Agostino, assistito dagli ing. Petrangeli e Masoni.

9) Angelo Venditti di Agostino. 10) Cav. Not. Pasquale Pantanella fu Giuseppe. 11) Comm. Eustacchio Pisani della Ditta Ippolito & Pisani. 12) Cav. Costantino Mancini, della Ditta Mancini. Il funzionario procedente, dopo aver ritirato dal Comune la copia della suddetta ordinanza dell’istruttoria munita di relata di pubblicazione, dette lettura delle opposizioni pervenute direttamente all’Ufficio del Genio civile di Caserta:

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In data 25 aprile 1931 della Ditta A.Mancini & Figli, Ditta Manna e Ditta Ippolito & Pisani. In data 27 aprile 1931 della Associazione Nazionale Invalidi e Mutilati di Guerra. In data 2 maggio 1931 della Regia Sovrintendenza dell’Arte Medioevale della Campania. Durante la lettura, si costituirono i signori Roberto Mazzetti e Emilio Boimond, quest’ultimo anche in rappresentanza del fratello Mario. In assenza del curatore fallimentare della Ditta De Caria & C., si costituì il signor Felice Zompetta, ma la domanda venne respinta, in mancanza di autorizzazione legale. A questo punto, l’avv. Vincenzo Terribile esibì e lesse i seguenti documenti di opposizione al progetto Rebaudi: 1) Società Mutuo Soccorso. 2) Sezione cittadina del Partito Nazionale Fascista. 3) Federazione Provinciale del Commercio. 4) Federazione Commercianti di Isola del Liri. 5) Associazione Combattenti. 6) Console Touring Club. 7) Sindacati Fascisti dell’Industria. Il signor Roberto Mazzetti, in nome proprio e quale rappresentante di altri 39 firmatari della domanda di riconoscimento per antica utenza del fiume Liri presentata il 1° luglio 1919, presentò un altro elenco di opposizioni.

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Nella suddetta domanda, si rileva anche il nome dell’ing. Angelo Viscogliosi che a quell’epoca riconosceva l’utilità e la necessità dell’integrità della Cascata. Dopo di che, data l’ora, l’ing. Camassa sospese le operazioni, rimandando il prosieguo dei lavori nel pomeriggio alle ore 15 all’ingresso di Villa Correa. Il convegno riprese all’ora convenuta con la presa visione del progetto Viscogliosi, e subito dopo si effettuò il sopralluogo per esaminare la massima utilizzazione del progetto stesso. L’ing. Masoni osservò che le opere contemplate nel progetto non potevano garantire, nelle varie condizioni di portata del fiume, la costante e perfetta ripartizione dei due rami proporzionalmente ai volumi di 7,800 mc. e 8,700 mc. complessivamente alla portata di metri cubi 16,500 di magra ordinaria. L’ing. Giuseppe Abbatini, in rappresentanza della Sovrintendenza all’Arte Medioevale della Campania, confermò la dichiarazione inviata il 2 maggio 1931 al Genio Civile e al Comune di Isola del Liri e chiese che copia della lettera fosse inserita al verbale. L’ing. Camassa, pur ritenendo impropria la parola diffida usata anche nei confronti del Genio Civile, non si oppose alla richiesta che venne così trascritta: “Considerato che la Cascata di Isola del Liri per la sua bellezza naturale è sottoposta alla tutela della legge 11 giugno 1922 n. 778; considerato che il Ministero dell’Educazione Nazionale, avendo deciso di tener fermo le sue richieste nei riguardi estetici della Cascata quali sono considerate ed espresse nel progetto Maglietta-Canevari, ha dichiarato di non poter in alcun modo aderire alla distruzione della Cascata nonché a qualsiasi

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manomissione dei patti, garanzie e consecuzioni fin oggi consolidati. Visti gli art. 2 e 4 della Legge citata diffida il Comune di Isola del Liri e l’Ufficio del Genio Civile di Caserta dal concedere e dal fare eseguire dalla Ditta Viscogliosi o a qualunque richiedente qualsiasi nuova opera intesa a modificare l’aspetto attuale della sponda del fiume Liri”. Il signor Emilio Boimond produsse opposizione al progetto Viscogliosi e dichiarò che avrebbe promosso giudizio contro i lavori eseguiti a Villa Correa che avrebbero leso i diritti degli utenti del ramo destro come lo stesso Viscogliosi ebbe a sostenere contro il Di Laurenzana nei precedenti sopralluoghi e nella causa che nel 1918 il Conte intentò contro lo Stato, in nome del Viscogliosi, della Società Laziale di Elettricità e della Società Emilio Boimond. L’ing. Rebaudi, a nome del suo rappresentato, chiese un congruo tempo per rispondere alle opposizioni verbalizzate, nonché un ulteriore termine per rispondere a quelle erronee deduzioni che fossero fatte in aggiunta a quelle dichiarate nel corso del convegno. Il Podestà e tutti gli altri intervenuti chiesero che il termine da concedere fosse unico per tutte le parti. L’ing. Camassa, accogliendo le richieste, assegnò un termine unico di due mesi a decorrere dal 7 maggio. Il 4 luglio 1931, il Podestà, avv. Vincenzo Terribile, sostenuto dalle numerose opposizioni al progetto Viscogliosi pervenute al Comune, scrisse una lettera all’Ufficio del Genio Civile di Caserta dai contenuti molto forti. Dopo aver, succintamente ripercorso la lunga storia della utenza Di Laurenzana-Viscogliosi, affrontò di petto il nodo centrale della questione:

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“Che se si dovesse entrare nel merito, non sapremmo come spiegarci la eccessiva benevolenza del Ministero dei LL.PP. e del Consiglio Superiore verso il Viscogliosi. L’argomento delle cascate e degli interessi pubblici, che costituì il caposaldo di tutte le precedenti istruttorie ed il punto morto di esse, è stato messo nel dimenticatoio in questa procedura sui generis. Ma l’interesse pubblico va tenuto presente nello studio e nel giudizio definitivo da dare sul progetto Viscogliosi: senza di che la tutela dei diritti dei terzi resterebbe vana parola. Se vincoli ed oneri furono sempre imposti ai presentatori di altre domande di concessione (che il Comune, anzi, con l’appoggio di Viscogliosi, non ritenne mai sufficienti), è atto di giustizia che questi vincoli e questi oneri siano imposti anche al Viscogliosi. Funzionari integri e competenti, come quelli che dovranno occuparsi della cosa, non possono non porsi il quesito: se ed in quali limiti e con quali modalità possa eventualmente attuarsi il progetto Rebaudi”. L’avv. Terribile si soffermò, quindi, sugli aspetti tecnici della questione, affermando che “la memoria redatta il 16 maggio 1924 dall’illustre Ing. Albino nell’interesse del Comune, sulla scorta del verbale del Genio Civile del 20 agosto 1895, fissò le seguenti competenze in periodo di magra ordinaria: Competenze ramo destro mc. 8,700 Competenze Di Laurenzana mc. 5,085 Competenze Cascata grande mc. 2,715 __________ Totale portata mc. 16,500

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Ma nei periodi di massima magra, quando cioè la portata intiera non supera i dieci metri cubi (anzi non va oltre i nove metri cubi, secondo i precisi calcoli di Albino) che cosa avverrà delle suddette competenze?”. Dopo aver ribadito che il progetto Rebaudi non avrebbe potuto assicurare in nessun modo una uniforme ripartizione della portata totale in corrispondenza ai vari regimi del fiume, il Podestà sferrò un duro attacco al Consiglio Superiore, accusandolo di non aver confortato con la sua autorevolezza i rilievi formulati al progetto dal Genio Civile di Caserta. Infatti, il Genio Civile, nel criticare il progetto Rebaudi, aveva proposto una sistemazione adatta a garantire la proporzionalità dei deflussi anche in regime differenti da quello di mc. 16,500 e ad assicurare la portata alla Cascata. Ma il Consiglio Superiore, con il voto del 29 gennaio 1931, “facendo buon viso alle spiegazioni del progettista, ha osservato che se una riduzione del rapporto fra le portate dei due rami si verifica, questa riduzione è quasi trascurabile”. “Si è osservato che il progetto Rebaudi comprende un salto maggiore di circa un metro rispetto al disciplinare del 1906, il che non è scevro di conseguenze: ma il Consiglio Superiore contrappone che le opere che a tale scopo sono proposte dal Genio Civile farebbero perdere alla Ditta Viscogliosi un salto di m. 0,47 alla utilizzazione progettata, e vanno pertanto escluse. Abbiamo creduto fare queste osservazioni non certo per rivolgere delle critiche al Supremo Consesso alla cui autorità doverosamente ci inchiniamo, ma unicamente

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per richiamare l’attenzione di chi deve dire sull’argomento l’ultima parola. Questo problema, mi si conceda un ultimo rilievo riassuntivo, non va considerato con lo spezzettamento dei litri di acqua, ma con l’occhio dell’artista ed il cuore del cittadino e del padre di famiglia. E ogni cittadino che pretenda esser degno di appartenere al paese e viverci dovrebbe dimenticare il privato interesse per chiedere, senza cavillose interpretazioni delle leggi e dei regolamenti, che a Isola Liri sia restituita la totale originaria integrità delle Cascate, senza che Ministeri o Uffici Tecnici debbano sciupare fiumi d’inchiostro per coordinare interessi non sempre tollerabili e compatibili fra loro!”. Forte e dura fu la conclusione della lettera. “Non intendo tediare ulteriormente l’Ufficio su argomenti che per la loro vetustà possono diventare noiosi: non lo saranno mai, però, per i cittadini di Isola Liri. Essi hanno vissuto per il passato e vivono oggi ore di angosciosa preoccupazione pel ripetersi a periodi più o meno brevi di questi tentativi di distruzione di quanto di più bello e utile la natura ha elargito a questa meravigliosa plaga del Mezzogiorno d’Italia. L’Amministrazione Comunale prese sempre posizione netta contro simili tentativi e l’ha presa anche oggi. Ma oggi la responsabilità di chi deve tutelare interessi cittadini così vitali è ben più grave: perché se non è consentita, in Regime Totalitario, nessuna forma di protesta collettiva e nessuna iniziativa individuale, gli organi competenti debbono con maggior rigore vagliare gli elementi tutti che nell’interesse generale si prospettano al fine di rendere piena giustizia.

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La sentenza del Tribunale Superiore delle Acque non può, neanche dal punto di visto strettamente giuridico, intaccare i diritti del Comune: ma se anche questa possibilità vi fosse in ipotesi, urterebbe contro una impossibilità materiale che gli Uffici competenti senza dubbio dovranno rilevare nella pratica esecuzione di essa. Ne consegue sempre, in ogni caso, che la domanda Viscogliosi non possa avere la sua attuazione. A conclusione delle sue deduzioni, il Comune non può che ripetere quello che disse proprio l’ing. Viscogliosi nel sopralluogo del 25 agosto 1925: non per far dello spirito polemico, ma perché quelle parole interpretarono il pensiero dei cittadini tutti: “A ISOLA LE ACQUE DEI DUE RAMI DEL LIRI FORMANO UN TUTTO INSCINDIBILE CON LA CITTA’ ENTRO CUI SCORRONO E PRECIPITANO DANDO AD ESSA LA VITA. DEPAUPERARE ISOLA DELLE SUE ACQUE EQUIVALE A RENDERLA INABITABILE ED UCCIDERLA”. Nel contempo, il Comune di Isola del Liri incaricò il dott. Ing. Gino Macola di studiare ed allestire un progetto di esecuzione dell’impianto Correa alle seguenti prescrizioni ministeriali: 2.715 litri alla Cascata 5.085 litri a Villa Correa 8.700 litri al Valcatoio Il Ministero dei Lavori Pubblici aveva prescritto che la ripartizione dell’acqua a Villa Correa venisse fatta con tre bocche a stramazzo aventi quota identica di soglia e lunghezze proporzionali alle rispettive portate.

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Sostenne, invece, l’ing. Macola, per conto del Comune, “che lo scopo evidente del Ministero di eliminare contestazioni, non potrà essere raggiunto in pieno se i tre stramazzi, oltre ad avere le due caratteristiche principali, non saranno anche posti in identiche condizioni, o per lo meno il più identiche possibile, di funzionamento. Gli stramazzi dovranno anche rispondere ai seguenti requisiti:

1) Essi dovranno essere liberi ossia non rigurgitati. 2) Saranno senza corrente di arrivo o tutt’al più

piccolissima. 3) Avranno profilo identico e identiche condizioni di

impianto a monte e a valle. 4) Ciascuno sarà costituito da un’unica soglia con la

contrazione soppressa ai lati verticali. 5) Sarà prescelto il tipo di vena più adatto a

mantenersi stabile, indipendentemente dalle variazioni di portata del fiume.

6) Gli stramazzi dovranno dipendere da un unico specchio d’acqua affinché si abbia garanzia di identità di carico.

7) Gli stramazzi non dovranno portare pertubazioni nel regime del fiume.

8) La struttura dell’impianto dovrà dare affidamento di pacifico servizio”.

Il 16 maggio 1932, la terza Sezione del Consiglio Superiore delle Acque, ripercorsa la lunga e tormentata storia dell’utenza denominata Villa Correa, considerate le numerose opposizioni al progetto Viscogliosi del 23 marzo 1930, e che “le due fondamentali questioni da esaminare e da risolvere, sulle quali si basano sostanzialmente tutte le opposizioni, sono la ripartizione delle portate del Liri nei suoi vari stati e la competenza

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della Cascata”, ritenne fondata la tesi dell’ing. Masoni in merito alla sostituzione della prospettata bocca a battente rigurgitata con altra a stramazzo libero. Infatti, l’ing. Masoni aveva fortemente sostenuto che le opere previste dal progetto dell’ing. Rebaudi per conto dell’ing. Viscogliosi non erano tali da assicurare non solo la ripartizione delle acque nella magra ordinaria, perché potevano essere manomessi gli organi delle turbine, rendendo inefficaci i sifoni autolivellatori, ma neppure la proporzionale riduzione della portata negli stati al di sotto della magra ordinaria, perché rimanendo invariata la capacità di assorbimento delle turbine si veniva automaticamente a ripristinare il carico sulla bocca a battente della presa della Ditta Viscogliosi, e quindi a poter continuare a derivare la portata di litri 5.085 ad essa riconosciuti. Quindi, il Consiglio Superiore invitò la Ditta dell’ing. Viscogliosi a modificare il progetto del 23 marzo, studiando una soluzione che consentisse di sostituire la prevista bocca a battente rigurgitata con uno stramazzo libero, e che fissando alla stessa quota le soglie dei tre stramazzi sul ramo destro del Liri, sul braccio destro della Cascata ed alla presa Viscogliosi assicuri non solo nelle magre ordinarie, ma anche negli altri stati del fiume la proporzionalità per quanto possibile costante della portata fra i due rami del Liri, pur rimanendo invariata quella massima di competenza della Ditta Viscogliosi.

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La Ditta ing. Angelo Viscogliosi, con domanda e progetto del 27 agosto 1932, propose le nuove modalità di utilizzazione dell’intero salto disponibile. La Ditta stessa, con esposto e progetto del 16 giugno 1933, apportò ulteriori varianti all’utilizzazione proposta e derivazione di maggiore portata disponibile nel fiume.

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Si accentuano le lotte tra gli imprenditori isolani. Disciplinare del 6 dicembre 1939. La lunga vertenza legata alle vicende di Villa Correa si avviò verso la sua definizione. Ma dovranno trascorrere ancora diversi anni prima che l’intera questione trovi la sua regolamentazione con il nuovo disciplinare del 6 dicembre 1939, di cui parlerò dettagliatamente in seguito. Le controversie che avevano riguardato per un lungo periodo i rapporti tra il Conte on. Luigi Gaetani Di Laurenzana e la Società delle Cartiere Meridionali, prima, e, successivamente, tra queste e l’ing. Angelo Viscogliosi, si spostò tra le grandi famiglie della città: Mancini, Pisani, Viscogliosi. Un grave fatto avvenuto probabilmente durante la notte del 30 agosto 1934 rappresenta probabilmente il primo grave contrasto che si concluse con la fine delle industrie di Isola del Liri. Successe che ignoti manomisero la diga esistente sul ramo sinistro del fiume Liri, ai piedi della Cascata grande. La diga serviva a ripartire l’acqua alle concessioni delle utenze Ippolito & Pisani-Manna-Viscogliosi. La Società Anonima Ippolito & Pisani denunciò immediatamente il fatto doloso e chiese con lettera del 31 agosto 1934, a firma Eustacchio Pisani, (quasi sicuramente scritta da mio padre-nota dell’autore) inviata all’Ufficio del Genio Civile di Frosinone: “I danni riportati dalla diga risultano dalle unite fotografie e consistono:

a) rottura sul lato sinistro del manto a valle non intaccante il ciglio della diga;

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b) rottura sul lato destro intaccante per 4 metri di lunghezza a m. 1,50 di profondità il ciglio della diga.

La rottura di cui in a), può interessare la stabilità della diga stessa e occorre sia riparata prima del giungere delle piene invernali che potrebbero seriamente compromettere la stabilità; la rottura di cui in b) altera il livello delle acque a monte della diga a danno delle utenze Manna-Viscogliosi e della sottoscritta e a vantaggio della Ditta Angelo Mancini & Figli, a valle, e quindi è interesse della esponente di rimettere in pristino lo stato della diga stessa. Con l’occasione e con riferimento ad istanza presentata il 3 ottobre 1932, la ditta esponente segnala che il pilastro costruito dalla Ditta Angelo Mancini & Figli a valle del nostro scarico nel braccio destro del ramo sinistro del fiume Liri e di cui fu ordinata la demolizione da codesto On. Ufficio è stato demolito solo nella parte aerea, mentre quella subacquea sussiste per un’altezza di circa cm. 50 e per cm.60 di larghezza. Questo ostacolo al libero deflusso delle acque, stante il tenue sviluppo del ciglio della diga, provoca il rigurgito che danneggia l’entità dell’utenza a monte Ippolito & Pisani-Manna-Viscogliosi. Di conseguenza la Ditta esponente domanda che codesto On. Ufficio provveda ad ordinare la eliminazione completa del suddetto artificioso stato che danneggia il pieno, quieto godimento delle proprie concessioni”. L’ 11 settembre 1934, il Genio Civile di Frosinone autorizzò, ai sensi dell’art. 217 del T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775 i lavori di restauro della diga alle seguenti condizioni:

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1°) La ricostruzione delle parti asportate dovrà essere eseguita senza variazioni di posizione e forma, in confronto di quanto preesisteva; 2°) I lavori saranno eseguiti in modo da assicurare in qualunque tempo il regolare deflusso delle acque evitando danni alle sponde ed alle proprietà private; 3°) La presente autorizzazione è data senza pregiudizio dei diritti dei terzi ed i concessionari dovranno rendere sollevata e indenne l’Amministrazione concedente da qualunque molestia o gravame che potrà eventualmente provenire da parte di privati o enti interessati; 4°) I concessionari dovranno sottostare a tutte le disposizioni che potrà impartire l’Ufficio del Genio Civile di Frosinone, a suo giudizio insindacabile durante il corso dei lavori”. Questa controversia che, a prima vista, potrebbe apparire secondaria, assumerà in seguito un’importanza fondamentale, e porterà, verso gli anni ’50 del secolo scorso, alla realizzazione del partitore sotto la Cascata grande. Nel frattempo, erano state presentate all’Ufficio del Genio Civile di Caserta prima e poi a quello di Frosinone, istituito nel 1931, e succeduto nella competenza territoriale, 21 domande tecnicamente incompatibili con l’istanza 16 aprile 1920 e relativa variante. Invitato dal Ministero dei LL.PP., il Genio Civile di Frosinone, con relazioni del 22 giugno 1934 e 18 marzo 1938, riferì sulle suddette incompatibilità, sostenendo che non vi fosse più convenienza nell’attuazione di questa grande utilizzazione, tenuto conto dei potenziamenti e degli ammodernamenti apportati alle utenze preesistenti.

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Il Ministero dei LL.PP. (Div. 22^), con nota del 31 maggio 1939 n. 875/2504, inoltrò al Consiglio Superiore dei LL.PP. le suddette domande incompatibili e le relazioni del Genio Civile, chiedendo il parere. Il Consiglio Superiore dei LL.PP. si pronunciò in merito con voto n. 85 Sez. 3^ del 14 maggio 1940, esprimendo tra l’altro: “che, a conferma di quanto precedentemente ritenuto con voto 13 aprile – 17 maggio 1922 n. 186 del Consiglio Superiore delle Acque e con i propri voti 15 maggio 1923 n. 1198 e 29 giugno 1923 n. 2158, la domanda 16 aprile 1920 della Società delle Cartiere Meridionali – cui era subentrata prima la Società Idroelettrica Valle Liri e poi la Società Mediterranea di Elettricità – con relativa variante 14 marzo 1923 Maglietta-Canevari, sia meritevole di accoglimento e che la relativa concessione possa essere assentita alle condizioni suggerite con i detti voti; che prima dell’emissione di tale provvedimento di concessione, debbano però essere esaminati i risultati delle breve istruttoria compiuta sulla predetta proposta di variante Maglietta-Canevari; che in conseguenza della suddetta proposta, non possono essere ammesse ad istruttoria le domande tecnicamente incompatibili con la istanza di cui sopra, successivamente presentate, se non per concessione a titolo precario”. In conseguenza di tale voto, con nota n. 3952 del 26 settembre 1940, il Ministero dei LL.PP. chiese al Genio Civile di Frosinone di riferire sulle risultanze dell’istruttoria svolta in merito alla variante 14 marzo 1923 Maglietta-Canevari ed a predisporre il relativo schema di disciplinare.

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A questo punto, è bene ricordare i vari passaggi attraverso i quali titolare della domanda diventò la Società Romana di Elettricità. Infatti, la domanda originaria 16 aprile 1920, presentata dalla Società delle Cartiere Meridionali venne da questa trasferita alla Società Idroelettrica Valle Liri, come da dichiarazione del 7 luglio 1923 rivolta da entrambe al Ministero dei LL.PP. Alla Società Idroelettrica Valle Liri subentrò il 25 ottobre 1925, mediante fusione, la Società Mediterranea di Elettricità. Infine, alla Società Mediterranea di Elettricità subentrò, mediante fusione, la Società Romana di Elettricità, per atto del notaio Carlo Capo, in data 6 marzo 1940 n. 34431 di repertorio, e nella relativa notifica in data 21 maggio 1940 al Ministero dei LL.PP. alla lettera B n. 2 venne specificatamente menzionato il trapasso della domanda 16 aprile 1920. Nel frattempo, il 6 dicembre 1939, il Genio Civile di Frosinone aveva approvato il Disciplinare contenente gli obblighi e le condizioni cui avrebbe dovuto essere vincolata la concessione della derivazione d’acqua dal fiume Liri chiesta con istanza del 27 agosto 1932 e a seguito dell’esposto del 16 giugno 1933 dalla Ditta Comm. Ing. Angelo Viscogliosi. Il Disciplinare stabilì (Art. 1°) che “la quantità d’acqua da derivare dal fiume Liri in località Villa Correa rimane fissata in misura non superiore a mod. 66 (litri secondo seimila seicento) ivi inclusa la portata di mod. 50,85 di antico diritto. L’acqua verrà utilizzata a scopo di produzione di forza motrice destinata ad esclusivo uso dell’Azienda della Ditta concessionaria. Il dislivello medio del pelo d’acqua tra la presa e la restituzione, sarà di m. 27,88 (Art. 2°).

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Il dislivello fra i peli morti nei canali a monte e a valle dei meccanismi motori, sarà di m. 27,15 di cui m. 7 di antico diritto e m. 19,67 contemplati nella citata transazione. In conseguenza la forza nominale in base alla quale è stabilito il canone sarà pari a HP 2389,20 di cui HP 548,45 di nuova concessione ed HP 1840,75 in parte riconosciuti (HP 508,44) ed in parte (HP 1.332,31) per la utilizzazione del maggior salto di cui alla citata transazione 11 agosto 1906 (Art. 3°). Le opere di presa dell’acqua dal fiume Liri consisteranno in una bocca a stramazzo della lunghezza di m. 10,23 integrata da una bocca a stramazzo lunga m. 17,50 disposta presso che normale al ramo destro del Liri, denominato Valcatoio, e da un’altra bocca a stramazzo lunga m. 5,46 disposta presso che normale al ramo sinistro, detto Cascata; i tre stramazzi avranno i cigli perfettamente orizzontali alla quota di m. 244,13 (assunto come capo saldo di quota m. 246,83 la soglia del secondo cancello di Villa Correa) e con profili identici costituiti a monte da gradoni a pareti verticali, a valle da parete unica con pendenza I/I fino al fondo del canale di carico e raccordata al ciglio delle traverse con colmo cilindrico di raggio di m. 0,20. Lo stramazzo centrale risulterà obliquo al canale di carico e sarà sormontato da una parete verticale da battente, con ciglio inferiore orizzontale a quota di m. 244,13 come sopra riferita (Art. 4°). Affinché la portata di concessione non possa essere superata e non entri nella derivazione, fin dalla sua origine, una quantità d’ acqua maggiore della concessa, si dovranno costruire tutte le opere relative ai suddetti tre stramazzi ed al canale di carico come previsto nel citato progetto 16 giugno 1933 (Art. 5°).

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Il canale di carico, della lunghezza di m. 16 circa, seguito da una vasca di carico della lunghezza di m. 5,50 circa, limitata a valle dalle paratoie di presa e del canale di scarico della portata di piena, sarà eseguito in conformità del progetto 16 giugno 1933 avvertendo che dovranno prendersi tutte le precauzioni necessarie, che saranno indicate eventualmente dall’Amministrazione, per impedire l’infiltrazione delle acque ed i frammenti delle sponde (Art. 6°). Il canale di scarico del ramo sinistro del fiume Liri si eseguirà in località Villa Correa secondo le modalità risultanti dal progetto 16 giugno 1933 allegato al presente Disciplinare, salvo le varianti che saranno proposte e riconosciute ammissibili all’atto esecutivo (Art. 7°). La portata derivata in eccedenza sarà riversata a mezzo di apposito canale di scarico nel ramo sinistro del Liri con una bocca larga metri 3,30 munita di scaricatore automatico e di paratoia a comando, con il ciglio a quota di m. 243,85, alla stessa quota risulterà il ciglio orizzontale di uno sfioratore ausiliario lungo m. 8,70 ricavato lateralmente in sinistra di detto canale di scarico (Art. 8°). Il Disciplinare, dopo aver fissato una serie di garanzie e di obblighi a carico della Ditta concessionaria, anche in merito alla presentazione del progetto esecutivo e alla realizzazione dei relativi lavori, stabilì che “salvo i casi di rinuncia, decadenza o revoca, la derivazione è accordata per la parte che forma oggetto della ripetuta transazione 11 agosto 1906, fino al 31 gennaio 1977. Per quanto invece riguarda la parte di nuova concessione questa viene assentita in via precaria e cioè fino a quando non sarà attuata la più grande derivazione richiesta dalla Società Cartiere Meridionali (ora Società

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Mediterranea di Elettricità) con istanza 16 aprile 1920 e in ogni caso non oltre la cennata data del 31 gennaio 1977. Al termine della concessione e nei casi di decadenza o rinunzia, passeranno in proprietà dello Stato, senza compenso, tutte le opere di raccolta, di regolazione e derivazione, principali e accessorie, i canali adduttori dell’acqua, le condotte forzate ed i canali di scarico, il tutto in istato di regolare funzionamento (Art. 12°). La Ditta concessionaria corrisponderà alle Finanze dello Stato di anno in anno anticipatamente, a decorrere improrogabilmente dalla scadenza del termine assegnato per l’ultimazione dei lavori, l’annuo canone di £. 28.670,50 anche se non possa o non voglia fare uso in tutto o in parte della concessione, salvo il diritto di rinuncia ai sensi dell’art. 55, penultimo comma, del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775 e della lettera b) dell’art. 17 del Regolamento approvato con R.D. 14 agosto 1920, n. 1285. Detto canone risulta come segue:

a) per £. 6.101,28 relativamente a transazione sul diritto antico, per la portata di mod. 50,85 sul salto parziale, producendosi HP 508,44;

b) per £. 15.987,82 relativamente alla maggiore utilizzazione di cui alla transazione stessa; portata di mod. 50,85 maggior salto di m. 19,67, producendosi HP 1332,31;

c) per £. 6.581,40 relativamente a nuova concessione di aumento di portata di mod. 15,15 sul salto totale, producendosi HP 548,45.

Detto canone potrà però essere modificato con effetto dalla data sopra stabilita in relazione alle eventuali

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variazioni della potenza motrice, sia risultanti da varianti all’atto esecutivo, come da accertamenti da effettuarsi all’atto del collaudo. All’art. 12° il Disciplinare stabilì che “al Comune rivierasco di Isola del Liri, nel tratto compreso tra il punto ove ha termine praticamente il rigurgito a monte della presa ed il punto di restituzione, sarà dalla Ditta concessionaria riservata complessivamente una quantità di energia corrispondente ad HP 11 da consegnarsi all’Officina di produzione”.

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Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, riprende l’attività industriale, ma il conflitto tra le famiglie Mancini, Pisani e Viscogliosi, causato dalla utilizzazione delle acque del ramo sinistro del Liri, diventa sempre più duro. Il 30 ottobre 1946, Costantino Mancini, titolare e rappresentante della Cartiera Angelo Mancini, titolare del diritto, ab antiquo, di derivazione di acqua dal ramo sinistro del Liri, a valle della Cascata verticale, inviò un esposto alla Direzione Generale delle Acque ed Impianti Elettrici contro la Società Anonima Ippolito & Pisani, aprendo così un altro lungo periodo di ostilità tra le grandi famiglie industriali di Isola del Liri. In buona sostanza, Costantino Mancini sostenne che alla base della Cascata erano esistite da epoca immemorabile due derivazioni di proprietà Manna e Arcari, prima, e Viscogliosi-Manna e S.A. Ippolito & Pisani, dopo. Le due derivazioni venivano da sempre praticate mediante due dighe di presa distinte e separate, una in sponda sinistra e l’altra in sponda destra, e tra esse correva una soluzione di continuità dalla quale le acque scorrevano liberamente a valle. Soltanto in epoca recente, senza alcuna autorizzazione, era stato modificato lo stato dei luoghi, sostituendo le due dighe con un unico manufatto che collegava trasversalmente le due sponde del fiume. Di questa nuova opera – asserì il Mancini – non si rinvenne alcuna traccia dalle puntuali ricerche effettuate per conto della Cartiera Angelo Mancini, fortemente

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danneggiate dall’opera in argomento, in quanto la propria derivazione insisteva a valle di quelle già descritte. Infatti, il Decreto del Prefetto di Caserta in data 6 febbraio 1899, emesso per autorizzare la sistemazione delle opere di derivazione e presa della concessione Manna-Viscogliosi, richiesto dal Comune di Isola del Liri in base al progetto dell’ing. Bruno del 23 febbraio 1896, venne esplicitamente esclusa la possibilità della riunione delle due dighe in un unico manufatto, mettendo in evidenza che “riunendo le dighe Arcari a sinistra e Manna a destra, come l’ing. Sasso vorrebbe, si altera evidentemente lo stato dei luoghi, senza averne il diritto”. D’altra parte, secondo Costantino Mancini, nessuna menzione in tal senso si evinceva dal Decreto di concessione alla Ditta Ippolito del 28 agosto 1905 n. 5999, dall’istanza del 19 agosto 1913 della Ditta Ippolito & Pisani rinnovata nel 1916 e dal disciplinare di concessione del 27 novembre 1927. Se ne parlò invece, per la prima volta, il 21 marzo 1933, in sede di rinnovo della concessione a favore della Ditta Ippolito & Pisani, nel progetto dell’ing. Guido Miglia, nel quale si indica la diga in un’unica opera senza soluzione di continuità. La diga, nella consistenza all’epoca dell’esposto, apparve nell’ultimo disciplinare di concessione a favore della Ippolito & Pisani con la precisazione che le opere consistevano “in una diga in muratura che sbarra completamente l’alveo del ramo sinistro del fiume Liri ai piedi della Grande Cascata di Villa Correa”. “Tale opera – sostenne nell’esposto Costantino Mancini – che fu effettivamente eseguita dalla Ditta Ippolito & Pisani tra il 1931-32 con il pretesto di ripulire l’alveo del fiume, facendo prima un riempimento di materiale nell’alveo e completata successivamente con

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sopraelevazione, anziché avere un quota unica, va crescendo da destra a sinistra fino a raggiungere un dislivello dalla quota di riferimento di cm. 44, per poi discendere nello sfioratore sinistro. I due sfioratori della diga presentano un dislivello di cm. 33. La nuova opera, così praticata, che ha modificato radicalmente lo stato di fatto preesistente, mai specificatamente autorizzata, ed anche se autorizzata implicitamente attraverso il nuovo disciplinare del 1937, si è dimostrata quanto mai nociva al regime regolare del corso di acqua pubblica. Un danno diretto e concreto deriva alla Ditta esponente nella propria derivazione a valle, in quanto, specialmente in periodo di magra, viene ad essere sottratta alla propria utilizzazione una notevole quantità di acqua di propria competenza, che prima scorreva liberamente attraverso la soluzione di continuità esistente nelle opere preesistenti. In periodo di magra, trattenendosi a monte della diga tutta la portata del fiume, il bacino sottostante che attraversa il centro del paese, rimane completamente all’asciutto, e viene a costituire con la melma in esso esistente, un focolaio di infezione e di malaria con evidente pregiudizio della sanità pubblica e dell’igiene”. E’ stato già detto che durante la notte del 30 agosto 1934, ignoti malviventi manomisero la diga come sopra modificata, costringendo la Ippolito & Pisani a denunciare l’accaduto al Genio Civile di Frosinone. Per diversi anni, la controversia che per circa un secolo aveva caratterizzato le derivazioni a monte della Cascata, si spostò a quelle insistenti a valle. Il 15 luglio 1947, la Cartiera Angelo Mancini denunciò al Sindaco che “da alcuni giorni sono stati posti sul ciglio della diga, a piè della Cascata verticale ed inserviente la

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utenza della ditta Ippolito & Pisani, alcuni grossi blocchi in modo da formare uno sbarramento. Detta diga è già di per sé stessa un’opera abusiva ed è attualmente in corso una pratica presso l’Ufficio del Genio Civile di Frosinone per la demolizione di detto manufatto, il quale è dannoso, non soltanto alla utenza della sottoscritta, ma anche a tutta la zona rivierasca, in quanto – in inverno, con le piene – spesso si allagano tutta la via Cascata ed i terranei in detta via esistenti; ed in estate, in periodo di magra del fiume, il bacino sottostante, posto nel punto centrale del paese, rimane asciutto ed è perciò dannoso all’igiene del paese. L’inconveniente sopra denunciato si aggiunge, quindi, ad un abuso preesistente e ci reca perciò maggior danno in questo momento che il fiume Liri è povero di acqua, mentre quella che scende dalla Cascata viene derivata dagli utenti a monte. Per quanto sopra preghiamo la S.V. di voler disporre che siano rimossi i blocchi di pietra posti sulla diga onde evitarci danno”. Il 16 luglio 1947, Costantino Mancini espose al Genio Civile di Frosinone la situazione del ramo sinistro del Liri, chiedendo che, in conformità all’art. 7 del D.M. 27 marzo 1937 n. 390, fosse ingiunto alla Società Anonima Ippolito & Pisani di mettere a disposizione della Cartiera Angelo Mancini i mod. 8,75 concessi alla prima solo precariamente e sub conditione e riservati alla Cartiera in caso di magra del Liri e di disporre un sopralluogo per accertare gli abusi delle derivazioni situate a monte e per impartire tutte le disposizioni necessarie al fine di un’equa disciplina e regolamento delle acque. Il 18 luglio 1947, 34 lavoratori dipendenti della Cartiera Angelo Mancini, tra i quali la cara amica Silvia Ciccodicola, inviarono un esposto alla locale Camera del

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Lavoro, affermando che “da tre giorni, e precisamente nei giorni 16, 17 e 18, si sono verificate molte ore di interruzione nel lavoro della fabbrica nella quale siamo impiegati, a causa della mancanza di acqua nel fiume Liri, e propriamente nel tratto antistante la Cartiera Mancini, a valle del ponte di Napoli, cioè nel punto centrale del paese. Noi tutti abbiamo osservato che l’acqua, pur scendendo dalla Cascata verticale, viene assorbita completamente dagli utenti situati a monte, vale a dire dalle Ditte Ippolito & Pisani, a destra, e Viscogliosi e Pagnanelli (già Manna), a sinistra, le quali, poi, la scaricano oltre la concessione della Ditta Mancini. Ci risulta pure che la diga posta sotto la Cascata è un’opera abusiva ed illegale, in quanto non ne venne mai autorizzata da alcun ente o organo tecnico la costruzione. Tale sbarramento – costruito in maniera del tutto irregolare, con forte dislivello verso la concessione Pisani – favorisce, soprattutto in questo periodo di magra del fiume, una maggiore derivazione di acqua della stessa Ditta Ippolito & Pisani e delle altre suddette, a tutto danno della concessione della Ditta Mancini, i cui impianti, per mancanza di acqua, lavorano in maniera ridotta, o, come è accaduto in questi giorni, devono addirittura arrestarsi completamente.. La Ditta Mancini ha da tempo denunciato tali gravi inconvenienti all’Ufficio del Genio Civile ed al Ministero dei Lavori Pubblici, e sollecitato più volte l’interessamento e l’intervento di tali Enti per la definizione di queste serie questioni e per la demolizione della diga abusiva. Sta di fatto che gli inconvenienti lamentati pongono la Cartiera Mancini in una situazione di inferiorità e molto

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dannosa, la quale di conseguenza si riflette a danno di noi sottoscritti che lavoriamo alle dipendenze della suddetta azienda. Le interruzioni di lavori, a causa della mancanza di acqua, se creano difficoltà alla ditta per la sua produzione, cagionano un danno diretto a noi sottoscritti, in quanto perdiamo molte ore di lavoro. Per quanto sopra esposto, noi sottoscritti eleviamo formale protesta contro gli abusi delle ditte situate a monte: Ditta Ippolito & Pisani, Ditta Viscogliosi e Pagnanelli e chiediamo che codesta Spett.le Camera del Lavoro, facendo propria la presente protesta, voglia spiegare tutto il suo interessamento presso l’Ufficio del genio Civile di Frosinone, per ottenere che il suddetto ufficio voglia provvedere: 1° - alla sollecita definizione delle pratiche e delle istanze presentate dalla Ditta Angelo Mancini. 2° - disporre la demolizione della diga costruita abusivamente a piè della Cascata, la quale opera in questo periodo di magra del fiume si dimostra particolarmente dannosa. 3° - disporre, inoltre, - e perdurando l’attuale situazione del fiume – una equa ripartizione delle acque del ramo sinistro del Liri fra varie ditte utenti, stabilendo, se sarà necessario, dei turni di utilizzazione, in modo da consentire a tutti di poter lavorare. Facciamo appello alla solidarietà di codesta Spett.le Camera e siamo sicuri che il suo intervento varrà a sventare le prepotenze altrui e che sia fatta opera di giustizia a tutela dei nostri interessi.

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Anche noi, dopo molti anni di disoccupazione ed ora che la nostra fabbrica ricostruita ha ripreso la propria attività, abbiamo diritto al lavoro ed a vivere”. Anche i cittadini, residenti in via Cascata, si associarono alla protesta, inviando un esposto al Genio Civile di Frosinone, con il quale fra l’altro denunciarono che “la diga, anni addietro, non esisteva e le acque del fiume, nel ramo sinistro, defluivano liberamente a valle attraverso una scogliera naturale dell’alveo, la quale non formava alcun impedimento. Tale opera, costruita mano a mano e rialzata poco alla volta ha formato uno sbarramento alle acque, determinando così un sopraelevamento del livello del fiume a monte. Questo sbarramento costruito in modo del tutto irregolare e senz’alcun criterio tecnico, si è dimostrato particolarmente dannoso a tutta la zona rivierasca, nella quale noi sottoscritti dimoriamo”. Nella vicenda si inserì l’ing. Angelo Viscogliosi, che con lettera inviata il 30 luglio 1947 all’Ing. Capo del Genio Civile affermò tra l’altro che “il ciglio della cosiddetta diga è stato portato in gran parte ad una quota superiore del ciglio dello sfioratore dell’utenza Arcari-Pisani, ciò non è assolutamente lecito, perché, così facendo, si fa sfiorare una lama d’acqua maggiore del necessario sul ciglio del detto sfioratore e si arreca un rigurgito alla utenza della Villa Correa superiore a quello che effettivamente detta utenza debba sopportare”. Insomma, la Società Anonima Ippolito & Pisani, il cui titolare era stato Podestà di Isola del Liri per il periodo dal 1931 fino al 1944, si trovò completamente isolato, stretto

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nella morsa rappresentata dall’ing. Angelo Viscogliosi, a monte della Cascata, e da Costantino Mancini, a valle, e pressata dall’ostilità della popolazione, ritornata ai vecchi amori socialcomunisti, dopo la caduta del Fascismo. Intanto, il Sindaco Andrea Gallone, il 21 agosto 1947 inviò una lettera alla ditta Ippolito & Pisani, e per conoscenza al Genio Civile, con la quale precisò che “prescindendo dalla arbitrarietà o meno della costruzione della diga esistente ai piedi della Cascata, l’Amministrazione Comunale non può fare a meno, nell’interesse generale del paese, di insorgere contro le conseguenze che derivano dall’opera in atto, che ha pregiudicato il regime del corso del Liri immediatamente a valle della Cascata verticale, e particolarmente, in periodi di piena, per gli straripamenti che sovente si sono verificati a monte della diga, causando pericoli e danni alla zona rivierasca; ed in specie nel periodo di magra, quando il letto del corso d’acqua pubblica viene lasciato quasi completamente all’asciutto, con ristagno delle poche acque defluenti, fatto questo che costituisce, oltre che una bruttura dal punto di visto estetico, un fomito di anofeli ed altri insetti, dando un pessimo odore derivante dalla melma, a tutto discapito della salute pubblica e dell’igiene dell’abitato”. Intanto, in relazione alle forti contestazioni, il Genio Civile aveva disposto i necessari accertamenti che furono espletati il 30 luglio 1947, dai quali venne rilevato che “i lavori di restauro della diga al piede della Cascata, autorizzati da questo Ufficio con determinazione 11 settembre 1934 n. 8714 in accoglimento delle richieste 31 agosto e 1° settembre 1934 delle Ditte Ippolito & Pisani e Angelo Viscogliosi, non sono state paranco eseguiti” ed il successivo 12 agosto 1947 ne dispose la effettuazione.

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A seguito di tale decisione, insorse l’ing. Angelo Viscogliosi, tramite l’avv. Giuseppe Conte di Roma, il quale con atto dichiarativo e di diffida in data 15 settembre 1947 sostenne che “inopinatamente l’Ufficio del Genio Civile autorizzava la Ditta Ippolito & Pisani ad eseguire pretesi lavori di riparazione alla diga in contestazione, affermando la urgenza dei lavori stessi, mentre risulta per tabulas che la Ditta Ippolito & Pisani aveva richiesto detta autorizzazione sin dal 1934, e malgrado le fosse stata concessa non aveva mai proceduto alla esecuzione dei lavori autorizzati”. E poiché ritenne che “il Genio Civile non avrebbe dovuto autorizzare le opere in pendenza della istruttoria sulla legittimità della diga e sugli effetti della medesima sul buon regime del corso di acqua pubblica, in quanto è palese la contraddizione tra gli accertamenti disposti dal Ministero per stabilire se la diga dovesse essere mantenuta nella sua attuale consistenza e la ricostruzione e riparazione della medesima, tanto più che da quasi cento anni la diga era rimasta salda ed intatta nelle attuali condizioni”, diffidò l’Ing. Capo del Genio Civile di Frosinone a disporre la immediata sospensione dei lavori e rimozione delle nuove opere eseguite oltre i limiti della ordinanza 12 agosto 1947. La Società Anonima Ippolito & Pisani, per far valere le sue ragioni, il 16 settembre 1947 inviò un esposto al Ministero dei Lavori Pubblici – Direzione Generale delle Acque, premettendo che “la portata di 7.800 litri è assegnata, per tradizione, al ramo sinistro (mentre al ramo destro è assegnata quella di 8.700) ed in base ad essa sono state assentite le concessioni alle tre ditte utenti, con la formula “secondo la disponibilità dell’acqua e salvi i diritti dei terzi”.

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E’ facile immaginare come in tali condizioni possano facilmente nascere urti fra i tre utenti, quando, come avviene quasi sempre durante l’estate, la portata del ramo sinistro scende, e anche di parecchio, sotto ai litri 7.800. La Ditta Mancini, ricevendo l’acqua di supero, si trova, naturalmente, in una situazione sfavorevole rispetto alle altre due ditte ed essa potrebbe tutt’al più, trovandosi in regola coi propri impianti, invocare adeguati provvedimenti da parte delle autorità competenti. Essa ditta, invece, impostando la questione in modo del tutto errato, ha ora organizzato, solo per ostacolare in qualsiasi modo e sistematicamente le pratiche della nostra ditta, una feroce campagna contro la riparazione della diga sotto alla Cascata, da noi per la terza volta richiesta al Genio Civile, al solo scopo di evitare gravi danni alle opere preesistenti e alla nostra utenza. Dopo questa premessa, il ricorso della Società Ippolito & Pisani ribadì che la propria utenza e quella Manna-Viscogliosi erano sempre state servite dalla diga naturale posto sotto la cascata. La diga aveva subito, in epoca anteriore al 1904, gravi danni, per cui la Società Ippolito & Pisani aveva presentato il 29 giugno 1904 domanda e regolare progetto per la riparazione. La pratica aveva avuto un regolare svolgimento, tanto che con decreto del 19 giugno 1905 n. 20676 venne autorizzata la riparazione, con le norme stabilite nel disciplinare del 26 febbraio 1905, secondo il progetto dell’Ing. Federico Lauro-Grotta. Il collaudo dell’opera fu certificato l’ 11 dicembre 1905. Con il passare degli anni, però, “la struttura sopra detta, per opera del tempo e delle piene ed anche di gente male intenzionata, ha subito corrosioni,

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asportazione di notevole parte del paramento a valle, ecc., sicchè la nostra ditta ha fatto ancora domanda di procedere alla riparazione, sempre sulla base del progetto anteriore che ormai faceva legge; e ne ebbe regolare autorizzazione con ordinanza n. 8714 dell’11 settembre 1934. Successivamente, è stata ancora ripresa la pratica con esposto dell’Ing. Viscogliosi in data 25 agosto 1943 al Genio Civile, ma anche questo tentativo ha dovuto essere abbandonato, a causa della stagione avversa, ma specialmente a causa dei noti avvenimenti bellici. Di recente, e precisamente il 27 luglio 1947, la nostra ditta ha avanzato una nuova richiesta di riparazione, tenendo conto delle condizioni assolutamente precarie della sua struttura. La nostra richiesta, mentre in passato non aveva sollevato opposizioni sostanziali ed in ogni modo non riguardanti il fatto specifico della riparazione, questa volta è stata fatta segno ad una generale ed organizzata sollevazione, non solo della Ditta Mancini, ma anche da chi avrebbe interesse alla riparazione stessa, fino a provocare il sopraluogo del 30 luglio 1947, nel quale si è perfino sentito accennare alla convenienza di demolire la diga. La nostra Ditta, in seguito alla ordinanza n. 21835 del 12 agosto 1947, ha senz’altro intrapreso i lavori il 1° settembre 1947, per non perdere questo residuo di stagione propizia e, naturalmente, si è attenuta scrupolosamente alle prescrizioni che precisano la costruzione in modo inequivocabile e che, sole, possono dettare legge e alle quali, per forza di cose, noi dovevamo attenerci, quando il Genio Civile, nella sua ordinanza, mette una formula generica come la seguente: “Senza variazioni di posizione e di forma in

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confronto di quanto preesisteva”; tenuto poi presente che il ciglio rilevato dall’Ufficio del Genio Civile il 29 luglio 1947, corrisponde come quota, salvo qualche centimetro, qua e là, al ciglio prescritto dalla stessa autorità nel 1905, e che le differenze di qualche centimetro, in questo genere di costruzioni, si possono tollerare tranquillamente. Ora, a circa metà dei lavori di riparazione, altre rinnovate opposizioni, altre proteste partenti sempre dalla medesima ditta, alle quali il Genio Civile non vuole o non sa opporre una resistenza fondata su elementi incontestabili, di cui è in possesso, sorgono a disturbare i nostri lavori. La ditta Mancini persiste nella sua errata opinione che il profilo della diga riparata, che essa, priva com’è di dati tecnici sulla diga preesistente, definisce nuovo, mentre non è che quello del 1905 in tutto e per tutto, possa impedirle di ricevere o meno la detta portata che dipende invece dalla quantità di acqua che giunge al bacino e non dalla discrezione delle due utenze a monte, Pisani e Manna-Viscogliosi. La ditta Viscogliosi protesta anch’essa, mentre dovrebbe essere al pari di noi interessata al mantenimento integrale della diga, essendo quest’ultima inserviente la sua utenza promiscua a quella Manna. Siccome però il suo più importante impianto di Villa Correa scarica nel bacino a monte della diga, essa tiene più all’aumento del salto che ne risulterebbe a favore di Villa Correa con la trascurata manutenzione della diga, che alla salvaguardia dei diritti Manna-Viscogliosi; trova più conveniente di opporsi alla riparazione; anzi nell’agosto del 1943, in occasione della ripresa della pratica a cui abbiamo accennato, e negando qualsiasi concorso nella spesa, dichiarava che avrebbe più

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interesse alla demolizione della diga che alla sua riparazione, per realizzare il suddetto aumento di salto”. Il ricorso della Società Ippolito & Pisani evidenziò le forti responsabilità della Ditta Viscogliosi, richiamando ancora una volta la ripartizione delle acque tra i due rami del fiume Liri che “secondo il Ministero aveva principalmente lo scopo di assicurare la invariabilità del rapporto idrico fra ramo destro e ramo sinistro”. A tale scopo il Ministero aveva prescritto alla Ditta Viscogliosi la realizzazione di organi di scarico automatici, per ripristinare il livello costante dell’afflusso dell’acqua non assorbita dalle turbine durante le fermate della centrale o le variazioni di carico, onde mantenere invariata la competenza del ramo sinistro che alimenta le utenze a valle della Cascata. “E’ evidente che, non essendo gli organi di scarico automatici, la ripartizione fra i due rami starebbe nelle mani della ditta Viscogliosi. Ebbene, lo smaltimento della portata di 5.085 litri a centrale ferma e la corrispondente portata a centrale funzionante a carico ridotto, è affidato, non ad una paratoia automatica, come è stato prescritto e progettato, ma ad una normale paratoia a diaframma piano manovrabile soltanto a mano, oltre che ad uno sfioratore ausiliario, insufficiente allo scopo, e non adatto a mantenere costante il livello nella vasca di carico. Il giorno 8 settembre 1943 il Genio Civile stava eseguendo una verifica della nuova presa abusiva del Pistolegno Viscogliosi e successivamente dovevasi procedere alla verifica o collaudo di Villa Correa. La proclamazione dell’armistizio ha sconvolto le cose; il collaudo è stato sospeso e fino ad oggi, a quattro anni di distanza dall’armistizio, non è stato ancora ripreso.

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Ognuno ben comprende che il Viscogliosi, manovrando a suo piacimento la sopra detta paratoia di scarico non automatica, può mandare più o meno acqua da una parte o dall’altra e può per esempio, a scapito del ramo sinistro, impinguare il ramo destro, ove egli ha, subito a valle dello stramazzo Valcatoio, la sua presa abusiva del Pistolegno. Del resto, pochi giorni or sono, l’Ing. Campanelli del Genio Civile di Frosinone, accedendo all’impianto di Villa Correa, ha potuto constatare che il Viscogliosi aveva costituito un interramento sulla bocca centrale di Villa Correa, allo scopo di togliere acqua al ramo sinistro ed aumentare quella del destro. Tolto l’interramento, il ramo sinistro, naturalmente, ha avuto subito più acqua. Ma la ditta Mancini non si incarica di tali fatti, ma guarda solo il centimetro sulla diga che la nostra ditta è disposta a regalarle e non cura, o per ignoranza sulla costituzione degli impianti limitrofi, o per incompetenza, o forse per il fatto che il Viscogliosi è suo alleato per far sospendere le riparazioni della diga e possibilmente per demolirla. Non cura diciamo ciò che veramente costituisce la causa dei suoi malanni, all’infuori di quelli che provengono dalle condizioni del fiume. Noi saremmo molto grati a codesto Ministero se volesse far cessare, una volta tanto, questo stato di cose, che da parte nostra è trattato con regolarità e scrupolo nell’osservanza dei decreti e dei disciplinari e da parte avversaria con mania litigiosa, con incompetenza, non disgiunta talvolta da malafede, e se volesse di conseguenza dare le opportune istruzioni al Genio Civile per troncare subito ogni discussione inutile e dannosa

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per tutti e procedere sulla via della legalità e della buona tecnica. La nostra ditta non si rifiuta certamente di studiare, con l’intervento delle Superiori Autorità, dopo avere constatata la reciproca regolarità delle concessioni e degli impianti, il modo di migliorare, possibilmente, le condizioni della Ditta Mancini in epoche di magre eccezionali del Liri, ma non può tollerare che essa ditta coinvolga la sua situazione in tali epoche, con la riparazione della diga e col suo ripristino allo stato regolare di concessione, preesistente, che sono nel nostro pieno diritto. Oltre a questa controversia riguardante la riparazione della diga sotto la Cascata, esistente principalmente con la Ditta Mancini, ve ne è purtroppo un’altra, forse più complessa, sulla quale dobbiamo riservarci di esporre, in caso di necessità, le nostre ragioni, quando saranno stati effettuati rilievi nei rispettivi impianti, in contraddittorio fra i tecnici delle parti. Tale controversia riguarda il noto disciplinare suppletivo firmato dalla nostra ditta in data 9 dicembre 1942 che riduce a litri 33 gli 875 litri di concessione precaria, contemplati nel disciplinare precedente n. 460 del 1° settembre 1936, litri che erano da restituirsi parzialmente o totalmente nel fiume nelle epoche di magra del Liri, riduzione che il Genio Civile ha autorizzato in seguito a rilievi effettuati presso la ditta Mancini, da questa contestati ed ora da ripetersi”. La Società Anonima Ippolito & Pisani, in data 31 ottobre 1947, fece seguito con atto dichiarativo e di diffida, a firma dei Sigg. Pisani Gr.Uff. Francesco e Cav. Antonio, con il quale, ripercorsa succintamente la storia della controversia, dopo aver ribadito che “i motivi addotti per l’invocata sospensione dei lavori di riparazione della

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diga non avevano alcun serio fondamento, ed il ritardo nel procedere alle riparazioni dell’intera diga, compreso l’ultimo tratto Manna-Viscogliosi, può essere di incalcolabile pregiudizio per la Ditta Ippolito & Pisani, la stessa, pur riservandosi di sperimentare ogni e qualsiasi azione in sede competente, non può se non far risalire la responsabilità per gli eventuali danni a chi ha intralciato l’esecuzione dei lavori (ritenuti necessari dal competente Ufficio), e, cioè, alla Ditta Angelo Viscogliosi, eventualmente in solido ad altri responsabili. Ma, indipendentemente da questo intervento della Viscogliosi presso gli Uffici competenti durante tali lavori di riparazione, la Ditta istante è di continuo pregiudicata dalla stessa Ditta Ing. Angelo Viscogliosi nell’esercizio dei propri diritti. Nel progetto esecutivo dell’impianto di Villa Correa veniva garantito di mantenere automaticamente e perennemente alla Cascata una quantità di acqua non minore di litri 2.715 al secondo; e nei disciplinari venivano consacrate condizioni a tutela dei diritti e degli interessi degli altri utenti. Senonchè, il rapporto fra le portate dei due rami del Liri, a monte delle cascate, risulta spesso alterato a danno delle utenze del ramo sinistro, fra le quali è compresa quella della Ditta istante, e tale alterazione non può dipendere se non dalla soprastante utenza di Villa Correa, e dal metodo di esercizio della stessa”. L’atto dichiarativo della Società Ippolito & Pisani respinse, perciò, le accuse formulate dall’Ing. Viscogliosi con l’atto di diffida del 15 settembre 1947 e impugnò l’atto stesso in ogni sua parte, protestando vivamente contro la Ditta Ing. Angelo Viscogliosi alla quale, congiuntamente e solidalmente ad altre Ditte ricorrenti, si faceva risalire la responsabilità di tutti i danni che si

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sarebbero comunque verificati per effetto della mancata riparazione o solo per il ritardo nella riparazione della diga e diffidò l’Ing. Viscogliosi a regolare il deflusso delle acque nei due rami del Liri, in base al rapporto di competenza, per permettere alla Ditta istante, utente del ramo sinistro, di utilizzare la portata che era stata legittimamente assentita. Infine, la Società Ippolito & Pisani diffidò la Ditta VIiscogliosi ad astenersi nel modo più assoluto dal riversare nel bacino sottostante alla Cascata verticale qualsiasi materiale di rifiuto e provvedere anche al più presto possibile alla rimozione di quanto vi era precipitato o vi era stato fatto precipitare dai suoi dipendenti. Ma, a mano a mano che la controversia saliva di intensità, aumentavano le iniziative della Società Ippolito & Pisani che, in data 22 marzo 1948, inviò al Ministero dei LL.PP. – Direzione Generale delle Acque un esposto riassuntivo per ristabilire, secondo la ditta stessa, la verità che riteneva essere stata costantemente alterata nei numerosi ricorsi presentati nei lustri precedenti. Tutti questi ricorsi avevano avuto sempre lo scopo, con un capovolgimento di responsabilità, di mascherare tutti gli abusi che da anni si andavano perpetrando in aperta violazione delle leggi e delle disposizioni impartite dagli Uffici competenti. “La Ditta Ippolito & Pisani che, col rigoroso ossequio alle norme di legge, ha sempre scrupolosamente rispettato i diritti degli altri, pur tutelando i propri, avrebbe preferito continuare ad ignorare queste manovre se le stesse non minacciassero seriamente i suoi interessi. Specie in un momento in cui deve dedicare in pieno la propria attività alla ripresa ed allo sviluppo della sua industria (Fabbrica di Feltri per Cartiere) cui tante altre industrie italiane, fra le maggiori, sono collegate.

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Il conflitto di interessi fra i vari utenti, che continua a manifestarsi con una sequela di opposizioni, diffide, controdiffide e ricorsi, obbligando i Superiori Uffici a dedicare tanto tempo allo studio di temperamenti contingenti, specie in periodi di magra del fiume, può essere definitivamente eliminato soltanto se, applicando rigorosamente le norme di legge in vigore, si riuscirà a reprimere gli abusi che hanno sempre turbato i rapporti fra i vari utenti. La controversia verte principalmente su alcuni punti, che la sottoscritta illustrerà brevemente e, spera, esaurientemente”. L’esposizione iniziò con la storia della concessione ex Courrier, alla quale era succeduta la Ditta Angelo Mancini, di litri 2885, a valle del ponte Napoli. La Ditta Courrier aveva ottenuto la concessione di 2.885 litri con Decreto del 17 settembre 1874, per sviluppare la potenza di 193 HP nominali. Detta concessione fu, però, dichiarata decaduta il 31 dicembre 1903, a seguito di dissesto finanziario e cessazione di attività della Ditta Courrier. A seguito di tale dichiarazione di decadenza, la Ditta Ippolito & Pisani chiese che lo scarico dei suoi litri 1.940 anziché a monte fosse effettuato a valle della diga Courrier. Nello stesso tempo, la Ditta Viscogliosi, coutente della derivazione Manna, chiese di derivare altri 600 litri, in aumento della portata di tale ultima derivazione, con scarico a valle della diga Courrier. Dopo diversi anni, e precisamente nel 1913, la Ditta Angelo Mancini & Figli acquistò gli stabilimenti ex Cartiera Courrier e con istanza 23 marzo 1918 chiese il rinnovo della concessione scaduta.

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Detto rinnovo venne disposto con Decreti Ministeriali n. 1324 del 16 febbraio 1921 e n. 2703 del 10 aprile 1923 con la prescrizione che “non si dovessero apportare variazioni alle opere di presa rispetto a quelle fissate col Decreto 17 settembre 1874”. Il disciplinare del Genio Civile di Caserta del 30 giugno 1920 n. 1190, precisò la concessione di litri 2.885, con un salto di m. 4,88 per produrre 187,71 HP nominali, con la prescrizione alla Ditta Mancini di costruire uno stramazzo di fronte alle bocche 1-2-3-4-5 ed uno di fronte alla bocca 6: stramazzi liberi secondo il progetto 22 maggio 1905, a firma dell’Ing. Bomano, con soglie a quota fissata nel progetto stesso. Ma, secondo la Società Ippolito & Pisani, dette costruzioni non furono mai eseguite, aggiungendo che, mentre alla Ditta Mancini era stata assentita la concessione così come l’aveva usufruita la dante causa Ditta Courrier per il Decreto 17 settembre 1874, in realtà essa aveva apportato variazioni radicali rispetto alla primitiva, mediante variazioni di soglie e di scarichi, “non tutte controllabili per la specialissima condizione di privilegio in cui la Mancini si trova rispetto agli altri: quella, cioè, di avere gli impianti in una zona chiusa, sottratta ad occhi estranei”. Poiché la concessione di cui al Decreto Ministeriale n. 1324 del 16 febbraio 1921 era scaduta e la successiva istanza 13 marzo 1933 non era stata tempestivamente rinnovata, la Società Ippolito & Pisani suggerì all’Ufficio competente di risolvere il problema, sottoponendo l’istanza a regolare istruttoria. In quella sede si sarebbe verificato lo stato degli scarichi che la Ditta Mancini aveva abusivamente modificati all’interno dello stabilimento a danno della Società Ippolito & Pisani.

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“Al riguardo la sottoscritta dichiara formalmente di essere a disposizione del Ministero e del Genio Civile per qualsiasi ispezione, in contraddittorio, su tutte le utenze, a cominciare dalla propria, purchè sia fatta luce completa sulla situazione del ramo sinistro del Liri, oggi ingarbugliata ad opera di chi ne ha tratto o pensa trarne profitto”. La Società Ippolito & Pisani denunciò che la Ditta Mancini, il 20 marzo 1935 chiese di poter utilizzare i superi della portata di magra ordinaria fino ad un massimo di 2.000 litri, progettando opere per garantire i diritti degli utenti a monte dalle sopraelevazioni del pelo di acqua a valle della diga destra Courrier, punto di scarico in ramo destro della progettata utilizzazione. Ma, sostenne la Società Ippolito & Pisani, l’istruttoria relativa a questa domanda non ebbe mai luogo. Ciononostante, la Ditta Mancini realizzò l’impianto e lo mise in funzione. Il Genio Civile di Frosinone nel constatare tale abuso rilevò che la Ditta Mancini, anziché abbassare il ciglio della diga Trito posta a valle dello scarico, così come era stato progettato dalla stessa ditta, di 9 centimentri, lo aveva rialzato di 22 centimetri, procurando notevoli disturbi alla derivazione Ippolito & Pisani, anche perché la Ditta Mancini non aveva neanche provveduto ad un progettato scarico provvisorio funzionante sincronicamente alla chiusura della presa. A seguito di detti rilievi, il Genio Civile, con ordinanza del 7 novembre 1939 n. 10093 diffidò la Ditta Mancini: a) a desistere dalla abusiva derivazione, rimuovendo la relativa turbina; b) ad abbassare al pristino livello il ciglio della diga Trito sita a valle; c) a provvedere all’impianto di un idrometro.

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Per quanto, il Genio Civile assegnò il termine di venti giorni. Ma, secondo la Società Ippolito & Pisani, da questo momento cominciarono le manovre dilatorie della Ditta Mancini. Infatti, con esposto del 25 novembre 1939, la ditta stessa, adducendo che la stagione non consentiva i lavori richiesti, promise di mettersi in regola non appena le condizioni del fiume lo avessero permesso. “Ma non ha mai mantenuto la promessa, incurante del danno risentito dagli altri, cioè della esponente. La persistente e pervicace inadempienza della Ditta Mancini è oggetto di una serie di ordinanze e provvedimenti vari del Genio Civile, tutti susseguenti, ma tutti rimasti sulla carta. In data 4 gennaio 1940 l’Ufficio ordinò alla Ditta Mancini di abbassare il ciglio della diga Trito da quota 211,35 a quota 211,04, assegnandole un termine di cinque giorni per l’adempimento. Alla scadenza del termine, cioè il 9 gennaio, la Mancini dette ampia assicurazione, aggiungendo, però, che un suo ingegnere aveva constatata sulla diga una sopraelevazione di cm. 25. Con nota 198/217 del 12 gennaio 1940, il Genio Civile insistette per l’abbassamento di 34 cm. Di fronte all’atteggiamento negativo della Mancini, lo stesso Ufficio in data 30 detto mese di gennaio redasse processo verbale a carico della inadempiente, rilevando la contraddittorietà delle ragioni e delle spiegazioni addotte. Tutto fu vano: perché con successiva ordinanza 16 febbraio 1940 il Genio Civile dovette prefiggerle un nuovo termine di giorni dieci per gli adempimenti, con invito a presentare domanda di oblazione amministrativa della elevata contravvenzione.

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Le prescrizioni, però, rimasero lettera morta anche questa volta”. Il Genio Civile di Frosinone, con ordinanze del 28 giugno 1940 e 11 luglio successivo, riprese in esame sia il sopraelevamento abusivo della diga Trito, assentita con Decreto 25 maggio 1889, sia l’attuazione e l’esercizio abusivo dell’impianto idroelettrico attiguo alla utenza ex Courrier, chiesto con istanze 20 marzo 1935 e 25 novembre 1939, prescrivendo che il ciglio della diga Trito dovesse essere abbassato alla quota non superiore a 211,04, corrispondente al progetto allegato alla istanza del 20 marzo 1935. Lo stesso Ufficio, con nota del 9 agosto 1940 n. 6706, dispose provvisoriamente delle norme per il funzionamento degli impianti contestati (fra cui l’obbligo alla Ditta Mancini di sistemare e regolarizzare il ciglio della diga Trito secondo il profilo proposto col progetto allegato alla domanda 20 marzo 1935. Si trattò indubbiamente di una specie di modus vivendi valevole non oltre il 15 ottobre di detto anno, perché alla soluzione definitiva del problema si sarebbe pur dovuti arrivare, con un poco di buona volontà. “Ma questa è sempre mancata – si legge nel ricorso della Società Ippolito & Pisani – Ed invero il Genio Civile, con nota n. 2095 del 16 aprile 1942; vista la comunicazione della Ditta Mancini in data 25 novembre 1939 dalla quale si rilevava il suo intendimento di installare, in località Trito, una nuova turbina nella derivazione assentita con Decreto 25 maggio 1889, comunicazione che non convinceva l’Ufficio (era chiaro l’intendimento della Ditta di creare un nuovo impianto), che, richiamando le precedenti ordinanze, invitò la Mancini a provvedere:

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a) alla sistemazione e regolarizzazione del profilo della diga Trito secondo il progetto 20 marzo 1935; b) alla esecuzione di tutte le opere ritenute indispensabili per la diminuzione del rigurgito; c) al riassetto e pulizia dell’idrometro ed alla installazione di altro idrometro, in sponda sinistra del braccio destro, a valle del ponte Napoli; d) al sollevamento del portellone di 34 cm. sopra la soglia. PER QUANTO SOPRA SI PRESCRIVEVANO TERMINI PRECISI……INUTILMENTE! Infatti, il Genio Civile, con nota del 25 luglio 1942 n. 3760/4031, richiamandosi alle precedenti prescrizioni, non eseguite, diffidò nuovamente la Mancini a provvedere con minaccia della esecuzione di ufficio. Detta ordinanza veniva portata a conoscenza della esponente dallo stesso Ufficio. Ma la Ditta Mancini non disarmò neanche questa volta! Con un esposto a codesto Ministero del 14 luglio 1942 cercò di scusare, come sempre, le sue inadempienze con le cattive condizioni del fiume: eppoi, contraddicendo quanto ammesso nel passato, dedusse di non dover abbassare la quota della lama d’acqua Trito per essere venute fuori nuove sorgenti del Fibreno!..... Quest’ultima asserzione, parto di fantasia, rappresenta un colmo: eppure il sistema dilatorio ha finora funzionato in pieno!”.

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Dopo aver esposto le responsabilità della Ditta Angelo Mancini, la Società Ippolito & Pisani precisò che la concessione della società era stata rinnovata con D.M. 27 marzo 1937, n. 970, e che l’art 7 del relativo disciplinare stabilì che alla Società Ippolito & Pisani erano stati assentiti 8,75 moduli in via precaria, in dipendenza dell’attuazione di più vasta utilizzazione delle acque del Liri, con la condizione che, a richiesta dell’Ufficio, fossero opportunamente ridotti od anche soppressi, in magra del Liri, qualora, ad insindacabile giudizio dell’Ufficio stesso, la loro derivazione impedisse alla Ditta Angelo Mancini di utilizzare completamente quanto le fu concesso con D.M. 16 febbraio 1921, n. 1324. In sede di istruttoria della istanza della Ditta Mancini per il rinnovo della concessione ex Courrier, era stato accertato che delle sei bocche originali di presa soltanto due erano in servizio con impossibilità di utilizzazione di tutti i 2.885 litri, secondo la quantità di acqua stabilita dalla concessione, e che la portata effettiva risultava di litri/secondo 2.043. Tali risultanze vennero confermate dalla esplicita dichiarazione della Ditta Mancini in data 12 dicembre 1936: “Circa il salto non ci è affatto possibile aumentarlo a m. 4,88, perché il canale di scarcio subisce un rigurgito da parte del fiume che, scorrendo lateralmente, forma un angolo convergente col canale e per quanto si sia operato è rimasto costante il salto di m. 4,63. Essendo ormai definitiva questa situazione, bisogna ridurre il canone su una potenza di HP 170,10 e non di 187,71”. Nella stessa dichiarazione è consacrato l’impegno della Ditta Mancini a provvedere all’ampliamento delle luci di presa nella stagione estiva: ma a tanto non ottemperava

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né nella stagione estiva del 1937 né in quelle successive, facendo scadere i termini fissati all’uopo dal Genio Civile. Accertato quanto sopra in modo definitivo e pacifico, la esponente Ditta Ippolito & Pisani rinnovò l’istanza di essere liberata dal vincolo, a favore della utenza Mancini, di cui all’art. 7 del sopra ricordato disciplinare. E, su parere favorevole del Consiglio Superiore, venne redatto e firmato il disciplinare suppletivo 9 dicembre 1942, n. 1076 di repertorio, col quale l’art. 7 venne così modificato: “La differenza in litri/secondo 33 fra la quantità di acqua l/s 875 concessa in via precaria e quella di l/s 842 non utilizzata dalla Ditta Mancini sarà, a richiesta dell’Ufficio del Genio Civile di Frosinone, opportunamente ridotta od anche soppressa durante il periodo di magra del fiume Liri, quando, ad insindacabile giudizio di detto Ufficio, la sua derivazione impedisca alla Ditta Mancini Angelo & Figli di utilizzare le acque nel proprio impianto nella competenza che sarà stabilita in sede di rinnovazione della concessione alla Ditta stessa. La Ditta Mancini, dopo le su riportate pacifiche dichiarazioni, ha tentato di invalidare le proprie stesse dichiarazioni, adducendo errori di misurazione e chiedendo che il canone sia nuovamente ragguagliato a HP 187,71. Da notizie vaghe apprese, infatti, sembrerebbe che se anche un errore di misurazione delle bocche di presa ci fosse stato in danno della Mancini, il calcolo susseguente sarebbe stato fatto in favore della Ditta stessa, con l’identico risultato di escludere la possibilità di tenere in vita l’utenza con le primitive caratteristiche. Una conferma, poi, la si trova nello steso progetto Mollicone presentato dalla Ditta Mancini in sede di rinnovazione della concessione: in esso si legge chiaramente che le opere di presa ex Courrier non

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potrebbero, senza variazioni sostanziali, assorbire tutti i moduli 2.885. Queste ragioni indussero l’esponente ad insistere, col precedente esposto 7 agosto 1947, per la emissione del relativo Decreto. Posteriormente alla istanza, l’Ufficio del Genio Civile ha effettuato delle verifiche, di cui si ignorano i risultati. Il 25 ottobre 1947, la Ditta Mancini, allo scopo di poter utilizzare intergralmente i suoi 2.885 litri di un tempo di magra (non si sa perché essa sola debba utilizzare integralmente la portata di concessione e gli altri debbano, perciò, decurtare la propria) ha fatto intimazione alla Ditta Pisani di lasciar defluire tutti gli 875 litri, come è prescritto dal primitivo disciplinare di concessione, mentre lo stesso ammette la graduazione a seconda degli stati del fiume. La Mancini ha sempre persistito nell’errore di ritenere che la riduzione di portata che essa subisce in tempo di magra, sia esclusivamente dovuta alla sottoscritta! Di fronte all’utenza Ippolito & Pisani vi è l’utenza Manna-Viscogliosi che trovasi in condizioni perfettamente paragonabili alla Pisani: ma la Ditta Mancini, col proposito pertinace di falcidiare in ogni modo la già modesta forza motrice della esponente, non è capace di pensare che vi possano essere irregolarità anche in altre utenze e che la mancanza d’acqua possa anche attribuirsi alla Manna-Viscogliosi, nonché alla irregolarità di ripartizione fra i due bracci del fiume a Villa Correa. Nel secondo semestre del 1947, in seguito alla magra eccezionale del Liri, si è avuta una serie interminabile di esposti, di intimazioni, di diffide, di minacce di azioni di danni. Questa vera sollevazione, facente sempre capo alla Ditta Mancini, si è calmata soltanto ora in epoca di

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abbondanza di acqua, ma senza dubbio si rinnoverà nella prossima estate, se le questioni pendenti non saranno risolute. La Ditta Ippolito & Pisani ha continuamente, per lunghi anni, denunciato le manchevolezze e le inadempienze della Ditta Mancini, provocando, come era suo diritto, tutti i provvedimenti che schematicamente sono stati enunciati. Ma purtroppo quei provvedimenti, non certo per cattiva volontà degli Uffici, sono rimasti allo stato di minaccia senza essere seguiti da una qualsiasi realizzazione, tanto che oggi, nel 1948, ci troviamo alle condizioni iniziali. Il momento attuale è finalmente il più propizio per una radicale sistemazione dei rapporti fra i vari utenti del Liri. E’ in funzione lo speciale Regolatore Idraulico per il medio Liri. Detto Ufficio potrebbe, con l’ausilio degli organi competenti e con un esame completo di tutta la documentazione che sulla materia si è venuta formando in tanti anni, previe le opportune verifiche, dare provvedimenti atti a far cessare uno stato di cose intollerabile e soprattutto dannoso per chi si sia limitato a contenersi nei limiti della legalità. Le varie utenze debbono e possono essere disciplinate secondo le concessioni: eventuali limitazioni, in periodi eccezionali, dovrebbero applicarsi con criteri discrezionali, sì, ma di equità e di giustizia. Se a tanto si potrà pervenire, verranno meno tutti i motivi di dissensi e di agitazioni e gli Uffici potranno seguire, in clima pacificato, con occhio vigile e sereno, l’immancabile sviluppo di tutte le nostre attività industriali”.

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Finalmente, con lettera del 27 febbraio 1949 n. 1088, l’Ufficio del Genio Civile di Frosinone comunicò alle Ditte Mancini Eredi di Angelo, Pagnanelli & Gallone per gli eredi Manna, Ippolito & Pisani e Ing. Angelo Viscogliosi il parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in merito alla sistemazione delle utenze del ramo sinistro del fiume Liri. “In relazione ai numerosi esposti presentati dalle Ditte in indirizzo relativamente all’oggetto, si comunica che il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, esaminata l’intera situazione e le varie questioni prospettate, ha espresso in merito il seguente parere: 1°) che la sistemazione definitiva delle utilizzazioni d’acqua esistenti a valle della Cascata di Isola Liri, nel ramo sinistro del fiume Liri, sia da ottenere attraverso la costruzione di un ripartitore automatico delle portate, munito di luci libere allo stesso livello e con lunghezze delle soglie proporzionali alle portate di competenza delle singole derivazioni, da attuarsi a valle della Cascata ed a monte delle prese attinenti alle tre utenze interessate, in prossimità dello sbarramento oggi esistente; 2°) che sino a quando non avranno avuto pratica attuazione i provvedimenti di sistemazione definitiva delle utenze in parola, debba essere mantenuta senza alcuna modifica, a carico della Ditta Ippolito & Pisani, la clausola della precarietà e della limitazione di l/s 875 di cui al D.M. 27 marzo 1937n. 970, come stabilito nell’art. 7 del relativo decreto di concessione; 3°) che in applicazione di quanto sopra prescritto al secondo comma dell’art. 42 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, l’onere relativo alla costruzione del predetto

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regolatore automatico di cui al 1° punto, è posto a carico delle Ditte Mancini, Eredi Manna, Viscogliosi e Ippolito & Pisani; 4°) che a facilitare la pratica realizzazione della nuova opera prevista, potrà essere consentito dall’Amministrazione che venga eseguita anche da una sola delle ditte interessate, dandole facoltà di rivalersi poi presso le altre della quota di spese ad esse imputabili in ragione delle rispettive potenze in concessione. In relazione a tale parere il Ministero dei Lavori Pubblici ha chiesto di conoscere se codeste ditte interessate alla costruzione delle predette opere intendono addivenirvi di comune accordo. Poiché la risposta a tale richiesta viene sollecitata, si prega corrispondervi nel più breve tempo possibile e non oltre il 31 marzo p.v. Alle istruttorie delle domande per la regolarizzazione delle utenze Lanificio Eredi Manna, Viscogliosi per Mulino S. Francesco e Mancini eredi di Angelo (ex Courrier) sulle quali pende ogni decisione, sarà dato corso da questo Ufficio con ogni possibile sollecitudine”. Il parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici non venne accolto benevolmente dalla Società Ippolito & Pisani, che con lettera del 2 marzo 1949 incaricò l’Ing. Gino Macola di predisporre un esposto di opposizione a detta decisione: “Ci pregiamo compiegarVi copia di comunicazioni pervenutaci dall’Ufficio del Genio Civile di Frosinone in data 27 s.m., relativamente alla costruzione del noto ripartitore automatico delle portate, a valle della Cascata.

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Poiché è ns/ intendimento opporci a tale costruzione, Vi preghiamo – d’accordo con l’Avv. Terribile – approntarci il relativo esposto, che, come precisato nella lettera del Genio Civile, deve essere rimesso entro e non oltre il 31 marzo p.v. Per quanto all’ultimo capoverso della citata comunicazione, e precisamente alle istruttorie delle domande per la regolarizzazione delle utenze Lanificio Eredi Manna, Viscogliosi per il Mulino S. Francesco e Mancini Eredi di Angelo (ex Courrier), con riferimento a quanto aveste a dirci verbalmente tempo fa, e cioè che per motivi di delicatezza verso gli altri utenti non avreste potuto in istruttoria difendere i ns/ interessi, Vi preghiamo comunicarci – con cortese premura – se siete sempre dello stesso parere, per eventualmente affidare l’incarico ad altra persona. A ns/ parere, la definitiva decisione della costruzione del ripartitore automatico, proposto dal Consiglio Superiore dei LL.PP., dovrebbe essere subordinato alle risultanze dell’istruttoria per la regolarizzazione delle utenze Viscogliosi per il Mulino S. Francesco, in quanto, se si dovesse addivenire al non rinnovamento della concessione dei litri 600 ed alla decurtazione dei litri 750 in epoca di magra (provvedimenti da noi chiesti nei vari esposti e dallo stesso regolatore Ing. Rodriguez, come aveste a scriverci con la Vs/ del 28 febbraio 1948, non sarebbe necessaria la costruzione del ripartitore (che per altro richiede una spesa non indifferente a che nessuno degli utenti potrebbe sostenere), perché anche in periodo di massima magra, la portata del ramo sinistro (normalmente di litri 5.200/5.500) consentirebbe il regolare funzionamento dei tre stabilimenti: Ippolito & Pisani, Pagnanelli & Gallone e Angelo Mancini & Figli”.

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Il parere del Consiglio Superiore dei LL.PP. fu accolto, invece, con grande soddisfazione dalla Ditta Angelo Mancini, il cui titolare Costantino Mancini, in data 5 marzo 1949, inviò la seguente lettera alle Ditte Ippolito & Pisani, Ing. Angelo Viscogliosi e Pagnanelli & Gallone: “In riferimento alla comunicazione dell’Ufficio del Genio Civile di Frosinone, poiché la scrivente ha stretta necessità di vedere attuata con urgenza la sistemazione delle derivazioni cointeressate nello stesso ramo del fiume, e soprattutto quella della propria concessione, secondo il parere espresso dall’On. Consiglio Superiore dei LL.PP., rivolge invito alle Spett/ Ditte in indirizzo di voler far conoscere, con cortese sollecitudine, le proprie decisioni in ordine agli accordi suggeriti dal Ministero dei LL.PP. per la costruzione, in comune intesa, delle opere previste dal voto dell’On. Consesso. Quanto sopra, perché, in mancanza di adesione, la scrivente intenderà avvalersi della facoltà espressa dall’On. Consiglio Superiore e riferita al n. 4) della citata lettera dell’ Ufficio del Genio Civile”. L’ 8 marzo successivo, la Società Ippolito & Pisani, a dimostrazione della sua pervicace opposizione alla costruzione del ripartitore automatico, inviò all’Ing. Gino Macola la seguente lettera: “RIPARTITORE – Siamo di accordo con Voi e attendiamo il chiestoVi esposto per l’inoltro nei termini fissati dal Genio Civile. ISTRUTTORIE UTENZE VISCOGLIOSI, MANCINI e MANNA – Il contenuto della precedente ns/ si riferiva ad una Vs/ comunicazione verbale fattaci tempo fa.

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Tenuto però conto che nei riguardi di Viscogliosi e Mancini non vedete incompatibilità, e poiché noi non abbiamo nulla da eccepire circa il trapasso alla Ditta Pagnanelli dell’utenza ex Manna, siamo molto lieti di confermarVi l’incarico della difesa dei ns/ interessi. Frattanto ci pregiamo compiegarVi copia di lettera raccomandata pervenutaci dalla Ditta Angelo Mancini, alla quale non abbiamo dato e non intendiamo dare alcun riscontro”. Intervenne con forza contro la realizzazione del partitore automatico il periodico IL CAMPANILE, diretto dal giornalista locale Carmine Rotondi, che nel n. 2 del mese di settembre affrontò la questione con queste parole: “Eleviamo la più vibrata protesta, in nome nostro e della cittadinanza, contro la nuova mutilazione dei pochi rivoli che ancora defluiscono dalla Cascata. E’ quindi con profondo dolore che assistiamo alla rapida esecuzione del lavoro commesso dal Ministero dei LL.PP., con suo decreto 30 luglio 1949, n. 3329 – 3447, nonostante le proteste del Comune, della popolazione e di due ispettori della Sovrintendenza dei Monumenti del Lazio e della Campania. Nel conflitto d’interessi sorto tra gli utenti del bacino a valle della Cascata per una razionale distribuzione di acqua a scopi industriali, il Ministero dei LL.PP. ha opinato che un partitore automatico possa risolvere la controversia. E noi – che siamo au dessous de la melée – non avremmo nulla da dire al riguardo. Senonchè con l’esecuzione dell’opera verranno tolti alla Cascata Verticale altri 150 litri di acqua da

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assegnarsi ad una delle ditte che rimarrà danneggiata dal nuovo impianto. Se si pensa che alla Cascata Verticale, dopo le più recenti concessioni, dovrebbero defluire in modo uniforme per tutta la sua larghezza litri 2.715, mentre ve ne scorrono soltanto, nella siccità, poche diecine di litri, la nuova sottrazione costituisce una più grave ingiuria ad una delle più ammirate bellezze panoramiche d’Italia. Siamo a conoscenza che il Commissario prefettizio dottor Bevivino, avuto sentore, per caso (!), del provvedimento, si è subito interessato della cosa ravvisando al Prefetto ed al Ministero competente i danni che derivano al paese da una decisione che dev’essere urgentemente riveduta. Ma il progettato partitore presenta, a giudizio di tecnici, un altro grave pericolo per la pubblica incolumità. Sembra che la nuova vasca di carico ai piedi della Cascata presenti il pericolo, in caso di piena, di svasamento con conseguente allagamento di via Cascata, piazza S. Lorenzo e via Roma. Veramente noi, tra “grafici” e “chiarimenti” abbiamo avuto la sensazione che i rilievi degli esperti siano attendibili. E allora viene fatto di domandarsi: ma perché prima di dare il via ad una così importante modificazione della ripartizione delle acque del Liri non si è sentito il bisogno di interpellare il Comune interessato e la sezione speciale delle acque del Genio Civile di Frosinone? Dall’ottobre 1922 al luglio 1943 la stupenda Cascata ha scrosciato con solenne maestosità! Ora si attenta al suo essere, per cui uno di noi non potrà più dire: Da un’alta rupe ruinar si vede

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una gran massa d’acqua spumeggiante, tra un palazzo di duchi antica sede e rocce erbose e secolari piante. Qualunque panorama a questo cede, si grande è la bellezza circostante; l’ottava meraviglia Iddio ci diede, che per cantor dovrebbe avere Dante. Quadro stupendo ch’ogni artista appaga, sempre ritratto da lontane genti, per rivederne ognor la maestà. Un murmure possente si propaga, come per dire il bello ai quattro venti e far udire al mar che il Verde va. Il ripartitore fu realizzato e sancì la definitiva rottura dei rapporti tra le famiglie Mancini, Pisani e Viscogliosi. Questa opera che deturpa l’incantevole scenario della Cascata, realizzata con l’intento di porre fine alle descritte controversie, in effetti rappresenta il simbolo del declino industriale di Isola del Liri, per cui, dopo il processo di deindustrializzazione che ha sconvolto l’economia della città, non ha più motivi di essere e dovrebbe essere demolito, unitamente alle numerose opere realizzate nel tempo lungo le rive del fiume Liri, per ripristinare lo stato dei luoghi e per trasformare l’antica città fabbrica in un grande Parco fluviale che coniughi la bellezza del paesaggio (così come fu descritta dal Gregorovius) con le più avanzate possibilità di sviluppo sociale ed economico. Dal quel momento si aprì la strada alle iniziative per la grande utilizzazione delle acque del fiume Liri, contro le

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quali si erse ancora una volta vittoriosamente il popolo isolano.

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CAPITOLO III Progetto della S.I.A.L. – S.R.E. (Società Idroelettrica Alto Liri – Società Romana Elettricità) per una grande utilizzazione idroelettrica dei fiumi Liri e Fibreno, con serbatoio di modulazione semistagionale nel lago di Posta Fibreno. Durante l’estate del 1952, ancora una volta nel corso della sua millenaria storia, Isola del Liri fu costretta a mobilitarsi per scongiurare l’ennesimo attentato all’integrità della Cascata, rappresentato dal progetto presentato l’11 luglio 1949 dalla S.R.E.. In realtà, si trattava dell’aggiornamento del vecchio progetto della Società delle Cartiere Meridionali del 16 aprile 1920, che, a distanza di tanti anni, tutti credevano superato e, quindi, dimenticato, e che come è stato ricordato era stato acquisito dalla S.R.E. (Società Romana di Elettricità). Infatti, il voto n. 72 del 6 marzo 1953 del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ed il D.M. 12 settembre 1953 avevano rispettivamente proposto e decretato la reiezione di quella domanda del 16 aprile 1920 e relativa variante 14 marzo 1923, che, per oltre trent’anni avevano tenuto in allarme la popolazione e le industrie della Valle. Nel 1920, lo sfruttamento delle acque per lo sviluppo delle industrie isolane muoveva i primi passi.

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A quel tempo, la Società delle Cartiere Meridionali non aveva ancora gli impianti idroelettrici di Serelle, Valcatoio e Riordino. Possedeva una serie di turbine all’interno della Cartiera e la centralina di Remorici. Le altre industrie avevano piccole turbine e il Comune ne possedeva una sul ramo del Valcatoio e l’impianto di Villa Correa non esisteva. Insomma, tra Vadurso (S. Domenico) e Ponte Roma si perdeva gran parte dell’energia che il Liri e il Fibreno potevano fornire. Si avvertì, quindi, l’impellente bisogno di una razionale utilizzazione delle acque per determinare uno sviluppo industriale sicuro e costante. Inizialmente, il progetto prevedeva la soppressione del canale delle Forme, per far affluire tutto il Fibreno (riunito) a S. Domenico e ingrossare il Liri con tutta la sua acqua, vicenda lungamente descritta in precedenza. Poi venne la guerra ed Isola del Liri visse quegli anni terribili ed il suo carico di devastazioni e di morte. Infatti, non si era salvato nulla: rovinate le fabbriche, distrutti e trafugati gran parte dei macchinari, con la popolazione ridotta a vivere di ripieghi e di contrabbando di sigarette. Bisogna evidenziare la grande capacità del popolo isolano di fronteggiare le enormi difficoltà del momento, come del resto era già avvenuto in altri drammatici momenti della storia cittadina, per la rinascita delle industrie. E fu uno sforzo collettivo che coinvolse lavoratori e industriali, tanto che in poco tempo il grande patrimonio industriale della città tornò ad essere più rilevante di prima.

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In questa gara rifulse la figura del Sen. Beniamino Donzelli, al cui coraggio civile e generosità si deve la rinascita delle Cartiere Meridionali e, con la collaborazione dell’ing. Mario Boimond, altro benemerito, l’unificazione del Valcatoio, l’ultima frazione di questo tronco del Liri che si trovasse nelle condizioni del 1920. Cominciarono, allora, ad intrecciarsi e ad accavvalarsi con gravi interferenze ben undici utenze in gran parte antiquate, che sfruttavano il Liri in modo inadeguato. Fra queste c’era anche una centralina del Comune affittata alla S.R.E. (Società Romana Elettricità). L’impianto del Valcatoio diventò un impianto modernissimo ed è stato l’ultimo atto del razionale e completo sfruttamento del Liri iniziato con la costruzione della centrale Riordino delle Cartiere Meridionali. In conseguenza dell’unificazione del ramo Valcatoio, il Comune di Isola del Liri ebbe il riconoscimento dei suoi diritti, con l’assegnazione di 43 Kw di energia e l’acqua necessaria per la pulizia delle fogne, in cambio della sua vecchia centralina distrutta. Nel volgere di pochi anni, l’utilizzazione del Liri, nel tratto tra Vadurso (S. Domenico) e Cerasoli, alle porte di Castelliri) fu caratterizzata dalla ricostruzione di impianti idroelettrici, realizzati con procedimenti moderni e grande larghezza di previsioni delle portate. Ora, queste grandi opere, per le quali erano state impiegate ingenti somme, rischiavano di essere compromesse dalla realizzazione del progetto S.I.A.L. – S.R.E., che, riprendendo il progetto della Società delle Cartiere Meridionali, aveva spinto la popolazione isolana ad una storica protesta per salvare la Cascata. E’ opportuno ricordare che all’epoca le numerose industrie di Isola del Liri davano lavoro a 2.767 operai e

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impiegati e che attorno a questo rilevante numero di lavoratori gravitava tutta la prospera economia cittadina. In verità, c’era stato un momento in cui l’intervento della S.R.E. poteva essere considerato opportuno, se non addirittura provvidenziale. Quando tutto il potenziale industriale, compreso il patrimonio rappresentato dagli impianti idroelettrici, era stato completamente distrutto dagli eventi bellici. Ossia quando le cartiere e i lanifici erano fermi ed i lavoratori disoccupati: allora la cittadinanza prostrata dalla languente economia sarebbe stata disposta ad abbandonare senza rimpianti le vecchie e distrutte installazioni. Invece, a quel tempo, la S.R.E. non fece altro che opporsi al gruppo Cartiere Meridionali – Boimond, che, sopite le vecchie contese, si apprestava alla unificazione ed alla ricostruzione della centrale idroelettrica del Valcatoio. In poche parole, il colossale progetto della S.I.A.L. – S.R.E., di cui si parlerà più dettagliatamente in seguito, prevedeva lo sfruttamento dei fiumi Liri e Fibreno, le cui acque dovevano essere totalmente deviate nel lago di Posta Fibreno, previo sbarramento a valle di ponte Tapino, per la creazione di un enorme invaso con sbarramento dell’omonimo lago, e, attraverso una galleria, convogliare l’acqua nel vallone di Arpino, dove sarebbe stata realizzata una grande centrale idroelettrica. “Una attività lesiva degli interessi nazionali”, così il Consigliere di Stato, dott. Guglielmo Roehrssen, definì in un articolo apparso nella pregevole rivista Acque Bonifiche Costruzioni, “l’accaparramento delle riserve idriche fatto sistematicamente da imprese idroelettriche e la sottrazione allo sfruttamento delle stesse avviene non

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per opera di chi ha già ottenuto la concessione ed è perciò vincolato da precisi termini, e da precisi termini con relative sanzioni in caso di inosservanza ed obbligato a pagare il canone, bensì da parte di coloro che presentano numerose domande di concessione, l’istruttoria delle quali cercano poi, con vari mezzi, di portare per le lunghe”. Un tipico esempio di questa forma di dannosa attività fu rappresentata dalla domanda presentata il 16 aprile 1920 dalla Società delle Cartiere Meridionali, passata in seguito alla S.R.E. Infatti, con la presentazione di varianti, con palleggiamenti della titolarità della domanda stessa tra gruppi finanziari, con “vari mezzi” certamente non ortodossi, si era ottenuto che per 32 anni l’accaparramento del tronco più importante del Liri avesse gravato come una pesante ipoteca su tutta l’attività industriale della valle. Le numerose domande di potenziamento degli impianti esistenti rimasero sospese per il timore di essere sottesi; per la medesima ragione non furono ricostruiti alcuni impianti distrutti dagli eventi bellici, perché chi ebbe il coraggio di profondere milioni in ampliamenti e ricostruzioni si trovò costantemente sotto la spada di Damocle delle utenze sottese, con il rischio di perdere, a un cenno della Società Romana di Elettricità, sia gli impianti che i quattrini. “Questa, che non esiteremo a chiamare – losca commedia -, durava ormai da circa 30 anni e la Società Romana di Elettricità sentiva di avere oltrepassato i troppi limiti di ogni ragionevole tolleranza; occorreva un rimedio. Ecco il rimedio: si presenta una nuova domanda di migliore e più ampia utilizzazione incompatibile con la

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prima, un progettone che interessa il Liri per 25 Km. Da Balsorano a Fontecupa, nei pressi di Fontana Liri, che sottende tutti o quasi gli impianti del Liri che non siano quelli della stessa Società, che isterilisce le industrie e asciuga le derivazioni irrigue e i fossi di uso rurale e gli acquedotti per l’acqua potabile, e estende i suoi danni a tutte le colture e a tutte le bonifiche in progetto e in atto nei territori di due province e di nove comuni, mettendo per di più a repentaglio le condizioni igieniche di una vastissima zona. La domanda non è presentata dalla S.R.E. ma dalla S.I.A.L. (che è in realtà un travestimento della prima) e così si crea una situazione di concorrenza che complica la procedura e la tiene in sospeso per un altro numero indeterminato di anni. Quando poi la finanza della Società e la condizione del mercato dell’energia ne offriranno l’opportunità, ecco che la S.R.E. e la S.I.A.L. che sono in effetti una cosa sola, si accorderanno (e sarà evidentemente assai facile) per l’esecuzione del progetto e se sarà elusa la legge e se gli interessi agricoli e industriali della zona saranno sacrificati, e affamata la popolazione di tutta la Ciociaria, importerà assai poco, perché la S.R.E. avrà a disposizione molti milioni di Kwattore da vendere a prezzo assai remunerativo. L’accaparramento del tutto gratuito, perché la S.R.E. non ha pagato mai una lira all’erario per questo titolo, avrà così completato e favorito quelle condizioni di monopolio che la legge vorrebbe impedire e di cui si giovano, ai danni di tutti, i bilanci delle imprese idroelettriche. L’argomento che abbiamo accennato non è nuovo.

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Impedire l’accaparramento e il monopolio delle risorse idriche del paese è stata costante preoccupazione del potere legislativo fino dalla promulgazione delle legge del 1884 sulle Acque Pubbliche; aggiornamenti e perfezionamenti frequenti sono stati fatti nei quasi 70 anni che sono trascorsi da allora e recentissimamente il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo disegno di legge diretto precisamente a questo scopo precipuo. Ma le disposizioni delle leggi vecchie e nuove sono troppo spesso e troppo facilmente aggirate dagli espertissimi reggitori delle imprese idroelettriche che trovano sempre nei meandri della procedura il mezzo per raggiungere il loro fine. Bisognerà che gli organi supremi della Amministrazione dello Stato intervengano decisamente a stroncare questo genere di attività pregiudizievole per tutti”. Il colossale progetto della S.I.A.L. – S.R.E., presentato tre anni prima, si conobbe soltanto per grandi linee, ma ciò fu sufficiente per scatenare una forte reazione da parte di tutta la popolazione della media e alta valle del Liri. Il progetto prevedeva la derivazione dal fiume Liri di una portata media di mc. 14 e massimi 30 al secondo, a mezzo di un canale derivatore e gli impianti di presa a Balsorano, in provincia dell’Aquila, a quota 323 metri, distante 15 Km. dal serbatoio del lago di Posta Fibreno, a quota 305 metri, che all’epoca aveva uno specchio di circa 30 ettari. Il livello del lago sarebbe stato rialzato di 25 metri, occupando una superficie di circa 500 ettari, per immettervi 50 milioni di mc. di acqua. Le acque del Liri e del Fibreno sarebbero state convogliate in ragione di mc. 24 medi e massimi 40, in

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una galleria forzata di circa Km. 8 di lunghezza, sino alla località Morroni nel Vallone del Comune di Arpino, dove, su un salto di circa 114 metri, sarebbe stata installata una centrale per la produzione asserita di circa 28.000 KW. Queste furono le prime sommarie osservazioni: per 35 Km., misurati lungo lo sviluppo dei fiumi, il Liri e il Fibreno sarebbe stati deviati dal loro corso naturale; il Fibreno avrebbe cessato di esistere per tutto il suo corso dall’incile alla foce; nel Liri sarebbe defluito solamente l’acqua in tempo di piena, perché in regime di morbida sarebbe stato devoluto alla alimentazione del serbatoio. Il livello del lago della posta sarebbe stato aumentato di 25 m., turbando enormemente l’equilibrio naturale creatosi spontaneamente in un sistema assai complesso dal punto di vista idrogeologico. In vero, il carico della colonna d’acqua di 25 metri avrebbe consentito agli strati sottoposti di reggere questa enorme pressione dell’ordine di 25 tonn. per mq.? Oppure, come si disse, potrebbe determinare qualche apertura con la conseguenza di far defluire l’acqua per nuovi corsi, come in un fiume carsico? L’unica ragione per la quale il progetto S.I.A.L. – S.R.E. poteva essere prescelto rispetto a quelli presentati precedentemente e con i quali si trovava in concorrenza, era rappresentato dal migliore e più ampio sfruttamento del Liri. Infatti, la potenza di 28.000 KW ottenibili dall’impianto era certamente notevole e faceva balzare il progetto in primo piano; bisognava, però, tener presente che gli impianti delle varie aziende all’epoca esistenti ne producevano già 25.000. Valeva la pena, perciò, di investire 9 miliardi per 3.000 Kw in più?

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Si appalesava, quindi, l’inconsistenza delle ragioni della S.I.A.L. S.R.E. per accaparrarsi la totale utilizzazione del Liri, Fibreno e lago della Posta. Per converso, la regione tra Balsorano (L’Aquila) e Fontecupa (presso Fontana Liri) comprendeva nove comuni, per una popolazione di 60.000 abitanti, 26.000 ettari di terreno, di cui 2.000 irrigati e 3.000 pianeggianti suscettibili di migliore coltura se si fosse proceduto alla loro irrigazione, 25 fiorenti industrie che occupavano 4.000 lavoratori, il cui continuo progresso era dimostrato dalle 24 domande di potenziamento dei loro impianti, che giacevano da anni inevase negli Uffici del Genio Civile di Frosinone e sulle quali pesava il “non expedit” della vecchia domanda S.R.E. del 1920. Le prospettive che il progetto determinava non erano brillanti, se si tiene conto che le numerose industrie che si erano stabilite nell’antica Valle delle industrie, lontano dai mercati di vendita dei prodotto e di approvvigionamento delle materie prime, ebbero un solo incentivo: il Liri e l’energia che esso forniva. Se si doveva dipendere da una rete di distribuzione di energia, cessava ogni convenienza di installarsi in una valle remota, ove al caro prezzo della forza si doveva aggiungere il disagio di essere lontani da ogni mercato ed il danno provocato dal tempo e dalla spesa dei trasporti. “La Media Valle del Liri, che è per sua natura ubertosa e ridente, e che l’attività degli uomini ha reso sovrapopolata ed industre, è trattata alla stregua di una qualunque desolata regione ove vita non esiste per l’asprezza del clima o del suolo, dove le acque corrono inutilizzate e selvagge ed è supremo interesse raccoglierle, indirizzarle agli scopi della civiltà e dell’industria.

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Qui le acque del Fibreno e del Liri irrigano campi, muovono industrie, alimentano la popolazione, convogliano e risanano i rifiuti degli agglomerati urbani di Sora, Isola del Liri e Carnello, alimentano sulle sponde una ricca vegetazione prevalentemente a pioppeto, il cui legname è utilizzato poi dall’industria cartaria largamente diffusa nella valle”. Per circa tre anni, la protesta contro il progetto S.I.A.L. – S.R.E. si limitò a delle forti prese di posizione; quando, però, la minaccia della sua realizzazione diventò più concreta, i Sindaci dei Comuni di Sora, Isola del Liri, Vicalvi-Posta Fibreno, Castelliri, Broccostella si riunirono, il 4 giugno 1955, nell’aula consiliare del Comune di Sora, per approvare all’unanimità il seguente ordine del giorno: “Preso in esame il problema relativo alla minacciata deviazione del corso dei fiumi Liri e Fibreno per la costruzione di un bacino idroelettrico nel Comune di Vicalvi-Posta Fibreno. Rilevato che una siffatta opera sottrarrebbe al fiume Liri una ingente quantità di acqua provocando, così, nei periodi di magra estivo-autunnali, danni incalcolabili all’agricoltura che si priverebbe, per la irrigazione, anche delle acque del Fibreno che verrebbero contenute nel bacino-serbatoio da costruirsi sul lago di Posta Fibreno. Ritenuto che il previsto invaso nuocerebbe gravemente alle industrie locali, specie a quelle fiorenti di Isola del Liri, tutte alimentate dalle acque dei fiumi, delle quali quelle del Fibreno, per la loro peculiare caratteristica, sono utilizzate per la fabbricazione della carta. Ritenuto che ogni promessa che tenga conto delle esigenze della irrigazione e delle industrie è da considerarsi vuota di contenuto in quanto sin d’ora può

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ragionevolmente prevedersi che, nei periodi di magra, le acque sarebbero sempre destinate agli impianti idroelettrici per l’ovvia considerazione che per una società elettrica l’interesse primario risiede nella necessità di non ridurre mai la produzione di quell’energia che giustifica la costruzione di un bacino, che è sempre un’opera grandiosa quanto dispendiosa. Ritenuto che il progetto bacino-serbatoio del lago di Posta Fibreno, sommergendo sicuramente le sorgenti di Carpello, aumenterebbe le difficoltà del problema idrico – già molto grave – con evidente pregiudizio anche della purezza dell’acqua destinata alle insopprimibili esigenze delle popolazioni attualmente rifornite proprio dalle sorgenti di Carpello. Rilevato che ogni garanzia, anche se offerta, che considerasse l’aspetto igienico-sanitario del problema è da considerarsi priva di consistenza, nulla potendo evitare il pericolo d’inquinamento dell’acqua potabile e soddisfare i servizi d’indole varia pubblici e privati, ai quali sotto tale aspetto, si viene oggi incontro con l’utilizzazione delle acque dei fiumi. Considerato che tutte le attrattive panoramiche tra le quali, prima, la Cascata di Isola del Liri, verrebbe a scomparire con grave danno del movimento turistico oggi in crescente sviluppo. Rilevato infine la minaccia, sempre incombente, implicita nella esistenza di un rilevante serbatoio in una zona sismica di 1^ categoria. All’unanimità fanno voti perché le Autorità del Governo e quelle altre competenti a decidere scongiurino, con opportune decisioni, il minacciato pericolo ridonando così la serenità alle popolazioni interessate oggi in preda a legittimo allarme.

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Delegano il Sindaco di Sora a diramare il presente voto ai Ministri ed ai parlamentari della zona sollecitandoli ad invitare questi ultimi e le Autorità della Provincia, con a capo il Prefetto, in uno dei Comuni interessati per un approfondito esame del gravissimo problema da studiarsi in loco. Interessano: a) S.E. il Prefetto a prospettare alle prefate Autorità Governative la necessità del loro intervento nella soluzione del grave problema; b) il Sindaco di Sora a voler stabilire contatti con S.E. il Ministro Pietro Campilli cui gli intervenuti intendono illustrare a voce le ragioni che giustificano la manifesta opposizione al progetto di cui sopra”. Il successivo 6 giugno 1955, sull’argomento venne convocato il Consiglio Provinciale di Frosinone, che, dopo la relazione del dott. Ferri, la quale richiamò sostanzialmente le motivazioni contrarie alla realizzazione dell’invaso contenute nel suddetto ordine del giorno, approvò all’unanimità un documento nel cui dispositivo finale si legge: “Il Consiglio Provinciale delibera di richiedere all’On. Ministro dei Lavori Pubblici che, per tutti i motivi su esposti ed a norma dell’art. 7 del T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775, venga respinta la domanda della S.R.E., diretta ad ottenere la concessione per l’utilizzazione delle acque del Liri e del Fibreno per lo scopo citato nelle premesse, essendo tale domanda, tra l’altro, contraria ad altri interessi generali, o, quanto meno, che, prima di ogni decisione, si attenda una relazione – che

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l’Amministrazione Provinciale rimetterà al più presto, raccogliendo organicamente quanto nella odierna seduta è stato esposto – sui motivi di indole tecnica, economica, industriale, agricola, igienica, sociale e turistica, che ostano, anche sotto il profilo dell’interesse nazionale, all’attuazione della costruzione del bacino idroelettrico summenzionato”. Anche l’Unione Industriale della Provincia di Frosinone, il 12 luglio 1955, accogliendo tutte le ragioni sopramenzionate, in un suo documento aggiunse: “Considerato che con l’attuazione del progetto S.I.A.L. una vasta zona di circa 400 Kmq. del territorio provinciale (quale quella compresa tra Balsorano e l’Anitrella di Monte S.Giovanni Campano) – la cui vita ed attività gravitano interamente intorno ai fiumi che l’attraversano: Liri, Fibreno ed affluenti – verrebbe ad essere completamente sconvolta nelle sue attività agricole ed industriali, nelle sue condizioni sanitarie, igieniche e climatiche, ed enormemente impoverita nella sua consistenza agricola ed economica; Ricorda che ogni opera di invaso e di regolamentazione dei fiumi deve essere compiuta nelle zone montane, e non allorché i corsi d’acqua sono giunti in pianura, come nel caso in esame, e ciò per ragioni economiche e generali, evitando di sommergere vasti appezzamenti di terreno agricolo e di centinaia di case; Delega una sua deputazione a rappresentare di persona quanto sopra alle competenti Autorità, agli Onorevoli Parlamentari ed agli Organi di Governo, in vista della urgente necessità di provvedere definitivamente a che sia scongiurata tale grave iattura che minaccia la nostra Provincia”.

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I tre anni successivi furono caratterizzati da polemiche che, con il passare del tempo, si smorzarono fino a cessare. Le domande di utilizzazione del fiume Liri, presentate l’11 luglio 1949 e il 18 giugno 1955 vengono ammesse all’istruttoria, scatenando la più forte protesta della storia di Isola del Liri. L’11 luglio 1958, in sede di riunione del Comitato per la difesa degli interessi della “Valle del Liri”, che fu costituto dopo la notizia che il Ministero dei LL.PP. aveva ammesso all’istruttoria il progetto SIAL-SRE, il Prof. Nino Cellupica, al quale mi lega una fraterna amicizia cementata negli anni dai comuni ideali, presentò una relazione, di cui riporterò ampi stralci: “Capita spesso, nella storia degli uomini, di dover difendere a spada tratta un diritto dal quale dipende, imprescindibilmente, la vita di centinaia di migliaia di cittadini di ridenti e pacifiche città e paesi. E’ ufficiale la notizia che il 29 luglio corr. ed il 1° agosto p.v. i Tecnici si riuniranno per effettuare un sopraluogo su tutta la vasta zona interessata all’assurdo progetto SIAL-SRE. Detto progetto è arrivato in fase istruttoria. Sembrò che fosse stato insabbiato per sempre, ma oggi la ordinanza del Ministero dei LL.PP. è tornata a riproporlo in termini più che evidenti e che vorrebbero dimostrare la utilità del progetto per: “motivi di pubblica utilità”. Mai come oggi lo spirito di affratellamento ci unisce gli uni agli altri per difendere, con tutti i mezzi pacifici prima,

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e con quelli della disperazione dopo, i nostri sacri fiumi che, da secoli, hanno rappresentato e rappresentano le nostre generazioni, la fonte prima di tutte le nostre attività. Come è possibile togliere ad Isola del Liri ed a Sora – due città destinate, col tempo, a fondersi in un sol cuore ed a definirsi con un unico nome ed una unica economia – il loro preziosissimo fiume donatore di vita? Sarebbe possibile togliere a Firenze ed ai Fiorentini l’Arno ed a Roma ed ai Romani il biondo Tevere? No! Ebbene: non fa alcuna differenza tra il Liri ed il Fibreno che attraversano sani e fertili campi e centri abitati per vari chilometri, e, l’Arno delle Cascine o il Tevere delle campagne romane o di Castel S. Angelo. Allo scopo di meglio illustrare alle Autorità della Provincia ed al primo Cittadino della Provincia, a S.E. il Prefetto, dr. Epifanio Chiaramonte; al Governo ed alle intere popolazioni nostre i gravissimi danni e gli effetti inevitabilmente disastrosi di una non augurabile ed assurda realizzazione del bacino di Posta Fibreno e degli impianti di sfruttamento delle acque invasate, abbiamo voluto fissare – con la più serena ed obiettiva chiarezza – alcuni “punti chiave” del problema, a difesa della giusta causa che è nell’animo di tutti i cittadini dei quattordici paesi stretti affettuosamente intorno agli altrettanti quattordici comitati costituitisi ancora una volta in questi ultimi giorni con l’intento di allontanare – una volta per sempre – la seria minaccia che incombe sulle nostre ubertose e fertili terre solcate dal Liri e dal Fibreno. Per quanto andremo a prospettare, confidiamo nella serena valutazione che di questi concetti dovrà fare l’equilibrato On.le Consiglio Superiore delle Acque, del Ministero dei LL.PP.

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La relazione del Prof. Nino Cellupica, con argomentazioni tecniche, stabilì che la potenza di 28.000 Kw nominali previste dal progetto SIAL-SRE doveva essere fortemente ridimensionata, in quanto, tolta la quantità di acqua che si doveva necessariamente far defluire per le esigenze igieniche, agricole ed industriali di tutta la vallata da Balsorano all’Anitrella, lungo tutta l’asta del fiume, e la quantità di acqua prevista per l’alimentazione delle turbine dell’impianto di Morroni, la nuova centrale, in effetti, avrebbe prodotto soltanto circa 18.000 KW. Considerato che tutti gli impianti esistenti permettevano di ottenere circa 17.600 KW effettivi, concluse che la differenza corrispondeva esattamente alla quantità di acqua di competenza della Cascata grande. “Competenza che è di litri 2.715 e che giustamente deve rimanere tal qual’è per la vita della città che ha avuto il dono dalla natura, proprio nel cuore dell’Isola, un meraviglioso, invidiabile ed inalienabile monumento, difeso in ogni epoca contro gli attentati del galoppante progresso ed i monopolisti dell’energia elettrica. Si parla di raffronti tra gli impianti di Terni e di Tivoli e quelli che la SIAL-SRE vorrebbe realizzare sulle nostre zone. Ma, si dimentica che mentre le cascate di quelle città sono ben lontane dai centri abitati, quella di Isola del Liri è nell’anima dell’abitato ed è l’elemento motore dei 14.000 e più cittadini per cui non può essere in alcun modo soppressa o, quanto meno, ridicolizzata con alimentazione a mezzo pompe a guisa di comuni fontane o cascate di parchi pubblici o di ville gentilizie. Basterebbe rileggere la relazione igienico salutare fatta molti anni or sono dall’illustre concittadino Giustiniano Nicolucci, di fama mondiale, il quale fissava, nel suo

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prezioso scritto, la perennità della Cascata e delle acque del Liri nella città di Isola del Liri. Oseremo dire – data la caratteristica natura dei luoghi, che, se la natura non ci avesse dato la Cascata, avremmo dovuto crearla noi per la vita delle nostre genti. Su quest’ultimo punto, un altro amico e concittadino, il Dott. Prof. Sig. Modesto Galante, ebbe ad esprimersi mesi or sono, parlando di Cicerone, la sua villa ed i suoi ozi. La relazione degli impianti SIAL –SRE è ormai decisamente sorpassata e superata non soltanto per le ragioni esposte e per quelle che illustreremo in seguito, ma perché dall’epoca in cui dette relazioni dei progetti furono presentate, 1949, 1955 ad oggi, tutti gli impianti distrutti dagli eventi bellici sono stati ricostruiti con spirito di sacrificio e dotati di macchinario moderno e razionalissimo. Vedi impianti idroelettrici “Unificazione del Valcatoio”; “Centrale a due gruppi di Villa Correa”; “Unificazione Nibbio” della Società Forze Idrauliche del Liri; “Unificazione Acque Cartiera di Trito”; “Centrali di Serelle”; quelle di Fontecupa e, in fase di inizio, l’impianto idroelettrico di Colle Lontra della Cartiera G.B. Mancini. “Si parla di circa 25 – 30 miliardi di lire per la realizzazione dell’opera, ma, si tacciono i miliardi di lire – e non sono pochi – che rappresentano il vivo valore delle cose che andrebbero distrutte: centinaia di ettari allagati; migliaia di ettari resi aridi ed improduttivi; centinaia di case sommerse; diecine di centrali idroelettriche modernissime chiuse; industrie costrette a segnare il passo e non progredire; disagio di popolazioni affamate dalla disoccupazione; città rese quasi inabitabili per le inaccettabili condizioni climatiche; colli invasi dalle nebbie

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e salute pubblica seriamente minacciata; economia della provincia sensibilmente intaccata e cristallizzata! Si parla molto vagamente nelle relazioni presentate dalla SIAL – SRE di concessioni che verrebbero teoricamente rispettate e, in modo particolare, quelle agricole, igieniche e sanitarie. La deviazione del fiume Liri e del Fibreno rappresenta una cinica burla a tutto danno dei contadini dell’Agro Sorano e delle altre campagne. Detti contadini hanno speso una esistenza intera per migliorare i loro fondi e per assicurarsi l’acqua e, ora che poderose opere per una più larga irrigazione vanno completandosi con la Cassa del Mezzogiorno, dovrebbero vedere distrutti i loro sacrifici e la loro fatica. In pratica, le restituzioni di utenza ai coltivatori, Amministrazioni Comunali e industrie, si risolverebbero con un nulla di fatto, perché, nel momento in cui occorresse l’acqua all’agricoltura, all’industria ed ai servizi igienici dei cittadini – fogne, vespasiani, altri scarichi, la SIAL – SRE risponderebbe come sempre che l’acqua non c’è! Ed allora, come potrebbe un nostro umile contadino dalle misere risorse finanziarie scendere a giudizio con la strapotente SIAL – SRE? Mancherebbe così, al “DIRITTO RICONOSCIUTO”, la forza per poterlo far rispettare. E, si badi bene, alla legge si sostituirebbe il “DIRITTO DELLA FORZA”. Cioè: chi ha la forza la fa sua e, chi ha l’acqua….se la beve. Il che, tradotto ancora in termini più efficaci, significherebbe: “L’ACQUA E’ DELLE TURBINE DELLA SIAL – SRE E BASTA”.

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No, rispondiamo noi. L’acqua è delle nostre popolazioni da secoli e lo continuerà ad essere fino a quando la stessa natura che ce l’ha fornita vorrà togliercela. L’acqua del Fibreno, sfruttata da decenni per usi industriali, si rende insostituibile per le sue speciali caratteristiche di chiarezza, limpidezza e purezza in ogni periodo dell’anno solare. Tali ottime caratteristiche derivano dal fatto che, l’acqua di detto fiume ha origini dai ghiacciai del Gran Sasso e dai nevai della Maiella, attraverso profonde risorgive carsiche. La SIAL – SRE promette di restituire alle industrie la quantità di acqua di fabbricazione. Ma, come può la stessa Società garantire la erogazione di acqua chiara avente le caratteristiche provvidenziali ben definite, quando la derivazione per le competenze singole verrebbe fatta non più dal Fibreno, ma dalle acque del Liri e del Fibreno insieme: acque limacciose, cariche di impurità indesiderabili per la industria nostra? Il fiume Liri, è cosa universalmente nota e documentata, ha carattere torrentizio; più volte nel corso delle stagioni è soggetto a morbide considerevoli. Per tale ragione non è assolutamente possibile utilizzare le sue acque per la fabbricazione di qualunque tipo di carta, compresi i cartoni della qualità più volgare. Aggiungiamo, poi, che l’industria verrebbe a trovarsi nella difficoltà insormontabile di poter progredire, non potendo più disporre di acqua chiara oltre le teoriche competenze promesse dalla SIAL - SRE. Mancherebbe così l’elemento essenziale per eventuali impianti più moderni e più capaci che si prevede di realizzare in diverse cartiere e lanifici: Viscogliosi, Mancini, Boimond, Pisani.

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La sola Società delle Cartiere Meridionali ha, da appena pochi giorni, messo in funzione il più moderno impianto di macchina continua in Europa, per la produzione di altri 300 Q.li di carta nelle 24 ore. Il lago di Posta Fibreno – e tutto il Fibreno stesso nel suo corso – contengono, grazie alla qualità delle acque che favoriscono la vegetazione di alghe ed erbe acquatiche, una fauna ittica abbondante, prelibata e di grande rinomanza. Basterebbe chiedere quanto giovi a Carnello ed alle zone circonvicine la sola pesca delle trote. Versando il Liri nel Fibreno le caratteristiche dell’acqua verrebbero ad essere modificate ed alterate al punto da distruggere la fauna e la flora lacustre, incidendo sensibilmente sul bilancio di quei non pochi cittadini pescatori di Posta Fibreno e del Lungo Fibreno. Le case di Posta Fibreno che ora guardano il sole e palpitano di vita, verrebbero ad essere completamente sommerse da 50 milioni di metri cubi di acqua del bacino. Cosa poi interessante e che ci lascia veramente perplessi è che, detto bacino, verrebbe realizzato in tutta terra per un’altezza di 30 metri circa, salvo maggiorazioni di quote avvenire. Non bisogna dimenticare che ci troviamo in una zona dichiarata sismica di 1° grado. Già in altra epoca, di non lontana memoria, ebbe a verificarsi un disastro tellurico che falciò migliaia di vite umane e distrusse interi paesi e città. Ancora oggi, alcune costruzioni di fortuna ed in legno – le malsane e malferme baracche – testimoniano l’angoscia, la miseria, il panico ed il terrore di quelle tragiche ore del 1915 che rasero al suolo la città di Avezzano.

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E’ stato un passo molto abile quello di tornare a riproporre il già bocciato progetto, dopo la tornata elettorale del 25 maggio c.a. Indubbiamente ben altro esito – nelle nostre zone – avrebbero avuto dette elezioni se, il progetto SIAL – SRE, fosse stato discusso in sede politica sulle piazze dei nostri paesi. Mossa abile, ordunque, ma anche ingenua. Si chiede, quindi, la sospensione della istruttoria, in attesa di conoscere – quanto prima – anche la seconda domanda SIAL – SRE. Bisogna discutere la questione una sola volta e rigettarla definitivamente, senza appello alcuno. Comunque, è ora per la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Lo Stato, più che badare alla monopolizzazione dei Tabacchi, dovrebbe definitivamente interessarsi – e par che sia l’ora – di una politica “Anti Trust” che tolga dalle mani degli accentratori dell’energia elettrica tutta la loro formidabile potenza che altrettanti formidabili introiti consentirebbe alle casse dello Stato stesso. Ebbene! Non siamo noi i sobillatori, ma quelli della SIAL – SRE che, dal 1949 a tutt’oggi, stanno costantemente inasprendo tutte le nostre genti strette intorno ai Comitati di difesa degli interessi della Valle del Liri.. Per tutte queste ragioni esposte – concluse la relazione del Prof. Nino Cellupica - rivolgiamo un appello alla Stampa Provinciale, Regionale e Nazionale, di qualunque tendenza, perché difenda appassionatamente e con vivo interesse la vita di questi nostri centri. Rivolgiamo un appello al Governo, ai Parlamentari, di ogni fede politica, perché si interessino con sollecitudine alla soluzione dell’urgente problema che attenta alla vita di diecine di migliaia di cittadini.

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Rivolgiamo un appello a tutte le organizzazioni sindacali, ai Sindaci dei paesi interessati, a tutti i Comitati creatisi in questi giorni a difesa dei diritti delle singole zone, perché illustrino ad ogni cittadino la minaccia che si corre. Si invitano indistintamente tutti: Coltivatori Diretti, Operai delle Industrie, Artigiani, Madri, Industriali, Autorità Ecclesiastiche, ad intervenire ai sopraluoghi del 29 luglio e del 1° agosto p.v. che l’Amministrazione dello Stato ha stabilito di tenere ad Isola del Liri e a Sora. Terremo conto, specie per gli On.li Parlamentari, i Senatori ed i Consiglieri Provinciali, del loro prezioso fattivo apporto e delle assenze, in alcun modo giustificabili, nei giorni in cui si deciderà il futuro dei nostri Comuni”. Il Comitato sorto in difesa degli interessi della Media Valle del Liri convocò un Grande Comizio in Piazza de’ Boncompagni di Isola del Liri alle le ore 19 del 20 luglio 1958, per protestare contro il progetto della SIAL-SRE ritenuto un “attentato alla vita di 100.000 cittadini di 14 paesi della provincia”. A seguito della grande manifestazione di popolo, il 22 luglio 1958, la Società delle Cartiere Meridionali, a firma del dott. Ferruccio Gilberti, con una lettera inviata al Ministero dei Lavori Pubblici – Direzione Generale delle Acque e degli Impianti Idraulici -, dopo aver ricordato che con voto n. 72 del 6 marzo 1953 del Consiglio Superiore del Lavori Pubblici e con D.M. 12 settembre 1953 era stata respinta la domanda del 16 aprile 1920 e la variante Maglietta-Canevari del 14 marzo 1923 precisò che “quei progetti prevedevano il sottintendimento di tutti gli impianti del Liri da Vadurso a Trito e investivano gli interessi di 12 stabilimenti industriali con 15 derivazioni

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dal Liri per Kw 10.087 concessi colpendo un complesso di almeno 2.000 famiglie di lavoratori impiegati nei detti stabilimenti. Il Decreto di reiezione di quelle domande ha eliminato pertanto una grave jattura”. La Società delle Cartiere Meridionali ritenne poi di evidenziare che il maggior vantaggio che la S.R.E. avrebbe potuto conseguire dal nuovo e colossale impianto sarebbe stato l’assorbimento di tutte le concessioni accordate in via precaria durante l’ultimo trentennio e subordinate alla realizzazione del progetto del 1920. Il Consiglio Superiore ritenne, invece, che “ciò sarebbe stata ingiustizia somma, perché quegli impianti erano moderni e razionali, ma soprattutto fornivano direttamente energia alle industrie della valle ed erano ragione di vita per tutta la popolazione. Questo doveva essere il predominante interesse pubblico, e non la produzione di energia da porsi in libera vendita a beneficio di una Società distributrice. Pochi anni son passati dalla data di quel voto e di quel decreto e di nuovo si profila quella medesima minaccia, ma incomparabilmente aggravata. Oltre alle numerose derivazioni del Liri, sono ora sottese anche quelle del Fibreno, in complesso KW 25,147, una massa imponente e inoltre sono allagati 400 ettari di campagna, sono prosciugati per molti chilometri fiumi e canali, soppresse le sorgenti che alimentano gli acquedotti; soppressi insomma in un vasto comprensorio tutti gli usi civili, agricoli ed industriali dell’acqua”. La lettera Società delle Cartiere Meridionali ribadì, perciò, che il principio che precedentemente era stato fatto valere dal Consiglio Superiore il 6 marzo 1953 doveva essere imposto anche in quella circostanza,

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perché “le ragioni di vita delle popolazioni devono essere ritenute il preminente interesse pubblico; la produzione di energia può essere attuata con altri mezzi che non rappresentino la rovina della valle. Si sottendono, non solo gli impianti sul Liri di Riordino (Kw 3.099) e del Valcatoio (Kw 3.862), ma anche l’impianto sul Liri di Serelle (Kw 1.791), l’impianto unificato di Carnello sul Fibreno (Kw 1.010), l’impianto di Riordino-Fibreno (ex Cartiera Lefebvre), animato dal canale delle Forme (Kw 366). Inoltre, essendo posto all’asciutto detto canale, restano impedite le varie utenze irrigue da esso derivate e tra esse quella che forma oggetto della nostra domanda 4 aprile 1938 ammessa a separata istruttoria con l’ordinanza 18 giugno 1958 n. 3354. E non basta. Noi attingiamo l’acqua necessaria ai bisogni della nostra industria ai canali derivati dal Liri e dal Fibreno che si sviluppano all’interno dei nostri stabilimenti. Dove attingeremo la nostra acqua quando quei canali saranno asciutti?”. La nota delle Cartiere Meridionali proseguì sviluppando alcune problematiche già trattate in precedenza, e in modo particolare quella relativa all’acqua di fabbricazione soggetta a particolari esigenze: la purezza e la limpidezza, che soltanto l’acqua del Fibreno poteva assicurare, per la produzione di speciali tipi di carta. Mentre, i deprecati canali del progetto SIAL-SRE erano distanti parecchi chilometri dallo stabilimento e, anziché condurre le acque limpide e pure delle sorgenti del Fibreno, avrebbero condotto l’acqua torbida del Liri, che come è noto è un fiume a carattere torrentizio. Il 23 luglio 1958, a cura della locale sezione della Democrazia Cristiana, fu affisso il seguente manifesto,

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intitolato: “La Democrazia Cristiana di Isola del Liri in difesa delle acque del Liri e del Fibreno”: “La segreteria della D.C., i Consiglieri Comunali di minoranza, il Comitato Civico, seriamente preoccupati della minaccia che l’accoglimento da parte degli organi Competenti del progetto S.I.A.L., tendente a deviare il corso naturale dei fiumi Liri e Fibreno possa eventualmente avere favorevole e positiva realizzazione, hanno sollecitato ed ottenuto un incontro col Ministro dei LL.PP. On. Togni. Il colloquio, al quale hanno assistito, validamente sostenendo le ragioni degli esponenti: Sen. Pier Carlo Restagno, gli Onorevoli Germani e Quintieri, il dott. Pucci Commissario Prefettizio del Comune di Posta Fibreno; ha avuto luogo, nel Gabinetto del Ministro, mercoledì 23 c.m., alla presenza di alti funzionari dello stesso Ministro. I rappresentanti della Città di Isola del Liri hanno vivacemente e con serietà di dati tecnici, umani, sociali, economici ed artistici, illustrato a S.E. il Ministro le molteplici ragioni che si oppongono alla presa in considerazione del progetto S.R.E. – S.I.A.L. e di qualsiasi altro che tendesse alla benché minima menomazione della integrità dei fiumi, che rappresentano la vita fisica, economica e civica delle popolazioni interessate. Il Ministro, al termine del vivace colloquio, al quale si è dimostrato particolarmente sensibile, ha autorizzato la diramazione alla stampa del seguente comunicato ufficiale: “Il Ministro Togni ha ricevuto questa mattina il Commissario del Comune di Posta Fibreno e i Consiglieri di minoranza del Comune di Isola del Liri accompagnati dal Sen. Restagno e dagli On.li Germani e Quintieri e dai dirigenti delle due Sezioni della D.C. i quali hanno fatto

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presente le vive preoccupazioni delle popolazioni dei predetti Comuni e degli altri limitrofi della Valle del Liri, a seguito della messa in istruttoria di un progetto di costruzione di un bacino idroelettrico che utilizza il medio corso del fiume che l’attraversa. La Commissione ha prospettato al Ministro la opportunità di sospendere il sopraluogo fissato per i prossimi giorni. Il Ministro Togni ha fatto presente che, a norma di legge, l’Amministrazione dei LL.PP. non può rifiutarsi di ammettere in istruttoria domande di derivazioni d’acqua presentate da chiunque. La sospensione del sopralluogo già fissato sarebbe, oltre che illegittima, anche inopportuna dato che il sopralluogo è disposto nell’interesse delle stesse popolazioni allo scopo di vagliare i motivi di opposizioni presentate. L’On. Togni ha disposto seduta stante che l’istruttoria sia compiuta con la massima celerità ed ha assicurato agli intervenuti che nella decisione di merito che a lui è riservata, terrà nella migliore considerazione le ragioni da essi prospettate e gli interessi delle popolazioni della zona”. Il manifesto fu firmato dai Consiglieri Comunali di minoranza: Dott. Alfredo Bottaro, Geom. Dante Pisani, Geom. Alfredo Di Vittorio, Cav. Domenico Benvenuti, unitamente al Presidente del Comitato Civico Cav. Emilio Pisani e al Segretario Politico della D.C. Comm. Silvio Urbini. L’iniziativa con chiare motivazioni strumentali della D.C. destò comprensibili vivaci polemiche, rappresentate, credo con molto equilibrio, dall’inviato speciale del quotidiano IL TEMPO, Silvano Caterini, che, nel servizio

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da Isola del Liri del 25 luglio 1958, sotto il titolo “Le acque del bacino SIAL – SRE travolgeranno i milioni spesi dalla Cassa del Mezzogiorno” scrisse: “Strano, veramente strano, questo progetto di derivazione del Liri della SIAL – SRE. Più uno cerca di comprenderlo e più si trova a cozzare contro una barriera di illogicità, di assurdità, di inattualità, come se qualcosa, ormai morta da tempo, sia stata riesumata all’improvviso e riportata alla luce del sole. In tutta la progettazione, infatti, sinora qualcosa di ormai superato, una volontà di distruggere, più che di creare come si vorrebbe far intendere. La ragione di tutto questo, è forse la stessa data di nascita del progetto che risale come è noto al 1949, quando quaggiù ad Isola Liri nella valle era ancora presente la guerra con i suoi aspetti più tragici: rovine, lutti, distruzioni. A quell’epoca la valle del Liri aveva un altro volto, un volto che si avvicina forse a quello che potrebbe avere appunto con il varo del progetto della SIAL – SRE. Il lavoro era scarso per tutti i disoccupati: lunghe teorie intente a seppellire nella loro miseria la noia, le fabbriche e calcinacci coperte da erbe selvatiche. La stessa agricoltura, pur già fiorente, era semiparalizzata. Ora, la stessa agricoltura ha fatto passi da gigante. Li ha fatti grazie ai soldi dello Stato, ai tanti milioni erogati sia sotto forma di opere pubbliche, sia di opere di irrigazioni, sia come contributi di miglioria, sia come contributi per l’acquisto di macchinari, così come è avvenuto in tutta Italia non solo per l’agricoltura, ma anche per le fabbriche che hanno potuto così riaprire i battenti.

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La verde valle del Liri ha potuto forse più di ogni altra godere di queste facilitazioni e ne fanno riprova i grandiosi impianti di irrigazione che la Cassa del Mezzogiorno ha costruito a Selva di Sora: impianti che, costati milioni,, tanti milioni, andrebbero perduti interamente se fosse approvato il progetto della SIAL – SRE. Oltre ai centomila cittadini delle valli del Liri, vittime dell’annoso problema, sarà quindi proprio lo Stato che resterà così coinvolto da questa manovra che quanto prima dovrà essere fermata per dare finalmente serenità ai tanti che con il loro sacrificio hanno fatto di questa valle una fiorente zona industriale ed agricola. Ad Isola Liri, intanto, fervono i preparativi per il Convegno di domenica prossima, convegno al quale sono stati invitati parlamentari della circoscrizione, i sindaci dei comuni interessati, le autorità ecclesiastiche, i rappresentanti dei commercianti, dei professionisti, dei cittadini tutti. Tutti indistintamente i componenti dei vari comitati, sorti in difesa della verde valle, sono fiduciosi nelle azioni future; tutti meno i democristiani che hanno fatto il muso lungo per il nostro resoconto di ieri sui colloqui romani avuti da alcuni esponenti democristiani di Isola Liri con il ministro Togni. Secondo i democristiani, infatti, avremmo addirittura falsato il resoconto dell’esito dei colloqui, anche se non abbiamo ben compreso come. I democristiani avevano chiesto, infatti, la sospensione del sopraluogo e non l’hanno ottenuto, come appunto abbiamo detto. Forse, come desumiamo dal comunicato ufficiale, i democristiani avrebbero voluto leggere nel nostro servizio le assicurazioni del ministro Togni, assicurazioni che abbiamo ignorate perché troppo generiche.

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Il promettere, infatti, un vago interessamento come Ministro dei Lavori Pubblici ci è sembrato un po’ poco, il prometterlo poi ad esponenti del proprio partito ci è sembrato poco pochino, tanto da averlo voluto ignorare proprio per carità di patria. In quanto all’azione comune con il Comitato di Difesa della Media Valle del Liri siamo d’accordo che anche i d.c. si stanno dando da fare, ma non potevamo di certo non sottolineare una iniziativa di parte, pronta poi a speculazioni sul piano politico, che non rappresentava davvero i centomila cittadini interessati al problema e che non avrebbe quindi potuto avere quel peso reale che un unico comitato rappresentante di tutti i cittadini avrebbe avuto nel cercare una soluzione a questa difficile situazione nel colloquio con le autorità. Ben più che alle polemiche, quindi, nella verde valle, occorre oggi una unità di intendimenti che i d.c., e ci dispiace riconoscerlo dopo che abbiamo visto gli altri partiti uno vicino all’altro come vicine sono le categorie operaie ed industriali, non hanno rispettato poiché per salvare la valle, ci vogliono argomenti più concreti che non le generiche assicurazioni del Ministro dei Lavori Pubblici”. In quei giorni, a cura del Comitato Permanente in difesa della Media Valle del Liri, fu affisso il seguente manifesto: “CITTADINI! Nel momento in cui una Società Monopolistica dell’energia elettrica tenta con ogni mezzo di sottrarre al naturale corso i nostri fiumi Liri e Fibreno, fonti di lavoro e di vita per le laboriosissime popolazioni della MEDIA VALLE DEL LIRI, questo Comitato a difesa degli interessi

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comuni di 100 mila cittadini di una fertilissima ed industre parte della Provincia, sentito il parere favorevole di TUTTE le Organizzazioni Sindacali, con il consenso di tutti i Membri del Comitato stesso e, ispirandosi a profondi sentimenti umani , indice due: MANIFESTAZIONI DI PROTESTA per i giorni 29 luglio e 1° agosto contro i progetti della SIAL – SRE dalle ore 6 del giorno 29 e fino alle ore 6 del 30 luglio e dalle ore 6 del giorno 1 alle ore 6 del 2 agosto. Contadini, operai, Tecnici, Industriali, Commercianti, Artigiani, liberi Professionisti e Cittadini tutti di Isola del Liri, incroceranno le braccia in segno di ALTA PROTESTA CONTRO I PROGETTI DELLA SIAL-SRE CHE DOVRANNO ESSERE BOCCIATI A SEGUITO DI ISTRUTTORIA. I locali pubblici rimarranno indistintamente chiusi dalle ore 9 alle 17 nei due giorni stabiliti per la PROTESTA. Si avvisano i Cittadini e interessati che il giorno di martedì, 29 luglio, NON SI EFFETTUERA’ IL NORMALE MERCATO.

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ISOLA DEL LIRI è solidale con i Comuni di Sora, Posta Fibreno, Broccostella, Pescosolido, Campoli, Anitrella di M.S. Campano, Carnello, Atina, Villa Latina, Castelliri, Arpino, Vicalvi e Fontechiari e con tutti gli altri Comuni interessati all’urgente problema. Amici della Media Valle del Liri siate solidali con noi e con le nostre proteste, intervenendo in massa alla manifestazione per la salvezza delle nostre Città, delle nostre Campagne, delle nostre Industrie e per la garanzia del nostro lavoro e del nostro pane quotidiano. VIVA LA VALLE DEL LIRI Il Sindacato C.I.S.L. indisse uno SCIOPERO GENERALE per i giorni 29 luglio e 1° agosto, invitando i lavoratori “a manifestare con compattezza e serenità la vostra opposizione al progetto SIAL – SRE sicuri che, alla fine, i diritti delle popolazioni della Valle del Liri trionferanno!!!!!”. Come se nulla fosse avvenuto, cioè senza tener conto delle proteste popolari, alle ore 10 del 1° agosto 1958, con puntualità svizzera, si tenne nella sala consiliare del Comune di Sora la preannunciata visita d’istruttoria del progetto SIAL – SRE, di cui fu redatto il verbale dall’ Ing. Alberto Caini su incarico dell’ingegnere capo del Genio Civile di Frosinone, Ing. Vincenzo Prestianni, importante documento che varrebbe la pena pubblicare in appendice

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al presente volume, perché riporta il lungo elenco delle opposizioni e l’elenco dei presenti. La relazione conclusiva d’istruttoria fu redatta il 25 giugno 1959, con la premessa che la Sezione Autonoma del Genio Civile di Avezzano, nella cui giurisdizione ricadevano le opere di presa del primo salto previste dal progetto SIAL – SRE, aveva già prodotto, con nota del 22 maggio 1959 n. 9741, per proprio conto direttamente al Ministero la relazione preliminare. “Giova qui ricordare in sintesi che l’utilizzazione prevista dalla “S.I.A.L.” col progetto di massima 29 giugno 1949 a firma dell’ Ing. Vecellio, si propone di derivare dal fiume Liri subito a valle della restituzione del proprio impianto di Balsorano in provincia dell’Aquila, mediante canale in sinistra, lungo circa Km. 14,4 la portata massima di mod. 300 e media di mod. 140 di acqua, per immetterla nel serbatoio di 51 milioni di metri cubi da creare, mediante diga in terra di altezza massima di 28 metri, nel Lago Posta, il cui svaso consentirebbe di produrre su un primo salto medio di m. 7 la potenza nominale di Kw 961 in una centralina asincrona. Dal serbatoio anzidetto verrebbe derivata, mediante galleria in pressione, dello sviluppo di ml. 8.000 circa, una portata massima di mod. 400 e media di mod. 244, risultante dai deflussi del Liri incrementati da quelli del Fibreno per produrre, sul salto di m. 114,35, la potenza nominale media di Kw 27.371 in una centrale da costituirsi in località Morroni del Comune di Arpino e con restituzione delle acque nel fiume Liri un Km. a monte della presa dell’impianto S.R.E. di Fontecupa in frazione Anitrella del Comune di Monte S. Giovanni Campano. Il costo degli impianti, della complessiva potenza nominale di Kw 28.332, con una producibilità annua di

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195,5 milioni di Kwh, è stato preventivato in lire 9 miliardi”. La relazione proseguì, richiamando il rapporto preliminare redatto dallo stesso Ufficio istruttore il 7 agosto 1958 n. 14404, con il quale riferì che tutte le opposizioni al progetto in questione riflettevano sostanzialmente preoccupazioni di carattere igienico per i tratti d’alveo e quindi fortemente depauperati del flusso idrico, specie lungo i centri abitati con le relative fognature. Gli agricoltori temevano la diversione delle acque per gli usi irrigui, domestici, zootecnici e simili di un comprensorio esteso per Ha 1.300 nel Comuni di Sora, Isola Liri, Arpino, Castelliri, Broccostella e Campoli Appennino, mentre gli industriali, in particolare delle cartiere, temevano che la indisponibilità quantitativa e qualitativa delle acque chiare per la fabbricazione di carte speciali, che solamente l’acqua del Fibreno assicurava, potesse precludere ogni eventuale futuro incremento e sviluppo produttivo delle industrie. Altra preoccupazione era costituita dal fatto che la diga sarebbe sorta in un territorio dichiarato sismico di prima categoria. Le opposizioni assunsero un tono particolarmente vibrato nei riguardi della temuta soppressione e di eccessivo impoverimento della Cascate grande di Isola Liri (nei riflessi paesistici, panoramici ed igienici) che, per la sua bellezza naturale, con D.M. 26 giugno 1958 del Ministro per la Pubblica Istruzione, di concerto con il Ministro delle Finanze e con il Ministro dei LL.PP., era stata dichiarata di notevole interesse pubblico e quindi soggetta a vincolo ai sensi della Legge 29 giugno 1939 n. 1497 e del regolamento approvato con R.D. 3 giugno 1940 n. 1357.

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Il citato D.M. era stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 177 del 23 luglio 1958 (Prima Parte). La relazione sottolineò la lunga serie di opposizioni, in parte già sommariamente descritte, e il pericolo che l’invaso avrebbe sommerso numerose opere di pubblico interesse, quali: strade, acquedotti, linee elettriche e telegrafiche, ecc. che la SIAL – SRE avrebbe dovuto comunque ripristinare a proprie spese. Il 6 febbraio 1960, finalmente, dopo tante clamorose lotte delle popolazioni della Valle del Liri, specie dei cittadini di Isola del Liri, il Ministro dei Lavori Pubblici Togni, di concerto con il Ministro delle Finanze Taviani, con proprio Decreto, dopo aver ripercorso la storia del progetto SIAL-SRE, respinse le istanze dell’11 luglio 1949 e 18 giugno 1955, recependo quasi tutte le motivazioni delle 1.139 opposizioni “che possono essere ordinate in gruppi omogenei in relazione agli argomenti addotti che sono sostanzialmente i seguenti:

1. danni determinati o temuti per affetto della costituzione del serbatoio;

2. sommersione dei terreni e case rurali; 3. sommersione di acquedotti e strade con danni

inerenti; 4. temuto pericolo per effetto di sismicità; 5. temuto dissesto economico comunale:

a) per scopi potabili; b) per esigenze igieniche dei centri abitati; c) per usi irrigui ed eventuali loro ampliamenti; d) per usi igienici e domestici rurali, zootecnici

ed agricoli diversi; e) per produzione di forza motrice e di energia

elettrica;

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f) per esigenze degli stabilimenti industriali;

6. temuta menomazione dei patrimonio ittico; 7. menomazione della Cascata e danni turistici; 8. interessi generali e vari; 9. antieconomicità del progetto; 10. interessi connessi a domande incompatibili con quelle della S.I.A.L. Il Decreto affrontò tutta la problematica connessa alla produzione di energia elettrica, ritenendo che, nel merito, le istanze della S.I.A.L. prevedevano una potenza nominale complessiva sui due salti del lago della Posta e di Morroni, di Kw. 27.595, che al netto delle sottotensioni delle utenze all’epoca in atto per complessivi Kw. 16.157, riduceva la produzione prevista con la realizzazione del megaimpianto a Kw. 11.438. “Che pertanto la potenza di nuova produzione, sia pure di pregiata qualità, sostituirebbe per quasi il 60% una potenza già esistente e funzionante che si riferisce ad utilizzazioni legittimamente costituite, le quali, ai fini del pubblico generale interesse, non sono meno importanti di quelle richieste dalla S.I.A.L., in quanto costituiscono un esteso complesso di impianti industriali sorto da tempo immemorabile, che va assumendo sempre maggiore sviluppo. Il che induce l’Amministrazione a non ritenere applicabile, nella specie, l’art. 45 del Testo Unico 11 dicembre 1933, n. 1775. Che tale sviluppo, peraltro, risulterebbe evidentemente pregiudicato ove venisse accordata la concessione alla S.I.A.L. la quale, a termini dell’art. 45 del Testo Unico 11

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dicembre 1933, n. 1775, sarebbe tenuta a fornire soltanto la quantità di energia effettivamente oggi utilizzata, cristallizzando così la possibilità di incremento dell’energia autoprodotta dalle singole aziende industriali della zona interessata; Che la creazione del serbatoio al lago della Posta, sul quale dovrebbe basarsi il motivo di preminenza dello schema di utilizzazione della S.I.A.L. in quanto dal detto serbatoio conseguirebbe il miglioramento della qualità dell’energia che si intenderebbe dalla Società medesima produrre, porta alla sommersione di fertilissimi terreni per una estesa area con evidente distruzione di rilevanti redditi agrari, per di più quanto mai frazionati tra la massa dei piccoli proprietari dei terreni stessi, nonché di numerose opere di pubblico interesse (strade, acquedotti, linee elettriche e telegrafiche, ecc.); Che, inoltre, non è da ritenersi prudente un rincollo di circa 20 metri delle sorgenti del lago della Posta che sarebbe provocato dalla formazione del previsto serbatoio artificiale, per le imprevedibili conseguenze che ne potrebbero derivare sulla esistenza delle sorgenti medesime; Che, comunque, la sommersione delle anzidette sorgenti impedirebbe l’attuale rifornimento idrico di alcuni centri abitati e lo sviluppo dell’approvvigionamento idrico di Val S.Pietro; Che infine sono da tenere in considerazione le osservazioni fatte dal Ministero della Sanità relativamente al problema igienico (infatti nel tratto del Liri tra Balsorano – Anitrella sfociano, immediatamente a

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monte di abitati, i liquami bruti degli importanti centri di Isola del Liri e Sora e le acque di rifiuto di numerose industrie, mentre una derivazione massima delle acque del Liri e Fibreno ridurrebbe i predetti tratti a fogne scoperte) e l’opposizione della Sovrintendenza ai Monumenti per quanto riguarda la CASCATA GRANDE di Isola del Liri per la quale una eventuale decurtazione delle competenze non sarebbe auspicabile, data la sua posizione nel centro abitato”. La gioia delle popolazioni della Valle del Liri fu incontenibile, ma di breve durata, perché altri attentati alla integrità dei fiumi Liri e Fibreno e della Cascata Grande di Isola del Liri cominciavano ad intravedersi, anche dopo la nazionalizzazione delle Società idroelettriche, avvenuta nel 1963, con la costituzione dell’E.N.E.L. (Ente Nazionale Energia Elettrica).

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Progetto dell’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) di deviazione del corso del fiume Liri, per la realizzazione di un grande bacino idroelettrico in territorio di Monte S.Giovanni Campano. A distanza di sei anni dallo storico Decreto Ministeriale, con il quale fu respinta la domanda della S.I.A.L. – S.R.E. di derivazione delle acque del Liri e del Fibreno per la realizzazione del colossale serbatoio del lago della Posta, l’ E.N.E.L. (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica), costituito dopo la nazionalizzazione di tutte le Società idroelettriche, come punto fondamentale del programma del primo governo di centro-sinistra, presentò una nuova istanza di derivazione del fiume Liri. Il quotidiano IL TEMPO del 3 maggio 1966 così trattò l’avvenimento: “Come abbiamo già dato notizia, la riunione indetta dal Comune di Isola del Liri per studiare la situazione creatasi nella zona a seguito della domanda presentata dall’ ENEL al Ministero dei LL.PP. per ottenere la concessione di deviare il corso del fiume Liri onde creare un grande bacino idroelettrico in territorio di Monte S.Giovanni Campano, ha ottenuto un pieno successo, con l’adesione e l’intervento di quasi tutti gli invitati. Per precedenti impegni o per indisposizione non hanno avuto purtroppo la possibilità di essere presenti né i due sottosegretari al Ministero dell’Agricoltura e Foreste, on. Camangi e on. Schietroma, né il sen. Restagno, ma tutte le altre personalità intervenute hanno già assicurato la solidarietà di ogni partito e di ogni ente della provincia

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alla causa dei paesi del medio Liri, minacciati da sì grave iattura. Non c’è stata una voce – tra i numerosi oratori che hanno voluto esaminare il problema sotto tutti i profili, da quello economico a quello industriale, da quello agricolo a quello turistico e igienico-sanitario – che non abbia condannato l’intenzione dell’ ENEL di privare del suo alimento primo una vasta zona e di voler paralizzare lo sviluppo di cittadine fiorenti come Isola del Liri, Sora, Arpino, Castelliri e Fontana Liri. Perfino l’assessore anziano della Amministrazione provinciale, commendator Alfredo Colafrancesco, cittadino di Monte S. Giovanni Campano – l’unico comune che potrebbe avvantaggiarsi (ma è ancora da dimostrare) dal progetto dell’ente elettrico – si è dichiarato contrario alla deviazione delle acque e, come segretario provinciale della D.C., ha formalmente promesso l’appoggio del suo partito alla “battaglia” che i Comuni interessati si apprestano a combattere. Da mettere in rilievo, in ogni caso, due aspetti fondamentali ed importantissimi della questione, fatti risaltare da quasi tutti gli oratori. Il primo, che il progetto ENEL – anche se fosse dimostrato (il che è assurdo) che non arrecherebbe danni né alle varie industrie disseminate nella zona, né all’agricoltura e nemmeno alla bellezza della nostra Cascata e non fosse pregiudizievole per la salubrità della valle in cui viviamo – imporrebbe senz’altro il fermo al progresso di un territorio florido e in continuo sviluppo. Il secondo, è che il progetto, il cui costo è preventivato attorno ai 15 miliardi di lire, provocherebbe un deficit di circa 30 milioni annui, per la manutenzione degli impianti, le spese per il personale e per tutte le altre incombenze.

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E’ di conforto la constatazione – messa chiaramente in risalto dal sindaco Senese – che anche Sora ha un enorme interesse a questo problema. Infatti la località Spinelle, ove avrebbe inizio la deviazione delle acque del fiume Liri, è compresa nel territorio del centro urbano della cittadina ciociara e quindi è forse superfluo illustrare le conseguenze negative per essa, sotto il punto di vista estetico e quello igienico del progetto in questione. Ma, oltre a ciò, ingentissimi sarebbero anche i danni alla redditizia agricoltura di quel luogo e al Consorzio di bonifica della Conca di Sora per il quale, ironia della sorte, il governo (che dovrebbe ora approvare il progetto dell’ ENEL) ha già stanziato diverse provvidenze. Le ragioni quindi non mancano perché, in sede tecnico-legale, il progetto ENEL possa essere sconfitto. Compito del Comitato di difesa, sorto dall’assemblea di Isola del Liri, sarà quello di controbattere le ragioni dell’Ente elettrico e il primo obiettivo sarà l’invocazione dell’art. 7 del T.U. sulle acque. Affinché la domanda di derivazione venga respinta in istruttoria. L’assemblea, infine, ha anche espresso la volontà di appellarsi ai nostri governanti e specialmente alla sensibilità del ministro dei LL.PP. on. Mancini, perché così come fece sei anni fa il Ministro Togni, sia proprio il competente Ministero a dire “basta” in maniera definitiva a coloro che, ancora una volta, desiderano mettere le mani sull’unica ricchezza che madre natura ha donato alla nostra terra. E se le opposizioni legali non bastassero, se l’animo degli uomini al governo fosse insensibile a questa minaccia di “morte civile”, ebbene – come hanno detto diversi oratori – il Comitato di difesa non dovrà avere

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esitazioni ad inscenare delle manifestazioni popolari di protesta, che tanto successo ebbero nel 1958. E molti cittadini, a Isola del Liri, e altrove, hanno la netta sensazione che proprio a queste manifestazioni sarà necessario ricorrere, per salvare – la seconda volta nel giro di pochi anni – le preziose acque del nostro Liri”. Il popolo isolano vinse anche questa battaglia contro l’ennesimo tentativo di attentare all’integrità del nostro fiume e della Cascata Grande. Ma, la vicenda dimostrò che i cambiamenti politici (il passaggio dai governi centristi a quelli di centro-sinistra) e il mutamento della titolarità degli interessi (nazionalizzazione delle fonti energetiche private), a nulla erano valsi per limitare la prepotenza del centro ai danni dei legittimi interessi dei territori, in un Paese dove da sempre si propongono grandi mutamenti e incisive riforme strutturali, per poi non cambiare mai nulla. Non è escluso che queste vicende abbiano fatto maturare il mio pensiero politico sempre più rivolto all’autonomia e all’autogoverno dei territori e a rafforzare l’idea di LIRINIA, la grande città del popolo della verde Valle del Liri. Come nella storia degli uomini capita sovente, però, dopo questo grande momento unitario contro la minaccia di un comune nemico, riesplosero i conflitti cittadini, che sancirono definitivamente il declino e la fine dell’industrializzazione di Isola del Liri. Insomma, gli industriali isolani non trassero nessuna lezione dalle minacce dei monopolisti dell’energia elettrica, perché, dopo la grande vittoria, continuarono a beccarsi per questioni di poco conto, mentre avrebbero dovuto fare fronte comune, attraverso un consorzio, per gestire la enorme risorsa energetica della città.

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Infatti, il 24 ottobre 1974 ci fu l’epilogo dell’annosa controversia sorta 25 anni prima tra la Ditta Ing. Angelo Viscogliosi (Società Forze Idrauliche del Liri), la Cartiera Angelo Mancini, la Ditta Manna e la Società Ippolito & Pisani. Il conflitto diventò clamoroso, perché fu chiamato in causa, con citazione innanzi il Tribunale, lo stesso Ministero dei Lavori Pubblici. Nella suddetta data, il Genio Civile di Frosinone, con ordinanza n. 2061, dispose la pubblicazione della domanda di variante alla concessione d’acqua relativa all’impianto idroelettrico di Villa Correa, assentita alla Società Forze Idrauliche del Liri con R.D. 9 gennaio 1941 n. 7718. Prima di entrare nel merito della ordinanza in argomento, è necessario ricordare che, inizialmente, la controversia, causata dalla ripartizione delle acque, interessò solamente gli utenti Mancini, Manna e Pisani, coinvolse, successivamente, anche Viscogliosi, perché, per ripartire automaticamente la portata delle stesse tra i predetti litiganti, il Genio Civile fece costruire nel bacino a valle della Cascata e dello scarico dell’impianto Viscogliosi di Villa Correa una serie di tre stramazzi. Infatti, la costruzione di questi manufatti determinò la reazione del Viscogliosi, perché il proprio impianto subì un rigurgito nello scarico del suo impianto, determinato dalla perdita di salto di m. 0,76 su un salto totale di m. 27 circa. La serie di lunghe liti, anche in sede giudiziaria, si trascinò, come è stato già detto, per oltre un ventennio, finchè una sentenza del Tribunale delle Acque Pubbliche condannò il Ministero dei LL.PP. ad effettuare l’abbattimento degli stramazzi costruiti a valle della Cascata, oppure ad escogitare un provvedimento atto a

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compensare in qualche maniera la perdita di salto e potenza sofferta dall’impianto Viscogliosi di Villa Correa. A seguito di detta sentenza, il Genio Civile di Frosinone elaborò una serie di proposte che sottopose all’approvazione del Ministero dei LL.PP. e che possono essere così sintetizzate:

1. Allungamento dei cigli dei tre stramazzi ripartitori costruiti sul ramo sinistro sul bacino a valle della Cascata in modo da ridurre la quota del pelo libero dello stesso e migliorare così il salto dell’impianto Viscogliosi.

2. Sopraelevamento, mediante sbarramento mobile e facilmente asportabile (tavolette) del 4° stramazzo ausiliario e delle spallette laterali della Cascata dalla attuale quota di m. 244,50 alla quota di m. 244,70.

3. Ampliamento della bocca di presa dell’impianto Viscogliosi (Villa Correa), mediante taglio del ciglio superiore fino alla quota di m. 244,70 in modo da consentire un maggior prelievo di acqua , tenuto conto che la presa di questo impianto funzionava come stramazzo fino a che il livello del bacino di Villa Correa era al di sotto della quota 244,50, mentre funzionava come bocca a battente per livelli idrici superiori.

In altre parole, il Genio Civile di Frosinone, trovandosi nelle condizioni di escogitare rimedi per compensare Viscogliosi, propose di effettuare quel sopraelevamento del 4° stramazzo e delle spallette laterali della Cascata. La domanda della Società Forze Idrauliche del Liri (Angelo Viscogliosi) in data 30 maggio 1973, pubblicata con ordinanza del Genio Civile n. 2061 del 24 ottobre

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1974, aveva richiesto un aumento della portata da mod. 66 a mod 76 e della potenza nominale da Kw 1756,76 a Kw 1.978,98, per compensare la diminuzione del salto della Cascata, causata dalla realizzazione del ripartitore automatico, da m. 27,15 a m. 26,56. Insomma, sulla nostra bella Cascata Grande si consumò l’ennesima cena delle beffe, se si considera che lo scontro ultraventennale tra le famiglie industriali (rigorosamente in ordine alfabetico Mancini, Pisani, Viscogliosi) si svolse per la divisione, alla “goccia”, delle acque del ramo sinistro del fiume Liri, senza avere il minimo rispetto per il simbolo di Isola del Liri: la CASCATA GRANDE. Tutti i successivi tentativi di sfruttamento del Liri si sono sempre smorzati sul nascere, perché questi precedenti hanno intimorito ogni iniziativa. Ma, da quel momento iniziò il declino dell’antica Valle delle Industrie. Nessuno può escludere, né oggi né mai, che tutti questi attentati, unitamente ai conflitti cittadini, abbiano contribuito a fiaccare la volontà dei nostri imprenditori, stanchi di questa permanente ed estenuante resistenza. Ne parlerò in un successivo volume con il quale tratterò della riconversione di Isola del Liri da antica città fabbrica a Parco fluviale e tecnologico, perché l’ Insula filiorum Petri descritta dal Gregorovius torni alla bellezza di allora, basando il suo nuovo sviluppo sull’utilizzo dei siti industriali, purtroppo, spenti per sempre.

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