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La concessione di impianti sportivi pubblici, con particolare riferimento ai beni della Provincia di Torino. Avv. Stefano Comellini 1. Premessa L’art. 96 del D.Lgs. 16.4.1994 n. 297, prevede, al comma 4, che “gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere utilizzati fuori dell'orario del servizio scolastico per attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile; il comune o la provincia hanno facoltà di disporne la temporanea concessione, previo assenso dei consigli di circolo o di istituto, nel rispetto dei criteri stabiliti dal consiglio scolastico provinciale”. La disposizione ha l’evidente finalità di consentire il migliore utilizzo per la collettività degli impianti sportivi di proprietà pubblica. Tuttavia, l’art. 90, comma 25, Legge 27.12.2002 n. 289 (“Disposizioni per l'attività sportiva dilettantistica”) precisa il detto obiettivo di interesse pubblico, prevedendo che “nei casi in cui l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l'individuazione dei soggetti affidatari”. Il comma 26 della citata disposizione precisa poi che “le palestre, le aree di gioco e gli impianti sportivi scolastici, compatibilmente con le esigenze dell'attività didattica e delle attività sportive della scuola, comprese quelle extracurriculari ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1996, n. 567, devono essere posti a disposizione di società e associazioni sportive dilettantistiche aventi sede nel medesimo comune in cui ha sede l'istituto scolastico o in comuni confinanti” 1 . 1 T.A.R. Puglia Lecce Sez. III Sent., 27/11/2009, n. 2868: “L'art. 90, c. 25 della legge n. 289/2002, e l'art. 19 della L.R. n. 33/2006, regione Puglia, prevedono che nei casi in cui un comune non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata "in via preferenziale" a società e associazioni sportive, tuttavia, le disposizioni richiamate, contraddistinte entrambe dal termine "preferenziale", impongono di prevedere agevolazioni o punteggi aggiuntivi per i soggetti favoriti ma non proibiscono ad altri organismi di partecipare alla gara”.

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La concessione di impianti sportivi pubblici, con particolare riferimento ai beni della Provincia di Torino.

Avv. Stefano Comellini

1. Premessa

L’art. 96 del D.Lgs. 16.4.1994 n. 297, prevede, al comma 4, che “gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere utilizzati fuori dell'orario del servizio scolastico per attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile; il comune o la provincia hanno facoltà di disporne la temporanea concessione, previo assenso dei consigli di circolo o di istituto, nel rispetto dei criteri stabiliti dal consiglio scolastico provinciale”.

La disposizione ha l’evidente finalità di consentire il migliore utilizzo per la collettività degli impianti sportivi di proprietà pubblica.

Tuttavia, l’art. 90, comma 25, Legge 27.12.2002 n. 289 (“Disposizioni per l'attività sportiva dilettantistica”) precisa il detto obiettivo di interesse pubblico, prevedendo che “nei casi in cui l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l'individuazione dei soggetti affidatari”.

Il comma 26 della citata disposizione precisa poi che “le palestre, le aree di gioco e gli impianti sportivi scolastici, compatibilmente con le esigenze dell'attività didattica e delle attività sportive della scuola, comprese quelle extracurriculari ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1996, n. 567, devono essere posti a disposizione di società e associazioni sportive dilettantistiche aventi sede nel medesimo comune in cui ha sede l'istituto scolastico o in comuni confinanti”1.

                                                                                                               1 T.A.R. Puglia Lecce Sez. III Sent., 27/11/2009, n. 2868: “L'art. 90, c. 25 della legge n. 289/2002, e l'art. 19 della L.R. n. 33/2006, regione Puglia, prevedono che nei casi in cui un comune non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata "in via preferenziale" a società e associazioni sportive, tuttavia, le disposizioni richiamate, contraddistinte entrambe dal termine "preferenziale", impongono di prevedere agevolazioni o punteggi aggiuntivi per i soggetti favoriti ma non proibiscono ad altri organismi di partecipare alla gara”.

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L’utilizzo dei soggetti terzi non può che essere limitato nel tempo e nelle modalità di uso così da necessitare di precetti che, per quanto concerne la Provincia di Torino, sono stati determinati con il “Regolamento per lo sviluppo, l’uso e la gestione degli impianti sportivi” (approvato con Deliberazione del Consiglio Provinciale n. 407843 del 22 gennaio 2008, in vigore dal 13 marzo 2008).

Nel corpo del provvedimento si ritrova la disciplina delle “concessioni in uso” (artt. 16-21) e della “concessione in gestione” (artt. 22-26). Inoltre, nell’ambito delle “concessioni in uso” si distingue la “concessione annuale” (art. 18) e la “concessione temporanea” (art. 19).

La “concessione in uso”, nelle sue varie modalità, si distingue dalla “concessione in gestione” perché, mentre in quest’ultima il concessionario prende in carico esclusivo il bene con la conduzione e l’utilizzo continuativo, accollandosi gli obblighi che ne derivano, nella “concessione in uso” il diritto al godimento del bene è parziale e coesiste, sia pure per diverse scansioni cronologiche, con i diritti di utilizzo, altrettanto parziale, di altri soggetti.

La concessione in uso del bene è, quindi, limitata nella sua esplicazione giuridica e fattuale, sia per la concorrenza con gli altri utilizzatori che per il persistente interesse dell’Ente pubblico alla struttura, tale da comportarne, anche, la sospensione temporanea “per ragioni tecniche contingenti e di manutenzione” (Regolamento Provincia Torino, art. 21).

2. I beni pubblici.

Il nostro Ordinamento delinea i beni pubblici secondo un regime direttamente discendente dall’ordinamento francese.

E invero, la categoria, attualmente disciplinata dagli artt. 822-830 cod. civ. era già stata oggetto di peculiare disciplina nel Codice civile del 1865 (artt. 425-435) e nel Codice Sardo del 1837 (art. 420 ss.), ispirato quest’ultimo agli artt. 538-541 del Codice Napoleone2.

La migliore Dottrina3 ritiene che la categoria dei “beni pubblici”, quale insieme dei beni che appartengono a un ente pubblico (come individuati dal R.D. 18.11.1923 n. 2440, rubricato “Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello

                                                                                                               2 Per una ricostruzione storica della categoria, cfr. Cerulli Irelli, voce Beni Pubblici, in Digesto Disc. Pubbl., IV Ed., II, Torino, 1987, p. 274. 3 Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, 1984.

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Stato”), debba essere differenziata dai cd. “beni di interesse pubblico” che possono appartenere anche a privati.

Tali ultimi beni, in particolare, si definiscono “pubblici” sotto un profilo meramente oggettivo, dato che pur non essendo attratti alla mano pubblica, sono finalizzati in concreto, a perseguire finalità di pubblico interesse in diversi settori del vivere sociale. Per tale motivo, tali cespiti sono soggetti a un particolare regime pubblicistico.

I beni stricto sensu pubblici – cioè i beni in ordine ai quali la pubblica amministrazione dispone di particolari poteri pubblici (e in relazione ai quali può quindi parlarsi di proprietà pubblica vera e propria) – si distinguono in “beni demaniali” e “beni patrimoniali indisponibili”. La distinzione fra le due categorie è meramente formale e astratta: in sostanza, è il legislatore ad avere deciso se un bene appartiene all’una o all’altra categoria e, pertanto, non sussiste in concreto un reale discrimen tra le due tipologie citate.

E’ da menzionare, inoltre, la categoria dei “beni patrimoniali disponibili” differenziati dai beni indisponibili per la diversa funzione economica che, per questi ultimi, è destinata in modo diretto ed immediato ad una funzione pubblica, mentre per i primi riguarda un’utilità mediata e meramente strumentale4.

Pertanto, sono beni pubblici quelli individuati dagli artt. 822-830 cod. civ. nonché dall’art. 9 R.D. 23.05.1924 n. 827 (“Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato”), in cui è statuito che “si considerano non disponibili quei beni che per la loro destinazione ad un servizio pubblico o, governativo ovvero per disposizioni di legge non possono essere alienati o comunque tolti dal patrimonio dello Stato”; nonché da altre specifiche normative di settore (ad es., R.D. 11.12.1933 n. 1775 sul demanio idrico e il D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 in materia di beni paesaggistici e culturali).

Con riguardo alle funzioni dei beni pubblici, la Dottrina tradizionale, in uno con la Giurisprudenza meno recente, adottava una catalogazione tripartita per distinguere tutti i possibili usi di tale speciale categoria di beni e distingueva, a tal fine, tra “uso generale”, “uso speciale” e “uso eccezionale”.

                                                                                                               4 Cass. 5 ottobre 1994, n. 8123; cfr. anche Pescatore, Dei beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici. Commentario UTET, 1968, p. 117

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L’uso generale implica l’uso del bene da parte della collettività indifferenziata in conformità alla sua finalità istituzionale. Si tratta di uso non dà luogo, in capo ai consociati, ad un interesse differenziato autonomamente tutelabile nei confronti dell’amministrazione, ma solo a meri interessi di fatto.

L’uso speciale si ha quando l’ente pubblico, senza pregiudicarne la destinazione principale, accorda l’uso del bene – in via prioritaria – a determinati soggetti, prescrivendo loro l’adozione di determinate cautele volte a preservarne l’integrità. Si tratta di opzione, di solito, preferita dall’Amministrazione quando la stessa ritiene di non essere in grado di garantire l’ottimale gestione del bene e si concreta in uno sfruttamento indiretto del cespite. In questo caso, in capo al richiedente si costituisce un interesse legittimo al rilascio della concessione.

L’uso eccezionale, infine, determina una sottrazione del bene all’uso collettivo, al fine di porlo ad esclusiva disposizione di soggetti esercenti particolari attività. Anche per dare corpo a questa fattispecie l’amministrazione adotta lo strumento della concessione.

La Dottrina più recente5, in uno con la giurisprudenza più condivisibile6 ha individuato una bipartizione tra “utilizzazione di carattere generale”, che è quella concessa a tutti i membri della collettività e “utilizzazione particolare”, riservata solo a determinati soggetti a mezzo di provvedimenti di carattere concessorio.

L’art. 828 cod. civ. (Condizione giuridica dei beni patrimoniali) dispone che “i beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non è diversamente disposto, alle regole del presente codice. I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”. La regola ivi prevista ha carattere di norma imperativa e comporta la nullità di tutti gli atti di disposizione dei beni pubblici del patrimonio indisponibile volti a sottrarre i beni stessi alla loro destinazione, salvi i casi previsti dalla legge.

                                                                                                               5 Garofoli-Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2009, 347 ss. 6 Cass. pen. 15.12.1997 n. 11484.

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Pertanto, è da ritenersi ammissibile una cessione di un bene del patrimonio indisponibile ove venga salvaguardata la sua destinazione pubblica. Il rapporto tra ente pubblico ed ente sportivo privato avente ad oggetto il godimento di un bene facente parte del patrimonio disponibile si collocherà, quindi, nell’ambito privatistico; l’utilizzo da parte di una associazione sportiva dilettantistica di un bene appartenente al patrimonio indisponibile degli enti pubblici rientrerà nell’uso eccezionale, ovvero particolare e necessiterà di un atto di concessione. L’art. 8 Legge 11.01.1996 n. 23 ha trasferito (in uso gratuito o) al patrimonio indisponibile delle Province gli immobili dei comuni e dello Stato utilizzati come sede di specifiche istituzioni scolastiche7 con vincolo di destinazione ad uso scolastico.

3. L’istituto della concessione.

Alla nozione di concessione si riconducono atti di diritto pubblico mediante i quali l’Amministrazione pubblica crea diritti, quali le concessioni di pubblici servizi, le concessioni per la costruzione di opere pubbliche, la concessione in uso di beni del patrimonio indisponibile.

La legge prevede che alcuni rapporti aventi un oggetto pubblico siano regolati attraverso la contrattazione: i contratti tra pubbliche amministrazioni e privati sono denominati convenzioni e sono destinati a regolare aspetti patrimoniali di rapporti istituiti in virtù di provvedimenti di concessione.

Le concessioni sono, quindi, atti amministrativi mediante i quali il privato acquista un diritto in base all’apprezzamento discrezionale della pubblica amministrazione.

Il necessario consenso dell’interessato si manifesta comunemente per implicito, attraverso la richiesta, ma talvolta si ha anche per accettazione espressa.

Le concessioni cessano sia per il venir meno dell’oggetto, sia per il raggiungimento dei fini. Normalmente, si estinguono per la scadenza del termine di durata convenuto.                                                                                                                7 “Istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, di conservatori di musica, di accademie, di istituti superiori per le industrie artistiche, nonché di convitti e di istituzioni educative statali”.

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La nozione di concessione è stata oggetto, negli ultimi decenni, di svariati interventi giurisprudenziali e dottrinali, anche in vivace polemica tra loro8.

In ogni caso, qui si può rilevare, in linea generale, che “il nucleo tradizionalmente più significativo delle fattispecie concessorie corrisponde a quelle ipotesi in cui l’amministrazione attribuisce a terzi, con il loro consenso, il godimento di utilità relative a beni pubblici (demaniali e patrimoniali indisponibili), oppure la possibilità di esercitare pubblici servizi o di realizzare opere pubbliche o di compiere l’una e l’altra cosa insieme (costruzione dell’opera ed esercizio del servizio a cui l’opera è destinata)”9.

Tuttavia, numerose altre ipotesi sono state ricondotte alla nozione di “concessione”. Si tratta di fattispecie eterogenee da molti punti di vista, soprattutto sotto il profilo della forma giuridica che può assumere l’azione dell’amministrazione.

Ad un primo esame, quando l’amministrazione concede un bene di sua spettanza a fronte dell’assunzione di certi obblighi, può ritenersi che si versi nell’ambito di modelli contrattuali e privatistici, sia in materia di godimento su beni pubblici che di servizi e opere pubbliche (ove l’istituto della concessione trova concorrenza nella normativa in tema di appalto).

Sul punto della contiguità tra concessione e contratto (e tra certe concessioni e l’appalto) è necessaria una digressione storica.

Nel nostro ordinamento, l’istituto della concessione venne dapprima riconosciuto, nel primo novecento italiano, in termini provvedimentali, come atto amministrativo proprio10.

Si era in allora ritenuto che se la concessione fosse stata riconducibile alla nozione di contratto, sopravvenute e diverse esigenze pubbliche non avrebbero consentito lo scioglimento del vincolo e la pubblica amministrazione avrebbe potuto inserire clausole di recesso negli accordi

                                                                                                               8 Cons. stato, Sez. V, 9.12. 2002 n. 6764. 9 Sorace-Marzuoli, Concessioni amministrative, in Digesto IV, Disc. Pubbl., vol. III, Torino, 1989, p. 280. 10 Per approfondimenti sulla evoluzione storica della nozione di concessione, cfr. Leone, Opere pubbliche, tra appalto e concessione, Padova, 1990.

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per i servizi di pubblica utilità ad esclusivo danno del contraente privato11.

Successivamente, il concetto di concessione subì un’ulteriore involuzione: il ricorso alla concessione costituiva lo strumento per evitare la gara pubblica per la scelta del contraente. Una parte della dottrina arrivò addirittura ad affermare che l’Amministrazione poteva evitare la messa in concorrenza delle concessioni in forza della unilateralità del provvedimento.

Sulla scia della dottrina francese degli anni settanta, recependo altresì i dettami del diritto comunitario, il legislatore ha finalmente fissato in materia di opere pubbliche il principio secondo cui le concessioni sono riconducibili alla nozione di contratto.

In particolare, in tema di lavori pubblici l’art. 19 della abrogata legge 11.02.1994 n. 109 attribuiva alle concessioni in tema di lavori pubblici la natura di contratti, conclusi in forma scritta, tra un imprenditore ed un’amministrazione aggiudicatrice.

Del resto, è utile ricordare che la tradizione dell’orientamento italiano è sempre stata quella di favorire la libera scelta del concessionario, introducendosi ampie deroghe al principio della evidenza pubblica e, all’opposto, di considerare con maggiore rigore la scelta del contraente appaltatore12.

Pertanto, la strumentalizzazione dell’istituto della concessione al mero scopo di evitare l’esperimento di gare pubbliche è stato severamente censurato a livello comunitario. L’orientamento giurisprudenziale a favore dell’estensione alla concessione di beni pubblici dei principi, elaborati dalla giurisprudenza comunitaria13, è stato rafforzato dalla Comunicazione 12 aprile 2000 della Commissione Europea che, pure definita fonte di soft law, al fine di perseguire l’integrazione positiva in carenza di norme cogenti, ha raccomandato l’applicazione delle norme che vietano ogni discriminazione ai sensi, tra l’altro, dell’art. 86 del trattato CE.

Con la detta Comunicazione, la Commissione ha fissato gli elementi essenziali che devono caratterizzare le concessioni, perseguendo il                                                                                                                11 Si trattava della risposta giuridica ad un problema pratico, vale a dire la sorte delle concessioni di pubblica illuminazione a gas, spesso assentite per periodi di tempo pluridecennali, nel momento in cui l’introduzione dell’illuminazione elettrica avrebbe consentito rilevanti risparmi di denarto per le collettività locali. 12 Cons. Stato, sez. IV, 15.02.2002 n. 934. 13 Corte Giustizia CE 7 dicembre 2000 causa C-324/98.

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duplice obiettivo di circoscrivere la nozione stessa di “concessione” (secondo la definizione fornita dalla Direttiva CE 93/37/CEE sugli appalti pubblici di lavori) e di chiarire che tale istituto deve essere ricondotto ai medesimi canoni ermeneutici anche quando abbia ad oggetto prestazioni di servizi.

Successivamente, la direttiva 2004/18/CE, all’art. 1, ha definito sia la concessione di lavori che quella di servizi come contratti nei quali la prestazione a favore della controparte dell’amministrazione aggiudicatrice consiste nel diritto a gestire l’opera o il servizio, traendone remunerazione.

L’obiettivo è quello di evitare condotte elusive di principi concorrenziali. In sostanza tutte le concessioni ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni del Trattato, in relazione ai principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità.

In particolare, l’art. 81 del Trattato CE fornisce il principio generale per il quale tutte le concessioni, anche quelle aventi ad oggetto beni demaniali devono essere assoggettate ai principi fondamentali del Trattato.

La giurisprudenza amministrativa interna, in adesione ai principi fissati dalla Corte di Giustizia europea con riferimento alla concessione di servizi pubblici, ha riconosciuto agli stessi una portata generale che può ben adattarsi ad ogni fattispecie, anche estranea all’ambito applicativo delle direttive sugli appalti, come appunto nel caso delle concessioni di beni demaniali (o di beni del patrimonio indisponibile degli enti).

La ragione sta nella considerazione che la concessione di beni (come di sovvenzioni) consiste in spendita delle risorse della collettività che devono essere gestite secondo la procedura più trasparente ed efficiente14.

In effetti, la concessione di beni sta ai contratti attivi delle pubbliche amministrazioni come le concessioni di opere e servizi stanno ai contratti passivi. Una consolidata giurisprudenza contabile ha operato l’assimilazione delle concessioni di beni pubblici ai contratti passivi, affermando la loro sottoposizione alla disciplina di cui all’art. 3, comma 1, R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 e quindi al procedimento di gara.

                                                                                                               14 Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2005 n. 168.

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Il regime della gara corrisponde, quindi. ad un principio generale, sancito anche dalla giurisprudenza in materia di scelta dei concessionari di pubblici servizi15, ovvero dei soci delle società miste destinate alla gestione di servizi locali, da applicarsi anche a prescindere dall’esistenza di un testo normativo specifico sul punto.

4. La “concessione in gestione” e la “concessione in uso”.

Nella “concessione in gestione” di un bene pubblico il concessionario è onerato dell’intero complesso con i relativi costi integrali.

Nella “concessione in uso” il diritto sul bene è parziale, secondo le delimitazioni convenzionali di tempo e di luogo, e concorrente con altri titolari di eguali diritti sia pure diversamente distribuiti e tra loro autonomi.

5. Il cd. diritto di insistenza.

Per “diritto di insistenza” si intende la posizione del concessionario quale vero e proprio diritto soggettivo al rinnovo e non già quale mera aspettativa giuridicamente tutelata con carattere sussidiario rispetto al criterio principale e generale della più proficua utilizzazione della concessione, anche in considerazione del pubblico interesse.

Il cd. diritto di insistenza, pur talvolta previsto da normative settoriali, in quanto derogatorio rispetto ad un principio generale quale quello della gara non può che essere sottoposto ad interpretazione giurisprudenziale restrittiva16.

In particolare, si afferma che il concessionario di un bene pubblico non vanta alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto, il cui diniego, nei limiti ordinari della ragionevolezza e della logicità dell’azione amministrativa, non abbisogna d’ulteriore motivazione (essendo parificabile al rigetto di un’ordinaria istanza di concessione), né implica alcun “diritto di insistenza” qualora la pubblica amministrazione intenda non sostituire al precedente un nuovo concessionario, ma procedere ad un nuovo sistema di affidamento mediante gara pubblica17.

                                                                                                               15 Ai sensi del D.M. 31.12.1983 del Ministero dell’Interno, la concessione per l’uso continuativo ovvero occasionale degli impianti dell’Ente Provincia è collocata nelle categoria dei servizi pubblici locali a domanda individuale. 16 Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2005 n. 168. 17 Cons. Stato, Sez. V, 7 febbraio 2000 n. 725.

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In altri termini, il cd. diritto di insistenza può operare solo qualora chi lo invoca abbia offerto condizioni identiche a quelle del concorrente che non rivestiva la qualifica di precedente concessionario.

6. Gli impianti sportivi scolastici.

Come già si è evidenziato18, l’art. 90 Legge 289/2002 dispone che (comma 24) “l'uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli enti locali territoriali è aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito, sulla base di criteri obiettivi, a tutte le società e associazioni sportive”.

Inoltre (comma 25), “Ai fini del conseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 29 della presente legge19, nei casi in cui l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l'individuazione dei soggetti affidatari. Le regioni disciplinano, con propria legge, le modalità di affidamento”.

Gli impianti sportivi collocati all’interno di strutture scolastiche sono sovente destinati ad utilizzo di terzi estranei alle attività curriculari.

Sul punto l’art. 12, comma 2, Legge 4.08.1977 n. 517 prevede che “gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere utilizzati fuori dell'orario del servizio scolastico per attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile; il comune o la provincia hanno facoltà di disporre la temporanea concessione, previo assenso dei consigli di circolo o di istituto, nel rispetto dei criteri stabiliti dal consiglio scolastico provinciale”.

Di rilievo è anche il già menzionato art. 96 del D.Lgs. 16.04.1994 n. 297, ove si regolamenta l’ “uso delle attrezzature delle scuole per attività diverse da quelle scolastiche”.

Lo stesso Decreto legislativo attribuisce la competenza alle Province ed ai Comuni di individuare gli assegnatari delle concessioni in uso con riferimento, rispettivamente, agli istituti di istruzione secondaria superiore e formazione professionale per le prime; istituti di istruzione materna, elementare e media per i secondi.

                                                                                                               18 Retro, § 1. 19 “Patto di stabilità”.

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Tuttavia, non contemplando il provvedimento una specifica procedura di individuazione dell’assegnatario, si deve ricordare il principio generale di applicazione del regime della gara, nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.) e quelli di trasparenza e pubblicità dell’attività amministrativa (art. 1 Legge 7.08.1990 n. 241)20.

La giurisprudenza consente anche lo schema della gara informale, richiamato dall'art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, in tema di concessione di servizi. Si tratta di un modulo procedimentale caratterizzato da ampia discrezionalità dell'amministrazione. Di conseguenza, nella fissazione delle regole della selezione concorsuale - al fine di realizzare "i principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici" - l'Amministrazione ben può scegliere di avvalersi di un modello predefinito, quale quello della gara pubblica, che lo stesso legislatore ha tipizzato come espressione massima dei principi di trasparenza e concorrenzialità. L'esigenza della gara informale corrisponde, infatti, alla ratio di garantire uno standard minimo di concorrenzialità ma non inibisce all'Amministrazione il ricorso a procedure maggiormente aperte e trasparenti; tale ratio è confermata dallo stesso art. 30, quarto comma, dove sono fatte salve "discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della concorrenza"21. 7. Il canone di concessione. L’art. 11 del DPR 13 settembre 2005 n. 296 subordina (come già l’abrogata legge 11 luglio 1986 n. 390) la concessione del bene al pagamento di un canone anche se ridotto (cd. canone ricognitorio).

Tuttavia, come è stato osservato22, tale disposizione trova applicazione solo con riferimento ai beni dello Stato, così che gli enti locali concedenti

                                                                                                               20 “In caso di affidamento della gestione di campi di tennis di proprietà comunale, sia che venga qualificato come concessione di servizio pubblico o come appalto di servizi sotto soglia, la scelta del concessionario o dell’appaltatore sotto soglia deve avvenire rispettivamente “nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato istitutivo della Comunità Europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti”. T.A.R. Basilicata Potenza Sent., 12/05/2007, n. 366, A.C.T. c. Comune di Matera e altri. 21 T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 27/11/2009, n. 2868. 22 C. Conti Veneto Sez. giurisdiz., 21/04/2009, n. 323. Nel caso di specie si trattava di piscine concesse alla FIN.

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impianti sportivi di loro proprietà possono, in linea generale, affidare gli stessi senza prevedere il pagamento di un canone.

L’Amministrazione può, peraltro, regolare la materia con un apposito Regolamento che non può essere disatteso se a non a prezzo di un comportamento illegittimo.

Il citato “Regolamento per lo sviluppo, l’uso e la gestione degli impianti sportivi” della Provincia di Torino23, dispone all’art. 43 (“Canoni per la concessione in gestione”) che:

1. Il canone previsto per la concessione in gestione è determinato congiuntamente, ogni volta, dalle strutture provinciali competenti per il patrimonio e per il turismo e sport.

2. La determinazione del canone deve tener conto dei seguenti fattori:

◦ valutazione patrimoniale,

◦ redditività presunta della struttura sportiva,

◦ gravosità degli oneri correlati alle utenze,

◦ opere di investimento necessarie.

3. Il canone viene versato con decorrenza dalla data di stipula della convenzione: di norma il versamento è effettuato con cadenza trimestrale.

4. Il canone può essere rideterminato qualora la Provincia effettui, a proprio carico, spese di miglioria nella struttura sportiva in concessione o a seguito di modifiche al presente regolamento.

5. La Provincia si riserva la facoltà di recesso, con preavviso di almeno tre mesi, ai sensi dell'art. 1373 c.c., in caso di mancata accettazione del nuovo canone da parte del concessionario, senza indennizzo alcuno.

Ne deriva che, per i beni dell’Ente Provincia di Torino, non è consentito l’affidamento in concessione gratuita.

Nel senso sovra esposto, si è posta anche la Corte dei Conti, Sez. di Controllo per la Lombardia, con il parere n. 349/2011, con il quale rispondeva al quesito posto da un Comune teso a conoscere se l’Ente stesso potesse concedere in via diretta alla locale associazione sportiva,

                                                                                                               23 Retro, § 1

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unica sullo specifico territorio, la gestione degli impianti sportivi di proprietà comunale senza l’obbligo di versare alcun corrispettivo.

I Giudici contabili hanno rilevato che, in linea di principio, “non esiste alcuna norma che ponga uno specifico divieto di concessione in uso gratuito di beni facenti parte del patrimonio disponibile dell’Ente locale”.

8. Cause di estinzione della concessione. La fattispecie della concessione deriva dall’atto amministrativo unilaterale dell’Ente concedente e dalla convenzione, atti necessariamente e reciprocamente collegati per l’assolvimento della funzione di gestione del bene o del servizio. Secondo la Dottrina, se in linea generale il provvedimento e il contratto seguono ciascuno la propria disciplina, alcune questioni sorgono con riferimento ai collegamenti tra le vicende dell’uno e dell’altro: i vizi dell’uno non sono direttamente rilevanti nei confronti dell’altro (e viceversa), salvo che si tratti di aspetti riguardanti l’esistenza o l’efficacia dell’atto. 8.1. La revoca. La revoca è uno dei casi di estinzione incidenti sull’atto, funzionale all’esigenza di garantire il perseguimento dell’interesse pubblico. La Dottrina ritiene che “il potere di revoca quando abbia effetti di tal genere, non può considerarsi implicitamente proprio dell’amministrazione, ma deve considerarsi inesistente in mancanza di un’esplicita e tassativa previsione legislativa”24. La giurisprudenza, invece, ha costantemente riconosciuto in capo alla Pubblica Amministrazione il potere generale di ritirare il provvedimento amministrativo per situazioni sopravvenute che lo rendano inadeguato a soddisfare l’interesse pubblico, anche a fronte di un preesistente rapporto di natura contrattuale. Si rilevi, tuttavia, che nella prima giurisprudenza del secolo scorso, l’influenza del contratto accessorio era considerata tale che i diritti                                                                                                                24 Sorace – Marzuoli,Concessione amministrativa, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, 1989, III, 280.

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soggettivi del concessionario, derivanti dal negozio contrattuale, permanevano pur a fronte dell’atto autoritativo di ritiro della P.A. concedente. Con la conseguenza della necessità di un sindacato molto penetrante del giudice ordinario sulla legittimità della revoca per motivi di pubblico interesse, “di modo che l’imperatività degradante, implicitamente introdotta dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, attraverso il concetto di atto di imperio, fu resa dubbia dalla giurisprudenza del giudice ordinario”25. Il giudice ordinario verificava in concreto la sussistenza reale dei motivi della revoca, realizzando quindi un controllo sostanziale sull’eccesso di potere e spingendosi, in taluni casi, sino a valutare l’entità e la gravità delle scelte di merito della Pubblica Amministrazione26. Ne conseguiva che l’autorità giudiziaria ordinaria, nel rispetto dei limiti imposti dall’allegato E della legge 20 marzo 1865, n. 2248, a fronte della accertata inconsistenza ed arbitrarietà dei motivi adotti dalla P.A. a sostegno della revoca, se da un lato non poteva annullare o modificare l’atto amministrativo e neppure prescrivere alla P.A. una determinata condotta per l’esecuzione ulteriore del contratto, dall’altro condannava la P.A. al risarcimento dei danni27. Al contrario, in caso di revoca reputata legittima, nessun risarcimento di danni vero e proprio veniva riconosciuto al concessionario, in considerazione dell’originaria riserva di revocabilità insita nel regolamento contrattuale della concessione, oltre che per la generale subordinazione di tutti gli interessi privati rispetto alle esigenze superiori dello Stato. In tali ipotesi, la giurisprudenza riconosceva il diritto alla restituzione della cauzione eventualmente versata e, talora, la corresponsione al concessionario di un equo indennizzo “sul modello dei criteri propri dell’espropriazione, per danni recati legittimamente”28. A partire dagli anni quaranta del secolo scorso, iniziava a riconoscersi al giudice amministrativo la competenza giurisdizionale sulle controversie relative alla revoca per pubblico interesse. Si sostiene, infatti, che il

                                                                                                               25 D’Amico, Considerazioni in ordine all’art. 11, legge 7 agosto 1990 n. 241, in Foro amm., 1992, 2456. 26 Cass. Sez. un., 8 giugno 1933, in Foro it., 1933, I, 1150; 27 febbraio 1942, n. 580, in Foro amm., 1942, II, 32; Cons. Stato, sez. IV, 30 aprile 1920, in Foro it., 1920, III, 154; sez. IV, 30 aprile 1927, ivi, 1927, III, 163. 27 Cass. Sez. un., 11 marzo 1931, in Foro it., Rep. 1931, voce Concessioni amministrative, nn. 9–12 28 Cass., sez. I, 25 aprile 1925, in Foro it., Rep. 1925, voce Municipalizzazione pubbl. serv., nn. 4–9; Cons. Stato, 17 febbraio 1942, n. 52, in Foro amm., 1942, I, 1, 95.

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combinato della concessione ed della convenzione implichi sempre l’attribuzione al privato di un diritto condizionato, che può essere unilateralmente soppresso dall’amministrazione stessa con la revoca dell’atto di concessione in caso di contrasto col prevalente interesse pubblico. Ne consegue che, emesso il relativo provvedimento amministrativo, la posizione del privato stesso degrada ad interesse legittimo, suscettibile di tutela solo davanti al giudice amministrativo e non in sede di giurisdizione ordinaria29; inoltre, che nessuna indennità o risarcimento è dovuto, neanche a fronte di atti illegittimi30. L’orientamento giurisprudenziale è rimasto costante anche successivamente all’entrata in vigore della Legge n. 1034/1971 (istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali), che, all’art. 5, introdusse la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo31. 8.2. La “risoluzione per inadempimento” o “decadenza”. L’inadempimento del privato o il solo venir meno delle sue qualità soggettive può dar luogo a “risoluzione per inadempimento” o “decadenza” dalla concessione. La dottrina ritiene che, in materia di concessione, “la declaratoria di decadenza risulta più evidente per ciò che è: un provvedimento che produce un effetto estintivo del rapporto contrattuale, e quindi, delle obbligazioni nate dal contratto, nella specie di risoluzione autoritativa del rapporto per grave inadempimento. Come provvedimento esso ha la stessa struttura del negozio di risoluzione del contratto fondato su clausola risolutiva, ma ha funzione più ampia in quanto volto anche a tutelare gli interessi pubblici oggetto delle situazioni soggettive dell’amministrazione nascenti dal provvedimento concessorio, ed ha altresì una diversa efficacia, in quanto è provvedimento non negozio, quindi imperativo ed esecutivo”32. Ne deriva che la giurisdizione sulle conseguenti controversie deve essere deferita al giudice ordinario, perché accerti l’inadempimento come pure per la controversia che dovesse nascere nell’esercizio del diritto                                                                                                                29 Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 1956, n. 109, in Foro amm., 1956, I, II, 321. 30 Cass., Sez. un., 5 aprile 1959, n. 972, in Foro amm., 1959, II, I, 136. 31 Cass. 1° febbraio 1985, n. 654, in Foro it., Rep. 1985, voce Contratti della p.a., 121. 32 Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1988, p. 870.

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potestativo di risoluzione per inadempimento tra i privati: la sua illiceità comporterà allora illecito civile contrattuale la cui conseguenza sono quelle generali o particolari per ciascun tipo di contratto. La giurisprudenza si è posta in linea con questa impostazione dottrinale, individuando posizioni di diritto soggettivo in capo al destinatario della declaratoria di decadenza per inadempimento, deferendo la materia al giudice ordinario33. Si è inoltre, in tale sede, chiarito il criterio distintivo tra le nozioni di “decadenza” e “revoca”, spesso confusi e interferenti tra loro, che è da ricercarsi nell’indicazione delle esigenze di “pubblico interesse”: qualora le argomentazioni del provvedimento facciano riferimento al pubblico interesse si tratterà di revoca, diversamente si verserà in ipotesi di decadenza. Il riferimento alla revoca si ha spesso anche nei casi in cui si controverte sull’estinzione della concessione per clausole espresse dalla convenzione collegata, quali, ad esempio, la condizione risolutiva o la decadenza pronunciata nell’esercizio del potere di autorisoluzione del rapporto in seguito a specifiche inadempienze. In materia, la Giurisprudenza, chiamata a determinare il giudice competente, non ritiene sufficiente che l’attribuzione del potere di estinzione del contratto provenga da una clausola contrattuale, richiedendosi, affinché si possano individuare posizioni di diritto soggettivo sottoposte al sindacato del giudice ordinario, che il potere sia “vincolato”, che sia escluso ogni margine di discrezionalità da parte della Pubblica Amministrazione. L’art. 5 della citata Legge n. 1034/1971, introducendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di concessione di beni e servizi, e l’art. 133 del vigente D.Lgs. n. 104/2010 (cd. “Codice del processo amministrativo”) hanno lasciato, in sostanza, inalterato il criterio di individuazione delle posizioni giuridiche attive di diritto soggettivo e interesse legittimo elaborate dalla giurisprudenza precedente34. Infatti, in casi di lesione dell’interesse legittimo, l’atto deve essere impugnato nell’ordinario termine di decadenza, può essere sospeso in

                                                                                                               33 Cons. Stato, sez. IV, 30 marzo 1966, n. 182, in Foro it., 1966, III, 317; Cass., Sez. un., 9 novembre 1967, n. 2795, in Foro it., 1967, I, 1605 34 Cass, Sez. un., 19 luglio 1995, n. 7816, in Foro it., Rep. voce Giurisdizione civile, n. 99

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sede cautelare e deve essere motivato ai sensi dell’art. 3 Legge 7 agosto 1990 n. 241 ed adottato nel rispetto delle garanzie procedimentali di cui alla normativa da ultimo citata. Qualora sia, invece, leso un diritto soggettivo, il concessionario potrà esercitare l’azione di accertamento nel più lungo termine di prescrizione e la motivazione sarà necessaria se non nei limiti in cui rispondenti a criteri di corretta amministrazione. 9. La giurisprudenza.

La giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere che: “Gli impianti sportivi comunali per il nuoto rientrano tra i beni del patrimonio indisponibile degli enti locali e, in particolare, giacché finalizzati a soddisfare l'interesse della collettività alle discipline sportive, sono ascrivibili ai beni destinati ad un pubblico servizio, onde gli stessi possono essere trasferiti nella disponibilità dei privati solo mediante concessione amministrativa, quale è quella in cui il privato gestisce l'impianto natatorio percependo il corrispettivo direttamente dagli utenti e corrispondendo un canone di concessione all'Amministrazione comunale, secondo lo schema tipico della concessione di servizio pubblico”35. “La concessione di gestione di un impianto sportivo è inquadrabile nella ‘concessione di pubblico servizio’ posto che sul piano oggettivo, per pubblico servizio deve intendersi un’attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale”36. “L'affidamento in concessione di un servizio pubblico da parte di un comune ad un privato, non può, di regola, essere effettuato se non previo esperimento dell'asta pubblica (recte, di una gara ad evidenza pubblica), la facoltà di procedere a trattativa privata potendo essere esercitata solo quando speciali circostanze la consiglino (nella specie, l'affidamento, da parte di un comune ad un privato, della concessione di costruzione e gestione di un impianto sportivo non giustifica di per sé solo il ricorso alla trattativa privata, in quanto l'interesse pubblico, sotteso all'intervento e richiamato dalla p.a. procedente, avrebbe imposto                                                                                                                35 T.A.R. Emilia-Romagna Parma, Sez. I, 31/01/2011, n. 30 N.D.N. s.a.s. di No.Et. & C. c. Comune di Borgonovo Val Tidone Nello stesso senso, TAR Puglia, Sez. III Lecce, 12/06/2010 n. 1392. 36 TAR Calabria, Sez. Catanzaro, 1/7/2010, n. 1419.

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una larga partecipazione concorrenziale al fine del miglior soddisfacimento dello stesso)”37. “La concessione d’uso di impianti sportivi presuppone che a monte vi sia stata una procedura ad evidenza pubblica”38. “La fattispecie avente ad oggetto l'affidamento a terzi del centro sportivo comunale, nella quale i costi sostenuti dal gestore del centro sportivo sono a carico dell'affidatario il quale potrà contare sui proventi derivanti dall'esercizio commerciale (bar) presente nell'impianto rientra nell'istituto della concessione in quanto: una parte del rapporto è rappresentato da un ente pubblico che è titolare del bene e responsabile in via diretta del servizio da affidare in gestione; l'alea relativa alla gestione viene trasferita al concessionario che si assume il ‘rischio economico’ nel senso che la sua remunerazione dipende strettamente dai proventi che potrà trarre dall'utilizzo del bene. In particolare, si tratta di concessione di pubblico servizio posto che, sul piano oggettivo, per pubblico servizio deve intendersi un'attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale. Anche nel caso di concessioni pubbliche, per la scelta del concessionario è necessario ricorrere a procedure selettive in grado di garantire trasparenza (anche attraverso un'adeguata pubblicità), imparzialità e parità di trattamento. L'obbligo di dare corpo a forme idonee di pubblicità deriva in via diretta dai principi del Trattato dell'Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne”39. “Non appare criticabile l’azione amministrativa del Comune nella parte in cui: a) ha limitato la partecipazione alla gara ad associazione e società sportive dilettantistiche; b) in tale ambito ha ristretto la partecipazione a quelle praticanti due discipline sportive, e, a tal fine, ha chiesto una dichiarazione di affiliazione ad una delle due federazioni nazionali40. “Nella risoluzione giudiziale del contratto di gestione dell'impianto sportivo comunale in danno del gestore questo deve essere condannato a rimborsare tutte le spese sostenute dal comune in sua vece, perché previste a suo carico a termini di contratto, cui va detratto il credito

                                                                                                               37 Cons. Stato Sez. V, 15/03/2001, n. 1514 Soc. Punto Azzurro e Soc. Punto Azzurro zio di gestione c. Reg. Puglia e altri. 38 Tar Puglia, sez. III Lecce, 3/6/2010 n. 1341. 39 T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, 20/12/2005, n. 5633 Denti c. Comune di Caselle Lurani e altri. 40 Cons. Stato, Sez. V, 10/11/2008, n. 5577.

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vantato dal concessionario per i canoni arretrati e non corrisposti dal comune stesso”41. “La carenza di manutenzione degli armadi di contenimento dei quadri elettrici delle torri faro è idonea se congruamente motivata a giustificare la revoca della concessione in uso dell’impianto sportivo. Il provvedimento che revoca la concessione d’uso di impianti sportivi comunali necessita di puntuale indicazione della violazione che si contesta al concessionario, non essendo sufficiente il rinvio ad una norma del regolamento per l’utilizzo degli impianti sportivi comunali che disponga genericamente che la PA può revocare la concessione in qualsiasi momento ove ritenga che le iniziative programmate non rispondano alle condizioni generali o alle particolari prescrizioni convenzionali d’uso o non siano consone al luogo o alle finalità che l’amministrazione si propone nell’ambito del progetto di promozione delle attività sociali dei cittadini”42. Di rilievo, per quanto concerne la responsabilità penale di soggetti riconducibili all’ente pubblico: “In tema di reato colposo, qualora un ente pubblico, nella specie un comune, abbia dato in concessione un suo impianto sportivo ad una società ovvero ad una persona privata che si presenti e risulti essere qualificata per lo svolgimento dell'attività collegata alla gestione dell'impianto stesso ed abbia imposto alla concessionaria oneri ed obblighi, tra l'altro addossandole ogni responsabilità per danni verso terzi verificatisi nel corso dell'attività programmata dalla stessa, l'ente pubblico può e deve confidare, in virtù del principio dell'affidamento, che la concessionaria si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività in questione. (Nella fattispecie il comune aveva concesso la gestione di una piscina di sua proprietà ad una società polisportiva, l'amministratore di fatto e il presidente della quale erano stati condannati per il reato di omicidio colposo nei confronti di un ragazzo, annegato nella piscina. La colpa degli imputati era stata ravvisata nell'avere essi omesso misure di sorveglianza della piscina, per mancanza di bagnini. La corte di appello aveva escluso la responsabilità civile del comune che era stata, invece, ritenuta in primo grado. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso della parte civile secondo la quale il comune era tenuto a controllare gli

                                                                                                               41 T.A.R. Piemonte, Sez. II, 26/10/2001, n. 2019, Com. Carrù c. Assoc. Kronos 1991. 42 TAR Veneto, Sez. I, 18/5/2010 n. 2309.

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impianti rilevando che dall'albo di concessione emergeva che l'ente pubblico non si era riservato il controllo dell'attività svolta dalla società concessionaria, ma unicamente il diritto di accedere in ogni e qualsiasi momento agli impianti con i suoi funzionari e i suoi tecnici, al fine di accertare come fossero tenuti e, quindi, di appurare se la società detta si attenesse alle norme scritte nell'albo di concessione)”43.

10. La sicurezza nell’ambito sportivo. La normativa in tema di sicurezza per i luoghi e per i soggetti riconducibili all’ambito sportivo è essenzialmente riferibile a: - le norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi di cui al D.M. 18 marzo 1996. - le norme a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 9.04.2008 n. 81, come successivamente integrato e modificato dal D.Lgs. 3.08.2009 n. 106, il cd. Testo unico della sicurezza). A questo proposito, è ormai generalmente condiviso l’orientamento per il quale il D.Lgs. 81/2008, trattandosi di normativa riferibile (art. 3, comma 1) a “tutti i settori di attività … e tutte le tipologie di rischio”, risulta applicabile anche all’ambito sportivo. Il primo riferimento normativo (D.M. 18 marzo 1996) è di competenza del “proprietario” dell’impianto sportivo che deve garantire al “gestore” dello stesso la sussistenza e rintracciabilità di tutta la documentazione relativa alla conformità legislativa della struttura e dei relativi impianti (es. agibilità, conformità impianti, messa a terra, ecc.). In particolare, l’obbligo di messa a norma concerne aspetti quali: - idoneità degli impianti (elettrici, idrici, di condizionamento, antincendio, di depurazione, ecc.); - presenza di uscite e porte di emergenza; - presenza di luci di emergenza; - accessibilità e servizi igienici appropriati per i disabili; - idonee pavimentazioni; - vetrature sicure;                                                                                                                43 Cass. pen. Sez. IV, 01/02/1996, n. 3493 Roghi.

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- presenza di servizi igienici adeguati; - protezione delle lampade nelle sale dedicate all’attivita sportiva. Il secondo riferimento (D.Lgs. 81/08, T.U.L.S.) è di competenza del “gestore” dell’impianto che deve garantire il rispetto della salute nei luoghi di lavoro.

Come si è anticipato, l’art. 3, comma 1, T.U.L.S. dispone che “Il presente Decreto Legislativo si applica a tutti i settori di attività privati e pubblici e a tutte le tipologie di rischio”. La considerazione che le attività sportive non siano ricomprese nell’enumerazione dei settori per i quali (art. 3 comma 2) sono espressamente previste speciali discipline (es. forze armate, vigili del fuoco, difesa civile, protezione civile, ecc.) induce, con chiarezza, la piena applicabilità del T.U.L.S. Ne consegue che le associazioni sportive sono soggette all’applicazione del T.U.L.S. con obbligo di individuazione dei fattori di rischio connessi al particolare tipo di attività nello specifico luogo di lavoro (impianto sportivo, palestra, piscina, pista di sci, atletica, nautica, calcio, ecc.). In ogni caso, l’Ente proprietario dovrà ricomprendere nell’atto concessorio l’obbligo di rispetto degli obblighi di sicurezza e le condizioni di lavoro, secondo le prescrizioni di legge. Innanzi tutto, è necessaria l’individuazione del “datore di lavoro”, nella persona del Presidente o del Delegato all’uopo nominato dall’assemblea dei soci (o dal Consiglio Direttivo, se ne ha i poteri).

Per “datore di lavoro” si intende (art. 2, comma 1, lett. b, T.U.L.S.) “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o comunque il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva (impianto sportivo), in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”. Si tratta del soggetto chiamato a garantire l’incolumità psico-fisica dei lavoratori, come pure di terzi. Nell’ambito di un impianto sportivo, il datore di lavoro, come si ricava dal D.M. 18.03.1996, coincide con il gestore dell’impianto stesso, non

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con il mero proprietario, solitamente un ente locale (es., Provincia), o la associazione sportiva che, in caso di concessione di uso temporaneo, ne è semplice fruitrice. Non così, invece, qualora l’Associazione sia concessionaria in gestione dell’impianto, con l’assunzione in proprio dei conseguenti obblighi di sicurezza. Il Datore di lavoro deve poi attestare di avere nominato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell’art 2 comma 1 lett. f del T.U.L.S. o di svolgere direttamente tale funzione come “datore di lavoro” ai sensi dell’articolo 34 del stesso D.Lgs. Il “responsabile del servizio di prevenzione e protezione è persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’art. 32, designata dal datore di lavoro, a cui risponde per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dei rischi” (art. 2, comma 1 lett. f). Si deve trattare, pertanto, di soggetto munito di una buona preparazione professionale che deve seguire l’andamento delle attività sportive consigliando al datore di lavoro gli idonei mezzi di sicurezza e prevenzione. Per il settore degli impianti sportivi (ATECO 9), il corso di formazione specifico per ricoprire l’incarico di RSPP è di 64 ore, mentre per ricoprire l’incarico di ASPP (addetto al servizio) è di 40 ore. L’art. 2, comma 1 lett. a, prevede che il “lavoratore è persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale (es., dipendente, part-time, autonomo, co.co.co, co.co.pro., socio di cooperativa, tirocinio, ecc.) svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione ...”. La normativa di sicurezza si rivolge (anche) ai “lavoratori” delle “attività sportive”. Tuttavia, va ricordato che nell’ambito delle società sportive esiste anche il lavoratore che presta la propria opera anche a titolo gratuito. Il che non lo esclude dalla tutela normativa del TULS. Anche in ambito sportivo, si dovrà poi procedere all’elezione o designazione interna del “rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”, secondo gli artt. 47-50 T.U.L.S. con competenze specifiche riguardo alla

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tipologia del “rischio” in attività sportiva. Nonché all’eventuale nomina del “medico competente”, sempre in funzione della “tipologia di rischio” presente nell’ambito dell’attività svolta. È obbligo del datore di lavoro designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza (art. 18, comma 1 lettera b, T.U.L.S.), tenendo conto delle dimensioni dell’azienda e dei rischi specifici dell’azienda o della unità produttiva (art. 43 comma 2, T.U.L.S.). Tali lavoratori dovranno essere addestrati e formati per intervenire nelle situazioni anzidette di emergenza al fine di coordinare e controllare l’evacuazione dei luoghi di lavoro e organizzare le misure di salvataggio. Sarà cura degli addetti alle emergenze verificare che, in caso di situazioni emergenziali improvvise e inaspettate, quali incendi, alluvioni, terremoti, tutto il personale aziendale si rechi, con ordine, all’esterno del luogo di lavoro e confluisca nel “punto di raccolta” previsto nel piano delle emergenze (provvedendo alla riconta di ogni lavoratore e, se necessario e ove possibile, al salvataggio dei rimasti internamente alla struttura assediata da incendio, alluvione, ecc.). Il datore di lavoro può ricoprire l’incarico di addetto alle emergenze solo nelle imprese fino a 5 dipendenti; nelle imprese con un numero di addetti superiore a 5 unità, l’addetto va individuato dal datore di lavoro fra il personale dipendente. I lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. Essi devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’impianto sportivo. Negli ambienti di lavoro ove ricorre l'obbligo della redazione del piano di emergenza, e dunque con più ! di 10 addetti, i lavoratori devono partecipare ad esercitazioni antincendio, effettuate almeno una volta l'anno, per mettere in pratica le procedure di esodo e di primo intervento. Nei luoghi di lavoro di piccole dimensioni, l’esercitazione deve semplicemente coinvolgere il personale in: percorrere le vie di uscita;

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identificare le porte resistenti al fuoco, ove esistenti; identificare la posizione dei dispositivi di allarme; identificare l'ubicazione delle attrezzature di spegnimento. Occorre distinguere dagli addetti alle emergenze gli addetti al primo soccorso: si tratta di figure specificatamente incaricate di intervenire nei casi di infortuni o di malori di lavoratori dell’azienda, per prestare appunto un primo soccorso, che non si sostituisce al soccorso vero e proprio effettuato da personale esterno determinato a seconda della gravità dell’infortunio). In ogni impianto o centro sportivo deve essere presente un addetto al primo soccorso. Il datore di lavoro può ricoprire l’incarico di addetto al primo soccorso solo nelle imprese fino a 5 dipendenti; nelle imprese con un numero di addetti superiore a 5 unita, l’addetto va individuato dal datore di lavoro fra il personale dipendente. I requisiti del personale addetto e la sua formazione, individuati in relazione alla natura dell’attività, al numero dei lavoratori occupati e ai fattori di rischio sono individuati dal D.M. 15.07.2003 n. 388 (art. 45 comma 2, T.U.L.S.). L’art. 29, comma 1, T.U.L.S., stabilisce che “…il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di valutazione dei rischi …”, ma i datori che occupano fino a 10 lavoratori, possono utilizzare le procedure standardizzate (comma 5). In ogni caso, fino al 31 dicembre 2012 sarà possibile continuare a procedere per autocertificazione. Ai fini della determinazione del numero dei lavoratori si deve fare riferimento all’art. 4 T.U.L.S. ove si precisa che “…. ai fini della determinazione del numero non sono computati i tirocinanti, i lavoratori a tempo determinato, gli occasionali, i volontari, i socialmente utili, gli autonomi, i co.co.co. e co.co.pro.”. Pertanto, fino al numero di dieci lavoratori (espressamente escluse le figure appena menzionate), il datore di lavoro, fino al termine suddetto, “autocertifica di aver valutato i rischi ed allega tutta la documentazione (tecnica, medica, prevenzione, ecc.). Il rispetto delle prescrizioni contenute nei T.U.L.S. comporta, infatti, un onere, oltre modo gravoso soprattutto per i Centri Sportivi piu ! piccoli sia sotto il profilo delle responsabilita (la mancata documentazione della

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valutazione e sanzionata penalmente) sia sotto il profilo economico per la necessità di affidarsi a specialisti esterni per redigere correttamente il documento. Per questo motivo, il Legislatore ha disposto delle deroghe per gli ambienti il cui dimensionamento e la cui pericolosità sono di livello contenuto. In particolare, è prevista la detta possibilità, sia pure entro il termine del 31 dicembre 2012, dell’autocertificazione scritta della valutazione dei rischi e degli adempimenti degli obblighi relativi per i Centri Sportivi fino a 10 addetti che non siano sottoposti a particolari fattori di rischio. Successivamente si passerà alle cd. procedure standardizzate. Il datore di lavoro dovrà consegnare l’autocertificazione al responsabile dei lavoratori per la sicurezza; inviare alle Autorità competenti (ASL, Ispettorato del lavoro) il nominativo del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione ovvero, se tale compito viene svolto dal Presidente dell’Associazione, una dichiarazione attestante la capacita di svolgimento dei compiti di prevenzione e protezione, una relazione sull'andamento degli infortuni e malattie professionali e l'attestato di frequenza al Corso obbligatorio. Il documento di valutazione del rischio deve essere redatto in modo sintetico ma completo.

Infine, gli artt. 36 e 37 T.U.L.S. si riferiscono all’obbligo che ha il datore di lavoro di: a) informare i lavoratori sui rischi per la salute, di ordine generico e specifico, dell’attività svolta; b) formare i lavoratori e i loro rappresentanti, in materia di salute e sicurezza, con particolare riferimento al concetto di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione, diritti e doveri, vigilanza, controllo e assistenza. 10.1. Il documento di valutazione dei rischi. Il datore di lavoro sportivo dovrà procedere alla valutazione dei rischi e redigere il relativo documento tendendo presente sia le esigenze di prevenzione che quelle di protezione.

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La “prevenzione” si riferisce a tutte quelle attività volte ad evitare che un rischio si trasformi in un evento potenzialmente lesivo per il lavoratore o assimilato, secondo quanto sovra specificato. La “protezione” rappresenta l'insieme di misure volte a contenere l'entità di un eventuale danno dovuto ad un evento potenzialmente lesivo che non è stato possibile evitare. Il combinato disposto di queste due azioni tende, in primo luogo, ad evitare l’evento lesivo o, comunque, a contenere al minimo i danni qualora non sia stato possibile evitarlo. Ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro, nell'impianto sede di attività sportive, il datore di lavoro è tenuto ad osservare, non solo le norme specifiche dettate dalla legislazione antinfortunistica, ma anche le norme ordinarie di prudenza, diligenza e perizia, in relazione alla concreta pericolosità del lavoro connesso alla pratica sportiva ed alle comuni prescrizioni della tecnica e della esperienza, nel contesto di un atteggiamento di attenzione più generale che porta ad adottare ogni opportuno e necessario accorgimento, per garantire l'incolumità dell'addetto alla conduzione dell'impianto sportivo. La programmazione degli interventi di prevenzione deve, quindi, tendere ad un annullamento del rischio o almeno ad una riduzione dello stesso ai minimi termini, non solo per i lavoratori addetti, ma anche nei confronti degli utenti che, a diverso titolo, frequentano l'impianto sportivo. Si tratta di un obiettivo il cui raggiungimento è possibile solo se si è operata una corretta identificazione, valutazione e controllo dei rischi. Occorre innanzitutto distinguere tra: - “Rischio”, quale probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione (art. 2, comma 1 lett. s, T.U.L.S.). La nozione di “rischio” comprende tutto il processo che va dall'individuazione del pericolo al verificarsi di un danno a causa di una, più o meno lunga, esposizione al rischio stesso. La nozione di “rischio residuo” si identifica, invece, nel pericolo che perdura dopo aver operato, per quanto possibile, la riduzione dei pericoli stessi. - “Pericolo”, inteso quale proprietà o qualità intrinseca di una

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determinata entità (come agenti chimici o fisici, macchine, metodi di lavoro) di causare potenzialmente un danno (art. 2, comma 1 lett. r, T.U.L.S.). - “Danno”, inteso quale lesione fisica o alterazione dello stato di salute causata dal pericolo. Il danno è il nocumento, ovvero l’accadimento negativo che si manifesta attraverso una lesione fisica o un’alterazione dello stato di salute (infortunio o malattia professionale). La differenza tra rischio e pericolo consiste nell’essere quest’ultimo un elemento intrinseco dell’attività, mentre il primo è un fattore di probabilita. La “valutazione dei rischi” rappresenta la fase di raccolta delle informazioni al fine evidenziare i dati idonei a fondare l'organizzazione del sistema sicurezza. Alla fase di raccolta delle informazioni segue quella dell'adozione e messa in pratica di tutte le misure necessarie per la prevenzione e la protezione dei lavoratori. 10.2. Il procedimento di valutazione dei rischi. La valutazione dei rischi costituisce l'elemento indispensabile per procedere alla redazione di una corretta programmazione di intervento operativo. La procedura di valutazione dei rischi comprende: - stima dei rischi derivanti dall'espletamento di una mansione e connesso all'esistenza o al verificarsi di fattori pericolosi con particolare riguardo ai luoghi e alle attrezzature di lavoro; - identificazione delle mansioni e delle persone che possono trovarsi esposte ai rischi; - impossibilità da parte del presidente della società o associazione sportiva, di delegare tale obbligo ad altri soggetti, alcuni dei quali (medico competente, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, rappresentante della sicurezza) sono chiamati a partecipare; - rinnovo della valutazione in caso di mutamenti o innovazioni del ciclo produttivo; nell'ambito di un centro o di un impianto sportivo tali modificazioni possono avvenire nei seguenti casi: a) acquisto di un

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nuovo macchinario o di nuovi sistemi computerizzati, b) ristrutturazione o modernizzazione dei centro sportivo o ricreativo, c) inserimento di una nuova attività, d) utilizzo di innovative metodologie di lavoro e/o di allenamento, e) eventuale consulenza di professionisti esterni. Per il datore di lavoro è pertanto necessario prendere atto e considerare tutte le norme di legge e regolamentari che interessano la specifica associazione sportiva. In particolare, il già citato D.M. 18.03.1996, le Norme CONI sulle caratteristiche ambientali degli spazi destinati all’attività sportiva, l’Accordo del 16.01.2003 tra il Ministro della salute, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sugli aspetti igienico-sanitari per la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine a uso natatorio. Non è possibile determinare un criterio unico per l'individuazione dei rischi specifici né è sufficiente, anche per un gestore di impianti sportivi, compilare alcune check list per ottemperare agli obblighi in oggetto, anche se queste possono essere estremamente funzionali se utilizzate come promemoria. Dopo la raccolta di tutte le norme specifiche si deve procedere a valutare la specificità dell’associazione sportiva (luoghi di attività aperto/chiuso, insegnamento attività sportiva, coinvolgimento di atleti dilettanti, presenza di spettatori, automezzi per spostamenti, attrezzature specifiche ginniche o altro, ecc.). Così si può procedere ad elencare i fattori di rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori (sportivi in senso lato) e predisporre i fattori organizzativi e gestionali da sviluppare per garantire la sicurezza, non solo degli sportivi, ma anche terze parti (spettatori, atleti, amatori, ecc.). Al termine del procedimento di valutazione occorre redigere il "documento della valutazione dei rischi", previsto dal comma 2 dell'art. 4 T.U.L.S. Una volta redatto, il documento dovrà essere custodito presso i locali del centro sportivo. Il documento deve contenere: a) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; b) l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, conseguente alla valutazione di cui alla lettera precedente; c) il

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programma delle misure ritenute opportune per garantire i miglioramenti nel tempo dei livelli di sicurezza. Il documento di valutazione dei rischi, con relativa la documentazione, costituisce, in tal modo, la necessaria formalizzazione, sia pure, sintetica che migliora la conoscenza dei fattori di rischio per l’impianto sportivo. 10.3. Il documento unico di valutazione dei rischi interferenziali. La possibile concorrenza tra più utenti dello stesso impianto sportivo concesso in gestione d’uso, anche temporaneo, induce la necessità del “documento unico di valutazione dei rischi interferenziali”. L’interferenza può derivare dall’uso concorrente dell’istituto scolastico e dell’associazione concessionaria a cui può aggiungersi, all’interno dell’impianto, la presenza di altra organizzazione lavorativa, ad esempio, un’impresa di pulizia, un’impresa addetta al facchinaggio o al magazzino, alla mensa, etc. Ne consegue, in termini di sicurezza, la delicata questione dei cd. “rischi interferenziali”, derivanti dalla commistione di più organizzazioni lavorative nel medesimo spazio di lavoro. Si può così ipotizzare, che l’impresa di pulizia potrebbe trovare rischi nel luogo di lavoro che la ospita, così come ne potrebbe trasferire di propri; ad esempio, l’utilizzo di detergenti chimici o solventi potrebbe costituire un rischio per i minori di età utilizzatori dell’impianto sportivo, mentre gli attrezzi sportivi potrebbero, a loro volta, essere fonte di rischio per gli addetti alle pulizie. Parimenti, gli stessi attrezzi sportivi riferibili ad uno dei due, o più, enti utilizzatori dell’impianto potrebbero costituire un fattore di rischio per i soggetti a cui fossero estranei. E ! necessario, pertanto, che l’ente ospitato conosca i rischi che troverà nell’ambiente che lo accoglie, ma è altrettanto necessario che l’impresa ospitante conosca i rischi apportati internamente da quella ospite. La conoscenza dei reciproci rischi consente a tutti i datori di lavoro di attuare tutte le misure conseguenti, di prevenzione e protezione per ogni utilizzatore.

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In tali casi alla valutazione dei “rischi interferenziali”, segue la redazione del cd. Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali (DUVRI).

Avv. Stefano Comellini

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