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Antonio Cianciullo e Gianni Silvestrini la corsa della green economy Come la rivoluzione verde sta cambiando il mondo kyoto books tascabili dell ambiente Prefazione di Christopher Flavin Presidente del Worldwatch Institute Antonio Cianciullo

La corsa delle green economy

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la corsa della green economy Come la rivoluzione verde sta cambiando il mondo. A cura di Antonio Cianciullo e Gianni Silvestrini. Prefazione di Christopher Flavin Presidente del Worldwatch Institute

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Antonio Cianciullo e Gianni Silvestrini

la corsa della

green economyCome la rivoluzione verde sta cambiando il mondo

k yoto b o o ksta s c a b i l id e l l ’ a m b i e n t e

Prefazione di Christopher FlavinPresidente del Worldwatch Institute

antonio cianciullo è inviato di la Repubblica.

Per conto del giornale segue da oltre 25 anni i temi

ambientali e ha partecipato ai principali

appuntamenti internazionali: dalle conferenze

sull’ozono negli anni Ottanta all’Earth Summit

di Rio de Janeiro del 1992, dai reportage sui grandi

disastri petroliferi ai vertici sul cambiamento

climatico. È laureato in filosofia. Per la sua attività

ha vinto numerosi premi. Tra i suoi libri

Atti contro natura (Feltrinelli, 1992), Ecomafia

(Editori Riuniti, 1995, con Enrico Fontana),

Far soldi con l’ambiente (Sperling & Kupfer, 1996,

con Giorgio Lonardi), Il grande caldo (Ponte alle

Grazie, 2004), Soft economy (Rizzoli, 2005,

con Ermete Realacci).

gianni silvestrini, ricercatore del Cnr,

è direttore scientifico del Kyoto Club e della rivista

QualEnergia. Autore di numerosi articoli scientifici,

coordina il master “Ridef – energia per Kyoto”

del Politecnico di Milano. Ha vinto l’“European

solar prize 2001” ed è stato eletto nel consiglio

direttivo dell’European Council for an Energy

Efficient Economy. Ha ricoperto la funzione

di direttore generale presso il Ministero

dell’ambiente e di consigliere per le fonti

rinnovabili del Ministro dello sviluppo economico

Pier Luigi Bersani. È presidente di Exalto,

una nuova società della green economy.

www.edizioniambiente.it

Euro 14,00

ISBN 978-88-96238-51-6

ta s c a b i l id e l l ’ a m b i e n t e 9

Il 2008-2009 è stato il biennio della grande crisi economica,ma anche il trampolino di lancio della green economy. Nel mondo, gli impianti eolici creati nel 2009 hannoprodotto più energia delle centrali atomiche installate negliultimi cinque anni. In Germania il 31% del Pil dipendeormai dalle ecoindustrie. L’economia verde cresce e si rafforza,moltiplica i posti di lavoro mentre i comparti produttivitradizionali soffrono. Ma quali sono i suoi confini? E in che modo sta cambiando la nostra vita quotidiana? A queste domande risponde il libro di Antonio Cianciullo e Gianni Silvestrini che, attraverso l’analisi di 23 storieesemplari, racconta la corsa della green economy sostenuta da tanti soggetti diversi: aziende che evitano il fallimentospingendo sull’innovazione, colossi industriali che si convertono all’efficienza, città che sperimentano il modello low carbon. Ad accomunarli è la capacità di immaginare un futuro in cui si possa vivere e lavorare in modo più sicuro, più sano e più piacevole.

Antonio CianciulloG

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A Stoccolma basta fare 300 passi pertrovare una fermata del trasporto pubblico e se il tram non arriva entro 20 minuti si ha diritto a prendere il taxi gratis. La Sassonia è diventata la Solar Valley della Germania: produce il 20% delle cellefotovoltaiche mondiali. Nelle Marche è nata la casa a zero emissioni. In California i frigoriferi hanno battutol’atomo: renderli più efficienti ha resodisponibile più elettricità di quellaprodotta da un reattore nucleare. Vista dalla prospettiva della green economy la crisi fa meno paura.Anzi, per molti settori è il momento della riscossa. Entro dieci anni le fontirinnovabili in Germania supereranno il settore automobilistico. In Cina, leadermondiale del solare, mezzo miliardo di persone utilizza l’energia pulita prodottada piccoli impianti. Negli Stati Uniti quasila metà della potenza elettrica installatanegli ultimi due anni viene dal vento, in Europa nel 2009 le rinnovabili hannofatto ancora meglio. È una svolta radicale: non più profittocontro benessere ma profitto dal benessere.Un nuovo modello di democraziaenergetica in cui potere e vantaggieconomici sono decentrati.

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tascabili dell’ambientekyoto books

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realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente srlwww.edizioniambiente.it

coordinamento redazionale

Diego Tavazzi

progetto grafico: GrafCo3 Milanoimmagine di copertina: claudionegri79/shutterstockimpaginazione: Roberto Gurdo

© 2010, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333

ISBN 978-88-96238-51-6

Finito di stampare nel mese di marzo 2010 presso Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR)

Stampato in Italia – Printed in ItalyQuesto libro è stampato su carta Oikos

i siti di edizioni ambiente:

www.edizioniambiente.itwww.nextville.itwww.reteambiente.itwww.verdenero.itwww.puntosostenibile.it

I Kyoto Books sono frutto della collaborazione tra Kyoto Club ed Edizioni Ambiente.Scritti dagli esperti che fanno riferimento al comitato scientifico di Kyoto Club, intendono promuovere lo sviluppo di una consapevolezza diffusa in merito alle maggiori tematiche ambientali.

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sommario

prefazione 7di Christopher Flavin

introduzione 9

energia: un tuffo nel futuro con un bagaglio

di conoscenze antiche 41

1. la democrazia energetica 43

2. deserti e oceani 50

3. semaforo verde per battere la povertà 56

4. viaggiare e abitare con leggerezza 63

5. il recupero delle tradizioni virtuose 69

nazioni: quando green è il colore

della leadership mondiale 75

6. usa: la battaglia per il cambiamento verde 77

7. cina: l’opportunità green colta al volo 84

aziende: la carica delle green companies

e la rincorsa delle multinazionali 93

8. solarworld: il re del solare 95

9. novamont: la plastica che nasce dai campi 100

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10. leaf community: progettare il benessere 104

11. general electric e siemens:

i colossi che cambiano pelle 110

12. stmicroelectronics: l’ecologia

che regala profitti 118

territori: la rivoluzione verde fa sistema

e batte la crisi 125

13. la california dell’utopia possibile 127

14. toscana felix 133

15. riconversioni verdi 140

16. l’altra metà della raccolta differenziata 145

città: la rivoluzione low carbon 151

17. friburgo: la città del sole 153

18. stoccolma: la capitale verde d’europa 159

19. curitiba: l’avamposto ecologico del brasile 165

20. masdar: zero emissioni nel regno del petrolio 171

stili di vita: ambiente fa rima con salute 177

21. bici batte auto 2 a 0 179

22. car sharing: il successo dell’auto a ore 184

23. un pomodoro piantato in città 191

24. conclusioni 196

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Buona parte del mondo del business considera tuttora l’abbandono delsistema energetico basato sul carbonio come una prospettiva terroriz-zante per l’economia.C’è il rischio che molti governi decidano di ritardare l’attuazione diogni serio programma d’azione sul clima finché la crisi economica nonsia risolta, sebbene la paura dei riflessi occupazionali delle misureambientali e l’inazione rispetto al cambiamento climatico possano pro-durre danni ben più gravi proprio in termini di perdite di posti di lavo-ro su larga scala.Secondo il celebre Rapporto Stern del 2006, una mancata attivazione dimisure sul cambiamento climatico porterà a future perdite economichedell’ordine del 5-20% del Pil globale, mentre i costi annuali per la ridu-zione delle emissioni di gas serra a livelli accettabili ammonterebbero anon più dell’1% del valore dello stesso indicatore.Fortunatamente, c’è una crescente consapevolezza dell’assoluta neces-sità di affrontare assieme, e non separatamente, crisi economica e crisiambientale. Ciò significa che la soluzione dei problemi ambientali puòcontribuire a rendere più solide le economie, con la creazione di migliaiadi nuove imprese e di milioni di nuovi posti di lavoro, ponendo le basiper la trasformazione “green” dell’economia.C’è un sostegno crescente, nel mondo, a favore di risposte all’attualecrisi economica e ambientale che nascano da un approccio integrato,secondo un concetto che viene sempre più frequentemente sintetizzatocon la formula del “Green New Deal”. Il termine non è che una varia-zione contemporanea del New Deal americano, l’ambizioso program-

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ma lanciato dal Presidente Franklin Delano Roosevelt per far uscire gliStati Uniti dalla Grande Depressione. Il New Deal di allora prevedevaun ruolo centrale del governo nella pianificazione e una serie di prov-vedimenti di stimolo all’economia lanciati tra il 1933 e il 1938, con lacreazione di nuova occupazione attraverso l’impegno pubblico in pro-getti che includevano la costruzione di strade, dighe e scuole.Dagli Stati Uniti alla Corea del Sud, i programmi per un Green NewDeal presentati nel corso del 2009 hanno come presupposto chiave unadecisa azione dei governi, ma vedono anche la presenza di politichefinalizzate a rispondere alle sempre più pressanti sfide ambientali attra-verso il nuovo paradigma del progresso economico sostenibile.Una forte cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico è il requisitofondamentale per dare vita a un Green New Deal realmente globale. IlNord America e gli stati membri dell’Unione europea rappresentanoun’ampia quota dell’economia e del commercio globali. Gli Stati Uniti,il Canada e le quattro maggiori economie europee (Germania, Francia,Gran Bretagna e Italia) nel 2008 hanno prodotto il 45% del Pil mon-diale. Ma, sempre a livello mondiale, contano anche per il 32% delconsumo di energia (dati 2005) e per il 29% delle emissioni di gas serra.I miei cari amici Gianni Silvestrini e Antonio Cianciullo hanno realiz-zato uno splendido resoconto delle trasformazioni che la green eco-nomy ha già messo in moto negli angoli più diversi del mondo: da Curi-tiba a Friburgo, dalla General Electric alla STMicroelectronics.Nella vivida descrizione dei più incisivi casi studio i due autori hannopotuto far riferimento alla loro pluridecennale esperienza nel settore, permostrare come un nuovo spirito imprenditoriale stia iniziando a indiriz-zare il mainstream industriale nello stesso modo in cui le piccole softwa-re house hanno trasformato l’economia dell’informazione all’inizio deglianni Settanta. La corsa della green economy fornisce una visione strategicache i leader aziendali, in tutto il mondo, farebbero bene a seguire.

Christopher FlavinPresidente del Worldwatch Institute

Washington D.C.Febbraio 2010

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Luglio 1979Il presidente Jimmy Carter inaugura un impianto solare sul tetto della CasaBianca dichiarando: “La storia dirà se questi collettori si trasformerannoin un pezzo da museo o simboleggeranno l’inizio di una nuova era”. L’e-vento è accolto con un sorriso e una nota divertita sulle pagine dei giorna-li: l’energia da fonti rinnovabili è considerata un giocattolo che non devedistrarre dal big oil e dal big money. Malgrado il potenziamento dei finan-ziamenti alla ricerca per le rinnovabili, solo Barry Commoner, assieme auna pattuglia di ambientalisti americani, prende l’iniziativa sul serio. Pro-pone, inascoltato, di lanciare un piano di investimenti pubblici sul solarecome quello che il Pentagono decise a metà degli anni Cinquanta, in pienaguerra per la conquista dello spazio, garantendo all’industria dei semicon-duttori le commesse per i circuiti di guida missilistici che cambiarono ilmercato, facendo scendere i prezzi di 25 volte in 5 anni.In attesa del verdetto della storia, all’arrivo di Ronald Reagan alla CasaBianca le cronache registrano lo smantellamento dell’impianto voluto daCarter: i pannelli solari finiscono in un magazzino per venire poi installa-ti, nel 2009, sul tetto del caffè dello Unity College, nel Maine.

Luglio 2009Nel suo primo discorso radiofonico da presidente, Barak Obama lancia unmessaggio molto chiaro indicando l’obiettivo di raddoppiare la produzionedi energia verde in un triennio: “Dobbiamo compiere una scelta. Possiamorimanere uno dei paesi maggiormente dipendenti dalle importazioni di

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greggio o possiamo fare investimenti che ci permetteranno di diventare ilpaese leader nelle esportazioni di tecnologie per le fonti rinnovabili”. Poiinizia un tour tra le fabbriche di aerogeneratori e di moduli solari e aluglio, al G8 all’Aquila, insiste sul piano di rilancio delle rinnovabili. Aottobre, inaugurando in Florida la più grande centrale fotovoltaica degliUsa, 25 megawatt che sono parte di un progetto da 110 megawatt, aggiun-ge: “Oggi facciamo un primo passo verso l’economia verde del XXI secolo.Si tratta di un impianto ad alta tecnologia che consente ai consumatori dicontrollare la loro energia”.

Luglio 2039Roma, le 9 del mattino. L’aria è una morsa di vapore caldo e i runner sonogià tutti a casa: la concentrazione di ozono sconsiglia la corsa. Meglio delcorpo umano resiste la tecnologia. L’asfalto, lontano parente del suo proge-nitore d’inizio secolo, regge la pressione termica e aiuta a catturare gli inqui-nanti. Sui tetti delle case brillano i pannelli solari termici e quelli fotovol-taici che, combinati ai minicogeneratori a idrogeno, trasformano gli edificiin produttori netti di energia. I computer leggono il dettaglio dei consumicasa per casa: da una parte spengono una lavatrice, dall’altra rinviano l’ac-censione di una lavastoviglie evitando il picco di consumo che, magari perpochi minuti di sovraccarico, avrebbe richiesto una nuova centrale elettrica.È la rivoluzione delle smart grid, le reti intelligenti che permettono di radio-grafare in modo centralizzato i consumi elettrici, di creare tariffe su misuracome per i cellulari, di risolvere i guasti a distanza. L’energia entra ed esceda milioni di luoghi, si compra e si vende al dettaglio oltre che all’ingrosso. Dopo il boom dei condizionatori, che aveva portato a livelli insostenibilila produzione di energia nei mesi estivi sempre più siccitosi, è stato varatoun piano nazionale per la climatizzazione passiva. Per legge, le nuove abi-tazioni devono avere tetti verdi, esposizione orientata secondo le condizio-ni climatiche locali, protezione delle superfici vetrate, sistemi di raffresca-mento passivo come le torri a vento, eredi delle antiche costruzioni arabe.Ci sono orti di quartiere gestiti a livello condominiale: oasi verdi che ser-vono anche a smorzare il calore dei canyon di asfalto e a fornire una basedi autoproduzione per alcuni prodotti alimentari di prima necessità.

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I sistemi di telelavoro hanno in parte sostituito i grandi uffici e la mobilità èprevalentemente condivisa e on demand: i minicomputer tascabili registranodi minuto in minuto le offerte di percorsi sulle varie direttrici di spostamen-to; totem elettronici segnalano agli angoli delle vie l’orario di passaggio deimezzi di trasporto per raggiungere la destinazione richiesta; le aziende orga-nizzano per i lavoratori spostamenti collettivi ma flessibili. Ogni abitantedella metropoli ha nel portafoglio una tessera unica automatizzata che glipermette di salire sui mezzi pubblici e di affittare una bici o un’auto in carsharing in uno dei 920 parcheggi di scambio. Si può prenotare il posto sulbus o sui tram. Le piste ciclabili hanno raggiunto una lunghezza di 850 chi-lometri e un quarto degli spostamenti nella città avvengono sulle due ruote.Il trasporto non è l’unica rete che collega gli abitanti delle metropoli. Anchel’informatica è stata utilizzata per proteggere i cittadini dalle ondate dicalore e dai virus mutanti che si propagano a grande velocità. L’Organiz- zazione mondiale della sanità ha creato un sistema di allerta che è costan-temente aggiornato su tutti i media, e sullo stesso canale passano anche leinformazioni sulle varie forme di prevenzione.

il futuro reale

Andrà veramente così? Riusciremo volontariamente ad adattarci al climache involontariamente abbiamo creato bruciando in pochi decenni lescorte di petrolio e di carbone che si erano andate accumulando sottoterra in milioni di anni? Basteranno la benedizione di Obama e l’aper-tura di Pechino a dare vigore alla linea ecologista che l’Europa ha costan-temente predicato e saltuariamente praticato? Per ora è solo una possi-bilità, ma è l’unica per ridurre l’impatto della devastazione climaticache abbiamo innescato modificando l’atmosfera a una velocità mai spe-rimentata durante la storia umana.Del resto, molti elementi fanno ritenere che da questa scelta non si tor-nerà indietro negli Usa, come negli altri paesi che hanno iniziato unpercorso di rottura con il mondo dominato dai combustibili fossili.L’innovazione nel settore energetico sta infatti diventando il volano diuna trasformazione molto più ampia che investe il nostro modo di pro-durre, di mangiare, di divertirci.

introduzione 11

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All’epoca del secondo shock petrolifero, la preoccupazione principaleera legata alla dipendenza dalle importazioni di greggio. Oggi la spintaverso la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e verso lo svi-luppo delle rinnovabili è alimentata da due potenti leve. La prima è, come 30 anni fa, legata alle preoccupazioni per la disponi-bilità di petrolio, ma con una differenza non trascurabile. Le due crisidegli anni Settanta sono state innescate da singoli eventi politici comela guerra arabo-israeliana e la rivoluzione khomeinista, mentre oggisiamo di fronte a un dato strutturale: si ha la certezza della fine immi-nente dell’era del greggio a basso costo e si teme che nell’arco dei pros-simi dieci anni l’offerta non riuscirà a far fronte alla domanda. Da que-sto punto di vista è significativo il fatto che Fatih Birol, capo economi-sta dell’Iea (International Energy Agency, Agenzia internazionale del-l’energia), nell’agosto del 2009 abbia esplicitamente dichiarato che ilpicco della produzione di petrolio potrebbe avvenire prima del 2020.La forte preoccupazione della Iea deriva dal declino della produzionedi greggio nei principali giacimenti: nel 2007 si era valutato un caloannuo del 3,7%, ma le più recenti stime danno un tasso di discesa del6,7% l’anno. Anche se la domanda mondiale non aumentasse, per man-tenere l’attuale equilibrio energetico occorrerebbe trovare entro il 2030nuovi giacimenti in grado di fornire una quantità di petrolio pari aquattro volte la produzione attuale dell’Arabia Saudita.

la sfida del clima

L’altro potente driver della svolta energetica è il riscaldamento globale.Negli ultimi anni si è deciso di considerare l’aumento di 2 °C rispetto ailivelli preindustriali come l’incremento massimo accettabile per evitareconseguenze catastrofiche. Il tetto di temperatura da non superare si tra-duce nella concentrazione massima accettabile di anidride carbonica(CO2) in atmosfera espressa in parti per milione (ppm). E per valutarel’impatto degli altri gas serra si parla di concentrazione di CO2 equiva-lente (CO2eq). Quindi, nel caso della soglia dei 2 °C, il valore da nonsuperare corrisponde a 450 ppm CO2eq, obiettivo che si può otteneresolo iniziando a ridurre le emissioni mondiali entro i prossimi dieci anni.

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13introduzione

Oggi la concentrazione di anidride carbonica è di 387 ppm, ma consi-derando gli altri gas serra e l’attuale crescita di 2 ppm di CO2 l’anno,avremo già raggiunto la soglia critica dei 450 ppm CO2eq nell’arco dipoco più di un decennio. In altre parole, abbiamo solo 10 anni di temponon per premere il freno della macchina lanciata verso il burrone, maper ottenere lo stop effettivo.Questo spiega la preoccupazione di chi sostiene che anche dimezzandole emissioni serra entro il 2050 sarebbe impossibile mantenere l’au-mento della temperatura del pianeta entro i 2 gradi. E le richieste dra-stiche di chi ritiene necessario fare di più, mantenendo l’aumento entrola soglia di 1,5 °C, che corrisponde a un tetto di CO2eq di 350 ppm:una concentrazione di anidride carbonica in atmosfera minore di quel-la attuale. Questa è, per esempio, la posizione di James Hansen, il diret-tore del Goddard Institute for Space Studies, lo scienziato della Nasache in una famosa audizione al Congresso Usa già nel 1988 aveva affer-mato di essere sicuro al 99% che si era in presenza di un riscaldamen-to del pianeta. Hansen oggi sostiene che, se l’umanità vuole mantene-re il pianeta in condizioni simili a quelle in cui la civiltà si è sviluppa-ta, occorrono misure drastiche come lo stop alla costruzione di centra-li a carbone prive delle tecnologie di sequestro della CO2 e una rifore-stazione spinta per accelerare l’assorbimento del carbonio da parte dellavegetazione e del suolo. Questo nuovo target sta suscitando forte inte-resse in molti paesi, tanto che si è creato un movimento organizzatoattorno al sito www.350.org: lo sostengono personalità come il diret- tore esecutivo dell’Unep Adam Steiner, l’arcivescovo sudafricanoDesmond Tutu, la fisica Vandana Shiva e l’ex vicepresidente america-no Al Gore.

entra in scena la green economy

Visto l’esiguo spazio che ci separa dal burrone climatico, bloccare l’au-mento della temperatura a 2 gradi potrebbe sembrare un traguardoimpossibile. Ma è proprio quando tutto sembra perso che si mettono inmoto le energie profonde. Così, dopo tre decenni di appelli allo svilupposostenibile che avevano il sapore dei sermoni domenicali in una chiesa

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frequentata da peccatori incalliti, all’improvviso è effettivamente cambia-to qualcosa: a sostenere con convinzione l’idea di un mercato più attentoall’equilibrio degli ecosistemi non sono più solo i teorici della sostenibi-lità (gli ambientalisti), ma anche quelli dello sviluppo (gli economisti).La green economy è diventata la parola d’ordine dei mercati più dinamicie dei paesi leader. Un processo di cambiamento che si è avviato a una velo-cità addirittura sospetta: la metamorfosi appare tanto veloce e ampia dalasciare qualche dubbio. Quanto green washing c’è dietro le dichiarazioniufficiali? Quanti realmente percepiscono la portata della rivoluzione pro-duttiva in atto? Quali sono i confini della riconversione verde? A qualemodello di società corrispondono? Che evoluzione avrà il nuovo corsoeconomico? Quali cambiamenti degli stili di vita dobbiamo aspettarci?Sono le domande a cui questo libro prova a rispondere partendo dalla defi-nizione di green economy e dai dati che mostrano l’urgenza di un cam-biamento radicale del modo di produrre le merci e l’energia.Per green economy si intende un’economia capace di usare con effi-cienza l’energia e le materie prime, di intervenire sugli ecosistemi senzadanneggiarli, di guardare ai rifiuti come a una fase del continuo dive-nire delle merci e non come a un elemento da espellere con fastidio dalciclo produttivo. Questa definizione è utile per la carica fortementeevocativa che l’espressione “green economy” incarna, ma a rigor di logi-ca l’aggettivo dovrebbe essere definito pleonastico. Dovrebbe essere suf-ficiente parlare di economia secondo la definizione che ne dà il voca-bolario Garzanti: “Razionale gestione delle risorse disponibili per undeterminato uso”. Cosa c’è infatti di razionale in un’economia comequella dominante, che si nutre chiedendo sempre più risorse mentre lerisorse declinano pericolosamente e si libera degli scarti minando gliecosistemi che proteggono la vita? L’economia dovrebbe essere per suanatura green; non lo è perché gli effetti dell’inquinamento sono statirimossi dalla visuale collettiva, nascosti sotto il tappeto.Basta il buon senso per intuire che i 9 miliardi di esseri umani su cuicon ogni probabilità si fermerà la spaventosa corsa alla crescita demo-grafica non potranno sopravvivere mantenendo gli standard di consu-mo di uno statunitense. Già oggi l’umanità ha il bilancio ambientalein rosso e chiude i conti in un falso pareggio rubando ai nipoti acqua,

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15introduzione

humus, foreste. Per far girare il motore della nostra economia usiamoil 30% in più delle risorse che il pianeta rinnova ogni anno (la diffe-renza viene presa da risorse non rinnovabili). Nove miliardi di esseri umani con un livello di consumo statunitenseavrebbero bisogno di altri 6 pianeti. Anche perché quello tuttora in usoviene trattato come un vuoto a perdere: nel corso del XX secolo la popo-lazione umana si è moltiplicata per quattro, il consumo di energia per16 e quello di acqua per 9, costringendo alla sete oltre un miliardo dipersone e altri 24 milioni a trasformarsi in profughi climatici; la deserti-ficazione è arrivata a minacciare un terzo delle terre e solo in Cina rubaogni anno quasi 4.000 chilometri quadrati di suolo fertile; la superficiedelle città si è decuplicata; il “colpo di stato biologico” di cui parla lostorico John McNeill ha creato le premesse per la sesta estinzione dimassa nella storia del pianeta, la prima causata da una sola specie, quel-la che si è autodefinita sapiens.Per uscire dalla trappola non resta che mantenere attivo il motore dellaproduzione cambiandone il segno, cioè diminuendo l’impatto dell’u-manità sugli ecosistemi. Agire cioè, come spiegano Paul e Anne Ehrli-ch, sulla formula impatto = popolazione x reddito x tecnologia. Sul primofattore di questa moltiplicazione è però auspicabile un intervento soft:solo le guerre e le epidemie incidono rapidamente sulla voce demogra-fia. Purtroppo la possibilità non si può escludere e infatti nel 2004 ilPentagono l’ha contabilizzata in uno studio affidato a due esperti diprogrammazione economica, Peter Schwartz e Doug Randall, chehanno disegnato gli scenari drammatici segnati dai cambiamenti cli-matici che nell’arco di un paio di decenni potrebbero sconvolgere unmondo sovrappopolato: milioni di morti in guerre e disastri naturali.Un futuro da incubo. Per evitarlo occorre agire sugli altri due fattoridella moltiplicazione fatale: consumi e tecnologia, cioè stili di vita ecapacità di produrre ricchezza usando meno risorse. Alcuni governihanno già iniziato questo percorso e la cura ha fatto bene sia all’econo-mia sia all’ambiente. Ma i virtuosi sono ancora pochi: il parametro del-l’impronta ecologica, cioè del segno impresso sugli ecosistemi dalla pro-duzione, mostra la grande disomogeneità delle diverse economie e ilpeso ancora limitato delle scelte più avanzate.

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la corsa della green economy16

Per misurare le reali possibilità della green economy e uscire dal rumoredi fondo che l’abuso di questa espressione sta creando, conviene dunqueanalizzare i vari aspetti della rivoluzione tecnologica e culturale in atto.

i confini e la consistenza della green economy

Volendo caratterizzare l’ingresso nella green economy di un paese dalpunto di vista delle scelte energetiche, si possono considerare due indi-catori. Da un lato l’intensità energetica, che sottolinea l’efficienza concui si utilizzano i flussi di energia primaria, dall’altro la quota di fontirinnovabili.In questo quadro merita un chiarimento una questione che alimentamolte polemiche: il nucleare va inserito nel pacchetto delle misure mira-te a combattere i cambiamenti climatici? La necessità di una decarbo-nizzazione veloce e radicale ha creato qualche incrinatura nell’antinu-clearismo del mondo ecologista. Tuttavia, un’analisi pragmatica ed eco-nomica delle possibilità offerte dallo sfruttamento commerciale dell’e-nergia atomica esclude il nucleare dall’ambito della sostenibilità peralmeno quattro motivi. Primo: la disponibilità di uranio è limitata e lesperimentazioni sui reattori autofertilizzanti hanno mostrato rischi talida far desistere anche convinti sostenitori di questa filiera. Secondo: aoltre mezzo secolo dalla commercializzazione dell’energia nucleare nonè stata ancora individuata una convincente forma di smaltimento in sicu-rezza di scorie che rimangono ad alta radioattività per centinaia dimigliaia di anni. Terzo: in un’epoca segnata dalla crescita della minacciaterroristica neppure la militarizzazione della società, necessaria per ridur-re i rischi della filiera nucleare, potrebbe offrire sufficienti garanzie disicurezza sul ciclo di lavorazione del combustibile perché, dal furto dimateriale fissile alla proliferazione nucleare in Stati di scarsa affidabilitàpolitica, le minacce anziché ridursi si stanno moltiplicando. Quarto: ilcosto elevatissimo rende ardua la realizzazione di impianti senza aiutipubblici e rischia di distrarre risorse e intelligenze dalle strategie di ridu-zione delle emissioni meno costose e attivabili in tempi rapidissimi.A queste considerazioni va poi aggiunto un quinto punto: la variabiletempo. Considerando il periodo necessario alla costruzione delle cen-

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trali, una non trascurabile riduzione delle emissioni serra richiederebbediversi decenni: secondo la Iea il nuovo nucleare diminuirebbe del 6%le emissioni di CO2 a metà secolo. Un contributo limitato e in tempitroppo lunghi.All’inizio del 2010, proprio i dubbi del mondo finanziario hannoindotto Obama a prevedere un sostegno economico per favorire il ritor-no sulla scena statunitense, dopo 30 anni, di qualche nuova centralenucleare per rimpiazzare una parte dei 15 reattori che stanno per anda-re in pensione non potendo usufruire dell’estensione da 40 a 60 annidella licenza d’esercizio. Dal punto di vista politico l’accelerazione diqueste misure, già previste da Bush, è una concessione ai senatori repub-blicani mirata a far passare la legge sul clima. Dal punto di vista prati-co l’effetto sarà minimo: delle 26 richieste di nuove centrali presentatenegli Usa dopo il 2007 ben 19 sono state già cancellate o rimandate.Se tutto andasse bene nel 2017, più probabilmente nel 2020, ci sareb-bero due nuovi reattori in grado di generare annualmente una quan-tità di elettricità inferiore di un terzo rispetto a quella prodotta dai 10gigawatt eolici installati nel solo 2009 negli Stati Uniti. Le poche altrecentrali nucleari che potrebbero aggiungersi produrrebbero solo unapiccola frazione dell’elettricità messa in rete nei prossimi vent’anni dallerinnovabili.Da questo tentativo di Obama si ricavano due considerazioni. La primaè che il nucleare senza incentivi non può decollare e quindi in Italia,semmai si dovessero costruire delle centrali, dovremmo aspettarci degli“incentivi atomici” che farebbero aumentare le bollette elettriche. Laseconda è che, malgrado gli aiuti governativi, la marcia dell’atomo saràmolto lenta a causa dei costi e della grande mole di problemi ancoraaperti, mentre le rinnovabili crescono a ritmi rapidissimi.Messa da parte la querelle nucleare, restano da definire le misure di rilan-cio necessarie a imprimere una connotazione sempre più ambientale all’e-conomia e i settori in cui si potrà manifestare con maggiore evidenza que-sto cambiamento.Un primo filone di interventi si riferisce al miglioramento delle carat-teristiche di alcune tipologie di prodotti. Innovazioni radicali coinvol-geranno merci di largo consumo, dagli elettrodomestici alle automobili

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ai computer, come è successo negli Stati Uniti dove, grazie all’introdu-zione di limiti sempre più stringenti, l’efficienza dei frigoriferi è oggiquattro volte superiore a quella dei modelli del 1975. Ancora più inci-sive saranno le conseguenze per il settore delle costruzioni con l’irru-zione sulla scena degli edifici carbon neutral, cioè a impatto nullo intermini di emissioni di anidride carbonica.C’è poi il segmento di mercato legato all’introduzione di prodotti radi-calmente diversi rispetto a quelli esistenti. È il caso del settore dell’illu-minazione che ha visto nel tempo diversi cambiamenti drastici di tec-nologia. Oggi nel mondo sono in uso circa 12 miliardi di lampadineelettriche: illuminare un ambiente costa mille volte meno rispetto all’i-nizio del secolo scorso e diecimila volte meno rispetto al 1850, quandosi usavano lampade a olio di balena. Con il pensionamento della lam-padina inventata nel 1879, che trasforma in calore invece che in luce il90% dell’energia utilizzata, è previsto un altro grande balzo di efficien-za grazie alle lampadine fluorescenti compatte. E poi un altro salto tec-nologico avverrà quando le fluorescenti compatte verranno a loro voltasostituite dai Led che abbattono ulteriormente i consumi, evitano l’usodi metalli pesanti e permettono di direzionare meglio la luce riducen-do così l’inquinamento visivo e lo spreco.Naturalmente ricadono nell’area dei prodotti innovativi “killer” anchele fonti rinnovabili che vanno a sostituire i combustibili fossili. In que-sto campo molte start up si sono cimentate nella produzione di celle emoduli: da QCells a Solarworld, da Suntech a First Solar. Si tratta direaltà nate a partire dalla fine degli anni Novanta che ora esibisconofatturati annui di parecchie centinaia di milioni o di miliardi di euro.Poi ci sono le compagnie energetiche. In questo gruppo figurano anchele aziende petrolifere, piccole e grandi, che hanno aperto una finestrasulle rinnovabili. È il caso della Shell e della Bp, anche se il loro inte-resse è decisamente calato negli ultimi anni, mentre in Italia è crescen-te il coinvolgimento nelle energie pulite di gruppi legati al petrolio comeErg e Api. Il 40% della potenza eolica nel mondo è oggi di proprietàdi compagnie elettriche che guardano con particolare attenzione allepossibilità offerte soprattutto nell’offshore: secondo l’autorevole societàdi consulenza BTM, la quota raddoppierà nei prossimi 5 anni perché

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la crisi finanziaria favorirà le utilities, che hanno meno problemi diaccesso al credito. Per accelerare la corsa, le compagnie elettriche comin-ciano a intervenire nella fase di produzione delle tecnologie: va in que-sta direzione lo stabilimento per la realizzazione di celle solari a filmsottile con una capacità annua di 160 megawatt che verrà completatoa Catania entro il 2011 da Enel, Sharp e STMicroelectronics.Infine, vi sono le aziende che provengono da altri campi e sono statefolgorate dalle opportunità delle rinnovabili. È il caso di Sharp, Sanyo,Sony, Mitsubishi, General Electric, Siemens. Lo spostamento degli inte-ressi di queste multinazionali verso le rinnovabili accelererà le attivitàdi ricerca e quindi la riduzione dei costi delle energie pulite.

i vantaggi economici del cambiamento

Il lungo elenco delle società citate mostra il peso crescente del greennew deal nell’economia globale. Un’espansione determinata da un insie-me articolato di motivazioni che possiamo riassumere in tre grandi spin-te convergenti.Un primo fattore di forza della green economy è la possibilità di crearenuova occupazione e in particolare di moltiplicare, a parità di investi-mento, i posti di lavoro rispetto all’economia tradizionale. Nel rappor-to The Economic Benefits of Investing in Clean Energy, si è calcolato chenegli Usa un milione di dollari investiti nel comparto delle energie puli-te genera 16 posti di lavoro, il triplo rispetto a un analogo investimen-to nel campo dei combustibili fossili. Nel rapporto Lavori low carbonper l’Europa, preparato dal Wwf in vista di Copenaghen, si stima chela green economy possa portare 2,5 milioni di posti di lavoro all’Euro-pa entro il 2020.Per restare in Italia, le detrazioni fiscali del 55% si possono considerarecome una tipica misura da green new deal. La riqualificazione energe-tica degli edifici rappresenta infatti uno strumento che, con costi limi-tati per lo Stato grazie all’incremento del gettito fiscale legato all’emer-gere del sommerso, dà impulso all’economia, genera posti di lavoro econsente di ridurre le importazioni energetiche.

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Veniamo ora al secondo punto di forza della green economy: la possibi-lità di rendere meno traumatico il passaggio verso un’economia a bassocontenuto di carbonio. Le prospettive sul medio e lungo periodo, comeci ricorda la Iea, saranno condizionate dagli alti prezzi dell’energia e dallanecessità di ridurre drasticamente l’emissione di gas serra. In questo sce-nario, caratterizzato dalla forte richiesta di nuove tecnologie e dall’aper-tura di mercati interessanti, l’amministrazione statunitense con il suopacchetto green ha giocato d’anticipo accelerando la conversione di alcu-ni comparti e favorendo la creazione di settori innovativi.Un esempio tipico è quello dell’auto. Era evidente che i modelli chevenivano sfornati dall’industria statunitense erano poco competitivi,tanto che i rivali giapponesi avevano progressivamente guadagnatoimportanti quote di mercato. La crisi economica ha estremizzato ledifficoltà e al tempo stesso ha consentito di individuare una via d’u-scita perché l’amministrazione Obama ha condizionato l’erogazione diaiuti federali all’inversione delle scelte strategiche delle major automo-bilistiche. L’operazione Chrysler-Fiat in questo senso è rappresentati-va di un cambio di marcia impensabile fino a poco tempo fa, e indicala possibilità della trasformazione di un modello sociale, organizzativoe mentale, prima ancora che tecnologico. Veicoli più piccoli e più effi-cienti erano infatti già in circolazione, ma non venivano considerativincenti dalle grandi case automobilistiche che preferivano puntare sualtre caratteristiche del prodotto auto, come la velocità e la spaziosità.La bancarotta all’orizzonte e il sostegno governativo condizionato allariconversione ecologica hanno determinato le condizioni per la svoltastrategica mirata all’aumento di efficienza.

Il terzo fattore che gioca a vantaggio della green economy è la crisi eco-nomica, finanziaria e produttiva che ha risvegliato i fantasmi del 1929.Le misure di rilancio dell’economia hanno avuto in molti casi una forteconnotazione verde perché i finanziamenti pubblici in questo camposono considerati misure anticicliche che agiscono come ricostituentenelle fasi critiche dell’economia. Ai tempi del New Deal si diceva chepur di far lavorare i disoccupati si potevano scavare buche di giornoper poi riempirle di sera. Oggi possiamo, più efficacemente, creare

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Totale: 751,4Green: 86,611,5%

Totale: 375,6Green: 9,62,6%

Totale: 29,5Green: 23,780,5%

Totale: 81Green: 10,713,2%

Totale: 80Green: 11,3%

Totale: 453,1Green: 171,137,8%

Cina

Usa

Giappone

Corea del Sud

Totale: 26,1Green: 5,521,2%

Totale: 23,5Green: 1,66,9%

Totale: 11Green: 0,65,8%

Francia

Uk

Spagna

Germania

Italia

la componente verde nei pacchetti di stimolo

dell’economia

figura 1

Fonte: Wuppertal 2009. I valori sono espressi in miliardi di euro.

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occupazione tappando altri “buchi”: quelli delle dispersioni termichedei nostri edifici. Si tratta di un’occasione irripetibile per dare fiatoalla green economy.Il processo è già in corso, ma i paesi hanno reagito in modo molto diver-so. L’Europa ha investito una somma pari allo 0,9% del Pil, gli Usal’1,8%, la Cina il 7,1%: si tratta di finanziamenti importanti che inclu-dono una componente verde significativa anche se, per il momento,non sufficiente. Secondo le Nazioni Unite, un global green new dealavrebbe bisogno di risorse pari all’1% della ricchezza mondiale, cioè750 miliardi di dollari: si è arrivati a 470 miliardi di dollari.Negli Usa l’11,5% degli investimenti è qualificato dal punto di vistaambientale. In Cina più di un terzo dei 453 miliardi di euro del pianodi rilancio è stato destinato alle misure verdi. La Corea del Sud ha dedi-cato addirittura l’80% del pacchetto di stimolo economico al compar-to energetico ambientale. In Europa il panorama è disomogeneo, conin testa la Germania, i paesi scandinavi, la Spagna e in coda l’Italia e laPolonia che non hanno dato spazio alle misure di rilancio economicoed ecologico. Sono state elaborate stime sulla capacità di generare occu-

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pazione da parte dei vari pacchetti di stimolo: si va dai 100.000 nuoviaddetti della Francia, ai 250.000 della Germania, ai 350.000 della GranBretagna, ai 960.000 della Corea del Sud, per finire ai 3-3,5 milionidegli Usa.Riepilogando, le tre frecce all’arco della green economy sono: rilanciodell’occupazione, difesa del clima, fuoriuscita dalla crisi. È la somma diquesti tre fattori a risultare determinante, non il singolo intervento spotperché il new green deal non è una formula magica, una pozione dasomministrare per eliminare un singolo problema: per essere vincentedeve riuscire a cambiare il registro complessivo della produzione con-tribuendo al riorientamento strategico di molti settori industriali.Questa sfida esige un colpo d’ala, una risposta che nei prossimi dieci, ventianni cambi il volto della vecchia economia, per poi proseguire e allargarsioperando una profonda trasformazione nel modo di produrre l’energia,negli stili di vita, nelle abitudini di consumo, nella gerarchia dei valori.Una rivoluzione culturale che deve partire da scelte importanti in gradodi avviare la transizione verso un’economia più leggera dal punto di vistadell’impatto ambientale, più solida dal punto di vista dei bilanci, piùattenta dal punto di vista dello spreco di energia e di materie prime.Solo così, nella seconda metà del secolo, sarà possibile predisporre lemisure necessarie per adattarsi ai cambiamenti climatici proteggendo lecoste minacciate dall’innalzamento dei mari, governando il flusso deiprofughi ambientali, trovando alternative alla mancanza di acqua dovu-ta ai processi di salinizzazione, al ritiro dei ghiacciai, al cambiamentodei cicli idrici.Il nuovo contesto energetico basato sulle fonti rinnovabili e sull’idroge-no ottenuto per elettrolisi dall’acqua consentirà di concentrare gli sforziverso strategie difensive molto costose, verso le nuove mura che, comeavveniva in un passato lontano, torneranno a difenderci da minacceesterne: questa volta dalla crescita dei mari, un nemico che abbiamocreato rompendo il giocattolo degli ecosistemi prima di imparare a cono-scerlo. Un’economia strangolata dai costi altissimi di combustibili fossi-li e fissili sempre più rari e dalle scorie radioattive di centinaia di cen-trali nucleari avrebbe invece difficoltà a trovare le risorse necessarie adifenderci dalla violenza del clima mutante.

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Antonio Cianciullo e Gianni Silvestrini

la corsa della

green economyCome la rivoluzione verde sta cambiando il mondo

k yoto b o o ksta s c a b i l id e l l ’ a m b i e n t e

Prefazione di Christopher FlavinPresidente del Worldwatch Institute

antonio cianciullo è inviato di la Repubblica.

Per conto del giornale segue da oltre 25 anni i temi

ambientali e ha partecipato ai principali

appuntamenti internazionali: dalle conferenze

sull’ozono negli anni Ottanta all’Earth Summit

di Rio de Janeiro del 1992, dai reportage sui grandi

disastri petroliferi ai vertici sul cambiamento

climatico. È laureato in filosofia. Per la sua attività

ha vinto numerosi premi. Tra i suoi libri

Atti contro natura (Feltrinelli, 1992), Ecomafia

(Editori Riuniti, 1995, con Enrico Fontana),

Far soldi con l’ambiente (Sperling & Kupfer, 1996,

con Giorgio Lonardi), Il grande caldo (Ponte alle

Grazie, 2004), Soft economy (Rizzoli, 2005,

con Ermete Realacci).

gianni silvestrini, ricercatore del Cnr,

è direttore scientifico del Kyoto Club e della rivista

QualEnergia. Autore di numerosi articoli scientifici,

coordina il master “Ridef – energia per Kyoto”

del Politecnico di Milano. Ha vinto l’“European

solar prize 2001” ed è stato eletto nel consiglio

direttivo dell’European Council for an Energy

Efficient Economy. Ha ricoperto la funzione

di direttore generale presso il Ministero

dell’ambiente e di consigliere per le fonti

rinnovabili del Ministro dello sviluppo economico

Pier Luigi Bersani. È presidente di Exalto,

una nuova società della green economy.

www.edizioniambiente.it

Euro 14,00

ISBN 978-88-96238-51-6

ta s c a b i l id e l l ’ a m b i e n t e 9

Il 2008-2009 è stato il biennio della grande crisi economica,ma anche il trampolino di lancio della green economy. Nel mondo, gli impianti eolici creati nel 2009 hannoprodotto più energia delle centrali atomiche installate negliultimi cinque anni. In Germania il 31% del Pil dipendeormai dalle ecoindustrie. L’economia verde cresce e si rafforza,moltiplica i posti di lavoro mentre i comparti produttivitradizionali soffrono. Ma quali sono i suoi confini? E in che modo sta cambiando la nostra vita quotidiana? A queste domande risponde il libro di Antonio Cianciullo e Gianni Silvestrini che, attraverso l’analisi di 23 storieesemplari, racconta la corsa della green economy sostenuta da tanti soggetti diversi: aziende che evitano il fallimentospingendo sull’innovazione, colossi industriali che si convertono all’efficienza, città che sperimentano il modello low carbon. Ad accomunarli è la capacità di immaginare un futuro in cui si possa vivere e lavorare in modo più sicuro, più sano e più piacevole.

Antonio CianciulloG

ianni Silvestrinila

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A Stoccolma basta fare 300 passi pertrovare una fermata del trasporto pubblico e se il tram non arriva entro 20 minuti si ha diritto a prendere il taxi gratis. La Sassonia è diventata la Solar Valley della Germania: produce il 20% delle cellefotovoltaiche mondiali. Nelle Marche è nata la casa a zero emissioni. In California i frigoriferi hanno battutol’atomo: renderli più efficienti ha resodisponibile più elettricità di quellaprodotta da un reattore nucleare. Vista dalla prospettiva della green economy la crisi fa meno paura.Anzi, per molti settori è il momento della riscossa. Entro dieci anni le fontirinnovabili in Germania supereranno il settore automobilistico. In Cina, leadermondiale del solare, mezzo miliardo di persone utilizza l’energia pulita prodottada piccoli impianti. Negli Stati Uniti quasila metà della potenza elettrica installatanegli ultimi due anni viene dal vento, in Europa nel 2009 le rinnovabili hannofatto ancora meglio. È una svolta radicale: non più profittocontro benessere ma profitto dal benessere.Un nuovo modello di democraziaenergetica in cui potere e vantaggieconomici sono decentrati.

k yoto b o o ks

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