La Cucina Appennino Lig.lomb.Emi

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    ALFREDO MOROSETTI

    LA CUCINA DELLAPPENNINO

    FRA LIGURIA LOMBARDIA ED EMILIA

    Lantica civilt rurale: alimenti, ricette, piatti tradizionali

    DUTCH COMMUNICATIONS & EDITING

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    Copyright 2010 Dutch Communications & Editing

    Via G. Banfi 4 - 20142 Milano

    Stampa: Elioticinese Service Point S.R.L.

    Via Venosa 4/6 - 20137 Milano

    Leditore a disposizione degli aventi diritti che non stato possibile rintracciare

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    IL TERRITORIO E LANTICA CIVILTA RURALE 3

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    CAPITOLO I

    IL TERRITORIO E LANTICA CIVILTA RURALE

    1) Il territorio

    Larea che prendiamo in considerazione abbraccia a stare alle divi-

    sioni amministrative odierne quattro regioni e cinque province. In re-

    alt si tratta di unarea

    storicamente e cultural-mente omogenea, che

    coincide con il cuore

    stesso delle terre un

    tempo liguri: si tratta

    dellalto Appennino che

    si estende dal genovesato

    allalessandrino, rag-

    giunge Oltrep pavese

    montano, arriva fino alle

    vette e alle valli del pia-

    centino e del parmense,

    per andare a toccare le

    valli che dalla Cisa scendono in Lunigiana.

    Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia, Toscana sono solo nomi; un

    tempo in questa ampia fascia di territorio montano erano stanziate le

    pi importanti trib liguri e, a Dio piacendo, questo sicuro influsso si

    sente ancora ben netto e forte, passati tre o quattromila anni. Il chenon vuol dire che non ci siano differenze ce ne erano di acute tre-

    mila anni fa, figuriamoci adesso. Si tratta per di differenze

    allinterno di una consonanza di modi di essere, di pensare, di sentire

    e di parlare. La vicinanza, e a volte la sudditanza, a Lombardi, Emi-

    liani, Piemontesi, Toscani, ha indubbiamente influenzato profonda-

    mente usi e costumi, stili di vita, appartenenze e fedelt politiche.

    Tuttavia, percorrendo da un lato allaltro questo ambito territoriale,

    non possibile non avvertire una certa aria di famiglia. Lo si av-

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    verte negli accenti del parlare, nei modi di comunicare e di rappor-

    tarsi agli altri, nel modo di cucinare e di selezionare le materie prime.

    Si tratta di una cucina di montagna, per lo pi autoctona, di territoriin gran parte basati su di uneconomia di autoconsumo, che sapeva

    strappare alla terra qualunque risorsa utile, fosse essa il risultato di

    un duro lavoro agricolo, fosse essa il dono spontaneo del bosco e dei

    prati. In questa prospettiva dobbiamo tenere presente alcuni fattori

    climatici e ambientali che hanno avuto unimportanza primaria nella

    selezione e nella produzione delle materie prime. I luoghi di cui par-

    liamo sono situati ad altitudini che variano dai 600 metri ai

    1000/1200. Se da un lato non ci sono ovunque le condizioni per lacoltivazione dellulivo e della vite, e dunque vino e olio sono sempre

    prodotti di importazione, per altro verso altrettanto vero che c

    una belle differenza vivere in un paese situato a mille metri di altitu-

    dine ed uno situato a 600. Se non altro per la presenza o meno di un

    alimento strategico nella dieta delle genti di montagna: la castagna,

    che sopra gli 800 metri smette di crescere. Oppure se un determinato

    villaggio situato nel fondovalle o sulla costa di un monte. Nel

    primo caso, labbondanza dacqua permette una notevole estensionedi orti e probabilmente una certa quantit di pesce nella alimenta-

    zione abituale; nel secondo caso, ci sar abbondanza di legna, di aree

    destinate al pascolo e con esse una discreta quantit di latticini, pro-

    dotti spontanei del bosco, come funghi, bacche selvatiche, frutti di

    rovo.

    E poi la conformazione del terreno e lesposizione climatica. Un

    conto sono i terreni aridi e pietrosi strappati al monte attraverso i ter-

    razzamenti e un conto sono gli avvallamenti montuosi di boschi a la-

    tifoglie, inframmezzati da radure derba grassa. Un conto sono le

    aree che guardano verso il mare e sono esposte direttamente ai venti

    del Mediterraneo e quelle esposte verso la pianura e le Alpi, e dun-

    que soggette ai venti del nord. A volte sufficiente oltrepassare un

    passo di qualche centinaio di metri per accorgersi che persino il pro-

    fumo dellaria cambiato, che i colori della natura sono diversi, che

    intorno ai casolari vengono piantati certi ortaggi che appena poco

    prima non crescono assolutamente.

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    Infine, pi decisiva ancora della reperibilit o meno di certi alimenti

    e materie prime di base, ha unimportanza di primo piano linfluenza

    culturale di prossimit. Non a caso, ad esempio, nellarea prossimaalla Lombardia o alla provincia quasi Piemontese di Alessandria,

    dominano fra i secondi piatti, bolliti e stracotti, pietanze storiche di

    questi due ambiti regionali. Al contrario, sempre fra i secondi piatti,

    la presenza del coniglio in casseruola o della cima ripiena sistema-

    tica nella zona di diretta influenza genovese, lungo le valli

    dellAveto e della Trebbia. O, ancora, i crostini al grass pist (grasso

    pestato con aglio) o i piedini di porco bolliti e conditi con la salsa

    verde, li troviamo quasi ovunque fra lAppennino piacentino e par-mense.

    Ma se queste sono differenze palpabili e ben marcate, quali sono, a

    livello culinario, i tratti comuni e uniformanti?

    Direi che la troviamo nella costanza di certi sapori e nella combina-

    zione di alcuni alimenti. Primo fra tutti il sapore dellaglio e la sua

    espressione culinaria pi tipica: pestato in salsa di erbe e miscelato a

    diverse tipologie di frutta secca. Col basilico e i pinoli, diventa il ce-

    lebre pesto, che troviamo pressoch ovunque, dalla Lunigiana

    allAlessandrino. Ma lo troviamo pestato con le noci nella famosa

    salsa di noci che condisce tagliatelle, pansotti, gnocchi. Oppure nel

    grass pist, col prezzemolo e il lardo. Ed entra praticamente in ogni

    intingolo, in ogni fritto, in ogni rag. Una padellata di funghi dove

    lolio non abbia soffritto con qualche testa daglio sarebbe una be-

    stemmia e unoffesa al buon gusto. Un rag di carne senzaglio sa-

    rebbe smorto come un pat di rape.

    In seconda battuta, metterei la castagna che su questi monti stata

    per secoli lancora di salvezza dalle carestie e la compagna pi abi-tuale della pi nobile farina bianca. I piatti che essa ha permesso di

    realizzare sono innumerevoli e non c zona di questa parte

    dellAppennino che non compaia sotto forma o di polenta, o di fari-

    nata, o di minestra, o di dolce.

    E accanto alla castagna, almeno due altri frutti degli alberi del bosco:

    la noce e i pinoli, che entrano, a loro volta, a dare sapore e sostanza

    ad una quantit di piatti o di condimenti. E, per quanto riguarda le

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    noci, dobbiamo tenere presente lolio di noce, che a lungo stato il

    sostituto pi abituale di quello di olive.

    Fra le pietanze di sostanza, due sono i sapori che rappresentano unacostante delle cucine di famiglia e delle osterie che davano riparo a

    mulattieri e viandanti: quello dolciastro della zuppa di trippe e quello

    acuto e penetrante del merluzzo, fosse esso stoccafisso o baccal.

    Tuttavia prima di addentrarci in una analisi dettagliata delle materie

    prime di base che entrano nelle cucine di questarea appenninica, ve-

    diamo quali erano, pi in generale, le condizioni di vita e le risorse

    materiali su cui si poteva fare affidamento e dalle quali trarre so-

    stentamento.

    2) Le risorse e la societ

    Il tratto specifico dellorganizzazione sociale ed economica di queste

    vallate che non ci furono mai poveri, se per poveri intendiamo co-

    loro che necessitano e si mettono nelle mani di altri. Ci fu forse indi-

    genza, ma mai povert, cos come

    non ci fu mai sottomissione, servili-

    smo, dipendenza. Ci furono, per se-coli, signori feudali, ma non furono

    mai i padroni assoluti del destino di

    queste genti, anche perch i diritti

    feudali non si espressero mai come

    possesso di immense estensioni di

    terra sulle quale fare vivere e far la-

    vorare una massa di nullatenenti, ma

    si concretizzarono per lo pi

    nellesercizio del potere politico e

    amministrativo, nel diritto ad eser-

    citare la giustizia civile e penale,

    nella prerogativa di esigere tasse e

    imporre dazi. I signori feudali non

    determinavano le condizioni di vita economica del loro contado, ma

    semplicemente garantivano lordine pubblico, la sicurezza militare

    del territorio, le condizioni di uso delle terre comuni, ossia i boschi, i

    pascoli, i corsi dacqua, le vie di comunicazione. Il sistema di produ-

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    zione era molto semplice: ogni famiglia possedeva una certa esten-

    sione di terra, dalla quale traeva la base del suo sostentamento che

    consisteva in una agricoltura sostanzialmente di sussistenza (cereali,legumi, ortaggi). Integrava il processo produttivo lallevamento di

    qualche animale (vacchette di montagna, capre e pecore, animali da

    cortile). Il terreno produttivo era ricavato dal terrazzamento dei fian-

    chi dei monti e ogni striscia di terra veniva sorretta da un muretto a

    secco in pietra, affinch non smottasse a valle. Gli animali da cortile

    (conigli e pollame, soprattutto) fornivano quel poco di proteine no-

    bili necessarie alla salute, le vacche il latte per i formaggi e davano il

    concime per i campi coltivati. Il punto dolente erano i pascoli e i bo-schi dai quali si traevano le materie prime di base che consentivano il

    processo produttivo, cio i foraggi per gli animali e la legna per i fo-

    colari. Ovviamente non appartenevano a nessuno, ma erano la dota-

    zione primaria del feudo, ed erano concessi in uso ai vari villaggi,

    dietro il pagamento di diversi tipi di tasse. In pi, luso dei boschi e

    dei pascoli oltre ad essere tassato, generava una conflittualit per-

    manente con gli abitanti dei villaggi confinati, perch le bestie

    sconfinavano dai limiti stabiliti, perch qualcuno tagliava legna dove

    a lui non era consentito.

    In ogni caso, bisogna tenere pre-

    sente che le risorse a disposi-

    zione di ogni nucleo famigliare

    erano sempre inferiori alle sue

    pur minime necessit. Per

    quanto si facesse e per quanto ci

    si accontentasse di poco, la pro-

    duzione non bastava a sostentarelintero nucleo famigliare. La

    ragione presto detta: la fasce di

    terra potevano essere coltivate

    solo col duro lavoro individuale

    di zappa e dunque non aveva

    senso avere una grande estensione di fasce di terra se poi la famiglia

    non aveva sufficienti braccia per zapparle interamente e, inoltre, per

    ogni certa estensione di terreno occorreva avere un determinato nu-

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    mero di vacche o di muli in grado di fornire il concime necessario

    per renderlo produttivo. Dunque che si fosse in dieci, in venti o in

    due o in tre, il risultato finale non cambiava. Ogni paio di bracciapoteva coltivare solo un tanto di terra, e quanto da questo lavoro si

    ricavava non produceva un numero sufficiente di calorie a tenere in

    vita sul lungo periodo chi si era spezzato la schiena a coltivare il

    campo. Come mai allora le genti di queste terre sono riuscite a vi-

    verci per millenni e non si sono estinte per fame? La risposta sem-

    plice: perch si sono sempre date da fare, perch si sono sempre

    messe in movimento. Per strano che possa sembrare, ma da sempre

    queste terre sono state un via vai perenne di traffici, di spostamenti,di gente che andava via

    in cerca di nuove op-

    portunit e ritornava.

    Nessun villaggio mai

    stato totalmente isolato,

    nessuna famiglia, al suo

    interno, vissuta solo

    ed esclusivamente dellerisorse del suo cir-

    condario. Le giovani fi-

    glie in attesa di marito

    andavano a fare lavori

    stagionali nelle terre di pianura (la monda del riso, soprattutto), qual-

    cuna andava a fare la cameriera presso questa o quella famiglia di

    citt e inviava a casa i soldi che guadagnava. I giovani andavano

    ovunque, persino in Turchia, se vi erano buone occasioni di lavoro e

    di traffici. Spesso remavano sulle galee della Repubblica, pi ancora

    si specializzavano in qualche attivit artigianale da intercalare col la-

    voro agricolo. Erano muratori, fabbri, carpentieri, cestai, cordai.

    Spesso i padri compravano ad un figlio una o due mule e questi di-

    ventava un trasportatore per conto terzi delle merci che arrivano

    dalla pianura al mare e che dal mare risalivano verso la pianura. Il

    mulattiere guadagnava discretamente bene, rispetto ai famigliari che

    rimanevano in paese e lavoravano la terra. Soprattutto disponeva di

    un flusso costante di denaro contante che aveva una funzione essen-

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    ziale non solo per lui, ma per lintero gruppo famigliare, in quanto

    metteva tutto il nucleo famigliare nella condizione di non dipendere

    totalmente dalle condizioni di scambio che facevano i mercanti checompravano le magre eccedenze della produzione contadina, cio

    formaggette, uova, verdure, animali di vario genere, canapa e lavo-

    rati grezzi della lana e della canapa.

    OSTERIE

    Losteria ebbe, specie nelle campagne, degli aspetti che vanno ben oltre ilsemplice bere e mangiare in compagnia, giocare dazzardo e passare una se-

    rata insieme cantando e litigando.

    La loro scomparsa fu decretata, in primo luogo, dal diffondersi dei mezzi di

    trasporto a motore e, in secondo luogo, dallestinguersi del popolo.

    La loro nascita antichissima, risale alla fine dellepoca medioevale,

    quando i monasteri e le abbazie stavano andando pian piano spegnendosi,

    mentre le vie di comunicazione e i traffici su di esse stavano ampiamente

    sviluppandosi. In pratica venivano a sostituirsi ai monasteri quali luogo di

    rifugio e di ospizio di coloro che viaggiavano. Era una funzione essenziale,di gran lunga superiore a quella connessa e consequenziale della ristora-

    zione e del bere. Il sistema dei trasporti avveniva principalmente a per

    mezzo di muli o di carri e carrozze trainate da cavalli. Le miglia che un

    mulo o un carro potevano fare in un giorno erano fisse e calcolabili; per-

    tanto la pi parte delle osterie sorgeva in genere ad una giornata di viaggio

    dalla pi vicina, lungo una strada per lo pi trafficata da mercanti, mulattieri

    e da soldati. Inoltre, prima ancora che rifugio e luogo di conforto dei viag-

    giatori erano punti di ricovero assolutamente essenziali per gli animali da

    carico. Cavalli e muli dovevano, dopo una giornata di viaggio, essere ab-bondantemente rifocillati con biada e crusca, ma pi ancora strigliati del su-

    dore raggrumato lungo tutto il loro corpo. Un animale lasciato di notte al

    freddo, bagnato del suo sudore, alla lunga si sarebbe sicuramente ammalato

    gravemente, ed facile immaginare quale danno producesse un evento del

    genere al proprietario.

    Dunque le osterie disseminate principalmente lungo le strade erano tutte

    dotate di stalla e fornivano tutti i principali servizi di stallaggio (i famosi

    garzoni di stalla erano appunto quelli che accudivano cavalli e muli, non

    solo le baronesse nei loro momenti di smarrimento). Per altro verso,

    losteria era il principale mezzo di informazione e di circolazione delle noti-

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    zie che riguardavano tutte le principali vicende della comunit e delle co-

    munit limitrofe. Non solo notizie di morti, nascite, sposalizi, ma notizie

    politiche, condanne penali, leggi promulgate, vicende belliche. La quantitdi informazioni nasceva dal fatto che erano luoghi obbligati di sosta per

    chiunque fosse in viaggio. Allepoca (600, 700, 800, primi decenni del

    900) non esistevano i camper n le roulottes, dunque non si poteva fare gli

    schizzinosi. Se in citt le osterie si dividevano fra quelle di lusso per perso-

    naggi altolocati, quelle andanti un po per tutti gli altri, e quelle infime per i

    pendagli da forca, nelle campagne il formato era uguale per tutti: quello che

    si trovava si trovava e non si poteva andare per il sottile. Se il posto era ben

    tenuto e pulito, lo era per lultimo mulattiere come per il signor conte, e se

    era, invece, un porcile, lo era allo stesso modo sia per chi aveva la camiciadi seta sia per chi era coperto di stracci.

    Ma questa obbligata commistione di individui di ogni ceto e condizione,

    questo incontro sistematico di gente che proveniva dai luoghi pi diversi

    determinava un flusso continuo di notizie che poi si sarebbero propagate in

    ogni altra osteria del circondario e nei villaggi raggiunti da questo o quel

    paesano che allosteria era venuto a sapere che....

    In questottica, possiamo dire che le osterie di campagna sono state i gior-

    nali e gli uffici stampa del popolo; lAnsa degli analfabeti, il Google del

    mondo che andava a candele e zoccoli di mulo.Infine, oltre che alla ovvia mensa e mescita per i viaggianti, erano il teatro,

    la sala gioco, il palcoscenico di ogni spirito preso da eroico furore. I poeti si

    sentivano autorizzati a declamare in osteria i loro componimenti. I cospira-

    tori a rendere pubblici i loro proclami. Gli istrioni a raccontare le loro mira-

    bolanti storie. I bari a fare andare le carte come volevano loro. I briganti a

    fingersi tranquilli viandanti.

    Infine losteria era un vero e proprio ricovero per i diseredati. Non cera

    lobbligo di consumazione, non cera il biglietto di ingresso allo spettacolo.

    Chiunque poteva entrare e sedersi su di uno sgabello presso il fuoco e ma-gari consumare le croste di pane che aveva con s. Loste non lo sbatteva

    fuori, se non dava fastidio.

    Pi in generale era essenzialmente la coesione del nucleo famigliare

    a garantire la possibilit di sopravvivenza a ciascun individuo. E tut-

    tavia non si trattava di un mondo chiuso e limitato. La stessa impos-

    sibilit di essere autosufficienti apriva le famiglie e i paesi verso

    lesterno, li obbligava ad una molteplicit di attivit complementari a

    quella agricola per ottenere un livello di vita passabile. E il nucleo

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    famigliare aveva, in ogni caso, come proprio centro di riferimento

    per la propria sopravvivenza materiale, la terra, fosse il terreno di

    propriet da cui traeva i principali alimenti del desinare quotidiano,fosse la terra di propriet comune, cio i pascoli e il bosco.

    3) Lagricoltura di sussistenza

    Dalla terra si traevano

    essenzialmente due cereali

    di base: il grano e il mais,

    che per erano un magro

    raccolto rispetto al lavoro ealla estensione di terra ri-

    chiesti.

    Dovevano essere assoluta-

    mente integrati con una se-

    rie di prodotti dellorto,

    dellallevamento di animali domestici, di prodotti spontanei del bo-

    sco.

    Primi fra tutti i legumi e, in particolare i fagioli, di cui si coltivano

    diverse specie. La pi nota la fagiolana che si coltiva soprattutto

    in val Scrivia e comunque verso il lato genovese e piemontese

    dellAppennino. E una variet di origine spagnole che ha i caratteri

    tipici del grosso fagiolo bianco di Spagna, se non una consistenza pi

    forte della buccia e una pasta molto delicata. Viene mangiato in in-

    salata o come accompagnamento di spezzatini di carni varie o come

    contorno di carni arrosto.

    Altri legumi molto coltivati sono i ceci, dai quali soprattutto si ricava

    la farina per la diffusissima polenta o la schiacciata di farina di ceci,detta appunto farinata. Altrettanto diffusa era la coltivazione del

    fagiolino verde da mangiare bollito in insalata e, con esso, delle ver-

    dure tipiche della montagna per la loro capacit di reggere ai freddi

    come i cavoli, le bietole, e, pi ancora, le verze. Poi abbiamo le ci-

    polle, i porri, pi raramente i pomodori.

    Scarsa, invece, la coltivazione dei radicchi e delle lattughe per il

    semplice fatto che venivano sostituite dalle erbe spontanee dei

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    campi, come il dente di leone, lasciando cos spazio nellorto a ver-

    dure pi ricche di sostanza.

    Altro alimento strategico fu la patata, in particolare una variet, laquarantina (bianca e gialla), che meglio di qualsiasi altra si adattava

    ai terreni di montagna pi elevati e giungeva a maturazione in tempi

    piuttosto brevi. Peraltro, abbiamo altre variet tipiche come la ca-

    bannina o la cannellina nera che venivano a caratterizzare

    lagricoltura di questo o quel villaggio o zona montana.

    Il vantaggio alimentare di questo tubero di origine americana ben

    noto: crescendo sotto terra era protetto da improvvisi sconvolgimenti

    climatici che spesso mettevano a rischio interi raccolti di cereali,come il grano, il mais, la segale. Per altro vero, la bont e la possibi-

    lit di legare al meglio con qualsiasi pietanza, la patata rappresentava

    e rappresenta un vero tesoro anche sotto il profilo gastronomico.

    4) Gli animali da allevamento domestico

    La possibilit di sopravvi-

    venza era data, inoltre,

    dallallevamento su base fa-migliare di alcuni piccoli

    animali, che si andavano ad

    affiancare, per chi ne aveva

    la possibilit, a qualche vacca

    di montagna e a qualche pe-

    cora. In ogni caso non cera

    famiglia che non allevasse conigli, galline e non avesse almeno una

    capra. In ambito soprattutto emiliano anche il maiale era un animale

    che veniva allevato sistematicamente su base famigliare.

    Il vantaggio di allevare conigli, nonostante le morie per malattie in-

    fettive varie, era il fatto mangiavano erba e si riproducevano, ap-

    punto, come conigli, dunque costavano poco e davano molto. Pi

    importante per, era il pollaio, perch luovo era veramente un ali-

    mento fondamentale per integrare, con proteine nobili, la dieta a base

    di cereali e verdure. Le galline costavano un po di pi dei conigli ad

    allevarle, perch mangiavano anche i cereali e dunque erano in con-

    correnza con luomo, tuttavia molto facevano da sole lasciate razzo-

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    lare nellaia e nei campi circostanti: allora trovavano tuberi, vermi,

    serpi, piccoli roditori e provvedevano da sole almeno al 50% della

    loro alimentazione.Acconto a questi piccoli animali da allevamento domestico, troviamo

    la vacca di montagna (era difficile che una famiglia non ne avesse

    almeno una). La necessit della vacca presto detta in relazione al

    latte che rappresenta un alimento essenziale nella dieta ed entra in

    una quantit di composti e preparazioni. Nelle zone di montagna e in

    quelle pi isolate, lolio di oliva era una rarit e un lusso.

    La possibilit di cuocere con dei grassi dipendeva appunto dal burro

    tratto dalle vacche e dallo strutto ricavato dal maiale. Quanto ai for-maggi, erano ricavati, in genere, dalla mescolanza del latte di vacca

    con quello di pecora, laltro animale di taglia impegnativa che rap-

    presentava la migliore risorsa per sfruttare lerba dei prati e le radure

    del sottobosco. Si produceva, cos, la classica caciotta, un formag-

    gio semplice e sostanzioso che, invecchiato, poteva sostituire almeno

    in parte il parmigiano, altro prodotto di gran pregio e assai costoso.

    5) Le risorse del bosco

    Limportanza del bosco nella economia complessiva dei villaggi ap-

    penninici assoluta, e non solo perch dal bosco che si trae la le-

    gna, la fonte energetica fondamentale alla base della vita di ogni

    giorno, o perch dal legno si ricavano praticamente tutti i manufatti

    della vita domestica e degli attrezzi da lavoro. Questo del tutto ov-

    vio e, almeno fino allaltro ieri, un fatto che valeva per ogni so-

    ciet e paese del mondo.

    Tuttavia quello che faceva del bosco un luogo fondamentale per la

    sopravvivenza delle genti dellAppennino non era solo il legno, maanche i prodotti spontanei che era in grado di fornire.

    In realt dire che il bosco era un terreno selvatico e incolto, come

    normalmente vediamo oggi boschi, errato. Il bosco era di fatto la-

    vorato e tenuto con cura n pi n meno che un campo. Il sottobosco

    era sempre pulito alla perfezione e i rovi, gli sterpi, le foglie, utiliz-

    zati in tanti modi diversi, come lettiera per gli animali, come ali-

    mento per i roditori, come legacci per i pali dei campi o dei recinti.

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    14 CAPITOLO I

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    Gli alberi che crescevano

    troppo vicini, togliendosi

    reciprocamente lo spaziovitale, venivano tagliati e,

    pi in generale, si pota-

    vano le piante di alto fusto

    che potevano dare utili

    frutti, come i castagni i

    noci le querce, affinch

    crescessero pi alte e ro-

    buste. Insomma, il boscopulito e curato con siste-

    matica solerzia era messo nelle condizioni di dare al meglio dei frutti

    spontanei.

    Fra essi, i primo luogo, come abbiamo appena accennato, la casta-

    gna, che rappresentava il principale integratore alimentare dei cereali

    coltivati.

    Della pianta del castagno ne esistono ben 89 variet Il castagno ap-

    partiene all'ordine delle Fagales e alla famiglia delle Fagacee. Laspecie pi importante, utilizzata sia per la produzione di frutti, che

    del legno il castagno europeo (Castanea sativa). All'interno della

    specie, si riconoscono varie sottospecie come: la Castanea Sativa

    Asplenifolia, la Castanea Sativa Fastigiata, la Castanea Sativa Proli-

    fera, la Castanea Sativa Purpurea e la Castanea Sativa Piramidalis.

    La castagna veniva mangiata in ogni modo: in primo luogo, fresca

    appena caduta dallalbero, bollita o arrosto. Quindi secca come fosse

    un qualsiasi legume da ammollare al momento di cucinarlo ed, in-

    fine, trasformata in farina, da mescolare a quella di frumento.

    Fra i prodotti spontanei del bosco vi erano tantissime erbe, che si

    mangiavano crude in insalata o bollite in minestre. SullAppennino

    ligure si indica col termine preboggion un insieme di erbe, con le

    quali si fanno molti piatti o entrano in tanti composti e ripieni di-

    versi. Fra esse: la cicerbita, la grattalingua, il raperonzolo, il radic-

    chio selvatico, i denti di coniglio (coniggio), il dente di cane taras-

    saco, borragine (bietola di prato), ortica, papavero. Esse vengono,

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    IL TERRITORIO E LANTICA CIVILTA RURALE 15

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    per lo pi raccolte e mangiate appena in germoglio, giacch la pianta

    matura non quasi mai commestibile.

    Naturalmente accanto alle erbe selvatiche di prato, abbiamo tutta laschiera dei frutti di bosco, dalle fragoline, alle more, dai lamponi ai

    mirtilli.

    Infine il fungo, la cui raccolta stata sempre non solo una risorsa di

    autoconsumo, ma uno dei prodotti del bosco che veniva sistematica-

    mente venduto nei mercati di citt, sia fresco che sottolio, ma so-

    prattutto secco. Abbiamo testimonianze precise, a livello storico,

    circa la vendita organizzata del fungo in Val di Taro. Ad esempio, in

    un passo della Historia di Borgo Val di Taro, di Alberto ClementeCassio (1699-1760), abbiamo notizia della presenza di mercati sta-

    bili, lungo la Cisa, per la rivendita dei funghi porcini abbondantis-

    simi in questa zona; e gi verso la fine del secolo XIX sorsero

    aziende specializzate per la commercializzazione e la lavorazione di

    funghi tuttora in attivit.

    Quanto alle specie dei funghi che si possono trovare, diciamo che ci

    sono tutte le principali della penisola. I funghi crescono abbondantis-

    simi lungo la valle del Taro, sui monti e le valli che separano larea

    parmense dalla Lunigiana. Ma ricche di funghi sono anche la zona

    dellAntola e quella del monte Penna.

    Dal punto di vista gastronomico, data labbondanza, si prendono in

    considerazione soltanto tre specie: i porcini, gli ovuli e i magici pru-

    gnoli.

    Le principali tipologie del porcino commestibile sono essenzialmente

    quattro di cui la edulis la pi diffusa e anche la pi apprezzata; poi

    abbiamo il boletus aereus, il boletus aestivalis, boletus pinophilus.

    La loro localizzazione dipende dalla tipologia di bosco (castagni,faggi, querce, cerri, pini), ma anche dalla altitudine e dalla chimica

    del terreno. E il fungo, per eccellenza, che si fa seccare, in quanto il

    suo profumo eccezionale, ma viene mangiato in tutti i modi: crudo,

    impanato, trifolato, in rag o ripieno al forno.

    Lovulo (amanita cesarea) era il fungo prelibato che allietava i ban-

    chetti degli imperatori romani. Eccellente crudo in insalata, con aglio

    olio e limone, anche ottimo in una zuppa tipica o al forno ripieno.

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    16 CAPITOLO I

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    Infine il prugnolo, apprezzato soprattutto nel parmense e nel piacen-

    tino. E un fungo primaverile, che cresce in luoghi erbosi, ai margini

    e nelle radure dei boschi purch soleggiate e luminose. Ottimo inqualsiasi preparazione culinaria e si conserva in tutte le maniere (sot-

    t'olio, essiccato, ecc). Il suo inconfondibile odore di farina fresca e di

    sapore eccellente si gusta prevalentemente con le tagliatelle fresche,

    in insalata, in tegame al funghetto.

    6) Cacciagione, lumache, trote

    Dire che la caccia era un diverti-

    mento sarebbe falso. O meglio,laffermazione sarebbe vera se ri-

    ferita a nobili e aristocratici, ma

    non certo a dei contadini. Per loro

    la caccia era anche un diverti-

    mento, ma era pi ancora un la-

    voro da fare nei tempi morti, nelle

    stagioni autunnali e invernali,

    quando il lavoro nei campi si atte-nuava di parecchio e permetteva di

    utilizzare il tempo a disposizione

    per provare a mettere in tavola una

    lepre, un fagiano, un capriolo.

    Naturalmente era anche un grandissimo piacere, sebbene pochi po-

    tessero permettersi di andare a caccia con la licenza e la doppietta. Si

    andava a caccia con i sistemi ancestrali e sicuri che garantivano, in

    silenzio, un buon risultato, non costavano praticamente nulla, specie

    in tasse, ma anche in cartucce e manutenzione delle armi. Si trattava,

    cio, di una caccia di frodo che richiedeva limpiego di trappole, di

    reti, di lacci, e dava il piacere della sfida ai poteri costituiti che cer-

    cavano di impedirla con ogni mezzo e dava il piacere dellastuzia nel

    riuscire a catturare animali selvatici che sono a loro volta astuti, dif-

    fidenti, imprevedibili e matti.

    Con il laccio si prendevano animali di media taglia e, soprattutto,

    almeno dove era presente, il cinghiale. Il cinghiale un animale do-

    tato di un olfatto finissimo e di una notevole memoria. Per mesi rie-

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    sce a sentire lodore delle mani sul laccio di colui che lo ha incauta-

    mente maneggiato e si rifiuta, perci, di passare per i cespugli dove il

    laccio stato teso. Allora labilit consisteva, in primo luogo, nelloscoprire dove i cinghiali passassero abitualmente e poi nel tendere il

    laccio mascherando lodore umano con odori di altri animali selva-

    tici. Se il cinghiale si confondeva nel distinguere gli odori, allora

    passava per il solito pertugio e finiva per infilare la testa nel laccio l

    sistemato e non aveva pi scampo. Allo stesso modo, ma molto pi

    facile era la caccia alla lepre. In questo caso, lanimale era facile da

    catturare per la sua stessa insipienza. Preferendo di gran lunga lerba

    coltivata a quella selvatica, i teneri germogli del grano ai duri ramo-scelli degli alberi del bosco, viveva in prossimit dei campi coltivati

    e aveva (e continua ad avere, sebbene oggi non sia pi cacciata con

    gli antichi sistemi, ma solo con i fucili e i cani) una ottusa

    predisposizione a fare sempre gli stessi percorsi. Per catturarla ba-

    stava un piccolo laccio una volta individuato dove avesse la tana e

    quale tragitto facesse per la sua pastura notturna. Ottima in salm, ha

    allietato per secoli le tavole dei contadini, alla faccia dei proclami e

    delle ordinanze che minacciavano pene tremende per chi si fosse az-

    zardato a darle la caccia.

    La trappola con i denti di metallo era riservata soprattutto alla volpe

    o alla faina. La volpe lanimale odiato per eccellenza dai monta-

    nari, perch il grande saccheggiatore dei pollai. La volpe non si

    mangia, ma la sua pelle assai apprezzata, specie dalle signore. Per

    gli uccelli i sistemi di cattura erano le reti poste fra gli alberi oppure i

    ramoscelli ricoperti di vischio (una specie di colla) e messi tutti in-

    torno alle gabbiette che imprigionavano gli uccelli che cantando ri-

    chiamavano su di esse i fratelli in libert. Ma la vera strage di passerie di merli, cio delle specie che vivevano al limitare dei villaggi, av-

    veniva di inverno, quando cera la neve. Allora affamati perdevano

    qualsiasi prudenza e si riuscivano a catturare con sistemi elementari,

    come ad esempio una grossa pietra piatta, sollevata da un lato con un

    bastoncino, sotto la quale venivano poste alcune briciole di pane.

    Andandole mangiare, luccellino muoveva il bastoncino e finiva

    schiacciato dal masso. Ecco perch dinverno si facevano scorpac-

    ciate dipolenta e osei.

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    18 CAPITOLO I

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    E accanto agli animali della cacciagione, quelli della raccolta, fra cui

    le lumache erano le pi ricercate per la bont, per labbondanza, per

    la facilit di trovarle. Inutile dire che le ricette a base di lumachesono diffuse ovunque sullAppennino e presentano delle variazioni

    di ogni tipo. E, infine, i pesci dei torrenti e dei ruscelli. La trota, ma

    anche il gambero di acqua dolce, una squisitezza che purtroppo oggi

    assai rara.

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    LA CUCINA DI TRADIZIONE LIGURE 19

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    CAPITOLO II

    LA CUCINA DI TRADIZIONE LIGURE

    Laspetto eccezionale della cucina ligure la sua straordinaria capa-

    cit di trarre il meglio da alimenti poverissimi e spesso nemmeno

    coltivati, frutti o prodotti selvatici del bo-

    sco.

    Il tratto dominante di questa cucina ilruolo e il sapore che le erbe e i tuberi

    conferiscono alle varie pietanze. Fra esse,

    laglio, in primo luogo, che entra in ogni

    rag, soffritto, stufato. Quindi le erbe pi

    tipiche del suolo esposto pi esposto ai

    venti del Mediterraneo: il basilico, il

    timo, lorigano, la maggiorana, lalloro,

    la salvia. Quindi quelli che derivano dai

    pinoli, dalle olive, dalle bacche di gine-

    pro. Gli odori che esse trasferiscono ai

    vari alimenti li fanno profumare in ma-

    niera unica e indimenticabile.

    Larea ligure anche quella nella quale lolio di oliva ha una pre-

    senza, nelle ricette, costante e significativa, a differenza di aree dove

    i costi proibitivi di questo alimento lo rendevano raro e mai usuale

    nelle ricette delle tradizionali.

    Antipasti e salse

    La tradizione ligure non privilegia, negli antipasti, i salumi, che

    compaiono solo in addizione a verdure ripiene, torte salate, funghi e

    verdure sottolio, olive in salamoia, conserve varie.

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    20 CAPITOLO II

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    Uova RipieneIngredienti per 4 persone: 4 uova; 60 g di tonno sott'olio; un ciuffo di prezze-

    molo; !limone; 20 g di maionese; 2 cucchiai di olio d'oliva; sale e pepe

    Bollire le uova e una volta sode, sgusciarle

    e tagliarle per il verso della lunghezza.

    Tritare i tuorli col tonno e il prezzemolo e

    quindi aggiungere lolio, il succo del li-

    mone il sale e il pepe. Mescolare energi-

    camente il tutto e riempire con questo im-

    pasto le mezze uova. Aggiungere, infine, uno strato di maionese.

    Torta di funghiIngredienti per 4 persone: 400 gr di farina, 600 gr di funghi porcini, olio d'o-

    liva, aglio e prezzemolo.

    Impastare la farina con acqua ed un po' d'olio e lasciarla riposare al-

    meno un paio dore. Pulire funghi, tagliarli a fettine sottili e friggerli

    nellolio con un paio di spicchi daglio. Aggiungere prezzemolo tri-

    tato e far cuocere per circa un quarto d'ora, a fuoco basso. Tirare lasfoglia e porla sul fondo unto d'olio di una teglia dal bordo basso e

    versavi i funghi. Chiudere la teglia con altra pasta sfoglia che verr

    unita e impastata con quella che ricopre fondo e bordo della teglia.

    Infornare a 160 gradi per circa 20 minuti.

    Torta di borragine e ricottaIngredienti per 4 persone: 400 g di borragine,200 g di ricotta, 200 g di farina,

    80 g di burro, un uovo, 80 g di pecorino grattugiato

    Impastare la farina acqua con uvo e sale e formare una palla, che va

    poi coperta con un panno e lasciata riposare per circa 60 minuti.

    Bollire e strizzare la borragine quindi rosolarla sminuzzata nel burro

    per alcuni minuti; preparare un composto di ricotta, pepe e pecorino,

    aggiungere il sale e la borragine.

    Stendere a sfoglia, la pasta e metterla sul fondo di una teglia imbur-

    rata. Riempire con il composto di ricotta, pecorino, borraggine, e

    chiudere la superficie con la pasta sfoglia. Infornare per circa unoraa 160 gradi.

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    LA CUCINA DI TRADIZIONE LIGURE 21

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    Pomodori ripieniIngredienti per quattro persone : 4 pomodori tagliati a met e privati dei semi,

    100 g di tonno sottolio, 4 patate lessate, 20 cl di olio d'oliva, un ciuffo di basi-lico, 4 uova, sale e pepe.

    Amalgamate con un pestello patate bollite e tonno, aggiungete il ba-

    silico passato nel mortaio, aggiustate di sale e pepe, quindi riempite i

    pomodori tagliati a met e liberati del loro contenuto, che viene ag-

    giunto tritato al composto. Decorare i pomodori con mezzo uovo

    sulla superficie.

    Ricotti della valle SturlaIngredienti per 4 persone: un chilo di patate, 300 g di farina di mais, 200 g di

    lardo, 100 g di burro, 4 cipolle, 1 spicchio daglio, un ciuffo di prezzemolo, 50 g

    di parmigiano reggiano grattugiato, sale.

    Passare nello schiacciapatate le patate bollite e aggiungere la farina

    di mais, mescolando bene e

    aggiungendo poi il formag-

    gio grattugiato; fare quindi

    soffriggere nel burro il lardo

    tagliato a pezzetti minuti in-

    sieme alle cipolle tagliate a

    fette sottili e un battuto

    daglio e prezzemolo. Frig-

    gere per qualche minuto il

    composto di patate e mais,

    quindi tirare la padella via

    dal fuoco e fare delle pic-cole polpettine con lo

    impasto ottenuto. Metterle

    in forno a 150 e tirarle fuori non appena diventano dorate.

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    Farinata

    E un piatto universale che troviamo ovunque in Liguria, ma anche

    in Lunigiana. Solo nellAppennino strettamente di influenza emiliana sconosciuto.Ingredienti per 4 persone: 400 gr. di farina di ceci, un bicchiere bicchiere d'o-

    lio, sale, pepe ed acqua.

    Stemperare in acqua la farina di ceci con un po di sale fino ad otte-

    nere una pastella abbastanza liquida e lasciarla riposare almeno 4

    ore. Preparare il testo di rame dai bordi molto bassi, tipico della Li-

    guria per cuocere al forno. Se non si possiede usare una teglia da

    forno dai bordi molto bassi, nella quale si sar versato abbondanteolio che verr mescolato energicamente con la pastella.

    Informare a 200 e lasciare cucocere fino a che la farinata non pre-

    senta una crosticina dorata. Aggiungere pepe al momento del con-

    sumo.

    Frittelle di farina di ceciIngredienti per 4 persone: 20 cl di olio d'oliva, 600 g di farina di ceci, 2 cipolle,

    sale e pepe.

    Sciogliere la farina di ceci in una ampia scodella fino ad ottenere

    una pastella molto liquida. Salare e pepare e lasciare a riposare una

    notte. Mettere la pastella a bollire a fuoco basso fino a che diventa

    piuttosto densa, mescolando in continuazione perch non si attacchi

    e cuocia uniformemente. Quando il composto si fatto abbastanza

    solido, tirare via dal fuoco e versare in piatti fondi la polentina otte-

    nuta. Quando sar completamente fredda, tagliare il contenuto delle

    fondine a fette regolari e metterle a friggere in una padella con loliomolto caldo. Servire spolverando leggermente di sale e cipolla tritata

    finemente.

    Fiori di zucca ripieni

    Le verdure ripiene al forno (fiori di zucca, cipolle, zucchine, pepe-

    roni, ecc.) sono un classico della cucina ligure di montagna. Si

    mangiano come antipasto, ma anche come contorno dei secondi. Fra

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    LA CUCINA DI TRADIZIONE LIGURE 23

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    esse il fiore di zucca ripieno sicuramente quello che meglio si pre-

    sta come antipasto.

    Ingredienti per 4 persone: 8 fiori di zucca, 2 uova, un ciuffo di maggioranzafresca, 2 cipolline dolci, la mollica di 2 pagnotte, prezzemolo, uno spicchio

    daglio, un bicchiere di latte, 50 g di mortadella, 30 g di formaggio parmigiano,

    olio di oliva.

    Bagnata la mollica di pane nel latte e strizzata bene si prepara

    lamalgama con i rossi duovo, e un trito daglio, cipolline, prezze-

    molo, maggiorana, mortadella, formaggio grattugiato. Si liberano i

    fiori di zucca del pistillo e li si riempiono con il composto ottenuto.

    Si mettono in piedi in una teglia da forno unta dolio e si fanno cuo-cere a 160 per circa 40 minuti.

    Insalata di pomodori (cundijun)

    E un classico antipasto o contorno ligure che si trova ovunque, ma

    che in ogni posto trova delle varianti sui generis. In linea di mas-

    sima, le costanti sono i pomodori, le cipolle, il basilico, le olive

    nere, le uova sode, i filetti di acciuga. In alcune localit si aggiunge

    allinsalata il pane secco, dopo averlo bagnato e strizzato. Per questocaso viene anche chiamato pan bagn.

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    In linea di massima un ottimo e tradizionale antipasto ligure do-

    vrebbe comprendere: funghi, olive, verdure sottolio, pomodori sec-chi sottolio, verdure ripiene al forno, insalata di pomodori, una

    fetta di torta salata di vario genere, ad esempio ai funghi, qualche

    fettina di salume, in particolare lardo, pancetta e salame casalingo.

    Ovviamente la stagionalit determina la presenza o meno di certi

    alimenti, in particolare di questa o quella variet di verdure.

    PestoE una salsa universalmente diffusa in tutto lAppennino fino alla

    Toscana. Le variazioni sono minime, seb-

    bene ci sia una sorta di gelosia genovese,

    secondo cui solo il pesto fatto con il basi-

    lico di mare un vero pesto. Il basilico

    cresciuto in collina o in montagna non

    avrebbe quel profumo e quel sapore cos

    unico che caratterizza il vero pesto alla

    genovese. Insomma...In realt le differenze sono essenzial-

    mente nella variazione delle proporzioni

    degli ingredienti e risentono, perci e so-

    prattutto, del gusto non tanto e non solo

    locale, ma addirittura di ciascun desco famigliare nel quale lo si

    prepara. Dunque, si pu dire che qualsiasi famiglia e qualsiasi risto-

    ratore vi preparer un pesto con un sapore e un profumo che difficil-

    mente troverete identico altrove.

    Ingredienti: 100 g. di foglie di basilico; 10 g di pinoli, 30 g. di formaggio peco-

    rino o parmigiano, uno o due spicchi di aglio (secondo i gusti), olio doliva di

    qualit (mezzo bicchiere circa), sale e pepe.

    Si prende un mortaio da cucina e vi si mettono le foglie di basilico,

    laglio tagliato a pezzetti, e i pinoli e si comincia a pestare (pistu, ap-

    punto) questi ingredienti fino a ridurli in poltiglia; si aggiunge pian

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    piano lolio, il sale. Quando si avr una salsa densa si aggiunge il

    formaggio grattugiato e si mescola ancora.

    Salsa di noci

    Si utilizza soprattutto per condire una pietanza tipica: i pansotti, che

    sono grossi ravioli ripieni essenzialmente di verdure.Ingredienti: 200 grammi di gherigli di noci, uno spicchio d'aglio, mollica di due

    panini; latte intero, due cucchiai d'olio, sale, 50 g. di parmigiano grattugiato.

    Pulire i gherigli di noci della loro pellicina e metterle nel mortaio da

    cucina insieme alla mollica di pane bagnata nel latte, lolio, laglio e

    a un po di sale. Col pestello di legno lavorare gli ingredienti fino ad

    ottenere una crema omogenea e aggiungere ad essa il formaggio

    grattugiato.

    Salsa di pinoli

    Usata soprattutto per condire carni bollite e pesci lessi.

    Ingredienti: 40 g. di pinoli, 50 g di

    mollica di pane, 1/2 bicchiere d'olio,aceto e sale.

    Far ammollare la mollica di pane

    in aceto; una volta ben inzuppata

    la si strizza e la si pesta nel

    mortaio con pinoli sino ad avere

    ottenuto un amalgama omoge-

    neo. Quindi condire la salsa conun po' di sale ed aceto (un cuc-

    chiaio circa).

    Mescolare con apposito cuc-

    chiaio da cucina in legno e ver-

    sare lentamente il mezzo bic-

    chiere d'olio continuando a me-

    scolare con energia.

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    Agliata (Aggiada)

    E una salsa molto particolare che si sposa bene con il pesce, ma

    soprattutto col fegato di vitello. Ne esistono due versioni con o senzamilza.Ingredienti: mollica di pane (un paio di panini), 60 g. di milza di vitello, un bic-

    chiere di aceto bianco, mezzo bicchiere di vino bianco, 2 spicchi daglio, sale,

    olio.

    Sbollentare per qualche minuto la milza in acqua, quindi tagliarla a

    pezzetti e pestarla nel mortaio con l'aglio e la mollica di pane, quindi

    salare e diluire con l'altro aceto e vino bianco.

    Far cuocere il composto per 3 minuti, quindi versare su pesce fritto,baccal o fegato.

    Rag (toccu) di spinaroli

    Lo spinarolo, fungo primaverile, fra i pi

    apprezzati per il suo straordinario profumo e

    la sua consistenza soda e corposa. Per que-

    sto ottimo come condimento delle paste

    fatte in casa, vale a dire i ravioli di erbe o lepi semplici tagliatelle.

    Il rag si ottiene facendo soffriggere aglio e spinaroli tagliati a pez-

    zetti nel burro. Si aggiunge un poco di latte e a cottura ultimata della

    panna da cucina e del prezzemolo tritato, nientaltro.

    Rag di funghi (secchi)

    Si possono ovviamente usare anche i funghi freschi, ma in genere il

    rag di funghi, specie di quelli porcini, viene benissimo con quelli

    secchi che conservano, anzi accentuano, il loro inconfondibile pro-

    fumo una volta seccati.

    Per un rag adatto a condire almeno 4 porzioni di pasta, si prendano

    50 gr. di porcini secchi, un cucchiaio di pinoli, una cipolla, due spic-

    chi daglio, passata di pomodoro, prezzemolo (una manciata), un

    bicchiere di vino rosso, sale.

    Far rivenire i funghi e preparare un soffritto, in una casseruola di ter-

    racotta, di aglio e cipolla. Quando la cipolla imbiondisce, aggiungere

    i funghi tagliati a pezzetti e quindi un poco del loro brodo di rinve-

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    nimento, ovviamente filtrato. Dopo qualche minuto aggiungere vino

    rosso, fare evaporare, e quindi aggiungere la passata di pomodoro e i

    pinoli e fare cuocere per almeno venti minuti a fuoco molto basso econ il coperchio, allungando col brodo di funghi. Aggiustare di sale

    e a cottura ultimata aggiungere il prezzemolo tritato.

    Rag di salsiccia e funghi

    E una variante del rag di funghi, soprattutto per uso del lardo

    come base di cottura degli ingredienti. Dunque una bomba calorica,

    adatta a rinfrancare le forze soprattutto nei periodi di grande fatica

    nelle campagne.

    Soffriggere in una casseruola di terracotta il lardo pestato e un cuc-

    chiaio dolio doliva, cipolla tagliata a fette, aglio, carota tagliata a

    rondelle sottili, rosmarino. Quando la cipolla imbiondisce aggiungere

    dei tocchetti di salsiccia fresca e quindi una manciata di funghi sec-

    chi ammollati. Rosolare il tutto, aggiungere e fare evaporare un bic-

    chiere di vino bianco, mettere un cucchiaio di salsa di pomodoro e

    acqua quanto basta. Far cuocere per unora a fuoco basso.

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    28 CAPITOLO II

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    Primi piatti

    PansottiSi chiamano cos per la pancia molto gonfia che li contraddistingue e li fa

    pi grossi dei normali ra-

    violi. Per altro verso esi-

    stono nella tradizione li-

    gure diverse tipologie di

    pasta ripiena che si diffe-

    renziano le une dalle altre

    o per le verdure del ri-pieno o per la crane che

    entra nel ripieno. I ravioli

    con ripieno di carne si

    mangiano con il sugo

    (tocc) di carne o di fun-

    ghi. Mai con la salsa di noci o il pesto.

    Ingredienti per 4 persone: prendere le verdure che costituiscono il celebre pre-

    boggionper un una quantit di circa un chilo ( un misto di verdure selvatiche,composto da verza primaticcia, raperonzolo, ortica, pissarella, borragine, bie-

    tola, radicchio selvatico, cerfoglio, pimpinella, cicerbita e talegua; 300 grammi

    di farina; ricotta 100 grammi, parmigiano grattugiato g 50, 2 uova, vino

    bianco secco, maggiorana, sale

    Lessare le verdure, strizzarle, tritarle, metterle in una terrina e unire

    le uova, il parmigiano, la ricotta, la maggiorana tritata e il sale. Ri-

    mescolare il ripieno. Impastare la farina con un bicchiere di vino e,

    se il caso, aggiungere poca acqua. Tirare la sfoglia, ritagliare deitriangoli, porre al centro il ripieno e, ripiegando gli estremi, formare

    dei grossi tortellini. Lessarli e condirli con salsa di noci.

    Ravioli di carne e g (bietole)Ingredienti per 4 persone: 600 g di farina bianca, 6 uova, 500 g. di bietole, 300

    g. di carne trita di manzo, olio doliva, una cipolla, due spicchi daglio, una ca-

    rota, rosmarino, due chiodi di garofano, un bicchiere di vino bianco, parmi-

    giano, sale, pepe.

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    LA CUCINA DI TRADIZIONE LIGURE 29

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    Preparare la pasta sfoglia con acqua, un pizzico di sale e tre uova e

    lasciarla riposare per almeno unora.

    Lessare e quindi tritare le bietole. Preparate il soffritto di cipollaaglio carota e i sapori. Come la cipolla imbiondisce aggiungere la

    carne ben macinata e fare rosolare, aggiungendo vino bianco.

    Quando la carne cotta ritirare dal fuoco, fare raffreddare e amalga-

    mare col rosso di tre uova, il trito di bietole e il parmigiano. Riem-

    pire i quadratini di pasta con questo ripieno, chiudere e fare cuocere

    qualche minuto in abbondante acqua salata. Condire con rag di fun-

    ghi o di carne.

    Troffie di castagne

    Le troffie sono delle particolari forme

    di pasta fatta in casa, tipiche della Ligu-

    ria, che solitamente si mangiano col pe-

    sto. Sono dei gnocchetti sottili, ritorti su

    se stessi. Le troffie di montagna fatte

    con farina di castagne e di frumento

    (met e met), sono semplicissime da

    preparare: solo acqua sale e farina. Per

    non si condiscono con il pesto, bens

    con ricotta e pecorino grattugiato che, col suo gusto forte, attenua il

    dolciastro della castagna.

    Minestra di castagne e porriIngredienti per 4 persone: 400 g di castagne secche, 6 porri, un litro di latte, 50

    g di burro, 100 g di ricotta, 2 foglie alloro.

    Ammollare le castagne per almeno 60 minuti, quindi bollirle in ac-

    qua con un paio di foglie di alloro Intanto pulire i porri e rosolarli ta-

    gliati a rondelle nel burro. Scolare le castagne dopo almeno unora di

    bollitura e aggiungerle alla casseruola dove hanno soffritto i porri.

    Dopo che si sono rosolate per circa 10 minuti, aggiungere il latte e

    fare cuocere per unaltra mezzora a fuoco lento, spezzettando le ca-

    stagne col cucchiaio di legno. A cottura ultimata deve risultare una

    minestra di consistenza cremosa alla quale si aggiunge la ricotta.

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    30 CAPITOLO II

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    Minestra di castagne e funghi

    La procedura la stessa di quella di porri. Si utilizzano funghi sec-

    chi che vengono prima ammollati e poi soffritti come i porri.

    Minestra di tagliatelle di castagne (batolli) in brodo di lardo

    Un piatto poverissimo ma assai saporito e abi-

    tuale, un tempo, nella dieta di ogni giorno, anche

    grazie al suo grande apporto calorico.Ingredienti per 4 persone: 200 g. di farina di castagne,

    200 g. di farina bianca, lardo, mezzo litro di latte.

    Preparare la pasta sfoglia mescolando e impa-

    stando con acqua le due farine fino ad ottenere

    una pasta morbida ed elastica. Tagliare la sfoglia

    in tagliatelle corte ma spesse. Preparare il brodo, facendo bollire ab-

    bondante lardo pestato in acqua e latte. Aggiungere le tagliatelle e

    servire con aggiunta di un cucchiaio di ricotta per fondina.

    Minestra primaverile di erbeIngredienti per 4 persone: si raccolgano tutte le erbe selvatiche commestibili

    che possibile reperire (primula, cime di ortica, cime di vitalba, piantaggine,

    ravizzone, ecc.), mezzo chilo di patate a pasta bianca, 200 g. di fagioli borlotti,

    formaggio fresco, timo.

    Mondare le erbe, tagliare a tocchetti le patate, lessare a parte per una

    mezzora i fagioli messi da una notte a bagno e quindi aggiungerli

    alle altre verdure. Bollire il tutto per almeno unora. Spegnere il

    fuoco e aggiungere delle tagliatelle di farina bianca, il formaggio fre-sco tagliato a fettine sottili e il timo. Lasciare riposare per 4/5 minuti

    la pentola a coperchio chiuso e quindi servire.

    Minestrone con il pestoIngredienti per 4 persone: 2 coste di sedano, 2 piccole carote, 200 g di fagiolini,1

    grossa zucchina, 250 g di patate,200 g di piselli freschi sgranati,150 g di fagioli

    freschi sgranati, 1/2 scarola o 20 foglie di borragine, 2 pomodori maturi, 1/2 ci-

    polla, 1 piccolo porro,1 spicchio di aglio,prezzemolo tritato, 2 cucchiai di pesto

    fresco, 150 g di spaghettini sottili, olio extravergine di oliva, sale.

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    LA CUCINA DI TRADIZIONE LIGURE 31

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    Pulire e preparare le verdure, pelare le patate e tagliarle a tocchetti

    insieme alle altre verdure. Affettare sottile la cipolla e il porro; spe-

    lare e tagliare a pezzetti laglio.Portate a ebollizione 2 litri di acqua, salatela, immergetevi tutte le

    verdure, i piselli, i fagioli e le foglie di scarola o borragine. Condite

    con 2 cucchiai di olio, aggiungete i pomodori a tocchetti, un cuc-

    chiaio di prezzemolo, coprite e lasciate bollire a fuoco lento per circa

    2 ore. Unite gli spaghettini e completate la cottura.

    Aggiungete il pesto al minestrone gi tiepido o freddo, perch il ba-

    silico teme il calore.

    Zuppa di trippe

    Era il piatto unico che si trovava e si serviva sempre nelle osterie di

    campagna. Era la minestra usuale dei

    carrettieri e dei mulattieri che entravano

    in osteria e si facevano versare una sco-

    della dove nel brodo caldo sguazzava

    qualche listarella di trippa. Aggiungevano

    il pane secco che si portavano da casa e il

    problema del pane quotidiano era risolto.

    Ingredienti per 4 persone: mezzo chilo di trippe di manzo pulite e gi bollite,

    una cipolla, una carota, 30 g. di lardo, una costa di sedano, un bicchiere abbon-

    dante di vino bianco, formaggio grattugiato, sale.

    Tagliare a listarelle le trippe e quindi preparare un battuto di lardo e

    verdure. Metterlo a soffriggere in una casseruola alta, possibilmente

    di terracotta; appena la cipolla imbiondisce aggiungere le trippe e ro-solare per un buon quarto dora versando il vino e facendolo evapo-

    rare, quindi aggiungere un litro e mezzo dacqua, il sale, e fare cuo-

    cere a fuoco lento per unora. Si aggiunge il formaggio grattugiato

    nella fondina al momento di consumare la zuppa che va integrata con

    crostini di pane.

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    32 CAPITOLO II

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    Secondi piatti

    Cima ripienaIngredienti per 4 persone: un chilo abbondante di punta di vitello tagliata con

    unampia tasca longitudinale. Per il ripieno: polpa di vitello, animelle, cervella

    e schienali (filoni) per complessivi 350 grammi, 6 uova, 50 g. di burro, gr. 40 di

    pisellini, un cucchiaio pinoli, 20 g. di funghi secchi, mollica di pane, latte per

    bagnare la mollica di pane, uno spicchio di aglio, 5-6 rametti tritati di maggio-

    rana, 80 g. di formaggio grattugiato, un pizzico noce moscata, sale e pepe.

    Rosolare nel burro le animelle, la polpa, le cervella, e tagliati a pez-

    zettini. Tritare il tutto con i funghi ammollati in acqua tiepida, ver-

    sare in una terrina, aggiungere i pisellini, la mollica di pane imbevuta

    nel latte e ben strizzata, la maggiorana e laglio tritati, il formaggio

    grattugiato, le uova, il sale e il pepe e un po di noce moscata. Amal-

    gamare tutto bene. Il composto dovr risultare piuttosto cremoso.

    Versare nella tasca di vitello, riempiendola non pi di due terzi. Cu-

    cire la tasca con un filo di cotone e metterla a freddo in 2 litri di ac-

    qua con carota, cipolla, sedano e il sale. Cuocete a fuoco molto basso

    e lentamente per circa 2 ore, pungendola con uno ago quando si gon-fia. Porre la cima a raffreddare su un piatto largo con sopra un peso

    in modo che si appiattisca e servirla a fette.

    Gallina ripiena

    Pi ancora che la cima di vitello, nei vil-

    laggi di montagna, per le feste, si usava la

    gallina ripiena, specie per il Natale.

    Ingredienti: una gallina grande e bene in carne, dueuova, mollica di pane di due panini bagnati nel

    latte, le interiora della gallina, prezzemolo, aglio,

    maggiorana, formaggio grattugiato, una noce di

    burro, sale.

    Soffriggere pochi minuti le interiora ben tritate nella noce di burro.

    Versare il contenuto in una terrina e mescolare con gli altri ingre-

    dienti a loro volta ben tritati. Riempire con esso il busto della gallina

    e cucire con filo alimentare. Lessare a fuoco dolce.

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    LA CUCINA DI TRADIZIONE LIGURE 33

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    Stocafisso accomodatoIngredienti per 4 persone: 600 g. di stoccafisso bagnato, mezzo chilo di patate,

    un pugno di olive nere, un cucchiaio capperi, 6 pomodori pelati, un bicchiere diolio doliva, 2 spicchi aglio, un cucchiaio di prezzemolo tritato, una carota, una

    cipolla, due bicchieri di vino bianco, sale e pepe.

    Il baccal conservato sotto sale, lo stoccafisso essiccato allaria e

    al sole dei mari del nord.

    In un tegame di terracotta si rosolano laglio, la cipolla, la carota e il

    prezzemolo tritati, dopo alcuni minuti si aggiungono i capperi dissa-

    lati e le olive. Dopo aver tagliato lo stoccafisso in pezzi, lo si mette

    nel tegame e sopra si versano i pomodori privati dei semi e tritatigrossolanamente, il sale e abbondante pepe macinato al momento.

    Si mette il coperchio al tegame e si lascia cuocere lentamente per due

    e pi, aggiungendo il vino bianco e girando di tanto in tanto perch

    non si attacchi al fondo. Quando lo stoccafisso quasi cotto, aggiun-

    gere le patate a pezzetti. Dopo una mezzora il piatto pronto.

    Lumache allagliata Dei molti modi che abbiamo di cucinare le

    lumache, questo uno dei semplici e dei pi

    gustosi.

    Lavare le lumache con acqua salata e aceto,

    ripetendo loperazione fino a che lacqua di

    pulizia rester limpida. Versare le lumache col guscio in una casse-

    ruola con olio bollente, chiudere col coperchio e fare cuocere per al-

    cuni minuti fino a che le valve cominceranno a staccarsi dai gusci.

    Bagnare con un bicchiere di vino bianco, fare evaporare e quindi ag-

    giungere acqua bollente e fare cuocere circa unora. Preparare

    lagliata (n.b. vedi ricetta poco pi indietro) e a cottura pressoch ul-

    timata aggiungerla alle lumache e servire.

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    34 CAPITOLO II

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    Coniglio alle olive

    Piatto tradizionale, universalmente diffuso soprattutto sul lato ap-

    pennico che volge verso il mare e dove la presenza degli ulivi non rara.

    Ingredienti per 4 persone: un coniglio di grossa taglia, un

    bicchiere di vino rosso, una cipolla, due spicchi daglio,

    rosmarino, salvia e timo, una manciata di olive nere, 20 cl.

    dolio doliva, sale.

    Pulite e tagliate a pezzi il coniglio, e soffriggetelo

    con la cipolla tagliata a fettine e aggiungere gli

    odori tritati fini. Versare il vino e, se occorre acqua, fare cuocere afuoco dolce per circa unora. A cottura quasi ultimata aggiungere le

    olive.

    Agnello e carciofiIngredienti per 4 persone: 800 g. di agnello tagliato a pezzi, 2 uova, otto car-

    ciofi, un bicchiere di olio doliva, aglio, succo di limone, un bicchiere di vino

    bianco, sale e pepe.

    Mettere sul fuoco mezzo bicchiere di olio d'oliva in una casseruola,

    fare rosolare due spicchi di aglio schiacciati, e aggiungere, a roso-

    lare, quindi lagnello. Quando la carne risulter ben rosolata, salare,

    pepare e bagnare con il vino bianco. Fare evaporare e continuare la

    cottura a recipiente coperto con laggiunta, se serve, di un goccio

    dacqua. Pulire i carciofi dalle foglie esterne pi dure, e tagliare via

    parte spinosa e le barbe, quindi affettarli a spicchi. A cottura della

    carne quasi ultimata togliete l'agnello dalla padella e cocete i carciofinel sugo di agnello del fondo pentola. Quando i carciofi saranno

    quasi pronti rimette in pentola lagnello e terminare la cottura. Ap-

    pena spento il fuoco aggiungere le uova sbattute con il succo di un

    limone e mescolare in modo da distribuire uniformemente le uova

    sulla carne e i carciofi.

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    LA CUCINA DI TRADIZIONE LIGURE 35

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    Funghi e verdure impanate e fritte

    In alcuni luoghi vengono anche chiamati pesci di montagna. In re-

    alt si tratta di funghi, spesso un po ammaccati o passati, di verdurecome le bietole (le coste) e le melanzane, tagliate a fettine non troppo

    sottili, che vengono passate nelluovo sbattuto, quindi nel pan grat-

    tato e fritte in olio bollentissimo. Sono un ottimo contorno per le

    carni, ma spesso mangiate anche come secondo vero e proprio, ma-

    gari con accompagnamento di insalata verde.

    Stufato di trippeIngredienti per 4 persone: mezzo chilo di trippe gi lessate, mezzo chilo di pa-

    tate, una cipolla, un gambo di sedano, una carota, un ciuffo di prezzemolo tri-

    tato, due pomodori da sugo, un bicchiere di vino bianco, 20 g. di pinoli, for-

    maggio grattugiato, sale e pepe.

    Tagliare la trippa lessata a striscioline e le patate a tocchetti e sof-

    friggerle in una casseruola con le verdure e gli odori.

    Bagnare quindi col vino bianco, fare evaporare e aggiungere i pomo-

    dori sbucciati e liberati dei semi, quindi aggiungere i pomodori, re-

    golare di sale e pepe, fare cuocere per circa 30 minuti, aggiungendodi volta in volta acqua calda. Al momento di servire cospargere ogni

    piatto di formaggio grattugiato.

    Patate fagioli e lardo (brebuggion)

    Pietanza fra le pi povere, ma anche fra

    pi saporite della pi antica tradizione

    dei villaggi di alta montagna.Ingredienti per 4 persone: un chilo di patate,

    400 g. di fagioli borlotti, una cipolla grossa,400 g. di coste, 60 g. di lardo pestato, mezzo li-

    tro di latte.

    Lessare le patate, sbucciarle e pestarle

    grossolanamente. Aggiungere le coste

    lessate e tagliate anchesse grossolana-

    mente. Soffriggere la cipolla tagliata a fette sottili nel lardo pestato e

    aggiungere le patate e le coste e, infine, i fagioli lessati. Mescolare il

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    36 CAPITOLO II

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    tutto per qualche minuto e aggiungere il latte per amalgamare bene il

    composto fino ad ottenere un impasto cremoso.

    Verza ripiena (Cou pin)Ingredienti: una verza grande, due uova, mollica di due panini, 100 g. di salsic-

    cia, una cipolla, 30 g. di funghi secchi, 100 g. di ricotta, 50 g. di lardo pestato,

    sale.

    Scottare per cinque minuti la verza in acqua

    bollente. Lasciarla raffreddare e svuotarla

    del cuore. Soffriggere la cipolla nel lardo,

    e aggiungere, quando imbiondisce, la salsic-cia e i funghi ammollati. Cuocere una de-

    cina di minuti, chiudere il fuoco e mescolare

    con le uova sbattute, la mollica del pane ba-

    gnato nel latte, la ricotta e il cuore della

    verza. Tritare bene il tutto e riempire con esso la verza. Cucirla con

    filo alimentare e bollirla fino a cottura completa. Si serve fredda a

    fette.

    Frittata di cime di orticheIngredienti per 4 persone: 8 uova, mezzo chilo di cime di ortiche, due cipolle, 30

    grammi di strutto, uno spicchio daglio, sale, pepe.

    Pulire e lessare le cime di ortica, quindi strizzarle bene dellacqua di

    cottura. Soffriggere le cipolle tagliate sottili nello strutto, aggiungere

    le cime di ortica e lo spicchio daglio. Rosolare per qualche minuto,

    quindi versare le uova sbattute e preparare la frittata cocendo sui due

    lati il composto di uova e ortiche.

    CastagnaccioIngredienti per 4 persone: 800 g. di farina di castagne, 60 g. di pinoli e 60 g. di

    gherigli di noci, un cucchiaio di rosmarino tritato, pan grattato, olio, sale.

    Mettere la farina di castagne in una bacinella da cucina insieme a

    circa un litro dacqua e ottenere una pastella abbastanza consistente.

    Aggiungere un mezzo cucchiaino di sale, mescolare bene e versare

    nella teglia preventivamente unta con un po dolio e rivestita di

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    pangrattato. Spargere sulla pastella le noci a pezzetti e i pinoli, una

    cucchiaiata di aghi di rosmarino, un filo di olio e poi mettere al forno

    a 200 gradi per circa 40 minuti.Sar pronto quando avr assunto un bel colore marron scuro e

    limpasto, provato con uno stuzzicadenti, risulter asciutto. La super-

    ficie sar tutta screpolata. Si mangia con formagetta fresca.

    Patate e funghi (porcini)Ingredienti per 4 persone: 4 patate, 4 funghi porcini, 3 spicchi daglio, olio

    doliva, origano, prezzemolo tritato, sale.

    Pulire i funghi e tagliarli a fette. Lessare le patate a 1/2 cottura, pe-larle e tagliarle a pezzi. In una teglia ben unta d'olio, mettere 3 spic-

    chi d'aglio, prezzemolo tritato, uno strato di patate con sale, origano

    e olio, uno di funghi. Alternare allo stesso modo vari strati e mettere

    a cuocere in forno a 180 per circa mezzora.

    Fegato allagliataIngredienti (per 4 persone): gr. 500 fegato di vitello a fette, gr. 50 di milza, 2

    spicchi aglio, un panino di mollica di pane, un bicchiere aceto, due cucchiai di

    olio doliva, sale.

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    Scottare la milza in acqua bollente, poi pestarla nel mortaio con

    laglio e la mollica di pane bagnata nellaceto. Scaldare lolio in una

    padella larga, rosolare le fette di fegato, salare e un po prima dellafine cottura aggiungere lagliata, mescolare bene per due minuti a

    fuoco vivace e servire caldissimo.

    Frittelle di baccal (frisceu)Ingredienti per 4 persone: 800 g. di baccal (merluzzo sotto sale), 400 g. di fa-

    rina bianca, un bicchiere di vino bianco, mezzo litro di olio doliva, sale.

    Ammollare il baccal per diversi giorni per liberarlo dal sale. Pulirlo

    della pelle e delle spine, e tagliarlo a pezzi quanto pi possibile uni-formi di circa 5 centimetri per lato. Preparare la pastella mescolando

    la farina con il vino, lolio doliva, un poco dacqua e un pizzico di

    sale. Lasciarla riposare unora prima di usarla. Immergere i pezzi di

    baccal nella pastella e friggere a fuoco molto alto. Normalmente

    non occorre salare ulteriormente.

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    Dolci

    Latte dolce frittoIngredienti: 1 litro di latte, 150 grammi di farina, 150 grammi di zucchero, 4

    uova sbattute, 2 uova (solo tuorli - albume facoltativo), una scorza di limone,

    100 grammi di pane grattugiato, olio d'oliva

    Portare ad ebollizione il latte dopo avervi stemperatola farina. Unire

    lo zucchero, la scorza di limone e le 4 uova sbattute. Proseguire la

    cottura mescolando a fuoco basso fino ad ottenere una crema consi-

    stente. Stendere la crema ottenuta in un piatto unto d'olio e lasciare

    raffreddare. Quando il composto sar freddo e compatto tagliarlo arettangoli e passarlo nei tuorli d'uovo sbattuti, nel pane grattugiato,

    ed infine friggerlo in olio caldo.

    Budino di castagneIngredienti per 4 persone: 400 g. di castagne, 100 g di zucchero, 3 uova, 100 cl

    di latte, 70 g. di burro, la scorza di un limone grattugiata, pangrattato.

    Lessare sbucciate le castagne. Passarle, liberate della pellicina, nelloschiacciapatate e mettere la purea in una ampia scodella; unire lo

    zucchero, la scorza di limone, 1/2 etto di burro, le uova e il latte.

    Amalgamare bene il tutto, aggiungendo eventualmente del pangrat-

    tato per rendere pi consistente lamalgama. Imburrare uno stampo

    da budino, spolverizzarlo di pangrattato e versarvi l'impasto. Cuocere

    in forno a 180 gradi per circa trenta minuti.

    Budino con la camiciaIngredienti: un litro di latte, quattro uova, un bicchierino di brandy, due o tre

    mandorle triturate, un pezzetto di scorza di limone, tre cucchiai di zucchero.

    Sbattere le uova insieme allo zucchero, al trito di mandorle, la scorza

    di limone grattata, il bicchierino di brandy. Aggiungere il latte. Nel

    frattempo fare sciogliere nello stampo da budino sul fuoco un poco

    di zucchero in modo da ottenere il caramello. Aggiungere

    lamalgama e fare cuocere a bagnomaria ponendo sullo stampo un

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    40 CAPITOLO II

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    coperchio di ghisa con sopra delle braci affinch si formi una crosti-

    cina.

    PignolataIngredienti per 4 persone: 100 g. di pinoli, 50 g. di farina, 80 g. di zucchero, 8

    ostie per dolci, lalbume di 6 uova, un bicchierino di acqua di fiori di arancio.

    Montare a neve lalbume delle uova e unire ad esso la farina, lo zuc-

    chero, lacqua darancio, i pinoli. Porre a campana il composto otte-

    nuto su ciascuna ostia e infornare a 200 per una ventina di minuti.

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    CAPITOLO III

    LAREA LIGURE-PIEMONTESE E LOMBARDA

    Larea che andiamo ad esplorare sotto il profilo culinario quella

    racchiusa fra le valli del Borbera e del Curone fino ad arrivare allo

    Scrivia, che segna il confine col Monferrato. Si tratta di una fascia di

    territorio storicamente e

    culturalmente totalmenteligure.

    Basta leggere i nomi dei

    principali paesi: Cabella

    Ligure, Rocchetta Ligure,

    Albera Ligure, ecc.; op-

    pure tenere a mente le de-

    sinenze finali di pratica-

    mente tutti i nomi degli

    altri paesi. Noteremo chefiniscono quasi sempre in ascooppure in assi, indicatori precisi delle

    origini linguistiche liguri di una comunit.

    Ad ogni modo, col Congresso di Vienna queste terre, come del resto

    tutta la Liguria, passarono sotto il dominio piemontese e, fatta lunit

    dItalia, si volle mantenerle unite alla provincia di Alessandria, sotto

    la regione Piemonte.

    Daltra parte, pur essendo ligure fino al midollo, bisogna riconoscere

    che questarea ha subito, in ogni caso, una secolare e non indiffe-rente influenza piemontese e, pi precisamente, monferrina, non solo

    per la vicinanza, ma anche perch lungo queste valli correva una

    delle principali vie del sale verso il Piemonte e dunque fu un territo-

    rio di ampi scambi commerciali e culturali con lo Stato dei Savoia. A

    titolo esemplificativo, in questa zona entrato da secoli, come ricetta

    tradizionale, un piatto tipico della pianura vercellese,la panissa, un

    risotto a base di fagioli e salsiccia. Ad importarlo e a farlo proprio

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    42 CAPITOLO III

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    furono le numerose mondine che, di anno in anno, per secoli, anda-

    vano in Piemonte a mondare il riso.

    Per altro verso, questo territorio confina lungo lo Staffora conlestremo lembo di territorio lombardo al di l del Po, ossia lOltrep

    Pavese. Anche in questo caso, linfluenza reciproca stata continua e

    proficua.

    Piatti lombardi sono entrati nelluso locale e, viceversa, piatti liguri e

    piemontesi sono entrati a pieno titolo da secoli fra i monti

    dellAppennino oltrepadano lombardo.

    Nelle pagine seguenti, le ricette pi classiche sia della tradizione li-

    gure-piemontese, sia di quella lombarda.

    1) Fra Borbera e Curone

    Abbiamo, oltre alle risorse materiali, universalmente diffuse

    sullAppennino, funghi, miele, castagne, formaggi di alpeggio, carni

    e salumi, alcuni prodotti tipici che non possono non essere citati pro-

    prio per la loro specificit. Prima fra tutti, una discreta presenza ditartufi, fra cui il rinomato tartufo bianco (Tuber Magnutum Pico) e

    quello nero, sia nella variet pregiata (Tuber Melanosporum Vitta-

    dini), che in quella estiva detta anche scorzone - di minore pregio.

    La notevole diffusione dellallevamento al pascolo consente la pro-

    duzione di ottime carni bovine locali, e associato allallevamento bo-

    vino vi quello suino, per cui troviamo una diffusa presenza di sa-

    lumi di qualit, ma anche una specialit locale molto interessante: la

    testina in cassetta.

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    Qui vengono inoltre coltivale la cosiddetta fagiolana, ossia una va-

    riet di fagiolo bianco, di origine spagnola, fatto crescere in filari ac-

    coppati, che entra in numerosi piatti tipici locali. E, ancora, da se-gnalare il formaggio Montebore, un villaggio a cavallo fra le valli

    Grue e Borbera,che veniva prodotto fin dal medioevo e che ha ri-

    schiato di spegnersi se non fosse stato per lintraprendenza di alcuni

    giovani che ne hanno salvato la ricetta e hanno saputo rilanciare, an-

    che commercialmente, la tipologia. E un formaggio a latte crudo,

    composto 75% di latte vaccino, e del 25% di latte ovino, dalla

    forma assai curiosa, vale a dire un tronco di cono a gradoni, model-

    lato in questo modo dalle fascette dove viene messo a maturare. Sipu gustare fresco, maturo, e persino invecchiato come formaggio da

    grattugia. Infine, negli avvallamenti meglio esposti al sole viene col-

    tivato anche un vitigno autoctono, anchesso recuperato in questi ul-

    timi anni, e salvato dallestinzione. Si tratta del Timorasso, che pro-

    duce unuva a bacca bianca dalla quale si ottiene un vino di buona

    struttura e buona gradazione alcolica, oggi assai richiesto. Infine, da

    non dimenticare, la presenza di ottime trote di montagna sia nel tor-

    rente Borbera che in quello Curone, che fanno di questo pesce una

    presenza sistematica nei ricettari locali.

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    Antipasti e salse

    Naturalmente gli antipasti tipici di queste valli ricalcano in gran

    parte quelli di tradizione schiettamente ligure, ragion cui troviamole torte salate di verdure, le verdure ripiene al forno, i funghi e le

    verdure sottolio e sottoaceto, come avviene in ogni territorio di cul-

    tura e tradizione culinaria ligure. Tuttavia qui possiamo trovare una

    presenza abbondante di salumi che altrove in genere non abbiamo.

    Salumi misti e testina in cassetta

    Come si detto, unarea ricca di allevamenti suini. Si produce qui

    un ottimo salame, noto per la dolcezza del suo impasto. Ma il salumeveramente tipico la testina in cassetta. Si tratta di un salume confe-

    zionato con la lingua, il grasso, le cotiche e la cartilagine della testa

    del maiale. E una ricetta antichissima, le cui origini risalgono al

    medioevo. Un tempo questo salume era anche conosciuto con

    lappellativo di prosciutto dei genovesi. La testa del maiale viene

    fatta bollire con gli aromi e quando cotta, viene disossata, tagliata a

    pezzetti e limpasto viene messo in stampi in legno a forma di cas-

    setta, da cui appunto il nome.

    Torta di bietole e formaggio

    E una delle tante varianti di torte

    salate alle verdure che troviamo in

    ogni regione dellAppennino ligure

    emiliano. Qui la specificit data

    dallabbondante formaggio che en-

    tra nella ricetta rendendo pi ricco

    e saporito il risultato finale.

    Ingredienti per 4 persone: mezzo chilo di

    foglie di bietole, 100 g. di quagliata o

    formaggio morbido, 50 g. di grana grat-

    tugiato, 3 uova, 300 g. di farina banca, un

    bicchiere dolio doliva, sale.

    Preparare con la farina, lacqua, un pizzico di sale e un cucchiaio

    dolio la pasta sfoglia e lasciarla riposare almeno unora. Toglierealle bietole la parte verde e bollire (10 minuti circa) le coste in acqua

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    leggermente salata. Strizzare bene le bietole, tagliarle a pezzi gros-

    solanamente, sbattere in una terrina le uova e unire ad esse il trito di

    bietole, quindi il formaggio grattugiato e la quagliata, salare e me-scolare bene. Oliare una teglia deporre la pasta sfoglia sul fondo, la-

    sciando che superi abbondantemente il bordo, mettere il composto e

    richiudere la pasta sfoglia a festoni, spennellare dolio doliva la su-

    perficie e mettere in forno a 180.

    Ovoli ripieni al forno

    Gli ovoli si mangiano in insalata

    quando sono appena nati e lacappella non ancora del tutto

    dischiusa dalla membrana bianca

    che lavvolge. Quando, per, la

    cappella pienamente aperta, il

    modo migliore di gustarli cuci-

    narli ripieni al forno.

    Ingredienti per 4 persone: 8 funghi ovoli, due uova, 80 g. di parmigiano grat-

    tugiato, 50 g. di mollica di pane secco gr. 50, latte, olio doliva, maggiorana,timo, origano, aglio, sale e pepe.

    Togliere i gambi alle cappelle e pulirle bene, grattando via ogni im-

    purit. Sbattere in una terrina il rosso delle uovo, la mollica del pane

    bagnata nel latte, un cucchiaio di olio doliva, il trito di erbe e aglio, i

    gambi degli ovoli tritati, salare e pepare. Riempire le cappelle e in-

    fornarle, facendole cuocere a temperatura moderata (130) per circa

    mezzora.

    Insalata di trippe al verdeIngredienti per 4 persone: 400 g. di trippa di gola, un pugno di pinoli, 200 g. di

    fagiolane bollire, aglio, prezzemolo, olio doliva, aceto, sale e pepe.

    Pulire e lessare la trippa di gola; tagliarla grossolanamente e unirla ai

    fagioli. Preparare un trito di prezzemolo, pinoli, aglio, mescolarlo

    alle trippe e ai fagioli condire con olio, aceto bianco (poco), sale e

    pepe.

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    Insalata di fagiolane

    Bollire le fagiolane della Val Borbera in acqua con una cipolla e

    poco sale, scolarle e condirle con un trito di aglio e prezzemolo, oliodoliva, aceto, sale e pepe. Mangiarle ancora calde.

    Insalata di fagiolane al tartufo nero

    Lessare i fagioli e condirli aglio, olio, sale e limone. Mescolare bene

    e lasciare macerare almeno unora. Aggiungere il tartufo nero ta-

    gliato a lamelle e servire.

    Salsa verdeE una salsa di derivazione piemontese che si accompagna special-

    mente ai bolliti misti, altro piatto piemontese, qui adottato da tempo

    immemorabile anche grazie alle ottime carni bovine allevate in loco.Ingredienti: un paio di cetriolini sottoaceto, un mazzetto grande di prezzemolo

    (usare solo le foglie), la mollica di due panini, un bicchiere di olio doliva, due

    cucchiai di aceto di vino bianco, due spicchi daglio, una manciata di capperi, 4

    filetti dacciuga, sale e pepe.

    Bagnare la mollica di pane nellaceto, quindi strizzarla bene. Tritaretutti gli altri ingredienti con la mezzaluna e quindi metterli insieme al

    alla mollica di pane. Amalgamare il tutto, aggiungendo a poco a

    poco lolio. Salare e pepare.

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    Primi piatti

    Agnolotti al verde

    Il termine agnolotto di derivazione piemontese e con ogni proba-

    bilit deriva dal fatto che questo tipo di pasta ripiena prendeva la

    forma dello stampo a forma di anello con cui venivano confezionati.

    In ogni caso questa variamente tipica del classico agnolotto pie-

    montese lunione abbastanza insolita di un ripieno di carne e di

    verdura, utilizzando prevalentemente gli spinaci invece che le bie-

    tole, come solitamente avviene nel raviolo ligure.Ingredienti per 4 persone: g. 400 di carne di manzo, mezzo chilo di spinaci, 200g. di bietole, due cipolle, 4 uova, un ciuffo di prezzemolo, un bicchiere di vino

    bianco, 100 g. di burro, sale.

    Preparare la pasta sfoglia con due uova, acqua e farina. Lessare gli

    spinaci e le bietole in poca acqua salata. Tagliare a fettine le cipolle e

    soffriggerle con met burro, aggiungere poi la carne di manzo ta-

    gliata a pezzetti. Bagnare col vino, aggiungere acqua e fare cuocere

    un paio dore a fuoco lentissimo. Quando la carne cotta passarla altritacarne e versarla in una terrina insieme agli spinaci e alle bietole.

    Mescolare bene il tutto e farlo soffriggere con il restante burro, ag-

    giungendo a fine cottura (una decina di minuti) il prezzemolo tritato.

    Ritirare dal fuoco e mescolare infine con due tuorli duovo. Prepa-

    rare gli agnolotti con questo impasto e condirli con rag di carne o al

    burro fuso e salvia.

    Ravioli di castagne e formaggioIngredienti per 4 persone: 250 g. di farina bianca, 250 g. di farina di castagne,

    mezzo chilo di castagne lessate, ! litro di latte, 200. g. di formaggio tenero (ot-

    timo il Montebore), due uova, 50 g. burro, sale.

    Preparare la pasta sfoglia con acqua e sale mescolando bene insieme

    la farina di ca