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La lavorazione della canapadai racconti delle nostre nonne
Si seminava il giorno di Santa Restituta (17 maggio) alle Cannaine
Dopo due mesi si raccoglievano le piante “femmine “– con lo stelo senza fiore -, alte già un metro e mezzo.
Queste venivano portate al “ponte e Rientro” dove , raccolte in fascine legate con gli “jnchi” o con la corda, venivano immerse nell’acqua per otto giorni
Le fascine , tolte dall’acqua , venivano fatte asciugare per
due giorni
Ridotte poi in “manne”, (fascine più piccole),
pulite e private del fiore, si lasciavano essiccare lungo il fosso per altri
due giorni
Alla fine di agosto si raccoglieva la canapa “maschia”, contenente il seme ( Cannaicciu).
Lungo le rive del fosso, adagiata sui “pannuni”, veniva fatta essiccare per quattro giorni.
Quindi veniva battuta per raccoglierne il seme.
Si formavano poi le fascine che venivano fatte macerare con lo stesso procedimento della canapa
femmina
Una volta asciugata veniva portata a Pereto e messa al sole per
altri due o tre giorni.
La canapa veniva lavorata dai “pettenari” che venivano da Sante Lucie (vicino Turania); i locali adibito a
questa lavorazione si trovavano in Via del Grappa (“ju Buciu”) e in Via delle Piagge.
Dopo la pettinatura venivano prodotti tre filati:
“u mallone”, il più fino, con il quale si tessevano le lenzuola, le federe e gli asciugamani
“u tomento”, di medio spessore, con il quale si preparavano le “sparre “
“lo piccio” , il più spesso, che veniva utilizzato per i sacchi del grano e per il “pannone” (un grosso lenzuolo che veniva utilizzato per portare il grano all’aia)
Con mallone, tomento e piccio si facevano le matasse (“rancate”)
Per sbiancare la canapa, le matasse venivano immerse in una grossa caldaia (“callara”) piena d’acqua, dove
rimanevano a bagno per un giorno.
Tolte dall’acqua, venivano cosparse di cenere e riposte in un canestro (si “ingualava”la rancata ) coperto da un panno.
Nel frattempo si faceva bollire, per un quarto d’ora , acqua e cenere, quindi, con una brocca, si versava lentamente
l’acqua bollente sul canestro
Il giorno successivo si andava “a squalà”: si levava la cenere in superficie e con un panno si arrotolavano le
matasse (“fardegli”) per portarle al “lavatorio”, oppure alla “Fonte e ‘ne la” oppure allo “fosseteju (tra la Fonte
Vecchia e il Baccile) dove sciacquate.
Successivamente, alle rancate veniva fatta la “bucata” per due, tre, quattro volte di seguito:
si immergevano in acqua e cenere e venivano fatte bollire per un’ora e mezzo circa.
Il giorno dopo, quanto l’acqua era fredda, venivano scolate e risciacquate nei fossi. Si
lasciavano poi sui sassi o sui muretti ad asciugare per due giorni.
Durante l’asciugatura le matasse venivano battute, per sciogliere ed allungare il filo.
Una volta asciugate venivano raggomitolate con il “depanaturu” e quindi si procedeva alla
tessitura.
Per tessere si utilizzavano telai di proprietà oppure si andava da quello della vicina.
Maddalena Giustini (“e Ficchinacciu”) aveva un telaio che metteva a disposizione di tutte le donne
di Pereto. Questo telaio è stato donato al Comune ed è attualmente esposto nell’atrio della Scuola di
Pereto
Per tessere la tela veniva messo nel telaio l’”ordito” di cotone.
Con il “mallone” si realizzavano le lenzuola.
Con l’ordito di mallone e la trama di mallone oppure di piccio, si tessevano i “pannuni” e le
“sacca” (sacchi)
La “bambagia” e il cotone erano i filati più costosi che si compravano a Carsoli e che venivano usati
per i tessuti più leggeri .