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LA VENTICINQUESIMA ORA - GIORNALINO A DISTRIBUZIONE GRATUITA DEL LICEO “A. CANOVA” - NUMERO I ANNO VII

LA VENTICINQUESIMA ORA - GIORNALINO A DISTRIBUZIONE ...€¦ · grandissima generosità del professor Calò (profes-sore di storia e ilosoia di entrambi gli indirizzi), il quale ha

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LA VENTICINQUESIMA ORA - GIORNALINO A DISTRIBUZIONE GRATUITA DEL LICEO “A. CANOVA” - NUMERO I ANNO VII

EDITORIALE

Sei hai preso in mano “la Venticinquesima Ora” e stai leggendo queste parole, ci sono buone probabilità che: a) tu rientri in quella categoria di persone che ogni tanto legge un giornale virtuale, o addirittura carta-ceo, o una rivista, o ascolta un telegiornale, insomma che cerca di evitare di vivere in una bolla di sapo-ne b) tu stia assistendo a una lezione particolarmente noiosa, e tra l’autolesionismo livello amatoriale con forbici a punta arrotondata e la Venticinquesima Ora inilata nel sottobanco tu abbia scelto, con gran sol-lievo della comunità scolastica tutta, la Venticinquesima Ora. Se rientri nella prima categoria, avrai una vaga idea di cosa stia succedendo nel mondo, e dico vaga per-ché nel nostro enorme pianeta globalizzato, sapere e capire tutto rientra nel campo d’azione della fanta-scienza. Tuttavia non credo sia questo l’unico motivo per cui ben poche persone abbiano voglia di provar-ci. Il motivo principale è che informarsi davvero su ciò che succede intorno a noi fa paura, perché le brutte notizie imperano, e perché per la maggior parte non sono afermazioni ma grattacapi, e iniscono non con un punto fermo, ma con un punto interrogativo. Stiamo uscendo dalla crisi? Come afrontare l’emergenza migranti? Il conlitti che iniammano Africa e Medio oriente avranno mai una ine? Come intervenire? Davvero è ancora la violenza l’unico modo per rispondere alla violenza? Esiste ancora un ruolo dell’Onu in tutto questo? Come fronteggiare la violenza inaudita dei gruppi fondamentalisti islamici? Sarà mai pos-sibile uno sviluppo totalmente sostenibile e realmente rispettoso del pianeta?Sono domande che ci fanno paura. E soprattutto: come proteggere, conservare e dare valore alla nostra esistenza, alle nostre relazioni,ai nostri progetti, orientandoci in questa giostra frenetica, in questo inferno di equilibri precari che facciamo fatica a capire? Si potrebbe rispondere in mille modi, snocciolando ela-borate strategie in elenchi puntati o dispensando grandi verità prese in prestito a qualche nuova corrente spirituale orientale, ma si dà il caso che l’altro giorno, sfogliando una rivista come questa, io sia incappata in qualcosa che mi ha folgorata, suggerendomi una nuova visione della cosa. Si tratta di una frase estra-polata da un grandissimo romanzo che è “Le città invisibili” di Italo Calvino, e dice così: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non sofrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno ino a diventarne parte, ino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzio-ne e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” Di non-inferno attorno a noi esistono distese di chilometri, a volerle cercare. Non è inferno questa scuo-la, perché qualche lunedì mattina potrebbe sembrarlo, ma se la guardi con lo spirito giusto è un po’ la nostra casa, è un luogo di cultura, bellezza, passione, impegno. Non è inferno questa città, che, nel tem-po in cui i soliti benpensanti ripetono “qui non c’è mai niente da fare”, non perde neanche un minuto e ospita dentro le sue mura festival, mostre ed eventi che manco Parigi durante il festival d’Automne. Non è inferno questo paese di delusioni e soddisfazioni, di bellezza da andarne in overdose, di viandanti che tra le nostre bellezze cercano rifugio e una nuova vita, di (poche) persone che ricordano ancora cosa siano l’ospitalità e la solidarietà. Non è inferno questa Europa che se tante persone rischiano tutto per raggiungerla qualcosa di buono bisogna che ce l’abbia, qualcosa che magari va rispolverato, restaurato, risanato ma c’è e sta proprio nel suo nome: Unione. Tanti luoghi che non sono inferno e fanno da sfondo alle nostre esistenze, e noi usiamoli per fare spazio, più che possiamo, e poi riempiamolo ino a scoppiare, di esperienze, persone, discussioni, incontri, pro-getti; i più belli, i più grandi, i più insigniicanti, progetti come quello di una redazione di studenti che si riunisce una volta alla settimana e scrive, disegna, discute, impagina, stampa e distribuisce, e vi augura di cuore un buon anno scolastico, pieno di coraggio per farvi e fare spazio a ciò che di bello e di buono c’è nel mondo.

Beatrice Criveller

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COSA SUCCEDE AL CANOVA?

Ricomincia un nuovo anno e “Cosa succede al Canova?” riprende la sua opera di tenere infor-mati tutti gli afezionati lettori della Venticinque-sima Ora sugli avvenimenti all’interno della nostra splendida scuola. Una scuola, la nostra, ormai sempre più all’avan-guardia in fatto di registri elettronici, classi virtuali e materiali didattici online, tanto che è stato intro-dotto un quaderno per classe in cui gli studenti possano segnalare le assenze quotidianamente.Tale quadernetto servirà ai docenti durante le eser-citazioni antincendio (o antisismiche) nel momen-to in cui, giunti al punto di raccolta, sarà efettuato l’appello degli alunni presenti.A confermare la sempre maggiore importanza data al registro elettronico, sta il fatto che i nostri ge-nitori abbiano la possibilità, in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi momento della giornata, di tenere sotto controllo i nostri andamenti scolastici (e le nostre assenze).Tra le tante fantastiche attività proposte dall’Istitu-to, sono cominciati, nei primi giorni di ottobre, i corsi di recupero di matematica e grammatica ita-liana per i giovani delle classi prime, o meglio, per quanti di loro avessero dimostrato diicoltà nei ri-spettivi test d’ingresso. Tali corsi permetteranno a tutte le “new entry” di mettersi al passo e di comin-ciare nel migliore dei modi il percorso che la nostra splendida scuola ofre a tutti i suoi studenti.

Anche le attività autogestite hanno ripreso la loro opera nella concreta speranza di avere una sempre maggiore adesione.Infatti, il primo ottobre, tutti i giovani uniti da una comune passione, chi per il Teatro, chi per il canto corale, o chi per altro, si sono riuniti per dare il via a tali attività, che comprendono: la Compagnia Te-atrale, che nel corso dell’anno scolastico metterà in scena due spettacoli; il gruppo musicale “Canora”; il Collettivo studentesco, che come gli anni scorsi si impegnerà nella discussione di temi di attualità; il PES, Parlamento Europeo degli Studenti, e, inine, il mitico Giornalino d’Istituto.

Tra le altre note importanti ricordiamo che il 9 ot-tobre ha avuto luogo la manifestazione studentesca “Another Brick For he Future”, protesta che aveva lo scopo di dare voce a molti studenti e studentesse di tutta Italia che si opponevano alla riforma della “Buona Scuola”. Altro obiettivo della manifestazio

ne era quello di abbattere i muri delle problema-tiche come le disuguaglianze e le discriminazioni all’interno delle mura scolastiche.Un immenso esempio quale possiamo seguire è la grandissima generosità del professor Calò (profes-sore di storia e ilosoia di entrambi gli indirizzi), il quale ha accolto sei profughi (ghaneani e gambia-ni) nonostante i giudizi discriminanti altrui!Da quest’anno è stato anche potenziato il servizio della navette per la sede distaccata a Ca’ del Gallet-to, oltre alle due navette che partono dalla stazione alle 7.30 e alle 7.33, c’è la possibilità di usufruire di due navette in Viale Europa indicate con la scritta “Canova” alle ore 7.45 e 7.50.

Inoltre, il 12 di ottobre è avvenuta la prima assem-blea di Istituto dove i ragazzi della sede succursale hanno avuto l’occasione di ascoltare un uiciale del-la polizia postale di Treviso a proposito del Cyber-bullismo, uno dei problemi più comuni nell’ultimo periodo. Il tema è stato riproposto anche nei due giorni seguenti. Il 13 ottobre c’è stato l’intervento di un gruppo di peer educator da Castelfranco Ve-neto, i quali hanno spiegato cosa fanno e perché hanno scelto questo tipo di volontariato attraverso la sensibilizzazione ad un uso di Internet corretto e critico. Nell’ultima assemblea del 14 ottobre gli studenti hanno avuto l’occasione di ascoltare un maresciallo, che è anche ingegnere informatico, sui problemi principali della Rete e i reati possibili col-legati. Tale esperienza vi è stata estremamente utile per mettersi all’avanguardia dai pericoli virtuali. Nella seconda parte c’è stata la presentazione delle varie liste per la rappresentanza studentesca: Orga-no di Garanzia, Consulta Provinciale e Rappresen-tanza di Istituto. Questa era solo un’anticipazione di quanto la no-stra rubrica farà per riconoscere a tutti gli studen-ti il loro diritto a sapere “cosa succede” nella loro scuola, l’ambiente in cui trascorreranno ore su ore chini sui libri o impegnati nella moltitudine delle attività extracurricolari proposte.Un impegno certo non da poco, ma a cui cerche-remo di adempiere nel modo più completo e, dove possibile, originale.Nel frattempo ci limitiamo ad augurare che quest’anno sia, per tutti gli alunni, piacevole e ric-co di soddisfazioni, tanto nello studio, quanto nella vita attiva all’interno della comunità studentesca.

Giovanni Manao e Daniela Zotea

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BUCCIA DI BANANA

scivoloni e svarioni di alunni e professori (Quando lo stress al Canova gioca brutti scher-zi!)

• “prima si ride e poi si piange … e quest’anno sofrirete molto”prof ottimista alla classe• “quest’anno mi piacerebbe non far nulla!”prof stakanovista di rientro dalle vacan-ze estive• “la vostra vita inirà”prof ilosofo rivolto alla classe. Cit ripetuta a cadenza setti-manale• “Eh, ormai sono da rottamare” prof realista e onesto. Respect. • “il pusher è sempre lo stesso o l’hai cambiato?” prof delino curioso ad alunno disorientato• “Ragazze mie, trovatevi un ragazzo pieno di stile che poi vi abbandonerà..” prof blogger/posta del cuore in vena di insegnamenti di vita• “io sto uscendo pazzo con questa classe!” tutti i professori, a tutte le classi, sem-pre.• “beh, durante l’anno ci sarà sicuramente qualcuno che afogherà ma gli lancere-mo un salvagente!” prof misericordioso alla classe• “è arrivata la circolare. Ma perché la chiamano circolare se è rettangolare?” …vab-bè, non servono contestualizzazioni. Idolo.

LEZIONE DI LATINO…PROF: che tempo è miserere?CLASSE: ininito!PROF: ininita è la vostra ignoranza!

PROF: che forma è?ALUNNO: la forma sincopata!PROF: la sincope la fate venire a me!

… LEZIONE DI CIVILTA’*l’alunno gioca con l’astuccio durante la spiegazione, facendolo roteare a mo’ di lazo*PROF: X! Vuoi che ne faccia un uso diverso di quell’astuccio?

Anche tu hai degli scivoloni da raccontare?

Scrivi a [email protected] !

Daniela Zotea

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ATTUALITÀ

Prospettive di terra bruciata

“In the ields the bodies burning/As the war machine keeps turning”

Sebbene le stime del Royal United Services Insti-tute, secondo le quali lo “Stato Islamico” (o ISIS, o ISIL), oggi a capo di buona parte di Iraq e Siria orientale, sarebbe eliminabile in poche ore da una coalizione internazionale possano sembrare esageratamente rosee, è ormai un dato di fatto che la sua presunta onnipotenza sia poco più di un mito propagandistico, infatti, stime del Pentagono ci informano che ormai circa la metà delle forze del Califato sono state eliminate negli ultimi mesi, mentre in Siria, secondo intercettazioni recente-mente rese note dal ministro della difesa russo, l’esercito irregolare è privo di munizioni e di una linea unitaria in quanto a scelte strategiche.In questo quadro va ad inserirsi l’articolo di F. Venturini sul Corriere del 6 ottobre, che ci informa di come “I Tornado italiani che partecipano alla coalizione occidentale contro l’Isis avranno nel-le prossime ore l’incarico di svolgere missioni di bombardamento nelle zone dell’Iraq selezionate di comune accordo con il comando americano. (...) La portata della partecipazione italiana cambia ora radicalmente con il via ai bombardamenti. I Torna-do, conigurati inizialmente per la ricognizione (...) assumeranno le loro piene caratteristiche di cac-ciabombardieri e dunque colpiranno direttamente i bersagli individuati in base alle nuove regole di ingaggio.”; un articolo chiaro e conciso, basato su non meglio precisate indiscrezioni, che presenta l’intervento militare come non solo già stabilito, ma anche di prossima attuazione.Subito dopo l’opposizione, sono state naturalmen-te presentate le più disparate proteste, su tutte la richiesta di far precedere ad ogni tipo di azione un’approvazione parlamentare per un’operazione le cui implicazioni morali ed economiche sono ancora in divenire, e altrettanto subitanea è stata la ritrattazione della Difesa atta a ritrattare l’interven-to militare attivo come “ipotesi da valutare”.A distanza di alcuni giorni e a mente fredda, però, sorgono ulteriori interrogativi su una situazione quanto meno poco chiara, non tutti, pare, con una risposa univoca.Il primo elemento ad essere messo in dubbio

da numerosi esperti è quello riguardante l’efettiva utilità (militare) di una simile azione visto che, citando su tutti l’ex-generale V. Camporini “Dal punto di vista tecnico quattro Tornado in più o in meno non sono inluenti”.Un secondo interrogativo è “Perchè ora?”. Con-siderando che la rotta dell’esercito fondamentali-sta parrebbe in atto e che in questo determinato quadro militare la nostra azione risulterebbe ininluente, una motivazione più realistica sareb-be quella di un tentativo di adempiere alle recenti promesse di impegno contro il terrorismo inter-nazionale rivolte al presidente Obama prima che il Califato collassi, ottenendo così un ruolo centrale nelle ultime battute del nucleo di azione in Medio Oriente.Una possibilità, dunque, di “assumere un ruolo internazionale di maggior peso”, magari anche di avere un contatto diretto con coalizioni interna-zionali e ONU, ossia le stesse forze militari che un domani dovrebbero organizzare un’eventuale spe-dizione in Libia, già accennata un paio di mesi fa.Si tratterebbe indubbiamente di un obiettivo del maggior interesse economico (non dimentichia-moci che il precedente governo esportava circa il 40% del greggio nazionale in Italia), nonché di una causa recentemente perorata dal ministro Gen-tiloni, per il quale “Se i libici faranno nascere un nuovo governo, l’Italia è pronta con i suoi soldati ad assicurare la sicurezza di alcune zone del Paese”.Del resto, se si tratta semplicemente di assicura-re la stabilità politica di uno Stato straniero oggi dilaniato da una guerra civile della durata di quasi quattro anni successiva al (nostro) ultimo “in-tervento di pace” europeo siamo tutti d’accordo, giusto?Il tutto al modico prezzo di due operazioni militari (o guerre, termine che sembra essere passato di moda durante gli ultimi decenni), una delle quali inclusiva di forze armate di fanteria, e del calpesta-mento della Costituzione, del quale per concludere è opportuno ricordare l’articolo 11: “L’Italia ripu-dia la guerra come strumento di ofesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”Insomma, che stiamo aspettando?

Giacomo De Colle

ATTUALITÀ

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ATTUALITÀ

Welcome to the jungle

Benvenuti a Calais - Prossima fermata: Inghilterra o elettroshock?

Welcome to the jungle

It gets worse here everyday

You learn to live like an animal

You’re gonna die

Welcome to the jungle

Watch it bring you to your knees

Apparentemente una delle canzoni più amate dei Guns N’Roses e il lusso migratorio che l’Europa sta vivendo sulla sua pelle, sulle sue coste, non sono due cose che assoceremmo d’istinto. Eppure c’è un luogo nel Nord della rainata Francia, a Calais, chiamato proprio ‘he Jungle’ e che la giungla la ri-corda, nei suoi agglomerati di cascine abbandonate e tende provvisorie, provvisorie come le vite di chi vi vive dentro. Calais è infatti nota per uno dei più grandi campi profughi d’Europa, sgomberato ogni tanto dalle forze dell’ordine, che sembra rinascere dalle sue ceneri ogni giorno e da cui si parte verso una delle destinazioni più ambite sia dai rifugiati richiedenti asilo sia dai migranti spinti da motivi economici: Il Regno Unito. Si parte senza biglietto, strisciando lungo le pareti del ‘Channel Tunnel’, da Calais a Folkestone, nel Sud dell’Inghilterra, 75 metri sotto il livello del mare. Il numero di passeggeri da i due milioni del 1994 è passato ai dieci odierni, nei quali però non si contano i numerosi profughi che tentano di percorrere la tratta indenni.Chi saltando su un treno, come Abdel, Siriano, il 18 Settembre, fulminato dai cavi elettrici o come chi a 15 anni muore schiacciato da un carro merci ad alta velocità, a 50 km dalla realizzazione di un so-gno. Durante tutta l’estate le morti sono state incessanti eppure silenziose. Il bilancio, se confrontato ai morti nel Mediterraneo, nello stesso periodo, è irrisorio: tredici morti. Ma pensate di entrare in classe una mattina e non trovare più tredici dei vostri compagni, scomparsi nel nulla. È necessario dare di nuovo signiicato a cifre che ormai non ci stupiscono più, a volti il cui nome abbiamo paura di scoprire perchè ci renderebbe coscienti della nostra disarmante indiferenza. L’ 8 ottobre cento migranti hanno oltrepassato la sicurezza del tunnel, aiutati da dei compagni che per distrarre le guardie hanno simulato una rissa. Più della metà sono stati fermati dalla polizia, mentre sette sono riusciti miracolosamente ad arrivare alla meta. Sua Maestà si è oferta di riparare i buchi creati dai migranti nella recinzione del tunnel, ma basterà a tenere lontani dalla sua isola felice 250mila tra uomini, donne e bambini che non hanno niente da perdere, se non una vita che sembra non conti più così tanto? Altre misure sono state annunciate in autunno dal Primo Ministro David Cameron, tra le quali il prelevamento di 15mila rifugiati direttamente dai campi profughi ai conini con la Siria, per risparmiare loro un viaggio poten-zialmente mortale. Se è apprezzabile il tentativo inglese di agire alla base del problema, la situazione in Europa rimane drammatica e gli Inglesi sembrano volerne rimanere fuori. ‘Fuori’ sembra essere una delle parole chiave della politica del Regno Unito, che già non aderisce alla moneta unica e che ha reso uiciale in questi giorni il Referendum ‘in-out’ programmato per Ottobre 2016 per decidere un’even-tuale ‘Brexit’, approvata da circa il 41% dell’ultimo campione preso in esame. Lo stesso Cameron, pur rappresentando i conservatori, tendenzialmente euroscettici, sembra aver migliorato i rapporti con i paesi dell’Eurozona. Per quanto riguarda la sinistra, i Liberal Democratici sono a favore della perma-nenza ma i Laburisti potrebbero riservare sorprese dopo la recente nomina a segretario nazionale di Jeremy Corbyn, noto per la sua ideologia socialista che, appena salito in carica ha afermato: ‘L’Inghil-terra può imparare molto da Karl Marx.’ È proprio il caso di dire: Welcome to Europe.

Arianna Crosera

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Dal Perù alla Bolivia a bordo di una zattera

Quando il mare si trasforma nell’unica via di scampo

Il 30 luglio 1947 arrivò in Polinesia una zattera con a bordo sei uomini e il loro granchio addomesticato, partiti dalla costa peruviana e giunti a destinazione dopo aver viaggiato per 101 giorni attraverso quat-tromila miglia di Oceano Paciico. A capo della spedizione non c’era un pazzo suicida, ma un antropologo norvegese, hor Heyerdahl, che negli anni precedenti aveva viaggiato tra la Polinesia, le Hawaii, l’Isola di Pasqua e il Perù, ponen-dosi molte domande sulla storia dei loro abitanti: com’era possibile che le popolazioni di terre separate da addirittura un oceano avessero così tante caratteristiche in comune? In che modo le lingue da loro parlate potevano essere talmente simili da sembrare dialetti di un unico linguaggio originale? Perché al loro arrivo in Polinesia, i conquistatori avevano trovato un’etnia autoctona che aveva la pelle più chiara rispetto agli altri indigeni? Secondo hor Heyerdahl la risposta stava nell’esistenza di un’unica popolazione, vissuta nel 500 d.C., che partì dal Perù e si sparpagliò per tutto l’Oceano Paciico. In efetti, anche le antiche leggende poli-nesiane parlavano del dio-capo bianco Tiki che in tempi remoti aveva guidato i loro antenati in quelle terre.Si accinse allora a ripetere l’impresa e realizzò la Kon-Tiki, una zattera dotata di una vela e di un timone su modello di quelle preistoriche, con cui percorse la corrente marina di Humboldt.Nel libro che pubblicò in seguito egli descrisse la vita in mezzo al mare di sei uomini, di un pappagallo (il quale purtroppo venne travolto e portato via da un’ onda dopo sessanta giorni di navigazione) e di Johannes, un granchio stabilitosi sulla barca.Le giornate passavano tra tui e bagni nell’oceano, pesca di plancton e di squali e avvistamenti di alcune “creature indeinite”. Essendo stata, infatti, la prima barca senza motore con cui l’uomo moderno solcò il Paciico, la Kon-Tiki fece alcuni incontri ravvicinati con pesci mai visti prima, ma anche l’incontro con animali più normali, se così si possono deinire, assumeva sfumature nuove: di notte passavano sotto la barca calamari giganti di cui si vedevano gli occhi fosforescenti nel buio, ed esemplari di piccole dimensioni venivano ritrovati all’alba aggrappati al legno della barca; di giorno i bonitos e i pesci volanti saltavano o venivano scagliati a bordo dalle onde, le balene rischiavano di travolgere la zattera e grosse pinne dorsali spuntavano a ilo d’acqua. A proposito di squali, Heyerdahl raccontò che quando il mare era agitato essi potevano essere alzati dai cavalloni anche più in alto della zattera, tanto che si potevano vedere al loro ianco, come dietro uno schermo di cristallo.Malgrado la Kon-Tiki fosse riuscita a giungere in Polinesia il 30 luglio 1947, studi successivi smentirono la teoria Heyerdahl, dimostrando, grazie al DNA mitocondriale, che le popolazioni polinesiane giunse-ro dall’Occidente. Ciononostante, l’impresa di hor Heyerdahl e le sue spedizioni successive permisero agli studiosi di ipotizzare uno scambio tra popolazioni già in epoche antiche.Basandosi sulla storia della spedizione, hor Heyerdahl girò il ilm “Kon-Tiki”, che vinse nel 1952 l’O-scar per il miglior documentario.

Caterina Sammarchi

ATTUALITÀ

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Volkswagen: “l’auto (trufatrice) del popolo”

Retroscena e conseguenze del dieselgate

Nel guazzabuglio di articoli confusi, battute più o meno di cattivo gusto e rivincite morali da parte dei nazionalisti dell’automobile, una cosa soltanto sembra chiara: i Tedeschi non sono più quelli di una volta. Si sono dati alla trufa all’italiana. È infatti sulla bocca di tutti la notizia della frode perpe-trata da Volkswagen con l’intenzione di superare i test sulle emissioni nocive dei loro motori diesel più difusi. Come veriicato dall’USEPA (United States Environmental Protection Agency), i modelli interessati sono dotati di un sotware di gestione capace di riconoscere le particolari condizioni di test e quindi di limitare le emissioni solo in questi casi, mantenendo invece valori ino a 41 volte più elevati nella normale guida su strada. E questo stratagemma è stato utilizzato a partire dal 2009, come ha ammesso la stessa casa produttrice. A livello globale sarebbero coinvolti oltre 11 milioni di veicoli del gruppo VW, che comprende anche marchi prestigiosi come Audi. Dunque in azienda c’è grande preoccupazione, perché alla possibile (seppur improbabile) multa-record di 18 miliardi di dollari, an-drebbe sommato il costo per la modiica di tutte le vetture truccate, che nel peggiore dei casi potrebbe superare i 50 miliardi di euro. La sopravvivenza del produttore numero uno di autoveicoli è a questo punto incerta, e nella crisi sarà probabilmente coinvolto l’intero mondo automotive, oltre che le in-dustrie dell’indotto. Ma ci sono altri risvolti più preoccupanti: se colpisce l’immediata confessione da parte dei dirigenti, come se avessero intuito l’imminente scoperta dell’inganno, bisogna considerare il fatto che, in realtà, l’esistenza di queste discrepanze nelle emissioni tra il banco di prova e l’asfalto era già stata evidenziata nella primavera dello scorso anno da uno studio della West Virginia University. Già nel 2013, poi, era stata denunciata da una relazione del Joint Research Centre, il centro di ricerca della Commissione Europea, anche l’esistenza di “dispositivi di manipolazione che possono attivare, modulare, ritardare o disattivare i sistemi di controllo delle emissioni”, pur senza un esplicito riferi-mento alla VW. Al solito, però, i consumatori e l’opinione pubblica ne sono venuti a conoscenza molto dopo. Ora l’azienda sta provando a correre, tardivamente, ai ripari: la campagna per il risanamento delle auto coinvolte inizierà solo a gennaio prossimo ma, nel frattempo, 11 milioni di auto hanno con-tinuato e continuano ad emettere quantità elevatissime (complessivamente ino a quasi un milione di tonnellate all’anno, 41 volte oltre i limiti di legge) di ossidi di azoto, assai dannosi per la salute e per l’ambiente. Si riletta poi sul fatto che lo scandalo sia scoppiato a partire da uno Stato, gli USA, che non ha voluto ratiicare il protocollo di Kyoto e in cui dominano il mercato mezzi ben più inquinanti. È vero, in questo caso si parla di NOx e non di CO2, ma è comunque signiicativo. Alcuni però non hanno una visione tragica della vicenda. Ad esempio Jeremy Clarkson, ex conduttore BBC noto per essere politically-uncorrect, considera pure speculazioni le indagini di organizzazioni quali Greenpe-ace, in quanto “solo” il 40% delle emissioni di NOx (ossidi di azoto) è prodotto dai trasporti su strada, e peraltro gran parte di queste va attribuita a camion e autobus; VW, poi, non andrebbe colpevolizzata: tutti tendiamo ad aggirare le regole. Il suo discorso, condito da un tono volutamente provocatorio, contiene alcuni punti condivisibili, ma è gravissimo giustiicare un crimine (perché di questo si trat-ta) rimandando al detto “così fan tutti”. E sembra anche fuori luogo, nel caso di Volkswagen, “l’auto del popolo”, il cui motto è “Das auto” (letteralmente “l’auto”), e che vuole quindi mostrarsi come la macchina per antonomasia, porsi come esempio. Per un marchio lungamente considerato sinonimo di qualità, premuroso verso i dipendenti (cui ogni anno elargisce generosi premi per la produzione) e recentemente eletto leader del settore per sostenibilità – qui si sorride, per non piangere - , il dan-no più grande è quello d’immagine. Perché dalle stelle è caduto alle stalle, da “quello del furgoncino hippy” è diventato “quello delle macchine che inquinano”, da modello di eticità si è rivelato essere un trufatore ambizioso, impegnato solo a produrre di più. Ma come diceva Enzo Ferrari, fondatore dell’omonima casa automobilistica, “ci sono due modi classici di morire: di fame e di indigestione”.

Giovanni Risato

ATTUALITÀ

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Elezioni o plebiscito: il futuro della

Catalogna

Una questione così lontana, eppure così vicina

In questi mesi s’è parlato molto delle elezioni per il Parlamento Regionale della Catalogna, ma cosa si cela veramente dietro tale scelta? E perché sono così importanti per gli indipendentisti? La voglia d’indipendenza si era già fatta sentire con tre manifestazioni, svoltesi a Barcellona rispettiva-mente il 10 luglio 2010, l’11 settembre 2012 e l’11 settembre 2013 per promuovere la separazione della Catalogna dalla Spagna; si decretò, quindi, un refe-rendum per il 9 novembre 2014, ma il 25 marzo del-lo stesso anno il Tribunale Costituzionale spagnolo lo dichiarò illegittimo. Quando i Catalani andarono a votare il 27 settembre 2015 per le elezioni del Par-lamento e del Presidente della Generalitat (Governo Autonomo), previste inizialmente per il 2016, ma anticipate dal presidente uscente Artur Mas perché Madrid aveva riiutato il referendum sull’indipen-denza, il risultato fu signiicativo e sorprendente. Queste votazioni, dunque, per gli indipendentisti non erano inalizzate solo al rinnovo del parlamen-to regionale, ma erano un vero e proprio “plebisci-to” per la secessione, e tali elezioni stavano a cuore a tutti i Catalani: s’è registrata, infatti, la maggior aluenza di votanti degli ultimi anni, dagli abitanti che fossero da generazioni catalani agli immigrati, dalle grandi città ai borghi più rurali.Prima delle elezioni, i sondaggi davano per favoriti i partiti contro l’indipendenza, mentre questi sono stati ampiamente sconitti: il numero dei deputati indipendentisti nel parlamento attuale ammonta a 72, di cui 10 della “Candidatura di Unità Popolare” (CUP) e 62 della coalizione “Junts Pel Sí” (uniti per il sì); i restanti 63 deputati dell’opposizione sono formati da partiti in ascesa. Anche se la vittoria de-gli indipendentisti sembra rilettere la volontà della popolazione catalana, la realtà non è come appare, poiché la composizione del Parlamento ed il nume-ro dei deputati sono dati dalla legge elettorale che ha consentito di trasformare una sconitta, in per-centuali di voto, in una vittoria di seggi: i voti in percentuale sono andati per il 47,7% agli indipen-dentisti e il 51,7% ai contrari. Ora spetta al Governo spagnolo fare la prossima mossa e decidere se scen-dere a compromessi con la Catalogna o continuare a tenere

una linea politica conservatrice, provocando un secessione unilaterale del Paese Catalano, che por-terà ad una situazione economica non molto facile per gli Spagnoli. Composizione del nuovo Parlamento Catalano:� Indipendentisti• “Junts Pel Sí”, 62 deputati• “Candidatura per l’Unità Popolare” (CUP), 10 deputati

� Non indipendentisti• “Ciutadans”, 25 deputati• “Partit dels Socialistes de Catalunya” (CSP), 16 deputati• “Catalunya Sí Que Es Pot”, 11 deputati• “Partit Popular” (PP), 11 deputati

Queste elezioni sono un segno importante da non ignorare, in primis per la Spagna, ma anche per l’Europa, visto che, durante le elezioni, alcuni tra coloro che avevano votato per i partiti indipenden-tisti non volevano la completa separazione dal Go-verno centrale, ma solamente dare un avvertimento per cambiare la situazione della Catalogna. Inoltre, la politica di Mariano Rajoy, attuale premier spa-gnolo, non volendo negoziare con la Catalogna e continuando a negare una riforma costituzionale, consolida il pensiero indipendentista. Per tali ragio-ni i Catalani auspicano ad ottenere una maggiore autonomia e considerazione dal Governo centrale. Ma queste non sono le uniche ragioni. Quest’estate abbiamo incontrato due sorelle che vi-vono a Barcellona, la capitale della Catalogna, quin-di chi più di loro può sapere che sta succedendo lì? S’è parlato di questo argomento ed è stato riferito che, se dal lato legislativo la Catalogna non viene considerata minimamente, dal lato economico è ben tenuta sott’occhio, ainché i suoi guadagni va-dano a Madrid e continui ad essere “l’oca dalle uova d’oro” della Spagna, insieme ai Paesi Baschi. Que-sto è uno dei principali motivi, oltre alla mancan-za di autonomia e la diferenza culturale, per cui si stanno creando, in particolare nei luoghi più ricchi, sempre più movimenti indipendentisti (un esempio a km 0 è il Veneto). Staremo a vedere cosa cambierà inSpagna, in particolare a dicembre, quando si ter-ranno le elezioni per le legislative in Catalogna.

Niccolò Bonato e Matteo Rubbini

ATTUALITÀ

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Quando una buona idea diventa Utopia? La situazione mondiale delle guerre

Il 9 ottobre 2015 è uscito un articolo sull’ “Internazionale” dal titolo “Provocazione”, in cui il direttore del giornale, Giovanni De Mauro, espone una sua opinione riguardo alla possibilità di cambiare total-mente l’aspetto delle forze militari globali.In che modo? Creando una forza multinazionale, e quindi sovrannazionale, che possa intervenire in caso di conlitti tra i vari Stati. Una specie di “polizia internazionale”, come la deinisce Giovanni De Mauro, che forse potrebbe evitare i numerosi disastri ed errori che accadono ogni giorno, per esempio il bombardamento americano contro l’ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz, oppure il massa-cro in Turchia di Ankara, in cui sono morte 95 persone e rimaste ferite 246, o ancora un attacco suicida di Boko Haram in Ciad che ha provocato almeno 30 morti e più di 50 feriti. Questo tipo di organo rappresenterebbe l’alternativa al mondo odierno, dove tutti possono attaccare tutti e chi muore è quasi sempre un innocente rimasto ferito in un altro conlitto, e così via, rimania-mo bloccati in un enorme circolo vizioso in cui “Tu hai attaccato me, per cui io devo attaccare te”. Al contrario si potrebbe sviluppare una forza superiore alle Nazioni Unite, in cui tutti gli Stati, legalmente riconosciuti, possono partecipare per salvaguardare un’utopica pace mondiale.“Un mondo senza nessuno che abbia il mandato per impedire il massacro di civili inermi e indifesi – la conosciamo già: è il mondo di oggi, e nessuno può dire che vada bene.” Così Giovanni De Mauro conclude il suo articolo.

Niccolòacram Cappelletto

ATTUALITÀ

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La siducia dell’opinione pubblica americana

Il futuro degli States è nelle mani delle celebrities

A molti di voi probabilmente non sarà sfuggito: lo scorso primo settembre, durante i “Video Music Awards” di MTV, il famoso rapper Kanye West, nonché marito della giunonica star dei reality Kim Kardashian, ha dichiarato pubblicamente di volersi candidare alle presidenziali del 2020. No, non si tratta di uno scherzo o di uno stratagemma (di livello piuttosto basso, tra l’altro!) per attirare su di sé l’attenzione dei media: tra cinque anni potremmo veramente aspettarci di vedere trasmesso “Keeping Up with the Kardashians” direttamente dalla Casa Bianca. La campagna politica del nuovo “outsider” pare essere già cominciata e sembra riscuotere un grande successo tra gli Americani. Già in passato Kanye, permettetemi la conidenzialità, aveva dato prova della sua determinazione, della sua sicurezza, e delle sue capacità “camaleontiche” ed oratorie, prerogative fondamentali per un leader politico che si rispetti. Inoltre può contare sulla stima di grandi personalità quali Rihanna e Taylor Swit, che lo ap-poggiano con grande entusiasmo in questo nuovo progetto. Lo stesso Obama ha rilasciato un commen-to sull’ormai collega, ammirandone coraggio e carisma, ma giudicandolo, in sintesi, troppo “bufo”. Ri-cordiamoci, però, che West non è la sola celebrity ad essersi candidata per l’ambito ruolo di presidente; Donald Trump sta portando avanti una campagna elettorale di grandissimo successo, superando anche la stimata signora Clinton in quanto a candidature. Moltissimi sono i cittadini statunitensi intenzionati a votarlo alle elezioni del 2016, visto il positivo riscontro ottenuto con le ultime “propagande razziste”. Inutile dire che l’opinione pubblica americana sembra essere fortemente siduciata dagli ultimi rappre-sentanti della politica tradizionale, dimostrandosi sempre più accogliente nei confronti delle proposte semplicistiche ed irrealizzabili di quelli che potrebbero seriamente rivelarsi i futuri leaders americani. Questo si rivelerebbe solamente l’ennesima testimonianza del declino degli Stati Uniti e con esso del glorioso “secolo americano”. Le campagne americane in grande “stile celebrity” dimostrano come anche l’America abbia veramente toccato il fondo, anche se forse aveva cominciato ad afondare già da un po’.

Linda Petenò

Opere d’arte all’asta per risanare i conti

Scoppia la polemica sul sindaco di Venezia

“Sta venendo giù Venezia”. È attraverso quest’immagine che Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, cerca di delineare la situazione economica della città. Descrizione che in realtà non si discosta molto dal vero, perché, sebbene sia la città con il più alto lusso turistico in Italia, i suoi conti sono talmente in rosso che, a detta del sindaco, è nato, tra i tanti, il “dramma incombente di non poter più inanziare nemmeno gli asili”. Da qui nasce la necessità del sindaco di pagare i debiti di una città che solo per la manutenzione ordinaria richiede 40 milioni di euro all’anno, e, se in tempo di tempesta ogni buco è porto, Brugnaro ha pensato ad una soluzione originale: vendere all’asta le opere esposte nei musei più prestigiosi della città. La lista di quadri, che sarebbe già stata presentata in un dossier al consiglio comunale, comprende, tra gli altri, la “Giuditta II” (1909) di Gustav Klimt e “Il Rabbino di Vitebsk” (1922) di Marc Chagall. La prima opera, soprannominata la Gioconda del Museo Ca’ Pesaro, acquistata dalla città nel 1910, avrebbe un valore di 70 milioni; il secondo quadro, conservato anch’esso a Ca’ Pe-saro, fu realizzato dal pittore bielorusso nel suo paese natale e oggi varrebbe non meno di 30 milioni di euro. Immediatamente s’è scatenata la polemica contro il sindaco, a cui hanno partecipato importanti critici d’arte, come Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi; se il primo si è scagliato completamente contro la proposta, deinendola una “pura balla”, il critico ferrarese l’ha appoggiata in pieno, asserendo che l’idea è a suo modo geniale e che dipinti come quelli sopraccitati non hanno alcun legame diretto con Venezia e potrebbero quindi essere esposti ovunque, oltre a risolvere eicacemente i problemi economici della città; tuttavia, entrambi sono d’accordo sulla probabilissima inattuabilità dell’idea, poiché per esportare tali opere all’estero è necessaria l’autorizzazione del Ministero dei Beni Culturali, il quale molto diicil-mente acconsentirà. La conferma arriva, infatti, dal Ministro Franceschini, che in merito all’argomento aferma che “le norme del codice dei Beni Culturali, per evitare lo smembramento delle collezioni e garantire la pubblica fruizione delle singole opere, chiudono il dibattito”, liquidando l’idea del sindaco come mezza minaccia per chiedere più risorse al Governo. Brugnaro si dovrà quindi rivolgere altrove, toccando magari altre sezioni più, per così dire, politiche.

Caterina Baldasso

ATTUALITÀ

11Giuditta II, Gustav Klimt Il Rabbino di Vitebsk, Marc Chagall

Gli insetti sfameranno il mondo?

Da Expo nuove proposte alternative per af-frontare le future esigenze alimentari

Expo Milano 2015 sta ormai giungendo al termine, ma durante questi sei mesi di continue ed incessan-ti visite non ha mancato tanto di incantare gli occhi dei turisti di tutto il mondo con la ricercatezza del-le architetture dei padiglioni, quanto di assolvere ad un’importante funzione didattica, sensibilizzando i visitatori sia ad un’apertura a nuove tradizioni e cul-ture sia ad un’attenta rilessione su temi strettamen-te attuali, quali la sostenibilità ed equità alimentare. Al di là di ciò, l’Expo è riuscito anche a stravolgere e strabiliare, specialmente tutti coloro che hanno fat-to un salto nel FFD, il Future Food District: si tratta di una sorta di grande supermercato del futuro, che, oltre ad anticipare a tutti i potenziali clienti che tipo di cibo acquisteremo, come verranno disposti i pro-dotti sugli scafali, chi li maneggerà e con che mo-dalità verranno poi venduti, comprende anche una modesta Exhibition Area, che fornisce un’anteprima concreta di ciò che, con elevata probabilità, ci trove-remo quotidianamente nel piatto nel giro di qualche decennio. Ed è qui che si trova la sorprendente no-vità: tra le buste di cibo sottovuoto e lioilizzato (tra cui un vero e proprio Hamburger DIY stile McDo-nald’s), all’occhio di un attento osservatore non pos-sono sfuggire dei piccoli pacchetti, apparentemente normali, ma contenenti, in realtà, ciò che non ci si aspetterebbe mai di trovare in un normale negozio: insetti! Molti di voi potranno storcere il naso, ma aspettate a trarre le conclusioni: l’entomofagia, ossia il consumo di insetti da parte dell’uomo, è già am-piamente praticata in molti Paesi del mondo, special-mente in alcune parti dell’Asia, Africa ed America Latina, e, attualmente, rappresenta una delle prin-cipali modalità di integrazione della dieta di circa 2 miliardi di persone. Inoltre, forse non tutti sanno che gli insetti, così come ragni e scorpioni, hanno da sempre fatto parte dell’alimentazione umana, in dai tempi più antichi: uno dei piatti tipici a Roma era costituito da grossi bruchi divoratori del legno, cotti su pietra e conditi con miele! Tuttavia, nonostante i suoi precedenti, l’entomofagia ha catturato l’attenzio-ne dei media e degli istituti di ricerca alimentare solo negli ultimi tempi, per via della recente maturazio-ne della consapevolezza dell’efettivo aumento della domanda globale di cibo e proteine animali, dovuta

alla crescita della popolazione e all’urbanizzazione. Nel 2030 saremo più di 9 miliardi: gli attuali ritmi di produzione, se risulteranno ancora sostenibili, dovranno essere intensiicati in termini di eicienza delle risorse ed eventualmente integrati con l’uso di fonti alternative, economiche e di facile reperibilità. Ma allora, perché proprio gli insetti? Il loro utilizzo presenta una notevole serie di vantaggi in termini ambientali, salutari, di sostentamento e condizione sociale: essi vivono ovunque, si riproducono veloce-mente, presentano un elevato tasso di crescita a basso impatto ambientale e hanno un’alta eicienza di con-versione nutrizionale, ossia necessitano di un appor-to minimo di nutrienti per incrementare la propria massa corporea; inoltre, sono molto nutrienti, con elevati contenuti di proteine, paragonabili a quelle della carne e del pesce, di acidi grassi, ibre e mine-rali; inine possono essere raccolti direttamente in natura o allevati facilmente su materiali di recupero o scarti alimentari, che richiedono un investimento capitale minimo e forniscono nuove opportunità im-prenditoriali per le economie meno sviluppate o in fase di crescita. Ancora una volta, però, i pregiudizi e il disgusto mostrato dai consumatori, specialmente occidentali, rimangono una delle principali barriere psicologiche per il progetto; tuttavia, a parità di con-dizioni igieniche e sanitarie di ogni altra forma di cibo, il consumo di insetti presenta minori rischi di trasmissione di malattie animali all’uomo (zoonosi) e, almeno per ora, non è mai stato fonte di particola-ri reazioni allergiche. Già le industrie alimentari e la ricerca scientiica hanno proposto una serie di solu-zioni da cui muovere i primi passi: la creazione di un tipo di allevamento sicuro e vantaggioso; lo studio di tecnologie per la raccolta, il trattamento, la conser-vazione, la produzione sostenibile, la distribuzione di massa e l’analisi dei valori nutritivi del prodotto; la stesura di un’apposita legislazione che comprenda procedure sanitarie che garantiscano la sicurezza de-gli alimenti e portino ad una maggiore sensibilizza-zione ed educazione dei consumatori. Un’ultima cu-riosità: nel mondo si consumano più di 1900 specie di insetti, il cui sapore dipende prevalentemente da ciò che essi mangiano abitualmente (anche se alcuni hanno paragonato termiti e larve a mandorle e pi-noli!). Per cui d’ora in poi non arricciate più il naso se per caso trovate una piccola mosca nel contorno ordinato al ristorante: forse, tra qualche anno, sarà proprio il piatto forte del menù!

Alice Barbisan

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Coltan in cambio di armi

Un minerale insanguinato

E’ uscito da poco il nuovo Iphone 6s e migliaia di persone sono state per ore davanti all’Apple Store negli USA per acquistarlo (ovviamente dopo averlo prenotato). 779 euro per cosa? Certo, un’ottima fotocamera ed una vasta gamma di applicazioni.. ma se solo tutti sapessero cosa si nasconde dietro alla dorata o argentata custodia di ogni cellulare..Il coltan, composto da columbite e tantalite, sotto l’aspetto di una sabbia nera, viene utilizzato nei nostri cellulari, nelle nostre macchinette fotograiche, videocamere e console (Playstation, Nintendo), per ottimizzare il risparmio energetico della batteria e per creare chip che forniscano energia, più di quanto possa farlo la batteria.Dove lo possiamo trovare? L’80% di questo minerale si trova in Congo, in Africa Centrale, il quale vie-ne estratto da centinaia di congolesi, soprattutto bambini perché più piccoli e agili, a mani nude o con poche armi (picconi e pale). Esistono ben 109 miniere non conosciute e controllate dal Governo della Repubblica del Congo; non sembrerebbe un fatto così rilevante, se non si conoscessero le sue pro-prietà: duro e resistente alla corrosione.. ma radioattivo, perché contiene una piccola parte di uranio! Il costo continua ad aumentare di anno in anno (100 dollari al kg contro i 2 dollari al kg del 1994), si sviluppano sempre più casi di tumori, le guerre vengono incrementate perché è una “corsa” alle mi-niere: avviene uno scambio “coltan in cambio di armi”, le multinazionali se ne vogliono impadronire, e i congolesi e gli abitanti dei paesi coninanti vogliono assicurarsi uno stipendio di 15 volte superiore alla norma. Il coltan è soprattutto richiesto da multinazionali cinesi, mentre lo stato americano ha vietato l’acquisto e l’utilizzo di questo minerale insanguinato, emanando una legge nel 2010 perché va contro la Dichiarazione dei Diritti Umani e incita le guerre.Vi starete chiedendo cosa ne possiamo noi e cosa possiamo fare.. questa realtà non è così lontana, ci sono campagne in tutta Europa che cercano di sensibilizzare e far conoscere anche questa sfaccetta-tura del terzo mondo.Cerchiamo di informarci anche prima di acquistare un apparecchio elettronico solo perché “va di moda”, non dobbiamo essere così supericiali.

Lorena -Patricia Hossu

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Neko Cafè

Tra cafè e fusa

Secondo la cultura giapponese, avere dei gatti in casa migliora la nostra vita. Come mai? Ma è ov-vio: perché sono gatti! Esiste forse un animale più carino, dolce, pasticcione ed esilarante del gatto? Chiunque dovrebbe poter godere della felicità che un gatto può portare nelle nostre vite: ci consola quando siamo tristi, ci salva dalla noia, ci fa ri-dere con i suoi bizzarri modi di fare e con le sue maniacali abitudini. Perché non estendere la pos-sibilità di godere della compagnia di un micio a tutti? La risposta viene direttamente dal Giappo-ne, dove questo fenomeno si è sparso a macchia d’olio, conquistando migliaia di persone: il Neko Cafè (dal giapponese “neko“, gatto).

Il Neko Cafè è un bar dove i clienti si recano per bere un cafè in tutta tranquillità, ma è anche la casa di una decina di gatti che non aspet-tano altro che l‘apertura del locale per essere spupazzati, viziati e coc-colati dai clienti.

L’idea di aprire un bar dove chi ha sempre ragione non è il cliente ma il gatto nacque nel 1998 in Taiwan, dove attirando una moltitudine di clienti di ogni nazionalità, in parti-colare di turisti giapponesi, ebbe subito un gran-dioso successo, tale che nel 2004, ad Osaka, fu inaugurato il primo Neko Cafè nipponico, seguito rapidamente da molti altri: nel 2011 a Tokyo c’era-no circa un centinaio di Neko Cafè, ma il numero è in costante aumento. Tuttavia, il fatto più sconcertante è che l’incredi-bile popolarità di questi locali non è rimasta fer-ma solo nell’arcipelago nipponico, anzi, possiamo trovare Neko Cafè in giro per il mondo: a Vienna con Cafè Neko, a Parigi con Le Cafè des Chats, a Madrid con

La Gatoteca, a Montreal con Cafè Chat l’heureux, a New York con Meow Parlour, e dal 22 marzo 2014 anche a Torino, con MiaGola Cafè e Neko Cafè.

Vista la straordinaria espansione del “fenomeno neko”, sorge dunque spontaneo porsi la seguen-te domanda: come mai questi locali sono tanto frequentati? Molto probabilmente, a causa della frenesia che caratterizza il giorno d’oggi e che ren-de costantemente in movimento la grande mag-gioranza delle persone, ora più che mai si sente la necessità di ritagliare un po’ di tempo da concede-re a se stessi tra un impegno e l’altro. Ed il luogo

migliore dove rilassarsi e tirare un sospiro di sollievo è naturalmente il Neko Cafè, dove ci si può ab-bandonare al rumore delle fusa afettuose dei gatti.

Molto spesso, i gatti che abita-no nei Neko Cafè hanno vissuto brutte esperienze nel passato o sono stati abbandonati, ma dopo essersi trasferiti nel bar, questo è diventato la loro nuova casa, in quanto dotato di tutte le necessi-tà e degli svaghi di cui un gatto ha bisogno: cibo, lettiera, acqua e

quei giocattoli pieni di piume che i felini amano tanto; ma la cosa che più li rende felici è ovvia-mente la presenza delle persone che sono venute a trovarli solo per loro, per dare loro l’amore che non hanno ricevuto in precedenza.

«Il rumore delle fusa emette vibrazioni sonore che portano alla produzione di serotonina, l’ormone della felicità, che inluisce sulla qualità del son-no e dell’umore, con efetti distensivi e tranquil-lizzanti», scrive il veterinario francese Jean-Yves Gauchet.

È un modo scientiico per dire che i gatti migliora-no la nostra vita, proprio come la pensano i giap-ponesi.

Pietro Stefani

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Premi Nobel 2015

I riconoscimenti a coloro che hanno fatto fare un passo avanti all’umanità

Sono stati da poco annunciati i vincitori di uno dei più importanti e prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale, il premio Nobel. Dal 1901, questo titolo viene attribuito alle personalità e alle associazioni che abbiano contribuito in maniera più signiicativa allo sviluppo scientiico, sociale e culturale su scala mondiale.I primi premi annunciati sono stati quelli per la medicina, assegnati dal Karokinska Instituet, il giorno 5 ottobre: li hanno ricevuti lo scienziato irlandese William C. Campbell ed il giappone-se Satoshi Omura, per aver messo a punto una nuova terapia contro le infezioni da parassiti, ol-tre alla scienziata cinese Tu Youyou, per la sco-perta di un farmaco capace di curare la malaria.Il 6 ottobre sono stati poi conferiti dall’Accademia Reale Svedese delle Scienze i Premi Nobel per la isica, allo scienziato giapponese Takaaki Kajita e al canadese Arthur B. McDonald, i quali hanno compiuto uno studio sperimentale sulle oscil-lazioni dei neutrini, particelle subatomiche ele-mentari, riuscendo per la prima volta a calcolarne la massa. Si tratta di una scoperta che potrebbe modiicare la nostra visione complessiva dell’u-niverso e perfezionare le teorie sulla sua nascita.Il giorno seguente la stessa Accademia ha scelto i vincitori del premio per la chimica: lo svede-se Tomas Lindahl, lo statunitense Paul Morris e il turco-statunitense Aziz Sancar, tre scienzia-ti che hanno studiato e mappato vari meccani-smi di riparazione del DNA prima sconosciuti.In seguito, l’8 ottobre, la scrittrice e giornalista Svetlana Alexievich ha ricevuto dall’Accademia di Svezia il premio per la letteratura. Quest’autrice, nata nel 1948 in Bielorussia e cresciuta in Ucrai-na, ha documentato nei suoi scritti la vita della popolazione dell’URSS durante il dominio sovie-tico ed il periodo post-comunista, descrivendo eventi come la Seconda Guerra Mondiale, il crollo dell’URSS e il disastro di Chernobyl; ha tra l’altro

reso pubblici dei fatti così eclatanti che il leader bielorusso Lukashenko l’ha accusata di aver col-laborato con la CIA e l’ha allontanata dal Paese. Il giorno seguente è stato consegnato anche l’am-bito Nobel per la Pace, che viene designato dal Comitato per il Nobel della Norvegia, una presti-giosa giuria formata da 5 membri scelti dal Par-lamento norvegese. Il vincitore è il Quartetto per il Dialogo Nazionale Tunisino, ovvero un team composto dal Sindacato Generale UGTT (Union Générale Tunisienne du Travail), l’Ordine degli Avvocati Tunisini, la Confederazione Industriale, Commerciale ed Artigianale UTICA (Union Tu-nisienne de l’Industrie, du Commerce et de l’Arti-sanat) e la Lega Tunisina per i Diritti Umani. Que-sto gruppo è stato fondato nel 2013 per favorire il processo di democratizzazione del Paese, che dopo la Rivoluzione dei Gigli del 2011 rischiava di essere dilaniato da disordini politici interni e dal terrorismo: grazie alla sua azione, la Tunisia si è risollevata dalla Primavera Araba, ha costituito un governo democratico di unità nazionale e si è do-tata di un’importante Costituzione liberale, in cui è riconosciuto anche il ruolo sociale della donna.Inine, il 12 ottobre la Banca Centrale di Svezia ha scelto come vincitore del Premio per l’Eco-nomia lo scozzese Angus Deaton, che si è dedi-cato ad approfonditi studi su consumi, pover-tà e welfare. In particolare, è stato premiato per aver elaborato, con il collega John Muellbauer, un modello di domanda capace di stimare come quest’ultima vari in base al prezzo dei beni ri-chiesti e al reddito dei singoli individui, a segui-to di studi sui collegamenti tra consumi e red-dito e sulle misurazioni degli standard di vita e la soglia di povertà nei paesi in via di sviluppo.La premiazione uiciale dei vincitori avverrà il 10 dicembre, anniversario della morte di Alfred Nobel, ideatore del premio, in una cerimonia che si terrà presso il Municipio di Oslo, per la consegna del Nobel per la Pace, e alla Concert Hall di Stoccolma, per le altre cinque categorie.

Giada Tubiana

ATTUALITÀ

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Un nuovo anno scolastico è iniziato, e ha portato una novità anche in

questa rubrica: da quest’anno insieme alle poesie scritte da noi saranno

pubblicate alcune poesie d’autore, con un tema diverso per ogni numero.

Per questo mese, la poesia che ho scelto è di Antonio Machado ed il tema

è la nostalgia, perché si parla molto di immigrazione, e quando si lascia

la propria patria, a ogni passo il desiderio di ritornare si fa sempre

più forte...

Ricordo che questa rubrica vuole far sentire le vostre voci: chi aves-

se piacere a pubblicare una propria poesia, anche in anonimo, può farlo

inviandola alla mail: [email protected]

Ti porterei a vedere il cielo,tra la via lattea e i pianeti falsi,

guardare a occhi nudi l’immenso velo,ed astri ed aerei lì ad incontrarsi;e nella furia tremenda del gelo,solo lucifero e lumi scomparsi.

Ti porterei a vedere il cielo,ma non lo pestano i nostri passi.

Ti porterei a vedere le stelleche di spirito ardono a fuoco,

brillano anime unite e gemelle,consumandosi a poco a poco;

brucia l’amore di mille iammelle,come se Amore giocasse il suo gioco.

Ti porterei a vedere le stelle,ma quel bagliore si fa già ioco.

Ti porterei a vedere la lunain questa limpida notte serena,

nessun rancore o disgrazia alcuna,nessun’ombra di anima in pena;odio, cratere che adesso fuma,e che di morte la vita avvelena.

Ti porterei a vedere la lunama questa notte, vedi, è già piena.

Cristiana Mazzetto

Brandelli di vita

Ti ho invitato a spogliarti.A spogliarti delle tue paure e delle tue insicurezze.

A vederti con occhi diversi, con occhi bam-bini. Occhi che accettano il mondo così

com’è senza la smania di cambiarlo.

Ti ho invitato ad essere te stessa e a non voltarti più davanti alle situazioni. Ad esse-re forte e coraggiosa quando serve, senza mai dimenticarsi che essere fragili è la cosa

più diicile.

Ti ho invitato a startene seduta a guardare la gente che passava, per riuscire a metterti nei panni di ognuno per cambiare prospet-tiva, senza mai perdere di vista ciò che ave-

vi dentro.

È così sei cresciuta, nel vuoto cosmico e nel pieno brulicare di questo mondo.

Ti sei fatta le ossa a pugni con la vita, e poi ti sei rivestita.

Di te.

Viola Coin Vorrei fermare il temposolo per: guardarti, perché

di ragazze come te nonce ne sono. Baciarti per

delle ore, anche se nella realtà non è passato nemmeno

un secondo. E poi riattivare il tempo, per rendermi conto

che quello che ho fatto era in un sogno.

Sara Verdier

RUBRICHE

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Giornata mondiale contro la pena di morte

Mai una soluzione accettabile

Il dieci ottobre vi è stata la tredicesima giornata mondiale contro la pena di morte e in questa occasione dal 2003 le organizzazioni umanitarie di tutto il mondo attirano l’attenzione sull’ancora tristemente difuso impiego della stessa.Al giorno d’oggi due terzi dei paesi che fano parte delle Nazioni Unite ha abolito o non pratica questa punizione, tuttavia rimane in uso soprattutto in Medio Oriente e in Asia, ma anche negli USA, in Bie-lorussia e in alcune isole caraibiche. Quest’anno Amnesty International, ONG che da anni lotta contro questa pratica, ha deciso di portare all’attenzione pubblica l’applicazione della pena capitale ai crimini per droga.Di norma, come sancito dall’ONU, la pena di morte è applicabile ai “reati più gravi” come l’omicidio volontario, ma in più di trenta Stati, fra cui Cina, Indonesia, Iran, Malesia e Arabia Saudita sono state legalmente giustiziate un signiicativo numero di persone accusate di traico di droga.Questi giustiicano l’uso della pena capitale come soluzione al traico di droga e all’abuso problematico di sostanze, eppure, non vi sono prove che la minaccia di un esecuzione costituisca un deterrente mi-gliore di qualsiasi altra punizione. Lo dimostrano paesi come il Canada, che dopo aver abolito questa punizione ha visto addirittura scendere il suo tasso di criminalità.Un altro importante esempio è quello dell’Iraq che ha applicato la pena capitale come risposta al terro-rismo inasprendo gli oppositori e dando loro un pretesto ad azioni ancora più violente.Al contrario il problema andrebbe risolto combattendo la criminalità, potenziando il sistema sanitario e migliorando la prevenzione e l’accesso a trattamenti per la disintossicazione.La pena capitale in ogni caso non inluisce sulle situazioni sociali e individuali che spingono all’abuso di sostanze, anzi, classiica i tossicodipendenti come violenti e pericolosi emarginandoli.In aggiunta le leggi sul traico di droga sono applicate rigidamente e, a volte, quasi insensatamente, come nel caso di Shahrul Izani Suparman, che è stato giustiziato in Malesia perché in possesso di più di 200 grammi di cannabis, quantità minima per essere accusati di traico di droga.Esecuzioni come questa hanno esclusivamente lo scopo di spaventare la popolazione, ma non l’aiutano poiché non danno possibilità di riabilitazione, non era forse un diciannovenne recuperabile?Il tutto è aggravato da processi iniqui, “confessioni” estorte con la tortura, ma accettate come prove in aula e la regolare negazione all’imputato della difesa di un avvocato in paesi come Arabia Saudita, Iran e Indonesia.Nell’aprile 2016 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si riunirà a New York in una sessione speciale sulle droghe in cui si discuterà anche sull’uso di questa condanna a morte per reati di droga.La pena di morte va abolita in quanto violazione del diritto alla vita e né l’emergenza droga né alcun’altra ragione reggono contro questo principio. Nonostante la strada da fare sia ancora lunga e faticosa non bisogna dimenticare i grandi progressi av-venuti: è stato fatto molto e si può certamente fare di più.Se sono riuscita a catturare la vostra attenzione anche solo per un attimo, vi chiedo di continuare a informarvi attraverso fonti come Amnesty International, Insieme Contro La Pena Di Morte o Nessuno Tocchi Caino, ainché questo importante problema che tocca ognuno di noi in quanto esseri umani non inisca nel dimenticatoio.

Alexia Cautis

ATTUALITÀ

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Damn this world

It took all our livesto learn how we can live

and at the endeverything seems the same.

The water washed outmany problems of mine.

The ire burned downthis home of mine.

Had you been seen in the night,I could have met you

and the moon might have lit us,

Like in a fairytale we hope in dreamsbut the reality tears us apart.

How am I able to catch a breath

where all is freezed, our feelings and emotions too?

Damn this world and its problems,now we have to talk,

me, life and you.

The next morning I would wake upand maybe I would take ofand perhaps you with me.

I’m only lost in a crowded mind,I’m only lost and all is on the ground,

I’m only lost in a crowded mind.

Acram

Estate

Chiara lana distesa,mani pazienti al lavoro;

pelle di saggio ulivo, acqueo sguardo fanciullo.

Hai l’età dell’ambra,così forte del tuo tempo:

trattieni il passato incauto,immobile nel cuore,

per mettere in guardia un giornoignare vite nuove.

Francesca Varago

Da “Canzoni a Guiomar” in “Un can-

zoniere apocrifo”

Oggi ti scrivo nella mia stanzetta di viaggiatore,

nell’ora di un convegno immaginario.L’iride squarcia il nuvolo del cielo,del monte la tristezza planetaria.

Sole e campane sulla vecchia torre.Oh sera viva e quieta

che il nulla scorre opposto al panta rhei,sera infante che il tuo poeta amava!

E giorno adolescente-muscoli bruni ed occhi luminosi-,

quando presso la fonte Amor immagi-nasti

baciare le tue labbra e palpare i tuoi seni!

Tutto è chiaro, d’Aprile in questa luce;tutto nell’oggi di ieri, l’Ancòra

che il tempo nelle sue ore mature canta e racconta,

si fonde in una sola melodiache di sere e d’aurore è il grande coro.A te, Guiomar, questa mia nostalgia.

Antonio Machado

Una canzone al tramonto

Quella strana euforia che mi indicauno stretto viale tinto d’arancio,dall’alto cielo avvolto di indaco,

e facendomi felice me lanciain un campo coltivato di giallo

che da lungi porta il canto di un gallo,quando quel fuoco in fuoca anche i fumi

e là, lontano, si accendono lumi,quella strana euforia diventa stanza

per stare in sella e pur amar la danza.

Anonimo

RUBRICHE

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Da “L’assiuolo” di Giovanni Pascoli

Dov’era l’estate? Ché il cieloSembrava di grigio cemento,

Ed ergersi in mezzo a quel geloPareva ogni alunno scontento.

Venivano poi interrogatiTra cattedre e classi laggiù,

Compiti e voti schivati.Fiù...

Risate brillavano rareTra mezzo alle mille persone,Sentivo insegnanti spiegare,

Sentivo chiamare il mio nome...Frugavo dentro la cartella

Chinandomi sempre più giù...Sentivo la campanellla:

Fiù...Tra le aule di tutto il Canova

Soiava quel gelido vento:Pregavo Zeus “Che non piova!”

E dentro sentivo tormento...(Se chiedo di andare in bagno,

Così non mi chiamerà più?)Ma interroga il mio compagno:

Fiù...

Cristiana Mazzetto

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RUBRICHEPARODIE DI POESIE

ORIENTAMENTOQuest’anno il giornalino presenta, fra le moltissi-me altre, la novità della rubrica per l’orientamentouniversitario che, naturalmente, potrà essere d’a-iuto soprattutto ai ragazzi degli ultimi anni. Ma, “giovincelli”, non abbiate timore: arriverà anche per voi il momento di scegliere e quindi perché aspettare? Dare un’occhiata non può di certo farvi male!Qui potrete trovare delle opinioni di ragazzi che ora frequentano l’università, ci raccontano le loro impressioni, il loro percorso di studi e magari cer-cano anche di convincerci della loro scelta.In questo spazio dedicato all’orientamento avre-mo così possibilità di scambiare opinioni non solo con i professori, ma direttamente con ragazzi come noi, che studiano e che, non molto tempo fa, si sono trovati nella nostra stessa situazione; forse ci aiuteranno a capire come afrontare un mondo così diverso da quello che ora stiamo vvendo, un

mondo che ci appare eccitante e spaventoso allo stesso tempo.Noi cercheremo di portarvi testimonianze di studenti che frequentano facoltà diverse così da potervi presentare il maggior numero di opzioni possibili per la vostra scelta, perché – inutile dirlo – non è una decisione da prendere alla leggera, ma si tratta anzi di qualcosa che davvero potrà cambiare noi e il nostro modo di vedere le cose.In questo numero abbiamo raccolto le esperienze di due ragazzi che frequentano l’università di Ca’Foscari: Gianmarco e Giorgio.Gianmarco si è diplomato al liceo A. Canova nel 2013 e ora frequenta la facoltà di lingue, mentreGiorgio ha afrontato la maturità l’anno seguente al liceo L. Da Vinci e ora segue il corso di

ilosoia.

Giulia Palaja

Sono uno studente del secondo anno di Filosoia all’università Ca’ Foscari di Venezia. La prima cosa da dire e anche la prima cosa che uno studente uscito dal liceo nota è la grande libertà di scelta, che è ciò che caratterizza (giustamente) un po’ tutto il ramo umanistico dell’ateneo. Libertà che può sem-brare da un certo punto di vista esagerata, se si pensa all’insieme delle cose da organizzare (piano di studi, esami, ecc.), rispetto alla maggior parte delle altre università in cui (sempre giustamente, in base all’ambito scelto) i corsi sono determinati e ben più determinata è anche la carriera di studi. Qui ci sono degli esami obbligatori nel corso del triennio, ma per la maggior parte si tratta di corsi scelti in base agli interessi: a questo proposito è importante che lo studente, se lo ritiene importante, si informi su alcuni esami da inserire nel piano che possono essere indispensabili nel futuro lavorativo cioè, in primis, in vista dell’insegnamento (ad esempio, tot crediti di storia per accedere alla classe di concorso…ecc.). Per questo esistono un tutorato studenti per rispondere a inevitabili domande e professori addetti a chiarire un sistema che può sembrare “incasinato” (e di certo il sito di Ca’ Foscari non aiuta). Le lezioni non sono a frequenza obbligatoria, la varietà dei corsi è notevole e lascia spazio ai più diversi interessi nei vari campi ilosoici e non solo. I professori disponibili, la ricchezza degli insegnamenti unita alla grande quantità di seminari e incontri di approfondimento che sono sempre nel calendario rendono la facoltà, nel complesso, valida e anche molto “aperta” (e con questo intendo dire che non è uno studio isolato, astratto, scolastico, di ambito limitato come si potrebbe pensare). In vari modi si può parlare anche di apertura internazionale, a Ca’ Foscari (essendo Venezia una sede privilegiata) sicuramente più che in altre università. Libertà si traduce, da questo punto di vista, in responsabilizzazione, autonomia e possibilità di arricchimento e di un approccio personale a tutto ciò che concerne la ilosoia.

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Sono uno studente al secondo anno della facoltà di Lingue, Civiltà e Scienze del Linguaggio presso l’università Ca’ Foscari di Venezia. Benché l’organizzazione di questo ateneo sia già tristemente nota per essere una giungla, ciò è consequenziale al fatto che la scelta di corsi e di lingue è davvero vasta – da quelle orientali, alle balcaniche ino alle europee – e quindi l’organizzazione di un tale numero di corsi è oggettivamente molto diicoltosa. Gli insegnanti sono in prevalenza madrelingua, prepa-ratissimi e disponibili a qualsiasi chiarimento o commento da parte degli studenti.Personalmente, sono estremamente soddisfatto di questa scelta, poiché ognuno può dare l’impronta che desidera al suo percorso di studi, coniugando la preparazione linguistica – al terzo anno la cono-scenza dell’inglese sarà al livello C2, per esempio – con altri aspetti, come quello economico, quello umanistico e tutti gli altri oferti da Ca’ Foscari. Non male, alla ine.

Il Parlamento Europeo degli Studenti: la nostra Europa

Ricerche, attualità, e viaggi: la bellezza dell’educazione alla pari

Il PES, Parlamento Europeo degli Studenti, è un’associazione studentesca che unisce ragazzi provenienti da tutto il triveneto e, in minor percentuale, dalla Sicilia e dal Piemonte, per discutere e vivere costante-mente due tematiche: i Diritti Umani e la Cittadinanza Attiva. Fulcro dell’associazione è un’attività labo-ratoriale imperniata sui principi della peer education, attraverso i quali si valorizza la spontaneità creativa e l’iniziativa attiva di ogni membro, garantendo massima autonomia dal punto di vista della gestione del gruppo e ampia libertà di pensiero e di parola. Ogni laboratorio è tenuto ad impegnarsi nell’interpretare e nell’elaborare temi riguardanti la sfera economica, politica, sociale, artistica e scientiico-ilosoica dei Diritti Umani in senso lato, rivolgendo particolare attenzione al rapporto che lega queste istanze indivi-duali alla collettività e rilettendo sulla natura di un’efettiva partecipazione civile alla luce della nostra at-tuale identità culturale di cittadini europei, oltre che italiani. Il frutto del lavoro di ogni laboratorio viene presentato in occasione di riunioni plenarie in cui non solo si esprime e si condivide il risultato emerso dalle proprie ricerche, ma si ha l’occasione di ampliare la propria consapevolezza globale assistendo al lavoro degli altri studenti e massimizzando così le potenzialità del metodo di educazione alla pari. Inol-tre, i componenti dei laboratori possono prendere parte a viaggi e corsi organizzati in collaborazione con l’A.D.E.C., ossia l’Associazione dei Docenti Europeisti per la Cittadinanza, allo scopo di rendere possibile un riscontro diretto degli argomenti trattati, che possono essere approfonditi grazie a visite alle istituzioni europee di Strasburgo, viaggi di istruzione a Ginevra, corsi di formazione a Neumarkt e molte altre iniziative. Il PES si rivela dunque un’esperienza formativa che stimola l’evoluzione dello studente anche dal punto di vista personale. Attraverso l’esperienza di questi valori e di dimensioni autentiche del vivere, quali l’integrazione della diversità nell’unità, l’io protagonista della propria crescita e la voglia di non accontentarsi di stare passivamente dietro ai banchi, si riescono a sviluppare nuovi strumenti per leggere e penetrare l’essenza di una realtà che appare sempre più ambigua e indecifrabile. Ad ispirare le idee del PES non è né la volontà di realizzare visioni utopistiche ed irrazionali, né l’ansia di riiutare i-nalisticamente le istituzioni che ci regolano, ma è il desiderio critico di comprendere e regolare il nostro agire esplorandone i criteri ed i limiti, per prendere posizione di fronte alle circostanze del mondo attuale.

Laboratorio PES Canova

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IO, PARTENOPE di Sebastiano Vassalli

Napoli, prima metà del ‘600. Giulia di Marco, suora laica di umilissime origini, rinominata Suor Partenope, è “l’apostola” di un nuovo modo di approcciarsi a Dio: la religione dell’estasi. Ma la Chiesa di Roma non è disposta, dopo la scissione della confessione luterana, a vedersi nascere in seno un’altra serpe eretica e il processo per mano del Santo Uizio è quindi inevitabile. Il valore di Vassalli come scrittore e il suo apporto alla letteratura italiana sono indubbi: “Premio Strega” nel 1990, candidatura al “Premio Nobel” per la Letteratura nel 2015 e, non meno importante, la professoressa di italiano continua a inilarmi La Chimera fra le letture consigliate per l’estate, quindi chapeau. Ciò non toglie, però, che questo suo ultimo lavoro mi abbia lasciata in in dei conti indiferente. “Ho raccontato l’Italia” scrive l’autore nel congedo (che ha indubbiamente il sapore di testamento letterario) e, per quanto la dichiarazione sia manifestamente semplicistica, non si può che dargli ragione: Io, Partenope è sì la storia di un processo ecclesiastico e il tentativo di riabilitare una igura realmente esistita e mal interpretata, ma è anche il quadro di costume di un’epoca (le mogli bambine, il “puttanesimo” romano, o l’emblematica descrizione della porchetta che dice “Mangiami”) iltrato attraverso lo sguardo di una donna che guarda e vive il proprio tem-po. Nonostante, però, i temi afrontati siano in in dei conti interessanti – un modo di pregare che fa del corpo lo strumento principale, la ricerca di qualcosa che sia vera fede e non vuoto formalismo e molto altro – non è scatta-ta quella connessione libro/lettore che alla ine dà l’impressione di aver usato più che bene il proprio tempo. Anzi, per dirla tutta, alcuni passaggi mi hanno persino irritata, come ad esempio l’intera premessa, con quell’espediente pseudo-metaletterario che trasforma la storia in una confessione orale di Suor Partenope a Vassalli, perché “nel tempo della letteratura tutto è possibile, persino incontrarsi scavalcando i secoli”. Insomma, per quanto io sia consapevole che Io, Partenope, letto dalla persona giusta, potrebbe essere un libro davvero piacevole, io non ne sono stata per niente entusiasta e avrei voluto poter salutare Vassalli con una recensione migliore.

LA STRADA STRETTA VERSO IL PROFONDO NORD di Richard Flanagan

Pubblicato nel 2013, La strada stretta verso il profondo Nord ha dovuto vincere il “Man Booker Prize” del 2014 per essere tradotto con tutta calma anche in italiano, ma pare che alla ine ce l’abbiamo fatta. Con un paio anni di ritardo, ma sempre meglio di niente, no? Il libro di Flanagan, sviluppato in un continuo intreccio di piani temporali, racconta la storia del medico militare tanzaniano Dorrigo Evans e della sua prigionia in un campo giapponese, dove viene impiegato, assieme ai propri compagni, nella costruzione della famosa “Ferrovia della Morte”, ma racconta, allo stesso modo, quella che promette di essere una grande storia d’amore. Credo che il vero merito di Flanagan, però, sia stato quello di voler andare oltre, di riiutarsi di rinchiudere il proprio libro in un binomio che ci risulta più che familiare e nel quale una delle due parti è costretta a sofocare immancabilmente l’altra. Inserendo anche altri punti di vista narrativi, infatti, lo scrittore riesce a dare al proprio lavoro un sapore coralità e a manifestare la volontà di creare un disegno più ampio che alla ine risulta non solo interessante, ma addirittura destabilizzante. È, insomma, una scelta che nel complesso paga, dal momento che i diversi piani tem-porali, i numerosi cambi di focalizzazione nella narrazione e i capitoli brevi creano, di fatto, una storia incredibil-mente dinamica. In ogni caso, però, non stiamo parlando di un libro semplice da leggere. Lo stile è lirico, denso di signiicato, e si carica continuamente di un forte coinvolgimento emotivo, ma Flanagan non sembra essere uno scrittore disposto a congedare i propri lettori con un bufetto sulla testa e un lieto ine. Le scene brutalmente esplicite si susseguono una dietro l’altra e Dorrigo e tutta la cosmologia di personaggi che gli gravitano attorno iniscono per incastrarsi e incastrarci in una sensazione più o meno vaga di angoscia e claustrofobia, dove il con-cetto di speranza a cui siamo tanto legati si è dissolto pagina dopo pagina, ma non fa sentire la sua mancanza. Non si può in realtà afermare che il libro di Flanagan sia privo di difetti (per dirne un paio, la psicologia di alcuni personaggi è delineata tanto nitidamente da risultare artiiciosa e alcuni espedienti sono un po’ troppo romanze-schi) ma tutti gli aspetti meno convincenti iniscono per passare in secondo piano, perché quando anche una persona come me si trova emozionata c’è poco da fare. La strada stretta verso il profondo Nord merita davvero una possibilità.

Clara Bortoletto

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Best seller del momento

Profumo di pagine

-La Ragazza del Treno Paula Hawkins:Trama: Rachel vive da sola, non ha amici e ogni mattina prende lo stesso treno, che la porta dalla periferia di Londra al suo lavoro nel centro città. Ogni mattina appoggia la testa sul inestrino, osservando le persone, ma due in particolare: Jess e Jason. Pensa che la loro vita di coppia sia perfetta, ma, quando un giorno si troverà di fronte ad una scena diversa dal solito, la sua vita verrà stravolta.Commento: All’inizio il libro si presenta un po’ noioso e monotono, ma quando la vita di Rachel viene stra-volta la storia si fa coinvolgente e appassionante, piena di colpi di scena. Il perfetto libro young-adult dell’età moderna.

-Città di Carta John Green:Trama: la storia parla di Quentin e della sua enigmatica vicina di casa Margo, amante del mistero, che, dopo una notte passata in giro per la città, scompare, lasciandogli degli indizi che dovrà decifrare. Questa ricerca inirà per essere un’avventura, commovente ed anche divertente, che gli farà prendere consapevolezza del vero signiicato di amicizia e amore.Commento: Il successo mondiale del famoso autore John Green, forse ancora più avvincente del suo esor-dio, Cercando Alaska. Insieme al ilm uscito in Italia il 3 Settembre, rappresenta un tormentone estivo-au-tunnale del 2015.

LIBRI DA (RI)SCOPRIRE:

-Teorema Catherine John Green (2006):Trama: Il protagonista è uno sigato in amore, ossessionato dal prototipo di una perfetta idanzata di nome Catherine. Ha avuto ben 19 ex-ragazze che si chiamavano così, ma arriverà poi la fantomatica Lindsey Lee Wells, che stravolgerà la sua idea di perfezione.Commento: Non c’è due senza tre, l’ennesimo capolavoro di John Green, un avvincente mix di amore, logica, comicità. Consigliamo questa storia, per l’avvincente narrazione, a qualsiasi persona che si voglia imbattere in un libro diverso dal solito.

-Beastly Alex Flinn (2007):Trama: Kyle Kingsbury, il solito ragazzo popolare e riccone della scuola, viene maledetto, al ballo scolastico, una ragazza a suo parere “molto brutta”. Kyle in un primo momento penserà che lei sia pazza, ma quando non ci sarà cura per il suo aspetto, ormai tramutato in quello di una bestia, perderà la speranza di tornare bello come prima. Ma una rosa bianca, uno specchio e un incontro misterioso nel suo giardino faranno sì che lui abbia la possibilità di trovare il vero amore, così da spezzare l’incantesimo?Commento: Il classico La Bella e La Bestia, adattato ai tempi moderni. Non più la solita favola per bambini, ma una vera e propria storia complessa young-adult.

AUTORE DEL MOMENTO:

John Green:

Nato a Indianapolis, il 24 Agosto 1977. È uno scrittore statunitense di fama mondiale, ma anche blogger e critico e ha vinto, grazie alla sua opera Cercando Alaska, il Pritz Awards nel 2006.Autore di numerosi best seller, uno più coinvolgente ed emozionante dell’altro, è in cima alle classiiche del New York Times da anni: Cercando Alaska, Teorema Catherine, Città di Carta, Colpa delle Stelle sono alcuni tra i suoi più conosciuti lavori. I suoi libri sono generalmente da subito avvincenti ed emozionanti, catturano la tua attenzione, e risultano adatti a tutte le fasce d’età.

Alessandrina Cecan e Kejt Koli

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L’Associazione Ex Allievi Liceo A. Canova e il Comune di Treviso, in collaborazione con Rotary Club Treviso e Ateneo di Treviso, organizzano per sabato 14 novembre, presso il Museo Civico “L. Bailo” in Borgo Cavour 24, una giornata di studi in occasione del 180° anniversario della nascita di Luigi Bailo.

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CINEMAViolenza: il tabù maledetto del cinema

Il ilm scomodo di unregista emergente irrita la critica (perbenista) alla Mostra del Cinema

Lo scorso settembre ho avuto la fortuna di essere presente all’anteprima internazionale di Beasts of No Nation, il nuovo ilm di Cary J. Fukunaga presentato in concorso alla “Settantaduesima Mostra Internazionale d’arte Cinematograica” a Venezia e in uscita nelle sale e su Netlix a metà ottobre. Principalmente le ragioni che mi hanno spinto a voler vedere questa pellicola sono due: innanzitutto volevo essere spettatore del debutto alla Mostra sia di un regista con due soli lungometraggi all’attivo, famoso per aver diretto una delle migliori serie tv degli ultimi tempi (sto parlando della prima fantastica stagione di True Detective, se non l’avete an-cora visto mollate subito il giornale, amici, parenti e scuola per iondarvi di fronte al computer!), sia di un network (Netlix) specializzato nel campo televisivo che decide di buttarsi nel cinema con questa produzione; in secondo luogo ero curioso di vedere che reazioni avrebbe suscitato tra il pubblico un ilm con un tale con-tenuto. Tagliando corto, Beasts of No Nation (tratto dal romanzo omonimo dello scrittore Uzodinma Iweala) racconta la storia di un bambino che vive in uno stato centrafricano ed è costretto, dopo la morte del padre e del fratello, a diventare un guerrigliero agli ordini del comandante di un esercito di ribelli, interpretato da un carismatico Idris Elba. È evidente che il tema è senz’altro delicato e che quello dei bambini soldato non è un argomento che molto spesso abbiamo visto trattare in ambito cinematograico, per cui il regista si è trovato in un terreno pressoché inesplorato, anche se i problemi non sono stati causati dal “che cosa” è stato girato, ma dal “come”. Il giorno dopo la prima, infatti, sono ioccate le recensioni negative e mi ha colpito, in particolare, quella scritta da un noto critico italiano (Paolo Meneghetti) per il Corriere della Sera. In sostanza quello che si contesta a Fukunaga è un eccessivo compiacimento nel mostrare scene violente “per scioccare lo spettatore, senza rispetto né moralità” tanto che si è addirittura arrivati a bollare il ilm come mera “pornograia”. Ora, devo ammettere che pure un accanito fan di Tarnatino (mon amour) e di tutta la sua adorabile cricca di spo-stati (Eli Roth, Robert Rodriguez etc.) come me dopo la visione di questa pellicola è rimasto un tantino scioc-cato e, stando ai commenti in sala, ho capito di non essere stato il solo. Efettivamente la violenza in questa pellicola non manca e in particolare due scene lasciano davvero senza parole; ma la cosa che colpisce di più non sono tanto gli atti, bensì chi li commette, ed è terribile vedere un bambino di dieci o undici anni perdere in modo così truculento la propria infanzia. Quella che vediamo sullo schermo, però, è la realtà e come tale va rappresentata, senza quegli inutili iltri romanzeschi che alla ine forniscono una visione edulcorata degli orrori della guerra, facendola sembrare quasi un gioco. Questo ilm traumatizza per la brutalità e per il tema trattato, è vero, ma è giusto che sia così, perché il cinema a volte è fatto per intrattenere e a volte è fatto per informare e far rilettere. Forse il pubblico di oggi, abituato a quella miriade di scene allusive che mostrano e non mostrano, non è pronto per vedere il primo piano di un machete coniccato nel cranio di un uomo, ma non per questo arriverei a deinire la pellicola “pornograica”. Tale aggettivo era già stato usato in riferimento al lavoro di Eli Roth, il regista di Hostel e del nuovo he Green Inferno, ma qui siamo lontani anni luce dal ilm di Fukunaga. Voglio dire, da un lato abbiamo degli horror che fanno della violenza “un soggetto del tutto estetico”, dall’altra abbiamo una pellicola che racconta una storia violenta non per il semplice piacere di mo-strare scene esplicite (che tra l’altro non sono nemmeno così abbondanti come si potrebbe credere), ma con l’intento di focalizzare l’attenzione su un dramma che non è frutto di inzione ma realtà odierna. Forse l’unica critica veramente legittima può essere quella mossa allo scarso approfondimento psicologico di Agu, il giova-ne protagonista, il cui dramma interiore viene aidato a delle quanto mai banali voci fuori campo, ma ciò non vuol dire che la volontà di mostrare “così tanto” sia un errore. Anzi, io la trovo una scelta coraggiosa. Certo, qualcuno potrebbe deinire questo tipo di cinema rozzo, dal momento che scene tanto crude “imboccano” lo spettatore, che non deve sforzarsi nella ricerca di un dramma mostrato per allusioni perché il dramma lo ha davanti agli occhi. Ma nonostante ciò ritengo che sia comunque il modo giusto per rappresentare certe realtà che per essere comprese non devono essere addolcite in alcun modo, perché La Vita è Bella e Forrest Gump sono sicuramente due ilm bellissimi, ma non li consiglierei mai a qualcuno che volesse capire nel profondo che cosa sono stati l’Olocausto e la Guerra in Vietnam.

Davide Sutto

A puzzle wih a piece missing

Prendersi un anno sabbatico per i danni morali inlitti da Shonda Rhimes

Grey’s Anatomy è diventato ormai un vero e proprio cult della TV, americana e italiana. Undici sta-gioni (la cui dodicesima è adesso in corso negli Stati Uniti), dieci anni di trasmissione, e ancora i suoi fan si emozionano ogni volta che, all’inizio di un nuovo episodio, sentono la voce di Meredith Grey (protagonista della serie) iniziare a narrare una nuova storia.Fin dal primo episodio Shonda Rhimes (showrunner della serie) ci ha fatti sognare e innamorare di praticamente ogni personaggio, per poi – beh, nella maggior parte dei casi, o cacciarli via con qualche scusa o ucciderli spietatamente.(Attenzione! SPOILER ALERT: se non avete visto tutta l’undicesima stagione, qualsiasi cosa legge-rete da ora in poi, potrebbe causarvi un infarto/una crisi di pianto/immediati istinti omicidi verso di me, o suicidi. Io vi avverto.)Questa è proprio la sorte capitata ad uno dei personaggi più amati – se non proprio il più amato – di tutta la serie, che in dal pilot ha incantato gli spettatori: Derek Shepherd, o come lo chiamano scher-zosamente nel teleilm, il dottor McDreamy. Infatti, dopo quasi dodici stagioni, Shonda ha deciso di dare il colpo di grazia ai fan, già provati dalle migliaia di disgrazie capitate ai personaggi della serie, uccidendo il protagonista maschile. Bam. A sorpresa.E adesso? Cosa succederà a Grey’s Anatomy?La serie va avanti, ovviamente, seguendo le vicende dei medici (vecchi e nuovi) dello Sloan Grey Memory Hospital, ma niente sarà più lo stesso. La morte di un personaggio così fondamentale per la serie avrà ripercussioni non solo sui personaggi (che cercano di superare il lutto ognuno a modo suo), ma anche sui fan, che si sono scagliati contro Shonda con rabbia, soprattutto a causa delle poche dichiarazioni della donna sul perché abbia, efettivamente, ucciso Derek.La scusa oiciale ha a che fare con la storyline del personaggio di Meredith, ma ci sono anche delle voci secondo cui la scelta sia dovuta a qualche problema con l’attore- non che sia importante, comun-que.Ciò che importa è che tutti dobbiamo imparare ad accettare un Grey’s Anatomy senza il dottor Mc-Dreamy, e non sarà facile. Ma nonostante tutto, la showrunner raramente ci ha delusi, quindi non ci resta altro che sperare che la dodicesima stagione sia all’altezza delle altre, nonostante la mancanza Derek Shepherd.

Nicole Bonesso

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SERIE TVIl signore degli anelli

Una grande amicizia cambia il destino del mondo

Esistono ilm che andrebbero visti solo perché hanno fatto la storia del cinema. Ma la trilogia de “Il Signore degli Anelli” va vista perché non le manca nulla.Tutti gli attori sono stati scelti alla perfezione e nessuno di loro recita un ruolo che non gli corrispon-de.Sono grandiosi: Ian McKellen nei panni di Gandalf, Christopher Lee nel ruolo di Saruman e Hugo Weaving in quello di Elrond, il re degli eli. Tocca il cuore l’interpretazione di Elijah Wood, all’epoca appena ventenne, che ricopre il ruolo del protagonista, Frodo Baggins, con una bravura davvero da lodare. La sua voce e il suo modo di parla-re ti restano dentro e sono impossibili da dimenticare. Perfetti sono Viggo Mortensen nei panni del ramingo Aragorn e Orlando Bloom in quelli dell’elfo Legolas e anche attori che compaiono in un solo ilm, come ad esempio Sean Bean, hanno recitato dimostrando il proprio talento. Liv Tyler e Cate Blanchett interpretano due eli femmine dalle voci di notevole bellezza. Nella versione inglese, inoltre, i rapporti d’amore e d’amicizia sono valorizzati e resi più importanti dal modo di recitare degli attori. Gli sguardi dicono già tanto, ma le parole originali, con i toni originali, rendono i tre ilm dei veri capolavori che resteranno nella storia del cinema.Molto importante è la cura che è stata messa nel coinvolgere gli spettatori. Il primo ilm, intitolato “La Compagnia dell’Anello”, inizia con le antiche premesse di tutta la storia, fa capire in che ambiente ci si trova e fa sì che ci si leghi al destino dei personaggi; il secondo, “Le Due Torri”, sebbene abbia un ritmo abbastanza lento, è coinvolgente e fa emergere completamente la vera natura dei personaggi; il terzo, intitolato “Il Ritorno del Re”, capolavoro vincitore di undici premi Oscar, compreso quello come Miglior Film, è quello più ricco di simbolismi e spunti di rilessione.

Gli avvenimenti e le storie dei numerosi personaggi, come in tutti i fantasy, sono concatenati intorno alla tematica principale: la lotta tra il bene e il male.Questo antagonismo si manifesta attraverso una serie di grandi battaglie, ma il vero protagonista dei tre ilm, Frodo Baggins, è un hobbit, un esserino non più alto di un metro che, insieme al suo fedelissi-mo amico Samvise Gamgee, è chiamato dal destino a compiere la missione di distruggere un malvagio anello magico nel quale è racchiuso il potere del male e si impadronisce della persona che lo porta.Questi ilm ci insegnano a non sottovalutare chi apparentemente è inferiore a noi, perché come il po-tere assoluto può trovarsi nella cosa più piccola che esista, così la più piccola creatura può sconiggerlo.Molto signiicative sono anche le parole che Frodo dice una volta tornato a casa:“Come fai a raccogliere le ila di una vecchia vita? Come fai ad andare avanti, quando nel tuo cuore cominci a capire che non si torna indietro?”

“Sono contento di essere con te, Samvise Gamgee. Qui, alla ine di ogni cosa.”

Tatiana Pierfederici

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FILM

Dagli aterhours..a Zucchero!

L’alfabeto musicale

Ecco a voi ventisei consigli del tutto personali e del tutto privi di logica!

A: Aterhours, Voglio Una Pelle SplendidaB: Jef Buckely, So RealC: he Cure, Boys Don’t CryD: Depeche Mode, Walking In My ShoesE: Eurythmics, Sweet DreamsF: Foo Fighters, My HeroG: Guns N’ Roses, PatienceH: Jimi Hendrix, Little WingI: Incubus, Black Heart InertiaJ: Elton Jhon, Tiny DancerK: he Killers, Mr. BrightsideL: Led Zeppelin, Whole Lotta LoveM: Alanis Morissette, IronicN: Nirvana, In BloomO: Sinéad O’Connor, Nothig Compares To YouP: Pearl Jam, RearviewmirrorQ: Queens Of he Stone Age, My God Is he SunR: Radiohead, Paranoid AndroidS: Smashing Pumpkins, 1979T: Talking Heads, his Must Be he PlaceU: U2, Stay (Faraway, So Close!)V: he Velvet Underground, Sweet JaneW: he Who, Who Are YouX: XTC, Dear GodY: Neil Young, he Needle And he Damage DoneZ: Zucchero, Senza Una Donna

Lucrezia Gazzola e Marco Cecchinato

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Can you hear the silence?

Dal deathcore di “Count Your Blessings” al metalcore 2.0 di “Suicide Season”, dal lato heavy di “here Is A Hell, Believe Me I’ve Seen It. here Is A Heaven, Let’s Keep It A Secret” alla maturità di “Sempiternal”, il gruppo di Sheield ha sempre stupito tutti.I Bring Me he Horizon sono a tutti gli efetti la band alternative-rock che mai ti saresti aspettato: quella che se non hai mai sentito prima ti stordisce, quella che se già la conosci e hai una certa apertura mentale in fatto di musica amerai ancora di più, quella che disprezzerai come mai prima d’ora se sei ottuso.hat’s he Spirit è una collezione di undici potenziali singoli, dove le menti di Oli Sykes e del tastie-rista Jordan Fish hanno raggiunto un’alchimia pressoché totale, arrivando a mettere in piedi quello che ritengo il punto più alto di una carriera in qui inarrivabile per i più. Il perché è presto detto: nel-la tracklist non manca proprio nulla, potenza (“hrone”, “Run”, “Happy Song”), momenti più catchy (“True Friends”, “Drown”, “Blasphemy”), eleganza rock (“Follow You”, “Oh No”, “Doomed”), o versati-lità (“What You Need”, “Avalanche”).

La tracklist:

01. Doomed

02. Happy Song

03. hrone

04. True Friends

05. Follow You

06. What You Need

07. Avalanche

08. Run

09. Drown

10. Blasphemy

11. Oh No

Doomed apre le danze, ed è una canzone veramente oscura, che ci lascia intendere come questo album in in dei conti sia un’autobiograia di Oli.Happy Song, hrone e True Friends, insieme a Drown, Run e Avalanche, sono gli episodi meglio riusciti del quintetto inglese e racchiudono l’essenza della nuova band, lì dove riprendono vecchi stili dimenticati del nu-metal, mescolati a dei riuscitissimi ritornelli che vi prendono e non vi mollano più.Abbiamo poi altri due piccoli episodi alla #6 e alla #10, con What You Need e Blasphemy, in cui i cinque rimangono più sul lato alternative metal da hit radio e convincono solamente grazie alle parti elettroniche di Jordan Fish.Qualche dubbio però lo lascia Follow You, troppo azzardata e con tantissimi elementi hip-hop non elaborati al meglio.Una mezza via di tutto quanto fatto nell’album. Brano fuori tema che, purtroppo, penalizza non poco il risultato inale.Chiude la scaletta Oh No, la scelta meglio azzeccata di tutte.Ritmo catchy e super radio friendly, ma la struttura della canzone regge gli scetticismi e farà cantare chiunque per i suoi cinque minuti buoni di durata.Impareggiabile la “jazzata” che parte al terzo minuto, stile lounge music.“hey’re ‘All the Better’ without screamings and breakdowns” - Billboard“Bring Me the Horizon on Ditching Metalcore for Poppy, Positive New LP.” – Rolling Stone

Alice Mamprin

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ANGOLO DELLA MUSICA

Muin alla zucca con gocce di cioccolato

Halloween si avvicina, e che ingrediente migliore c’è della zucca per una ricetta da paura? Ecco qua la ricetta dei muin alla zucca con gocce di cioccolato!

Per realizzare questa ricetta golosa vi serviranno:

-3 uova

- 200g di farina

-50g di farina di mandorle

-100g di zucchero di canna

-400g di zucca

-16g di lievito per dolci

-50ml di olio di semi di girasole

-70ml di latte

-cannella quanto basta

-gocce di cioccolato a piacere

Per prima cosa cuocere la zucca al vapore e frullarla, poi passare la purea ottenuta al setaccio in modo da togliere l’acqua in eccesso. Iniziate a preparare l’impasto montando i tre tuorli con lo zucchero, ino allo scioglimento di quest’ultimo. Otterrete un impasto giallo ocra spumoso, a cui dovrete aggiungere le farine e il lievito setacciati, alternate con il latte e l’olio. Dopo di che aggiungete la purea di zucca, le goccie di cioccolato e la cannella. Mescolato il tutto con l’aiuto di una spatola (per non smontare i tuor-li), avrete ottenuto un’impasto denso e omogeneo. Ora in una ciotola a parte montate gli albumi a neve ferma, e sempre con l’aiuto della spatola incorporateli con un lieve movimento dal basso verso l’alto. A questo punto l’impasto avrà una consistenza morbida, vellutata e spumosa, pronta da infornare!Mettete i pirottini nella teglia da muin e riempiteli poco più della metà. Infornateli nel forno ventilato a 180° C per 20-25 minuti. Ricordatevi di non aprire il forno durante la cottura, per evitare di interrompere la lievitazione.

Carla Ogoumah Olagot e Gulia Mencarelli

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CUCINADa Treviso al mondiale

Giulia Michelin: come sono arrivata al mondiale

M: Judo, karate, kick boxing… come si chiama il tuo sport? G: Pratico karate e in particolare kumite ovvero la parte di combattimento libero.M: Da quanti anni lo pratichi? G: Da 5 anni ormai.M: Si può anche iniziare alla nostra età? Se si, qualche consiglio per chi vuole iniziare?G: Si, assolutamente. In moltissime palestre ci sono corsi per principianti di tutte le età. Nella palestra dove vado io i “bambini” vanno da 4 a… 70 anni. Una frase che i maestri ci ripetono sempre è “Il karate si pratica tutta la vita”. M: Qualche consiglio? G: Beh, direi mettercela tutta e impegnarsi molto come in qualsiasi sport.M: Cosa ti piace di più? E cosa meno? G: Le cose che mi piacciono di più sono combattere, impegnarsi per un obiettivo e ga-reggiare per raggiungerlo. Cosa mi piace meno? Non penso ci sia qualcosa che non mi piaccia.M: C’è stato un momento in cui hai pensato di mollare tutto? G: Si, ce ne sono stati. Il mio sport richiede tanto impegno e molta fatica a cui si aggiun-ge anche la scuola che, però, non mi ha mai dato grossi problemi.M: Cosa hai provato quanti ti hanno detto che eri stata scelta per rappresentare l’Italia ai mondiali? G: Ho pianto (ride…); era il mio sogno più grande e lo credevo irrealizzabile ma che è diventato reale grazie ai miei maestri che mi hanno sempre sostenuta e aiutata. È stato bellissimo rappresentare il nostro paese e quando eravamo tutti insieme in aeroporto in divisa con la scritta Italia sul retro si è creato un senso di appartenenza che purtroppo spesso manca in questo momento.

Martina Lovat

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GIOCHI

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Biscotti dolci alla zucca

Ecco un’ottima ricetta autunnale, perfetta per gli amanti della zucca!

Ingredienti

450-500 g di farina

100 g di zucchero

1 bustina di lievito per dolci

1 pizzico di sale

90-100 g di burro

2 cucchiai di Grand Marnier (o comunque di un liquore all’arancia, come il Cointreau)

1 ialetta di aroma alla mandorla

100-150 g di polpa di zucca

gocce di cioccolato/ uvetta q.b.

1 uovo e 1 rosso

mezzo bicchiere grande di latte

zucchero a velo q.b.

Procedimento

Infornate la zucca intera in forno ventilato a 180° per almeno 50 minuti, o inché non sarà morbida. Se userete le gocce di cioccolato, congelatele in un sacchetto con un po’ di farina (per non farle attaccare tra loro): in questo modo non si fonderanno durante la cottura. Mescolate in una ciotola la farina, lo zucchero, il lievito e il sale. Tagliate il burro a cubetti e aggiungetelo alle polveri impastando con le mani ino ad ottenere un miscuglio pieno di briciole. Unite il Grand Marnier, l’aroma alla mandorla e le gocce di cioccolato (o l’uvetta). Estraete la zucca dal forno, eliminate i semi e sbucciatela, ricavando la dose necessaria di polpa. Schiacciate ciò che avete ottenuto coi rebbi di una forchetta, in modo da formare una purea uniforme e unitela all’impasto; se dovesse risultare troppo molle, aggiungete della farina. Aggiungete le uova e continuate a impastare. A poco a poco unite il latte, inché l’impasto non risulterà morbido ma non appiccicoso. Riponete l’impasto in frigo, avvolto in della carta da forno, per almeno mezz’ora (più tempo riposerà, migliore sarà il risultato). Trascorso il tempo necessario, pre-riscaldate il forno ventilato a 180°, tirate fuori dal frigo l’impasto, lavoratelo un attimo con le mani e formate delle palline che schiaccerete per ottenere una forma allungata. Disponete i biscotti sulla lec-carda e cuoceteli per 10-15 minuti. Appena li avrete estratti dal forno, cospargeteli di zucchero a velo (potete anche saltare questo passaggio, ma i vostri biscotti saranno poco dolci!). Et voilà! NB: potete anche stendere l’impasto e tagliare i biscotti con degli stampini, magari a forma di zucca, fantasma etc. in occasione di Halloween!

Valentina Dalla Villa

RUBRICHE

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la Redazione de “La Venti-

cinquesima Ora” esprime il

suo orgoglio e la sua profon-

da ammirazione al professor

Antonio Silvio Calò, per il suo

esempio di civiltà e solidarietà

recentemente premiato e rico-

nosciuto a livello nazionale.

Ci auguriamo che una tale

esperienza possa promuove-

re in questa scuola e in que-

sta città un nuovo modello

di cittadinanza attiva e in-

clusiva e un approccio po-

sitivo alla drammatica que-

stione dell’immigrazione, che

ognuno di noi è chiamato,

a suo modo, ad affrontare.

CANOVIAN HORROR STORY

2 - -

Non molti anni fa, qui al Canova insegnava la pro-fessoressa Clare, una giovane donna che venerava le lingue classiche e la disciplina. Tutti gli alunni la volevano come insegnante, e chi aveva questa fortuna ne elogiava continuamente le doti: la chia-mavano “l’angelo dell’antichità”. Tuttavia di angeli-co ella non aveva nulla: le interrogazioni erano un martirio per gli studenti, ben nascosta sotto un sor-riso falso, e ogni tanto si poteva vederla mentre si copriva le orecchie, perché in realtà odiava le voci degli studenti che la veneravano e che cercavano di coprire il fatto di non sapere niente, e lei, in fondo, voleva solo mettere a tacere per sempre quei moc-ciosi. L’opportunità le apparve quando Gino, un suo nuovo alunno, colui che stava sempre zitto e che fa-ceva diligentemente e alla lettera tutto quello che lei diceva, iniziò ad essere il suo discepolo, il suo alunno d’oro: dopo un anno aveva ben piantato il seme delle sue idee nella mente di Gino e, un gior-no, proprio come quando assegnava i compiti per casa, diede delle precise istruzioni al

suo allievo. Il giovedì successivo, durante il dopo-scuola, trovarono una ragazza immersa in una poz-za di sangue proprio al centro dell’atrio della scuo-la; la stessa cosa accadde la settimana successiva, e quella dopo ancora e così via. Tutte le vittime erano state uccise nel medesimo modo: la gola tagliata da forbici appuntite, il petto trapassato da un righello, le mani ricoperte di appunti - come si è soliti far per copiare durante i compiti, la bocca chiusa dal na-stro adesivo, e, proprio come fosse stato scritto da una penna rossa, col sangue era stato tracciato un 2 - - sulla fronte. Questi alunni non avevano nulla in comune, se non essere allievi della professoressa Clare. Oggi non si sa che ine abbiano fatto la pro-fessoressa ed il suo allievo: alcuni pensano che ab-biano cambiato scuola, altri invece che siano rima-sti al Canova sotto false spoglie, aspettando l’allievo giusto per iniziare a dare i loro 2 - -.

Anna Pavan

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La Venticinquesima Ora ha chiamato e gli scrittori del Canova hanno risposto: ecco a voi il lato oscuro della scuola.Le altre storie verranno pubblicate sulla pagina di Facebook del giornalino al se-guente link: https://www.facebook.com/25esimaora?fref=ts

<<Ma perché, perché, mi trovo in questa situazione!>>John stentava a crederci. Era bastato un esercizio sbagliato, perché il professore lo condannasse a una punizione terriicante...Il professor Scontessotti era temuto da tutti, nella scuola: dalle sue classi voleva la perfezione, nessun errore, nessuna distrazione, il silenzio più totale!La sua verga nera vibrava a ogni incertezza, sussulto, per cui tutti i suoi alunni avevano almeno qualche livido sulle mani, gambe...soprattutto John!John era stato condannato a chiudere tutte le mille tapparelle della scuola e, dopo circa due ore di lavoro, la fatica aveva preso il sopravvento e... E ora si trovava a scuola, nel buio più totale.Cominciò a cercare una via d’uscita, strisciando la mano per i freddi muri della scuola, ma più correva più il corridoio sembrava allungarsi, restringersi, e in fondo ad esso l’unica parvenza di luce data dalla luna scompariva...Tutto intorno a lui ora sembrava uguale, nessun punto di riferimento, solo un corridoio che non aveva ine. Finché cadde in un buco, comparso all’improvviso, non tra scheletri e zombie ma tra richiami, in-sulti, ofese, delusioni, pianti, ciò che fa più paura, male...Con la guancia, percepì di nuovo un qualcosa di freddo e liscio...un banco! Sentì una voce stridula a lui familiare, e una verga nera vibrare: <<Signor John, che sta facendo?>>L’incubo non era inito, ma appena iniziato!

Dogui

Caterina BaldassoAlice BarbisanNiccolo’ BonatoNicole BonessoClara BortolettoNiccolo’acram CappellettoAlexia CautisAlessandrina CecanMarco Cecchinato Beatrice CrivellerValentina Dalla VillaGiacomo De ColleCaterina DozzoGuendalina DozzoFlavia FalconeGiorgia FantonEva Fedato

Marco FrassettoElena ForteLucrezia GazzolaGiulia GiacominLorena Patricia HossuKejt KoliMartina LovatAlice MamprinGiovanni ManaoChiara MarcassaArianna MartinCristiana MazzettoGiulia MencarelliCarla Ogoumah OlagotGiulia PalajaLinda Peteno’Tatiana Pierfederici

Giovanni RisatoMathilde RomeoFrancesca RossoMatteo RubbiniCaterina SammarchiGiulia SantiFederica ScapinGiulia SchirripaPietro StefaniDavide SuttoChiara TortatoGiada TubianaFrancesca VaragoSara VerdierGiorgia ZanattaDaniela Zotea

LA REDAZIONE:

Impaginatrice: Lorena Patricia Hossu

Copertina realizzata da Lucrezia Gazzola

Illustrazioni di Lucrezia Gazzola, Pietro Stefani, Marco Frassetto

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