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U n pugno di dinastie finanzia- rie in contrasto tra loro,schiaccia il processo storico. In Europa, dopo aver distrutto l’Urss, dominano le secolari dinastie Rothschild (1769) della City,Rocke- feller (1858) di Wall Street e la mil- lenaria templaregesuitica i dello Ior, già finanziatrici di Mussolini, Hitler e Franco. Questa triarchia assedia i Conti- nenti, ammassa superprofitti gonfiati da emissioni speculative di denaro e derivati, maneggiando le principali Banche Centrali di loro proprietà. Esse distruggono le Repubbliche costituzionali sorte dalla vittoria sul nazifascismo. Nelle nazioni più imperialiste (In- ghilterra), alimentano regimi plebi- scitari bipartito , in altre fascistoidi miscugli maggioritari (Italia) o aperti fascismi di piazza (Ungheria),se- condo le diverse influenze dinasti- che e le lotte del Fronte democratico . Impongono il dominio dell’una o dell’altra soprattutto sui settori ener- getici e militari, domano gli euro- monopolisti, dissolvono la Ue, aggrediscono Medioriente, Africa e America Latina, preparando la guerra contro Russia, Brics e Cina. In questo generale scontro di inte- ressi monopolisti, grandi opportu- nità esistono per la tattica rivoluzionaria unitaria della classe operaia e del Fronte democratico. L’arco costituzionale deve opporsi, sostenuto dalla mobilitazione della borghesia produttiva, del proleta- riato, della classe operaia,dei popoli e dei Brics: occorre difendere le Isti- tuzioni democratiche dall’assalto neofascista. Tuttavia, la fase monopolista del capitalismo, è in crisi profonda e sarà sconfitta dalla classe operaia soste- nuta dal Fronte democratico e dai Brics. Una lotta lunga, educata dai partiti internazionali democratici, socialisti e comunisti. La corsa al massimo profitto ha ac- centuato le contraddizioni inter-mo- nopoliste, ha privatizzato le economie degli Stati socialisti e de- mocratici europei, fomentando e fi- nanziando terrorismo, neofascismo, divisioni, guerre civili, e aggressioni militari. E’ aumentato lo sfruttamento e l’impoverimento di miliardi di es- seri umani. ii Il capitale accumulato illegal- mente, è nascosto nei cosiddetti pa- radisi fiscali. iii La liquidità mondiale ha raggiunto livelli speculativi superiori di 12 volte il Pil mondiale iv , produttiva- mente eccedenti ma funzionali al dominio monopolista. Le dinastie Rothschild e Rockefel- ler, finanziatrici usuraie di Stati, hanno stretto opportuni rapporti per rigenerare la vitalità della finanza transatlantica. v La Bce stampa l’ Euro dandolo alle grandi banche private , che l’addebi- tano agli Stati. Mille famiglie mono- poliste hanno accumulato un milione di miliardi di dollari. vi : am- massare denaro illegalmente,emesso per circolare i beni della società,è un crimine. Alcuni gruppi monopolisti abbrac- ciano più settori, e per peso econo- mico e ruolo nell’economia mondiale, superano il bilancio e la Anno XXI - N.26 € 6,00 DICEMBRE 2013 Sped. abb. Post. L. 662/96 - Art. 20/c P.I. TE UNITA’ ANTIMONOPOLISTA E PARTITO

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Un pugno di dinastie finanzia-rie in contrasto tra

loro,schiaccia il processo storico.In Europa, dopo aver distrutto

l’Urss, dominano le secolari dinastieRothschild (1769) della City,Rocke-feller (1858) di Wall Street e la mil-lenaria templaregesuiticaidello Ior,già finanziatrici di Mussolini, Hitlere Franco.

Questa triarchia assedia i Conti-nenti, ammassa superprofitti gonfiatida emissioni speculative di denaro ederivati, maneggiando le principaliBanche Centrali di loro proprietà.

Esse distruggono le Repubblichecostituzionali sorte dalla vittoria sulnazifascismo.

Nelle nazioni più imperialiste (In-ghilterra), alimentano regimi plebi-scitari bipartito, in altre fascistoidimiscugli maggioritari (Italia) o apertifascismi di piazza (Ungheria),se-condo le diverse influenze dinasti-che e le lotte del Frontedemocratico.

Impongono il dominio dell’una odell’altra soprattutto sui settori ener-getici e militari, domano gli euro-monopolisti, dissolvono la Ue,

aggrediscono Medioriente, Africa eAmerica Latina, preparando laguerra contro Russia, Brics e Cina.

In questo generale scontro di inte-ressi monopolisti, grandi opportu-nità esistono per la tatticarivoluzionaria unitaria della classeoperaia e del Fronte democratico.

L’arco costituzionale deve opporsi,sostenuto dalla mobilitazione dellaborghesia produttiva, del proleta-riato, della classe operaia,dei popolie deiBrics: occorre difendere le Isti-tuzioni democratiche dall’assaltoneofascista.

Tuttavia, la fase monopolista delcapitalismo, è in crisi profonda e saràsconfitta dalla classe operaia soste-nuta dal Fronte democratico e daiBrics.

Una lotta lunga, educata dai partitiinternazionali democratici, socialistie comunisti.

La corsa al massimo profitto ha ac-centuato le contraddizioni inter-mo-nopoliste, ha privatizzato leeconomie degli Stati socialisti e de-mocratici europei, fomentando e fi-nanziando terrorismo, neofascismo,

divisioni, guerre civili, e aggressionimilitari.

E’ aumentato lo sfruttamento el’impoverimento di miliardi di es-seri umani.ii

Il capitale accumulato illegal-mente, è nascosto nei cosiddetti pa-radisi fiscali.iii

La liquidità mondiale ha raggiuntolivelli speculativi superiori di 12volte il Pil mondialeiv, produttiva-mente eccedenti ma funzionali aldominio monopolista.

Le dinastie Rothschild e Rockefel-ler, finanziatrici usuraie di Stati,hanno stretto opportuni rapporti perrigenerare la vitalità della finanzatransatlantica.v

La Bce stampa l’Eurodandolo allegrandi banche private, che l’addebi-tano agli Stati. Mille famiglie mono-poliste hanno accumulato unmilione di miliardi di dollari.vi: am-massare denaroillegalmente,emesso per circolare ibeni della società,è un crimine.

Alcuni gruppi monopolisti abbrac-ciano più settori, e per peso econo-mico e ruolo nell’economiamondiale, superano il bilancio e la

Anno XXI - N.26 € 6,00 DICEMBRE 2013Sped. abb. Post.

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produzione di intere nazioni,vii dive-nute anelli delle filiere multinazio-nali.

La fermata dell’Ilva di Tarantoblocca anche gli stabilimenti di Tu-nisia e Francia; la vertenza Arcelor-mittal, partita in Francia, fermaquelli di Benelux e Germania.

Le privatizzazioni di acqua, servizisanitari nazionali, degli stati socialie dell’industria pubblica sono impo-ste dal processo monopolista mon-diale.

I governi servili neofa-scisti gareggiano per at-trarre i capitalimonopolisti.

Nel 1966 tali contrad-dizioni determinaronol’uscita della Franciadalla Nato, senza impe-dire comuni strategieantisocialisteviii.

In definitiva, fermo re-stando il dominio deimonopolisti, lo StatoEuropeo non si faràmai, perché come disseLenin, essi sono lupi e sisbraneranno.

Dopo la grande vitto-ria sul nazifascismo, laclasse operaia, le masse lavoratrici epopolari credettero sconfitta l’oligar-chia monopolista, allentando i vin-coli di controllo e vigilanza di classenei propri partiti, sindacati e Stati.

L’oligarchia monopolista ha adot-tato strategie per restaurare il suo po-tere assoluto.

Alimentando il consumismo, il ter-ziario e l’eccedenza finanziaria, hafavorito l’emergere di strati di aristo-

crazia operaia e democratica.Con il decentramento produttivo, i

monopolisti hanno diviso la classeoperaia, aprendo il campo all’indi-vidualismo, seminando illusioni ri-formiste e nazionaliste.

La classe operaia così disgregata,allontanata dalle sue funzioni diri-genti, è stata sostituita da gruppi so-ciali subalterni.

Il debole impianto teorico marxistaha favorito il populismo e la fasci-

stizzazione.Sul finiredelsecolo scorsoix la lotta

contro il revisionismo modernoxsi èaffievolita.

La conseguente divisione dellaclasse operaia ha prodotto la dia-spora dei comunisti, fino alla distru-zione dell’Urss, dei Paesi socialistieuropei, alla dissoluzione di forti sin-dacati di massa, di radicati partiti, edello stesso concetto di classe.

Maestri dell’unità d’azione,i co-munisti divisi devono saperla appli-care anche tra loro.

Essa va attuata senza discrimina-zioni verso alcune provenienze.xi

Tuttavia, sotto la crescente vio-lenza monopolista, la classe operaianon si piegaxii.

Nei grandi luoghi nazionali dellaproduzione e della ricerca, essa re-siste e sollecita le forze comuniste edella sinistra ad una stretta unità

d’azione per articolate ecollegate lotte continen-tali all’altezza delle sfideposte dalla crisi.

La riavviata nuovaunità di lotta continen-tale degli operai espri-merà il suo programmarivoluzionario e il suoadeguato partito comu-nista, di classe e dimassa.

In questo senso, lalotta per una salda unitàd’azionexiii dei comunistie della sinistra è una fasetransitoria funzionalealla nuova unità dellaclasse operaia.

Il rovesciamento diquesto concreto processo marxistadi trasformazione è una astrazioneidealista staccata dall’esistenza delleclassi e della loro lotta.

La formazione del partito rivolu-zionario, di classe e di massa, è unprofondo processo di decantazioneteorico-politico.

I sofferti congressi di Pd, Pdci, Prc,Psi, e Sel hanno mostrato la com-prensione parziale della fase antimo-

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Roma, 14 dicembre 1996 (Hotel Ergife, III Congresso Prc),riunione del Comitato Scientifico del Centro Lenin-Gram-sci, con la presenza di: G. Adduci, G. Amata, A. Amoroso,E. Antonini, A. Bernanrdini, R. De Grada, A. Donno, V.Falcone, M. Geymonat, G. Giansante, M. Nocera, L. Pacee P. Scavo.

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nopolista della lotta di emancipa-zione sociale e nazionale.

Occorre superare visioni naziona-liste, per una concreta prospettivacontinentale, dove sia predominantela componente internazionale ri-spetto a quella nazionale.xiv

Una forte unità d’azione politicacon gli altri partiti comunisti e di si-nistra dell’area imperialista centro-europea, anello debole dellastruttura monopolista mon-diale, con l’obbiettivo strate-gico dello Stato democraticosocialista continentale.xv

Tutto ciò nella ferma convin-zione che un Partito continen-tale internazionalexvi lo èrealmente se i suoi militanti ele sue organizzazioni sono esi-stenti in più Nazioni.xvii

La sconfitta del morente mo-nopolismo è la tappa democra-tica socialista continentaledella secolare battaglia per ilsuperamento del capitalismo.

La lotta per l’unità dei comu-nisti e il loro partito nei Paesiimperialisti europei, espres-sione della fondamentale lottaper l’unità dell’avanguardiadella classe operaia continen-tale, è cominciata con il forte e crea-tivo impegno del compagnoGramsci.xviii

I Nuclei gramscianixix di Austria,Benelux, Francia, Germania, Italia eSvizzera, lotteranno per l’unitàd’azione dei partiti comunisti, socia-listi e democratici.

Essi costituiranno la Frazione co-munistagramsciana (antimonopo-

lista)… in condizione di funzionaree di svilupparsi fin da oggi come unvero Partitoxx: gli operai e i ricerca-tori d’avanguardia ne saranno edu-catori dirigenti, attivi e concreti.

Il Cmld’I contribuirà alla Frazionecomunista gramsciana centroeuro-pea, esaurendo la sua funzionexxi: ilnuovo sorge potenziando il vecchio,non liquidandolo.

Col Pcd’I di Gramsci del 1926, ilPsi divenne il suo migliore alleatonella Resistenza.

Il Partito comunista internazionaleè l’intellettuale collettivo, coscientee organizzato, dell’avanguardiadella classe operaia continentale.

L’avanguardia organizzata dellaclasse operaia, sostenuta dal Frontedemocratico e dai Brics, strapperà i

complessi apicali della produzione edella ricerca al decadente monopo-lismo europeo di Maastricht.

Lo Stato operaio e democratico,prosciugherà l’oceano nero attornoal mondo.

Le forze comuniste, socialiste, de-mocratiche, i popoli e i Brics agi-ranno insieme per sostenere l’unitàe la lotta della classe operaia contro

il monopolismo finanziario, ledivisioni, il neofascismo e laguerra.

Lo Stato continentedella pro-prietà socialista dell’avanguar-dia della classe operaia deicomplessi produttivi apicali,del governo democratico delleNazioni liberamente associate,della progressiva estinzionedelle classi, degli Stati, dei Par-titi e del capitalismo, è l’epocadella transizione alla Societàcomunista degli uomini liberied eguali.

BCE PUBBLICABANDIRE I PARADISI

FISCALI

[email protected], 29 dicembre 2013

la via del comunismo Consigli dei lavoratori di tutti i paesi, coordinatevi! DICEMBRE 2013

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Convegno sull’Ottobre 1917 del Pcd’I (m-l),Bari 22/11/1987. Da sinistra: P. Scavo, A.Cassinera.

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NOTE:

i Dan Brown, “Il Codice Da Vinci”,MondadoriMilano, 2003. Accademia delle Scienze dell’Urss, Storia Uni-versale, volumi 3 e 4, Teti Editore, Milano 1975

ii Jean Ziegler, La privatizzazione del mondo,Marco Tropea Milano 2003, pag.35 e seguenti:Più di due miliardi di esseri umani vivono in quellache il Programma delle Nazioni Unite per lo svi-luppo(UNPD) chiama “indigenza assoluta”,senza un reddito fisso, senza un lavoro regolare,senza un alloggio adeguato, senza accesso a curemediche, cibo sufficiente, acqua potabile, istru-zione. I signori del capitale globalizzato esercitanosu questi miliardi di persone un diritto di vita e dimorte...Il capitale in circolazione è a sua volta virtuale eattualmente è diciotto volte superiore al valore ditutti i beni e i servizi prodotti in un anno e disponi-bili sul pianeta (Pil ndr).

iii Nicholas Shaxon, Le isole del tesoro, Feltrinelli,Milano 2011, pagg. 13 e 15: il Sistema offshorecollega la malavita con l’Elite finanziaria, gli esta-blishment della diplomazia e dei servizi segreti conle Multinazionali. Il sistema offshore determina iconflitti, plasma le nostre percezioni, crea instabi-lità finanziaria e assicura compensi stratosferici aLes Grands, le persone che contano… Il sistemaoffshore è nella realtà che ci circonda. Più dellametà del commercio mondiale passa, almeno sullacarta, attraverso i paradisi fiscali.

iv Giorgio Ruffolo, Il mercato impeccabile, LaRepubblica del 27 agosto 2011;

v Maurizio Molinari, Matrimonio d’interesse, LaStampa dell’11 giugno 2012: I banchieri d’Eu-ropa, finanziatori di Papi e imperatori, si alleanocon la dinastia più ricca e rispettata di Wall Streetcon un patto di entità segreta il cui intento è rige-nerare la vitalità della finanza transatlantica aggre-dita dalle crisi e sfidata dai nuovi rivali emergentisui mercati di Asia e Russia.L’intesa fra Lord Jacob Rothschild, 76 anni, eDavid Rockefeller, che ne ha venti di più, segna unmomento di fine e al tempo stesso di inizio dellafinanza occidentale come oggi noi la conosciamo.

vi Crisi del monopolismo, Rivista Gramsci, nu-mero 19 del febbraio 2013, pag. 4:Mille famigliemonopoliste hanno accumulato illegalmente oltreun milione di miliardi di dollari.In base alla TeoriaPareto sulla distribuzione ineguale della ricchezzain regime capitalista, due delle grandi famiglie mo-nopoliste, la statunitense Rockefeller e l’ingleseRotschild, posseggono circa 400.000 miliardi: da

oltre due secoli esse prestano a usura (spread) agliStati il denaro che gli Stati stessi stampano.

vii BlackRock punta dieci miliardi in Italia, diMoyra Longo, Il Sole 24 Ore del 18 dicembre2013; “(…) con oltre 4mila miliardi di dollari in-gestione, oltre due volte più del PIL italiano, Blac-kRock è infatti la più grande società diamministrazione del risparmio del mondo. Nonesiste anfratto dei mercati finanziari globali dovenon abbia le mani. Solo nella Borsa italiana, se-condo i dati di Capital Iq, ha almeno 10 miliardidi euro attualmente investiti: questo fa di Blac-kRock il primo investitore estero nella Penisola.Da Telecom ad Atlantia, da Prysmian ad Azimut,dal Banco Popolare a MPS: è quasi impossibiletrovare una società italianache non abbia Blac-kRock tra i primi 10 soci. Una ragnatela fittis-sima”. BlackRock è una società di DavidRockefeller.http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-12-18/blackrock-punta-10-miliardi-italia-064836.shtml?uuid=ABXCyjk

viii Strategie antisocialiste all’epoca della contrap-posizione dei sistemi, Sahra Wagenknecht, As-sociazione Concetto Marchesi editore 2009,pag.7; Il tramonto di un sistema sociale equivalein ogni caso al fallimento di tale sistema,solo se ilsistema stesso è causa della sua sconfitta; cioèquando l’evoluzione completa di questo sistema,fino alle sue più amare conseguenze, può essereconsiderata come risultato di un progetto erratogià fin dall’inizio. L’ipotesi che sia cosi’, è la pietramiliare su cui l’attuale pensiero di sinistra fondalesue convinzioni.Non viene dimostrata,ma accet-tata a priori.Il cammino di chi accetta taleipotesi,porta prima o poi a Bad Godesberg.Il pre-sente lavoro ha come tema non la storia del primosocialismo in sè,bensi la storia delle strategie im-perialiste elaborate durante la lotta contro il so-cialismo.Il suo obbiettivo è descrivere conchiarezza l’articolazione delle condizioni esterneentro le quali il primo socialismo si è dovuto svi-luppare”. sue convinzioni. Non viene dimostrata,ma accettata a priori. Il cammino di chi accettatale ipotesi porta, prima o poi, a Bad Godesberg.Il presente lavoro ha come tema non la storia delprimo socialismo in sé, ma la storia delle strategieimperialiste elaborate durante la lotta contro il so-cialismo. Il suo obiettivo è descrivere con chiarezzal’articolazione delle condizioni esterne entro lequali il primo socialismo si è dovuto sviluppare.

ix La fine della classe operaia? Peter Mertens,Presidente del Partito del Lavoro Belga (PTB);http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/mar-xismo/21751-la-fine-della-classe-operaia.html:Per tutto il secolo scorso, i poveri, gli esclusi, co-

loro che si rifiutano di lavorare, gli immigrati, gliecologisti, i verdi, i pacifisti, le donne, gli scienziati,gli informatici ... tutti, prima o poi, sono stati iden-tificati come il gruppo sociale al quale corrispondela guida della rivoluzione. Il punto in comune tratutte queste teorie, è che tutte ignorano le leggi so-ciali ed economiche della storia, che tutti evitanola questione della produzione e il controllo dellaproduzione(…)La classe operaia è il cuore pulsante del sistema.È il lavoro produttivo che crea la ricchezza dellasocietà. Il capitale può aumentare solo grazie alplusvalore generato nel processo di produzione(…)E’ proprio qui che risiede il ruolo della classe ope-raia come attore del cambiamento storico. I lavo-ratori produttivi sono nel centro della produzionee si scontrano ogni giorno con la contraddizionetra capitale e lavoro. Sono quindi nella posizionemigliore per capire l’essenza di questo sistema.

x L’educazione gramsciana, Rivista Gramsci,nota editoriale, pag.15:Alla fine dell’Ottocento eall’inizio del Novecento il revisionismo era un’in-fluenza prevalentemente culturale della borghesiafinanziaria imperialista sul movimento operaio ecomunista internazionale. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, la lotta tra il mar-xismo e il revisionismo moderno, con esiti contrad-dittori, si è svolta essenzialmente sul terreno stessodel movimento operaio e della costruzione del so-cialismo...Questa lotta ormai secolare, con le sue conquistee le sue sconfitte, sul piano nazionale e internazio-nale, e le nuove condizioni di vita e i nuovi rapportieconomici e sociali hanno determinato una diffusaantropologia comunista scomposta sostanzial-mente in due insiemi: uno derivato dalle influenzedel revisionismo di destra burocratico e riformista;l’altro derivato dalle influenze del revisionismo disinistra movimentista e trotckista. Due insiemi che riflettono la strutturale comples-sità del proletariato moderno: una parte del qualeimpiegato in lavori più stabili, ma ripetitivi, preva-lentemente in aziende medio grandi, l’altra in con-dizioni più versatili, ma precarie e sommerse inimprese piccole e piccolissime. Per imporre questa sfrenata divisione del lavoro,funzionale alla restaurazione del suo dominio, laborghesia finanziaria internazionale ha artificio-samente gonfiato l’emissione delle monete e la lorocircolazione virtuale, attuata prevalentemente innero.

xi AA. VV. , Crisi del capitalismo e fascismo, Lalezione di Gramsci e la “questione degli intel-lettuali”oggi, Convegno nazionale Roma 1994,Quaderni di Nuova Unità 1995, pag.69: Dun-que, questo invito a tenere una relazione al vostroimportante convegno è da una parte garanzia del

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carattere non frazionista o correntizio della vostrainiziativa, dall’altro è segno di un’apertura unita-ria vera: occorre imparare a discutere da compa-gni e fra compagni, anche a partire daorientamenti diversi. Consentitemi infine di aggiungere che vorrei asse-gnare a questa mia partecipazione anche il signi-ficato di una piccola ma assai convintatestimonianza affinchè cadano, finalmente e defi-nitivamente, fra i comunisti le discriminazioniverso alcune provenienze in quanto tali, nella fat-tispecie verso quella marxista-leninista.

xii Nuova Unità, documenti del 4° congresso delPcd’I (m-l), rapporto del compagno Fosco Di-nucci, pag. 23: la classe operaia non si piega no-nostantel’offensiva paronale e i colpi ricevuti,come nei casi dell’accordo per la FIAT nel 1980 edegli accordi del 22 gennaio 1983 (denunciati su-bito dal nostro Partito), la classe operaia non sipiega, come dimostrano le lotte soprattutto dei me-talmeccanici; non si piega di fronte alla proterviapadronale, al governo che appoggia il padronato,ai cedimenti dei dirigenti politici e sindacali op-portunisti... L’unità politica, ideologica e organiz-zativa dei comunisti è, nella concreta situazionestorica del nostro paese, un processo nè semplicenè facile, verso cui tuttavia spingono le necessitàdella lotta di classe.

xiii Berlusconi fermato a Melfi, RivistaGramsci,n.11 del Febbraio 2006: Il Coordina-mento dei delegati comunisti della Fiat di Melfi,fattore di unità di tutti i lavoratori e dell’intero ecolorato sistema delle alleanze territoriali e nazio-nali, è stato principalmente il frutto dell’azione deidelegati della Fiom (Ds, PdCI, Prc e delegati co-munisti senza partito). Gli altri delegati sindacali,in parte sono rimasti inerti, in parte hanno osta-colato tale sforzo organizzativo unitario...In ultimaanalisi, l’odierna lotta per l’unità dei comunisti,presenta due aspetti dialettici: il primo è la lottaper la loro unità di partito, necessariamente omo-genea e processuale; il secondo è la lotta per laloro salda unità d’azione, necessariamente etero-genea e costante. Quest’ultima può assumere anche le forme di ununico partito di massa, purchè vengano evitati er-rori come quelli commessi nel 1991 da gruppi di-rigenti del Movimento della rifondazionecomunista (inclusione di caporioni trotckisti cherespinse nel Pds buona parte dei lavoratori comu-nisti) e nel 1998 dalla maggioranza movimentistadel gruppo dirigente del Prc (rottura con il governoProdi, sempre per influenza dei trotckisti, con ul-teriore divisione dei lavoratori comunisti).

xiv Scienza e socialismo, Rivista Gramsci,numero13 del gennaio 2009, pag.15: Per assolvere questo

ruolo storico i comunisti devono costruire il loropartito, sulla base della politica della classe ope-raia e sulla convinzione della necessità di un par-tito in cui sia predominante la componenteinternazionale rispetto a quella nazionale. La tor-tuosa e lunga vicenda degli ultimi 40 anni dei mar-xisti-leninisti italiani dimostra la maggiorecomplessità della lotta per la ricostruzione del par-tito della classe operaia nei paesi imperialisti. At-tualmente, nell’area dei paesi imperialisti europei,opera un Coordinamento di forze e di partiti co-munisti marxisti-leninisti. Esso può essere raffor-zato e reso organico al Coordinamento delle forzee dei partiti comunisti, con un rapporto gram-sciano, capace di legare la massima identità allamassima unità, necessario a realizzare una vastae profonda riunificazione della classe operaiaespressa nel Coordinamento europeo dei delegatidei grandi Gruppi multinazionali e dei Laboratoripubblici della ricerca avanzata. Il Partito comu-nista tedesco (Dkp), il Partito del lavoro del Belgio(Ptb), il Nuovo Partito comunista dei Paesi Bassi(Ncpn) e il Partito comunista del Lussemburgo(Kpl) hanno costituito un Coordinamento che siriunisce per trattare questioni di comune interesse.È molto significativo che il Dkp partecipi anche alCoordinamento internazionale delle forze e deipartiti comunisti. Esemplificativo è anche l’esem-pio di unità d’azione tra Ptb, Partito comunistabelga e Partito comunista del Canton Ticino su im-portanti battaglie comuni per colpire le grandi ric-chezze, battaglie che ormai non hanno più unrecinto nazionale: ...La ristrutturazione capitali-stica parcellizza quindi la composizione di classe,cancella diritti universali restituendoli alla disu-guaglianza del libero mercato(..)Il sistema capita-listico è forzatamente in continua evoluzione, inquanto le sue contraddizioni intrinseche portanoalla ricerca delle controtendenze che permettonodi superare le crisi: il semplice allargamento dellasfera d’influenza del capitale, l’uso sempre mag-giorato di capitale fittizio (non derivante cioè daun processo produttivo di ricchezza) e la distru-zione di capitale. Le conseguenze più dirette por-tate da tali tentativi di “evasione” dalle propriecontraddizioni sono la tendenza a formare mono-poli(..)La contraddizione tra capitale e lavoro equindi lo sfruttamento capitalistico restano ele-menti centrali della nostra analisi(…) (Partito co-munista del Canton Ticino, documentoc o n g r e s s u a l ehttp://www.partitocomunista.ch/index.php?op-tion=com_content&view=article&id=406:tesi-congressuali&catid=82:2013-10-29-06-01-26&Itemid=50) A riguardo, così si esprime Elke Kahr, di-rigente comunista di Graz, del partito comunistaaustriaco (KPO) Come per l’insieme dei paesi eu-ropei, la situazione in Austria si sta deteriorando eGraz non fa eccezione. Ciò ha molto a che fare con

la politica dell’Unione Europea, ma incidonoanche le politiche a livello nazionale che promuo-vono costantemente piani di austerità e aumentanoin tal modo la pressione sulla popolazione(...)Allostesso tempo, chiediamo una redistribuzione dellericchezze dei più fortunati verso i meno tutelati, ein particolare l’applicazione di un’imposta sui pa-trimoni (Austria: Elke Kahr la ribelle rossa diGraz, intervista rilasciata al settimanale Solidaire,organo del Partito del Lvoro Belga (Ptb)http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/8171-austria-elke-kahr-la-ribelle-rossa-di-graz.html)

xvStato e nazione, Rivista Gramsci n.17 del Mag-gio 2012 : Un solo Stato di più Nazioni: il poterecontinentale della classe operaia e il Governo na-zionale dei suoi alleati sottraggono la società dalvicolo cieco degli egoismi nazionalisti e costitui-scono la Nuova Europa del lavoro e della demo-crazia. Lo Stato sovietico sorto dalla Rivoluzione d’Otto-bre del 1917 non è stato l’inizio della costruzionedel socialismo in un solo paese, ma in un grandeContinente di 15 paesi e 100 nazionalità.L’Urss (Unione delle Repubbliche Socialiste So-vietiche) era lo Stato con il territorio più esteso delmondo (circa 23 milioni di Km2 quasi tre voltequello degli Usa e più del doppio di quello dell’Eu-ropa occidentale) e il terzo per popolazione (circa280 milioni di abitanti)

xvi Europa democratica socialista, RivistaGram-sci, n.22 del giugno 2013: Lo stesso Partito comu-nista, sorto nel 1898 a Minsk, fu concepito efondato da Lenin come Partito continentale inter-nazionale,così come quello di Gramsci nel 1921era la sezione italiana della Terza Internazionale.

xvii ORSAA, Crisi del monopolismo, RivistaGramsci, numero 19 del febbraio 2013 pag. 8;(…) Il Partito della classe operaia europea na-scerà laddove più avanzata e concreta sarà l’unitàd’azione tra i partiti comunisti e di sinistra esistentiin più nazioni.

xviii Antonio Gramsci, Due rivoluzioni, L’OrdineNuovo del 3 luglio 1920: In Germania, in Austria,in Baviera, in Ucraina, in Ungheria si sono verifi-cati questi svolgimenti storici; alla rivoluzionecome atto distruttivo non è seguita la rivoluzionecome processo ricostruttivo in sensocomunista...L’esperienza delle rivoluzioni ha peròmostrato come, dopo la Russia, tutte le altre rivo-luzioni in due tempi siano fallite e il fallimento dellaseconda rivoluzione abbia piombato le classi ope-raie in uno stato di prostrazione e di avvilimentoche ha permesso alla classe borghese di riorganiz-zarsi fortemente e di iniziare l’opera sistematica di

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schiacciamento delle avanguardie comuniste chetentavano ricostituirsi.

xix I nuclei gramsciani, Rivista Gramsci n.14 delMaggio 2010, da pagina 4: “Per sostenere la fun-zione dirigente della classe operaia in questo deli-cato passaggio della storia della società umana, lesincere forze della democrazia e del socialismo de-dicheranno tutto il loro entusiasmo al ruolo deci-sivo dei Nuclei gramsciani internazionali. Lastretta unità d’azione dei Partiti comunisti europeie l’inizio di una ritrovata unità di lotta della classeoperaia internazionale costituiranno la base diquel minimo di militanza politica necessaria al-l’analisi rivoluzionaria, capace di fecondare l’ine-dita costruzione di un forte ed unico partitocomunista in un’area socialmente complessa dipaesi imperialisti.”

xx Antonio Gramsci, Il partito comunista, L’Or-dine Nuovo 8 ottobre 1920 (La sede del Con-gresso venne poi spostata a Livorno per ragioni disicurezza: a Firenze già imperversavano i fascisti,mentre a Livorno i lavoratori tenevano ancora inpugno la situazione): Il Partito socialista, di giornoin giorno, con una rapidità fulminea, si decomponee va in isfacelo; le tendenze, in un brevissimo girotempo, hanno già acquistato una nuova configu-razione; messi di fronte alle responsabilità del-l’azione storica e agli impegni assunti nell’aderireall’internazionale comunista, gli uomini e i gruppisi sono scompigliati, si sono spostati; l’equivococentrista e opportunista ha guadagnato una partedella direzione del Partito, ha gettato il turbamentoe la confusione nelle sezioni. ..I comunisti sinceri edisinteressati, sulla base delle tesi approvate dal IICongresso della III Internazionale, sulla base delleleale disciplina alla suprema autorità del movi-mento operaio mondiale, devono svolgere il lavoronecessario perché, nel più breve tempo possibile,sia costituita la frazione comunista del Partito so-cialista italiano, che, per il buon nome del prole-tariato italiano, deve, nel Congresso di Firenze,diventare, di nome e di fatto, Partito comunista ita-liano, sezione della III Internazionale comunista:perché la frazione comunista si costituisca con unapparecchio direttivo organico e fortemente cen-tralizzato, con proprie articolazioni disciplinate intutti gli ambienti dove lavora, si riunisce e lotta laclasse operaia, con un complesso di servizi e distrumenti per il controllo, per l’azione, per la pro-paganda che la pongano in condizione di funzio-nare e di svilupparsi fin da oggi come un vero eproprio partito.Il compagno Antonio Gramsci propone dunque dicostituire una Frazione comunista. L’accelerazionebordighista impressa durante il Congresso del Psiportò alla costituzione del Pcd’I il 21 gennaio 1921.Seguirono tre anni di difficoltà, divisioni delloschieramento di sinistra e di repressioni mussoli-

niane. Gramsci, eletto parlamentare comunista il 6aprile 1924, in meno di due anni nel corso dei qualipercorse la penisola in lungo e in largo, ricostruì ilPcd’I che al III Congresso di Lione del 1926 as-sunse la struttura organizzativa e il programma po-litico del vero partito leninista dì avanguardia dellaclasse operaia italiana. Il lavoro di decantazione po-litico-organizzativo che Gramsci intendeva affidarealla Frazione comunistavenne fatto, con più fatica,con più tempo, e con minore efficacia, per l’intem-pestività, astratta e formalista, delle accelerazionibordighiste del 1921. Il Partito Nuovo nasce benequando riesce ad allearsi con il vecchio dal quale èsorto, secondo la magistrale indicazione di Lenin:“Separatevi da Turati e poi fate l’alleanza con lui”,pronunciata nel luglio del 1920, al 2° congressodella 3ª Internazionale. Lenin giudicava, però,troppo prematura l’operazione ed esiguo il nucleobordighista per una nuova forza politica.

xxi 7 documenti per contribuire a costruire il par-tito comunista fondato sul marxismo-leninismocreativo,La Via del Comunismo n.13 dell’aprile2001, pag. 14:“….il Cmld’I, unendo i marxisti-le-ninisti in un forte telaio presente in tutti i filoni delleforze comuniste del paese, sorge per battere l’iner-zia riformista e l’avventurismo trotkista, per impe-dire ulteriori divisioni dovute a fughe elettoralisteo settarie e per favorire un convergente processodi “cernita unitaria”, consistente nel trasformarei partiti revisionisti in difensori democratici degliinteressi antimonopolisti delle classi alleate delproletariato e nel creare le condizioni per costruireun autentico partito comunista della classe ope-raia, fondato sul marxismo-leninismo creativo”.l’Unità dei comunisti, La Via del Comunismon.20 del settembre 2003, pag.17: (…). Con pro-fondo spirito autocritico, al di là delle prevedibiliostilità in contrate, ci sentiamo di dire che questoimpegno disorganizzato ha impedito di legarsi in-timamente con i compagni delle altre provenienzee con i lavoratori comunisti. Tutto ciò ha impeditodi riversare appieno nel processo della Rifonda-zione il patrimonio unitario e positivo dell’espe-rienza dei marxisti- leninisti italiani. Soprattutto haimpedito loro di svolgere un efficace ruolo unitario,teso a superare le influenze negative del revisioni-smo, le cui correnti di destra e di “sinistra” sononuovamente entrate in collisione producendonell’autunno del 1998 una nuova e più profondadivisione dei comunisti. Dopo questa gravissimalacerazione che ha approfondito la divisione deicomunisti, i marxisti-leninisti più militanti del no-stro paese svolsero, nella primavera del 2000, unesame critico ed autocritico costituendo il Comi-tato marxista-leninista d’Italia. Compito delCmld’I è coordinare le esperienze dei marxisti-le-ninisti militanti nei diversi partiti e gruppi comu-nisti per svolgere un’agitazione politico idealeunitaria per un’attenta politica di unità dei comu-

nisti. Gli ultimi cinquant’anni hanno dimostratouna delle tesi fondamentali del marxismo-lenini-smo e cioè il legame stretto e dialettico che deveintercorrere tra la lotta economica e la lotta poli-tica della classe operaia. Quando ci si lascia lu-singare dalle conquiste economiche,abbandonando la lotta per la presa del potere po-litico (o il mantenimento nei paesi socialisti), si ot-tengono avanzamenti economici temporanei chela borghesia si riprende (come sta avvenendo) unavolta riconcentrato nelle sue mani tutto il poterepolitico. Per poter infliggere una sconfitta al pro-letariato e al so- cialismo, la borghesia ha puntatoprincipalmente, appunto, sul sindacalismo e sullospontaneismo, distogliendo la classe operaia dallalotta politica e da una visione generale dei pro-blemi dell’intera società. Uno dei compiti fonda-mentali del Cmld’I è quindi questa rieducazionepolitica: legame stretto tra la lotta sindacale e lalotta politica e riproporre una visione generale ditutti i problemi della società in difesa di tutte leclassi oppresse dal monopolismo finanziario.(…)Nel 1993, a seguito della confluenza incompletadel Partito comunista d’Italia (marxista-leninista)nel Partito della Rifondazione comunista, per ini-ziativa dei compagni Ennio Antonini, Angelo Cas-sinera, Fosco Dinucci, Maurizio Nocera e PietroScavo (vedasi il Quaderno di Nuova Unità Perl’affermazione del marxismo-leninismo, per il co-munismo) venne fondato il Centro Lenin-Gramsci.Dopo l’ulteriore divisione dei comunisti italiani conl’uscita del Pdci dal Prc il Centro Lenin-Gramsci,nel corso del 1999, svolse una profonda riflessionesollecitata principalmente dal compagno RaffaeleDe Grada, con queste decisioni: 1) Il Centro Lenin-Gramsci (Clg)venne denominato Centro Gramscidi Educazione e di Cultura (Cge), ora CentroGramsci di Educazione (Cge);2) Nel suo seno, venne costituito il Cmld’I (Comi-tato marxista-leninista d’Italia), fortemente volutodai compagni Angelo Cassinera e Pietro Scavo, perla lotta per il partito e la presa del potere politicodella classe operaia; 3) Il Cmld’I assunse l’impegno di assorbire il di-savanzo di 34 milioni di lire del Clg, di gestire latesoreria del Cge e di dirigere la rivista La Via delComunismo. Il disavanzo accumulato dal Clg,venne sostanzialmente ammortizzato da pochis-simi compagni, tra i quali generoso risultò l’impe-gno della compagna Angela Firulli e del compagnoVito Falcone.La costituzione del Cmld’I avvenne in tre riunionisvoltesi a Bologna il 9 gennaio, il 27 febbraio e il29 aprile del 2000. Ad esse parteciparono: ErnestoAchilli, Lia Amato, Ennio Antonini, Aldo Bernar-dini, Angelo Cassinera, Piero De Sanctis, AdaDonno, Maurizio Nocera, Lorenzo Pace, Gian-franco Robustelli, Pietro Scavo, Carlo Sforzini,Giuseppe Tiberio ed altri. All’ultima riunione nonpartecipò Aldo Bernardini.

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Il PCd’I (m-l) è nato nel1966 in continuità con il

partito gramsciano (Livorno1926) per portare avanti unagiusta linea di lotta rivoluziona-ria per il socialismo dopo chequesta linea fu abbandonata(prima nei fatti e poi anche teo-rizzata) dal PCI. Se il congressodi Livorno del ‘26 rappresentala rottura con il settarismo bor-dighiano , il ‘66 segna la rotturacon il riformismo del “Partitonuovo” togliattiano.

La peculiarità del “partitonuovo” è stata quella di passareda una organizzazione per cel-lule (di fabbrica, di quartiere, divillaggio) ad una territorialedove le sezioni rappresentavanoil centro della vita del Partito (ilché, volenti o nolenti, ha com-portato una diminuzione di nu-mero e di importanza delle oltrecinquantamila cellule del Pcinell’ immediato secondo dopo-guerra e un aumento del pesorelativo delle classi medie cherappresentando soltanto il 25%degli iscritti erano presenti neicomitati regionali con una per-centuale dell’ 80% verso la finedegli anni settanta).

Non è l’ organizzazione in séil problema, ma è il fine che cisi prefigge di raggiungere. Cioèse lo scopo del Partito, in unadeterminata fase storica, è

quello di instaurare il sociali-smo oppure se sia necessarioprocedere di riforma in riformaper superare il capitalismo. Perrisolvere il problema bisognasaper comprendere innanzituttola fase storica attuale in cui citroviamo e per farlo è necessa-rio possedere una teoria con cuiinterpretare la realtà.

Rimanendo nell’ ambito dellasinistra, che almeno a parolenon rinnega il marxismo, c’è laconsapevolezza di essere in unperiodo di crisi sistemica emondiale del capitalismo e lelinee politiche cui si approdasono sostanzialmente due. C’èchi dice che per risolvere la crisia favore dei popoli bisogna ri-costruire il partito, conquistarele “trincee” della società civile,costruire le proprie forze armate(la guerra di posizione gram-sciana) e passare, una voltacreate le condizioni, all’ assaltodelle forze della reazione(guerra di movimento gram-sciana).

L’ altra posizione considera in-vece che tra il capitalismo e ilsocialismo ci sia una lunga fasedi transizione sul modello dellaNep leniniana e delle “Nuovedemocrazie” orientali a partiredalla Repubblica Popolare Ci-nese e che di conseguenza biso-gni ricostruire il partito,

riformare il capitalismo e rein-trodurre elementi di interventopubblico in economia (econo-mia mista) finché dopo unalunga competizione fra ele-menti di pianificazione statale emercato capitalista si giunga alprevalere del socialismo (e al-lora sarà possibile anche la rivo-luzione).

E’ chiaro che dalla linea d’azione che si fa propria dipendeanche la forma partito. Se siconsidera che non esiste nes-suna transizione dal capitalismoal socialismo il partito lo si co-struisce in modo da poter esserelo Stato maggiore del proleta-riato in qualsiasi situazione(vedi l’ organizzazione e l’azione del PCd’I negli annidella dittatura fascista). Mentrese si fa propria la linea dellungo periodo di transizione,sebbene ci si pronunci a favoredella struttura organizzativa percellule nei luoghi di produ-zione, volenti o nolenti, si dà lapriorità alle istanze territorialiche sono il luogo dove si svol-gono le importanti battaglieelettorali, istituzionali e dove sidanno risposte ai problemi dellagente senza però uscire dai li-miti imposti dal capitalismo (al-trimenti inizia la disobbedienzacivile e se questa si generalizzasi pone all’ ordine del giorno un

LA LINEA DEL PCd’I (m-l)E LA REALTA’ POLITICA ODIERNA

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nuovo ordine sociale o quanto-meno un governo di emergenzache è assolutamente l’ oppostodei governi tecnici, di larghe in-tese, di scopo e finanche diunità nazionale che si sono suc-ceduti negli ultimi trent’ annidella storia della Repubblicaitaliana le cui politiche, indistin-tamente, sono state quelle disalvaguardare e ingrassare ilgrande capitale transnazionale adiscapito dei lavoratori e anchedelle classi mediedel proprio paese).

Ritornando altema della lineapolitica assunta dalPCd’I (m-l) dal‘66 (anno di fon-dazione) al ‘91(anno dello scio-glimento) è da ap-prezzare la volontàdi colmare il vuototeorico-culturale epolitico lasciato asinistra dalla svoltain senso riformista del PCI evi-denziatasi soprattutto durante ilperiodo del cosiddetto “ com-promesso storico”, ma al di là ditutte le affermazioni e declama-zioni contenute nei documenticongressuali (in proposito diparticolare interesse sono l’ ap-pello ai lavoratori e la risolu-zione politica del quartocongresso nazionale svoltosi aRoma nel Gennaio 1984) non èmai riuscito ad essere un partitocon un influenza di massa assu-mendo, consapevolmente o

meno, al massimo un ruolo disprone a sinistra alla politica delPci.

Infatti a livello elettorale, siaper mancanza di fondi e sia permancata “visibilità” mediatica,il Partito oscillava fra un asten-sionismo includente e un indi-cazione di voto per compagnidel Pci in alcune realtà territo-riali (poche volte riusciva a fareinserire delegati del partito nelleliste comuniste e raramente si

presentava autonomamente alleelezioni territoriali con un unicocaso di un consigliere comunaleeletto in una cittadina del Meri-dione).

Non che i comunisti siano in-namorati del momento eletto-rale e tantomeno delle poltronedei centri decisionali, ma lamancanza di un consenso elet-torale e di una sponda istituzio-nale erano (e sono) il riflessodel carente radicamento all’ in-terno delle dinamiche della lottadi classe egemonizzate dal Pci

e a volte da forze “estremiste”.Non aver compreso il carattere

nazionale-popolare del popoloitaliano che richiedeva una ela-borazione originale di una viaitaliana al socialismo (non in-tesa certo come via parlamen-tare al socialismo) permobilitare i lavoratori alla lottaper il lavoro, la dignità, le li-bertà democratiche, ma rinchiu-dersi nella propaganda di saldiprincipi ideologici e aspettare

che la crisi econo-mica, sociale, mo-rale spingesse ilpopolo alla “solle-vazione” e lo avvi-cinasse al Partito,non organizzarsied agire alla ma-niera degli annibui del regime fa-scista, non valoriz-zare pienamente laResistenza nazifa-scista (sia politicache militare) fino a

ricavarne un nuovo modello perla rivoluzione socialista neipaesi imperialisti (trovando l’anello mancante tra liberazionenazionale e socialismo) sonostati i limiti del PCd’I (m-l) cheè necessario superare oggi per-ché la crisi mondiale del si-stema capitalista è ancora incorso e si stà aggravando e levie di uscita sono sempre più ri-strette e alla fine si ridurranno adue : o rivoluzione o reazione eguerra di distruzione.

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Livorno 14/10/66 - Rapporto di Fosco Dinucci al Congresso difondazione del Pcd’I (m-l)

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Sta diventando pensiero diffuso,a sinistra, la concezione che la

classe operaia abbia perso coscienzadi sé e del suo ruolo, sia rinunciata-ria, non esista più. Quanto accadutoin questi mesi in Val Vibrata dimo-stra invece quanto false siano queste“nuove teorie”, create ad hoc pergiustificare strabilianti teorizzazioni,nuovi socialismi del XXI secolo ecose varie e eventuali, teorie portateavanti da settori estranei al proleta-riato, ammantati di una veste diestrema sinistra, che non hanno fi-ducia nel ruolo storico emancipatoredella classe operaia.

A Martinsicuro, i lavoratori dellaCarbotech, all’interno di un quadrodi pesante clima intimidatorio, al to-tale disinteresse aziendale riguardoalle condizioni di salute e sicurezza,(condizioni culminate con una seriedi gravi incidenti) hanno lottatodopo il mancato accordo per il rin-novo dei contratti interni di secondolivello ed affinchè vengano assuntemisure per tutelare la salute deglioperai.

La decisione aziendale di prospet-tare l’annullamento dei contratti in-terni di secondo livello ha fattoinvece subito scendere in scioperogli operai della Eurocarbo di Corro-poli, che hanno denunciato, insiemeai lavoratori della Carbotech, chenon si possono annullare o eventual-mente rinegoziare i contratti di se-condo livello legandoli alla

produttività, alla qualità del lavoro,ai reclami, al costo cernite: in primisi lavoratori hanno fatto notare chedebbono operare in pochi su tantimacchinari, vecchi e molto logori,facendo notare che ciò influisce sullariuscita del pezzo. Gli operai fannoparlare i fatti, smascherando i trucchifurbeschi dietro i quali spesso le pro-prietà accampano puerili scuse pernon rinnovare i contratti.

Contro la decisione di chiudere lostabilimento di Martinsicuro, lottanogli operai della Bontempi, storicaditta che produce organetti musicaligiocattolo. I lavoratori della societàRuzzo Reti S.p.A., gestore delservizio idrico integrato nellaprovincia di TeramoRuzzo RetiS.p.A. sono da mesi in stato di agi-tazione e denunciano come, favo-rendo uno scandalismo di facciataattraverso una voluta conduzionespregiudicata della società pubblica,si vogliono creare le condizioni perprivatizzare l’Ente, dandolo in pastoa predoni privati, secondo una stra-tegia voluta da tempo e da tempoimposta. A dicembre la Las Mobili,azienda storica della Val Vibrata diimpatto nazionale, ha arbitraria-mente messo in mobilità 40 lavora-tori, dopo i 40 di luglio e dopo che agennaio 2013 era stato esternalizzatoil reparto carico. I lavoratori hannoimmediatamente denunciato la stra-tegia padronale, mirata a restringereconsiderevolmente l’attività produt-

tiva, e sostengono di non potersi ca-ricare sulle loro spalle il peso di unaristrutturazione così violenta e pe-sante, che sta avvenendo nel com-plice silenzio generale di forzepolitiche (ad eccezione di Pdci e Sel)e governi comunali, provinciali e re-gionali. L’avanguardia cosciente eorganizzata degli operai Las, intendedifendere fino in fondo il proprioposto di lavoro ed i propri diritti; ri-fiutando l’accomodamento alla sot-toscrizione dei verbali di risoluzionedel rapporto lavorativo, i lavoratorihanno iniziato una lunga battagliaper il riconoscimento dei propri di-ritti e per scongiurare un piano sel-vaggio di licenziamenti cheminaccia anche gli altri operai an-cora in azienda.

I lavoratori dello stabilimento Ha-tria di Sant’Atto(Te) del GruppoMarazzi hanno deciso una serie diiniziative di protesta in risposta alladecisione aziendale di non far ripar-tire la produzione, ferma ormai damesi. Il Gruppo Marazzi, multina-zionale italiana nel campo cerami-che, piastrelle e sanitari, è tra i primiquattro produttori mondiale del set-tore, con un fatturato dichiarato diquasi un miliardo di euro (970 mi-lioni). Negli anni settanta il Gruppoè cresciuto attraverso una politica diacquisizione di aziende italiane edestere, ma è stato recentemente a suavolta acquisito dal monopolio ame-ricano Mohawk IndustriesInc. per

LOTTA DI CLASSE IN VAL VIBRATA

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1,5 miliardi di dollari, attraversoun’operazione economica che haavuto l’appoggio del colosso finan-ziario Barclays. Oggi l’Hatria vieneceduta a CoBe Capital, una grandesocietà finanziaria privata americanaspecializzata in acquisizioni, recu-peri e gestioni di cessioni aziendaliritenute “non soddisfacenti”. Ilgruppo finanziario, fondato nel 1994da Neal Cohen, opera principal-mente nelle Americhe e inEuropa, ed aveva concessofinanziamenti all’Hatria percirca una trentina di milionidi euro, mentre il valoreaziendale dell’impianto tera-mano si aggira intorno ai 25milioni di euro. E’ un’opera-zione di private equity comesi dice in gergo, dove si pro-cede a profonde ristruttura-zioni di cui ne faranno lespese i lavoratori in primapersona, ma anche chi lavoraesternamente per l’Hatria.Questi grandi processi diconcentrazione monopolista,tratto tipico dell’attuale faseeconomica, avvengono attra-verso la fusione e l’intreccio tragrande capitale finanziario e indu-striale.

Questi imponenti processi di ac-centramento monopolista, tratto ti-pico che determina gli attuali scenaridi crisi economica, avvengono attra-verso la fusione e l’intreccio tragrande capitale finanziario e indu-striale: in sostanza, le formazionimonopoliste, una volta rilevate leaziende concorrenti, procedono alla

loro dismissione, dopo averne assor-bito marchi o settori tra i più dina-mici.

Questo imponente processo di ac-centramento monopolista è il trattotipico che determina gli attuali sce-nari di crisi economica: in sostanza,quasi sempre le formazioni monop-oliste, una volta rilevate le aziendeconcorrenti, procedono alla loro dis-missione, dopo essersi impadroniti

di prodotti e settori tra i più compet-itivi sul mercato.

La classe operaia dunque c’è,lottae ribatte colpo su colpo, in condi-zioni durissime di isolamento ed ac-cerchiamento, all’offensivapadronale che vuole licenziare perottenere più profitto, o cancellarecontratti di secondo livello e appe-santire i tempi di lavoro; i lavoratorireagiscono alla strategia monopoli-sta che assorbe e impone la chiusura

di importanti aziende di respiro na-zionale, così come al tentativo deigrandi gruppi privati di creare unclima scandalistico per giustificarela privatizzazione di enti regionali.Le condizioni di lotta ed i risultatiche si ottengono rispecchiano la si-tuazione generale di un’offensivamonopolista restauratrice che dividee disgrega l’intera società: senzaalcun appoggio, circondati da un

muro di gomma e di classeche isola e circonda la classeoperaia, i lavoratori non sipiegano, a differenza dellavisione pessimistica di unnugolo di intellettuali como-damente seduti sui loro sofà.Lavorare invece a romperel’accerchiamento, unificarele lotte della Eurocarbo conquelle della Carbotech, dellaBontempi con quelle dellaRuzzo Reti e della Las Mo-bili, ed essi tutti con la lottacontro la riforma e la sop-pressione dei tribunali, perfare un esempio. Nell’attualeepoca di crisi del capitali-smo, la classe monopolista

rastrella ferocemente denaro an-dando a colpire categorie che fino aieri erano considerate privilegiate:piccola e media imprenditoria, com-mercianti, lavoratori intellettuali. E’ nell’interesse generale lottarecontro il potere della classe mono-polista e contro le multinazionali,contro i grandi padroni che posseg-gono i grandi gruppi finanziari, chedeterminano le attuali politiche an-tioperaie e antipopolari, che spin-

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Gli operai della Carbotech di Martinsicuro(Te) in sciopero. Giugno 2013

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gono i lavoratori del continenteverso scenari di disoccupazione, po-vertà, guerra

L’unità delle lotte della classe ope-raia e dei lavoratori è la risposta allaframmentazione delle lotte, che èscientificamente imposta, cosi’come funzionali ai monopolisti sono

le divisioni sindacali. Esistono le condizioni per rompere

l’isolamento e creare un grande mo-vimento di massa, un ampio frontedemocratico antimonopolista direttodalla classe operaia, che lotti per ri-vendicazioni immediate e sinergica-mente e organicamente, attraverso

queste battaglie si acquisti consape-volezza per portare la lotta versol’orizzonte strategico della trasfor-mazione rivoluzionaria della società.

Questo oggi ci insegna la classeoperaia vibratiana.

È noto a tutti quanto il capitale monopolistico abbia acuito gli antagonismi del capitalismo.Basta accennare al rincaro dei prezzi e alla pressione dei cartelli. Questo inasprimento degliantagonismi costituisce la più potente forza motrice del periodo storico di transizione, ini-ziatosi con la definitiva vittoria del capitale finanziario mondiale. Monopoli, oligarchia, ten-denza al dominio anzich...é alla libertà, sfruttamento di un numero sempre maggiore di nazionipiccole e deboli ad opera di un numero sempre maggiore di nazioni più ricche e potenti: sonole caratteristiche dell’imperialismo, che ne fanno un capitalismo parassitario e putrescente.Sempre più netta appare la tendenza dell’imperialismo a formare lo Stato entier, lo Stato usu-raio, la cui borghesia vive esportando capitali e tagliando cedole. Sarebbe erroneo credereche tale tendenza alla putrescenza escluda il rapido incremento del capitalismo: tutt’altro.Nell’età dell’imperialismo i singoli paesi palesano, con forza maggiore o minore, ora l’unaora l’altra di quelle tendenze.

Lenin

Per approfondire:

http://www.comunisti-italiani.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=9038

http://www.comunisti-italiani.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=9113

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Gli operai Atr di Colonnella e Carbotech di Martinsicuro (Te) in sciopero, Giugno 2013.

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Dopo anni di chiusura e dicassa integrazione la ex-

Bertone di Grugliasco (TO) hariaperto i cancelli e riavviato laproduzione sotto le insegne delGruppo Fiat. Il marchio dellostabilimento è quello della Ma-

serati ma oramai i marchi nonhanno più i loro riferimenti sto-rici e territoriali, sono imma-gini prive dei solidi legami delpassato. Oltrepassando i can-celli sembra non sia cambiatomolto rispetto ai procedimenti

del periodo fordista, se non perl’assenza della “comunità deilavoratori” e della soggettivitàoperaia, azzerata dalla compe-tizione interna ed esterna allafabbrica e dal nuovo individua-lismo.

LAVORARE COL PANICOProdurre nel “polo del lusso” ai tempi di Mar-

chionne. Intervista ai lavoratori della Maserati.

Pubblichiamo un’intervista ad alcuni operai dello stabilimento Maserati di Grugliasco (To) a cura dell’Osservatorio sulla com-posizione di classe. L’ex stabilimento della Bertone è stato riaperto e rientra sotto il controllo Fiat.

Oggi la crisi strutturale causata dall’accumulazione monopolista si esprime restringendo le attività e la base produttiva. Ciòacutizza le contraddizioni e la concorrenza inter-monopolistica, aumenta la diseguaglianza sociale, ed in definitiva alimenta i pericolidi guerra. In risposta a ciò, c’è chi invoca la necessità di nuovi investimenti, per creare nuovi posti di lavoro, equivocando su unafalsa quanto facile equazione investimento=occupazione. C’è un difetto di interpretazione, c’è un limite che consiste nel pensare lacrisi dentro gli schemi della socialdemocrazia.

E’ notizia recente che Michelin investirà 800 milioni di euro in Francia da qui fino al 2019 per aumentare l’efficienza dei suoi sta-bilimenti e sviluppare il centro di ricerca di Clermont-Ferrand. Allo stesso tempo però il gruppo d’Oltralpe fermerà la produzionedi pneumatici per camion, mandando a casa 730 lavoratori, come detto prima. Fiat (e non solo) ottenne dallo Stato il diritto a ri-strutturare le sue imprese. La famosa legge 675 sulla riconversione industriale, fu uno strumento formidabile per introdurre nuovetecnologie nei processi produttivi, e grazie al massiccio ricorso alla Cassa integrazione Guadagni la Famiglia Agnelli espulse dalprocesso produttivo migliaia di operai: dei circa 250 mila impiegati in Fiat negli anni Ottanta (60mila solo a Mirafiori), ne restanooggi scarsi 24 mila, la maggior parte dei quali in cassa integrazione. Una volta per tutte è dimostrato quanto siano false ed illusoriele teorie di chi sostiene che l’occupazione cresce in misura proporzionale con l’innovazione e gli investimenti. In realtà a cresceresono i profitti, la disoccupazione e la crescente povertà delle masse lavoratrici, mentre la crisi si acutizza sempre di più. L’investimento,l’efficienza aziendale non è di per sé elemento di crescita, perché all’aumento dei fattori di produzione e redditività non corrispondeun aumento della base produttiva. Questi fenomeni si possono comprendere solo analizzandoli dal punto di vista marxista, cioè evi-denziando la contraddizione tra rafforzamento crescente dei complessi monopolistici, e il crollo delle risorse produttive umane.

La ricerca del massimo profitto da parte dei monopolisti ha ridotto continuamente il potere d’acquisto delle masse lavoratrici, de-terminando una crisi di sovrapproduzione relativa. I monopolisti rispondono dirigendo le proprie strategie laddove il mercato èsolvibile: verso il lusso, le armi, la finanza, il terziario, riducendo i volumi di produzione e causando una immane distruzione diforze produttive, umane e materiali. La Fiat ad esempio sta facendo questo, e il polo del lusso Maserati qui descritto ne è la conferma:da una parte disoccupazione di massa nei settori produttivi non solvibili dal mercato, dall’altra condizioni di supersfruttamento peri lavoratori che restano nel ciclo produttivo,(nello specifico vediamo qui un settore che in tempo di crisi,non risente di essa, il polodel lusso appunto) sottoposti a feroci ritmi di flessibilità: aumento dell’intensità del lavoro, ritmi serrati, repressione in fabbrica,tagli al salario. La riduzione drastica del salario ovviamente peggiora la vita dei lavoratori ancora occupati perché oltretutto siinnalza l’intensità del lavoro e della giornata lavorativa. Infatti, se è vero che durante i periodi di crisi la produzione si riduce, ed inmolti casi si lavora non a pieno ritmo settimanale, questo non comporta assolutamente una diminuzione dello sfruttamento: la ten-denza è quella di intensificare la produzione, anche arrivando a prolungare la giornata lavorativa: insomma, tanto meno affari sifanno, tanto maggiore deve essere il margine di guadagno. Meno giorni si lavora, maggiore è la quantità di tempo di lavoro da con-segnare al plusvalore. Con questa dovuta premessa offriamo al lettore uno spaccato reale delle condizioni di lavoro e di isolamentoodierni della classe operaia, ricordando che la teoria parte sempre dall’analisi concreta della situazione concreta. ●

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La razionalizzazione dellaproduzione comporta un mag-gior controllo, gli spazi di auto-nomia sui posti di lavoro (giàestremamente limitati) risultanoannullati; la sottomissione aitempi e alle regole deve esserecompleta. Il sindacato di fatto èespulso dal luogo di produ-zione, al più lo si convocaquando ci sono accordi da fir-mare.

In questa fabbrica, dopo Po-migliano la seconda ad essereristrutturata nell’era dopo Cri-sto di Marchionne, gli operaiesprimono la consapevolezzache non stanno solo produ-cendo automobili.In Maserati sono in corso altriprocedimenti che non vengonomai detti in modo esplicito. Quisi stanno selezionando i lavora-tori che faranno funzionare il“polo del lusso” che unirà ilMirafiori a Grugliasco. Qui sista educando alla docilità, al-l’abitudine all’insicurezzaverso il futuro, a lavorare con ilpanico.

OCC: dopo una lunga fermatae molte vicissitudini lo stabili-mento di Grugliasco della ex-Bertone ha ripreso laproduzione sotto il comandodella dirigenza Fiat. Quale ri-strutturazione ha subito la fab-brica?

Antonio: ha subito una ristrut-turazione molto profonda; oggiproduciamo due vetture , cam-

biano alcuni particolari ma si la-vora sulla stessa scocca. Prati-camente la fabbrica è tuttanuova, le linee della produzionesono state completamente rin-novate. Come avrete letto suigiornali abbiamo avuto dei pro-blemi a causa di un temporale:dai tombini e dal tetto è entratanello stabilimento una talequantità di acqua che si è alla-gato tutto, si sono bagnati irobot, insomma un grosso ca-sino che ha bloccato tutto.

OCC: come valutate l’organiz-zazione della produzione in Ma-serati, anche in riferimento allevostre passate esperienze pro-duttive?

Gino: Credo che come operainessuno abbia una visione com-plessiva dell’organizzazionedello stabilimento, conosciamola situazione particolare del no-stro posto di lavoro, cosa nonfunziona nel nostro specifico.Nella ex-Bertone era tuttaun’altra cosa, intanto c’era unsindacato, c’erano dei delegati,c’era un collegamento fra ope-rai, c’erano altri ritmi di lavoro.Oggi non è più così, dalla gerar-chia di fabbrica arrivano soloordini da eseguire, non si puòdiscutere nulla. L’operaio è unsoldatino che deve obbedire,per resto non deve sapere nulla.Ha dei compiti, delle regole, ri-ceve delle consegne che, comedirò, non sono seguite prima ditutto dall’azienda quando ri-

tiene non siano convenienti.Luigi: non c’è comunicazione

fra gli operai, non ci si parla, ra-ramente ci si conosce. Dentro cisono operai che arrivano da Mi-rafiori, dall’Itca, dall’ex-Ber-tone. Ma non è solo il fatto chenon c’è conoscenza, c’è qual-cosa di più, anche di preoccu-pante volendo. Mi riferisco aitempi di lavoro , all’organizza-zione, al fatto che tutto debbaessere fatto in fretta, insommaal modo di lavorare. Vedo ancheche fra gli operai non c’è vogliadi parlare del lavoro, della fab-brica.

Gino: la fabbrica è un postodove si lavora e basta, non è unluogo dove si socializza perchéè costruita e organizzata perprodurre, per dividere non certoper unire. L’operaio deve con-centrarsi sulla macchina, sulsuo lavoro e basta, non ci sonoaltre possibilità.

Antonio: in fabbrica regna ilfascismo, se provi ad accennaread un discorso politico, cam-biano discorso. Anche i compa-gni quelli che hanno fatto gliscioperi, i cortei stanno zitti,non intervengono non solidariz-zano. Mi prendono poi da parteper dirmi” questa è una fabbricanuova Antonio, qui non sei aMirafiori...parla di calcio, di te-levisione, di quello che vuoi manon di politica”. Questo è ilclima che c’è alla Maserati.

OCC: volete dire che non c’è

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alcuna traccia di coscienza, disoggettività degli operai?

Gino: per rendere l’idea si puòpensare alla situazione che c’eranelle vecchie fabbriche automo-bilistiche con in più il fatto chequi non c’è nessun livello di or-ganizzazione operaia, non siesprime alcuna coscienza, nondico che non ci sia, credo chegli operai capiscono lacondizione che vivono,dico che non si esprime innessun modo una co-scienza. Non esistono glioperai come insieme,come “noi”, esistono tanti“io” anche in lotta fra diloro.

Antonio: gli operai sonosuccubi, chi più chi menohanno tutti problemi eco-nomici. Alle spalle c’èstato un lungo periodo dicassa integrazione, poi lacrisi ha colpito tutti e purdi lavorare siamo tutti co-stretti ad accettare qual-siasi cosa.. Fanno di tuttopur di poter fare qualche ora distraordinario, fermano il capo econ insistenza gli chiedono:“stasera? Mi fai fare due orestasera?” Non c’è bisogno cheil capo chieda, sono gli operaiche insistono. Io non farei co-munque gli straordinari; ungiorno ho detto che sono contra-rio a fare gli straordinari quandoc’è ancora troppa gente che nonlavora perché è a casa in cassaintegrazione, il capo mi ac-

chiappa e mi fa: “te li sei giocatiper sempre gli straordinari”

OCC: Gino prima diceva chenon c’è il sindacato in fabbrica,non sono stati eletti i delegati?

Alberto: io vengo da Mira-fiori, non so nemmeno se c’è undelegato, mi hanno detto chec’è ma io non lo conosco, non

si è mai presentato a noi operai;nessuno mi viene a chiedere seci sono dei problemi. Per quelche ne so qui alla Maserati nonhanno mandato ex delegatidella Fiom. Tesserati ce ne sonoma non delegati o comunqueoperai con le palle. Credo che levicende di Pomigliano e i ri-corsi della Fiom abbiano inse-gnato qualcosa alla dirigenzaFiat, qui hanno chiamato iscrittiFiom ma li hanno selezionati,

poi magari qualcuno gli saràanche sfuggito.

OCC: poi tra l’altro qui laFiom si è espressa per il “si” alreferendum.

Gino: non esiste il sindacato ese ne sente la mancanza. L’ope-raio da solo non è in grado di af-frontare e contrapporsi al capo

o al gestore, è troppo de-bole e sotto ricatto, sisente controllato e valu-tato. Sa che dal suo com-portamento dipenderà ilsuo futuro, la possibilità dicontinuare a lavorare. Poiconsiderate che quelli chesono qui a lavorare sono ipiù sicuri per l’azienda,non hanno certo tirato asorte, hanno fatto una se-lezione. Io sono uno chelegge, si informa, studiama non posso espormi,devo lavorare, ho una fa-miglia con dei figli e al-lora mi impegno con iproblemi ambientali, l’in-

ceneritore, il Tav. Vorrei averela possibilità di riprendere l’im-pegno sulla fabbrica, sul lavoro,su questi temi qui che tuttihanno abbandonato ma chesono primari per la vita dellepersone. Quando si dice che lademocrazia te la lasci alle spallequando passi i cancelli dellafabbrica, in effetti è così, chepoi la democrazia non la trovida nessuna parte, ma in fabbricaè peggio. Se penso alle nostre

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Stabilimento Maserati di Grugliasco (To)

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condizioni, c’è da ridere amara-mente quando Berlusconichiede “l’agibilità politica”,oramai le parole non contanopiù nulla.

OCC: certo la condizione dellavoro odierno è una grandequestione che va ripresa a par-tire dalle trasformazione chehanno prodotto la situazione at-tuale, la flessibilità, la preca-rietà, il nuovo mercato dellavoro, l’individualismo cheavete sottolineato anche voi.Anche queste chiacchierate ser-vono. Torniamo alle condizionidi lavoro alla Maserati.

Antonio: voglio dire ancorauna cosa sul sindacato. Qui nonc’è il sindacato, la Fiom nonc’è, il sindacato giallo si na-sconde, si mimetizzano; sonoandato da uno che mi hanno in-dicato come un delegato Uilm,gli faccio: “sei un delegato? Vo-levo dirti...” e quello seccato:“ora non posso ascoltarti, ho dafare, mi parli in mensa”, perdirti cos’è il sindacato in Mase-rati.

Luigi: sulla situazione lavora-tiva il problema è che mancanogli operai per poter raggiungeregli obiettivi della produzione, silavora male, con il fiato corto,si sta sempre a rincorrere. Poiper chi come me, è stato abi-tuato a lavorare con i sistemiBertone, i ritmi sono alti. Misembra che ci siano settori dellafabbrica che non ce la fannoproprio. Mi sembra che non ab-

biano ancora preso le misure dicome si organizza il lavoro.

Antonio: io so che quando cifermiamo ci dicono che è colpadel montaggio che non vaavanti. Il mio capo mi ha confi-dato che deve spingere la gentea lavorare perché ha pochi lavo-ratori; ne ha richiesti, non glielihanno dati e gli hanno detto diaggiustarsi. Riceve sempre sol-lecitazioni perché manca il ma-teriale in linea, che mancaquesto, manca quello. Lui cosadice?: “io la responsabilità lafaccio ricadere su di voi”.

Gino: siamo in una situazioneche è soprattutto di frustrazione,a volte anche di incazzatura manon potendo scaricarla versol’alto, verso la direzione, vieneindirizzata verso gli altri operai,oppure la gente si colpevolizzaperché non riesce a stare dentroi ritmi del lavoro.

Luigi: chi prova a contestarela produzione oppure va in ma-lattia o si infortuna ha fallito laprova, se ne torna in cassa inte-grazione e difficilmente sarà ri-chiamato. I più fanno di tuttopur di non stare a casa, è comese fossero operai “in prova”, unpiccolo infortunio non si denun-cia.

Antonio: io ho visto un paio dicontestazioni, in tutti e due icasi i lavoratori sono ritornati incassa integrazione. I tempi sonocalcolati al secondo: un operaiodella logistica ha contestato chenon ci stava dentro con i tempiper portare i pezzi che servono

alla linea. “Non ce la fai? Tornaa casa a riposarti, chiamiamoquelli che ce la fanno!”. Fun-ziona così. Non sono ammessecontestazioni ma nemmeno os-servazioni che potrebbero mi-gliorare la produzione.

OCC: è convinzione comuneche il “nuovo” modo di pro-durre richieda la collabora-zione dei lavoratori e l’utilizzodei loro suggerimenti per mi-gliorare la produttività. Sen-tendo quel che dite si direbbeche non sia proprio cosi.

Antonio: no, non esiste, quinon è così. Nel mio caso, tantoper fare un esempio, per nonfare troppi viaggi in magazzinoa prendere i pezzi da distribuiresulla linea, caricavo più mate-riale di quel che serviva perl’immediato. Conosco il mio la-voro; per esempio quando vadoin magazzino mi carico tutti ibulloni che mi servono per leotto ore. Ci vado una volta solae mi prendo quello che mi serveper la giornata. Conosco a me-moria tutti i numeri del mate-riale che mi servirà, memorizzotutto. Per me è come andare alsupermercato, so che mi serve 3di questo, 5 di quell’altro, unascatoletta di quelle viti... ho im-parato bene il mio lavoro e miautogestivo così mi prendevoanche del tempo per una siga-retta o un caffè. Ora questa or-ganizzazione del mio lavoronon mi è più consentita. Il ge-store ha ordinato agli operai dicontare i pezzi e se ne portiamo

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di più li dobbiamo riportare in-dietro. In pratica dobbiamosempre essere in movimento enon ci stiamo dentro con itempi, non esiste il fatto di av-vantaggiarsi. Si è sempre al li-mite dei tempi e se già uno sisoffia il naso ha già perso iltempo e rischia di far mancare ipezzi alla linea. Stanno facendodi tutto per metterci l’uno con-tro l’altro, ci dobbiamo control-lare a vicenda, l’operaiodel montaggio deve con-trollare cosa fa quellodella logistica e riferire alcapo se c’è qualcosa chenon va.

OCC: ma tu come ti spie-ghi questi ordini sui nu-meri di pezzi da portare divolta in volta? Che poinon sono funzionali allaproduttività; qual è la lo-gica secondo te? Ci sonoproblemi di sicurezza?

Antonio: la sicurezzanon c’entra ma su questodovremmo fare un di-scorso a parte; non lo so ilperché, non me lo spiego. Loronon vogliono scorte, le scortedevono stare in magazzino, nonin linea. Loro odiano le scorte,è una regola primaria della pro-duzione in Maserati. C’è laguerra tra fra la logistica e chimonta le vetture; farebbe co-modo avere delle scorte invecedi correre sempre in magazzino.Io devo lavorare sempre con ilpanico perché gli altri lavorano

con il panico. Non si può girareper la linea con la faccia rilas-sata, non devi sorridere; nelleotto ore devi stare sempre in pa-nico, triste, in tensione. Uno chenon sa lavorare o che non hamalizia è sempre in difficoltà,nonostante lui lavori, nono-stante ci metta anima e cuorenel lavoro, è sempre in diffi-coltà.

OCC: Antonio prima diceva

che ci sarebbero delle osserva-zioni da fare sulla sicurezza;cosa mi dite?

Alberto: formalmente sembratutto a posto, noi prendiamo vi-sione delle norme e firmiamodelle carte; chi si muove perl’officina deve viaggiare anorma, rispettare la segnaleticae tutto quanto è previsto. Poisuccede che ti senti i capi gri-dare dietro che bisogna muo-

versi, che arranchiamo, che nonci stiamo dentro con i tempi. Al-lora vedi che la gente sotto pres-sione non può rispettare i limitidella velocità consentita. Ci siincrocia, si rischia per non farsiurlare dietro dai capi.

OCC: che differenze ci sonorispetto al modo di lavorare chec’era a Mirafiori?

Antonio: uhh, Mirafiori eral’America! Io riuscivo ad auto-

gestirmi il lavoro, a rispet-tare i miei compiti e aprendermi del tempo perrespirare, per fumare oprendermi un caffè.Quando c’era qualchecambiamento e non ce lafacevo se il lavoro eratanto, contestavo i nuovitempi, provocavo dellefermate. Veniva il capo acontrollare che non facessiil furbo, mi rivolgevo aldelegato che chiamavaquello dei tempi che con-trollava, verificava.In Maserati non esistequello dei tempi. Il capo tidice: “ devi fare da qui

fino in fondo, ce la fanno tutti,devi farcela anche tu e se vediche il tuo collega è in difficoltàgli dai una mano, devi pensareche qui siamo un gruppo, nonpuoi pensare di farti i cazzituoi” Non esiste poter pensare.“la linea è ferma, vado a pren-dermi un caffè” perché subito titrovano qualcosa da fare: “vieniche c’è un camion da scari-care”, che poi non è il mio la-

La lotta diventerà sempre più dura neiprossimi anni: dovete prepararvi adogni rinunzia, ad ogni sacrificio, e do-vete istruirvi, istruirvi, e ancoraistruirvi; perché ci sarà bisogno di tuttala nostra intelligenza. Impossessatevidel marxismo-leninismo, diventate diri-genti politici di massa capaci e avvici-nerete il raggiungimento del nostrofine. La nostra rivoluzione non saràsolo politica, ma anche economica, cul-turale, morale. Quanto più sarà largala vostra preparazione tanto più saràcompleta la rivoluzione e più facile ilsuo sviluppo.

Antonio Gramsci

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voro, io qui non ho un mio la-voro. A Mirafiori potevo direche avevo un mio lavoro. Se lalinea si ferma non è colpa mia,è un problema della organizza-zione del lavoro, se lo devonorisolvere loro.

Alberto: aggiungo ancora unacosa su come passiamo il tempoin fabbrica. Facciamo due turni:dalle 6 alle 14 e poi dalle 14 alle22; 4 minuti prima della chiu-sura del turno si ferma la linea,non c’è tempo per fare la doc-cia. A parte che non ci sono gliarmadietti per tutti, siamo introppi per avere un buco di spo-gliatoio. Se vieni alle porte vediche, a differenza di Mirafiori,qui la gente entra ed esce con ladivisa perché non ha gli arma-dietti, perché la linea si ferma 4minuti prima e come fai a cam-

biarti e fare la doccia? Maanche chi ha l’armadietto devefare 2 chilometri per andare acambiarsi, il tempo di raggiun-gere lo spogliatoio e si fanno le22.30. A noi di Mirafiori fannocontratti di tre mesi rinnovabili,in pratica siamo precari, interi-nali, non ci sentiamo fissialla Maserati, siamo sempre diMirafiori in distaccamento,sotto ricatto perché al 31 dicem-bre possono chiamare altri.

Luigi: il lavoro c’è, si lavoradi corsa, escono macchine da ri-prendere perché in linea non siriesce a completarle. Ora do-vremo lavorare anche il sabato,ma non saranno pagati comestraordinario perché li conside-rano dei recuperi. Ci sono statedelle fermate indipendenti danoi e ora li dobbiamo recupe-

rare, lo prevedono i nuovi con-tratti.

OCC: per concludere un’ul-tima considerazione: per quelche avete detto alla Maserati nonsi creata quella “comunità difabbrica” di cui si parla a pro-posito del nuovo modo di pro-durre.

Gino: no, se ho capito cosavuoi intendere. Loro vorrebberoche ci fosse un “gruppo” ma cisono resistenze da parte deglioperai perché ognuno pensa ase stesso. Questo però vuol direche non si crea nemmenoun’unità nostra, per i nostri in-teressi. Lavoriamo come ti ab-biamo detto e ci fanno sentireanche dei privilegiati; è come seci indicassero sempre chi stapeggio di noi, chi è in cassa in-tegrazione, chi non ha lavoro.

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Gli operai Fiat in lotta davanti allo stabilimento Mirafiori.

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INDESITSTORIA DI UNA DELOCALIZZAZIONE

La vicenda Indesit, non nasce dal2008 con la volontà di fermare gli stabilimenti di Fabriano. Non è così, essa ha radici piùprofonde e origini più lontane, la chiusura degli stabilimenti marchigiani sono il traguardo di una strategia trentennale voluta epianificata dai grandi gruppi monopolistici, in un intreccio di interessi con le forze politiche compiacenti.

La vicenda Indesit è la cartina al tornasole per comprendere cosa sia il processo di concentrazione monopolistica e destrutturazioneproduttiva.

La fabbrica nasce nel 1953 a Rivalta di Torino, con il nome di Spirea. il contesto è quello della ristrutturazione industriale italianain un quadro generale di una politica internazionale dei gruppi monopolistici statunitensi, che tendeva a consolidare un bloccoeconomico e politico imperialista occidentale. L’Italia capitalistica venne “introdotta” in questa alleanza, la ricostruzione industrialesi imperniò intorno al concetto della società dei consumi, nel quadro degli accordi internazionali previsti dal Piano Marshall. Unaristrutturazione che interessava solamente Liguria, Piemonte e Lombardia, e che presupponeva riconversioni industriali abbassa-mento dei salari, riduzione occupazionale. L’industria del nord venne costruita concentrando gli sforzi sulle attività produttive dibase, siderurgiche, di lavorazione del petrolio, la chimica di base, le auto e gli elettrodomestici. Tutto ciò naturalmente in base nonagli interessi del paese, ma di accordi internazionali che assicuravano ai monopolisti italiani mercati di sbocco e rifornimenti ditecnologie. L’industria italiana si specializzò quindi nella produzione di beni di consumo come auto, moto, frigoriferi, lavatrici e te-levisori, e per fare ciò fu necessario introdurre una politica di distorsione dei consumi, ma questa è un’altra diramazione della sto-ria.

Indesit assume questo denominazione definitiva nel 1961, dopo esser divenuta ENDEL e INDES. In quegli anni, sulla scia della“moda” del frigorifero come status della moderna famiglia, l’azienda amplia i suoi impianti, e nonostante una prima crisi del 1962(superata brillantemente grazie all’apertura delle frontiere del MEC), i volumi produttivi volano superando una produzione di duemilioni e 500mila pezzi annui e i lavoratori impiegati diventeranno dodicimila circa. All’inizio degli anni settanta, Indesit ha settestabilimenti al nord (congelatori,frigoriferi, lavatrici, televisori), senza contare l’indotto,e si iniziano a costruire impianti al sud.

A partire dal 1973 si ha una nuova crisi di sovrapproduzione relativa ma buona parte del PCI e larghi settori della sinistra ,negano il carattere strutturale della crisi in atto, attribuendo le ragioni di esse ad errori dei dirigenti della DC in materia di politicaeconomica. Una visione illusoria, che spinge settori dirigenti della sinistra politica e sindacale a promuovere una serie di politichecollaborazioniste (moderazione salariale, concertazione, senso di responsabilità della classe operaia, sacrifici...) che, lasciandocampo libero alla borghesia monopolista di decidere cosa, come e per chi produrre, favorirà la restaurazione monopolistica.

La concorrenza proveniente dalla tecnologia orientale si fa pressante,le piccole aziende cominciano ad essere assorbite dai colossimonopolistici come Philips.

Nel 1977 l’azienda denuncia un pesante passivo di bilancio, nel 1978 si aumentano i prezzi dei prodotti, ma le vendite calanoperchè non concorrenziali. Nel 1980 per i lavoratori inizia la Cassa integrazione, a None(TO) non si produrranno più televisori. Il12 giugno 1980 Indesit comunica la crisi totale del settore elettrodomestici in aggiunta al settore elettronico. Gli operai manifestanoa Pinerolo, Orbassano, Torino e None.

Il 18 giugno si fa ricorso alla legge 675 di riconversione industriale:la grande borghesia italiana, dopo aver conquistato pochianni prima il diritto alla ristrutturazione delle proprie aziende, apri’ la lunga fase della riorganizzazione sulla sconfitta della classeoperaia della Fiat a Mirafiori nel 1980. Sfruttando la legge 675 si introducono nuove tecnologie nei processi produttivi e negli ufficia spese dei lavoratori; tutte le grandi aziende del paese attingono ai fondi pubblici, impongono leggi statali , espellono in massa laclasse operaia dal processo produttivo attraverso il ricorso indiscriminato alla Cassa Integrazione Guadagni. Giungono ad accordisindacali se necessario, il tutto in funzione della centralità dell’impresa, che sopprimendo il valore umano e sociale del lavoro,inocula nel tessuto della società una falsa coscienza che considera il lavoratore come uno strumento, una semplice variabile neiprocessi di innovazione e rinnovamento industriali. Una volta per tutte è dimostrato quanto siano false ed illusorie le teorie di chisostiene che l’occupazione cresce in misura proporzionale con l’innovazione e gli investimenti. In realtà a crescere sono i profitti,la disoccupazione e la crescente povertà delle masse popolari, mentre la crisi si acutizza sempre di più.

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La vertenza Indesit è una storiasemplice.A differenza di altre

volte in cui ci siamo dovuti impe-gnare in complicate ricerche ed inattente analisi di bilanci e documentisocietari, questa volta è bastatoascoltare i lavoratori e fare un po’ dirassegna stampa. Niente scatole ci-nesi, niente artifici contabili, ma piùsemplicemente un’azienda in pienasalute che per aumentare ulterior-mente il proprio margine di profittodecide di far fuori più di 1000 lavo-ratori,delocalizzando in Polonia eTurchia parte della produzione. Da-vanti a questa vicenda, la retorica del“siamo tutti sulla stessa barca” edella presunta coincidenza di inte-ressi tra operai e padroni viene giùcome un castello di carte.

Lavoratori che lottano per mante-nere il proprio posto di lavoro da unaparte, imprenditori senza scrupolidall’altra. Un copione ben cono-sciuto, però in quest’occasione i pa-droni non sono anonimi fondi di

investimento o multinazionali stra-niere, ma hanno il volto ben cono-sciuto di una delle famiglie storichedell’imprenditoria italiana: i Mer-loni. Sì, proprio loro, quelli capita-nati dal grande vecchio Vittorio,passato alla storia come colui chediede inizio, durante la sua presi-denza di Confindustria (dall’80all’84), alla stagione dell’attacco alsalario culminata con l’abrogazionedella scala mobile.

Ma per meglio capire l’evolversidi questa storia riavvolgiamo il na-stro e torniamo a 6 anni fa, primache scoppiasse la crisi.

La storia degli ultimi anniÈ il 2007, Indesit tocca a Piazza

Affari i suoi massimi storici e le sueazioni si classificano tra quelle amaggior rendimento dell’intero li-stino. IntantoVittorio Merloni vienecostantemente celebrato dai giornalicome colui che ha saputo sfruttare leopportunità offerte dalla globalizza-zione, trasformando un’azienda na-

zionale in quella che egli stessochiama una “multinazionale tasca-bile”.Apre nuovi stabilimenti in Po-lonia dove gli rendono omaggiodedicando una strada al padre Ari-stide e lui ricambia sponsorizzandoin Italia le famigerate “zone econo-miche speciali”. L’85% del fatturatoormai viene dall’estero, Vittorio peròsi affretta a dichiarare allastampa:“Mai fatto delocalizzazioneda costo del lavoro… Non è quellala molla... Io, come diceva miopadre, porto le fabbriche dove c’èdisoccupazione”. Insomma, più cheun imprenditore un missionario!L’anno si chiude nel migliore deimodi, l’utile netto segna un più 38%,portandosi a quota 105 milioni conun dividendo di 0,50 euro e gliobiettivi del piano industriale2006/2008 vengono raggiunti conun anno di anticipo.

Grazie anche ai brillanti risultatidell’Indesit i Merloni si piazzano nel2008 al tredicesimo posto nella clas-

Tutti gli operai vengono sospesi a zero ore. La fabbrica è presidiata. 11000 famiglie di dipendenti Indesit e 11000 famiglie di di-pendenti dell’indotto stanno per perdere il lavoro e il salario. A Torino, nella sede del PCI di via Chiesa della Salute, un giovanePiero Fassino sostiene che ahimè...”non c’è nulla da fare contro le riconversioni e le ristrutturazioni industriali, ma anzi vanno sol-lecitate e guidate”(sigh). Nel 1981 Indesit viene divisa in tre holdings, i licenziamenti confermati, ma a seguito delle mobilitazionisi ottiene un intervento governativo che tampona la procedura. Nel 1984 Indesit annuncia ufficialmente che i suoi problemi sonostrutturali, che in ragione di ciò non è più possibile continuare a limitare i danni con forme di rotazione sul lavoro di una parte deicassintegrati, e per gli operai “ eccedenti” è richiesta la cassa a zero ore. Il governo incarica il commissario dott. Zunino di risanarel’azienda, mentre la sua divisione elettronica venne acquisita da De Benedetti nel 1985. Nel 1987 il Gruppo Merloni acquisì ilGruppo investendo in “ristrutturazione e risanamento”. In quel momento, i lavoratori erano circa cinquemila, la maggior parte deiquali in cassa integrazione. Lo stabilimento di Orbassano, in strada Rivalta, venne chiuso, None fu scorporato e ridimensionato,fino a che vennero licenziati anche gli ultimi 400 operai a fine anno 2012. Oggi None conta una sessantina di lavoratori, per lo piùprecari, in una ottica che precede la conversione dello stabilimento in un grande magazzino dove organizzare la logistica deiprodotti che arrivano dagli altri stabilimenti fuori d’Italia.

Attualmente Indesit Company è il terzo gruppo europeo dopo Electrolux e Bosch.Il riferimento per i dati sull’azienda qui sopra elencati, è il libro di G.Ciravegna.”Indesit: Storia di una fabbrica e di una lotta per

il lavoro”- 1985 . ●

Il resto della storia prosegue ora, in questo articolo tratto dal sito: http://www.agoravox.it/INDESIT-storia-di-una.html

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sifica stilata da Il Mondo de “ISuper-ricchi di Piazza Affari”, con47 milioni di dividendi incassati, benil 43,5% in più rispetto all’anno pre-cedente. A tenere le redini del-l’azienda è sempre lui, VittorioMerloni, che detiene il diritto di usu-frutto delle totalità delle quote dellaFinendo Spa, la holding di famiglia,che a sua volta controlla la IndesitSpa con un solido pacchetto aziona-rio del 43%.

In effetti, l’assetto proprietarioha una sua originalità, in quantoil vecchio Vittorio ha cedutosolo la nuda proprietà della Fi-nendo ai quattro figli Andrea,Antonella, Aristide, MariaPaola e alla moglie Carla Car-loni, mantenendo un controllopressocchè assoluto sulle atti-vità, senza che i congiunti pos-sano avere voce in capitolo.

Nel 2008 l’Indesit comincia asentire gli effetti della crisi. Adessere maggiormente colpito èil titolo che risente dell’anda-mento del listino registrandoquindi un vistoso calo mentre,a guardare i fondamentali, l’at-tività industriale tiene. Le pre-visioni sugli utili si fanno quindi piùcupe, soprattutto in virtù dell’au-mento del costo delle materie primee dell’euro forte. Ma i Merloni sonopiù preoccupati per quel che sta ac-cadendo al resto del portafoglio dellaFineldo, composto per lo più da par-tecipazioni in diverse banche, dovele svalutazioni cominciano ad essereimportanti. Come vedremo piùavanti, questo sarà probabilmente

uno dei fattori che determinerà inmaniera significativa le scelte indu-striali che riguardano l’Indesit. No-nostante ciò, la proprietà continua adessere abbastanza spavalda, si parladi acquisizioni e si punta a conqui-stare nuove fette di mercato, ma so-prattutto si mormora di rafforzare leproduzioni fuori dall’Italia, dove imargini di profitto sono più alti. L’al-tro elemento di novità è la nomina

di Andrea Merloni alla vice-presi-denza, una scelta che desta diverseperplessità tra gli azionisti di mino-ranza e tra gli stessi fratelli. In effetti,a ben guardare, la scelta operata daVittorio Merloni non appare assaioculata e lungimirante, soprattuttoalla luce del curriculum vitae di An-drea.

Andrea Merloni è da tutti conside-rato il classico bamboccio dedito alla

bella vita, colleziona Porsche, oro-logi di lusso e vini d’annata, corre inmoto, ama la vita notturna e stazionastabilmente a Ibiza e Formentera,dove è ormeggiata la sua “barchetta”di 34 metri. L’unico precedente daimprenditore è quello con la Benelli,quando nel 1995 convinse il padread acquistare il marchio motocicli-stico per poi cederlo dieci anni doposotto il peso di 52 milioni di debiti.

Forse l’unica dote del neo-pre-sidente è quella di saper man-tenere i contatti con i salottibuoni, così come ha semprefatto il padre d’altronde, tantoda arrivare a convolare a nozzenel 2009 con Viola Melpi-gnano, figlia di Sergio, già notoalle cronache per essere uno deiprotagonisti di Tangentopoli edin particolare dell’affaire Eni-mont. A suggellare l’unione deidue sposini ci saranno anche gliamici storici di Vittorio, da In-nocenzo Cipolletta a LuigiAbete fino a MassimoD’Alema e Latorre, i quali perpartecipare al ricevimento ab-bandonano il meeting di Cer-nobbio. Insomma proprio una

bella compagnia fatta di tangentisti,banchieri e politici di primo piano.

Fatto questo breve excursus sul-l’inizio del cambio generazionale aivertici, torniamo però alle questionipiù strettamente legate all’anda-mento dell’azienda. Nella secondaparte del 2008 si accentuano le ten-denze riscontrate ad inizio anno equindi, pur restando a detta deglianalisti solida e profittevole, l’Indesit

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Operai Indesit di None (To)

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accusa il calo della domanda.Anchequesta volta però a destare preoccu-pazione sono le quotazioni del titoloche in un anno dimezza quasi il suovalore mentre i dati di bilancio regi-strano comunque un utile netto chesi attesta a 55,5 milioni di euro.

È a questo punto che scatta qual-cosa. Mentre fino a pochi mesiprima il management rassicurava ilmercato sottolineando l’ottimo statodi salute dell’azienda, ora inveceMarco Milani, amministratore dele-gato già dal 2004, dichiara a Il Sole24 Ore che per il 2009 “siamo inca-paci di finalizzare un budget”. Unaserie di dichiarazioni che danno lasensazione che si vuol mettere lemani avanti, che si vuole approfit-tare della crisi per operare dellescelte che facciano aumentare i pro-fitti e soprattutto apprezzare il titoloIndesit. In effetti non c’è da aspettaremolto: puntuale a febbraio 2009viene annunciato un piano di ristrut-turazione che prevede la chiusuradello stabilimento di None in pro-vincia di Torino che dà lavoro a circa600 persone, con il conseguentespostamento della produzione in Po-lonia. Immediate partono le protesteda parte dei lavoratori, come rara-mente si era visto all’Indesit, e laproprietà sembra fare delle aperture.

In realtà si tratta solo di manovrediversive, i sindacati si impelaganonelle trattative, ma intanto i giornalitestimoniano come a Radomsko ègià pronta la terza linea per assorbiretotalmente la produzione di lavasto-viglie.

La ex-presidente della regione Pie-

monte Mercedes Bresso dichiareràaddirittura alla stampa che la multi-nazionale marchigiana ha utiliz-zato “la scusa della crisi perprocedere ad una delocalizzazionepianificata da tempo”. Una vera epropria beffa se pensiamo che il tuttoavviene proprio in coincidenza conl’introduzione degli ecobonus, gliincentivi decisi dal governo Berlu-coni per la rottamazione degli elet-trodomestici. Il destino di Nonepurtroppo è ormai segnatoe nel girodi tre anni chiuderà insieme ai duealtri stabilimenti di Refrontolo (Tre-viso) e di Brembate (Bergamo). Untotale di 1000 posti di lavoro saltati.Solo l’intervento degli enti locali ela capacità da parte del tessuto indu-striale di riassorbire i lavoratorihanno potuto contenere la rabbia edisinnescare la bomba sociale.

Intanto il 2009, dal punto di vistadei fondamentali, si chiude con unulteriore ribasso degli utili che si at-testano a 34,5 milioni di euro con undividendo per gli azionisti di 0,15euro ad azione. Il mercato però,come sempre quando si annuncianoristrutturazioni, esuberi e delocaliz-zazioni, premia i titoli. Così dal feb-braio 2009, ovvero dall’annunciodel piano, approffitando anche deltrend rialzista dei listini mondiali, aPiazza Affari Indesit comincia a vo-lare e da un valore per azione dimeno di 2 euro ad inizio anno sipassa a più di 10 nella primavera del2010. Risultato raggiunto per i Mer-loni che pur incassando “solo” 11milioni di dividendi vedono il loropatrimonio rivalutarsi.

Forti dei risultati finanziari e della te-nuta di quelli industriali nel 2010, iMerloni e il loro A.D. Milani prose-guono sulla strada tracciata e riba-dendo la chiusura dei siti di Trevisoe Bergamo cominciano a giocare afare i piccoli Marchionne, annun-ciando fantomatici investimenti e in-tessendo con i sindacati misteriosetrattative finalizzate ad aumentareflessibilità e produttività. A questoproposito sono interessanti le inter-viste rilasciate in questo periodo dal-l’amministratore delegato. Inparticolare Milani si sofferma sullapropria esperienza in Turchia e suibrillanti risultati dello stabilimento diManisa dove a differenza dell’Ita-lia “tutti si dimostrano in possessodi una grande etica del lavoro”.Probabilmente Milani confondel’etica con la disciplina cui sono co-stretti gli operai turchi praticamenteimpossibilitati per legge ad iscriversiad un sindacato e a scioperare, oltreche obbligati ad un orario di lavorosuperiore a quello di tutti i paesi eu-ropei per una paga mensile che nonarriva a 400 euro.

Nel 2010 si fa un passo avantianche nel passaggio generazionale,con Andrea Merloni che prende ilposto del padre come presidentedella Indesit e la sorella Antonellache viene messa a capo della Fi-neldo. Il 2010 si archivia quindi conun discreto risultato dal punto divista industriale con un utile nettoche sale a 89,7 milioni e un divi-dendo di ben 0,30 euro ad azione e ivalori di mercato che seppur in fles-

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sione restano abbastanza alti. Ancheil 2011 e il 2012 sembrano correrevia tranquilli e a vedere i dati di bi-lancio la “multinazionale tascabile”continua a dimostrarsi solida e conun buon grado di profittabilità (utiliper 58,8 milioni nel 2011 e 62,3 nel2012). Il neo-presidente fa la vocegrossa e a chi prospetta la possibilitàdi vendere risponde affermando chesemmai saranno loro a guardarsi in-torno e ad effettuare delle acquisi-zioni. Il colpo di scena arrivaperò nel 2013: il vecchio Vittorioè ormai gravemente malato enon è più in grado di prenderedecisioni, si risvegliano così gliappetiti degli eredi e inizia unabagarre legale tutt’ora in corsoper decidere chi sarà il tutore le-gale del patriarca, ovvero sul chiavrà potere decisionale. L’ipo-crita armonia che aveva caratte-rizzato i rapporti tra il presidenteAndrea e i fratelli viene meno eanche la governance dell’aziendadiventa terreno di scontro. Si di-vidono sulle scelte stategiche, ilgiovane presidente non vuolestringere alleanze con altri com-petitor di dimensioni maggiori men-tre i fratelli pensano cheun’aggregazione siainevitabile. Dopo un lungo nego-ziato arrivano ad un accordo: nes-suno dei fratelli ricoprirà caricheesecutive all’interno dell’Indesit masi limiteranno a sedere nel CDA.Aiprimi di maggio viene eletto comenuovo presidente Marco Milani checonserva la carica di amministratoredelegato. Questa anomala concen-

trazione di cariche non fa presagireniente di buono: è una mossa cheserve a centralizzare i poteri esecu-tivi in vista dell’inizio delle “grandimanovre”. Anche questa volta pas-sano solo pochi giorni e Milani fauna serie di dichiarazioni shock allastampa. In particolare, l’8 maggio2013Milano Finanza dedica un’in-tera pagina ad un’intervista al neo-presidente dal titolo: “L’euro forte ciha ucciso”. In quest’intervista, ri-

presa anche da altre testate, Milanidichiara che “l’euro forte ha uccisola nostra crescita facendoci perderel’1%” e che “è importante teneresempre allineati costi e ricavi”.Nel-l’articolo non si parla mai di ristrut-turazioni, esuberi o delocalizzazionima è del tutto evidente che se siidentifica il caro euro come il pro-blema, in quanto penalizzante perl’esportazioni, l’unica soluzionepossibile è quella di evitare di pro-

durre in paesi dell’area euro,ovvero- nel caso di Indesit - di produrre inItalia.

La tesi di Milani però è davverobizzarra e viziata da una grossa dosedi malafede. Infatti, da una partetenta di lanciare un allarme met-tendo a confronto i dati di fatturatodel 2007 con quelli del 2012 (ndr, 3mld e 800 mln contro 2 mld e 900mln), omettendo però di dire chesono in linea con il resto del mercato

e che riflettono il calo della do-manda; dall’altra rassicura che irisultati dell’anno in corso rispet-tano le attese e soprattutto chel’indebitamento è assolutamentesotto controllo. Per sostenere latesi del caro euro più volte sotto-linea che i mercati principalisono attualmente Russia eRegno Unito e che a Est e in Me-dioriente “ci aspettiamo di cre-scere nel futuro”, ma dimenticasistematicamente il fatto chegran parte della produzione èfatta già fuori dall’eurozona, inPolonia e Turchia.

Insomma Milani, che tra l’altroha percepito un compenso di ben

3 milioni di euro per l’anno 2012,gioca a far passare l’Indesit comeuna povera azienda nazionaleschiacciata dai cambi e prepara cosìil terreno per giustificare una nuovaristrutturazione in Italia. In effetti allafine di maggio comincia a girar vocedi un’imminente riorganizzazione,tanto che i sindacati si vedono co-stretti a chiedere chiarimenti al-l’azienda. Il 4 giugno l’Indesitcomunica ufficialmente il piano, che

E' senz'altro necessario un approfon-dimento sull'esperienza storica delladittatura del proletariato ma, affer-miamo senza ombra di dubbio, chequeste riflessioni si basano per noinella conferma più totale della vali-dità del marxismo-leninismo, validitàdimostrata nelle grandi avanzate cheil proletariato ha realizzato quando siè saldamente attenuto ad essa, dimo-strata dalla sconfitte subite quandodal marxismo-leninsmo ci si è allon-tanati.

Fosco Dinucci

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che consiste nella delocalizzazionedella produzione a basso valore ag-giunto con la conseguenza di ben1.425 esuberi su un totale in Italia di4.300 dipendenti.

È una vera e propria mazzata per ilavoratori, tanto più perché questavolta sono colpiti stabilimenti comequelli in provincia di Caserta, in areedove i livelli di disoccupazione sonoaltissimi e le possibilità di reinseri-mento sono praticamente nulle. Im-mediata scatta la protesta come mainella storia della multinazionalemarchigiana, ma il presidente-am-ministratore fa la faccia dura e si di-chiara disponibile a trattareesclusivamente sugli ammortizza-tori sociali. In una lunga intervista aIl Messaggerodel 19 giugno Milaniva dritto al punto e afferma:“Voglioessere chiaro…il problema è che ladifferenza del costo del lavoro fraqui e il resto d’Europa è enorme, lapresenza in Italia ci costa 24 eurol’ora”, dove ovviamente per restod’Europa intende la Polonia con uncosto di soli 5 euro l’ora. Ma soprat-tutto, quando il giornalista glichiede “l’azienda è sana, perchénon rinviare la riorganizzazione?”,Milani risponde con un evasivo“af-frontare con senso di responsabilitàla situazione e farlo proprio quandol’azienda è sana vuol dire sicura-mente poterlo fare gestendo le situa-zioni e non essere costretti poi asubirle”. A questo punto però, chia-ramente insoddisfatti dalla rispostadata da Milani, non possiamo fare ameno che cercare da soli le vere ra-

gioni o meglio chiederci perchéun’azienda, in piena salute e che sto-ricamente è stata sempre attenta anon impelagarsi in aspre vertenzesindacali, decide di lanciare un’of-fensiva di questo genere. Offensivache, tra l’altro, gli aliena le simpatiedi buona parte del mondo politicoistituzionale, preoccupato in un mo-mento storico così delicato dallapossibile esplosione di conflitti so-ciali. Il motivo è semplice e lo tro-viamo esaminando quei pochi datidisponibili del bilancio della Fi-nendo, quella che i giornali giusta-mente chiamano la cassaforte dellafamiglia Merloni.

La Fineldo è la finanziaria che con-tiene la gran parte del patrimonio ac-cumulato nei decenni dai Merloni; èdove finiscono tutte le attività acqui-state con i proventi dell’attività in-dustriale ovvero con lo sfruttamentodegli operai. Ebbene negli anni iMerloni hanno investito principal-mente in titoli bancari ed in partico-lare in Unicredit, attività che sonostate estremamente remunerativefino a prima della crisi ma che poihanno subito un drastico deprezza-mento. Giusto per dare un’idea, nel2006 le azioni Unicredit avevano unvalore unitario medio di 34,39 euromentre nel 2012 lo stesso valore siattestava a 3,29 euro. In pratica unasvalutazione di più del 90% che perchi come i Merloni possiede 1 mi-lione e quattrocentomila azioni si-gnifica una perdita di più di 40milioni. Stesso discorso anche per lealtre partecipazioni come quella in

Mediobanca o nella Cassa di Ri-sparmio di Fabriano e Cupramon-tana.

In pratica per recuperare rispettoalle perdite riportate nella gestionedel patrimonio di famiglia, Vittorioe figli non hanno avuto di meglioche spremere come un limonel’unica attività di cui effettivamentehanno il controllo, cioèl’Indesit.Non è un caso che puntualitutti i progetti di ristrutturazione sonosopraggiunti in corrispondenza deimomenti di maggiore svalutazionedei titoli bancari. Per garantire lo sta-tus di super ricchi a quattro figli dipapà e ai loro discendenti non si èquindi esitato a mettere in mezzo aduna strada qualche migliaio di lavo-ratori tra diretto e indotto. Fatta que-ste breve riflessione torniamo quindialla vertenza. Gli operai si mobili-tano durante tutta l’estate 2013 conmanifestazioni, scioperi e blocchi,mentre a Roma si apre un tavolopresso il Ministero del lavoro.Qui siripete la stessa sceneggiata vista aNone, con l’azienda che finge di faretimide aperture per poi ritrattare su-bito dopo nel tentativo di fiaccare laresistenza dei dipendenti. Si arrivacosì a poche settimane fa, all’incon-tro del 23 settembre in cui l’aziendasi dichiara disponibile a ridurre gliesuberi dell’11% (126 in meno su-bito più l’impegno a riassorbire 150impiegati in 4 anni). Una propostache suona quasi come una provoca-zione e che non mette chiaramentefine alla vertenza; inoltre dilata ulte-riormente i tempi aggiornando il ta-

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volo di trattativa al 21 ottobre.

ConclusioniCon questo nostro piccolo contri-

buto abbiamo cercato di ricostruirequella che per noi è una delle ver-tenze più rappresentative e paradig-matiche in corso in Italia.La vicendadell’Indesit è importante perchérende evidenti diverse questioni:

la “crisi” è utilizzata sistematica-mente per giustificare operazioni diristrutturazione che spesso hannopoco o niente a che fare con lo statodi salute dell’azienda;

Non esiste alcuna responsabilitàsociale dell’azienda, ma le scelte

operate sono esclusivamente nell’ot-tica di massimizzare i profitti;

Per massimizzare i profitti la stradaè sempre e solo una: abbassare i sa-lari facendo leva sulla competizioneinternazionale tra lavoratori.

Chiaramente non sappiamo qualisiano i passi da fare per arrivare adun buon esito della vertenza, masiamo assolutamente convinti cheattorno a questi punti si giocherà ildestino dei lavoratori dell’Indesit. Lacapacità di mostrare quali siano ireali interessi che guidano le scelteaziendali, dimostrando come questenon siano né ineluttabili né necessa-rie, sarà uno dei fattori determinanti

nel prosieguo della lotta.La differenza potrà esser fatta solo

coordinandosi con i lavoratori diquei paesi dove avvengono le delo-calizzazioni. Ogni miglioramentodelle condizioni salariali in Turchiae Polonia è nei fatti un contributo almantenimento dei livelli occupazio-nali negli stabilimenti italiani, allostesso modo non cedere ai ricatti deiMerloni in Italia significa aumentareil potere contrattuale dei lavoratoridi Radomsko e Manisa.

Passano gli anni, ma la solidarietàinternazionale resta l’arma più fortein mano agli operai.

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1980, manifestazione operaia dei lavoratori Indesit contro i piani di ristrutturazione aziendali.

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Ogni questione ha un perché,ed ogni perché possiede una

risposta. L’atteggiamento “impe-riale” della Francia socialdemocra-tica, le sue scorribande in Libia,Costa d’Avorio, Mali, lo sfrenato in-terventismo in Siria, il recentissimolancio delle operazioni militari inRepubblica Centrafricana, fino adarrivare al veto riguardo l’accordonucleare con l’Iran, sono assoluta-mente comprensibili se analizzatesecondo il marxismo-leninismo, lascienza del proletariato, e quindi laconcezione organica e scientificache esso ha del mondo, la dialetticamaterialista. Analisi che svela espiega cose che non vengono dette,come la condotta spregiudicata nontanto di Hollande, che è un sempliceportalettere, ma dei veri padroni chesono dietro di lui e che nessuno haeletto. Uno di questi è certamente laTotal, colosso multinazionale nelcampo petrolifero (4’produttore almondo dopo Shell, BP e ExxonMobil) e del gas, degli idrocarburi,dei suoi derivati, presente anche nelsettore chimico, operante nell’interacatena produttiva, nella vendita aldettaglio di tutti i prodotti sopraelen-cati, e come tutti i colossi, impegnatinella spasmodica ricerca di nuovibacini di idrocarburi e giacimentiestrattivi.

Quando anni fa la cosiddetta co-munità internazionale, come sempre

foraggiata e diretta dall’imperiali-smo americano, puntò i suoi riflet-tori sulla giunta militare birmana, lareazione francese alla richiesta diimporre sanzioni al paese fu con-traddittoria. L’allora ministro degliesteri Bernard Kouchner assicuròche nemmeno la Total sarebbe stataesentata da eventuali sanzioni controil regime militare. L’imbarazzo eradovuto al fatto che Total sviluppavanel paese un molto attivo giro d’af-fari in virtù di vantaggiosissimi ac-cordi commerciali stipulati. Ma nonsolo: il colosso multinazionale fran-cese fu coinvolto, tra le altre cose, inuna causa legale condotta dalla ma-gistratura belga che lo accusava difare ricorso ai lavori forzati, sotto ilcontrollo dell’esercito birmano, neiconfronti dei lavoratori impiegatinella costruzione di un gigantescogasdotto. La Total smentì, pur am-mettendo di aver indennizzato inpassato circa 400 operai, ed affidòuna “contro-indagine” (retribuita,ufficiosamente, con 25mila euro)proprio al socialista Kouchner, fu-turo ministro degli Esteri, noto per ilsuo impegno umanitario, che nel2003 era libero da impegni politici.Il rapporto Kouchner, pubblicato sulsito della Total, fu una solenne difesadel monopolio transnazionale, che“mai e poi mai si sarebbe prestato adattività contrarie ai diritti del-l’uomo”.

Non è questa la sede per parlare delgiro di mazzette e corruzione dellaTotal nel caso della Basilicata, e nep-pure delle altre violazioni gravissimeche la coinvolgono, così come lealtre compagnie petrolifere, in ma-teria violazioni di sovranità nazio-nali, e altri autentici crimini control’umanità. (Per limitarsi solo al casoShell in Nigeria) Con questa vicendasi dimostra come i monopoli privatisono in perenne conflitto con gliStati e le istanze democratiche, chevengono asserviti imponendogruppi di pressione, comprando in-fluenze politiche, manipolandol’opinione pubblica, fino a dominareogni aspetto della vita, decidendo se-condo l’interesse del massimo pro-fitto, contro gli stessi interessinazionali e ovviamente delle masselavoratrici. L’esercito birmano chefunge da guardiano per conto dellaTotal ci ricorda la vicenda dei Maròitaliani in India, e la sbandata d’ana-lisi che ne deriva quando si negal’analisi scientifica e dialettica che ilproletariato possiede; mentre anchei comunisti (o buona parte di essi)vennero trascinati in un dibattitosciocco sul limite o no delle acqueterritoriali, sull’efferatezza morale omeno dei militari nostrani, si eluse ilfatto di classe fondamentale, e cioèche soldati delle forze armate di unoStato “sovrano” erano a guardia deltesoro privato del magnate di turno.

SULL’IMPERIALISMO NEOCOLONIALEFRANCESE: CHI MANOVRA I FILI?

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Ma per chiarire la voglia di tornarealle gesta napoleoniche ed alle spe-dizioni coloniali che il PresidenteHollande sembra impersonare, bastafare due conti: la questione è sem-plicissima.

La brutale e violenta concorrenzainter-monopolistica spinge ad inve-stire su sviluppo scientifico e tecno-logico per primeggiare sui mercati(notare ad esempio come la telefoniamobile abbia raggiunti livelli im-pressionanti, si tratta praticamente dicomputer tascabili) e la massa di de-naro richiesta per tali innovazioni èenorme. Se restiamo nel campopetrolifero e degli idrocarburi, lemultinazionali Shell, Mobil e Bri-tishPetrolium molto più di altrecompagnie, stanno sviluppandonuove tecnologie estrattive sia perquanto concerne il petrolio, sia gliidrocarburi. Tecnologie chiamate“non convenzionali”, un modomolto garbato per dire che sono al-tamente distruttive e inquinanti, ecausa di potenziali rischi sismici.Tecnologie come lo Shale Gas e loShaleOil, che schematicamenteconsistono nell’estrarre gas e petro-lio attraverso la frantumazione dirocce profonde. Inoltre occorre in-vestire anche nella successiva lavo-razione e trasporto di queste, enell’assicurarsi nuovi giacimentiestrattivi. La Exxon Mobil ad esem-pio ha speso 31 miliardi di dollariper assorbire la produttrice di gasXto Energy, per liquefare il gas espedirlo sotto forma di gas naturaleliquefatto oltreoceano. La Shell hainvece investito 4,7 miliardi di dol-lari per ottenere la gestione assoluta

del bacino Marcellus, spazzando viale disposizioni dell’Amministra-zione Obama che aveva imposto dibloccare le perforazioni in Alaska.Total è al momento presente in unconsorzio denominato Gash, e co-stituito anche da Statoil, ExxonMo-bil, Gas de France SUEZ,Wintershall, Vermillion, MarathonOil, Repsol, Schlumberger and Ba-yern-gas, che mira alle risorse deigiacimenti shale gas del vecchiocontinente, in particolare su deposititedeschi e danesi. Ma ciò non è ab-

bastanza per sostenere la concor-renza e l’accaparramento di nuovezone di business. Il colosso francese,per sostenere la corsa dei concorrentideve trovare spazi di azione soprat-tutto nell’ambito della ricerca ener-getica più tradizionale, e deve farloin maniera piuttosto spedita. Il Maliad esempio è un paese ad alto po-tenziale in cui sono stati accertati al-meno cinque bacini estrattivi conpetrolio sedimentato: il direttore diTotal Nord Africa, Jean-FrançoisArrighi de Casanova parlò esplici-tamente di “nuovo Eldorado petro-

lifero” riguardo alla zona Mauritania/ Mali / Niger. Infatti Total è forte-mente presente anche in Mauritania.Senza contare che il Mali è terzoproduttore mondiale di oro e produt-tore di minerale di ferro, litio, bau-xite. Ma il paese africano è ancheuna preda cui ambiscono i capitalistiamericani e qatarioti, che stanno cer-cando di inserirsi nella ricca zona delSahel tra Mali e Mauritania. L’ir-ruenza imperialista francese è bencomprensibile, in un contesto in cuile sue multinazionali spingono conforza per evitare arretramenti stra-tegici in determinati settori ; questoè uno dei punti che spiega l’inten-sificarsi del posizionamento spre-giudicato francese, durante lavicenda della Libia, della CostaD’Avorio, appunto del Mali,e oggidella Siria.

L’invito della classe operaia e deilavoratori è quello di continuarel’indagine e la ricerca, in qualsiasicampo della lotta di classe, perchèattraverso l’indagine reale e con-creta maturiamo elementi di com-

prensione e analisi oggettiva dei fatti,che sono fondamentali per una cor-retta lettura degli accadimenti.

Resta straordinariamente attuale lafrase di Marx : La storia di ogni so-cietà sin’ora esistita è storia di lottadi classi.

P.S. l’articolo è leggermente attua-lizzato rispetto a quando uscì:http://www.marx21.it/internazio-nale/europa/22725-chi-ce-dietro-limperialismo-francese.html

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Vignetta che illustra il neocoloniali-smo francese nel continente africano.

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Una storia critica della tecnologia dimostrerebbe, in genere, quanto piccola sia la parted’un singolo individuo in un’invenzione qualsiasi del secolo XVIII. Finora tale opera nonesiste. Il Darwin ha diretto l’interesse sulla storia della tecnologia naturale, cioè sulla for-mazione degli organi vegetali e animali come strumenti di produzione della vita delle piantee degli animali. Non merita eguale attenzione la storia della formazione degli organi pro-duttivi dell’uomo sociale, base materiale di ogni organizzazione sociale particolare? E nonsarebbe più facile da fare, poiché, come dice il Vico, la storia dell’umanità si distingue dallastoria naturale per il fatto che noi abbiamo fatta l’una e non abbiamo fatto l’altra? La tec-nologia svela il comportamento attivo dell’uomo verso la natura, l’immediato processo diproduzione della sua vita, e con essi anche l’immediato processo di produzione dei suoirapporti sociali vitali e delle idee dell’intelletto che ne scaturiscono. Neppure una storiadelle religioni, in qualsiasi modo eseguita, che faccia astrazione da questa base materiale,è critica. Di fatto è molto più facile trovare mediante l’analisi il nocciolo terreno delle ne-bulose religiose che, viceversa, dedurre dai rapporti reali di vita, che di volta in volta sipresentano, le loro forme incielate. Quest’ultimo è l’unico metodo materialistico e quindiscientifico. I difetti del materialismo astrattamente modellato sulle scienze naturali, cheesclude il processo storico, si vedono già nelle concezioni astratte e ideologiche dei suoiportavoce appena s’arrischiano al di là della loro specialità.

Karl Marx, Il Capitale: libro primo, vol.2 Ed. Rinascita 1952, pag. 72, nota 89

Bellinzona (CH), 10 Novembre 2013 - Esposizione in bacheca della lettera del Cge, in occasione delXXII Con-gresso Cantonale del Partito Comunista del Canton Ticino.

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Dieci mega Corporationscontrollano la quasi tota-

lità di ciò: dai prodotti per lacasa al cibo per animali fino aijeans.

Secondo l’analisi di queste ta-belle, prese dall’articolo “L’il-lusione della scelta” tratte dalsito Reddit, le aziende creanouna catena di interdipendenzache inizia in una delle 10 super-

Compagnie. Sono grandi nomi(Kraft, Nestlè, Coca-Cola…)ma è sorprendente vedere cosaquesti giganti possiedano, ecosa e quanto altro essi control-lino.

I grafici mostrano una verarete; è bene precisare che le So-cietà madri esercitano tale con-trollo diretto sulle altre aziendeanche con partecipazioni azio-

narie o attraverso imposizioni diaccordi commerciali, per per-mettere appunto a una dataazienda di poter distribuire ilsuo prodotto. Coca Cola peresempio non possiede Monster,ma ha il totale controllo delladistribuzione della bevandaenergetica.

Ecco altri esempi: Yum Brandsè una azienda leader mondiale

DIECI CORPORATIONS CONTROLLANOQUASI TUTTO CIÒ CHE SI ACQUISTA

di Chris Miles*

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della ristorazione rapida, e pos-siede KFC e Taco Bells. YumBrands è stata una società (perusare un termine tecnico speci-fico) “ spin-off” della Pepsi, nelsenso che è stata operata unascorporazione dalla precedenteunità societaria, almeno giuridi-camente. Ebbene, in tutti i risto-ranti della catena Yum sivendono esclusivamente pro-dotti Pepsi per via di una spe-ciale partnership con il colossodella soda, che mostra un evi-dente controllo della Casamadre.

Procter&Gamble, complessoindustriale di beni di consumo,specializzato nel marketing(orientato sulle singole marche,laddove l’azienda resta solita-mente nell’ombra) e con un fat-turato di circa 84 miliardi didollari, controlla una serie di di-verse marche che produconotutto, dalla medicina al dentifri-cio fino addirittura all’altamoda.

Conteggiando il tutto, Proc-ter&Gamble serve 4,8 miliardidi persone in tutto il mondo at-traverso questa rete, per un vo-lume d’affari assolutamenteenorme.

La Corporation Nestlè, con unfatturato di 200 miliardi di dol-lari, famosa per il cioccolato, èla società alimentare più grandedel mondo, e possiede 8000marche diverse in tutto ilmondo, ed ha partecipazioniazionarie e compartecipazioni

con altre società, anche al difuori dallo specifico settore: in-fatti fanno parte di questa reteappena descritta la L’OREAL,il gigante GERBER, produttoredi alimenti per bambini, il mar-chio di abbigliamento DIESEL,i produttori di cibo per animaliPURINA e FRISKIES.

Unilever, multinazionaleanglo-olandese con quasi 52miliardi di dollari di fatturato,raggiunge con i suoi prodottidue miliardi di persone nelmondo, e possiede una rete cheproduce di tutto, dalla chimica

ai profumi, dal burro di arachidiSkippy alla cosmesi, dai cibipronti Knorr alle bevande Lip-ton, fino ai prodotti di igienepersonale come Atkinson, Men-tadent e i detersivi come Cocco-lino e Svelto.

Ma la cosa non riguarda solo iprodotti che acquistiamo e con-sumiamo. Negli ultimi decenni,anche il sistema informativo havissuto un processo di concen-trazione senza pari: il 90% deiMedia è controllato da sole seiaziende, contro le 50 che esiste-vano fino al 1983, come ci mo-

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stra il seguente grafico.Guardando il mondo finanzia-

rio, la questione è ancora piùgrande: 37 banche si sono fuse,o sono state assorbite, restan-done alla fine solo 4 : JP Mor-gan Chase, Bank of America,Wells Fargo e Citigroup, il tuttoin poco più di vent’anni, se-condo il seguente grafico dellaFederal Reserve.

Le dieci maggiori istituzionifinanziarie degli Stati Uniti de-tengono il 54% delle attività fi-nanziarie totali; nel 1990 essi ne

detenevano il 20%. Il numerodelle banche è sceso da più di12.500 a circa 8.000

I numeri sono forti, e visualiz-zano bene la realtà. Questo è ilmondo in cui viviamo.

*Chris Miles è il direttore efondatore di Policymic. Ha la-vorato nell’informazione, conAssociated Press e Stars andStripes. Ha collaborato conl’Associazione Clinton, le Na-zioni Unite e col governo delloStato del Kentucky. Ha conse-

guito una laurea in scienze po-litiche presso l’Università diLouisville, e una laurea ingiornalismo e scienze politi-che presso l’Università delKentucky.

Traduzione a cura diErman Dovis, Capo redat-tore de la via del comunismo.

Fonte: http://www.policy-mic.com/articles/71255/10-corporations-control-almost-everything-you-buy-this-chart-shows-how

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Èormai quasi un anno che«il compagno Dinucci» ci

ha lasciato, e con lui se né è an-data una parte tanto importantedella nostra esperienza di vita,quella dei molti che lo hannofrequentato e hanno lottato alsuo fianco.

L’avevo conosciuto nel lon-tano 1963, quando per la primavolta ci eravamo incontrati nellasede delle Edizioni Oriente al-lora appena aperte a Milano.Era venuto alla guida di un foltogruppo di compagni toscani chedentro il Partito Comunista Ita-liano criticavano decisamenteKrusciov e Togliatti e che desi-deravano approfondire quelleche erano allora le posizioni deicomunisti cinesi e albanesi.

Subito Fosco si impose comeil compagno più adatto a gui-

darci nel cammino difficile pertrasformare le nostre speranzein obiettivi concreti, dalla fon-dazione di «Nuova Unità» nel1964 alla proclamazione delPartito Comunista d’Italia nel1966 a Livorno, dalla attiva par-tecipazione al movimento an-timperialista che si sviluppavaimpetuoso in quegli anni in Ita-lia e nel mondo al lavoro per laformazione dei primi «Comitatidi lotta» nelle fabbriche del no-stro paese, dalle riflessioni se-riamente autocritiche sui limitidel «movimento marxista-leni-nista» fino all’esperienza brevema entusiasmante di Ottobre.Come quadro politico Dinucciera profondamente internazio-nalista ma, co-sciente della re-sponsabilità peculiare che avevanel nostro paese, insisteva sem-pre con forza sulla necessità di

un serrato dibattito per fareavanzare la lotta.

Ciò che ora mi preme soprat-tutto ricordare di lui è il modoin cui Dinucci aborriva dal con-formi smo e dall’adulazione.Diversamente da altri compagniche dirigevano in quegli anni igruppi marxisti, Fosco nonamava chi gli dava sempre ra-gione e preferiva discutere coni compagni con cui poteva nonandare a priori d’accordo. Io erocoscientemente fra’ questi, e lacostante ironia sui miei modiforse un po’ rilassati non si di-staccava in noi dal piacere diuna vera autonomia intellet-tuale.

Da giovane Dinucci aveva pri-vato l’impeto della guerra par-tigiana, e forse per questoriusciva a mantenersi tenace

AD UN ANNO DALLA SCOMPARSA VIVEL'ESEMPIO POLITICO E MORALE DEL

COMPAGNO FOSCO DINUCCI*

di Mario Geymonat

In occasione del ventesimo anniversario della morte del compagno Fosco Dinucci, segretario ge-nerale del Partito Comunista d'Italia(m-l)e fondatore del Centro Gramsci di Educazione, e delprimo anniversario della scomparsa del compagno Mario Geymonat, già Presidente del CentroGramsci di Educazione, la redazione intende ricordarli entrambi attraverso la ripubblicazione diquesto intenso e vivo articolo scritto nel 1994. ●

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anche nei momenti peggiori.Guardava con fiducia incrolla-bile al movimento operaioanche nelle più gravi sconfitte,ma sapeva comprendere uma-namente i compagni che si sen-tivano scoraggiatidall’involuzione dei partiti mar-xisti, soprattutto cinesi e alba-nesi. Nel 1982 io era fra questiquando chiesi una borsa discambio fra la British Aca-demy e l’Accademia deiLincei e mi recai a Londraa continuare i miei studiprimari in ambito classico:egli accettò bonariamenteal-lora che i nostri incontri(e scontri) si diradassero,ma non volle che si inter-rompessero mai, rima-nendo sempre cosciente diquanto nella strada lunga etortuosa, della lotta diclasse fosse necessariopreservare a ogni costol’unità dei marxisti. Conlarghezza di vedùte corag-giosa e ammirevole egli siconvinse anni dopo cheera necessario sciogliere il pic-colo ma pugnace partito marxi-sta per dare linfa vitale almovimento di RifondazioneComunista che cominciava adaffermarsi.

Un’altra caratteristica pecu-liare e importante di Fosco èstata la sua ferma convinzionedella necessità di una posizioneculturale corretta. Conduce eglistesso una serie di lucide analisi

delle contraddizioni del mondoe del movimento operaio edesortava con passione i compa-gni a lavorare in quest’ambito.Aveva riunito nella sua grandecasa nella campagna pisana ivolantini e le testimonianzedelle lotte a cui aveva parteci-pato direttamente o che cono-sceva in concreto e operavatestardamente a che ,non an-

dasse disperso il patrimonio dianalisi di tante battaglie con-crete. Ma soprattutto si impegnasui classici del pensiero marxi-sta e li leggeva insieme alleopere dei maggiori filosofi escienziati borghesi, guardandoad essi con rigore critico masempre con invidiabile aperturamentale. Nei momenti più diffi-cili non cessava convinto diesortare i compagni a discutere

liberamente i problemi.L’esperienza di vita lo aveva

portato a richiedere molto atutti, prima di tutto a se stesso.Come un guerriero antico con-duceva uno stile di vita sem-plice e austero, tutto il contrariodei revisionisti che scimmiotta-vano i modi di vita borghesi.Amava viaggiare per l’Italia sui

treni e mischiandosi al po-polo e nelle lunghe e tor-mentate riunioni si nutrivasolamente dei magri paniniche gli preparava la fedelecompagna Adriana. Eralieto che la sua vita lo av-vicinasse frequentemente efraternamente ai compagnipiù umili, ritenendo a ra-gione che i comunistihanno sempre da impararemolto da loro.

In questi ultimi mesi lasituazione in Italia e nelmondo si sviluppa inmodo drammatico e dob-biamo fare gli sforzi piùseri per comprenderne afondo i motivi e le linee.

Per questo noi vecchi compagnisentiamo ancora di più la man-canza della passione civile diFosco, e io sono sicuro che lalotta reale ci imporrà ancoraspesso di ripensare al suo esem-pio morale.

* Articolo apparso sulla rivista Lavia del comunismo n.3 dell’aprile1994

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Pechino 1 ottobre 1969 - Incontro di FoscoDinucci con Mao

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La lotta per liberare le masse la-voratrici dalla influenza della bor-ghesia in generale e dalla borghesiaimperialista, in particolare, è impos-sibile senza una lotta contro i pre-giudizi opportunisti in relazione alloStato.1

Concetti come dittatura delproletariato, partito rivolu-

zionario, potere di classe, rischiano,tra le altre cose, di provocare brividiai liberali a destra come a sinistra.

Questo accade, in primo luogo,perché la propaganda ideologicadella borghesia, ancora vittoriosanegli spazi di produzione e diffu-sione di idee, è riuscita a travisare ilsenso reale, mentre altri concettivengono propagandati come valoriuniversali : democrazia, come oppo-sizione alla dittatura.. .

Ciò che non ammette, in generale,è la domanda: la democrazia o la dit-tatura di chi? E per chi? Che cosa è,infatti, la democrazia? E’ semplice-mente votare, anche quando allemasse a cui è concesso il suffragiouniversale, non hanno accesso ga-rantito alle condizioni di sostenta-mento, e il potere economico è la

traduzione effettiva della battagliaelettorale?

La propaganda ideologica ci mo-stra la dittatura del potere economicodella borghesia come democrazia eaccusagli esperimenti socialisti diessere dittature.

Allo stesso modo, una parte dellasinistra aderisce a questa presuntavulgata sull’universalità dei concettidi democrazia e rappresentanza, tra-sformando la lotta per il potere poli-tico in semplice disputa sullagestione dell’apparato statale, intesocome entità al di fuori e al di sopradelle classi.

Qui sta il problema centrale dellapratica dei partiti che sono guidatidal marxismo-leninismo.

La nozione di un partito rivoluzio-nario che incontriamo nella teoriamarxista-leninista si basa, quasiesclusivamente, nelle concezioniespresse da Marx ed Engels sullanatura dello Stato come apparatodella classe dirigente, nozioni riscat-tate da Lenin nel suo lavoro sul temadello Stato e il partito rivoluzionario(Stato e Rivoluzione).

Questo articolo tenta di riassumerealcune delle formulazioni dei fonda-

tori del marxismo per puntare il le-game inscindibile tra teoria del par-tito di Stato e la nozione di dittaturadel proletariato.

Per i fondatori del moderno socia-lismo scientifico, la storia sociale diuomini e donne non è altro che l’en-trare in rapporti determinati, neces-sari, indipendenti dalla loro volontà.Infatti le relazioni materiali, la pro-duzione sociale, costituiscono labase di tutte le sue relazioni e nonsono altro che le necessarie forme incui si svolge le proprie volontà ma-teriali e individuali.

Tutte le forme economiche sonostoriche, e quindi, transitorie.

Se, da un lato, è vero che l’umanitànon rinuncia ai miglioramenti par-ziali che, storicamente conquista,questo non significa, tuttavia, chenon potrà mai rinunciare ad unaforma sociale definitiva in cui leforze produttive sono state svilup-pate in modo da permettere un mi-glioramento delle condizioni di vita.Al contrario, al momento il modo diorganizzazione aziendale non corri-sponde alle forze produttive acqui-site, uomini e donne sono costretti acambiare i loro modi tradizionali. I

LA TEORIA DELLO STATO E IL PARTITORIVOLUZIONARIO IN MARX ED ENGELS

di Rita Coitinho*

1LENIN, V.I. Estado e a Revolução. In: Obras Escolhidas, Alfa-Ômega, São Paulo: 1980. Tomo II. Página 223.

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cambiamenti del modo di pensare siaccompagnano a ciò che si verificaalla base della società.

Engels, in una lettera a JosephBloch (1890) sottolineava cheLa si-tuazione economica è la base, ma idiversi momenti della sovrastruttura- le forme politiche della lotta diclasse e i risultati di questa - costi-tuzioni stabilite dalla classe vitto-riosa dopo una battaglia vinta,ecc. - le forme giuridiche, anzipersino i riflessi di tutte questelotte reali nel cervello di coloroche vi prendono parte, le teoriepolitiche, giuridiche, filosofi-che, le visioni religiose ed il lorosuccessivo sviluppo il sistemidogmatici, esercitano altresì laloro influenza sul decorso dellelotte storiche e in molti casi nedeterminano in modo prepon-derante la forma. E’ un’azionereciproca di tutti questi mo-menti, in cui alla fine il movi-mento economico si imponecome fattore necessario attra-verso un’enorme quantità di fatticausali.2

Successivamente Antonio Gram-sci sviluppò la concezione di sovra-struttura, facendo una distinzioneanalitica tra società civile e politica,nella quale la prima è composta daassociazioni di volontariato (fami-glie, scuole, sindacati..) mentre la se-conda è composta da istituzioni

governative (esercito, burocrazia,polizia..) il cui ruolo nella vita poli-tica è il dominio diretto: violenza,sottomissione. La cultura, che operadentro la società civile, influenza leidee, le istituzioni, il consenso degliindividui: questa forma di leadershipculturale è ciò che Gramsci ha iden-tificato come l’egemonia.

I cambiamenti e le trasformazioni

sociali hanno una spiegazione dia-lettica: da un lato, lo sviluppo delleforze produttive nel sistema capita-listico genera contraddizioni tra leclassi che detengono i mezzi di pro-duzione e la classe lavoratrice: Nellamisura in cui il lavoro procede svi-luppandosi socialmente, diventandocosì una fonte di ricchezza e di cul-tura, aumenta altresì anche la po-

vertà e la debolezza degli operai edei lavoratori, così come aumentala ricchezza di coloro che non lavo-rano. Dall’altro lato, questa lottache si sviluppa tra le classi crealefondamenta dellateoriache guidalalotta politica. Gli scontri tra le classiavvengono sul piano politico e, con-seguentemente i partiti politici e leorganizzazioni divengono espres-

sione politica più o meno ade-guata di queste classi e frazionidi classe.3

E’ importante sottolineare chetutte la lotte che contrappon-gono i partiti politici sono ne-cessariamente la derivazione diinteressi economici inconcilia-bili tra loro e quindi conflittuali.

Questi stessi interessi possonogenerare fasi di lotta politica, didispute all’interno di uno stessopartito tra frazioni di una stessaclasse, dove una di loro finisceper conquistare l’egemonia sul-l’altra, come nel caso descrittonel lavoro di Marx, Il diciotto

brumaio di Luigi Bonaparte.In questo studio, Marx descrisse la

lotta tra la borghesia filo-monarchicae quella filo-repubblicana, una divi-sione della borghesia all’interno delquadro della proprietà, tra capitalefinanziario e capitale produttivo. Lealtre classi vennero coinvolte nelconflitto, come alleati di uno dei duecampi della borghesia, o anche da

Karl Marx

2ENGELS, Friedrich & MARX, Karl. Cartas Filosóficas & O Manifesto Comunista. Editora Moraes, São Paulo: 1987. Página 39.

3ENGELS, Friedrich. Introdução de 1895 à As Lutas de Classe na França. In: MARX & ENGELS: Textos. Volume III. Edições Sociais, São Paulo: 1977.Página 94.

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soli.Considerando lo sviluppo anar-

chico del capitalismo, Marx ed En-gels si preoccuparono di costituireun forte movimento organizzato delproletariato orientato a sconfiggerela società capitalista e per la costru-zione del socialismo come sistemadi transizione verso una societàsenza classi, il comunismo mo-derno. Tutti i loro sforzi volti a com-prendere i meccanismi difunzionamento del modo di produ-zione capitalistico erano volti a co-struire una teoria che orientassel’azione della classe operaia e pro-letaria nella lotta per la conquista delpotere: I filosofi si limitano a inter-pretare il mondo nelle differenti ma-niere; ciò che davvero importa ètrasformarlo.4

Anche se Marx ed Engels nonhanno prodotto alcun lavoro siste-matico sulla questione del partitopolitico, questo dibattito occupa unaposizione centrale nel contesto delloro pensiero e dell’attività politica.Per loro, all’interno della società ca-pitalista, la classe rivoluzionaria è ilproletariato. Proprio come la bor-ghesia era la classe rivoluzionariadurante il periodo storico del feuda-lesimo (questo non significache le

altre classi non possono allearsi alproletariato nelle lotte politiche). Peragire come classe, il proletariato,nella visione dei suoi due pensatori,si deve organizzare come partito po-litico distinto, indipendente da tuttigli altri partiti esistenti: Questa co-stituzione del proletariato come par-tito politico è essenziale perassicurare il trionfo della rivolu-zione sociale e il suo obiettivo finale:l’abolizione delle classi.5

All’interno diquesta logica dicosti-tuzione del partito, i comunisti co-struiranno la parte più risoluta deipartiti operai di tutti i paesi, quellache sempre spinge avanti; dal puntodi vista della teoria, essi hanno unvantaggio sulla restante massa delproletariato per il fatto che cono-scono le condizioni, l’andamento ei risultati generali del movimentoproletario.6

Lo Stato, per Marx ed Engels, sullabase della società esistente, èl’espressione e lo strumento di do-minazione di classe. Nella societàcapitalista,lo Stato è controllato dallaborghesia e serve i suoi interessi. Diconseguenza, l’azione della classeoperaia, organizzata nel suo partitopolitico (e nei sindacati, nelle orga-nizzazioni economiche…), non

deve essere diretto al controllo diquesto tipo di Stato, ma per la co-struzione delle condizioni storicheper la sua distruzione e supera-mento: In particolare la Comune diParigi ha dimostrato, soprattutto,che la classe operaia non può sem-plicemente impadronirsi della mac-china statale come è, e metterla inmoto per i propri obiettivi.7

In questo senso, le conquiste de-mocratiche strappate alla borghesiasono importanti, ma non possonoessere l’orizzonte ultimo della classelavoratrice, perché la struttura delloStato costruito dalla borghesia la-vora per mantenere il suo potere diclasse, che presuppone appunto ilcontrollo e la sottomissione dellealtre classi sociali. La reale autono-mia dei lavoratori risiede in uno sce-nario e in un ambito sociale senzaoppressione di classe - una societàcomunista appunto. E tra una societàcomunista, obbiettivo ultimo dei la-voratori, e una società capitalista, sisitua un periodo di cambiamento ri-voluzionario, di transizione politicaNel quale lo Stato non può esserealtro che la dittatura rivoluzionariadel proletariato.8

Il concetto di dittatura del proleta-riato è stato spesso distorto e detur-

4ENGELS, Friedrich & MARX, Karl. A Ideologia Alemã (Feuerbach). Hucitec, São Paulo: 1987. Página 14.

5 MARX, Karl. Estatutos da Associação Internacional dos Trabalhadores. In: MARX & ENGELS: Textos. Volume III. Edições Sociais, São Paulo: 1977.Página 324.

6ENGELS, Friedrich & MARX, Karl. Cartas Filosóficas & O Manifesto Comunista. Editora Moraes, São Paulo1987. Página 117, MARX-ENGELS OPERECOMPLETE, Editori Riuniti pag. 498.

7 ENGELS, Friedrich & MARX, Karl. Prefácio de 1872 ao Manisfesto Comunista. O trecho foi uma correção dos autores ao texto original do Manifesto éuma citação da obra do próprio Marx, “A guerra civil na França”. Também foi citado por Lênin na obra O Estado e a Revolução.

8MARX, Karl. Crítica ao Programa de Gotha. http://www.marxists.org/portugues/marx/1875/gotha/index.htm.

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pato dalla teoria borghese e dai de-trattori del marxismo, come feceKautsky e i menscevichi come Mar-tov. Lenin, nel suo Stato e Rivolu-zione prima e La rivoluzioneproletaria e il rinnegato Kautskydopo, dimostrò come questi teoricicercarono di attribuire al concetto didemocrazia e parlamentarismo bor-ghese (cretinismo parlamentare,nelle specifiche parole di Lenin)valenze di pretesa assoluti e uni-versali, tentando di nascondere(attraverso citazioni incomplete einterpretazioni travisate il signifi-cato originale dei testi di Marx edEngels) la formulazione secondola quale la natura dello Stato, qua-lunque essa sia, è la garanzia delpotere della classe dominante at-traverso la repressione delle altreclassi della società, laddove il con-cetto di dittatura del proletariato siriferisce, unicamente, all’idea chelo Stato, sotto il controllo dellaclasse rivoluzionaria, dovrà eserci-tare il suo potere politico sulla classesconfitta, fino a quando questa nonsarà definitivamente espropriata esconfitta come classe.

In questa lotta per il controllo delladirezione dell’organizzazione dellasocietà, Marx ed Engels non vedonoalcuna possibilità che le contraddi-zioni e le dispute si diano una vesteperennemente pacifica. La borghe-sia non rinuncerà mai a perdere il

suo potere di classe in favore delproletariato, e la libertà di questa ul-tima classe si realizza solo nella mi-sura in cui non esistano piùsfruttatori e sfruttati, il che significal’abolizione di tutte le classi. Nellostesso modo di come la liberazionedella borghesia, che nel Feudale-simo era relegata nel Terzo Stato,portò all’abolizione di tutti gli Stati

e tutte le strutture di potere feudale,così la liberazione del proletariatoporterà necessariamente a sostituirela vecchia società per una nuova,che sostituirà le classi e i suoi anta-gonismi intrinsechi, e Pertanto nonci sarà alcun potere politico pro-priamente detto, dal momento che ilpotere politico è precisamente ilcompendio ufficiale dell’antagoni-smo nella società civile.9

Per riprendere nuovamente il con-

tributo di Gramsci, la classe rivolu-zionaria avrà successo nella sua im-presa quando conquisteràl’egemonia, o in altre parole, quandoi suoi valori culturali diverranno ivalori dominanti in tutta la società.

La lotta tra proletariato e borghesiaè la lotta di una classe contro l’altra,lotta che nellesue espressione piùelevate è la completa rivoluzione

delle strutture sociali. Solo in unasocietà senza classi l’evoluzionesociale può garantirsi una formatale, senza che ci siano rivoluzionipolitiche.

Marx esprime la sintesi di questavisione, alla fine del testo Miseriadella filosofia: Lassù, alla vigiliadi ogni rimodellamento generaledella società, l’ultima parola dellascienza sociale sarà sempre ilcombattimento o la morte; la lottasanguinosa o il nulla. Così, ine-sorabilmente, è posto il pro-blema.”10 (George Sand)

*Rita Matos Coitinho è laureatae insegnante in sociologia, scienzesociali e militante del Partito Co-munista del Brasile (PCdoB) aSanta Catarina.

Fonte originale: http://www.ver-melho.org.br/noticia.php?id_noti-cia=218585&id_secao=1

9MARX, Karl. Miséria da Filosofia. Centauro, São Paulo: 2001. Página 152. MARX-ENGELS OPERE COMPLETE, volume 6 la Miseria della Filoso-fia, Editori Riuniti, pag. 225

10MARX, Karl. Miséria da Filosofia. Centauro, São Paulo: 2001. MARX-ENGELS OPERE COMPLETE, volume 6 la Miseria della Filosofia, EditoriRiuniti

Friedrich Engels

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Data la difficoltà di pubblicareimmediatamente un reso-

conto giornalistico dei lavori del IIICongresso del nostro partito, rite-niamo per intanto opportuno di of-frire ai compagni e alla massa deilettori un esame e una informazionegenerale dei risultati del congressostesso. Ci affrettiamo comunque adannunciare che prossimamente saràpubblicato sul nostro giornale il re-soconto materiale del congresso esaranno successivamente riunite inun volume le deliberazioni e le tesinel loro testo definitivo.

I risultati numerici dei voti al con-gresso furono i seguenti: assenti enon consultati 18,9%; dei presenti alcongresso: voti per il Comitato cen-trale 90,8; per l’estrema sinistra 9,2;Il nostro partito è nato nel gennaio1921, cioè nel momento più criticosia della crisi generale della borghe-sia italiana, sia della crisi del movi-mento operaio. Ma la scissione, seera storicamente necessaria ed ine-vitabile, trovava però le grandimasse impreparate e riluttanti. In talesituazione l’organizzazione mate-riale del nuovo partito trovava lecondizioni più difficili. Avvenneperciò che il lavoro puramente orga-nizzativo, data la difficoltà delle con-dizioni in cui doveva svolgersi,

assorbì le energie creatrici del partitoin modo quasi completo.

I problemi politici che si ponevano,per la decomposizione da una partedel personale dei vecchi gruppi di-rigenti borghesi, dall’altra per unprocesso analogo del movimentooperaio, non poterono essere appro-fonditi sufficientemente. Tutta lalinea politica del partito negli anniimmediatamente successivi allascissione fu in primo luogo condi-zionata da questa necessità: di man-tenere strette le file del partito,aggredito fisicamente dalla offen-siva fascista da una parte, e dai mia-smi cadaverici delladecomposizione socialista dall’altra.

Era naturale che in tali condizionisi sviluppassero nell’interno del no-stro partito sentimenti e statid’animo di carattere corporativo esettario. Il problema generale poli-tico, inerente all’assistenza e allo svi-luppo del partito non era visto nelsenso di una attività per la quale ilpartito dovesse tendere a conquistarele più larghe masse e ad organizzarele forze sociali necessarie per scon-figgere la borghesia e conquistare ilpotere, ma era visto come il pro-blema della esistenza stessa del par-tito.

La scissione di Livorno.

Il fatto della scissione fu visto nelsuo valore immediato e meccanicoe noi commetteremmo, in altrosenso sia pure, lo stesso errore cheera stato commesso da Serrati. Ilcompagno Lenin aveva dato la for-mula lapidaria del significato dellascissione, in Italia, quando avevadetto al compagno Serrati: “Separa-tevi da Turati, e poi fate l’alleanzacon lui”.

Questa formula avrebbe dovutoessere da noi adattata alla scissioneavvenuta in forma diversa da quellaprevista da Lenin. Dovevamo cioè,come era indispensabile e storica-mente necessario, separarci non solodal riformismo, ma anche dal mas-simalismo che in realtà rappresen-tava e rappresenta l’opportunismotipico italiano del movimento ope-raio; ma dopo di ciò e pur conti-nuando la lotta ideologica eorganizzativa contro di essi, cercaredi fare una alleanza contro la rea-zione.

Per gli elementi dirigenti del nostropartito, ogni azione dell’Internazio-nale, rivolta ad ottenere un riavvici-namento a questa linea, apparvecome se fosse una sconfessione im-plicita della scissione di Livorno,

CINQUE ANNI DI VITA DEL PARTITO

di Antonio Gramsci

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come una manifestazione di penti-mento.

Si disse che, accettando una taleimpostazione della lotta politica, siveniva ad ammettere che il nostropartito era solamente una nebulosaindefinita, mentre era giusto ed eranecessario affermare che il nostropartito, nascendo, aveva risolto de-finitivamente il problema della for-mazione storica del partito delproletariato italiano.

Questa opinione era rafforzatadalle non lontane esperienze della ri-voluzione soviettista in Unghe-ria, dove la fusione tra comunistie socialdemocratici fu certa-mente uno degli elementi checontribuirono alla disfatta.

La portata dell’esperienzaungherese

In realtà l’impostazione data aquesto problema dal nostro par-tito era falsa e andò sempre piùmanifestandosi come tale allelarghe masse del partito. Propriol’esperienza ungherese avrebbedovuto convincerci che la lineaseguita dall’Internazionale nellaformazione dei partiti comunisti nonera quella che noi le attribuivamo. E’noto infatti che il compagno Lenincercò di opporsi strenuamente allafusione tra comunisti e socialdemo-cratici ungheresi, nonostante chequesti ultimi si dichiarassero fautoridella dittatura del proletariato. Si puòdire perciò che il compagno Leninfosse in generale contrario alle fu-sioni?

Certamente no. Il problema eravisto dal compagno Lenin e dall’In-ternazionale come un processo dia-lettico, attraverso il quale l’elementocomunista, cioè la parte più avanzatae cosciente del proletariato, si pone,sia nell’organizzazione del partitodella classe operaia, sia nella fun-zione di direzione delle grandimasse, alla testa di tutto ciò che dionesto e attivo si è formato ed esistenella classe.

In Ungheria è stato un errore di-struggere l’organizzazione indipen-

dente comunista nel momento dellapresa del potere, per dissolvere e di-luire il raggruppamento costituitonella più vasta ed amorfa

organizzazione socialdemocraticache non poteva non riprendere pre-dominio. Anche per l’Ungheria ilcompagno Lenin aveva formulato lalinea del nostro vecchio partito comeun’alleanza con la socialdemocra-zia, non come una fusione. Alla fu-

sione si sarebbe arrivati più tardi,quando il processo del predominiodel raggruppamento comunista sifosse sviluppato sulla scala più larganel campo dell’organizzazione dipartito, dell’organizzazione sinda-cale e dell’apparato statale, e cioècon la separazione organica e poli-tica degli operai rivoluzionari daicapi opportunisti.

Per l’Italia il problema si poneva intermini ancora più semplici che inUngheria, perché non solo il prole-tariato non aveva conquistato il po-

tere, ma iniziava, proprio nelmomento della formazione delpartito, un grande movimento diritirata. Porre in Italia la que-stione della formazione del par-tito, così com’era stato indicatodal compagno Lenin nella suaformula espressa a Serrati, signi-ficava - nell’arretramento delproletariato che si iniziava allora- dare la possibilità al nostro par-tito di raggruppare intorno a séquegli elementi del proletariatoche avrebbero dovuto resistere,ma che sotto la direzione massi-malista erano travolti nella rottagenerale e cadevano progressi-

vamente nella passività. Ciò signifi-cava che la tattica suggerita da Lenine dall’Internazionale era l’unica ca-pace di rafforzare e sviluppare i ri-sultati della scissione di Livorno e difare veramente del nostro partito, find’allora, non solo in astratto e comeaffermazione storica, ma in formaeffettiva, il partito dirigente dellaclasse operaia.

Per questa falsa impostazione del

Antonio Gramsci

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problema, noi ci siamo mantenutisulle posizioni avanzate, da soli econ la frazione di masse immedia-tamente più vicina al partito, ma nonabbiamo fatto quanto era necessarioper mantenere sulle nostre posizioniil proletariato nel suo complesso, ilquale tuttavia era ancora animato daun grande spirito di lotta, come è di-mostrato da tanti episodi spessoeroici della resistenza opposta al-l’avanzata avversaria.

Il partito negli anni 1921-22.

Un altro degli elementi di debo-lezza della nostra organizzazione èconsistito nel fatto che tali problemi,data la difficoltà della situazione edato che le forze del partito erano as-sorbite dalla lotta immediata per lapropria difesa fisica, non divennerooggetto di discussione alla base equindi elemento di sviluppo dellacapacità ideologica e politica delpartito. Avvenne così che il I Con-gresso del partito, quello tenuto a Li-vorno nel teatro San Marco subitodopo la scissione, si pose solo deicompiti di carattere organizzativoimmediato:

formazione degli organismi cen-trali e inquadramento generale delpartito.

Il II Congresso avrebbe potuto eforse dovuto esaminare e impostarele suddette questioni, ma a ciò si op-posero i seguenti elementi:

1) il fatto che non solo la massa,ma anche una grande parte degli ele-menti più responsabili e più vicini

alla direzione del partito ignoravanoletteralmente che esistessero diver-genze profonde ed essenziali fra lalinea seguita dal nostro partito equella sostenuta dall’Internazionale;

2) l’essere il partito assorbito dallalotta diretta fisica portava a sottova-lutare le questioni ideologiche e po-litiche in confronto di quellepuramente organizzative. Era quindinaturale che sorgesse nel partito unostato d’animo contrario a priori adapprofondire ogni questione che po-tesse prospettare pericoli di conflittigravi nel gruppo dirigente costitui-tosi a Livorno;

3) il fatto che l’opposizione rileva-tasi al Congresso di Roma e che di-ceva essere la sola rappresentantedelle direttive dell’Internazionaleera, nella situazione data, un’espres-sione dello stato d’animo di stan-chezza e di passività che esisteva inalcune zone del partito.

La crisi subita sia dalla classe do-minante che dal proletariato nel pe-riodo precedente l’avvento delfascismo al potere, pose nuova-mente il nostro partito dinanzi aiproblemi che il Congresso di Romanon aveva avuto la possibilità di ri-solvere.

In che cosa consistette questa crisi?I gruppi di sinistra della borghesia,fautori a parole di un governo demo-cratico che si proponesse di arginareenergicamente il movimento fasci-sta, avevano reso arbitro il Partito so-cialista di accettare o non accettarequesta soluzione per liquidarlo poli-ticamente sotto il cumulo della re-

sponsabilità di un mancato accordoantifascista. In questo modo di porrela questione da parte dei democraticiera implicita la preventiva capitola-zione dinanzi al movimento fascista,fenomeno che si riprodusse poi nellacrisi Matteotti.

Tuttavia tale impostazione se ebbein un primo tempo il potere di deter-minare una chiarificazione nel Par-tito socialista, essendosi in base adessa prodotta la scissione dei massi-malisti dai riformisti, aggravavaperò la situazione del proletariato.Infatti la scissione rendeva infrut-tuosa la tattica proposta dai demo-cratici, in quanto il governo disinistra da questi prospettato dovevacomprendere il Partito socialistaunito, cioè significare la cattura dellamaggioranza della classe proletariaorganizzata nell’ingranaggio delloStato borghese, anticipando la legi-slazione fascista e rendendo politi-camente inutile l’esperimento direttofascista.

D’altronde la scissione, come ap-parve più chiaramente in seguito,solo macchinalmente aveva portatoa uno sbalzo a sinistra dei massima-listi, i quali, se affermavano di voleraderire all’Internazionale comunistae quindi di riconoscere l’errore com-messo a Livorno, si muovevanoperò con tante riserve e reticenzementali da neutralizzare il risvegliorivoluzionario che la scissione avevadeterminato nelle masse, portandolecosì a nuove disillusioni e a una ri-caduta di passività, di cui approfittòil fascismo per effettuare la marcia

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su Roma.

Il nuovo corso del partito.

Questa nuova situazione si riflettèal IV Congresso dell’Internazionalecomunista, dove si arrivò alla for-mazione del comitato di fusionedopo incertezze e resistenze cheerano legate alla persuasione radi-cata nella maggioranza dei delegatidel nostro partito che lo spostamentodei massimalisti non rappresen-tava

che una oscillazione transitoria esenza avvenire. In ogni modo è daquesto momento che si inizianell’interno del nostro partito unprocesso che prosegue incessan-temente ed esce dal campo del fe-nomeno di gruppo per divenireproprio di tutto il partito, quandosi avvertono e si sviluppano glielementi della crisi del fascismoiniziatasi col Congresso di Torinodel Partito popolare.

Appare sempre più evidente cheoccorre far uscire il partito dallaposizione mantenuta nel 1921-22,se si vuole che il movimento comu-nista si sviluppi parallelamente allacrisi che subisce la classe domi-nante. La pregiudiziale che avevaavuto una così larga importanza nelpassato, per la quale occorrevaprima di tutto mantenere l’unità or-ganizzativa del partito, veniva a ca-dere per il fatto che nella situazionedi conflitto tra il nostro partito e l’In-ternazionale, si costituiva nelle no-stre file uno stato di frazione latenteche trovava la sua espressione in

gruppi nettamente di destra, spessocon carattere nettamente liquidazio-nista.

Tardare ancora a porre in tutta laloro ampiezza le questioni fonda-mentali di tattica, sulle quali fino adallora si era esitato ad aprire la di-scussione, avrebbe significato deter-minare una crisi generale del partitosenza uscita. Avvennero così nuoviraggruppamenti che andarono sem-pre più sviluppandosi, fino alla vigi-

lia del nostro III Congresso, quandofu possibile accertare che non solola grande maggioranza alla base delpartito (che non era stata mai aper-tamente interpellata), ma anche lamaggioranza del vecchio gruppo di-rigente si era staccata nettamentedalla concezione e dalla posizionepolitica di estrema sinistra, per por-tarsi completamente sul terrenodell’Internazionale e del leninismo.

L’importanza del III Congresso.

Da ciò che è stato detto finora, ap-pare chiaramente quanto fosserograndi l’importanza e i compiti delnostro III Congresso. Esso dovevachiudere tutta un’epoca della vita delnostro partito, ponendo termine allacrisi interna, e determinando unoschieramento stabile di forze tale dapermettere uno sviluppo normaledella sua capacità di direzione poli-tica delle masse da parte del partito

e quindi della sua capacitàd’azione.

Ha il congresso effettivamenterisolto questi compiti? Indubbia-mente tutti i lavori del congressohanno dimostrato che, nonostantele difficoltà della situazione, il no-stro partito sia riuscito a risolverela sua crisi di sviluppo, raggiun-gendo un livello di omogeneità, dicompattezza e di stabilizzazionenotevole e certamente superiore aquello di molte altre sezioni del-l’Internazionale. L’intervento nellediscussioni di congresso dei dele-gati di base, alcuni dei quali venutidalle regioni dove più è difficile

l’attività del partito, ha dimostratocome gli elementi fondamentali deldibattito, fra l’Internazionale e il Co-mitato centrale da una parte e l’op-posizione dall’altra, siano stati nonsolo meccanicamente assorbiti dalpartito, ma, avendo determinato unaconvinzione consapevole e diffusa,abbiano contribuito ad elevare, inmisura impreveduta anche daglistessi compagni più ottimisti, il tonodella vita intellettuale della massadei compagni e la loro capacità di di-

Lenin

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rezione e di iniziativa politica. Que-sto ci pare il significato più rilevantedel congresso.

E’ risultato che il nostro partito nonsolo può dirsi di massa per l’in-fluenza che esso esercita sui larghistrati della classe operaia e dellamassa contadina, ma perché ha ac-quistato nei singoli elementi che locompongono una capacità di analisidelle situazioni, di iniziativa politicae di forza dirigente che nel passatogli mancavano e che sono la basedella sua capacità di direzione col-lettiva. D’altronde tutto lo svolgi-mento dei lavori condotti alla baseper organizzare ideologicamente epraticamente il Congresso nelle re-gioni e nelle province dove la re-pressione poliziesca vigila conmaggiore intensità ogni movimentodei nostri compagni, e il fatto che sisia riusciti per sette giorni a tenereuniti oltre sessanta compagni per ilcongresso del partito, e quasi altret-tanti per il congresso giovanile, sonodi per sé stessi una prova dello svi-luppo più sopra accennato.

E’ evidente per tutti che tutto que-sto movimento di compagni e di or-ganizzazioni non è solamente unpuro fatto organizzativo, ma costi-tuisce di per sé un’altissima manife-stazione di valore politico. Pochecifre in proposito. Sono state tenutenella prima fase della preparazionecongressuale dalle due alle tre milariunioni di base che hanno culmi-nato in oltre un centinaio di con-gressi provinciali, ove furono scelti,dopo ampie discussioni, i delegati alcongresso.

Valore politico e risultati acquisitiOgni operaio è in grado di apprez-zare tutto il significato di questepoche cifre che è possibile pubbli-care, dopo cinque anni dall’epocadell’occupazione delle fabbriche etre anni di governo fascista che haintensificato l’opera generale di con-trollo su ogni attività di massa e harealizzato un’organizzazione di po-lizia che è grandemente superiorealle organizzazioni poliziesche pre-cedentemente esistite.

Poiché la maggiore debolezzadell’organizzazione operaia tradi-zionale si manifestava essenzial-mente nello squilibrio permanente eche diventava catastrofico nei mo-menti culminanti dell’attività dimassa, tra la potenzialità dei quadriorganizzativi di partito e la spintaspontanea dal basso, è evidente cheil nostro partito è riuscito, nonostantele condizioni estremamente sfavo-revoli dell’attuale periodo, a supe-rare in misura notevole questadebolezza e a predisporre forze or-ganizzative coordinate e centraliz-zate che assicurano la classe operaiacontro gli errori e le insufficienzeche si verificavano nel passato. E’questo un altro dei significati più im-portanti del nostro congresso: laclasse operaia è capace di azione edimostra di essere storicamente ingrado di compiere la sua missionedirettrice nella lotta anticapitalistica,nella misura in cui riesce ad espri-mere dal suo seno tutti gli elementitecnici che nella società moderna sidimostrano indispensabili per l’or-ganizzazione concreta delle istitu-

zioni in cui si realizzerà il pro-gramma proletario.

E da questo punto di vista occorreanalizzare tutta l’attività del movi-mento fascista dal 1921 fino alle ul-time leggi fascistissime: essa è statasistematicamente rivolta a distrug-gere i quadri che il movimento pro-letario e rivoluzionario avevafaticosamente elaborato in quasi cin-quant’anni di storia. In questo modoil fascismo riusciva nella praticitàimmediata a privare la classe operaiadella sua autonomia e indipendenzapolitica e la costringeva o alla passi-vità, cioè a una subordinazioneinerte all’apparato statale, oppure,nei momenti di crisi politica, comenel periodo Matteotti, a ricercarequadri di lotta in altre classi menoesposte alla repressione.

Il nostro partito è rimasto il solomeccanismo che la classe operaiaabbia a sua disposizione per selezio-nare nuovi quadri dirigenti di classe,cioè per riconquistare la sua indipen-denza ed autonomia politica. Il con-gresso ha dimostrato come il nostropartito sia riuscito brillantemente arisolvere questo compito essenziale.Due erano gli obiettivi fondamentaliche dovevano essere raggiunti dalcongresso:

1) dopo le discussioni e i nuovischieramenti di forze che si eranoverificati così come abbiamo dettoprecedentemente, occorreva unifi-care il partito, sia nel terreno deiprincipi e della pratica di organizza-zione che nel terreno più stretta-mente politico;

2) il congresso era chiamato a sta-

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bilire la linea politica del partito peril prossimo avvenire e ad elaborareun programma di lavoro pratico intutti i campi di attività delle masse.

I problemi che si ponevano perraggiungere concreti obiettivi nonsono naturalmente indipendentil’uno dall’altro, ma sono coordinatinel quadro della concezione gene-rale del leninismo. La discussionedel congresso perciò, anche quandosi svolgeva intorno agli aspetti tec-nici di ogni singola questione pra-tica, poneva la quistionegenerale dell’accettazione omeno del leninismo. Il con-gresso doveva quindi servire amettere in evidenza in quale mi-sura il nostro partito era diven-tato un partito bolscevico.

Gli obiettivi fondamentali.

Partendo da un apprezza-mento storico e politico imme-diato della funzione della classeoperaia nel nostro paese, il con-gresso dette una soluzione atutta una serie di problemi chepossono raggrupparsi così:

1) Rapporti fra il Comitatocentrale del partito e la massadel partito.

a) In questo gruppo di problemirientra la discussione generale sullanatura del partito, sulla necessità cheesso sia un partito di classe, non soloastrattamente, cioè in quanto il pro-gramma accettato dai suoi membriesprime le aspirazioni del proleta-riato, ma per così dire, fisiologica-mente, in quanto cioè la grande

maggioranza dei suoi componenti èformata di proletari e in esso si riflet-tono e si riassumono solamente i bi-sogni e la ideologia di una solaclasse: il proletariato.

b) La subordinazione completa ditutte le energie del partito in talmodo socialmente unificato alla di-rezione del Comitato centrale. La le-altà di tutti gli elementi del partitoverso il Comitato centrale deve di-ventare non solo un fatto puramenteorganizzativo e disciplinare, ma un

vero principio di etica rivoluziona-ria.

Occorre infondere nelle masse delpartito una convinzione così radicatadi questa necessità, che le iniziativefrazionistiche e ogni tentativo in ge-nerale di disgregare la compaginedel partito debbano trovare alla baseuna reazione spontanea e immediatache le soffochi sul nascere. L’autorità

del Comitato centrale, tra un con-gresso e l’altro, non deve mai essereposta in discussione, e il partito devediventare un blocco omogeneo.Solo a tale condizione il partito saràin grado di vincere i nemici di classe.Come potrebbe la massa dei senza-partito aver fiducia che lo strumentodi lotta rivoluzionaria, il partito, rie-sca a condurre senza tentennamentie senza oscillazioni la lotta implaca-bile per conquistare e mantenere ilpotere, se la Centrale del partito non

ha la capacità e l’energia neces-saria per eliminare tutte le debo-lezze che possono incrinare lasua compattezza? I due puntiprecedenti sarebbero di impos-sibile realizzazione se, nel par-tito, alla omogeneità sociale ealla compattezza monoliticadella organizzazione non si ag-giungesse la coscienza diffusadi una omogeneità ideologica epolitica.

Concretamente la linea che ilpartito deve seguire può essereespressa in questa formula: ilnucleo della organizzazione dipartito consiste in un forte Co-mitato centrale, strettamentecollegato con la base proletaria

del partito stesso, sul terreno dellaideologia e della tattica del marxi-smo e del leninismo. Su questa seriedi problemi la enorme maggioranzadel congresso si è nettamente pro-nunciata in senso favorevole alle tesidel comitato centrale ed ha respintonon solo senza la minima conces-sione, ma anzi insistendo sulla ne-cessità della intransigenza teorica e

La sala del teatro Goldoni a Livornodurante il XVII congresso del PSI

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della inflessibiltà pratica, le conce-zioni dell’opposizione che potrebbemantenere il partito in uno stato dideliquescenza e di amorfismo poli-tico e sociale.

2) Rapporti del partito con la classeproletaria (cioè la classe di cui il par-tito è il diretto rappresentante, con laclasse che ha il compito di dirigerela lotta anticapitalistica e di organiz-zare la nuova società).

In questo gruppo di problemi rien-tra l’apprezzamento della funzionedel proletariato nella società italiana,cioè del grado di maturità di tale so-cietà a trasformarsi da capitalista insocialista e quindi delle possibilitàper il proletariato di diventare classeindipendente e dominante. Il con-gresso ha perciò discusso: a) la qui-stione sindacale, che per noi èessenzialmente quistione della orga-nizzazione delle più larghe masse,come classe a sé stante, sulla basedegli interessi economici immediati,e come terreno di educazione poli-tica rivoluzionaria; b) la quistionedel fronte unico, cioè dei rapporti didirezione politica fra la parte piùavanzata del proletariato e le frazionimeno avanzate di esso.

3) Rapporti della classe proletarianel suo complesso con le altre forzesociali che oggettivamente sono sulterreno anticapitalistico, quantunquesiano dirette da partiti e gruppi poli-tici legati alla borghesia; quindi inprimo luogo i rapporti fra il proleta-riato e i contadini.

Anche su tutta quest’altra serie diproblemi la enorme maggioranzadel congresso respinse le concezioni

errate dell’opposizione e si schieròin favore delle soluzioni date dal Co-mitato centrale.

Come si sono schierate le forze delcongresso.

Accennammo già all’atteggia-mento che la stragrande maggio-ranza del congresso ha assunto neiriguardi delle soluzioni da dare aiproblemi essenziali nel periodo at-tuale. E’ opportuno però analizzarepiù dettagliatamente l’atteggiamentoassunto dall’opposizione e accen-nare, sia pure brevemente, ad altri at-teggiamenti che si sono presentati alcongresso come atteggiamenti indi-viduali, ma che potrebbero nell’av-venire coincidere con determinatimomenti transitori nello sviluppodella situazione italiana, e che perciòdevono essere fin da ora denunziatie combattuti.

Abbiamo già accennato nei primiparagrafi di questa esposizione aimodi e alle forme che hanno carat-terizzato la crisi di sviluppo del no-stro partito negli anni dal 1921 al1924. Ricorderemo brevementecome al V Congresso mondiale lacrisi stessa trovasse una soluzioneprovvisoria organizzativa con la co-stituzione di un Comitato centraleche nel suo complesso si ponevacompletamente sul terreno del leni-nismo e della tattica dell’Internazio-nale comunista, ma che siscomponeva in tre parti, di cui, una,che aveva la maggioranza più unodel comitato stesso, rappresentavagli elementi terzini, entrati nel partito

dopo la fusione.Nonostante le sue intrinseche de-

bolezze, tuttavia per il fatto che lafunzione dirigente nel suo seno eranettamente esercitata dal cosiddettogruppo di centro, cioè dagli elementidi sinistra staccatisi dal gruppo diri-gente di Livorno, il Comitato cen-trale riuscì ad impostare e a risolvereenergicamente il problema dellabolscevizzazione del partito e delsuo accordo completo con le diret-tive dell’Internazionale comunista.

Atteggiamenti dell’estremasinistra.

Certamente vi furono delle resi-stenze, e l’episodio culminante diesse, che tutti i compagni ricordano,fu la costituzione del Comitato d’in-tesa, cioè del tentativo di costituireuna frazione organizzata che si con-trapponesse al Comitato centralenella direzione del partito. In realtàla costituzione del Comitato d’intesafu il sintomo più rilevante della di-sgregazione dell’estrema sinistra, laquale, poiché sentiva di perdere pro-gressivamente terreno nelle file delpartito, cercò di galvanizzare con unatto clamoroso di ribellione le pocheforze che ancora le rimanevano.

E’ notevole il fatto che dopo lasconfitta ideologica e politica subitadall’estrema sinistra già nel periodoprecongressuale, il nucleo di essapiù resistente sia andato assumendoposizioni sempre più settarie e diostilità verso il partito dal quale sisentiva ogni giorno più lontano estaccato. Questi compagni non solo

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continuarono a mantenersi sul ter-reno della più strenua opposizionesu determinati punti concreti dellaideologia e della politica del partitoe dell’Internazionale, ma cercaronosistematicamente motivi di opposi-zione su tutti i punti, in modo da pre-sentarsi in blocco quasi come unpartito nel partito.

E’ facile immaginare che, partendoda una tale posizione, si dovesse ar-rivare, durante lo svolgimento delcongresso, ad atteggiamentiteorici e pratici, nei quali ladrammaticità che era un ri-flesso della situazione gene-rale in cui il partito devemuoversi, difficilmente eradistinguibile da un certoistrionismo, che appariva dimaniera a chi realmenteaveva lottato e si era sacrifi-cato per la classe proletaria.

In quest’ordine di avveni-menti dev’essere posta, adesempio, la pregiudiziale pre-sentata dall’opposizione, su-bito alla apertura delcongresso, con la quale la va-lidità deliberativa di esso venivacontestata, cercandosi in tal modo diprecostituire un alibi per una possi-bile ripresa di attività frazionistica eper un possibile misconoscimentodell’autorità della nuova dirigenzadel partito.

Alla massa dei congressisti, checonoscevano quali sacrifici e qualisforzi organizzativi fosse costata lapreparazione del congresso, questapregiudiziale apparve una vera epropria provocazione e non è senza

significato che gli unici applausi (ilregolamento del congresso proibivaper ragioni comprensibili ogni ma-nifestazione clamorosa di consensoo di biasimo) furono rivolti all’ora-tore che stigmatizzò l’atteggiamentoassunto dall’opposizione e sostennela necessità di rafforzare dimostrati-vamente il nuovo comitato da eleg-gersi con mandato specifico diimplacabile rigore contro qualsiasiiniziativa che praticamente mettesse

in dubbio l’autorità del congresso el’efficienza delle sue deliberazioni.

Affioramento di deviazioni didestra.

Allo stesso ordine di avvenimenti,e in modo aggravato per la formamanierata e teatrale, appartieneanche l’atteggiamento assunto dal-l’opposizione, prima della fine delcongresso, quando si stavano pertrarre le conclusioni politico-orga-

nizzative dei lavori del congressostesso. Ma gli stessi elementi del-l’opposizione poterono avere lanetta dimostrazione di quello che èlo stato d’animo diffuso nelle file delpartito: il partito non intende permet-tere che si giochi più a lungo al fra-zionismo e all’indisciplina; il partitovuole realizzare il massimo di dire-zione collettiva e non permetterà anessun singolo, qualunque sia il suovalore personale, di contrapporsi al

partito.Nelle sedute plenarie del

congresso l’opposizione diestrema sinistra è stata la solaopposizione ufficiale e dichia-rata. L’atteggiamento di oppo-sizione sulla quistionesindacale assunto da duemembri del vecchio Comitatocentrale per il suo carattere diimprovvisazione e di impul-sività, è da considerarsi piut-tosto come un fenomenoindividuale di isterismo poli-tico, che di opposizione insenso sistematico.

Durante i lavori della com-missione politica invece ci fu unamanifestazione che, se può ritenersiper adesso di carattere puramente in-dividuale deve essere considerata,dati gli elementi ideologici che neformavano la base, come una vera epropria piattaforma di destra, chepotrebbe essere presentata al partitoin una situazione determinata, e cheperciò doveva essere, come fu, re-spinta senza esitazione, dato special-mente che di essa si era fattoportavoce un membro del vecchio

Questa dimenticanza delle grandiquestioni di principio di fronte agliinteressi passeggeri del giorno, que-sta corsa ai successi momentaneisenza preoccuparsi delle conse-guenze ulteriori, questo abbandonodell’avvenire del movimento che sisacrifica per il presente, possonoforse provenire da motivi “onesti”,ma sono e rimangono dell’opportu-nismo, e l’opportunismo “onesto” èforse più pericoloso di tutti.

Friedrich Engels

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Comitato centrale.Questi elementi ideologici sono:1) l’affermazione che il governo

operaio e contadino può costituirsisulla base del parlamento borghese;

2) l’affermazione che la socialde-mocrazia non deve essere ritenutacome l’ala sinistra della borghesia,ma come l’ala destra del proleta-riato;

3) che nella valutazione dello Statoborghese occorre distinguere la fun-zione di oppressione di una classesull’altra dalla funzione di produ-zione di determinate soddisfazioni acerte esigenze generali della società.

Il primo e il secondo di tali ele-menti sono contrari alle decisioni delIII Congresso: il terzo è fuori dallaconcezione marxista dello Stato.Tutti i tre insieme rivelano un orien-tamento a concepire la soluzionedella crisi della società borghese al-l’infuori della rivoluzione.

La linea politica fissata dal partito.

Poiché così si schierarono le forzerappresentate al Congresso, cioècome una più rigida opposizione deiresidui dell’ “estremismo” contro leposizioni teoriche e pratiche dellamaggioranza del partito, accenne-remo rapidamente solo ad alcunipunti della linea stabilita dal con-gresso.

Quistione ideologica.Su tale quistione il congresso af-

fermò la necessità che sia sviluppatodal partito tutto un lavoro di educa-zione che rafforzi la conoscenza

della nostra dottrina marxista nellefile del partito e sviluppi la capacitàdel più largo strato dirigente. Su que-sto punto l’opposizione cercò di fareun’abile diversione:

riesumò alcuni vecchi articoli ebrani di articoli di compagni dellamaggioranza del partito per soste-nere che essi solo relativamente tardihanno accettato integralmente laconcezione del materialismo storicoquale risulta dalle opere di Marx e diEngels, e sostenevano invece la in-terpretazione che del materialismostorico era data da Benedetto Croce.Poiché è noto che anche le tesi diRoma sono state giudicate come es-senzialmente ispirate dalla filosofiacrociana, questa argomentazionedell’opposizione apparve come ispi-rata a pura demagogia congressuale.

In ogni caso, poiché la quistionenon è di individui singoli, ma dimasse, la linea stabilita dal con-gresso, della necessità di un lavorospecifico di educazione per elevareil livello della cultura generale mar-xista del partito, riduce la polemicadell’opposizione a una esercitazioneerudita di ricerca di elementi biogra-fici più o meno interessanti sullo svi-luppo intellettuale di singolicompagni.

Tattica del partito.Il congresso ha approvato e ha di-

feso energicamente contro gli attac-chi dell’opposizione la tattica seguitadal partito nell’ultimo periodo dellastoria italiana caratterizzato dallacrisi Matteotti. Occorre dire chel’opposizione non ha cercato di con-

trapporre all’analisi che della situa-zione italiana è stata fatta dalla Cen-trale nelle tesi per il congresso néun’altra analisi che portasse a stabi-lire una linea tattica diversa, né dellecorrezioni parziali che giustificas-sero una posizione di principio.

E’ stato caratteristico anzi dellafalsa posizione della estrema sinistrail fatto che mai le sue osservazioni ele sue critiche si siano basate su unesame né approfondito e neanchesuperficiale dei rapporti di forza edelle condizioni generali esistentinella società italiana. Risultò cosìchiaramente come il metodo propriodell’estrema sinistra, e che l’estremasinistra dice essere dialettico, non èil metodo della dialettica materiali-stica proprio di Marx, ma il vecchiometodo della dialettica concettualeproprio della filosofia premarxista epersino prehegeliana.

All’analisi oggettiva delle forze inlotta e della direzione che esse assu-mono contraddittoriamente in rap-porto allo sviluppo delle forzemateriali della società, l’opposizionesostituiva la affermazione di esserein possesso di uno speciale e miste-rioso “fiuto” secondo il quale il par-tito dovrebbe essere diretto. Stranaaberrazione che autorizzava il con-gresso a giudicare estremamente pe-ricoloso e deleterio per il partito untale metodo che porterebbe solo auna politica di improvvisazione e diavventure.

Che d’altronde l’opposizione nonabbia mai posseduto un proprio me-todo capace di sviluppare le forzedel partito e le energie rivoluzionarie

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del proletariato che possa esserecontrapposto al metodo marxistale-ninista, è dimostrato dall’attivitàsvolta dal partito negli anni 1921-22,quando era politicamente diretto daalcuni degli attuali irriducibili oppo-sitori.

A questo proposito furono dal con-gresso analizzati due momenti dellasituazione italiana, e cioè l’atteggia-mento assunto dalla direzione delpartito nel febbraio 1921, quando fusferrata l’offensiva frontale dalfascismo in Toscana e in Puglia,e l’atteggiamento della stessadirezione verso il movimentodegli arditi del popolo. Dal-l’analisi di questi due momentirisultò come il metodo affer-mato dall’opposizione portisolo alla passività e alla ina-zione e consista in ultima ana-lisi semplicemente nel trarredagli avvenimenti ormai svol-tisi senza l’intervento del partitonel suo complesso, degli inse-gnamenti di solo carattere pe-dagogico e propagandistico.

La quistione sindacale.Nel campo sindacale il diffi-

cile compito del partito consistenel trovare un giusto accordo fraqueste due linee di attività pratica:

1) difendere i sindacati di classecercando di mantenere il massimodi coesione e di organizzazione sin-dacale fra le masse che tradizional-mente hanno partecipatoall’organizzazione sindacale stessa.E’

questo un compito di eccezionale

importanza, perché il partito rivolu-zionario deve sempre, anche nellepeggiori situazioni oggettive, ten-dere a conservare tutte le accumula-zioni di esperienza e di capacitàtecnica e politica che si sono venuteformando attraverso gli sviluppidella storia passata nella massa pro-letaria. Per il nostro partito la Con-federazione generale del lavorocostituisce in Italia l’organizzazioneche storicamente esprime in modo

più organico queste accumulazionidi esperienza e di capacità e rappre-senta quindi il terreno entro il qualedeve essere condotta questa difesa.

2) Tenendo conto del fatto che l’at-tuale dispersione delle grandi masselavoratrici è dovuta essenzialmentea motivi che non sono interni dellaclasse operaia, per cui esistono pos-sibilità organizzative immediate di

carattere strettamente non sindacale,il partito deve proporsi di favorire epromuovere attivamente queste pos-sibilità. Questo compito può essereadempiuto solo se il lavoro organiz-zativo di massa viene trasportato dalterreno corporativo nel terreno indu-striale di fabbrica e i legami dell’or-ganizzazione di massa diventanoelettivi e rappresentativi, oltre che diadesione individuale per via di tes-sera sindacale.

E’ chiaro d’altronde che que-sta tattica del partito corri-sponde allo sviluppo normaledell’organizzazione di massaproletaria, quale si era verificatadurante e dopo la guerra, cioènel periodo in cui il proletariatoha incominciato a porsi il pro-blema di una lotta a fondo con-tro la borghesia per la conquistadel potere. In questo periodo latradizionale forma organizza-tiva del sindacato di mestiereera stata integrata da tutto un si-stema di rappresentanze elettivedi fabbrica, cioè dalle commis-sioni interne.

E’ noto anche che, special-mente durante la guerra,quando le centrali sindacali

aderirono ai comitati di mobilita-zione industriale e determinaronoquindi una situazione di “pace indu-striale” per alcuni aspetti analoga aquella presente, le masse operaie ditutti i paesi (Italia, Francia, Russia,Inghilterra e anche Stati Uniti) ritro-varono le vie della resistenza e dellalotta sotto la guida delle rappresen-tanze elettive operaie di fabbrica.

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La tattica sindacale del partito con-siste essenzialmente nello svilupparetutta l’esperienza organizzativa dellegrandi masse premendo sulle possi-bilità di immediata realizzazione,considerate le difficoltà oggettiveche sono state create al movimentosindacale dal regime borghese dauna parte e dal riformismo confede-rale dall’altra. Questa linea è stataapprovata integralmente dalla stra-grande maggioranza del congresso.Intorno ad essa tuttavia avvennero lediscussioni più appassionate, e l’op-posizione fu rappresentata, oltre chedall’estrema sinistra, anche da duemembri della Centrale, così comeabbiamo già accennato. Un oratoresostenne che il sindacato è storica-mente superato, perché unica azionedi massa del partito deve esserequella che si svolge nelle fabbriche.Questa tesi, legata alle più assurdeposizioni dell’infantilismo estremi-sta, fu nettamente ed energicamenterespinta dal congresso.

Per un altro oratore invece l’unicaattività del partito in questo campodeve essere l’attività organizzativasindacale tradizionale: Questa tesi èlegata strettamente ad una conce-zione di destra, cioè alla volontà dinon urtare troppo gravemente con laburocrazia sindacale riformista chesi oppone strenuamente ad ogni or-ganizzazione di massa.

L’opposizione dell’estrema sinistraera guidata da due direttive fonda-mentali: la prima, di carattere essen-zialmente congressuale, tendeva alladimostrazione che la tattica delle or-ganizzazioni di fabbrica, sostenuta

dal Comitato centrale e dalla mag-gioranza del congresso, è legata allaconcezione dell’ “Ordine Nuovo”settimanale che, secondo l’estremasinistra, era proudhoniana e nonmarxista; l’altra è legata alla qui-stione di principio in cui l’estremasinistra si contrappone nettamente alleninismo: il leninismo sostiene cheil partito guida la classe attraverso leorganizzazioni di massa e sostienequindi come uno dei compiti essen-ziali del partito lo sviluppo dell’or-ganizzazione di massa; per l’estremasinistra invece questo problema nonesiste, e si danno al partito tali fun-zioni che possono portare da unaparte alle peggiori catastrofi e dal-l’altra ai più pericolosi avventurismi.

Il Congresso ha rigettato tutte que-ste deformazioni della tattica sinda-cale comunista, pur ritenendonecessario insistere con particolareenergia sulla necessità di una mag-giore e più attiva partecipazione deicomunisti al lavoro di organizza-zione sindacale tradizionale.

La quistione agraria.Il partito ha cercato, per ciò che ri-

guarda la sua azione tra i contadini,di uscire dalla sfera della semplicepropaganda ideologica tendente adiffondere solo astrattamente i ter-mini generali della soluzione lenini-sta del problema stesso, per entrarenel terreno pratico dell’organizza-zione e dell’azione politica reale. E’evidente che ciò era più facile da ot-tenersi in Italia che negli altri paesiperché nel nostro paese il processodi differenziazione delle grandi

masse della popolazione è per certiaspetti più avanzato che altrove, inconseguenza della situazione poli-tica attuale.

D’altronde una tale quistione, datoche il proletariato industriale è da noisolo una minoranza della popola-zione lavoratrice, si pone con mag-giore intensità che altrove. Ilproblema di quali siano le forze mo-trici della rivoluzione e quello dellafunzione direttiva del proletariato sipresentano in Italia in forme tali dadomandare una particolare atten-zione del nostro partito e la ricercadi soluzioni concrete ai problemi ge-nerali che si riassumono nell’espres-sione: quistione agraria.

La grande maggioranza del con-gresso ha approvato l’impostazioneche il partito ha dato a questi pro-blemi e ha affermato la necessità diuna intensificazione del lavoro se-condo la linea generale già parzial-mente applicata. In che cosa consistepraticamente questa attività? Il par-tito deve tendere a creare in ogni re-gione delle unioni regionalidell’Associazione di difesa dei con-tadini: ma, entro questi quadri orga-nizzativi più larghi, occorredistinguere quattro raggruppamentifondamentali delle masse contadine,per ognuno dei quali è necessariotrovare atteggiamenti e soluzioni po-litiche ben precise e complete.

Uno di questi raggruppamenti ècostituito dalle masse dei contadinislavi dell’Istria e del Friuli, la cui or-ganizzazione è legata strettamentealla quistione nazionale. Un secondoè costituito dal particolare movi-

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mento contadino che si riassumesotto il titolo di “Partito dei conta-dini” e che ha la sua base special-mente nel Piemonte; per questoraggruppamento, di carattere acon-fessionale e di carattere più stretta-mente economico, valel’applicazione dei termini generalidella tattica agraria del leninismo,dato anche il fatto che tale raggrup-pamento esiste nella regione in cuiesiste uno dei centri proletari più ef-ficienti in Italia.

I due altri raggruppamenti sono digran lunga i più considerevoli e sonoquelli che domandano la maggiore

attenzione del partito, e cioè:1) la massa dei contadini cattolici,

raggruppati nell’Italia centrale e set-tentrionale, i quali sono direttamenteorganizzati dall’azione cattolica edall’apparato ecclesiastico in gene-rale, cioè dal Vaticano;

2) la massa dei contadini dell’Italiameridionale e delle isole.

Per ciò che riguarda i contadini cat-tolici, il congresso ha deciso che ilpartito deve continuare e deve

sviluppare la linea che consiste nelfavorire le formazioni di sinistra chesi verificano in questo campo e chesono strettamente collegate alla crisi

generale agraria iniziatasi già primadella guerra nel centro e nel nordd’Italia. Il Congresso ha affermatoche l’atteggiamento assunto dal par-tito verso i contadini cattolici, seb-bene contenga in sé alcuni deglielementi essenziali per la soluzionedel problema politico-religioso ita-liano, non deve in nessun modocondurre a favorire i tentativi, chepossono nascere, di movimentiideologici di natura strettamente re-ligiosa. Il compito del partito consi-ste nello spiegare i conflitti chenascono sul terreno della religionecome derivanti dai conflitti di classe

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Dimitrov: Io ho riflettuto molto in carcere sul perché, visto che la nostra dottrina è giusta, nel momentodecisivo milioni di operai non ci seguono e restano con la socialdemocrazia, la cui condotta si è macchiatadi tradimento, o perfino – come la Germania – vanno con i nazionalsocialisti.

Stalin: E le Vostre conclusioni?

Dimitrov: Penso che la causa principale stia nel nostro sistema di propaganda, nell’approccio sbagliatoverso gli operai europei.

Stalin: No, questa non è la causa principale. La causa principale sta nello sviluppo storico: i legamistorici delle masse europee con la democrazia borghese. Inoltre, nella particolare posizione dell’Europa:i paesi europei non hanno a sufficienza proprie materie prime, carbone, lana, ecc. Essi contano sulle co-lonie. Senza colonie non possono esistere. Gli operai lo sanno e temono la perdita delle colonie. E inquesto senso sono inclini a marciare con la propria borghesia. Nel loro intimo non sono d’accordo conla nostra politica antimperialista. Hanno perfino paura della nostra politica. E perciò sono necessari unpaziente lavoro di chiarimento e un approccio giusto nei confronti di questi operai. E’ necessaria unalotta continua per ogni singolo operaio. Noi non possiamo conquistare subito e molto facilmente milionidi operai in Europa. Le masse di milioni hanno una psicologia da gregge. Esse operano soltanto attraversoi propri eletti, i propri capi. Quando perdono la fiducia nei propri capi si sentono impotenti e perduti.Esse temono la perdita dei loro capi. E per questo motivo gli operai socialdemocratici seguono i lorocapi, anche se non sono soddisfatti. Essi abbandoneranno questi capi quando ne compariranno altri, mi-gliori.

Dal Diario di Georgi Dimitrov, 7 aprile 1934 (Ed. Einaudi, 2002, pagg. 12-13)

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e nel tendere a mettere sempre inmaggior rilievo i caratteri di classedi questi conflitti e non, viceversa,nel favorire soluzioni religiose deiconflitti di classe, anche se tali solu-zioni si presentano come di sinistrain quanto mettono in discussionel’autorità dell’organizzazione uffi-ciale religiosa.

La quistione dei contadini meridio-nali è stata esaminata dal congressocon particolare attenzione. Il con-gresso ha riconosciuto esatta l’affer-mazione contenuta nelle tesi dellaCentrale, secondo la quale la fun-zione della massa contadina meri-dionale nello svolgimento della lottaanticapitalistica italiana deve essereesaminata a sé e portare alla conclu-sione che i contadini meridionalisono, dopo il proletariato industrialee agricolo dell’Italia del nord, l’ele-mento sociale più rivoluzionariodella società italiana.

Quale è la base materiale e politicadi questa funzione delle masse con-tadine del sud? I rapporti che

intercorrono tra il capitalismo ita-liano e i contadini meridionali nonconsistono solamente nei normalirapporti storici tra città e campagna,quali sono stati creati dallo sviluppodel capitalismo in tutti i paesi delmondo; nel quadro della società na-zionale questi rapporti sono aggra-vati e radicalizzati dal fatto cheeconomicamente e politicamentetutta la zona meridionale e delle isolefunziona come una immensa cam-pagna di fronte all’Italia del Nord,che funziona come una immensa

città.Una tale situazione determina

nell’Italia meridionale il formarsi elo svilupparsi di determinati aspettidi una quistione nazionale, se pureimmediatamente essi non assumanouna forma esplicita di tale quistionenel suo complesso, ma solo di unavivacissima lotta a carattere regio-nalistico e di profonde correnti versoil decentramento e le autonomie lo-cali.

Ciò che rende caratteristica la si-tuazione dei contadini meridionali èil fatto che essi, a differenza dei treraggruppamenti precedentementedescritti, non hanno nel loro com-plesso nessuna esperienza organiz-zativa autonoma. Essi sonoinquadrati negli schemi tradizionalidella società borghese, per cui gliagrari, parte integrante del bloccoagrario-capitalistico, controllano lemasse contadine e le dirigono se-condo i loro scopi.

In conseguenza della guerra e delleagitazioni operaie del dopoguerrache avevano profondamente inde-bolito l’apparato statale e quasi di-strutto il prestigio sociale delle classisuperiori nominate, le masse conta-dine del Mezzogiorno si sono risve-gliate alla vita propria efaticosamente hanno cercato un pro-prio inquadramento. Così si sonoavuti movimenti degli ex combat-tenti e i vari partiti cosiddetti di “rin-novamento” che cercavano disfruttare questo risveglio della massacontadina, qualche volta secondan-dolo come nel periodo dell’occupa-

zione delle terre, più spesso cer-cando di deviarlo e quindi consoli-darlo in una posizione di lotta per lacosiddetta democrazia, come è ulti-mamente avvenuto con la costitu-zione della “Unione nazionale”.

Gli ultimi avvenimenti della vitaitaliana che hanno determinato unpassaggio in massa della piccola

borghesia meridionale al fascismo,hanno resa più acuta la necessità didare ai contadini meridionali una di-rezione propria per sottrarsi definiti-vamente all’influenza borgheseagraria.

Il solo organizzatore possibile dellamassa contadina meridionale èl’operaio industriale, rappresentatodal nostro partito. Ma perché questolavoro di organizzazione sia possi-bile ed efficace occorre che il nostropartito distrugga nell’operaio indu-striale il pregiudizio inculcatoglidalla propaganda borghese che ilMezzogiorno sia una palla dipiombo che si oppone ai più grandisviluppi dell’economia nazionale edistrugga nel contadino meridionaleil pregiudizio ancora più pericolosoper cui egli vede nel nord d’Italia unsolo blocco di nemici di classe.

Per ottenere questi risultati occorreche il nostro partito svolga un’in-tensa opera di propaganda anchenell’interno della sua organizzazioneper dare a tutti i compagni una co-scienza esatta dei termini della qui-stione, la quale, se non sarà risolta inmodo chiaroveggente e rivoluziona-riamente saggio per noi, renderàpossibile alla borghesia, sconfitta

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nella sua zona, di concentrarsi nelsud per fare di questa parte d’Italiala piazza d’armi della sua controri-voluzione.

Su tutta questa serie di problemi,l’opposizione di estrema sinistra nonriuscì a dire che delle barzellette edei luoghi comuni. La sua posizioneessenziale fu quella di negare aprio-risticamente che questi problemiconcreti esistono in sé, senza nes-suna analisi o dimostrazione nean-che potenziale. Si può dire anzi cheappunto nei riguardi della quistioneagraria, apparve la vera essenzadella concezione dell’estrema sini-stra, la quale consiste in una speciedi corporativismo che aspetta mec-canicamente dal solo sviluppo dellecondizioni obiettive generali la rea-lizzazione dei fini rivoluzionari. Taleconcezione fu, come abbiamo detto,nettamente rigettata dalla stragrandemaggioranza del congresso.

Altri problemi trattati.Il congresso, dato il modo della sua

riunione e gli obiettivi che si propo-neva, i quali riguardavano special-mente l’organizzazione interna delpartito ed il risanamento della crisi,senza discussione ratificò le delibe-razioni della recente Conferenza diorganizzazione, già pubblicate nell’“Unità”.

Per quanto riguarda la quistionedell’organizzazione concreta delpartito nell’attuale periodo, il con-gresso non poté trattare ampiamentealcune quistioni che pure sono es-senziali per un partito proletario ri-voluzionario. Così solo nelle tesi fu

esaminata la situazione internazio-nale in rapporto alla linea politicadell’Internazionale comunista.

Nella discussione del congressotale argomento fu solo sfiorato, e deiproblemi internazionali si trattò solola parte riguardante le forme e i rap-porti di organizzazione del Comin-tern, poiché era questo un elementodella crisi interna del partito.

Il congresso però ebbe una larghis-sima ed esauriente relazione sui la-vori del recente congresso del partitorusso e sul significato delle discus-sioni in esso svoltesi. Così il con-gresso non si occupò del problemadell’organizzazione nel campo fem-minile, né dell’organizzazione dellastampa, argomenti essenziali per ilnostro movimento e che avrebberomeritato una trattazione speciale.

Anche la quistione della redazionedel programma del partito che erastata posta all’ordine del giorno nonfu trattata dal congresso. Pensiamosia necessario rimediare a questemanchevolezze con conferenze dipartito, appositamente convocate atale scopo.

Conclusione.Nonostante queste parziali defi-

cienze, si può affermare, conclu-dendo, che la massa di lavoro svoltadal congresso sia stata veramenteimponente. Il Congresso ha elabo-rato una serie di risoluzioni e un pro-gramma di lavoro concreto tali damettere in grado la classe proletariadi sviluppare le sue energie e la suacapacità di direzione politica nell’at-tuale situazione.

Una condizione è specialmente ne-cessaria perché le risoluzioni delcongresso non solo siano applicate,ma diano tutti i frutti che esse pos-sono dare: occorre che il partito simantenga strettamente unito, chenessun germe di disgregazione, dipessimismo, di passività sia lasciatosviluppare nel suo seno. Tutti i com-pagni del partito sono chiamati arealizzare una tale condizione. Nes-suno può mettere in dubbio che ciòsarà fatto con la più grande delu-sione di tutti i nemici della classeoperaia.

la via del comunismo

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Comitato marxista-leninista d’Italia C. P. 234 65100 PESCARA (Italy) tel e fax 0861/ 856454

UNITA’ DEI COMUNISTI Negli ultimi anni vi sono state significative lotte operaie di massa degli autoferrotranviari, dei siderurgici e dei metalmeccanici che hanno sconfitto la prepotenza dei monopolisti e hanno fermato la repressione poliziesca del governo del padrone Berlusconi. Emblematica è stata la lotta degli operai della Fiat di Melfi della primavera dello scorso anno. Lotte operaie di massa che hanno fermato il neofascismo berlusconiano, e hanno dato fiducia alle forze democratiche e di sinistra, come dimostrano i crescenti rovesci elettorali del centrodestra. In ognuna di queste lotte è emerso il ruolo decisivo del Coordinamento dei delegati comunisti, unitisi superando le diverse appartenenze di partito Ds, Pdci, Prc e gruppi senza partito. Il Coordinamento dei delegati comunisti esprime la nuova e superiore unità della classe operaia sparsa nelle aziende dei distretti territoriali del decentramento produttivo. I delegati comunisti, unendosi nell' azione di classe dei Coordinamenti, hanno dimostrato che unità di azione e unità di partito non devono né confondersi né ostacolarsi: in definitiva, pure tra loro sinergiche, l’unità d’azione dei comunisti non va confusa con la ricostruzione del partito comunista che è una decantazione di principio e, come tale, non può che essere necessariamente omogenea e processuale. In tal senso presentano tali caratteristiche alcuni nuclei dirigenti periferici e centrali dei Ds, del Pdci, del Prc, dell’Ernesto ed altri. L' unità d'azione dei com unisti viceversa, dovendo obbedire all' imperativo di essere fattore decisivo per l' unità di tutte le forze antifasciste, come hanno dimostrato i Coordinamenti, non può che essere urgente, costante e necessariamente eterogenea. 10 novembre 2005

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CENTRO GRAMSCI DI EDUCAZIONE�

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Consiglio: Piero De Sanctis Ennio Antonini Maurizio Nocera Lia Amato Bruno Tonolo Salvatore Bochicchio Luigi Marino (SOCI ACNC)

O. Bossi E. Caldera A. Cardillicchio (ORSAA) P. Cassinera F. Castelli M. Ceccio (PORTALE) E. Dovis (ORSAA) V. Falcone M. Fiore (INFO) A. Hobel

L. Laporta A. Lombardo Geymonat L. Mangani M. Mazzarella S. Prosperi (ORSAA) M. Rinaldi D. Sarra (ORSAA) M. Steri G. Tiberio (ORSAA)

Fondatori Fosco Dinucci Raffaele De Grada Mario Geymonat

Il partito deve continuare a essere l’organo di educazione comunista...che armonizza e conduce alla meta...dire la verità, arrivare insieme alla verità, è azione comunista e rivoluzionaria

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PROGRAMMA 2014-2015

A. SAU GIFABS Il Cge lavorerà alla costruzione di Sau Gifabs, Sinistra Antimonopolista Unita di Germania, Italia, Francia, Austria, Benelux, Svizzera e di tutta Europa. Ciò per formare i Nuclei gramsciani nei complessi apicali delle filiere produttive e della ricerca, presenti in tutte le nazioni, come Max Plank, Eso, Bayer, Bosch, WW, Siemens, Mercedes (Germania), Cnr, Infn, Inaf, Enel, Eni, Fiat, Finmeccanica, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Banca Intesa S.Paolo, MPS, Unicredit (Italia); Sincrotrone, Esa, Cesr, Total, France Telecom, Renault, Edef, Air France (Francia), Omv (Austria), Unilever, Eads, Arcelor (Benelux); Cern, Nestlè, Novartis, Roche (Svizzera), ecc. In Italia bisogna lavorare al massimo coinvolgimento unitario di Pdci, Prc, Sel, Psi e Sinistra Pd e un analogo lavoro va fatto nei restanti paesi europei. L’unità d’azione dell’intera sinistra, la lotta continentale e la Frazione europea dei Nuclei gramsciani esprimeranno il Partito leninista che educherà e guiderà la classe operaia a strappare il potere economico politico al decadente euro-monopolismo. I Nuclei gramsciani nelle organizzazioni politiche esistenti saranno educatori di massa del Partito di classe. Gli uomini provengono dagli uomini, le società dalle società, e i partiti nascono dai partiti. Convegno nazionale Intellettuale collettivo - Roma, 27 aprile 2015 (78° di Gramsci) B. CMP Congresso Mondiale della Pace Il Cge sosterrà il Congresso Mondiale della Pace promosso dall’Anpi provinciale di Venezia. Un sostegno per il massimo coinvolgimento dell’Anpi, della Cgil, dei Gruppi istituzionali progressisti, parlamentari e consiliari e dell’intero Fronte democratico per il progresso e la pace dei popoli. Venezia agosto 2015, in concomitanza con la Mostra internazionale d'arte cinematografica. ���C. 4x5xTUTTI Giornata lavorativa di 4 ore per 5 giorni alla settimana, utilizzando la scienza e la

maggiore produttività del lavoro. Eventi e Manifestazioni, di opinione e di massa, italiane europee, con sindacati, partiti, Istituzioni, scuole, associazioni, personalità musicali, culturali, ricreativi. �

��D. PORTALE CENTROGRAMSCI.IT dir. Cge, dir. responsabile A. Donno, redattore M. Ceccio

1) RIVISTA GRAMSCI caporedattore Maurizio Ceccio, impegnata sui temi del Fronte democratico per il progresso e la pace tra i popoli.

2) RIVISTA LA VIA DEL COMUNISMO caporedattore Erman Dovis, impegnata sui temi della costruzione del Partito comunista internazionale europeo (Pcie).

3) EDIZIONI GRAMSCI caporedattore Danilo Sarra, per le pubblicazioni del Cge.�

Teramo, dicembre 2013.�