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Quaderni SoZooAlp L’ALLEVAMENTO OVINO E CAPRINO NELLE ALPI Tra valenze eco-culturali e sostenibilità economica Dip. Scienze Zootecniche Università Torino Ecomusei Regione Piemonte Fiera dei Santi Vinadio Cuneo Ecomuseo della pastorizia

L’ALLEVAMENTO OVINO E CAPRINO NELLE ALPI · 2011. 2. 24. · L’allevamento ovino e caprino sulla montagna del Friuli Venezia Giulia Loszach S., Menegon S., Pastore E., Bovolenta

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Quaderni SoZooAlp

L’ALLEVAMENTO OVINO E CAPRINO NELLE ALPI

Tra valenze eco-culturali e sostenibilità economica

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Dip. Scienze Zootecniche Università Torino

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Dip. Scienze Zootecniche Università Torino

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Dip. Scienze Zootecniche Università Torino

EcomuseiRegione Piemonte

Fiera dei SantiVinadio Cuneo

Ecomuseodella pastorizia

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Il quaderno SoZooAlp n. 4 raccoglie i lavori presentati al convegno SoZooAlp “L’allevamento ovino e caprino nelle Alpi: tra valenze eco-culturali e soste-nibilità economica” tenutosi dal 26 al 29 ottobre 2006 in alcune località della Valle Stura di Demonte (Cuneo).L’evento è stato organizzato dal Direttivo SoZooAlp in collaborazione con la Comunità Montana Valle Stura di Demonte (CN), l’Ecomuseo della Pastorizia e RARE (Associazione Italiana Razze Autoctone a Rischio di Estinzione), il Con-sorzio l’Escaroun (per la Valorizzazione della Razza ovina Sambucana), con il Patrocinio della Facoltà di Agraria e del Corso di Laurea Interfacoltà in Scienze e Turismo Alpino dell’Università degli Studi di Torino.

Comitato Scientifico e Organizzativo Luca Battaglini, Stefano Martini, Michele Corti

Segreteria OrganizzativaSilvana Allisio

Edizione a cura di Luca Battaglini

Collaborazione alla revisione dei testiMarco Zuccon

Foto di copertina: Marzia Verona

Stampa: Nuove Arti Grafiche, Trento - Dicembre 2007

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Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

SOCIETà PER LO STudIO E LA VALORIZZAZIONE dEI SISTEMI ZOOTECNICI ALPINI

Istituto Agrario di San Michele. Via E. Mach,1. 38010 San Michele all’Adige (TN)Tel. 0461-615185 - fax 0461-650956 - e-mail [email protected]

www.sozooalp.it

Finalità

- diffondere una migliore consapevolezza dell’importanza produttiva, sociale, culturale, ecologica, turistica e pedagogica delle attività zootecniche eserci-tate nell’Arco Alpino;

- formulare proposte di carattere tecnico-economico atte a superare i vincoli che compromettono la vitalità e la conservazione delle attività zootecniche dell’Arco Alpino;

- stimolare e promuovere studi e indagini, al fine di migliorare la conoscenza dei sistemi zootecnici nell’Arco Alpino;

- promuovere, presso gli operatori del settore, la diffusione di metodi di alleva-mento sostenibili in grado di coniugare obiettivi di reddito, di integrità degli ecosistemi, di valorizzazione dell’identità culturale delle popolazioni alpine;

- svolgere un ruolo consultivo rispetto alle Pubbliche Amministrazioni;- promuovere lo scambio di esperienze e la collaborazione tra gli studiosi, i

produttori, gli enti territoriali, che operano nel settore attraverso l’organizza-zione di convegni, incontri, seminari, visite tecniche, pubblicazioni;

- promuovere, attraverso iniziative di carattere culturale e divulgativo, la cono-scenza dei metodi tradizionali di produzione zootecnica, dei patrimoni gene-tici autoctoni, dei prodotti tipici di origine animale e del loro valore biologico, ecologico, storico, culturale, sociale ed economico.

Soci

L’Associazione è costituita da Soci individuali. Possono aderire alla SoZooAlp coloro che, dichiarando di aver preso visione dello Statuto e di condividere gli scopi dell’Associazione, ne fanno richiesta scritta e si impegnano a versare la quota sociale.

Consiglio direttivo (triennio 2007-2010)

prof. Stefano Bovolenta (Presidente)prof. Luca Maria Battagliniprof. Michele Cortiprof. Giulio Cozzidott. Emilio Dallagiacomadott. Fausto Gusmeroli

prof.ssa Silvana Mattiellodott. Lorenzo Noèdott. Renato Paolettip.a. Walter Venturadott.ssa Sonia Venerus

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Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

Prefazione

L’allevamento degli ovini e dei caprini può essere sicuramente considerato co-me una primaria attività zootecnica praticata nelle regioni alpine, che ha dato origine a società pastorali, nomadi o stanziali. Molti ambienti grazie alla pasto-rizia non sono stati abbandonati dall’uomo che ne ha potuto così preservare il fragile equilibrio ambientale e idrogeologico. Nonostante varie fluttuazioni, l’attuale consistenza del patrimonio ovi-caprino non è dissimile da quella di un secolo fa, con la differenza che è diminuito il numero di allevamenti, ma è aumentato il numero medio di capi allevati in ogni azienda. Inoltre, per poter godere di un reddito paragonabile a quello di altri settori zootecnici, l’allevatore di ovi-caprini ha dovuto mettere a punto e utilizzare tecnologie nuove, che per-mettono di praticare l’attività anche in zone più disagiate, e questo con diverse implicazioni di carattere sociale e ambientale. Nelle regioni dell’arco alpino i sistemi zootecnici con piccoli ruminanti rappre-sentano ancora oggi una interessante realtà per i risvolti produttivi, ecologici e di protezione della biodiversità animale. Proprio il ruolo multifunzionale di que-sta tipologia di allevamento è stato recentemente manifestato da interessanti esperienze locali, anche descritte in questa raccolta di relazioni presentate al Convegno organizzato dalla SoZooAlp.

Il Direttivo SoZooAlp

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Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

INdICE

Sistemi ovicaprini nelle alpi occidentali: realtà e prospettiveBattaglini L.M. pag. 9

I sistemi di produzioni ovicaprini nelle alpi lombarde. La situazione attuale alla luce della loro evoluzione storica e del loro ruolo socioterritorialeCorti M. » 2�

Analisi del valore culturale delle razze caprine dell’arco alpino italianoPanzitta F., Corti M., Rizzi R., Brambilla L.A., Montironi A., Gandini G. » �9

L’allevamento ovino e caprino sulla montagna del Friuli Venezia GiuliaLoszach S., Menegon S., Pastore E., Bovolenta S. » �1

dai principi all’azione riguardo all’agricoltura sostenibili:il memorandum alpino del progetto IMALPDe Ros G. » 6�

Indici foraggeri di specie legnose ed erbacee alpine per il bestiame caprinoGusmeroli F., Della Marianna G., Puccio C., Corti M., Maggioni L. » 7�

Circuiti di foraggiamento, selettività e qualità dei prelievi in capre al pascolo in comprensori pastorali della fascia subalpinaPuccio C., Gusmeroli F., Della Marianna G., D’Angelo A. » 8�

Interazioni spaziali e alimentari tra capre ed altri erbivori nelle alpi centraliMattiello S., Heroldovà M., Homolka M., Kamler J., Ghezzi C., Andreoli E., Redaelli W. » 121

un modello a supporto delle attività maghive nelle alpi orientaliVenerus S., Dovier S., Pasut D., Bovolenta S. » 129

Profilo acidico del latte in differenti razze ovine allevate nell’areale alpino occidentaleIghina A., Guaraldo P., Zuccon M., Lussiana C., Battaglini L.M. » 14�

Sempione, vallesana e alpina comune: le potenzialità di salvaguardia del patrimonio caprino locale in Ossola (Piemonte-V.C.O.)Brambilla L.A. » 151

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Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

Filiera corta della capra da latte in Valtellina e val Poschiavo: i formaggi e i consumatoriNoé L., D’Angelo A., Gaviraghi A., Gianoncelli C., Markovi A. » 169

L’allevamento ovi-caprino in Europa e in Italia con particolare riferimento all’arco alpinoPaoletti R., Aceto P. » 18�

Valutazioni sullo stato di tutela delle razze caprine alpine locali italianeBrambilla L.A. » 191

Capre autoctone in Trentino: la bionda dell’AdamelloPirola M., Milone L., Brambilla L.A. » 199

Capre autoctone in Trentino: La pezzata MochenaPirola M., Corti M., Glisenti B., Milone L. » 209

Le vie della pastorizia: una guida per la valorizzazione zootecnica, paesaggistica, culturale ed economica dei territori alpiniGrassino E., Fortina R., Grandin L. Battaglini L.M. » 21�

L’allevamento ovicaprino tra la salvaguardia della biodiversità e la conflittualità con i grandi predatoriZaccheo A. » 22�

Sguardi sul territorio alpinoSalsa A. » 227

L’Ecomuseo della pastorizia » 229

Le razze ovine e caprine nell’arco alpino » 2�1

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Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

SISTEMI OVICAPRINI NELLE ALPI OCCIdENTALI:REALTA’ E PROSPETTIVE

Battaglini L.M.

DiPaRtimEnto Di SCiEnzE zootECniChE - Università degli Studi di torino

Riassunto

L’allevamento degli ovini e dei caprini può essere considerato come una primaria attività zootecnica praticata nelle regioni alpine che ha dato origine a società pastorali, nomadi e stanziali. Nell’arco alpino occidentale molti territori, grazie alla pastorizia, non sono stati abbandonati dall’uomo che ne ha potuto così preservare il fragile equilibrio ambientale e idrogeologico. Nonostante varie fluttuazioni, l’attuale consistenza del patrimonio ovi-caprino è simile a quella di un secolo fa, con la differenza che è diminuito il numero di allevamenti, ma è aumentato il numero medio di capi allevati in ogni azienda che, per poter godere di un reddito paragonabile a quello di altri settori ha dovuto mettere a punto e utilizzare tecno-logie nuove, che permettono, ancora oggi, di praticare l’attività anche in quelle zone più disagiate, con implicazioni di carattere sociale e ambientale. Ancora oggi i sistemi zootecnici ovini e caprini delle Alpi occidentali rappresentano una interessante realtà per i risvolti produttivi, ecologici e di protezione della biodiversità animale. Proprio il ruolo multifunzionale di questa tipologia di allevamento è recentemente manifestato attraverso interessanti esperienze locali. PAROLE CHIAVE: sistemi zootecnici, montagna, sostenibilità, ovicaprini, qualità delle produzioni

Abstract

Livestock farming systems with sheep and goats in Western Italian Alps: present role and pers-pectivesAn example of sustainable productive livestock farming is no doubt represented by dairy small rumi-nants for local cheese-making still present in some mountainous regions of Western Italian Alps (e.g. Piemonte). Particularly, ties among territory, breeds and productions quality have been evidenced in va-rious researches. Autochthonous sheep and goats breeds maintain an interesting variability of products (milk, cheeses, meat, wool) conditioned by different factors ranging from the animals to the management (stable, pasture). The review presents the role of livestock farming systems (LFS) with small ruminants in this mountainous environment (W Italian Alps). After an introduction of the topic through a discussion on the multifunctional role of these livestock systems, some local experiences are presented. The products of these local realities are in some cases objective of researches, here summarily described. Considera-tions on impact and fall-out of these LFS on alpine rural environment conclude the contribution.

KEY WORDS: livestock farming systems, mountain, small ruminants, products quality

Introduzione

L’allevamento dei piccoli ruminanti ha rappresentato per la storia delle Alpi un’at-tività zootecnica di indubbia importanza e ha da sempre avuto la funzione di con-sentire lo sfruttamento, attraverso pratiche più estensive, di pascoli meno ricchi, permettendo l’utilizzazione di nuove terre e, successivamente, l’introduzione di specie animali più esigenti. Nel corso della seconda metà del secolo scorso esso

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ha tuttavia subito profondi ridimensionamenti a seguito della scelta, in determinati contesti ambientali, di abbandonare completamente il territorio o, in altri, di orien-tarsi verso sistemi di allevamento più specializzati con specie e razze ad elevate prestazioni produttive (Battaglini, 200� e 2006). Questo andamento è stato l’effetto della tensione dei sistemi produttivi agro-zootecnici verso la massimizzazione delle produzioni, pur sotto l’influenza del mercato e del regime di sostegno dei prezzi, con la necessità di conseguire la massima efficienza economica. Ciò ha portato, negli ultimi decenni, ad una intensificazione e specializzazione produttiva che ha sfavorito lo sviluppo delle aree marginali, rappresentate soprattutto da zone monta-ne, pedemontane e collinari, ideali per l’allevamento dei piccoli ruminanti. In queste zone il progressivo abbandono dell’attività agricola ha determinato la perdita di biodiversità e la conseguente “banalizzazione” del territorio. La consistenza di razze locali, in maggior misura appartenenti alle specie ovina e caprina e caratterizzate da attitudini produttive diversificate, si è di conse-guenza profondamente ridimensionata con gravi conseguenze sulla biodiver-sità zootecnica (FAO, 199�, 2000; C.N.R., 198�; Monitoring Institute for Rare Breeds and Seeds in Europe, 2002). Esse, infatti, avevano storicamente inte-ressato ambienti montani e pedemontani alpini dove lo spopolamento da parte dell’uomo è stato assai evidente e dove si è dimenticato il loro ruolo a favore della conservazione del “territorio” a beneficio dello sviluppo di numerosi inse-diamenti alpini (Pastorini et al., 1980; Battaglini et al., 199� e 1996).E’ anche da ricordare che la storica contrapposizione tra agricoltura e pastorizia aveva portato la prima ad insediarsi nelle aree più fertili e popolate, mentre la se-conda era stata relegata in aree più marginali, spesso non solo dal punto di vista geografico, ma anche socio-culturale. Negli ultimi tempi, la contrazione delle aree disponibili per l’allevamento estensivo e le relative modeste rese produttive hanno determinato mutamenti, sia a livello delle principali tipologie di allevamento (si è passati da un tipo di allevamento transumante ad uno semistanziale o stanziale), sia in relazione alla consistenza del patrimonio ovi-caprino, il quale ha subito un notevole calo fino agli anni ’80, anche se, in tempi più recenti, ne viene segnalata una certa ripresa.

Tabella 1 - Patrimonio ovino in Piemonte (C.G.A. e Anagrafe Zootecnica Regione Piemonte)

ProvinciaAnno 2000

(C.G.A) %

Anno 2004 (Anagrafe Zootecnica

Regione Piemonte)%

TO 29.979 �4,0 �9.17� 44,0CN 28.698 �2,� 12.887 14,0VB 8.966 10,� 10.4�8 12,0BI 7.806 8,8 9.74� 11,0AL �.491 6,2 7.40� 8,0VC 4.0�0 4,6 �.�00 4,0NO 1.770 2,0 1.801 2,0AT 1.402 1,6 4.149 �,0

totale 88.162 100 89.120 100

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Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

Tabella 2 - Patrimonio caprino in Piemonte (C.G.A. e Anagrafe Zootecnica Regione Piemonte)

ProvinciaAnno 2000

(C.G.A) %

Anno 2004(Anagrafe Zootecnica

Regione Piemonte)%

TO 12.464 27,0 16.�46 28,2CN 10.��� 22,8 10.4�8 17,8VB 9.471 20,� 12.887 22,0BI �.99� 8,6 �.6�9 9,6AL �.079 6,7 �.626 6,2VC 2.966 6,4 2.900 4,9NO 2.1�8 4,7 4.800 8,2AT 1.�08 �,� 1.8�1 �,1

totale 46.176 100,0 �8.707 100,0

Tabella 3 - Patrimonio ovino e caprino in Valle d’Aosta (Censimento Generale Agricoltura)

Anno 1990 Anno 2000Ovini 4.1�9 2.126

Caprini �.446 �.�99

L’arco alpino occidentale e le contigue zone pedemontane (Langhe e preal-pi biellesi, novaresi e vercellesi) sono interessati dalla presenza di numerose razze autoctone ovine e caprine; in alcune di queste aree il legame tra razza, ambiente di allevamento e prodotto è evidente (Vezzani, 19�7; Corti e Bram-billa, 2002). In questi ambienti sono ancora oggi diffuse realtà di allevamento con ovini e caprini di tipo “tradizionale”, legate all’ambiente montano e all’alle-vamento di razze autoctone. La consistenza di queste razze, caratterizzate da attitudini produttive diversificate, si è però negli ultimi anni profondamente ridi-mensionata e ciò con gravi conseguenze sul territorio (FAO, 2000). Le diverse razze e incroci appartenenti ai piccoli ruminanti avevano, infatti, storicamente interessato questi ambienti, dove lo spopolamento è stato assai evidente, a scapito del ruolo a favore della conservazione del territorio con sistemi di tipo “sostenibile” (Nardone et al., 2000; Dubeuf et al., 1999).

Tabella 4 - Consistenza delle razze ovine autoctone a rischio di estinzione in Piemonte (elab. dati Regione Piemonte)

1970 1990 2000 2004Frabosana 16.600 1.100 7.�00 7�0�

Sambucana 2.000 2.000 �.�00 ��1�Delle Langhe 12.000 �.000 2.�00 2�86

Tacòla - 100 1.600 16�0Savoiarda 2.�00 100 190 260Garessina 1.600 100 100 99Saltasassi - 2.�00 60 64

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Tra queste sono senz’altro da ricordare: la razza Biellese, la più diffusa sul ter-ritorio piemontese, quasi esclusivamente allevata da pastori transumanti at-traverso il nomadismo; la Sambucana, pecora originaria della Valle Stura di Demonte, in provincia di Cuneo; la Frabosana, pecora da latte in espansione numerica presente in alcune valli delle provincie di Torino e Cuneo; tra le razze caprine sono da ricordare la Vallesana, la Camosciata Alpina, la Valdostana (circa 1600 capi, metà del patrimonio caprino della Valle d’Aosta, nota per le tradizionali “battaglie”) e l’Alpina, razza-popolazione caratteristica di molti am-bienti specie delle vallate alpine settentrionali del Piemonte oltre che presente in Valle d’Aosta (Corti e Brambilla, 2002). Il patrimonio ovi-caprino nelle Alpi della Liguria (provincie di Genova e Imperia) secondo fonti delle Associazioni Provinciali Allevatori e delle ASL della Regione Liguria (Battaglini et al., 2000) è limitato ad aziende di modesta consistenza (una decina di capi ovi-caprini per azienda) con qualche sporadico esempio di aziende oltre i �0 capi. Le razze prevalenti sono le pecore Marrana (da carne) e Brigasca (da latte); in queste realtà è da rilevare l’elevata quota (oltre 70%) di allevatori (part-time o addirittura solo amatoriali) oltre i �0 anni per SAU medie di 10 ettari per azienda, peraltro particolarmente frammentati.

Orientamenti

Le difficoltà che colpiscono le fasce marginali degli ambienti alpini nord-occiden-tali sono note: l’appropriata adozione delle tradizionali attività rurali, come la zoo-tecnia a carattere pastorale, costituisce un irrinunciabile contributo allo sviluppo socioeconomico ed alla gestione ambientale di tali territori. Nell’ultimo decennio è stato evidenziato che l’abbandono progressivo di aree meno dotate da un punto di vista agronomico e perciò tendenti alla marginalità, potrebbe essere contenuto con opportuni interventi di carattere zootecnico (Cavallero et al., 2000). In queste aree le razze autoctone riescono a sopravvivere a dispetto della forte pressione esercitata dall’introduzione di animali domestici ritenuti più redditizi, dimostran-do una migliore adattabilità all’ambiente ed una elevata capacità di utilizzazione di foraggi provenienti da pascoli poveri, senza evidenziare particolari problemi legati alla riproduzione (Bianchi et al., 1998; Battaglini et al., 1998). Inoltre, l’alle-vamento di popolazioni di ovini e caprini orientato ad una produzione più qualifi-cata consente di ottenere prodotti tipici che possono favorire la valorizzazione di particolari microeconomie locali (Fortina et al., 1998). Nel frattempo, un termine sempre più diffuso è quello delle cosiddette “esternalità”, indicando anche il ruo-lo dell’attività agricola nei confronti dell’ambiente, del territorio e della società. Tale aspetto, definibile anche come insieme delle “funzioni” o “multifunzionalità” è stato preso in considerazione anche con la riforma della PAC del 1999, recepita a livello regionale e considerato per l’attuale programmazione in agricoltura, mi-rando alla promozione di uno sviluppo sostenibile in tutte le aree rurali, mediante il consolidamento della multifunzionalità dell’agricoltura (Battaglini et al., 2002).Attraverso la multifunzionalità questa zootecnia vuole rispondere alle esigenze della collettività, non solo in termini produttivi, ma anche ambientali. Il settore,

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potenzialmente, offre beni fisici (materie prime, semilavorati, prodotti finiti), ser-vizi ricreativi, informativi, educativi, culturali, venduti in prevalenza sul mercato locale ed esternalità ambientali positive, quali il mantenimento dell’assetto idro-geologico, la salvaguardia e la tutela del paesaggio, il contributo alla conserva-zione della biodiversità animale e vegetale, ecc. Queste ultime “esternalità” hanno natura di beni a carattere pubblico e pur non possedendo un mercato ve ne è tuttavia una domanda sociale crescente: que-sta è in grado di influenzare il benessere della collettività ed, in particolare, il benessere di quelle persone e di taluni gruppi sociali che, sempre più numerosi (come dimostra il turismo enogastronomico, culturale, sportivo ed ecologico) intrattengono rapporti con le aree rurali.Le normative vigenti e in programmazione contengono quindi, un implicito ri-conoscimento di tale concetto nell’impresa agricola e della pluriattività dell’im-prenditore, che emerge come soggetto inserito non solamente nel contesto economico e sociale, ma anche in quello territoriale, per i suoi compiti di pre-sidio, tutela e valorizzazione delle risorse ambientali (cfr. a questo proposito le recenti indicazioni del PSR 2007 della Regione Piemonte, http://www.regione.piemonte.it/agri/psr2007_1�/documentazione/2_4_2007.htm).Da queste considerazioni scaturisce la necessità di consolidare il rapporto tra animale allevato, che vede negli ovi-caprini specie privilegiate, territorio e pro-duzioni locali tipiche per le implicazioni di carattere sociale, economico ed am-bientale che da esso derivano.

I sistemi zootecnici e le forme di allevamento

L’allevamento degli ovini e dei caprini può essere sicuramente considerato co-me attività zootecnica primordiale anche se, nelle Alpi occidentali, nell’agricol-tura più tradizionale i ruminanti minori erano frequentemente allevati nell’ambito di aziende agrarie ad attitudine produttiva mista, dove, soprattutto nelle azien-de di modeste dimensioni, un piccolo nucleo di animali era utilizzato per la produzione di latte, lana, agnelli e capretti (Aime et al., 2001).Oggi queste forme meno specializzate di allevamento sono quasi del tutto scomparse, per lasciare il posto a forme più specializzate, sia di tipo estensivo sia di tipo intensivo; la forma d’allevamento tradizionale più caratteristica resta tuttavia quella del gregge transumante (Verona, 2006).La transumanza, che consiste nello sfruttamento durante il periodo estivo dei pascoli montani e durante quello invernale dei pascoli collinari o lito-ranei, diffusa sin dall’antichità, oggi si è sensibilmente ridotta soprattutto a causa delle difficili condizioni di vita che questa imponeva ai pastori, co-stretti a stare lontani da casa per molti mesi l’anno; questa forma di zootec-nica in Piemonte è praticata dagli allevamenti di razza Biellese e loro incroci. L’allevamento della razza Biellese rappresenta ancora oggi, nelle province di Novara, Biella, Vercelli e Verbania, una radicata tradizione zootecnica di tipo “nomade”: nei mesi estivi le pecore vengono portate all’alpeggio in valle Sesia e nelle valli Ossolane, seguendo percorsi che consentano un continuo

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e adeguato approvvigionamento di erba e di acqua. Nella pianura novarese le greggi transitano in primavera e in autunno e vi stazionano nei mesi inver-nali. A differenza da aree a più spiccata vocazione risicola (bassa pianura vercellese e Lomellina), il territorio novarese conserva ancora oggi un’ampia varietà di ambienti agrari e seminaturali che consentono tale pratica (Fortina et al., 2000).

Un’altra importante forma di allevamento è quella stanziale tradizionale. Le for-me di questo tipo hanno da sempre rappresentato la base dell’allevamento specializzato di ovini e caprini, anche se a volte abbinate allo sfruttamento esti-vo di pascoli molto distanti dall’azienda, e rappresentano la forma più importan-te di allevamento della pecora in Italia.Questi allevamenti sono caratterizzati da ampie superfici destinate a pasco-lo e a prato per la produzione di fieno, nonché dalla presenza di strutture fisse come, ad esempio, i recinti, oppure di veri e propri ovili. Gli edifici rurali sono attrezzati e organizzati con investimenti e costi di impianto maggiori. In tali condizioni di allevamento è peraltro più semplice l’esecuzione di con-trolli funzionali e l’attività di selezione. L’indirizzo produttivo più frequente di questo tipo di azienda è quello “latte”, spesso trasformato direttamente dall’allevatore.Alcune di queste aziende, negli anni più recenti, grazie alla disponibilità di capitali e all’introduzione di moderne tecniche di allevamento e produzione (pascolo turnato, impiego di integrazioni energetiche proteiche, vitaminiche e minerali, mungitura meccanizzata, ecc.) e allo sfruttamento di razze ge-neticamente selezionate per migliorarne i caratteri produttivi, si sono evolu-te in allevamenti più specializzati da latte. I maggiori costi sono compensati dai maggiori ricavi conseguibili con razze più produttive (es. caprini di razza Saanen e Camosciata, allevati nelle vallate del Pinerolese e in alcune valli del Cuneese); in numero più ridotto, anche se di significativa importanza, sono presenti allevamenti da carne, finalizzati alla produzione di agnelli o agnelloni di qualità (Bianchi et al., 1998).Nelle diverse valli alpine dell’ovest, come in altre dell’arco alpino, all’inizio della stagione estiva è in uso la tecnica tradizionale di accorpamento delle greggi provenienti da differenti allevamenti di fondovalle e la relativa tran-sumanza, fase stagionale fondamentale per la vita dei pastori locali. Con questa pratica vengono ridotti i costo di lavoro umano per il governo degli animali in alpe e vengono utilizzate ampie superfici pascolive d’altitudine. I metodi di controllo e di gestione degli ovicaprini ancora adottati in que-sti alpeggi, anche per contenere possibili azioni di predazione da parte di grossi carnivori, sono essenzialmente il pascolamento libero, con controllo periodico settimanale o bisettimanale da parte di un pastore o di uno o più allevatori-proprietari degli ovini monticati, il pascolamento semi-libero, con controllo da parte di un pastore esclusivamente nel corso della giornata con gli animali incustoditi o in recinti appositamente allestiti ed infine il pascola-mento guidato, caratterizzato dalla presenza quotidiana e continuativa di un pastore sull’alpeggio (Cugno, 2001).

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Esempi di valorizzazione

Un interessante esempio di valorizzazione di quest’area alpina è rappresentato dalla già ricordata Sambucana, razza ovina forse appartenente al gruppo degli ovini appenninici con influenza di sangue Merinos. Conosciuta anche con il no-me di “Demontina”, la Sambucana è allevata quasi esclusivamente in Valle Stu-ra; pochi capi sono presenti in valle Tanaro, Casotto, Negrone e recentemente perfino in Valsesia. L’attuale consistenza numerica è di oltre ��00 capi, netta-mente superiore a quella rilevata dai censimenti dell’Associazione Nazionale della Pastorizia (Asso.Na.Pa.) del 1970 e del Consiglio Nazionale delle Ricer-che nei primi anni ‘80 (C.N.R., 198�). Nel 1979 la FAO segnalava la Sambucana come razza ”vulnerabile” (1400 - 1600 capi); la già citata indagine del CNR del 198� aveva messo tra l’altro in evidenza un elevato numero di meticci Biellese x Sambucana presenti nelle greggi della zona di allevamento. Nel 198� venne avviato un programma di recupero della razza partendo da una decina di arieti e circa cento pecore con la nascita di un Consorzio, denomina-to “Escaroun” (in dialetto occitano: “piccolo gregge”), per la salvaguardia e la valorizzazione della razza Sambucana che portò successivamente alla costitu-zione di un Centro Arieti a Pietraporzio, in Valle Stura, presso il quale vengono ancora oggi effettuati i performance test sui capi in selezione. Nel Centro, oltre ai migliori riproduttori maschi, sono anche allevate le agnelle e gli agnelli nati nei diversi allevamenti aderenti al piano di miglioramento e selezionati previa valutazione morfologica; nel periodo antecedente la monticazione (maggio-giu-gno) gli arieti sono ridistribuiti ai proprietari per la stagione riproduttiva.Per quanto riguarda le produzioni ottenibili dalla razza, la Sambucana oggi è alle-vata quasi esclusivamente per la produzione di carne, ottenuta prevalentemente da agnelli macellati a peso vivo variabile (da 1� e 2� kg) o ancora da agnelloni (denominati tardun) di oltre 40 kg e da soggetti a fine carriera. Alcune valutazioni circa la qualità della carne degli agnelloni rivelano elementi di un certo interesse: la carne sembra essere infatti, più apprezzata dai consumatori anche per il basso tenore in grassi e l’elevato contenuto proteico. Le indagini sul profilo acidico di queste carni evidenziano inoltre, alcune favorevoli proprietà, dal punto di vista nutrizionale, circa il rapporto tra acidi saturi e insaturi (Fortina et al., 1998).

La produzione lattea, seppur modesta, consente ad alcuni allevatori la trasfor-mazione in formaggi a pasta semicotta di media stagionatura. Negli ultimi anni un lanificio piemontese ha avviato una interessante produzione di indumenti ottenuti con lana di pecora Sambucana, caratterizzata da discrete caratteristi-che tecnologiche e buona attitudine alla tintura, fornendo un prodotto di nicchia molto apprezzato. Le attività del Consorzio ”Escaroun” riguardano anche l’organizzazione di mo-stre, l’assistenza tecnico-sanitaria agli allevatori, il recupero e la ristrutturazione di aziende idonee all’allevamento ovino, la promozione dell’agnello sambucano attraverso la costituzione di un marchio a denominazione di origine, la realizza-zione di un macello in Valle Stura e, infine, la già ricordata valorizzazione della lana. Tra le altre attività che il Consorzio persegue vi sono iniziative di carattere

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socio-culturale, quali la Festa del Pastore e la realizzazione di un Ecomuseo sulla storia della pastorizia e degli alpeggi (Bianchi et al., 1998; www.ecomusei.net). Dal punto di vista della gestione delle greggi, la recente ricomparsa del lupo nelle Alpi occidentali e nelle Alpi Marittime in particolare, ha imposto un cam-biamento delle tecniche di allevamento durante il periodo di alpeggio. La pre-senza del predatore, assieme a quella di numerosi cani randagi o inselvatichiti, è stata infatti, particolarmente conflittuale nei confronti della pecora Sambuca-na, le cui greggi erano tradizionalmente lasciate incustodite durante il periodo estivo. Le frequenti predazioni, nonostante il rimborso dei capi uccisi elargito dalle amministrazioni locali e da altri Enti, hanno indotto gli allevatori ad accor-pare gli animali in poche grandi greggi custodite, cambiando radicalmente la tecnica di allevamento e di sfruttamento delle cotiche erbose.

In altre realtà dell’arco alpino occidentale l’allevamento dei piccoli ruminanti può rappresentare un’attività di un certo interesse economico anche quando è più finalizzata alla produzione di prodotti caseari tipici. Molte ricerche si sono occupate di studiare le caratteristiche del latte e dei formaggi ottenuti da pe-core e capre in funzione dei sistemi di allevamento adottati in queste vallate alpine prevalentemente in Piemonte. Numerosi sono stati i legami evidenziati tra territorio, animali (razze) e qualità dei prodotti nelle varie fasi di realizzazione dei prodotti (Ubertalle et al., 1994; Battaglini et al. 200�, 2004). E’ da ricordare che l’allevamento di ovini e caprini orientato alla produzione casearia consente di ottenere prodotti tipici che possono favorire la valorizzazione di particolari mi-croeconomie locali purché tali produzioni si caratterizzino anche per il rispetto di idonei valori circa i parametri igienico-sanitari.Un esempio in tale direzione può essere rappresentato dalla razza Frabosana-Roaschina. Le pecore appartenenti a questa razza, conosciuta anche come “Roascia”, “Roaschina” o “Rastela”, “Rastella”, originariamente a triplice attitu-dine (lana, latte, carne), erano allevata in passato nelle province di Cuneo, To-rino e Alessandria raggiungendo intorno agli anni ’70 una consistenza di circa 17000 capi (Battaglini et al., 1996). La consistenza subì un drastico calo pas-sando a 1�000 capi nel 1970 (censimento Associazione Nazionale della Pasto-rizia) e a �671 nel 198� (censimento C.N.R.), di cui 116 arieti e ���� pecore. La FAO (199�) classificò la Frabosana come razza ”minacciata” nel 1991, poiché costituita solo da circa 1000 capi e con un trend numerico sconosciuto. In se-guito alla istituzione del Registro Anagrafico e grazie ai contributi erogati nel quadro del Regolamento 2078/92, l’attuale consistenza è stimata in circa 7�00 capi (Battaglini et al., 200�). Le odierne aree di allevamento, benché ridottesi, comprendono ancora le province di Cuneo, Torino, Alessandria, Asti ed Imperia in areali appartenenti a diverse Comunità Montane (Alto Tanaro, Valle Maira, Valle Varaita, Valle Stura, Valli Monregalesi, Valle Grana, Valle Gesso, Val Pellice e Val Chisone). Sono peraltro presenti numerosi, meticci Biellese per Frabosa-na, frutto di un progetto di miglioramento delle performance accrescitive degli agnelli, con la conseguenza di deprimere la produttività lattea. Il sistema di allevamento più tradizionale prevede la pratica della transumanza con passaggi graduali da aree montane di fondovalle, nella stagione fredda,

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ad alpeggi nel periodo estivo. Tale tecnica di allevamento non si dimostra par-ticolarmente impegnativa per la razza, che è dotata di notevole rusticità; la ten-denza attuale è però orientata verso un sistema di allevamento di tipo stanziale giustificabile da un’interessante attitudine alla produzione di latte. L’alimenta-zione è basata essenzialmente dal pascolo aziendale con modeste integrazioni di fieno in inverno. Il latte dà una resa in formaggio del 2�% e i prodotti caseari vanno dal Raschera al Pecorino, dalla Toma alla ricotta; quest’ultima, avvolta in fieni di graminacee, è localmente denominata “seirass del fen”. Una ricerca dal titolo “L’allevamento della razza ovina Frabosana in Piemonte: caratteristiche e valorizzazione delle produzioni” realizzata nel 2002 (finanziata dall’INRM, Istituto Nazionale per la Ricerca scientifica e tecnologica sulla Mon-tagna) ha indicato buone prospettive di evoluzione sia per la sufficiente consi-stenza numerica di partenza sia perché nell’area di allevamento la pastorizia è una delle poche attività praticabili con utili ripercussioni sul turismo e sulle produzioni tipiche. In collaborazione con le Comunità Montane Valli Monregalesi, Valli Gesso Ver-menagna Pesio e Valle Pellice è stato ipotizzato un programma di selezione volto ad individuare i soggetti più rispondenti alle caratteristiche di razza: i rilievi da effettuare sulla produttività dovranno evidenziare con maggior precisione linee selettive da privilegiare per migliorare la produttività lattea, la prolificità e le performance accrescitive degli agnelli.Se l’allevamento ovino in queste aree montane sta attraversando una fase di evoluzione relativamente positiva condizionata da modifiche nelle tecniche di allevamento, dalla necessità di sfruttare al meglio le risorse foraggere locali e, non ultimo, dal favore del mercato e dei consumatori per le sue produzioni, anche l’allevamento dei caprini è interessato da tale tendenza. Un esempio in tal senso, in alcune vallate delle provincie di Torino e Cuneo è dato dalla razza-popolazione Alpina, che rappresenta la realtà più diffusa: essa è allevata per la produzione del capretto e del latte, quest’ultimo trasformato in produzioni casearie tipiche (Battaglini et al., 2004). Capre più selezionate e ampiamente diffuse nell’areale montano nord-occidentale sono la Camosciata e la Saanen, anch’esse allevate per la produzione di latte e di capretti. Da queste razze de-rivano produzioni locali tipiche quali ad esempio: il “capretto della Val Vigezzo”, il “violino”, prosciutto di capra del monregalese e dell’Ossola, i salami di capra delle Valli di Lanzo e ancora, dell’Ossola, realizzati con animali che sono a fine carriera produttiva (Bianchi e Ighina, 200�). Altre razze caprine sono invece considerate in via di estinzione quali ad esem-pio la Vallesana che è oggi rappresentata da poche centinaia di capi nella zona dell’Alto Novarese e la Sempione considerata allo stato di “reliquia” contan-dosene appena �� capi. Un loro recupero, oltre alla fondamentale tutela della biodiversità, potrebbe risultare vantaggioso per un’ulteriore tipicizzazione delle produzioni e come richiamo turistico per le peculiarità di questi animali. Tra le iniziative messe in atto per rallentare la perdita di questo patrimonio animale autoctono, si possono ricordare ad esempio quelle dell’Associazione Italiana Razze Autoctone a Rischio di Estinzione (www.associazionerare.it, 2007) che, attraverso progetti specifici, si impegna nella creazione di una ”rete” di alleva-

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tori custodi, singoli o riuniti in Associazioni, per lo scambio di informazioni su queste razze e sui sistemi di allevamento tradizionali.

Infine, un recente progetto dal titolo “Sistemi produttivi, rintracciabilità e salubrità delle produzioni lattiero-casearie ovi-caprine nelle valli Pellice, Gesso-Vermena-gna-Pesio e Monregalesi” (finanziato dalla Regione Piemonte) si è posto l’obiet-tivo di realizzare modelli descrittivi delle fasi più caratteristiche del processo di produzione, con particolare riferimento agli aspetti quali-quantitativi della produ-zione lattiero-casearia ottenibile da ovini e caprini, proponendo e verificando le modifiche del sistema produttivo per il miglioramento qualitativo delle produzioni lattiero-casearie e delle condizioni igienico-sanitarie degli allevamenti. Nelle aziende oggetto dell’indagine erano allevate razze autoctone come la pecora Frabosana e le popolazioni di capra Alpina. La variabilità in termini qua-litativi dei prodotti lattiero-caseari ottenuti (composizione chimica e microbiolo-gica) è apparsa condizionata da diversi fattori che vanno dagli animali allevati al foraggio utilizzato e al tipo di conduzione (stabulazione, pascolo, ecc). Le caratteristiche medie del latte di massa aziendale indicano l’esigenza di migliorare le tecniche di allevamento, anche se l’annata particolarmente calda con la quali ha coinciso la ricerca potrebbero aver inciso negativamente sulla qualità del foraggio. La valutazione igienico-sanitaria dei formaggi, secondo quanto previsto dal DPR �4/97, evidenzia una situazione piuttosto eterogenea da ricondursi al management aziendale di ogni singolo allevatore e alle tecno-logie produttive utilizzate (Battaglini et al., 200�).

Nuovi ruoli dell’allevamento ovi-caprino

Come già accennato, la politica agricola a sostegno delle produzioni ha svolto, nel tempo, un ruolo determinante portando i livelli produttivi in condizioni di eccedenza; successivamente si è ritenuto opportuno variare la politica comu-nitaria favorendo le attività incentrate sull’ottenimento di prodotti di qualità. Così facendo, con il passare del tempo si è affermato il concetto di multifunzionalità agricola con una valorizzazione dei benefici che questa è in grado di produr-re. La funzione polivalente dell’attività agricola nei confronti delle componenti ambientali esterne all’azienda, è tanto più efficace quanto più è continuativa nello spazio e nel tempo. Essa rappresenta, inoltre, un fattore di identità di una comunità e quindi di un territorio, accrescendone le sue qualità ambientali e la sua attrattiva. Questa funzione si correla positivamente alla qualità delle risorse ambientali, del paesaggio agrario e delle sue produzioni rappresentate dai pro-dotti tradizionali e tipici, dalle iniziative agrituristiche e dalle attività sportive che si possono svolgere in ambito rurale. Da ciò appare chiaro come la multifunzionalità comporti l’adozione di metodi produttivi sostenibili, che soddisfino i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità di fruizione per le generazioni future. L’agricoltura sostenibile è infatti, ambientalmente compatibile, ma deve essere anche con-veniente da un punto di vista economico, ed in grado di mantenere e creare

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occupazione per le attività produttive più o meno legate al settore primario, producendo al contempo benefici ambientali.Esperienze di allevamento con ovini effettuate in pascoli abbandonati della Val Germanasca, in provincia di Torino, ha consentito di giungere ad alcune in-teressanti considerazioni sull’impatto ambientale e paesaggistico dell’attività pastorale. Dopo due sole stagioni di pascolo estivo, si è osservato un notevole contenimento delle erbe infestanti e delle essenze arbustive, una miglior com-posizione pabulare e, nel complesso, si è conseguito un più gradevole impatto visivo dell’areale (Fioretto, 1999). I risultati conseguiti in questo e altri ambienti confermano il ruolo positivo svolto da un pascolamento razionale e dovrebbero indurre a promuovere interventi di politica agricola destinati al recupero delle aree montane abbandonate. A proposito della specie caprina, recenti esperienze in Val Maira ne mettono in luce il ruolo “ecologico” (Aronica e Battaglini, 2007); è noto come le capre, durante il pascolamento libero, adottino una modalità di assunzione alimentare molto selettiva (“brucatura”) mediante boccate che, anche in presenza di for-mazioni vegetali complesse, difficilmente sono composte da più specie, come osservato sulle Alpi lombarde (Corti et al., 1997). Il diverso modo di questo ruminante domestico di utilizzare le risorse foraggere dovrebbe consentire di limitare la vegetazione indesiderata quali essenze spinose e arbustive, parti-colarmente appetite dalla specie, di migliorare i cedui abbandonati attraverso un’adeguata gestione e di rispettare le risorse boschive, anche se tale ruo-lo è spesso ostacolato o messo in dubbio da “storiche” leggi forestali (R.D.L �267/192� e R.D. 1126/1926). In tale senso, impiegando la capra come mezzo di lotta ecologica, sono interessanti alcune esperienze riportate da alcuni autori in Lombardia (Corti e Maggioni, 2002) che verrebbero confermate da analoghe ricerche effettuate in Piemonte (Val Maira) con caprini. Un altro esempio in chiave “ecologica” può essere rappresentato dall’alleva-mento della Biellese negli areali delle province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola dove assume un ruolo fondamentale per il mantenimento di questa at-tività, a cui sono indissolubilmente legate numerose peculiarità paesaggistiche ed ambientali, come ad esempio la brughiera o “baraggia”. Attraverso alcuni recenti progetti sono state evidenziate le valenze naturalistica e paesaggistica delle zone attraversate dai pastori, evidenziando il ruolo ambientale svolto da questo tipo di allevamento e le possibili implicazioni di carattere economico e turistico (Fortina et al., 2000). Attraverso la realizzazione di una serie di guide sono anche stati considerati gli aspetti culturali ed architettonici delle località interessate dal transito delle greggi (fiere, mercati, monumenti, ecc.), rimar-cando inoltre l’importanza economica dei prodotti dell’allevamento. L’indagine ha individuato nella conurbazione ed infrastrutturazione delle aree di pianura il maggior ostacolo al mantenimento della pastorizia nomade; il permesso di transito è spesso negato a causa dei possibili disagi arrecati alla popolazio-ne residente, che sovente sono però irrilevanti. L’esame dei territori percorsi dalle greggi ha evidenziato la presenza di un interessante “reticolo ecologico” che va però sempre più riducendosi e per il quale sarebbero opportune mi-sure di salvaguardia. La valorizzazione del ruolo ambientale delle pastorizia e

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una maggiore diffusione dei prodotti dell’allevamento potrebbero contribuire al mantenimento di tali aree naturali e seminaturali, necessarie alla sopravvivenza di questa tradizionale attività zootecnica (Battaglini, 2006; Verona, 2006).In definitiva, progetti inerenti l’utilizzo delle specie ovina e caprina per il miglio-ramento delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche dovrebbero integrar-si con proposte e iniziative riguardanti l’esecuzione di opere di ristrutturazione e di ripristino di locali di allevamento e di trasformazione dei prodotti, indispen-sabili per migliorare la competitività degli allevamenti montani e per stimolarne la nascita e la ripresa. Tutto ciò potrà avere ricadute positive anche sul turismo, che può essere rilan-ciato attraverso proposte dell’UE con finalità alternative alla produzione quali appunto l’agriturismo e l’ecoturismo e può rappresentare un’opportunità utile per far conoscere questi caratteristici ambienti alpini, non particolarmente di-stanti dai grossi centri urbani, come valido richiamo per un turismo “natura-listico” e/o “eno-gastronomico”, favorendone un rilancio economico (Corti e Curtoni, 2000).

Considerazioni conclusive

Dall’analisi delle realtà produttive con ovi-caprini dell’arco alpino occidentale derivano le evidenti ragioni che spingono al mantenimento dell’attività di pa-storizia e ai relativi interventi di salvaguardia nei confronti di questi allevamenti. Le finalità possono essere di tipo zootecnico tradizionale, quali la produzione di latte, formaggi ed altri derivati caseari non che la produzione di carne; ci sono tuttavia spazi per il recupero di antiche produzioni come la lana e per l’impiego degli ovini e dei caprini con finalità di servizio a favore del territorio. Gli effetti dell’abbandono della pastorizia hanno difatti ampiamente dimostrato l’importanza del ruolo svolto da questo tipo di allevamento dal punto di vista non solo economico, ma anche ecologico e paesaggistico. A fianco delle tradi-zionali produzioni zootecniche, le nuove prospettive dell’ovicaprinicoltura sono sempre più rappresentate dalla pratica del pascolamento per la conservazione di ambienti naturali o seminaturali e del paesaggio nel complesso, oltre al pre-zioso contributo per la riduzione di rischi di incendio e di erosione del suolo. Inoltre, quale conseguenza dell’abbandono della pastorizia, la recente ricom-parsa del lupo ed il crescente rischio di predazione legato alla presenza di cani inselvatichiti ha costretto i pochi allevatori rimasti, in sempre più ristretti ambiti territoriali, ad adottare più razionali tecniche gestionali delle greggi. Iniziative turistiche anche finalizzate alla valorizzazione della cultura del pa-store e la vendita diretta dei prodotti dell’allevamento potrebbero certamente favorire quell’essenziale riavvicinamento di culture che nell’ultimo mezzo se-colo si sono allontanate più di quanto non era mai accaduto in passato. Ma se il riconoscimento di questi nuovi ruoli dell’attività del pastore rappresenta un progresso, occorre considerare i numerosi problemi che ostacolano questa attività quali, ad esempio, la frammentazione del territorio e la conurbazione. Inoltre, uno dei principali problemi resta l’elevato livello di invecchiamento delle

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popolazioni che ancora oggi abitano queste ristrette aree pastorali; tale feno-meno sta portando ad un rapido e progressivo abbandono di areali più alpini a favore di territori più idonei ad una zootecnica di tipo stanziale. Sempre in relazione all’età, è anche da ricordare la scarsa considerazione che presso i giovani riveste attualmente la figura del “pastore”: questa componente socia-le rappresenta certamente una delle concause più importanti della riduzione drastica dell’attività pastorale e con essa di alcune razze di piccoli ruminanti. L’allevamento degli ovi-caprini, in particolare appartenenti a razze autoctone, sta riscuotendo crescente interesse negli ambienti alpini occidentali, e non solo per ragioni zootecniche: questa attività, infatti, rappresentando un patrimonio legato alle conoscenze dei sistemi di allevamento tradizionali, oltre a possedere un discreto valore economico, torna oggi ad essere considerata per i non meno importanti significati territoriali, ecologici, sociali e culturali.

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I SISTEMI dI PROduZIONI OVICAPRINI NELLE ALPI LOMBARdE.LA SITuAZIONE ATTuALE ALLA LuCE dELLA LORO EVOLuZIONE

STORICA E dEL LORO RuOLO SOCIOTERRITORIALE

Corti M.

ISTITUTO DI ZOOTECNIA GENERALE - Università degli studi di Milano

Riassunto

Nelle Alpi lombarde i sistemi di produzione caprina sono caratterizzati dalla compresenza di sistemi tra-dizionali e “moderni” orientati alla produzione di latte e alla trasformazione casearia. Tali sistemi sono spesso caratterizzati da un buon dinamismo e da una grande variabilità in relazione ai tipi genetici allevati, all’utilizzo delle risorse foraggere e alle tecnologie di trasformazione. Accanto ad essi troviamo sistemi su-perestensivi finalizzati alla fruizione di contributi e alla produzione del capretto da macello. Alla luce di con-siderazioni di sostenibilità ambientale ed economica si deve osservare che i sistemi superestensivi e quelli intensivi (basati sull’allevamento stallino e scarsa autosufficienza foraggera) a fronte dell’erogazione di sussidi sotto forma rispettivamente di aiuti a pioggia e di finanziamento di onerosi interventi strutturali, non producono utilità sociali nette nella misura che sarebbe lecito attendersi. Proporzionalmente meno favoriti dal sostegno pubblico i sistemi semi-estensivi tradizionali continuano a svolgere una pluralità di funzioni (paesaggio, biodiversità, eredità culturale) che non vengono adeguatamente riconosciute e compensate. Le produzioni ovine delle Alpi lombarde sono contrassegnate dalla vitalità del sistema della transu-manza. Esso rimane basato sull’integrazione di risorse foraggere dei pascoli alpini con quelle delle zone collinari e di pianura. Tale sistema si è adattato alle trasformazioni agricole e territoriali e dei consumi alimentari. e costituisce i 2/� del patrimonio ovino regionale. L’orientamento produttivo è legato alla vendita dell’agnellone, la razza è sempre la Bergamasca/Biellese, i greggi sono costituiti in media da 900 capi. I sistemi ovini stanziali, tolta qualche nicchia legata a filiere corte, soffrono per la scarsa redditività della produzione esclusiva (imposta dalle strutture di mercato) dell’agnello da latte pesante e rivestono un carattere accessorio e marginale.

Parole chiave: Alpi lombarde, caprini, ovini, sistemi zootecnici

Abstract

In the Lombard Alps both traditional and “modern” goat farming systems are oriented to milk production and dairy. These systems, often display a good deal of dynamism. Another feature of them is a large variability (genetic types, use of pasture, dairy technologies). Many goats however are farmed within a super extensive system oriented to slaughter kids production and subsides. When environmental and economic sustainability issues are considered it should be noted that super extensive and intensive (zero grazing) systems do not provides adequate social utilities in return for subsidies obtained respec-tively on the basis of the EC meat regime and of financial supporting of farm buildings and machine modernization. Less favoured by the public support the semi-extensive traditional goat farming systems continue to perform a variety of functions (maintenance of landscape, biodiversity, cultural heritage).The most outstanding feature of sheep farming systems in the Lombard Alps is the vitality of the tra-ditional transhumance system based on the integrated use of alpine pastures and of hills and plains marginal foraging resources. Sedentary flocks on the contrary are declining. The transhumant system was able to adapt to the changes in land uses and food consumption and nowadays comprises 2/3 of the regional sheep stock. The production is oriented to heavy lamb, the breed is always the Berga-masca/Biellese, the average size of the flock is 900 heads . Sedentary sheep farming systems rely on niche market and short production chains but generally suffer from low incomes due to a compulsory orientation to milk-fed lamb production. Sedentary sheep farming is always accessory.

Key words: Lombard Alps, goats, sheep, farming systems

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Generalità

In Lombardia l’allevamento ovicaprino è concentrato nella montagna an-che se, recentemente, il sorgere di allevamenti intensivi di capre da latte di notevole consistenza in aree di pianura (Bergamo, Cremona, Lodi, Mila-no) sta modificando una realtà ormai plurisecolare. Nel caso dei sistemi di produzione ovina la presenza di una forte componente di allevamento tran-sumante (2/� del totale) rende arbitraria la sua attribuzione alla montagna piuttosto che alla pianura; molte delle pecore (e delle aziende) classificate “montane” in realtà trascorrono 9 mesi in pianura. Una buona parte delle pecore “di pianura” appartengono a pastori originari della montagna che tutt’ora rimangono legati al suo ambiente sociale, ma che hanno trasferito la residenza in comuni della pianura (cremonese, bresciano, milanese) o della collina (Brianza). Sia per quanto riguarda i caprini che, soprattutto, gli ovini i sistemi di alleva-mento sono i più diversi; il numero medio di capi per allevamento al livello di aggregazione provinciale o di zona altimetrica riflette queste differenze, ma na-sconde anche profonde cesure all’interno stesso di questi aggregati. La consi-stenza media degli allevamenti è superiore nel caso degli ovini in relazione alla presenza dell’allevamento transumante; quest’ultimo ha conosciuto nel tempo un incremento notevole: della dimensione media dei greggi dai 100-1�0 capi di un secolo fa ai �00 capi degli anni ’60-’70 del secolo scorso, per arrivare ai quasi 1000 capi di oggi. L’allevamento caprino da latte, tradizionalmente basato su allevamenti fami-gliari di pochi capi (se orientato all’autoconsumo) e su una ridotta componente professionale di allevamenti di poche decine di capi, ha conosciuto anch’esso in anni recenti l’affermazione inedita di unità di oltre cento capi (in pianura an-che di diverse centinaia).

Tabella 1 – Numero di aziende e di capi ovicaprini in Lombardia all’ultimo (V) Censimento generale dell’agricoltura

n aziende n capi capi/azienda

Ovini Caprini Ovini Caprini Ovini Caprini

Montagna 2.2�� 2.440 �2.404 �9.804 2� 16Collina �81 �00 1�.249 4.968 �� 10Pianura 241 612 2�.�70 �.86� 106 10Totale 2.8�7 �.��2 91.22� �0.6�7 �2 14

Fonte: Istat (2002)

La tendenza all’aumento del numero medio di capi per allevamento è stata molto accentuata negli ultimi decenni e continua tutt’oggi, tanto che dal 2001 al 2006 le aziende ovicaprine sottoposte ai controlli sanitari obbligatori sono scese del �0% pur in presenza di un patrimonio allevato relativamente stabile nei caprini e solo in lieve flessione negli ovini.Tra il penultimo (1990) e l’ultimo censimento dell’agricoltura (2000) (Istat,

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1991-9�; Istat, 2002-04) le aziende con ovini in Lombardia sono calate del 44,4%, quelle con caprini del �6,8%. Il calo del numero di capi ovini è stato pari all’ 8,8%, mentre i caprini sono cresciuti del 9%. Questa crescita riflette un trend di lungo periodo che ha visto una notevole ripresa dell’allevamento caprino a partire dagli anni ’80 (Istat, 1971-76; Istat, 1982-88; Istat, 1991-9�). La ripresa era stata più precoce nell’area Como-Lecco-Varese dove è stata determinata sia da processi spontanei nell’ambito dei sistemi tradi-zionali di allevamento, che dall’avvio di nuove iniziative imprenditoriali, in parte sostenute da enti pubblici1. In quest’area, però, tra il 1990 e il 2000 (Istat 1991-9�; Istat 2002-04), si è assistito ad una nuova flessione perché la cessazione dei piccoli allevamenti tradizionali non è stata più compensata dall’aumento dimensionale degli allevamenti che continuano l’attività o che sorgono ex novo.Altrove il recupero è risultato più tardivo e prosegue a tutt’oggi (Sondrio e, so-prattutto, Bergamo)(Istat, Istat 1991-9�; Istat 2002-04). Va rilevato che in pro-vincia di Bergamo la lotta condotta dalle amministrazioni forestali (e ancor pri-ma dalle autorità pubbliche) è stata storicamente più precoce ed accanita che nelle altre province lombarde (a partire dal periodo tra XVIII e XIX secolo), tanto da determinare una riduzione molto forte dell’allevamento caprino (con qualche eccezione in alta val Seriana) che ricorda il modello delle Alpi orientali (più vo-cate alla selvicoltura intensiva)2.L’andamento della consistenza del patrimonio caprino negli ultimi decenni del XX secolo appare la risultante di differenti dinamiche. Fino agli anni ’60-’70 il numero di capi per allevamento risultava spesso inferiore a quello della fine del XIX secolo e la diminuzione dei possessori si rifletteva in un calo del patrimonio caprino. In seguito, alla continua flessione del numero di allevamenti, è corrisposto l’aumento del numero medio di capre. In provincia di Sondrio nel 2000 la consistenza media degli allevamenti caprini risultava pari a 17 (contro i 4,0 del 1970 e i 4,2� nel 1881) (Ministero Industria e Agri-coltura, 1881; Ministero Industria e Agricoltura, 1908; Istat, 1961-70; Istat, 2002-04).L’aumento di consistenza degli allevamenti è risultato legato a due processi di segno differente: da una parte il sorgere (spesso per opera di soggetti prove-nienti da settori extra-agricoli)� di nuovi allevamenti specializzati basati sull’uti-lizzazione di tecniche “moderne” (ricoveri per gli animali specializzati, un certo grado di meccanizzazione, impiego di mangimi, di animali “selezionati”), dal-l’altra la trasformazione degli allevamenti tradizionali in senso superestensivo, legato alla quasi esclusiva produzione del capretto da latte da macello e alla fruizione dei premi CE (Corti e Brambilla, 200�).L’ultima tendenza, favorita dalla crescente tolleranza delle infrazioni alle (pe-

1 In Provincia di Varese sono stati attuati programmi sostenuti dal Consorzio per le iniziative zootecniche e dalla Camera di Commercio I.A.A. all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso.

� Per i conflitti intorno al pascolo caprino del passato cfr. Corti (�006). � “Sull’appennino piacentino, non meno che sulle Prealpi piemontesi e lombarde, si incontrano poi i nuovissimi

esuli dalla città, dediti agli allevamenti di capra. E’ la nuova moda di cui bisogna prendere atto come di una risorgenza di piccole produzioni”. D.acconci, a.Politi, E.Saraceno, o.taddei (1991) (p. 10�).

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raltro anacronistiche e incomprensibili) normative forestali4, è spesso legata al-l’esercizio di forme di attività agricola accessoria nell’ambito di strategie di so-pravvivenza aziendale (Eboli, 199�). Un certo impulso all’allevamento caprino è venuto anche dall’applicazione delle “quote latte” e dalla continua diminuzione in termini di valori reali del prezzo del latte vaccino conferito a caseifici o centra-li del latte che hanno spinto parecchi giovani allevatori a battere nuove strade.

Tabella 2 – Andamento storico del patrimonio caprino nelle province alpine lombarde (mi-gliaia di capi)

1880 % 1910 % 1930 % 1970 % 2000BS �� -14 29 -64 10 -64 4 +177 10BG 14 -�7 9 -77 2 -27 2 +�7� 7SO �2 +� �� -�� 1� -8� 2 +��� 16CO-LC-VA 19 +� 19 -27 14 -�� 7 +117 14

Fonti: Ministero Industria e Agricoltura (1881); Ministero Industria e Agricoltura (1908); Mini-stero Agricoltura (19�0); Istat, (1971-76); Istat, (2002-04).

I sistemi di produzione caprini delle Alpi lombarde

Il fattore che differenzia maggiormente tra loro i sistemi di produzione è rap-presentato dall’utilizzo del pascolo; notevole importanza riveste anche il tipo genetico allevato. I sistemi intensivi utilizzano le razze internazionali: Saanen e Camosciata delle Alpi (la Toggemburg è sporadica in purezza, ma sta eroden-do ala Bionda dell’Adamello), la Nubian, per ora, è limitata alla pianura), quelli estensivi le razze e popolazioni autoctone (con qualche sporadico caso di tipi alloctoni cui si accennerà oltre).In montagna le aziende intensive senza pascolo, oltre a ricorrere all’uso di im-portanti quantità di mangimi completi e di concentrati semplici, sono spesso costrette ad acquistare all’esterno buona parte dei foraggi, circostanza che non depone certo a favore di un sistema che, se da una parte ha consentito l’insediamento di nuove aziende e la realizzazione di una differenziazione pro-duttiva in un contesto di ripiegamento dell’allevamento bovino da latte, dall’altra pone inevitabili problemi di impatto ambientale (Corti, 2007). I sistemi intensivi e semi-intensivi comportano investimenti onerosi in strutture per il ricovero degli animali e lo stoccaggio degli alimenti e la trasformazione del latte oltre che per l’acquisto di mangimi e foraggio ed una spesa non indifferente per l’acquisto della paglia per la lettiera (di solito profonda). In compenso in questi sistemi vi è una buona utilizzazione del latte (nella maggior parte dei casi trasformato in

� anche se nel 19�5 la “tassa speciale sulle capre”, identificata con la politica fascista venne immediatamente abrogata (L’art. �0 d.lg.lgt. 8 marzo 19�5, n. 6�), la legislazione forestale anti-capre è stata con la nuova Repubblica italiana resa ancora più rigida; nemmeno con il trasferimento delle competenze alle Regioni che, ragionevolmente, avrebbe potuto far supporre una differenziazione della legislazione in relazione alle enormi differenze ecologiche tra la montagna alpina e l’appennino meridionale, ha sortito significativi effetti sulla rimozione delle norme anticapre. a tutt’oggi le normative vigenti prevedono limitate eccezioni al pascolo nelle aree con copertura arborea..

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azienda). Le produzioni medie si attestano su 600-800 kg per capo per lattazione (con punte spesso anche superiori), un po’ inferiori negli allevamenti semi-intensi-vi, che utilizzano pascoli aziendali e presentano una discreta autosufficienza quanto all’autoapprovvigionamento dei foraggi conservati. In entrambi questi sistemi anche la potenzialità di produzione di carne di capretto è bene utilizza-ta: l’utilizzo di razze con buona prolificità, la possibilità di programmare il picco delle nascite attraverso l’immissione dei becchi a tempo debito, la pratica del flushing e, in generale, buone condizione di igiene ed alimentazione, consento-no di ricavare un buon reddito anche dalla vendita dei capretti da macello.I sistemi semi-estensivi ed estensivi sono basati sull’utilizzo di pascoli naturali. Nella maggior parte dei casi i pascoli alpini sono utilizzati con il sistema dell’al-peggio, che prevede ancora oggi il raduno in un unico gregge di capre (che, a volte, comprende sino a 200 capi) di numerosi proprietari. Questi sistemi comportano la mungitura delle capre sino alla fine di agosto/ini-zio di settembre. La presenza delle capre sugli alpeggi è da ritenersi fortemen-te positiva per una serie di motivi ormai ampiamente riconosciuti:

•utilizzo di risorse foraggere complementari a quelle utilizzate dai bovini e con-tenimento di essenze arbustive (in particolare Alnus viridis) che tendono ad invadere i pascoli;

•miglioramento delle caratteristiche dei latticini prodotti miscelando latte bovi-no e caprino (formaggi, formaggelle, maschèrpa);

•possibilità di differenziare la produzione anche con latticini di solo latte capri-no oggetto di crescente richiesta da parte dei consumatori

Si può quindi sostenere che l’alpeggio contribuisce in modo determinante a mantenere le forme di allevamento tradizionale della capra (basate sull’impie-go dei tipi genetici autoctoni), ma anche che queste forniscono un contributo non secondario alla valorizzazione e al mantenimento del sistema di alpeggio stesso.Quando i bovini vengono “scaricati” le capre spesso vengono lasciate sui pa-scoli in quota per il periodo delle monte sino ad autunno inoltrato. A volte, però, vengono portate a quote più basse, presso i maggenghi o nei boschi di casta-gno, dove possono utilizzare un’abbondante risorsa costituita dai frutti delle selve castanili non più coltivate. Alcuni proprietari (ma è una minoranza) dopo l’alpeggio ricoverano le capre presso le proprie stalle in modo da poter control-lare le monte limitando il pascolo al periodo diurno. In questi sistemi l’alimentazione nell’arco dell’anno è basata prevalentemente sul pascolo mentre, durante il periodo di alimentazione stallina, si utilizzano fieni di produzione aziendale e - ma è una sopravvivenza del passato - fra-sche arboree fatte essiccare al sole. Lo sfalcio è spesso eseguito a mano o con motofalciatrici anche su piccole superfici fortemente acclivi e intercalate alle fasce boschive contribuendo in modo efficace a mantenere la qualità del paesaggio ed a contenere l’avanzata del bosco nelle zone in prossimità degli abitati. Per la lettiera è ancora diffuso l’uso delle foglie secche raccolte

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nei boschi (faggio e castagno). Per la raccolta della foglia oggi si utilizzano anche piccole rotoimballatrici (segno che anche nelle tecniche tradizionali sono possibili innovazioni). Oltre a ridurre i costi per l’acquisto della paglia questa pratica riduce l’accumulo a terra della necromassa in aree spesso a rischio di incendio boschivo. Un ulteriore aspetto positivo di questi sistemi di allevamento è legato al riutilizzo dei vecchi ricoveri per i bovini che vengono così sottratti al degrado. Nel complesso questi sistemi svolgono un ruolo im-portante per il mantenimento di valenze paesaggistiche, ambientali e culturali e consentono di continuare ad assegnare una funzione produttiva a diverse popolazioni caprine locali (vedi Tabella �) svolgendo un ruolo insostituibile per la loro conservazione. I punti deboli di questi sistemi sono rappresentati dal ridotto reddito ricavato dalla produzione del latte e dalle condizioni di lavoro disagevoli (pulizia delle stalle, raccolto e trasporto del foraggio). La produzione di latte (2�0-�00 kg per capo per lattazione) è in non piccola misura utilizzata dai capretti; l’allattamento naturale riguarda non solo i capretti da macello, ma anche le caprette e i ca-pretti da riproduzione che durante l’estate restano insieme alle madri sottraen-do loro una buona parte del latte. Nel periodo tra lo svezzamento dei capretti da macello e l’alpeggio il latte munto è spesso utilizzato per produzioni casalinghe destinate all’autoconsumo o, a volte, somministrato ai vitelli; solo in pochi casi (comunque importanti perché potenzialmente estendibili) il latte è consegnato a caseifici locali o trasformato in prodotti per la commercializzazione diretta. Va anche ricordato come il ricavo che attualmente traggono i proprietari delle ca-pre alpeggiate è molto basso (generalmente è corrisposto in latticini e stabilito a forfait, a differenza degli accurati metodi di pagamento basati sull’effettiva produzione di ciascuna lattifera). .I sistemi superestensivi sono basati sul pascolo incontrollato e l’asciutta pre-coce delle capre “cacciate” in montagna poco dopo lo svezzamento dei capretti da macello a fine aprile/inizio maggio. Questi sistemi presentano diversi impatti negativi. Innanzitutto va citata l’incidenza delle mastiti, che comportano spesso la perdita parziale o totale della mammella. Il periodo di pascolo brado si prolunga nel tardo autunno ed inizio dell’inverno con il rischio di permanenza degli animali in montagna anche dopo le prime nevi-cate della stagione. Ciò comporta situazioni di accentuata promiscuità con gli ungulati selvatici sino all’ibridazione con lo stambecco e alla creazione di branchi “misti”. In generale la presenza di piccoli greggi di caprini (ed ovini) allo stato brado ed in condizioni nutrizionali precarie non può che aumentare il rischio di trasmissione di patologie parassitarie ed infettive ai selvatici, oltre che determinare altri impatti negativi (contaminazione di aree in prossimità di opere di presa di acquedotti, danneggiamenti di manufatti e coperture di fabbricati, danni forestali). Dal punto di vista della sostenibilità economica il reddito ricavato da questi sistemi è in larga misura condizionato dall’erogazione di contributi; l’aspetto produttivo è limitato alla vendita di capretti da macello, ma anche in questo caso la potenzialità è limitata dal peso vivo, molto spesso ridotto, raggiunto dai capretti al momento della vendita (concentrata nella settimana precedente alla

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Pasqua). Ciò è legato, a sua volta, alle condizioni spesso severe del pascolo brado autunnale e all’incidenza dei ritorni in calore. Per migliorare gli accre-scimenti dei capretti da latte anche nei sistemi superestensivi si fa ricorso, da qualche anno a questa parte, alla somministrazione di alimenti sostitutivi del latte; ciò è da mettere in relazione anche alla scarsa produttività delle capre (oggetto di “selezione negativa” per la produzione di latte, al fine di consentire l’asciutta precoce e l’avvio al pascolo brado dopo lo svezzamento). In base a quanto detto è evidente che questi sistemi andrebbero scoraggiati spostando risorse dai contributi “a pioggia” verso interventi finalizzati a ripri-stinare gli alpeggi abbandonati e a sfruttare con il pascolo sorvegliato anche ampie fasce sottostanti questi ultimi (o sovrastanti i villaggi) nei periodi prima-verili ed autunnali. L’obiettivo può essere raggiunto attraverso contributi mi-rati a sostenere il costo della custodia come testimoniano alcune esperienze pilota. Parecchi alpeggi che oggi vedono un carico di soli bovini potrebbero ospitare anche greggi caprini se le condizioni di remuneratività dell’alpeggio fossero migliorate attraverso la valorizzazione delle valenze multifunzionali e una diversa struttura degli incentivi pubblici come testé indicato. Le caratteristiche dei diversi sistemi sono riassunte nella Tabella � mentre la diversa destinazione del latte è riportata nella Tabella 4.

Tabella 3 - Sistemi produzione caprina della montagna lombarda

Sistema Razze/Popolazioni CaratteristicheIncidenza capi

stimata (%)Trend

intensivo Saanen, Camosciatasenza pascolo, elevati livelli concentrati (in pia-nura anche silomais)

10 +

semi-intensivi Camosciata pascolo accessorio � +

semi-estensivi Verzaschese, Frisa val-tellinese, Bionda del-l’Adamello, Camosciata

pascolo importante, ma significative integrazio-ni con concentrati

� =/+

estensivi Orobica, Verzaschese, Lariana, Bionda del-l’Adamello

breve ricovero inverna-le con alimentazione al risparmio con solo fie-no, alpeggio

�� =

superestensivi Lariana, Frisa valtelline-se Ciavenasca, Bionda dell’Adamello, Orobica

come sopra + asciutta estiva e pascolo brado

4� -

Tabella 4 - sistemi produzione caprina lombardi: destinazione del latte

Sistema Destinazione latte

intensivo Trasformazione aziendale (prevalenza caprini a coagulazione lattica), ma anche consegna latte a caseifici

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semi-intensivi Trasformazione aziendale (prevalenza caprini a coagulazione lattica, ma in minor misura altri tipi di formaggi freschi e formaggelle)

semi-estensivi Trasformazione aziendale con varietà di prodotti (caprini a coagulazione lattica e presamica, formaggelle, formaggini e formaggi misti, ricotte)

estensivi

Durante la fase primaverile il latte è utilizzato per produzione di formaggini ma anche somministrato ai vitelli; in alpeggio prevale la produzione di formaggi misti, ma (dove vi sono solo capre o le capre sono comunque numerose in rapporto alle vacche) vi è anche quella di formaggini, formaggelle, ricotta

Per quanto riguarda la produzione di carne va osservato che il capretto da latte è un prodotto di tutti i sistemi caprini. Il peso vivo alla macellazione varia da 10 a 18 kg (con estremi anche inferiori e superiori). Oltre alle condizioni di allevamento (come sopra precisato) influisce sul peso vivo alla macellazione e su quello delle carcasse anche il tipo genetico. Le capre di alcune razze au-toctone (Frisa valtellinese ma anche Verzaschese) presentano buona taglia, ma prolificità inferiore alle razze internazionali e quindi producono capretti tenden-zialmente più pesanti e “formati”. Influenzano sul peso alla macellazione anche le condizioni della domanda.I piccoli macelli locali, con rivendita propria o smercio presso rivendite tradi-zionali, prediligono carcasse leggere (12-1� kg) in quanto legati alla vendita al dettaglio della carcassa o della mezzena; nel caso delle carni destinate alla vendita diretta, all’utilizzo nell’ambito agrituristico, ma anche ai circuiti di GDO è invece possibile produrre capretti più pesanti (sino a 18-20 kg di peso vi-vo finale). Le carcasse più leggere sono la conseguenza della vendita prepa-squale di soggetti nati tardivamente o caratterizzati da accrescimenti modesti (svezzamento naturale sotto capre alimentate con solo fieno per di più spesso razionato).Nel campo della produzione della carne va notato come, da qualche anno a questa parte, le carni delle capre da riforma vengano spesso utilizzate per produrre i salamini (con grasso suino o pancetta) e prosciutti (“violini” della Valchiavenna e simili ottenuti con le cosce, ma anche con le spalle). La vivace domanda di questi ultimi prodotti ha però determinato da parte dei laboratori di trasformazione dell’area tipica di produzione l’esigenza di rifornimento di carni congelate dall’estero (prevalentemente dalla Spagna) in quanto l’offerta locale è fortemente condizionata dalla stagionalità ed è di difficile aggregazione. Sia in Valchiavenna che altrove “violini e “spallette” sono prodotti artigianalmente da parte degli stessi allevatori di capre. In materia la produzione di carne ca-prina si può aggiungere che mentre i tipi genetici autoctoni (cui si aggiungono sporadiche presente di razze alloctone quali Maltese, Girgentana), presentano una prevalente attitudine alla produzione del latte (per quanto a volte poco sfruttata) alcuni tipi alloctoni che hanno iniziato ad essere sporadicamente pre-senti in seguito alla moltiplicazione degli scambi si presentano o a duplice at-titudine (capra Passiria del Sudtirolo) o decisamente specializzati per la carne (capra Boera).

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Sistemi produzione ovina della montagna lombarda

La produzione ovina lombarda è caratterizzata da una spiccata specializza-zione per la produzione della carne. Gli allevamenti da latte (di razza Sarda) sono di origine molto recente e restano un fenomeno marginale; la loro dif-fusione è legata alla tendenza attuale alla differenziazione produttiva che ha comportato il sorgere di allevamenti di bufale e capre da latte anche nell’am-bito delle aree più vocate all’allevamento bovino da latte intensivo in connes-sione con iniziative agrituristiche o, comunque, di filiera corta. Qualche nucleo sporadico di pecore Sarde si trova anche in area montana e collinare. Con-trariamente a quanto si pensa comunemente, però, le razze ovine lombarde erano in passato utilizzate per la produzione di latte. La produzione casearia della pianura era largamente basata sull’utilizzo del latte ovino sino al XIII-XIV secolo quando anche gli alpeggi erano spesso caricati con pecore da latte�. Ancora nel XV secolo Venezia si riforniva di formaggi ovini per via fluviale facendoli arrivare da Casalmaggiore ed altri centri della bassa Lombardia 6 e, nel XVI secolo, Agostino Gallo (Gallo, 177�) segnalava che il pregiato for-maggio della montagna bresciana (in cui si devono identificare il Bagoss o il Nostrano di Valtrompia attuali) era spesso ancora ottenuto mescolando latte ovino a quello bovino. Successivamente, però, sia in pianura che in montagna si affermò decisamente l’allevamento bovino da latte e la produzione di latte caprino e, ancor più, di quello ovino assunse un carattere marginale. Ciò non toglie che ancora alla fine del XIX secolo restassero vive tradizioni di casei-ficazione del latte ovino. Nell’alta Brianza lecchese la produzione dei famosi furmagit (i più noti erano quelli di Montevecchia) era realizzata mescolando due o tre latti tra cui quello della pecora locale (oggi denominata Brianzola) che – secondo il relatore per il Circondario di Lecco dell’Inchiesta Agraria – produceva (la valutazione è certamente sovrastimata) ben 2,� l di latte (Bri-ni, 188�). La stessa pecora Bergamasca che era già presente nel medioevo quando, oltre alla lana, produceva pecorino, ha mantenuto sino a tempi re-centissimi una discreta attitudine alla produzione di latte tanto che Domenico Tamaro, nel suo Trattato di agricoltura (Tamaro, 192�), osserva che si ricavano da una pecora Bergamasca 180 l di latte7. Sino a non molti anni fa l’attitudine lattifera della pecora Bergamasca consentiva ai pastori di mungere per un certo periodo le pecore dopo lo svezzamento per produrre formaggelle per autoconsumo; oggi se i pastori desiderano utilizzare il latte è necessario se-parare gli agnelli (Corti e Foppa, 1999)8.

5 nell’alto medioevo “il formaggio, come si è detto, era pressoché esclusivamente di pecora o di capra, animali destinati alla produzione del latte. Solo in poche regioni – ad esempio le valli alpine - si producevano quantità significative di formaggio vaccino”. montanari (�00�), (p.��0), vedi anche montanari (198�), e le numerose osservazioni del menant (199�). Sull’allevamento ovino medievale nonché, per l’importanza delle pecore da latte per la produzione di formaggio d’alpeggi cfr. lo Statuto di Cimmo (Bs) del XiV secolo (Bogara et al., 19�7).

6 delle barche “barchielle […] veniunt Venetias cum caseo, ovis de Casali maiori, Bessillo et aliis locis Lombardie ...” aS Venezia, notatorio di Collegio, 8, f. i, 10 luglio 1���, cit. da Braudel (�00�) (p.�1�).

7 Cfr. anche Scipioni (19��).8

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I sistemi produttivi ovini della montagna per quanto tutti indirizzati quasi esclu-sivamente alla produzione della carne presentano caratteristiche molto diverse. Quelli stanziali si dividono in non specializzati e specializzati. Nel primo caso l’allevamento ha sempre un carattere accessorio (ad altre attività zootecniche) o part-time (pensionati, lavoratori dipendenti). I tipi genetici sono disparati e riflet-tono l’influsso,- sovrapposto ad un substrato locale, spesso non più identificabi-le - della Bergamasca/Biellese oltre che di varie razze estere (francesi, inglesi, svizzere). L’unico prodotto è l’agnello da latte pesante, commercializzato entro circuiti locali tradizionali o ceduto a grossisti. L’allevamento presenta carattere superestensivo con i problemi già evidenziati nel caso dei piccoli greggi caprini (con l’aggravante del problema della trasmissione della Cheratocongiuntivite contagiosa ai camosci). Solo raramente si radunano in estate greggi di qualche dimensione con la custodia di un pastore. Eccezionalmente si produce l’agnel-lone (come nel caso della valle di Corteno dove la carne è utilizzata per una preparazione locale: il cuz, carne ovina bollita a lungo conservata sotto grasso in recipienti di terracotta). Uno dei problemi dell’allevamento ovino stanziale non specializzato (presente anche per l’allevamento caprino superestensivo), è rappresentato, specie nelle zone prealpine più densamente abitate, dalla pre-dazione da parte di cani che sfuggono al controllo dei proprietari. Negli allevamenti specializzati – esercitati per buona parte nell’anno in sistemi stallini o utilizzando pascoli aziendali - si utilizzano razze da carne estere o, più spesso, incroci con la Bergamasca/Biellese o anche la pecora Finnica in purez-za. La produzione è nella maggior parte dei casi rappresentata dall’agnello pe-sante. I costi legati all’allevamento stanziale (ricoveri, acquisto di foraggi) sono giustificati dalla presenza di filiere corte (l’allevamento è più o meno integrato nell’ambito di aziende agrituristiche o con macello, vendita diretta, ristorante). La componente principale dell’allevamento ovino lombardo è, però, rappresen-tata dall’allevamento transumante. Esso, nel 1990, rappresentava poco più della metà del patrimonio ovino regionale ed oggi quasi i ¾. I greggi transumanti sono 68 con un lieve aumento rispetto a qualche anno fa; il numero di capi comples-sivo è invece aumentato notevolmente in ragione dell’aumento delle dimensioni medie dei greggi. La consistenza media dei greggi è di oltre 900 capi con un range tra 700 e 1�00 capi. Solo � pastori sono proprietari di più di un gregge. L’agnellone è il prodotto principale dell’allevamento transumante. I pastori sono di origine bergamasca e camuna, ma hanno spesso residenza nel milanese e cre-monese (ed anche in Emilia). Le aree di svernamento comprendono la Brianza, la pianura cremonese, il lodigiano, la Lomellina, la pianura piacentina e parmense, le pianure dell’alessandrino. In estate l’alpeggio vede come area privilegiata la Val Seriana, ma anche la Valle di Scalve e alcune valli laterali della Vallecamonica e la dorsale trumpilimo-camuna. Negli ultimi anni l’area dell’estivazione dei greg-gi transumanti è tornata ad allargarsi interessando la Valsassina, la bassa e alta Valtellina e la stessa alta Valcamonica. Queste ultime due aree furono per secoli sedi privilegiate d’alpeggio dove si trasferivano decine di migliaia di pecore. La razza è sempre la Bergamasca/Biellese. La transumanza è effettuata nella maggior parte dei casi mediante autotrasporto anche se diversi greggi - specie nella discesa autunnale – continuano a spostarsi a piedi. Il costo dell’autotraspor-

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to incide in modo significativo sulle voci di costo dell’allevamento transumante ed i pastori auspicherebbero poter disporre di vie di percorrenza a piedi “protette”Il prodotto principale dell’allevamento è rappresentato dall’agnellone con pe-so vivo alla macellazione in media di 4� kg (2,1 €/kg). L’agnellone trova il suo sbocco di consumo presso immigrati extracomunitari con un mercato che è stato molto sostenuto per diversi anni, ma ora in fase di rallentamento. Quella che era la produzione tipica del sistema transumante, il castrato (peso alla ma-cellazione 70 kg) è andata vieppiù declinando, pur non scomparendo. Con il castrato Bergamasco si realizza tutt’oggi un prodotto di nicchia: la salsiccia di castrato classica (si tratta di un prodotto a Deco realizzato in tre comuni della media Vallecamonica). L’allevamento transumante continua a confrontarsi con le limitazioni che da secoli nella pianura vengono frapposti al suo esercizio (di-vieti opposti da amministrazioni comunali preoccupate di tutelare gi agricoltori e gli allevatori stanziali) cui si aggiungono le nuove, spesso non giustificate, preoccupazioni “ambientaliste” che riducono l’esercizio del pascolo nelle aste fluviali, tradizionale ed insostituibile “rifugio” delle greggi nel periodo prece-dente la monticazione con le colture in atto. Dal punto di vista della reperibilità dei pascoli estivi l’abbandono e il sottocarico di molti pascoli alpini dovrebbe consentire una maggiore disponibilità di pascoli; questo è vero solo in parte perché molti enti proprietari continuano a preferire l’abbandono o il sottocarico alla presenza delle pecore. Qualche segnale di interesse per la presenza dei greggi ovini ai fini del recupero dei pascoli proviene da diversi enti (Consorzi Forestali, Ersaf, Comuni) che sono divenuti consapevoli del valore del “servizio ambientale” reso dai greggi transumanti (sempre custoditi ed osservanti un preciso piano di pascolamento e di mandratura). Dal punto di vista della ripresa del fenomeno predatorio anche i greggi transumanti hanno subito perdite negli ultimi anni a causa della presenza di orsi provenienti dal Trentino e, limitatamen-te agli agnelli, a causa dell’aumento dei grandi uccelli rapaci.

Tabella 5 - Sistemi ovini della montagna lombarda

Sistema Razze ProdottoIncidenza

capi stimataTrend

transumante Bergamasca/Biellese agnellone 70%stabile dopo anni di crescita

stanziale non spe-cializzato

varie (comprese este-re e ceppi locali)

agnello da latte 2�% forte calo

stanziale specializ-zato carne

Bergamasca/Bielle-se, incroci Suffolk, Finnica

agnello pesante �% stabile

Conclusioni

La forte diminuzione del numero delle piccole aziende anche nel settore ovica-prino rappresenta un fenomeno in atto da decenni con effetti negativi sulla con-sistenza complessiva del patrimonio zootecnico che non sono più compensati dalla crescente dimensione delle unità produttive. Essa, incide negativamente

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sulla densità del tessuto rurale della montagna alpina. Nonostante questo trend negativo i sistemi caprini vedono confermato un dinamismo innescato sin dagli anni ’80 del secolo scorso e che interessa anche i sistemi tradizionali basati sull’alpeggio e i tipi genetici autoctoni.Il sistema ovino transumante si conferma portante rispetto all’ovinicoltura lom-barda; pur confrontandosi con vecchi/nuovi problemi esso dimostra capacità di adattamento alle nuove condizioni socioeconomiche e territoriali, con la pro-spettive di assumere un ruolo socialmente riconosciuto nell’ambito di azioni di manutenzione territoriale e di recupero dei pascoli abbandonati.Un riorientamento del flusso degli incentivi (da un criterio “a pioggia” ad uno miran-te a promuovere forme di pascolo pianificato e controllato con aumento delle rese produttive) potrebbe operare la riqualificazione dei sistemi superestensivi (ovini e caprini) caratterizzati da bassa sostenibilità economica ed ambientale. Resta aperta anche la questione del sostegno ai sistemi intensivi caratterizzati da scarsa autosuf-ficienza foraggera, scarsa integrazione territoriale ed elevato costo degli investimenti fissi che presentano più di un punto debole alla luce di una valutazione sistemica.

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ANALISI dEL VALORE CuLTuRALE dELLE RAZZE CAPRINE dELL’ARCO ALPINO ITALIANO

Panzitta F.1,2, Corti M.3, Rizzi R.1, Brambilla L. A.4, Montironi A. 1,2, Gandini G.1

1 DiPaRtimEnto Di SCiEnzE E tECnoLogiE VEtERinaRiE PER La SiCUREzza aLimEntaRE - Università degli Studi di milano

� CERSa, Parco tecnologico Padano, Lodi� iStitUto Di zootECnia gEnERaLE - Università degli Studi di milano� associazione R.a.R.E., torino

Riassunto

Molte razze locali sono ancora oggi custodi di antiche tradizioni locali. Obiettivo del lavoro era l’analisi del valore culturale di dieci razze caprine dell’arco alpino italiano: Roccaverano, Valdostana, Vallesa-na, Verzaschese, Lariana, Ciavenasca, Orobica, Bionda dell’Adamello, Mochena e Passiria. Si sono considerati i seguenti aspetti: antichità, ruolo di custode di paesaggio tradizionale, ruolo di custode di sistemi tradizionali d’allevamento e di strumenti tradizionali per la cura degli animali e per la tra-sformazione dei prodotti, ruolo di custode di gastronomia, ruolo di custode di folklore e artigianato, presenza nell’arte. È stato analizzato il grado di minaccia di estinzione dei diversi elementi culturali. È stato calcolato il contributo delle singole razze alla diversità culturale della metapopolazione. I pa-rametri utilizzati si sono dimostrati capaci di differenziare le razze in termini di valore culturale. Molti degli elementi culturali identificati potrebbero essere valorizzati nell’ambito del turismo, creando va-lore aggiunto all’allevamento. Inoltre i parametri usati potrebbero essere utilizzati per definire priorità di salvaguardia.

Abstract

Many livestock local breeds are still today custodian of local traditions. The aim of this work was to analyse the cultural value of ten goat breeds farmed on the Italian Alpine ark: Roccaverano, Val-dostana, Vallesana, Verzaschese, Lariana, Ciavenasca, Orobica, Bionda dell’Adamello, Mochena and Passiria. The following aspects were considered: role in maintaining the traditional landscape, role in maintaining the traditional farming systems and the traditional tools for the management of the animals and products making, role in maintaining gastronomy, role in maintaining folklore and handicrafts, presence in forms of artistic expression. The degree of endangerment of these cultural elements was assessed. The contribution of each breeds to the cultural variability of the metapopu-lation was computed. The parameters used were able to differentiate breeds on the basis of their cultural value. Many of these elements could be used to add economic value to the farming of these local breeds. In addition, the parameters used in this investigation could be used to define conser-vation priorities.

Résumé

Bien des races locales sont des témoins des anciennes traditions. Dix ont été les races sujets d’une recherche concernant les Alpes italiennes: Roccaverano, Valdostana, Vallesana, Verzaschese, Lariana, Ciavenasca, Orobica, Bionda dell’Adamello, Mochena e Passiria. Les aspects considérés ont été: l’ori-gine, le rôle de gardien du paysage traditionnel, le rôle de gardien des systèmes d’élevage traditionnel et pour la transformation des produits, de la gastronomie, du folklore et de l’artisanat, la présence dans les arts. La menace de disparition d’un de ces éléments a été étudiée. La contribution de chaque race à la diversité culturelle formant une métapopulation a été analysée. Les systèmes utilisés ont permis de

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diversifier chaque race selon leur valeur culturelle. L’élevage pourrait avoir des bienfaits, si ces éléments culturels étaient valorisés au niveau touristique. Enfin, les paramètres utilisés dans cette recherche pour-

raient être utilisés pour définir des priorités de sauvegarde.

Introduzione

I cambiamenti strutturali ed economici nella produzione zootecnica europea degli ultimi decenni hanno portato alla selezione di poche razze altamente pro-duttive da utilizzarsi in sistemi di produzione intensiva. Questa selezione ha ridotto il contributo alla produzione delle razze locali legate a sistemi a basso input e output, minacciandone in molti casi la sopravvivenza.Oggi c’è consenso sulla necessità di mantenere una certa varietà di razze qua-li riserve di variabilità genetica per soddisfare possibili futuri cambiamenti nel mercato e nelle condizioni ambientali d’allevamento (es. FAO, 1998; Gandini e Oldenbroek, 2007). Molte razze locali sono adattate a produrre in ambienti dif-ficili dove garantiscono importanti fonti di reddito per le comunità locali; inoltre hanno spesso influenzato l’evoluzione del paesaggio e degli ambienti rurali e questo legame con l’ambiente le rende elementi chiave per il mantenimento della diversità degli ecosistemi agrari. Infine queste razze hanno spesso giocato un ruolo rilevante per lunghi periodi nelle società rurali: per questo possono essere importanti documenti della storia dell’uomo e devono essere considerate a tutti gli effetti veri e propri beni culturali. Alcune sono ancora oggi punto di riferimento di antiche tradizioni locali e quindi custodi di tradizioni locali, contro il processo in atto di erosione della diversità culturale rurale (Gandini e Villa, 200�).Per l’attuazione di programmi di sviluppo zootecnico e per definire eventuali priorità di salvaguardia è necessario potere individuare, qualificare e quantifi-care le valenze genetiche, socio-economiche, ambientali e culturali delle razze. Per quanto riguarda l’aspetto della variabilità genetica, possediamo strumenti per la sua identificazione e quantificazione (es. eterozigosi, parametri di di-versità allelica, distanze genetiche). Ciò non è altrettanto vero per le valenze culturali, dove la letteratura è assai scarsa. Ciò premesso, il lavoro si è posto l’obiettivo di analizzare il valore culturale delle razze caprine dell’arco alpino italiano con parametri oggettivi.

Materiali e Metodi

Le razze - Sono state analizzate dieci razze-popolazioni caprine allevate sul-l’arco alpino italiano, già oggetto di analisi genetica (Panzitta e col., in prepa-razione),: Roccaverano, Valdostana (arco alpino occidentale), Vallesana, Ver-zaschese, Lariana, Ciavenasca, Orobica e Bionda dell’Adamello (arco alpino centrale), Mochena e Passiria (arco alpino orientale). Tutte le razze sono uffi-cialmente riconosciute dalla Associazione Nazionale della Pastorizia (otto con registro anagrafico e una, l’Orobica, con libro genealogico) con eccezione del-la Ciavenesca. Le stime delle consistenze, come somma delle femmine adulte

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registrate e non registrate, sono inferiori a duemila per Mochena (100 capre), Vallesana (400), Roccaverano (9�0) e Valdostana (1600), di qualche migliaio per Verzaschese (2800), Bionda dell’Adamello (�000), Ciavenasca (��00), La-riana (4000), Orobica (4�00) e Passiria (7600).

Analisi del valore culturale – Per l’analisi del valore culturale sono stati identifi-cati e utilizzati parametri di facile raccolta, adatti all’analisi rapida di un elevato numero di razze, ma che allo stesso tempo garantissero una certa robustezza e precisione. Si è seguito lo schema analitico proposto da Gandini e Villa (200�). Per razza si è considerato il gruppo di animali ascrivibili alla sua definizione attuale e, per il passato più remoto, una popolazione sufficientemente ricon-ducibile alla razza attuale. E’ stata fatta una stima dell’antichità della razza in termini di presenza nell’area di allevamento e di presenza del nome di razza, in entrambi i casi se da più o meno di �0 anni, e del grado di identificazione degli allevatori con la razza, sia nel periodo recente, e cioè negli ultimi 20 anni, pe-riodo del nuovo interesse per la salvaguardia delle razze locali, che in passato (valori: buono, scarso, assente). Maggiore antichità e grado di identificazione significano un più lungo e forte legame tra razza e società rurale e quindi pos-sibile maggiore presenza di elementi culturali legati alla razza. Per elementi culturali tradizionali si intendono quelli legati a forme di allevamento tradizio-nale, antecedenti il processo di intensificazione e modernizzazione zootecnica avviato in Italia negli anni ’�0, ma che solo più tardi ha generalmente interessato la specie caprina, tra gli anni ’70-’80. Si sono considerati i seguenti aspetti e relativi parametri, suddivisi in cinque gruppi:- ruolo di custode del paesaggio tradizionale: utilizzo di pascolo e alpeggio strutturato e quindi legato alla custodia di un paesaggio tradizionale, inteso come mosaico di aree pascolate e non (valori: persistenza, flessione, forte dimi-nuzione, scomparsa), e sua stima quantitativa (n. mesi-pascolo-alpeggio/capo) considerando il numero dei capi al pascolo/alpeggio nei diversi mesi dell’anno; presenza di elementi tradizionali, quali strutture per il contenimento degli ani-mali al pascolo (es. muretti a secco, siepi vive e/o morte), stalle, strutture per la mungitura, ecc. (valori: persistenza, flessione, forte diminuzione, scomparsa);- ruolo di custode di sistemi tradizionali di allevamento: mungitura manuale, let-tiera di foglie, ecc. (valori: persistenza, flessione, forte diminuzione, scompar-sa). Ruolo di custode di strumenti tradizionali per il governo degli animali e per la trasformazione dei prodotti: collari, attrezzi per la caseificazione, ecc. (valori: persistenza, flessione, forte diminuzione, scomparsa);- ruolo di custode di gastronomia: prodotti alimentari tradizionali (latticini e car-nei) legati alla razza e ricette gastronomiche tradizionali. Stima dell’andamento della trasformazione del latte (valori: aumento, stabile, flessione, forte diminu-zione, scomparsa);- ruolo di custode di folklore e artigianato: feste, mostre, fiere (tradizionali e re-centi) e artigianato legati alla razza;- presenza nell’arte: artisti (scrittori, pittori, ecc.) e opere con un legame con la razza (include arte popolare).

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E’ stato calcolato il numero di elementi culturali tradizionali di cui la razza è cu-stode (elementi culturali), identificando la loro eventuale unicità all’interno del set di razze analizzate (metapopolazione). Il grado di minaccia di estinzione del valore culturale della razza è stato stimato come percentuale dei suoi elementi culturali che sono in forte diminuzione. E’ stato calcolato il contributo delle diverse razze alla diversità culturale della metapopolazione. Il contributo, C, di una razza o di un gruppo di razze k, alla diversità culturale della metapopolazione allevata sull’arco alpino, CD, è stato calcolato comeCk = (CD – CD\k)/ CDdove CD\k è la diversità culturale della metapopolazione senza la razza o il gruppo di razze k, e CD è dato dal numero di elementi culturali presenti, anche se in flessione o forte diminuzione.

Risultati e discussione

Tutte le razze analizzate sono presenti nell’attuale area d’allevamento da più di �0 anni, con eccezione della Verzaschese, di origine Svizzera e importata in Italia circa �0 anni fa. Il nome di razza esiste da più di �0 anni per solo tre razze, Passiria, Vallesana e Verzaschese. Per quest’ultima bisogna però fare riferimento all’area di origine svizzera. In tabella 1 è riportato il grado di identificazione degli allevatori nella razza in passato e oggi. Il 70% delle razze presentano un buon livello d’identificazione, che era presente anche prima degli ultimi vent’anni.

Tabella 1. Grado d’identificazione degli allevatori nella razza

Razza Grado di identificazione degli allevatori nella razza In passato Oggi *

Bionda buono buonoCiavenasca assente assente

Lariana scarso scarsoMochena scarso scarsoOrobica buono buonoPassiria buono buono

Roccaverano buono buonoValdostana buono buono

Verzaschese buono (Va**), scarso (Co***) buono (Va**), scarso (Co***)Vallesana buono buono

* Negli ultimi venti anni e oggi.** in provincia di Varese; *** in provincia di Como.

Ruolo di custode del paesaggio tradizionale – La pratica del pascolo struttu-rato persiste in tutte le razze analizzate. L’alpeggio strutturato persiste nelle razze Orobica, Passiria, Vallesana, Valdostana e nella Verzaschese allevata in

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provincia di Como, è in flessione nella Lariana e Bionda dell’Adamello, in forte flessione nella Ciavenasca, è scomparso nella Mochena e nella Passiria e non è mai esistito nella Roccaverano. Il numero totale di mesi-pascolo-alpeggio/capo va da 2.960 nella Vallesana a �8.800 nell’Orobica.In tabella 2 sono riportati, per ciascuna razza, gli elementi tradizionali del paesaggio, in termini di persistenza (P), flessione (F), forte diminuzione (FD) o scomparsa (S). Nelle dieci razze studiate sono stati individuati i seguenti elementi culturali: caprili, stalle bovine, sostre, siepi vive/morte per il conte-nimento degli animali, barek, calec’, sedili in pietra per la mungitura, covoni di fieno. In Appendice è riportata una breve descrizione di questi elementi culturali. Se consideriamo come presenza le diverse situazioni di persistenza, flessione e forte diminuzione, Lariana e Verzaschese sono custodi di sette elementi tradizionali, Orobica di tre, Valdostana, Vallesana, Ciavenasca, Bion-da e Mochena di due, Passiria di uno. Nella razza Roccaverano i tre elementi presenti in passato sono pressoché scomparsi. Il grado di minaccia d’estin-zione del valore culturale, misurato come percentuale di elementi in forte di-minuzione, va da zero nella Bionda dell’Adamello, Vallesana e Passiria ad un massimo di �7% nella Lariana e nella Verzaschese, con una media del 27%. E’ stato identificato un solo elemento tradizionale razza specifico, il calec’, nella razza Orobica.

Tabella 2. Ruolo di custode della razza di elementi tradizionali del paesaggio

Elemento LAR VER ORO CIA ROC BIO PAS VAL MOC VAd

Caprili FD FD FD FD S P P P FD PStalle bovine P P P P S P P P P

Sostra P P*

Siepi FD FD S

Barek F F

Calec’ P

Sedili in pietra FD FDCovoni FD FD S

Numero elementi 7 7 � 2 2 1 2 2 2% FD �7 �7 �� �0 0 0 0 �0 0

LAR (Lariana), VER (Verzaschese), ORO (Orobica); CIA (Ciavenasca), ROC (Roccaverano), BIO (Bionda), PAS (Passiria; VAL (Vallesana), MOC (Mochena), VAD (Valdostana); P=Persiste; F=Flessione; FD=Forte Diminuzione; S=Scomparso; * in provincia di Como.

Ruolo di custode di sistemi di allevamento tradizionali e di strumenti tradizio-nali per il governo degli animali e la trasformazione dei prodotti – La tabella � riporta la presenza nelle diverse razze dei sette elementi tradizionali, legati ai

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sistemi di allevamento e produzione, identificati: mungitura manuale, pascolo guidato, sfalcio dei prati, lettiera di foglie, collari in legno, caldaie in rame, stampi-utensili per la caseificazione. In Appendice è riportata la descrizione di questi sette elementi culturali. Sette razze sono custodi di almeno sei ele-menti tradizionali. La capra Mochena, con due elementi tradizionali, lo sfalcio dei prati e i collari in legno, è la razza con il numero minore di presenze. Non sono stati identificati elementi culturali presenti in una sola razza. Il grado di minaccia d’estinzione del valore culturale nelle diverse razze va da zero (Mo-chena e Valdostana) a 80% (Rocccaverano).

Tabella 3. Ruolo di custode di sistemi tradizionali di allevamento e strumenti.

Elemento LAR VER ORO CIA ROC BIO PAS VAL MOC VAd

Mungitura manuale P P P P F P S P S PPascolo guidato S S FD S F P PSfalcio dei prati P P P P P P P P P PLettiera foglie P P P P FD FD FD P FCollari in legno F F P P FD P FD P P PCaldaie in rame P P P P FD FD S FD S PUtensili FD FD P FD FD FD S FD S P

Numero elementi 6 6 7 6 � 7 � 7 2 7% FD 14 14 14 17 80 4� 67 29 0 0

LAR (Lariana), VER (Verzaschese), ORO (Orobica); CIA (Ciavenasca), ROC (Roccave-rano), BIO (Bionda), PAS (Passiria; VAL (Vallesana), MOC (Mochena), VAD (Valdostana); P=Persiste; F=Flessione; FD=Forte Diminuzione; S=Scomparso.

Ruolo di custode di gastronomia – La tabella 4 riporta i prodotti caseari e carnei oggi presenti nelle dieci razze analizzate. La tabella include prodotti tipici di più o meno lunga tradizione, e la produzione casearia più anonima (formaggi a coagulazione prevalentemente presamica o lattica, formaggi d’Alpe, formaggelle). Non sono stati considerati i numerosi prodotti di recen-te invenzione (formaggi con erbe, ecc.). Le razze Mochena e Passiria sono oggi allevate per la produzione del capretto che non è stato considerato tra i prodotto tipici. Le ricette gastronomiche tipiche individuate sono state i bockanes, ossia la carne dei becchetti arrosto, mangiata il 1� di agosto, e la minestra di brodo di becco, mangiata in inverno nei giorni di mercato del bestiame, il 6 dicembre, entrambe nella Passiria. Per quanto riguarda l’andamento della trasformazione del latte, questo è abbastanza stabile nel-la Lariana, Verzaschese (provincia di Como), Orobica e Roccaverano (ten-denza all’aumento), in più o meno forte flessione nella Ciavenasca, Bionda e Vallesana.

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Tabella 4. Latticini e prodotti carnei stagionati

Elemento LAR VER ORO CIA ROC BIO PAS VAL MOC VAd

LatticiniFormaggini freschi a coagulazione pre-valente presamica

X X X X c X X X

Formaggini freschi a coagulazione pre-valente lattica

X d X

Formaggio d’Alpe grasso misto

X X X a X

Formaggio d’Alpe semigrasso misto

X X X

Zincarlin (ricotta) X XMascarpi (ricotta) XMascarpin (ricotta) XSaligno (ricotta) XFormaggelle miste/pure

X b X X X

Brus XFatulì X

Prodotti carneiMocetta XSalamini X X X X X X X X X XViolino X X*Carne salata XFirun X*

Numero elementi 4 7 � 6 4 6 1 4 1 �

LAR (Lariana), VER (Verzaschese), ORO (Orobica); CIA (Ciavenasca), ROC (Roccaverano), BIO (Bionda), PAS (Passiria; VAL (Vallesana), MOC (Mochena), VAD (Valdostana); * = Presidio Slow Food a = Bitto; b = Fomaggella Luinese; c = Robiola di Roccaverano (da verificare ); d = Agrin delle Orobie

Ruolo di custode di folklore e artigianato – In tutte le razze, tranne che nella Mo-chena, vi sono mostre per l’esposizione e vendita degli animali. L’utilizzo delle corna come ornamento delle stalle e/o come oggetto di scaramanzia è stato riscontrato nelle razze Lariana, Orobica, Ciavenasca, Valdostana, come intarsio nell’impugnatura in legno di coltelli nella razza Passiria, come strumento musicale nella Valdostana. Da ricordare, come sopra riportato, che in diverse razze periste l’uso di collari di legno in alcuni casi finemente intagliati. Infine gli allevatori di ca-pra Valdostana organizzano battaglie tra le capre dominanti dei diversi greggi.

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Presenza nell’arte – La specie caprina è stata spesso rappresentata nei dipinti, ma solo in alcuni casi è possibile riconoscere gli animali raffigurati come apparte-nenti ad una specifica razza. Questo accade in alcuni dipinti del pittore lombardo Francesco Londonio (1700) dove vengono raffigurate capre che corrispondono alla razza Bionda dell’Adamello, mentre è possibile riconoscere la razza Orobi-ca in una stampa del 1806 dove è raffigurata l’entrata di un gregge di capre in Milano. Raffigurazioni di capra Vallesane sono presenti in alcuni dipinti di autori sconosciuti e da Rudolf Koller (18�0), e inoltre sullo stemma di alcuni comuni del Piemonte (Tresquera, ecc.). Per quanto riguarda l’arte sacra, animali riconducibili alla razza Passiria sono stati raffigurati nei presepi e negli altari delle chiese.

Da quanto sopra esposto risulta evidente che l’estinzione di una delle razze stu-diate porterebbe non solo all’eventuale perdita di diversità genetica, ma anche alla scomparsa di valenze culturali. La perdita culturale potrebbe verificarsi anche senza l’estinzione della razza, ma semplicemente a seguito di modificazioni dei sistemi di allevamento, come nel caso di abbandono delle pratiche di pascolo e alpeggio. Qualora il mantenimento della diversità culturale rurale dell’arco alpino fosse un obiettivo gestionale, si renderebbe necessario analizzare il contributo di ciascuna razza alla metapopolazione, ciò al fine di prevedere eventuali perdite di elementi culturali a seguito dell’estinzione di specifiche razze - o di trasformazio-ne dei loro sistemi di allevamento - e per definire priorità di intervento. In tabella �, considerando unicamente a titolo esemplificativo alcuni elementi culturali legati al paesaggio e agli strumenti, è riportato il contributo percentuale di ciascun raz-za alla diversità culturale legata alla metapopoalzione caprina analizzata.

Tabella 5. Contributo delle singole razze alla diversità culturale della metapopolazione ana-lizzata, sulla base di undici elementi tradizionali

Elemento LAR VER ORO CIA ROC BIO PAS VAL MOC VAd n. razzeSiepi 1 1 2Caprili 1 1 1 1 1 1 1 1 1 9Stalle bovine 1 1 1 1 1 1 1 1 8Sostra 1 1 2Barek 1 1 2Calec’ 1 1Sedili in pietra 1 1 2Covoni 1 1 2Collari in legno 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 10Caldaie in rame 1 1 1 1 1 1 1 1 8Utensili 1 1 1 1 1 1 1 1 8

N. elementi 10 10 6 � � � 2 � � �% contributo 0 0 0 0 0 0

LAR (Lariana), VER (Verzaschese), ORO (Orobica); CIA (Ciavenasca), ROC (Roccaverano), BIO (Bionda), PAS (Passiria; VAL (Vallesana), MOC (Mochena);

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Un contributo superiore allo zero, misurato come perdita percentuale di elementi cul-turali dalla metapopolazione quando la razza in questione è tolta dalla metapopola-zione stessa, come nel caso di estinzione, si osserva solo nelle razza Orobica con un valore basso del 9%, corrispondente alla perdità dei calec’ (Tabella �). L’estinzione contemporanea delle razze Lariana e Verzaschese porterebbe ad una perdita del 4�%, che salirebbe al ��% qualora si estinguesse anche la razza Orobica.

Conclusioni

I parametri utilizzati per stimare il valore culturale delle dieci razze caprine si sono rivelati facili da raccogliere e capaci di identificare le caratteristiche delle razze, e quindi di differenziarle tra loro. L’obiettivo era implementare una metodologia d’analisi rapida, da poter condurre in tempi ragionevoli su numeri elevati di razze. In particolare per alcuni aspetti, un’in-dagine storica e culturale più approfondita potrebbe evidenziare elementi culturali non identificati in questo studio. L’elenco degli elementi culturali identificati deve quindi essere considerato come un elenco aperto. Sarebbe auspicabile l’amplia-mento dell’analisi a tutte le popolazioni dell’arco alpino, per meglio comprendere il contributo di ciascuna razza alla diversità culturale della metapopolazione capri-na di questa regione. Molti degli elementi culturali identificati potrebbero essere valorizzati nell’ambito del turismo, portando un valore aggiunto all’allevamento di queste razze e delle rispettive aree di allevamento. La sfida è riuscire a dare loro un valore di mercato. Inoltre. potrebbero essere utilizzati nella promozione commer-ciale dei prodotti alimentari tipici provenenti da queste razze. Il mercato dovrebbe essere informato del fatto che, acquistando determinati prodotti, contribuisce al mantenimento di tradizioni rurali altrimenti a rischio di scomparsa.Infine, si è avviato lo studio di parametri per confrontare tra loro le razze sulla base delle loro valenze culturali e per definire priorità di gestione. Si ritiene utile approfon-dire in futuro questo aspetto e inoltre studiare metodi di integrazione di parametri genetici, culturali, ambientali e socio-economici per operare scelte di salvaguardia.

Bibliografia

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Gheza V., 2004. Analisi del valore culturale delle razze locali: sviluppo di una metodologia e sua applicazione alla capra Bionda dell’Adamello. Tesi da laurea, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano.

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Appendice – definizione degli elementi culturali tradizionali riportati nelle tabelle 2 e 3.

Caprili - Piccole stalle per ovini o caprini presenti nei maggenghi o nelle cascine di monte. Caprili di una certa dimensione, costruiti con criteri moderni anche se a posta fissa, che possono risalire a prima dell’ultima guerra, sono presenti nella zona ticinese d’allevamento della Verzaschese. Nelle zone limitrofe della provin-cia di Varese, dopo l’introduzione della Verzaschese, sono state realizzate stalle su modelli simili, ma sono troppo recenti per essere considerate tradizionali. In generale va tenuto presente che le poche capre e pecore erano spesso confina-te in un angolo della stalla delle vacche, delimitato da staccionate in legno.

Stalle bovine - Si tratta di piccole stalle realizzate in muratura con leganti na-turali e non intonacate. Tali stallette erano diffuse presso le sedi permanenti e i maggenghi, usualmente site al livello inferiore di edifici adibiti ad abitazione o usi agricoli diversi, o seminterrate con soprastante fienile. Molto frequente è la volta a botte. Con la chiusura nei piccoli allevamenti bovini, o la loro trasfor-mazione in aziende dotate di stalle moderne, queste vecchie costruzioni sono spesso state adibite a ricovero di ovi-caprini e hanno continuato ad essere oggetto di qualche manutenzione, evitando così il degrado.

Sostra - Tettoia aperta su uno o più lati, diffusa nel basso e medio Lario occiden-tale, con qualche esempio nell’area del Ceresio e sporadicamente nel Ticino. La sòstra può essere coperta con capriate lignee o essere realizzata con archi e volte. La seconda tipologia è certamente più pregevole e caratteristica, indicatri-ce della padronanza da parte delle maestranze locale di abilità tecniche elevate e dell’impegno finanziario di cui in passato gli alpeggi erano oggetto. Le sòstre sono state recentemente adibite a ricovero notturno in alcuni alpeggi della Valle d’Intelvi (Co) a bassa quota, in altri casi sono utilizzate per la mungitura.

Siepi vive/morte - Un tempo diffuse su molti alpeggi, oggi sono rinvenibili nel-l’area basso Lariana occidentale. Qui sono ancora visibili le ciùende, realizzate mediante piantumazione di faggi opportunamente allevati. La loro funzione era di escludere il pascolo di vacche e capre dai segaboli (prati da sfalcio, presenti anche sugli alpeggi). Integrate in tempi recenti da recinzioni metalliche, assol-vono ancora la loro funzione anche se in forte diminuzione.

Barek – Recinti di forma rettangolare, ma più spesso circolare, di muro a secco alti circa mezzo metro, diffusi su buona parte degli alpeggi delle Alpi lombarde, ma con una funzione specifica nella conduzione dei greggi caprini nell’area Lariana. Capre, e oggi più raramente vacche, sono chiuse nel bàrek per la mungitura, ma anche per il ricovero notturno. Nell’area Alto Lariana occidentale i bàrek sono presenti nelle diverse stazioni in cui si articola l’alpeggio, tipica-mente in quelle più alte e scoscese (loc. avèrt). Oggi i muri a secco sono a volte sostituiti ad integrati da lamiere già utilizzate per le copertura dei fabbricati..Calec’ – Il calec’ è una capanna casearia di pianta rettangolare realizzata con

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muretto a secco. La copertura è temporanea, realizzata con teloni impermeabili sorretti da pertiche (in passato si utilizzavano coperte di lana di fabbricazio-ne casalinga e, ancora più anticamente, tavole di legno). Nell’area storica di produzione del formaggio bitto le capre Orobiche sono tutt’ora munte presso i calec’, o presso le piccole baite con copertura permanente che integrano (o qualche volta sostituiscono) la rete dei calec’ disseminati sul pascolo.

Sedili in pietra - Elementi monolitici rozzamente squadrati e di forma a paralle-lepipedo appositamente infissi nel terreno. Sono ancora presenti in diversi al-peggi dell’area del medio Lario occidentale e in val Cavargna (più a Sud, nella Tremezzina e in Valle Intelvi la roccia calcarea non fornisce materiale adatto). Il loro utilizzo è strettamente connesso con quello dei bàrek. Elemento molto carat-teristico collocato sempre al centro del bàrek; il loro numero varia in relazione alla dimensione dell’alpeggio e quindi della malga (loc. per gregge) di capre da latte. Tipicamente 4-� sedili disposti in parallelo uno a breve distanza dell’altro. Covoni (méde) - Cumuli di fieno eretti nel mezzo dei prati, intorno ad una pertica conficcata nel terreno per aggiunta di strati successivi disposti in modo da consen-tire lo sgrondo dell’acqua meteorica. Elemento caratteristico del paesaggio di alcu-ne vallate prealpine; in particolare nella Valle d’Intelvi sono un importante sistema di conservazione del fieno utlizzato per l’alimentazione invernale delle capre. Mungitura manuale - Ancora diffusa presso gli allevamenti di tutte le razze con-siderate, sia durante il periodo primaverile (il breve intervallo tra lo svezzamento del capretto e la monticazione) che in alpeggio. Ovunque si munge da tergo.

Pascolo guidato – Il pascolo guidato consiste nel condurre per tutta la durata del giorno (o per mezza giornata) il gregge caprino al pascolo su terreni semi-natura-li dove le formazioni arbustive e d arboree si alternano a spazi aperti a copertura erbacea. Nel pascolo guidato il pastore decide quale itinerario seguire, quando spostare le capre da una zona di pascolo all’altra. Caratteristico delle aree preal-pine dove grazie alle quote ridotte, all’esposizione favorevole, alla mitigazione delle masse d’acqua lacustri, in primavera lo sviluppo precoce della vegetazione consente di esercitare un periodo di pascolo abbastanza lungo prima della mon-ticazione, ma anche dove una rete di urbanizzazione abbastanza densa rende improponibile un pascolo libero. In aree endoalpine era praticato anche durante l’estate con i greggi che non venivano condotti all’alpeggio. La pratica era legata alle figure dei caprai comunali che prendevano in carico capre di numerosi pic-coli proprietari. Il pascolo guidato è praticato oggi da pochi da allevatori a tempo pieno con greggi di una certa consistenza compresi alcuni che hanno optato per razze cosmopolite pur in uncontesto di sistema di allevamento semiestensivo.

Sfalcio dei prati – Attuato a mano con la falce fienaia o con la motofalciatrice anche su terreni a forte pendenza. Molte aziende, sia piccole che grandi, di capre autocto-ne sono ancora autosufficienti per l’approvvigionamento foraggero e reperiscono le scorte invernali sfalciando anche piccoli appezzamenti in pendio nei maggenghi e

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presso le sedi permanenti. La pratica dello sfalcio è importante dal punto di vista paesistico ed ambientale poiché è realizzata su piccole superfici ai margini delle aree boscate o in radure all’interno di esse contribuendo a contenere l’avanzata delle formazioni arboree ed arbustive. Dove la capra è allevata in larga misura per la car-ne, le richieste foraggiere sono basse e questa azione è conseguentemente ridotta.

Lettiera di foglie secche – I sistemi di stabulazione fissa rappresentano un in-centivo ad asportare parte della biomassa che si accumula nel sottobosco del-le neoformazioni arboree riducendo il rischio d’innesco di incendi boschivi nelle aree prossime agli insediamenti. La foglia più utilizzata è quella del faggio. La pratica non è a rischio di scomparsa perchè il prezzo della paglia è divenuto proibitivo per i piccoli allevamenti e anche perché sono disponibili piccole ro-toimballatrici che possono operare anche nel sottobosco.

Collari in legno - Sono di foggia caratteristica da area ad area. Nell’area di alle-vamento della capra Orobica sono ancora molto diffusi (gambìsa) e recano inci-sioni; utilizzati più o meno sporadicamente anche nel caso delle altre razze. Nella maggior parte dei casi sono espressione di un’attività artigianale connessa con quella pastorale dal momento che sono ancora realizzati dagli stessi allevatori.

Caldaie in rame – Ovunque si lavori latte di capra di razze locali si usa la cal-daia (spesso di piccole dimensioni) in rame. Fanno eccezione le lavorazioni semicasalinghe del periodo premonticazione dove la ridotta disponibilità dei piccoli allevatori fa si che si usino vecchie pentole da cucina in alluminio. In qualche caso il latte viene coagulato direttamente in secchi di plastica, quando non si opera il riscaldamento prima della presa del caglio. L’uso della caldaia di rame sta assumendo il connotato dell’elemento culturale in quanto si assiste ad una progressiva diffusione delle caldaie polivalenti in acciaio inox, caldaie che tendono ad annullare la varietà delle procedure tradizionali.

Stampi-utensili per caseificazione - La diffusione degli stampi di plastica ha rag-giunto anche i piccoli laboratori di lavorazione del latte di capre autoctone. A vol-te, però, sopravvivono stampi di metallo o di legno di varia foggia. Caratteristici i lunghi stampi metallici per la messa in forma dei furmagitt (o frumagitt) coma-schi-ticinesi-varesotti. In essi la pasta era pressata per essere poi estratta dopo lo spurgo e tagliata a rondelle per ottenere i singoli pezzi (a differenza della pratica attuale che consiste nel porre una porzione di pasta in ciascun stampino di pla-stica o nel far spurgare la pasta avvolta in un telo appeso per poi darle a mano o con dei cerchietti la forma desiderata). L’uso di questi stampi metallici persiste in alcune aree di allevamento delle capre Verzaschese e Lariana. Utensili realizzati con materiali tradizionali (legno) e di particolari fogge sono tutt’ora utilizzati per la lavorazione del latte delle capre Orobiche nell’area di produzione del formaggio bitto; da questo punto di vista sono interessanti non solo gli utensili per la prima rottura della cagliata (scodelle in legno di scarsa profondità più o meno dotate di manico), ma anche gli stampi in legno (sorta di secchielli forati realizzati con doghe) utilizzati per lo scolo della maschèrpa (ricotta) e denomitati garòt.

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L’ALLEVAMENTO OVINO E CAPRINO SuLLA MONTAGNA dEL FRIuLI VENEZIA GIuLIA

Loszach S.1, Menegon S.2, Pastore E.3, Bovolenta S.1

1 DiPaRtimEnto Di SCiEnzE animaLi - Università delgi Studi di Udine� agEnzia REgionaLE PER Lo SViLUPPo RURaLE - Regione autonoma Friuli Venezia giulia� DiPaRtimEnto Di SCiEnzE animaLi - Università degli Studi di Padova

Riassunto

Fino alla prima metà del XIX secolo, nel territorio che attualmente coincide con la Regione Friuli Venezia Giulia, l’allevamento ovino rimase prerogativa dei territori pianeggianti, in quanto la pecora consenti-va di ottimizzare lo sfruttamento dei prati stabili dopo lo sfalcio. In montagna era invece l’allevamento della capra quello che meglio rispondeva all’utilizzo delle risorse disponibili in loco nel periodo estivo e dei frascami essiccati nel periodo invernale. A conferma di ciò nel 1868 furono censiti 64.000 ovini, il 70% dei quali localizzati in pianura e 29.000 caprini, quasi totalmente allevati in montagna. Già a par-tire dagli ultimi decenni dell’800 l’allevamento dei piccoli ruminanti intraprese la via del declino; in soli quarant’anni, infatti, il patrimonio ovino regionale si ridusse dell’80% e quello caprino del 60%. Declino che, nonostante il rinnovato interesse destatosi negli anni ‘�0 nei confronti della pecora, funzionale alle politiche autarchiche del regime, è proseguito fino ai nostri giorni. Negli anni ’70 si dichiarava estinta la più importante razza locale: la razza ovina Friulana. Gli ultimi censimenti dell’agricoltura riportano una significativa contrazione del numero delle aziende montane che praticano questo tipo di allevamento, accompagnata da una più lieve riduzione del numero dei capi allevati; nell’ultimo censimento del 2000 le consistenze stimate ammontavano a circa 1.800 capi ovini - su un totale regionale di circa 6.�00 - e �.100 caprini - su un totale regionale di circa 6.100. Sulla base dei dati relativi all’anno 2004 forniti dalle Aziende per i Servizi Sanitari, è stato possibile quantificare le consistenze di ovini e caprini dell’intera regione rispettivamente in �.900 e 4.200 capi circa. Il ��% degli ovini e oltre il 70% dei caprini sono dislocati sulla montagna udinese e pordenonese e sul territorio carsico di pertinenza delle province di Gorizia e Trieste. La tipologia di allevamento maggiormente rappresentato è quello stanziale da carne per gli ovini, con prevalenza della razza Bergamasca, e quello amatoriale per i caprini, con prevalenza della razza Camosciata. Oggi l’attenzione è rivolta al recupero dello spazio rurale montano e al man-tenimento delle razze locali ancora presenti. Nel 2004 l’Università di Udine, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale e l’Associazione Allevatori del Friuli Venezia Giulia hanno avviato un primo progetto per la conservazione e valorizzazione delle razze Alpagota, Carsolina e Plezzana.

Abstract

Sheep and goats breeding in Friuli Venezia Giulia mountain - Untill the first half of the 19th century, in a territory today coincident with the Friuli Venezia Giulia region, sheep breeding was diffused in the plain because sheep could improve the exploitation of grassland after the cut. Instead, in the mountain, the goat breeding could maximize the utilization of local resources during the summer, and use branches during the winter. In fact in 1868 it was counted 64,000 sheep and 29,000 goats in a census. 70% of sheep were bred in the plain and almost all the goats were bred in the mountain. From the last decades of the nineteenth century the breeding of little ruminants decreased and in only forty years there was a reduction of the regional sheep patrimony (- 80%), at the same time there was a reduction (60%) of the regional goat patrimony. This decline still continues. There was only a short period when this kind of bree-ding improved and it coincided with the autarchic policy of the Thirties. In the Seventies there was the extinction of the most important local sheep breed: the Friulana breed. The last census shows that today there’s a big contraction in the number of mountain farms and a less reduction in the animal’s number. In fact the 2000 census rated in 1,800 the number of sheep – the whole regional consistency was rated in about 6,300 animals - and it valued in 3,100 the number of goats - the whole regional consistency was valued in about 6,100 animals-. According to the Public Health Services in 2004 the consistence

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of sheep and goats was 5,900 and 4,200. Particularly the 55% of sheep and 70% of goats lived in the mountains of Udine and Pordenone and in the Carsic territory in the Provinces of Gorizia and Trieste. The local and meat breeding is widespread for the sheep and the breed prevalent is Bergamasca breed. Instead goat breeding has became a pleasure activity with the prevalence of Camosciata breed. Today there is a huge interest in the specific problems related to the protection of the environment, especially of the mountain areas and there is an interest in the conservation of local breeds too. In 2004 the University of Udine with the cooperation of the Regional Agency of Rural Development and the Friuli Venezia Giulia Breeders Association started a project for the valorisation and conservation of Alpagota, Carsolina, and Plezzana breed.

Evoluzione storica dell’allevamento ovi-caprino in Friuli Venezia Giulia

Storicamente l’allevamento ovi-caprino in Friuli Venezia Giulia era molto più dif-fuso di quanto oggi non si possa immaginare. Ne sono testimonianza sia i testi storici, per la verità non molto puntuali su questo argomento, sia la nutrita serie di riferimenti al pascolo - Passons, Armentarezza, Braida … - che frequente-mente ricorrono nella toponomastica della pianura, dove l’attività di pascola-mento era verosimilmente attribuibile al bestiame minuto.Fino alla prima metà del XIX secolo l’allevamento ovino rimase prerogativa dei territori pianeggianti della regione, in quanto consentiva di ottimizzare lo sfrutta-mento dei terreni magri non idonei alla coltivazione e i ricacci dei prati stabili nel periodo invernale. La pecora era in grado di utilizzare anche campi a maggese, cappezzagne, fossi e cigli stradali (Petri, 1888). Nella relazione che accompa-gna la Statistica pastorale del 1868, Pirona (1869) fa un’accenno ad una razza ovina friulana allevata nella pianura e la descrive come “derivata dalla pecora padovana” e commentandone le caratteristiche scrive: “quantunque si possa-no dire piccole, danno un buon prodotto in lana, latte e agnelli”.In montagna era l’allevamento della capra, quello che meglio rispondeva al-l’utilizzo delle risorse disponibili in loco durante la stagione vegetativa e dei frascami essiccati nel periodo invernale9. Gli ovini erano presenti in nuclei piut-tosto limitati e generalmente versavano in stentate condizioni. L’interesse per la pecora era, infatti, dettato esclusivamente dalla necessità di auto-approvvi-gionamento di lana e carne. Lupieri (18�8) descrive la condizione delle pecore allevate in Carnia in termini assolutamente negativi: “Le pecore della Carnia ... meritano di essere riformate, o meglio distrutte. Sono esse di razza piccola, brutta e di vilissima lana. ... In due tosature non danno che lib. 5 di lana succida ed appena due agnelli in tre anni. ... per natura, e per cattivo trattamento, si povere di latte che, lattato l’agnello, nemmeno si cura di mungerle”.Un confronto tra i valori di mercato del montone e della pecora di montagna (rispettivamente �-9 e 8-9 lire) e di pianura (2�-�0 e 14-20 lire) danno una chiara idea dello stato dell’allevamento in queste due realtà (Pirona, 1869). Già a partire dagli ultimi decenni dell’800 il bestiame minuto intraprese la via del

9 Le specie arboree erano molto utilizzate in passato sia come legna da ardere o per la costruzione di attrezzi, sia nell’allevamento animale. in particolare le fronde d’albero (frint) erano utilizzate, fresche o essiccate, come foraggio per le capre.

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declino. Lo stato dell’allevamento ovi-caprino sul territorio friulano di allora10, nel periodo a cavallo tra ’800 e ’900, si può desumere dalla Tabella 1, nella quale sono riportati i dati relativi alla Statistica Pastorale del 1868 (Pirona, 1869) e al Censimento Generale del Bestiame del 1908 (Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, 1910). Nel 1868 vennero censiti oltre 64.000 ovini, il 70% dei quali localizzati in pianura e 29.000 caprini circa, quasi totalmente allevati in montagna.

Tabella 1 - Consistenza del patrimonio ovino e caprino friulano - attuali province di Udine e Pordenone, 1868 e 1908

1868 (a) 1908 (b)

ovini caprini ovini capriniZone Alpine e Prealpine *Pianura

Totale

20.6444�.690

64.��4

28.�06724

29.2�0

8.99�7.900

16.89�

16.4�41.067

17.�21

Fonte: a) Pirona, 1869; b) Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, 1910* non è compresa la Val Canale, all’epoca facente parte dell’Austria-Ungheria

Come suggerisce il confronto delle consistenze riportate in tabella, in soli qua-rant’anni il patrimonio ovino regionale si ridusse di più del 70% e quello caprino del 40%. Ne risultò principalmente compromessa l’ovinicoltura di pianura: furono le trasformazioni intercorse in ambito agrario e le restrizioni del diritto di pascolo libero che ne determinarono il ridimensionamento. Anche in montagna la contra-zione del numero dei capi fu dell’ordine del �6%. Gli sforzi dell’amministrazione pubblica erano, infatti, già indirizzati al riordino e al miglioramento del comparto bovino che nello stesso lasso di tempo registrò un aumento di circa il �0%.L’allevamento della capra, considerato pericoloso sia per l’integrità del man-to forestale sia per l’equilibrio idrogeologico, cominciò ad essere seriamente ostacolato. La Legge nazionale n. �917 del 1877, capofila di una serie di prov-vedimenti volti a contenerne la diffusione, prevedeva il divieto di pascolamento con capre al di sopra della linea del castagno. Questo vincolo forestale in Friuli corrispondeva, di fatto, ad un divieto di pascolamento al di sopra di 600 metri11. Tecnici e allevatori posero prontamente in evidenza (Tonizzo, 190�; Voglino,

10 La Venezia giulia assunse consistenza giuridica sotto il Regno d’italia solo dopo la prima guerra mondiale. Prima di allora infatti faceva parte dell’impero austro-ungarico. il trattato di Rapallo del 19�0 assegnò all’italia l’istria, il Carso e l’entroterra fino al crinale delle alpi giulie, la città di zara, alcune isole dalmate e la città di Fiume. nel 19�5 il territorio dei comuni della Venezia giulia venne suddiviso in 5 province. nel 19�7, con il trattato di Parigi, l’italia perdette interamente le province di Pola, Fiume e zara e gran parte del territorio di trieste e gorizia (compresi i comuni montani di Caporetto, Circhina, Plezzo e tolmino).

11 L’abbassamento del limite altimetrico della fascia boschiva nelle alpi orientali ha motivazioni climatiche e pedologiche. Secondo gortani e Pittoni (19�8), la zona forestale submontana, caratterizzata da querce e castagni, che nel resto dell’italia si spinge fino ai 900-1�00 m, si arresta in Friuli a 500 m nei versanti ben esposti e a �00 m in quelli calcarei e dolomitici esposti a nord. i boschi di faggi e abeti, caratteristici della zona montana, sono presenti in regione nella fascia compresa tra i �-500 m fino ai 1500-1700 m in condizioni favorevoli, mentre nel resto della alpi si spingono fino a �000-��00. mediamente quindi i limiti altimetrici in Friuli sono inferiori di �-500 m e questo è evidente anche se si analizzano le quote di casere a pascoli alpini.

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1904) la non congruità del divieto che rischiava di compromettere la gestione di molti territori marginali. Per i malghesi in particolare una simile limitazione si traduceva in un mancato sfruttamento del cotico erboso dei territori più accli-vi e cespugliati. Il minor carico caprino comportava infatti una riduzione della produzione di latte specialmente a fine stagione, momento in cui le bovine si avvicinavano alla fase di asciutta (Marchettano, 1909).Una descrizione del patrimonio ovi-caprino regionale e più in particolare delle zone alpine, non può tuttavia non considerare la Venezia Giulia, in relazione sia ai territori che oggi fanno parte della regione Friuli Venezia Giulia, sia a quelli che - pur sottostando attualmente alle amministrazioni slovena e croata - hanno senza dubbio contribuito a plasmare la zootecnia regionale. Per questi territo-ri, all’epoca sotto dominazione austro-ungarica, è possibile far riferimento al Censimento austriaco del bestiame del 1910 (Aldrighetti, 192�). Il territorio tar-visiano contava 1.927 ovini e 1.179 caprini, mentre sul territorio alpino goriziano comprendente i comuni di Caporetto, Circhina, Plezzo e Tolmino, attualmente appartenente allo stato Sloveno, venivano allevati circa �.�00 caprini e 12.800 ovini. Nel Distretto di Tolmino, in particolare, Gaspardis (1914) descrive pecore dal mantello bianco o nero, robuste e precoci, senza corna, con la faccia breve e con le orecchie corte, descrizione che ci riporta all’attuale razza Plezzana, ancora presente nella culla d’origine e sporadicamente nel territori limitrofi in Italia e Austria. Nelle medesime zone si allevava anche la cosiddetta Capra Tol-minotta, rustica e produttiva, il cui mantello poteva variare dal rossiccio al grigio o addirittura presentarsi pezzato. In merito alla provincia di Trieste, questa fu storicamente influenzata dalle attività pastorali delle popolazioni dell’entroterra slavo e tra queste quelle dei Cici e dei Morlacchi12 che per secoli utilizzarono i territori costieri per il loro clima mite e la disponibilità di pascolo durante i mesi invernali. Nell’area carsica oggi ripartita tra le amministrazioni politiche italiana, slovena e croata, già a fine ‘800 era sicuramente allevata la pecora Istriana o Carsolina, che presentava caratteristiche morfologiche molto simili all’attuale. Durante il primo conflitto mondiale, che vide la regione in prima linea, le neces-sità alimentari delle truppe comportarono una significativa riduzione del nume-ro di ovini, anche se furono i bovini a farne maggiormente le spese. Per quanto riguarda i caprini in questo periodo il contrasto all’allevamento si allentò, tanto che questa fu probabilmente l’unica specie zootecnica che non subì drastici ridimensionamenti. Solo negli anni ’�0 tuttavia ci fu un certo interesse nei confronti dell’alleva-mento della pecora, ritenuto funzionale alle politiche autarchiche del regime in merito alla produzione di lana e carne. Già alla fine degli anni ‘20 la Cat-tedra Ambulante di Gemona importava ovini di razza Bergamasca da inseri-re in ambiente montano (Sambuco, 1928). Nel 19�8 l’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Udine, in accordo con la Società Allevatori, diede inizio

1� i Cici e i morlachi giunsero in Croazia e Dalmazia intorno al 1�00. tra i due gruppi, quello dei Cici si dimostrò più compatto ed organizzato e si insediò sull’altipiano istriano in un’area che successivamente venne denominata Ciceria. L’attività principale di queste popolazioni era la pastorizia e probabilmente pecore e capre allevate giunsero in istria al loro seguito. Da ottobre a maggio le greggi utilizzavano i più miti territori costieri e a primavera, dopo la tosatura, tornavano sulle montagne.

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ad un programma di miglioramento della Pecora Friulana allevata nella zona compresa tra Codroipo, San Daniele e Udine, ma presente meticciata anche in territorio montano (Pittoni, 1940; Botrè 1942). Nei testi di zootecnia comin-ciava ad essere documentata la presenza in regione della razza Alpagota, originaria del territorio da cui prende il nome - l’Alpago in provincia di Belluno - ma da sempre presente anche nei comuni pedemontani pordenonesi conti-gui al confine veneto.Per quanto riguarda la specie caprina, gli anni ‘�0 segnarono un’ulteriore con-trazione del patrimonio (INEA, 19�8), dovuta all’istituzione di una speciale tassa su questa specie (L.112�/1927) che portò la consistenza dei caprini della mon-tagna udinese a circa 8.200 capi (Tabella 2).

Tabella 2 - Consistenza del patrimonio ovino e caprino friulano - territori montani delle attuali province di Udine e Pordenone, 19�0

19�0

ovini caprini

Zone alpine e prealpine: Carnia Canal del Ferro e Val Canale Prealpi Carniche Prealpi Giulie

�.4172.44�2.8171.119

2.�702.1792.8866�8

Totale 11.798 8.27�

Fonte: INEA, 19�8

Dopo il secondo conflitto mondiale il patrimonio ovino regionale era ancora in decremento sia perché in pianura si andava delineando un’agricoltura più razionale e produttiva sia in seguito alla perdita di territori vocati a questo tipo di allevamento come la zona montuosa di Gorizia e parte del Carso. Le latterie, che fino agli anni ‘�0 riconoscevano al latte pecorino il doppio del valore rispet-to a quello vaccino, decisero addirittura di non accettare più il prodotto. La lana, di scarsa qualità rispetto alle esigenze dei consumatori, subì un progressivo deprezzamento. L’allevamento della pecora, che per secoli caratterizzò la zootecnia di pianura, venne da questo momento relegata ai piccoli allevamenti di montagna, che nel tempo si indirizzarono verso razze da carne come la Bergamasca. Il patrimonio ovino della zona alpina e prealpina - secondo i dati al �1 dicembre 19�7 e rile-vati in base alla tassa sul bestiame - ammontavano a 6.7241� capi, circa il 70% dell’intera consistenza regionale (Triulzi, 19�8).Il numero di caprini allevati aumentò negli anni della seconda guerra mon-diale e in quelli immediatamente successivi, ma ben presto gli effetti negativi della pressione esercitata dal mondo forestale si fecero nuovamente sentire. Negli anni ’�0, per uniformare la popolazione caprina presente, si cercò di

1� il dato di consistenza è comprensivo degli agnelli.

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favorire la diffusione la razza svizzera Toggenburg, creando un nucleo di sele-zione ad Ampezzo, che si aggiunse a quelli di Camosciata di Paluzza e Claut (Marchetti, 19�0). Nel 1960 la consistenza regionale - pressoché coincidente con quella delle zone alpine e prealpine - non superava i �.000 capi (Casta-gnaviz, 1980).

La situazione attuale

L’allevamento ovi-caprino in Friuli Venezia Giulia, coerentemente con le dina-miche in atto nelle altre regioni dell’arco alpino, ha conosciuto, negli ultimi de-cenni del 1900, un progressivo abbandono. Negli anni ’70-’80 infatti, complici anche le ripercussioni negative del terremoto del 1976 sulle realtà montane, si è andato delineando un generale disinteresse nei confronti di questo settore e un impoverimento delle conoscenze specifiche a riguardo - l’Associazione Nazionale per la Pastorizia (ASSONAPA) proprio nel 1976 dichiara l’estinzione della razza ovina Friulana (Mason, 1980). La montagna - peraltro seriamente danneggiata nelle strutture dall’evento sismico - è rimasta infatti a margine dello sviluppo economico innescatosi nella fase di ricostruzione post-terremo-to, motivo per il quale si sono verificati un’accelerazione dello spopolamento demografico, un aumento della migrazione della forza-lavoro e un drastico ridimensionamento delle tradizionali attività di allevamento. Vaste superfici un tempo utilizzate a fini agro-zootecnici - costituite da prati stabili distinguibili, in base all’uso e all’ubicazione, in prati di fondovalle, prati di monte e pascoli (malghe) - sono state progressivamente abbandonate con degrado del cotico e rapido sopravvento del bosco. La Politica Agricola di quegli anni si muoveva sulle linee tracciate dalla leg-ge nazionale n. 984/77 (il Piano Agricolo Alimentare). Quest’ultima - che po-neva le Comunità Montane in primo piano quali possibili soggetti delle prov-videnze - concedeva ampio risalto all’allevamento ovi-caprino, prevedendo incentivi soprattutto nelle aree marginali, allo scopo di diversificare e raffor-zare il mercato della carne, e di favorire nel contempo le attività economiche e sociali dei territori altrimenti destinati al degrado. In Friuli Venezia Giulia gli interventi pubblici si sono tuttavia concentrati principalmente sul settore vitivinicolo, orto-flori-frutticolo e forestale. Per quanto riguarda quest’ultimo è stato dato nuovo impulso alle attività connesse al bosco ed è stato profuso particolare impegno nel miglioramento dei complessi forestali.Conseguentemente anche ai cambiamenti strutturali dell’intero comparto zootecnico, gli ultimi Censimenti dell’Agricoltura (ISTAT, 1980; 1990; 2000) riferiscono nelle zone montane - come nel resto della regione - una signi-ficativa contrazione del numero delle aziende che praticano l’allevamento ovi-caprino, accompagnata da una contrazione più lieve del numero dei capi allevati (Tabella �). Al 2000 le consistenze stimate ammontano a circa 1.800 capi ovini - su un totale regionale di circa 6.�00 - e �.100 caprini - su un totale di circa 6.100.

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Tabella 3 - Evoluzione della consistenza* e del numero di aziende di ovini e caprini nelle zone montane**, 1980 - 2000

1980 (a) 1990 (b) 2000 (c)

ovini caprini ovini caprini ovini caprini

Consistenza 2.261 �.�0� 2.��0 4.070 1.840 �.108Numero di aziende

�94 8�7 2�� �42 1�6 207

Fonte: a) ISTAT, 1980; b) ISTAT, 1990, c) ISTAT, 2000* i dati di consistenza si riferiscono ai capi presenti nell’ambito delle aziende agricole. Non vengono dunque considerati i capi allevati dai semplici detentori ; ** vengono classificate come “zone montane” le zone alpine e prealpine, ma non il territorio carsico

Solo recentemente si è registrato un rinnovato interesse - per gli ovini in par-ticolare - in relazione alla necessità di utilizzo delle risorse naturali delle fasce montane e pedemontane, ormai a rischio di completo abbandono. Al 2004, sulla base dei dati forniti dalle Aziende per i Servizi Sanitari, è stato possibile quantificare le consistenze di ovini e caprini dell’intera regione rispetti-vamente in �.900 e 4.200 capi circa. Tali stime si ritiene delineino con maggiore fedeltà il quadro di questa realtà zootecnica rispetto ai dati censuari. L’unità di rilevamento individuata non è, infatti, l’azienda agricola, ma bensì il detentore. Si tiene dunque conto anche dei capi che, pur non avendo un’effettiva rilevanza economica, di fatto sono presenti sul territorio dove spesso svolgono un impor-tante servizio di manutenzione ambientale.La Tabella 4 pone in evidenza le consistenze relative alle fasce alpine e preal-pine e alla zona carsica e indica, per ogni comprensorio individuato, il numero dei nuclei di allevamento e tra questi le aziende aventi un’effettiva rilevanza economica. Si è ritenuto di considerare come tali le aziende con un numero di capi superiore a �0.Dalla numerosità dei nuclei di allevamento - se rapportata alle consistenze indi-viduate - è immediatamente intuibile come l’allevamento di entrambe le specie abbia carattere puntiforme, piuttosto che diffuso e come siano prevalenti le piccole realtà e quindi un allevamento di tipo quasi amatoriale. I nuclei signifi-cativi delle zone alpine e prealpine e della zona carsica rappresentano infatti solo il 7% del totale per gli ovini e il 4% per i caprini. Circa il ��% dell’attuale patrimonio ovino e il 70% del patrimonio caprino sono dislocati sulla montagna udinese e pordenonese e sul territorio carsico di pertinenza delle province di Gorizia e Trieste.

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Tabella 4 - Consistenze di ovini e caprini, confronto per aree geografiche, 2004

2004ovini caprini

capi nuclei** nuclei > �0 capi nuclei nuclei > �0Zone alpine, prealpine e carsica:CarniaCanal del Ferro - Val Canale - Ge-moneseValli del Torre e del NatisoneVal d’Arzino - Val Cosa - Val Tra-montina Valli Cellina - Val ColveraCarso *

68�

20��1�869

�42779

�9

1617��

�419

2

-24

-4

1.089

294��84�0

170418

87

2�986

7�0

2

1�2

11

Totale �.19� 178 12 2.979 2�1 10Pianura e collina 2.670 101 14 1.207 80 7Totale Friuli Venezia Giulia �.86�*** 279 26 4.186 ��1 17

Fonte: Rielaborazione su dati forniti dalle Aziende per i Servizi Sanitari del Friuli Venezia Giulia * Il Carso viene considerato parte del territorio montano regionale** vengono considerati, oltre alle aziende agricole, anche i semplici detentori *** Sono esclusi i greggi ovini transumanti provenienti dal Veneto

La Carnia conta circa 700 capi ovini e 2 nuclei significativi, entrambi ubicati nel comune di Ravascletto. Si tratta di due allevamenti ad indirizzo carne che nel periodo estivo monticano in due complessi malghivi situati nel medesimo comu-ne. Per quanto riguarda i caprini, in Carnia viene allevato il �6% dei capi della zona alpina e prealpina - circa 1.100 capi frazionati tuttavia in un numero molto elevato di nuclei di allevamento costituiti in media da non più di �-6 capi. In Val d’Arzino, Val Colvera e Val Tramontina si registra la presenza di attività di allevamento sia ovino che caprino maggiormente organizzate dal punto di vista produttivo. Il 60% dei capi ovini e circa il 90% dei capi caprini dell’intero comprensorio appartengono infatti alle aziende significative individuate. Per quanto riguarda i comprensori del Canal del Ferro, Val Canale e Gemonese, delle Valli del Torre e del Natisone e delle Valli Cellina e Colvera del pordenone-se, tali attività possono essere considerate marginali.L’ovinicoltura del territorio carsico dalla fine degli anni ‘90 è caratterizzata da una rinnovata vitalità, dovuta principalmente alla reitroduzione della razza au-toctona Istriana/Carsolina. La disgregazione dell’ultimo gregge rimasto sul Car-so goriziano avvenuta negli anni 1998-1999, ha prodotto infatti diversi piccoli nuclei che si sono consolidati nel tempo - grazie anche all’istituzione del Regi-stro anagrafico, attualmente gestito dall’Associazione Allevatori del Friuli Vene-zia Giulia - sino a riportare la razza ad una consistenza di circa ��0 capi, il 18% dei quali si trovano attualmente al di fuori della zona d’origine e precisamente in Val Tramontina. Per quanto riguarda la pianura, merita menzione la pedemontana pordenone-se, comprendente i comuni di Aviano, Budoia, Caneva, Maniago, Montereale

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Valcellina e Polcenigo. Tale comprensorio infatti - storicamente legato all’alle-vamento del bestiame minuto - ospita il �0% (1.�1� capi) del comparto ovino della fascia pianeggiante regionale. Le � aziende significative - per un totale di circa 1.000 capi - durante il periodo primaverile-estivo, trasferiscono le proprie greggi sui pascoli della dorsale Cansiglio-Cavallo.

Le razze allevate e tipologie di allevamento

Nonostante l’evolversi delle conoscenze e degli strumenti di comunicazione e divulgazione, delineare in modo puntuale lo stato dell’arte per il settore ovi-ca-prino non risulta oggi meno arduo di quanto non lo fosse stato in passato. La posizione marginale che questo settore ancora occupa rispetto ad altri comparti zootecnici impone sicuramente delle evidenti limitazioni in tal senso. I database anagrafici messi a disposizione dalle Aziende per i Servizi Sanitari, se da un lato hanno permesso di circostanziare e quantificare questo tipo di allevamento e definirne la tipologia prevalente, dall’altro non contemplano la registrazione digitale delle informazioni circa le razze allevate. Gli stessi capi iscritti ai Regi-stri anagrafici e ai Libri Genealogici gestiti dall’ASSONAPA ammontano a solo il 10% della consistenza totale per ovini e il 17% per i caprini. Tali informazioni diventano dunque accessibili solo per conoscenza diretta delle realtà presenti sul territorio. Lo scopo di una consistente parte dell’ovi-caprinicoltura delle fasce montane del Friuli Venezia Giulia - come già sottolineato - è oggi la manutenzione e il mantenimento delle aree tendenti alla marginalità e dismesse da precedenti attività agro-zootecniche. Il prodotto dunque di questa “zootecnia di servizio” - molto spesso non inserita all’interno di un contesto aziendale - non può che essere la carne. Le razze ovine più rappresentate sono dunque le razze da carne quali la Ber-gamasca, la Biellese e sporadicamente la Finnica e la Suffolk. L’ovinicoltura da latte - meno rappresentata - è legata principalmente all’allevamento della razza Sarda che, a conferma della sua estrema adattabilità abbinata alle elevate pro-duzioni, è rintracciabile sul territorio carsico e nella Val Tramontina. Sono tutta-via presenti nella fascia montana alcuni nuclei di allevamento di razza Massese e Frisona Tedesca.Le razze ovine di interesse storico - l’Alpagota, la Carsolina e la Plezzana - an-cora oggi rintracciabili sul territorio montano, negli ultimi anni sono state ogget-to di studio e valutazione. L’indirizzo produttivo oggi privilegiato dagli allevatori di razza Carsolina e Al-pagota è la produzione di carne. L’agnello - macellato intorno ai 20-2� kg di peso per la Carsolina e intorno ai 1�-20 kg per l’Alpagota - viene destinato al consumo diretto o al reimpiego per la ristorazione nelle aziende agrituristiche. La produzione di latte riveste invece un ruolo secondario, causa le modeste quantità ottenibili da entrambe le razze. L’allevamento della razza Plezzana ri-sulta invece di tipo “hobbistico” o comunque svincolato da qualsiasi obiettivo produttivo e quindi privo di remunerazione sia di tipo diretto che indiretto. Non

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è stata individuata alcuna filiera produttiva che valorizzi le sue potenzialità pro-duttive di razza da latte.Per quanto riguarda il comparto caprino, le razze allevate in purezza oppure - più frequentemente - in via meticciata, sono la Camosciata delle Alpi e la Saanen. Le aziende ad indirizzo lattiero-caseario ubicate in ambito montano sono circa una decina14 e nella maggioranza dei casi l’allevamento caprino è esclusivo o largamente dominante (Valusso et al., 200�). Accanto a queste realtà aziendali, si annoverano tuttavia la presenza di un numero elevato di piccoli nuclei di allevamento, presenza giustificata per lo più dalla necessità di contenimento del bosco e manutenzione ambientale.

Conclusioni e prospettive

Negli ultimi �0 anni l’economia alpina - da sempre imperniata sulle attività agro-silvo-pastorali - è andata incontro a radicali mutamenti, traslando la propria ragion d’essere dallo sfruttamento delle “risorse naturali alpine” alla valorizza-zione delle stesse. Oggi, l’attenzione pubblica anche in Friuli Venezia Giulia è rivolta al recupero dello spazio rurale montano e al mantenimento della biodiversità specifica e sistemica originatasi in tale ambito come risultato dell’interazione uomo-am-biente. Dal punto di vista agro-zootecnico, quanto detto si traduce in una ri-qualificazione dei sistemi di allevamento tradizionali e delle specie/razze locali, in antitesi alle logiche di mercato tendenti ad uniformare le tecniche e i tipi genetici. L’allevamento ovi-caprino, dunque in virtù della propria adattabilità anche ad ambienti difficili dal punto di vista pedologico, si presta ad essere non solo una valido strumento - l’unico economicamente accettabile - funzionale alla cura e alla manutenzione del territorio montano, ma anche alla valorizzazione o alla creazione ex-novo di particolari microeconomie locali.In quest’ottica, l’inserimento della razza Istriana/Carsolina nella misura D2 del Regolamento CEE 2078/92 e successivamente nella misura agroambientale (misura F) relativa all’allevamento di specie animali locali minacciate di estin-zione nonchè nella misura relativa alla commercializzazione dei prodotti agricoli di qualità (misura M) del Piano di Sviluppo Rurale per il periodo di programma-zione 2000-20061�, ha permesso un aumento della popolazione e degli alleva-tori oltre a un piano di valorizzazione dell’agnello Carsolino, inserito nell’Elenco dei Prodotti Tradizionali del Friuli Venezia Giulia (D.M. 8 settembre 1999 n°��0) (Piasentier et al, 200�).Sotto lo stimolo di tali risultati e nell’ambito del quadro normativo della Legge regionale n. 11 del 22/04/02 sulla tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario e regionale, è stato approntato nel 2004 - dall’Agenzia Re-

1� tali aziende sono comprese nel numero delle aziende significative individuate in tabella �. 15 La Carsolina è stata l’unica razza ovina finanziata nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale �000-

�006.

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gionale per lo Sviluppo Rurale (ERSA) in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Animali dell’Università degli Studi di Udine e l’Associazione Allevatori del Friuli Venezia Giulia (AAFVG) - un primo progetto finalizzato alla conserva-zione, valutazione morfo-funzionale e alla valorizzazione dei prodotti delle tre razze ovine di interesse storico del Friuli Venezia Giulia: la Carsolina, l’Alpagota e la Plezzana. E’ stato inoltre istituito presso l’AAFVG il “Gruppo degli Allevatori Custodi” che riunisce gli allevatori e i detentori di tutte le specie e razze in via di estinzione di interesse storico per la Regione, il quale sta collaborando attiva-mente alla stesura di una misura specifica di sostegno nell’ambito del prossimo Piano di Sviluppo Rurale 2007-201�.

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dAI PRINCIPI ALL’AZIONE RIGuARdO ALL’AGRICOLTuRA SOSTENIBILE: IL MEMORANduM ALPINO dEL PROGETTO IMALP

De Ros G.

iStitUto agRaRio San miChELE aLL’aDigECentro sperimentale – Dipartimento Valorizzazione delle Risorse Produttive

Riassunto

Nelle presenti note si riportano i risultati di un progetto europeo volto a testare le possibilità offerte dalle iniziative partecipate a base locale riguardo la sostenibilità dell’agricoltura alpina. Sebbene il supporto finanziario all’azienda agricola per mezzo del sistema di pagamenti diretti rimanga un pilastro per i redditi agricoli nell’area alpina, l’analisi di alcune case history indica che opportuni-tà interessanti per la sostenibilità economica, sociale e ambientale dell’allevamento di ovi-caprini nelle Alpi possono venire dalla collaborazione con le Istituzioni pubbliche locali, con gli operatori della filiera alimentare e artigianale. I più importanti fattori critici per avere collaborazioni efficaci, a parte la disponibilità di adeguate risorse finanziarie, possono essere individuati nelle competenze dell’attivatore locale e nella cornice temporale del progetto sufficientemente ampia per facilitare i processi di apprendimento.

Abstract

This contribution discusses the outcomes of an European project aimed to test the capabilities of the participative, area-based rural development projects to improve the sustainability of agriculture in alpine mountains. Although the financial support by means of direct payment is a pillar of the rural incomes in the alpine area, the cases history here analysed show how interesting opportunities for the economical, social and environmental sustainability of the small ruminants breeding in the Alps can come from the co-operation with the local institutions, local agro-food chain and the craftsmen. The key factors to make effective co-operations, apart the availability of financial resources, can be found in the skills of local activators and in an adequate time frame to facilitate the necessary learning processes.

Introduzione

Diversi studi (Galizzi, 1992, Bätzing, 199�, Commission Européenne, 199�, MacDonald et al., 2000, Nomisma, 200�) sono stati condotti sui profondi cambiamenti che hanno investito negli ultimi decenni il territorio alpino e le attività agro-zootecniche che vi si svolgono, ivi compresi gli allevamenti cosiddetti minori. Fra gli effetti più evidenti sono stati elencati: la generale diminuzione nel numero di occupati in agricoltura, particolarmente accen-tuata nelle aziende di dimensioni minori, la competizione nell’uso dei fondi migliori da parte di attività concorrenti, il generale, seppure diversificato, abbandono dei tradizionali utilizzi agricoli e zootecnici dei suoli con rica-dute sulla qualità estetica e ambientale delle vallate e sulla stabilità dei versanti.

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Il nuovo contesto ha messo in discussione la sostenibilità16, economica, am-bientale e sociale, dell’agricoltura e della zootecnia alpina. L’intervento pubbli-co in questa direzione ha seguito sostanzialmente due approcci: uno rivolto alle necessità strutturali del settore agricolo nelle mutate condizioni e uno finalizzato allo sviluppo di aree rurali con un approccio integrato e multisettoriale (Sarace-no, 200�).La prima e più tradizionale di queste modalità di intervento prevede l’offerta di un set di misure standard che hanno l’azienda agricola come destinazione privilegiata di intervento e a cui si aderisce su base volontaria. Rientrano in que-sta casistica i diversi interventi rivolti al sostegno degli investimenti aziendali, delle infrastrutture e delle risorse umane, le indennità per le aree svantaggiate e le misure agro-ambientali. Si tratta di un sistema di misure ben articolato, in gran parte preesistenti ad Agenda 2000, in cui ha assunto progressivamente maggiore importanza il principio della cosiddetta paid stewardship, secondo cui gli agricoltori vanno rimborsati per gli eventuali maggiori costi derivanti dal-l’adozione di pratiche a basso impatto ambientale (Potter, 2002). Se da un lato questo pacchetto di misure è fondamentale per la permanenza dell’agricoltura nelle Alpi (De Ros et al., 2002), può essere osservato che le azioni contemplate sono sostanzialmente le stesse per tutte le aree rurali europee (Saraceno, 200�) e pertanto presentano qualche limite nella capacità di cogliere le specificità locali. Dal punto di vista degli obiettivi è stato inoltre notato che risultano essere preponderanti quelli ambientali ed economici, a discapito di un numero assai ridotto di obiettivi sociali (Agethle & Eggensberger, 200�).Un’alternativa quantitativamente modesta, ma tangibile, alle forme di intervento pubblico sopra ricordate è rappresentata dalle misure con approccio territoria-le. Derivano dallo schema iniziale dell’iniziativa comunitaria LEADER17, avviata nei primi anni del decennio scorso con l’idea di impiegare una parte ridotta dei fondi europei per animare in territori circoscritti uno sviluppo integrato, endo-geno e gestito dal basso (cfr Ray, 2000). Il sostanziale buon successo dell’ini-ziativa ne ha portato a una sua estensione sino all’incorporazione nei Piani di Sviluppo Rurale nel corrente periodo di programmazione.La presente relazione si focalizza su questa seconda modalità di intervento pubblico nelle aree rurali, meno conosciuto, ma che può aprire interessanti spazi di azione per gli operatori del settore ovi-caprino. Le potenzialità e i limiti di questo approccio saranno esaminati sulla scorta di un progetto europeo di ricerca e di dimostrazione recentemente concluso. Pur non indirizzato specifi-camente al settore ovi-caprino, si ritiene che l’analisi delle esperienze sviluppa-te nel corso di tale progetto possa offrire utili indicazioni a chi sia intenzionato a ripetere iniziative simili nelle aree dove gli allevamenti minori sono una realtà importante. Nel corso della relazione si presenteranno dapprima caratteristiche e approcci seguiti nel progetto per poi illustrare i principi che hanno guidato

16 il concetto di agricoltura sostenibile si rifà alla definizione di sviluppo sostenibile contenuta e cioè “uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri” (WCED, 1987, p. ��).

17 acronimo di “Liaisons Entre actions de Développement de l’Economie Rurale”.

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l’attività dei gruppi locali coinvolti. L’esame di alcune delle azioni dimostrative portate a termine precederà la discussione delle possibili indicazioni operative per operatori o gruppi interessati a ripetere iniziative simili in altre aree.

Il progetto IMALP18

Iniziato nel gennaio 200� e conclusosi a giugno del 2006, il progetto IMALP si è articolato su quattro fasi: due di carattere dimostrativo e due di ricerca. Le fasi dimostrative hanno avuto teatro in quattro vallate alpine, prese come aree pilota: la Moyenne Tarantaise in Savoia (Francia), la Val d’Hérens nel Caton Vallese (Svizzera), la Val di Sole in Trentino (Italia) e il distretto di Murau in Stiria (Austria). Nelle prime tre aree è stata stimolata la costituzione di gruppi locali formati da agricoltori e allevatori, ma anche da rappresentanti dei diversi settori dell’economia e della società locale, che hanno provveduto, con la guida di un attivatore locale e la collaborazione dell’equipe scientifica, alla definizione e alla successiva attuazione di una serie di iniziative concrete in linea con i criteri di sostenibilità dell’agricoltura. Nell’area di studio austriaca è stata analizzata un’esperienza iniziata in precedenza autonomamente dal progetto.Le attività dimostrative analizzate sono state in ogni caso condotte con modalità simili a quelle dei progetti LEADER e cioè: - approccio bottom up, basato sulla partecipazione e la progettualità degli

operatori locali e centralità del territorio (anziché sul singolo operatore econo-mico);

- regia affidata ad un gruppo di azione locale che disponeva di uno specifico, per quanto limitato, budget;

- priorità ad azioni innovative, integrate, multisettoriali;- cooperazione transnazionale che, al di là della collaborazione tra le Istituzioni

scientifiche, si è concretizzata in due incontri tra i gruppi locali delle quattro aree e nella preparazione di un memorandum alpino in cui sono stati sintetiz-zati alcuni principii che hanno motivato l’impegno dei diversi partecipanti.

Il primo passo nello svolgimento del progetto è stata la costituzione, in ogni area pilota, di un gruppo locale composta da 1�-20 rappresentanti delle diverse isti-tuzioni o associazioni presenti sul territorio in qualche modo interessate alle te-matiche dell’agricoltura e dello sviluppo rurale. Nelle diverse aree coinvolte nel progetto hanno preso parte ai gruppi locali esponenti delle associazioni e coo-perative del settore agricolo, alcuni sindaci o loro rappresentati, responsabili scolastici e dell’associazionismo culturale, rappresentanti del settore turistico.Tali gruppi locali sono stati la sede per la discussione sulle problematiche riguar-danti la sostenibilità dell’agricoltura locale, per la pianificazione di azioni dimo-

18 imaLP, acronimo di “implementation of Sustainable agriculture and Rural Development in alpine mountains”, è un progetto di ricerca e dimostrazione co-finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del V° Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo tecnologico (contratto nr. QLK5-Ct-�00�-01099). i partner del progetto sono il SUaCi/giS di Chambéry (ente coordinatore), il Centro per l’agricoltura di montagna dell’Università di innsbruck, l’istituto di Economia Rurale del Politecnico Federale di zurigo e il Centro Sperimentale dell’istituto agrario di San michele all’adige (trento).

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strative e per il loro monitoraggio. Una volta individuate le iniziative ritenute inte-ressanti e in linea con il concetto di agricoltura sostenibile, da 4 a 6 nelle diverse aree, si è in genere affidata la loro gestione diretta a gruppi di lavoro che hanno visto il coinvolgimento anche di persone non partecipanti al gruppo locale. A me-tà percorso i gruppi locali hanno effettuato una valutazione intermedia dei risultati e delle prospettive delle singole azioni, rivelando una buona capacità di analisi.A fianco delle attività dimostrative si sono svolte le due fasi di ricerca: la valu-tazione degli effetti ambientali, economici e sociali delle diverse azioni imple-mentate e l’analisi della trasferibilità delle esperienze in altri contesti. I risultati scientifici consistono nella valutazione delle modalità di funzionamento di grup-pi locali intersettoriali nel progettare ed attuare iniziative innovative in ambito rurale. Tale valutazione è stata svolta sulla base di un’osservazione continua e non, come è consueto in questo tipo di analisi, su valutazione ex post. L’analisi della trasferibilità dell’approccio adottato ad altri contesti è stata effettuata sulla base di un esame comparato delle esperienze sviluppatesi nelle quattro diver-se aree pilota, con particolare attenzione ai fattori critici che hanno bloccato lo sviluppo di alcune azioni e favorito quello di altre. Ne è derivata la redazione di linee guida in quattro lingue su “come gestire le dinamiche sociali nei progetti di sviluppo rurale” (AAVV, 2006), a disposizione degli interessati presso le Isti-tuzioni partner del progetto.In sintesi, le caratteristiche del progetto possono pertanto essere riassunte co-me segue: - svolgimento combinato di attività di ricerca e dimostrazione: dopo aver co-

stituito, per ognuna delle quattro aree pilota, dei gruppi locali intersettoriali incaricati di individuare e attuare azioni concrete in linea con i criteri di so-stenibilità dell’agricoltura, si è dato attuazione concreta a tali piani di azione, mentre dal punto di vista scientifico si sono valutati i risultati dell’approccio partecipativo impiegato ed è stata effettuata un’analisi della trasferibilità delle esperienze in altri contesti;

- presa in esame dei punti di vista degli “esperti” e degli attori locali: nell’ambito del progetto sono stati riuniti gruppi di lavoro gestiti da un attivatore locale e composti da operatori agricoli e di altri settori, ricercatori e tecnici al fine di pianificare e programmare azioni concrete riguardo i problemi di sostenibilità dell’agricoltura nelle quattro aree coinvolte.

Il memorandum di agricoltura sostenibile: 7 principi su cui orientare l’azione

Come accennato in precedenza, i gruppi locali del progetto IMALP hanno pro-dotto un Memorandum alpino in cui sono affermati alcuni principii ritenuti fonda-mentali per orientare uno sviluppo rurale sostenibile. Si tratta dei principi di:- coinvolgimento. Il futuro dell’agricoltura nelle Alpi non è una questione che

riguarda solo gli agricoltori, ma anche molti altri attori locali: amministratori, cittadini, associazioni, consumatori, operatori turistici, ecc. Occorre sviluppa-re progetti che coinvolgano i diversi settori.

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- negoziazione. La partecipazione a gruppi di attori locali consente di condivi-dere le proprie idee, trovare sinergie tra i diversi progetti, cambiare, nel caso, opinione. Occorre imparare ad ascoltare gli altri e assicurarsi che tutti parte-cipino alle decisioni.

- conservazione dell’ambiente. L’ambiente naturale nelle Alpi è ricco e fragile. Gli agricoltori contribuiscono a mantenere elevato il valore naturale e paesag-gistico del territorio. Questa risorsa è minacciata da uno sviluppo disordinato del turismo, delle infrastrutture di trasporto e di urbanizzazione, ma anche da pratiche agricole non equilibrate. Preservare un alto valore naturale del terri-torio alpino significa garantire una risorsa per lo sviluppo locale basato sulla qualità ambientale.

- promozione dei valori culturali dell’agricoltura di montagna. Le Alpi e la loro agricoltura hanno un valore culturale fatto di paesaggio, di particolari prodotti agro-alimentari e dell’artigianato, di una eredità architettonica, di fiere, saperi locali e produzioni artistiche. È importante preservare e accrescere questa eredità e riconoscere il contributo dell’agricoltura.

- gestione dei suoli e dell’urbanizzazione. Nelle vallate alpine molte attività in-terferiscono o entrano in competizione per l’utilizzo dei suoli: agricoltura, ge-stione forestale, turismo, industria, edilizia, infrastrutture viarie. I terreni agro-forestali sono però beni preziosi, in quanto continuare a mantenere fette di territorio non edificato è importante non solo per l’agricoltura, ma anche per la qualità della vita e l’attrattività turistica dei territori.

- valorizzazione delle risorse locali. Nell’economia globale, i territori di monta-gna devono progettare nuove strategie di sviluppo per diversificarsi e pre-servare la loro autonomia. L’utilizzo delle diverse risorse endogene - naturali, umane, finanziarie, sociali e culturali - è una condizione fondamentale per una strategia di sviluppo sostenibile.

- informazione. Diffondere i risultati delle iniziative innovative rivolte allo svilup-po sostenibile, informare e informarsi, è fondamentale. L’innovazione emerge da scambi tra le regioni, tra i Paesi e tra gli abitanti di diverse estrazioni pro-fessionali e sociali. L’attività di comunicazione non va quindi lasciata al caso, ma deve essere programmata e prevista con attenzione.

I valori proposti nel memorandum alpino del progetto IMALP sono sostanzial-mente in linea con il Protocollo “Agricoltura di Montagna” di attuazione della Convenzione delle Alpi e non costituiscono, quindi, una novità assoluta. Nel ca-so di iniziative locali possono essere richiamati all’inizio di un progetto, quando si costituisce un gruppo locale, come base di discussione per confrontare le opinioni dei diversi attori coinvolti. In questo senso, il memorandum può essere uno strumento di attivazione per arrivare alla condivisione in primo luogo riguar-do il ruolo attribuito all’agricoltura locale e gli obbiettivi di lungo termine riguar-do il territorio, ma anche, in una seconda fase, dell’assunzione di responsabilità in iniziative concrete. Si ritiene, infatti, che la condivisione di valori comuni sia un requisito importante per lo svolgimento di un’azione che richiede la parteci-pazione attiva di diversi attori.Di seguito si riportano alcuni esempi di attività realizzate sulla base dei principi appena ricordati.

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dalla partecipazione all’azione: alcuni esempi di iniziative “sostenibili”

Attività educative in collaborazione con gli agricoltori in Val di SoleNel corso delle discussioni avute nel gruppo locale della Val di Sole, il mancato riconoscimento sociale del ruolo degli allevatori e dell’allevamento da parte della popolazione locale è stata identificato come un importante fattore limitan-te della sostenibilità dell’agricoltura locale. Come possibile soluzione a questo problema è stata individuata l’opportunità di stabilire contatti diretti tra allevatori e scuole del territorio locale. Va premesso che l’introduzione di attività educati-ve in azienda è stata affrontata in provincia di Trento anche prima del progetto IMALP. Nell’ambito del gruppo locale è stato però rilevato il limitato impatto in Val di Sole dell’iniziativa precedente con nessun istituto scolastico e una sola azienda agricola che vi hanno preso parte.Si sono quindi presi contatti con il dirigente del centro scolastico principale della valle. Tali contatti hanno avuto un esito molto positivo, tanto che il dirigente è progressivamente diventato il leader informale del gruppo di lavoro dedicato all’iniziativa. Con lo scopo di far incontrare la domanda delle scuole con l’of-ferta degli agricoltori è stata successivamente elaborata una piccola brochure destinata ai circa cento insegnanti elementari e medi della valle per illustrare l’iniziativa e le aziende partecipanti. Tale brochure è stata distribuita a inizio settembre durante le prime riunioni dei docenti. Inoltre il facilitatore locale ha svolto un ruolo chiave nel comunicare l’iniziativa in altre scuole della valle attra-verso contatti diretti e visite e nel tradurre in proposte concrete le idee maturate all’interno del gruppo.L’azione si è soprattutto articolata su due livelli complementari, in rapporto ai due gruppi bersaglio diversi. Per gli studenti delle scuole elementari l’obbiettivo era dare informazioni e far nascere interesse verso i valori dell’agricoltura locale sia tramite visite alle aziende che tramite lezioni in classe. Tra la fine di dicem-bre e l’inizio di maggio sono state fatte 100 ore di insegnamento in classe; sono state visitate 7 aziende per un totale di circa 2�0 scolari. Per gli studenti della scuola media è stata organizzata una settimana di formazione in un alpeggio gestito dalla federazione. �7 studenti hanno partecipato all’iniziativa nell’estate del 200� e una ventina l’anno successivo.Come anticipato, si è rivelato decisivo per il successo dell’iniziativa l’ingresso nel gruppo locale del dirigente del centro scolastico, che è anche presidente di una associazione culturale locale. Dato il generale riconoscimento sociale che ha nella comunità locale, il suo ruolo di leadership è stato accettato con facilità anche dagli allevatori. Un altro ruolo preminente nel gruppo d’azione è stato esercitato dal direttore della federazione provinciale allevatori. Rappresentando gli interessi della categoria degli allevatori bovini, egli ha supportato fortemente l’azione, attraverso la promozione dell’organizzazione di una settimana per stu-denti in un alpeggio della federazione stessa.

Una nuova filiera produttiva e commerciale in Val d’Hérens: la carne HérensNella prima riunione del gruppo locale è stato identificato l’obbiettivo di “miglio-rare le vendite dei prodotti locali”, reso particolarmente acuto dalla continua

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diminuzione dei prezzi del latte all’azienda in tutta la Confederazione Elvetica. Ulteriori discussioni hanno fatto focalizzare l’attenzione dai prodotti locali ai pro-dotti di carne locale, poi ai prodotti di carne bovina, e alla fine ci si è concentrati sulla carne della razza locale Hérens, conosciuta per i suoi istinti alla lotta e per la battaglia delle “regine”, molto apprezzata in Svizzera. Un altro motivo per definire in questo modo l’obbiettivo è stato il grande numero di allevatori della valle che allevano questa razza.Dopo aver concentrato l’attenzione sulla carne Hérens, si è cercato di stimare offerta e possibile domanda del prodotto contattando sia gli allevatori che i macellai e i ristoratori della valle. Questa attività ha avuto anche il risultato di coinvolgere altri attori, oltre a quelli che avevano fatto parte inizialmente del gruppo locale. Per circa un anno si sono susseguite discussioni sugli stan-dard di qualità (con la collaborazione di un centro di ricerca sulle produzioni animali), sui possibili prezzi di vendita e acquisto (tra gli allevatori, i macellai e i ristoratori), sugli aspetti legali e sulla commercializzazione (con il supporto della camera cantonale per l’agricoltura). Durante questa fase, i ruoli dei diver-si attori coinvolti si sono definiti sempre più. Inoltre si è negoziato con l’ufficio cantonale dell’agricoltura un insieme di contributi per incoraggiare questo tipo di iniziativa.Nel novembre del 2004 è stata creata una piccola associazione interprofes-sionale di produttori di carne Hérens e nel periodo natalizio è stata effettuata la prima vendita di carne nelle macellerie, con la proposta di menu a base di carne nei ristoranti. Tale prima esperienza si è rivelata un successo. Se inizial-mente l’idea è stata promossa da piccoli allevatori part-time, dopo un po’ la lea-dership del gruppo è stata presa da un allevatore specialista nell’ingrasso, due macellai e tre ristoratori. Il coinvolgimento degli allevatori, inizialmente tiepido, è cresciuto dopo la buona partenza delle vendite. Il ruolo dell’attivatore locale è stato comunque molto importante e ha richiesto un forte coinvolgimento nella fase di avvio.L’aspetto cruciale per il successo dell’iniziativa è stato il coinvolgimento di par-tecipanti con diversa base professionale e differenti interessi. Nonostante qual-che difficoltà, grazie all’impegno del facilitatore locale, si sono stabilite relazioni basate sulla fiducia tra i diversi partecipanti. Non va sottovalutato neppure il supporto delle istituzioni locali che ha rivestito un ruolo importante, mentre è stato molto importante, infine, una volta che si era preso una decisione, non ria-prire le discussioni e le possibili controversie nonostante vi siano state pressioni in questo senso.

Energia da biomasse: la cooperativa Naturwärme di St Lambrecht a MurauNel 1992 una quindicina di agricoltori, compreso un monastero con proprietà forestali, ha costituito una cooperativa per la vendita di scarti legnosi da desti-nare al riscaldamento con le biomasse. L’obiettivo iniziale della cooperativa era quello di aumentare il valore aggiunto della gestione dei boschi di proprietà dei soci attraverso l’offerta di fonti locali e rinnovabili di energia (trucioli o cippato di legno). Un fattore importante che ha contribuito al successo della cooperativa è stato il

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progetto ”Energy Vision 201�” promosso nel 2001 dal distretto di Murau, forma-to da poco meno di quaranta comuni per una popolazione di circa �0.000 abi-tanti. La Vision, che mira a rendere entro il 201� il distretto autonomo dal punto di vista della produzione di energia, è stata sviluppata con la partecipazione di attori provenienti da diversi settori, inclusi i rappresentanti della cooperativa.Questa iniziativa del distretto ha rappresentato una nuova opportunità per la cooperativa, portando a una riformulazione dei suoi obbiettivi e a un allarga-mento dei suoi contatti. “Energy Vision 201�” ha infatti segnato il punto di par-tenza per una stretta collaborazione tra la cooperativa e una azienda idraulica. Il proprietario dell’azienda ha offerto la disponibilità a promuovere presso la propria clientela l’installazione di centrali per il riscaldamento a trucioli di legno, sollevando però critiche sulla qualità dei trucioli e sulla logistica. La cooperativa ha provato, riuscendovi, a produrre trucioli di legno con minore umidità e ha provvedendo ad una consegna più veloce del materiale. Ora le relazioni tra la cooperativa e la ditta sono ben stabilite e costituiscono un elemento essenziale nel successo dell’azione.Nel 200� la cooperativa ha sottoscritto un contratto con un acquario ed un impianto termale per costruire e gestire una centrale di riscaldamento. Que-sto passo ha rappresentato un ulteriore importante cambiamento alla strategia aziendale. Partiti dall’esigenza di valorizzare un sottoprodotto, si è poi incre-mentata la qualità dei cippati, fino ad arrivare a vendere calore prodotto nelle proprie centrali. Conseguentemente i membri della cooperativa si sono assunti maggiori rischi e maggiori responsabilità in cambio però di un maggiore valore aggiunto per le proprie operazioni. Gli attori principali dello sviluppo dell’iniziativa sono tutt’ora costituiti dal grup-po principale di � agricoltori che si è formato all’inizio e, soprattutto, dal re-sponsabile della cooperativa fortemente coinvolto nelle iniziative. Ogni passo nell’allargamento delle attività sociali è stato comunque preceduto da lunghe discussioni di definizione dei problemi e delle possibili soluzioni, sia all’interno della cooperativa sia con attori esterni (per es. la ditta idraulica).

Conclusioni

Le esperienze appena presentate dimostrano che l’approccio partecipativo seguito nel corso del progetto IMALP può essere efficace nel trovare soluzio-ni per la sostenibilità dell’agricoltura alpina. Tale approccio non va considera-to una alternativa secca alle misure più tradizionali e settoriali indirizzate alle aziende agricole delle aree rurali e di montagna, ma piuttosto un’opportunità in più. Relativamente agli allevamenti ovi-caprini, i principi del memorandum di agricoltura sostenibile possono concretizzarsi in iniziative locali sulla base di collaborazioni con:- gli operatori della filiera alimentare (ristoranti, alberghi, macellai, ecc.). Il coin-

volgimento di tali operatori nella fase di pianificazione dell’intervento e non do-po, come comunemente accade, permette di esaminare fin dall’inizio dei lavori le problematiche di vendita dei prodotti e può portare nel gruppo punti di vista

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nuovi, non necessariamente rivolti alla rivitalizzazione di filiere produttive tradi-zionali, ma anche, ed è il caso della carne Hérens, alla creazione di nuove;

- le istituzioni pubbliche locali. In questo caso un ruolo importante per promuo-vere i valori culturali ed ambientali dell’allevamento ovi-caprino, in particolare quando sono interessate razze autoctone e rare, può essere interpretato con successo dal settore scolastico, come si è visto nel caso della Val di Sole. Nei casi, poi, dove non vi siano troppi limiti dati dalla situazione finanziaria degli enti locali, cosa che in genere avviene principalmente nelle realtà turistiche, si possono anche ipotizzare interventi in collaborazione tra allevatori e municipi per il mantenimento del paesaggio e contenere l’avanzamento del bosco; da questo punto di vista la maggiore rusticità e agilità dei ruminanti minori rap-presenta un vantaggio per l’individuazione di soluzioni sostenibili;

- l’artigianato. La lana costituisce oggi in molti casi un sottoprodotto difficile da collocare commercialmente, né più né meno degli scarti legnosi analizzati nel caso della cooperativa austriaca. Coinvolgere artigiani che abbiano espe-rienza diretta del mercato, sia in termini di quantità che di qualità richieste, può essere il fattore decisivo per il successo di iniziative di valorizzazione.

Va peraltro anche osservato che non tutte le azioni promosse dai diversi gruppi locali sono state coronate da successo, ed anche quelle che lo sono state, come le tre sopra presentate, hanno avuto momenti critici nel loro svolgimento. Volen-do generalizzare, almeno due sono gli aspetti che richiedono una particolare attenzione: la gestione della diversità di interessi e punti di vista dei diversi attori coinvolti, con la necessità di trovare un giusto compromesso tra coesione e aper-tura all’esterno del gruppo, e il delicato passaggio dalla fase di dibattito a quella di assunzione di responsabilità, dove diventa spesso decisivo l’ottenimento di maggiori informazioni, ma anche l’emergere di un leader all’interno del gruppo.

Da questo punto di vista, a parte la disponibilità di adeguate risorse finanzia-rie, è cruciale che i progetti di sviluppo possano contare su:

- adeguate competenze dell’attivatore (o facilitatore). Si tratta di un compito difficile, ma fondamentale per la riuscita di iniziative condotte da una pluralità di attori. Per il migliore svolgimento di questo ruolo si rivela fondamentale il mantenimento di un sottile equilibrio tra coinvolgimento e distanza rispetto alle attività del gruppo e sono necessarie competenze specifiche e supple-mentari rispetto a quelle della tradizionale consulenza tecnica in agricoltura;

- una cornice temporale pluriennale. Il metodo di lavoro per gruppi locali mul-tisettoriali va considerato un’innovazione organizzativa che richiede cambia-menti culturali e cognitivi, sia per gli agricoltori e gli allevatori come anche per i rappresentanti degli altri settori. Al di là delle necessarie motivazioni di partenza, si tratta in sostanza di un processo di apprendimento la cui durata non può essere compressa più di tanto.

Bibliografia

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INdICI FORAGGERI dI SPECIE LEGNOSE Ed ERBACEE ALPINE PER IL BESTIAME CAPRINO

Gusmeroli F.1, Della Marianna G.1, Puccio C.1, Corti M.2, Maggioni L.2

1 FonDazionE FoJanini Di StUDi SUPERioRi, Sondrio� iStitUto Di zootECnia gEnERaLE - Università degli Studi di milano

Riassunto

Gli indici foraggeri consentono di stimare il valore foraggero delle fitocenosi in maniera più semplice ed economica rispetto alle analisi bromatologiche. Una volta rilevati i contributi produttivi o le percentuali di copertura delle specie componenti, il valore foraggero è ottenuto come media ponderata degli indici delle specie.Mentre sono disponibili vari indici per il bestiame bovino, nulla esiste per gli altri animali domestici. Ciò rappresenta un’indubbia lacuna, considerando il diverso comportamento alimentare e il diverso ruolo che le specie domestiche rivestono nell’utilizzo degli spazi pastorali.Con il presente lavoro si è inteso colmare in parte questa lacuna, predisponendo una prima lista di valori per il bestiame caprino. La lista, frutto di numerose indagini eseguite in diverse località della montagna lombarda, riguarda un centinaio di specie legnose ed erbacee presenti nella fascia mon-tana e subalpina.

Parole chiave: indici foraggeri, bestiame caprino, specie alpine.

Abstract Foraging indexes of wooden and herbaceous alpine species for goat livestock. Foraging indexes are easier and cheaper than chemical analysis to value phytocoenosis’ foraging rate. Once the producti-ve contribution or the covering ratio of all the species are known, the foraging valueof the phytocoenosis is the weighted average of the foraging value of the single species.Altough various indexes are available for cattle, there’s no one for the other domestic livestocks. No doubt this is a gap, considering the differences in diet and grazing behaviour of the different grazing species. This work aims to partially fill this gap. A first list of values for goat livestock is proposed. The list reflects numerous surveys carried out in different locations of Lombardian Alps. A hundred of wooden and her-baceous species growing in the mountain and sub-alpine belt were observed.

Key words: foraging indexes, goat livestock, alpine species.

Résumé

Indices fourragères des espèces ligneuses et herbacées alpines pour les chèvres. Les indices fourragères (ou de qualité spécifique) permettent d’estimer la valeur fourragère de la végétation en ma-nière plus simple et économique par rapport aux analyses chimiques. Il suffit relever les contributions spécifiques, ou aussi les recouvrements des espèces composant, pour obtenir la valeur fourragère de la communauté. On doit simplement multiplier ces paramètres exprimés en termes relatives par les indices de qualité spécifique et additionner les produits. Tandis qu’il sont disponibles beaucoup de indices pour le bétail bovin, n’est pas la même chose pour les autres animaux domestiques. Ce représente une lacune indubitable, en considération du différent comportement alimentaire et du différent rôle que les espèces domestiques occupent dans l’utilisation des espaces pastorales.

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Ce travail se propose de remplir partiellement cette lacune en proposant une première liste de va-leurs pour les chèvres. La liste dérive de nombreuses recherches réalisées en plusieurs localités de la montagne Lombarde et il concerne une centaine d’espèces ligneuses et herbacées du plan alpine et subalpine.

Mots clés: indices fourragères, chèvres, espèces alpines.

Introduzione

L’elemento di maggiore complessità nella gestione degli spazi pastorali è senz’al-tro rappresentato dall’interazione tra gli animali e il pascolo, in particolare nei distretti alpini, caratterizzati da elevata eterogeneità vegetazionale (Gusmeroli et al., 200�). Difficile è anzitutto stabilire il valore nutritivo dell’offerta alimentare, tan-te sono le specie vegetali coinvolte e tanta è la variabilità legata alla loro fenologia e alla loro combinazione nelle varie fitocenosi. Ancora più arduo è definire gli effettivi prelievi, sottoposti a numerose variabili che, diversamente da quanto suc-cede nel razionamento in stalla, sfuggono in larga parte al controllo dell’uomo. La valutazione nutritiva puntuale dell’offerta alimentare e dell’ingesta attraverso le analisi bromatologiche, ancorché complicata e laboriosa, assume dunque un valore del tutto relativo, circoscritto a particolari studi e obiettivi. Per scopi più generali, specialmente di carattere gestionale, risulta vantaggioso (e talvolta inevitabile) il ricorso ad indici di valore foraggero che, in maniera più economi-ca e pratica, forniscono una stima sintetica della qualità. Essi si basano sulla semplice rilevazione dei contributi produttivi o ricoprimenti percentuali delle specie che compongono la vegetazione e l’attribuzione alle specie di valori in-dice. La loro estrema semplicità non ne impedisce per altro applicazioni piutto-sto interessanti, attestate dall’ampio consenso internazionale ricevuto (Andries, 19�0; Brown, 19�4; Poissonet; 196�; De Boer, 19�4; Dubost e Jouglet, 1981; Lambertin, 1992; Orlandi et al, 1997; Williams, 19�4). In particolare si prestano alla caratterizzazione qualitativa di cotiche, circuiti di foraggiamento e spazi pa-storali, fornendo dati relativamente stabili nel tempo, perché poco condizionati dagli andamenti meteorologici, a differenza di quanto succede con le analisi bromatologiche. Attraverso il metodo del Valore Pastorale, gli indici sono altresì utilizzati per la stima del potenziale trofico delle cotiche.19

Materiale e metodi

L’indice foraggero esprime il corrispondente valore della specie allo stato natu-rale, ossia entro le fitocenosi. Esso non è valido in coltura pura e nel materiale essiccato o comunque manipolato.

19 il valore pastorale di una cotica o fitocenosi è l’indice foraggero medio ponderato sui contributi produttivi delle specie, riportato su una scala 0-100. attribuendo ad ogni punto di valore pastorale un adeguato coefficiente di conversione in energia (UFL), si determina l’energia complessiva della fitomassa. Da questa, in base ai fabbisogni degli animali, si ricava il carico di bestiame in UBa (Unità Bestiame adulto).

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Gli indici esistenti per il bestiame bovino non sono del tutto omogenei tra loro, sia per quel che riguarda i criteri con cui sono attribuiti i valori, sia nelle scale di misurazione, sia nel significato stesso del parametro.Per quanto riguarda i criteri d’attribuzione dei punteggi, nella maggior parte dei casi sono adottati valori fissi per ogni specie. Fanno eccezione gli indici di bon-tà di Sthälin (1971), che mutano in funzione della fenologia e della percentuale con la quale la specie concorre a formare la biomassa. Correttamente, Sthälin tiene conto della notevole variabilità di valore nutritivo e appetibilità che accom-pagna il ciclo di sviluppo delle piante e del fatto che in associazione i rapporti quantitativi tra le specie ne possono modificare il gradimento. È questo, ad esempio, il caso di molte specie aromatiche, appetite in dosi minime e utili per migliorare l’appetibilità generale del foraggio, ma rifiutate e controproducenti se in eccesso o delle stesse buone foraggere, meglio apprezzate in comunità ben equilibrate e complesse piuttosto che in situazioni di dominanza. Il metodo di Sthälin presenta dunque il vantaggio di una maggiore precisione, a scapito però di una maggiore laboriosità.In ordine alla scala, Sthälin adotta valori compresi tra –�00 e 100, con i punteggi negativi ad indicare tossicità, i positivi pabularità crescente. Klapp (1971), come Sthälin anch’egli della scuola tedesca, propone una scala da –1 a 8, con il valore negativo attribuito sempre alle specie dannose, zero a quelle prive d’interesse pastorale e valori positivi per la pabularità. La scuo-la olandese di De Vries e collaboratori (1947) considera invece un intervallo da 0 a 10, mentre quella francese di Delpech (1960) e Daget e Poissonet (1969) da 0 a �.Rispetto, infine, al significato dell’indice, vi è di nuovo una certa contrappo-sizione tra la scuola tedesca e le altre. Secondo Klapp e Sthälin, l’indice, de-rivando dalle scelte dell’animale, rende esplicito fondamentalmente il grado di appetibilità della specie. Per De Vries e gli autori francesi il parametro riassume invece una qualità globale, combinazione di molteplici variabili: velocità di crescita, valore nutritivo, appetibilità, sapore, assimilabilità, di-geribilità etc.Nel presente lavoro si è adottato il metodo proposto da Klapp. La sua scala rappresenta, a parere degli autori, un equo compromesso tra l’esigenza di pre-cisione, assicurata maggiormente dalla scala della scuola olandese e da quella di Sthälin, e l’esigenza di semplicità, meglio soddisfatta dalla proposta della scuola francese. Il riferimento all’appetibilità, piuttosto che alla qualità globale, sembra anche più confacente alle esigenze alimentari e al comportamento da “browser” del bestiame caprino. Si è apportata un’unica variante alla scala di Klapp: si è escluso il valore negativo, poiché le capre sono dotate di azione epatica detossificante che permette loro di consumare, seppur in dosi non ec-cessive, anche le specie velenose.La lista dei punteggi qui proposta scaturisce da indagini eseguite in diverse lo-calità delle Alpi lombarde e una località confinante della Svizzera (Figura. 1). Le principali caratteristiche stazionali dei siti sono riassunte in Tabella 1. In Tabella 2 sono invece richiamate le informazioni relative agli animali e alla metodologia delle osservazioni.

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Figura 1 - Localizzazione dei siti di osservazione

Tabella 1 - Caratteristiche stazionali dei siti di osservazione

Fascia Altimetria Esposizione Tipo di vegetazionebioclimatica m s.l.m. prevalente

Val Fontana Subalpina 1400-1800 Est; OvestBoschi di conifere; mosaico di

praterie in fase dinamica

Boirolo Subalpina 1600 Sud Foreste di abete rosso e lariceAlpe Culino Subalpina 1�00-2200 Est; Nord-Est Pecceta mista e praterie varie

Alpe Vartegna Subalpina 17�0-2200 Est; Nord-Est

Boschi radi di conifere, con fitto strato erbaceo; mosaico di praterie in fase dinamica;

brughiere di arbusti nani

Valle VeddascaSubalpina; Montana

10�0-1��0 Sud; Sud-EstFaggete e Betuleti; mosaico di praterie in fase dinamica;

lande arbustive

Valle Adamè Subalpina 1700-2400 NessunaPeccete, Alnete, Rododendre-

ti e praterie varie

Monte LegnoneSubmontana;

montana400-800 Nord-Ovest

Acero-Frassineti, Castagneti, Prati abbandonati in fase di-

namica

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Tabella 2 - Note metodologiche

Razza caprina N. capi Periodo di Parametri rilevatigregge osservazione

Val Fontana Frisa Valtellinese 140 20 VI - 9 X% soggetti sulla specie

e frequenza

Boirolo Frisa Valtellinese 140 11 VIII - 29 IX% soggetti sulla specie

e frequenzaAlpe Culino Orobica

Alpe Vartegna Camosciata delle Alpi 1�0 1� VII - 2� VIII% soggetti sulla specie

e frequenza

Valle VeddascaVerzaschese; Camo-

sciata delle Alpi�0 01 IV - �0 XI

% soggetti sulla specie e frequenza; indice

di gradimento singoli soggetti

Valle Adamè Bionda dell’Adamello 14� 07 VII - 24 VIII% soggetti sulla specie

e frequenza

Monte Legnone Orobica �0indice di gradimento

animali bersaglio

Nella compilazione della lista sono state considerate solo quelle specie di cui si disponeva di una mole di informazioni significativa. Per le specie legnose, la spiccata selettività di prelievo del bestiame caprino ha consentito (e imposto) l’apprezzamento delle singole parti della pianta. In un primo momento si sono attribuiti i valori estremi della scala alle entità non appetite (punteggio 0) e a quelle più gradite (punteggio 8). Quindi, in maniera relativamente agevole, si sono potuti abbinare ai restanti elementi i valori intermedi. Sono stati conside-rati di massimo gradimento quelle entità rivelatesi tali lungo tutto il corso della stagione. Gradimenti non così persistenti, seppur altrettanto elevati in certi mo-menti, hanno condotto a valutazioni inferiori.

Risultati e discussione

La lista prodotta (Tabella. �) si compone di un centinaio di specie, una quaran-tina delle quali legnose, principali esponenti della flora del territorio esplorato.

Tabella 3 - Indici foraggeri proposti per il bestiame caprino (quando non specificato, l’indice si riferisce all’apparato fogliare nel caso delle piante legnose, a tutta la pianta per le erbacee)

Specie arboree Specie arbustive

Populus nigra 2 Humulus lupulus �

Abies alba (corteccia) � Lonicera caprifolium �

Larix decidua (corteccia) � Rhododendron ferrugineum �

Picea excelsa (corteccia) � Crataegus oxyacantha 4

Salix incana � Hedera helix 4

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Larix decidua (apparato fogliare) 4 Vaccinium uliginosum 4

Pinus sylvestris 4 Calluna vulgaris �

Populus tremula 4 Vaccinium vitis-idaea �

Prunus avium 4 Alnus viridis (corteccia) 6

Betula pendula (corteccia) � Corylus avellana (corteccia) 6

Picea excelsa (apparato fogliare) � Juniperus communis ssp. Communis 6

Tilia cordata � Juniperus nana 6

Castanea sativa (foglie) 6 Vaccinium myrtillus 6

Fraxinus excelsior 6 Alnus viridis (apparato fogliare) 7

Fraxinus ornus 6 Rosa canina 7

Salix caprea (corteccia) 6 Rubus idaeus 7

Acer pseudoplatanus 7 Corylus avellana (apparato fogliare) 7

Alnus incana 7 Lonicera nigra 8

Quercus pubescens 7 Sarothamnus scoparius (corteccia) 8

Sorbus aria 7 Sarothamnus scoparius (apparato fogliare) 8

Sambucus nigra 7

Sambucus racemosa 7

Sorbus aucuparia 8

Betula pendula (apparato fogliare) 8

Castanea sativa (achenio) 8

Laburnum anagyroides 8

Robinia pseudoacacia 8

Salix caprea (apparato fogliare) 8

Specie erbacee

Agrostis schraderana 1 Senecio ovatus �

Calamagrostis villosa 1 Thalictrum minus �

Avenella flexuosa 2 Verbascum thapsus �

Anthoxanthum alpinum 2 Brachypodium pinnatum 4

Carex sempervirens 2 Brachypodium sylvaticum 4

Dactylis glomerata 2 Fragaria vesca 4

Festuca gr. rubra 2 Luzula alpino-pilosa 4

Festuca scabriculmis 2 Luzula multiflora 4

Galium pumilum 2 Luzula nivea 4

Specie arboree Specie arbustive

Galium sylvaticum 2 Peucedanum ostruthium 4

Nardus stricta 2 Poa nemoralis 4

Oxalis acetosella 2 Ranunculus acris 4

Silene nutans 2 Trifolium alpinum 4

Silene vulgaris 2 Trifolium nivale 4

Solidago virgaurea 2 Anthoxanthum alpinum �

Viola biflora 2 Aconitum napellus �

Tabella 3 - Indici foraggeri proposti per il bestiame caprino (quando non specificato, l’indice si rife-risce all’apparato fogliare nel caso delle piante legnose, a tutta la pianta per le erbacee) (segue)

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Artemisia vulgaris � Lamium album �

Calamagrostis arundinacea � Lamium galeobdolon �

Calamagrostis varia � Phleum alpinum �

Carduus defloratus � Pulsatilla alpina �

Carduus personata � Rumex alpestris �

Chaerophyllum hirsutum � Rumex alpinum �

Cirsium spinosissimum � Rumex acetosella �

Deschampsia caespitosa � Urtica dioica �

Galium aparine � Athyrium filix-foemina 6

Gentiana lutea � Carlina acaulis (foglie) 6

Hieracium auricula � Dryopteris cristata 6

Hieracium murorum � Dryopteris filix-mas 6

Parietaria officinalis � Gymnocarpium dryopteris 6

Petasites albus � Carlina acaulis (infiorescenza) 7

Phyteuma hemisphaericum � Molinia arundinacea 7

Poa alpina �

Molto brevemente si può rimarcare come le piante erbacee possiedano un’appe-tibilità decisamente inferiore alle legnose: la maggior parte di esse ha punteggi variabili tra 1 a �, mentre tutte le arboree e arbustive, anche nelle parti meno nobili della pianta (corteccia), mostrano valori superiori, con la sola eccezione del genere Daphne, del tutto rifiutato. Solo due elementi erbacei (Carlina acaulis nell’infiorescenza e Molinia arundinacea) raggiungono la soglia di 7. Da notare come tra le erbacee preferite vi siano soprattutto quelle rifiutate o poco gradite ai bovini e tra esse anche Aconitum napellus, la specie spontanea in assoluto più velenosa tra la flora europea. Tra le essenze legnose, le arboree sono nell’insie-me più appetite delle arbustive. Delle otto specie gratificate da punteggio mas-simo, sei sono arboree e due arbustive. Le latifoglie si rivelano più pregiate delle aghifoglie, non solo nell’apparato fogliare, ma anche nella corteccia. Le conifera più apprezzate sono Juniperus communis e J. nana, con indice 6.Sebbene i punteggi siano in relazione con la sola appetibilità, il confronto con i dati bromatologici di una decina di specie descritte in altro lavoro del presente volume (Puccio et al.) evidenzia una discreta coerenza con il valore nutriziona-le, specialmente per quanto concerne la superiorità delle latifoglie sulle conife-re e della parte fogliare su quella corticale.Come atteso, gli indici si pongono quasi in antitesi con quelli relativi al bestiame bovino, a conferma di una netta differenza di comportamento alimentare tra le due categorie di domestici. Applicando a titolo esemplificativo i valori proposti a quattro comunità vegetali (Tabella 4), sempre descritte nel lavoro succitato, e mettendoli a confronto con quelli riferiti al bestiame bovino secondo l’equivalente scala di Klapp (Werner e Paulissen, 1987), traspare chiaramente l’affinità delle capre per i popolamenti forestali e dei bovini per quelli erbacei. Anche il valore

Tabella 3 - Indici foraggeri proposti per il bestiame caprino (quando non specificato, l’indice si rife-risce all’apparato fogliare nel caso delle piante legnose, a tutta la pianta per le erbacee) (segue)

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foraggero della dieta, desunto sempre in riferimento ai dati pubblicati nel lavoro di cui sopra e nell’ipotesi che l’ingestione sia proporzionale alla percentuale di soggetti osservati sulle specie, conduce ad esiti conformi (Fig. 2): il comprenso-rio a maggior carattere forestale (Boirolo) ostenta valori mediamente superiori e più costanti nel tempo rispetto a quello più spiccatamente erbaceo (Vartegna).

Figura 2 – Valori foraggeri delle diete nei due comprensori

Tabella 4 - Comparazione tra gli indici di valore foraggero per il bestiame bovino e per quello caprino in quattro fitocenosi (per i dati vegetazionali si veda il lavoro di Puccio et al, in altra parte del volume)

Bovini CapriniBosco chiuso (copertura legnosa > �0%) 0,8� �,91Bosco aperto (copertura legnosa 1�-20%) 2,19 �,04

Prateria xerica �,8� 2,41Prateria umida 2,6� 2,�6

Conclusioni

I valori indice prodotti rendono esplicita quella che è l’appetibilità delle specie per il bestiame caprino al pascolo, a prescindere dal valore nutritivo e dalla fase feno-

0

1

2

3

4

5

6

11 VIII 01 IX 29 IX Totale

Boirolo

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Vartegna

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13 VII 03 VIII 11 VIII 25 VIII Totale

Vartegna

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logica delle specie stesse. Sono coinvolti i principali elementi arborei ed arbustivi e un buon raggruppamento di erbacei delle fasce subalpina e montana.I punteggi si scostano chiaramente da quelli proposti per il bestiame bovino, evidenziando una palese predilezione delle capre per le piante legnose. Viene pertanto sottolineata, oltre la complementarietà tra le due specie animali, l’im-portanza di avere a disposizione indici per ogni categoria di bestiame, così da poter valutare con maggior attendibilità le attitudini produttive degli spazi pastorali e poterli gestire in maniera razionale. Non diversamente dagli indici dei bovini, i punteggi sono validi per la realtà in cui sono stati definiti (in questo caso per le Alpi lombarde). In altri distretti è necessario sottoporli a verifica, dal momento che la variabilità ecotipica potreb-be suggerire, per alcuni elementi, un aggiustamento del punteggio. In questi ambiti rimane anche la necessità di ampliare la lista, in modo da renderla utiliz-zabile in fitocenosi diverse da quelle qui esaminate.

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CIRCuITI dI FORAGGIAMENTO, SELETTIVITA’ E QuALITA’ dEI PRELIEVI IN CAPRE AL PASCOLO

IN COMPRENSORI PASTORALI dELLA FASCIA SuBALPINA

Puccio C.1, Gusmeroli F.1, Della Marianna G.1, D’Angelo A.2

1 FonDazionE FoJanini Di StUDi SUPERioRi, Sondrio� iStitUto SPERimEntaLE LazzaRo SPaLLanzani, Lodi

Riassunto

Le peculiarità anatomiche, fisiologiche e comportamentali della capra ne fanno un animale particolar-mente adatto all’utilizzo delle aree marginali della montagna e al recupero delle radure erbose abban-donate o sottoutilizzate.Allo scopo di approfondire la conoscenza del comportamento alimentare dell’animale e della sua effica-cia nel controllo delle specie legnose invasive dei pascoli, è stato realizzato negli anni 200�-200� uno studio in tre distretti pastorali della fascia subalpina delle Alpi Retiche italiane ed elvetiche. Sono stati rilevati i circuiti di foraggiamento delle greggi, è stata caratterizzata la vegetazione e si sono osservati i prelievi alimentari in vari momenti della stagione, determinando per gli elementi legnosi anche il valore nutrizionale. L’indagine ha confermato la netta predilezione delle capre per l’alimentazione aerea e dunque la loro elevata capacità di controllo delle infestanti dei pascoli.

Parole chiave: pascolo capre; prelievi alimentari; fascia subalpina.

Abstract

Foraging circuits, selectivity and drawing quality in goat grazing in subalpine pasture areas - The most suitable species to use marginal areas of the mountains and to recover abandoned and underutilized pastures is goat because of its anatomic, physiologic and behavioural cha-racteristics.A specific study on the goat’s alimentary behaviour, especially respect to invasive wooden species of the pastures, has been carried out during 2003-2005 years in three sub-alpine areas of the Italian and Swiss Retiche Alps. Foraging circuits of the flocks were recorded and the vegetation along them was characterised. At the same time we observed the alimentary drawings more times during the season and, eventually, the nutritional value of the wooden species were determined relevant to their single anatomic parts.The survey has confirmed the clear preference for the aerial grazing of the goats and their marked ca-pabiliy in controlling the pasture-weed species.

Key words: goat grazing; alimentary drawing; subalpine area.

Résumé

Parcours de fourragement, sélectivité et qualité des prélèvements alimentaires en chèvres au pâturage en zones pastorales du plan subalpine – Les prérogatives anatomiques, physiologiques et comportementales font des chèvres des animaux particulièrement indiqués pour utiliser le zones marginales de la montagne et pour le rétablissement des surfaces gazonnées abandonnées ou peu utilisées.En voulant approfondir la connaissance du comportement alimentaire de l’animal et de son efficacité vers le control des espèces ligneuses, on a réalisé dans les années 2003-2005 un étude en trois zones

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pastorales du plan subalpine des Alpes Retiche italiennes et suissesse. On a relevé les parcours de fourragement des troupeaux, on a caractérisée la végétation et on a observé les prélèvements alimen-taires en différents moments de la saison, en déterminant aussi, pour les éléments ligneuses, la valeur nutritionelle.La recherche a confirmé la claire prédilection des chèvres pour l’alimentation aérienne et donc leur capacité de control vers les espèces envahissant les pâturages.

Mots clés: pâturage des chèvres, prélèvements alimentaires, plan subalpine

Introduzione

Le caratteristiche anatomiche, fisiologiche e comportamentali fanno della ca-pra un animale particolarmente adatto all’utilizzo delle aree marginali della montagna, in special modo nelle cinture di transizione della vegetazione (Cor-ti et al., 1997). L’estrema mobilità del labbro superiore, il principale organo di prensione, le permette anzitutto di selezionare le specie e le parti più gradite della pianta, assumendo boccate monospecifiche e rivolgendosi anche agli arbusti spino-si. Il notevole sviluppo relativo del rumine, del reticolo e dell’intestino crasso favoriscono poi una forte triturazione meccanica e un’attività microbica soste-nuta in tutto il tratto digerente, da cui una spiccata efficienza digestiva ed as-similatoria e la capacità di consumare una gamma di foraggi molto più ampia degli altri ruminanti domestici, comprendente in particolare specie legnose (Borelli et al., 1996). L’animale ha una grande abilità esploratrice e ama diversificare le fonti ali-mentari percorrendo circuiti fissi nelle aree ecotonali, adattando i prelievi al mutare della vegetazione, delle specie presenti e della loro fase di sviluppo. Ciò si riflette in continue variazioni nella composizione della dieta, special-mente nella proporzione tra frazione erbacea, arbustiva ed arborea. In pri-mavera, con la tardiva ripresa vegetativa di molte piante legnose e quindi la scarsa disponibilità di pascolo aereo, l’assunzione di specie erbacee è mas-sima e può raggiungere la metà del totale. Il consumo diminuisce nel corso dell’estate e fino ad inizio autunno, scendendo a limiti inferiori al 10%, per incrementare nuovamente in autunno inoltrato, quando la reperibilità dell’ali-mento aereo torna a calare. Il prelievo delle specie arboree raggiunge il verti-ce in estate, in corrispondenza della massima disponibilità di fogliame verde. Quello di arbusti risulta invece costante ed elevato in ogni stagione, con un lieve incremento a fine estate ed in autunno, allorché è modesta la presenza di foglie sulle piante. Nel corso delle stagioni vengono utilizzate parti differenti delle stesse piante. Foglie, infiorescenze, frutti, germogli e rametti possono essere prelevati insieme o separatamente, secondo lo stadio vegetativo e di maturazione e le alternative disponibili.Per tutte queste sue prerogative, la capra non solo si presta ad integrare e completare il pascolo degli altri ruminanti domestici, valorizzando superfici altrimenti improduttive, ma costituisce un elemento di grande interesse per il recupero dei distretti pascolivi abbandonati o sottoutilizzati e dunque per

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la tutela della biodiversità (Corti, 1997). Se in passato il pascolo caprino ha indubbiamente rappresentato un fattore di degrado del patrimonio forestale, giustificando divieti e restrizioni da parte delle autorità pubbliche (AA. VV., 1970. AA. VV., 2001), ora, in uno scenario radicalmente mutato, si propone potenzialmente come una risorsa preziosa per la salvaguardia di quelle aree di particolare pregio ecologico e paesaggistico che sono le radure e le prate-rie della fascia montana e subalpina, a rischio di scomparsa causa il declino delle pratiche alpicolturali. Naturalmente, l’efficacia di questa azione dipende molto dalle modalità di conduzione del pascolo, ossia da un carico equilibra-to e da una buona educazione e governo del gregge. I danni al patrimonio forestale si manifestano soprattutto quando il carico è eccessivo e l’animale è obbligato a seguire brevi circuiti di pascolo, soffermandosi sulle piante con troppa insistenza.Allo scopo di approfondire la conoscenza del comportamento alimentare del-le capre, la loro efficacia nel controllo delle specie invasive legnose dei pa-scoli e stimarne il valore foraggero, è stato realizzato negli anni 200�-200� uno studio in tre comprensori pastorali delle Alpi Retiche: due erano situati in territorio italiano, in Val Fontana (Comune di Chiuro) e in località Boirolo (Comune di Tresivio); il terzo in territorio elvetico, in Alpe Vartegna (Comune di Poschiavo) (Figura 1). Lo studio fa parte del un progetto Interreg IIIA Italia-Svizzera Valorizzazione e caratterizzazione dei prodotti lattiero caseari caprini attraverso la valutazione del legame tra il pascolo, la tipicità, la qualità del latte e dei formaggi.

Figura 1 - Ubicazione delle tre località di studio

Figura 1Ubicazione delle tre località di studio

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Materiali e metodi

Aree di studioIl comprensorio pastorale in Val Fontana insiste su di un’area compresa tra 1400 e 1800 m di quota, adagiata sui due versanti della valle, di esposizio-ne prevalente est e ovest. La vegetazione presenta una struttura a mosaico piuttosto complessa, composta da vari stadi delle successioni secondarie innescatesi sulle pre-esistenti praterie a seguito della sospensione o alleg-gerimento del pascolo. Le matrici pedologiche sono ascrivibili, in funzione dei fattori stazionali, alla categoria FAO-Unesco dei Litosuoli, dei Ranker e dei Podzol. Si tratta, come noto, di matrici acide, sottili e a tessitura grosso-lana, derivate in questo caso da rocce metamorfiche, in prevalenze masse e lenti di gneiss occhiadini cloritici o granitoidi e micascisti muscovito-epidotici (Bonsignore et al., 1970).Il comprensorio di Boirolo si sviluppa completamente a meridione e ad una altimetria ristretta attorno ai 1600 m s.l.m. Il manto vegetale è più uniforme e di tipo prevalentemente forestale, con formazioni di conifere tipicamente dominate da larice nelle situazioni più giovanili o da abete rosso in quelle più mature. I suoli sono ancora acidi e grossolani, seppur leggermente più evoluti. Le rocce sono eruttive e silicee, di tipo granitoide e granodioritico (Bonsignore et al., 1970). L’Alpe Vartegna si estende a quote superiori (da 17�0 a 2200 m s.l.m.), con esposizione variabile da est a nord-est. Nella parte inferiore la vegetazione è contraddistinta da boschi radi, con fitto strato erbaceo. Segue superiormente un mosaico di praterie in fase dinamica, brughiere di arbusti nani e comunità instabili di macereto. Le matrici litologiche sono cristalline e i suoli analoghi ai precedenti.

GreggiI distretti di Val Fontana e Boirolo sono stati utilizzati con il medesimo greg-ge, rispettivamente nelle annate 200� e 2004, nel periodo compreso tra ini-zio giugno e metà ottobre. Tale gregge era costituito da circa 140 capre, in larga parte di razza Frisa Valtellinese. Il pascolo si svolgeva tra la mungitura del mattino e quella della sera, all’incirca dalle ore 8,�0 alle ore 17,�0 e, nei mesi di giugno e luglio, sporadicamente anche dopo la mungitura serale sino all’imbrunire. Nelle restanti ore della giornata il gregge era stabulato. In fase di mungitura veniva somministrata un’integrazione con concentrati, in dose media di 1 kg/die. La produzione media di latte era di 1,� kg gior-nalieri. L’Alpe Vartegna è invece stata pascolata con un gregge composto da 1�0 soggetti, in prevalenza di razza Camosciata delle Alpi, nella stagione 200�, dai primi di luglio alla prima settimana di settembre. Anche qui il pascolo si svolgeva tra le due mungiture, eseguite meccanicamente, mentre nel resto della giornata il bestiame era stabulato. L’integrazione con concentrati era di 0,1 kg/die e la produzione media di latte di 1,2 kg al giorno.

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Osservazioni ed elaborazioniSi sono anzitutto rilevati in ogni comprensorio i circuiti di foraggiamento per mezzo di GPS. La vegetazione dell’area esplorata dagli animali è stata ca-ratterizzata per mezzo di rilievi fitosociologici. Questi sono stati eseguiti se-condo il metodo sigmatista della Scuola di Zurigo-Montpellier (Braun-Blan-quet, 1928), inventariando le specie cormofite in aree di saggio di 100 m

2

nelle praterie e 400 m2 nelle foreste, stimandone il ricoprimento con percen-

tuali a vista. In Val Fontana sono stati eseguiti 19 rilievi, dislocati in modo da ricostruire la mappa della vegetazione dell’area. A Boirolo e a Vartegna si è invece operato solo lungo i circuiti di foraggiamento, nei siti di osservazione delle greggi, eseguendo rispettivamente 40 e 78 campionamenti. Nell’ultima località le specie erbacee sono però state aggregate, rilevando pertanto individualmente solo le specie legnose. I rilievi floristici sono stati classificati per mezzo della cluster analysis gerar-chica agglomerativa applicata alla matrice di correlazione. La struttura risul-tante è stata verificata attraverso l’analisi delle coordinate principali, sempre riferita alla matrice di correlazione. Le elaborazioni sono state eseguite con il package Syn-tax 2000 (Podani, 2001). Per quanto riguarda il comportamento alimentare degli animali (specie e parti della pianta prelevate), le osservazioni hanno interessato vari momenti della stagione: in Val Fontana cinque (20/6 – 16/7 – �/8 – 9/9 – 9/10) a Boirolo tre (11/8 – 1/9 – 29/9) e in Alpe Vartegna quattro (1�/7 – �/8 – 11/8 – 2�/8). La selettività è stata stimata in base alla percentuale di soggetti che si rivol-gevano alla specie. In Val Fontana si sono osservate tutte le specie, ma con una stima approssimativa dei soggetti; negli altri distretti si sono osservate solo le specie legnose e le felci, ma contando i soggetti ad intervalli di tem-po regolari (ogni 1� minuti).Le parti delle piante arboree ed arbustive appetite sono state prelevate con la tecnica denominata Hand plucking (pascolo simulato), pesate ed essiccate in stufa alla temperatura di 60°C per la determinazione della sostanza secca e le analisi bromatologiche. I campionamenti sono stati eseguiti a Boirolo nell’anno 200�, ripetendoli in quattro diversi momenti della stagione.

Risultati e discussione

1. Vegetazione e circuiti di foraggiamento

Comprensorio Val FontanaLa cluster analysis e l’ordinamento dei rilievi floristici (Figura 2 e Figura �) portano ad identificare quattro aggruppamenti principali. Come si desume dalle combinazioni caratteristiche specifiche (Tabella 1), i complessi F1 e F2 aggregano le comunità con una significativa copertura legnosa, mentre l’aggregato F� e il rilievo F4 includono le cenosi di tipo prevalentemente erbaceo.

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Figura 2 - Comprensorio Val Fontana: dendrogramma dei rilievi ottenuto dalla cluster analysis

Figura 3 - Comprensorio Val Fontana: ordinamento dei rilievi sui primi due assi delle coordinate principali

Figura 2Comprensorio Val Fontana: dendrogramma dei rilievi ottenuto alla cluster analysis

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Tabella 1 - Comprensorio della Val Fontana: combinazione caratteristica specifica degli ag-

gruppamenti vegetazionali secondo Raabe

F1 F2 F3 F4

Achillea millefolium 4,17 2,�0 �,00 .

Agrostis tenuis . . 2,00 .

Alchemilla vulgaris (gruppo) �,�� . �,00 �,00

Alnus viridis �,00 2,�0 . .

Anthoxanthum alpinum �,�� 2,�0 �,00 .

Arnica montana . 2,�0 . .

Astrantia minor 1,67 . 2,�0 .

Avenella flexuosa 1,67 . 2,�0 .

Betula pendula 2,�0 . . .

Calamagrostis villosa 1,67 2,�0 . .

Campanula barbata . 2,�0 1,�0 .

Cardamine amara . . . �,00

Cardamine resedifolia 1,67 . . .

Carduus defloratus 2,�0 2,�0 �,00 .

Carex canescens . . . �,00

Carex ferruginea . . . �,00

Carex fusca . . . �,00

Carex hirta . . . �,00

Carex ornithopoda 2,�0 . 2,00 .

Carex pallescens . 2,�0 . �,00

Carex stellulata . . . �,00

Carum carvi . 2,�0 �,00 .

Cerastium arvense ssp. strictum 1,67 2,�0 2,�0 .

Cerastium fontanum . 2,�0 . .

Cerastium holosteoides . . 2,�0 �,00

Chaerophyllum hirsutum 1,67 �,00 2,�0 .

Cirsium spinosissimum 1,67 . . .

Crocus albiflorus . 2,�0 2,00 .

Dactylis glomerata . 2,�0 . .

Daphne mezereum . 2,�0 . .

Deschampsia caespitosa 2,�0 2,�0 �,�0 �,00

Digitalis grandiflora . 2,�0 . .

Dryopteris carthusiana . 2,�0 . .

Dryopteris filix-mas 2,�0 . . .

Epilobium collinum 2,�0 2,�0 . .

Eriophorum latifolium . . . �,00

Festuca rubra �,�� 2,�0 �,00 �,00

Festuca rubra ssp. rubra . 2,�0 . .

Festuca varia . �,00 . .

Fragaria vesca �,�� �,00 . .

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F1 F2 F3 F4

Galium anisophyllum . . . �,00

Galium pumilum �,�� 2,�0 4,�0 .

Gymnocarpium dryopteris �,�� 2,�0 . .

Hieracium auricula . . 4,00 .

Hieracium pilosella . 2,�0 2,�0 .

Hieracium sylvaticum 4,17 2,�0 . .

Homogyne alpina . 2,�0 . .

Hypericum maculatum . �,00 . .

Juncus alpino-articulatus . . . �,00

Juniperus nana 2,�0 2,�0 . .

Knautia dipsacifolia . 2,�0 . .

Lamiastrum galeobdolon ssp. galeobdolon . 2,�0 . .

Larix decidua �,00 �,00 2,�0 .

Leontodon helveticus . . . �,00

Lotus alpinus �,�� �,00 4,�0 .

Luzula campestris . . 4,00 .

Luzula multiflora . . . �,00

Luzula nivea �,�� �,00 . .

Luzula sudetica . . . �,00

Majanthemum bifolium 2,�0 . . .

Myosotis scorpioides . . . �,00

Oxalis acetosella 2,�0 . . .

Petasites albus 2,�0 . . .

Peucedanum ostruthium 2,�0 . . .

Phleum alpinum . �,00 �,00 �,00

Phyteuma betonicifolium . �,00 2,�0 .

Picea excelsa 4,17 �,00 �,�0 .

Poa alpina �,�� . 4,00 �,00

Poa chaixi . �,00 . .

Poa nemoralis 2,�0 . . .

Potentilla aurea . �,00 �,00 .

Prunella vulgaris . . . �,00

Ranunculus acris . . 4,00 �,00

Ranunculus grenieranus . . �,00 .

Ranunculus montanus . . 2,00 .

Ranunculus repens . . . �,00

Rubus idaeus �,00 �,00 2,00 .

Rumex acetosa . . 2,�0 .

Rumex acetosella �,�� . 2,00 .

Salix helvetica 2,�0 . . .

Tabella 1 - Comprensorio della Val Fontana: combinazione caratteristica specifica degli ag-gruppamenti vegetazionali secondo Raabe.(segue)

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F1 F2 F3 F4

Taraxacum officinale �,�� . . �,00

Thymus serpyllum (gruppo) . . 4,00 .

Trifolium pratense ssp. nivale . . 4,00 .

Trifolium repens 2,�0 . 4,00 .

Triglochin palustre . . . �,00

Veronica chamaedrys 2,�0 �,00 �,�0 .

Viola biflora 4,17 . 2,�0 �,00

I popolamenti del gruppo F1 presentano una copertura legnosa superiore al �0%, ciò che li distingue dalle formazioni del gruppo F2, che hanno ricopri-menti del 1�-20%. Elementi legnosi più comuni sono Larix decidua, Alnus viridis, Picea excelsa e Rubus idaeus, accompagnati sporadicamente da Juniperus montana, Betula pendula e Salix spp. Più rare sono altre latifoglie e le Ericacee. Lo stadio giovanile delle piante e il ricco corteggio di specie di pascolo testimoniano le origini antropo-zoogene e lo stato dinamico di questi consorzi. La loro collocazione sintassonomica non è di conseguenza agevole. Oltre agli elementi di foresta e brughiera tipici dell’ordine di Vacci-nio-Piceetalia, Adenostyletalia (Braun-Blanquet, 19�1) e Fagetalia silvaticae (Pawlowsky, 1928), si riconoscono numerosi esponenti di prateria di Narde-talia strictae (Oberdorfer,1949) e Arrhenatheretalia (Pawlowsky, 1928).

A questi ultimi ordini si riconducono anche gran parte delle specie che com-pongono i rilievi del raggruppamento F�. Naturalmente, scompare o si di-rada sensibilmente il contingente di specie legnose, a vantaggio di quello erbaceo. Le frequenze maggiori si registrano per Potentilla aurea, Galium pumilum e Hieracium auricula tra le caratteristiche di Nardetalia; per Achil-lea millefolium, Phleum alpinum e Poa alpina tra le caratteristiche di Arrhena-theretalia. Tra le specie compagne o di altri syntaxa si segnalano Alchemilla vulgaris, Lotus alpinus, Ranunculus montanus e, soprattutto, Anthoxanthum alpinum e Festuca rubra, le specie mediamente più abbondanti.L’unità F4 si riferisce invece ad una prateria umida. Specie dominante è Deschampsia caespitosa, ma alta partecipazione hanno nell’insieme anche i carici collegati all’ordine di Caricetalia fuscae (Koch,1926): Carex cane-scens, C. fusca e C. stellulata. Altre cyperaceae ed elementi a spiccata igrofilia completano il corredo floristico.In Figura 4 è riportata la mappa della vegetazione con i principali circuiti giornalieri di foraggiamento del gregge. Si individuano sei tracciati, utilizzati in tempi successivi lungo il corso della stagione. Attorno ad essi la fascia esplorata dal gregge era sempre piuttosto ristretta. Si può notare come tutti i percorsi attraversino varie tessere del mosaico vegetazionale, a conferma della predilezione del bestiame caprino per le fasce di transizione e per un’alimentazione variegata.

Tabella 1 - Comprensorio della Val Fontana: combinazione caratteristica specifica degli ag-gruppamenti vegetazionali secondo Raabe.(segue)

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Figura 4 - Comprensorio Val Fontana: mappa della vegetazione e circuiti di foraggiamento

Comprensorio BoiroloI rilievi eseguiti a Boirolo vengono distribuiti dall’elaborazione statistica in sei gruppi (Figura � e Figura 6), di cui si riportano in tabella 2 le composizioni spe-cifiche caratteristiche.

Figura 5 - Comprensorio Boirolo: dendrogramma dei rilievi ottenuto dalla cluster analysis

Figura 4Comprensorio Val Fontana: mappa della vegetazione e circuiti di foraggiamento

Figura 5Comprensorio Boirolo: dendrogramma dei rilievi ottenuto alla cluster analysis

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Figura 6 - Comprensorio Boirolo: ordinamento dei rilievi sui primi due assi delle coordinate principali

Tabella 2 - Comprensorio Boirolo: combinazione caratteristica specifica degli aggruppa-menti vegetazionali secondo Raabe B1 B2 B� B4 B� B6

Acer pseudoplatanus . 0,71 1,67 1,11 . .

Achillea millefolium 1,67 2,86 �,�� 1,67 . �,00

Aconitum napellus . . . . . 2,�0

Agrostis schraderana . 0,71 . . �,�� .

Agrostis tenuis �,�� 4,29 �,00 �,89 1,67 2,�0

Alchemilla vulgaris 1,11 0,�6 �,�� 1,11 . �,00

Allium oleraceum . . . 0,�6 . .

Alnus viridis 2,22 �,21 �,�� �,�� . 2,�0

Anthoxanthum alpinum . 0,71 . . . 2,�0

Avenella flexuosa 1,67 0,�6 1,67 0,�6 . .

Betula pendula 1,67 �,�7 �,00 �,�� 1,67 2,�0

Brachypodium pinnatum 2,78 �,9� �,00 �,00 �,�� 2,�0

Calamagrostis sp. 2,22 1,4� �,�� �,00 1,67 .

Calluna vulgaris 1,67 0,71 1,67 . . �,00

Campanula rotundifolia . 0,�6 1,67 . . .

Campanula scheuchzeri 1,11 0,�6 . 2,22 . 2,�0

Carduus defloratus 1,67 2,�0 . 1,11 . �,00

Carex humilis . 1,4� . 0,�6 �,�� .

40

39

38

37

36

35

34

33

32

31

30

29

28

2726

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2322

21

20

19

18

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16

15

14

13

12

11

109

8

7

6

5

4

3

2

1

Asse 1 (22 %)

Asse

2(1

6%

)

B6

B5

B2

B3

B1

B4

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B1 B2 B� B4 B� B6Carlina acaulis 0,�6 0,�6 . . . �,00

Chaerophyllum hirsutum . 0,�6 1,67 1,11 . .

Chamaecytisus hirsutus . 2,14 �,�� 0,�6 �,�� .

Cirsium palustre . . 1,67 . . .

Corylus avellana . 2,14 . 0,�6 �,00 .

Danthonia decumbens 1,11 0,�6 . . . 2,�0

Deschampsia caespitosa . 0,�6 1,67 0,�6 . 2,�0

Dianthus carthusianorum 1,67 . . . . 2,�0

Dryopteris filix-mas 2,78 1,79 1,67 1,67 1,67 .

Euphrasia alpina . . . . . 2,�0

Festuca gr. rubra 1,11 1,79 . 1,11 �,�� .

Festuca tenuifolia 0,�6 2,14 . 2,78 1,67 .

Fragaria vesca 1,11 �,21 �,�� 2,78 �,�� 2,�0

Galium sp. 0,�6 0,�6 . 2,78 �,�� 2,�0

Helianthemum sp. 1,67 . 1,67 . . �,00

Hieracium pilosella 1,11 0,�6 . . �,�� �,00

Juniperus communis communis 4,44 �,00 �,00 �,�� �,00 �,00

Larix decidua �,00 �,00 �,�� 4,44 �,00 2,�0

Leontodon hispidus . . . . . �,00

Lotus corniculatus 0,�6 0,�6 1,67 1,11 . 2,�0

Luzula nivea 1,67 1,07 1,67 �,�� 1,67 .

Nardus stricta 1,67 . 1,67 . . �,00

Phleum alpinum 0,�6 . . . . 2,�0

Phyteuma betonicifolium 1,11 2,14 1,67 0,�6 . .

Phyteuma scheuchzeri . 2,86 . 2,22 1,67 .

Picea excelsa �,�� �,00 . �,00 �,00 2,�0

Pinus sylvestris 0,�6 1,07 . 1,11 �,�� .

Poa nemoralis 2,22 2,14 1,67 1,67 1,67 2,�0

Potentilla alba 1,67 �,�7 �,�� 2,78 �,�� 2,�0

Potentilla erecta 1,11 1,4� . �,�� . 2,�0

Rhododendron ferrugineum 2,78 0,71 . 0,�6 . .

Rosa canina 0,�6 1,79 1,67 1,67 . 2,�0Rubus idaeus �,89 �,9� �,�� �,00 1,67 2,�0Salix caprea 0,�6 1,79 �,�� 2,22 . .Silene rupestris . 0,�6 . . . �,00Solidago virgaurea . 2,86 . 1,11 1,67 .Thymus gr. serpyllum 1,67 2,�0 . 1,67 �,00 �,00Vaccinium myrtillus �,89 1,79 1,67 1,67 . .Vaccinium vitis-idaea �,�� �,�7 1,67 2,22 1,67 .

Tabella 2 - Comprensorio Boirolo: combinazione caratteristica specifica degli ag-gruppamenti vegetazionali secondo Raabe (segue)

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Tutti i gruppi mostrano una commistione di elementi di differenti syntaxa dovuta ai dinamismi in atto, che ne impediscono una chiara classificazione. Alcuni elementi più rari, tipici delle praterie antropiche, segnalano l’antico utilizzo pastorale; altri, più abbondanti, appartenenti alle formazioni fore-stali, evidenziano il processo evolutivo secondario innescato dall’abbando-no. La componente pastorale è poco caratterizzata, mostrando espressioni collegabile all’ordine di Nardetalia strictae (Oberdorfer, 1949), di Festuco-Brometea Br.-Bl. (Tüxen, 1943), alla classe Molinio-Arrhenatheretea (Tüxen, 1937) e ad altri syntaxa minori. Il contingente forestale comprende soprat-tutto esponenti dell’alleanza Vaccinio-Piceion (Braun-Blanquet,19�8, 19�9: ordine Vaccinio-Piceetalia, classe Vaccinio-Piceetea), dell’ordine di Epilo-bietalia angustifoliae (classe Epilobietea) e della classe Querco-Fagetea (Braun-Blanquet e Vlieg. 19�7). La distinzione tra i sei gruppi poggia in parte sul rapporto tra i suddetti syntaxa e in parte sui ricoprimenti dei singoli elementi.Il cluster B1 raggruppa le formazioni a dominanza di Larix decidua. La coni-fera è accompagnata spesso da Alnus viridis, Juniperus communis, Picea excelsa, Rhododendron ferrugineum, Rubus idaeus, Vaccinium myrtillus e Vaccinium vitis-idaea, con ricoprimenti però sempre decisamente inferiori. Il complesso erbaceo è quantitativamente e qualitativamente modesto. L’aggregato B2 è maggiormente caratterizzato da Picea excelsa e da un più ricco corteggio di specie legnose, che testimoniano una fase dinamica più matura del bosco. Il larice conserva per altro una certa prevalenza, ad indicare una struttura ancora abbastanza aperta. Elementi legnosi comuni sono i medesimi del gruppo precedente, senza Rhododendron ferrugineum e con l’aggiunta di Betula pendula, Chamaecytisus hirsutus, Corylus avel-lana e, più sporadicamente, Pinus sylvestris. Nello strato erbaceo spiccano per frequenza Agrostis tenuis, Brachypodium pinnatum, Fragaria vesca e Potentilla alba.Gli insiemi B� e B4 si differenziano dai precedenti per la presenza costante e più elevata rispettivamente di Alnus viridis e Rubus idaeus. Per il resto ripropongono le stesse situazioni di bosco giovane in fase evolutiva. I rag-gruppamenti B� e B6 si scostano invece in maniera decisamente più netta, in virtù di una maggiore incidenza dei caratteri di prateria. In B�, l’esponente più abbondante è infatti Nardus stricta e le coperture arborea e arbusti-va, specialmente nel rilievo �0, sono alquanto ridotte. B6 configura invece un aspetto singolare, dove la frazione legnosa è rappresentata dalla sola Betula pendula, seppure con una copertura elevata. Lo strato erbaceo è piuttosto povero e composto in larga misura da Brachypodium pinnatum e Nardus stricta.I circuiti di foraggiamento (Figura. 7) si svolgono dunque prevalentemente in bosco e nelle cinture di contesa della vegetazione. Le praterie che cir-condano il centro aziendale sono in parte sfalciate e in parte pascolata con bovini. I brevi tratti di circuito che le attraversano servono dunque solo per gli spostamenti del gregge. Anche qui la fascia esplorata è sempre piuttosto ristretta attorno ai percorsi.

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Figura 7 - Comprensorio Boirolo: circuiti di foraggiamento e rilievi per aggruppamento ve-getazionale

Comprensorio VartegnaIl distretto di Vartegna mostra lungo gli itinerari di foraggiamento una copertura vegetale che, pur tendendo a stratificarsi completamente, è caratterizzata so-prattutto dalla componente arbustiva. Ciò è imputabile per un verso alla maggio-re altimetria del luogo, per un altro agli interventi di sfruttamento forestale, perio-dicamente eseguiti, che mantengono rado lo strato arboreo. L’analisi multivariata (Figura 8 e Figura 9) consente di selezionare su base floristico-fisiognomica sei aggruppamenti, i cui profili floristici sono documentati in Tabella �.

Figura 8 - Comprensorio Vartegna: dendrogramma dei rilievi ottenuto dalla cluster analysis

Figura 7Comprensorio Boirolo: circuiti di foraggiamento e rilievi per aggruppamento vegetazionale

Figura 8Comprensorio Vartegna: dendrogramma dei rilievi ottenuto alla cluster analysis

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Figura 9 - Comprensorio Vartegna: ordinamento dei rilievi sui primi due assi delle coordinate principali

Tabella 3 - Comprensorio Vartegna: combinazione caratteristica specifica degli aggruppa-menti vegetazionali secondo Raabe

V1 V2 V3 V4 V5 V6Juniperus communis . . . 1,1� 0,�8 .Larix decidua . 1,�4 . 1,1� 0,�8 0,96Picea excelsa 4,2� 1,�� 1,�� 1,1� . 1,7�Rhododendron ferrugineum . 2,88 . 0,96 0,77 0,77Rubus idaea 2,69 . 1,�� . . 0,96Salix spp. . . . . 0,77 .Vaccinium myrtillus 2,�1 2,69 1,1� 0,77 . 1,7�Vaccinium uliginosum . 1,92 . 0,96 0,�8 .

Nel gruppo V1 si concentrano le formazioni a carattere pascolivo. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, alla cotica erbosa si sovrappone un mantello legnoso, costituito principalmente da Picea excelsa e più raramente da Rubus idaeus, arbusti nani di Ericaceae ed altri elementi.Decisamente più arbustivi sono gli altri aggregati. V2 appare dominato dalle Ericaceae, principalmente Rhododendron ferrugineum e Vaccinium myrtillus. V� descrive una boscaglia a Rubus idaeus. Juniperus montanus e Salix spp. sono invece le specie prevalenti rispettivamente nelle cenosi in V4 e V�, mentre Vaccinium myrtillus lo è in V6. In tutte queste compagini, si rinvengono comu-

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2019 1817

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3

2

1

Asse 1 (25 %)

Asse

2(2

3%

)

V6

V5

V2

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V1

V4

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nemente Picea excelsa e Larix decidua, il cui ricoprimento complessivo rimane sempre su livelli inferiori al �0%. Come nei siti precedenti, il foraggiamento del gregge avviene al di fuori dei pascoli veri e propri (Figura 10), riservati anche qui al bestiame bovino. I circuiti si snodano tra le brughiere e i boschi, raggiungendo piccole chiarie e zone di transizione della vegetazione.

Figura 10 - Comprensorio Vartegna: circuiti di foraggiamento e rilievi per aggruppamento vegetazionale

2. Prelievi

Comprensorio Val FontanaIn questo ambito è stato osservato complessivamente il consumo di 60 specie vegetali, di cui 40 erbacee (66,7%), 12 arbustive (20%) e 8 arboree (1�,�%). La dieta è andata progressivamente impoverendosi con il decorrere della stagio-ne, passando dalle 41 specie del mese di giugno alle 12 del mese di ottobre. Parallelamente si è ridotta anche la quota relativa di specie erbacee (Figura 11), mentre non ha subito sostanziali fluttuazioni l’assunzione di specie legno-se, tanto globalmente, quanto nei rapporti tra elementi arborei e arbustivi.

Figura 10Comprensorio Vartegna: circuiti di foraggiamento e rilievi per aggruppamento vegetazionale

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Figura 11 - Comprensorio Val Fontana: prelievi medi sui diversi strati della vegetazione (n specie)

Il confronto con la flora censita nei rilievi floristici evidenzia come tutte le specie legnose presenti siano state oggetto di attenzione da parte del gregge, nelle parti vegetative e, in quelle arboree, anche nella corteccia (Tabella 4).

Tabella 4 - Comprensorio Fontana: indice di gradimento delle specie legnose nel corso della stagione.

20 Giu 16 Lug 5 Ago 9 Set 9 OttAcer pseudoplatanus . EE EE EE .Alnus viridis (corteccia) EE EE E B BAlnus viridis (foglie) EE EE EE E EBetula pendula (corteccia) E B E B EBetula pendula (foglie) EE EE EE EE EECorylus avellana (corteccia) E . E B .Corylus avellana (foglie) EE . EE EE .Juniperus nana E . B E EELarix decidua (corteccia) S B B M SLarix decidua (foglie) E E E E BPicea excelsa (corteccia) E E E S SPicea excelsa (foglie) E E E B BRhododendron ferrugineum B B B E EERubus idaeus E E E E B

EE = elevatissimo; E = elevato; B = buono; M = modesto; S = scarso.

Figura 11Comprensorio Val Fontana: prelievi medi sui diversi strati della vegetazione (n specie)

0

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20 VI 16 VII 5 VIII 9 IX 9 X

Arboree Arbustive Erbacee

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Sei di esse, ossia Alnus viridis, Betula pendula, Larix decidua, Picea excelsa, Rhododendron ferrigineum e Rubus idaeus sono state consumate in tutto il periodo di pascolamento, mentre le altre hanno registrato assunzioni più spo-radiche, per altro non attribuibili ad un minore pabularità, ma all’assenza o ad una scarsa presenza in alcuni percorsi di foraggiamento. Le assunzioni lungo la stagione, infatti, sono sempre rimaste elevate o buone, con la sola eccezione della corteccia delle conifere, poco appetita in fase terminale.

Per gli elementi erbacei si deve invece annotare una marcata selettività da parte del bestiame, espressa sia dal numero relativamente modesto di entità prelevate in rapporto all’offerta, sia dal diverso apprezzamento mostrato nei loro confronti (Tabella �). Tra le 24 specie sufficientemente diffuse, per le quali si sono potuti valutare i consumi, sole due, Anthoxanthum odoratum e Carlina acaulis, sono risultate molto ricercate. Undici hanno ricevuto una considerazio-ne da scarsa a discreta e le restanti 11 da buona a elevata.

Tabella 5 - Comprensorio Val Fontana: indice di gradimento delle specie erbacee.

Elevato Buono ModestoAnthoxanthum alpinum Aconitun napellus Avenella flexuosaCarlina acaulis (inf.) Carlina acaulis (foglie) Calamgrostis villosa

Dryopteris cristata Cardus defloratusDryopteris filix mas Cardus personataGymnocarpium dryopteris Dactylis glomerataLamium album Festuca rubraLuzula multiflora Galium pumilumPhleum alpinum Oxalis acetosella Rumex acetosa Petasites albaRumex acetosella Sempervivum montanum

Senecio ovatus Viola biflora

Comprensorio BoiroloLe specie legnose assunte dal gregge sono state qui in numero di 16, di cui 9 arboree e 7 arbustive. Le felci appartengono a due specie: Dryopteris filix-mas e Pteridium aquilinum. Poiché l’elenco floristico dei 40 siti di monitoraggio della vegetazione comprende 2� specie legnose, 7 specie non risultano consumate. Ciò non è dovuto ad una effettiva inappetibilità, bensì al fatto che nei momenti di osservazione il gregge si alimentava talvolta nelle zone circostanti i punti di rilevazione floristica, dove le specie potevano mancare, oppure perché, pur essendo presenti, non erano raggiungibili (chiome troppo alte).Per tali ragioni non è possibile rapportare con oggettività i prelievi all’offer-ta, ma si è costretti a limitare l’analisi ai semplici prelievi. In Tabella 6 sono sintetizzati i dati relativi alle frequenze di prelievo e alle percentuali medie di soggetti osservati sulle specie. Nell’insieme le entità consumate con mag-giore costanza ed intensità sono state Alnus viridis, Picea excelsa, Rubus idaeus e, dove presenti, Salix caprea, Corylus avellana, Juniperus communis

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e Dryopteris filix mas. Nelle piante arboree le assunzioni hanno interessato comunemente sia le chiome, sia la corteccia. Solo in Castanea sativa, Fraxi-nus excelsior e Populus tremula gli animali hanno ignorato la corteccia, ma occorre sottolineare la sporadicità di queste piante e quindi lo scarso signifi-cato da attribuire alle relative valutazioni.

Tabella 6 - Comprensorio Boirolo: frequenze di prelievo e percentuali medie di soggetti sulle specie.

11 VIII 01 IX 29 IX Totale F %C F %C F %C F %CSpecie arboreeBetula pendula 2 19,4 1 4,8 � 8,� 6 �2,�Castanea sativa . . 1 �,9 . . 1 �,9Fraxinus excelsior . . 1 9,1 . . 1 9,1Larix decidua � 14,� 7 16,2 4 17,6 16 48,�Picea excelsa 4 22,� 8 17,0 � 42,� 1� 81,8Pinus sylvestris 1 2,2 1 18,1 1 �7,� � �7,8Populus tremula . . . . 1 �,� 1 �,�Quercus pubescens . . 1 7,2 . . 1 7,2Salix caprea � 7,1 4 21,7 4 28,7 1� �7,�Specie arbustive e felciAlnus viridis 6 22,2 � 19,0 10 40,1 21 81,2Corylus avellana 1 28,6 10 46,0 . . 11 74,6Juniperus communis 1 4,� 4 10,2 9 49,� 14 64,0Rhododendron ferrugineum . . . . 2 19,4 2 19,4Rosa canina 1 �1,� 1 6,� . . 2 �7,�Rubus idaeus 7 ��,2 � 4�,� 4 14,7 14 9�,2Vaccinium myrtillus . . . . 1 20,8 1 20,8Dryopteris filix-mas 4 44,8 . . 1 8,� � ��,1Pteridium aquilinum . . 2 �,� . . 2 �,�

Per quanto attiene agli equilibri tra le frazioni erbacea, arborea e arbustiva (Fi-gura 12), la componente erbacea appare qui decisamente meno rilevante che nel precedente distretto, in contiguità con il carattere maggiormente forestale della vegetazione. Si ripropone in ogni caso la sua graduale diminuzione col procedere della stagione. Le arbustive tendono a sopravanzare costantemente le arboree, ma solo in termini di percentuale di soggetti, non in termini di fre-quenza di prelievo.

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Figura 12 - Comprensorio Boirolo: frequenze di prelievo e percentuali medie di soggetti

Comprensorio VartegnaIn questo distretto il gregge ha prelevato lungo la stagione 4 specie arbo-ree e 9 specie arbustive, per un totale di 1� specie legnose su 1� censite. Le sole Daphne mezereum e D. striata sono state rifiutate. Per le piante arboree le assunzioni hanno riguardato, seppur secondariamente, anche le cortecce. Analogamente alla precedente località, la non perfetta sovrapposizione tra aree di osservazione floristica ed etologica non permette una rigorosa analisi delle preferenze degli animali. I dati relativi alle percentuali medie di soggetti osservati sulle specie e alle frequenze di prelievo (Tabella 7) sembrano tuttavia riflettere abbastanza bene la diffusione delle specie. Le due latifoglie arboree (Betula pendula e Sorbus aucuparia), notoriamente molto appetite, mostrano infatti valori bassi, al contrario delle due conife-re (Larix decidua e Picea excelsa), che si posizionano su soglie elevate di consumo. Anche nell’ambito degli arbusti, il modesto apprezzamento per Alnus viridis è da attribuirsi essenzialmente alla scarsa presenza della pianta. Gli elementi di maggior consumo sono stati Rubus idaeus e Salix spp. (2), seguiti da Picea excelsa, Rhododendron ferrugineum e Vaccini-mu spp.

Figura 12Comprensorio Boirolo: frequenze di prelievo e percentuali medie di soggettisugli strati della vegetazione

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Tabella 7 - Comprensorio Vartegna: frequenze di prelievo e percentuali di soggetti sulle specie

13 VII 03 VIII 11 VIII 25 VIII Totale F %C F %C F %C F %C F %CSpecie arboreeBetula pendula . . . . 1 0,1 . . 1 0,1Larix decidua � 2,8 4 7,6 8 8,1 � 0,� 20 18,9Picea excelsa 2 0,� � 6,8 17 8,2 10 2,8 �2 18,0Sorbus aucuparia . . . . 1 0,1 1 0,� 2 0,�Specie arbustiveAlnus viridis 2 1,� . . 1 0,1 2 0,7 � 2,�Juniperus nana 4 �,� � 8,2 6 8,0 . . 1� 19,�Rhododendrum ferrugineum 1� 16,0 6 6,1 � 1,1 6 1,9 28 2�,2Rubus idaeus 1 0,7 . . 12 11,7 12 18,4 2� �0,7Salix spp. 1 6 10,� 1 �,� . . . . 7 1�,8Salix spp. 2 11 28,9 � 16,0 . . . . 16 44,9Vaccinium spp. � 1,9 7 7,6 11 10,0 � �,0 28 22,�

In termini di rapporti tra gli strati della vegetazione (Figura 1�), le frequenza di prelievo segnalano una maggiore importanza della frazione arbustiva, in tutti e quattro i momenti di controllo. Rispetto all’intensità dei consumi si osserva invece una certa complementarietà tra questa e la componente erbacea, con andamento decrescente per la prima e incrementale per la seconda. Il com-plesso arboreo ha ricevuto costantemente meno attenzione e solo attorno alla metà di agosto è stato appetito in misura consistente.

Figura 13 - Comprensorio Vartegna: frequenze di prelievo e percentuali medie di soggetti

Figura 13Comprensorio Vartegna: frequenze di prelievo e percentuali medie di soggettisugli strati della vegetazione

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�. Caratteristiche nutritive delle principali specie legnose

In Tabella 8 sono riportati gli esiti delle analisi chimiche delle principali specie legnose e della felce Dryopteris filix-mas. I valori, riferiti alle parti della pian-ta appetite al bestiame, derivano da quattro campionamenti eseguiti nel com-prensorio di Boirolo. Dal momento che i campionamenti non hanno evidenziato andamenti temporali inquadrabili in specifici modelli evolutivi, sono presentate solo le medie e le deviazioni standard.

Tabella 8 - Indici foraggeri proposti

Specie arboree Specie arbustive Larix decidua (corteccia) � Rhododendron ferrugineum �Larix decidua (apparato fogliare) 4 Vaccinium uliginosum �Picea excelsa (corteccia) 4 Vaccinium vitis-idaea �Pinus sylvestris 4 Alnus viridis (corteccia) 6Betula pendula (corteccia) � Corylus avellana (corteccia) 6Picea excelsa (apparato fogliare) � Juniperus communis ssp. Communis 6Populus tremula � Juniperus nana 6Castanea sativa 6 Vaccinium myrtillus 6Fraxinus excelsior 6 Rosa canina 7Salix caprea (corteccia) 6 Rubus idaeus 7Alnus incana 7 Corylus avellana (apparato fogliare) 8Alnus viridis (apparato fogliare) 7 Lonicera nigra 8Quercus pubescens 7Sorbus aria 7Sorbus aucuparia 7Acer pseudoplatanus 8Betula pendula (apparato fogliare) 8Salix caprea (apparato fogliare) 8Sambucus nigra 8Sambucus racemosa 8Specie erbacee Calamagrostis villosa 1 Poa alpina �Festuca gr. rubra 1 Senecio ovatus �Agrostis schraderana 1 Thalictrum minus �Avenella flexuosa 2 Verbascum thapsus �Dactylis glomerata 2 Brachypodium pinnatum 4Festuca scabriculmis 2 Brachypodium sylvaticum 4Galium pumilum 2 Luzula multiflora 4Oxalis acetosella 2 Luzula nivea 4Silene nutans 2 Poa nemoralis 4Silene vulgaris 2 Ranunculus acris 4Solidago virgaurea 2 Trifolium nivale 4

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Viola biflora 2 Anthoxanthum alpinum �Calamagrostis arundinacea � Aconitum napellus �Calamagrostis varia � Lamium album �Carduus defloratus � Lamium galeobdolon �Carduus personata � Phleum alpinum �Chaerophyllum hirsutum � Carlina acaulis (foglie) 6Cirsium spinosissimum � Dryopteris cristata 6Deschampsia caespitosa � Dryopteris filix-mas 6Hieracium auricula � Gymnocarpium dryopteris 6Hieracium murorum � Rumex alpestris 6Petasites albus � Rumex acetosella 6Phyteuma hemisphaericum � Carlina acaulis (infiorescenza) 7

Le latifoglie, sia per caratteri intrinseci, sia perché rappresentate dalla sola componente fogliare, ostentano un maggior valore nutritivo, frutto di superiori concentrazioni energetiche e proteiche, minori contenuti fibrosi e minore ligni-ficazione. Esse mostrano anche maggiori tenori in ceneri. La felce, pur in una elevata variabilità, tende ad assomigliare alle latifoglie nei tenori proteici e mi-nerali, alle conifere nelle prerogative fibrose. Essendo un elemento erbaceo, il suo tenore in sostanza secca risulta significativamente più basso.Il gruppo delle latifoglie appare abbastanza omogeneo. Solo Corylus avellana e Rubus idaeus si distinguono, l’uno per la spiccata fibrosità, l’altro per la scarsa lignificazione della fibra. Tra le conifere, la situazione è più diversificata, con Larix decidua che si segnala come la specie più pregiata seguita, nell’ordine, da Juniperus montana e Picea excelsa. La variabilità entro le specie è per altro piuttosto marcata.Come atteso, la corteccia di Salix caprea denuncia una qualità nettamente in-feriore alla corrispondente parte fogliare.

Conclusioni

Le tre indagini ribadiscono anzitutto la netta predilezione del bestiame caprino per il pascolo arboreo e arbustivo, in accordo con quanto rilevato da diversi au-tori (Bruni et al., 1988; Genin e Pijoan, 199�; Maggioni et al., 2004). Confermata è anche la propensione a diversificare le assunzioni su molte specie (Corti e Maggioni, 2002; Fedele et al., 199�; Grünwaldt et al., 1994), tra cui anche erba-cee infestanti dei pascoli per bovini. Ne deriva un’interessante potenzialità nei confronti del contenimento delle invasioni di piante legnose negli spazi aperti delle fasce climatogene delle foreste e delle brughiere. Ciò assume particolare rilevanza per la conservazione del paesaggio culturale ed il miglioramento del-la biodiversità specifica e sistemica del territorio alpino, specialmente alla luce degli estesi fenomeni di abbandono o sottoutilizzo delle aree prato-pascolive degli ultimi decenni (Gusmeroli, 2002). Naturalmente, data la predilezione per le aree ecotonali e il ruolo di complemento rivestito dal pascolo erbaceo, non è

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ipotizzabile un’efficace difesa delle praterie senza il concorso di pascolatori più sistematici come bovini o ovini.Laddove disponibili, le piante legnose sono state consumate lungo tutto l’arco della stagione, soprattutto gli apici vegetativi, ma anche le cortecce. Tanto in termini di appetibilità, quanto di valore nutritivo, le specie migliori sono risultate essere le latifoglie, più frequentemente quelle arboree, seguite dalla latifoglie arbustive e dalle aghifoglie. La buona disponibilità di latifoglie è dunque un fattore fondamentale per migliorare qualità e appetibilità dei prelievi. In loro as-senza può essere utile la componente erbacea che, seppur mediamente meno gradita, ha prerogative nutrizionali elevate. In tale evenienza la presenza di conifere può assicurare i necessari apporti di fibra e lignina.Un’annotazione, infine, di carattere metodologico. Con la procedura seguita è emersa una certa difficoltà a comparare offerta e prelievi alimentari, causa essenzialmente il rapido movimento delle greggi lungo i percorsi e l’accessibi-lità variabile delle chiome degli alberi. Non è dunque stato possibile stimare in rigorosi termini numerici il gradimento delle specie, ma ciò non ha condizionato più di tanto la qualità dei risultati.

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PASCOLAMENTO OVINO IN PRATI ABBANdONATI E IN BOSCO NELLA MONTAGNA ALPINA: PRELIEVI ALIMENTARI Ed EFFETTI

SuLLA VEGETAZIONE E LA BIOdIVERSITA’

Della Marianna G.1, Gusmeroli F.1, Puccio C.1, Salvetti M.1

1 FonDazionE FoJanini Di StUDi SUPERioRi, Sondrio

Riassunto

Prati e pascoli sono elementi fondamentali del paesaggio alpino, importanti per la diversificazione spe-cifica ed ecosistemica, per la protezione dagli incendi e altre calamità e per il foraggio che forniscono al bestiame domestico e selvatico. L’abbandono delle pratiche agro-pastorali ha determinato in molte aree il degrado di questi sistemi, sollevando il problema di una loro difesa e recupero. Allo stesso modo sono andate deteriorandosi le formazioni forestali, non più curate e dunque divenute poco accessibili e maggiormente esposte agli incendi.Tra le possibili soluzioni al problema, il pascolamento si propone senz’altro come lo strumento più semplice ed economico. Nel presente lavoro è studiato il pascolamento ovino in un comprensorio del-le Orobie Valtellinesi. Sono valutati i prelievi alimentari, gli effetti sulla biodiversità vegetale e la qualità biologica del suolo in situazioni di pascolo e di mandratura.L’indagine ha confermato l’elevata capacità del bestiame ovino di recuperare e conservare gli spazi aperti, controllando anche le specie legnose. È altresì emersa la necessità di un’attenta calibrazione della pressione animale, in particolare nelle aree di mandratura, indispensabile per contenere possibili effetti negativi sulla biodiversità specifica delle cotiche e dei suoli.

Parole chiave: Pascolamento ovino, prelievi alimentari, biodiversità.

Abstract

Sheep grazing in abandoned meadows and forest in the alpine mountain: alimentary drawings and effects on the vegetation and biodiversity. Meadows and pastures are basic elements of the alpine landscape. They are important for ecosystems diversification, such as for fires prevention and for do-mestic and wild animals foraging. The abandonment of the agricultural and pastoral practices caused a deep deterioration of these systems over many regions, raising the problem of their protection and recovery. Likewise the wood practices were abandoned and the forests were damaged too, becoming inaccessible and easy to burn.Animal grazing is the most simple and economic tool to solve this problem. Aim of this study was to analyse sheep grazing in a site of the Italian Orobie Alps. Alimentary drawings, effects of grazing and manuring on the vegetation biodiversity and soil quality have been investigated.The study confirms striking capacity of the sheep livestock to recover and preserve open spaces, also controlling wood species. A careful control of the animal load, especially on the manuring sites, is the essential need to contain possible negative effects on meadows and soils specific biodiversity.

Key words: sheep grazing; alimentary drawing; biodiversity.

Résumé

Pâturage ovin en prairies abandonnées et en bois dans la montagne alpine : prélèvements ali-mentaires et effets sur la végétation et la biodiversité. Prairies et pâturages sont des éléments fondamentaux du paysage alpine, importants pour la diversification des espèces et des écosystèmes, pour la prévention des incendies et autres calamités et pour l’alimentation du bétail domestique et

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sauvage. L’abandonne des pratiques agricoles et pastorales a compromis in beaucoup de zones ces systèmes, en soulevant le problème d’une leurs défense et rétablissement. De la même façon on a détérioré les formations forestières, plus pas soignées et devenues donc peu accessibles et plus facilement attachés par les incendies. Entre les possibles solutions, le pâturage se propose comme la plus simple et économique. En ce travail on a étudié le pâturage ovin dans une région des « Orobie Val-tellinesi ». On a évalués les prélèvements alimentaires, les effets sur la biodiversité végétale et la qualité biologique du sol en zones de pâturage et de repos du troupeau.La recherche a confirmé la remarquable attitude du bétail ovin a rétablir e conserver les espaces ou-verts, en maîtrisant aussi les espèces ligneuses. Le control du charge animal s’est révélé très important pour limiter possibles effets négatives sur la biodiversité spécifique de la végétation prairial et des sols, en particulier dans le zones du repos.

Mots clés: pâturage ovin, prélèvements alimentaires, biodiversité.

Introduzione

I prati e i pascoli sono componenti fondamentali del paesaggio culturale alpi-no, rispetto al quale si pongono come fattori di diversificazione ecosistemica e specifica, di contenimento degli incendi e di altri eventi catastrofici, oltre che, naturalmente, di sostentamento per il patrimonio animale domestico e selvatico (Ziliotto et al., 2004).Se si escludono i distretti più elevati della fascia alpina, dove le formazioni erbacee sono vegetazione climatogena, la loro presenza è strettamente legata alle pratiche agro-pastorali (Gusmeroli, 2002). Il crollo della civiltà rurale, lo spopolamento del-la montagna e la profonda trasformazione in senso industriale che ha interessato il sistema zootecnico negli ultimi decenni ne hanno pertanto determinato il pro-gressivo abbandono o sottoutilizzo, esponendole a processi evolutivi secondari di rinaturalizzazione. Questi si sono inevitabilmente risolti nella compromissione delle risorse trofiche del territorio, nella banalizzazione del paesaggio e dell’ambiente e nell’aumento dei rischi di dissesti (Cavallero et al., 1997). Fenomeni di degrado si sono manifestati, d’altro canto, anche nelle stesse foreste, non più curate e dunque scarsamente accessibili e maggiormente esposte agli incendi.La salvaguardia delle praterie e il recupero qualitativo dei boschi si pongono pertanto oggi tra le necessità più impellenti per la montagna e lo strumento più efficace ed economico al riguardo rimane senz’altro il pascolamento (Kreuger, 198�; Troxler et al., 1990; Loiseau e Merle, 1988; Bailey et al., 1990, Sabatini et al., 2000; Reyneri et al., 1998). Laddove il sistema zootecnico non è più in grado di assicurare una presenza adeguata di animali, si è andato affermando il ricorso a greggi e mandrie di servizio. Tra gli animali utilizzabili, gli ovini si dimostrano particolarmente interessanti, perché comparabili ai caprini per rusticità, adatta-bilità e capacità di utilizzo delle aree marginali, ma duttili e governabili come i bovini. La persistenza di una tradizione transumante esoalpina consente inoltre di avere a disposizione greggi già organizzate e guidate da abili pastori.Con il presente studio si è inteso esplorare il comportamento alimentare e gli effetti del pascolamento ovino sul paesaggio vegetale e la biodiversità in prati di monte abbandonati e boschi di latifoglie a cavallo della fascia montana.

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Materiali e metodi

L’indagine è stata realizzata nell’anno 200� su un gregge di circa 1�00 capi di razza Bergamasca, composto in larga parte da soggetti adulti. Da tre anni il gregge pascolava nel periodo aprile-novembre un’ampia area posta sul versante Valtellinese delle Alpi Orobie (Figura 1), a quota compresa tra �00 e 2�00 m s.l.m. Qui il gregge vi perveniva dopo lo svernamento nella pianura lombarda. Tutta l’area, un tempo diffusamente antropizzata, giaceva in stato di semiabbandono, evidenziato dell’invasione delle piante legnose entro le radure erbose e a ridosso degli insediamenti umani e dal deterioramento delle formazioni boscose, in parti-colare nelle sezioni di media quota, dominio delle foreste di latifoglie.

Figura 1 – L’area dell’indagine (versante valtellinese delle Alpi Orobie)

Lo studio è consistito in:1. Osservazione dei prelievi alimentari in due stazioni campione poste ad altitu-

dine di 12�0 e 1900 m s.l.m., con metodo a vista.2. Rilievi floristici secondo il metodo fitosociologico di Braun-Blanquet (1928) in

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prati e boschi della stazione inferiore, su aree rispettivamente di 100 e 400 m

2 di superficie e con stima percentuale del ricoprimento delle specie. I ri-

lievi hanno riguardato sei diverse situazioni: prato pascolato, prato sfalciato, prato mandrato (due), bosco pascolato e bosco indisturbato.

�. Determinazione dell’indice di qualità biologica del suolo (QBS) (Parisi, 2001)20 per il prato pascolato, il prato mandrato, il bosco pascolato e il bosco indi-sturbato. Le determinazioni sono state ripetute in quattro diversi momenti (26 giugno, 18 luglio, 11 agosto e 12 novembre), il primo dei quali in prossimità del passaggio del gregge.

Dai rilievi floristici si sono ricavati tre indicatori di biodiversità specifica: la ric-chezza floristica (RF= numero di specie), l’indice di Shannon (1949) (H=∑-pi log2 pi , con pi ricoprimento della iesima specie) e l’indice di equiripartizione (J=H/log2 RF) (Legendre e Legendre, 1979). Si sono altresì calcolati gli indici fo-raggeri secondo Klapp-Sthälin (Archivio Werner e Paulissen, 1987), mediando ponderalmente sui ricoprimenti delle specie, e l’indice ecologico N (dotazione in nutrienti del suolo) secondo Landolt (Landolt, 1977). L’indicatore di QBS è stato sottoposto ad analisi della varianza, secondo un modello fattoriale a due vie misto, con il tipo di vegetazione come fattore fisso e le epoche come fattore casuale. I dati sono stati preventivamente trasformati in logaritmi decimali per normalizzare le varianze. I confronti multipli sono stati effettuati con il test di Newman-Keul, noto per essere molto conservativo.

Risultati e discussione

Prelievi alimentariIn Tabella 1 è riportato l’elenco delle specie o taxa assunti dagli ovini durante il monitoraggio. Gli elementi erbacei sono stati complessivamente 2�, quelli arbustivi nove e quelli arborei otto. Si deve dunque sottolineare la varietà dei prelievi e, nonostante la nota predilezione del bestiame ovino per una dieta er-bacea, il significativo interessamento delle specie legnose. Le rilevazioni effet-tuate, di carattere meramente qualitativo, non hanno consentito una valutazione quantitativa dei consumi. È stato tuttavia osservato come, non solo in bosco, ma anche nelle chiarie e radure erbose, il gregge si sia rivolto con una certa insistenza alle piante arbustive e arboree, insistenza documentata anche dai segni di scortecciamento e recisione di rami e germogli e dai resti di piante danneggiate negli anni precedenti (vedi foto seguenti). Naturalmente, gli ef-fetti sono risultati particolarmente marcati nel bosco, dove prevaleva l’offerta di materiale legnoso, e soprattutto nelle aree di mandratura, dove la pressione

�0 1 La qualità biologica del suolo è un indicatore sintetico delle caratteristiche del popolamento di microartropodi del terreno e indirettamente del livello di biodiversità di questo. i microartropodi edafici sono, infatti, particolarmente sensibili ad alterazioni di origine naturale o antropica e agli equilibri chimico-fisici.

L’analisi viene effettuata su zolle di suolo del peso di circa 1 Kg. Una volta estratti dal campione, i microartropodi sono suddivisi in Forme Biologiche o gruppi, ad ognuno dei quali è assegnato un punteggio variabile da 0 a �0. Sommando i punteggi si ottiene il valore di QBS.

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animale era molto forte. Merita anche di essere sottolineato il consumo di ele-menti erbacei di scarso o nullo pregio pabulare (equiseti, felci, piante spinose, ranuncoli), normalmente rifiutati dal bestiame bovino.

Foto 1 e 2 – Effetti della mandrature e del pascolo su alcune specie legnose

Foto 3 e 4 – Effetti della mandrature e del pascolo su alcune specie legnose (segue)

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Tabella 1 – Elenco delle specie utilizzate dagli ovini durante il periodo di monitoraggio

Specie erbacee Specie arbustive

Achillea millefolium Alnus viridis

Alchemilla vulgaris Corylus avellana

Anthoxanthum alpinum Junuperus nana

Arrhenatherum elatius Lonicera nigra

Carum carvi Rhododendron ferrugineum

Chenopodium album Rosa acanina

Cirsium spinosissimum Rubus idaeus

Deschampsia caespitosa Vaccinium myrtillus

Dryopteris filix-mas Vaccinium uliginosum

Equisetum arvense

Festuca pratensis

Galium mollugo

Geranium pratense

Hypericum maculatum

Leontodon hispidus

Nardus stricta

Pimpinella major Specie arboree

Plantago lanceolata Betula alba (foglie e corteccia)

Polygonum bistorta Castanea sativa (foglie)

Ranunculus acris Fraxinus excelsior (foglie e corteccia)

Rumex acetosa Larix decidua (foglie e corteccia)

Silene vulgaris Picea excelsa (foglie e corteccia)

Taraxacum officinale Prunus cerasus (foglie e corteccia)

Thalictrum minus Salix sp.

Trifolium repens Tilia cordata (foglie e corteccia)

Profili floristici e biodiversita specificaLe Tabelle 2 e � rendicontano circa le composizioni floristiche delle comunità prative e forestali con i rispettivi indici di biodiversità specifica, indice foraggero e indice N.

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Tabella 2 – Composizione floristica delle comunità prative

Prato sfalciato Prato pascolato Mandratura 1 Mandratura 2Achillea millefolium 1 1 1 �Aegopodium podagraria . . 17 2Alchemilla vulgaris 8 � 1 +Angelica sylvestris . . 1 .Anthoxanthum odoratum 2 4 . .Arrhenatherum elatius 1� 8 . 1Carum carvi 1 . . .Castanea sativa . . + .Chaerophyllum hirsutum . . . 12Chenopodium album . . . 1Crocus albiflorus + . . .Dactylis glomerata 2 6 . +Dryopteris filix-mas + . + .Equisetum arvense . + 8 2Festuca rubra . . 1 .Galium mollugo . + 2 .Geranium pratense 6 + . .Geranium sylvaticum . . 10 12Heracleum sphondylium . 4 . 2Hypericum maculatum + . 1 �Knautia dipsacifolia + . . .Lathyrus spp. + . . .Leontodon hispidus . . . +Lolium perenne . 12 . .Myosotis arvensis + + . .Ornithogalum umbellatum + . . .Phleum pratense 2 . . .Pimpinella major � 2 � 2Plantago lanceolata . . . +Poa pratensis 1 . . .Poa trivialis 2 . . .Polygonum bistorta 1� . 1� 12Potentilla spp. + . . .Prunella vulgaris . + . .Ranunculus acris � 7 � �Rumex acetosa 7 4 2 7Silene dioica . + . .Silene vulgaris + � + 1Taraxacum officinale � 8 � 10Thalictrum minus + . . .Trifolium pratense � 12 + �Trifolium repens + 1� + 1Trisetum flavescens 1� � 29 11Trollius europaeus � . 1 .

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Prato sfalciato Prato pascolato Mandratura 1 Mandratura 2Urtica dioica . . . 7Veronica chamaedrys 1 + . .Vicia cracca 2 � . .Vicia spp. + . + .Viola spp. . . + .Indice di Shannon 4 �,82 �,28 �,81Ricchezza floristica �1 2� 2� 2�Indice di equiripartizione 0,81 0,8� 0,72 0,84Valore foraggero 4,8� �,8� 4,04 �,��Indice N di Landolt �,68 �,6 �,76 �,7

Tabella 3 - Composizione floristica delle comunità prative

Bosco indisturbato Bosco pascolatoAcer pseudoplatanus . 1Actaea spicata 1 1Aegopodium podagraria 20 1�Agrostis sp. . 0,�Alnus incana . 10Aruncus dioicus 1� 11Betula pendula . �0Cardaminopsis halleri . �Castanea sativa � .Chaerophyllum hirsutum . 1Chrysosplenium alternifolium . �Convallaria majalis � .Corylus avellana 10 10Dryopteris filix-mas 2 �Equisetum sylvaticum 1 .Fragaria vesca 1 .Fraxinus excelsior � 10Geranium pratense � .Geranium robertianum � 1Hieracium sylvaticum + 1Knautia drymeia 1 .Lamiastrum galeobdolon . +Lonicera xylosteum 11 .Luzula nivea 1 .Majanthemum bifolium . 1Myosotis decumbens . �Myosotis sylvatica � .

Tabella 2 – Composizione floristica delle comunità prative (segue)

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Bosco indisturbato Bosco pascolatoOrnithogalum umbellatum . �Oxalis acetosella 2 17Polygonum bistorta 11 10Polypodium vulgare . 1Prunus cerasus � .Quercus petraea 1� .Ranunculus aconitifolius . 1Rosa canina . 1Rumex acetosa . +Sorbus aucuparia 10 �Stellaria media . 1Thalictrum aquilegifolium 1� 10Tilia cordata �0 ��Veronica chamaedrys 1 .Veronica urticifolia . �Viola biflora . 1Sp. . 1Indice di Shannon �,8� 4,07Ricchezza floristica 2� �2Indice di equiripartizione 0,82 0,81Valore foraggero 1,7 1,2�Indice N di Landolt 2,8� 2,9

I popolamenti erbacei sono tutti classificabili nell’associazione del Trisete-tum flavescentis, con però aspetti ancora molto evidenti dell’associazione più termofila e di minore altimetria di Arrenatheretum elatioris. La diversa gestione ha per altro ripercussioni sugli assetti floristici. Rispetto alla pratica ordinaria dello sfalcio (pratica per altro piuttosto estensiva, come testimo-niato dalla non trascurabile presenza di specie nemorali), il pascolamento va anzitutto a ridurre la biodiversità. Vengono persi alcuni tra gli elementi più tipici del prato (Carum carvi, Phleum pratense, Poligonum bistorta, Poa pratensis e P. trivialis) e della cintura ecotonale con il bosco (Dryopteris fi-lix-mas, Hypericum maculautm e Thalictrum minus), senza che si abbia un ingresso apprezzabile di elementi pastorali. Il lieve miglioramento strutturale (incremento dell’indice di equiripartizione) non basta così a controbilancia-re la diminuzione di ricchezza floristica. Migliora invece l’indice foraggero, mentre cala un poco l’indice N. Appena più accentuate sono le alterazioni nei siti di mandratura. Pur assumendo maggior carattere nitrofilo, i popo-lamenti non sembrano risentire più di tanto in termini di biodiversità, ciò essenzialmente in virtù della persistenza di un buon contingente di quelle specie nemorali che, in precedenza, avevano invaso le cotiche. Peggiora invece in misura più consistente il valore pabulare.

Tabella 3 - Composizione floristica delle comunità prative (segue)

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I due consorzi forestali sono riconducibili all’alleanza del Carpinion betuli, ma anche in essi si riconoscono elementi di altri syntaxa, in particolare di Fagion sylvaticae e Alno-Ulmion. Se le differenze di composizione osservabili nel-lo strato arboreo sono indipendenti dal pascolamento, quelle a carico dello strato erbaceo sembrano potersi ascrivere alle frequentazioni animali, come lascerebbe intendere l’incremento della fertilità azotata del substrato. Tali dif-ferenze si traducono in un aumento di biodiversità, mentre il valore foraggero è troppo condizionato dalla copertura arborea per evidenziare risposte di un qualche significato.

Qualità biologica dei suoliL’analisi della varianza (Tabella 4) rileva scostamenti statisticamente probanti tra le medie di QBS delle quattro realtà indagate. Come atteso, agli estremi della graduatoria si collocano il bosco indisturbato e il prato mandrato, ossia le situazioni nell’ordine più vicina e più distante dalla naturalità. Sempre in linea con quanto preventivabile, anche il bosco pascolato denuncia valori piuttosto bassi, mentre il prato pascolato si attesta su picchi non inferiori stati-sticamente a quelli del bosco indisturbato. Nel caso della mandratura, il dato potrebbe aver risentito dei trattamenti verminicidi praticati al gregge. Comun-que, tutti i valori paiono coerenti con quanto riportato in bibliografia e superiori a quelli di agrosistemi intensivi21.

Tabella 4 – Analisi della varianza tra le medie di QBS delle quattro realtà indagate

Trattamenti MediePrato pascolato 122 abMandratura 94 bBosco indisturbato 142 abBosco pascolato 102 bSignificatività trattamenti 0,0�

L’analisi della varianza segnala anche la non additività degli effetti. Gli anda-menti temporali del parametro sono infatti discordanti (Figura 2). La dinamica naturale, descritta dal bosco indisturbato, si caratterizza per un incremento ini-ziale, una stasi estiva e una diminuzione finale, funzione essenzialmente delle temperature ambientali. Il passaggio del gregge modifica gli andamenti, in-nescando in ogni situazione processi regressivi che, nella parte finale della stagione, vanno a comprimere, fino ad annullare, gli scarti tra i trattamenti. Oc-corre per altro segnalare come l’ultimo controllo possa aver risentito di un forte abbassamento della temperatura, causa di approfondimento nel suolo di parte della microfauna.

21 Per i suoli forestali si danno livelli di 1�0÷200, per i prati stabili 100÷190, per gli erbai di medica �0÷100, per le coltivazioni di bietole �0÷60 e per il mais �0÷40 (fonte: www.provincia.parma.it).

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Figura 2 – Andamento della QBS in funzione del tempo

Conclusioni

Lo studio conferma anzitutto la spiccata capacità degli ovini di recuperare e con-servare le praterie e gli spazi aperti nel dominio climacico delle foreste montane di latifoglie. Le possibilità di regolazione della pressione animale offerte dal pa-scolamento e dalla mandratura consentono infatti di governare i consumi delle specie invasive, legnose ed erbacee. Nei prati in fase di rinaturalizzazione, l’utiliz-zazione ripetuta per quattro anni ha permesso non solo un ampio e abbondante prelievo di questi elementi, ma ha anche arrecato loro danni ragguardevoli, tali da arrestare l’avanzata del bosco e restituire ai popolamenti erbacei gli spazi che l’abbandono aveva loro sottratto, con tutti i vantaggi derivanti in termini di valore paesaggistico, biodiversità ecosistemica e potenzialità trofiche.Riflessi positivi ha avuto anche il pascolamento in bosco, tradottosi in un maggior controllo del sottobosco e nel potenziamento dello strato erbaceo, ossia, in definitiva, in un miglioramento della funzione protettiva, alimentare e ricreativa del sistema.Una pressione elevata, quale ad esempio si è riscontrata soprattutto nelle aree di mandratura, si è tuttavia dimostrata negativa per la biodiversità specifica, sia vegetale, sia di microfauna edafica. Il fenomeno, oltre che all’azione diretta di prelievo, calpestio e fertilizzazione esercitata dal bestiame, potrebbe essere dipeso dal trattamento farmacologico di sverminatura praticato al gregge (un aspetto, questo, che meriterebbe di essere approfondito).

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26.VI 18.VII 11.VIII 12.XI

Mandratura Prato pascolato

Bosco indisturbato Bosco pascolato

Passaggiogregge

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Una gestione razionale di questi spazi non può dunque prescindere da una definizione molto accurata dei carichi animali e dei siti di mandratura, nella ricerca di un equo compromesso tra la necessità di controllare efficacemente le invasioni di specie indesiderate e la conservazione di un’elevata qualità bio-logica degli ecosistemi.

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INTERAZIONI SPAZIALI E ALIMENTARI TRA CAPRE Ed ALTRI ERBIVORI NELLE ALPI CENTRALI

Mattiello S.1, Heroldová M.2, Homolka M.2, Kamler J.2, Ghezzi C.1, Andreoli E.1, Redaelli W.�

1 iStitUto Di zootECniCa FaCoLtà Di VEtERinaRia - Università degli Studi di milano� inStitUtE oF VERtEBRatE BioLogY, Brno Repubblica Ceca� Comitato Di gEStionE DEL ComPREnSoRio aLPino DELLa CaCCia Di SonDRio

Riassunto

Scopo del lavoro è stato quello di raccogliere informazioni sulle relazioni tra capre e altri erbivori domestici e selvatici conviventi all’interno di una stessa valle alpina (Val Fontana, Provincia di Son-drio) al termine del periodo di pascolo estivo, al fine di ottimizzare l’uso delle risorse disponibili in modo ecologicamente sostenibile. Sono stati valutati l’uso dello spazio da parte delle varie specie di erbivori presenti sul territorio, la composizione della dieta di ciascuna specie e l’impatto sulla vegetazione dovuto all’attività alimentare degli animali.E’ emerso che la presenza degli ungulati domestici (prevalentemente capre e bovini) si è concen-trata nei pascoli di media quota, mentre i selvatici utilizzavano uniformemente tutto il territorio, fino ai pascoli alpini di alta quota.La dieta della capra ha presentato un indice di similarità relativamente elevato con quella del ca-priolo (71.�%), ma relativamente basso con quella del camoscio (22.�%), del cervo (18.1%) e del bovino (14.4%). Infatti, sia la capra che il capriolo hanno dimostrato una forte preferenza per parti di piante semi-legnose e legnose (che insieme costituivano oltre il 70% del contenuto fecale). Le altre specie hanno invece manifestato una netta preferenza per il pascolo (oltre il 70% del contenuto fecale).L’impatto del pascolamento sulla vegetazione arborea ed arbustiva è risultato decisamente marcato nell’area maggiormente utilizzata dal bestiame domestico, probabilmente soprattutto in relazione all’attività di brucatura da parte delle capre.In conclusione, la situazione specifica della Val Fontana non sembra presentare particolari problemi di interazione alimentare dovuti alla presenza delle capre, inquanto una potenziale competizione sembra possibile solo con il capriolo, che può però evitarla andando ad utilizzare aree non acces-sibili al bestiame domestico. Il particolare comportamento alimentare della capra va comunque tenuto in considerazione sia in relazione alla presenza del capriolo (nel caso in cui la sovrapposi-zione spaziale tra le due specie sia obbligata), sia in relazione al forte impatto che può avere sulla vegetazione arborea ed arbustiva.

Parole chiave: capre, ungulati selvatici, dieta, impatto ambientale.

Abstract

In order to improve environmentally sustainable management strategies of available resources, we collected information on the relationship among goats and other domestic and wild herbivore spe-cies living in the same alpine valley (Val Fontana, Province of Sondrio, Italy). For each species we evaluated space use and diet composition and the impact on vegetation was determined too.We found that the presence of domestic species (mainly goats and cattle) was concentrated in pasture areas located at medium altitudes, while wild species were more uniformly distributed and used also upper woods, rocky slopes and high areas above the timber line.Goat diet showed a high Similarity Index with roe deer diet (71.5%), but a low Similarity Index with chamois (22.3%), red deer (18.1%) and cattle (14.4%) diets. Both goats and roe deer preferred shrubs and broadleaved species (more than 70% of faecal content), while the other species beha-ved mainly as grass eaters (pasture represented more than 70% of faecal content). The impact on

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vegetation was quite high in the areas frequently used by domestic species, probably in response to the severe browsing activity operated by goats.We can conclude that, in the specific situation observed in Val Fontana, the presence of goats raises no real problems of feeding interactions with other species. A potential feeding competition seems to be possible only with roe deer, but this species can avoid it using different areas, not accessible to domestic stocks.However, goat feeding behaviour must be taken into account both in relation to the presence of roe deer (when spatial overlap is likely to occur), and to the potential impact on the vegetation.

Key words: goats, wild ungulates, diet, environmental impact.

Introduzione

Durante il periodo estivo, i pascoli alpini rappresentano una risorsa comune per varie specie di ungulati domestici e selvatici. In alcune situazioni, come quella studiata nel presente lavoro, è stata accertata la sovrapposizione spaziale tra varie specie (Mattiello et al., 200�). In questi casi, se le risorse ambientali sono oggetto di utilizzo comune tra le diverse specie animali e se sono presenti in quantità limitata, è possibile che si verifichi uno sfruttamen-to eccessivo della vegetazione presente e che si instaurino le condizioni per una competizione alimentare (Putman, 1986; Bassano, 1994). Questa com-petizione sarà tanto più intensa quanto più simili sono le abitudini alimentari delle specie conviventi (Mattiello, 2006). Studi preliminari effettuati in Val Fontana sulle interazioni alimentari tra cervi e bovini hanno evidenziato una maggior sovrapposizione della dieta in settembre, al termine del periodo di pascolo dei domestici, quando le risorse pascolive a disposizione degli animali iniziano a scarseggiare (Mattiello et al., 1997). La successiva intro-duzione nella medesima area di pascolo di un numeroso gregge di capre ha scatenato nuovi interrogativi sull’impatto che questi animali potevano avere sulla vegetazione e sulle loro interazioni con le altre specie presenti sul ter-ritorio. Scopo di questa ricerca è quindi stato quello di verificare tali effetti, al fine di ottimizzare l’uso delle risorse disponibili in modo ecologicamente sostenibile.

Materiali e metodi

La ricerca è stata svolta in Val Fontana, una valle laterale della Valtellina, orientata da nord a sud, posta sul versante retico delle Alpi nei comuni di Chiuro e Ponte in Valtellina (SO). La valle presenta una superficie totale di circa 7420 ha e altitudinalmente si estende dai �00 m s.l.m. del fondovalle ai circa ��00 m s.l.m. del Pizzo Scalino. In questo dislivello si distribuiscono i vari orizzonti vegetazionali che vanno dal piano sub-montano a quello alpi-no, mettendo a disposizione della popolazione di ungulati selvatici una vasta varietà di habitat; il clima è di tipo “freddo continentale”. La raccolta dei dati è avvenuta nel mese di settembre, appena prima del termine del periodo di alpeggio, quando le risorse alimentari disponibili sono più limitate (Mattiello et

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al., 2002) e la sovrapposizione della dieta tra domestici e selvatici era in pas-sato risultata più elevata che durante il resto dell’estate (Mattiello et al., 1997). Durante l’anno di studio, nella valle sono stati censiti 77 caprioli, 264 cervi e �0� camosci (dati forniti dal Comprensorio Alpino della Caccia di Sondrio), mentre i domestici ufficialmente monticati erano rappresentati da 44 bovini, 1�� ovi-caprini (prevalentemente capre) e 2 equini (dati forniti dalla A.S.L. di Sondrio). Data la scarsa numerosità di ovini ed equini presenti al momento dell’indagine, i dati relativi a queste specie non sono stati presi in considera-zione per la discussione dei risultati.L’uso dello spazio da parte delle varie specie animali è stato valutato mediante conta delle feci su 829 aree campione di 20 m2, distribuite su porzioni di territorio rappresentative di varie situazioni geografico-vege-tazionali, in una fascia altitudinale compresa tra 1400 e 2400 m s.l.m..La composizione della dieta è stata determinata mediante analisi micro-scopica dei frammenti vegetali presenti nelle feci (10 campioni di feci per ogni specie animale), secondo il metodo descritto da Heroldová (1997). Sono state distinte le seguenti categorie vegetali: pascolo (specie erba-cee appartenenti alla famiglia delle graminacee o affini, quali ad esempio Cyperaceae o Juncaceae), dicotiledoni (ranuncolo, rumex, ortica, trifoglio, ecc.), muschi e felci, semi, corteccia, mirtillo (parte erbacea), aghi di co-nifere, lampone (parte erbacea), latifoglie e parti non identificate. E’ stato quindi calcolato un indice di similarità delle diete (Indice di Similitudine di Kulcynski) tra le diverse specie di ruminanti mediante la formula indicata da Marchandeau (1992).L’impatto sulla vegetazione è stato valutato in 29� aree campione di 1 m2 di superficie, rappresentative delle differenti situazioni geografico-vegetazionali. Per le principali specie arboree (larice e ontano), l’impatto è stato indicato come il rapporto tra numero di germogli brucati e numero totale di germogli presenti. Per quanto riguarda il larice sono stati considerati solo gli individui giovani, esaminando la parte di albero al di sotto della “linea di brucatura”. Nel caso del lampone, rappresentativo della vegetazione arbustiva, oltre alla percentuale di brucatura è stata misurata anche l’altezza media delle piante. Relativamente allo strato erboso, dato che la raccolta dei dati è stata effet-tuata all’inizio dell’autunno, è stato possibile selezionare come indicatore di impatto solo la felce. L’impatto su questa specie è stato stimato mediante valutazione della percentuale di brucatura di ciascuna pianta esaminata; a tal fine, sono state create � categorie: <1 % di brucatura, 1-2� % di brucatura, 26-�0% di brucatura, �1-7� % e > 7� % di brucatura.

Risultati e discussione

Uso dello spazioLa densità media di feci per ciascuna specie animale considerata su aree cam-pione di 20 m2 in differenti situazioni geografico-vegetazionali è illustrata nella Figura 1.

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Figura 1 – Densità media di feci per ciascuna specie animale considerata su aree campione di 20 m2 in differenti situazioni geografico-vegetazionali.

La distribuzione delle feci di cervi e camosci evidenzia la presenza di queste specie selvatiche in tutta l’area studiata. Feci di capriolo sono state invece rinvenute solo ad altitudini inferiori ai 1800 m s.l.m. Questi dati confermano quanto già rilevato con osservazioni dirette sull’uso delle fasce altitudinali da parte delle tre specie di ruminanti selvatici presenti in Val Fontana (Mattiello et al., 1997). Gli animali domestici pascolano invece solo su di una piccola parte dell’area di indagine: le loro feci sono state infatti ritrovate in meno del 10% delle aree campione esaminate. In particolare, la densità più elevata, sia per le capre che per i bovini, è stata osservata nelle aree di pascolo più aperte e pianeggianti, a quote relativamente poco elevate. La loro densità decresce con l’aumentare dell’altitudine e la loro presenza è decisamente sporadica nelle aree al di sopra dei 1700 m s.l.m., caratterizzate da boschi di alta quota, pendenze rocciose e, più in alto, da pascoli d’alta quota (oltre il limite della vegetazione arborea).

Analisi della dietaNella situazione analizzata, la capra ha mostrato abitudini alimentari di tipo spiccatamente brucatore (“browser”). Ha infatti dimostrato una netta pre-ferenza per essenze arboree e arbustive (soprattutto latifoglie e parti erba-cee delle piante di lampone), piuttosto che per il pascolo. In particolare, è da notare anche la presenza nella dieta di questo erbivoro di un’elevata percentuale (8.1%) di corteccia d’albero. Questi dati sono parzialmente in contrasto con la classificazione di Hofmann (1989), secondo cui la capra è un pascolatore di tipo intermedio, e potrebbero essere imputabili al fat-to che nell’area di studio, alla fine dell’estate, la biomassa del pascolo è

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pascoli pianeggianti

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boschi bassa quota

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notevolmente ridotta (Mattiello et al., 2002), per cui la capra dimostra la propria flessibilità alimentare rivolgendo l’attenzione verso essenze vege-tali differenti. La composizione della dieta della maggior parte degli altri erbivori (bovini, cervi e camosci) si differenzia decisamente da quella della capra, in quanto queste specie si comportano essenzialmente da pasco-latori, come indicato dall’elevato consumo di pascolo, presente in quantità che variano dal 6�.1 al 92.1% del contenuto fecale. L’unica specie che ha manifestato un comportamento alimentare simile a quello della capra è il capriolo, che risulta infatti essere un tipico brucatore (Hofmann, 198�) (Figura 2). Ovviamente, ne consegue che la dieta della capra ha presen-tato un indice di similarità relativamente elevato con quella del capriolo (71.�%), ma relativamente basso con quella del camoscio (22.�%), del cervo (18.1%) e del bovino (14.4%).

Figura 2 – Composizione percentuale della dieta di ciascuna specie animale considerata

Impatto sulla vegetazioneLo sfruttamento delle risorse alimentari a disposizione degli erbivori è stato determinato nelle aree in cui erano maggiormente presenti le varie specie vegetali di volta in volta considerate.Per quanto riguarda la vegetazione arborea, sia il larice che l’ontano sono risultati molto sfruttati nelle aree più utilizzate dagli animali domestici, quali i pascoli pianeggianti e, limitatamente all’ontano, anche i conoidi di deiezione circostanti (Figura �). Per l’ontano, l’impatto in queste aree è così elevato che praticamente il 100% dei germogli risulta intaccato da brucatura. L’im-patto sulle specie arboree è risultato invece decisamente più limitato nelle aree boscose, poco frequentate dai domestici.

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latifoglie lamponeaghi coniferemirtillocorteccianon identificatosemimuschi/felcidicotiledonipascolo

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Figura 3 – Impatto sulla vegetazione arborea, espresso come percentuale di germogli intacca-ti da brucatura sul totale dei germogli contati in differenti situazioni geografico-vegetazionali

Il lampone, come dimostrato dall’analisi della composizione della dieta, rap-presenta una risorsa alimentare importante per ungulati della Val Fontana. In questa valle, questa specie è sottoposta ad una forte pressione in tutte le località considerate. Sui pascoli pianeggianti l’altezza di ogni singola pianta di lampone non supera i 10 cm (l’altezza media è di � cm) e tutte le pian-te presenti risultano intaccate da brucatura (Figura 4). A mano a mano che sale la quota, l’impatto sul lampone diminuisce. L’impatto più basso è stato registrato nei boschi d’alta quota, dove la presenza di erbivori è limitata alle specie selvatiche.

Figura 4 – Impatto sulle piante di lampone, espresso come percentuale di piante brucate sul totale delle piante presenti e in funzione dell’altezza media delle singole piante in differenti situazioni geografico-vegetazionali

La felce, uniformemente distribuita in tutta la valle, risulta essere fortemente impattata nei pascoli pianeggianti e sui conoidi di deiezione (Figura �), cioè nelle aree maggiormente frequentate da capre e bovini. Anche in questo caso, la presenza di piante appartenenti alle categorie soggette a maggior brucatura è meno frequente nelle aree boscate, non frequentate dai domestici.

sul totale dei germogli contati in differenti situazioni geografico-vegetazionali

a) LARICE

0102030405060708090

100

pascolipianeggianti

boschibassa quota

boschi altaquota

%

b) ONTANO

0102030405060708090

100

conoidi dideiezione

pascolipianeggianti

boschi bassaquota

boschi inpendenza

%

vegetazionali

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

pascolipianeggianti

conoidi dideiezione

boschi altaquota

alte

zza

(cm

)

0102030405060708090100

% piante brucate

altezza % piante brucate

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Figura 5 – Impatto sulla felce, espresso come percentuale di piante appartenenti a ciascuna delle cinque categorie di brucatura (riportate in legenda), in differenti situazioni geografico-vegetazionali

Conclusioni

L’impatto del pascolamento sulla vegetazione arborea ed arbustiva è risultato decisamente marcato nell’area maggiormente utilizzata dal bestiame domesti-co. L’analisi della composizione della dieta degli erbivori domestici presenti sul territorio (capre e bovini) suggerisce che questo impatto sia dovuto prevalen-temente all’attività di brucatura da parte delle capre, che includono infatti nella loro dieta una considerevole proporzione di latifoglie e piante di lampone. L’im-patto è risultato decisamente minore nelle aree utilizzate solo dai selvatici.In conclusione, la presenza delle capre nella situazione specifica della Val Fon-tana non sembra porre particolari problemi di interazione alimentare con altri er-bivori presenti, in quanto la dieta della capra presenta un coefficiente di sovrap-posizione elevato solo con quella del capriolo, il quale utilizza però prevalen-temente aree non accessibili al bestiame domestico. In generale, il particolare comportamento alimentare della capra va comunque tenuto in considerazione sia in relazione alla presenza del capriolo (nel caso in cui la sovrapposizione spaziale tra le due specie sia obbligata), sia in relazione al forte impatto che può avere sulla vegetazione arborea ed arbustiva.

Ringraziamenti

Siamo infinitamente grati all’Associazione Nazionale Alpini di Ponte in Valtellina per averci ospitato presso la Caserma di Campello durante il periodo di rileva-mento dati. Ringraziamo inoltre il Comprensorio Alpino della Caccia di Sondrio e la ASL di Sondrio per i dati sulla presenza degli animali selvatici e domestici in Val Fontana. Questa indagine è stata realizzata con parziale contributo dei fondi FIRST.

0

10

20

30

40

50

60

70

pascolipianeggianti

conoidi dideiezione

boschibassa quota

boschi altaquota

%

< 1%

1-25%26-50%

51-75%

> 75%

PERCENTUALE DI BRUCATURA

Conclusioni

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uN MOdELLO A SuPPORTO dELLE ATTIVITà MALGHIVE NELLE ALPI ORIENTALI

Venerus S.1, Dovier S.1, Pasut D.2, Bovolenta S.3

1 agEnzia REgionaLE PER Lo SViLUPPo RURaLE - Regione autonoma Friuli Venezia giulia� SEttoRE agRiCoLtURa aziEnDE SPERimEntaLi E DimoStRatiVE - Provincia di Pordenone� DiPaRtimEnto Di SCiEnzE animaLi - Università degli Studi di Udine

Riassunto

Il presente lavoro è stato realizzato nell’ambito di un progetto europeo per lo sviluppo dell’attività alpicolturale di un’area montana del Friuli Venezia Giulia che coincide con il settore friulano delle Prealpi Venete. In questo territorio sono ancora utilizzati 2� alpeggi (“malghe”) di proprietà pubblica gestiti da 1� aziende della pedemontana pordenonese. L’insieme dei pascoli e delle strutture gestite da un’unica azienda è stato indicato con il termine di unità gestionale. La raccolta di dati a livello aziendale e territoriale e la realizzazione di prove di campo hanno consentito di definire un modello decisionale, rivolto a gestori e proprietari, che consente di studiare diverse ipotesi di sviluppo. Una prima analisi ha permesso di suddividere le unità gestionali in quattro gruppi omogenei; successi-vamente è stata applicata la metodologia propria dell’analisi multicriteria per valutare la vocazione delle stesse unità gestionali a soddisfare diversi scenari riconducibili al pascolo, al prodotto, al turismo.

Abstract

A model to support Alpine Farms in Eastern Alps - This work is a part of an European project for the agricultural development of mountain area of Venetian Prealps in the Province of Pordenone. It has involved 25 public Alpine farms (“malghe”) run by 13 local farms of the plain. In this case we considered as management unit the pastures and the structures managed by just one local farm. In order to set up a prevision model of mountain development we picked up information about local farms and pastures. The aim of this model is to support the owners and the pasture managers in the decisions. After the first analysis we could group the different management units into four homogeneous groups; then was analysed (multicriteria analysis) the capacity of this management units to satisfy some scenarios about pasture, product and tourism.

Introduzione

Il territorio montano del Friuli Venezia Giulia è caratterizzato da una condizione economica e sociale che lo distingue negativamente da gran parte delle altre aree alpine (Nomisma, 200�). La densità abitativa è nettamente inferiore alla media della montagna europea e perdura lo spopolamento, che in altre realtà si è arrestato. Di conseguenza anche le tradizionali attività agricole, come la foraggicoltura e l’alpeggio, risultano drasticamente ridotte. Questo fenomeno è particolarmente evidente nella prima fascia montana delle Alpi orientali, nono-stante la facilità di accesso dalla pianura. Fa eccezione l’area dei comuni pede-montani situati nella parte occidentale della regione dove il settore zootecnico è ancora piuttosto dinamico (IRES, 2002).

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1�0

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Da qui l’interesse dell’Ente pubblico e dell’Università di Udine per lo svilup-po di un progetto a supporto delle attività alpicolturali (Pasut et al., 2006). Attraverso la raccolta di dati aziendali e territoriali e la realizzazione di prove di campo è emerso un quadro piuttosto eterogeneo in termini di superfici pascolate, di numero e tipo di animali, di strutture e infrastrutture presenti. È stato quindi elaborato un modello per valutare la vocazione delle aziende a soddisfare diversi scenari riconducibili al pascolo, al prodotto, al turismo (Bovolenta et al., 2006).

Materiale e metodi

L’area di studio comprende la zona montana riferibile al settore friulano delle Prealpi Venete, in Provincia di Pordenone. Dal punto di vista morfologico e pe-dologico l’area è caratterizzata da una serie di altopiani carsici intervallati da conche, dossi, crepacci e doline, che si affacciano sulla pianura pordenonese. Nonostante il clima sia di tipo alpino, con precipitazioni piuttosto abbondanti, la natura calcarea del suolo determina scarsità di acqua. La vegetazione bo-schiva è in gran parte dominata dal faggio, mentre quella pascoliva è piuttosto variabile, a causa dei forti gradienti di fertilità e della diversa pressione zootec-nica operata nel passato.In questo territorio 1� aziende agricole, che hanno sede nella pedemontana pordenonese, gestiscono le 2� malghe, in parte accorpate, ancora presenti. Per indicare l’insieme di edifici e pascoli gestito dalla medesima azienda si è utilizzato il termine di “Unità gestionale”. Nelle aziende agricole che fanno uso dei pascoli nel periodo estivo sono allevati principalmente bovini da latte, ovini e caprini (Pasut et al., 2004).Le informazioni sulle principali caratteristiche delle unità gestionali sono sta-te raccolte attraverso rilievi mirati, l’utilizzo di questionari specifici e l’analisi del materiale disponibile. I dati raccolti sono stati strutturati in un database, nel quale sono state inserite 7� variabili suddivise in sette classi: caratte-ristiche stazionali, pascolo, animali, prodotti, gestione, turismo, strutture e infrastrutture. Le variabili scelte possono essere binarie, ossia esprimere un dato di presenza/assenza, oppure ordinali, secondo una scala che assegna il punteggio più alto alla migliore situazione. Un processo di selezione ha consentito di ridurre il numero di variabili, attraverso l’esclusione di quelle ridondanti o alle quali non poteva essere attribuito un punteggio in modo oggettivo. Sono state inoltre escluse le variabili poco significative, cioè dallo scarso potere descrittivo.In conformità a tali criteri d’esclusione e al fine di semplificare ulteriormente il modello, sono state mantenute �6 delle 7� variabili iniziali. Ciascuna va-riabile è stata identificata con un numero progressivo, il nome e la legenda, che definisce la corrispondenza tra le classi della scala e gli intervalli di valori. E’ stata inoltre riportata una breve descrizione della variabile e l’inter-pretazione del significato che essa assume negli alpeggi dell’area di studio (Tabella 1).

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1�1

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Tabella 1 - Variabili selezionate per l’analisi descrittiva

N. Nome Legenda descrizione Significato

1 Pendenza 40%0 = assenza; 1 = presenza

Presenza di pascoli con pendenza mag-giore al 40%.

Presenza di aree non utilizzabili con animali pesanti e sulle quali non possono essere effet-tuati interventi mecca-nici.

2 Recinti fissi

0 = assenti; 1 = delimitano parte dei pascoli; 2 = delimitano tutti i pascoli

Presenza di recinzioni fisse, indipendente-mente dal tipo.

Implicazioni sulla ge-stione degli animali, in particolare sulla modali-tà di pascolamento.

� Recinti mobili0 = assenza; 1 = presenza

Presenza di recinzioni mobili.

Implicazioni sulla ge-stione degli animali, in particolare sulla modali-tà di pascolamento.

4 Densità acqua

1 = 1-� punti/kmq; 2 = 6-10 punti/kmq; � = 11-1� punti/kmq; 4 = >1� punti/kmq

Rapporto tra il numero di punti di abbevera-ta (fissi o mobili) e la superficie pascolata (espressa in kmq).

Valuta la disponibilità di punti di abbeverata nei pascoli. L’unità di misura scelta (punti/kmq) per-mette il confronto tra le unità gestionali.

�Distanza fondovalle

1 = >20 km; 2 = 1�-20 km; � = 10-1� km; 4 = <10 km

Distanza dal fondo-valle alla malga se-guendo la strada più breve.

Valuta la distanza del-la malga dalla Pede-montana o dall’abitato di Barcis. Implicazioni turistiche e gestionali (costi).

6Superficie utilizzata

1 = <10 ha; 2 = 10-�0 ha; � = �1-80 ha; 4= >80 ha

Superficie attinente alla U.G. ridotta delle aree boscate e roc-ciose, delle strade principali e degli edi-fici.

Stima della superficie effettivamente pascola-ta.

7Distribuzione cespugli

1 = macchia compatta; 2 = a gruppi; � = spar-si; 4 = assenti

Presenza di cespugli nei pascoli.

La presenza dei cespu-gli può indicare un in-sufficiente o irrazionale utilizzo delle superfici a pascolo.

8 Infestanti

1 = concentrate nei pascoli più produttivi; 2 = distribuite omo-geneamente su tutto il pascolo

Presenza e tipo di distribuzione nello spazio della flora infe-stante.

Specie infestante = pianta erbacea o arbu-stiva velenosa, tossica, e poco o completa-mente non appetita. La presenza di specie infe-stanti riduce la qualità del pascolo e ha impli-cazioni gestionali.

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1�2

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N. Nome Legenda descrizione Significato

9Distribuzione pascoli

1 = pascoli fram-mentati; 2 = pa-scoli accorpati

Indica il grado di ac-corpamento dei pa-scoli.

Implicazioni sulla ge-stione del pascolo e de-gli animali, in particola-re in relazione al tempo necessario a compiere determinate attività.

10Frequenza decespugliamento

0 = mai; 1 = una volta a stagione; 2 = due volte a stagione

Frequenza interventi di decespugliamento su tutti o su parte dei pascoli.

Implicazioni sulla quali-tà del pascolo, sui tem-pi di lavoro e sui costi.

11Tipo decespugliamento

0 = nessuno; 1 = manuale; 2 = at-trezzatura moto-rizzata non appli-cata alla trattrice

Grado di meccanizza-zione dell’intervento.

Implicazioni sulla quali-tà del pascolo, sui tem-pi di lavoro e sui costi.

12 Concimazione

0 = nessuna con-cimazione; 1 = concimazione or-ganica

Interventi di concima-zione su tutti o su par-te dei pascoli.

Implicazioni sulla qualità e produttività del pasco-lo, sui tempi di lavoro e sui costi.

1�Modalità pascolamento

1 = libero; 2 = guidato (animali condotti dal pa-store in diverse aree - senza uso di recinzioni mo-bili); � = turnato.

Tipo di gestione degli animali al pascolo.

Implicazioni sulla qualità e produttività del pasco-lo, sui tempi di lavoro e sui costi.

14Periodo monticazione

1 = <90 gg; 2 = 90-120 gg; � = >120 gg

Numero di giorni di alpeggio.

Implicazioni gestionali: tipo di gestione, tempi di lavoro e costi.

1� Numero addetti 1 = 1 addetto; 2 = 2-� addetti; � = > � addetti

Numero di persone che forniscono lavo-ro durante il periodo di monticazione, in-dipendentemente dal numero di giornate.

Valuta l’impiego di ma-nodopera per le diverse attività (gestione pasco-lo e animali, attività pro-duttiva e agrituristica).

16Giornate lavorative

1 = 1-�� gg; 2 = �6-2�0 gg; � = 2�1-�00 gg; 4 = > �00 gg

Somma delle giorna-te lavorative fornite da ciascun addetto durante il periodo di monticazione.

Misura l’effettiva ne-cessità di manodopera durante il periodo di monticazione (esclude l’attività agrituristica al di fuori del periodo di alpeggio).

17 Carico totale

1 = < 0,� UBA/ha; 2 = 0,� – 1 UBA/ha; � = > 1 UBA/ha

Espresso in UBA (uni-tà bovine adulte) su ettari di superficie pa-scolata

Valuta il carico totale e le conseguenti implica-zioni gestionali.

Tabella 1 (segue) - Variabili selezionate per l’analisi descrittiva

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1��

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N. Nome Legenda descrizione Significato

18 Facilità acqua

1 = dipende dal-la presenza di un addetto; 2 = dipende par-zialmente dalla presenza di un addetto; � = ac-cesso libero

Facilità di accesso al-l’acqua da parte degli animali.

Valuta se gli animali possono abbeverarsi li-beramente e in qualsiasi momento della giornata oppure se necessitano della presenza di un ad-detto.

19 Animali produttivi

0 = nessun ani-male; 1 = <�0%; 2 = �0-7�%; � = >7�%

Percentuale di anima-li in mungitura (valore medio stagionale).

Fornisce indicazioni sul tipo di gestione zootec-nica in alpeggio (rap-porto tra animali in latta-zione e animali totali).

20 Specie diverse0 = assenza; 1 = presenza

Presenza di animali di specie diverse.

Implicazioni gestionali.

21 Presenza pastore0 = assenza; 1 = presenza

Presenza di un pasto-re che guida gli ani-mali sul pascolo.

Implicazione sulla ge-stione degli animali.

22Integrazione ali-mentare

1 = minima; 2 = adeguata

Correttezza dell’inte-grazione alimentare.

Implicazione sulla ge-stione degli animali.

2� Produzione bovini

0 = assente; 1 = <7� kg; 2 = 7�-12� kg; � = >12� kg

Produzione espressa in kg formaggio/ ca-po/stagione (stimato dati anno 200�).

Fornisce indicazioni sul livello produttivo dei bo-vini da latte alpeggiati. La produzione è espres-sa in kg di formaggio perché tutto il latte pro-dotto in malga viene tra-sformato.

24 Produzione ovini0 = assenza; 1 = <2 kg; 2 = >2 kg

Produzione espressa in kg formaggio/ ca-po/stagione/ (stimato dati anno 200�).

Fornisce indicazioni sul livello produttivo degli ovini da latte alpeggiati. La produzione è espres-sa in kg di formaggio perché tutto il latte pro-dotto in malga viene tra-sformato.

2� Alloggio turisti0 = assenza; 1 = presenza

Numero di posti letto.

Valuta la recettività tu-ristica (alloggio) indi-pendentemente dal tipo (camere, appartamen-ti,…).

26 Pasti freddi0 = assenza; 1 = presenza

Presenza di servizio agrituristico - pasti freddi.

Presenza di un servizio agrituristico che offre pasti freddi o limitato alla vendita diretta dei pro-dotti.

Tabella 1 (segue) - Variabili selezionate per l’analisi descrittiva

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1�4

Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

N. Nome Legenda descrizione Significato

27 Pasti caldi0 = assenza; 1 = presenza

Presenza di servizio agrituristico - pasti caldi

Presenza di un servizio agrituristico che offre anche pasti caldi. Im-plicazioni gestionali e sanitarie.

28 Servizi disabili0 = assenza; 1 = presenza

Presenza di servizi igienici per disabili.

Valuta la qualità del ser-vizio offerto.

29 Energia elettrica

0 = assente (ev. generatore); 1 = pannello fotovol-taico; 2 = elettro-dotto

Disponibilità e origine dell’energia elettrica.

Implicazioni sulla ge-stione della malga e su eventuali attività con-nesse (agrituristica).

�0 Acqua potabile

1 = limitata (po-tabilizzatore o ri-fornimento a val-le); 2 = sempre disponibile (da acquedotto o sor-gente)

Disponibilità e origine dell’acqua potabile.

Implicazioni sulla ge-stione della malga e su eventuali attività con-nesse (agrituristica).

�1Sistema mungitu-ra

0 = assente; 1 = secchio; 2 = sala mungitura

Presenza e tipo di si-stema di mungitura.

Informazione sulle dota-zioni tecniche della mal-ga e implicazioni sulla gestione degli animali.

�2 Caseificio0 = assente; 1 = minicaseificio; 2 = tradizionale

Tipo di caldera del caseificio.

Informazione sulle do-tazioni tecniche della malga e implicazioni sulla trasformazione ca-searia.

��Paesaggio carsi-co

0 = assenza; 1 = presenza

Presenza del paesag-gio carsico.

Implicazioni gestionali e turistiche

�4 Punti panoramici0 = assenza; 1 = presenza

Presenza di punti pa-noramici.

Implicazioni turistiche

��Sentieri escursio-nistici

0 = assenza; 1 = presenza

Presenza di sentieri CAI.

Implicazioni turistiche

�6 Malga isolata 0 = sì; 1 = noIsolamento rispetto ad altre malghe e centri turistici.

Implicazioni turistiche

L’attribuzione di un valore alle variabili ha permesso la costruzione di una matri-ce descrittiva, composta da �6 righe (variabili) e 1� colonne (unità gestionali). Le variabili sono state suddivise in tre categorie (gestore, proprietario, indipen-dente), a seconda che il valore assegnato dipenda dall’azione del gestore, del proprietario o da nessuno dei due (Tabella 2).

Tabella 1 (segue) - Variabili selezionate per l’analisi descrittiva

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1��

Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

Tabella 2 - Matrice descrittiva (�6 variabili x 1� unità gestionali). Viene riportata la categoria di appartenenza di ogni variabile: I = indipendente, G = gestore, P = proprietario.

unità gestionaliN. Categoria Variabili 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 131 I Pendenza 40% 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 1 0 12 I Recinti fissi 1 2 1 2 0 1 2 1 0 2 1 1 0� G Recinti mobili 0 0 0 1 1 1 0 0 0 0 1 1 04 P Densità acqua 2 � � 4 2 2 � 1 2 � 1 4 1� I Distanza fondovalle � 2 2 2 2 1 1 2 1 2 2 1 46 P Superficie utilizzata 2 2 2 1 2 � � � � 2 4 2 �7 I Distribuzione cespugli 1 1 � 1 2 2 4 � 2 4 2 � 28 I Infestanti 2 2 2 1 1 1 2 2 2 1 1 1 29 I Distribuzione pascoli 1 2 2 1 2 2 2 2 1 2 1 1 2

10 GFrequenza decespu-gliamento

1 1 1 2 0 1 1 0 0 0 1 2 0

11 G Tipo decespugliamento 1 2 1 2 0 1 1 0 0 0 2 2 012 G Concimazione 1 1 1 1 0 1 1 0 0 0 1 0 01� G Modalità pascolamento 1 1 1 � 1 1 1 1 1 1 2 2 114 G Periodo Monticazione � 2 2 2 � 2 2 � � 2 � 1 �1� G Numero addetti � 1 2 2 1 2 2 1 1 1 � 2 116 G Giornate lavorative � 2 2 2 1 � 2 1 1 1 4 � 217 G Carico totale 2 2 � � 2 2 2 2 1 2 � 2 218 P Facilità acqua 1 2 1 2 1 2 2 � � � � 2 119 G Animali produttivi 0 � 2 2 0 2 1 0 0 0 1 2 120 G Specie diverse 1 1 0 0 1 1 0 1 0 0 1 1 021 G Presenza pastore 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 122 G Integrazione alimentare 1 1 1 2 1 2 2 1 1 2 2 1 22� G Produzione bovini 0 1 2 1 0 2 2 0 0 0 � 0 024 G Produzione ovini 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 22� P Alloggio turisti 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 026 G Pasti freddi 1 0 0 1 0 1 1 0 0 0 0 1 127 P Pasti caldi 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1 028 P Servizi disabili 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 029 P Energia elettrica 2 2 2 2 1 1 1 1 1 0 2 2 2�0 P Acqua potabile 1 1 1 2 1 1 1 1 1 1 2 2 1�1 P Sistema mungitura 2 1 1 1 0 1 1 0 0 0 2 1 0�2 P Caseificio 0 2 2 0 1 2 2 0 0 0 2 1 0�� I Paesaggio carsico 0 0 1 0 1 1 1 0 1 1 1 0 0�4 I Punti panoramici 1 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 0 1�� I Sentieri escursionistici 0 0 0 1 0 1 1 1 1 0 1 1 1�6 I Malga isolata 1 1 1 1 1 1 0 0 1 1 1 1 0

La matrice è stata elaborata con tecniche di analisi multivariata (cluster analy-sis) al fine di individuare gruppi di unità gestionali simili tra loro. Nell’analisi

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i valori attribuiti alle singole unità gestionali sono stati contemporaneamente considerati e dal loro grado di correlazione sono state individuate le unità con comportamento analogo (Feoli et al., 1982).La matrice descrittiva è stata utilizzata anche per analizzare la vocazione delle unità gestionali a massimizzare alcuni obiettivi, definiti “scenari”. Gli scenari scelti, sintetizzati attraverso parole chiave (in parentesi), sono:• il miglioramento della qualità del pascolo, per ottimizzare la funzione agro-

ambientale degli alpeggi (Pascolo);• la massimizzazione delle produzioni casearie in malga, mantenendo le prati-

che tradizionali (Prodotto);• lo sviluppo di potenzialità turistiche compatibili con la realtà alpicolturale,

ovvero l'attitudine a fornire un servizio di vendita dei prodotti, pasti e alloggio (Turismo).

Alla matrice descrittiva è stata applicata la metodologia propria dell’analisi mul-ticriteria, normalmente utilizzata per operare delle scelte decisionali in campo socio-economico o ambientale (Malczewski, 1999; Janssen e Van Herwijnen, 1994).Vengono riportate in ordine progressivo le fasi metodologiche adottate:1 - Normalizzazione delle variabili. La prima operazione è stata la trasformazio-ne dei valori delle variabili originali secondo una scala di valori compresi tra 0 e 1, al fine di rendere comparabili variabili espresse in scale diverse.2 - Assegnazione e normalizzazione dei pesi. Ad ogni variabile è stato asse-gnato, per ciascun scenario (pascolo, prodotto, turismo), un valore (peso) che ne quantifica l’importanza, secondo la scala riportata in Tabella �. I valori utiliz-zati sono il risultato di diverse prove effettuate con differenti funzioni matema-tiche (Tabella 4). Ogni variabile acquista una diversa importanza secondo lo scenario prospettato. I pesi attribuiti alle variabili sono stati successivamente normalizzati secondo la tecnica precedentemente descritta.

Tabella 3 - Valori di importanza (pesi) attribuiti ad ogni variabile per ogni scenario

Peso Significato

0 Importanza nulla1 Incide in modo indiretto� Incide in modo diretto10 Molto importante

Tabella 4 - Pesi attribuiti alle diverse variabili per ogni scenario

ScenariN. Cat. Variabili Pascolo Prodotto Turismo

1 I Pendenza 40% 1 0 02 I Recinti fissi 10 0 1� G Recinti mobili � 1 04 P Densità acqua 10 10 1� I Distanza fondovalle 1 � 10

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6 P Superficie utilizzata 10 0 07 I Distribuzione cespugli 10 0 18 I Infestanti 10 0 19 I Distribuzione pascoli 10 1 010 G Frequenza decespugliamento 10 0 011 G Tipo decespugliamento � 0 012 G Concimazione 10 0 01� G Modalità pascolamento 10 � 114 G Periodo Monticazione 10 10 101� G Numero addetti � � �16 G Giornate lavorative 1 10 1017 G Carico totale 10 1 018 P Facilità acqua 10 10 019 G Animali produttivi � 10 120 G Specie diverse 10 � �21 G Presenza pastore � � �22 G Integrazione alimentare 1 10 02� G Produzione bovini 1 10 024 G Produzione ovini 1 10 02� P Alloggio turisti 0 0 1026 G Pasti freddi 0 0 1027 P Pasti caldi 0 0 1028 P Servizi disabili 0 0 1029 P Energia elettrica 1 10 ��0 P Acqua potabile 0 10 10�1 P Sistema mungitura 0 10 0�2 P Caseificio 0 � ��� I Paesaggio carsico 1 0 10�4 I Punti panoramici 0 0 10�� I Sentieri escursionistici 0 0 10�6 I Malga isolata 0 0 10

� - Calcolo dell’indice di vocazionalità. Per ogni scenario, si sono calcolati gli indici di vocazionalità di ogni unità gestionale; si sono così ottenute tre serie di indici (pascolo, prodotto, turismo), compresi tra 0 e 1, che esprimono la voca-zione di ogni unità a soddisfare (alle condizioni attuali) un determinato obiettivo (scenario).

Risultati e discussione

Il risultato della cluster analysis è stato rappresentato graficamente attraverso un dendrogramma (Figura 1) che visualizza il livello d’aggregazione delle diver-se unità gestionali lungo una scala di somiglianza decrescente.

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Figura 1 - Dendrogramma delle unità gestionali ottenuto applicando la cluster analysis alla matrice descrittiva.

Dal dendrogramma è stato possibile individuare dei gruppi di unità gestionali omogenee in base a un livello di somiglianza stabilito. Il livello di aggregazione fra le unità gestionali è stato scelto in modo da massimizzare la differenza fra i gruppi e minimizzare la differenza entro i gruppi. Il livello scelto ha classificato le unità gestionali in 4 gruppi, riportati in Tabella �.

Tabella 5 - Gruppi di unità gestionali individuati attraverso la cluster analysis e relativo den-drogramma semplificato

Gruppo Unità GestionaliA 8, 9, �, 10, 1�B 6, 7, 2, �, 4, 12C 1D 11

L’analisi ha separato nettamente le unità del gruppo A dalle rimanenti. Le va-riabili che hanno maggiormente determinato la separazione sono la forza lavo-ro (numero di addetti e giornate lavorative), la presenza di animali produttivi, le utenze (dotazione di energia elettrica), le strutture zootecniche (sistema di

descrittiva.

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mungitura) e le modalità di gestione (periodo di pascolamento e concimazio-ne). Le unità di questo gruppo sono caratterizzate da una gestione estensiva dei pascoli dovuta al carico modesto, al ridotto numero di animali in produzione e imputabile principalmente a difficoltà strutturali o all’assenza di interventi di concimazione e di decespugliamento dei pascoli.La divisione successiva separa il gruppo D dai gruppi B e C. Tra le variabili che hanno determinato tale diversificazione le più indicative sono il livello produttivo (produzione bovini) e l’estensione dei pascoli (superficie pascolata). Infatti, al gruppo D appartiene solo l’unità 11 che si caratterizza per l’elevata estensione dei pascoli e il maggior numero di animali monticati. Inoltre, l’unità si distingue per la buona dotazione idrica in casera; per contro, la quantità d’acqua dispo-nibile per gli animali (densità acqua) risulta piuttosto scarsa e contribuisce alla separazione dell’unità dalle altre.Una successiva biforcazione divide l’unità 1 (gruppo C) dalle rimanenti (gruppo B) principalmente per quattro variabili: animali produttivi, numero di addetti, giornate lavorative e distanza dal fondovalle. Nonostante l’assenza di animali in produzione l’unità si caratterizza per un’elevata forza lavoro che è utilizzata principalmente nell’attività agrituristica. Anche la ridotta distanza dal fondovalle è una caratteristica peculiare dell’unità 1.Infine, al gruppo B appartengono sei unità gestionali che, per dimensioni, ca-ratteristiche strutturali e tipo di gestione, descrivono la situazione più rappre-sentativa della tradizione malghiva dell’area di studio: dimensioni medie, pre-senza di animali in produzione, discreta quantità di prodotti caseari ottenuti con strumenti e tecniche tradizionali.

Tabella 6 - Valori medi degli indici di vocazionalità dei gruppi individuati con la cluster analysis

GruppoValori medi

Pascolo Prodotto TurismoA 0,�6 0,26 0,��B 0,�4 0,47 0,44C 0,44 0,�8 0,60D 0,6� 0,77 0,66

La Tabella 6 consente di osservare come i gruppi di unità gestionali individuati con la cluster analysis soddisfino in modo diverso i differenti obiettivi. Le unità del gruppo A presentano valori mediamente più bassi per gli scenari prodotto e turismo, e intermedi per lo scenario pascolo, a conferma della gestione più “estensiva” di queste unità. Le unità del gruppo B presentano valori intermedi per gli scenari pascolo e prodotto e valori bassi per lo scenario turismo. Il risultato conferma che effettivamente lo sviluppo del settore turistico non è mai stato un obiettivo nella gestione tradizionale di queste malghe. L’unità gestionale del gruppo C raggiunge un buon punteggio per lo scenario turi-smo, ma dei valori modesti per gli scenari pascolo e prodotto. Infatti, le attività di questa unità sono prevalentemente concentrate nell’attività agrituristica a

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discapito della gestione agronomica e zootecnica. L’unità appartenente al gruppo D presenta invece i valori più alti per tutti gli scenari, risultato dovuto alle caratteristiche ambientali, strutturali e gestionali, che rendono questa uni-tà più vocata a soddisfare gli obiettivi scelti. Nelle Figure 2, � e 4 è evidenziata l’incidenza delle tre categorie di variabi-li (gestore, proprietario, indipendente) sugli indici di vocazionalità di ciascun scenario. Dall’analisi dello scenario pascolo (Figura 2), emerge che le variabili dipendenti dal gestore incidono molto sul valore finale dell’indice. Infatti, il mi-glioramento del pascolo dipende principalmente dagli interventi di gestione or-dinaria, ovvero dall’azione del malgaro che deve assicurare l’utilizzo omogeneo del cotico e il contenimento delle infestanti.

Figura 2 - Indici di vocazionalità per lo scenario “pascolo” suddivisi per categoria di variabili (I = indipendente, G = gestore, P = proprietario) delle unità gestionali raggruppate secondo la classificazione della cluster analysis

Gli indici di vocazionalità dello scenario prodotto (Figura �) dipendono quasi esclusivamente dalle variabili legate all’azione del gestore e del proprietario. Le variabili indipendenti non influiscono su questo scenario, non intervenen-do direttamente sull’attività produttiva o sulla trasformazione casearia. La massimizzazione della produzione di latte è invece strettamente legata alle scelte del gestore, come ad esempio il carico animale, il numero di animali in mungitura e il tipo di integrazione alimentare. La trasformazione del latte dipende inoltre dalla dotazione strutturale della malga, come ad esempio il caseificio o la disponibilità d’acqua potabile, che sono di competenza del proprietario. È perciò indispensabile che gli alpeggi dotati di strutture per

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la trasformazione siano gestiti da aziende che monticano animali da latte in produzione, in tal modo si migliora la condizione dell’unità gestionale rispet-to allo scenario prodotto.

Figura 3 - Indici di vocazionalità per lo scenario “prodotto” suddivisi per categoria di variabili (I = indipendente, G = gestore, P = proprietario) delle unità gestionali raggruppate secondo la classificazione della cluster analysis

Infine, per lo scenario turismo (Figura 4), vi è una discreta incidenza delle varia-bili indipendenti, come ad esempio la posizione dell’alpeggio o le caratteristi-che del paesaggio. L’analisi descrittiva evidenzia che le malghe più sviluppate dal punto di vista turistico sono situate in zone strategiche: vicino a località turistiche (unità gestionale 11) o lungo le strade che ad esse portano (unità 1 e 12). Come atteso, gli alpeggi nei quali gli investimenti sono stati rilevanti (ad esempio unità 12) sono in grado di soddisfare proposte turistiche più articolate, offrendo anche il servizio di ristorazione e alloggio. Le unità gestionali con gli indici più bassi invece sono quelle nelle quali gli investimenti strutturali sono stati assenti o contenuti e i servizi offerti si limitano alla vendita dei prodotti e alla preparazione di pasti freddi.

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Figura 3 - Indici di vocazionalità per lo scenario “prodotto” suddivisi per categoria di variabili (I = indipendente, G = gestore, P = proprietario) delle unità gestionali raggruppate secondo la classificazione della cluster analysis

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Unità gestionali

I G P

A B C D

Infine, per lo scenario turismo (Figura 4), vi è una discreta incidenza delle variabili indipendenti, come ad esempio la posizione dell'alpeggio o le caratteristiche del paesaggio. L'analisi descrittiva evidenzia che le malghe più sviluppate dal punto di vista turistico sono situate in zone strategiche: vicino a località turistiche (unità gestionale 11) o lungo le strade che ad esse portano (unità 1 e 12). Come atteso, gli alpeggi nei quali gli investimenti sono stati rilevanti (ad esempio unità 12) sono in grado di soddisfare proposte turistiche più articolate, offrendo anche il servizio di ristorazione e alloggio. Le unità gestionali con gli indici più bassi invece sono quelle nelle quali gli investimenti strutturali sono stati assenti o contenuti e i servizi offerti si limitano alla vendita dei prodotti e alla preparazione di pasti freddi.

Figura 4 - Indici di vocazionalità per lo scenario “turismo” suddivisi per categoria di variabili (I = indipendente, G = gestore, P = proprietario) delle unità gestionali raggruppate secondo la classificazione della cluster analysis

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Conclusioni

L’analisi dei dati ha confermato l’elevata eterogeneità della realtà alpicolturale nell’area di studio, ma allo stesso tempo ha permesso l’individuazione di gruppi di malghe simili per le quali è possibile studiare interventi comuni. La metodologia dell’analisi multicriteria ha inoltre evidenziato che in tutte le unità gestionali sono possibili margini di miglioramento. Se si escludono le variabili indipendenti, rispetto alle quali non è possibile alcun tipo di intervento, ciò si potrebbe raggiungere adottando una strategia di sviluppo complessivo, secondo l’approccio integrato che tiene conto di tutti gli elementi che entrano in gioco

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Figura 4 - Indici di vocazionalità per lo scenario “turismo” suddivisi per categoria di variabili (I = indipendente, G = gestore, P = proprietario) delle unità gestionali raggruppate secondo la classificazione della cluster analysis

Conclusioni

L’analisi dei dati ha confermato l’elevata eterogeneità della realtà alpicolturale nel-l’area di studio, ma allo stesso tempo ha permesso l’individuazione di gruppi di malghe simili per le quali è possibile studiare interventi comuni. La metodologia dell’analisi multicriteria ha inoltre evidenziato che in tutte le unità gestionali sono possibili margini di miglioramento. Se si escludono le variabili indipendenti, rispetto alle quali non è possibile alcun tipo di intervento, ciò si potrebbe raggiungere adot-tando una strategia di sviluppo complessivo, secondo l’approccio integrato che tiene conto di tutti gli elementi che entrano in gioco nell’attività alpicolturale. Questo consentirebbe un proficuo utilizzo delle risorse finanziarie e una compensazione tra le attività per le quali ciascuna unità gestionale è più vocata.I risultati raggiunti rappresentano solo un punto di partenza per nuove iniziative sia in loco sia, più in generale, nel settore alpicolturale regionale. E’ evidente che l’applicazione del modello in altre realtà comporta un’attenta raccolta di dati sul territorio e la scelta delle variabili più opportune, nonchè la loro validazione.

Ringraziamenti

Ricerca cofinanziata con fondi europei del programma Interreg III A Italia-Slove-nia, progetto “Modelli di sviluppo delle attività agro-zootecniche in ambiente mon-tano per la conservazione del territorio e la valorizzazione dei prodotti locali”.

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Figura 3 - Indici di vocazionalità per lo scenario “prodotto” suddivisi per categoria di variabili (I = indipendente, G = gestore, P = proprietario) delle unità gestionali raggruppate secondo la classificazione della cluster analysis

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Unità gestionali

I G P

A B C D

Infine, per lo scenario turismo (Figura 4), vi è una discreta incidenza delle variabili indipendenti, come ad esempio la posizione dell'alpeggio o le caratteristiche del paesaggio. L'analisi descrittiva evidenzia che le malghe più sviluppate dal punto di vista turistico sono situate in zone strategiche: vicino a località turistiche (unità gestionale 11) o lungo le strade che ad esse portano (unità 1 e 12). Come atteso, gli alpeggi nei quali gli investimenti sono stati rilevanti (ad esempio unità 12) sono in grado di soddisfare proposte turistiche più articolate, offrendo anche il servizio di ristorazione e alloggio. Le unità gestionali con gli indici più bassi invece sono quelle nelle quali gli investimenti strutturali sono stati assenti o contenuti e i servizi offerti si limitano alla vendita dei prodotti e alla preparazione di pasti freddi.

Figura 4 - Indici di vocazionalità per lo scenario “turismo” suddivisi per categoria di variabili (I = indipendente, G = gestore, P = proprietario) delle unità gestionali raggruppate secondo la classificazione della cluster analysis

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Unità gestionali

I G P

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Conclusioni

L’analisi dei dati ha confermato l’elevata eterogeneità della realtà alpicolturale nell’area di studio, ma allo stesso tempo ha permesso l’individuazione di gruppi di malghe simili per le quali è possibile studiare interventi comuni. La metodologia dell’analisi multicriteria ha inoltre evidenziato che in tutte le unità gestionali sono possibili margini di miglioramento. Se si escludono le variabili indipendenti, rispetto alle quali non è possibile alcun tipo di intervento, ciò si potrebbe raggiungere adottando una strategia di sviluppo complessivo, secondo l’approccio integrato che tiene conto di tutti gli elementi che entrano in gioco

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Bibliografia

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PROFILO ACIdICO dEL LATTE IN dIFFERENTI RAZZE OVINE ALLEVATE NELL’AREALE ALPINO OCCIdENTALE

1 Ighina A., 1 Guaraldo P., 1 Zuccon M., 1 Lussiana C., 1 Battaglini L.M.

1 DiPaRtimEnto SCiEnzE zootECniChE - Università degli Studi di torino

Riassunto

L’allevamento ovino nelle vallate alpine nord-occidentali, caratterizzate da un elevato grado di marginalità, rappresenta uno dei pochi strumenti utili allo sfruttamento delle scarse risorse territoriali. Recenti studi han-no messo in evidenza come uno dei fattori più interessanti dal punto di vista nutrizionale, sia quello legato alla composizione acidica del latte ed in particolare al contenuto in CLA, il quale pare essere strettamente correlato al tipo di dieta dell’animale.Scopo della ricerca è stato quello di mettere in evidenza le eventuali differenze tra le diverse razze in termi-ni di composizione acidica del latte prodotto durante tutto l’arco della lattazione da 4 differenti razze ovine, con transumanza estiva verso alpeggi della Val Chisone e della Val Germanasca, in Provincia di Torino.Delle razze allevate, � sono autoctone con un livello di diffusione variabile: Frabosana, Langhe e Sa-voiarda, mentre la quarta è la Lacaune, razza francese caratterizzata da interessanti produzioni a livello quantitativo.I prelievi di latte sono iniziati a febbraio e sono continuati per tutta la lattazione, fino all’asciutta degli anima-li. I campioni sono stati prelevati nei quattro momenti fondamentali della stagione, corrispondenti ciascuno ad una differente alimentazione e fase di allevamento: il primo prelievo è avvenuto a febbraio, quando gli animali erano tenuti in stalla ed alimentati con foraggi secchi ed integrazioni di mais e pisello proteico; il secondo è avvenuto ad aprile, quando gli animali pascolavano sui terreni dell’azienda in fondovalle; il terzo, a giugno, ed il quarto, a luglio, si riferiscono a quando il gregge si trova in alpeggio.I campioni di latte di massa sono stati prelevati ai differenti stadi di lattazione e analizzati per la determina-zione del profilo acidico del grasso mediante gascromatografia.L’elaborazione statistica dei dati raccolti è effettuata mediante analisi delle componenti principali (PCA) con il software Statistica.I risultati ottenuti mostrano come i primi due componenti principali accumulano più del �0% della varianza spiegata. Il primo fattore è positivamente correlato con il contenuto in acidi saturi e negativamente con monoinsaturi e polinsaturi contenuti nel latte; il secondo componente principale è invece negativamente correlato con il tenore in CLA.L’analisi determina quattro gruppi in coincidenza delle 4 razze analizzate solo durante il periodo in stalla (inizio lattazione), evidenziando che la razza ha un’influenza sulla composizione acidica del grasso quan-do l’animale è alimentato con la stessa dieta. Dai 60 giorni da inizio lattazione fino alla fine, quando le pecore pascolano in valle o in alpeggio, le differenze compositive sono influenzate solo dalla dieta.I risultati ottenuti mostrano come il fattore razza sia determinante solamente nel periodo di stabulazione, dove si può osservare una differente composizione qualitativa in acidi grassi per ogni singola razza; men-tre, in coincidenza dei differenti periodi di pascolamento, la dieta diventa decisiva e le differenze tra le sin-gole razze tendono a scomparire, ulteriori studi saranno necessari per meglio comprendere l’interazione nutrizione-stadio di lattazione sulle caratteristiche della componente acidica e del contenuto in CLA.

Abstract

Sheep breeding has a relevant economic and environmental role in the Alps, where cheese produc-tion is often obtained from local breeds. Recent studies have emphasized the role of fatty acid com-position and CLA amount of fat because of its considerable contribution to the final characteristic of cheese and to the total fat intake in the diet of consumers. Aim of the study was to evaluate the breed and nutrition effects on fatty acid composition and CLA amount of milk fat during lactation of four Alpine sheep breeds (Frabosana, Delle Langhe, Savoiarda and Lacaune). At the beginning of

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lactation, animals were stabled and fed hay and concentrate (pea and corn meal). From 60th to 90th days in milk, sheep grazed on valley pastures, and from middle to late lactation on alpine pastures. Milk samples were collected at different stages of lactation, and analysed for fatty acid composition of fat and CLA amount. Data were analysed with the “Statistica” package for Principal Components Analysis (PCA). Results showed that two main principal components (PC) explained more than 50% of cumulative variance. The first PC was positively correlated to SFA amount and negatively corre-lated to MUFA and PUFA amount of milk fat; the second PC was negatively correlated to the CLA amount of milk fat. The analysis scattered the 4 different breeds during the stabled phase (begin-ning of lactation), showing that the breed has an influence on fatty acid composition of milk fat and CLA when animal are fed the same diet. From 60 days in milk to the end of lactation, when sheep grazed on valley or alpine pastures, the differences in fatty acid composition and CLA amount were influenced only by the diet. Further studies are needed to better understand the interaction between nutrition and lactation stage on characteristics of fatty acid composition and CLA amount.

Introduzione

L’allevamento ovino nelle vallate alpine nord-occidentali, caratterizzate da un elevato grado di marginalità, rappresenta uno dei pochi strumenti utili allo sfruttamento delle scarse risorse territoriali. In questi ambienti, come del resto in tutto l’arco alpino, si è assistito ad una progressiva perdita di com-petitività dell’attività agro-zootecnica, ma al tempo stesso si sono mantenute quelle originalità produttive che, accompagnate alle possibili implicazioni salutistiche possono essere la chiave di volta per un possibile rilancio dei prodotti montani.L’esigenza oggi più che mai attuale è, infatti, quella di riuscire a legare un prodotto al territorio in cui viene realizzato ed il prodotto montano si può legare perfettamente ad un territorio in cui si sono mantenute numerose peculiarità.Accanto al bisogno di tracciabilità si è però andata affermando anche l’esigen-za di valorizzare le caratteristiche dietetico-nutrizionali degli alimenti.Volendo mettere in evidenza l’aspetto qualitativo della produzione, uno dei fattori più interessanti e di recente scoperta sembra essere quello legato alla composizione acidica del latte ed in particolare al contenuto in CLA (acido linoleico coniugato), il quale, come già osservato in altre ricerche, pare essere strettamente correlato al tipo di dieta dell’animale. (Chilliard et al., 2002). È stato dimostrato infatti come nelle produzioni animali ottenute da soggetti che utiliz-zano foraggi verdi come base della dieta vi siano quantità di CLA molto supe-riori rispetto a quelli che derivano da animali alimentati con fieni e concentrati. (Kraft et al., 200�; Leiber, 2004).I CLA sono rappresentati da un insieme di isomeri derivati dall’acido lino-leico coniugato. In particolare la variante isomerica cis-9, trans-11 sembra essere coinvolta nella funzionalità del sistema immunitario, soprattutto per quanto concerne l’attività antitumorale mentre l’isomero trans-10, cis-12 sembra essere attivo nei confronti della ripartizione dei principi nutritivi e nello sviluppo della muscolatura (Hauswirth et al., 2004). Aspetto molto im-portante è che il CLA non può essere sintetizzato dal nostro organismo ma deve essere assunto direttamente dalla dieta. L’acido linoleico è presente in

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natura in numerosi vegetali che crescono spontaneamente in prati e pascoli, i ruminanti con l’erba assumono anche l’acido linoleico che viene trasfor-mato in CLA ad opera di un enzima della microflora endoruminale; Per tale motivo la fonte primaria di CLA, per l’uomo, è rappresentata dal latte, dai latticini e dalla carne.Scopo della ricerca è stato quello di mettere in evidenza le eventuali differenze tra le diverse razze in termini di composizione acidica del latte prodotto durante tutto l’arco della lattazione.

Materiale e metodi

In questo lavoro è stata presa in considerazione un’azienda che alleva 4 diffe-renti razze ovine e che pratica la transumanza estiva verso gli alpeggi della Val Chisone e della Val Germanasca, in Provincia di Torino. Delle razze allevate, � sono autoctone con un livello di diffusione variabile: Frabosana, Langhe e Savoiarda mentre la quarta è la Lacaune, razza francese caratterizzata da inte-ressanti produzioni a livello quantitativo.I prelievi di latte sono iniziati a febbraio e sono continuati per tutta la lattazio-ne, fino all’asciutta degli animali. I campioni sono stati prelevati nei quattro momenti fondamentali della stagione, corrispondenti ciascuno ad una diffe-rente alimentazione e fase di allevamento: il primo prelievo è avvenuto a feb-braio, quando gli animali erano tenuti in stalla ed alimentati con foraggi secchi ed integrazioni di mais e pisello proteico; il secondo è avvenuto ad aprile, quando gli animali pascolavano sui terreni dell’azienda in fondovalle; il terzo, a giugno, ed il quarto, a luglio, sono stati effettuati quando il gregge si trovava in alpeggio.Sui campioni di latte di massa è stato determinato il profilo acidico median-te gascromatografia (Gascromatografo SHIMADZU GC17A; colonna capillare HP88 (J&W) 100m x 0,2�mm ID, 0.2µm film, detector FID)L’elaborazione statistica dei dati raccolti è effettuata mediante analisi delle com-ponenti principali (PCA) su software Statistica 7 (StatSoft, OK).

Risultati e discussione

Nella Tabella 1 sono riportati i valori medi delle percentuali degli acidi grassi saturi, monoinsaturi, polinsaturi e somma CLA del latte per le 4 razze prese in considerazione. Il contenuto in acidi grassi mono e poilinsaturi pare di buon livello per tutte le specie considerate. La scelta della razza allevata ed il regime alimentare sembrano perciò appropriati.Tabella 1. Composizione acidica del latte di tutte le razze presenti in azienda

È stata effettuata l’elaborazione statistica mediante l’uso dell’Analisi delle com-ponenti principali (PCA) onde ottenere la classificazione delle razze e del pe-riodo di prelievo, è stato utilizzato il software STATISTICA.

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È stato osservato che le prime due componenti spiegano più del �0% della va-

rianza, la prima componente è correlata positivamente con il contenuto in acidi grassi saturi e negativamente con gli acidi grassi insaturi, mentre la seconda è correlata negativamente con il contenuto in CLA (Figura 1).

Figura 1. PCA - Proiezione delle variabili sui fattori 1 e 2

La classificazione dei campioni prelevati in stalla evidenzia il raggruppamento delle singole razze allevate, mentre tale effetto non si denota per i rilievi effettuati nel periodo di pascolamento; evidenziando come il fattore razza sia determinante solamente nel periodo di stabulazione dove si può osservare una differente com-

posizione qualitativa in acidi grassi per ogni singola razza (Figura 2).Figura 2. PCA - Proiezione dei casi sui fattori 1 e 2 relativi ai rilievi effettuati in stalla

Prendendo in considerazione le osservazioni effettuate al pascolo si osservano tre raggruppamenti in coincidenza dei differenti periodi di pascolamento, nei quali la dieta diventa decisiva e le differenze tra le singole razze tendono a

1.8±0.34.9±0.534.1±4.060.9±4.1Savoiarda

1.8±0.74.8±1.234.4±7.160.7±8.0Delle Langhe

1.9±0.54.9±0.933.2±6.561.8±7.1Lacaune

1.8±0.64.6±1.034.0±5.261.2±5.9Frabosana

SOMMA CLAPOLINSATURIMONOINSATURISATURIRAZZA

1.8±0.34.9±0.534.1±4.060.9±4.1Savoiarda

1.8±0.74.8±1.234.4±7.160.7±8.0Delle Langhe

1.9±0.54.9±0.933.2±6.561.8±7.1Lacaune

1.8±0.64.6±1.034.0±5.261.2±5.9Frabosana

SOMMA CLAPOLINSATURIMONOINSATURISATURIRAZZA

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scomparire (Figura �).

Figura 3. PCA - Proiezione dei casi sui fattori 1 e 2 relativi ai rilievi effettuati in periodo di pascolamentoConclusioni

I risultati ottenuti mostrano come il fattore razza sia determinante solamente nel periodo di stabulazione, dove si può osservare una differente composizione qualitativa in acidi grassi per ogni singola razza mentre, in coincidenza dei

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differenti periodi di pascolamento, la dieta diventa decisiva e le differenze tra le singole razze tendono a scomparire.Ulteriori studi saranno necessari per meglio comprendere l’interazione nutri-zione-stadio di lattazione sulle caratteristiche della componente acidica e del contenuto in CLA.

Bibliografia

Chilliard, Y. , Ferlay, A. , Loor, J. , Rouel, J. , Martin, B., 2002. Trans and conjuga-ted fatty acids in milk from cows and goats consuming pasture or receiving vegetable oils or seeds. Ital. J. Anim. Sci. 4: 24�-2�4.

Hauswirth, C. B. , Scheeder, M. R. L. , Beer, J. H., 2004. High ω-3 fatty acid content in alpine cheese: the basis for an alpine paradox. Circulation. 109: 10�-107.

STATISTICA for Windows, StatSoft, Inc.: Tulsa, OK, 1999.Kraft, J. , Collomb, M. , Möckel, P. , Sieber, R. , Jahreis, G., 200�. Differences in

CLA isomer distribution of cow’s milk lipids. Lipids. �8: 6�7-664.Leiber, F. , Wettstein, H. R. , Nigg, D. , Kreuzer, M. , Scheeder, M. R. L., 2004.

Dietetically relevant polyunsaturated fatty acids in the milk of cows grazing pastures at different altitudes. Land use systems in grassland dominated re-gions. Proceedings of the 20th General Meeting of the European Grassland Federation, Luzern, Switzerland, 21-24 June 2004, pp. 11�9-1141.

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SEMPIONE, VALLESANA E ALPINA COMuNE:LE POTENZIALITà dI SALVAGuARdIA dEL PATRIMONIO

CAPRINO LOCALE IN OSSOLA (PIEMONTE-V.C.O.)

Brambilla L.A.

R.a.R.E. associazione italiana Razze autoctone a Rischio di Estinzione, torinoagER agRiCoLtURa E RiCERCa, milano

Riassunto

La provincia del Verbano, Cusio e Ossola, se confrontata con le rispettive altre province regionali (Pie-monte), costituisce per consistenza numerica un’importante realtà di allevamento caprino. Sono infatti presenti più di 10.000 capi di cui 8.000 nel territorio delle Comunità Montane della sola Ossola (CM di Valle Ossola, di Valle Vigezzo, di Valle Formazza-Divedro-Antigorio, di Monte Rosa e Valle Antrona).La provincia del V.C.O. è così la seconda provincia dopo Torino per patrimonio animale. Delle tre razze caprine piemontesi, riconosciute ufficialmente come razze in via di estinzione, due trovano in questa provincia il loro territorio di origine e di maggior presenza. Infatti, alla Sempione ed alla Vallesana, pur presenti anche in province confinanti, è ormai pienamente e ufficialmente riconosciuta l’origine e la maggior diffusione nell’Ossola. A queste due interessanti razze se ne aggiunge una terza, l’Alpina Comune o Alpina Locale. Questa macro-popolazione, per la sua elevata consistenza numerica, non può essere considerata a rischio di estinzione. Nel territorio dell’Ossola sono presenti anche numerosi prodotti agricoli legati alla capra. Ufficialmente, perché inseriti nei P.A.T. (Prodotti Agricoli Tradizio-nali), sono riconosciuti lo Spress o Spesitt e il Caprino della Val Vigezzo. Non ufficiali, ma presenti in bibliografia, sono descritti il caprino di Baceno, il caprino Ossolano, chiamato localmente “furmagit at crava”, il caprino di Trontano, e così via. Nei mercati locali, però, si possono trovare anche molti altri formaggi, sicuramente meno conosciuti (anonimi), ma non per questo meno importanti. Per i prodotti carnei, oltre al capretto della Val Vigezzo (P.A.T.), è giusto menzionare anche i sigarini (salamini della Val Formazza), dalla forma tipica per l’uso del budello di capra per il loro confezionamento. Trovano mercato anche vari tagli di carne da banco, che vengono utilizzati per la preparazione di varie ricette tipiche, ad esempio la “capra bollita” o il “caprettone” al forno. Arricchiscono il potenziale di salva-guardia delle razze caprine dell’Ossola le manifestazione zootechiche ed alcune sagre che propon-gono piatti a base di capra.Non in ultimo, la grande risorsa delle aree protette, fra cui Parco Veglia Devero e Val Grande, rendono questo territorio adatto alla valorizzazione e potenziamento del settore caprino attualmente presente. Il territorio della Provincia del V.C.O. è caratterizzato da una moltitudine di paesaggi grazie alla presenza del lago e della montagna. Ciò è il connubio perfetto per le esigenze dell’allevamento tradizionale della capra che, allo sfruttamento razionale delle risorse prato-pascolive della montagna, unisce l’esigenza di trovare un’ideale sbocco di mercato favorito, in questo caso, anche dal turismo del lago. Ecco perché l’obiettivo deve essere quello di costruire organicamente interventi e impegni che sfruttino tutte queste potenzialità di un settore che si è mantenuto fino ad oggi vitale, ma che è rimasto, forse, troppo isolato nel proprio contesto locale. Quella che per una singola comunità può essere una incer-tezza e quindi un limite, può non esserlo in un contesto d’azione multi-disciplinare ben coordinata e applicata su un territorio dell’Ossola o nell’intera provincia.

Abstract

Safeguard potentialities for the local caprine herds in Ossola ( VCO – Piedmont Italy): the Sempio-ne, Vallesana and Alpine Goats.In the province of Verbano Cusio and Ossola – Piedmont region in Northern Italy – goats’ breeding is highly widespread. Actually more than 10.000 animals are present in this region and about 8.000 are farmed in the district of Ossola.

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Two of the three races native of Piedmont come from the Ossola Valley and are local goats – the Sempione and the Vallesana. The third one is the polychromatic local Alpine goat, which cannot be considered in danger as the number of animals is very high. In the Ossola Valley, there are also highly important farm products taken from goats breeding. The Spress or Spesit cheese and the Caprino della Val Vigezzo cheese are officially recognised and described in the Traditional Agriculture Products – P.A.T. DL 173/98, DM 350/99. Other non-officially reco-gnised cheeses are the Caprino di Baceno, the Caprino Ossolano – locally known as “furmagit at crava” – and the Caprino di Trontano. Moreover, in local markets anonymous and very tasty cheeses can easily be found. As goat meat products, apart from the Capretto della Val Vigezzo, named P.A.T., we can mention the “sigarini”, little cigar shaped salami made with the goat’s entrails. Goat’s meat is the base for preparing various typical receipts, as the “capra bollita” - boiled goat. Goat-based receipts can be tasted in many farm shows and local fairs of this region.Last but not least, the great resource of the protected areas, among them the Veglia Devero and the Val Grande Park, makes this territory good to the valorisation This is why it is important to act to exploit the potentialities of a sector which is still vital, but perhaps has

remained too isolated in its own local status.

Résumé

Les potentialités de sauvegarde du patrimoine local caprin en Ossola (Région Piémont – VCO). Les races Sempione, Vallesana et Alpine. La province du Verbano Cusio et Ossola (Région Piémont en Italie) est une importante réalité dans l’élevage des chèvres.Il y a plus de 10.000 animaux, dont 8.000 que dans le district de l’Ossola.La race Sempione et la race Vallesana, deux des trois races, présentes dans le Piémont, sont en dan-ger et originaires de l’Ossola. A ces deux races on peut en ajouter une autre: la chèvre Alpine locale à manteau poly chromatique.Mais, grωce au grand nombre d’animaux et à sa diffusion, elle ne peut pas ωtre considérer à risque d’ex-tinction. En Ossola, on produit aussi plusieurs fromages et saucisses de chèvre.Le «Spress ou Spresitt» et le «Caprino della Valle Vigezzo» sont deux fromages frais reconnus et ap-pelés officiellement dans les Produits Agricoles Traditionnels (P.A.T., D.L. 17398, DM 350/99).D’autres fromages frais non appelés, mais cités dans plusieurs documents et ouvrages sont le «Caprino di Baceno», «le Caprino Ossolano», connu aussi avec le nom local de «furmagit at crava»et le «Caprino di Trontano».Cependant, dans les petits marchés et dans les fermes locales ont peut aussi trouver bien d’autres fromages de chèvres anonymes et très savoureux.Avec la viande de chèvre on produit le «Capretto della Val Vigezzo» (appelé P.A.T.), et les «sigarini», des petits cigares de viande (des types de salami) fait avec les entrailles de chèvre.La viande de chèvre est aussi un ingrédient principal pour plusieurs recettes locales: un exemple est la «capra bollita»,la chèvre bouillie.En outre, dans toutes les expositions et les foires on propose des plats avec cette viande.La présence des parcs, les Parcs Veglia Devero et Val Grande, donnent aussi un avantage en plus pour la valorisation et l’ac-croissement de ce type d’élevage.Il est donc essentiel de mettre en point des actions qui exploitent toutes ces potentialités, dans un secteur qui est encore vital, mais qui est resté peut-être un peu trop isolé.

Introduzione

Molteplici sono gli aspetti economici nuovi che da qualche anno stanno emer-gendo per il settore agricolo in quota. Innovazioni tecnologiche, turismo, evolu-zione del gusto del consumatore, nuove tecniche di comunicazione, interventi

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alle infrastrutture territoriali, costituiscono oggi la possibilità di riscatto dell’eco-nomia agricola montana. Anche la zootecnia dei piccoli ruminanti, ovini e caprini, che aveva perso il ruo-lo fondamentale di sostentamento per le famiglie di allevatori alpini, oggi può trovare, all’interno di questo nuovo scenario, una nuova funzione, non più come necessità per la vita familiare, spesso al limite della sopravvivenza, ma come contributo ad una vera e dignitosa imprenditorialità agricola.L’allevamento caprino, in particolare, sta acquistando importanza come fonte economica, attraverso la produzione di latte, formaggio e carne. Le capre, pre-senti tuttora negli allevamenti a conduzione tradizionale-pastorale, non hanno ancora perso la loro elevata rusticità, accompagnata da una discreta generosi-tà produttiva anche in condizioni ambientali difficili. La capra, allevata in modo razionale anche se tradizionale, ha un’innata capacità di valorizzare le risorse locali, infatti, attraverso l’allevamento, caprino si possono sfalciare i prati, sfrut-tare i pascoli e tenere puliti i boschi. A tutto questo si aggiunge la capacità di mantenere un settore carico di tradizioni fatto di caprai, formaggi tipici e preparazioni carnee tradizionali che, dopo anni di indifferenza da parte del set-tore commerciale, stanno incontrando il consenso da parte di un consumatore sempre più attento.Un consumatore che ha abbandonato il vecchio concetto di associare la mon-tagna alla sola immagine di turismo invernale ed estivo di massa, non dan-do spazio fino ad oggi a nessuna attività agricola di “moderna concezione”. Questo termine non è usato casualmente, infatti, l’inflazionato uso di termini impropri come “agricoltura del passato”, “dei nostri vecchi o nonni”, ricorrente nel martellante messaggio di finta ruralità dei mass-media, è uno dei limiti alla rinascita della zootecnia in montagna. Non va dimenticato che, è ancora vivo il ricordo, nella mente degli agricoltori storici, il reale significato di “zootecnia o agricoltura del passato” ossia, fame e miseria. In questo contesto, la provincia del Verbano, Cusio e Ossola (VCO), con il suo patrimonio caprino pari a più di 10.000 capi, la sola Ossola ne conta circa 8.000, costituisce una interessante realtà del nord Italia ancora poco valorizzata. Localmente, sono molti gli aspetti di estremo interesse che andrebbero studiati per progettare una strategia comune in modo da rendere il settore caprino di questo territorio esempio dell’economia montana locale.

Materiali e Metodi

Su tutto il territorio della provincia del VCO è stato svolto un lavoro di indagi-ne, seguendo un modello applicativo, appositamente studiato per il territorio in esame, in grado di rendere visibili le potenzialità e le iniziative già in atto a favore del settore caprino. Non ci si è limitati a indagare sul numero di allevatori e consistenze animali, ma si sono raccolte informazioni sulle razze caprine pre-senti, sia nell’attualità sia nel passato, sulla presenza di gruppi locali operanti già in favore del settore caprino, sulla presenza di esposizioni zootecniche o sullo svolgimento di sagre finalizzate alla promozione di prodotti ottenuti dal-

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l’allevamento della capra, sulla presenza di prodotti tradizionali ufficiali, sulle potenzialità commerciali e di salvaguardia delle razze locali per la presenza di una elevata consistenza di aree protette, sulla interconnessione fra il siste-ma allevatoriale tradizionale e quello convenzionale, sui lavori di ricerca già precedentemente svolti, sui progetti in fase di ideazione o realizzazione, sulle strutture di formazione da poter coinvolgere in un ipotetico futuro programma di valorizzazione del settore.Per ogni comparto indagato si è valutato lo stato attuale e ipotizzato un percor-so che portasse l’iniziativa in linea con le moderne strategie sulla valorizzazione del settore caprino alpino locale, in un contesto tradizionale pastorale.

Risultati e discussione

L’interesse verso il territorio del VCO e in particolare dell’Ossola, per quanto riguarda il settore caprino, è dovuto ad alcune caratteristiche che contraddistin-guono questo territorio e delle quali di seguito diamo una breve elencazione: − Provincia relativamente giovane, istituita nel 199�; − territorio relativamente contenuto in termini di superficie, con un consistente

patrimonio caprino ed un basso numero di abitanti, presenza di zone a bassa pressione antropica;

− presenza di due delle tre razze caprine tutelate in Piemonte;− relativo, ma comunque presente, isolamento tecnico e amministrativo nel-

l’ambito del settore caprino;− realtà imprenditoriali (convenzionali e/o tradizionali), in linea con le normati-

ve, assenti o sporadiche a secondo delle diverse zone;− consistente presenza di aree naturali protette;− territorio caratterizzato da laghi e montagne, con un consolidato flusso turistico;− stretto rapporto, soprattutto nel passato, con territori d’oltralpe dall’antichissi-

ma tradizione nell’allevamento caprino; − una sensibile “pigrizia”, generalizzabile a tutto l’arco alpino italiano, nell’idea-

re e applicare concretamente strategie per la salvaguardia delle razze capri-ne alpine locali.

La concentrazione di tanti aspetti, in un territorio relativamente ristretto, è una delle condizioni che rendono l'Ossola e più in generale il VCO, uno dei territori potenzialmente più idonei per ridisegnare il quadro d’interventismo zootecni-co a favore del settore caprino locale. La prospettiva potrebbe essere quella di ideare e sperimentare un modello di intervento esportabile, in un secondo momento, in tutto l'arco alpino. In questa prima fase, il lavoro si è concentrato sulla descrizione dello stato rilevato e sulla stesura delle più evidenti azioni da realizzare.La provincia del VCO si estende su una superficie pari a circa il 9% di quella totale della Regione Piemonte. Il territorio è prevalentemente montano, solo il 16% si colloca infatti al di sotto dei 600 m slm. Circa il ��% della superficie è invece compresa nella fascia altimetrica di media e alta montagna (dai 1.600 m fino a oltre i �.000 m di quota). Le naturali aree protette costituiscono un’im-

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portante realtà di questo territorio, esse riguardano il 12% dell’intero territorio (media regionale 8%, media nazionale 10%). Come già detto in precedenza, sul territorio provinciale sono presenti due delle tre razze caprine tutelate in Piemonte, perché riconosciute in pericolo di estin-zione: la Sempione e la Vallesana. La loro situazione di salvaguardia, molto dif-ferente per molteplici aspetti, ben si inquadra nel variegato mondo della razze caprine locali ufficiali del nord Italia, caratterizzato da una elevata disomoge-neità del livello di tutela e delle relative problematiche. La Capra Sempione, inserita nell’appena concluso Piano di Sviluppo Rurale regionale (Reg CE 12�7/99) come razza autoctona della provincia del Verbano-Cusio e Ossola, è stata descritta per la prima volta, dal mondo scientifico, nel 198� ed inserita nell’Atlante delle razze Ovi-caprine italiane pubblicato nell’am-bito del Piano Finalizzato del CNR: “Difesa delle risorse genetiche delle popo-lazioni ovine e caprine italiane”. Nonostante abbia riscontrato l’interesse delle istituzioni fin dal 1992, anno in cui si è dato inizio alla salvaguardia delle razze autoctone attraverso l’applicazione del Reg. CE 2078/92, solo recentemente si sta cercando il suo recupero. Da recenti indagini, è ragionevole stimare che sul territorio di tutta la provincia (VCO) siano presenti non meno di 100 capi. Sebbene i dati appena esposti siano più confortanti del passato, il territorio di maggior presenza di soggetti appartenenti a questa razza rimane comunque confinato nel territorio della Val Divedro. Pertanto, salvo rari casi, per esempio in Valsesia, la capra Sempione è presente con gruppi di pregio esclusivamente nella la sua zona di origine, individuata, per l’appunto, nel territorio delle estreme valli del distretto dell’Ossola.I segnali di una certa sofferenza verso il recupero di questa razza sono ben evidenti anche dal ridotto, per non dire inesistente, interesse verso i piani di contribuzione dell’UE a favore delle razze autoctone in via di estinzione. Il recente interesse da parte degli allevatori, oggi fieri della riscoperta della loro capra e degli enti locali, disposti a sostenerla almeno nell’ambito di progettuali-tà di salvaguardia, fa ben sperare per la prossima campagna di azioni Comuni-tarie (Reg. CE 1698/0� Programma di Sviluppo Rurale 2007-201�).L’importanza della Sempione come razza autoctona è stata decretata, a livello nazionale, attraverso l’istituzione, nel 1997, del Registro Anagrafico, attualmen-te detenuto dall’Associazione Nazionale della Pastorizia (AssoNaPa, -ROMA-).Il sistema di allevamento di questa razza è quello tradizionale e confrontabile con altre realtà tipiche dell’arco alpino italiano.Le stalle sono ubicate esclusivamente nelle zone di alta valle, infatti, i ricoveri invernali si trovano normalmente ad una altitudine compresa fra i �00 e i 1.100 m slm. Durante l’inverno gli animali vengono stabulati in stalle con caratteristica ar-chitettura in sasso e legno. Qui, normalmente, permangono per tutto il periodo della gravidanza e dello svezzamento dei capretti.In primavera, quando le condizioni meteorologiche lo permettono e in rispetto delle ordinanze Comunali di pascolo, gli animali vengono portati al pascolo nel-le ore più calde e nelle zone limitrofe alle stazioni di ricovero invernale. Questo

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sistema, apparentemente scontato, ha una sua elevata importanza, garantendo il razionale sfruttamento dei prati-pascoli di media quota, quasi del tutto scom-parso in altri territori montani. Al sopraggiungere della stagione più favorevole, all’ incirca a partire dalla metà di giugno, le capre, che vengono munte con rego-larità, sono condotte in alpeggio. Durante tutto il periodo di permanenza in quota si ha lo sfruttamento dei pascoli. Esso può avvenire con il pascolo guidato, nel migliore dei casi, o, al massimo, con il pascolo libero ma sempre custodito. In ambo i casi l’alpeggio dura mediamente fino al periodo di fine estate. A questo punto, gli animali, nel pieno del periodo riproduttivo, discendono gradualmente a quote sempre più basse fino a rientrare in stalla per il periodo invernale. L’alimen-tazione, come vuole la tradizione, si basa principalmente sul fieno locale durante l’invero e sul pascolo durante le stagioni climatiche più favorevoli.Al momento, lo standard di razza, secondo il P.S.R. regionale ed il Registro Ana-grafico, prevede per la capra Sempione un mantello di colore bianco candido e uniforme. Tuttavia, per poter aumentare la base numerica della popolazione su cui intervenire essendo una razza in grave pericolo di estinzione, devono essere tollerate, anche se solo momentaneamente, le screziature di tonalità tipo grigio, per la presenza di alcuni peli neri, e di tipo rosso molto chiaro (possibili zone di diluizione). La tolleranza a questi diversi cromatismi è giustificata anche dal fatto che la base melanica del colore del mantello di questa razza è ancora da studiare (totale diluizione feomelanica o totale estensione di pezzature bian-che su base eumelanica nera) . Per quanto riguarda il pelo, esso è lungo e fine in tutte le regioni del corpo. An-che in questo caso, per le ragioni descritte per la tonalità del mantello, devono esser considerati anche quei soggetti con pelo intermedio, cioè lungo sola-mente sul tronco e sulle cosce. Non va invece tollerato il pelo completamente raso. Indispensabile in questa razza è la presenza di corna, che nelle femmine devono essere rigorosamente a sciabola. Nei maschi, le corna, oltre a presen-tare una maggior lunghezza che nelle femmine, mostrano normalmente una torsione tale da divaricarle. Anche se rare, sono presenti nei maschi corna con orientamento tipo a stambecco. Le capre Sempione per essere considerate tali non possono essere acorni. Le orecchie sono proporzionate, appuntite e portate in avanti, carattere tipico delle razze locali europee di tipo alpino.Da una osservazione complessiva della morfologia di questa capra risulta evi-dente che alle caratteristiche lattifere unisce delle peculiarità di rusticità che le consentono di essere allevata con successo nei territori di pascolo impervio dell’alta Ossola.Pur essendo una razza da latte, la capra Sempione, come le capre locali di tipo alpino presenti nel nord Italia, è allevata con metodi e per motivi differenti a secondo dell’orientamento e della prevalenza produttiva dell’azienda. In alcu-ne realtà, quelle più vicine all’imprenditorialità, sempre nell’ambito di un’attività tradizionale, gli animali vengono munti, dopo lo svezzamento del capretto, per periodi più o meno lunghi. Dallo studio della condizione di allevamento di questa razza sono emerse molte tematiche di grande attualità. Lo scarso successo della richiesta di contribuzio-

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ne in favore delle razze locali, la non attivazione dello specifico Registro Ana-grafico (R.A.), pur istituito da tempo, il pericolo di un’applicazione troppo rigida dello standard di razza ufficiale.Nel primo caso, lo scarso successo di questi sistemi di finanziamento europei, non è però da interpretare solo come incapacità di impegno degli aiuti Comuni-tari, ma va visto come l’incompleto riconoscimento amministrativo di una razza e come chiusura, tipica del mondo caprino (allevatoriale, tecnico, amministrati-vo), alle iniziative di salvaguardia Nazionali e Europee. Questa chiusura motiva anche l’aspetto drammatico del secondo punto, dove la non attivazione del R.A. avviene proprio nel territorio di origine dove invece dovrebbe essere più percepibile l’importanza di questo strumento. Spesso, purtroppo, accade per un limite dello stesso R.A. Infatti, razze da più tempo salvaguardate, fuggono volontariamente da questo strumento, perché localmente il R.A. non riesce a trasmettere la percezione della presenza di una razza, della sua salute numeri-ca e della necessità di realizzazione di un monitoraggio continuo. Per quanto riguarda il terzo punto è auspicabile che non vengano compiute scelte drastiche per una applicazione immotivatamente rigida dello standard di razza, solo ed esclusivamente per perseguire formalismi estetici del tutto estranei ai principi di salvaguardia.Quali sono pertanto le azioni che andrebbero studiate e sperimentate? Sicura-mente andrebbero promosse capillari campagne di informazione sulle razze caprine locali presenti; andrebbe compiuto lo sforzo di attivare il Registro Ana-grafico; andrebbe eseguito uno studio per l’attivazione di una rete di monito-raggio locale che renda partecipi anche gli enti stessi, sicuramente più vicini al territorio, e con finalità differenti da quelle dei RR.AA., andrebbe potenziata la formazione di tecnici responsabilizzandoli sui principi di salvaguardia e metten-doli in grado di applicare sensatamente lo standard di razza nella scelta degli animali.La Capra Vallesana, come la Sempione, è rappresentata da soggetti che per standard devono avere buona lunghezza di pelo uniformemente distribuito su tutto il corpo. La caratteristica molto evidente del mantello è la netta separazio-ne fra la regione a tonalità nera e quella bianca che risulta, come convenzione fra gli allevatori, a metà del tronco. Il mantello con questa particolare distribu-zione cromatica è chiamato, secondo una precisa terminologia internazionale dei modelli di pezzatura, “mantellato inverso” (mantelé antériur).Per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche, anche la Vallesana ha quel-le tipiche della popolazione alpina europea. Presenza di corna a sciabola, che nel maschio manifestano una evidente torsione, portamento delle orecchie in avanti, mai di grosse dimensioni, presenza di barba e tettole in ambo i sessi, profilo fronto nasale rettilineo, sono presenti in modo uniforme nella popola-zione. Anche nel caso della Vallesana sono evidenti i tipici caratteri di finezza riscontrabili nella maggior parte delle razze alpine da latte. La razza così descritta segue un preciso standard ufficiale riconosciuto dal Registro Anagrafico Nazionale e dal Libro Genealogico Svizzero. In passato, in Italia come in Svizzera, le caratteristiche di uniformità del mantello della ca-pra Vallesana erano meno standardizzate. La raccolta di materiale fotografico

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d’epoca, risalente all’inizio del ‘900, ritrae questa capra, in territorio italiano, in una preziosa e maggiore variabilità di mantello.Erano infatti presenti, oggi quasi scomparsi, soggetti bianchi e bruni (eumelani-na probabilmente bruna, o feomelanina), chiamati localmente rossi, e soggetti con anteriore costituito da una miscela di peli neri e bianchi (insieme di frosting e mélangés “animaux gris”), chiamati volgarmente grigi. Inoltre, la separazione cromatica del mantello era presente non solo esattamente a metà del tronco, ma anche appena dietro le scapole. La perdita dei pochi soggetti rimasti con queste caratteristiche a causa di un unico scopo estetico, è da considerare in contrasto con i principi di salvaguardia che oggi vengono riconosciuti in tutti i paesi europei. Anche per la Vallesana le tematiche emerse da questo studio riguardano, oltre la non attivazione del R.A. sul territorio provinciale e la scarsa richiesta di aiuti comunitari, la non corrispondenza alla realtà dello standard di razza, il quale non prevede le due varianti di mantello appena descritte e importantissime al fine della biodiversità.Quali sono pertanto le azioni che andrebbero studiate e sperimentate? Per questo ultimo caso, diventa priorità assoluta la revisione ufficiale dello standard e la sua corretta applicazione nella scelta degli animali. A ciò si deve affianca-re una esatta informazione agli allevatori, i quali sono, pericolosamente, molto più inclini, seguendo orientamenti più svizzeri che italiani, a ingessare la capra Vallesana nella sua unica veste di razza metà nera e metà bianca, riducendo ulteriormente il suo già misero numero di animali (circa 480 capi in tutto il Pie-monte).Come queste due razze, in base alla loro origine, vanno inserite nel contesto storco delle razze locali alpine? La raccolta di informazioni sull’origine delle razze caprine alpine italiane non è affatto semplice, soprattutto per scarsità di notizie specifiche. Proprio per questo l’applicazione di una corretta indagine storica è di estrema importanza. Buona parte degli errori commessi nel recente passato (Reg. CE 2078/92) e più recentemente (ostruzionismo verso il riconoscimento della razza caprina Alpina Comune o Alpina Locale e leggerezza nella gestione delle razze policromatiche ad individuazione territoriale), sono motivati dalla superficialità nel non aver da-to il giusto peso alla ricerca storica in questo settore.Nel caso della Sempione e della Vallesana sono stati due gli aspetti storici importanti emersi. Il primo riguarda l’origine del nome, il quale risulta relativa-mente recente e legato all’aspetto puramente amministrativo di riconoscimento ufficiale della razza Sempione, mentre di esclusiva origine svizzera per quanto riguarda la Vallesana. Il secondo, più interessante, è l’origine di queste due razze che risulta comune e legata ad una precisa pratica zootecnica, in uso fino all’inizio del secolo scorso, che vedeva come protagonisti pastori ossolani (della Valdivedro) e svizzeri vallesi (del Sempione).Per quanto riguarda l’origine del nome è inoltre emerso che in province confi-nati, Vercelli e Alessandria, entrambe le razze venivano chiamate, fino all’ap-plicazione del Reg. CE 2078/92, genericamente Sempione, probabilmente in funzione del territorio di provenienza.

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Capita molto spesso, infatti, che il nome di una razza locale sia più conosciuto nella sua zone di “diffusione commerciale” (territori dove è presente un florido commercio di animali al di fuori dei confini di origine), che non nella sua zona di d’origine. Questo fenomeno è abbastanza ricorrente e si può spiegare consi-derando che in passato, nelle zone di “diffusione commerciale” il nome, grazie anche all’uso fatto dai commercianti di capre, riprendeva nella sua “etimologia” la zona di provenienza. Nelle zone di origine, molto spesso invece, gruppi di capre simili venivano indicati con un nome, “generico”, che evidenziasse sem-plicemente una loro caratteristica morfologica. L’origine di queste due razze, invece, va fatta risile alla pratica zootecnica della sciavèrna. Essa consisteva nell’affidare durante l’inverno, da parte dei caprai svizzeri del Sempione, i propri animali ai pastori della Valdivedro. Questa tradi-zione era una pratica consolidata e diventava strettamente necessaria, soprat-tutto nelle annate in cui l’inclemenza meteorologica in territorio svizzero dava poche possibilità di produrre fieno sufficiente per l’inverno. Alla restituzione delle capre, dopo il parto a fine inverno, i caprai in territorio Italiano tratteneva-no come compenso del mantenimento il capretto nato. Questa consuetudine diede origine ad una consistente popolazione caprina simile a quella presente nel Vallese (capre bianche a collo nero/bruno/grigio o totalmente bianche, tutte a pelo lungo). Nella provincia del VCO e, in maggior misura, nei distretti del Verbano e del Cusio è ben rappresentata numericamente anche la razza Alpina Comune o più propriamente Alpina Locale. Questa macro-razza, presente su tutto l’arco alpino, è caratterizzata dal possedere un mantello policromatico con varie com-binazioni melaniche (modelli di pigmentazione), presenza di pezzature e alte-razioni di mantello variabili, oltre che di un pelo di diversa lunghezza. A queste caratteristiche molto variabili (vero patrimonio di biodiversità), si accompagna-no caratteristiche di razza ben fissate e, soprattutto, differenti dal ceppo capri-no asiatico mediorientale ed africano (profilo fronto-nasale rettilineo, orecchie erette e portate in avanti). Grazie alla Regione Piemonte il Registro Anagrafico di questa razza è stato istituito, ma, purtroppo, mai attivato. Fra tutte le razze ca-prine dell’arco alpino questa è quella di cui si può ipotizzare una più attendibile origine. Infatti è la più probabile e vicina discendente della popolazione, già ad uno stadio post-domesticatorio, che si insediò sulle alpi e in Europa centrale in genere, a seguito delle migrazioni umane di invasori danubiani di provenienza balcanica (�.000 �.000 aC.). È ormai riconosciuto che la razza Alpina e quella dei Pirenei (Francia-Spagna) sono le più antiche. Riuscire a valorizzare questa razza e il suo sistema di allevamento, prodotti compresi, ha una sua elevata importanza, che va al di la della già citata e importantissima biodiversità. Infatti la presa di conoscenza dal punto di vista tecnico, scientifico, amministrativo e allevatoriale di questo patrimonio ostaco-lerebbe il fenomeno della spettacolarizzazione delle razze locali per ragioni estetiche, ridurrebbe il fenomeno della colonizzazione competitiva attraverso l’allevamento di razze locali al di fuori dei loro territori ufficiali, contrasterebbe l’idea che il settore caprino locale può essere rivalutato solo attraverso il rico-noscimento di una razza, anche se immotivato dal punto di vista della tutela,

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contribuirebbe a dare dignità allevatoriale a chi produce con le proprie capre locali senza legarsi a formalismi estetici di standard, eviterebbe la riforma di capre di pregio solo perchè non della razza autoctona.Anche la presenza dell’Alpina Comune o Alpina Locale in Ossola è legata ad una pratica zootecnica documentata. Chiamata localmente aruaa, questa pratica veniva adottata da chi possedeva solo poche capre, anche solo una, ed era sprovvisto, giustamente, del becco. In questo caso le femmine, all’approssimarsi del periodo dei calori, venivano affidate a proprietari di greggi più consistenti che, spesso, si trovavano in zone più lontane dal confine svizzero e quindi in maggior contatto con le altre valla-te Ossolane. Abitualmente, questi proprietari avevano la consuetudine di pos-sedere più maschi dai più svariati mantelli (Alpina Locale). A pagamento del servizio di monta, i proprietari dei becchi mungevano le capre, che erano state affidate a loro, per il periodo restante prima dell’asciutta (normalmente metà autunno). In questo modo una parte della popolazione caprina ha mantenuto una tipologia tipica della razza Alpina policromatica. L’elevata presenza sul tutto il territorio provinciale dell’Alpina, accompagnato da un territorio relativamente poco esteso, sono le condizioni vantaggiose per-ché si possa ipotizzare proprio nel VCO l’inizio di un piano di valorizzazione di questa razza. Potrebbe essere studiato e sperimentato un programma a favo-re dell’individuazione dei territori dove l’Alpina Comune abbia subito il meno possibile un’azione di inquinamento o erosione genetica da parte delle razze selezionate (Camosciata e Saanen), avvenuto probabilmente in passato, o, più recentemente, dalle stesse razze locali ufficiali. Questo progetto di studio an-drebbe affiancato dall’attivazione del rispettivo R.A. e dalla sua corretta appli-cazione.Ancora poco studiata è la presenza in Vall’Antrona di una razza fino ad og-gi sconosciuta, la “Camosciata della Vall’Antrona”. È possibile ipotizzare che questa popolazione possa essere un esempio di recente standardizzazione. Sicuramente il suo successo è l’espressione della recente distorsione dell’al-levamneto caprino, indirizzato maggiormente al solo utilizzo del capretto che non alla trasformazione del latte. Questa popolazione caprina è, infatti, notoria-mente poco produttiva e facile da avviare ad una interruzione anticipata della lattazione. Applicare, dopo una responsabile ideazione, un sistema che sia in grado di giustificare la nascita di una nuova razza, separandola dall’Alpina Locale (teo-rizzazione del riconoscimento assennato dei ceppi locali), sarebbe di grande importanza per tutto il territorio dell’arco alpino. La nascita di una razza locale ufficiale, infatti, ha un “prezzo” molto elevato (es. costo sociale, adesione ad uno standard, prezzi immotivatamente elevati dei riproduttori e così via) e quin-di il distacco dei ceppi locali dall’Alpina Comune, deve avvenire solo quando esistano le condizioni in base alle quali una popolazione locale sia tutelabile come entità a se stante (evitare la frammentazione ingiustificata).La presenza in questo territorio di tre razze, la Sempione, la Vallesana, l’Alpina Comune e di eventuali ceppi locali riconoscibili ufficialmente è lo spunto ideale per ideare un modello di salvaguardia che tenga in considerazione la neces-

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sità storica di valorizzare questa convivenza (importanza dell’indagine storica dell’origine di una razza, già affrontata nei punti precedenti). In passato erano infatti rari i greggi in purezza e sarebbe una forzatura, anche verso gli allevatori, pensare a piani di intervento rigidi e che non tengano conto di questa plurali-tà. Non dimentichiamo che questo potrebbe essere il primo caso di un piano di salvaguardia su tutto l’arco alpino che non reprima ma valorizzi in un unico territorio più razze ufficiali storicamente presenti.L’osservazione in questi territori di un certo grado di isolamento nel settore ca-prino (tecnico, amministrativo), se unito alla ripresa dell’importanza di condivi-dere le proprie problematiche con realtà simili al fine di instaurare un processo di crescita comune, sono le condizioni per le quali riuscire in futuro a sviluppare la capacità di condivisione fra gli allevatori con esperienze diverse e sarà ba-silare per la risoluzione di molti problemi delle razze locali caprine alpine. Nel caso specifico dell’Ossola è possibile azzardare più aspetti di similitudine per indirizzare la scelta verso la condivisione con altre realtà. Di seguito ne diamo una breve proposta: -vicinanza di territorio e similitudine di razze caprine alle-vate (Vallese -CH-); -similitudine di mantello (Appenzelle -CH-, Kempense geit -B-); medesimo livello di salvaguardia (razza Pezzata Mochéna -I-, capra Grigia di montagna -CH-).Per quanto riguarda i vantaggi e gli svantaggi della vicinanza (lontananza) di territorio, non è da sottovalutare la possibilità, per accorciare le distanze, del-l’uso dei nuovi sistemi di comunicazione mediatica. Sicuramente è da preve-dere, in questo caso, la nascita di centri polifunzionali per video-conferenze (l’Ossola ne è già provvista ed in Svizzera è già una realtà consolidata). In questo modo un territorio non eccessivamente vicino è probabile che stimoli la cooperazione ed la condivisione e attenui la competitività.Il territorio del VCO è caratterizzato dalla presenza di un buon numero di ma-nifestazioni zootecniche dove la capra è protagonista. Le più rappresentative sono: Trasquera (“al sun di sunèi”), Croveo (“craf in crof”), Cambiasca e S. Maria Maggiore (Mostra del Capretto Vigezzino). In nessuno degli appunta-menti, che si svolgono fra autunno e primavera, è presente un vero e proprio concorso. Questo, contrariamente a quello che si può pensare, è un aspetto positivo. Spesso le mostre sono un appuntamento poco proficuo e che serve solo a “spartire” premi, oltre che ad alimentare la conflittualità fra allevatori, perdendo il vero scopo di confronto, dopo il lavoro di tutto un anno. L’esposizio-ne caprina rimane troppo spesso l’unica iniziativa amministrativa a favore del settore, senza peraltro avere nessun effetto sulla “salute” numerica, economica e sociale di una razza caprina locale. Da qui potrebbe ripartire la riconquista della vera funzione di questi appuntamenti. Andrebbe sperimentato un sistema di cooperazione fra i diversi comitati organizzativi. Ogni appuntamento deve concentrarsi su una problematica specifica e svilupparla, anche con l’organiz-zazione di incontri tecnici o divulgativi. Il tutto senza trascurare la possibilità di approfondire diversamente i tanti aspetti commerciali dei prodotti legati a questo settore (maggior coinvolgimento del consumatore). Spesso, invece, il vi-sitatore (consumatore) è disorientato e non riesce a comprendere il reale motivo di questi “rendez-vous” della capra, se non quello di mettere mano al portafogli

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per l’acquisto di prodotti anche a costi abbastanza elevati (motivati?!). Gli alle-vatori, invece, troppo spesso limitano il loro interesse all’esposizione del più bel capo della propria stalla.Anche nel VCO, come in tutti i territori dell’arco alpino, esiste una moltitudine di prodotti legati all’allevamento della capra. Ufficialmente, perché inseriti nel-l’elenco dei Prodotti Agricoli Tradizionali del Piemonte, si producono lo Spress o Spesitt e il Caprino della Val Vigezzo. Nei mercati locali, però, si possono trovare anche molti altri formaggi, forse più anonimi, ma non per questo meno importanti. I formaggi misti ottenuti con latte di capra e di vacca, per esempio, sono la memoria storica di quando in alpeggio vacche e capre davano abbon-dante latte per la caseificazione quasi mai separata.In alcune pubblicazioni locali l’elenco dei formaggi si arricchisce del caprino di Baceno, di quello Ossolano chiamato “furmagit at crava” e del caprino di Trontano.I prodotti carnei, ad esclusione del capretto, che ha il suo mercato in un perio-do ristretto dell’anno, si ottengono soprattutto con la macellazione di animali a fine carriera. Salamini, come i Sigarini (tipici della Val Formazza), dalla forma caratteristica per l’uso del budello di capra per il loro confezionamento, cosce e spalle stagionate tipo violino sono alcune delle produzioni della zona. Trovano mercato anche vari tagli di carne da banco, che vengono utilizzati per la prepa-razione di varie ricette tradizionali a base di carne bollita.Infatti, in passato, uno dei piatti più comuni era proprio preparato con carne di capra salata e seccata per la sua conservazione e fatta rinvenire in acqua per essere poi cotta con l’aggiunta di patate e rape. A tale proposito numerosi libri storici su una delle popolazione di queste mon-tagne, i Walser, riportano molteplici testimonianze gastronomiche sull’utilizzo della carne di capra per la preparazione di varie pietanze. Altrettanto si può dire della restante parte di popolazione Latina.Queste preparazioni sono oggi proposte in alcune sagre popolari come per esempio ad Arzo, nel Cusio, durante la festa patronale a metà maggio. La ca-pra bollita era una volta molto consumata da queste parti quando ancora, nella simbologia storica identificativa dei paesi, Arzo, frazione del Comune di Casale Cortecerro, era associato a “i crau”, le capre per l’appunto.Attualmente, anche se con meno frequenza che in passato, nelle valli Ossolane si consuma il caprettone. In questo caso la carne è ottenuta da maschi dell’an-no castrati in tenera età e macellati dopo la discesa dall’alpeggio. Una menzione particolare va fatta invece per il Capretto Vigezzino. L’idea di un marchio commerciale di tutela del capretto prodotto in Valle Vigezzo nasce nel 198�. Inizialmente, all’interno di un progetto territorialmente più ampio, la tutela della carne di capretto locale fu ipotizzata su tutto il territorio del distretto del-l’Ossola. Fallito questo tentativo, gli sforzi si concentrarono unicamente sul solo territorio della Valle Vigezzo grazie all’interessamento dell’omonima Comunità Montana. Si pensò però che la via migliore fosse quella di un marchio territoriale forte, in grado di valorizzare e contraddistinguere tutte le attività commerciali-artigianali presenti nella valle, sia agricole (produzione di latte, formaggio, carne e prodot-

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ti ortofrutticoli), sia dell’artigianato locale (manufatti in legno, ceramica, ecc.). Fu infatti studiato il marchio “Prodotto Tipico” di Valle Vigezzo. Oggi si deve però riflettere sul fatto che la specificità del marchio risulta fonda-mentale in termini di individuazione di un prodotto e della sua tipicità. All’epoca (metà anni ’80), identificare un territorio, in questo caso la Valle Vigezzo (famosa nel mondo come la valle dei pittori e degli spazzacamini), dava sicuramente grande rilievo al singolo prodotto, allora anonimo, anche se all’interno di un riconoscimento generico e più che altro turistico/territoriale. Oggi la sensibilità del consumatore è fortemente cambiata. Esso ricerca un marchio da attribuire ad un specifico prodotto e da collocare, in un secondo tempo, in un particolare territorio e non l’inverso, come poteva accadere anni fa, quando si sfruttava la valenza turistica di una valle per favorire la commercializzazione anche dei suoi prodotti agricoli e artigianali (prevalenza della risonanza turistica su quella agro-ambientale/gastronomica).Pur nella sua ideazione prettamente generica/territoriale, il marchio “Prodotto Tipico” di Valle Vigezzo ebbe un seguito solo per la produzione del “capretto”. Oggi, localmente, questo marchio è infatti sinonimo solo di questo tipo di pro-dotto. Il capretto “Tipico Vigezzino” è inserito, inoltre, fra i Prodotti Agricoli Tradizio-nali regionali (PAT), regolamentati dall.art 8 del DL 17�/98 e classificati dal DM ��0/99 (il suo inserimento è avvenuto con DGR del 1� aprile 2002 n 46-�82�). In un contesto di mercato ormai indirizzato alla globalizzazione, spesso senza regole, la revisione dei marchi generici territoriali, come lo è quello del capretto vigezzino, è una priorità. Non differenziarsi vuol dire lasciare aperto il proprio mercato ad altri Paesi.Sempre nell’ottica della condivisione delle problematiche e della valorizzazione delle produzioni, cioè coinvolgere in maniera collaborativa diversi enti con com-petenze differenti (arricchimento dato dalla pluralità), i parchi, come accade nel resto d’Europa, potrebbero svolgere anche nel VCO un’importante funzione. Sfruttare la commerciabilità di un Parco offre maggiori possibilità che la zootec-nia in montagna si orienti verso un mercato diversificato e quindi si consolidi. Non dimentichiamo che molti studi di sociologia hanno ormai verificato che il coinvolgimento di più enti, che lavorano insieme per il bene collettivo, favorisce e rafforza e non mina, l’identità delle zone rurali e dei loro prodotti alimentari. Chiaramente gli enti non si devono limitare, come troppo spesso accade, alla semplice elencazione dei prodotti con annessa brochure e alla programmazio-ne di sterili sagre rurali, oggi il grande business, totalmente slegate dal mondo rurale agricolo. A proposito di un’azione di valorizzazione di tutte le produzioni caprine e che coinvolga tutti i territori dell’Ossola, ipotizzabile forse oggi con il contesto so-cio-economico che si sta delineando, potrebbe essere appropriato attribuire ad ogni singolo territorio delle diverse Comunità Montane, attualmente cinque, una specifica “peculiarità caprina”. Cioè individuare una singola produzione da potenziare e pubblicizzare dal punto di vista anche turistico, per esempio all’interno di una sorta di “itinerario delle specialità caprine ossolane”. Questo presumerebbe però l’attuazione di un programma di valorizzazione comune in

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tutto il distretto, attraverso un coordinamento ben strutturato fra diversi enti. Lo scopo sarebbe quello di rafforzare l’identità territoriale per singolo prodotto ca-prino, senza scadere in una chiusura identitaria territorio-prodotto-capra. Infatti, tutto ciò, è bene precisare, si deve realizzare senza tralasciare le altre produ-zioni (per esempio: latte e formaggio, carne da animali adulti e così via), se già presenti fra le attività produttive nei singoli luoghi dell’ipotetico itinerario o senza disincentivarne la nascita di nuove (es. ristorazione con prodotti di capra). Una tematica molto interessante, ancora da affrontare in Ossola e che spesso vie-ne tralasciata nelle azioni in favore del settore caprino, è la giusta attenzione alle differenti problematiche fra il comparto allevatoriale convenzionale (allevamenti intensivi) e quello tradizionale-pastorale. Diventa difficile trovare un confronto co-struttivo quando questo si articola sul considerare il primo razionale ed efficiente, unico in grado di garantire il futuro economico di un territorio ed il secondo invece come esempio di arretratezza ed incapace di generare reddito. Questa forma di conflittualità, spacciata per progresso tecnico per anni, oggi scricchiola sotto le nuove indicazioni dell’UE e sotto i segnali di “condizionalità”, “benessere degli animali” e tutela del territorio. Se il conflitto fra questi due sistemi, che vedeva il primo vincente in popolarità sul secondo, è anacronistico, commetteremmo il me-desimo errore nell’alimentare, oggi, una rivincita del sistema tradizionale (e razze locali), su quello convenzionale (sinonimo di razze selezionate). È anche vero, però, che un confronto costruttivo si potrà avere solo in un contesto di chiarezza, senza che vi sia una concorrenza sleale di mercato fra i due sistemi. Indispen-sabile è, quindi, che vengano commercializzati prodotti riconoscibili dal punto di vista del sistema di allevamento che li ha generati. Non a caso è bene non dimenticare mai che esistono allevamenti caprini “di” montagna (-valorizzazione delle risorse foraggere locali; -presidio territoriale; -prodotto immesso nel circuito locale; -produzioni tradizionali; -razze locali; -maggior corrispondenza alle ultime direttive dell’Ue) e allevamenti caprini “in” montagna (-intensivi; -minor legame con il territorio; -maggior dipendenza da fonti esogene per l’alimentazione degli animali; -prodotto immesso anche in circuiti extralocali; -razze selezionate). Esi-ste la reale possibilità che questi due sistemi allevatoriali (convenzionale e tradi-zionale pastorale) possano coesistere? La risposta è “si”! Prima di tutto per una questione di mercato dei prodotti caprini. Quello convenzionale è infatti in grado più spesso di renderlo vivace, mentre quello tradizionale di arricchirlo di prodotti tipici, due condizioni indispensabili per attirare il consumatore. La provincia del VCO ha ancora ampi spazi, e potrebbe essere possibile favo-rire un corretto e proporzionato aumento di queste due tipologie allevatoriali. Come? Ipotizzando una sostenibilità territoriale in termini altimetrici.A proposito di iniziative realizzate in questo territorio e a favore del settore ca-prino, tre sono state le più rappresentative: “Valorizzazione e tipicizzazione del-le produzioni caprine delle valli Ossolane e Cannobina”, realizzata dalla CM Valle Vigezzo nel 1989; “Caratterizzazione delle popolazioni ovine e caprine del Nord Piemonte”, indagine svolta dal Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università degli Studi di Torino nel 2000; “Azione in favore della realtà ca-prina trasquerese”, eseguita dall’autore (R.A.R.E. e Ager), nel 200�. Gli scopi sono stati nel primo caso quello di valorizzare le produzioni locali per frenare

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l’importazione di prodotti, anche francesi, resasi necessaria per la continua ri-chiesta da parte di un mercato in continua espansione; nel secondo fotografare puntualmente la realtà allevatoriale; nel terzo caso sensibilizzare e preparare gli allevatori ad aderire alla conservazione delle due razze caprine locali tutelabili in Ossola. Cosa invece hanno messo in luce? Nel primo caso, la necessità di incrementare le produzioni nel rispetto delle normative e quindi fare in modo che gli allevamenti uscissero dalla clandestinità produttiva; nel secondo caso, che in Ossola esisteva, fin da allora (anno 2000), il pericolo che l’immobilismo verso la salvaguardia delle razze locali portasse all’introduzione di razze ca-prine locali confinanti, favorendo l’erosione genetica e territoriale della razza Sempione e Vallesana; il terzo caso, invece, ha fatto emergere l’importanza di eseguire un percorso comune allevatori-istituzioni per agire con più efficacia sulla salvaguardia delle razze locali e per una più veloce e corretta ripresa delle attività agricole rurali. Cosa ci hanno suggerito univocamente però, tutte e tre i progetti? Che esiste un’incapacità amministrativa, generalizzabile a tutto l’arco alpino, di programmare interventi continuativi. Andrebbe quindi sperimentato, in questi territori, un nuovo e stabile modello d’intervento, scadenzato da op-portune verifiche in prospettiva di azioni durature. Attualmente (anno 2007), è in programma un progetto R.A.R.E., finanziato dal-la CM Valle Antigorio-Divedro-Formazza, denominato: “Progetto di studio sullo stato di pericolo delle due razze caprine autoctone, Sempione e Vallesana, nell’ambito della realtà allevatoriale caprina nel territorio della C.M.”. Lo scopo è quello di programmare una serie di incontri a tema, visite in stalla e studio di in-dicatori di salvaguardia per la razza Sempione e Vallesana. Diffondere una nuo-va cultura rurale attraverso incontri programmati a tema è oggi di fondamentale importanza, infatti, è ormai riconosciuto che la strutturazione del divario e la disuguaglianza fra mondo rurale e urbano è riconducibile alla disponibilità di capitale culturale e solo secondariamente alla condizione economica. Divario, quest’ultimo, tra l’altro, apprezzabile solo come divario di reddito fra mondo rurale e urbano con affermata e consolidata condizione lavorativa, questa di-sparità si attenua quando il confronto è fra mondo rurale e società urbana a condizione lavorativa precaria. Una corretta informazione e formazione non va solo rivolta agli allevatori, ma an-che ad amministratori e tecnici, soprattutto se in “erba”. In Ossola è presente un rinomato Istituto Professionale Agrario che non potrà essere escluso da un even-tuale futuro piano di valorizzazione e potenziamento delle produzioni caprine. Infatti, una aspecifica o impreparazione tecnica genera azioni, anche da parte di chi in buona fede crede nelle razze locali e nel prodotto tradizionale, dagli effetti pericolosi. Per esempio: una eccessiva pubblicità delle razze locali solo dal punto di vista estetico crea un forte aumento dei prezzi dei riproduttori senza ragioni di tipo funzionale, con l’effetto di allontanare buona parte degli allevatori storici competenti, non disposti a seguire questa sorta di “moda della ruralità a tutti i costi”. L’eccessiva pubblicità di un prodotto tradizionale e quasi scomparso, invece, favorisce le sofisticazioni, allontanando il consu-matore preparato e “fidelizzando” quello sprovveduto, e proprio per questo più volatile (instabilità dei consumi).

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Conclusioni

Il territorio della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola si caratterizza per la mol-titudine di paesaggi grazie alla presenza del lago e della montagna. Questi ambienti sono il connubio perfetto per le esigenze dell’allevamento tradizionale della capra, che unisce allo sfruttamento razionale delle risorse prato-pascolive della montagna quello dell’esigenza di trovare un’ideale sbocco di mercato fa-vorito, in questo caso, anche dal turismo del lago.La valorizzazione di queste preziose risorse impone la messa in campo di forze che, ad una visione generale delle problematiche, cioè su scala provinciale, unisca una conoscenza puntuale, cioè locale, delle azioni da dover realizzare.L’obiettivo deve essere quello di costruire organicamente gli interventi e gli im-pegni nei confronti di un settore che si è mantenuto fino ad oggi vitale, ma che è rimasto, forse, troppo isolato nel proprio contesto locale. Quella che per un singolo territorio può essere una incertezza e quindi un limite, può non esserlo in un contesto d’azione multi-disciplinare ben coordinato e applicato su un ter-ritorio più vasto.In quest’ottica un contributo ed un ruolo fondamentale lo potrà dare l’Ammini-strazione Provinciale la quale è necessario che si assuma l’impegnativo com-pito di coordinare le forze in campo, oggi rappresentate dai numerosi enti ter-ritoriali, con competenze vitali per il territorio. Comunità Montane, Enti Parco, Gruppi di Azione Locale, Associazione Provinciale e Regionale Allevatori e così via, dovranno collaborare al fine di operare un serio ed equilibrato piano di sviluppo dell’allevamento caprino nel VCO, tenendo conto dei differenti sistemi allevatoriali e delle preziose razze locali presenti sul territorio.

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FILIERA CORTA dELLA CAPRA dA LATTE IN VALTELLINA E VAL POSCHIAVO: I FORMAGGI E I CONSuMATORI

Noé L.1,2, D’Angelo A.1 , Gaviraghi A.1, Gianoncelli C.3, Markovi A.1

1 iStitUto SPERimEntaLE “LazzaRo SPaLLanzani” – Rivolta d’adda� agER agRiCoLtURa E RiCERCa, milano� aSSoCiazionE PRoVinCiaLE aLLEVatoRi Di SonDRio

Riassunto

Nel corso di poco meno di quindici anni si è formato nel comprensorio della valli della provincia di Son-drio un sistema di filiera corta del latte caprino che può offrire spunti di ripetibilità sull’intero arco alpino. L’esigenza di comprendere il comportamento dei consumatori ha portato a sottoporre una selezione di formaggi caprini tipo “caprino fresco” e “caciotta” al loro giudizio. Sono state raccolte �42 schede di giudizio che utilizzavano scale edonistiche a 9 punti. L’elaborazione dei dati raccolti ha permesso di tracciare un profilo anagrafico dei consumatori, di indagare le loro abitudini alimentari e l’attitudine al consumo, di effettuare un’analisi dell’accettabilità delle due tipologie di prodotto che, pur mostrando sostanziali differenze, hanno incontrato chiaramente il favore del pubblico.

Parole chiave: filiera corta, latte di capra, formaggi di capra, consumatori, test di accettabilità

Abstract

During the last fifteen years, a system of goat-milk short chain was created in the valleys of the Province of Sondrio. Such a system could become a model for other areas of the Alps in the next years. A selec-tion of goat-cheese of the “caprino fresco” and “caciotta” kind was submitted to consumer panel test using a 9-point palatable scale. Moreover, cheese was described using a checklist of 14 taste-descrip-tors. 542 judgement forms were collected and data were subjected to a two factor analysis of variance and a 2 independence test. This made it possible to record consumer demographics, to investigate on their food habits and type of cheese eaten, to carry out a palatability analysis of cheese which – though substantially different – were both clearly appreciated by consumers.

Key word: short chain, goat milk, goat cheese, consumers, consumer test

Introduzione

Nell’allevamento della capra nelle valli della provincia di Sondrio si registra, da alcuni anni, un fenomeno che ha recentemente incontrato l’interesse del mondo produttivo e dei consumatori. Si realizza, infatti, un sistema di filiera corta del latte che può offrire spunti di reperibilità sull’intero arco alpino.È noto come la filiera corta sia quella modalità con cui l’imprenditore agricolo può abbreviare il canale commerciale entrando in contatto diretto con il consu-matore (Pinnavaia, 2006). Contestualmente si realizzano le condizioni affinché si mantenga il prezzo di mercato il meno distante dal prezzo sorgente dei pro-dotti medesimi (Veronelli, 2004). La forma più classica di filiera corta si realizza con la vendita diretta.

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Prima di procedere oltre è bene precisare che il progetto Interreg III Italia-Svizzera “Valorizzazione e caratterizzazione dei prodotti lattiero-caseari caprini attraverso la valutazione del legame tra il pascolo, la tipicità e la qualità del latte e dei formaggi” (d’ora in avanti “Progetto”), che ha portato alla stesura di questo lavoro, ha indaga-to aspetti produttivi nella Valtellina, nel versante italiano, e nella Val Poschiavo, nel versante elvetico. È altrettanto importante sottolineare come la Valtellina sia spesso erroneamente associata all’intera provincia di Sondrio, mentre essa è unicamente la vallata solcata dall’Adda. La Valtellina e il complesso delle valli collaterali, da un punto di vista amministrativo, formano la provincia di Sondrio, che si caratterizza come un territorio in gran parte montuoso (Magnani, 200�).In termini di riferimento zootecnico, e non solo, si è soliti dividere il territorio della provincia di Sondrio in quattro macroaree distinguendone tre nella Valtel-lina (l’Alta Valle, con i tredici comuni più orientali della provincia dal comune di Sernio, la Media e la Bassa Valle con �2 comuni, lungo il corso dell’Adda, da Tirano a Piantedo) e una nella Valchiavenna, con i suoi tredici comuni, che è la valle solcata dal Mera (Noè, 1994).Se consideriamo la Valtellina, come l’asse portante dell’economia zootecnica caprina della provincia sondrasca, possiamo comunque considerare le valli collaterali, sia del versante orobico a sud, sia quello retico a nord, elementi significativi per comporre tale ricchezza.Dal punto di vista dell’interesse nel settore caprino tra le valli laterali della Val-tellina del versante orobico, sono da ricordare le valli del Bitto, dove si realizza l’omonimo formaggio tipico (D.O.P.) che, nella sua più antica concezione, era caseificato utilizzando, assieme al latte vaccino, una significativa quota di lat-te caprino della razza autoctona Orobica o di Val Gerola. Nel versante retico hanno grande importanza, sempre dal punto di vista della specie caprina, la Valchiavenna, la Val Masino e la Val Malenco.La Val Poschiavo è, dal punto di vista orografico e territoriale, una valle laterale del versante retico della Valtellina, anche se politicamente ricade nel cantone svizzero dei Grigioni. Questa particolare localizzazione genera alcune situazio-ni contraddittorie. Data la sua perifericità rispetto al sistema caprino elvetico, si trova con questo non ottimamente connesso. D’altro canto la frontiera e la sua appartenenza ad un paese extra UE non permettono, di fatto, un agevole scambio commerciale con la contigua valle italiana di Tirano. La distanza da entrambi i sistemi di produzione e commercializzazione ha creato l’esigenza di avvicinarsi al sistema valtellinese tramite le azioni generate dal Progetto. È bene ricordare che, per ragioni storiche, la popolazione di questo lembo di terra elvetica (�.000 abitanti), racchiusa per tre lati tra valli italiane, è per il 9�% di lingua italiana (Rete Civica Valposchiavo, 2006) e che questo favorisce ulte-riormente i rapporti sociali con le valli del sud. In questa valle, sono allevati ��1 capi caprini (fonte: Comune di Brusio e Comune di Poschiavo, 200�), un esiguo numero in termini assoluti, ma analogo alla provincia di Sondrio se inteso come rapporto tra capre allevate e residenti (Figura 1).Completa l’apporto al sistema caprino della Valtellina l’Alta Valle, soprattutto per la componente genetica relativa alla razza autoctona Frisa valtellinese o Frontalasca (Noè et al., 200�).

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Figura 1 - Contesto geografico e sociale in cui si realizza la filiera corta del latte caprino in provincia di Sondrio

In questo contesto si è organizzata la filiera corta del latte di capra che ha iniziato a razionalizzare, a partire dai primi anni ’90, un sistema di produzione basato sul-l’allevamento estensivo con un ridotto livello di investimento economico che non poteva reggere, sotto qualsiasi aspetto, la modernizzazione dei sistemi produtti-vi, imposta anche dalla crescente pressione dei regolamenti comunitari. Il livello produttivo delle greggi era estremamente basso ed in termini di latte prodotto e regolarmente commercializzato non si possedevano riscontri documentati.È riconosciuto all’Associazione Provinciale degli Allevatori (A.P.A.) di Sondrio il ruolo di guida nell’organizzazione del mondo allevatoriale, allora incapace di comporre una proposta produttiva e commerciale degna di reali contenuti economici.Le razze allevate nel territorio risultano strettamente legate al sistema di alleva-mento adottato. Oltre alle razze cosmopolite Camosciata delle Alpi e Saanen, diffuse con particolare consistenza in Bassa e Media Valle in allevamenti pre-valentemente riconducibili al sistema intensivo, si trovano un discreto numero di allevamenti di tipo semi-intensivo o estensivo in cui vengono allevati capi di razza autoctona quali Frisa Valtellinese e Orobica (Noè e Greppi, 200�; Schem-bri et al., 200�).Il patrimonio caprino in provincia di Sondrio è stimato in 18.�00 capi, dati forniti dalle Aziende Sanitarie Locali (A.S.L.) relativi all’ultima campagna provinciale di risanamento (200�). Questo dato, di per se poco significativo e retaggio del-l’antico sistema produttivo, colloca la provincia al primo posto, tra le province della regione Lombardia, per numerosità di capi caprini allevati (ISTAT, 2000).La capacità produttiva media nelle greggi caprine della provincia, calcolata su 2.2�1 capi in controllo funzionale, è, per singola lattazione, pari a 479 l/capo di latte (d.st. = 290 l) con contenuto percentuale di grasso del �,19 % e del �,11 % di proteina (AIA, 200�).

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Oltre ai dati di carattere produttivo, vero motore di un sistema di allevamen-to concepito in termini moderni, nel sistema di filiera corta del latte caprino della provincia di Sondrio desta interesse il fatto che coesistano due siste-mi produttivi, intensivo e semi-estensivo, da sempre giudicati antitetici, che abbiano trovato ugual efficacia commerciale e che siano in ultima analisi sinergici tra loro.Anche sotto l’aspetto commerciale il sistema si caratterizza mantenendo un marcato dualismo. Accanto alla produzione diretta, che ha forti asso-nanze alla produzione “fermier” del modello produttivo francese, si attua una produzione che, pur avendo caratteristiche artigianali è, di fatto, di tipo industriale.Le 1�9 aziende che allevano capre, organizzate dal sistema di assistenza tecnica della locale Associazione Provinciale Allevatori, permettono la produ-zione razionale e controllata di 4.927 fattrici. Aderiscono al programma di As-sistenza Completa Latte offerto dal Servizio di Assistenza Tecnica di Alleva-mento (S.A.T.A.) dell’Associazione Regionale Allevatori Lombardia (A.R.A.L.) 28 aziende, per un totale di 1.8�9 fattrici. Di queste, 17, in regola rispetto al DLg 228/2001, trasformano e vendono direttamente al pubblico (a cui si ag-giungono una decina di aziende che stanno completando gli iter burocratici e tecnici per iniziare l’attività e che andranno ulteriormente ad incrementa-re il gruppo dei produttori diretti). Sono 9 le aziende conferenti al caseificio “Latteria Sociale” di Delebio, che risulta essere il polo di riferimento per la trasformazione di tipo industriale nella provincia e che fin dagli inizi degli anni ’90 ha dato il suo apporto allo sviluppo del sistema di filiera. Il caseificio ha uno spaccio di vendita diretta al pubblico e quindi, anche in questo caso, i soci conferenti ottengono, con un solo passaggio intermedio, la vendita al pubblico, mantenendo invariato nella sostanza il concetto di filiera corta. Fra i prodotti disponibili trova il suo spazio anche il latte fresco di capra, confezio-nato al momento dell’acquisto.Il dato reale di conferimento delle 9 aziende nel 200� è di 688.014 l di latte che rappresenta l’88,72% del latte caprino raccolto dalla latteria (fonte: “Latteria So-ciale” di Delebio, 2006). La restante parte è raccolta da stalle che non risultano iscritte all’ A.P.A. di Sondrio.Il dato produttivo totale del latte caprino prodotto nella provincia, destinato al-la trasformazione ed al consumo, è stimato in 1.920.000 l/anno ed è giudicato invariato rispetto alle precedenti rilevazioni del comparto (Magnani, 200�).Pertanto il latte conferito e commercializzato tramite la latteria sociale (totale conferito 77�.�22 l, Figura 2), rispetto alla produzione totale stimata nella pro-vincia, è pari al 40,�9%. La restante parte, pari al �9,61% della produzione, e stimata in 1.144.478 l, è avviata alla vendita direttamente dai produttori.In questa situazione l’11,28% del latte commercializzato dalla latteria proviene da allevamenti esterni alla provincia. Il dato indica come, mantenendo le con-dizioni immutate, vi sia ancora spazio per il conferimento alla realtà industriale, per allevamenti interni alla provincia di Sondrio.La trasformazione del latte in azienda è una caratteristica propria della pro-duzione di latte di capra, anche se ultimamente si è assistito, a livello na-

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zionale, ad un aumento della quota consegnata all’industria (ISMEA, 200�). In provincia di Sondrio l’aumento del prodotto latte di capra, in questo de-cennio, è stato esponenziale ed il trasferimento del prodotto dall’azienda a luoghi di trasformazione ha seguito quanto visto a livello nazionale. Basti pensare che la quota conferita alla latteria sociale nel 199� era di soli �1.12� l e che quindi è aumentata di circa 2� volte nei 10 anni di apertura della linea produttiva.

Figura 2 - Conferimento di latte di capra alla Latteria Sociale di Delebio nel periodo 199�-200�

Alla luce di quanto esposto è evidente come in poco meno di quindici anni si è formato un “sistema di filiera corta Valtellina” del latte di capra capa-ce di prosperare coniugando sistemi produttivi e commerciali all’apparenza antitetici.La tipologia di produzione casearia, causa la recente storia del settore e la coesistenza delle due scelte commerciali (vendita diretta e tramite caseificio sociale), si presenta molto ampia e senza l’ispirazione a prodotti di antica tradizione. Due sono le categorie di formaggi caprini ricorrentemente offerte nella gamma produttiva delle aziende: il “caprino fresco”, ottenuto dalla lavo-razione di latte crudo o pastorizzato, tramite coagulazione prevalentemente acida da consumarsi dopo brevissima maturazione e un formaggio “tipo ca-ciotta”, ottenuto sempre dalla lavorazione di latte crudo o pastorizzato, con coagulazione di tipo prevalentemente presamica con pezzature attorno ai 600 grammi e stagionatura superiore ai �0 giorni. Non sono dissimili le tipologie di produzione che si realizzano nella Valle di Poschiavo, dove si realizzano solamente produzioni per vendita diretta di tipo aziendale.Pur registrando una buona capacità dei produttori alla vendita dei propri pro-dotti, si avverte, a causa di una prevedibile prossima maturità di mercato, l’esigenza di indagare in maniera più approfondita e precisa il grado di cono-scenza ed il gradimento da parte del consumatore delle diverse tipologie di formaggi di capra.

0100,000200,000300,000400,000500,000600,000700,000800,000

1995 1997 1999 2001 2003 2005

Anno

litri

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Figura 3 - La capacità produttiva (l) delle aziende caprine da latte caprino in provincia di Sondrio (anno 200�)

Utilizzando i test dell’analisi sensoriale di tipo affettivo (edonistico) e l’elabora-zione delle caratteristiche sensoriali, come misura e valutazione delle caratteri-stiche percettibili di un prodotto, si costituisce un importante legame tra la com-ponente produttiva ed il mercato e si possono trarre significative indicazioni per l’impostazione delle future campagne di produzione.

Materiali e metodi

Allo scopo di raccogliere indicazioni ed elementi conoscitivi sull’accettazione delle due tipologie di formaggio succitate, sono state organizzate quattro ses-sioni di assaggio. Nella sessione veniva effettuata un’analisi di accettabilità dei consumatori sui prodotti caprini valtellinesi, lombardi e valposchiavini. Due ses-sioni sono state organizzate in occasione di due edizioni consecutive (200� e 2004) della “Mostra regionale dei prodotti della montagna lombarda”, che si tie-ne tradizionalmente a Morbegno. La stessa analisi, per coinvolgere la realtà ter-ritoriale elvetica, è stata ripetuta a Poschiavo (Canton Grigioni) in occasione dei tradizionali mercati estivi del “Mercù in Plaza” con formaggi localmente reperiti che, come premesso, hanno tipologie simili di produzione. Un’altra sessione di analisi è stata condotta tra studenti che frequentavano l’istituto tecnico agrario di Limbiate (Mi) allo scopo di equilibrare, ai fini dell’elaborazione dei dati, la categoria adolescenti con soggetti non originari della provincia di Sondrio.È infatti importante ricordare che i residenti nella provincia di Sondrio al �1 agosto 2004 sono pari 178.889 unità e che nel corso dello stesso anno il flusso turistico nel territorio è stato pari a 476.000 arrivi con 1.97�.000 presenze con

PR O D U ZIO N E LA TTE 2005 (L)

TO TALE: 1.920.000

IM PO R TATO : 87.538

LAVO R ATO IN AZIEN D A: 1.144.448(17)

C O N FER ITO : 688.014(9)

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PR O D U ZIO N E LA TTE 2005 (L)

TO TALE: 1.920.000

IM PO R TATO : 87.538

LAVO R ATO IN AZIEN D A: 1.144.448(17)

C O N FER ITO : 688.014(9)

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permanenza media di 4,14 giorni. Anche il distretto poschiavino si qualifica come area interessata da un sostenuto flusso turistico contando 122.116 pre-senze l’anno su �.000 residenti (fonte: Azienda Promozione Turismo di Poschia-vo, 2006). Appare chiaro ed evidente come in una realtà a così alto interesse turistico il campione relativo ai non residenti deve essere assolutamente preso in giusta considerazione e quanto sia importante, nelle moderne concezioni del mercato, intercettare il gusto della fascia giovanile.Le tipologie di prodotto “fresco” e “caciotta” sono state sottoposte al giudi-zio dei consumatori che spontaneamente si presentavano presso gli stand di degustazione, mostrando perciò attenzione ed un connaturato interesse al prodotto. Ai consumatori partecipanti all’analisi di accettabilità del pro-dotto è stato fornito un breve questionario (foglio A4 fronte/retro) costituito di due parti. La prima parte era dedicata alla raccolta dei dati anagrafici (ses-so, età, comune di residenza, titolo di studio e professione) ed al tracciato di un profilo minimale delle abitudini alimentari e salutistiche del consumatore. Sono state, infatti, raccolte informazioni relative esclusivamente al consu-mo di formaggio di capra e all’atteggiamento rispetto al fumo. Quest’ultimo dato è stato rilevato al fine di verificare una possibile alterazione dei fuma-tori nella percezione delle caratteristiche dei formaggi di capra rispetto ai non fumatori. Rispetto al consumo di formaggio di capra si è registrata la conoscenza del prodotto e la frequenza di consumo nell’ultimo anno. La se-conda parte del questionario era esclusivamente dedicata all’analisi di ac-cettabilità dei due differenti prodotti ed era prevista la compilazione di una scheda di valutazione in cui era richiesto di esprimere un voto relativamente alle caratteristiche “sapore”, “odore”, “consistenza al palato”, “piacevolezza generale” (PG). Allo scopo è stata utilizzata una scala edonistica a 9 punti, in cui 1, � e 9 equivalevano rispettivamente ai giudizi “molto sgradevole”, “indifferente” e “molto gradevole” (Porretta, 1992). Al consumatore è stato inoltre richiesto di pronunciarsi riguardo ai sapori percepiti al palato, sce-gliendoli da un elenco preordinato: dolce, acido, amaro, salato (sapori pri-mari); piccante, aromatico, metallico (sapori secondari); ircino (di capra), latte, burro, fresco, frutta secca, stalla, ammoniaca (sapori complementati-vi). Infine è stata lasciata la possibilità di indicare altri sapori percepiti non presenti in elenco. Al fine di evitare un’alterazione della percezione di odore e gusto dopo il primo assaggio, al consumatore è stato sottoposto prima una porzione di “caprino fresco” e successivamente una porzione di formaggio “tipo caciotta” (Noè et al., 200�).Sono state raccolte �42 schede e di queste ne sono state analizzate ��0 ritenu-te complete e valide ai fini delle elaborazioni statistiche. Successivamente sono stati esclusi i minori di 14 anni dall’elaborazione.I punteggi espressi su sapore, odore, consistenza, piacevolezza generale sono stati sottoposti ad analisi della varianza a due fattori: la tipologia del formaggio (2 livelli: “caprino fresco” e “tipo caciotta”) e la residenza degli assaggiatori (2 livelli: provincia di Sondrio e altre province).I dati relativi ai sapori primari, secondari e complimentativi sono stati analizzati tramite test di indipendenza del χ2 applicato alle frequenze assolute.

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Convenzionalmente definiamo la prima serie di parametri (sapore, odore, con-sistenza, piacevolezza generale) come “profilo di accettabilità edonistico” e la seconda serie di parametri (sapori primari, secondari e complimentativi) come “profilo di accettabilità sensoriale”.

Risultati e discussione

Il profilo anagrafico del consumatore che si è sottoposto all’analisi di accet-tabilità è risultato eterogeneo per le categorie indagate. Hanno partecipato in leggera minoranza persone di sesso femminile (40,60% del campione), ge-neralmente le “responsabili” dell’acquisto di generi alimentari all’interno di un nucleo familiare (Porretta, 1992). Il grado di istruzione degli assaggiatori è da considerarsi medio-alto: il 21,81% è laureato mentre il ��,92% è in possesso di un diploma di scuola media superiore. Questi dati sono in linea con quanto evidenziato in analoga esperienza da Piasentier et al. (2002). La fascia di età maggiormente rappresentata è risultata quella dai �1 ai 40 anni (2�,11%), men-tre il �9,�1% del campione ha un’età compresa tra i 21 ed i �0 anni. I residenti in Lombardia sono l’86,8�% del campione. Il �1,�2% è residente in provincia di Sondrio e il ��,08% degli assaggiatori risiede in province della montagna lom-barda. Pertanto, risulta ben rappresentata anche la parte dei consumatori della pianura che tradizionalmente, nella regione, ha minor conoscenza dell’alleva-mento della capra, ma che contribuisce in modo massiccio al flusso turistico registrabile nell’area di studio.Le abitudini alimentari e l’attitudine al consumo evidenziano come il 91,86% dei partecipanti ha affermato di aver assaggiato almeno una volta nella vita for-maggi di capra, dato sicuramente influenzato dall’accesso volontario allo stand che era esclusivamente dedicato al prodotto caprino e non da una situazione di analisi rivolta a tappeto sul pubblico intervenuto alla manifestazioni. La percen-tuale di consumatori che ha assaggiato formaggio nell’ultimo anno scende al 80,1�%. Tra questi solo il 2,41% ha dichiarato di consumare formaggio di capra ogni giorno, il 1�,0�% ha dichiarato di consumarlo più volte alla settimana ma non ogni giorno, il 42,47% più volte al mese ma non ogni settimana, il 40,0�% raramente (Tabella 1). Dalla distribuzione delle frequenze di consumo appare evidente come il formaggio caprino sia un alimento noto al pubblico, ma l’as-siduità al consumo sia ancora un fatto che appartiene ad una ristretta fascia di consumatori.

Tabella 1 - Distribuzione in classi di frequenza del consumo di formaggio di capra nell’ul-timo anno.

Classi di frequenza di consumo nell’ultimo anno %Ogni giorno 2,41Più volte alla settimana ma non ogni giorno 1�,0�Più volte al mese ma non ogni settimana 42,47Raramente 40,0�

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Da mettere in evidenza come la percentuale di fumatori è risultata essere del 19,70%. Questo dato risulta inferiore alla percentuale di fumatori presenti in Ita-lia che, secondo una recente indagine Doxa (200�) è del 28,97%. Questo dato potrebbe indicare come ad un prodotto sostanzialmente ancora di nicchia e di sovente collegato a concetti di ambiente, natura e montagna, si accosti un mer-cato di consumatori con un atteggiamento maggiormente salutistico, fatto che, se verificato, potrebbe avere notevole importanza in termini anche commerciali. La categoria fumatori non si comporta in maniera evidentemente diversa dai non fumatori per le percezioni gustative ad eccezione del dato relativo alla sa-linità, meno percepita dai fumatori per entrambi i prodotti.Passando all’analisi dell’accettabilità delle due tipologie di prodotti, essi, pur mostrando sostanziali differenze, hanno incontrato chiaramente il favore del pubblico. I punteggi più frequenti assegnati alle categorie “sapore”, “odore”, “consistenza” e “piacevolezza generale” sono mostrati in Tabella 2. E’ interes-sante notare come, in ogni categoria, il formaggio “tipo caciotta” riporti un pun-teggio superiore di almeno una unità rispetto al “caprino fresco”.

Tabella 2 - Moda dei punteggi espressi dai consumatori sulle caratteristiche dei prodotti

Sapore Odore ConsistenzaPiacevolezza

generale“caprino fresco” 7 � 7 7

“tipo caciotta” 8 7 8 8

I formaggi sottoposti alla prova, per caratteristiche intrinseche dei prodotti, non presentavano odori particolarmente spiccati. In un consumatore non addestra-to l’attenzione alla registrazione della categoria “odore”, è meno sviluppata ri-spetto agli altri parametri e questo potrebbe giustificare una certa quota di risposte nell’intorno del parametro “indifferente” rilevate dall’analisi.L’elaborazione tramite l’analisi della varianza a due fattori (vedi Tabella �) con-ferma, inoltre, che nel profilo edonistico dei due formaggi il “tipo caciotta” è sempre maggiormente gradito rispetto al “caprino fresco”.Per quanto riguarda l’attributo “sapore” il dato si mantiene tale in termini di confronto assoluto tra le due tipologie (P<0,01) e per entrambe le categorie sottoposte all’attenzione dei consumatori, gli assaggiatori residenti nella provin-cia sondrasca danno un miglior giudizio (P<0,01), quindi un maggior indice di gradimento, rispetto ai non residenti della provincia.Nell’attributo “odore”, permanendo immutata la preferenza del “tipo caciotta” rispetto al “caprino fresco” (P<0,001). Il fattore “comune di residenza” non in-fluisce sul giudizio dell’attributo odore, pertanto non si possono determinare differenze sostanziali all’interno dei due prodotti in funzione della provenienza dei consumatori.Il parametro “piacevolezza generale” mantiene lo stesso tipo di informazione, ma i residenti sondraschi, danno una maggior valutazione, quindi esprimono un maggior gradimento, rispetto gli assaggiatori delle altre province, per il prodot-to “caprino fresco” (P<0,001).

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Tabella 3 - Profilo di accettabilità edonistico: risultati dell’analisi della varianza a due fattori

Effetto LivelloSapore Odore Consistenza PG

media SE media SE media SE media SE

Formaggio

Caprinofresco

6,8�c 0,078 6,19e 0,076 6,69e 0,7�2 6,9�c 0,078

Tipo caciotta

7,11d 0,079 6,69f 0,076 7,17f 0,7�6 7,20d 0,078

Provincia di residenza

Provincia di Sondrio

7,21e 0,10� 6,�4 0,10� 7,09c 0,109 7,21a 0,10�

Altre province

6,74f 0,067 6,�� 0,068 6,78d 0,066 6,94b 0,067

a, b: lettere differenti indicano differenze significative (P<0,0�).c, d: lettere differenti indicano differenze significative (P<0,01).e, f: lettere differenti indicano differenze significative (P<0,001).

I profili di accettabilità sensoriale delle due tipologie di formaggio vengono mes-si a confronto attraverso i termini scelti dagli assaggiatori in Figura 4. Entrambi i prodotti risultano ben caratterizzati e i profili si differenziano proprio sugli attri-buti che distinguono la diversità delle due produzioni. Infatti, il “caprino fresco” viene identificato attraverso gli attributi acido (4�,1�% contro il 8,09%), fresco (4�,�7% contro l’11,00% del “tipo caciotta”), ben complementati da attributi co-me burro e latte, che sono descrittori tipici per produzioni a breve stagionatura. Relativamente all’attributo ircino (��,68% contro il 29,46%) il valore è sorpren-dentemente più elevato per il formaggio a minore stagionatura: ciò può essere spiegato con una relativa difficoltà da parte del consumatore non addestrato ad individuare esattamente il classico odore ircino, tipico dei formaggi di capra, oggettivamente più intenso in formaggi a maggior stagionatura. Nondimeno la consapevolezza di aver assaggiato prodotti di capra può aver condizionato l’assaggiatore nell’espressione di questo giudizio. Il formaggio “tipo caciotta” invece, viene definito principalmente dagli aggettivi aromatico (�1,9�% con-tro il 22,82% del “caprino fresco”), amaro (20,9�% contro il 4,�6%), piccante (21,�8% contro il 6,22%). Il discreto equilibrio degli altri descrittori, su cui si evidenzia l’attributo stalla, completa il quadro di produzioni leggermente più complesse delle precedenti dove una certa influenza della stagionatura comin-cia ad essere avvertita.

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Figura 4 - Profilo di accettabilità sensoriale: risultati del test χ2 (*: P<0,0�; **: P<0,01; ***: P<0,001)

Di estremo interesse appare anche il confronto tra i profili di accettabilità regi-strati in funzione della residenza degli assaggiatori in relazione al formaggio “tipo caciotta” che dal punto di vista sensoriale esprime maggiori complessità. Il confronto sostenuto tra residenti della provincia di Sondrio e i frequentatori della provincia (turisti), indica chiaramente come la matrice della cultura e del-l’educazione alimentare abbiano il loro peso.Si delineano infatti due profili significativamente distinti, anche dal punto di vi-sta statistico, in cui gli assaggiatori residenti nella provincia hanno indicato i formaggi come più dolci, meno amari e meno salati (trascurabile era l’apporto della componente acida, tra i descrittori primari). Anche in alcuni descrittori di tipo secondario o di tipo complementativo si mantiene la differenza. Il panel di assaggiatori dei residenti di Sondrio percepisce in maniera meno evidente il piccante e l’attributo “stalla”, e non percepisce affatto il descrittore ammoniaca, descrittore significativamente percepito dagli assaggiatori non residenti nella provincia.

0

10

20

30

40

50Dolce

Latte

Burro

Metallico

Acido

Fresco

Aromatico

Amaro

Ircino

Salato

Piccante

Ammoniaca

Stalla

Frutta secca

"Caprino fresco""Tipo caciotta"

***

***

***

***

***

***

***

**

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Figura 5- Profilo di accettabilità sensoriale: le differenze nel test χ2 in relazione della prove-nienza (*: P<0,0�; **: P<0,01; ***: P<0,001)

Conclusioni

Dall’analisi di quanto fin’ora riportato emerge chiaramente la capacità di aver creato in provincia di Sondrio un sistema di filiera corta del latte caprino capa-ce di coniugare le esigenze dei produttori legate sia ad una visione industriale della produzione, sia a quella artigianale.I prodotti ottenuti sono capaci di imporsi ad un pubblico considerato giovanile e di ispirazione salutista, con istruzione medio alta. Le abitudini alimentari e l’attitudine al consumo, abbinate ad un giudizio estremamente positivo su en-trambe le tipologie del prodotto proposto, indicano l’esistenza di spazi per un interessante sviluppo del mercato.Un’indicazione degna di attenzione emerge dall’analisi dei dati relativi alle perso-ne che nell’ultimo anno non hanno mai assaggiato il prodotto formaggio di capra. Pur non risultando differenze statisticamente significative esse hanno assegnato punteggi medio-alti in tutte le categorie ad esclusione della caratteristica ”odo-re”. Questo comportamento è da segnalare in quanto dimostra che i prodotti che possiedono uno standard di qualità decisamente alto sono in grado di catturare l’interesse di nuovi potenziali consumatori.È auspicabile che, grazie al forte interesse dimostrato dal consumatore per i prodotti caprini e alle situazioni logistiche territoriali, si trovino le risorse per aumentare, mante-nendo la qualità, il prodotto lavorato nei comprensori oggetto di studio, e si indaghino anche quelle produzioni, ad oggi rimaste un po’ in ombra, come il latte fresco ad uso alimentare e lo yogurt, che potrebbero aumentare in modo sensibile il fatturato in un settore che sta rapidamente raggiungendo la soglia della maturità produttiva.La conoscenza e lo studio dei comportamenti alimentari dei potenziali consuma-tori è da vedere, inoltre, come strumento per meglio qualificare le produzioni. La

05

10152025303540

Dolce

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sfida del futuro, in un settore che sta maturando sotto l’aspetto tecnico, gestiona-le e commerciale, si sposta nella capacità di intercettazione del cliente, avendo la capacità di mantenere immutate le specifiche tecniche raggiunte.Imperativo diventa quindi il passaggio culturale tra il “produrre” e il “proporre” che diventerà una delle chiavi di volta per lo sviluppo dei sistemi zootecnici nei Distretti Montani marginalizzati.

Ringraziamenti

Lavoro realizzato nell’ambito delle attività del progetto Interreg III Italia-Svizzera “Valorizzazione e caratterizzazione dei prodotti lattiero-caseari caprini attraver-so la valutazione del legame tra il pascolo, la tipicità e la qualità del latte e dei formaggi”. Si ringraziano le delegazioni ONAF di Sondrio e Milano per la fattiva collaborazione.

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L’ALLEVAMENTO OVINO E CAPRINO IN EuROPA E IN ITALIACON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL’ARCO ALPINO

Paoletti R.1, Aceto P.1

1 C.R.a. - CEntRo Di RiCERCa PER LE PRoDUzioni FoRaggERE E LattiERo-CaSEaRiE, Lodi

Riassunto

L’intento di questo contributo è di mettere insieme e di riportare in modo sintetico una serie di dati, attendibili e al momento disponibili, sulla consistenza delle categorie ovina e caprina a livello globale, europeo, italiano e regionale con particolare riguardo alla situazione dell’Arco Alpino Italiano. Si spera che questa panoramica possa contribuire all’approfondimento delle diverse tematiche trattate che nelle aspettative dei nostri alleva-tori e tecnici agricoli di montagna, dovrebbe delineare concrete prospettive di sviluppo socio-economico e indicare le soluzioni dei ricorrenti problemi pratici riscontrati negli ambienti montani e alpini.Gli ovicaprini da millenni costituiscono una risorsa fondamentale per l’economia di molti Paesi del mondo. I dati più aggiornati (200�) della FAO attestano una consistenza totale del patrimonio ovicaprino pari a 1 79� 10� 000 capi (1 028 �94 000 ovini e 764 �11 000 caprini), e per le importanti categorie bovina e bufalina, rispettivamente a circa 1 �68 000 000 e 170 �00 000 capi.E’ noto che in epoche più o meno recenti si è verificato nel mondo un forte sviluppo del settore ovino per la produzione di lana e o carne e latte mentre nel caso dei caprini si è mantenuto il ruolo tradizionale con moderata espansione e sviluppo dell’allevamento da latte in alcuni ambienti. La trasformazione del latte delle due categorie animali in formaggi si è da tempo affermata significativamente in alcuni Paesi del bacino mediterraneo.L’Unione Europea sia dei 1�, sia, ancor di più, dei 2�, comprende una vasta superficie agricola con pascoli e prati, per lo più permanenti ma anche avvicendati e diversi erbai, sia nelle aree di pianura, sia in quelle montane. I dati completi forniti da Eurostat ne mettono in evidenza l’importanza (46 61� 2�0 ha a foraggere permanenti nel 2000). Secondo Eurostat, nel 2000 il patrimonio zootecnico europeo ammontava a 192 ��1 000 capi, di cui 96 6�2 000 ovini, 11 496 000 caprini e 81 40� 000 bovini. AlI’Italia, Eurostat 200� attribuiva una consistenza stimata di 7 9�2 000 ovini e 961 000 caprini.I dati qui presentati per l’Italia e le sue aree regionali, compresa la specifica situazione dell’Arco Alpino Nazionale, sono stati ripresi dalle fonti ufficiali Istat e da quelle dell’Associazione Nazionale della Pastorizia (Asso.Na.Pa.). Quest’ultima riporta anche la distribuzione regionale delle razze ovine e caprine.Nel complesso, le statistiche ufficiali in nostro possesso sottolineano l’importanza vitale del settore zootecni-co ovicaprino che si rivela oggi più che mai strategico per lo sfruttamento delle risorse foraggere disponibili in aree importanti quali l’arco alpino e altre zone marginali europee ed extra-europee. In tali ambienti, infatti, le caratteristiche climatiche, geomorfologiche, ambientali del territorio spesso limitano fortemente le possibilità di utilizzazione dei pascoli con i bovini e rendono quindi gli ovicaprini il più conveniente strumento gestionale disponibile. L’allevamento di tali categorie animali può dunque potenzialmente giocare un ruolo fondamenta-le anche nella gestione e manutenzione delle molte aree svantaggiate d’Italia ed Europa.

Abstract

Sheep and goats breeding in Europe with particular regard to Italy and its alpine region.The aim of our paper is to report the main updated statistics on sheep and goats breeding in the World, in Europe and in Italy. Particular attention is paid to our Italian mountain regions. Sheep and goats are still the key animal resource for many countries in the World. The most recent figures (FAO) are 1,028,594,000 for sheep and 764,511,000 for goats whereas cattle and buffaloes are 1,368,000,000 and 170,500,000, respectively.Today wool, meat and milk are the main productions for sheep and meat and milk for goats.In EU-15, where a large agricultural area is under grassland (permanent and rotated meadows, catch crops), 46,613,250 ha are still under permanent grassland (Eurostat, 2000). In the same year the corresponding total animal Census was 192,550,000 units (96,652,000 sheep, 81,403,000 cattle and 11,496,000 goats, etc.). Mo-

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re detailed data are presented for Italy considering the different climatic regions (Istat and Asso.Na.Pa). The strategic role of both sheep and goats as ecological management tools is stressed.The grassland forage resources of mountain and lowland marginal regions in Italy and other European Countries can be successfully utilized by sheep and goats. Good quality milk and meat productions are obtained.

Résumé

L’élevage ovin et caprin en Europe avec particulier attention à l’Italie et ses régions alpines.Le bout de notre communication est de présenter quelques données statistiques sur le cheptel ovin et caprin mondial, en Europe et en Italie, en particulier pour les régions alpines. On souhait que ces données peuvent contribuer au succès des ce réunion SoZooAlp. Les ovins et les caprins sont toujours des ressources clé pour les différents Pays du monde. Les données FAO montrent 1 028 594 000 ovins et 764 511 000 caprins alors que les bovines et les buffles sont respectivement 1 368 000 000 et 170 500 000. laine, viande et lait sont actuellement les productions des ovins les plus importants et viande et lait les quelles des caprins.En Europe-15 une grande partie de la surface agricole est occupée par les prairies et les pâturages naturelles et artificielles et les cultures dérobées. Les seules pelouses permanentes occupent 46 613 250 ha (Eurostat, 2000). Dans la même année, le cheptel animal européenne a été 192 551 000 (96 652 000 ovins, 11 496 000 caprins, 81 403 000 bovins, etc.).Plusieurs données sont présentées pour l’Italie en général (Nord, Centre, Sud) et pour les régions alpi-nes (ISTAT et Asso.Na.Pa.).Le rôle stratégique des ovins et des caprins comme instrument de gestion de l’espace montagnard est souligné. Les ressources fourrageres de montagne et de plaine en Europe peuvent donc être utilisées par les ovins et les caprins. Aussi des rentables productions de lait de qualité (fromages) et viande peuvent être obtenues.

Introduzione

L’intento di questo contributo è riportare in modo sintetico una serie di dati, attendibili ed al momento disponibili, sulla consistenza delle categorie ovina e caprina a livello globale, europeo, italiano e regionale con particolare riguardo alla situazione dell’arco alpino italiano. Si spera che questa semplice panora-mica possa contribuire all’approfondimento delle diverse tematiche inerenti al settore in questione per poter delineare concrete prospettive di sviluppo socio-economico ed essere anche di utile supporto per la soluzione dei ricorrenti problemi pratici riscontrati negli ambienti montani e alpini. Un territorio montano senza animali è, oggi più che mai, un nonsenso. A tale ri-guardo giova ricordare una considerazione di G. Haussmann (1976): “Altrimen-ti è un vaniloquio infantile parlare di pascoli: i quali potranno altrettanto bene restare intatti a ornamento della natura, o essere trasferiti in Parchi Naturali, o magari in campi di sci e di golf”.

Materiali e metodi

Si sono utilizzate le informazioni statistiche più aggiornate disponibili a livello mondiale, europeo e italiano: dati FAO (200�), AGA Livestock Series (2002), Eurostat (2002), �° Censimento dell’Agricoltura Istat (2000), Istat (200�).

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18�

Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

Per ciò che riguarda il nostro Paese, in particolare, sono riportati i dati relativi al territorio montano così come definito dall’Istat: il territorio caratterizzato dal-la presenza di notevoli masse rilevate aventi altitudini, di norma, non inferiori a 600 metri nell’Italia settentrionale e 700 metri nell’Italia centro-meridionale ed insulare (tali limiti sono suscettibili di spostamento in relazione ai limiti inferiori delle zone fitogeografiche dell’Alpinetum, del Picetum e del Fagetum, nonché in relazione ai limiti superiori delle aree di coltura in massa della vite nell’Italia settentrionale e dell’olivo nella Italia centromeridionale e insulare. Inoltre, le aree intercluse fra le masse rilevate, costituite da valli, altipiani ed analoghe configurazioni del suolo, s’intendono comprese nella zona dì montagna. v.: www.istat.it). I dati riferiti all’Italia sono raggruppati per macroregioni: Nord-Ovest (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia), Nord-Est (Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Province Autonome di Trento e di Bolzano, Emilia-Romagna), Centro (Toscana, Umbria, Marche, Lazio), Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria), Isole (Sicilia, Sardegna).

Risultati e discussione

In base ai dati qui riportati risulta evidente che gli ovicaprini costituiscono una risorsa significativa e fondamentale per l’economia di molti Paesi del mondo. Le statistiche più aggiornate (200�) della FAO attestano una consistenza totale del patrimonio animale ovicaprino pari a 1 79� 10� 000 capi (1 028 �94 000 ovini e 764 �11 000 caprini), in confronto a circa 1 �68 000 000 bovini e 170 �00 000 bufalini.Nelle Figure 1-� vengono presentati i dati relativi all’Europa (Eurostat) e all’Italia (Istat). In Figura 1 è riportato il numero di ovini e caprini dell’EU-1� negli ultimi 1� anni. In generale, si assiste ad un calo nella consistenza del patrimonio ovi-no mentre il patrimonio caprino è sostanzialmente stabile. Nelle Figure 2 e � sono riportati il numero totale di capi ovini e caprini nel nostro Paese negli ultimi 40 anni (dati degli ultimi Censimenti Generali dell’Agricoltu-ra). Gli andamenti appaiono simili: a fronte di una crescita pressoché costante dal 1970 sino all’inizio degli anni ’90, si assiste, in seguito, ad una consistente diminuzione del patrimonio ovicaprino (valutabile intorno al 22% e al 27% in 10 anni, per ovini e caprini, rispettivamente). L’andamento del numero di ovicaprini delle aziende localizzate in montagna è del tutto analogo a quello riscontrato per l’intero territorio nazionale.

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Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

Figura 1 - Numero di capi ovini e caprini nell’EU-1�: andamento degli ultimi 1� anni

Figura 2 - Numero di ovini in Italia: andamento degli ultimi 40 anni. In linea tratteggiata il numero dei capi delle aziende localizzate in montagna

Figura 3 - Numero di caprini in Italia: andamento degli ultimi 40 anni. In linea tratteggata il numero dei capi delle aziende localizzate in montagna

0

50500

101000

1990 1994 1998 2002 2006

ovin

i - n

° cap

i (x

1000

)

0

7500

15000

capr

ini -

n° c

api (

x 10

00)

OviniCaprini

Figura 2 - Numero di ovini in Italia: andamento degli ultimi 40 anni. In linea tratteggiata il numero dei capi delle aziende localizzate in montagna

0

5000

10000

1961 1970 1982 1991 2001

capi

(x 1

000)

TotaleMontagna

Figura 3 - Numero di caprini in Italia: andamento degli ultimi 40 anni. In linea tratteggata il numero dei capi delle aziende localizzate in montagna

0

700

1400

1961 1970 1982 1991 2001

capi

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000)

TotaleMontagna

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50500

101000

1990 1994 1998 2002 2006

ovin

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° cap

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Figura 2 - Numero di ovini in Italia: andamento degli ultimi 40 anni. In linea tratteggiata il numero dei capi delle aziende localizzate in montagna

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1961 1970 1982 1991 2001

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Figura 3 - Numero di caprini in Italia: andamento degli ultimi 40 anni. In linea tratteggata il numero dei capi delle aziende localizzate in montagna

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1961 1970 1982 1991 2001

capi

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1990 1994 1998 2002 2006

ovin

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OviniCaprini

Figura 2 - Numero di ovini in Italia: andamento degli ultimi 40 anni. In linea tratteggiata il numero dei capi delle aziende localizzate in montagna

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Figura 3 - Numero di caprini in Italia: andamento degli ultimi 40 anni. In linea tratteggata il numero dei capi delle aziende localizzate in montagna

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TotaleMontagna

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Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Tabella 1 - Numero di aziende con ovini e con caprini site in territorio montano e percentuale di tali aziende rispetto al totale delle aziende con ovini o caprini nella macroregione considerata.

Macroregioni(1) Specie Numero aziende montane% az. montane

(sul totale az. caprine o ovine)Caprini 5 052 59.16Ovini 4 534 68.39Caprini 3 267 47.83Ovini 3 615 63.66Caprini 1 650 22.17Ovini 6 191 24.43Caprini 9 493 47.44Ovini 19 744 51.40Caprini 1 806 31.21Ovini 4 966 23.69Caprini 21 268 43.75Ovini 39 050 40.25

(1)Per la divisione in macroregioni vedi Materiali e Metodi

Italia

Centro

Isole

Nord-Est

Nord-Ovest

Sud

Passando ai dati relativi ai capi allevati dalle aziende situate in montagna (Tabella 2), appare evidente la stretta relazione tra tale ambiente e allevamento caprino: poco meno della metà di essi, nel nostro Paese, è allevata in aziende localizzate in territorio montano. Tale relazione si mantiene evidente anche disaggregando il dato per macroregione; in tal caso, in particolare, si nota come, ad eccezione del Centro Italia, le dimensioni medie dell’azienda caprina di montagna siano ragguardevoli (la percentuale di capi risulta superiore alla percentuale del numero di aziende, calcolate entrambe rispetto all’intero territorio di riferimento).

Tabella 2 - Numero di capi ovini e caprini allevati in aziende montane e percentuale di ovini e caprini allevati in aziende montane rispetto al totale degli ovini e dei caprini allevati nella macroregione considerata.

Macroregioni(1) Specie Numero capi aziende montane% capi in az. montane

(sul totale capi in az. caprine o ovine)Caprini 75 260 69.57Ovini 116 523 58.28Caprini 30 728 60.93Ovini 87 660 49.51Caprini 21 361 30.85Ovini 277 128 18.43Caprini 167 855 46.08Ovini 675 402 47.81Caprini 129 592 39.08Ovini 652 654 18.56Caprini 424 796 45.99Ovini 1 809 367 26.57

(1)Per la divisione in macroregioni vedi Materiali e Metodi

Italia

Centro

Isole

Nord-Est

Nord-Ovest

Sud

Viceversa, l’allevamento ovino in montagna si caratterizza per le dimensioni più contenute dell’azienda media (poco più di ¼ dei capi allevati in Italia rispetto a una quota parte delle aziende ubicate in montagna pari a 40%). Anche in questo caso, tuttavia, come già per quanto riscontrato in relazione al numero di aziende, il dato medio italiano nasconde una realtà diversificata: ad esempio, l’allevamento ovino montano comprende, nell’Italia settentrionale e nel meridione del nostro Paese, circa, o quasi, la metà dei capi ovini ivi presenti.

Il confronto con l’insieme dei dati disponibili relativi all’utilizzazione rurale del territorio (Tabella 3), dimostra con evidenza come nelle zone centrali, meridionali e insulari del nostro Paese l’allevamento ovicaprino costituisca una delle più importanti attività di gestione delle aree marginali montane, sia se ci si limita a considerare l’utilizzazione zootecnica, di gran lunga una delle attività più importanti in questa fascia altitudinale (cfr. anche Tabella 4 per le Alpi), sia, più in generale, a livello di utilizzazione del territorio.

Il rapporto tra l’allevamento ovicaprino e le risorse foraggere rappresentate da prati e pascoli è evidenziato, per ciò che riguarda le Alpi, in Tabella 4. Nel Nord-Ovest la situazione appare leggermente più favorevole rispetto al Nord-Est: a fronte di una estensione delle praterie superiore, sia in termini assoluti, sia relativamente alla SAU, e ad un rapporto tra UBA totali ed ha di prati e pascoli inferiore, le UBA caprine e ovine, sia in termini assoluti, sia relativamente alla superficie prativa e pascoliva disponibile, risultano più numerose.

Se consideriamo l’allevamento ovicaprino montano in Italia, esso appare una realtà importante nel Sud e nel Settentrione sia in quanto a numero di aziende sia per la loro proporzione rispetto al totale delle aziende ovicaprine (Tabella 1).

Tabella 1 - Numero di aziende con ovini e con caprini site in territorio montano e percentuale di tali aziende rispetto al totale delle aziende con ovini o caprini nella macroregione considerata.

Passando ai dati relativi ai capi allevati dalle aziende situate in montagna (Ta-bella 2), appare evidente la stretta relazione tra tale ambiente e allevamento caprino: poco meno della metà di essi, nel nostro Paese, è allevata in aziende localizzate in territorio montano. Tale relazione si mantiene evidente anche di-saggregando il dato per macroregione; in tal caso, in particolare, si nota co-me, ad eccezione del Centro Italia, le dimensioni medie dell’azienda caprina di montagna siano ragguardevoli (la percentuale di capi risulta superiore alla percentuale del numero di aziende, calcolate entrambe rispetto all’intero terri-torio di riferimento).

Tabella 2 - Numero di capi ovini e caprini allevati in aziende montane e percentuale di ovini e caprini allevati in aziende montane rispetto al totale degli ovini e dei caprini allevati nella macroregione considerata.

Viceversa, l’allevamento ovino in montagna si caratterizza per le dimensioni più contenute dell’azienda media (poco più di ¼ dei capi allevati in Italia rispetto a una quota parte delle aziende ubicate in montagna pari a 40%). Anche in questo caso, tuttavia, come già per quanto riscontrato in relazione al numero di

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Tabella 1 - Numero di aziende con ovini e con caprini site in territorio montano e percentuale di tali aziende rispetto al totale delle aziende con ovini o caprini nella macroregione considerata.

Macroregioni(1) Specie Numero aziende montane% az. montane

(sul totale az. caprine o ovine)Caprini 5 052 59.16Ovini 4 534 68.39Caprini 3 267 47.83Ovini 3 615 63.66Caprini 1 650 22.17Ovini 6 191 24.43Caprini 9 493 47.44Ovini 19 744 51.40Caprini 1 806 31.21Ovini 4 966 23.69Caprini 21 268 43.75Ovini 39 050 40.25

(1)Per la divisione in macroregioni vedi Materiali e Metodi

Italia

Centro

Isole

Nord-Est

Nord-Ovest

Sud

Passando ai dati relativi ai capi allevati dalle aziende situate in montagna (Tabella 2), appare evidente la stretta relazione tra tale ambiente e allevamento caprino: poco meno della metà di essi, nel nostro Paese, è allevata in aziende localizzate in territorio montano. Tale relazione si mantiene evidente anche disaggregando il dato per macroregione; in tal caso, in particolare, si nota come, ad eccezione del Centro Italia, le dimensioni medie dell’azienda caprina di montagna siano ragguardevoli (la percentuale di capi risulta superiore alla percentuale del numero di aziende, calcolate entrambe rispetto all’intero territorio di riferimento).

Tabella 2 - Numero di capi ovini e caprini allevati in aziende montane e percentuale di ovini e caprini allevati in aziende montane rispetto al totale degli ovini e dei caprini allevati nella macroregione considerata.

Macroregioni(1) Specie Numero capi aziende montane% capi in az. montane

(sul totale capi in az. caprine o ovine)Caprini 75 260 69.57Ovini 116 523 58.28Caprini 30 728 60.93Ovini 87 660 49.51Caprini 21 361 30.85Ovini 277 128 18.43Caprini 167 855 46.08Ovini 675 402 47.81Caprini 129 592 39.08Ovini 652 654 18.56Caprini 424 796 45.99Ovini 1 809 367 26.57

(1)Per la divisione in macroregioni vedi Materiali e Metodi

Italia

Centro

Isole

Nord-Est

Nord-Ovest

Sud

Viceversa, l’allevamento ovino in montagna si caratterizza per le dimensioni più contenute dell’azienda media (poco più di ¼ dei capi allevati in Italia rispetto a una quota parte delle aziende ubicate in montagna pari a 40%). Anche in questo caso, tuttavia, come già per quanto riscontrato in relazione al numero di aziende, il dato medio italiano nasconde una realtà diversificata: ad esempio, l’allevamento ovino montano comprende, nell’Italia settentrionale e nel meridione del nostro Paese, circa, o quasi, la metà dei capi ovini ivi presenti.

Il confronto con l’insieme dei dati disponibili relativi all’utilizzazione rurale del territorio (Tabella 3), dimostra con evidenza come nelle zone centrali, meridionali e insulari del nostro Paese l’allevamento ovicaprino costituisca una delle più importanti attività di gestione delle aree marginali montane, sia se ci si limita a considerare l’utilizzazione zootecnica, di gran lunga una delle attività più importanti in questa fascia altitudinale (cfr. anche Tabella 4 per le Alpi), sia, più in generale, a livello di utilizzazione del territorio.

Il rapporto tra l’allevamento ovicaprino e le risorse foraggere rappresentate da prati e pascoli è evidenziato, per ciò che riguarda le Alpi, in Tabella 4. Nel Nord-Ovest la situazione appare leggermente più favorevole rispetto al Nord-Est: a fronte di una estensione delle praterie superiore, sia in termini assoluti, sia relativamente alla SAU, e ad un rapporto tra UBA totali ed ha di prati e pascoli inferiore, le UBA caprine e ovine, sia in termini assoluti, sia relativamente alla superficie prativa e pascoliva disponibile, risultano più numerose.

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aziende, il dato medio italiano nasconde una realtà diversificata: ad esempio, l’allevamento ovino montano comprende, nell’Italia settentrionale e nel meridio-ne del nostro Paese, circa, o quasi, la metà dei capi ovini ivi presenti. Il confronto con l’insieme dei dati disponibili relativi all’utilizzazione rurale del territorio (Tabella �), dimostra con evidenza come nelle zone centrali, meridio-nali e insulari del nostro Paese l’allevamento ovicaprino costituisca una delle più importanti attività di gestione delle aree marginali montane, sia se ci si limita a considerare l’utilizzazione zootecnica, di gran lunga una delle attività più im-portanti in questa fascia altitudinale (cfr. anche Tabella 4 per le Alpi), sia, più in generale, a livello di utilizzazione del territorio.Il rapporto tra l’allevamento ovicaprino e le risorse foraggere rappresentate da prati e pascoli è evidenziato, per ciò che riguarda le Alpi, in Tabella 4. Nel Nord-Ovest la situazione appare leggermente più favorevole rispetto al Nord-Est: a fronte di una estensione delle praterie superiore, sia in termini assoluti, sia re-lativamente alla SAU, e ad un rapporto tra UBA totali ed ha di prati e pascoli inferiore, le UBA caprine e ovine, sia in termini assoluti, sia relativamente alla superficie prativa e pascoliva disponibile, risultano più numerose.

Tabella 3 - Percentuale di aziende ovicaprine montane rispetto al totale delle aziende zoo-tecniche montane ed al totale delle aziende agricole montane, percentuale di capi e UBA ovicaprini allevati in aziende montane rispetto al totale delle aziende zootecniche montane, nella macroregione considerata

Tabella 4 - Dati relativi a estensione e carichi attuali dei prati e pascoli alpini italiani

I carichi potenzialmente presenti, desunti dai dati analizzati, indicano che l’al-levamento ovi-caprino corrisponde a circa il 10% del carico rappresentato dai ruminati domestici, essendo la parte restante costituita essenzialmente da bo-vini. Il semplice dato numerico nasconde, tuttavia, il fatto che: - gli ovicaprini rappresentano, in molte realtà, l’unica categoria, per via delle loro ridotte dimensioni e elevata rusticità, in grado di gestire superfici altrimenti non utilizzabili dai bovini (superfici pastorali magre e poco produttive, impervie e lontane dai centri aziendali);

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Tabella 3 - Percentuale di aziende ovicaprine montane rispetto al totale delle aziende zootecniche montane ed al totale delle aziende agricole montane, percentuale di capi e UBA ovicaprini allevati in aziende montane rispetto al totale delle aziende zootecniche montane, nella macroregione considerata

Macroregioni(1) % az. ovicaprine montane (sul totale az. zoot. montane)

% az. ovicaprine montane (sul totale az. agr. montane)

% capi in az. ovicaprine mont. (sul tot. capi az. zoot. mont.)

% UBA in az. ovicaprine mont. (sul tot. UBA az. zoot. mont.)

Nord-Ovest 35.78 17.23 43.78 13.35Nord-Est 23.96 3.73 24.25 5.97Centro 42.80 8.65 71.21 32.44Sud 58.10 15.83 77.17 39.98Isole 49.99 9.09 82.37 48.09Italia 43.80 12.05 65.95 27.66(1)Per la divisione in macroregioni vedi Materiali e Metodi

Tabella 4 - Dati relativi a estensione e carichi attuali dei prati e pascoli alpini italiani

Superfici foraggere e UBA Alpi Occidentali Alpi Orientali Arco Alpino1 2 1+2

Prati e pascoli montani (ha) 539 535 477 206 1 016 741% prati e pascoli/SAU 93.97 88.15 91.14% prati e pascoli/Superficie Agricola Totale 68.80 75.34 71.72UBA caprine 12543 5121 17665UBA ovine 19421 14610 34031UBA caprine/ha prati e pascoli 0.023 0.011 0.017UBA ovine/ha prati e pascoli 0.036 0.031 0.033UBA totali/ha prati e pascoli 0.444 0.693 0.561

I carichi potenzialmente presenti, desunti dai dati analizzati, indicano che l’allevamento ovi-caprino corrisponde a circa il 10% del carico rappresentato dai ruminati domestici, essendo la parte restante costituita essenzialmente da bovini. Il semplice dato numerico nasconde, tuttavia, il fatto che:

- gli ovicaprini rappresentano, in molte realtà, l’unica categoria, per via delle loro ridotte dimensioni e elevata rusticità, in grado di gestire superfici altrimenti non utilizzabili dai bovini (superfici pastorali magre e poco produttive, impervie e lontane dai centri aziendali);

- l’estensione superficiale di tali aree, cui si può provvedere con gli ovicaprini, è tutt’altro che trascurabile. Supponiamo, ad esempio, un valore pastorale medio pari a 25 (VPB) per le superfici utilizzate (o utilizzabili) dai bovini e un valore pastorale medio di 15 (VPOC) per quelle utilizzate (o utilizzabili) dagli ovicaprini: ipotizzando un identico coefficiente di conversione medio tra i due pascoli, pari a 0.012 UBA ha-1

anno-1 (k), e non introducendo, per semplicità, alcun coefficiente di fragilità, a parità di carico, gli ovicaprini sono in grado di “gestire” una superficie di circa l’85% superiore rispetto a quella gestita da bovini

( 1

11

kVPkVPkVP

B

BOC ).

Conclusioni

Nel complesso, i dati disponibili qui presentati sottolineano l’importanza vitale di questo particolare settore zootecnico, strategico per lo sfruttamento delle risorse foraggere disponibili in aree quali l’arco alpino in Europa o altre zone marginali europee ed extra-europee.

Per ciò che riguarda il nostro Paese, occorre sottolineare che il territorio montano corrisponde circa al 35% della superficie totale. Esso viene inscritto all’interno delle aree marginali, cioè di quelle zone caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione delle terre e da un notevole aumento del costo del lavoro per l'esistenza di condizioni climatiche molto difficili (a causa dell'altitudine): con l’aumentare dell’altitudine, in altri termini, il periodo vegetativo risulta progressivamente abbreviato. In aggiunta, l'esistenza di forti pendii rende spesso impossibile la meccanizzazione o richiede l'impiego di materiale speciale assai oneroso. Tali ostacoli ambientali sono responsabili dello spopolamento e della regressione dall'attività agricola che da più di un cinquantennio caratterizzano le nostre montagne. Da questo punto di vista non può dunque non apparire significativo il dato relativo alla distribuzione degli allevamenti ovini e caprini: con l’eccezione del Centro Italia, nel resto del Paese la consistenza sia di allevamenti, sia di capi allevati in montagna è più che proporzionale alla porzione di territorio classificato come montano. Per fare un confronto, a livello italiano il numero di aziende che allevano bovini in montagna è di circa 35%, il numero di capi allevati in montagna è inferiore a 18%. È noto d’altronde come le caratteristiche climatiche, geomorfologiche, ambientali del territorio montano, che spesso limitano fortemente le possibilità di utilizzazione, rendono gli ovicaprini il più conveniente strumento gestionale disponibile:

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Tabella 3 - Percentuale di aziende ovicaprine montane rispetto al totale delle aziende zootecniche montane ed al totale delle aziende agricole montane, percentuale di capi e UBA ovicaprini allevati in aziende montane rispetto al totale delle aziende zootecniche montane, nella macroregione considerata

Macroregioni(1) % az. ovicaprine montane (sul totale az. zoot. montane)

% az. ovicaprine montane (sul totale az. agr. montane)

% capi in az. ovicaprine mont. (sul tot. capi az. zoot. mont.)

% UBA in az. ovicaprine mont. (sul tot. UBA az. zoot. mont.)

Nord-Ovest 35.78 17.23 43.78 13.35Nord-Est 23.96 3.73 24.25 5.97Centro 42.80 8.65 71.21 32.44Sud 58.10 15.83 77.17 39.98Isole 49.99 9.09 82.37 48.09Italia 43.80 12.05 65.95 27.66(1)Per la divisione in macroregioni vedi Materiali e Metodi

Tabella 4 - Dati relativi a estensione e carichi attuali dei prati e pascoli alpini italiani

Superfici foraggere e UBA Alpi Occidentali Alpi Orientali Arco Alpino1 2 1+2

Prati e pascoli montani (ha) 539 535 477 206 1 016 741% prati e pascoli/SAU 93.97 88.15 91.14% prati e pascoli/Superficie Agricola Totale 68.80 75.34 71.72UBA caprine 12543 5121 17665UBA ovine 19421 14610 34031UBA caprine/ha prati e pascoli 0.023 0.011 0.017UBA ovine/ha prati e pascoli 0.036 0.031 0.033UBA totali/ha prati e pascoli 0.444 0.693 0.561

I carichi potenzialmente presenti, desunti dai dati analizzati, indicano che l’allevamento ovi-caprino corrisponde a circa il 10% del carico rappresentato dai ruminati domestici, essendo la parte restante costituita essenzialmente da bovini. Il semplice dato numerico nasconde, tuttavia, il fatto che:

- gli ovicaprini rappresentano, in molte realtà, l’unica categoria, per via delle loro ridotte dimensioni e elevata rusticità, in grado di gestire superfici altrimenti non utilizzabili dai bovini (superfici pastorali magre e poco produttive, impervie e lontane dai centri aziendali);

- l’estensione superficiale di tali aree, cui si può provvedere con gli ovicaprini, è tutt’altro che trascurabile. Supponiamo, ad esempio, un valore pastorale medio pari a 25 (VPB) per le superfici utilizzate (o utilizzabili) dai bovini e un valore pastorale medio di 15 (VPOC) per quelle utilizzate (o utilizzabili) dagli ovicaprini: ipotizzando un identico coefficiente di conversione medio tra i due pascoli, pari a 0.012 UBA ha-1

anno-1 (k), e non introducendo, per semplicità, alcun coefficiente di fragilità, a parità di carico, gli ovicaprini sono in grado di “gestire” una superficie di circa l’85% superiore rispetto a quella gestita da bovini

( 1

11

kVPkVPkVP

B

BOC ).

Conclusioni

Nel complesso, i dati disponibili qui presentati sottolineano l’importanza vitale di questo particolare settore zootecnico, strategico per lo sfruttamento delle risorse foraggere disponibili in aree quali l’arco alpino in Europa o altre zone marginali europee ed extra-europee.

Per ciò che riguarda il nostro Paese, occorre sottolineare che il territorio montano corrisponde circa al 35% della superficie totale. Esso viene inscritto all’interno delle aree marginali, cioè di quelle zone caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione delle terre e da un notevole aumento del costo del lavoro per l'esistenza di condizioni climatiche molto difficili (a causa dell'altitudine): con l’aumentare dell’altitudine, in altri termini, il periodo vegetativo risulta progressivamente abbreviato. In aggiunta, l'esistenza di forti pendii rende spesso impossibile la meccanizzazione o richiede l'impiego di materiale speciale assai oneroso. Tali ostacoli ambientali sono responsabili dello spopolamento e della regressione dall'attività agricola che da più di un cinquantennio caratterizzano le nostre montagne. Da questo punto di vista non può dunque non apparire significativo il dato relativo alla distribuzione degli allevamenti ovini e caprini: con l’eccezione del Centro Italia, nel resto del Paese la consistenza sia di allevamenti, sia di capi allevati in montagna è più che proporzionale alla porzione di territorio classificato come montano. Per fare un confronto, a livello italiano il numero di aziende che allevano bovini in montagna è di circa 35%, il numero di capi allevati in montagna è inferiore a 18%. È noto d’altronde come le caratteristiche climatiche, geomorfologiche, ambientali del territorio montano, che spesso limitano fortemente le possibilità di utilizzazione, rendono gli ovicaprini il più conveniente strumento gestionale disponibile:

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- l’estensione superficiale di tali aree, cui si può provvedere con gli ovicaprini, è tutt’altro che trascurabile. Supponiamo, ad esempio, un valore pastorale medio pari a 2� (VPB) per le superfici utilizzate (o utilizzabili) dai bovini e un valore pastorale medio di 1� (VPOC) per quelle utilizzate (o utilizzabili) dagli ovicaprini: ipotizzando un identico coefficiente di conversione medio tra i due pascoli, pari a 0.012 UBA ha-1 anno-1 (k), e non introducendo, per semplicità, alcun coeffi-ciente di fragilità, a parità di carico, gli ovicaprini sono in grado di “gestire” una superficie di circa l’8�% superiore rispetto a quella gestita da bovini.

Conclusioni

Nel complesso, i dati disponibili qui presentati sottolineano l’importanza vitale di questo particolare settore zootecnico, strategico per lo sfruttamento delle risorse foraggere disponibili in aree quali l’arco alpino in Europa o altre zone marginali europee ed extra-europee. Per ciò che riguarda il nostro Paese, occorre sottolineare che il territorio monta-no corrisponde circa al ��% della superficie totale. Esso viene inscritto all’inter-no delle aree marginali, cioè di quelle zone caratterizzate da una notevole limi-tazione delle possibilità di utilizzazione delle terre e da un notevole aumento del costo del lavoro per l’esistenza di condizioni climatiche molto difficili (a causa dell’altitudine): con l’aumentare dell’altitudine, in altri termini, il periodo vegeta-tivo risulta progressivamente abbreviato. In aggiunta, l’esistenza di forti pendii rende spesso impossibile la meccanizzazione o richiede l’impiego di materiale speciale assai oneroso. Tali ostacoli ambientali sono responsabili dello spopo-lamento e della regressione dall’attività agricola che da più di un cinquantennio caratterizzano le nostre montagne. Da questo punto di vista non può dunque non apparire significativo il dato relativo alla distribuzione degli allevamenti ovi-ni e caprini: con l’eccezione del Centro Italia, nel resto del Paese la consistenza sia di allevamenti, sia di capi allevati in montagna è più che proporzionale alla porzione di territorio classificato come montano. Per fare un confronto, a livello italiano il numero di aziende che allevano bovini in montagna è di circa ��%, il numero di capi allevati in montagna è inferiore a 18%. È noto d’altronde come le caratteristiche climatiche, geomorfologiche, ambientali del territorio montano, che spesso limitano fortemente le possibilità di utilizzazione, rendono gli ovi-caprini il più conveniente strumento gestionale disponibile: l’allevamento di tali categorie animali, è in altre parole, potenzialmente in grado di giocare un ruolo fondamentale nella gestione e manutenzione delle aree marginali.Occorre ricordare che i dati da noi esaminati prendono in considerazione unicamente le aziende localizzate in montagna e non tengono conto degli al-levamenti con sede in pianura o collina che effettuano la transumanza. I valori quindi sottostimano in parte la reale importanza dell’allevamento ovicaprino nella gestione del territorio montano e alpino. Ciononostante, le considerazio-

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Tabella 3 - Percentuale di aziende ovicaprine montane rispetto al totale delle aziende zootecniche montane ed al totale delle aziende agricole montane, percentuale di capi e UBA ovicaprini allevati in aziende montane rispetto al totale delle aziende zootecniche montane, nella macroregione considerata

Macroregioni(1) % az. ovicaprine montane (sul totale az. zoot. montane)

% az. ovicaprine montane (sul totale az. agr. montane)

% capi in az. ovicaprine mont. (sul tot. capi az. zoot. mont.)

% UBA in az. ovicaprine mont. (sul tot. UBA az. zoot. mont.)

Nord-Ovest 35.78 17.23 43.78 13.35Nord-Est 23.96 3.73 24.25 5.97Centro 42.80 8.65 71.21 32.44Sud 58.10 15.83 77.17 39.98Isole 49.99 9.09 82.37 48.09Italia 43.80 12.05 65.95 27.66(1)Per la divisione in macroregioni vedi Materiali e Metodi

Tabella 4 - Dati relativi a estensione e carichi attuali dei prati e pascoli alpini italiani

Superfici foraggere e UBA Alpi Occidentali Alpi Orientali Arco Alpino1 2 1+2

Prati e pascoli montani (ha) 539 535 477 206 1 016 741% prati e pascoli/SAU 93.97 88.15 91.14% prati e pascoli/Superficie Agricola Totale 68.80 75.34 71.72UBA caprine 12543 5121 17665UBA ovine 19421 14610 34031UBA caprine/ha prati e pascoli 0.023 0.011 0.017UBA ovine/ha prati e pascoli 0.036 0.031 0.033UBA totali/ha prati e pascoli 0.444 0.693 0.561

I carichi potenzialmente presenti, desunti dai dati analizzati, indicano che l’allevamento ovi-caprino corrisponde a circa il 10% del carico rappresentato dai ruminati domestici, essendo la parte restante costituita essenzialmente da bovini. Il semplice dato numerico nasconde, tuttavia, il fatto che:

- gli ovicaprini rappresentano, in molte realtà, l’unica categoria, per via delle loro ridotte dimensioni e elevata rusticità, in grado di gestire superfici altrimenti non utilizzabili dai bovini (superfici pastorali magre e poco produttive, impervie e lontane dai centri aziendali);

- l’estensione superficiale di tali aree, cui si può provvedere con gli ovicaprini, è tutt’altro che trascurabile. Supponiamo, ad esempio, un valore pastorale medio pari a 25 (VPB) per le superfici utilizzate (o utilizzabili) dai bovini e un valore pastorale medio di 15 (VPOC) per quelle utilizzate (o utilizzabili) dagli ovicaprini: ipotizzando un identico coefficiente di conversione medio tra i due pascoli, pari a 0.012 UBA ha-1

anno-1 (k), e non introducendo, per semplicità, alcun coefficiente di fragilità, a parità di carico, gli ovicaprini sono in grado di “gestire” una superficie di circa l’85% superiore rispetto a quella gestita da bovini

( 1

11

kVPkVPkVP

B

BOC ).

Conclusioni

Nel complesso, i dati disponibili qui presentati sottolineano l’importanza vitale di questo particolare settore zootecnico, strategico per lo sfruttamento delle risorse foraggere disponibili in aree quali l’arco alpino in Europa o altre zone marginali europee ed extra-europee.

Per ciò che riguarda il nostro Paese, occorre sottolineare che il territorio montano corrisponde circa al 35% della superficie totale. Esso viene inscritto all’interno delle aree marginali, cioè di quelle zone caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione delle terre e da un notevole aumento del costo del lavoro per l'esistenza di condizioni climatiche molto difficili (a causa dell'altitudine): con l’aumentare dell’altitudine, in altri termini, il periodo vegetativo risulta progressivamente abbreviato. In aggiunta, l'esistenza di forti pendii rende spesso impossibile la meccanizzazione o richiede l'impiego di materiale speciale assai oneroso. Tali ostacoli ambientali sono responsabili dello spopolamento e della regressione dall'attività agricola che da più di un cinquantennio caratterizzano le nostre montagne. Da questo punto di vista non può dunque non apparire significativo il dato relativo alla distribuzione degli allevamenti ovini e caprini: con l’eccezione del Centro Italia, nel resto del Paese la consistenza sia di allevamenti, sia di capi allevati in montagna è più che proporzionale alla porzione di territorio classificato come montano. Per fare un confronto, a livello italiano il numero di aziende che allevano bovini in montagna è di circa 35%, il numero di capi allevati in montagna è inferiore a 18%. È noto d’altronde come le caratteristiche climatiche, geomorfologiche, ambientali del territorio montano, che spesso limitano fortemente le possibilità di utilizzazione, rendono gli ovicaprini il più conveniente strumento gestionale disponibile:

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ni riportate nell’ultima parte dei risultati, evidenziano l’importanza che l’alleva-mento ovicaprino, al giorno d’oggi, può giocare (e in parte già gioca) all’inter-no della tematica “gestione dei territori montani”. In altri termini, e nell’ottica di una utilizzazione razionale delle superfici pastorali alpine, le potenzialità che i piccoli ruminanti hanno sono notevoli: azioni e interventi a livello politico e am-ministrativo che fossero in grado di cogliere tali potenzialità permetterebbero di raggiungere contemporaneamente un duplice obiettivo: il miglioramento delle condizioni economiche di coloro che ancora si dedicano all’allevamento in un ambiente difficile quale è quello di montagna e la gestione razionale di un ambiente, quello alpino, caratterizzato da una straordinaria ricchezza e unicità per ciò che riguarda flora, fauna, paesaggio ed altre funzioni extra-produttive, al giorno d’oggi soggette all’interesse via via crescente di tutta l’opinione pubblica.

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VALuTAZIONI SuLLO STATO dI TuTELA dELLE RAZZE CAPRINE ALPINE LOCALI ITALIANE

Brambilla L.A.

R.a.R.E. associazione italiana Razze autoctone a Rischio di Estinzione,torino agER agRiCoLtURa E RiCERCa, milano

Riassunto

La situazione attuale delle razze caprine locali sull’arco alpino italiano è spesso, purtroppo, poco inco-raggiante. Pur in presenza di un elevato numero di razze, quelle ufficiali sono 11, non esiste un piano territoriale comune che tuteli questo patrimonio. Spesso, questo è legato a politiche locali che non credono nelle potenzialità economiche dell’allevamento di queste razze. L’aspetto economico risulta di importanza fondamentale per la tutela delle nostre capre, questo è incontestabile, ma è l’ultima fase di una serie di interventi che dovrebbero essere progressivi e graduali (-fasi investigative, -di consolidamento, -di espan-sione, -diffusione), che se non attuati precedentemente e in modo responsabile, portano solo a delle gravi distorsioni di mercato. L’esempio, è la presenza consolidata sul mercato di un formaggio a fronte di una razza totalmente o quasi scomparsa, o peggio ancora, inutilizzata economicamente. Questo “vuoto di mer-cato” legittima l’utilizzo di latte di razze estranee nella caseificazione di alcuni formaggi alpini notoriamente ottenibili solo da specifiche razze locali. Il tutto, supportato da pericolosi “vuoti di tipo territoriale e di tutela”, forse assai più gravi, ed a cui spesso alcune razze sono costrette. La minaccia è che vengano colmati oggi, non più dalle razze selezionate, ma dall’introduzione di razze locali confinanti e ad un livello di tutela superiore e più radicato nei rispettivi territori di origine. A sostegno di queste azioni i è la concezione che l’introduzione di una razza locale già ad un livello di tutela più avanzato possa velocizzare il recupero delle attività rurali sotto il profilo economico. Forse questo ha la sua razionalità nell’immediato, ma è altrettanto vero che i benefici d’intervento delle politiche territoriali in agricoltura hanno dato e danno dei risultati solo nel medio e lungo periodo. Ecco perché la strada giusta è quella di intervenire in modo che vi sia una cre-scita equilibrata dei tanti comparti che ruotano attorno alla salvaguardia delle razze caprine locali. Ridurre pertanto il grande divario di tutela fra le razze locali è quindi una priorità, tracciare un percorso comune ed attivare un sistema puntuale e continuativo di monitoraggio è una delle vie percorribili ini-zialmente.

Abstract

General appraisals on local Italian Alpine goats safeguard statusAt the present time the Italian local caprine races situation is little encouraging. There isn’t any common intervention plan to safeguard this patrimony, even though the number of races is of great amount – 11 are those officially recognised. This status is characterised by local and discontinuous actions, and has brought to many different si-tuations in the safeguarding programs for Alpine goat breeds: there are races which are not officially recognised, others that cannot keep or increase the number of herd, and finally races which have a good number of animals and breeders trying to find a stable way to survive on farming.However, most local breeders are waiting regardless of wealthy conditions in order to increase their local race farming. The economic aspect is capital for the safeguard of our goats, but it is the last step to take, after a series of actions, which have to be progressive:- survey- strengthening- increase- diffusionIf these steps are not responsibly carried out, safeguard of local races will be damaged.

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(i.e. if there is the lack of a particular local breed milk, for making a local tasty cheese, breeders use the milk of other races keeping the name of the original local cheese also for the new one)Moreover, the lack of actions to safeguard some local breeds and the different amount of animals among races bring to an unfair competition within local races – exaggerating the expansion of the official recognised ones. The best way to make sure there is a good growth is that:- a sufficient number of animals and breeders- a series of safeguarding plans, preparation and coordination- the strengthening of rural production activities - consumer’s and market’s sensitiveness - a definition of global economical and/or safeguarding firm stylemust impose in harmony.At the end, it is prior to fill the gap of safeguarding among the local races.

Résumé

Etat de sauvegarde des races caprines des Alpes locales en Italie. Une évaluation.La situation actuelle des races caprines locales dans les Alpes italiennes est décourageante. Même en présence d’un grand nombre de races, les races officielles sont 11, il n’y a pas encore un plan d’action qui sauvegarde ce patrimoine. Les initiatives sont surtout locales et non-continuatives. Dans ce panora-ma, donc, a porté un niveau de grande différence dans la sauvegarde des races caprines alpines.Il y a en effet des races encore non reconnues officiellement, des races qui tentent de maintenir le nu-méro des troupeaux ou de l’augmenter. En plus, il y a des races avec un bon numéro d’animaux et d’éle-veurs, qui cherchent un niveau économique pour survivre. La plupart des situations locales restent dans l’attente que les conditions économiques soient favorables pour augmenter les propres races locales.L’aspect économique est fondamental pour sauvegarder nos chèvres, mais c’est la dernière phase des actions qui devraient être progressive et graduelle:- investigation- consolidement- expansion- diffusionSi ces actions ne sont pas menées de façon responsable, les races à réduite consistance seraient endommagées.Par exemple, en faute de production de lait par les races locales, on utilise un lait d’une autre race pour produire le même fromage des races locales. L’absence d’actions en faveur de la sauvegarde des races locales et la différence numérique parmi les races amènent une concurrence «non loyale» parmi les races locales- eccessive expansion des races plus sauvegardées. Voila pourquoi le droit chemin est une action qui favorise une croissance harmonique:- numéro des animaux et des éleveurs - numéro, coordination et préparation pour faire face au plan de sauvegarde- croissance des activités agricoles- sensibilité du consommateur et du marché- définition de «style» collectif économique et/ou de sauvegardedoivent s’imposer de façon équilibré.Il est donc fondamental de réduire la grande différence parmi les races locales.

Introduzione

L’ UE, attraverso la Politica Agricola Comunitaria (PAC), ha rafforzato il ruolo dell’agricoltura e della zootecnia all’interno del territorio montano. L’agricoltura assume una nuova veste ed affianca al ruolo economico, a favore del sosten-tamento delle comunità che abitano i territori in quota, quello sociale e di mul-

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tifunzionalità. Nel prossimo Programma di Sviluppo Rurale (Reg. (CE) 1698/0� - PSR 2007-201�), le razze zootecniche a limitata diffusione ed il loro sistema di allevamento tradizionale-pastorale, troveranno ancora largo consenso e spa-zio di sviluppo. Secondo il Regolamento 817/04 allegato I° art.14, recante le disposizioni di applicazione del Reg. (CE) 12�7/99, Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006, per razze caprine minacciate di estinzione si intendono tutte quelle popolazioni locali (autoctone) con una consistenza inferiore ai 10 mila capi. L’Italia è fra i paesi dell’Unione Europea con il maggior numero di razze caprine inserite nei Piani di Sviluppo Rurale (PSR). Per quanto riguarda la realtà delle razze caprine locali allevate sull’arco alpino italiano, pur in presenza di un elevato numero (11 quelle ufficiali), non esiste un piano strutturato e comune che tuteli e valorizzi questo grande patrimonio.Le iniziative, molto limitate numericamente, oltre ad essere semplicemente lo-cali e/o individuali e spesso non continuative, hanno contribuito ad una situazio-ne di elevata disomogeneità del livello di salvaguardia delle capre autoctone. Infatti, gli interventi sporadici, pur con discreti risultati, esauriscono la loro effi-cacia alla conclusione del progetto.Sul territorio, attualmente, vi sono un numero elevato di popolazioni locali che at-tendono di essere studiate e confrontare alla macro-razza Alpina Locale o Alpina Comune. Vi sono inoltre razze che, pur riconosciute a livello amministrativo, fati-cosamente cercano un consolidamento o un aumento della propria consistenza numerica, altre invece, in condizioni numericamente migliori, cercano di trovare una stabile identificazione economica per sopravvivere. Non mancano quelle per le quali, in un’ottica economica più avanzata, si stanno mettendo in atto o ideando piani di miglioramento, spesso, e purtroppo solo, di tipo strettamente funzionale. Molte realtà inoltre relegano le capre nel limbo dell’“attendismo”, cioè nell’aspet-tare impassibili (istituzioni e allevatori), che si verifichino le condizioni economi-che favorevoli per incentivare l’allevamento delle capre autoctone.

discussione

A fronte di questa situazione esistono degli obbiettivi prioritari dettati da precisi fini, che andrebbero tenuti in considerazione nella ideazione delle future strate-gie d’intervento a favore di questo settore.Obiettivo: Raggiungere un medesimo livello di salvaguardia di tutte le Razze Caprine Locali Alpine Italiane riconosciute ufficialmente, attraverso un percorso collettivo, strutturato e condiviso.Fine: Evitare la “spettacolarizzazione” delle razze, evitare la diffusione immoti-vata di razze locali in territori non propri, creare le condizioni per un “migliora-mento economico” delle razze locali caprine.Obiettivo: Ideare un corretto sistema identificativo e di classificazione delle razze che consenta il riconoscimento ufficiale giustificato (o l’esclusione) di nuove Razze Caprine Alpine, attualmente considerate Popolazioni Locali. Fine: Disincentivare l’eccessiva frammentazione della popolazione Caprina Al-pina Locale, senza serie motivazioni, con la sola conseguenza di aumentare la

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difficoltà di gestione delle Popolazioni Locali dal punto di vista della salvaguar-dia (gestione delle micro-popolazioni).Obiettivo: Ideare una strategia di Salvaguardia e/o Valorizzazione e/o Migliora-mento dell’Alpina Comune su tutto il territorio dell’arco alpino italiano.Fine: Combattere la sostituzione indiscriminata degli animali nel gregge, con altri di razze cosmopolite o razze autoctone ufficiali, con conseguenze disastro-se sulla biodiversità dell’arco alpino.Obiettivo: Ideare, sperimentare e applicare sistematicamente un preciso siste-ma di indicatori territoriali di salvaguardia.Fine: Consentire un monitoraggio continuativo dello stato di “salute” di una razza locale e dare precise indicazioni sul livello di interesse istituzionale locale sulla tutela delle razze caprine minacciate.Acquisite queste priorità, il percorso per la salvaguardia di una razza locale è caratterizzato da diverse fasi che possono essere precedute dall’applicazione di un corretto sistema, oggi ancora ad uno stadio di ideazione, di Classificazio-ne delle Razze Locali, di Classificazione dei Sistemi Allevatoriali (es.Convenzio-nali, Tradizionali-imprenditoriali, Familiari, Amatoriali), di Indagine Storica (rac-colta di informazioni sulle caratteristiche di razza ed aspetti sociali). L’indagine storica può essere esplorativa, ed in questo caso denominata “Conoscitiva”, o può essere contemporanea alla fase “Investigativa”, più avanti descritta.Nella tabella successiva sono proposte le diverse fasi che condizionano un processo di crescita equilibrato di una razza caprina alpina locale.

Tipo di Fase Obbiettivi Zone di attuazione

“Investigativa”

Appurare la presenza storica di una razza ed il suo stato di peri-colo. Inquadramento della stessa nel comparto allevatoriale alpino. Esecuzione di un rudimentale studio sulle strategie da attuare nelle fasi successive.

Principalmente nel territorio di origine, ed in territori dove vi sia stato nel passato un flusso di ani-mali della razza in esame (flusso storico documentato).

“Consolidamento”

Ridurre la contrazione del numero di animali, del numero di allevatori e dell’estensione del territorio di allevamento.

Territorio di origine. Territorio con valenza allevatoriale storica.

“Espansione”Aumento del numero di animali e di allevatori.

Territori della fase di “Consolida-mento”. Tutti i territori amministra-tivamente riconosciuti, anche di recente individuazione.

“Diffusione” o“Colonizzazione sostenibile”

Aumento del numero di animali e del numero di allevatori impegnati in attività imprenditoriali.

Territori “liberi” da attività imprendi-toriali, familiari ed amatoriali legate ad una specifica razza autoctona. Compresa la macro-razza Alpina Comune ed i relativi ceppi locali se riconoscibili.

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Risulta molto importante, inoltre, definire preventivamente delle eventuali azioni da scoraggiare. In questo caso specifico si suggerisce di contrap-porre all’ultima fase descritta in tabella (“Diffusione” o “Colonizzazione sostenibile”), quella di “Colonizzazione competitiva”. Questa si verifica molto spesso nel comparto caprino a seguito dell’uso distorto dell’attuale diverso grado di tutela fra le razze dell’arco alpino italiano, fra cui trova grande popolarità la “spettacolarizzazione” delle razze per ragioni pura-mente estetiche.Nella tabella di seguito riportata sono proposti gli effetti della fase di “Coloniz-zazione competitiva”.

Azione di ri-schio:

Effetto Territori minacciati

“Colonizzazio-ne

competitiva”

Aumento immotivato, in un conte-sto imprenditoriale, amatoriale e/o familiare del numero di animali e di allevatori di razze non storicamente autoctone del territorio.Freno alla ripresa delle attività rurali in un ottica di lungo periodo.Erosione ed Inquinamento genetico e/o territoriale.Erosione= uso sistematico di ripro-duttori non autoctoni.Inquinamento= uso sporadico e incontrollato di riproduttori non au-toctoni.

Tutti i territori dell’arco alpino, dove sia verificata una testimonianza at-tuale e/o storica della presenza di una specifica razza caprina locale.

Quando si studiano le dinamiche socio-economiche che ruotano attorno alle razze locali, spesso, si evidenzia che la maggior parte degli allevatori rientrano nelle categorie delle attività familiari ed amatoriali, più limitatamente in quelle imprenditoriali. L’allevamento amatoriale, anche se molto raro nel comparto caprino, si differen-zia principalmente da quello familiare per il diverso rapporto con la campagna, infatti ne è totalmente slegato (limitato uso delle risorse foraggere), e nell’impor-tanza del tutto marginale delle produzioni ottenute. L’allevamento familiare, invece, utilizza le produzioni principalmente per auto-consumo, contribuendo sensibilmente al reddito familiare. Questo non va però confuso con il concetto di autosufficienza, del tutto impensabile oggigiorno nel-la nostra società, anche se di tipo rurale. La condizione di imprenditorialità sta invece nella presenza, all’interno della razza, di allevatori che traggono tutto il proprio reddito dall’attività agricola, o il cui il reddito è equiparabilmente ottenuto anche da attività extra agricole (part-time, cioè multi-redditualità in zone rurali). Nel caso delle razze locali, per soddisfare i principi di salvaguardia riconosciuti a livello internazionale,

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è bene che l’imprenditorialità sia strettamente legata alla condizione di pa-storalismo.Un aspetto fortemente dibattuto fra sostenitori e non delle razze caprine alpine locali riguarda la capacità di queste razze di supportate economicamente il proprio allevamento. Parlare di economia nel contesto delle razze caprine locali serve “solo” a ricordare che l’attività di chi si occupa di ideare e realizzare piani di salvaguardia non deve esaurirsi con il solo consolidamento numerico di una razza caprina, ma proseguire, quando le condizioni lo consentono, nella pro-spettiva che la stessa razza, migliorata numericamente, diventi “economica” ed “economicamente migliorabile”.Prima di parlare di miglioramento, spesso associato, erroneamente, so-lamente all’aspetto funzionale (produzione di latte), di una razza caprina alpina locale, essa si deve “guadagnare” lo status di razza “economica”. Questo accade solo quando si verificano alcune importanti condizioni, che riportiamo in tabella.

Tipo di Fase Condizioni

Raggiungimento dello status di raz-

za “economica”

Presenza di attività imprenditoriali anche sporadiche. Presenza di un numero sufficiente di animali che consenta la nascita di neo-realtà imprenditoriali. Equità e corrispondenza dei prezzi al reale valore dell’animale e non per scarsità di capi, per ragioni puramente este-tiche di razza o temporaneo interesse amministrativo. Mancanza di disponibilità a pagare prezzi elevati per l’acquisto di riproduttori. Te-stimonianza commerciale della potenziale attività di trasformazione casearia e carnea, meglio se tradizionale. Volontà amministrativa di creare delle opportunità economiche.

Prima di tale momento una razza “minacciata” rimane nella sua condizione di tutela numerica e territoriale.Soddisfatte le condizioni perché ad una razza si possa riconoscere lo status di razza “economica”, è ipotizzabile un suo “miglio-ramento economico”. A questo punto, la condizione indispensabile è che gli allevatori che andranno coinvolti nel processo di miglioramento vivano, almeno in parte, dell’allevamento della capra.Nella tabella successiva sono proposti alcuni obbiettivi del “miglioramento eco-nomico” di una razza caprina alpina locale.

Obiettivi

“Miglioramento Economico”

Attuazione di piani di miglioramento funzionale nel rispetto dei principi di tutela. Interventi collettivi sul sistema di allevamento, sulle tecnologie di produzione e trasformazione. Ottimizzazione della gestione delle risorse foraggere e loro potenziamento. Favorire buone e stabili condizioni di mercato. Migliorare le condizioni strutturali locali. Garantire la definizione di uno “stile” aziendale collettivo (economico e/o di tutela).

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Conclusioni

Lo sforzo che oggi viene richiesto è principalmente quello di operare verso il raggiungimento di uno stesso grado di tutela fra le razze caprine locali dell’arco alpino italiano. Prima di ciò è indispensabile che questa diversità sia di arricchi-mento per le razze rimaste ad uno stadio inferiore di salvaguardia e non diventi un motivo di competizione con le più evolute.Questo sarà possibile esclusivamente colmando i “vuoti di tutela” e i “vuoti di mercato”, grazie ad una “crescita equilibrata” di tutti i comparti (sociali, economi-ci e tecnici) che ruotano intorno al processo di salvaguardia di una razza caprina alpina locale e attivando politiche locali che non esauriscano la loro funzione nell’aumentare solo la visibilità delle amministrazioni e di alcuni pochi “eletti”. Nella tabella seguente vengono proposti condizioni, effetti e fattori di predispo-sizione ai “vuoti” di tutela e di mercato.

Condizione Effetto Fattore predispositivo

“vuoto di tutela”

Assenza di iniziative spazio-temporali sulle capre autoctone.

Possibilità che il “vuoto” venga colmato dall’intro-duzione di razze locali confinanti, in possesso, nei rispettivi territori di ori-gine, di un livello di tutela superiore e più radicato.

Impreparazione alla ri-soluzione delle proble-matiche inerenti le raz-ze locali minacciate di estinzione.

“vuoto di mercato”

Presenza di iniziative che sfruttino l’immagine delle razze caprine alpine au-toctone senza una reale ricaduta sulla loro condi-zione di salvaguardia.

Presenza consolidata sul mercato di un prodotto dell’allevamento, a fron-te di una razza totalmen-te o quasi scomparsa, o peggio ancora, inutiliz-zata economicamente.

Incapacità del mercato di individuare inequi-vocabilmente i prodotti agricoli pastorali, otteni-bili per tradizione dalle sole razze locali.

“crescita equilibrata”

Corretto equilibrio fra consistenza numerica della razza minacciata, numero e preparazione ai piani di tutela da parte degli allevatori, poten-ziamento delle attività produttive rurali, sensi-bilità del consumatore e del mercato a fattori co-me stagionalità e limitata disponibilità di prodotto.

Raggiungimento di un corretto stato di salva-guardia, capace di con-trastare le problematiche tipiche dei “vuoti di tute-la” e “vuoti di mercato”

Gradualità e continuità nella realizzazione di azioni di tutela.

A questo non si devono però sottrarre nemmeno gli allevatori, ai quali è richie-sto di esporsi, in prima persona.

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Si deve far prendere loro coscienza del fatto che non ci sarà mai una condi-zione di assistenzialismo, che in futuro gli aiuti finanziari saranno indirizzati a chi crede nell’allevamento tradizionale in montagna come progetto di vita, nel rispetto delle condizioni di imprenditorialità e di multifunzionalità. Così come, d’altronde, le amministrazioni non si devono sottrarre all’impegno di inserire i piani di tutela nei propri bilanci finanziari, al fine di dare continuità e voce alle esigenze degli allevatori. Anche se difficilmente ci saranno in futuro le condizioni economiche per cui un giovane, pur mosso da legittimi interessi di benessere, trovi in questo alleva-mento un business paragonabile a quelli tanto reclamizzati dai nostri mass-me-dia, non è giustificabile l’attuale e subdola indifferenza verso le razze caprine alpine locali. Le condizioni di questo settore potranno in futuro migliorare solo con l’onesto l’impegno di tutti.

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CAPRE AuTOCTONE IN TRENTINO: LA BIONdA dELL’AdAMELLO

Pirola M.1, Milone L.2, Brambilla L.A.2,3

1 UFFiCio PRoVinCiaLE Di tUtELa DELLE PRoDUzioni agRiCoLE - Provincia autonoma di trento� R.a.R.E. associazione Razze autoctone a Rischio di Estinzione – torino� agER agricoltura e Ricerca – milano

Riassunto

La Bionda dell’Adamello, razza caprina locale minacciata di estinzione, si trova oggi, a circa 1� anni di distanza dall’inizio delle azioni intraprese in suo favore, in una discreta situazione numerica e con buone potenzialità di riscatto economico. Il suo recupero ebbe inizio con l’emanazione da parte dell’UE del Reg. CEE 2078/92 e si è protratto fino ad oggi grazie ai Piani di Sviluppo Rurale (Reg. CE 12�7/99).Dai circa 100 esemplari censiti nei primi anni ’90, si è giunti oggi ad una consistenza stimata intorno ai 4.�00 capi di cui �.��0 regolarmente iscritti al Registro Anagrafico Nazionale, attivo dal 1999 e gestito dall’Associazione Nazionale della Pastorizia (Asso.Na.Pa.-ROMA-).La zona di massima concentrazione è sicuramente la Valle Camonica e, più in generale la provincia di Bre-scia, ma nuclei importanti sono presenti anche nelle province di Bergamo, Lecco e Trento. Quest’ultima, oggetto del presente lavoro, è stata recentemente riconosciuta come zona di tutela di questa razza.È in quest’ottica che si pone il recente intervento di individuazione e monitoraggio della capra Bionda dell’Adamello, coordinato dall’Ufficio provinciale di Tutela delle produzioni agricole, all’interno dell’appo-sito capitolo di spesa per lo “studio, il recupero e la valorizzazione delle popolazioni ovi-caprine in pe-ricolo di estinzione”. L’intervento si è articolato in un ciclo di visite in stalla, conclusosi nel giugno 2006, ed ha previsto il controllo e la Valutazione Morfologica dei soggetti caprini registrati alla Federazione Allevatori di Trento, consentendo così di monitorare la situazione attuale di questa razza sul territorio.Ogni soggetto per poter essere iscritto come Bionda dell’Adamello al Registro Anagrafico Nazionale, deve superare l’esame dei caratteri estetici dello standard di razza. Nel caso di questo intervento, la Provincia Autonoma di Trento ha richiesto di approfondire il semplice controllo dei caratteri di razza con la Valuta-zione Morfologica completa prevista dai R.A. Il sistema attualmente in uso per la valutazione della razze caprine alpine (attitudine latte) è quello sintetico a punteggio, il quale valuta quattro gruppi di caratteri complessivi dell’animale: caratteristiche di popolazione, di conformazione, di sviluppo-mole e caratteristi-che attitudinali. Il giudizio finale esprime il grado di perfezione del soggetto esaminato rispetto al modello ideale e l’idoneità o meno per l’iscrizione al Registro Anagrafico.Il lavoro svolto ha evidenziato risultati confortanti dal punto di vista numerico, ma non altrettanto da quel-lo del recupero, della distribuzione territoriale e delle caratteristiche morfologiche funzionali. La maggior parte dei soggetti censiti proviene infatti da un consistente flusso di animali dalle province di Brescia e Lecco anziché da un effettivo recupero dei nuclei inizialmente individuati. Inoltre la sua diffusione, pur rimanendo principalmente localizzata nella zona occidentale, sta interessando indifferentemente tutto il Trentino, rischiando di minacciare possibili altre razze locali non ancora individuate e studiate. La priorità, oltre quella di sensibilizzare gli allevatori sull’importanza dei caratteri funzionali, anche a discapito temporaneo della perfezione dei caratteri estetici di razza, è quella di ideare e applicare un corretto piano di salvaguardia che recuperi il patrimonio caprino “biondo” nativo del Trentino e gestisca correttamente il flusso di animali, scongiurando eventuali competizioni numeriche e territoriali con altri ceppi caprini locali.

Abstract

The Bionda dell’Adamello goat is a local endangered race. After fifteen years of actions, the total amount of animals is quite satisfactory and there are good opportunities of economic exploitations.Its safeguard began with the help of the EU Reg CEE 2078/92 and has been forwarded up today thanks to the Agricultural Development Plans (Reg 1275/99).

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At the beginning of the 90’s, there were about 100 animals recorded. Today, the total amount is about 4.500; 3.350 of them are regularly recorded in the National Herd Book founded in the 1999 and managed by the National Sheep Association (Asso.Na.Pa., Rome). In the Camonica Valley there are the most of the animals, particularly in the province of Brescia. But an important presence of this goat has been registered also in the provinces of Bergamo, Lecco and Trento. The province of Trento, in particular, has been the target of this research carried on by the Agricultural Production Safeguard Province Office, inwards the programme for “Studying, Safeguarding and Exploi-ting the endangered sheeps and goats”.For all the year 2006 long, this research was carried on with surveys in the farms. Controlling and evalua-ting the morphological aspect of the animals recorded by the Farmers Association of Trento. This study has underlined important results, stressing on the safeguarding of this goat’s race.

Résumé

La race Bionda dell’Adamello est une chèvre locale en péril. Aujourd’hui, après presque quinze ans d’actions entreprises pour la sauvegarder, elle compte un discret numéro de chefs et elle a un bon potentiel d’exploitation. Sa sauvegarde commença avec la promulgation de part de UE du Reg. CEE 2078/92 et a continué jusqu’aujourd’hui grâce aux plans de développement ruraux, Reg. 1257/99.Dans les années 90 la Bionda dell’Adamello comptait 100 animaux enregistrés. De nos jours on estime environ 4.500 chefs, dont 3.350 sont régulièrement reconnu dans le Herd Book, fondé en 1999 par l’As-sociation Nationale de l’Elevage – AssoNapa, Rome. La Valle Camonica et en générale la Province de Brescia est le département où l’on compte le plus grand nombre d’animaux. Mais des troupeaux assez nombreux se trouvent aussi dans les provinces de Bergamo, Lecco et Trento. Cette recherche, menée par le Bureau provinçale de Sauvegarde des productions agricoles, touche justement cette dernière province, et elle a été considérée dans un pro-gramme plus vaste concernant « L’Etude, la Sauvegarde et l’Exploitation des populations de brebis et chèvres en grave danger de disparution ». Pendant l’année 2006 la recherche a intéressée des visites dans les fermes, le contrôle et l’évaluation morphologique des chefs reconnus par l’ Association des Eleveurs de la Ville de Trento.Le travail développé a mis en relief des résultats confortants, tout en soulignant la nécessité d’entrepren-dre un plan organisé de sauvegarde en faveur de cette race.

Introduzione

Benché i primi interventi di studio e salvaguardia della razza caprina Bionda dell’Adamello risalgano ai primi anni ’90, le azioni condotte dalla Provincia Au-tonoma di Trento sono più recenti, perché più recente (anno 1997) è stato il suo riconoscimento come zona di tutela di questa razza. Questo è avvenuto in seguito al ritrovamento di una sensibile presenza di capre “Bionde” in alcuni allevamenti della Valle del Chiese (Trentino occidentale) a testimonianza del-l’uso in passato di zone di pascolo comuni da parte delle confinanti province di Brescia e Trento. La concentrazione numerica di questa razza risulta essere massima in Val Camonica e in particolare in Val Saviore (BS) mentre nuclei mi-nori sono presenti nelle province di Bergamo e Lecco oltre che, come detto, in provincia di Trento.In Tabella 1 sono riportate le azioni in favore di questa razza e le relative con-sistenze numeriche, quando conosciute. L’attuale e più recente intervento ri-sulta essere per l’appunto l’“Individuazione e monitoraggio della Capra Bionda dell’Adamello in Trentino”. Promosso dal Servizio Vigilanza e Promozione del-

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l’Attività Agricola (Ufficio Tutela delle Produzioni Agricole), ed ha consentito di monitorare la situazione attuale di questa razza sul territorio.

Tabella 1 - Interventi di studio e salvaguardia in favore della razza caprina “Bionda dell’Ada-mello” e relative consistenze numeriche

ANNO INIZIATIVA N. CAPI

1992Approvazione del Reg. Cee 2078/92 contenente la misura D2 specifica per le razze minacciate di estinzione

100

1994Attivazione del Programma Agroambientale della Regione Lombardia di attuazione del Reg. Cee 2078-92/D2 che riconosce un contributo agli allevatori di razze a limitata diffusione e quindi in pericolo di estinzione

199�Riconoscimento ufficiale della razza a livello comunitario tramite la pubblicazione dello Standard Ufficiale di Razza (Boll. Uff. Regione Lombardia n°20)

6�2

1996Prima Edizione della Mostra interprovinciale di razza Bionda dell’Adamello, Edolo (BS)Nascita della Associazione Allevatori per la Tutela e la Valorizzazione della Capra Bionda dell’Adamello

1997Istituzione del Registro Anagrafico per gli ovi-caprini al fine della conservazione delle popolazioni di animali di interesse zootecnico a limitata diffusione (con D.M. n. 212�1)

700

Inserimento della Bionda dell’Adamello tra le specie zootecniche minacciate di estinzione della Provincia Autonoma di Trento (sottomisura 6.4 del PSR)

1998Prima Edizione del Premio Bonomelli Bernardo “una vita alla montagna”

9�2

1999Attivazione del Registro Anagrafico della capra Bionda dell’Adamello a livello nazionale presso l’AssoNapa (ROMA)

1.�00

Emanazione del Reg. CE 12�7/99 da parte dell’UE ed elaborazione da parte delle Regioni dei Piani di Sviluppo Rurale

2000Inserimento del Fatuli’ (formaggio tipico legato alla razza) nell’elenco dei Prodotti Agricoli Tradizionali (PAT)

2002 2.�00200� 4.000

2006Intervento di individuazione e monitoraggio della capra Bionda dell’Adamello in Trentino

4.�00

Fonti disponibili presso gli Autori

Materiale e metodi

All’interno del capitolo di spesa per lo studio, il recupero e la valorizzazione delle popolazioni ovi-caprine in pericolo di estinzione, promosso dal Servizio Vigilanza e Promozione dell’Attività Agricola (Ufficio Tutela delle Produzioni

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Agricole), è iniziato nel mese di giugno 2006 l’intervento di individuazione e monitoraggio della capra Bionda dell’Adamello.Il ciclo di visite è stato affidato all’esperto nazionale di razza (L.A.Brambilla) e ha previsto il controllo e la Valutazione Morfologica dei soggetti registrati alla Federazione Allevatori di Trento. Complessivamente sono state visitate 7 stalle per un totale di 61 soggetti iscritti ai Registri Anagrafici.La capra Bionda dell’Adamello, come tutte le razze ufficiali dell’arco alpino, è in possesso del Registro Anagrafico Nazionale che, attualmente, è attivo nelle province di Brescia, Lecco, Como, Bergamo e Trento.Ogni soggetto, per poter essere iscritto, deve superare l’esame dei caratteri estetici di razza; detto esame può essere eseguito solo da un tecnico abilita-to in sede centrale (Associazione Nazionale della Pastorizia –Asso.Na.Pa.-). Nel caso di questo specifico intervento, la Provincia Autonoma di Trento (PAT), su proposta del funzionario incaricato Massimo Pirola (Ufficio Tutela delle Pro-duzioni Agricole), ha richiesto di approfondire l’esame dei caratteri di razza affiancandolo con la Valutazione Morfologica completa, adottata dai Registri Anagrafici. Il motivo è da ricercare nel voler sperimentare questo sistema di valutazione anche nella popolazione caprina Bionda del Trentino, dando un contributo importante ad una sua eventuale revisione e nel voler inquadrare la stessa capra Bionda nell’ambito delle popolazioni caprine alpine.Il sistema attualmente in uso per la valutazione delle razze caprine alpine (at-titudine -latte-) è quello sintetico a punteggio, il quale valuta quattro gruppi di caratteri complessivi dell’animale: caratteristiche di popolazione, di conforma-zione, di sviluppo e mole e caratteristiche attitudinali (Tabella 2). La somma dei punteggi parziali compone un giudizio finale (G.F.) che ha come massimo valo-re 100, sia nel maschio sia nella femmina; è 60 il valore minimo per l’iscrizione al R.A. delle femmine (70 nei maschi). Il punteggio finale esprime il grado di perfezione del soggetto esaminato rispetto al modello ideale.

Tabella 2 - Gruppi di caratteri valutati tramite il sistema sintetico a punteggio attualmente in uso per la valutazione delle razze caprine alpine (attitudine – latte)

Caratteristiche di Popolazione (C.P.): il punteggio a disposizione, sia nelle femmine sia nei maschi va da un minimo di �0 pt (minimo per l’iscrizione) a un massimo di 40 pt. In questo caso la valutazione degli animali si deve attenere scrupolosamente allo standard di razza, il quale deve essere il più corretto possibile per dare tutti gli elementi necessari ad effettuare la valutazioneConformazione (C.): il punteggio a disposizione va da un minimo di 10 pt (minimo per l’iscrizione delle femmine, 20 per i maschi) a un massimo di 20 pt. (�0 per i maschi). In questo caso la valutazione degli animali viene effettuata con l’osservazione della conformazione delle diverse regioni zoognostiche dell’animale (es. sviluppo del torace -analisi dei diametri longitudinali e trasversali, sistema locomotore- appiombi e sviluppo della linea dorsale, ecc.) le quali devono in un secondo momento essere confrontate fra di loro per un giudizio sulla loro giusta proporzionalità. Anche in questo caso uno standard di razza completo e attendibile aiuta il valutatore ad esprimere un giudizio tecnicamente corretto

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Sviluppo e Mole (S.M.): il punteggio a disposizione va da un minimo di 10 pt (minimo per l’iscrizione delle femmine, 20 per i maschi) a un massimo di 20 pt. (�0 per i maschi). In questo caso la valutazione dello sviluppo giudica gli animali che non hanno ancora completato la maturità di crescita (nelle capre avviene circa a � anni). La mole, invece, viene valutata in animali adulti che hanno completato la crescita. L’animale è valutato nel suo complesso, considerando diversi aspetti singoli (per esempio la taglia e la lunghezza del tronco, ecc.) e il giudizio viene dato in base a come il soggetto si pone nella popolazione e a seconda degli obbiettivi di miglioramento della stessa. Anche in questo caso uno standard di razza completo e attendibile aiuta il valutatore ad esprimere un giudizio correttoCaratteri Attitudinali (C.A.): è un elemento di valutazione esclusivo delle femmine, il punteggio a disposizione va da un minimo di 10 pt (minimo per l’iscrizione) a un massimo di 20 pt. In questo caso la valutazione attitudinale del soggetto deve tener conto di due gruppi di caratteri funzionali. Il primo è legato all’espressione dell’animale alla produzione di latte (valutazione della testa, del collo, corrispondenza fra sviluppo dell’anteriore e del posteriore, valutazione del ventre, e principalmente osservazione della mammella). La valutazione del secondo gruppo di caratteri, invece, deve tenere conto del sistema allevatoriale nel quale queste capre devono esprimere la loro produzione di latte. La valutazione della rusticità diventa in questo caso del tutto fondamentale, anche come espressione di una discreta resa al macello dopo la riforma del soggetto. Essa si esprime come un’adeguata morfologia degli animali ad un sistema di allevamento semi-stabulato con uso del pascolo in quota e si colloca, come corretto aspetto morfologico, ad un livello intermedio fra una eccessiva finezza-gentilezza e una marcata grossolanità. Anche in questo caso uno standard di razza completo e attendibile aiuta il valutatore ad esprimere un valido giudizio

Il principale strumento a disposizione del valutatore nonché dell’allevatore è rappresentato dallo “Standard di Razza” ossia dall’insieme dei caratteri mor-fologici e funzionali di maggior interesse tipici di una razza (Tabella �). Esso deve essere il più completo ed attendibile possibile al fine di facilitare l’attività valutatrice. Allo stesso tempo è fondamentale che l’utilizzo di detto strumen-to sia calibrato in funzione della situazione nella quale ci si trova ad operare; nella fattispecie una sua applicazione eccessivamente rigida nei confronti di capre discendenti dal vecchio ceppo trentino biondo, sarebbe in antitesi con gli obbiettivi della conservazione; non va infatti dimenticato che i principi con i quali ci si approccia alle razze a limitata diffusione sono quelli di salvaguardia e non di esasperata standardizzazione. L’allevatore, troppo spesso intento nel ricercare la perfezione estetica di appartenenza allo standard, andrebbe mag-giormente sensibilizzato sulla tutela delle popolazioni caprine e sull’importanza dei caratteri funzionali.

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Tabella 3 - Sintesi dello standard di razza della capra Bionda dell’Adamello

Taglia Media (altezza al garrese 74,� cm)

Mantello

Bruno con tonalità più o meno chiare detto “biondo”.Presenta pezzature regolari di colore bianco posizionate come segue:sempre presenti le due striature che partendo dalla regione sopraciliare si fondono sul muso (“swiss marking”), le parti distali degli arti al di sotto del ginocchio (arti anteriori) e del garretto (arti posteriori), l’interno delle cosce, lo specchio anale e la bordatura delle orecchie. Ricercati ma non sempre presenti il ventre e lo sterno di colore chiaro.Il pelo è fine, lungo o intermedio. È preferibile una uniformità di lunghezza e distribuzione piuttosto che la presenza di pelo più corto nella regione delle spalle e più abbondante nella regione delle cosce.

Testa

Fine e leggera con profilo fronto-nasale rettilineo.La barba è sempre presente nei maschi e nella stragrande maggioranza delle femmine.Le corna quando presenti sono a sciabola, per quanto riguarda i maschi si preferiscono soggetti con corna per ridurre i problemi di infertilità nel gregge.Le orecchie sono erette e rivolte in avanti, mai pendenti.

ColloFine e lungo tipico dell’animale ad attitudine lattifera. Le tettole quando presenti vengono preferite di colore bianco.

Figura 1 - Soggetto aderente allo standard della razza Bionda dell’Adamello

Risultati e discussione

La situazione della Bionda in Trentino si sta rivelando molto interessante. Le valu-tazioni svolte hanno riguardato parte degli animali regolarmente registrati presso la Federazione Allevatori di Trento e attualmente distribuiti in 8 stalle. Da verifiche effettuate successivamente, si stima la presenza di un ulteriore gruppo di sogget-ti (stalle totali 1�), ma non iscritti, a conferma del crescente interesse che questa

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Tabella 3 - Sintesi dello standard di razza della capra Bionda dell’Adamello

Taglia Media (altezza al garrese 74,3 cm) Mantello Bruno con tonalità più o meno chiare detto “biondo”.

Presenta pezzature regolari di colore bianco posizionate come segue: sempre presenti le due striature che partendo dalla regione sopraciliare si fondonosul muso (“swiss marking”), le parti distali degli arti al di sotto del ginocchio (artianteriori) e del garretto (arti posteriori), l’interno delle cosce, lo specchio anale e la bordatura delle orecchie. Ricercati ma non sempre presenti il ventre e lo sterno dicolore chiaro. Il pelo è fine, lungo o intermedio. È preferibile una uniformità di lunghezza edistribuzione piuttosto che la presenza di pelo più corto nella regione delle spalle e più abbondante nella regione delle cosce.

Testa Fine e leggera con profilo fronto-nasale rettilineo. La barba è sempre presente nei maschi e nella stragrande maggioranza dellefemmine.Le corna quando presenti sono a sciabola, per quanto riguarda i maschi si preferiscono soggetti con corna per ridurre i problemi di infertilità nel gregge. Le orecchie sono erette e rivolte in avanti, mai pendenti.

Collo Fine e lungo tipico dell’animale ad attitudine lattifera. Le tettole quando presentivengono preferite di colore bianco.

Figura 1 - Soggetto aderente allo standard della razza Bionda dell’Adamello

Risultati e discussione

La situazione della Bionda in Trentino si sta rivelando molto interessante. Le valutazioni svolte hanno riguardato parte degli animali regolarmente registrati presso la Federazione Allevatori di Trento e attualmente distribuiti in 8 stalle. Da verifiche effettuate successivamente, si stima la presenza di un ulteriore gruppo di soggetti (stalle totali 15), ma non iscritti, a conferma del crescente interesse che questa razza sta incontrando.

È bene ricordare che la maggior parte dei soggetti censiti proviene da un consistente flusso di animali dalle province di Brescia e Lecco, a seguito di intensi scambi che da qualche anno stanno interessando le zone di maggior concentrazione di capra Bionda in Trentino. Questo aspetto ha contribuito in modo significativo a delineare la situazione evidenziata dai punteggi registrati durante le valutazioni morfologiche (Tabella 4): la presenza di soggetti aderenti allo standard ma poco soddisfacenti sotto il profilo morfologico-funzionale. È comunque ragionevole pensare che sul territorio provinciale ci siano ancora alcuni soggetti, diretti discendenti del vecchio ceppo trentino di capre bionde, che costituiscono oggi la priorità di salvaguardia degli allevatori.

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razza sta incontrando.È bene ricordare che la maggior parte dei soggetti censiti proviene da un consistente flusso di animali dalle province di Brescia e Lecco, a seguito di intensi scambi che da qualche anno stanno interessando le zone di maggior concentrazione di capra Bionda in Trentino. Questo aspetto ha contri-buito in modo significativo a delineare la situazione evidenziata dai punteggi regi-strati durante le valutazioni morfologiche (Tabella 4): la presenza di soggetti ade-renti allo standard ma poco soddisfacenti sotto il profilo morfologico-funzionale. È comunque ragionevole pensare che sul territorio provinciale ci siano ancora alcuni soggetti, diretti discendenti del vecchio ceppo trentino di capre bionde, che costituiscono oggi la priorità di salvaguardia degli allevatori.

Tab. 4 - Statistiche relative ai punteggi registrati nelle Valutazioni Morfologiche di 61 soggetti interessati

MEDIA MIN (n) MAX (n)Caratteristica di Popolazione (C.P.) �6,� �0 (6) 40 (�)Conformazione (C.) 1�,2 10 (10) 20 (1)Sviluppo e Mole (S.M.) 14,8 10 (14) 20 (�)Caratteri Attitudinali (C.A.) 14,6 10 (16) 20 (4)Giudizio Finale (G.F.) 80,9 60 (1) 96 (�)

Gli attuali allevamenti presenti in Trentino, interessano le valli di Ledro, del Chie-se, Giudicarie, Rendena, di Non, dell’Adige, dei Mocheni e Valsugana (Figura 2). Tale distribuzione territoriale evidenzia un ulteriore aspetto da tenere sotto controllo: la diffusione indifferenziata in tutto il territorio, con il possibile rischio che vengano minacciate eventuali altre razze locali non ancora individuate e studiate. La maggior parte delle nuove realtà allevatoriali sono infatti completa-

mente slegate da quel-la che era la presenza storica di questa raz-za, e sorgono pertanto in aree non specifica-tamente appartenenti alle zone originarie. Tuttavia è ancora il Trentino occidentale a presentare il maggior numero di stalle.

Figura 2 - Distribuzione degli allevamenti di capra Bionda dell’Adamello in Trentino

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Tab. 4 - Statistiche relative ai punteggi registrati nelle Valutazioni Morfologiche di 61 soggetti interessati

MEDIA MIN (n) MAX (n) Caratteristica di Popolazione (C.P.) 36,3 30 (6) 40 (5) Conformazione (C.) 15,2 10 (10) 20 (1) Sviluppo e Mole (S.M.) 14,8 10 (14) 20 (3) Caratteri Attitudinali (C.A.) 14,6 10 (16) 20 (4) Giudizio Finale (G.F.) 80,9 60 (1) 96 (3)

Gli attuali allevamenti presenti in Trentino, interessano le valli di Ledro, del Chiese, Giudicarie, Rendena, di Non, dell'Adige, dei Mocheni e Valsugana (Figura 2). Tale distribuzione territoriale evidenzia un ulteriore aspetto da tenere sotto controllo: la diffusione indifferenziata in tutto il territorio, con il possibile rischio che vengano minacciate eventuali altre razze locali non ancora individuate e studiate. La maggior parte delle nuove realtà allevatoriali sono infatti completamente slegate da quella che era la presenza storica di questa razza, e sorgono pertanto in aree non specificatamente appartenenti alle zone originarie. Tuttavia è ancora il Trentino occidentale a presentare il maggior numero di stalle.

Figura 2 - Distribuzione degli allevamenti di capra Bionda dell’Adamello in Trentino

Sono infine da evidenziare le diverse tipologie dei sistemi allevatoriali incontrati, aspetto questo da tenere in considerazione per quello che sarà il futuro cammino della capra Bionda in Trentino. A fianco di sistemi tradizionali, per conduzione e ricoveri, sono presenti neo realtà di tipo imprenditoriale che, all’aspetto tradizionale di conduzione (uso del pascolo), affiancano un’organizzazione razionale dell’allevamento con l’uso di strutture moderne.

Conclusioni

Il confortante e crescente interesse nei confronti di questa razza rende ancor più urgente l’attuazione delle seguenti priorità di intervento:

- ideare ed applicare un corretto piano di salvaguardia che recuperi il patrimonio caprino “biondo” nativo del Trentino e gestisca correttamente il flusso di animali, scongiurando eventuali competizioni numeriche e territoriali con altri ceppi caprini locali;

- sensibilizzare gli allevatori sull’importanza dei caratteri funzionali, anche a discapito temporaneo della perfezione dei caratteri estetici di razza;

- proseguire in maniera continuativa l’indagine e il monitoraggio della capra Bionda dell’Adamello in Trentino;

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Sono infine da evidenziare le diverse tipologie dei sistemi allevatoriali incontrati, aspetto questo da tenere in considerazione per quello che sarà il futuro cam-mino della capra Bionda in Trentino. A fianco di sistemi tradizionali, per condu-zione e ricoveri, sono presenti neo realtà di tipo imprenditoriale che, all’aspetto tradizionale di conduzione (uso del pascolo), affiancano un’organizzazione ra-zionale dell’allevamento con l’uso di strutture moderne.

Conclusioni

Il confortante e crescente interesse nei confronti di questa razza rende ancor più urgente l’attuazione delle seguenti priorità di intervento:- ideare ed applicare un corretto piano di salvaguardia che recuperi il patrimo-

nio caprino “biondo” nativo del Trentino e gestisca correttamente il flusso di animali, scongiurando eventuali competizioni numeriche e territoriali con altri ceppi caprini locali;

- sensibilizzare gli allevatori sull’importanza dei caratteri funzionali, anche a discapito temporaneo della perfezione dei caratteri estetici di razza;

- proseguire in maniera continuativa l’indagine e il monitoraggio della capra Bionda dell’Adamello in Trentino;

- migliorare l’attuale sistema di Valutazione Morfologica, alla luce di una ne-cessaria e moderna revisione dello Standard di razza.

Ringraziamenti

Si ringraziano tutti gli allevatori per l’accoglienza nelle loro stalle e l’interesse dimostrato: Stefano Beber, Davide Cazzanelli, Manuel Cravos, Giovanni Galva-gni, Giuliano Mora, Agostino Pintarelli e moglie.Un sentito ringraziamento ad Angelo Fedrizzi della Federazione Allevatori di Trento per aver fornito dati e recapiti degli allevatori con la sua consueta dispo-nibilità.

Bibliografia

Brambilla L.A., 1997. La capra Bionda dell’Adamello. L’allevatore di ovini e ca-prini. Anno XIV n°�.

Brambilla L.A., 1997. La capra Bionda dell’Adamello rischia di scomparire. L’In-formatore Zootecnico. Anno XLIV n°8: 6�-68.

Brambilla L.A., 1997. La capra Bionda dell’Adamello, una micropopolazione dell’arco alpino lombardo. L’Allevatore. anno LIII n°21: 14.

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Brambilla L.A., 1998. Edolo 97, ripetuto il successo della capra Bionda del-

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l’Adamello. L’allevatore di ovini e caprini. Anno XV n°2.Brambilla L.A., Giacomelli M., Corti M., 1998. Indagine sul sistema di alleva-

mento della capra Bionda dell’Adamello. Atti del XIII Congresso Nazionale S.I.P.A.O.C., Palermo 16-19 Aprile 1998.

Brambilla L.A., Noè L., 1998. Parametri riproduttivi della capra Bionda dell’Ada-mello. L’allevatore di ovini e caprini. Anno XV n°9.

Brambilla L.A., Noè L., 1998. Razze caprine locali: un’opportunità economica e genetica. L’Informatore Agrario n°19: 61-6�.

Brambilla L.A., Giacomelli M., 2000. Capra Bionda dell’Adamello: le misure morfometriche dei giovani soggetti. L’allevatore di ovini e caprini. anno XVII n°7-8: 8-9.

Corti M., Brambilla L.A., 2002. Razze e sistemi di allevamento caprini alpini. Convegno “Desmontegada de le caore”, Cavalese (TN) 20-22 Settembre 2002.

Corti M., 2004. Situazione e registri delle razze caprine italiane. News letter di RARE, ottobre 2004.

Corti M. e coll., 200�. Bionda dell’Adamello. CD-ROM Valorizzazione delle razze caprine autoctone della Lombardia in funzione zootecnica ed ambientale.

Brambilla L.A., 200�. Edolo 2005, la capra Bionda dell’Adamello pensa al suo futuro: le mille difficoltà delle razze caprine alpine a rischio. News letter di RARE, dicembre 200�.

Brambilla L.A., Milone L., 2006. La Provincia Autonoma di Trento inizia il monito-raggio delle capre Bionde. www.associazionerare.it/notizie/n_028.htm.

Corti M., Brambilla L., 2006. Le razze caprine autoctone del Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia Giulia. www.asso-ciazionerare.it/razze.htm.

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CAPRE AuTOCTONE IN TRENTINO: LA PEZZATA MOCHENA

Pirola M.1, Corti M.2,3, Glisenti B.4, Milone L.2

1 UFFiCio PRoVinCiaLE Di tUtELa DELLE PRoDUzioni agRiCoLE - Provincia autonoma di trento� R.a.R.E. associazione italiana Razze autoctone a Rischio di Estinzione,torino � istituto di zootecnia generale - Università degli Studi di milano� Dottore Forestale libero professionista

Riassunto

Il riconoscimento ufficiale della capra Pezzata Mòchena/Pletzet goes van der Bernstol quale razza loca-le a limitata diffusione è avvenuto in tempi molto recenti, poco più di un anno fa, grazie alla volontà della Provincia Autonoma di Trento che si è attivata per lo studio e l’identificazione di questa popolazione.La sua presenza è concentrata nella Valle del Fersina (conosciuta anche come Valle dei Mocheni) e nelle zone limitrofe del Pinetano e del Perginese (Alta Valsugana - Trentino orientale). Dal punto di vista dei caratteri morfologici, la capra Pezzata Mochena presenta i tratti tipici del ceppo alpino: orecchie erette e portate in avanti, profilo fronto-nasale rettilineo, corna quasi sempre presenti del tipo a sciabola e portate all’indietro, mantello con vari tipi di pezzatura e diluizione anche variamente combinati tra loro, lunghezza del pelo variabile con prevalenza di soggetti a pelo lungo. La costituzione risulta robusta, adatta ad un sistema di allevamento di tipo pastorale-rurale. L’attivazione del Registro Anagrafico presso l’Associazione Nazionale della Pastorizia (AssoNaPa-ROMA-) è avvenuta nel marzo 200�; immediatamente successiva è stata la richiesta di iscrizione da parte degli allevatori opportunamente informati in occasione dell’incontro tecnico di presentazione della Capra Mochena promosso dalla Provincia Autonoma di Trento e tenutosi nello stesso mese (marzo 200�) presso l’Istituto Culturale Mocheno Cimbro di Palù del Fersina.Attualmente risultano registrati un centinaio di soggetti distribuiti in 1� stalle; il consolidamento della consistenza numerica è dunque una delle principali priorità.

Abstract

The official acknowledgement of the local endangered goat Pezzata Mòchena/Pletzet goes van der Bernstol was carried out recently, about an year ago, thanks to the province of Trento that acted studies on this local population promptly. The main breeding location is Fersina valley (also known as Mocheni valley) and near areas of Pinè and Pergine (Valsugana – Eastern Trentino). From a morphological point of view the Pezzata Mochena goat shows the typical external characters of Alpine type: small erect and in ahead ears, rectilinear front-nasal profile, horns nearly always present of the type to sabre and to behind, no color patterns but various shadings or combinations, fleece of variable length generally long-haired. The constitution turns out sturdy, adapted to a pastoral-rural breeding system.The National Herd Book managed by the National Sheep Association (AssoNaPa, Rome) was esta-blished in March 2005; the breeders have begun to record their animals immediately after thanks to the technical meeting of presentation of the Mochena Goat promoted from the Province of Trento in the same month (March 2005) to the Cultural Institute Mocheno Cimbro sites in Palù del Fersina.The actual amount of recorded animals is about an hundred distributed in 15 stables; the consolidation of the numerical consistency is therefore one of the main priorities.

Résumé

La reconnaissance officielle de la chèvre Pezzata Mòchena/ Pletze goes van der Bernstol en tant que race autochtone à risque d’extinction a été faite très récemment, il y a à peu près une année, grâce à la volonté de la Province Autonome de Trento qui s’est mobilisée en faveur de l’étude et de l’identification de cette espèce.

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Sa présence se situe principalement dans la Vallée du Fersina ( connue aussi sous le nom de Vallée dei Mocheni) mais aussi dans les régions limitrophes du Pinetano et du Perginese (Haute Valsugana – Trentino oriental). En ce qui concerne les caractères morphologiques la chèvre Pez-zata Mochena présente les traits typiques de la souche alpine : des oreilles droites, portées en avant, un profil rectiligne, des cornes quasiment toujours présentes, du type sabre et portées en arrière, une robe ayant différents types de tacheture et de dilution parfois combinés entre eux d’une façon variée, la longueur du poil est variable mais il y a une prépondérance de sujets à long poil. La constitution de cette espèce est solide et s’adapte facilement à un système d’élevage de type berger- rural. L’activation du registre de l’état civil auprès de l’Association Nationale de l’élevage (AssoNapa- Rome) a eu lieu au mois de mars 2005, par la suite il y a eu la demande d’inscription de la part des éleveurs qui ont été informés lors de la rencontre technique de présentation de la chèvre Mochena qui s’est déroulée au cours du même mois (mars 2005) auprès de l’Institut Culturel Mocheno Cimbro de Palù del Fersina et qui a été promue par la Province Autonome de Trento.Actuellement il y a une centaine de sujets enregistrés, distribués en 15 étables ; la consolidation de l’importance numérique demeure donc une des priorités principales.

Introduzione

Popolazione originaria della Valle del Fersina/Bersntol (conosciuta anche co-me Valle dei Mòchéni), la Pezzata Mòchena è solo all’inizio del suo cammino di recupero e valorizzazione. I primi studi per l’identificazione di questa razza risalgono infatti all’anno 2000 mentre il suo riconoscimento ufficiale è avvenuto nel 200�.In Tabella 1 sono riportate le azioni svolte in suo favore in questi anni e le relati-ve consistenze numeriche.

Tabella 1 - Interventi di studio e salvaguardia in favore della razza caprina Pezzata Mòchena e relative consistenze numeriche

ANNO INIZIATIVA N. CAPI

2000Intervento di individuazione, studio e recupero di popolazioni ovine e caprine in pericolo di estinzione

200� Censimento sistematico effettuato sul campo 100*

2004Riconoscimento ufficiale della razza a livello comunitario tramite la pubblicazione dello standard ufficiale di razzaAttivazione del Registro Anagrafico della capra Pezzata Mòchena a livello nazionale presso l’AssoNaPa (ROMA)Inserimento della Pezzata Mòchena tra le specie zootecniche minacciate di estinzione della Provincia Autonoma di Trento (sottomisura 6.4 del PSR, azione 6.4.6)Prima campagna di Valutazione Morfologica

200�Incontro tecnico di presentazione della Capra Mochena tenutosi presso l’Istituto Culturale Mòcheno

72

Campagna di Valutazione Morfologica2006 Campagna di Valutazione Morfologica 96

*Dato stimato su base previsionale

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Materiale e metodi

Gli interventi volti alla valorizzazione e al recupero del patrimonio genetico loca-le, coordinati dall’Ufficio provinciale di Tutela delle produzioni agricole della Pro-vincia Autonoma di Trento, hanno permesso di identificare la Pezzata Mòchena come razza caprina locale in via di estinzione e attivare prontamente le azioni necessarie per la sua tutela.Ad una prima fase di studio è seguito un passo “obbligato” e fondamentale: la stesura dello standard di razza ovvero dell’insieme dei caratteri morfologici e funzionali di maggior interesse tipici della razza. Esso la inquadra più precisa-mente all’interno del ceppo caprino alpino a cui appartiene rendendo ufficiale il suo riconoscimento a livello comunitario. Costituisce inoltre uno strumento di fondamentale importanza per l’attività valutatrice al fine dell’iscrizione al Regi-stro Anagrafico dei soggetti reputati “in standard”. In Tabella 2 se ne fornisce una sintesi.

Tabella 2 - Sintesi dello standard di razza della capra Pezzata Mòchena

Taglia Elevata (altezza media al garrese 76 cm)

Mantello

Pigmentazione tipicamente eumelanica. Il mantello può presentare vari tipi di pezzatura e di diluizione anche variamente combinati tra loro; anche le mucose e gli unghielli possono risultare con diversa estensione depigmentati. Presenza, nella gran parte dei soggetti, di pezzature irregolari anche molto estese. Sono abbastanza frequenti la “frisatura” (Swiss markings nella letteratura internazionale) e le roanature (più o meno estese). La lunghezza del pelo è variabile con la prevalenza di soggetti a pelo lungo.

Testa

Di media lunghezza, con profilo fronto-nasale rettilineo. Le orecchie sono portate erette con sviluppo normale del padiglione auricolare. Le corna, quasi sempre presenti, sono del tipo a sciabola portate all’indietro e leggermente divaricate.

Collo Robusto, ben unito alla spalla e al garrese.

Tronco

Le spalle sono larghe, ben legate al torace, la lunghezza del dorso non è molto sviluppata in relazione alla mole, la regione dorsale non presenta apprezzabile inclinazione. Il bacino è lungo e largo, il torace profondo e largo.

A p p a r a t o mammario

Sviluppato, largo alla base, capezzoli di tipo caprino.

Arti Forti e robusti, con diametro dello stinco tendenzialmente elevato.

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Figura 1 - Soggetto aderente allo standard della razza Pezzata Mòchena

Il Registro Anagrafico (R.A.), come riporta il “Disciplinare del Registro anagrafi-co delle popolazioni ovine e caprine autoctone a limitata diffusione” approvato con D.M. 28 marzo 1997, “rappresenta lo strumento per la conservazione e la salvaguardia delle popolazioni ovine e caprine ammesse e ne promuove la valorizzazione economica”.Esso è, quindi, soprattutto un importante strumento di tutela, istituito per fini conservativi e non di selezione, al quale sono iscritti gli animali riproduttori di una determinata razza con l’indicazione dei loro ascendenti (quando noti). Nel caso specifico della capra Pezzata Mòchena il R.A., attivato nel 2004 presso Associazione Nazionale della Pastorizia (AssoNaPa, ROMA), è tenuto dalla Fe-derazione Provinciale Allevatori di Trento e l’iscrizione dei soggetti è un requi-sito fondamentale per l’accesso al premio previsto dalle misure agroambientali del Piano di Sviluppo Rurale.Grazie alla continuità dei cicli di visite nelle stalle condotti annualmente in occa-sione delle Valutazioni Morfologiche, la situazione è costantemente monitorata e risulta dunque delineata in modo piuttosto preciso.

Risultati e discussione

Attualmente le stalle regolarmente registrate presso la Federazione Provinciale Allevatori di Trento sono 17, tutte situate nel limitato territorio della Valle del Fer-sina, del vicino Pinetano e Perginese (Alta Valsugana) e della Bassa Valsugana. In Figura 2 un maggiore dettaglio della loro dislocazione territoriale.

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Figura 1 - Soggetto aderente allo standard della razza Pezzata Mòchena

Il Registro Anagrafico (R.A.), come riporta il “Disciplinare del Registro anagrafico delle popolazioni ovine e caprine autoctone a limitata diffusione” approvato con D.M. 28 marzo 1997, “rappresenta lo strumento per la conservazione e la salvaguardia delle popolazioni ovine e caprine ammesse e ne promuove la valorizzazione economica”.

Esso è, quindi, soprattutto un importante strumento di tutela, istituito per fini conservativi e non di selezione, al quale sono iscritti gli animali riproduttori di una determinata razza con l'indicazione dei loro ascendenti (quando noti). Nel caso specifico della capra Pezzata Mòchena il R.A., attivato nel 2004 presso Associazione Nazionale della Pastorizia (AssoNaPa, ROMA), è tenuto dalla Federazione Provinciale Allevatori di Trento e l’iscrizione dei soggetti è un requisito fondamentale per l’accesso al premio previsto dalle misure agroambientali del Piano di Sviluppo Rurale.

Grazie alla continuità dei cicli di visite nelle stalle condotti annualmente in occasione delle Valutazioni Morfologiche, la situazione è costantemente monitorata e risulta dunque delineata in modo piuttosto preciso.

Risultati e discussione

Attualmente le stalle regolarmente registrate presso la Federazione Provinciale Allevatori di Trento sono 17, tutte situate nel limitato territorio della Valle del Fersina, del vicino Pinetano e Perginese (Alta Valsugana) e della Bassa Valsugana. In Figura 2 un maggiore dettaglio della loro dislocazione territoriale.

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Figura 2 - Area di diffusione degli allevamenti di capra Pezzata Mòchena in Trentino

La popolazione risulta essere in costante aumento: in questa fase iniziale è probabile che questa tendenza derivi più dal rinvenimento e dalla conseguente iscrizione di nuovi soggetti non ancora individuati che da un reale aumento della popolazione nelle realtà già censite.Gli allevamenti sono di dimensione contenuta: piccoli o medi, di tipo preva-lentemente semi-estensivo con sfruttamento delle risorse foraggere mediante pascolo aziendale; risulta poco diffusa la pratica dell’alpeggio.Dopo lo svezzamento dei capretti le capre vengono munte per un breve perio-do di tempo durante il quale viene prodotto il “formaggio mocheno” ottenuto nella maggior parte dei casi miscelando al latte di capra quello vaccino.E’ stato purtroppo riscontrato un forte meticciamento con la capra Passiria (o Passirier) diffusamente presente in Val Passiria, Alto Isarco, Sarentino, Senales e nell’area a Nord della Provincia di Bolzano, i cui soggetti sono venduti attra-verso le frequenti aste di Bolzano. Questo processo è facilmente rilevabile dal-l’incidenza di soggetti con testa corta e larga e profilo fronto-nasale concavo.

Conclusioni

I risultati ottenuti fino a questo punto, seppur buoni, non sono che i più “sempli-ci” ed immediati e non possono far ritenere conclusi gli interventi necessari per una reale salvaguardia di questa razza.

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Figura 2 - Area di diffusione degli allevamenti di capra Pezzata Mòchena in Trentino

La popolazione risulta essere in costante aumento: in questa fase iniziale è probabile che questa tendenza derivi più dal rinvenimento e dalla conseguente iscrizione di nuovi soggetti non ancora individuati che da un reale aumento della popolazione nelle realtà già censite.

Gli allevamenti sono di dimensione contenuta: piccoli o medi, di tipo prevalentemente semi-estensivo con sfruttamento delle risorse foraggere mediante pascolo aziendale; risulta poco diffusa la pratica dell’alpeggio.

Dopo lo svezzamento dei capretti le capre vengono munte per un breve periodo di tempo durante il quale viene prodotto il “formaggio mocheno” ottenuto nella maggior parte dei casi miscelando al latte di capra quello vaccino.

E’ stato purtroppo riscontrato un forte meticciamento con la capra Passiria (o Passirier) diffusamente presente in Val Passiria, Alto Isarco, Sarentino, Senales e nell’area a Nord della Provincia di Bolzano, i cui soggetti sono venduti attraverso le frequenti aste di Bolzano. Questo processo è facilmente rilevabile dall’incidenza di soggetti con testa corta e larga e profilo fronto-nasale concavo.

Conclusioni

I risultati ottenuti fino a questo punto, seppur buoni, non sono che i più “semplici” ed immediati e non possono far ritenere conclusi gli interventi necessari per una reale salvaguardia di questa razza.

La consistenza numerica è infatti talmente esigua da non permettere una adeguata valorizzazione delle produzioni o di altre valenze multifunzionali, inoltre l’interesse finora suscitato è più frequentemente indirizzato alla possibilità di ricevere il contributo previsto che alla razza stessa.

Nonostante ciò è possibile vedere delle buone prospettive nei giovani allevatori che, seppur presenti in numero ridotto rispetto ai colleghi in età più avanzata, sembrano essere particolarmente motivati ed attenti alle buone pratiche allevatoriali. Proprio loro potrebbero cogliere l’opportunità offerta dal Patto Territoriale della Valle dei Mocheni, recentemente avviato (delibera n. 656 del 19 marzo 2006) con l’intento di valorizzare le produzioni tipiche locali. A sostegno di questo percorso non devono mancare i momenti di incontro, informazione e confronto fino a questo momento sporadici.

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La consistenza numerica è infatti talmente esigua da non permettere una ade-guata valorizzazione delle produzioni o di altre valenze multifunzionali, inoltre l’interesse finora suscitato è più frequentemente indirizzato alla possibilità di ricevere il contributo previsto che alla razza stessa.Nonostante ciò è possibile vedere delle buone prospettive nei giovani allevatori che, seppur presenti in numero ridotto rispetto ai colleghi in età più avanzata, sembrano essere particolarmente motivati ed attenti alle buone pratiche alle-vatoriali. Proprio loro potrebbero cogliere l’opportunità offerta dal Patto Terri-toriale della Valle dei Mocheni, recentemente avviato (delibera n. 6�6 del 19 marzo 2006) con l’intento di valorizzare le produzioni tipiche locali. A sostegno di questo percorso non devono mancare i momenti di incontro, informazione e confronto fino a questo momento sporadici.

Ringraziamenti

Un sentito ringraziamento a tutti coloro hanno contribuito alla realizzazione del presente lavoro; in modo particolare agli allevatori e alla Federazione Provincia-le Allevatori di Trento.

Bibliografia

Brambilla L.A.,1997. Lo standard di razza: il caso della capra Bionda dell’Ada-mello. Atti della settima mostra regionale «Capre della razza Orobica o di Val Gerola». Introbio (Lecco), Novembre 1997.

Grisenti B., 2004. Ricostruzione storica, censimento e analisi del profilo visibile per l’individuazione di un tipo caprino nella valle dei Mocheni. Tesi di laurea A.A 200�/2004, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Agraria, Diparti-mento di Scienze Zootecniche.

Corti M., Pirola M. 2004. Norme tecniche della popolazione caprina “Capra Pezzata Mòchena”, Registro Anagrafico delle popolazioni ovine e caprine autoctone a limitata diffusione. www.assonapa.com.

Corti M., 2004. Situazione e registri delle razze caprine italiane. News letter di RARE, ottobre 2004.

Corti M., Brambilla L., 2006. Le razze caprine autoctone del Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia Giulia. www.asso-ciazionerare.it/razze.htm.

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LE VIE dELLA PASTORIZIA: uNA GuIdA PER LA VALORIZZAZIONE ZOOTECNICA, PAESAGGISTICA, CuLTuRALE

Ed ECONOMICA dEI TERRITORI ALPINI

Grassino E.1, Fortina R.2,3, Grandin L.4,Battaglini L.M.3

1 SinaPSi Scrl� R.a.R.E. associazione italiana Razze autoctone a Rischio di Estinzione,torino � DiPaRtimEnto SCiEnzE zootECniChE - Università degli Studi di torino� La nUoVa antiChi PaSSi

Riassunto

Il progetto, vincitore di Bando di Concorso indetto da Sinapsi Scrl di Torino, è stato realizzato con il sostegno del Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università degli Studi di Torino, di R.A.R.E (Asso-ciazione Razze Autoctone a Rischio Estinzione), di “La Nuova Antichi Passi” e dell’Ente “Parco Naturale dei Laghi di Avigliana”(TO).In una prima fase del lavoro, è stata effettuata una ricerca inerente le razze bovine, ovine e caprine autoctone minacciate di estinzione presenti in tre vallate alpine: Valle di Susa (TO), Valle Pellice (TO) e Valle Stura (CN). Tra queste si è scelto di studiare gli ovini di razza Frabosana e Sambucana ed i bovini di razza Vosgienne, dopodiché si è proceduto nella selezione di tre aziende che, effettuando la transu-manza dal fondovalle agli alpeggi attraverso tracciati e vie storiche, contribuiscono positivamente alla salvaguardia delle biodiversità nonché al mantenimento del paesaggio e della naturalità delle zone mon-tane. Percorsi tali tracciati e visitati i luoghi interessanti, si sono dunque raccolte una serie di informazioni che hanno consentito di definire le cosiddette “vie della pastorizia” e di redigere una mappa-guida descrittiva comprendente notizie sulle razze allevate nonché sulle caratteristiche delle aree attraversate durante gli spostamenti e di quelle di alpeggio estivo.È stata posta particolare attenzione alla sostenibilità ambientale dell’attività zootecnica, al tipo di gestio-ne, alle caratteristiche produttive degli animali e ai prodotti derivati. La mappa-guida, disponibile sui siti Internet www.antichipassi.com e www.associazionerare.it , può essere utilizzata sia in ambito zootecnico che turistico, ponendo attenzione anche agli eventuali siti di importanza storico-architettonica: a tal fine, i testi sono stati realizzati in modo da essere fruibili e comprensibili non solo dagli esperti del settore ma anche da persone interessate a vario titolo, in tal caso la sua redazione è da considerarsi una stesura-pilota per eventuali altre pubblicazioni tecnico-scientifiche a scopo didattico.

Abstract

“Sheep-breeding and transhumance: a guide for valorisation and safeguard of Piedmont autochthonous endangered breeds” is a project financed by “Sinapsi scrl”(Turin) and supported by “Scienze Zootec-niche” Department of Turin University, R.A.R.E (Association of autochthonous endangered breeds), “La Nuova Antichi Passi” and the Natural Park of Avigliana Lakes.The research concerns a study about autochthonous endangered breeds bred in Susa Valley (Province of Turin), Pellice Valley (Province of Turin) and Stura Valley (Province of Cuneo): Frabosana and Sambu-cana sheep and Vosgienne cattle. After the selection of the breeds, it has been looked for three farmers that use to adopt the transhumance system from the valley to the summer mountain pastures, passing through interesting places by the historical, cultural and naturalistic point of view.During the research, these places have been visited and all the information collected has been included in a guide with a map of the flocks and herds roads. This guide, suitable on the web sites www.antichi-passi.com and www.associazionerare.it is also enriched by some livestock information about breeds, breeding techniques and farm products.

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Quaderno SOZOOALP n° 4 - 2007

Introduzione

L’allevamento bovino, ovino, caprino e le problematiche ad esso connesse han-no un ruolo piuttosto importante nell’economia agricola regionale piemontese ed in particolare in quella delle valli alpine.Negli ultimi decenni, è stato privilegiato l’allevamento di razze cosmopolite al-tamente produttive a scapito delle razze autoctone meno competitive, ma mol-to ben adattate ad ambienti difficili come quelli montani: tuttavia, attualmente, molti allevatori si stanno indirizzando verso la salvaguardia di queste razze. Esse, infatti, oltre a costituire un importante patrimonio sotto l’aspetto cultura-le e della tradizione, hanno un ruolo fondamentale nella gestione del territo-rio, attraverso la capacità di sfruttare in modo ottimale anche risorse pascolive molto povere, che altrimenti rimarrebbero inutilizzate. L’abbandono delle aree un tempo pascolate, soprattutto nelle zone montane, è difatti una delle cause più evidenti del dissesto idrogeologico, dello sviluppo degli incendi boschivi e della semplificazione del paesaggio con la formazione di coperture boschive di bassa qualità. Per questi motivi l’allevamento delle razze locali deve essere incoraggiato, soprattutto laddove le più selezionate non trovino le condizioni ambientali e gestionali più confacenti per assicurare idonea produttività e buon adattamento nel contesto territoriale. È bene evidenziare, inoltre, che la possibilità di sfruttare convenientemente i pascoli d’alta quota, può giustificare una gestione dell’allevamento che pre-veda la transumanza nei mesi estivi, il che è fattore importante non solo da un punto di vista zootecnico ma anche culturale, in quanto può rappresentare un ulteriore contributo di valorizzazione di produzioni “tradizionali”, offrendo nel contempo, grazie alla presenza dell’attività d’allevamento, un’opportunità di controllo dell’ambiente montano.

Il progetto

Il progetto è stato redatto e realizzato ponendo come obiettivi prioritari la valo-rizzazione di razze autoctone ovine e bovine in via d’estinzione e la riscoperta e descrizione delle “vie della pastorizia”, attualmente in fase di abbandono a causa della più o meno recente introduzione di nuove tecniche di allevamento con impiego di razze cosmopolite. Lo studio è stato indirizzato dunque alla realizzazione di tre carte indicanti i tracciati di transumanza e corredate da documenti redatti con l’intento di con-sentire a un qualunque fruitore di acquisire nozioni relative aspetti zootecnici, naturalistici, storici, architettonici e culturali inerenti le aree interessate dall’in-dagine.La prima parte del lavoro si è dunque basata sulla documentazione esistente relativa ad alcune razze presenti in Piemonte e sulla loro localizzazione geo-grafica: in questa fase dell’indagine si è scelto, in prima istanza, di studiare la razza ovina Frabosana (Figura 1) presente in Valle Pellice (TO) e la razza ovina Sambucana (Figura 2) allevata in Valle Stura (CN).

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Figura 1 - Ovino di razza Frabosana (Valle Pellice-To)

Figura 2 - Gregge di razza Sambucana al pascolo nel vallone dell’Ischiator (Valle Stura-Cn)

Per quanto riguarda la Valle di Susa (TO), la ricerca della documentazione ine-rente gli ovini autoctoni ha consentito di evidenziare una situazione di modesta significatività di allevamenti dell’unica razza locale (la pecora Savoiarda) in via d’estinzione e allevata sporadicamente in piccoli nuclei. Tuttavia la necessità di inserire questi ambienti nel progetto, in quanto ricchi di testimonianze storiche e architettoniche di notevole interesse, nonché di coinvolgere il Parco Naturale dei Laghi di Avigliana, limitrofo e sostenitore dell’iniziativa, ha suggerito di ef-

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Il progetto

Il progetto è stato redatto e realizzato ponendo come obiettivi prioritari la valorizzazione di razze autoctone ovine e bovine in via d’estinzione e la riscoperta e descrizione delle “vie della pastorizia”, attualmente in fase di abbandono a causa della più o meno recente introduzione di nuove tecniche di allevamento con impiego di razze cosmopolite.

Lo studio è stato indirizzato dunque alla realizzazione di tre carte indicanti i tracciati di transumanza e corredate da documenti redatti con l’intento di consentire a un qualunque fruitore di acquisire nozioni relative aspetti zootecnici, naturalistici, storici, architettonici e culturali inerenti le aree interessate dall’indagine.

La prima parte del lavoro si è dunque basata sulla documentazione esistente relativa ad alcune razze presenti in Piemonte e sulla loro localizzazione geografica: in questa fase dell’indagine si è scelto, in prima istanza, di studiare la razza ovina Frabosana (Figura 1) presente in Valle Pellice (TO) e la razza ovina Sambucana (Figura 2) allevata in Valle Stura (CN).

Figura 1 - Ovino di razza Frabosana (Valle Pellice-To)

Figura 2 - Gregge di razza Sambucana al pascolo nel vallone dell’Ischiator (Valle Stura-Cn)

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Il progetto

Il progetto è stato redatto e realizzato ponendo come obiettivi prioritari la valorizzazione di razze autoctone ovine e bovine in via d’estinzione e la riscoperta e descrizione delle “vie della pastorizia”, attualmente in fase di abbandono a causa della più o meno recente introduzione di nuove tecniche di allevamento con impiego di razze cosmopolite.

Lo studio è stato indirizzato dunque alla realizzazione di tre carte indicanti i tracciati di transumanza e corredate da documenti redatti con l’intento di consentire a un qualunque fruitore di acquisire nozioni relative aspetti zootecnici, naturalistici, storici, architettonici e culturali inerenti le aree interessate dall’indagine.

La prima parte del lavoro si è dunque basata sulla documentazione esistente relativa ad alcune razze presenti in Piemonte e sulla loro localizzazione geografica: in questa fase dell’indagine si è scelto, in prima istanza, di studiare la razza ovina Frabosana (Figura 1) presente in Valle Pellice (TO) e la razza ovina Sambucana (Figura 2) allevata in Valle Stura (CN).

Figura 1 - Ovino di razza Frabosana (Valle Pellice-To)

Figura 2 - Gregge di razza Sambucana al pascolo nel vallone dell’Ischiator (Valle Stura-Cn)

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fettuare una ricerca su bovini che, anche se non necessariamente autoctoni, fossero idonei per questo tipo di allevamento transumante.Sulla base dell’indagine è stata individuata una azienda con bovini di razza Vosgienne (Figura �) che, pur non essendo autoctona della Valle di Susa, ha dimostrato una buona rusticità sia durante la lunga transumanza, sia in alpeg-gio. La scelta dell’allevamento è stata inoltre favorita dal fatto che la mandria segue ogni anno un tracciato assolutamente accessibile a qualunque turista e, in seconda analisi, unico dal punto di vista dei siti storico-architettonici ad esso limitrofi.

Figura 3 - Vacca di razza Vosgienne (Abbazia di Monte Benedetto, Valle di Susa-To)

Raccolte dunque le documentazioni circa le razze e studiate le aziende, po-nendo particolare attenzione alle metodologie di gestione degli allevamenti, si è proceduto andando a percorrere le tre vie di transumanza. In tale ambito lo studio ha affrontato non solo gli aspetti silvo-pastorali del tracciato, ma è stato indirizzato anche alla ricerca e alla documentazione relativa siti di no-tevole interesse dai punti di vista storico, architettonico e culturale, così da evidenziare l’importanza della transumanza per la valorizzazione del territorio e delle tradizioni locali.

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Per quanto riguarda la Valle di Susa (TO), la ricerca della documentazione inerente gli ovini autoctoni ha consentito di evidenziare una situazione di modesta significatività di allevamenti dell’unica razza locale (la pecora Savoiarda) in via d’estinzione e allevata sporadicamente in piccoli nuclei. Tuttavia la necessità di inserire questi ambienti nel progetto, in quanto ricchi di testimonianze storiche e architettoniche di notevole interesse, nonché di coinvolgere il Parco Naturale dei Laghi di Avigliana, limitrofo e sostenitore dell’iniziativa, ha suggerito di effettuare una ricerca su bovini che, anche se non necessariamente autoctoni, fossero idonei per questo tipo di allevamento transumante.

Sulla base dell’indagine è stata individuata una azienda con bovini di razza Vosgienne (Figura 3) che, pur non essendo autoctona della Valle di Susa, ha dimostrato una buona rusticità sia durante la lunga transumanza, sia in alpeggio. La scelta dell’allevamento è stata inoltre favorita dal fatto che la mandria segue ogni anno un tracciato assolutamente accessibile a qualunque turista e, in seconda analisi, unico dal punto di vista dei siti storico-architettonici ad esso limitrofi.

Figura 3 - Vacca di razza Vosgienne (Abbazia di Monte Benedetto, Valle di Susa-To)

Raccolte dunque le documentazioni circa le razze e studiate le aziende, ponendo particolare attenzione alle metodologie di gestione degli allevamenti, si è proceduto andando a percorrere le tre vie di transumanza. In tale ambito lo studio ha affrontato non solo gli aspetti silvo-pastorali del tracciato, ma è stato indirizzato anche alla ricerca e alla documentazione relativa siti di notevole interesse dai punti di vista storico, architettonico e culturale, così da evidenziare l’importanza della transumanza per la valorizzazione del territorio e delle tradizioni locali.

Per quanto concerne la Valle Stura (CN), linea di demarcazione tra le Alpi Marittime e le Alpi Cozie, è stata studiata la via percorsa dall’allevamento di ovini di razza Sambucana che, a partire dal Comune di Vinadio (CN) raggiunge i pascoli impervi del Vallone dell’Ischiator passando attraverso luoghi di interesse paesaggistico notevole, quali il Lago Inferiore dell’Ischiator il Lago di Mezzo, il Passo di Rostagno; nell’ambito dei numerosi sopralluoghi, è stato confermato che la razza Sambucana risulta dotata di notevole agilità e di costituzione robusta, ragione per cui si è da sempre adattata allo sfruttamento dei pascoli alpini di alta quota abbondantemente presenti in questa valle. (Battaglini et al., 1995; Bianchi et al., 1998). Nell’ambito della ricerca è stato inoltre rilevato che, in seguito a queste considerazioni e a recenti studi relativi le ottime caratteristiche organolettiche e chimico-bromatologiche della carne (Agnello Sambucano), in Valle Stura è stato istituito un consorzio per la valorizzazione di questa razza in via d’estinzione (3800 capi distribuiti in 75 allevamenti), così da incrementarne la consistenza numerica e, al contempo, promuovere la tradizionale attività della pastorizia locale.

Per quanto concerne gli aspetti storici e culturali del tracciato, la ricerca ha consentito di evidenziare luoghi di notevole interesse limitrofi la via della pastorizia, tra cui si ricordano il Santuario di Sant’Anna che, a 2035 metri di quota, è il più “alto “ Santuario d’Europa ed il Forte Albertino di Vinadio, una delle più grandi fortificazioni del Piemonte.

Per quanto concerne la Valle Pellice (TO), nelle Alpi Cozie settentrionali, il tracciato seguito dall’allevamento di ovini di razza Frabosana collega Borgata Gentogna (Comune di Bobbio Pellice) ai pascoli dell’Alpe Bancet, attraverso due tramuti intermedi presso il Vallone del Cruel e l’Alpe Giulian: ricco di punti panoramici di notevole interesse, il percorso è accessibile da qualunque fruitore in quanto percorribile per la maggior parte su strada sterrata.

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Per quanto concerne la Valle Stura (CN), linea di demarcazione tra le Alpi Ma-rittime e le Alpi Cozie, è stata studiata la via percorsa dall’allevamento di ovini di razza Sambucana che, a partire dal Comune di Vinadio (CN) raggiunge i pa-scoli impervi del Vallone dell’Ischiator passando attraverso luoghi di interesse paesaggistico notevole, quali il Lago Inferiore dell’Ischiator il Lago di Mezzo, il Passo di Rostagno; nell’ambito dei numerosi sopralluoghi, è stato confermato che la razza Sambucana risulta dotata di notevole agilità e di costituzione robu-sta, ragione per cui si è da sempre adattata allo sfruttamento dei pascoli alpini di alta quota abbondantemente presenti in questa valle. (Battaglini et al., 199�; Bianchi et al., 1998). Nell’ambito della ricerca è stato inoltre rilevato che, in se-guito a queste considerazioni e a recenti studi relativi le ottime caratteristiche organolettiche e chimico-bromatologiche della carne (Agnello Sambucano), in Valle Stura è stato istituito un consorzio per la valorizzazione di questa razza in via d’estinzione (�800 capi distribuiti in 7� allevamenti), così da incrementarne la consistenza numerica e, al contempo, promuovere la tradizionale attività del-la pastorizia locale.Per quanto concerne gli aspetti storici e culturali del tracciato, la ricerca ha con-sentito di evidenziare luoghi di notevole interesse limitrofi la via della pastorizia, tra cui si ricordano il Santuario di Sant’Anna che, a 20�� metri di quota, è il più “alto “ Santuario d’Europa ed il Forte Albertino di Vinadio, una delle più grandi fortificazioni del Piemonte.Per quanto concerne la Valle Pellice (TO), nelle Alpi Cozie settentrionali, il trac-ciato seguito dall’allevamento di ovini di razza Frabosana collega Borgata Gen-togna (Comune di Bobbio Pellice) ai pascoli dell’Alpe Bancet, attraverso due tramuti intermedi presso il Vallone del Cruel e l’Alpe Giulian: ricco di punti pa-noramici di notevole interesse, il percorso è accessibile da qualunque fruitore in quanto percorribile per la maggior parte su strada sterrata.

Figura 3 – Agnello di razza Frabosana presso l’Alpe Giulian (Valle Pellice-TO)

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

Figura 3 – Agnello di razza Frabosana presso l’Alpe Giulian (Valle Pellice-TO)

Nell’ambito dello studio sono stati evidenziati dati relativi la rusticità e il buon adattamento alle condizioni di alpeggio da parte degli ovini di razza Frabosana, il che ha confermato l’importanza di una tecnica di allevamento di tipo transumante con lo sfruttamento dei pascoli d’alta quota nel periodo estivo ed il pascolamento aziendale in quello invernale; le informazioni raccolte nell’ambito della ricerca, hanno inoltre evidenziato una buona attitudine sia alla produzione di carne (agnelli di 12-15 kg) che di latte, il quale, miscelato a quello vaccino, viene trasformato in Valle Pellice in “Seirass del Fen”.

Nell’ambito della documentazione relativa gli aspetti storici e tradizionali dell’area oggetto di studio, oltre all’analisi di aspetti della cultura valdese ed occitana, è stata evidenziato come l’attività agricola abbia sempre avuto un ruolo molto importante nell’economia della valle: a tal proposito sono state censite piccole realtà imprenditoriali interessanti dal punto di vista della salvaguardia delle biodiversità e della sostenibilità ambientale.

Lo studio ha infine interessato la Val Sangone (TO) e la Valle di Susa (TO), dove l’allevamento di razza bovina Vosgienne percorre un tracciato che, partendo dal Comune di Giaveno (TO), raggiunge i pascoli dell’Abbazia di Monte Benedetto presso il Comune di Villar Focchiardo (TO). Come già accennato precedentemente, la rusticità di questa razza consente all’allevatore di sfruttare i pascoli montani per un periodo di circa 7 mesi, utilizzando l’antica stalla dell’abbazia e trasformando il latte in “Toma del Lait Brusc”, tipico prodotto locale.

L’indagine, oltre a curare gli aspetti silvo-pastorali del tracciato, ha posto particolare attenzione agli interessanti siti limitrofi la via di transumanza. In prima analisi sono stati studiati gli aspetti naturalistici delle due aree protette interessate dal passaggio dei bovini: il Parco Naturale dei Laghi di Avigliana, uno dei più importanti siti dell’Italia occidentale per lo svernamento dell’avifauna ed il Parco Naturale Orsiera-Rocciavrè, nella cui area è ubicata l’Abbazia di Monte Benedetto.

In ultima analisi, lo studio ha posto particolare attenzione alla ricerca di testimonianze storiche e architettoniche presenti nei Comuni del tracciato di transumanza: Giaveno, Avigliana, Sant’Ambrogio di Susa, Chiusa di San Michele, Vaie, Sant’Antonino di Susa e Villar Focchiardo, acquisendo informazioni e visitando siti di notevole importanza, tra cui si annovera la Sacra di San Michele, riconosciuta come “monumento simbolo del Piemonte" (Legge Regionale Speciale n. 68 del 21/12/94).

Conclusioni

Le informazioni acquisite inerenti gli spostamenti delle greggi e delle mandrie e sulle vie storiche della transumanza hanno permesso di effettuare valutazioni circa la sostenibilità della gestione di questi allevamenti e la valorizzazione di aree a vocazione zootecnica.

Il lavoro, disponibile sui siti www.antichipassi.com e www.associazionerare.it, può essere un utile strumento di valorizzazione delle razze oggetto di studio in via d’estinzione, nonché un mezzo per far conoscere interessanti ambienti naturali alpini e testimonianze di culture e tradizioni poco note o prossime a scomparire.

In ultima analisi, si auspica che le nozioni zootecniche, naturalistiche, storiche e culturali divulgate attraverso la riscoperta delle antiche vie della transumanza degli animali da reddito appartenenti a razze

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Nell’ambito dello studio sono stati evidenziati dati relativi la rusticità e il buon adattamento alle condizioni di alpeggio da parte degli ovini di razza Frabo-sana, il che ha confermato l’importanza di una tecnica di allevamento di tipo transumante con lo sfruttamento dei pascoli d’alta quota nel periodo estivo ed il pascolamento aziendale in quello invernale; le informazioni raccolte nell’ambito della ricerca, hanno inoltre evidenziato una buona attitudine sia alla produzione di carne (agnelli di 12-1� kg) che di latte, il quale, miscelato a quello vaccino, viene trasformato in Valle Pellice in “Seirass del Fen”.Nell’ambito della documentazione relativa gli aspetti storici e tradizionali del-l’area oggetto di studio, oltre all’analisi di aspetti della cultura valdese ed occi-tana, è stata evidenziato come l’attività agricola abbia sempre avuto un ruolo molto importante nell’economia della valle: a tal proposito sono state censite piccole realtà imprenditoriali interessanti dal punto di vista della salvaguardia delle biodiversità e della sostenibilità ambientale.Lo studio ha infine interessato la Val Sangone (TO) e la Valle di Susa (TO), dove l’allevamento di razza bovina Vosgienne percorre un tracciato che, partendo dal Comune di Giaveno (TO), raggiunge i pascoli dell’Abbazia di Monte Benedetto presso il Comune di Villar Focchiardo (TO). Come già accennato precedente-mente, la rusticità di questa razza consente all’allevatore di sfruttare i pascoli montani per un periodo di circa 7 mesi, utilizzando l’antica stalla dell’abbazia e trasformando il latte in “Toma del Lait Brusc”, tipico prodotto locale. L’indagine, oltre a curare gli aspetti silvo-pastorali del tracciato, ha posto par-ticolare attenzione agli interessanti siti limitrofi la via di transumanza. In prima analisi sono stati studiati gli aspetti naturalistici delle due aree protette interes-sate dal passaggio dei bovini: il Parco Naturale dei Laghi di Avigliana, uno dei più importanti siti dell’Italia occidentale per lo svernamento dell’avifauna ed il Parco Naturale Orsiera-Rocciavrè, nella cui area è ubicata l’Abbazia di Monte Benedetto.In ultima analisi, lo studio ha posto particolare attenzione alla ricerca di testi-monianze storiche e architettoniche presenti nei Comuni del tracciato di tran-sumanza: Giaveno, Avigliana, Sant’Ambrogio di Susa, Chiusa di San Michele, Vaie, Sant’Antonino di Susa e Villar Focchiardo, acquisendo informazioni e vi-sitando siti di notevole importanza, tra cui si annovera la Sacra di San Michele, riconosciuta come “monumento simbolo del Piemonte” (Legge Regionale Spe-ciale n. 68 del 21/12/94).

Conclusioni

Le informazioni acquisite inerenti gli spostamenti delle greggi e delle mandrie e sulle vie storiche della transumanza hanno permesso di effettuare valutazioni circa la sostenibilità della gestione di questi allevamenti e la valorizzazione di aree a vocazione zootecnica.Il lavoro, disponibile sui siti www.antichipassi.com e www.associazionerare.it, può essere un utile strumento di valorizzazione delle razze oggetto di studio

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in via d’estinzione, nonché un mezzo per far conoscere interessanti ambienti naturali alpini e testimonianze di culture e tradizioni poco note o prossime a scomparire.In ultima analisi, si auspica che le nozioni zootecniche, naturalistiche, storiche e culturali divulgate attraverso la riscoperta delle antiche vie della transumanza degli animali da reddito appartenenti a razze autoctone in via d’estinzione, pos-sa dare origine ad nuovo e originale tipo di fruizione turistica eco-sostenibile e sensibile alla salvaguardia delle biodiversità.

Ringraziamenti

Si ringrazia per la gentile collaborazione nella realizzazione delle carte del-la pastorizia: Prof. Gabriele Garnero (Dipartimento di Economia e Ingegneria Agraria, Forestale ed Ambientale – Sez. Topografia e Costruzioni Rurali - della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Torino) e Dott. Danilo Godo-ne (Dipartimento di Economia e Ingegneria Agraria, Forestale ed Ambientale – Sez. Topografia e Costruzioni Rurali- della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Torino).Si ringrazia inoltre per la disponibilità Franco e Daniela Durand Canton, Ser-gio Giordanetto, Gloria Degioanni, Luciano Giovale, Giuseppe Favro, Comunità Montana Valle Stura, Ing. Bruno Aimone e i collaboratori del Parco Naturale dei Laghi di Avigliana (TO), Dott.ssa Elena Taverna.

Bibliografia

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AAVV. , 1990. La Sacra di San Michele. Edizioni SEAT.Baggio P., Giardino M., Percalli L. , 200�. Val Sangone: climi e forme del pae-

saggio.Barbero, Debernardi, Della Beffa, Pognante, Tirone, 1990. Il Parco Naturale Or-

siera Rocciavrè. Kosmos Editori.Bittante G., Andrighetto I., Ramanzin M. , 200�. Fondamenti di zootecnica. Li-

viana Editrice.Boggia G., Romeo P. , 2002. La Valle Stura di Demonte. L’Arciere Editore.Cedrino M., 200�. Sistemi produttivi, rintracciabilità e salubrità delle produzioni

lattiero-casearie ovine nelle valli Pellice, Gesso, Vermegnana, Pesio e Mon-regalesi. Tesi di Laurea. Corso di Laurea in Scienze Forestali ed Ambientali, Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Torino.

Corino P.G. , 1997. Valle Stura fortificata. Edizioni Melli - Borgone (TO)Debernardi P., Odasso M., Patriarca E., Rota A. , 199�. Guida Naturalistica al

Parco Orsiera-Rocciavrè. Piero Melli EditoreFortina R., Battaglini L. M., Mimosi A., Bianchi M. , 1998. La pecora Frabosa-

na: caratteristiche produttive ed iniziative per il recupero della razza Atti 4°

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Conv. Biodiversità germoplasma locale e sua valorizzazione, Alghero 8-11 settembre.

Fortina R., Bianchi M., Battaglini L. M., Mimosi A. , 1998 Sistema di allevamen-to e valorizzazione della razza ovina Sambucana. Atti 4° Conv. Biodiversità germoplasma locale e sua valorizzazione, Alghero 8-11 settembre.

Grassino E. , 200�. Caratteristiche qualitative del latte della razza bovina Barà allevata in Val di Susa. Tesi di laurea. Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Torino.

Monitoring Institute for Rare Breeds and Seeds in Europe , 2002. Risorse gene-tiche agrarie in Italia – Rischio di estinzione – Iniziative per la conservazione – Necessità di intervento. SAVE Monitoring Institute. San Gallo, CH.

Pelazza C. , 2004. L’allevamento della razza ovina Sambucana in Valle Stura di Demonte: storia, realtà e prospettive. Tesi di Laurea. Facoltà Agraria, To-rino.

Regione Piemonte , 2002. Andamento climatico in Alta Valsusa negli anni 1990-1999. Direzione dei servizi tecnici di prevenzione, settore meteo idrografico e reti monitoraggio

Tabasso R. , 2000. Storia Naturale dei Laghi di Avigliana. Edizioni MelliTourn G. , 1999 . I valdesi. La singolare vicenda di un popolo chiesa. Edizioni

Claudiana.

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L’ ALLEVAMENTO OVICAPRINO TRA LA SALVAGuARdIA dELLA BIOdIVERSITà E LA CONFLITTuALITà CON I GRANdI PREdATORI

Zaccheo A.

Biodiversity officer WWF European alpine Programme

In questo breve riassunto cercherò d’esaminare scientificamente alcuni aspetti legati alla regione in cui vivo e all’ Area Prioritaria di Conservazione, “Sottocene-ri ed Alto Lario”, da noi denominata con la sigla “area H1”, in relazione a quelli che sono stati i cambiamenti territoriali e la sua sostenibilità dal profilo agricolo e zootecnico. Metterò quindi a confronto questi dati con la relativa pressione esercitata da parte dei grandi predatori alle attività agricole e zootecniche, cer-cando, dal profilo di un naturalista e di dare una prospettiva serena ed equili-brata alle problematiche esistenti e alla loro relativa rilevanza.

Alcuni dati sull’ area H1

L’ area H1 è situata nell’area Insubrica, a circa 70 km a Nord di Milano, su di una superficie di 410 km2. La sua altitudine spazia da �0� a 2110 metri sopra il livello del mare, con una media di 800 metri sopra il livello del mare. L’ area è contraddistinta da grandi laghi, da aree boschive e da pascoli alti. La densità di popolazione è abba-stanza elevata con una media di 29� abitanti per km2, ed una densità di costruzioni, prevalentemente nel fondo valle, che occupano �1 km2. La rete stradale in questa piccola area è 192 km lineari, il che corrisponde a 0,�6 km di strada per km2.

Evoluzione agricola e zootecnica del Cantone Ticino (Svizzera)

I primi due grafici mostrano l’evoluzione del patrimonio bovino e del numero di detentori di bovini nel Cantone Ticino 1866 al 199� e dal 1996 al 200�.

detentori e Bovini (1996-2005)

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

L’ allevamento ovicaprino tra la salvaguardia della biodiversità e la conflittualità con i grandi predatori

Aleardo Zaccheo

Biodiversity Officer WWF European Alpine Programme

In questo breve riassunto cercherò d’esaminare scientificamente alcuni aspetti legati alla regione in cui vivo e all’ Area Prioritaria di Conservazione, “Sottoceneri ed Alto Lario”, da noi denominata con la sigla “area H1”, in relazione a quelli che sono stati i cambiamenti territoriali e la sua sostenibilità dal profilo agricolo e zootecnico. Metterò quindi a confronto questi dati con la relativa pressione esercitata da parte dei grandi predatori alle attività agricole e zootecniche, cercando, dal profilo di un naturalista e di dare una prospettiva serena ed equilibrata alle problematiche esistenti e alla loro relativa rilevanza.

Alcuni dati sull’ area H1

L’ area H1 è situata nell’area Insubrica, a circa 70 km a Nord di Milano, su di una superficie di 410 km2. La sua altitudine spazia da 305 a 2110 metri sopra il livello del mare, con una media di 800 metri sopra il livello del mare. L’ area è contraddistinta da grandi laghi, da aree boschive e da pascoli alti. La densità di popolazione è abbastanza elevata con una media di 293 abitanti per km2, ed una densità di costruzioni, prevalentemente nel fondo valle, che occupano 51 km2. La rete stradale in questa piccola area è 192 km lineari, il che corrisponde a 0,36 km di strada per km2.

Evoluzione agricola e zootecnica del Cantone Ticino (Svizzera)

I primi due grafici mostrano l’evoluzione del patrimonio bovino e del numero di detentori di bovini nel Cantone Ticino 1866 al 1993 e dal 1996 al 2005.

Detentori e Bovini (1996-2005)

Come si può ben notare dai grafici illustrati sopra, sia il numero di detentori di bovini che il numero di capi è in continua ed inarrestabile diminuzione e si è ridotto, nel periodo considerato, ad 1/4 del totale.

Il secondo gruppo di grafici mostrano l` evoluzione del patrimonio caprino e del numero di detentori di caprini nel Cantone Ticino dal 1866 al 1993 e dal 1996 al 2005.

Quaderno SOZOOALP n°4 – 2007

L’ allevamento ovicaprino tra la salvaguardia della biodiversità e la conflittualità con i grandi predatori

Aleardo Zaccheo

Biodiversity Officer WWF European Alpine Programme

In questo breve riassunto cercherò d’esaminare scientificamente alcuni aspetti legati alla regione in cui vivo e all’ Area Prioritaria di Conservazione, “Sottoceneri ed Alto Lario”, da noi denominata con la sigla “area H1”, in relazione a quelli che sono stati i cambiamenti territoriali e la sua sostenibilità dal profilo agricolo e zootecnico. Metterò quindi a confronto questi dati con la relativa pressione esercitata da parte dei grandi predatori alle attività agricole e zootecniche, cercando, dal profilo di un naturalista e di dare una prospettiva serena ed equilibrata alle problematiche esistenti e alla loro relativa rilevanza.

Alcuni dati sull’ area H1

L’ area H1 è situata nell’area Insubrica, a circa 70 km a Nord di Milano, su di una superficie di 410 km2. La sua altitudine spazia da 305 a 2110 metri sopra il livello del mare, con una media di 800 metri sopra il livello del mare. L’ area è contraddistinta da grandi laghi, da aree boschive e da pascoli alti. La densità di popolazione è abbastanza elevata con una media di 293 abitanti per km2, ed una densità di costruzioni, prevalentemente nel fondo valle, che occupano 51 km2. La rete stradale in questa piccola area è 192 km lineari, il che corrisponde a 0,36 km di strada per km2.

Evoluzione agricola e zootecnica del Cantone Ticino (Svizzera)

I primi due grafici mostrano l’evoluzione del patrimonio bovino e del numero di detentori di bovini nel Cantone Ticino 1866 al 1993 e dal 1996 al 2005.

Detentori e Bovini (1996-2005)

Come si può ben notare dai grafici illustrati sopra, sia il numero di detentori di bovini che il numero di capi è in continua ed inarrestabile diminuzione e si è ridotto, nel periodo considerato, ad 1/4 del totale.

Il secondo gruppo di grafici mostrano l` evoluzione del patrimonio caprino e del numero di detentori di caprini nel Cantone Ticino dal 1866 al 1993 e dal 1996 al 2005.

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Come si può ben notare dai grafici illustrati sopra, sia il numero di detentori di bovini che il numero di capi è in continua ed inarrestabile diminuzione e si è ridotto, nel periodo considerato, ad 1/4 del totale.

Il secondo gruppo di grafici mostrano l` evoluzione del patrimonio caprino e del numero di detentori di caprini nel Cantone Ticino dal 1866 al 199� e dal 1996 al 200�.

detentori e Caprini 1996-2005

In questo caso, dopo una lunga flessione sia del numero di detentori che del numero di capi, assistiamo ad un leggero aumento dei capi, malgrado che il patrimonio zootecnico odierno sia circa 1/� di quello della fine 800, e circa 1/� rispetto a quello al termine della seconda guerra mondiale.

Il terzo gruppo di grafici mostrano l’evoluzione del patrimonio ovino e del nume-ro di detentori di ovini nel Cantone Ticino dal 1866 al 199� e dal 1996 al 200�.

detentori e Ovini 1996-2005

In questo caso, per contro, possiamo constatare che al seguito di un forte de-clino verso la fine 800 del numero di ovini, la loro popolazione è rimasta più o meno stabile fino al termine della seconda guerra mondiale, per poi progre-dire rapidamente con una punta tra gli 1970 e 1980, che superava i livelli del 1866, fino a ritornare, oggigiorno, ai livelli del 1876 ! Tra i motivi per cui il pa-trimonio ovino è aumentato in maniera così significativa, mentre la popolazione dei detentori di animali di reddito si è per contro ridotta di oltre il 90%, vanno sicuramente considerati anche gli effetti perversi dei sussidi statali, distribuiti

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Detentori e Caprini 1996-2005

In questo caso, dopo una lunga flessione sia del numero di detentori che del numero di capi, assistiamo ad un leggero aumento dei capi, malgrado che il patrimonio zootecnico odierno sia circa 1/5 di quello della fine 800, e circa 1/3 rispetto a quello al termine della seconda guerra mondiale.

Il terzo gruppo di grafici mostrano l’evoluzione del patrimonio ovino e del numero di detentori di ovini nel Cantone Ticino dal 1866 al 1993 e dal 1996 al 2005.

Detentori e Ovini 1996-2005

In questo caso, per contro, possiamo constatare che al seguito di un forte declino verso la fine 800 del numero di ovini, la loro popolazione è rimasta più o meno stabile fino al termine della seconda guerra mondiale, per poi progredire rapidamente con una punta tra gli 1970 e 1980, che superava i livelli del 1866, fino a ritornare, oggigiorno, ai livelli del 1876 ! Tra i motivi per cui il patrimonio ovino è aumentato in maniera così significativa, mentre la popolazione dei detentori di animali di reddito si è per contro ridotta di oltre il 90%, vanno sicuramente considerati anche gli effetti perversi dei sussidi statali, distribuiti indipendentemente da criteri qualitativi e zootecnici a tutte le aziende anche a carattere “amatoriale”.

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Detentori e Caprini 1996-2005

In questo caso, dopo una lunga flessione sia del numero di detentori che del numero di capi, assistiamo ad un leggero aumento dei capi, malgrado che il patrimonio zootecnico odierno sia circa 1/5 di quello della fine 800, e circa 1/3 rispetto a quello al termine della seconda guerra mondiale.

Il terzo gruppo di grafici mostrano l’evoluzione del patrimonio ovino e del numero di detentori di ovini nel Cantone Ticino dal 1866 al 1993 e dal 1996 al 2005.

Detentori e Ovini 1996-2005

In questo caso, per contro, possiamo constatare che al seguito di un forte declino verso la fine 800 del numero di ovini, la loro popolazione è rimasta più o meno stabile fino al termine della seconda guerra mondiale, per poi progredire rapidamente con una punta tra gli 1970 e 1980, che superava i livelli del 1866, fino a ritornare, oggigiorno, ai livelli del 1876 ! Tra i motivi per cui il patrimonio ovino è aumentato in maniera così significativa, mentre la popolazione dei detentori di animali di reddito si è per contro ridotta di oltre il 90%, vanno sicuramente considerati anche gli effetti perversi dei sussidi statali, distribuiti indipendentemente da criteri qualitativi e zootecnici a tutte le aziende anche a carattere “amatoriale”.

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Detentori e Caprini 1996-2005

In questo caso, dopo una lunga flessione sia del numero di detentori che del numero di capi, assistiamo ad un leggero aumento dei capi, malgrado che il patrimonio zootecnico odierno sia circa 1/5 di quello della fine 800, e circa 1/3 rispetto a quello al termine della seconda guerra mondiale.

Il terzo gruppo di grafici mostrano l’evoluzione del patrimonio ovino e del numero di detentori di ovini nel Cantone Ticino dal 1866 al 1993 e dal 1996 al 2005.

Detentori e Ovini 1996-2005

In questo caso, per contro, possiamo constatare che al seguito di un forte declino verso la fine 800 del numero di ovini, la loro popolazione è rimasta più o meno stabile fino al termine della seconda guerra mondiale, per poi progredire rapidamente con una punta tra gli 1970 e 1980, che superava i livelli del 1866, fino a ritornare, oggigiorno, ai livelli del 1876 ! Tra i motivi per cui il patrimonio ovino è aumentato in maniera così significativa, mentre la popolazione dei detentori di animali di reddito si è per contro ridotta di oltre il 90%, vanno sicuramente considerati anche gli effetti perversi dei sussidi statali, distribuiti indipendentemente da criteri qualitativi e zootecnici a tutte le aziende anche a carattere “amatoriale”.

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indipendentemente da criteri qualitativi e zootecnici a tutte le aziende anche a carattere “amatoriale”.

Il declino dell`agricoltura e della zootecnica del Cantone Ticino (Svizzera)

L’ abbandono graduale delle attività agricole a favore di altre attività del settore secondario e terziario è una tendenza generale, accentuata ora anche dagli effetti della globalizzazione. Tuttavia, nella nostra area di studio, esistono delle peculiarità che non possono essere ignorate: l’ urbanizzazione sfrenata, (Es. la perdita di oltre un metro quadrato di terra al secondo), la frammentazione del territorio di 1/�, (da 600 a 400 meff (km2) in meno di 70 anni, l’ aumento del traffico pesante del 210 % in soli 2� anni, e altri fattori scatenanti, hanno reso quest’ area la regione più intensamente sfruttata di tutto l’ arco alpino.

In questo contesto, la media Svizzera di superficie agricola utile rimane attorno del 26%, mentre in quest’ area, pregiata dal punto di vista speculativo, ne è rimasta solo il �% (14161 ha). Ne consegue inoltre che, dal punto di vista na-turalistico, constatata l’ assenza quasi totale di grandi predatori (orso assente da oltre un secolo, e solo un lupo e una lince di passaggio negli ultimi 10 anni), risulta poco comprensibile l’ ostilità nei confronti del lupo e dei grandi predatori che si osserva spesso in questa regione.

Allego per chiarezza, il grafico di kora, riguardante gli attacchi perpetrati, dal lupo e dalla lince, non solo in questa regione della Svizzera Italiana, ma in tutta Svizzera, senza ulteriori commenti.

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Il declino dell`agricoltura e della zootecnica del Cantone Ticino (Svizzera)

L’ abbandono graduale delle attività agricole a favore di altre attività del settore secondario e terziario è una tendenza generale, accentuata ora anche dagli effetti della globalizzazione. Tuttavia, nella nostra area di studio, esistono delle peculiarità che non possono essere ignorate: l’ urbanizzazione sfrenata, (Es. la perdita di oltre un metro quadrato di terra al secondo), la frammentazione del territorio di 1/3, (da 600 a 400 meff (km2) in meno di 70 anni, l’ aumento del traffico pesante del 210 % in soli 25 anni, e altri fattori scatenanti, hanno reso quest’ area la regione più intensamente sfruttata di tutto l’ arco alpino.

In questo contesto, la media Svizzera di superficie agricola utile rimane attorno del 26%, mentre in quest’ area, pregiata dal punto di vista speculativo, ne è rimasta solo il 5% (14161 ha). Ne consegue inoltre che, dal punto di vista naturalistico, constatata l’ assenza quasi totale di grandi predatori (orso assente da oltre un secolo, e solo un lupo e una lince di passaggio negli ultimi 10 anni), risulta poco comprensibile l’ ostilità nei confronti del lupo e dei grandi predatori che si osserva spesso in questa regione.

Allego per chiarezza, il grafico di kora, riguardante gli attacchi perpetrati, dal lupo e dalla lince, non solo in questa regione della Svizzera Italiana, ma in tutta Svizzera, senza ulteriori commenti.

Bibliografia

Meregalli, D., Varini, M. Biodiversity Vision, Ecoregional Conservation and Biodiversity Vision for the Alps. WWF-Italia, 2006. Ufficio Federale di statistica (UST), Ufficio federale dell’ ambiente (UFAM), Ambiente Svizzera, Statistica Tascabile 2006, 2006. Dipartimento del Territorio della Repubblica e Cantone Ticino, sito web: http://www.ti.ch/dt/ Progetti di ricerca coordinati per la conservazione e la gestione dei carnivori in Svizzera, sito we, http://www.kora.ch

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Bibliografia

Meregalli, D., Varini, M. Biodiversity Vision, Ecoregional Conservation and Bio-diversity Vision for the Alps. WWF-Italia, 2006.

Ufficio Federale di statistica (UST), Ufficio federale dell’ ambiente (UFAM), Am-biente Svizzera, Statistica

Tascabile 2006, 2006.Dipartimento del Territorio della Repubblica e Cantone Ticino, sito web: http://

www.ti.ch/dt/Progetti di ricerca coordinati per la conservazione e la gestione dei carnivori in

Svizzera, sito we, http://www.kora.ch

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SGuARdI SuL TERRITORIO ALPINO

Salsa A.

Presidente Club alpino italiano

Definire lo spazio alpino in termini di identità rigida, presidiata da stereotipi stra-tificatisi nella lunga durata della colonizzazione rurale, costituisce un pericolo-so handicap di cui soffre la stessa realtà delle Alpi. Il dilemma fra “terreno di gioco” (lo spazio ricreativo secondo la definizione dell’alpinista inglese Lesley Stephen) e “wilderness” (secondo talune concezioni dell’ambientalismo anglo-sassone più recente: Wilderness philosophy – trascendentalismo americano di Emerson, Leopold, Muir, Thoreau) è figlio di una stessa cultura di cui costituisce gli opposti risvolti. La crisi del paradigma agro-silvo-pastorale tradizionale costruito sui saperi della tradizione orale, ha aperto un vuoto di significato nella rappresenta-zione della montagna alpina. Da un lato le Alpi sono state re-inventate attra-verso l’alpinismo (espressione di turismo colto e scientificamente orientato), dall’altro le emergenze ambientali esplose nelle società industriali avanzate hanno proposto una re-interpretazione degli spazi montani in chiave “selvati-ca” (ri-naturalizzazione). La rappresentazione delle Alpi è quindi ancora oggi polarizzata sulla “dialettica degli opposti” fra “addomesticamento” e “inselva-tichimento”. Ma di quale “addomesticamento” si tratta? La presenza o l’assenza dell’uomo attraverso modelli di società organizzata (rurale e/o urbana) ha definito “cultu-ralmente” il paesaggio plasmandone le forme. Il rapporto tra città e campagna, tra “civiltà urbana” e “civiltà rurale” non è mai stato un rapporto oppositivo. La tesi di Redfield sul “continuum rurale-urbano” ha ragioni da vendere anche in riferimento a periodi storici non sospetti. La colonizzazione ed il dissodamento delle Alpi hanno avuto come attori sociali le popolazioni provenienti da aree geografiche extra-alpine che, sulle Alpi, hanno svolto il ruolo di coloni produttori di paesaggio costruito (insider/outsider). L’identità alpina – come tutte le identità – si è modellata, quindi, sulla strati-ficazione di pratiche e di comportamenti adattivi al territorio attraverso l’in-clusione/esclusione di significati e valori che, nell’insieme, hanno prodotto quei dispositivi materiali ed immateriali che chiamiamo “identità alpina”. Tali processi socioculturali rischiano oggi di trasformarsi in logori stereotipi de-clinati folcloristicamente. Di fronte a simili scenari i quali -purtroppo - non rendono un buon servizio alla montagna, non resta che ripensare radical-mente alla elaborazione di nuovi modelli di intervento supportati da una maggiore consapevolezza culturale. Il ruolo dei Club alpini, in tal senso, può contribuire a promuovere un’ulteriore re-invenzione in chiave post-moderna delle Alpi proprio nel contesto di rapporti “in divenire” fra spazi ricreativi, spazi identitari, spazi rurali. Tale ruolo potremmo definirlo, con uno stru-mento concettuale adeguato ai tempi nuovi delle società multi-etniche, di

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“mediazione culturale” fra città e montagna, tra abitatori tradizionali delle terre alte e nuovi abitatori (neo-rurali) che - spesso - sono stati frequentatori appassionati resi consapevoli dall’associazionismo alpinistico. L’avvicina-mento alla montagna è stata da sempre la “mission” del Club alpino italiano ma credo che oggi, di fronte alle sfide della complessità, l’Associazione debba ripensarsi per trovare un equilibrio fra ri-creazione, impegno sociale, coscienza ecologica equilibrata e nuove identità in trasformazione. Anche l’identità alpina, come tutte le identità sociali, è un’identità “creola”, metic-cia, frutto di antiche e nuove ibridazioni.

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L’ECOMuSEO dELLA PASTORIZIA “Na draio per vioure” - Un sentiero per vivere

Non è stato sicuramente un ca-so che l’Ecomuseo della Pastorizia abbia ospitato il convegno della Sozooalp. Anzi, probabilmente non si poteva trovare luogo migliore per “celebrare” con contributi vari e va-riegati, l’allevamento ovicaprino nelle Alpi, pratica universalmente ricono-sciuta come garante del presidio di un territorio montano e della sua di-gnitosa esistenza.

La Valle Stura di Demonte è territorio montano per eccellenza: ben radicato nella propria storia, tradizione, cultura, lingua, saper fare, custodisce un pa-trimonio che si configura come potenziale ricchezza per l’oggi e per il futuro. Una ricchezza che è destinata in primo luogo a chi ha il diritto di continuare a vivere (nell’accezione sociale ed economica del verbo) nei luoghi delle pro-prie radici. In questo contesto vallivo l’Ecomuseo della Pastorizia è visto come uno strumento nuovo, originale, di sperimentazione, che si è voluto adottare per concorrere ad un processo di presa di coscienza e di riappropriamento della dignità storica di un mestiere. Un mestiere che è anche memoria, cul-tura, tradizione, ma soprattutto è occasione di lavoro concreto, di contatto diretto con una terra che deve poter garantire ai propri abitanti sussistenza dignitosa.

Proprio dalla gente e dalle possibilità che la pastorizia poteva ad essa offrire è partito il cammino dell’Ecomuseo: un percorso che ha scavato negli anni e nel tempo, che ha portato a recuperare antiche tradizioni e vocazioni, che ha risco-perto la storica “routo” di Provenza quella percorsa fin dal XIV secolo dai pastori

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della Valle Stura con le greggi in cammino verso la Crau francese e, di ritorno, verso gli alpeggi delle nostre montagne.

Un tragitto durante il quale si sono ot-tenuti risultati importanti come quello con-creto del recupero della razza ovina sam-bucana che, autoctona della valle, a rischio d’estinzione negli anni 80 è ora presente in numero di circa �.000 capi sui pascoli della Valle Stura. L’Ecomuseo ha altresì raccolto

un lavoro ventennale di riscoperta della tradizione e vocazione pastorale di un territorio, dei suoi legami con la Crau francese che è divenuta propaggine e prolungamento di una valle che per conformazione naturale e per vocazione storica è definita corridoio, luogo di passaggio e di scambio.

L’Ecomuseo ha ospitato, ha cercato, ha creato reti di collegamento, ha ri-spolverato e ravvivato un substrato culturale divenuto poi autentico volano del-la ripresa economica relativamente all’allevamento ovino. La gente in valle ha riscoperto un qualcosa che le apparteneva, la pastorizia è divenuta motivo di orgoglio. L’Ecomuseo racconta que-sto processo di cui è stato coautore e, nel suo duplice lavoro culturale ed economico, offre al visitatore, al turi-sta, al curioso, alle scuole, ai ricerca-tori, agli studiosi uno spazio aperto per il confronto e la crescita. Soprat-tutto racconta di una sfida: quella di voler essere un ponte sul quale pos-sano camminare i giovani che di pa-storizia vogliono poter vivere.

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RAZZE OVINE E CAPRINE dELL’ARCO ALPINO

R.A.R.E. - SOZOOALP

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