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1 BASSI Marie – 21/09/1984 Affiliazione : Institut d’Etudes politiques de Paris (Sciences Po Paris) Direttrice di dottorato : Catherine Wihtol de Wenden L’interazione tra gli attori pubblici e privati nella governance locale dell’immigrazione in Sicilia Questo articolo analizza l’interazione tra gli attori del settore pubblico et quelli del settore privato nella governance locale del fenomeno migratorio in Sicilia. L’insieme delle attività e delle interazioni tra i principali attori locali impegnati nella problematica migratoria da forma alla presa in carico locale di un fenomeno sociale d’importanza pubblica. Quest’articolo si basa su un lavoro empirico in Sicilia nel quadro del dottorato. Le reti di famiglia e di amicizie che ho in Italia e soprattutto in Sicilia sono stati essenziali per penetrare veramente nelle realtà del terreno. Tra novembre 2010 e novembre 2011, ho realizzato 60 colloqui e 11 incontri esploratori (a Roma e in Sicilia). Sfrutto anche 7 colloqui realizzati per la tesi di ricerca di Master 2 nel 2007. La maggior parte delle persone interrogate risiedono a Palermo e nella provincia di Siracusa. L’effetto valanga ha funzionato. Alla fine di ogni incontro le persone interrogate mi indirizzavano verso altre persone che potevano corrispondere ai criteri da me ricercati. Gli incontri si sono tutti svolti sulla base del volontariato. La maggior parte è stata registrata col consenso delle persone interrogate. La maggior parte delle persone interrogate hanno manifestato un’interesse per il mio lavoro. Mi percepivano come una strana “bestia sociale” dal fatto di essere una ricercatrice in scienze sociali e nello stesso tempo la mia nazionalità e il fatto di essere parigina mi conferiva credibilità. Posso dire che sono riuscita a stabilire un clima di fiducia sicché i miei interlocutori hanno parlato liberamente. Quando mi accorgevo di qualche diffidenza sfruttavo il mio lato studente giovane francese di origine siciliana. Mi è risultato più difficile incontrare gli attori con un capitale di autorità simbolica (che sia sociale o politico). Questa indagine di terreno si appoggia dunque su un approccio qualitativo tramite colloqui approfonditi semi-strutturati. Infatti, si tratta di identificare gli operatori impegnati nel argomento, portando alla luce le loro pratiche, e cercando di capire il perché delle loro scelte. Il colloquio funziona dunque come metodo di analisi delle rappresentazioni che questi protagonisti hanno della loro situazione e delle loro azioni. Ecco perché l’incontro qualitativo semi-strutturato risulta adeguato all’approccio cognitivo della mia ricerca. Gli incontri sono stati interpretati e contestualizzati visto che non sono simplici “pezzi di prova” (…), “fornitori di dati quantificabili” (Beaud 1996). Ho compilato informazioni legate alle principali caratteristiche sociali, economiche, politiche e culturali delle persone incontrate (storia familiale, percorso scolastico, professionale, residenziale, schieramento politico e religioso

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BASSI Marie – 21/09/1984Affiliazione : Institut d’Etudes politiques de Paris (Sciences Po Paris)Direttrice di dottorato : Catherine Wihtol de Wenden

L’interazione tra gli attori pubblici e privati nella governance locale dell’immigrazione in Sicilia

Questo articolo analizza l’interazione tra gli attori del settore pubblico et quelli del settore privato nella governance locale del fenomeno migratorio in Sicilia. L’insieme delle attività e delle interazioni tra i principali attori locali impegnati nella problematica migratoria da forma alla presa in carico locale di un fenomeno sociale d’importanza pubblica.

Quest’articolo si basa su un lavoro empirico in Sicilia nel quadro del dottorato. Le reti di famiglia e di amicizie che ho in Italia e soprattutto in Sicilia sono stati essenziali per penetrare veramente nelle realtà del terreno. Tra novembre 2010 e novembre 2011, ho realizzato 60 colloqui e 11 incontri esploratori (a Roma e in Sicilia). Sfrutto anche 7 colloqui realizzati per la tesi di ricerca di Master 2 nel 2007. La maggior parte delle persone interrogate risiedono a Palermo e nella provincia di Siracusa. L’effetto valanga ha funzionato. Alla fine di ogni incontro le persone interrogate mi indirizzavano verso altre persone che potevano corrispondere ai criteri da me ricercati. Gli incontri si sono tutti svolti sulla base del volontariato. La maggior parte è stata registrata col consenso delle persone interrogate. La maggior parte delle persone interrogate hanno manifestato un’interesse per il mio lavoro. Mi percepivano come una strana “bestia sociale” dal fatto di essere una ricercatrice in scienze sociali e nello stesso tempo la mia nazionalità e il fatto di essere parigina mi conferiva credibilità. Posso dire che sono riuscita a stabilire un clima di fiducia sicché i miei interlocutori hanno parlato liberamente. Quando mi accorgevo di qualche diffidenza sfruttavo il mio lato studente giovane francese di origine siciliana. Mi è risultato più difficile incontrare gli attori con un capitale di autorità simbolica (che sia sociale o politico).

Questa indagine di terreno si appoggia dunque su un approccio qualitativo tramite colloqui approfonditi semi-strutturati. Infatti, si tratta di identificare gli operatori impegnati nel argomento, portando alla luce le loro pratiche, e cercando di capire il perché delle loro scelte. Il colloquio funziona dunque come metodo di analisi delle rappresentazioni che questi protagonisti hanno della loro situazione e delle loro azioni. Ecco perché l’incontro qualitativo semi-strutturato risulta adeguato all’approccio cognitivo della mia ricerca. Gli incontri sono stati interpretati e contestualizzati visto che non sono simplici “pezzi di prova” (…), “fornitori di dati quantificabili” (Beaud 1996). Ho compilato informazioni legate alle principali caratteristiche sociali, economiche, politiche e culturali delle persone incontrate (storia familiale, percorso scolastico, professionale, residenziale, schieramento politico e religioso

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etc…). Ho anche osservato e analizzato il contesto del incontro : scena dell’interazione, difficoltà incontratesi durante il primo incontro. Inoltre, appena risultava possibile, osservavo delle situazioni di interazione, staccate dal incontro (corsi d’italiano, consulenza legale…). Si tratta di una immersione nel terreno però senza arrivare all’osservazione partecipante di tipo etnografica.

Ho individuato sei gruppi di protagonisti locali impegnati nel argomento (questa categorizzazione sarà modificata in seguito) : il privato sociale (laico e confessionale), la sfera giuridica (avvocati e professori di diritto), i sindacati, la sfera pubblica (funzionari locali, membri della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, eletti/politici, operatori del sistema sanitario pubblico), i mediatori culturali, gli operatori dei centri per rifugiati e richiedenti di asilo. Ho anche interrogato degli immigrati senza capitale sociale, politico o militante particolare.

Tradizionalmente, l’analisi delle politiche pubbliche corrisponde allo studio dello Stato in azione: “una politica pubblica si presenta sotto la forma di un programma d’azione legato a una o parecchie autorità pubbliche o governative” (Thoenig 1985, p.6). Le politiche pubbliche sottolineano dunque il posto centrale dello Stato. Però nella maggior parte dei paesi europei, gli anni 1980 vedono l’evoluzione del azione dell’attore statale: lo Stato fa fare più di quanto fa lui stesso e agisce in interazione con attori non statali. Lo Stato interviene in modo indiretto delegando ad attori privati l’incarico di realizzare un programma di azione, anzi di definirlo. Eppure, non si tratta di mettere da parte l’attore statale (Evans, Skocpol, Rueschemeyer 1985) ma piuttosto di integrarlo a una rete orizzontale di attori privati tutti quanti pertinenti nella presa a carico delle questioni sociali e migratorie.

Dalla metà degli anni 80, l’Italia avvia un processo di sussidiarizzazione verticale e orizzontale del suo sistema sociale e della sua politica migratoria, due ambiti strettamente legati. Parecchi settori legati al Welfare sono “attraversati” dall’immigrazione: lavoro, affitto di casa, educazione, salute… Nei territori dove si stabiliscono, gli immigrati esprimono una domanda di servizi principalmente legati al Welfare locale:ricerca della casa, scolarizzazione dei figli, richieste di servizi sanitari… Per conseguenza l’immigrazione influisce crea nuovi bisogni e gli interventi verso gli immigrati risultano traversali.La sussidiarietà verticale è il processo tramite il quale il livello centrale delega delle competenze a altri livelli di governo (infranazionale e sopranazionale). La sussidiarità orizzontale è legata alla delega di responsabilità al settore privato. Pero’, la sussidiarizzazione delle politiche sociali e migratorie non è stata accompagnata di sussidi supplementari agli stakeholders ai quali lo Stato attribuisce la responsabilità di intervenire su alcune necessità (enti locali, famiglia, privato sociale). Si parla allora di “sussidiarità passiva” (Kazepov 2009).

Cosi, in Sicilia, una moltitudine di operatori provenienti da differenti ambienti sociali, politici, economici e culturali, principalmente dal privato sociale (operatori sociali, attori

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religiosi, mediatori culturali, sindacalisti, militanti contestatori, avvocati, associazioni…) hanno afferrato la questione migratoria. Alcuni sono riusciti a promuovere delle misure di integrazione benché la questione migratoria sia entrata tardivamente negli agenda politici locali. La classificazione di questi attori locali in “universi sociali” (nozione vicina a quella di “campo” di Bourdieu) nello stesso tempo autonomi (dal punto di vista della prassi, ambito di analisi e universo di senso comune, Hall 1993) e interdipendenti consente di analizzare le dinamiche interne (al interno di ogni universo) e esterni (interazioni tra gli universi) (Mathieu 2007; Bourdieu). A l’interno di questo quadro, il governo locale è solo un attore tra altri. Al di là del “policymaking” ufficiale delle amministrazioni locali, le pratiche formali e informali degli attori locali coinvolti nel tema migratorio sono essenziali (Penninx, Kraal, Martiniello, Vertovec 2004). Parecchi concetti permettono di capire queste interazioni di attori pubblici e privati: policy network, advocacy coalitions (Sabatier, Jenkins-Smith 1993).

Peraltro, parecchi studi hanno fatto presente che la politica migratoria dell’Italia si può capire solo attraverso una analisi multi-livello (Zincone, Bassi 2007). Le politiche di immigrazione restano un attributo fondamentale della sovranità dello Stato ma la loro progressiva comunitarizzazione ha trasformato l’UE in un livello imprescindibile. Inoltre, le politiche migratorie nazionali hanno dovuto a adattarsi alle esigenze degli altri stati membri, preoccupati dalla permeabilità delle frontiere Sud dell’Europa. La Sicilia si trova al centro delle preoccupazioni nazionali e europee per quanto riguarda la lotta contro l’immigrazione irregolare. Degli eventi locali molto mediatizzati (sbarchi marittimi) influenzano la costruzione degli agenda nazionali e europei e partecipano alla politicizzazione del tema migratorio e a l’ipersensibilizzazione a questo fenomeno. Peraltro, l’UE consente alle Regioni la possibilità di partecipare al policy-making e all’implementazione delle politiche europee, cosi rinforzando la loro legittimità di “terzo livello di governo”. Il livello europeo rappresenta di conseguenza un quadro di obbligo e di opportunità.

Il livello locale è stato per molto tempo trascurato dalla letteratura sulle migrazioni la quale si concentrava sullo Stato-Nazione, identificando dei modelli nazionali (assimilazionista, multiculturalisto, pluralista; Soysal 1994). Questi sono stati progressivamente criticati. Semplificavano i processi di integrazione al livello locale senza rispecchiare la realtà empirica (Favell 2001) e risultavano incapaci di spiegare la varietà delle politiche locali tra diverse regioni dello stesso paese (Zincone, Balwin-Edwards, 2002) e le pratiche convergenti tra città di paesi diversi. Poco a poco la dimensione locale delle politiche d’integrazione è entrata nel agenda della ricerca accademica (Campomori 2008; Caponio Borkert 2010, Garbaye 2005, Alexander 2004…), sia secondo una prospettiva bottom-up (Zincone 1998, Koff 2008) or top down (Fasano, Zucchini 1998 2001), (Koff 2008).

Le nuove relazioni tra i differenti livelli territoriali e le sfere pubbliche e private segnano una “de-monopolizzazione” delle misure sociali e delle politiche migratorie. Una moltitudine di stakeholders in interazione sono coinvolti nella programmazione e

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l’implementazione di queste politiche (enti locali, UE, settore privato lucrativo, settore associativo …). Questi campi illustrano dunque l’esistenza di meccanismi di governance (Le Galès 2007, 2006, Caponio 2006), cioè la moltiplicazione degli attori non statali impegnati nella produzione e l’implementazione delle politiche pubbliche, la permeabilità dei livelli di governo e l’erosione delle frontiere tra sfera pubblica e sfera privata. La distinzione tra governance e governo s’inserisce perfettamente nel contesto siciliano segnato dal posto centrale del privato sociale nella gestione delle problematiche sociali. Però a differenza della maggior parte delle ricerche sulla governance locale dell’immigrazione che esaminano essenzialmente quello che succede al livello del governo locale (Garbaye 2002 2005, Campomori 2008, Caponio 2006), l’approccio bottom-up di questo articolo fa luce sulla ristrutturazione dell’azione pubblica. Ecco perché si tratta di un quadro teorico dell’azione pubblica (nel senso di azione che ha una importanza pubblica) che prende in conto l’insieme degli operatori pertinenti di differenti livelli:formali e informali, pubblici e privati.

La Sicilia: un case-study privilegiato di analisi della governance locale dell’immigrazione

Terra di emigrazione per eccellenza, l’Italia accoglie i primi flussi migratori importanti negli anni 80, conseguenza della chiusura delle frontiere della maggior parte dei paesi europei dopo lo shock petrolifero del 1973. La Sicilia è rimasta molto a lungo une terra di passaggio. L’insediamento degli immigrati in Sicilia è recente (tranne per quanto riguarda la provincia di Trapani ). Dagli anni 1990, l’immigrazione in provenienza dai paesi del Est è in costante aumento: in 2010, i Rumeni rappresentano la prima nazionalità straniera in Sicilia. Fine 2010, c’erano 141.904 immigrati, cioè 2,81% della popolazione dell’isola, con una leggera preponderanza di femmine (4,5 milioni di stranieri in Italia, cioè 7,5% della popolazione, ISTAT). Però gli immigrati in situazione irregolare non vengono contabilizzati in questa cifra; e in Sicilia rappresenterebbero quasi 50% degli immigrati (Pirrone 2010) (contro su per giù 25% in Italia) (Corriere della Sera 10/08/2009).

La maggior parte delle ricerche sull’immigrazione al livello locale in Italia riguardano le regioni del nord o del centro (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna ….). Quelle che hanno preso la Sicilia come oggetto di ricerca si sono principalmente interessate agli sbarchi sulle coste o ai sistemi di detenzione che monopolizzano l’attenzione dei media e dei discorsi politici. Parecchi fattori spiegano la poca attenzione rivolta alla governance dell’immigrazione in Sicilia (il numero ridotto di immigrati, l’immagine di una terra di passaggio e la maggior presenza di immigrati al nord dell’Italia. Ciononostante, in questi ultimi anni, il numero di stranieri presenti nelle regioni meridionali ha conosciuto un tasso de crescita superiore a quello delle regioni settentrionali. Peraltro parecchi indicatori confermano che gli immigrati abbiano messo le radici nel tessuto sociale ed economico dell’isola (idea che stenta a entrare nelle menti come l’hanno fatto presente parecchi incontri): percentuale elevata di minori stranieri (21,3%), numerosi migranti di seconda generazione (13,2%), durata continua di lavoro elevata (Avola 2009).

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Peraltro, essendo l’una delle principali via d’ingresso dell’Europa, la Sicilia sperimenta le politiche che accolgono e rinchiudono gli stranieri. Una parte molto importante degli immigrati è molto vulnerabile, particolarmente i richiedenti asilo e i minori non accompagnati, categorie sulle quali gli enti locali sono competenti.

Inoltre, la situazione socio-economica della Sicilia, la famosa “questione meridionale” influisce sulle rappresentazioni reciproche tra autoctoni e stranieri e sulle modalità di inserimento sociale, economico e culturale. La Sicilia è povera paragonata alle regioni del nord, dipendente del settore pubblico, con una debole attività industriale, un forte tasso di disoccupazione e una importante economia sommersa. L’economia si appoggia in gran parte su una attività estiva (industria turistica, alberghiera …) e agricola. La frattura sociale è importante e la mobilità ascendente risulta molto limitata. Dal fatto dell’esistenza di un ceto autoctono molto precario, alcuni problemi riguardano tanto i locali quanto gli stranieri mentre al centro e al nord del paese, assumono un carattere etnico: carenza di abitazioni,scarsi risultati scolastici, difficoltà linguistiche, sbocchi professionali (alcuni mestieri che, altrove in Italia, vengono rifiutati dagli italiani, sono ancora esercitati dai siciliani: muratore, badante, bracciante). Tuttavia, l’indigente viene considerato come una vittima più che come un responsabile. Gli effetti della povertà sono in parte limitati dall’assistenza pubblica, però della parte più importante si fanno carichi le reti familiari, il volontariato, la chiesa e la mafia che partecipano alla regolazione, al controllo politico, sociale e economico del territorio. Come negli altri paesi del sud dell’Europa, gli immigrati lavorano principalmente nei settori poco qualificati: agricoltura, servizio alla persona, commercio, settore alberghiero, ristorazione e edilizia (Caritas 2010) dove il contratto di lavoro a norma di legge risulta raramente fatto, tanto par quanto riguarda gli autoctoni quanto gli immigrati. Si deve sottolineare anche un forte aumento del lavoro autonomo nel settore commerciale e une divisione etnica delle professioni. I Tunisini e i Rumeni lavorano principalmente nel agricoltura e l’edilizia, i Cinesi nel piccolo commercio e la ristorazione; i Cingalesi e le donne rumene come badante o Colf.

Negli anni 1990-2000, l’Italia avvia importanti riforme che instaurano una sussidiarizzazione verticale e orizzontale delle politiche migratorie e sociali. Ma lo Stato non ha stanziato le risorse supplementari ai protagonisti incaricati di nuove responsabilità, mettendoli, cosi facendo, in una situazione difficile. Proveremo dopo a capire perché la questione migratoria non fa parte del agenda regionale. Il settore sanità rappresenta una eccezione dato che la Sicilia si è molto impegnata per dare una risposta sanitaria a tutti gli immigrati, indipendentemente del loro statuto amministrativo. Ci interesseremo dopo ai servizi forniti dal livello locale, prendendo Palermo come case study. Concluderemo con la situazione dell’offerta sanitaria agli immigrati a Palermo.

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1.La sussidiarietà verticale e orizzontale

a) La sussidiarietà verticale : una governance multi-livello1

Il campo migratorio

Sin dalla prima legge sull’immigrazione nel 1986, gli enti locali hanno ricevuto delle competenze nel campo migratorio. Nel 1998, la legge Turco-Napolitano istituzionalizza il ruolo delle amministrazioni territoriali nel campo delle politiche di accoglienza e d’integrazione2. Le Regioni sono il protagonista centrale delle politiche per gli immigrati, cioè le misure che riguardano gli immigrati ammessi sul territorio: l’accesso ai servizi sociali, la formazione professionale, i piani di integrazione… Stabiliscono, in collaborazione coi Comuni e le Provincie, dei programmi pluriannuali che definiscono gli obiettivi degli interventi, le scadenze e le risorse necessarie. Le Regioni programmano e i Comuni implementano gli orientamenti definiti dalle Regioni. I Comuni hanno un ruolo essenziale rispetto alle politiche per i migranti, cioè le misure di prima accoglienza e di assistenza per gli immigrati il cui statuto risulta precario: i flussi “non programmati”: richiedenti asilo, minori non accompagnati, vittime di tratta, “irregolari”. Le politiche d’immigrazione, cioè le condizioni d’ingresso e di soggiorno nel territorio (norme relative al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno, al ricongiungimento familiare, ai controlli alle frontiere alle espulsioni) dipendono quasi esclusivamente del livello nazionale. I Comuni e le Regioni vengono consultate nella fase di definizione dei flussi d’ingresso e possono influenzare la politica di inserimento professionale (le convenzioni per i stagionali e il sistema dei “sponsors”). La restrittiva legge “Bossi-Fini” (189/2002) non modifica il quadro relativo alle politiche sociali per gli immigrati però taglia i finanziamenti.

Il campo sociale

La gestione nazionale delle politiche sociali che ha prevalso fino agli anni 1970 è stata progressivamente rimessa in discussione dalla maggior parte degli Stati europei3, che si sono trovati di fronte a importanti cambiamenti strutturali: scarsa crescita economica, aumento

1 Termine utilizzato per la prima volta nel 1992 da Gary Marks per analizzare le politiche strutturali dell’UE.2 Le differenza tra politiche di immigrazione, politiche per gli immigrati e politiche per i migranti si ispira dalla distinzione fatta da Hammar (1990) in seguito ripresa da Caponio (2006).3 Diversi autori s’interrogano sull’esistenza di un “modello mediterraneo” di Welfare (Castles 1995, Esping- Andersen 1990 1999, Ferrero 2005, Ferrera 1996, Mingione 1997). La maggior parte di questi autori riconosce delle caratteristiche comuniagli Stati mediterranei (Grecia, Spagna, Portogallo e Italia fanno generalmente parte di questa categoria): hanno sperimentato un periodo totalitario, l’industrializzazione è arrivata abbastanza tardi (tranne in alcune regioni italiane e spagnole), la Chiesa e la famiglia sono state (e sono ancora) degli attori strutturanti del sistema sociale, il mercato del lavoro è caratterizzato da una partecipazione femminile limitata (tranne in Portogallo) e da una opposizione tra insiders (attivi stabili e iper protetti) e outsiders (precari poco protetti, lavoro in nero). Le risorse vengono attribuite principalmente sotto forma monetaria. Le spese sociali sono limitate e essenzialmente orientate verso la protezione degli anziani e dei pensionati (specialmente in Italia e in Grecia).

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della disoccupazione, invecchiamento demografico, crescita dei flussi migratori, femminizzazione del mercato del lavoro...

Le riforme avviate si appoggiano sul decentramento (sussidiarietà verticale) e la privatizzazione (sussidiarietà orizzontale) delle politiche sociali. La riduzione del costo delle politiche grazie a l’impegno di associazioni no-profit), il miglioramento della loro efficienza (sono state introdotte delle regole di funzionamento vicine a quelle del mercato) hanno giustificato questi cambiamenti. L’Italia sceglie questa direzione lanciando, negli anni 1990, importanti riforme che hanno riconosciuto un ruolo centrale al livello locale nella programmazione e l’implementazione degli interventi sociali.

1970-2000 : decentramento e aumento delle disuguaglianze territoriali

Sin dalla Costituzione del 1948, l’Italia segue un processo di decentramento che culmina colla riforma costituzionale del 2001. Le Regioni vengono stabilite nel 1970; nel 1977 un decreto presidenziale (616) trasferisce competenze legislative e amministrative agli enti locali per quanto riguarda l’assistenza sociale… Le rivendicazioni a favore di una maggiore autonomia locale provengono da diversi fattori : il crollo della prima Repubblica (scandali e corruzione, scomparsa dei protagonisti politici), le pressioni secessioniste della Lega Nord e gli sforzi finanziari richiesti dall’UE (alleggerimento del debito).

Però il decentramento ha istituzionalizzato le disparità territoriali : da 1977 (decreto 616) a 2001, nessuna legge quadro sul decentramento viene votata. Durante quel periodo la maggior parte delle Regioni hanno promulgato le loro leggi creando una cittadinanza sociale segmentata territorialmente e esacerbando le differenze territoriali esistenti4. Peraltro, non nessuna risorsa finanziaria addizionali è stata stanziata. Per assumere le loro nuove responsabilità in un contesto di riduzione delle rissorse pubbliche disponibile, gli enti locali hanno esternalizzato i servizi presso il settore associativo che ha cosi rafforzato il suo ruolo.

Le speranze (deluse) della legge 328/2000

La “legge quadro nazionale per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”5 (legge 328/2000) è venuta colmare il vuoto legislativo. Vuole andare avanti col decentramento delle politiche sociali e allo stesso tempo garantire l’omogeneità dei servizi su tutto il territorio nazionale. Identifica gli attori responsabili degli interventi sociali attribuendo le competenze dal generale al particolare.

4 Le Regioni del Sud hanno impiegato più tempo per assumere la loro nuova funzione: la produzione legislativa comincia verso la metà degli anni 1980 mentre le Regioni settentrionali hanno cominciato a legiferare dalla metà degli anni 1970.5 Questa legge da spazio alle politiche di assistenza sociale, precedentemente sotto valutate rispetto alla protezione sociale legata al lavoro. L’assistenza sociale era principalmente gestita dalle organizzazioni religiose e dalle famiglie.

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Il coordinamento nazionale doveva ridurre le disparità territoriali dell’assistenza sociale: le Stato definisce gli orientamenti generali e definisce i “livelli essenziali di assistenza” (LIVEAS) che dovrebbero omogeneizzare i diritti della cittadinanza sociale su tutto il territorio. Partendo da questo, le Regioni legiferano e programmano gli interventi con i Comuni. Dopodiché i Comuni preparano dei “Piani di Zona” che vengono applicati su un territorio che riunisce diversi comuni: il distretto socio-sanitario. Questi Piani programmano gli interventi e i servizi socio-sanitari necessari al loro distretto. Vengono definiti dopo avere consultato gli attori istituzionali, il settore associativo e i sindacati.

Dal punto di vista sei finanziamenti, il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS), creato nel 1997, viene integrato al sistema definito dalla legge 328. Da questo momento in poi, tutte le risorse destinate a finanziare i servizi sociali fanno parte di un unico fondo gestito dal livello statale (le risorse del FNPS rappresentano una parte minima del totale della spesa centrale).

La riforma del 2001 : governance multi-livello e sussidiarietà passiva

La riforma del titolo V della Costituzione eleva la sussidiarietà al rango di principio costituzionale e aumenta le competenze regionali esclusive (art. 117)6. La sanità è il principale settore d’intervento delle Regioni. La conferenza Stato-Regione e la conferenza Stato-Città-autonomia locale sono destinate a favoreggiare la cooperazione interistituzionale tra lo Stato, le Regioni e i Comuni. L’autonomia finanziaria degli enti locali è una questione cruciale; se ne fa testimone il ripetersi del dibattito politico sul federalismo fiscale. Fino a 1990, le risorse delle collettività locali dipendevano quasi esclusivamente dei trasferimenti dello Stato. Però, con il decentramento delle competenze, nuove tasse locali hanno progressivamente completato i trasferimenti di Stato. L’innovazione maggiore è stata la creazione, nel 1992, dell’Imposta Comunale sugli Immobili (ICI).

Nel 2001, per la prima volta, viene riconosciuta l’autonomia finanziaria degli enti locali: le loro risorse dovevano provenire principalmente di tasse autonome. Ma il processo di federalizzazione fiscale non emerge, un paradosso quando si ascoltano i slogans della maggioranza di destra che, spinta dalla Lega, aveva fatto del federalismo fiscale il suo cavallo di battaglia. Nel 2008, la destra, tornata al potere, abolisce l’ICI sulla prima casa. Imprigionate tra delle responsabilità maggiori, le necessità di bilancio del Patto europeo di stabilità, le riduzioni delle entrate e i tagli nelle risorse trasferite dallo Stato via il FNPS, gli enti locali si sono indebitate (principalmente quelle del Mezzogiorno tra 2003 e 2007). Peraltro, il margine di autonomia finanziaria degli enti locali rispetto allo Stato è limitata: le Regioni, specialmente quelle del Sud sono molto dipendenti dei trasferimenti statali,

6 Dalla riforma del 2001, i conflitti di attribuzione tra i livelli istituzionali sono aumentati. Parecchie Regioni hanno contestato la legittimità del fondo per l’inclusione sociale degli immigrati creato nel 2007. La Corte costituzionale ha ammesso che lo Stato non poteva intervenire sul integrazione sociale degli immigrati (e dunque stanziare delle risorse a questo scopo specifico) perché questo intervento risulta essere di competenza regionale (decisione 50/2008).

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principalmente attraverso la quota annuale del FNPS. Inoltre, coll’abrogazione delle leggi di settore nel 2003, alcuni campi di intervento non sono più finanziati, come i servizi all’infanzia o le politiche d’integrazione per gli immigrati, precedentemente protette dai fondi specifici. Cosi, le Regioni possono utilizzare in un modo discrezionale le risorse trasferite dal livello statale.

Le riforme delle politiche sociali volevano ridurre le spese pubbliche senza diminuire il livello dei servizi, aumentare l’efficienza degli interventi e ridurre la frammentazione territoriale dell’aiuto sociale. Però il decentramento non è stato accompagnato di risorse supplementari, ciò che na aggravato le disuguaglianze territoriali esistenti, il deficit del Mezzogiorno7 e le carenze dei diritti della cittadinanza sociale. Inoltre, sebbene le Regioni e i Comuni abbiano acquisito delle competenze sociali, l’autonomia finanziaria rimane incompleta: la maggior parte dei contributi destinati a questo settore è gestita dalle Stato che stanzia pochi fondi per gli enti locali mentre il federalismo fiscale non è stato aggiornato, ciò che impedisce di compensare la mancanza di risorse con un aumento di entrate proprie.

b) La sussidiarietà orizzontale

La valorizzazione del privato sociale in Europa è in parte legata alla crisi del Welfare: di fronte alla riduzione delle risorse pubbliche e all’efficienza contestata degli interventi, si dovevano limitare le responsabilità dello Stato sociale. Si parla di “Welfare misto” (Ascoli, Ranci 2002) per evocare l’interdipendenza del privato e del pubblico. Il ruolo dello Stato viene ridefinito: interviene indirettamente sostenendo finanziariamente gli organismi privati e fissando gli orientamenti generali.

Il posto storicamente centrale del privato sociale

La debolezza delle politiche sociali, l’insufficienza di risorse stanziate alle collettività locali (sussidiarità passiva), spiegano, in parte, il ruolo cruciale del privato sociale in Italia8, come negli altri paese del sud dell’Europa. In effetti queste organizzazioni offrono principalmente dei servizi socio-sanitari che sostituiscono un intervento pubblico assente o deficitario. Si devono anche considerare gli stili amministrativi delle “subculture territoriali” (Trigilia 1986, Cartacci 1996, Bagnasco 1999) e le concezione di ciascuna del ruolo dell’attore pubblico nella regolazione politica. Lo stile amministrativo è il modo con il quale un governo locale affronta una problematica politica/pubblica. Spesso sono state messe a confronto le zone bianche molto cattoliche dominate dalla Democrazia Cristiana (DC) (Friuli-Venezia Giulia) alle zone rosse rosse comuniste (Toscana). Nonostante fossero economicamente vicine, il loro stile di governo era molto diverso. Le zone rosse erano caratterizzate da un

7 Le spese sociali dei Comuni del Mezzogiorno per ogni abitante sono da gran lunga inferiori a quelle del nord.8 Esiste una moltitudine di tipologie di organizzazioni del privato sociale: cooperative, fondazioni, associazioni, organizzazioni di volontariato di piccole dimensioni, grandi O.N.G. che hanno una lunga tradizione di aiuto ai poveri, organizzazioni recenti nate ad hoc…

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intervenzionismo e una centralità dell’azione pubblica mentre le zone bianche rigettavano il centralismo statale e si sono fortemente appoggiate alla rete cattolica, poi alle leghe per regolare la società. Il Mezzogiorno si appoggia maggiormente sugli organismi non statali piuttosto che sulla sfera pubblica (respublica). È tradizionalmente il settore religioso che detiene il monopolio quasi totale delle azioni sociali principalmente rivolto verso le categorie più deboli della società. Per molto tempo la rete associativa è stato lo strumento attraverso il quale le principali forze sociali e politiche hanno esercitato la loro azione e il loro controllo sulla società. La Chiesa esprimeva le sue posizioni sulla scena politica tramite la D.C. e le O.N.G. rappresentate sulla scena politica non avevano nessun ruolo autonomo. Oggi, le organizzazioni no-profit sono ancora molto dipendenti economicamente dal settore pubblico (Ranci 1999), nonostante esista una carenza di controllo sugli organismi in convenzione con il pubblico. Si potrebbe parlare di “path dependency” a proposito del posto che hanno rispettivamente il settore pubblico ed il settore privato nella regolazione della società.

L’istituzionalizzazione del partenariato pubblico/privato

Il ruolo del settore privato nel campo sociale e migratorio è stato istituzionalizzato nelle diverse fasi del processo politico (policymaking, programmazione, offerta di servizi...).

Il campo migratorio

La legge Turco-Napolitano, si riferisce esplicitamente al “terzo settore” incoraggiando la collaborazione tra le collettività locali, le associazioni d’immigrati e le organizzazioni che operano a favore degli immigrati (art. 36, 38, 40 e 42). Questi debbono collaborare per favorire l’istruzione degli stranieri, le misure d’integrazione (formazioni per gli operatori sociali, ricorso ai mediatori culturali…) e gestire i centri di permanenza.

La legge introduce anche un nuovo strumento di coordinazione locale tra i protagonisti pubblici e privati : i consigli territoriali per l’immigrazione (art.3). Coordonati dai Prefetti, debbono analizzare le esigenze del territorio e promuovere gli interventi necessari al livello locale. Si compongono di amministrazioni locali, di associazioni che operano a favore degli immigrati, di associazioni di immigrati, di sindacati e di datori di lavoro. Però sono poco rappresentativi dei contesti locali e non ci sono contributi stanziati per attuare le iniziative proposte. La loro efficienza risulta dunque limitata e dipendono da sponsor disposti a finanziare i loro progetti.

Il campo sociale

La legge 285/1997 ”Disposizione per la promozione dei diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” istituzionalizza il coordinamento tra settore pubblico e privato e promuove il coordinamento multilivello, anticipando lo spirito della legge 328. La legge condiziona l’attribuzione di finanziamenti all’organizzazione di progetti innovativi basati su dei paternariati pubblico/privato tra attori di differenti settori, (istruzione pubblica, servizi

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sociali, ASL…), a diversi livelli di governo (distretto, regione, comune…). Le legge riflette anche un problema essenziale che riguarda tutti gli interventi sociali in Italia: il finanziamento di progetti senza continuità. La maggior parte dei progetti si chiudono alla fine dei finanziamenti.

La legge 328 ha poi rinforzato e istituzionalizzato la parte del privato sociale nell’offerta dei servizi sociali e la programmazione degli interventi. Il settore associativo co-partecipa all’organizzazione dei Piani di zona (art.19)9. Questa articolazione tra diversi livelli e operatori fa si che questa legge sia considerata come un tentativo ambizioso di creare un modello di governance multilivello. Però la legge 328 conferisce un compito titanico ad alcune piccole collettività locali, in particolare quelle del Mezzogiorno, alle quale mancano risorse economiche e professionali. Inoltre, appoggiarsi su Piani di zona suppone una preparazione elevata nell’ambito della cooperazione istituzionale, ciò che a volte manca.

Infine, le risorse comunitarie hanno anche sostenuto il coinvolgimento del settore associativo tramite finanziamenti a progetti stabiliti dalle associazioni, sottoponendo l’attribuzione delle risorse alla realizzazione di partenariati pubblico/privato.

L’attore pubblico italiano ha dunque subito profonde mutazioni: unico centro di decisione, è stato sostituito da una molteplicità di centri decisionali e di attori istituzionali. Peraltro, le riforme hanno istituzionalizzato la funzione del settore privato. Questa disposizione corrisponde alla logica di esternalizzazione dei servizi: il volontariato è una forza di proposta e di elaborazione delle politiche. La “responsabilità” delle politiche sociali risulta ormai divisa orizzontalmente tra organizzazioni pubbliche e private e verticalmente tra il livello centrale e il livello locale.

2.L’inattività regionale e le difficoltà finanziarie degli enti locali

L’iscrizione della questione migratoria nell’agenda regionale viene fatta tramite un riferimento all’immigrazione nello statuto delle Regioni e/o tramite la promulgazione di una legge regionale a proposito dell’immigrazione. La Sicilia è l’unica Regione, colla Provincia Autonoma di Bolzano, a non avere promulgato leggi sull’immigrazione ne integrato nessun riferimento all’immigrazione nel suo statuto regionale (dodici regioni l’hanno fatto). Ci sono stati alcuni tentativi per iscrivere l’immigrazione nell’agenda regionale ma non ci sono stati risultati concreti : progetto di legge sull’immigrazione nel 2007; incontro tra l’Assessore regionale all’immigrazione e le associazioni a Palermo nel 2011 per, tra altri scopi, preparare

9 Spesso i governi locali non definiscono chiaramente quali servizi e quali interventi spettano alle organizzazioni pubbliche e al settore associativo. Alcuni autori parlano di “paternariato non programmato” (Ascoli, Pasquinelli 1993).

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una legge regionale che promuova l’integrazione e “lavorare alla composizione degli organismi di rappresentanza”10. Secondo la maggior parte dei miei interlocutori, l’immigrazione non fa parte dell’agenda regionale.

“Non è un argomento sul quale c’impegnamo molto. Per i politici, i bisogni delle popolazioni residenti sono più urgenti. Questi ultimi anni, l’aumento della disoccupazione (...) e l’aumento del numero delle famiglie in difficoltà sono considerati come più urgenti” (deputato PD dell’Assemblea Regionale Siciliana –ARS).S.R, funzionario dell’Assessorato Regionale alla famiglia, alle politiche Sociali e al

lavoro, formula un altro motivo per spiegare l’inattività della Sicilia : l’assenza di linea coerente a lungo termine e l’interpretazione sbagliata dell’immigrazione che consiste a considerarla come una emergenza temporanea :

“Non c’è un impegno della Regione (…). Lo considerano un caso di emergenza (…). E probabilmente una delle nostre particolarità e anche di alcune altre Regioni. Ci sono Regioni dove (…) c’è una pianificazione degli interventi. Costruiscono qualcosa che nascerà fra alcuni anni. Non siamo abituati a ragionare in questo modo”.

L’unico riferimento esplicito all’immigrazione si trova nella legge regionale N°5 del 2009, “Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale” (art. 28 sull’”Assistenza sanitaria a cittadini extracomunitari“). Però la legislazione nazionale e la giurisprudenza costituzionale garantivano già l’accesso alle cure agli immigrati, indipendentemente della regolarità del loro statuto amministrativo.

Nel campo sociale, il piano regionale 2010-2012 della Sicilia insiste sulla sussidiarietà verticale e raccomanda una partecipazione più importante degli operatori del settore associativo. Gli immigrati sono integrati a una lista di categorie sfavorite il cui inserimento sociale e professionale deve essere facilitato : donne vittime di tratta, disabili… Però i tagli nei contributi pubblici rivolti alle politiche sociali hanno ridotto le possibilità di azione del governo siciliano. Infatti, il FNPS che è, dal 2003, l’unico fondo nazionale a finanziare i servizi sociali territoriali, spartische i propri fondi tra le Regioni che dopo li attribuiscono ai Comuni. Queste risorse sono state molto ridotte: 1.884.000.000 di euro nel 2004 contro 218.084.045 nel 201111. La Sicilia riceve 9,19% di quanto viene attribuito alle Regioni; essendo cosi la terza dietro la Lombardia (14,15%) e la Campania (9,98%). Un'altra fonte essenziale di reddito locale, l’ICI, è stata annullata nel 200812, privando i Comuni di di quasi 20% delle loro entrate fiscali13. Un deputato PD all’ARS ha fatto presente le conseguenze della riduzione delle entrate pubbliche locali sulle decisioni a favore degli immigrati.

10 http://www.iifs.it/rassegna2011/43.htm11 I decreti di riparto del FNPS : http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/md/AreaSociale/FondoNazionale/Riparto/12 Si trattava di una delle promesse elettorali di S. Berlusconi : La “casa, sacra come la famiglia. Ecco perché aboliremo l’ICI”,aveva annunciato durante un dibattito televisivo con Romano Prodi, in ottobre 2007 (Heuzé (R.), “La proposta fiscale choc di Berlusconi”, Le Figaro 15/10/2007.13 Il governo Monti ha reintrodotto una tassa municipale unica al posto della vecchia ICI.

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“ All’interno delle istituzioni locali, non c’è un servizio che si occupa specificamente e esclusivamente delle politiche migratorie; queste fanno parte delle politiche sociali. E soffronodella riduzione generale della disponibilità di spese (…). I Comuni hanno (...)solo una piccola quota della fiscalità locale, una piccola parte della quale dipende delle proprie entrate che fino al 2007, provenivano di una tassazione sulla proprietà immobiliare. Quest’ultima è stata in un primo tempo ridotta poi quasi annullata dal governo nazionale nel 2008. Questo ha ridotto una fonte importante di entrate locali per i Comuni (…). Le altre entrate che rappresentano la maggior parte, il trasferimento dalla Regione e dallo Stato, sono state molto ridotte questi ultimi anni”.

Il fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, creato dalla finanziaria nel 2007 sostiene parecchie iniziative : accoglienza di alunni stranieri, valorizzazione delle seconde generazioni, protezione dei minori non accompagnati e delle donne contro l’emarginazione sociale... 50.000.000 di euro sono stati stanziati per l’anno 200714. Però i 100 milioni stanziati nel budget 2008 sono stati cancellati (D.L 93 del 2008) e nessun finanziamento è stato previsto per gli anni ulteriori. Da un altro lato, la Sicilia assume numerosi dipendenti che usufruiscono di stipendi e pensioni elevati (superiori a quelli delle altre regioni italiane). Il costo del ARS è quasi due volte superiore a quello del ARS della Lombardia. Il Presidente della Regione Sicilia guadagnaquasi il doppio dei suoi omologhi, sardo o lombardo. Si parla della “Mamma Regione” (funzionario regionale)

“La situazione dei nostri comuni (…) è peggiorata a causa di una serie di spese obbligatorie legate alla struttura amministrativa e a una grande quantità di personale. I funzionari regionali non possono essere licenziati, non possono non essere pagati (…). Quando sono mancati i finanziamenti si è dovuto ridurre la parte destinata alle attività non obbligatorie, tra le quali le politiche sociali” (Deputato PD all’ARS).“Questi ultimi anni, molti interventi istituzionalizzati dal comune sono stati soppressi. (...). La parte del budget del Comune che riguarda i servizi sociali è stata molto ridotta” (dipendende del Comune di Palermo).

La cattiva gestione dei fondi europei destinati a finanziare delle attività sociali spiega anche la scarsa disponibilità di spese. Inoltre, numerosi progetti erano sospettati di irregolarità. Peraltro la Regione ha distaccato solo 173 funzionari (su 17.000) per gestire questi fondi (La Repubblica, 04/06/2012).

“ Le risorse dell’Europea non sono utilizzate bene; alla fine anno, i spicci tornano nelle casse europee. I progetti che potrebbero essere finanziati da quei fondi non sono stati preparati in tempo” (mediatrice culturale).

3.La risposta sanitaria : la medicina delle migrazioni

14 http:/www.Lavoro.gov.it/Lavoro/md/AreaSociale/Immigrazione/Inclusione/

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a) Le grandi tappe e la regionalizzazione

Secondo la concezione universalista delle Costituzione di 1948, “La Repubblica tutela la

salute come fondamentale diritto dell'individuo (…) e garantisce cure gratuite agli indigenti” (art.32). Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che si trova alla base del sistema sanitario, corrisponde all’insieme delle strutture e servizi sanitari a disposizione di tutti i cittadini, senza differenza di trattamento. L’iscrizione ai SSN permette di scegliere il medico di base e/o il pediatra.

Tuttavia, la presa a carico dei bisogni sanitari degli immigrati è stata per primo assunta dal volontariato. La Società Italiana di Medicina delle Migrazioni15 (SIMM) ha avuto un ruolo importante nella promozione della risposta pubblica ai bisogni sanitari degli immigrati. Questa società scientifica è creata nel 1990, sotto l’impulso di un gruppo di medici e di organizzazioni religiose e laiche che offrivano assistenza medica gratuita agli immigrati. “ La SIMM (…) aveva come scopo fondamentale di fare dell’advocacy e di lottare sul piano dei diritti dell’immigrato, principalmente degli immigrati in situazione irregolare (…) con uno spirito di collaborazione tra il settore pubblico e il volontariato (…). Quando abbiamo capito che il diritto (…) era applicato solo dove c’era una persona di buona volontà in Sicilia, si è pensato : “dobbiamo coinvolgere di più il settore pubblico”. Si definisce oggi come un policy network di scambio di metodologie e di analisi delle politiche sanitarie nazionali e locali. Si appoggia sulla pluridisciplinarità (sono membri della SIMM degli psicologi, degli antropologi, dei sociologi, dei mediatori culturali, degli assistenti sociali...) e la collaborazione tra il pubblico ed il privato. Essa esprime delle raccomandazioni a livello nazionale, internazionale e locale. E stato necessario aspettare la legge del 1998 per che ci sia un impulso nazionale. Riconosce la totale uguaglianza tra italiani e stranieri regolarmente presenti sul territorio tramite l’iscrizione al SSN, e anche il diritto all’assistenza sanitaria agli immigrati in situazione irregolare16 (Stranieri Temporaneamente Presenti) (STP)17. Con l’ingresso della Romania e della Bulgaria nell’UE, il 1° gennaio 2007, il Ministero della Salute crea il codice ENI (Europei non-iscritti) rilasciato agli comunitari che non possono iscriversi al SSN (quelli che non hanno un contratto di lavoro). Questo codice consente loro l’accesso alle strutture sanitarie. Secondo tempi e modalità diverse, le Regioni trasposto queste norme nazionali. La riforma costituzionale del 2001 ha affidato alle Regioni il potere legislativo nell’ambito sanitario (D.P.R. n. 394/99). La “tutela della salute” è stata iscritta come “materia di legislazione concorrente” (art. 117, titolo V). Lo Stato garantisce l’omogeneità delle cure su tutto il territorio italiano , definendo i “Livelli Essenziali di Assistenza” (LEA) che definiscono il livello minimo di prestazioni e di servizi che il SSN deve garantire a tutti i cittadini. La conferenza Stato/Regioni garantisce la partecipazione delle Regioni a i processi decisionali. Così facendo, le Regioni devono stabilire delle politiche locali che garantiscono i

15 La medicina delle migrazioni prende in conto le caratteristiche socioculturali dei pazienti immigrati, la loro cultura per migliorare le cure prodigate.16 Tra 2003 e 2005, 0,5% delle spese per il ricovero proviene dalle cure assegnate ai STP (Gruppo tecnico del progetto “promozione della salute della popolazione immigrata in Italia” 2008).17 L’iscrizione STP vale su tutto il territorio nazionale per sei mesi rinnovabili.

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diritti riconosciuti dalla legislazione nazionale. Però le Regioni hanno applicato in modo differente questi orientamenti nazionali creando un’eterogeneità dei Sistemi Sanitari Regionali (SSR) nelle modalità di offerta di assistenza agli immigrati, ed in particolare a quelli in situazione irregolare: varietà di tipologia di servizi offerti; impegno più o meno importante del settore pubblico (SSR)… Secondo il Dr. Affronti, medico a Palermo “ la regionalizzazione” della sanità “può creare importanti problemi” in particolare delle disuguaglianze tra le regioni.

“Spesso la conferenza Stato/Regioni, dove si dovrebbe raggiungere una sintesi, non funziona; non si riuniscono mai (…). Quando (…) c’è stato il problema dell’ENI, dunque della Romania che è diventata un paese europeo, i rumeni, soprattutto le donne, si sono trovate dall’oggi al domani senza assistenza sanitaria (…). Un grande vuoto si era creato (…). Il fatto che ogni Regione faccia a modo suo è un grosso problema perché può creare delle disuguaglianze nella sanità. In una regione alcune cure vengono effettuate, in un’altra no (…). Ci sono delle regioni virtuose e delle regioni difettose. Per esempio, la Lombardia (…) accoglie più di un milione di immigrati (…). Malgrado questa forte presenza di immigrati non ci sono ambulatori dedicati. Quando gli immigrati hanno dei problemi vanno al pronto soccorso o nei centri delvolontariato. [Questo dipende dall’Assessorato regionale alla sanità?]. Si, la legge [nazionale] non viene applicata.

La SIMM cerca di omogeneizzare l’assistenza sanitaria sul territorio tramite Gruppi Regionali Immigrazione e sanità (GrlS), unità autonome presenti in 12 regioni tra cui la Sicilia.

“In Italia, esiste una legge di inclusione molto bella dal punto di vista sociale, dei diritti. La SIMM vuole che questa legge sia applicata in tutte le regioni d’Italia dove ci sono degli immigrati. Per questo motivo, da quando la sanità è diventata competenza regionale, la SIMM ha creato i GrlS”.

Il “Pacchetto sicurezza” del 2009 è stato une tappa importante. L’ordine dei medici, gli assistenti sociali, psicologi e infermieri, società scientifiche e Università, i sindacati, le O.N.G., le organizzazioni religiose e laiche, le aziende sanitarie, le Regioni18 e alcuni parlamentari hanno chiesto la soppressione dell’articolo che obbliga il personale sanitario a segnalare alle autorità la presenza di stranieri in situazione irregolare nelle strutture pubbliche e anche l’articolo che imponeva di presentare il permesso di soggiorno per accedere ai servizi sanitari. Questi articoli sono stati eliminati abbastanza rapidamente, però hanno creato un clima di preoccupazione tra gli immigrati.

b) Il “modello” siciliano

Come la Sicilia ha adeguato la sua legislazione? Quali servizi esistono sul territorio?

18 Reazzioni delle Regioni al « Pachetto Sicurezza », http://www.simmweb.it/index.php?id=363

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L’insediamento degli ambulatori dedicati agli immigrati tiene conto della loro distribuzione geografica: l’80% di questi si concentra nei grandi centri urbani (Catania,Palermo e Messina) e nelle province agricole di Ragusa e di Siracusa. Parecchi paesi sono però privi di ambulatori dedicati. Pertanto, il Dr. Affronti spiega che in questi ultimi anni, “c’èstata una periferizzazione degli immigrati”. E’ un fenomeno che “riguarda soprattutto le donne rumene” che curano gli anziani che vivono nei piccoli paesi. Malgrado questa carenza, che vale anche per gli italiani, secondo il Dr. Affronti la copertura sanitaria della Sicilia è abbastanza completa, tranne nella provincia di Trapani.

In Sicilia, il settore pubblico, tramite il SSR, è molto impegnato nell’offerta di cure agli immigrati. Collabora con le organizzazioni di volontariato che assumono un ruolo fondamentale. La Regione ha promulgato una direttiva sull’organizzazione dei servizi sanitari per gli stranieri in situazione irregolare destinata alle Aziende Sanitarie Regionali (ASR). Ha stabilito dei ambulatori con accesso facilitato per gli STP. Il personale sanitario è pagato dal SSR.

L’adozione nel 2003 delle linee-guida della Regione Sicilia sull’assistenza sanitaria ai cittadini extracomunitari è stata una tappa importante. Lo scopo era di trasporre la circolare (N°5) del Ministero della Sanità , di marzo 2000, in Sicilia. Queste linee-guide precisano il tipo di assistenza al quale hanno diritto gli immigrati, indicano i servizi da organizzare per uniformare i livelli di assistenza, incoraggiano l’inserzione di mediatori culturali nei servizi sanitari e impongono la formazione del personale messo a confronto con pazienti immigrati. Hanno permesso l’apparizione di nuovi ambulatori pubblici per immigrati e incoraggiato l’impianto di ONG come MSF o Emergency, in Sicilia. Il Dr. Affronti evoca l’elaborazione delle Linee guide e spiega l’influenza della politica sanitaria della Sicilia sulla politica nazionale.

“Grazie all’intervento della Regione e dell’Assessorato alla Sanità, si è lavorato durante un anno (…) con operatori del pubblico e del volontariato. Da questo sforzo frutto di un anno di lavoro sono uscite fuori le Linee guide e da quel momento, molti ambulatori sono apparsi in Sicilia (...). L’impegno di MSF nel Ragusano nasce dall’applicazione di queste raccomandazioni (…). Lo spirito generale era il seguente : cercare di inserire al massimo queste persone che non avevano nessun tipo di diritti. Si può dire che in Sicilia tutte queste realtà sono nate da quella formula e dopo la formula si è diffusa in tutta Italia”.

Nel 2008, la Regione promulga una circolare (n. DIRS/2/0781) relativa all’assistenza sanitaria dei “nuovi comunitari”. Quelli a cui era stato precedentemente attribuito il codice STP (quelli in situazione irregolare) sono da ora in poi identificati col codice ENI che garantisce loro una assistenza sanitaria.

“Il Ministero ha espresso delle raccomandazioni che dovevano dopo essere applicate dalle differenti regioni. Gli assessorati regionali hanno legiferato a proposito dell’ENI, come la Sicilia e tante altre regioni”

Parecchi medici interrogati, ritengono che la risposta pubblica della Sicilia ai bisogni santiari degli immigrati sia soddisfacente e più completa di quella di alcune regioni del nord :

Noi [in Sicilia] riusciamo ad offrire le cure agli immigrati in situazione irregolare grazie al codice STP, per quelli chiamati extracomunitari. Per gli immigrati comunitari, abbiamo il

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codice ENI (...) mentre in Lombardia tutto questo non esiste (...). In Sicilia, ci sono delle cose che non funzionano, però si è riuscito a realizzare tanto, a dare una risposta pubblica, e questo è importante”. (Dr. Affronti).

“L’assistenza sanitaria agli immigrati in Italia non è uguale su tutto il territorio. La Sicilia col Lazio, la Puglia, la Toscana sono delle Regioni fortunate dove le amministrazioni regionali hanno ricevuto e accettato gli orientamenti sanitari delle leggi sull’immigrazione. Da noi, l’immigrato ha diritto a tutte le cure, non soltanto a quelle urgenti come in tante regioni (…). L’immigrato, con o senza documenti, ha diritto a tutto (…). Questo dipende delle amministrazioni locali. In Sicilia, è cosi dalla (…) Turco Napolitano” (Dr dell’ONG Emergency).

Il diritto alla sanità, indipendentemente dello statuto giuridico, viene dopo ribadito nella legge regionale 5/2009 relativa al riordinamento del SSR (cf. soprra). Infine, la Sicilia fa parte delle 10 regioni che hanno protestato contro il Pacchetto Sicurezza nel 2009 (note n.2292/GAB e circolare n. SERV.8/n.787). La Regione ha confermato l’invariabilità delle procedure di rilascio dei codici STP e dunque il divieto di segnalazione, in accordo con i principi di universalità e di parità d’accesso alle cure definiti nella Costituzione e nella legge. Però la privatizzazione dei servizi pubblici hanno introdotto una gestione mercantile delle Aziende Sanitarie locali (ASL) incaricate di applicare le scelte regionali e hanno introdotto degli obblighi di bilancio stretti.

“In Sicilia, c’è un riflusso pazzesco verso il privato perché le ultime scelte dell’Assessorato vanno in quella direzione (...). Ospedali pubblici muoiono giorno dopo giorno (…). Siamo a favore di una sanità pubblica, siamo dei medici pubblici, crediamo in un sistema sanitario pubblico e pensiamo che la nostra sanità sia buona. In Italia abbiamo degli standard ottimi però nel l’immaginario collettivo, la sanità siciliana o italiana non funziona” (Dr. Affronti).

4.Il livello comunale: organizzazione dei servizi e collaborazione col settore privato a Palermo

Capitale politica della Sicilia, Palermo contava, all’inizio degli anni 2011, 20.252 immigrati in situazione regolare, cioè il 3,1% della popolazione (655.875 abitanti). I principali paesi di provenienza sono lo Sri Lanka, il Bangladesh, la Romania, le Filippine, la Tunisia, le Mauritius, il Ghana e la Cina. Come negli altri grandi centri urbani dell’isola (Catania e Messina), gli immigrati lavorano principalmente come badanti e nel settore terziario poco qualificato. Esercitano anche sempre di più attività autonome commerciali19.

Gli immigrati abitano principalmente nel centro storico di Palermo, in appartamenti umidi e scalcinati abbandonati dai palermitani benestanti. Gli immigrati ci si sono sistemati

19 I Magrebini e i Senegalesi esercitano tradizionalmente attività di commercio ambulante. Recentemente, il commercio più strutturato dell’abbigliamento e attrezzature casalinghe si è sviluppato nella comunità cinese.

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appena arrivati a Palermo. Il centro storico, tradizionalmente territorio mafioso, si è trasformato sotto l’influenza di questi nuovi residenti: rinascita di una vita notturna, sviluppo di attività commerciali, locali… I quartieri di Ballarò e della Cala sono molto rappresentativi di questo fenomeno. Presentano una forte diversità sociale ed etnica e la maggior parte degli operatori locali impegnati nelle problematiche migratorie e sociali operano in questi quartieri. Anche un quartiere periferico popolare (la Zisa) conta un elevato numero di stranieri. A Ballarò, tranne una scuola elementare, non c’è nessuna istituzione pubblica (la polizia non ci entra, non c’è ospedale …) ciò che crea una distanza fisica tra cittadini e istituzioni. Ma esiste soprattutto una distanza mentale: l’assenza di interazione con le istituzioni pubbliche nasce da una profonda diffidenza dei cittadini verso le istituzioni considerate poco affidabili e corrotte. Gli immigrati, come gli Italiani, hanno preso l’abitudine di auto-organizzarsi. Regole alternative impongono di non rivolgersi allo Stato e le diverse comunità che hanno i loro propri “referenti”, considerati più efficienti dello Stato. Sono presenti in questi quartieri solo le istituzioni del privato sociale, principalmente religioso. La Caritas, l’Oratorio salesiano di Santa Chiara e i Gesuiti del centro Astalli sono i tre pilastri rispettati e ricercati dell’aiuto sociale nel quartiere.

a) Il servizio municipale dedicato agli immigrati

Ubicata nel centro storico di Palermo a dieci minuti da Ballarò, l’“Unità organizzativa Interventi per immigrati, rifugiati e nomadi” è una eccezione. Creato nel 2000 dal Sindaco di allora, L. Orlando, questa unità dipende dei “Servizi di aiuto sociale” dell’amministrazione comunale. L’Unità assumeva sette persone a tempo completo nel novembre 2011 (tre assistenti sociali, un’esperta nel campo sociale diplomata in psicologia, tre segretarie e la Dirigente, Laura) e mediatori culturali a tempo parziale. L. Purpura lavora da anni nel settore sociale, principalmente per la protezione dei minori. E dipendente dal 1989 e dirige l’Unità da dicembre 2004.

La prima funzione dell’Unità è di informare gli immigrati sui servizi socio-sanitari, scolastici, giuridici e professionali di Palermo di cui possono usufruire e a sulle procedure amministrative (rilascio del permesso di soggiorno, ricongiugimento…) perché “molto spesso, la persona che si trova in un paese straniero non è sa i propri diritti”. Un altro soggetto di interventi riguarda i minori stranieri non accompagnati che l’Unità prova a collocare in strutture di accoglienza. Lavora in collaborazione coll’Autorità Giudiziaria, i mediatori culturali, gli operatori responsabili delle strutture di accoglienza per minori e le scuole. Procede anche alle valutazioni necessarie alla procedura dell’articolo 31 del TU secondo la quale il Tribunale per minorenni può autorizzare membri della famiglia del minore in situazione irregolare a rimanere in Italia se la loro espulsione può rappresentare un grave danno al minorenne. “Suppone una buona conoscenza della situazione familiare, si fanno visite a domicilio (…), ci sono incontri colle scuole (...). Dopo, il Tribunale decide”.

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L’Unità segnala anche al servizio degli Stranieri della Questura la presenza di immigrati e si fa carico delle vittime di tratta (art.18 del TU). Propone anche progetti all’amministrazione.

“Abbiamo preparato un progetto (…) che prevede di passare alcune giornate nel campo nomadi per conoscere le famiglie e avere informazioni sulle loro condizioni”.

L’Unità partecipa anche “ alla tavola rotonda tematica per l’organizzazione del nuovo Piano di zona previsto dalla 328. Ci è anche stato richiesto di monitorare le azioni del piano di zona”.

Laura descrive l’evoluzione dell’Unità dal suo arrivo nel 2004. Per primo soltanto servizio amministrativo si dopo è aperto al pubblico e si è professionalizzato.

“Quando sono arrivata, questo ufficio non riceveva il pubblico perché era solo amministrativo. Si occupava del finanziamento di alcuni progetti che non gestiva direttamente (…). C’è stato una rivoluzione copernicana! Questo ufficio si è aperto al pubblico (…). Per i minori non accompagnati, siamo l’unica Unità del comune che se ne occupa (…). L’affluenza del pubblico è enormemente aumentato, soprattutto per il counceling (…). Le persone che vengono una volta per un qualsiasi motivo, poi tornano ogni volta che ne hanno bisogno. Abbiamo anche dei fedeli (…). Funziona molto il passaparola“.L’Unità collabora con diversi operatori locali, spesso provenienti dalla sfera del

privato sociale religioso.“Il nostro punto di forza è (…) di creare delle collaborazioni, ciò ci ha dato dei risultati positivi. Dove mancano le risorse del Comune, possiamo contare sul sostegno della Caritas, del centro Astalli [Gesuiti], di Santa Chiara [Salesiani] o del CEMI [centro evangelista valdese] e altri”.Quando il servizio non è competente, il lavoro in rete consente di risolvere alcune

situazioni. Secondo Laura, il servizio municipale presenta due vantaggi in più rispetto ai servizi proposti dal settore del privato sociale: la continuità e la specializzazione.

“Gli sportelli del privato sociale (…) hanno una grande esperienza e eccellenti competenze professionali, per cui ci rivolgiamo a loro per chiedere consigli. Nel privato sociale però, gli interventi cominciano dopo che i progetti sono stati finanziati e alla fine del finanziamento si fermano. Il punto di forza del nostro ufficio è che essendo municipale, le competenze e le esperienze aumentano con il tempo, e teoricamente dovrebbero essere utili a lungo (…). In più il fatto che Palermo sia una grande città ha permesso una specializzazione in questo settore: la costituzione di questa unità (…). E’ importante perché il lavoro con gli immigrati è complesso ed anche un po’ nuovo, specializzandosi, abbiamo una visione più chiara”.

L’Unità collabora con gli altri livelli locali. L’interazione con la Provincia è abbastanza regolare, invece, L. Purpura stima che “c’è sia una grande distanza tra il Comune e la Regione”.

“Raramente organizzano [la Regione] delle riunioni dove i Comuni sono coinvolti. Ogni tanto sui giornali leggiamo che la Regione vuole organizzare degli interventi per i minori stranieri non accompagnati. Ci siamo fatti sentire per dire che ci vorremmo sapere cosa intendendono fare perché (…) noi ci lavoriamo. Però diciamo che dopo non c’è sempre una buona collaborazione”.

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b) Il progetto MED.IN.A (Ufficio di Mediazione Interculturale e Accoglienza)

Questo progetto è programmato dal Piano di zona del distretto socio-sanitario 42 che comprende Palermo e 11 altri comuni. E’ finanziato con i fondi della Legge 328/0020. Nel Giugno 2010 il Comune apre un bando per la gestione di un ufficio per la mediazione interculturale destinato a coordinare 4 ambiti: sociale, scolastico, sanitario e giustizia Per rispondere al bando, otto associazioni palermitane che hanno un’esperienza della mediazione nei settori indicato dal bando si riuniscono. Creano una “associazione temporanea di obiettivo”e vincono il bando. Oltre il comune di Palermo che è il referente istituzionale, il progetto è dunque realizzato in collaborazione con 8 associazioni, sia laiche che religiose. Il progetto comincia a Gennaio 2011 e dura 18 mesi.

Il progetto cerca di eliminare le barriere culturali, relazionali e linguistiche incontrate dagli immigrati nella loro interazione con la società palermitana. Si appoggia su 18 mediatori interculturali presenti in 34 servizi, pubblici e privati, nei quattro settori sopra indicati (consultori, ospedali, sportelli sanitari di associazioni; istituti per minori, carceri; scuole; sportello giuridico, l’Unita immigrati del comune (cf. Sopra...). Una parte dei mediatori lavora in modo permanente in un servizio. Gli altri intervengono “a chiamata” nei servizi che “non hanno a che fare con molti immigrati” ma che possono incontrare difficoltà con “uno straniero che non parla bene l’italiano, e la cui cultura non è conosciuta”. Sono chiamati per risolvere una situazione problematica.

I mediatori interculturali fanno da “ponte” tra le culture. Lo scopo della mediazione è di eliminare gli ostacoli culturali, benché l’intervento più immediato sia di superare le barriere linguistiche. Oltre a competenze linguistiche, debbono anche avere nozioni di sociologiche, storiche, culturali, economiche e giuridiche dell’Italia e dei paesi origine degli immigrati. Hanno spesso una esperienza di vita legata a più culture.

“Una delle nostre mediatrice ha seguito la situazione di una donna etiope che aveva affidato il figlio a una famiglia italiana. Ma c’erano grossi problemi per comunicare alcune cose. Per esempio la il modo di pettinare i capelli di una bambina etiope è differente di quella di una bambina italiana. Ci possono essere conflitti a proposito di piccole cose di questo genere che non venivano identificate perché non c’erano persone per fare da mediatore tra i protagonisti. L’assistente sociale non si occupa dei problemi culturali. Poteva dare ragione alla famiglia italiana perché lei stessa appartiene a questo ambiente culturale”. (Vincenzo, responsabile dell’associazione Apriti il Cuore che coordina il progetto Medina).

20 Per il periodo 2010-2012, sulle 36 azioni di Piani di zona programmate, quattro sono destinate agli immigrati : un servizio socio-pedagogico, un centro di prima accoglienza Rifugiati i/immigrati, un ufficio di mediazione interculturale e un centro per Migranti e Rom. 1.335.215 euro sono stanziati per gli interventi a favore degli immigrati contro 10.979.793 euro per gli disabili e 7.674.195 per gli anziani. http://www.attivitàsociali.palermo.it/index.php?option=com

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Secondo Vincenzo, il mediatore serve anche a favorire l’inter-culturalità che lui oppone all’assimilazione o all’abbandono di una delle due culture “spesso ho visto che gli immigrati lasciavano da parte l’uno o l’altro mondo culturale (…). Abbiamo proposto : “sei qui e devi fare come facciamo noi”. Mentre l’integrazione è un'altra cosa (…). Oggi (…), il vero problema sono le seconde generazioni (…). Abbiamo questi adolescenti che vivono in due mondi diversi (...). Spesso incontrano difficoltà a accordare questi due mondi”.

In Italia, i mediatori non sono formalmente riconosciuti. Non esiste un albo dei mediatori, ne percorso di formazione unica : spesso dopo la maturità, fanno un corso di specializzazione organizzato dagli enti locali, dopodiché ricevono il titolo di mediatore. A volte prendono una Laurea in scienze dell’educazione o in psicologia e un certificato che attesti la conoscenza di una lingua straniera. Spesso vengono assunti da istituzioni o ONG e hanno dei contratti a progetto, pagati poco. Per fare riconoscere la loro competenza professionale e ottenere il riconoscimento formale del loro titolo, una ventina di mediatori hanno creato a Palermo, fine 2010, l’Unione dei Mediatori Interculturali Professionali (UMIP) la cui maggior parte è integrata al progetto Medina. Infatti, questo progetto istituzionalizza la mediazione culturale in Sicilia perché è finanziato da fondi pubblici che consentono di pagare i mediatori. Prima, tranne piccoli crediti, che permettevano di pagare un mediatore per un progetto ben preciso, la maggior parte di loro lavorava volontariamente.

“Anni fa, quando il numero degli immigrati è cominciato a aumentare, c’erano immigrati aperti a questo spirito del volontariato, che accompagnavano i loro connazionali nei diversi uffici per sbrigare le pratiche. Spesso erano in Italia da più tempo. (Vincenzo)

“Ho cominciato questo lavoro di mediazione nel 1986 (…) Lo facevo dalla Caritas come volontaria, un poco al Policlinico (…). Per 11 anni, ho fatto la volontaria presso un consultorio(…). In Sicilia è tutto volontariato, non c’è un albo dei mediatori” (mediatrice del Capoverde in Italia da più di 30 anni).

Però, due mediatrice del progetto ME.DI.NA incontrate a dicembre 2011, mi hanno dichiarato che non erano state pagate per gli undici mesi di lavoro fatto per il progetto:

“Da gennaio non ho visto una lira (…). [In Sicilia] Quando uno viene pagato è sotto-pagato perché tutto dipende da delinquenti come quelle associazioni che ti chiamano e ti pagano quanto vogliono loro (…). Lavoro moltissimo e sono sotto pagata : per 4 ore al giorno, sono pagata 18 euro! Mi vergogno a dirlo… mentre i miei colleghi a Bologna guadagnano 28 euro l’ora (…). Per quanto riguarda l’immigrazione (…), affidano i progetti non a noi immigrati, ma alle associazioni di farabbuti, che sono sempre al Comune per chiedere un favore”.

Cassibile : una risposta imposta dall’emergenza e la delega al privato socialeA Cassibile, la gestione dell’immigrazione segue una logica di emergenza e è totalmente affidata al privato sociale. Cassibile è una piccola città in Provincia di Siracusa dove ogni anno, da aprile a giugno, dei stagionali vengono a raccogliere le patate (MSF 2005). La mano d’opera, essenzialmente straniera, è indispensabile per l’economia di questa zona. Gli immigrati hanno degli statuti diversi :

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richiedenti asilo in attesa della risposta della Commissione, immigrati in situazione regolare e in situazioni irregolare. Le istituzioni locali non anticipano mai il loro arrivo e non allestiscono alloggi. La Caritas o la Croce Rossa allestono e gestiscono tendopoli all’ingresso della città (ogni anno più distante dal centro città). Però accettano solo immigrati in situazione regolare, con contratto di lavoro. Però tutti sanno che una gran parte dei stagionali di Cassibile non ha documenti in regola e che il contratto di lavoro risulta eccezionale. Di fatto, tanti stagionali devono dormire fuori sotto tende, case abbandonate. Senza i servizi di base come la luce o l’acqua, bevono l’acqua potabile alla fontana del villaggio e spesso ci si lavano. Gli abitanti del luogo manifestano spesso delle reazioni di razzismo. Un polibus ambulante dell’ONG Emergency offre dei servizi sanitari. Dei controlli, nelle campagne (previsti dalla legge) per verificare la regolarità della situazione professionale minaccerebbero l’equilibrio di questa zona.

c) I servizi sanitari per gli immigrati a Palermo : tra pubblico e privato

A Palermo quattro strutture offrono dei servizi sanitari agli immigrati e rilasciano i codici STP e ENI. Due, ubicate in centro città, sono vicine. Altre due sono più periferiche. Palermo è stata uno dei centri dove è nata la medicina delle migrazioni. Infatti, il Professore Mansueto,un siciliano, è uno dei padri fondatori della medicina delle migrazioni in Italia. Nel 1987, creaun ambulatorio gratuito per i cittadini extracomunitari nell’oratorio salesiano di Santa Chiara, diretto dal prete Don Meli, figura storica del quartiere Ballarò. I farmaci erano fornitidalla Caritas. E cosi che la medicina delle migrazioni è cominciata a Palermo tramite una rete di volontariato. Nel 1990, il Pr. Mansueto crea la SIMM. Progressivamente la maggior parte delle persone, fino a quel momento curate da volontari, furono curate dalle istituzioni pubbliche ospedaliere. Il servizio di medicina delle migrazioni del Policlinico di Palermo, creato nel 1996 e diretto dal Professore Mansueto, è stato il primo ambulatorio dedicato agli immigrati in situazione irregolare. Oggi diretto dal Pr. Affronti, offre una assistenza di base gratuita agli immigrati senza appuntamento e comprende anche un centro di ginecologia e di ostetricia. Questa esperienza si poi estesa in Sicilia, notevolmente dopo l’approvazione delle linee-guide nel 2003.

Due concezioni pubbliche alternative : SIMM vs INMP

Due concezioni alternative della medicina pubblica si contrappongono. La prima, rappresentata dalla SIMM, promuove l’applicazione della legge nazionale in tutta l’Italia in accordo con la propria filosofia universalista. Ritiene che gli immigrati sono più esposti ai rischi sanitari per le loro condizioni di privazione economica, sociale, relazionale e culturale: “90% delle domande degli immigrati sono di carattere sociale, non s’incontrano malattie particolarmente esotiche o tropicali. La specificità della medicina delle migrazioni è legata al sociale”(Dr Affronti, Presidente della SIMM). Gli immigrati hanno più difficoltà a entrare in relazionecolle istituzioni della società di accoglienza e a accedere ai servizi socio-sanitari a causa delle

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barriere burocratiche, amministrative, linguistiche e culturali. Ecco perché gli ambulatori dedicati agli immigrati sono necessari per facilitare la loro integrazione socio-sanitaria. Però questi ambulatori dovrebbero sparire perché secondo la concezione universalista, la medicina delle migrazioni deve confondersi nella medicina generale. Secondo il Pr. Affronti, “la via da seguire” consiste a integrare lezioni di medicina delle migrazioni nella formazione universitaria generale. Già nel 1995, S. Geraci, Presidente della SIMM diceva : “la medicina delle migrazioni non vuole e non può essere una nuova branca della medicina perché sempre di più l’immigrato diventerà presenza ordinaria del nostro tessuto sociale...” (VIII Congresso Nazionale SIMM, 2009, p.14). Invece, la seconda concezione, rappresentata dall’Istituto Nazionale per la Promozione della Salute delle Popolazioni Migranti e il contrasto delle Malattie della Povertà (INMP), favoreggia l’istituzionalizzazione di una medicina specificamente dedicata agli immigrati. Quest’Istituto, creato nel 2006 dal Ministero della Sanità, ha avviato un progetto in tre regioni: Lazio, Puglia e Sicilia. L’obiettivo è di mettere su delle strutture sanitarie poli-specializzate con equipe di mediatori culturali in queste regioni per favorire l’accesso delle popolazioni immigrate ai servizi sanitari pubblici. In Sicilia, la sede del centro si trova all’ospedale A.R.N.A.S. Civico di Palermo. Propone diversi servizi (centro per le vittime di torture, ginecologia, gastroenterologia e urologia, malattie infettive...). Mediatori retribuiti sono presenti durante gli appuntamenti. L’Istituto lavora in rete coi servizi sociali territoriali, l’ASP e 10 ospedali. Secondo il Pr Affronti, l’INMP favorisce una “ghettizzazione” sanitaria degli immigrati e “percorsi paralleli”

“Non serve un luogo dove vanno solo gli immigrati perché significa ghettizzare. Certi centri devono fare da ponte, devono aiutare all’integrazione e dunque progressivamente sparire.Invece, dal momento in cui ci sono i finanziamenti per curare l’infibulazione, per la mediazione culturale, percorsi paralleli si creano (...). Abbiamo sempre pensato questi ambulatori come un fenomeno provvisorio. Non devono essere istituzionalizzati (…). L’INMP ha questo orientamento differente dal nostro [la SIMM]. Perché gli immigrati in situazione irregolare non possono essere curati in un ambulatorio di medicina generale? (…) Sicuramente ci saranno problemi all’inizio ma no c’è una altra via possibile. (…). Se si continua in questo modo, significa che c’è qualcuno che ci “fa carriera” (…). Si deve piuttosto migliorare gli standard di cura della medicina generale e se il medico della medicina generale riesce adare una risposta all’utente straniero, migliorerà la risposta generale” (M. Affronti).

Inoltre, il fatto che l’INMP funzioni con solo tre regioni italiane indebolisce il principio di parità di accesso alle cure sull’insieme del territorio nazionale.

“Il Ministro della Salute, Livia Turco, ha deciso, senza che si capisca bene secondo quale principio, di creare questo Istituto attribuendogli finanziamenti importanti ai quali non eravamo abituati (…). Però l’INMP (…) si occupa di tre regioni soltanto (…) E le altre regioni? Di che tipo di Istituto Nazionale si tratta se si occupa soltanto di tre regioni?”

Le interazioni tra servizi privati e servizio pubblico

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A quest’offerta pubblica si aggiungono i servizi offerti del settore privato sociale in maggior parte cristiano. Solo il centro medico di Emergency (una ONG italiana che si occupa delle vittime civile di guerra. E ufficialmente apolitica e aconfessionale. Però è spesso percepitata dall’opinione pubblica e dalle istituzioni come “di sinistra”) e il centro pediatrico dell’associazione Ubuntu sono laici. Il centro Emergency si trova a Palermo dal 200621.

L’ambulatorio di Emergency offre una aiuto sanitario gratuito agli stranieri e agli Italiani indigenti. Dalla sua apertura nel 2006 fino a fine 2011, Emergency si è occupata di 12.000 pazienti, essenzialmente in situazione irregolare. Parecchi servizi sono proposti : informazione socio-sanitaria, medicina generale e medicina specializzata con appuntamenti (odontologia, ginecologia, ostetrica, diagnosi prenatale, pediatria, cardiologia, ecografia, senologia). Tutto il personale medico, paramedico e amministrativo (su per giù 60-70 persone) è di volontario, tranne due assistenti di odontologia e i tre mediatori. Tania è stata assunta in CDI, come mediatrice culturale. Prima, aveva fatto un tirocinio per ottenere la qualificazione di mediatrice a Emergency dove aveva dopo lavorato con contratti a progetto.

“Siccome la Sanità è un concetto molto vasto che riguarda la salute fisica, ma anche la salute sociale e psichica, ci occupiamo anche di problemi amministrativi, come per esempio alcuni tipi di permesso di soggiorno legati alla sanità (…). In più facciamo orientamento e informazione (…). Siamo un punto di riferimento per loro” (Tania, mediatrice culturale).

Emergency poggia su una collaborazione col settore pubblico, tramite un protocollo di collaborazione firmato coll’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP). Questo accordo consente loro di avere dei riccettari che permettono agli immigrati di accedere alle cure convenzionate senza pagare.]

“L’ASP ci ha accolti mettendoci a disposizione questi locali. Un protocollo di collaborazione è stato firmato (...). Abbiamo stabilito delle regole di non concorrenza e di collaborazione e da quel momento funziona tutto benissimo. E un modello che fino a ora non si è riuscito a riprodurre altrove (…). [A Marghera], non c’è mai stato una possibilità di accordo col sistema sanitario [pubblico], l’aspetto organizzativo è totalmente differente. D’altronde, si occupano soprattutto di Italiani indigenti”. (Dr d’Emergency).

Emergency collabora anche colle istituzioni pubbliche :

“I nostri mediatori sono diventati dei punti di riferimento anche per il settore pubblico. Quando il Comune deve capire un fenomeno, ci chiama. Anche gli ospedali, per tutto quello che non riescono a fare in tempo. Per esempio, gli esami morfologici durante la gravidanza hanno delle scadenze molto precise. Però questo sistema sanitario (…) non riesce più a fargli in tempo. Dunque ci mandano i pazienti (Dr d’Emergency).

21 In Italia, Emergency esiste pure a Porto Marghera, nel Veneto. Una equipe di medici, infermieri e mediatori seguono anche, con due polibus, gli spostamenti stagionali a Cassibile e in Puglia.

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Le altre organizzazioni del privato sociale che offrono dei servizi sanitari agli immigrati sono cristiane (Caritas, Gesuiti...). Hanno integrato i servizi sanitari (ambulatorio, sportello sanitario, centro pediatrico...) ad altre attività che sviluppano (consulenza legale, accoglienza notturna, dopo scuola…). Gli operatori sono volontari

Secondo un medico di Emergency, la principale differenza tra le organizzazioni laiche e confessionali si trova nella continuità:

“Il sistema confessionale è molto radicato (…). Queste istituzioni hanno una continuità sul territorio che le istituzioni laiche non hanno. Spesso le istituzioni laiche s’impegnano in qualcosa per un anno, due anni … poi si accorgono di una necessità altrove e vanno via. Questa mancanza di continuità ha delle conseguenze sulla capacità a pesare sulla realtà locale”.

La maggior parte delle persone impegnate nella medicina delle migrazioni in Sicilia provengono dal settore del volontariato : psicologi, mediatori culturali. Pure S. Geraci, Presidente della SIMM da 2000 a 2009 è responsabile dell’Area sanitaria della Caritas di Roma dalla metà degli anni 1980. Il Pr. Affronti del Policlinico vanta i meriti del lavoro in rete e della collaborazione pubblica/privato sulla quale poggia il suo servizio.

“La SIMM (…) si occupa di medicina delle migrazioni (…) in uno spirito di collaborazione tra il settore pubblico e il volontariato. E une esperienza molto originale perché generalmente questi due mondi non comunicano facilmente. Anzi, spesso si oppongono”.

Mette anche in guardia contro le tensioni che possono esistere tra il settore pubblico e quello privato. “Purtroppo in questo settore (…) c’è anche molto autoreferenzialismo”22. Secondo lui, il volontariato tende a voler sostituirsi al settore pubblico mentre dovrebbe fermarsi a completarlo.

“A Santa Chiara, per esempio, abbiamo chiuso l’ambulatorio medico perché non aveva più senso tenerlo aperto. So che c’è un ambulatorio dalla Caritas, e per noi non va bene. Danno anche i farmaci, è assurdo perché sono soldi che spendi per cose che lo Stato ti da (…). Il volontariato non si deve sostituire al pubblico (…). Deve collaborare (…). La Legge offre quasi tutto per gli irregolari, tranne alcune cose, le protesi per esempio. Ecco perché la Caritas romana si è attrezzata per intervenire soltanto in quel caso (…). Siccome il settore pubblico non riesce a assumere dei mediatori, allora il volontariato puo intervenire con progetti ad hoc(...): ‘visto che non avete i mediatori, vi aiutiamo mettendo dei mediatori a vostra disposizione’. Ecco come si dovrebbe fare la collaborazione, però loro creano l’ambulatorio . Ma perché crearlo quando quello pubblico esiste già”?

Secondo il Sig. Affronti, queste scelte provengono da un autoreferenzialismo esasperato:

22 Intervista di Maria Laura Casano, “Immigrazione e Salute : intervista al Dottore Mario Affronti e alla Dottoressa Giuseppina Cassarà, 23/05/2007 http://www.medeu.it/notizia.php?tid=38

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“Hanno un concezione medioevale del volontariato (…). Tanti volontari sono convinti che senza di loro il mondo crollerebbe; sopratutto se sono cristiani. In realtà tutti i volontari hanno più o meno questo atteggiamento. Rispetto al settore pubblico sono scettici”.

Queste tensioni tra pubblic e privato si reflettono nelle tensioni tra il Policlinico ed Emergency. Secondo un cardiochirurgo, oggi in pensione e lavorando come volontario a Emergency, Emergency si è stabilita a Palermo per proporre “servizi che il SSN non offre,

neanche agli Italiani”. Però presto si sono accorti che c’erano tante necessità. La disponibilità dell’ASP gli ha portati a venire a Palermo. La mediatrice culturale mette avanti questi motivi :

“Palermo è una città con tanti immigrati e tanti indigenti (…). Già c’era la medicina delle migrazioni al Policlinico però in realtà il settore sanitario a Palermo non è preparato ad accogliere gli stranieri”.

Invece, secondo il Pr. Affronti, la scelta fatta da Emergency di stabilirsi a Palermo è assurda : aveva consigliato loro di andare a Trapani o in altre città dove non esiste un ambulatorio.

“Non mi è piaciuto quando Gino Strada [Presidente di Emergency] (…) ha detto: ‘a Palermo c’è un vuoto’ (…). Non corrisponde alla verità (…) Abbiamo già quattro luoghi pubblici. Quanti immigrati ci sono a Palermo? 25.000! (…). E già c’è la Caritas, Biagioconte… però loro volevano per forza aprire a Palermo. Allora ho detto: ‘ci sono dei punti deboli a Palermo : l’oftalmologia, l’odontologia’ (…). Ma alla fine fanno di tutto (…). Non abbiamo aspettato a Gino Strada per curare gli immigrati. Qui l’assistenza sanitaria agli immigrati è nata nel 1987 (…). Ma non si può avere la visibilità di Gino Strada (...). Ecco il tipo di volontariato molto autoreferenziale (…). Quando (…) Strada ha insistito per stabilirsi qui, ho capito il motivo (…). Vogliono creare un (…) centro di raccolta di soldi (…). Raccolgono soldi per le loro attività (…). Il credente da alla Chiesa, mais quello che non crede da più facilmente a Emergency.”

Per Tania, “la mentalità” di volontariato di Emergenza fa la differenza col servizio pubblico.

“Un medico che fa volontariato per una causa determinata, è una cosa diversa di un medico che compie le sue 8 ore quotidiane. I nostri medici sono molto sensibili. Un’altra cosa importante (…) è che qua (…) il mediatore culturale è sempre presente”.

Per il medico pensionato, Emergency è più flessibile dal Policlinico e dimostra una maggiore capacità di adattamento rispetto ai servizi istituzionali.

“Il Policlinico è istituzionale e dunque segue le regole delle istituzioni (…). Noi abbiamo il vantaggio della libertà. Se ci accorgiamo di qualche necessità, possoamo adattiamo il nostro sistema. Mentre i sistemi istituzionali, prima che si adattino, ci vuole tempo. Siamo più flessibili di fronte alle realtà.”

A questo si aggiungono tensioni personali legate a concezioni differenti della medicina. Nel 2004, gli studenti in medicina del Pr. Affronti hanno invitato Gino Strada nel quadro di un credito elettivo sulla medicina transculturale.

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“Non ti racconto la confusione, i giornali, la televisione. E durante quest’intervento, ripeteva :‘io no so cos’e questa medicina transculturale’ (...) con un tono ironico (...). Poi ha detto :’ora vi racconto cosa faccio io. E ha cominciato a raccontare ciò che faceva Emergency. A quel epoca, erano in Afganistan (…). Ho risposto che era normale che un chirurgo con conoscesse la medicina transculturale (…). Gli organi dei migranti non hanno connotazioni etniche. Quando Gino Strada opera, non opera un cuore giallo in un corpo giallo, o un fegato nero in un corpo nero (…). La medicina transculturale è importante per la relazione. Quando curi un malato non vedi i suoi organi; vedi una persona che ti racconta tramite il suo vissuto, il suo dolore, ciò che può essere causa della sua malattia. E dunque indispensabile avere delle conoscenze culturali”.

Così, uno dei problemi che emerge da questa gouvernance è la coordinazione tra gli operatori delle politiche sociali (operatori pubblici, privati e di differenti livelli).

d) L’iscrizione della questione migratoria nell’agenda locale

A livello nazionale, la questione migratoria diventa un terreno di confronto politico forte durante gli anni 1990, (la Lega assume il ruolo d’imprenditore politico anti immigrazione). Invece, in Sicilia, l’immigrazione è poco politicizzata. Occupa un posto molto marginale nei programmi municipali e la maggior parte degli operatori sociali si dichiarano apolitici e esprimono diffidenza rispetto al mondo politico che accusano di clientelismo e di legami colla mafia. La carenza degli interventi pubblici in materia migratoria è compensata dalla chiesa cattolica che assume un ruolo di ammortizzatore sociale. In un primo tempo, la chiesa si naturalmente imposta come l’attore principale della presa a carico dei nuovi indigenti: gli immigrati. Però il loro aumento e il loro insediamento ha modificato questa situazione. Numerosi operatori locali che provenivano da orizzonti sociali, politici, economici e ideologici eterogenei si sono impegnati in un argomento comune : l’immigrazione. Si organizzano, “si arrangiano”, hanno delle pratiche e dei “repertoire d’action” (Tilly) diversi, stabiliscono la propria agenda e producono le proprie categorie di interpretazione del fenomeno migratorio (Hall 1993)23. Questi attori sono nello stesso tempo autonomi e interdipendenti: collaborano però sono anche in concorrenza per occupare simbolicamente il terreno. In altri termini, l’immigrazione ha mobilizzato operatori locali che hanno progressivamente politicizzato la questione migratoria e contestato il monopolio delle organizzazioni religiosi nel campo sociale. Infatti, il settore del privato sociale laico, precedentemente mobilitato su altri temi (l’anti-mafia e anti-corruzione, movimento pacifista…), ha trovato nell’immigrazione una nuova causa di impegno. Questi attori laici, in particolare i più anziani che spesso sono stati militanti di sinistra, specialmente nel Partito Comunista Italiano, non si riconoscono nella

23 P. Hall (1993) sottolinea l’importanza delle “idee”nel processo di policymaking definite come un quadro interpretativo produttore di legittimità, un prisma tramite il quale la realtà sociale viene percepita.

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Sinistra attuale. Due visioni alternative si sono sviluppate, che corrispondono a due definizioni del fenomeno migratorio : il paradigma assistenzialista, ispirato dalla carità cristiana, che vede l’immigrato come un indigente a cui si da vitto e alloggio; e una visione (che si potrebbe chiamare militante) centrata sulla difesa dell’immigrato in quanto lavoratore e cittadino detentore di diritti e vittima di una situazione di disuguaglianza sociale e politica.

Benché la distanza col mondo politico sia importante, alcuni attori della società civile si sono imposti come promotori di misure di integrazione mentre la questione migratoria non faceva parte dell’agenda politico locale. Hanno contribuito a pubblicizzare questa problematica (Foucault), a fare iscrivere null’agenda locale alcune tematiche (seconde generazioni, condizione di vita nei centri di permanenza, discrezionalità dei street-level bureaucrats (Lipsky 1980) in Questura e Prefettura…) e hanno portato avanti alcune prassi che sono diventate leggi, come per esempio, l’accesso degli immigrati in situazione irregolare ai servizi sanitari. Cosi, a Palermo la medicina delle migrazioni in ospedale pubblico si è sviluppata grazie a l’azione di una rete di personale medico volontario che riceveva dei sans-papier nell’oratorio salesiano di Santa Chiara. Hanno partecipato all’elaborazione delle linee-guide regionali sulla sanità, hanno esercitato pressioni sulla Regione e hanno ottenuto la presa a carico dei pazienti irregolari da parte dell’istituzione pubblica. All’interno della tematica dell’immigrazione, intorno ai temi caldi (regolarizzazione, riforma della legge sulla cittadinanza, chiusura dei centri di permanenza…) si aggregano universi di a differenti in Sicilia. Così, la riforma del diritto della cittadinanza tramite l’introduzione del jus soli (attualmente la prevalenza del jus sanguinis proibisce a una parte degli immigrati della seconda generazione di ottenere la cittadinanza italiana) mobilita la maggior parte degli operatori locali impegnati sul tema migratorio. Invece, la chiusura dei CPT è essenzialmente richiesta dai “movimenti sociali contestatari “rappresentato da un centro sociale auto gestito di Palermo. Strane alleanze si formano tra attori molto diversi.

Conclusione/apertura: Influenza del politics sul policy?

La questione migratoria non è stata iscritta nel agenda politico all’iniziativa delle elite politiche, indifferenti a questa tematica e/o preoccupate dalle possibili conseguenza elettorali dovute a una presa di posizione chiara. I partiti politici evitano di parlare troppo di una questione che presenta più rischi che vantaggi dal punto di vista dei risultati elettorali. E piuttosto sotto l’influenza del settore associativo e delle pressioni esterne (aumento dei flussi migratori in seguito alle rivoluzioni arabe, rivolta nei centri di permanenza sovrappopolati …) che l’immigrazione è entrata nell’agenda politico locale. Però l’alternanza politica a Palermo dopo 10 anni di governo di destra porta a interrogarsi sull’effetto del politics (competizione tra attori per controllare il potere politico : “fare politica” Hassenteufel 2011) sulle politiche pubbliche (policy). Il colore politico della maggioranza che dirige la città potrebbe spiegare delle differenze ? (Caponio 2006).

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Dopo dieci anni di governo di destra marcati da scandali di corruzione e da una gestione catastrofica dei conti pubblici, Palermo vota a sinistra alla primavera 2012. L. Orlando, sostenuto da Italia dei valori (Idv)24 e da Rifondazione comunista (RC), viene eletto il 6 maggio. I 10 anni di potere del suo predecessore, D. Camarrata sono stati caratterizzati da un divario tra la società civile e le istituzioni politiche e da una indifferenza rispetto alla questione migratoria. L’amministrazione Camarrata era molto impopolare presso il settore sociale : un giovane militante associativo, parla di “vuoto giuridico di un decennio”. Ho notato, anche io, una forte nostalgia del periodo di L. Orlando. Fu sindaco di Palermo dal 1985 al 1990 con la DC. Quando scoppio lo scandalo dei Tangentopoli, lascio’ quel partito accusato di collusione colla mafia. Poi fu eletto per un nuovo mandato nel 1993 sotto l’insegna “ La Rete” e della “Primavera di Palermo” poi viene rieletto nel 1997. Nel 2007 si ripresenta ma è sconfitto da D. Camarrata, candidato del Pdl.

“[Era differente dal tempo di Orlando?]. Ah si! Lo vogliamo ancora bene e se si presenta, sarà probabilmente eletto perché non sono solo gli immigrati a ricordarsi di lui. Camarrata è rimasto 10 anni! Non ci ha mai accolti, e a Palermo siamo più di 30 000, in regola” (Mediatrice culturale del Capoverde).

Dopo delle primarie per selezionare il candidato di centro-sinistra25, undici candidati si presentano come futuri sindaci e 1319 candidati (spartiti in 26 liste) si presentano al mandato di Consigliere comunale (per 50 posti al Consiglio). L. Orlando, (47,4%) e F. Ferrandelli (17,38%) due candidati di centro-sinistra, vanno al ballottaggio. Al secondo turno, L. Orlando vince con più di 72% dei voti. Il suo partito Idv ottiene 30 seggi al Consiglio Municipale (60% dei seggi). I 20 seggi che rimangono vengono attribuiti alla proporzionale alle liste che hanno superato il 5% dei voti.

Tra i 1319 candidati al Consiglio comunale, una diecina erano degli immigrati bi cittadini. E la prima volta che tante persone che provengono dall’immigrazione si presentano. Ma nessuno risulterà eletto. Una candidata italo-tunisina dice che “è pesante essere di origine straniera” nella competizione elettorale.

“[E un vero ostacolo ?] Non tanto per la popolazione quanto per le persone già li. Difendono il posto, è difficile trovare il “buco” dal quale entrare”

24 Partito politico centrista fondato da A. Di Pietro, precedentemente giudice istruttore dell’operazione anti-corruzione Mani Pulite e che stabilisce la sua popolarità sull’integrità e la lotta anti-corruzione.25 Fine marzo, le primarie di centro sinistra si trasformano in una guerra fratricide che oppone R. Borsellino sostenuta dal PDnazionale, sorella del magistrato assassinato, europarlamentare e candidata sfortunata alle elezioni regionali siciliane del 2006; F. Ferrandelli, capo gruppo d’Idv nel precedente Consiglio comunale; A. Monastra, assessore comunale uscente che sostenuta da diversi movimenti civici, e D. Faraone giovane deputato regionale membro del PD. F. Ferrandelli, 32 anni, arriva primo, subito davanti R. Borsellino (la sconfitta di R. Borsellino è un rovescio pesante per il Pd nazionale che la sosteneva). F. Ferrandelli era stato escluso da Idv dopo la sua decisione di presentarsi alle primarie del centro sinistra. L.Orlando e il suo partito lo mollano e sostengono R. Borsellino. Ma F. Ferrandelli gode del sostegno di una parte del settore associativo locale nel quale è radicato e di una parte degli universitari. Conta anche sul sostegno di una parte degli immigrati e delle reti di due figure impopolari del Pd regionale, accusate di collusione colla Mafia. Il suo programma elettorale è quello che contiene più proposte sull’immigrazione.

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L. Orlando eredita una città in crisi finanziaria e una situazione sociale molto tesa. Si può appoggiare su un largo consenso elettorale; ha l’esperienza del passato: conosce gli ingranaggi del potere locale e nazionale (“Il sindaco, lo sa fare” era il suo slogan di campagna). Peraltro, gode di una fama europea (europarlamentare da 1994 a 1999 nel Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori). E anche deputato nazionale da 2006. Il suo programma per le amministrative è molto breve (due pagine). Il settore sociale è valorizzato cosi come la partecipazione del “privato sociale, che ha dovuto in questi ultimi anni provvedere alle carenze dell’amministrazione municipale”. Nonostante non sia formulato niente rispetto agli immigrati in particolare, i primi passi del governo Orlando per quanto riguarda l’immigrazione mostrano una rottura rispetto al periodo precedente. La Giunta nominata da lui è composta da dieci persone, con profili diversi : professori, imprenditori, settore associativo…

I due Assessori principalmente toccati da questa problematica sono A. Ciulla (Cittadinanza sociale) e G. Catania (Partecipazione e decentramento). A. Ciulla, 39 anni è impegnato nel volontariato sociale da più di 20 anni,in particolare nel campo dei diritti per i giovani. G. Catania, 40 anni, professore al liceo, è stato segretario provinciale e regionale di Rifondazione Comunista, Assessore comunale da 1997 a 2000. Da 2004 a 2009, è deputato europeo nel gruppo Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL). Si occupa molto delle questioni migratorie e di asilo. E stato all’origine di due visite effettuate dal Parlamento europeo nel Centro di Permanenza Temporanea (CPT) di Lampedusa. Queste ispezioni hanno provocato denuncie dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e indagini sulla condizione degli immigrati in questo CPT.

Alcuni giorni dopo la sua investitura, L. Orlando organizza una cerimonia pubblica per conferire la cittadinanza simbolica italiana a 12 immigrati che vivono e lavorano a Palermo.. “La nostra amministrazione ha scelto di portare avanti una campagna per la cittadinanza perché pensiamo che la legge attuale non sia idoena”, dichiara G. Catania. Il 20 giugno, A. Ciulla e G. Catania incontrano le due comunità Rom. Circa 150 persone vivono da parecchi anni in un accampamento di roulotte, vera discarica a cielo aperto dove si accumulano i rifiuti. All’inizio di luglio, la città inizia un risanamento del campo. Il 29 giugno, delle associazioni di aiuto agli immigrati, delle associazioni di immigrati e G. Catania s’incontrano per preparare la creazione della Consulta per gli immigrati. G. Catania dichiara volere “costruire uno strumento permanente, stabile e duraturo (…). Ci focalizzeremo su un punto: la partecipazione attiva degli immigrati alla vita politica della città”. I tre membri della Consulta creata nel 1999 e che è durata due anni erano presenti a questo incontro. “Già a quell’epoca era un atto rivoluzionario, di coraggio (…). L’amministrazione Cammarata ha ignorato gli immigrati. L’ex Sindaco non ci ha mai incontrati, non ha mai risposto alle nostre lettere” dice S. Nikkho, ex-membro della Consulta di 1999.

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E ancora presto per confrontare le intenzioni espresse all’inizio del mandato, colle decisioni che saranno realmente adottate e implementate. Però, la prima impressione è che il colore politico della maggioranza al potere conta nelle politiche dedicate agli immigrati.

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